Il passato? Una favola a colori la strada verso casa di Zhang Yimou

Coerenza di stile e sviluppo di poetiche e temi nel film più "sincero" di Zhang Yimou.

IL PASSATO? UNA FAVOLA A COLORILa strada verso casa di Zhang Yimou

 

Titolo originale: Wo de fu qin mu qin. Regia: Zhang Yimou. Sceneggiatura: Shi Bao, da un suo romanzo. Fotografia: Yong Hou. Montaggio: Ru Zhai. Musica: Bao San. Scenografia: Jiuping Cao. Costumi: Huamiao Dong. Interpreti: Zhang Ziyi (Zhao Di, da giovane), Honglei Sun (Luo Yusheng), Hao Zheng (Luo Changyu), Yuelin Zhao (Zhao Di, da vecchia), Bin Li (la nonna), Wencheng Sung (il sindaco), Guifa Chang (il sindaco, da vecchio), Bo Ji (il carpentiere Xia), Qi Liu (il carpentiere Xia, da vecchio), Zhongxi Zhang (il riparatore di stoviglie). Produzione: Yu Zhao per Guangxi Film Studio/Beijing New Picture Distribution Co. Distribuzione: Bim. Durata: 89'. Origine: Cina, 2000.

Luo Yusheng, un uomo d'affari, torna nel suo villaggio d'origine nel nord della Cina dopo molti anni: suo padre è morto. La madre è sconvolta dal dolore. Vuole che il funerale venga celebrato secondo le usanze del luogo, con la bara trasportata a piedi attraverso le montagne. Ma il capo villaggio non sa come fare: non ci sono più giovani in paese. Lei non intende cambiare idea e con il suo vecchio telaio prepara il drappo tradizionale per la cerimonia. Attraverso un lunghissimo flashback a colori (il prologo era in bianco e nero) scopriamo la storia dell'amore fra i genitori di Luo Yusheng (è lui che racconta). Luo Changyu, il padre, è un giovane maestro arrivato dalla città. La madre, Zhao Di, si innamora subito di lui. La tradizione consentiva esclusivamente i matrimoni combinati. Ma Zhao Di è testarda: si apposta su un sentiero per incontrarlo, passa ogni giorno vicino alla scuola, gli prepara dei piatti prelibati. Si innamora anche il maestro, che dopo aver costruito la scuola insieme alla gente del villaggio, comincia a insegnare ai bambini le sue filastrocche didattiche. Ma è costretto a tornare in città per un misterioso problema con l'ufficio politico. Lei lo aspetta al gelo, nel giorno previsto del ritorno: Luo Changyu però non arriva. A Zhao Di viene la febbre alta, ma decide comunque di andarlo a cercare in città e lungo la strada perde i sensi. Il maestro viene a sapere della sua malattia e va a trovarla di nascosto. Dovranno trascorrere altri due anni di separazione, dopo di che potranno finalmente rimanere insieme per tutta la vita. Si ritorna al presente. Luo Yusheng decide di pagare dei giovani per trasportare la bara come vuole la madre. Ma il giorno del funerale, una lunghissima cerimonia nella neve, arrivano decine di ex studenti del padre che non vogliono un soldo. E Zhao Di affida al capo villaggio tutti i suoi risparmi per la realizzazione di una nuova scuola. La mattina seguente Yusheng fa una lezione ai ragazzi del paese, con lo stesso libro che usava il padre, per onorarne la memoria e rispettare un suo desiderio.

"Passato l'inverno torna la primavera gli uccelli cantano sotto il sole splendente e al loro canto si risvegliano i fiori..."
(Poesia recitata dagli studenti nel film)

La politica e la maniera
Zhang Yimou è quasi più ostinato delle sue eroine. Va dritto per la sua strada snobbando i più elementari principi di "opportunità" (l'Autore, poveretto... sempre a rischio di "involuzioni", "doppioni" e altre "perversioni"...). Ci vuole una bella faccia tosta per realizzare tre film quasi gemelli come La storia di Qiu Ju, Non uno di meno e La strada verso casa. Addirittura usare gli stessi set, paesaggi, motivi narrativi, per riempire due pellicole (le ultime due) dello stesso magnifico "niente": storie essenziali al limite del pretesto, o peggio, della funzione didattica. E questo dopo un episodio come Keep Cool che ha sconcertato tutti, censura cinese compresa, prima di tornare a guadagnare il grazioso appellativo di "regista di regime" (come è successo da Venezia '99 in poi: Non uno di meno è piaciuto anche al Partito). Sia detto per inciso: la cine-politica da salotto ha fatto vittime ben più illustri. E comunque su queste stesse pagine (...) sono stati segnalati modi e luoghi (Non uno di meno compreso) di un cinema che sa anche prendersi gioco dei veti produttivi e delle ossessioni censorie, pur continuando ad essere distribuito in patria e pluri-premiato in terra festivaliera europea (due volte Leone d'Oro e uno d'Argento a Venezia, un Orso d'Oro e uno d'Argento a Berlino, un Premio speciale della giuria a Cannes: sei allori su otto film. Troppa grazia?). Il bianco e nero antipoetico, grigiastro, che illustra il presente ne La strada verso casa, la miseria abbandonata di un villaggio come ce ne sono migliaia in Cina, non assomigliano a uno spot governativo sulle "magnifiche sorti progressive" del capitalismo comunista. Mentre i poster di Ronaldo e del Titanic – che sono un po' come le lattine di Coca Cola del film precedente – raccontano ironicamente ma non troppo (in un prologo privo di qualsiasi ironia) l'efficienza con cui le frontiere cinesi si sono aperte a capitali e miti occidentali. Senza contare il fatto che, illustrato l'idillio amoroso, il destino cattivo (l'immancabile ostacolo alla felicità di ogni fiaba che si rispetti) viene impersonato dall'Ufficio Politico, la cui logica evidentemente ha poco a che fare con la felicità delle persone qualunque.

In ogni caso, più della presunta connivenza col Potere, in questo caso ci interessa la presunta maniera dietro cui, secondo alcuni, si è andato ormai a rifugiare il cinquantunenne regista dello Shaanxi (che, come i calibri più grossi del cinema iraniano, avrebbe capito da tempo cosa piace allo spettatore "colto" occidentale, ingrediente in più, ingrediente in meno). Perché in fondo è questo il pericolo, o se vogliamo il limite verso cui tende questo cinema misurato al millimetro, anche quando fa il neorealista, con le immagini-bomboniera e la mise dell'artigianato d'autore esotico.

Anche questo film, occupato per un quarto dai primi piani della bellissima Zhang Ziyi e per un altro quarto dalla stilizzazione del quotidiano pittoresco, potrebbe sembrare il "riempimento" di un'idea, un cortometraggio condito di belle immagini fino alla lunghezza giusta. Potrebbe. Ma forse sta proprio qui l'ostinazione del cinema di Zhang Yimou. Nel modo in cui si lascia innamorare da un'immagine, da un pregiudizio stilistico, da un'ambizione didattica, da una semplice storia d'amore, e ne ricava un'essenza. E una delle virtù di questo ultimo film sta proprio nel come riesce a variare temi e figure già raccontate, facendone qualcosa d'altro. Nel diverso linguaggio e nelle ulteriori suggestioni rimaste nascoste in un altro "quadro" – magari in una stessa situazione produttiva – e qui sviluppate con un occhio al già detto.

Ancora una volta al centro della storia c'è una giovane donna testarda, in questo caso per nulla intenzionata a sottostare ai limiti imposti dal costume alle faccende d'amore. I matrimoni erano sempre combinati. La sua disubbidienza – del tutto naturale, inscritta nelle cose – è diventata norma, conquista, fatto da tramandare come un mito delle origini o una storia esemplare.

Ancora una volta si parla di una ragazzina di campagna, una paesana senza istruzione in un luogo abbandonato (ma con una sua semplice armonia), e del difficile rapporto con l'universocittà, luogo di tutti i mali (Partito compreso). Ma se Qiu Ju e Wei Minzhi scendono all'inferno per avere giustizia o riprendersi un fuggiasco in pericolo, qui la città è irraggiungibile, è un muro di vento e neve dietro cui non c'è nulla, che Zhao Di non può superare. Ancora una volta si parla della scuola come luogo della speranza, tempio della civiltà, in questa occasione letteralmente rappresentata come uno spazio solenne, quasi religioso. Sarà un caso che sopra alla lavagna, nel flashback a colori, ci sia una foto-ritratto di Mao, scomparsa nel bianco e nero del degrado e dell'abbandono?

Al centro del film c'è una suggestiva ripresa dal basso, con gli uomini del villaggio che issano le travi del tetto della scuola, e il drappo rosso (cucito da Zhao Di) luminoso contro il cielo blu: iconografia maoista. C'era una volta la speranza (comunista) di un mondo diverso – magari con una scuola in ogni villaggio – che la Burocrazia-Potere (che costringe il maestro ad andarsene e che ne La storia di Qiu Ju assumeva connotati demenziali) e il Denaro (Keep Cool ma anche il Titanic alla cinese) hanno trasformato in incubo o in barzelletta.

Ancora una volta, infine, c'è una storia raccontata da un punto di vista femminile. Ma in questo caso c'è anche una voce narrante fuori campo, quella di un uomo d'affari proveniente dalla città, che si fa carico di quello sguardo. Luo Yusheng ricorda la memoria di sua madre e la fa sua.

La memoria e la fiaba
È in questo scarto che si materializza la nuova ostinazione di Zhang Yimou e si esaurisce la sua funzione "didattica". C'è un tormentone che percorre tutta la pellicola in modo quasi ossessivo: "Bisogna conoscere il passato perché è il solo modo per costruire il futuro". È una delle regole insegnate dal maestro ai bambini ed è anche quella su cui sfuma il film, nel momento in cui il viso di Zhao Di giovane si sovrappone al bianco e nero del presente e lo ricolora di speranza. Luo Yusheng proviene dall'universo di Keep Cool. La prima immagina nell'uniforme grigiore del prologo è un fuoristrada che sfreccia lungo una strada di campagna. Quando si tratterà di procurarsi i giovani per portare la bara in processione, e realizzare così il desiderio della madre, Luo Yusheng, con l'innocenza dell'abitudine consolidata (uno status mentale), tirerà fuori un bel mazzo di banconote. È la logica della città, della Cina moderna che per Zhang Yimou è governata dai soldi (mentre la madre torna a usare il vecchio telaio, messo tra le cose vecchie: "Te ne compro un altro: è rotto"; "Cosa vuol dire? Si può aggiustare"). Il capo villaggio fa i suoi conti perché bisogna retribuire i ragazzi secondo la "paga aggiornata" degli operai. La vecchia Zhao Di invece offre tutti i suoi risparmi per la scuola e gli ex allievi del maestro non chiedono un soldo. Semplicismo didascalico? Assolutamente sì. Perché è la dimensione in cui il regista cinese ha pensato l'ideafilm in questione (e l'efficacia del risultato va misurata in quella speciale dimensione), sia dal punto di vista del contenuto narrativo ed emotivo, sia da quello formale (quando invece ad esempio in Keep Cool vigeva la regola del grottesco insensato, dell'allusione pseudocolta, del misto fritto di Mao-Confucio- New Economy).

Luo Yusheng è l'uomo di città che ricorda la memoria quasi mitica (non importa se vera o inventata) di un tempo diverso, sospeso, forse anche simbolico, in cui regnavano cose come la verità dei sentimenti e la solidarietà comunitaria, in cui si viveva seguendo il ritmo della natura e gli ideali erano semplici ma assoluti... Le parole banalizzano ciò che in immagini arriva dritto al bersaglio. E che non è certo la nostalgia dei ruoli indiscutibili e dei compiti fissati dai costumi "maschilisti" del tempo: Zhao Di non è un simbolo perché prepara manicaretti o si annulla nell'amore per un uomo; lo è per la dedizione al suo ideale-sentimento, per la testarda fedeltà a se stessa, capace anche di cambiare le regole del gioco ("Ognuno nella vita deve avere uno scopo e lottare per raggiungerlo" è un altro tormentone del film). "La storia del loro innamoramento qui la conoscono tutti" comincia a raccontare/ricordare Luo Yusheng che rivela e reinventa le radici, scopre l'anima vivente sotto un'atmosfera di morte e decadenza. Racconta la favola delle origini e insieme ritrova il senso della tradizione da rispettare, che non è formalità ma fedeltà all'Ideale e alla memoria. La strada verso casa è il luogo che unisce presente e passato, è "il filo che tenne insieme i loro cuori" e che ora Zhao Di vuole "percorrere ancora una volta insieme a lui".

Il ritorno al passato è un ritorno ai colori sgargianti e alla musica, una melodia romantica e sognante che si adegua ad ogni circostanza sentimentale (che al nostro orecchio suona quasi come il tema del Titanic depurato di grandeur e rifatto all'orientale). Siamo dentro una fiaba, tempo senza tempo, in cui i gesti si ripetono sempre uguali insieme alle stagioni. Per fissare quella dimensione, più che la dissolvenza incrociata (riservata all'ellissi temporale), Zhang Yimou sovrappone letteralmente momenti, giorni successivi con scarti anche sconnessi: lei che aspetta lui sul sentiero, i pranzi degli operai, Zhao Di in cucina... E poi ci sono le filastrocche sempre uguali, la voce ascoltata tutti i giorni per tutta la vita... Su questo sfondo il regista cinese innesta la sua storia d'amore esemplare, con un piglio sentimentalistico quasi hollywoodiano (come scriveva già Alberto Crespi da Berlino'99), disegnando i contorni di un personaggio straordinariamente "semplice" ed emozionante.

Già, la semplicità. Traguardo riservato a chi sa lavorare con la massima libertà sulla complessità del cinema. Non tutti si possono permettere (se non in funzione grottesca o cinefila) un ralenty con trecce al vento o l'ennesima corsa in un campo di grano, trasformando l'ovvietà poetica in un'immagine di totale evidenza e sincerità. E qui arriviamo alla radice del far cinema proprio a Zhang Yimou, la sua facoltà di decidere uno stile e andare fino in fondo, con tutto il talento pittorico che gli riconoscono anche i detrattori e con la passione di un miniaturista. E allora ecco i primi piani a raffica, a volte perfino inopportuni in quel momento, ma scelti per quella luce e quella espressione. Ma anche il passo timido di lei con le braccia dritte e la testa piegata, oppure la giacca rosa su sfondo nero che sembra "una figura in un quadro". Gli scorci e le panoramiche sempre suggestive (nel flashback; mentre nel bianco e nero cose e paesaggi sono annullati, quasi resi astratti, come durante la cerimonia nella tormenta di neve). I piccoli dettagli e le piccole emozioni rubate all'attimo che fugge. I cieli blu e la percezione quasi tattile della luce. I suoni e i rumori, vento, passi, cibo che cuoce, gli odori, i sapori. Il capo villaggio vorrebbe che la vecchia Zhao Di fosse "ragionevole": il funerale non si può fare secondo la tradizione. Ma lei non è mai stata ragionevole. Lei appartiene a un altro tempo e a un altro stile: cosa c'è di ragionevole in una tazza rimessa insieme con i chiodi (grazie all'arte defunta dell'aggiusta-cocci)?

Una fiaba ha bisogno di essere ragionevole per essere presa sul serio? Zhang Yimou approva e irragionevolmente compone un film di commovente "vecchiezza", puntando sul lirismo più abusato, raccontando per l'ennesima volta lo scontro fra tradizione e modernità, abbandonandosi alla nostalgia di un tempo che forse non è neppure mai esistito, dispensando emozioni e immagini d'alta scuola. E, ancora una volta, raggiunge lo scopo.

Fabrizio Tassi