Pressione sociale: essere dalla parte giusta sempre

La pressione sociale dei modelli culturali imposti è molto forte durante l'adolescenza: dall'ossessione del corpo perfetto alla volontà di essere sempre dalla parte giusta
Pressione sociale: essere dalla parte giusta sempre
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1Introduzione: fighi e sfigati, un percorso cervellotico, ma necessario

Pressione sociale: essere dalla parte giusta sempre
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Una delle mie più grandi paure di adolescente nato negli anni ’80 è stata indubbiamente quella di non essere dalla parte giusta. Tifare per la squadra sbagliata, non essere bravo a scuola (o non essere tra i bravi), andare piano con lo scooter, con la macchinetta, poi con la macchina (e non saper fare i parcheggi), non saper giocare a calcio (infatti fui relegato in porta e oggi gioco solo a tennis), non avere la ragazza, ergo non avere avuto esperienze sessuali da poter vantare con gli amici, non avere il fisico adatto (la pancia, essere bassi, avere brufoli terrificanti sul volto, perdere i capelli). 

Insomma: l’adolescenza è davvero un periodo di grande trasformazione e quindi di grandi incertezze in cui siamo ossessionati da chi siamo e da come veniamo percepiti. E gli adolescenti tra loro sanno essere molto cattivi e più vogliamo nascondere un difetto più lo mostriamo apertamente. Ne Il cavaliere inesistente, Italo Calvino scrive una frase perentoria: «Anche ad essere si impara». Tutti dobbiamo imparare e abbiamo bisogno di modelli a cui rifarci perché in fondo la vita di ciascuno è un perenne romanzo di formazione (i tedeschi lo chiamerebbero Bildungsroman) di cui siamo protagonisti.

Forte pressione sociale dei modelli culturali imposti.
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Col senno di poi vedo tante paure e ossessioni che avevo sempre riconducibili a una forte pressione sociale dei modelli culturali che ci erano imposti da una sorta di «intelligenza oscura» (o banalmente dalla moda). Forse in modo meno poetico e più prosaico avevamo paura di non essere “fighi” e quindi di essere additati tra gli “sfigati”, sentendoci sbagliati, fragili, indifesi come quando sogniamo di andare nudi a scuola (un sogno stranamente ricorrente in adolescenza).

1.1Qualche domanda per ragionare insieme

  1. Come te la stai passando da adolescente?
  2. Okay, riformulo la domanda: come te la stai passando davvero?
  3. Quali sono le tue maggiori insicurezze? Gli altri se ne accorgono?
  4. Prova ad analizzare tre tuoi comportamenti su cui non ti sei mai interrogato: perché ti comporti così? Puoi ricondurre questo comportamento ad un agente esterno che ti influenza?

2Additare le debolezze degli altri

Siamo più attratti da ciò che ci unisce, la diversità ci spaventa
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Una prima reazione alle proprie insicurezze è sempre quella di attaccare chi è diverso, in modo da confermare la propria identità in negativo: «Tu non sei come me dunque Io non sono come te». A scuola è facile sentirsi amici delle persone con cui sentiamo un’affinità elettiva, perciò siamo forse più attratti da ciò che ci unisce più che curiosi di capire e indagare quello che ci appare diverso.

A me succedeva così: riconoscere che un qualcuno che non ero io fosse dalla parte sbagliata, mi illudeva di stare dalla parte giusta, anche se conquistata a fatica e non così netta. Se poi però mi chiedevo che cosa pensassero gli altri di me, che cosa pensassero davvero, temevo fortemente di essere io, ecco, diciamo, lo “sfigato”– termine con cui indichiamo la persona dalla scarso successo relazionale (perché non bello, non intelligente, non intraprendente, non desiderabile ecc.).

Fighi e sfigati si contendono il mondo dell’adolescenza e, se ci pensiamo, il fenomeno “nerd” nasce proprio per nobilitare gli sfigati come una sorta di privilegiati: sono quelli che hanno ritagliato un loro mondo di valori (e anche un mondo estetico, spesso fatto di realtà parallele come il Fantasy) in cui essere sfigati diventa figo ed essere fighi invece è sinonimo di sfigati, assuefatti e cooptati da quegli stereotipi di perfezione a cui tutti aspirano o credono di aspirare. 

2.1La tirannia della bellezza

Questo perché accade? Innanzitutto in Occidente viviamo una vera e propria tirannia della bellezza che sta diventando sempre più insostenibile: basta fare un giro su Instagram per vedere quello che accade quotidianamente tra le nuove generazioni. 

Tutti siamo insicuri, tutti ci sentiamo disadattati.
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In secondo luogo stiamo cominciando a capire una cosa fondamentale: siamo tutti sulla stessa barca, tutti ci sentiamo disadattati per qualcosa, tutti siamo insicuri. Ma questo non è un male, anzi, ci accorgiamo che proprio da questa prospettiva tutto il mondo assume una prospettiva molto più interessante. Hai presente Rosso Malpelo? Dalla sua prospettiva di sconfitto lui comprende come va il mondo ed è capace (seppure a suo modo) di capire cosa sia l’amicizia. 

Hai presente Jane Eyre? Viene disprezzata e odiata dalla sua famiglia, eppure, proprio perché calpestata e odiata, riesce a vedere e riconoscere l’amore in modo diverso dagli altri. Possiamo prendere spunto da questi due personaggi per capire che il mondo è pieno di differenze a cui dobbiamo educare gli altri e dobbiamo auto-educarci. 

2.2Qualche domanda per ragionare insieme

  1. Ti danno fastidio le diversità degli altri?
  2. Di’ la verità: hai mai offeso qualcuno per una caratteristica fisica?
  3. E il contrario ti è capitato? Perché secondo te questo accade?
  4. Da quale parte ti senti: sei nella parte giusta o in quella sbagliata?
  5. Siamo sicuri che esistano due parti e che non sia invece tutta una finzione o solo un modo piuttosto banale di percepire le cose?

3Meglio belli o intelligenti?

È meglio essere belli o intelligenti? Magari tutte e due le cose. Magari. Parto dalla mia esperienza: non ho un corpo particolarmente bello anche perché non lo curo bene: mi piace mangiare, non mi faccio mai mancare qualche strappo (anzi vivo di strappi), pratico molto sport ma in modo vorace e poco costante. Il mio corpo è difficile da vestire: ho sempre l’impressione che niente mi stia davvero bene.

La percezione del nostro corpo e della nostra immagine.
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Sin da adolescente ho avuto problemi in questo senso. Mi ricordo che nella gita di terza media ero capace di passare ore a specchiarmi per capire com’ero davvero: solo che non riuscivo mai a vedermi. Mi sentivo sempre tutto sbagliato e questo aumentava le mie insicurezze. Questo condizionava molti i miei comportamenti: dovevo trovare vestiti che non fossero aderenti alla pancia; cercavo di apparire in foto sempre da una certa prospettiva (o, ancora meglio, non essere fotografato); alle feste e alle cene ero in ansia perché temevo che qualcuno rimproverasse il mio appetito spesso esagerato. Insomma, non mi sentivo libero di avere il corpo che avevo e mi sentivo del tutto inadeguato a curarlo. Eppure dentro me ho sempre sentito di essere migliore di come apparivo, solo che non si capiva. Mens sana in corpore sano, dicevano i Romani. Le due cose in me non collimavano, non andavano d’accordo. 

3.1La consapevolezza del corpo

Nel libro Specchio delle mie brame, la filosofa Maura Gancitano racconta un’esperienza simile, che per una donna (all’epoca una ragazzina) è ancora più complessa perché alla bellezza e di conseguenza anche alla bruttezza delle donne si finisce col fare più attenzione

«Ero nata in un paese in cui il solo camminare nella strada principale significava essere squadrate, pesate e giudicate, eppure ero cresciuta senza accorgermi di avere quello sguardo addosso. Camminavo come un maschio, mi vestivo solo in modo sportivo, non badavo ai capelli, non mi truccavo o lo facevo malissimo, mi mangiavo le unghie, ero ossessionata dai libri e non cercavo di piacere ai ragazzi. Eppure, se il mondo esterno approvava il mio disinteresse verso ciò che veniva giudicato «futile», dall’altro mi reputava esagerata: rimanevo comunque una ragazzina che doveva curarsi di sé e non apparire trasandata. Mi era stato detto che bisognava scegliere, e io avevo scelto, eppure allo stesso tempo una scelta era impossibile, perché il mio corpo non poteva essere neutro, era comunque sempre oggetto di giudizio. Non era neppure solo mio, ma era in qualche modo simbolo della mia classe sociale, frutto dell’educazione, segno di civiltà[…]» (in Maura Gancitano, Specchio delle mie brame, Einaudi).

La filosofa racconta le prime sensazioni che sono nate dalla consapevolezza del suo corpo: lei aveva scelto (o forse non le riusciva) di non curarsi nell’aspetto esteriore, concentrandosi sull’aspetto interiore: eppure racconta che non riusciva a neutralizzare il suo corpo e a disinnescare i meccanismi sociali che ogni corpo sembra attivare: grasso, magro, bello, brutto, tappo, spilungone, ma anche effemminato, maschiaccio (riferito alle donne mascoline), trascurato, ecc. 

Spesso siamo giudicati e classificati in base al nostro corpo.
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Siamo spesso classificati in base al nostro corpo e di certo la cosa non fa mai troppo piacere: sembriamo voler dire, forse urlare «Guarda che io sono anche altro!». Ma nessuno sembra ascoltarci troppo perché quello sguardo diventa pesante e porta con sé molti giudizi. 

Il problema è che il corpo non è quasi mai una scelta. Se Giacomo Leopardi avesse potuto scegliere il suo corpo, di certo non avrebbe scelto il suo (si definiva sepolcro ambulante» con una terribile auto-ironia). Ma se il corpo fosse sbagliato per altri motivi al di là della bellezza e della bruttezza? Cosa possiamo-dobbiamo fare? Se da una parte desideriamo essere sempre dalla parte giusta, dall’altra vogliamo che questo accada anche nel nostro corpo: vorremmo avere sempre quello giusto. 

3.2Qualche domanda per ragionare

  1. Ti piace il tuo corpo? Che cosa cambieresti eventualmente?
  2. Riusciresti a pensarti in un corpo diverso? Perché?
  3. Quale parte fisica di te ti piace di più?
  4. Quale parte caratteriale di te ti piace di più?
  5. Sei sicuro che le due parti di te che hai scelto piacciano anche agli altri? Prova a fare un test

4Breve inciso: «fighi», perché usiamo questa parola e perché ci riguarda tanto?

Ci riguarda perché dietro questa parola si nasconde la pressione sociale, pressione che gli adolescenti sentono in modo più forte. La parola figo ha una connotazione sessuale maschilista, su questo non possiamo nasconderci e ha a che fare con l’appetibilità relazionale. Avere tanti contatti, tanti partner, tanti impegni è ascrivibile all’essere fighi. Anche nel mondo del lavoro le cose stanno pressappoco così: farci vedere sempre impegnati, pieni di relazioni, pieni di follower, pieni di like è indice di maggiore successo e appetibilità: è bello essere cercati perché è sinonimo di forza, bellezza, simpatia, efficienza. 

La fatica di essere sempre perfetti, di essere sempre dalla parte giusta.
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Ma quanta fatica per stare al passo! Quanta fatica per essere costantemente dalla parte giusta! E purtroppo, quanta soddisfazione anche un pelino sadica c’è quando vediamo una celebrità cadere miseramente e finire dalla parte sbagliata: prova a riflettere a quanto è accaduto all’influencer Chiara Ferragni durante le feste di Natale 2023-2024 (ma anche prima quanti meme molto cattivi per la sua apparizione a Sanremo). Anche questa è una terribile pressione sociale che ci costringe sempre a stare al passo. 

Soprattutto nell’era social abbiamo finito con il creare il nostro personaggio e questo personaggio a volte si sostituisce a noi. Mi sono sempre chiesto: come sono davvero i divi? Chiara Ferragni può essere autentica davvero? Cercare di apparire sempre, di rivelarci al meglio, di essere sempre perfetti è l’ossessione dei nostri tempi. 

4.1Qualche domanda per ragionare insieme

  1. Analizza i profili di alcuni influencer che segui. Butta giù le tue impressioni e cerca di capire – di capire davvero – alcuni aspetti del loro modo di porsi sui social.
  2. Analizza anche le tue foto di Instagram, le didascalie che usi, quello che pubblichi e chiediti perché scegli certe inquadrature e certe frasi. Cosa vuoi comunicare? Cosa cerchi di dimostrare davvero al mondo? Ragionaci e poi chiediti se ne eri del tutto consapevole.
  3. Ti piace di più vedere gli altri fallire o avere successo? Devi dire la verità.

5L’eterna battaglia dei sessi. La pressione sociale di appartenere a un genere

Durante la mia adolescenza ho notato che i maschi dovevano comportarsi in un certo modo per essere davvero maschi, altrimenti erano automaticamente dalla parte sbagliata. Ti faccio un solo esempio che ritengo emblematico, ma puoi applicarlo anche ad altri ambiti: la guida della macchina. Quando ho preso la patente ero un autentico impiastro: andavo piano, cambiavo le marce strappando (e spesso grattando), non sapevo fare i parcheggi, evitavo di guidare quando dovevo portare altre persone. Perché mi saliva un’ansia tremenda. 

La pressione sociale di appartenere a un genere.
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Saper guidare bene è una cosa da maschi, altrimenti sarei finito tra le femmine: l’adolescente che ero lo riteneva intollerabile. Così mi sforzavo di correre con la macchina per dimostrare che ero un vero maschio. Quanto ero sciocco. Rischiavo di fare un incidente solo per dimostrare di saper eccedere, solo per mostrare la mia presunta virilità col risultato di guidare anche peggio di come già facevo. Non so se ti sono familiari queste cose. Spesso mi sono anche posto la domanda al contrario e cioè: «donne al volante pericolo costante»; «donne e motori gioie e dolori», tanto per citare due modi di dire noti quasi a tutti.  

5.1Due domande

  1. Il fatto che si dica che le donne guidino peggio non fa sì che le donne guidino effettivamente peggio? Non accade forse proprio per una pressione sociale? Riflettici.
  2. Hai mai fatto qualcosa solo perché dovevi farla in base ad una legge non scritta?

6Conclusione. La pressione sociale esiste, cerchiamo di disinnescarla quando possiamo

Non dobbiamo essere perfetti, perché vorrebbe dire essere conclusi, senza nessun tipo di esposizione, di apertura, completamente refrattari al cambiamento. Finché viviamo, cambiamo, come dice Pirandello in Uno, nessuno e centomila, la realtà è sempre sfuggente – per questo tentiamo sempre di incasellarla in limiti; per questo abbiamo bisogno di parti, porzioni, contenitori (come il corpo) che siano stabili e precisi.

La pressione sociale esiste, ma dobbiamo cercare di disinnescarla quando possiamo.
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Tuttavia le cose stanno molto diversamente, anche se è difficile non tenere conto della pressione sociale che ci costringe a vivere in continua performance, a competere con tutto e contro tutti, ad essere sempre al meglio, efficienti, perfetti e infallibili e quindi del tutto inadatti a gestire una battuta d’arresto o un fallimento qualunque, che invece fanno parte del percorso educativo di ciascuno. Il voler essere a tutti i costi dalla parte giusta non ci permette di gestire bene le relazioni che sono l’ambito in cui possiamo realmente incontrare l’altro e noi stessi in tutte le sfaccettature e la bellezza di non essere uguali e, soprattutto, di non doverlo essere. 

Sentiamoci tutti un po’ sfigati e liberi di esserlo a modo nostro. Non pretendiamo che gli altri siano come li vogliamo noi e impariamo ad accettare le stranezze e i cambiamenti senza dover fare a tutti i costi la morale. Soprattutto quando sentiamo salire un istinto violento di non accettazione, quando sentiamo che la presenza di qualcuno viola la nostra identità è segno che di quella identità non siamo poi molto sicuri.

Abbiamo detto, con Italo Calvino, «Anche ad essere si impara», ricordi? Dunque ogni giorno dobbiamo imparare. Sentirci fragili, manchevoli, inadatti fa parte del gioco e possiamo usarlo come un trampolino di lancio per vedere davvero gli altri e il modo in cui ognuno si sforza di essere e di apparire al meglio di come può. Inoltre non dobbiamo dimenticare che ogni persona è o vorrebbe essere libera