Ci sono stati almeno cinque Gian Piero Galeazzi. Il primo è il telecronista di canottaggio, lo sport in cui aveva eccelso da ragazzo fino a sfiorare una partecipazione olimpica nel doppio insieme a Giuliano Spingardi ai Giochi di Città del Messico 1968: negli anni Ottanta Galeazzi riesce a elevarlo dalla solita nicchia degli sport di cui si parla solo ogni quattro anni commentando soprattutto i due ori olimpici dei fratelli Abbagnale (insieme al timoniere Peppiniello Di Capua) a Los Angeles 1984 e Seul 1988. Nei pochi minuti di durata di una finale di canottaggio riesce a combinare pathos, competenza e anche qualche tecnicismo che farà epoca, come l’insistere sul numero dei colpi al minuto che sale in corrispondenza del rush finale. Lo stesso copione si ripeterà con la canoa negli anni Novanta, da magnifico cantore delle gesta di Josefa Idem e Antonio Rossi, da solo e in coppia con Daniele Scarpa e Beniamino Bonomi.
Il secondo è il telecronista di tennis, prima insieme ad Adriano Panatta e poi da solo, lentamente offuscato dal quartetto Tommasi-Clerici-Scanagatta-Lombardi che sulle tv a pagamento intercettava il favore degli spettatori più competenti ed esigenti, lasciando a Galeazzi il ruolo comunque gradito dell’intrattenitore, tifoso e popolare (da “ultras”, come soleva dire Gianni Clerici con il suo magnifico snobismo affettato) che si sublimava negli infiniti pomeriggi di Coppa Davis al Foro Italico o all’estero, come nell’infernale trasferta in Brasile nella bolgia di Maceiò, quarti di finale 1992, un weekend che ricorreva spesso nelle telecronache di “Bisteccone”. Di tennis non era una cima e non ha mai pensato di esserlo, in epoche pre-Internet in cui peraltro era molto più difficile cogliere in castagna il telecronista.
Il terzo è stato il conduttore, sia dei fluviali mercoledì di coppe europee sulla RAI (qui per esempio lo vediamo introdurre Napoli-Real Madrid del 30 settembre 1987 seduto insieme a Falcao e a Ugo Tognazzi, lì per presentare Ultimo Minuto di Pupi Avati) che, negli anni Novanta, di 90° Minuto raccogliendo il testimone da Fabrizio Maffei. Un ruolo prestigioso che oggettivamente limitava Galeazzi: già il fatto di stare seduto lo costringeva a rinunciare alla sua straripante e strepitosa fisicità. Il terzo Galeazzi è purtroppo collegato anche al quarto, il guitto prestato al trash di Domenica In, attirato come tanti colleghi – non solo sportivi – dai lustrini del varietà, goffo e grottesco protagonista di sketch che Rai1 ha riproposto a piene mani venerdì sera dopo Italia-Svizzera credendo di rendergli un buon omaggio.
Ma il Galeazzi migliore, quello per cui è passato alla storia della televisione, è senza dubbio il quinto, quello che tutte le sante domeniche veniva inviato sul campo principale di Serie A, nel pieno dell’onnipotenza calcistica italiana: il meglio del meglio giocava da noi e lui ne era al servizio, cronista di punta dell’unica tv nazionale che possedeva i diritti delle immagini e delle interviste. Si muoveva sulla scena consapevole di questo immenso privilegio, dimostrando in ogni fotogramma di divertirsi un mondo. YouTube conserva da anni le scene più simboliche di quel decennio memorabile in cui le telecamere RAI avevano il potere di entrare dappertutto, e quasi sempre davanti a quelle telecamere c’era Gian Piero Galeazzi.