La difficoltà del cambiamento aziendale: realtà o semplice percezione personale

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La difficoltà del cambiamento aziendale: realtà o semplice percezione personale?

di Matteo Pfeiffer Bonistalli

Qualche giorno fa ebbi modo di confrontarmi con un amico, CEO in una azienda danese che, per caso, aveva iniziato a leggere un libro sulla psicologia delle organizzazioni: parlando, mi esternò il suo scetticismo per gli argomenti di cui trattava, poiché li riteneva interessanti ma, al contempo, di difficile applicazione nel contesto lavorativo in cui operava.

Non sono rimasto stupito da questo tipo di commento, comune a molti altri dirigenti e perfino dipendenti in differenti realtà organizzative, poiché ogni tipo di cambiamento, da quello personale fino appunto a quello aziendale, ci porta ad abbandonare quella comfort zone in cui ci sentiamo, spesso a torto, protetti da ogni rischio, per affrontare qualcosa di sconosciuto che ci appare invece più terribile rispetto alla situazione in cui languiamo.

Eppure, ogni volta che contempliamo un cambiamento, che esso riguardi un percorso di vita oppure il ciclo operativo di una azienda, significa che qualcosa non sta funzionando: sopprimere ogni tipo di intervento per timore di commettere un errore o per pigrizia, non farebbe altro che lasciarci in balia degli eventi, senza alcuna garanzia di riuscire a risolvere quella determinata situazione.

Dovremmo quindi domandarci se non sia la nostra percezione a ingannarci quando ci troviamo di fronte a una scelta, e cioè affrontare le difficoltà di una trasformazione, di una evoluzione verso qualcosa di diverso e, forse, migliore, oppure restare immobili ad osservare cosa succede intorno noi, sperando di non essere travolti dalle conseguenze del nostro non agire.

Parte di questa complessa risposta, senza scomodare troppo gli studi fatti fino a oggi sull’argomento, potremmo trovarla andando ad analizzare il periodo pandemico appena passato: l’emergenza ha infatti costretto le persone e le aziende ad adattarsi alle circostanze, modificando consuetudini che fino a quel momento sembravano intoccabili.

Lo smart working, per fare un esempio, è stato una sorprendente alternativa al lavoro tradizionale ed è risultato funzionale anche nel periodo post pandemico, dove alla necessità iniziale per cui era stato adottato è subentrata la consapevolezza dei suoi vantaggi, sia lavorativi che motivazionali: una presa di coscienza improvvisa e generale su tutta quella letteratura che suggeriva da molto tempo questi tipi di tecniche e che rischiava di rimanere confinata all’interno di enormi libri per molti anni ancora.

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I tempi di elaborazione e applicazione di suddette azioni, poi, sono un altro aspetto su cui dovremmo riflettere con attenzione: l’emergenza pandemica ha, come detto, costretto i responsabili delle diverse aziende a pensare in modo veloce, sviluppando metodi efficaci e al contempo adatti alle loro realtà lavorative. Di rimando, hanno trovato la completa collaborazione dei dipendenti ad accettare tali alternative, che valutavano quel cambiamento come qualcosa di positivo anche per loro stessi. Da qui si comprende l’importanza del processo cognitivo che tutti gli attori coinvolti sono chiamati ad affrontare al fine di creare una percezione collettiva e positiva su questo tipo di trasformazione: perché è essenziale che il gruppo di lavoro si comporti come una entità sociale, con strategie ed obiettivi comuni, e non come singole individualità.

Quindi, secondo la mia opinione, il cambiamento aziendale non è né impossibile né tantomeno difficoltoso come spesso potrebbe apparire, ma dovrebbe evolversi considerando, tra le altre cose:

  1. la collaborazione tra il gruppo manageriale ed i dipendenti
  2. la comprensione e il chiarimento dei motivi per cui decidiamo di cambiare
  3. l’elaborazione e lo sviluppo di strategie da applicare per raggiungere il nostro traguardo e che vada gradualmente a intervenire in tal senso
  4. il mantenimento di un costante dialogo e supporto tra tutto il gruppo di lavoro al fine di monitorare il processo trasformazionale, assimilando completamente le innovazioni programmate
  5. la percezione del tempo non come un antagonista, ma bensì come un alleato da sfruttare per correggere le nostre azioni

Per concludere, agire al fine di cambiare le nostre realtà organizzative, a qualsiasi livello, richiede un dispendio di energie e risorse importanti, e questo è indiscutibile: eppure, dopo l’esperienza ed i risultati, fino a prova contraria, ben ripagati in termini di risorse umane e di profitti acquisiti negli ultimi tre anni, parlare ancora di sole teorie o esperimenti isolati in riferimento agli studi sulle organizzazioni, potrebbe apparire riduttivo ed evidenziare una mancanza di lungimiranza non solo da parte della classe dirigente, ma anche di quei dipendenti che oppongono resistenza al cambiamento delle loro aziende.

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Matteo Pfeiffer Bonistalli
Vivo in Danimarca e da più di 15 anni mi occupo di servizi e ospitalità. Ho iniziato ad interessarmi alle Risorse Umane con dei corsi sulla leadership, ovviamente in relazione al mio lavoro. Da un anno frequento un corso universitario con indirizzo Psicologia del Lavoro e delle Imprese.

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