L’industria propone cagli nelle diverse formulazioni, in polvere, liquidi e in pasta, già pronti all’uso e già titolati. Tuttavia, sono molti i casari che autoproducono il caglio, dando una ulteriore caratterizzazione alle loro preparazioni casearie, conservandone le caratteristiche organolettiche e facendo emergere la biodiversità di quel territorio. Non è un caso che nei disciplinari di molte DOP e nella maggior parte dei PAT sia previsto l’uso di cagli artigianali, proprio per preservare la ricchezza intrinseca di questi prodotti.

La produzione di caglio artigianale varia sensibilmente da un territorio all’altro, con differenze che riguardano tempi, modi e conservazione. Va sempre però mantenuta alta la guardia sulle regole igienico-sanitarie e di macellazione perché il caglio è un prodotto facilmente contaminabile.

Anche la produzione industriale differisce fra una tipologia e l’altra di caglio. Per quanto riguarda la formulazione in pasta, l’abomaso estratto dall’animale lattante (soprattutto agnello o capretto) subisce un processo di congelamento per essere poi lavorato in un secondo momento.

La lavorazione artigianale del caglio in pasta è una lavorazione che ha alle spalle una lunga tradizione, essendo quello maggiormente usato per diversi formaggi della tradizione italiana. Si distingue fra caglio bianco e caglio verde, a seconda che l’abomaso venga prelevato da animali alimentati solo con latte materno o ad alimentazione mista, avendo in quest’ultimo caso il caglio meno chimosina e meno lipasi rispetto a quello estratto da abomasi di animali lattanti.

La lipasi è responsabile della piccantezza, una delle sensazioni trigeminali che si riscontrano in fase di degustazione. Quando si vuole che questa sia una caratteristica spiccata di un formaggio si usa in partenza caglio di capretto, naturalmente più piccante.

Per la preparazione di caglio in pasta, una volta raccolto il cagliolo, lo si pulisce e si lascia asciugare legato alle estremità con una corda, avendo cura di lasciare un foro per una migliore asciugatura, in seguito a fuoriuscita dei liquidi. Successivamente ogni azienda seguirà un metodo di lavorazione proprio, in base alla tradizione della zona da cui proviene e alle tipologie di formaggio che intende realizzare.

Il caglio liquido, microbiologicamente molto stabile e ideale per la produzione di diverse tipologie di formaggi, viene solitamente estratto da vitelli, ed è ottenuto per macerazione in salamoia dei tessuti di abomaso congelati e triturati. Per attivare l’azione degli enzimi del caglio necessari alla caseificazione, pepsina e chimosina, è necessario portare il pH della soluzione a livelli molto bassi.

Il caglio in polvere si ottiene partendo da un procedimento analogo, dopo filtrazione e addizione con il sale che fa da vettore.

Preparazione del caglio in pasta artigianale descritto nello studio SIMeVeP e utilizzato per molti PAT campani

Il cagliolo prelevato da agnelli o capretti, normalmente con il contenuto di latte all’interno, viene messo ad asciugare all’aria oppure messo subito sotto sale, in un secchio, a strati, allo scopo di ridurre il rischio di contaminazioni. Il periodo nei locali di asciugatura dura da 1 mese ad alcuni mesi, fino ad acquisire una consistenza semisolida. Una volta puliti esternamente, i caglioli vengono macinati con il tritacarne, insieme pellette e gemme, aggiungendo sale. Un ulteriore passaggio di almeno 6 mesi dentro un contenitore conservato ad una temperatura inferiore ai 10°C aiuta a ridurre la carica batterica del caglio. In alcune zone si usa aggiungere, al termine del processo, latte o derivati, per rendere il prodotto di colore più chiaro e di consistenza più cremosa. Prima dell’utilizzo viene sciolto in acqua e filtrato con una garza per rimuovere le impurità.

Dal punto di vista microbiologico il caglio artigianale presenta in genere una varietà di microrganismi come coliformi, batteri lattici, enterococchi, muffe e lieviti. Mentre assenti sono microrganismi patogeni come stafilococchi, Salmonella spp., L. monocytogenes.

Fra i prodotti a Denominazione di Origine Protetta che prevedono l’utilizzo di cagli artigianali, troviamo il Pecorino di Picinisco DOP, un prodotto per cui il disciplinare si è limitato certificare quella che era una tradizione pastorale già consolidata nei secoli. In questo caso vengono prelevati gli abomasi di agnelli o capretti lattanti che non abbiano superato i 40 giorni e il cui peso oscilla fra i 6 e gli 8 kg, ancora alimentati solo con latte materno. L’abomaso prelevato con il contenuto all’interno viene posto ad asciugare. Esiste una sostanziale differenza fra il periodo estivo e quello invernale e riguarda l’aggiunta di sale. In inverno, visto il clima freddo e secco, non viene aggiunto sale, se non in minima quantità nell’apertura del piloro, mentre in estate per i 2/3 mesi previsti per l’essiccazione, i caglioli vengono posti in recipienti e cosparsi interamente di sale.

Trascorso il tempo necessario all’asciugatura, si apre la massa e si asporta solo il contenuto interno, cioè la gemma. Una volta veniva utilizzata anche la pelletta esterna, ma solo nel periodo invernale quando questa era ben asciutta. Immersa la gemma in acqua leggermene salata, la si strofina con una garza per pulirla da eventuali impurità. Nel frattempo, il contenuto ripulito si sarà sciolto in acqua e verrà ulteriormente filtrato per eliminare impurità.

A questo punto viene misurata la forza del caglio, cioè il tempo che impiega per cagliare il latte, e lo si ripone in una bottiglia di vetro o plastica scura per essere conservato, senza particolari limiti di tempo, in frigorifero.

È lo stesso disciplinare di produzione a stabilire che per la produzione del Pecorino di Picinisco DOP “deve essere utilizzato caglio in pasta di capretto o di agnello proveniente per almeno il 51% da animali lattanti allevati nella zona di produzione delimitata“.

L’alimentazione degli animali a pascolo e foraggi freschi, l’utilizzo del latte crudo, l’assenza di fermenti e il caglio prodotto artigianalmente, fanno di questo formaggio un prodotto naturale che diventa veicolo del territorio, trasportando la componente aromatica e microbiologica dell’ambiente circostante. Un prodotto che, anche se certificato con la DOP, non è standardizzabile; ogni lotto è diverso, in base a innumerevoli fattori che si evolvono come evolve la natura.

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