La porta verso Roma: Monterosi, l’ultimo tesoro della Tuscia

di DANIELA PROIETTI-

MONTEROSI (Viterbo) – Da Monterosi si passa di fretta. In realtà si attraversa il suo territorio senza vedere che qualche fila di villette a schiera, sicuramente abitate da pendolari che hanno scelto l’ultimo comune della Tuscia per muoversi comodamente alla volta della capitale e raggiungerla in poco tempo.

Non mi ero mai addentrata nel paese, nonostante avessi la curiosità di vederne il lago, uno dei quattro di origine vulcanica della provincia di Viterbo e confine naturale del comune, che ne occupa la punta settentrionale. Venerdì 12 marzo, è stata una giornata strana. Al mattino c’era il sole, poi, in maniera lenta e inesorabile, il tempo ha virato verso l’instabilità.

Siamo state a Roma, mia figlia ed io. Abbiamo passeggiato per il centro, con la malinconia che accompagna gli arrivederci. Ho sempre adorato vagare per le vie della capitale, e non sono mai riuscita ad arrivare alla macchina con le mani vuote.

Anche quel giorno abbiamo fatto spese, pranzato al ristorante, passeggiato per una città che, di lì a una manciata di ore, sarebbe diventata un deserto a causa di un’ingiustificata zona rossa, almeno a quanto raccontavano i dati. Abbiamo deciso di fare rientro nel primo pomeriggio, per aver tempo di visitare il borgo di Monterosi, nonostante il cielo fosse decisamente inclemente. Il nostro è stato un giro veloce, ma abbiamo avuto modo di respirare quell’aria che ci è sembrata sapere di frontiera. C’era poca gente in giro, qualche macchina che sembrava essere padrona della strada e un uomo dall’aspetto alternativo e vestito di colore, che spiccava in un contesto decisamente plumbeo. Abbiamo cercato con bramosia il centro storico, ci siamo fermate su un’altura, e abbiamo ascoltato il ricordo di quello che pensavamo essere un luogo con poca storia. Le case basse, e le lunghe vie diritte, che spesso si muovono in lievi salite, hanno accompagnato i nostri passi attenti, che calpestavano il selciato grigio come il cielo in quella giornata di fine inverno. Ci siamo sedute su una panchina, mirando quella valle attraversata ogni giorno da decine di migliaia di auto che si muovono verso la capitale. Mi è capitato tante volte di volgere lo sguardo sull’umanità in movimento, chiedendomi quale fosse la storia di ogni figura che entrava a far parte del mio campo visivo. Ho immaginato vissuti e relazioni, ho scrutato ogni piccolo particolare, il modo di vestire, di curare il proprio corpo. Ho pensato a quanto tempo fosse stato impiegato per raggiungere il risultato che mi si parava dinanzi agli occhi. E ho guardato nella profondità dello sguardo, cercando il benché minimo appiglio per determinare il grado di soddisfazione di questo o di quell’individuo. Ma gli occhi, troppo spesso, non sono lo specchio dell’anima. L’origine del nome del paese non pone dubbi: un monte di rose, che appare anche nello stemma comunale. Tutto ciò riconduce ad un giardino dall’aspetto gradevole e ricco di fiori.

Stemma di Monterosi

In realtà per molti secoli non è stato così, tanto che le cronache sostengono che fino al termine del XIX secolo la zona non fosse proprio amena. Ai tempi in cui era abitata dai Falisci, contemporanei degli Etruschi, si faceva chiamare Rosule. Era soltanto un villaggio di pastori e contadini, di cui rimane qualche resto mantenuto con poca attenzione. Sono state rinvenute, difatti, alcune tombe a pozzetto e vasi di uso domestico. I Romani trasformarono il nome della località, che si trovava al 27° miglio della Cassia, in Rossolum, come a voler rimarcare un punto di sosta e di ristoro durante le lunghe camminate verso nord.

Il più antico documento, che ci permette di ricostruire la storia del borgo, risale al marzo del 1081. E’una bolla di Gregorio VII in cui si vedono assegnati i territori di Rossulum, compreso il laghetto, all’Abbazia di Sant’Atanasio, che era retta dai cluniacensi di San Paolo. Da allora Mons Rosulum, appellativo donatogli da Innocenzo XIII, sarà legato per sempre alle sorti di questa abbazia, sebbene, vi siano state intromissioni di alcuni signorotti dei dintorni: gli Anguilllara, i Malabranca, gli Orsini, i di Vico e i Colonna.

Di Monterosi, si parla anche nel 1155 quando, sulle rive di quello che al tempo era nominato Lago Janula, si incontrarono Papa Adriano IV, l’unico britannico a salire al Soglio di Pietro, e Federico Barbarossa, a capo del Sacro Romano Impero Germanico e Re d’Italia, incoronato Imperatore il 18 giugno 1155 a Pavia.

Panoramica del Lago Janula, Lago di Monterosi

Era uso, a quei tempi, che il pontefice, massima autorità dello Stato Pontificio, desse la giusta accoglienza e si accordasse precedentemente con colui che avrebbe incoronato imperatore. La storia narra che Federico I Hohenstaufen scese in Italia e accettò di consegnare ad Adriano IV il monaco Arnaldo da Brescia. Non appena questo venne portato a Roma, fu condannato all’impiccagione dal tribunale ecclesiastico. Il suo corpo venne poi arso al rogo e le sue ceneri furono sparse nel Tevere, affinché non si potessero recuperare i resti mortali. L’accusa fu il rifiuto assoluto del potere temporale del Papa e della Chiesa, che i suoi avversari consideravano eresia.

Il Lago Janula, il cui nome deriverebbe da quello del dio romano Giano, dio degli inizi, raffigurato con due volti contrapposti indispensabili per vedere il futuro e il passato, oggi conosciuto come Lago di Monterosi, pone la superficie delle sue acque a un’altitudine di 253 metri sul livello del mare.

Fu menzionato per la prima volta in una bolla del 1203 che portava la firma di Papa Innocenzo III, e lo si accordava ad un probabile smercio di pesce, ” piscaria in Janula”.

Per raggiungerlo dal paese, occorre spostarsi verso nord di circa 2km. La strada è agevole e questo fa sì che rappresenti, per gli abitanti del luogo, un posto in cui si passeggia comodamente.

Prima di allora, lo avevo visto soltanto di sfuggita passando dalla Via Cassia.

Il minuscolo specchio d’acqua è il risultato del riempimento del piccolo cratere di un vulcano. la circonferenza, è pari a circa 600 metri e la profondità è contenuta, tanto che si attesta sui 7 metri.

La zona in cui è posto, è stata originata dai vulcani che vi erano centinaia di migliaia di anni fa. Poco distante, sorge il complesso vulcanico sabatino in cui è inserito il Lago di Bracciano, invece, a nord ovest, si staglia quella che un tempo era la paurosa Selva Cimina, tra le cui cime ha vita il meraviglioso Lago di Vico.

Quel venerdì siamo andate alla ricerca della strada per raggiungerlo, affidandoci alle insegne e alle indicazioni di coloro che passavano di lì.

La mia automobile, davanti, è piuttosto alta, e sulle sterrate trova il suo pavimento naturale. Aveva iniziato a piovere, e sul cristallo anteriore, le goccioline di pioggia avevano assunto l’aspetto di tanti piccoli aghi liquidi.

Ci siamo fermate a rimirare la natura che dialogava con noi in maniera sommessa. Non siamo scese, eravamo stanche della giornata che avevamo trascorso e al pensiero di quanto avremmo dovuto preparare nei giorni che sarebbero venuti. C’era silenzio, neanche il vento a sibilare. Soltanto il ritmico e lieve battere della pioggia che, morbidamente scivolava sui verdi fili d’erba. La staccionata escludeva la possibilità di avere una visione completa del bacino lacustre e della vegetazione che lo attorniava. Pesanti nuvole avevano tutta l’intenzione di far da cappello allo specchio d’acqua che assomigliava ad una lastra dal colore dell’ argento ossidato. Lontani, dei pini marittimi interrompevano l’orizzonte.

Mancava, però, la vita, quella in movimento. Il bacino, difatti, è ben frequentato da uccelli migratori, che se ne servono come posatoio. Abbiamo scoperto, inoltre, che fino a poco tempo fa era quasi totalmente ricoperto da piante acquatiche e ninfee. Poi, per volere dell’uomo è stato ripulito, ma la vegetazione acquatica è scomparsa. In quel paesaggio connotato da una forte impronta storico-naturalistica, si inserisce l’ultimo tratto viterbese della Via Francigena, il percorso che, sin dal IX secolo, veniva effettuato da quanti volessero rendere omaggio alle tombe dei santi Pietro e Paolo. La strada, all’epoca, si snodava lungo l’Europa centrale fino ad arrivare a Roma. Secondo i documenti originali, redatti ad opera del Vescovo Sigerico, nel 990 si contavano, circa 79 tappe, che si identificavano con soste presso centri abitati. Ogni tappa era lunga circa 20 km.

Tracciato della Via Francigena

Sulla base di tale scrittura, nel 1994, la Via Francigena, è stata riconosciuta come “Itinerario Culturale Europeo” e sono stati finanziati progetti volti al suo recupero, tanto che risulta percorribile da Canterbury a Roma. Il pellegrino, o il semplice turista, che giunge in questo territorio, è oramai in prossimità della città eterna, tanto che lo separano da essa soltanto 42 km.

Basolato Via Cassia

Le campagne che attorniano il comune furono teatro di un crudele assassinio. Difatti, i sicari di Ranuccio Farnese, duca di Parma e Piacenza, si resero responsabili della morte del messo di Papa Innocenzo X, Monsignor Giarda, il quale venne mandato per convincere il Farnese a restituire il Ducato di Castro. Il pontefice, poi, quel territorio e, a seguito di un breve assedio, rase al suolo la città. Ma il cuore del paese ha in sé tre diversi borghi, sui quali abbiamo posato lo sguardo per un tempo non sufficiente a conoscerne ogni aspetto.

Monterosi è raccolto attorno al suo nucleo centrale e ha avuto in passato una rilevante funzione strategica, vista la sua posizione dominante rispetto alla Via Cassia. Grazie ad essa era possibile praticare scambi economici e culturali con gli altri territori dell’Etruria. Questa opportunità fece sì che il borgo e gli agglomerati vicini potessero migliorare dal punto di vista finanziario e vedessero innalzato il proprio livello culturale. Ma la sua condizione privilegiata, la rese più volte vittima di molteplici assedi e saccheggi da parte di Goti e Longobardi.

Sembra che il suo primo nucleo sorgesse in cima al colle che si trova alle spalle dell’attuale paese, ma era arroccato e scomodo da raggiungere così, verso la fine del ‘400, in un’epoca in cui non si registrarono importanti eventi bellici, gli abitanti si trasferirono più in basso, nella posizione che oggi conosciamo.

Così, in momenti diversi, vennero a formarsi i tre borghi.

Nacque per primo, all’ inizio del XIII secolo, il Borgo Madonna della Centura, che guarda al lago. In esso sorge anche Palazzo Altieri, che appartenne a papa Clemente VII, alla famiglia Altieri e, in tempi più recenti, al principe Del Drago.

Palazzo Altieri

Il palazzo, che fu costruito nel XVII secolo sui resti di un edificio appartenuto ai monaci cistercensi, conserva al suo interno un interessante loggiato con colonne in granito. Fu dimora anche del Cardinale Alessandro Farnese, nipote di Papa Paolo III e venne occupato, in tempi successivi, dalle truppe napoleoniche.

Il Borgo Romano, invece, ebbe origine agli inizi del 1400 e porta nel suo stemma elementi che lo riconducono alla famiglia Orsini, signori di Monterosi e di Nepi sin dal 1402. In quegli anni, la popolazione era prevalentemente formata da contadini, ma un’altra attività iniziava a farsi strada, quella dell’ospitalità Alla fine del 1500 nacquero le prime locande per i viaggiatori e i pellegrini che si muovevano alla volta di Roma.

La vetusta Monterosi divenne anche un’importante stazione di posta, nel XVI secolo venne istituita “L’Antica Posta dei Cavalli”, dove era possibile effettuare il cambio dei cavalli che si erano affaticati lungo le strade.

Sempre nel comprensorio del Borgo Romano, abbiamo ammirato la Chiesa di San Giuseppe. Pioveva in quel momento, e la facciata chiara risplendeva sotto il cielo che stava assumendo tonalità vicine al viola. Abbiamo notato la forma, vicina a canoni orientali, in cui spicca la cupola ottagonale ricoperta di tegole ricurve.

Chiesa di San Giuseppe

L’ultimo e più moderno insediamento abitativo, è costituito dal Borgo Aldobrandino, sorto tra il 1500 e il 1600, per volere del cardinale omonimo, che divenne papa col nome di Clemente VII. La superficie del borgo, corrisponde al centro storico del paese e, in esso, si trova la Chiesa della Madonna della Neve fatta innalzare nel XVI secolo dal Cardinal Farnese.

Lungo le sue vie, abbiamo ammirato piazzette e palazzi settecenteschi, su cui si aprono portoni in pietra e in tufo.

E’ vero, devo ammetterlo, Monterosi mi ha stupita. Non l’ho mai pensata come foriera di tanta storia. Non sapevo che avesse ospitato personalità tanto elevate: nobil uomini, cardinali, papi e anche un imperatore. Con questa visita, e questo modesto racconto, abbiamo chiuso il cerchio dei paesi della Bassa Tuscia.

Villa San Giovanni in Tuscia, Blera, Barbarano Romano, Vejano, Civitella Cesi, Monteromano, Bassano Romano, Oriolo Romano, Sutri e Monterosi: secoli di storia mossi da diversi popoli e civiltà, personaggi più o meno noti (tra questi Carlo Magno e Federico Barbarossa) arte, religione.

Un altro tassello della nostra grandiosa provincia va, così, ad incastrarsi in un puzzle che stiamo componendo, con impegno, fatica e tanta soddisfazione da oramai due anni.

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