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La storia

Un giro a Roma con la Google Street View Car, l'auto che ruba gli sguardi alla grande bellezza

Un giro in esclusiva con la Street View Car, che scatta foto in Italia da 14 anni e che mai nessuno, nel nostro Paese, aveva potuto studiare così da vicino. Un tour singolae tra i luoghi e i monumenti della Capitale, per scoprire tutti i segreti dell'auto responsabile delle mappe 3D di Google
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Gli occhi della Google Street View Car non sono solo le sue fotocamere. Gli occhi veri, decisamente più umani, sono quelli di Valentina Frassi, che lavora al progetto Street View da almeno dieci anni: diventano lucidi quando parla del suo lavoro. “Ci ho pensato tanto durante la pandemia - dice abbassando gli occhi, commossa - eravamo bloccati in casa ma grazie alle mappe potevamo comunque visitare i luoghi a noi cari, magari lontani, oppure rivivere le vacanze più belle. Dare questa possibilità a tutti e la cosa che più mi appassiona di quello che faccio”.

Valentina, Program Manager Street View Operations di Google, vive e lavora a Bergamo, una delle città italiane più colpite dal Covid-19. Dalle sue parole, ma soprattutto dalle sue informazioni, comincia il nostro viaggio insieme all’auto che è apparsa in Italia nel 2008, quando ha iniziato a fotografare Roma, Milano, Firenze e una zona del Lago di Como.

Negli ultimi quattordici anni, la Street View Car ha fotografato praticamente ogni angolo del nostro Paese: l’abbiamo incrociata per le strade delle nostre città e l’abbiamo osservata come una mosca bianca sull’asfalto. Ma mai prima d’ora, in Italia, qualcuno ha avuto la possibilità di seguirla per ore, di riprenderla da vicino, di fare un giro insieme all’auto responsabile delle mappe 3D di Google.

Quando la Street View Car parcheggia davanti alla sede di Repubblica, a Roma, sembra quasi una concessione miracolosa. Dall’auto scende il nostro compagno di viaggio, Alessandro, il driver romano che scatta foto per Google dal 2014. La macchina, una comune utilitaria, mostra i segni del tempo: la staffa che sorregge le fotocamere ha delle parti arrugginite, nel complesso non è una vettura che ti fermeresti a guardare se non fosse ovviamente per quelle fotocamere. “Eppure su quest’auto ti senti una star - dice sorridendo Alessandro - quando torni a guidare la tua, è un problema: non ti guarda più nessuno”.

Il driver si limiterà a qualche battuta, simpatici aneddoti. Non è autorizzato a rispondere alle nostre domande sulle tecnologie e il funzionamento della macchina che guida. Tutto quello che ci serve, in realtà, ce lo ha già detto Valentina Frassi, nella chiacchierata virtuale su Google Meet che abbiamo fatto il giorno prima. Ora non ci resta che guardare con i nostri occhi, e capire che effetto fa un tour della “grande bellezza” visto con la Street View Car.

L’interno dell’auto non si può riprendere. Un’altra limitazione. Ma almeno possiamo sbirciare e raccontare a parole. Chi si aspetta strumentazioni straordinarie resterà deluso. L’abitacolo originale presenta solo due elementi aggiunti da Google: un tablet piuttosto voluminoso, di circa 13/14 pollici, attraverso cui il driver consulta la mappa dell’area che di volta in volta deve fotografare. E poi, sui sedili posteriori, un voluminoso hardware collegato con un cavo alle fotocamere sul tetto: qui vengono immagazzinati gli scatti e qui si trova il famoso “pulsante rosso” che viene spinto per iniziare a scattare

Accendiamo il motore, si parte. Raggiungiamo il Gazometro, nel quartiere Ostiense, la struttura in ferro forse più nota della Capitale. Il sole è accecante, siamo fortunati: le fotocamere della Street View Car sono progettate per resistere al caldo e al gelo estremi ma temono la pioggia: le gocce d’acqua possono scivolare sugli obiettivi, compromettendo la qualità degli scatti. Quando piove, insomma, i driver hanno un’istruzione ben precisa: non uscire.

Sotto il Gazometro, accanto a un marciapiede colorato dai graffiti, ci fermiamo per osservare più da vicino la torretta con le fotocamere: nel punto più alto, la caratteristica sfera azzurra schiacciata, ci sono sette obiettivi da 20 Megapixel che scattano a 360° (solo uno di questi è rivolto verso l’alto). Più in basso ci sono due “HD camera” che puntano a destra e a sinistra dell’auto per catturare, in alta risoluzione, le insegne delle attività commerciali, per esempio, oppure i numeri civici delle abitazioni.

Elementi fondamentali, aggiunti solo negli ultimi anni da Google, sono due cilindri che contengono i sensori Lidar, che misurano la distanza e la profondità rispetto agli oggetti e gli edifici che incontra la macchina lungo il suo percorso. Proprio grazie a queste informazioni si può ricreare un ambiente tridimensionale molto preciso.

La tecnica che usa Google per il suo 3D è nota, si chiama fotogrammetria e non l’ha inventata certo l’azienda di Mountain View. Ma a questa Google ha aggiunto il machine learning, fondamentale per sfocare i volti delle persone e delle targhe, insomma tutti i dettagli sensibili catturati dalle sue macchine. Nel corso degli anni questo software è migliorato molto, ma capita ancora di vedere volti scoperti o targhe leggibili. Chi si riconoscesse nelle foto, e volesse essere oscurato, può segnalarlo a Google che provvederà a farlo.

Ci spostiamo dal Gazometro, in direzione Colosseo. Fermi al semaforo, davanti agli uffici della Fao, capiamo quanta curiosità suscita ancora la Street View Car. Ci sono quelli seduti nelle macchine vicine che la fotografano e chi invece, attraversando la strada, saluta: “È qualcosa che succede molto spesso”, ci dirà il driver Alessandro.

Tanti pensano che le immagini scattate dalla Street View Car finiscano istantaneamente nelle mappe di Google, ma non è così. Il processo di post produzione, che comprende anche la sfocatura dei volti e delle targhe, può durare da settimane a mesi. Le persone inoltre sono certe, quando incrociano una macchina di Google, di finire nelle mappe 3D. Succede invece che una Street View Car, per fotografare una determinata zona, sia costretta a percorrere più volte la stessa via. Solo gli scatti migliori finiscono nelle mappe e per questo molti dei cittadini immortalati potrebbero non esserci.

Il Colosseo è già alle spalle. Costeggiamo il Circo Massimo e raggiungiamo Castel Sant’Angelo, in questo curioso tour della grande bellezza che la Street View Car avrà già fatto decine di volte. Google aggiorna le sue mappe più o meno una volta all’anno, ma le città cambiano volto in fretta, spesso c’è bisogno di fotografare alcune zone più frequentemente. Su Street view c’è un’opzione, chiamata “Time machine”, che permette di percorrere la stessa strada in anni diversi: è curioso osservare come è mutata ed è interessante, allo stesso tempo, capire quanto è migliorata nel tempo la risoluzione delle immagini.

In Italia, Google non ha schierato una flotta di auto enorme. Ecco perché le auto vengono avvistate così raramente. Oltre alle macchine ci sono i cosiddetti Trekker, gli operatori che scattano le foto a piedi, una risorsa fondamentale per accedere alle zone a traffico limitato o ad aree in cui le macchine non possono arrivare. Un esempio emblematico occupa gran parte della carrozzeria della Street View Car romana: è la foto di Machu Picchu, il sito Inca che si trova in Perù e che Google ha fotografato per la prima volta nel 2015.

Scattare le foto a piedi è un’operazione più faticosa ma è decisamente più sostenibile. Google lo sa - o meglio non può non saperlo - ma per ora non riesce a fare a meno delle macchine con motore a combustione interna. Il problema sta nell’enorme mole di chilometri che queste macchine effettuano ogni giorno, e nella semplicità delle loro parti. Google infatti non sceglie le sue Street View Car in base a una partnership. Il requisito fondamentale, operando anche al di fuori delle grandi metropoli, è che le vetture possano essere riparate anche nelle officine più piccole e sperdute del Paese.

Un’apertura green c’è stata ad Amburgo, e a Dublino, dove le Street View Car sono appunto elettriche e hanno aderito al progetto Air View che punta a creare una mappa interattiva della qualità dell’aria in città. Una mappa a cui contribuiscono, con appositi sensori, anche le auto di Google, appunto.

Abbandonato il solito caos del lungotevere romano, ci dirigiamo verso la Basilica di San Pietro. Svoltiamo a destra, in via della Conciliazione, tornata piena di turisti. La cupola è lontana, per raggiungerla bisogna effettuare un lungo tratto pedonale, e non abbiamo deroghe.

I driver di Google devono rispettare il codice della strada come tutti gli altri: se infrangono le regole, ne rispondono personalmente. In passato un quotidiano ha pubblicato la foto di una Street View Car in doppia fila, per denunciare i parcheggi selvaggi nella Capitale. Il driver che ci accompagna è rimasto segnato, evidentemente: quando ci fermiamo per mangiare un panino, sceglie accuratamente il punto in cui lasciare l’auto, scartando una porzione d’asfalto con delle strisce sbiadite, di quelle che non capisci mai se siano bianche, blu (a pagamento) o ex blu.

È celeste invece, intenso e bellissimo, il cielo di Roma a cui aspiriamo salendo le curve del Gianicolo, il colle romano alla destra del Tevere, osservatorio privilegiato sulla città. L’ultima tappa del nostro tour è la Fontana dell’Acqua Paola, quella che i romani chiamano semplicemente “fontanone”. E lì la Google Car non sa proprio dove guardare: da una parte le favolose vasche del Seicento, dall’altra i tetti di Roma, con i turisti che si sporgono per riconoscere e fotografare i monumenti.

Non resiste anche Alessandro, che tira fuori lo smartphone. Ma a lui la grande bellezza non interessa. Dopo otto anni al volante dell’auto di Google, migliaia di chilometri e tutte le occasioni che avrà avuto di fotografarla, il driver scatta verso quella singolare macchina che - come canterebbe Venditti - “se specchia dentro ar fontanone”.