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Parole Bollenti. Passato, futuro e potenza della letteratura. Convegno di Acqui Terme I

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PAROLE BOLLENTI

Convegno di Acqui Terme – 29.12.2022

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Introduzione di Carlo Tortarolo

Voglio ringraziare tutti per essere qui questa sera a parlare di un tema particolare come quello della potenza della letteratura.

Voglio ringraziare il Sindaco di Acqui Terme Danilo Rapetti e l’Assessorato alla Cultura che ci hanno ospitato stasera, ringrazio anche il Sindaco di Morbello Alessandro Vacca che è qui presente.

Un ringraziamento ai relatori, a Mario Morbelli, cantante e scrittore acquese autore del libro “Ci vengo però non mi affeziono a nessuno” che già dal titolo mostra l’importanza di ascoltare tutti senza però perdersi o farsi assorbire. Mario Morbelli questa sera leggerà un racconto, canterà una canzone e intervisterà il traduttore Matteo Colombo che ringrazio di essere nostro ospite.

Un ringraziamento particolare va a Fabio Izzo al quale devo molto perché con lui due anni fa è iniziata l’avventura di “Detenuti in attesa di giudizio universale” e del relativo Manifesto che abbiamo creato insieme ad altri due scrittori, Gianluca Morozzi e Blue Angy.

Un grande ringraziamento va a Gian Paolo Serino che ho conosciuto due anni fa durante la preparazione del Manifesto e al quale devo moltissimo.

È grazie a lui, che è un amico e che mi ha coinvolto nell’esperienza letteraria di Satisfiction se da un anno ho iniziato a occuparmi regolarmente di letteratura.

Lascio adesso la parola a Fabio Izzo.

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Intervento di Fabio Izzo

Secondo Nabokov, nelle sue lezioni, la letteratura nasce nel momento in cui un ragazzo riesce a scappare dal lupo e, tornando al suo villaggio, racconta l’accaduto. Il perché non lo so e il mio intervento si concentrerà principalmente sul cercare di farvi nascere qualche domanda piuttosto che nel dare risposte.

Cosa è dunque la letteratura? La letteratura è l’atto di volontà di volere sottolineare, dare valore, dare un significato a un episodio, a un fatto che, proprio per questo motivo viene riportate, raccontato, tramandato.

Questa è solo una definizione perché la letteratura è tante cose e nulla allo stesso tempo.

Penso alla poesia della Szymborska, le due scimmie di Bruegel che, cito a memoria, scusate se sbaglio.

In storia dell’uomo

balbetto e arranco.

Una scimmia osserva ironica la scena,

l’altra sembra appisolata –

e quando alla domanda resto ammutolita,

mi suggerisce

col quieto tintinnio della catena.

Cosa vuol dire? I suoi versi finali sono il riassunto dell’umanità, il quieto tintinnio della catena, è la storia di schiavitù dell’umanità. Perché questo è quello che fa la letteratura, tra le altre cose, riassume un’enciclopedia in una frase.

Poc’anzi, Carlo mi ha chiesto qual era il mio romanzo preferito e non ho saputo rispondere, ci ho pensato un po’ anche perché non sapevo rispondere. Poi la risposta è venuta a galla, da sola, è emersa, come una verità opinabile e soggettiva.

Il mio libro preferito è Piccola Apocalisse di Tadeusz Konwicki. Scrittore polacco.

Libro misconosciuto ai più e fuori catalogo.

La vicenda si svolge ai tempi della PRL, a Varsavia arriva in visita un delegato da Mosca, l’occasione è importante. Gli occhi del mondo televisivo sovietico si concentreranno sulla capitale polacca. Gli oppositori cercano un volontario per ripetere il gesto di Jan Palach. Qualcuno si dovrà immolare per la causa, dandosi fuoco.

Viene, gioco forza, scelto uno scrittore?

Sapete perché viene scelto uno scrittore?

(Silenzio in sala e sguardi sgomenti).

La risposta è molto semplice in realtà.

Viene scelto uno scrittore per due motivi:

il primo è che è pur sempre una persona “importante”, di cui si parla sui giornali, il secondo motivo? Perché uno scrittore è inutile per la società.

Comincia così il calvario dello scrittore prescelto che percorre il suo ultimo giorno di vita, vagando per Varsavia, con una tanica di benzina e il suo testamento letterario in tasca.

Testamento letterario che corrisponde, semplicemente, alla ricetta di una lozione contro la forfora, perché anche, volendo, in maniera un po’ ironica, è l’effetto della letteratura piegata ad altri poteri, come ad esempio, quello politico.

Sono affamato di uomini. Di veri uomini dotati di senso dell’onore, di dignità. Riservati, virili, ascetici, cavallereschi. Ed eccoci intorno dappertutto piccole donnette in calzoni. Donnette maschio coi capelli lunghi, gorgerine e scollaturine. Befane avide, ingorde, svergognate, coi peni nascosti nelle mutande di trina. Sono rimasto solo con fraschette, donnicciole, puttanelle e perisco perché tutto mi è contro. Tutto mi schiaffeggia, mi offende, mi sbatte fuori a calci dalla vita.”

La mia ri-lettura preferita è un libro dimentico, sepolto da chili e chili di bestseller da autogrill, abbandonato nelle biblioteche di provincia (perfino la mia ad Acqui Terme ce l’ha), ignorato com’è tra la polvere in qualche scaffale lontano o sperduto nei meandri dei magazzini dei fuori catalogo.

Questo libro, ovviamente, paga una colpa, anzi due.

L’esser erroneamente ritenuto datato, per colpa di Costa Gravas che ne realizzò una versione cinematografica approssimativa quanto pessima, e l’essere ritenuto politico, esclusivamente politico.

Invece si tratta di un classico, di satira nera dei tempi della Prl (purtroppo contestualizzabili ancora oggi) dove a uno scrittore male in arnese, povero e malato, viene chiesto di imitare Jan Palach, per protesta, di fronte al simbolo dell’amicizia russo –polacca, cioè il Palazzo della Cultura e della Scienza di Varsavia.

Morti gli stregoni, i demiurghi dopo che i profeti e i messia della letteratura hanno fallito nel salvare il mondo, Konwicki riesce ad offrire ancora un po’ di magia, ai limiti della poesia, ridipingendo il mondo.

Il problema dei profeti attuali, politici e letterati è quello di puntare sempre e solo sull’effetto immediato, soffrendo.

Si cerca il male minore sociale come si cerca il best seller del momento con risultati che non possono che apparire deludenti a distanza di anni. La nostra società veggente soffre di una sorte di Sindrome di Cassandra, appositamente legiferata mentre dovrebbe essere pronta e capace a inserirsi con effetti immediati nel presente. Dovrebbe già, perché per motivi grettamente suoi, cioè personali, non può che rimanere immediata o cercare di limitar danni passati, finendo così inevitabilmente a dimenticare il terzo tempo: il futuro.

In qualche modo l’attuale censura politica ha colpito anche questo libro che rileggo sempre con piacere, Piccola Apocalisse, caricandolo eccessivamente di un valore politico che è sì presente.

Questo testo è indiscutibilmente pervaso di una forte valenza politica, soprattutto se opportunamente contestualizzato, ma a essere sinceri, a guardarci negli occhi, questo libro non è altro che una guida universale per l’intellettuale moderno e/o contemporaneo.

In un mondo che sta morendo, ogni giorno sembra offrire qualcosa in meno qui a occidente.

Dicevo, in un mondo che andava morendo la resistente e clandestina intelligencja polacca decide che per il bene della Polonia uno scrittore deve sacrificarsi per riscattare i propri peccati originali e attirare l’attenzione mondiale sulla causa dimenticata di un paese dimenticato dal mondo.

Siamo tutti satelliti di qualcosa, e non sfugge a questa regola l’editoria di oggi, che si ostina testardamente a cercare la storiella immediata o il personaggio pubblico con le sue memorie brevi, non curandosi più del messaggio.

Non c’è messaggio, ma solo media in questa dissoluzione moderna del sovra esposto formulato di Mc Luhan.

Infatti, perché il mondo delle favole stia in piedi non ci deve proprio essere nessun messaggio, è sempre l’araldo se ricordate a interrompere le feste in ogni dove, ma solo intrattenimento.

A questo punto, spesso e volentieri mi domando: che classe di scrittori può svilupparsi su con questo sistema? La risposta è: Non lo so.

Posso però dirvi che Tadeusz Konwicki è uno scrittore di quelli da conservare nelle vostre librerie, sempre e comunque, al di là delle mode e dei casi. Konwicki ancora una volta si è dimostrato profeta. Quella Polonia, quella del suo libro, è ormai scomparsa, l’occidente e i suoi valori stanno comprando ogni cosa di quel mondo, ma in quel contesto, o per meglio dire, in ogni contesto, qual è il valore dell’intellettuale? Quale deve essere il suo lascito?

Se io posso non saperlo, bombardato e sovrastato da libri e da informazioni di regime inutili, Konwicki, dal canto suo, disilluso e disincantato, lo sa bene e ci spiattella la verità in faccia, quasi a metà romanzo, affermando che il lascito intellettuale di uno scrittore moderno è una ricetta contro la forfora.

Una ricetta contro la forfora? Sì, avete letto bene, tutto quel che può lasciare al mondo, a questo mondo, uno scrittore vero è una ricetta contro la forfora perché l’attuale mondo si preoccupa davvero troppo dell’immediato dell’apparenza e di poche altre cose…

Peccato che al giorno d’oggi la prima riga letta tramite Google, messaggero ma non messaggio, valga più di un intero volume, in pratica è quasi a voler significare che la forfora vale più di una persona… “

Piccola Apocalisse è un libro che ogni aspirante scrittore dovrebbe leggere almeno una volta l’anno.

Fabio Izzo

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Intervento di Mario Morbelli

Si inizia con la lettura di un racconto.

– Ti ricordi che sapore avevano quelle polpette al sugo che ci facevano a scuola? – mi domandò grattandosi la testa Pietro che da lì a cinque minuti sarebbe stato sbriciolato dal “Sedici” che stavamo aspettando.

– Certo che me lo ricordo – risposi io – sapevano di sugo e basta, la consistenza della carne sotto ai denti, l’odore che si sentiva non appena le bidelle tiravano su il coperchio, anche i suoni dei cucchiai sulla ceramica dei piatti ricordo bene.

Ma perché ti è venuta in mente questa cosa? – aggiunsi mentre mi misi a frugare nella borsa in cerca delle sigarette.

– Così, è che sto andando a casa di mia madre, al telefono mi ha detto che per pranzo ha preparato proprio le polpette al sugo – mi rispose togliendosi la giacca –

Era ottobre e, in quella giornata, ricordo che il sole continuava a sbucare e scomparire da sopra le nuvole e, quando colpiva gli angoli delle strade, lo sentivi ancora molto caldo.

Alla fermata del tram c’era una signora anziana con le borse della spesa, un ragazzotto delle elementari accompagnato da una suora indiana e un cane senza guinzaglio di un trasandato teenager che se ne stava ancora sul marciapiede al dì là del controviale a litigare male con una ragazza vestita quasi come lui.

I due si gridavano in faccia la stessa frase da più di dieci minuti. Senza approfondire nessun concetto. Tipo che lei aveva chiuso con lui. E che lui, sembrava ci tenesse davvero tanto a farle sapere che la questione fosse proprio il contrario.

– Sono io che mi sono rotto di questa situazione, è chiaro? – In ogni caso io pensai che, se le cose fossero state a quel punto, non ci sarebbe stato poi tanto da gridare. Per di più con un cane lasciato libero tra le gambe della gente, il traffico e il rumore dell’ora di punta.

Io non so perché la vita sia così brava a mettere tutte le cose al posto giusto, e nemmeno riesco a pensare alla verosimiglianza di questa storia, perché sia così tremendamente facile raccontarla.

Infatti appena mi accesi la sigaretta pensai che questo cane, lasciato libero, fosse il più intelligente di tutti: dei suoi due padroni, del bambino ancora troppo piccolo per ragionare nello specifico, della vecchina che per tutto quel tempo non aveva avuto l’accortezza di posare quelle due borse così pensati, della suora che sembrava fuori dal tempo, di quel piccione che si fermò sui binari davanti a noi per beccare chissà quale insetto, del mio amico che si tuffò verso il centro delle rotaie per cercare di afferrare il cane attratto da quell’uccello e soprattutto di me, che avrei dovuto smettere di fumare, se non altro per lo spreco di denaro”.

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