Sport

I 40 formidabili anni di Francesca Schiavone

Francesca Schiavone 
Compie gli anni la trionfatrice del Roland Garros 2010
3 minuti di lettura
Bianco e volta, rosso e nero, yin e yang, sturm und drang, due facce della stessa medaglia, due opposti che si sono sempre toccati, "topponi" di diritto e "slice" di rovescio, attacco e prudenza, coraggio e calcolo, slancio e intelligenza. Francesca Schiavone compie 40 anni. Ha smesso da due anni, non prima però di essersi tolta il gusto di vincere un "late show" a Bogotà nel 2017.

Senza di lei forse non ci sarebbero state le "altre" del tennis azzurro. Senza di lei, chissà, non si sarebbero sedimentate le qualità che hanno portato il nostro Paese e il nostro movimento tennistico femminile a vincere quattro Fed Cup.

È sempre stata una guerriera, Francesca. Ha combattuto contro chiunque, contro ogni cosa. E ogni cosa ha sconfitto, compreso un tumore, anzi due, il suo e quello di sua madre. La osannavano e nello stesso tempo le dicevano di tutto, a cominciare da quel suo look in campo, da monello di strada, con colori smorti come il rosa pallido con cui entrò in campo al Roland Garros un anno dopo il trionfo, ossia nel 2011, per poi perdere contro la cinese Li Na, vestita con gonnellino rosso fuoco.

Qualche anno fa si stufò di venir chiamata, e riconosciuta, come la "leonessa". Non le andava più giù. Ma quello era: la regina della foresta, con quelle sue appendici colte o terra terra che alternava dando sempre un'idea diversa di sé.

Usciva con le sue grida dal suo suono sdoppiato, incuteva timore, rispetto. Esattamente come faceva in campo, anche nella vita fuori gestiva la propria immagine come se fosse al tavolo da gioco: il suo tennis era una scommessa spettacolare.

Cosa combinerà oggi Francesca? Nessuno poteva immaginarlo. A volte nemmeno lei. Ed era il suo bello. Francesca ha smesso senza clamori. Lo disse allo Us Open, dopo 8058 giorni di carriera: non aspettò una wild card per Roma (che non arrivò), non aspettò occasioni più mediatiche, non le importava. Non aspettò nessuno. Non voleva lustrini, guide rosse, fanfare. Quello che aveva fatto, era fatto. Se bastava o no, lo avrebbero giudicato i posteri. Lei era contenta, orgogliosa di sé.

Il suo ritiro è la metafora all'interno della quale si possono ancora oggi percepire i tratti somatici del suo tennis: colto e discreto, tecnico e fisico. Ma soprattutto "moody", ossia un po' umorale e un po' imprevedibile. Il che non faceva che peggiorare lo stato d'animo delle sue avversarie.

Francesca aveva le caratteristiche che avrebbero poi illuminato il percorso di Flavia, Roberta, Sara. Ma quel rovescio a una mano, portato con movimento ampio d'altri tempi, perché sostenuto dalla forza delle gambe e da un impatto con la palla quasi sempre perfetto, è rimasto suo. Come l'arte nell'alternare i rovesci, ora "slice" ora in "top". Nemmeno Flavia. Caratteristiche fuse in un corpo solo e in una sola anima. Aveva persino la potenza di Camila.

Era un "made in Italy" che veniva da vicino, Francesca, non da lontano. Aveva cominciato al Tennis Club Milano Bonacossa, con Barbara Rossi (da anni splendida commentatrice per Eurosport). Aveva 12 anni quando apparve. Era figlia di un tranviere che era sbarcato a Milano dall'Irpinia con la famiglia (papà Franco aveva appena 11 anni). Si racconta di quanto fosse complicato farla uscire dal campo, convincerla a riposare, farle capire che anche la passione andava in qualche modo amministrata.

Avrebbe lavorato su se stessa, incessantemente, per dieci anni, dosando bastone e carota, ragione e sentimento. Avrebbe disputato 61 Slam consecutivi, vincendone uno a Parigi, di straordinaria importanza emotiva e culturale, la prima italiana a riuscire nell'impresa. Era appariscente quando le andava. Oppure era cupa e silenziosa, addirittura criptica. Ma sempre e solo se le andava. In una parola: personalità. Anche per questo Martina Navratilova l'adorava: "E' una delle più grandi del suo tempo". Forse una grande meno celebrata di altre. Vinse a Roland Garros nel 2010.

Era il 5 giugno e Francesca non aveva ancora 30 anni. In finale doveva superare Samantha Stosur, deltoidi da surfista, picchiatrice, in quel momento in rampa di lancia per diventare una superstar (nel 2011 avrebbe vinto lo Us Open) e per questo favorita secondo gli scommettitori.

Nella stagione precedente, la dirompente australiana aveva liquidato Francesca in 2 set con quattro gatti in tribuna. Ma in dodici mesi era cambiato tutto, soprattutto nella consapevolezza di "Schiavo", che aveva da poco battuto Serena a Roma. Prima della finale Francesca disse: "Vincerà la più intelligente". Vinse lei. Otto tornei conquistati in singolare. Nel 2011 è stata la n.4 del mondo, come Panatta. Mai nessuno in Italia ha grattato il cielo con le dita, come ha fatto Francesca. Perché se lo meritava. Non smettere mai. Di essere così.
I commenti dei lettori