Giuseppe Berto e Il male oscuro

Vita e opere più importanti di Giuseppe Berto, scrittore e sceneggiatore italiano autore di “Il cielo è rosso”, “Il brigante”, “Le opere di Dio”. Ne "Il male oscuro", la sua opera più nota, affronta il tema del complesso di Edipo e della depressione.
Giuseppe Berto e Il male oscuro
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1Introduzione

Prigionieri di guerra siciliani, 26 luglio 1943
Fonte: getty-images

Un soldato, uno come tanti, è preso prigioniero durante la Seconda guerra mondiale. È il 13 maggio del 1943 e questo prigioniero sta camminando nel fango da ore, con a fianco le sentinelle che di tanto in tanto dicono che Mussolini è caduto.   

Poi il cancello si chiude e comincia una vita nuova, diversa. In quel momento si chiude un’epoca (di entusiasmi, di sogni, di follie e ubriacature collettive?).   

Semplicemente un’epoca come tante la storia ha avuto. Ma quando qualcosa finisce viene voglia di mettersi davanti ad una pagina bianca e raccontare.   

Così dice Giuseppe Berto, quel prigioniero, che ha camminato con a fianco le sentinelle pensando al fatto che tutto sarebbe stato diverso: «la mia carriera di scrittore comincia forse il 13 maggio del 1943».   

2Biografia e opere

2.1La giovinezza in camicia nera

Giuseppe Berto nasce il 27 dicembre 1914 a Mogliano Veneto (Treviso) in una famiglia modesta. 

Con il padre, maresciallo dei carabinieri che, dopo il congedo, si mette a gestire un piccolo negozio di cappelli e ombrelli, Berto avrà nel tempo un rapporto conflittuale e più in generale il conflitto si estenderà alla famiglia proprio per la sua dimensione piccolo borghese. 

Studia nel collegio salesiano "Astori" di Mogliano. Frequenta il liceo a Treviso e svolge il servizio di leva in Sicilia

La Seconda guerra mondiale si rivela per lui e per tanti altri un’occasione di emancipazione e di slancio verso il mondo. Si parte soldati, si viaggia, si sognano eroismi. 

La marcia dell'esercito italiano in Etiopia durante la guerra in Africa orientale. Etiopia, 3 ottobre 1935
Fonte: getty-images

Appena dopo la fine degli studi liceali, nel 1935 parte volontario per l'Etiopia come sottotenente di fanteria restandovi per quattro anni, prima in un battaglione di sussistenza, poi nel XXV battaglione coloniale; riporta una ferita al tallone e guadagna due medaglie una d'argento e una di bronzo. Un bel bottino di cui spesso si vanterà.

Nel frattempo si iscrive alla facoltà di Lettere dell’Università di Padova. Laureatosi in tutta fretta per potersi arruolare all’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto, viene scartato alla leva e deve ripiegare sulla meno selettiva Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale ed è inviato a combattere nuovamente in Africa.

Addetto dapprima ai rifornimenti (a Misurata, VI battaglione Camicie nere), alla rottura del fronte dell'Asse a El Alamein segue le truppe che tentavano di arginare l'avanzata inglese; si ritira fino in Tunisia con un gruppo di superstiti. Qui ha modo di osservare la bellezza e la diversità della città

È catturato dagli Anglo-Americani il 13 maggio 1943. Berto è condotto in un campo di concentramento ad Hereford, in Texas, dove, come abbiamo anticipato nell’introduzione, comincia la sua carriera di scrittore

2.2La prigionia e la svolta letteraria: “Il cielo è rosso”, “Il brigante”, “Le opere di Dio”

Berto condivide la prigionia con Gaetano Tumiati (scrittore) e Alberto Burri (artista). Inizia a scrivere dando sfogo ad una passione a lungo repressa, e tra bozze e appunti di questo periodo nasce il romanzo Il cielo è rosso (Longanesi, 1946).

L’opera ha un enorme successo, anche all’estero: ottiene importanti riconoscimenti nazionali (Premio Firenze 1948). Berto è diventato quindi uno scrittore acclamato, anche se il suo passato in camicia nera lo condanna presto a essere etichettato come fascista.

Nell’Italia che cercava di dimenticare male e in fretta – quasi senza capire – cosa era accaduto nel ventennio fascista, essere etichettati in quel modo voleva dire essere via via estromessi dal mondo letterario.

Infatti le opere successive Il brigante (1948) e Le opere di Dio (1951) non ottennero lo stesso successo, sicuramente anche per la diffidenza nei suoi confronti dell’establishment culturale dell’epoca.

Dopo un successo tanto grandioso, questa si rivela una caduta devastante per Berto e gli crea una forte depressione: il male oscuro.

2.3La psicanalisi e “Il male oscuro”. Verso la fine

L’ingresso in analisi è il nucleo de Il male oscuro (1964), la sua opera più nota. In questo romanzo, iniziato su consiglio del suo analista, Berto affronta la sua vita partendo proprio con il complesso di Edipo, il rapporto conflittuale con il padre. 

In molte pagine Berto si abbandona alla tecnica del flusso di coscienza (lo stream of consciousness joyciano), rivelando tra le pieghe della scrittura le lacerazioni della sua personalità

Negli anni seguenti, Berto continua la sua attività di sceneggiatore anche per la RAI, senza trascurare la letteratura: le opere successive, tra cui citiamo La fantarca (1965), La cosa buffa (1966) e Anonimo veneziano (1971), resa celebre dal film che ne venne tratto, non ebbero la stessa incisività de Il male oscuro, e non riuscirono a spezzare l’isolamento dello scrittore dalla vita culturale italiana.

Morì di cancro, nell’indifferenza (ma solo in Italia), a Roma, il 1° novembre 1978.

3I primi tre romanzi

I primi tre romanzi (Il cielo è rosso, Il brigante, Le opere di Dio) subiscono in parte l’influenza della narrativa americana e riflettono il tentativo di armonizzare la rivendicazione sociale e la fratellanza sentimentale, ossia marxismo e di cristianesimo quale soluzione ideale.

Berto scriveva in un campo di concentramento americano e lavorava di fantasia non potendo contare che su poche notizie dirette. Quindi la sua era principalmente un’opera di ricostruzione intellettuale.

È naturale che il concetto di “realismo” (di neorealismo) sia quindi condizionato da questo atteggiamento. Berto, infatti, conferisce alle sue pagine neorealiste passionalità, sentimento, romanticismo, di cui sono portavoce i ragazzi Daniele e Nino, protagonisti e innocenti testimoni dei primi due primi romanzi. 

Il primo romanzo, Le opere di Dio, steso nel 1944 in prigionia, Berto immagina lo sfollamento di un povero gruppo familiare sotto l'avanzata del fronte in Italia, e la morte del nonno, e la perdita di ogni cosa, e la volontà del giovane protagonista Nino di cercare un futuro migliore.  

Nel secondo romanzo, primo grande successo di Berto, Il cielo è rosso, è invece descritto il tentativo di un gruppo di ragazzi orfani di salvare dalla distruzione la loro città e di ricostruire un nido di affetti che vada oltre le consuetudini asfissianti del perbenismo borghese.

Protagonisti sono Tullio, un ragazzo seguace dell’ideologia marxista, che cade sotto i colpi della sfortuna; il borghese e cristiano Daniele, che si uccide identificandosi con l'agnello del Signore. Si evince in tale tragicità un sentimento di comunione fra gli ultimi della società, aggancio futuro per il problematico cristianesimo di Berto.

Nel terzo romanzo Il brigante, è introdotto il tema della malavita emarginata descritta e capita dagli occhi innocenti dei ragazzetto Nino, il quale, rendendosi conto dell’impossibilità della giustizia terrena, si abbandona alla violenza alla ricerca del suo riscatto e della sua vendetta. Il protagonista Michele Rende reduce, evaso, partigiano, brigante, come già accaduto nel precedente romanzo, identifica la sua vita nel martirio di Cristo.

4La fase psicanalitica: Il male oscuro e La cosa buffa

Nel 1963 con la raccolta di racconti Un po' di successo, si interrompe un silenzio narrativo di ben 8 anni. Sono racconti dai tratti marcatamente autobiografici che appunto preparano il terreno ai due romanzi della "crisi", Il male oscuro e La cosa buffa che segnano la vetta creativa e il momento più profondo di introspezione dell’autore.

Il male oscuro copre un ampio spazio della vita dell’autore e parte dalla malattia e morte del padre, andando così a ricostruire l'intero passato di Berto, procedendo per tappe come La coscienza di Zeno di Italo Svevo.

Nell’introduzione Berto aveva detto una cosa molto importante, e cioè che ogni scrittore è autobiografico, ma di meno quando parla di sé. Infatti:

«Da quando Flaubert ha detto "Madame Bovary sono io" ognuno capisce che uno scrittore è, sempre, autobiografico. Tuttavia si può dire che lo è un po' meno quando scrive di sé, cioè quando si propone più scopertamente il tema dell'autobiografia, perché allora il narcisismo da una parte e il gusto del narrare dall'altra possono portarlo ad una addirittura maliziosa deformazione di fatti e di persone. L'autore di questo libro spera che gli sia perdonato il naturale narcisismo, e quanto al gusto del narrare confida che sarà apprezzato anche da coloro che per avventura potessero riconoscersi alla lontana quali personaggi del romanzo». (Giuseppe Berto, dall’Introduzione a “Il male oscuro)

Andiamo adesso all’incipit, in medias res con l’argomento principale:

«Penso che questa storia della mia lunga lotta col padre, che un tempo ritenevo insolita per non dire unica, non sia in fondo tanto straordinaria se come sembra può venire comodamente sistemata dentro schemi e teorie psicologiche già esistenti, anzi in un certo senso potrebbe perfino costituire una appropriata dimostrazione della validità perlomeno razionale di tali schemi o teorie, sicché, sebbene a me personalmente non ne venga un bel nulla, potrei benissimo sostenere che il mio scopo nello scriverla è appunto quello di fornire qualche altra pezza d'appoggio alle dottrine psicoanalitiche che ne hanno tuttora più bisogno di quanto non si creda…».

Tema fondante (e infatti comune a entrambi i romanzi) è proprio il padre, tema quantomai affascinante da Leopardi a Kafka. Berto affronta questo conflitto e comprende il complesso di inibizione e frustrazione, il senso di inadeguatezza insomma, che nasce dal peso di quella tirannica autorità e dal complesso di colpa per non aver assistito alla sua fine.

Ci sono però poi altre tappe del tortuoso percorso interiore che vengono analizzate. Ad esempio il legame con una donna francese, il matrimonio con una donna-bambina, la paternità, la misteriosa malattia ai reni, la stessa cura psicanalitica.

Berto scende anche nei meandri della sua infanzia e della prima giovinezza, analizzando le esperienze a scuola, quelle dei primi amori, fino all’esperienza di guerra, tentando attraverso il ricordo e il conseguente recupero interiore di quel mondo la chiave per capire sé stesso e il suo male oscuro.

Stilisticamente, il libro si presenta in una prosa fitta, senza punteggiatura, fluente, libero da timori e da riverenze, intimo come se ci trovassimo davanti allo psicanalista che niente può diffondere di quanto ascolta. Ma non si tratta solo di elucubrazioni senza speranza e senza luce, in quanto emergono concatenazioni psicologiche e logiche e uno humor fresco e acuto, che alleggeriscono (e di molto) il senso di pesantezza dato dalla materia. Berto offre una radiografia clinica e fantastica della malattia del nostro secolo: l'alienazione.

Nel romanzo La cosa buffa (1966) Berto prosegue la sua indagine psicanalitica usando tuttavia lo strumento della terza persona e non più della prima. Un cambio interessante perché l’aspetto autobiografico viene così filtrato ulteriormente.

Il protagonista è Antonio e di lui interessa la parabola “amatoria", che lo vede in conflitto con sé stesso per via dei suoi complessi di essere solo un piccolo, insignificante provinciale, per giunta povero, a cospetto delle intraprendenti ragazze veneziane che lo seducono e lo imbarazzano con la loro disinvoltura e aderenza al mondo. Il protagonista resta alla fine solo e squattrinato.

5Terza fase: “La passione secondo noi stessi” e “La gloria”

In questa fase, il sentimento religioso di Berto ritrova alcune tematiche già espresse nel romanzo Il brigante, con un cambiamento sostanziale: infatti la sua attenzione passa dalla figura emblematica di Cristo-martire a quella di Giuda-traditore, andando così a sviluppare una visione complessa e non ortodossa della religiosità.

Ricordiamoci che nei primi due romanzi comparivano Daniele e Michele i quali si identificavano con l’agnello di Dio. Adesso l’emarginato si identifica di più e meglio con il traditore di Cristo perché estraniato dal suo amore e degradato a scapito dei discepoli prediletti. Giuda è un personaggio affascinante. Giuda ha amato più di tutti Cristo, eppure è stato sacrificato per il compimento provvidenziale di una superiore volontà che necessitava di quel suo tradimento.

Nascono così i romanzi La passione secondo noi stessi (Milano 1972) e La gloria (Milano, 1978) nei quali Berto estremizza il suo complesso di emarginazione e di colpa esibendolo in modo plateale come plateale è il suicidio di Giuda.

6Quarta fase: la conciliazione col mondo

Accanto al grido disperato di Giuda, Berto ha tentato di trovare una visione più conciliante, non tanto nei confronti della società, quanto verso se stesso, che fino a quel momento aveva analizzato in modo piuttosto cinico (per quanto non privo di humor).

Nascono così le ultime prove dello scrittore: il racconto romantico-decadente di un amore con il breve romanzo Anonimo veneziano, e il dramma ecologico-favolistico di Oh, Serafina (1973), in cui si auspica il ritorno ai sentimenti veri, all’amore e all’equilibrio in una natura intatta, pura, mistica; dunque emerge il desiderio utopistico del rifiuto della logica capitalistico-industriale.

Sono piccole oasi in cui è concesso spazio al sentimento, alla commozione, all’idillio contrapposto alla realtà della società consumistica che in quegli anni aveva definitivamente spiegato le sue ali, dentro una tensione drammatica che, per lo scrittore, è però rimasta visceralmente incisa dalla preghiera di Giuda, l'uomo condannato.

Dopo la morte dell’autore è stato pubblicato Colloqui col cane (Venezia 1986).