Home Attualità Gli alunni al rogo e l’esasperazione del prof

Gli alunni al rogo e l’esasperazione del prof

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“Se fossi foco”, scriveva Cecco Angiolieri, “brucerei lo monno”, a cui fa seguito, ma con prosaico riferimento diretto, un prof valdostano: “Darei fuoco a una tipologia di studenti maleducati e a cui auguro una polmonite fulminante perché lasciano disperdere il calore dei termosifoni, tenendo le finestre aperte”. Se tuttavia Cecco è riportato in tutte le storie della letteratura italiana, il prof in questione rischia grosso, persino il licenziamento. 

In ogni caso, al di là del fatto specifico e del clamore che le parole del docente stanno suscitando, si dovrebbe riflettere sul motivo per il quale un “educatore” sia arrivato a tanto e dentro quale spirale di esasperazione sia arrivato per pubblicare invettive così aggressive sulla sua pagina Fb, benché non ci spieghiamo come mai abbia consentito di tenere aperta la finestra: non è lui il responsabile della classe? E non avrebbe dovuto spiegare che i soldi pubblici per riscaldare l’aula non si sprecano?

Per questo tale singolare vicenda ci sembra un ulteriore segnale del malessere che ormai in certe scuole è quotidiano e che ha luogo sia dalle difficoltà nel rapporto con le famiglie e sia soprattutto nei riferimenti culturali ed educativi con una tipologia di alunni allevati con minestre di arroganza e d’insolenza da parte dei genitori. 

Sicuramente però da quest’altra storia di ordinario malessere emerge un altro dato importante: la scuola deve recuperare la sua centralità educativa e formativa e le si devono dare i mezzi per riconquistarla. 

Ma anche un altro dato si affaccia importante: la perdita da parte delle famiglie del controllo sui figli a cui nulla si rifiuta e che vogliono tutto e subito, compresa la promozione e con voti importanti. D’altra parte, se non si fa come loro pretendono, salire le scale del Tar non costa troppo e poi difficilmente i giudici rifiutano una sospensiva, se l’avvocato soprattutto sa mettere i giusti montacarichi. 

Pare tuttavia che in Cina ancora si usino le punizioni corporali, quelle stesse che usavano i gesuiti per insegnare il greco e l’ebraico antico, propedeutico per imparare la bibbia a memoria. 

Punizioni che però in Italia fino agli anni Cinquanta del Novecento, con uso di bacchetta o scappellotto, erano regolari sistemi educativi, per cui l’insegnante, a fronte di comportamenti poco consoni coi principi della scuola, assegnava un numero di pene equivalenti al danno. 

Molto più longevo è rimasto il rimprovero, aspro e forte, ma è anch’esso in via di estinzione vista la facilità di denunzia di certi genitori e con buoni esiti.

Sopravvive ancora il rapporto disciplinare, ma considerata la sua bassa utilità pratica è solo spreco di inchiostro e di tempo per imbrattare il registro elettronico. 

E allora che fare di fronte all’avanzata della maleducazione e degli atti di violenza? 

Sicuramente non scrivere sui Fb le proprie sensazioni o i desiderata, come quelle del rogo che richiama usi medievali, anche se è vero cha la violenza figli violenza. 

Tuttavia, se ad ogni delitto corrisponde una condanna, occorrerebbe sapere quale pena si possa comminare a chi fa il bullo e quale ancora per chi vandalizza banchi, aule e suppellettili, compresi i bagni che spesso vengono allagati per marinare la scuola. E quale scotto per chi con arroganza aggredisce il prof e non solo con oggetti contundenti o con pistolettate a gommini, ma anche a parole che è pure peggio, mentre non riusciamo a immaginare quali pesanti attacco abbia subito giornalmente quel docente valdostano per desiderare, non già un buon anno ai suoi alunni, ma la morte per polmonite, che in verità è un po’ pesante come augurio.