Fatti della Storia

La nascita della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, il braccio armato del fascismo

Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale

Il 14 gennaio 1923, Vittorio Emanuele III apponeva la firma sul decreto legge 31 con il quale veniva istituita la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, organizzazione che diventerà ben nota, non solo per il suo acronimo (MVSN) ma anche e purtroppo, per l’azione violenta che la rese tristemente famosa.

La necessità di Mussolini di legalizzare lo squadrismo

Per comprendere le ragioni che originano la nascita della Milizia volontaria bisogna, necessariamente, ripartire da una data, quella del 31 ottobre 1922.

Quel giorno, infatti, un tronfio Benito Mussolini, leader del Partito nazionale fascista giura davanti al re, Vittorio Emanuele III, come presidente del consiglio dei ministri. Per l’ex maestro di Predappio, con un burrascoso passato da socialista rivoluzionario, conclusosi con la fondazione nel marzo del 1919 dei Fasci di combattimento, è il coronamento di un recondito desiderio, l’acme di una sfrenata ambizione.

Benito Mussolini
Benito Mussolini
(Pubblico Dominio)

Ma quel sogno ora va difeso, adeguatamente tutelato, per evitare che possa infrangersi ai primi abbacinanti bagliori.
L’ascesa di Mussolini alla presidenza del consiglio, seppur nell’ambito di un governo di coalizione, non ha reso felici tutti i fascisti. Se per i moderati si è trattato di un indubbio successo, per quelli più intransigenti, gli squadristi, per intenderci, l’evoluzione costituzionale della marcia su Roma è stata un palese insuccesso, una marcata delusione.

Mussolini, però, non può permettere che lo squadrismo, la cui violenza non è stata ridimensionata neppure dalla trasformazione del fascismo da movimento a partito, nel novembre del 1922, possa mettere a rischio la sua incipiente carriera politica; ma sull’atteggiamento da intraprendere nei confronti dello squadrismo è ancora piuttosto indeciso.

Sa bene che se dovesse accettare i pressanti consigli che gli provengono da alcuni suoi collaboratori di disfarsi degli squadristi non solo si metterebbe pericolosamente contro questi ultimi ma, come ha osservato lo storico Renzo De Felice, si priverebbe «di uno strumento che, con tutti i suoi limiti, costituiva pur sempre l’origine e il presidio del suo potere e lo assicurava rispetto alla monarchia, della quale Mussolini non si fidava minimamente.»

Fascisti assaltano una sede della GCL a Roma
Fascisti assaltano una sede della GCL a Roma (Pubblico Dominio/Wikipedia)

Sul ruolo dello squadrismo, all’indomani della nomina a presidente del consiglio, certi fascisti hanno le idee piuttosto chiare, se è vero che Agostino Lanzillo, non proprio un duro e puro, sull’organo ufficiale del Partito fascista il “Popolo d’Italia” il 10 novembre 1922, così scrive:

«La funzione dello squadrismo non è esaurita, perché la possibilità per Mussolini di salvare il Paese è connessa strettamente alla esistenza delle forze squadriste nel Paese.»

Ma, al netto delle diverse posizioni sull’argomento, Mussolini è consapevole che un freno allo squadrismo vada imposto, per evitare che la sua carriera politica possa essere arrestata dalle conseguenze di alcune inaudite violenze commesse da alcuni commilitoni fascisti.

Pietro Brandimante e la strage di Torino

Tra i tanti episodi di cronaca nera che vedono coinvolti alcuni squadristi uno, in particolare, agita Mussolini in quegli ultimi giorni del 1922.

Torino, 18 dicembre 1922. Sono da poche passate le tredici quando nella ex capitale sabauda si iniziano a radunare migliaia di camicie nere. A convocarle è il ras locale Piero Brandimante, già capitano degli Arditi nella Prima guerra mondiale e capo degli squadristi torinesi.

Gruppo di Arditi
Gruppo di Arditi (Pubblico Dominio/Wikipedia)

Alla base di quell’adunata c’è la volontà di vendicare due fascisti uccisi il giorno prima dal comunista Francesco Prato che ha reagito, sparando con la sua pistola, a un tentativo di aggressione.

Per Brandimante la morte dei due fascisti è un fatto inaccettabile, per questo fa subito appello a tutti gli squadristi della zona, coniando l’inquietante slogan «i nostri morti non si piangono, si vendicano.» Dal 18 al 20 dicembre gli oltre tremila fascisti adunati da Brandimante, mettono a ferro e fuoco Torino, rendendosi protagonisti di spedizioni punitive, devastazioni, incendi, brutali assassini.

Destinatari di quella inaudita violenza, passata alla storia come “La strage di Torino” sono le sedi di “Ordine Nuovo” il periodico comunista fondato da Antonio Gramsci, ma anche quella della Camera del Lavoro, del Circolo Marx e della sede dei ferrovieri. Quando quella mattanza, in cui cadono anche privati cittadini rei, agli occhi dei fascisti, solo di essere dei “rossi” ha termine nel pomeriggio del 20 dicembre, il bilancio è drammatico.

Sulle strade di Torino rimangono quattordici morti, alcuni uccisi come vere e proprie bestie al macello, come nel caso di un oste che, dopo essere stato trascinato di peso fuori dalla sua bottega, viene freddato con due colpi di pistola al cranio.
La reazione di Mussolini alla “Strage di Torino” è forte e decisamente preoccupata, tanto da definire quel massacro «un’onta per la razza umana.»

Ma è un disappunto che dura poco. Il 23 dicembre, infatti, proclama l’amnistia generale per i reati di sangue a sfondo politico, offrendo a Brandimante e ai suoi sodali l’agognato salvacondotto.

Condono a parte, il problema dello squadrismo è per Mussolini di primaria importanza e va irreggimentato e al più presto, ne va dell’esistenza in vita dello stesso esecutivo da lui diretto.

Compiti e organizzazione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale

Lo strumento migliore per controllare lo squadrismo è la costituzione di una milizia, una sorta di guardia nazionale capace di inquadrare la violenza fascista attraverso delle regole mutuate dal mondo militare, un’istituzione che, di fatto, statalizzi il braccio armato e violento del fascismo, un unicum nel contesto democratico europeo di cui Mussolini è fiero.

Il progetto di creare una milizia volontaria viene avanzato per la prima volta nella riunione del Gran Consiglio Nazionale Fascista del 18 dicembre, allorché, come riporta il “Corriere della Sera” si accenna «ad una soluzione del problema dello squadrismo mediante la formazione di una milizia che dovrebbe inquadrare da 80.000 a 90.000 uomini.»

Dal Gran Consiglio al Consiglio dei ministri il passo è breve. Il 28 dicembre il progetto della milizia volontaria viene approvato con la totale accondiscendenza di tutti i partiti di governo che assecondano il paradosso di trasformare degli assassini professionisti in tutori dell’ordine.

Vittorio Emanuele III e Mussolini all'uscita da Montecitorio
Vittorio Emanuele III e Mussolini all’uscita da Montecitorio (Pubblico Dominio/Wikipedia)

A questo processo di istituzionalizzazione di un esercito privato non si oppone neppure il re che il 14 gennaio 1923 firma il regio decreto con il quale viene creata la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale.

Si tratta di un organo direttamente dipendente dal capo del Governo, basato, come si legge nel regolamento di disciplina, «sulle tradizioni della Milizia fascista che ha valorizzato la vittoria ed ha ridato all’Italia il senso della gloria e della forza nazionale», un’agiografica apoteosi che la dice lunga sul totale asservimento delle istituzioni al fascismo.

Un corpo, di fatto, militare, con tanto di gradi che vanno dalla camicia nera fino al comandante generale passando per i “romanissimi” seniore e console.
Più che i gradi a lasciare interdetti sono i compiti che, stando al regio decreto 831 dell’8 marzo 1923, consistono nel «provvedere in concorso coi corpi armati della sicurezza pubblica e con l’esercito a mantenere nell’interno l’ordine pubblico, preparare e conservare inquadrati i cittadini per la difesa degli interessi dell’Italia nel mondo.»

Non solo, però, la difesa dello Stato. La MVSN nasce, innanzitutto, per difendere la rivoluzione fascista.

Nella neonata Milizia, il cui ordinamento muterà sensibilmente dopo l’assassinio del deputato Giacomo Matteotti, si accede volontariamente ma si tratta, tuttavia, di un reclutamento condizionato, essendo riservato ai soli appartenenti alle formazioni militari fasciste che, a tal proposito, devono dimostrare specifici requisiti di capacità e provata militanza.

Questo tipo di inquadramento, tuttavia, riguarda solo i gradi più bassi. Per quanto concerne, infatti, i livelli superiori, l’arruolamento segue regole differenti.

La maggioranza dei quadri proviene dai ranghi dell’esercito; si tratta di ufficiali i cui nomi vengono avanzati dal Ministero dell’Interno ma anche da quello della Guerra, anche se al comando generale vengono messi, specie all’inizio, fascisti di provata fede quali Emilio De Bono, Italo Balbo e Cesare Maria De Vecchi, tre dei quadrunviri della marcia su Roma.

Le reazioni all’istituzione della Milizia volontaria

Ma quali furono le risposte all’istituzionalizzazione dello squadrismo fascista? In linea di massima, come ebbe a scrivere lo storico Alberto Acquarone, in un saggio sulla Milizia comparso nel 1964 sulla rivista “Cultura” «le reazioni furono modeste e caute, si potrebbe dire addirittura blande, quasi che all’inizio pochi si rendessero conto della gravità della misura e delle sue conseguenze per l’avvenire.»

Il primo a non mostrare eccessiva preoccupazione fu il sovrano stesso. Pur non gradendo la costituzione di un corpo paramilitare, oltretutto alle dirette dipendenze del capo del Governo, anche se formalmente doveva prestare giuramento al re, Vittorio Emanuele ritenne la normalizzazione dello squadrismo fascista come un fatto, nonostante tutto, positivo.

Medesime argomentazioni furono fatte in merito alla nascita della Milizia volontaria da molti esponenti politici e da alcuni organi di stampa, con poche, significative eccezioni.

Il “Mondo” ad esempio, al pari del “Corriere della Sera” sottolineò la gravità di legalizzare quello che fino a quel momento era stato il braccio armato e violento del fascismo; ma, in generale, specie a destra, prevalse l’idea, non dissimile a quella che aveva sostenuto la cooptazione dei fascisti al governo, che la creazione di una milizia “statale” avrebbe ridimensionato, controllandola, la violenza fascista.
Anche a sinistra la reazione alla nascita della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale fu tendenzialmente pacata.

Socialisti e comunisti considerarono la creazione della MVSN perfettamente in linea con la strategia fascista, l’ultimo atto, probabilmente, di quella reazione borghese a cui sarebbe seguita, inevitabilmente, la rivoluzione proletaria.

Insomma la politica ufficiale, da destra a sinistra, si mostrò complessivamente miope al cospetto di un fatto singolare e preoccupante, derubricato, però, a un evento anomalo, in linea con la natura del fascismo stesso.

Più preoccupati, in tal senso, furono alcuni intellettuali. Tra questi lo scrittore e giornalista Novello Papafava. Il futuro presidente della Rai, in un articolo pubblicato su “Rivoluzione liberale” dell’8 maggio 1923, sottolineò come la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale fosse un’«arma di governo» da usare «indipendentemente ed anche contro le ancora vigenti leggi dello Stato» qualcosa, insomma, di estremamente pericoloso.

Non contenti della Milizia furono anche gli ambienti militari che videro quell’organo come un possibile doppione, un ostacolo al loro ruolo che, in prospettiva, avrebbe potuto determinare anche un loro possibile ridimensionamento.

A ricomporre un incipiente malcontento che avrebbe potuto assumere forme di vero e proprio dissidio, ci pensò lo stesso Mussolini, ben attento a non rompere il fondamentale rapporto con le Forze armate.

Armando Diaz

Non solo rassicurazioni sulla diversità di ruoli e piani ma anche e soprattutto un cospicuo aumento dei fondi a loro destinati. E proprio, probabilmente, gli ingenti finanziamenti saranno decisivi per il benestare alla costituzione della Milizia dato da Armando Diaz nella nuova veste di ministro della Guerra del governo Mussolini.

L’eroe di Vittorio Veneto in un telegramma a Mussolini, datato 28 luglio 1923, salutò «gli scopi altamente patriottici» della Milizia, mettendo, così, la definitiva sordina a quell’iniziale malcontento fra le stellette.

Braccio armato e legale del fascismo la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale assolse ai due principali compiti per cui era stata creata.

Il primo e più evidente, fu quello di ridimensionare l’autonomismo e l’anarchismo fascista, anche se le violenze non cessarono di certo. Il secondo scopo, più recondito ma di sicuro più importante e ambizioso, consistette nel fascistizzare il governo, ponendolo, come lo stesso Mussolini scrisse anni dopo, «sopra un piano assolutamente diverso da tutti i precedenti e ne faceva un Regime.»

Insomma la nascita della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale rappresentò un significativo balzo in avanti verso l’obiettivo primario, fascistizzare lo Stato.
Nell’ottica di Mussolini e dei fascisti della prima ora la neonata Milizia, come ha correttamente scritto la storica Elvira Valleri, poteva «servire come elemento ausiliario per la conquista pezzo a pezzo del potere statale oltre che come arma di contrattazione e di ricatto e non solo verso la monarchia e le forze costituzionali; all’interno dello stesso fascismo funzionava poi come ago della bilancia e catalizzatore di risentimenti e scompensi che la conquista del potere non aveva certo eliminato.»

error: I contenuti di questo blog sono protetti!