Attendere non è aspettare

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    In questi lunghi mesi ci siamo abituati ad attendere. La fine del lockdown, l’inizio della ripresa lavorativa, l’arrivo della seconda ondata ed ora la fine di questo periodo buio.

    Nella nostra società attuale non siamo abituati all’attesa. Ci innervosisce quella in fila in posta o alla cassa del supermercato, figuriamoci stare fermi per mesi ad aspettare che tutto passi.

    Tuttavia, l’abbiamo fatto, con risultati più o meno positivi perché in alcuni casi è stato proprio l’atteggiamento assunto nell’attesa a fare la differenza.

    Come ci dice l’etimologia delle due parole, attendere non è aspettare. E anche quando scriviamo, dovremmo tenere conto della differenza semantica dei due lemmi.

    Che cosa significa attendere

    Quante volte parliamo di attesa nella nostra quotidianità? La dolce attesa è il modo più delicato di parlare della gravidanza, ma ci sono anche la sala d’attesa e la lista d’attesa. Oppure si rimane in attesa di un gentile riscontro.

    Non sempre però utilizziamo questa espressione a proposito.

    Etimologicamente, attendere deriva dal latino attĕndĕre , che significa “rivolgere l’animo a…”. Si tratta di una parola composta da ad– “verso” e tĕndĕre: il suo significato primario è quello di rivolgere l’attenzione a qualcosa, quindi dedicarsi. Solo come terzo significato, nel dizionario di italiano, troviamo quello di aspettare.

    In realtà, quindi, questo lemma conserva da un punto di vista semantico una sfumatura di pensiero che descrive l’atteggiamento del soggetto: attendere non è stare fermo, immobile, ma è volgersi verso qualcuno o qualcosa per dedicare ad esso attenzione.

    La differenza tra attendere e aspettare

    Aspettare è un altro lemma che deriva dal latino: la forma latina, infatti, è aspĕctare, composto da ad- e spicere, che significa “guardare verso”.

    L’atteggiamento di chi aspetta, dunque, si configura molto diverso da chi attende.

    Potremmo quasi azzardare che chi aspetta scruta l’orizzonte ponendosi in una situazione difensiva come se temesse l’arrivo del nemico. Chi attende, invece, si trova proteso verso il prossimo, come se intendesse accoglierlo.

    Sebbene possa sembrare una sottigliezza, in realtà la differenza tra attendere e aspettare è davvero significativa. Se usiamo uno di questi verbi durante una descrizione e se vogliamo fare un buon uso dello show don’t tell, non possiamo prescindere da essa.

    So che può sembrare un cavillo per linguisti, ma è altrettanto vero che il nostro cervello inconsapevolmente registra la differenza, proprio perché nelle due parole ci sono radici semantiche ben evidenti: è fuori di dubbio che attendere richiama il tendere verso qualcosa, così come l’aspettare richiama l’aspetto, ovvero ciò che si vede.

    Tuttavia, la differenza tra attendere e aspettare può essere qualcosa di più di una strategia narrativa: può essere un modo di porsi per vivere meglio.

    Aspettare con pazienza per vivere meglio

    Ammetto che negli ultimi nel mio vocabolario personale la parola resilienza mi è venuta un po’ a noia.

    Abusata e spesso usata a sproposito, per me ha perso quel carisma iniziale. Ultimamente le preferisco la parola pazienza, a cui prossimamente dedicherò un post.

    Il lemma pazienza, a mio modo di vedere, ha molto in comune con il verbo aspettare. Entrambi portano con sé un’accezione etimologica positiva che nel linguaggio comune si è un po’ persa.

    L’attesa e la pazienza, se viste dal punto di vista giusto, sono estremamente rilassanti, tanto più oggi che l’abitudine a correre sempre ci porta non solo a vivere in modo frenetico, ma ad essere frenetici noi stessi.

    Invecchiando mi sono accorta che più si corre e più il tempo passa velocemente, senza lasciarci assaporare niente. Per avere più tempo è davvero importante andare più lentamente e godersi tutta quanta l’attesa.

    Se ti è piaciuto, condividilo!

    5 Comments

    • Giulia Mancini

      Forse l’ho già scritto in un mio post ma per me il lockdown è stato un momento di pausa che ho apprezzato (non nel senso del lavoro perché non mi sono mai fermata, per mia fortuna, ma ho lavorato addirittura di più per organizzare un nuovo modo di lavorare on line).
      La pausa è stata “sociale”, finalmente avevo una motivazione (o forse un alibi) per evitare tutte quelle attività di cui non sentivo il bisogno ma a cui mi sentivo obbligata, ho capito di essere un po’ eremita e di apprezzare molto il tempo con me stessa.
      Certo non mi dispiacerebbe tornare alla normalità, ma in questo periodo mi godo l’attesa, “rivolgo l’animo” alla parte migliore di me…

      • Sì, ti capisco. Anche per me ci sono stati aspetti del lockdown addirittura piacevoli, per quanto la situazione sia ovviamente difficile e triste. Del resto credo che, pur nel male, questa situazione ci abbia fatto capire che cosa è veramente importante per noi e cosa invece è del tutto superfluo. Il tempo con e per noi stessi secondo me è davvero preziosissimo. Un bene che nulla può ripagare.

    • Non avevo mai fatto caso alla sfumatura diversa che hanno i termini attendere e aspettare, suggestiva e da non dimenticare. In questo periodo, comunque, scelgo di non aspettare, ma di vivere quello che viene come vita vera, non posticcia, non di serie B. Mi sento meglio così, più attiva e meno vittima delle circostanze.

      • Sai, quando ho scoperto la differenza tra questi due termini, ho pensato che attendere, da questo punto di vista, corrisponda ad un atteggiamento mindful, non trovi?

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    Vivo con due figli, un marito e un gatto in una casa ai confini del bosco. 
    Dissennatamente amante della vita, scrivo per non piangere, rido perché non posso farne a meno.

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