Valli, saline e fenicotteri: il cielo è rosa sopra Comacchio

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11/08/2020

Per chi, come me, abita ai piedi delle Alpi, suona strano che possano esserci valli ad un passo dal mare. Eppure il Ferrarese, là dove non c’è ombra di montagne – neppure un’increspatura del terreno – ha le sue valli a Comacchio. Qui sono dette “valli” vaste aree di pianura sotto il livello del mare, colme d’acqua salmastra, formatesi con l’estinzione dell’antico delta del Po che oggi si getta nell’Adriatico più a nord.

Queste distese sommerse, separate da lingue di terra, formano un ecosistema irripetibile fra saline e cieli immensi. E migliaia di fenicotteri rosa.

Io ho imparato in fretta ad assaporare il profumo di salsedine di queste valli e le tradizioni di chi ci vive. Voglio ripercorrere il viaggio con te, sei prontə? Mettiti comodə!

A passeggio per Comacchio

Comacchio si fa largo tra i canali, sale sui ponti, ammira palazzi signorili, fa l’occhiolino a casette sgargianti. E porta a passeggio il suo passato.

Ne conserva una traccia importante ai margini occidentali del centro storico, nella Manifattura dei marinati, riconoscibilissima esternamente per la schiera di dodici camini in mattone che svettano sulla massiccia costruzione.

È l’antica fabbrica dei pesci, oggi un museo che, raccontando l’intero ciclo di lavorazione dell’anguilla, rievoca una quotidianità cruciale per la storia di questa cittadina lagunare.

Comacchio

Passeggio negli spazi della Manifattura ripercorrendo gesti e voci, perizia e passione, tradizioni secolari. Dalla calata, dove approdavano le barche in arrivo dai canali per scaricare il pescato delle valli di Comacchio, anguille in particolare, fino alla sala degli aceti adibita alla marinatura, a base di aceto, sale e alloro, essenziale per conservare i pesci.

Ma è nell’immensa sala dei fuochi, con i suoi camini allineati lungo il muro annerito, che colgo più che altrove lo spettro del tempo che fu, carico di asperità. Sarà per l’odore intenso di affumicatura che mi brucia le narici e scende in gola, come se le anguille fossero ancora lì ad arrostire, infilzate sugli enormi spiedi davanti ai fuochi.

In barca nelle valli di Comacchio

L’aura di rigore e fatica è ancor più tangibile nei casoni di pesca delle valli di Comacchio. Li raggiungo a bordo di un’imbarcazione in un caldo pomeriggio che si stempera nel tramonto.

Partiamo dalla stazione di pesca Foce, ad una manciata di chilometri dal centro di Comacchio. Il viaggio si carica di suggestioni a mano a mano che ci addentriamo nei meandri delle valli, dove l’acqua salmastra e il cielo giocano a fondersi in un tutt’uno e la terra emerge in strisce erbose bordate da cinte in legno.

valli-di-comacchio

Siamo nel cuore di un ambiente lagunare frutto di importanti opere di bonifica realizzate per esigenze igienico-sanitarie, ma anche occupazionali: ridurre gli ettari d’acqua delle valli di Comacchio da 50.000 a 15.000, nell’arco di un secolo, creò opportunità lavorative nelle campagne sorte sui terreni strappati alla palude.

Sulle valli si stagliano i profili severi di alcune strutture in muratura: sono i tradizionali “casoni” nati come stazioni di pesca o di appostamento contro la pesca di frodo.

Molti dei casoni in piedi fino a cent’anni fa furono abbattuti durante la seconda guerra mondiale, quando le valli di Comacchio diventarono teatro di resistenza e intelligence, insidioso per chi non aveva familiarità con l’ambiente paludoso e il labirinto di canali.

I casoni di pesca

La barca approda nei pressi di un’antica stazione di pesca, il casone Serilla, un edificio sobrio, ai limiti dell’austerità, coperto da un tetto a capanna su cui i gabbiani sostano pigramente.

L’acqua rumoreggia fra i pali in legno che affiorano dalla superficie delimitando la terra emersa, amplificando il sentore di umidità che si appiccica ai muri e li scrosta.

Gli interni del casone sono scarni, più ampi di quanto immaginassi eppure claustrofobici. Sarà per il silenzio che fa rimbombare i miei passi o per le ombre che si infittiscono poco più in là delle finestre.

I pavimenti in pietra sono graffiati di sabbia, l’intonaco scopre qua e là i mattoni, la polvere riposa sui tavoli in legno, la ruggine scolora una latta vuota di anguille marinate, dimenticata da chissà chi.

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Esco dal casone fra stridii di gabbiani in volo e, tramite una passerella in legno sulla laguna, raggiungo su una vicina striscia di terra la tabarra, un’altra costruzione in mattoni che custodisce gli attrezzi di pesca e gli spiedi che venivano utilizzati per arrostire le anguille davanti a grandi camini. Riecco l’odore acre che ho respirato nella Manifattura dei marinati, affascinante stordimento.

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Un safari in bicicletta

Mi dicono che uno dei mezzi migliori per scoprire le valli di Comacchio sia la bicicletta. Decido di provare. Scelgo un percorso ad anello di circa 20 chilometri che, partendo dalla stazione di pesca Foce, mi condurrà fino ai lidi dell’Adriatico per poi riportarmi a Comacchio.

Un’esperienza grandiosa per godere del tempo lento della scoperta lungo piste ciclabili a bordo laguna e stradine sterrate che corrono sull’acqua come banchi di sabbia che spuntano nel mezzo di un oceano.

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Pedalo con il vento in faccia, senza fretta, sospesa tra terra e cielo. Un cielo immenso, palcoscenico su cui si rincorrono nuvole leggere e ali di ogni colore e dimensione. Gli uccelli volteggiano, alcuni scendono in picchiata, altri si alzano in volo con grazia.

Binocolo al collo, mi fermo di tanto in tanto per scorgere aironi, cavalieri d’Italia, sterne. Non sono un’esperta di birdwatching ma amo l’arte dell’osservare, le pazienti attese, le sorprese improvvise. Ricordi di un safari.

È un’immersione totale nella natura, non un’invasione ma una cauta mimetizzazione. Mi fermo, ascolto, scorro lo sguardo tra cespugli e canneti. Ammiro danze in cielo.

Fenicotteri rosa nella salina

Lo spettacolo più ipnotico mi attende nella parte nord-orientale delle valli di Comacchio, all’interno della salina, accessibile a piedi o in bicicletta e soltanto con un accompagnatore autorizzato.

salina-di-comacchio

Cammino lungo la stradina di terra avorio che si insinua nella salina. A sinistra pozze d’acqua prosciugate, a destra chiome di tamerice che mi fanno il solletico. Raggiungo con il resto del gruppo la Torre Rossa, eretta nel Cinquecento per scopi difensivi e oggi adattata a punto di osservazione privilegiato degli uccelli acquatici.

Sono centinaia le specie che abitano quest’area. I più fotografati? I fenicotteri rosa. Nidificano qui dal 1992, quando una grande siccità nella regione francese della Camargue li spinse a spostarsi in cerca di cibo e a scoprire gli ambienti umidi intorno a Comacchio. Oltre 14.000 esemplari compongono oggi una delle colonie più grandi d’Europa.

La salina di Comacchio è uno scacchiere di sacche di acqua torbida e terra chiara. Così chiara da accecarmi; o forse sono i cespugli che, qua e là, brillano come argento al sole. Ci sono stretti canali, paratie, ponticelli e una storia di lunghe radici: l’impianto attuale della salina, operativo fino al 1984, è di origine napoleonica, ma a Comacchio già gli Etruschi producevano il sale.

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Mai nessuno, però, avrebbe immaginato che la salina sarebbe diventata celebre per gli acrobati che l’hanno scelta come casa. Torreggiano su zampe finissime, si spostano lievi, quasi danzassero, becco in acqua in cerca di cibo.

D’improvviso, un bimotore spezza il sereno. È troppo basso, troppo vicino e i fenicotteri si allarmano. Uno si prepara a spiccare il volo, due, cinque, venti. In un attimo si levano frotte d’ali. Il cielo è rosa sopra Comacchio.

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FRANCESCA VINAI
Italia

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