Occasioni di dicibilità – Il tracciato ergonomico di KoobookArchive
by Carmen De Stasio

Una nuova occasione per parlare di arte nella sua facoltà di territorio delle interazioni mi è offerta dal volume che segue il decennio 2008-2018, nel corso del quale il KoobookArchive ‒ curato con misura da Anna Guillot ‒ ha dato vita ad esposizioni ed eventi di ergonomicità cultural-artistica intorno alla fertile produzione di libri d’artista e di multipli d’artista. Una misura, ho riferito, del tutto aderente al piano per il quale l’artista Anna Guillot riveste un ruolo da protagonista attenta a convalidare una trasversalità che impegna l’emanazione esteriore dell’opera alla stregua di come la scrittura, nella sua totalità prossemica, assume l’esperienza sintetica e tangibile (tutt’altro che refrattaria alle congiunzioni spazio-temporali) di molteplici condizioni che resistono nelle pieghe del visuale.
Parlare dell’artista, per quanto sia possibile conoscerne il territorio fino alle congiunzioni periferiche dei rimandi oppure nel clou dell’origine, non è condizione appagante perché non il tutto (comprendendo, per tali aspetti, anche le tensioni che ne offrono il clima profondo) è dato sapere. E, tuttavia, è fondamentale che mi soffermi innanzitutto sulle modulazioni che spingono a scelte convogliate verso quella ricerca che si realizza su un campo che, quindi, afferma una conquista nel mistero non totalmente svelato dell’arte, conseguendo un portamento che è tanto etico, quanto epico, viepiù rimarcando una situazione costruttiva e, per certi ranghi, sospesa, che investe-investiga gli ambiti della coltivazione dell’arte non già come chiave letterario-simbolica a una parvenza, quanto, invece, come motore che elude soverchiamenti o anche facinorose polemiche per condursi nella gestione modulare dei linguaggi di un territorio in fieri. In questo modo l’arte si spoglia dalle frantumazioni avversative che imporrebbero la contraffazione, per disporsi a una contiguità che nel contagio ambientale consegue evoluzione con uno sguardo panoramico, vivendo il paesaggio costruito da mano umana senza trascurare i fattori esperienziali e con una scioltezza che, questa sì, appaga per essere all’interno dell’esistere. Manualità e mobilità del pensiero autenticano, dunque, la proposizione composta inclusiva dell’arte di A. Guillot, ma penso che sia possibile allungare la medesima affermazione al luogo al quale ella stessa ha dato vita e che, pertanto, mantiene tutte le caratteristiche fisiche e concettuali di un un’inter-relazionalità sulla quale si fonda la combinazione coerente, coesistente e produttiva dell’arte che qui si svolge.


E così pervengo alla parola da dedicare al volume, il luogo privilegiato che A. Guillot ha curato come appendice metalogica dell’esperienza decennale che Koobook ha vissuto, protendendo il proprio impegno (o meta-impegno, in questo caso) a puntare lo sguardo-mente sulle situazioni (ovvero, sui «fatti» prodotti da una fertile corrispondenza individuo – individuazione dei mezzi idonei a trasferire la versatilità del pensiero in un’azione collettiva) per le quali l’avvento si deve a un’evoluzione tecnologica, quanto dinamico-comunicativa, senza la quale il tracciato dell’arte e la realtà stessa soffrirebbero di un impoverimento, di una separatività in esaurimento (la trasposizione è la tecnica usufruita per dare configurazione significante all’ordine delle cose ). Che sia questo il motivo per il quale Koobook sia scenario idoneo ai libri d’artista quanto ai multipli d’artista? Il luogo da cui prende il macro-titolo la serie di eventi corrisponde al luogo in cui le sintesi fisiche convergono nella corposità di una conversazione tutt’altro che teorica e che si svolge a più livelli, corrispondenti alle fasi di una realtà nella sua posizione vivente e visuale, malgrado qualcosa di intimo sia lasciato nel mistero da intervallare con riflessioni e riprendendo nel suo contesto, per certi versi, la mescolanza semantica e asemica introdotta a fine Settecento da L. Sterne nel suo capolavoro sperimentale Vita e opinioni di Tristam Shandy Gentiluomo, un «dove» nel quale per la prima volta la scrittura apre a un disegno associativo tra l’intenzione tutt’altro che concludente della parola e gli intervalli che guidano il lettore a originare un proprio pensiero produttivo.
Ad una marginale stereofonia che porterebbe inganno e impedimento e soltanto predisporrebbe a una sorta d’indottrinamento conservativo, Koobook sostituisce un abbrivo inteso a comprendere la rilevanza dei mezzi che consentono all’arte di imbastire una nuova ideologia estetica al di là di tempi catalogabili, e riportando in concretezza variabili cromatiche, sonore, strumentali e funzionali a un movimento inesauribile e che sfugge a distrazioni transitorie. In tal senso ‒ e tenendo ben a mente che il valore delle parole consista nella loro iniziativa (S. Mallarmé) ‒ i sedici meta-scenari ritmici (all’interno dei quali il Koobook consegna la persistenza elaborativa del libro d’artista e del multiplo) esprimono la convergenza variabile degli stili, dei materiali, dei mezzi di rappresentazione nella concretezza verbo-visuale in un’identità autonoma che promana, a questo punto, non già come «accessorio» monolitico di conoscenza (M. Horkheimer), quanto come un continuum di domande in una sorta di schema narrativo meta-testuale per il quale la condizione cognitiva, come pure la condizione immaginale, provvede a una riflessione in costante fermento. Per meglio comprendere un’espressione che viaggia per assimilazione e innovativa familiarità con i saperi derivanti, a loro volta, dalle compenetrazioni successive alla logica della multimedialità, Koobook si offre, pertanto, all’interno di uno scenario di densità spazio-tempica e segna il cronogramma di un progetto pluridisciplinare (l’incrocio dei mezzi e dei linguaggi comunicativi offerti dalla tecnologia digitale ma coesistenti idealmente con quelli tradizionali ‒ ci riferisce la stessa Guillot) disposto alla mobilità inclusiva del pensare agente piuttosto che all’agendo vagante oppure frenante in esclusività. Per questa capacità di riuscire a condensare un procedimento che investe il saper pensare oltre la stesura contratta dell’ovvio (Forse l’immobilità delle cose intorno a noi è loro imposta dalla nostra certezza che sono esse e non altre, dall’immobilità del nostro pensiero di fronte a loro ‒ scriveva M. Proust), le situazioni che ne derivano sono cruciali nella scelta delle molteplici vie che i nuovissimi sistemi tecnologici di comunicazione diretta (ma non necessariamente immediata e fulminante) rendono disponibili ai fini di un immaginare pluriversante (termine con il quale associo la rottura di una visualità esclusivamente frontale e contemplativo-passiva, che soltanto disporrebbe in solenne periferia spazi d’orientamento che collocano l’arte nella tessitura di un pensiero intraprendente e trasversale). Ne sono esemplari eterogenei le produzioni artistiche alle quali Koobook ha dato respirabile spazio – uno spazio parlante e pensante – per diramarsi in una dialettica costruttiva e di tale insospettabile vivacità da propendere a canale scomponibile e tracciabile in un’unitarietà predicativa.
Ben lungi, quindi, dal porre paletti di contrastiva speculazione, l’esperienza di Koobook riporta l’arte all’interno di una totalità materica, riuscendo a formulare il risveglio estensivo di un nuovo modo del tutto argomentativo di accedere alla visualità di contro a una teorizzazione gnoseologica distante (non solo nella fisicità) dalle propulsive abilità realistiche. Non è tutto: funzionale al conseguimento di una relazionalità propositiva e pure semiotica degli interventi, l’esperienza di Koobook conquista l’equivalente comportamento dell’articolazione progettuale che unisce arte, scienze e realtà in un compendio verbale e orizzontale. E, d’altronde, non potrebbe che essere questa la prominenza dello stesso nome dato al luogo, richiamando simultaneamente la palindromicità di ciò che si rappresenta (Koobook da leggere in egual misura da sinistra a destra e viceversa) e l’arricchimento per sequenze che riesce a rimodulare il meta-evento tra le pagine del volume – un vero archivio documentale e il cui ruolo, rispetto all’istantaneità visuale multi-comunicativa che segna ciascuno svolgimento artistico, fornisce la chiave di volta a un rallentamento necessario affinché si storicizzi la narrazione lungo una linea totalmente creativo-immaginale, da leggere in maniera analoga alla tessitura scritturale protesa alla dinamica polisemia che si offre (nella tautologica formulazione concessaci da F. Guattari) a guida per scoprire ancora e ancora oltre la scoperta. Oltretutto, nello stabilire quella che a tutti gli effetti appare proposizione fisica, il volume documentale al Koobook trasla diversamente lo stesso consesso semantico dell’archiviazione per introdurre una maieutica che degli scenari implementa il carattere etico-estetico nell’equilibrio che attribuisco all’incrocio fluttuante tra capacità di pensare e autonomia gestionale del pensare, mantenendo la vivacità interlocutoria del farsi artistico nel vortice linguistico degli incontri, mediante i quali il conoscere (l’ininterrotto atletismo del pensiero ), malgrado tenda alla saturazione, non si proietta a conclusione.


Il successivo passo riguarda la dicibilità del progetto. Una dicibilità realizzata lungo le fasi di un’attività progressiva di montaggio-smontaggio e rimontaggio arricchente, deterritorializzata e, pertanto, riterritorializzata (nei termini imprestati dall’articolazione che ne dà G. Deleuze) e che, nell’offerta di una respirabilità di tipo apodittico, rifiuta l’incompatibilità, portando a meta-intra-testualità ritmica tutte le improbabili eccezioni che intende liberare, finalmente, dall’alveo della teoria per finalizzare l’arte sul versante intellettuale; nucleo versatile di fatti a combinazioni multiple che superano la confortevole e spensierata breve scala cromatica che noi percepiamo, (…) . Che cosa comporta questo se non uno spostamento che prevede il leggere-vedere del farsi nell’arte giammai dominato da finzione, dalla crudeltà di un pensare indolente, agito in esteriorità, eccessivo o anche eccedente. Così, dunque, lasciando nelle retrovie aspetti esclusivamente contenutistici e attribuiti alla dimostrazione artistica nel suo proporsi simbolico, s’assiste a un vero e proprio atto di decentralizzazione polimaterica dei criteri che impegnano l’arte come territorialità propositiva. Un procedimento che comporta la variazione dei sistemi di lettura entro una sorta di pronuntiatio medievale necessaria a ragionare con la materia non già tramite cadenze allusive, quanto in uno scambio che avviene in oralità e con una risonanza nuova perché obbliga il lettore moderno a una completa traduzione della vista nel suono mentre guarda (la pagina, quanto l’opera nel suo insieme autonomo ‒ aggiungo).
In un’atmosfera di fisicità progressiva, entriamo nei dettagli del volume documentale dell’esperienza metatetica di Koobook e fin dall’espressività dell’involucro ci accorgiamo come la scelta di giocare sulle modalità del rosso e del bianco offra una visualizzazione permanente, tutt’altro che reticente e, tantomeno, precaria. E ci si chiede: che cosa avviene nella mente quando la mano sfoglia il libro e lo sguardo scorre tra le pagine? Ci si ritrova, senza riconoscerlo apertamente, all’interno di uno spazio evolutivo; si avvertono i rumori di composizione e si partecipa, infine, al viaggio metalogico di parole e di avvenimenti nell’atto stesso in cui si elaborano argomentazioni che, nel pieno della pluriforme infiorescenza, privilegiano lo svolgimento tutt’altro che a termine dell’arte; arte che, pertanto, mantiene un’apertura inclusiva di tutti i sistemi disponibili della conoscenza e alle rilevanze della conoscenza. Leggiamo di questo per poi accorgerci di avere riempito ulteriormente con chiose, note, asterischi e linee un libro che è diventato per sempre nostro. Un modulo d’artista. Un continuo costruirsi. Così ci si scopre all’interno delle porzioni fasiche dell’arte pensante, quella dimensione che si ostina a restare nel gioco del reale in quanto prodotto del reale e al quale lo sguardo esistenziale si concede per apprenderne lo sviluppo continuato e temprarne accadimenti, dilatazioni o restringimenti, finalizzati a mitigare le distanze tra tempi e confluire con le modalità che l’arte sceglie in un rapporto che si rinnova come fatto esperienziale e che è, insieme, fatto irripetibile. Basterebbe un siffatto preambolo del tutto soggettuale a suggerire la vivacità del libro che documenta Koobook nel segnare il passaggio al pratico ripensamento riguardo alla vastità delle dotazioni che rientrano nella dinamicità reale non già come contorno o eccedenza prosaica, quanto in vista di una collaborazione che vede scambio e interferenza come forze antinomiche alla dimenticanza e alla contraffazione. Parlo di arte e attraverso l’arte si evoca l’abilità dei tanti artisti di penna e di performativa creazione, i quali hanno permeato la stesura contestuale del KoobookArchive: un archivio di modalità che permettono all’arte d’esporre la propria trasformazione con un’acutezza eterogenea e asciutta e congruente con un’effettività meta-glossica di stampo scientifico, culturale, multimediale.
È bene chiarire che non sia qui in analisi un comportamento tendente a una sinossi grafico-emozionale «prescelta», quanto una condizione in grado di generarsi come metatesi costruttiva. E in effetti, nella convinzione che ciascun’espressione artistica dipenda, nondimeno, da una volontarietà intraprendente e plurima, non sorprende di trovarsi al cospetto di potenziali mezzi trans-comunicazionali che sollecitano l’arte a liberarsi dall’intrico di un immobilismo di tipo museale; in aggiunta, in quanto disposto alla rappresentazione modale di un ontologico sapere che parte dalle cose, dai fatti e che dei fatti e delle cose traduce il confronto relazionale con una competenza verificabile e ascritta all’unitarietà, l’orientamento metalogico di Koobook (prodotto esso stesso di un’esplorazione integrativa e di moltiplicabile trasversalità) sfugge all’instabilità di un non-segno, di una non-parola, che cederebbe alla fragilità epistemica vagando all’interno dell’estemporaneità di un messaggio occasionale, piuttosto che spinto a farsi occasione. Resta il fatto che, per taluni versi, Koobook offra la rappresentazione «per sintesi» di una storia tutt’altro che definita nella trama ricercativa che percorre gli anni salienti della contemporaneità creazionale, confrontandosi con le variabili e i tranelli di un progresso sovente più parlato, che parlante. Su questo fronte la corrispondenza formulata attraverso la sintesi maieutica di pensiero – lettura – meditazione – scrittura rinnova le caratteristiche morfo-linguistiche che pongono la mondanità dell’arte come «koo», (koo-book) ovverosia, un ambiente aperto nella misura attribuita al sapere combinatorio quanto al vivere, mutuando da un processo di formazione-trasformazione orientato sulle onnicentriche combinazioni di unità minime fonico-tattili-visive che in autonomia rinforzano le corrispondenze tra archetipiche lontananze e vicinanze, tra visione e visualità, dotando di esegetico valore la scientificità della narrazione oltre quello che G. Apollinaire riferiva essere miserabile trucco della prospettiva che (aggiungo) rimpicciolisce inevitabilmente tutto .
Viene, allora, da chiedersi come sia possibile accedere alla comprensione dell’operazione a trama stretta che riproduce nel libro d’artista e nel multiplo (d’artista) la traccia permanente di una mondanità talora sconvolta da avvilenti recuperi (in quanto tali, obsoleti e inintelligibili nell’attuale esponenziale equazione multimediale e tecnologico-comunicativa). Va detto, intanto, che la vocazione delle due espressioni segna la linea di principio all’evoluzione del saper andare e, prima ancora, dell’imparare ad andare. Aderendo a questa vocazione, Koobook consegna la rimodulazione in orientamento laboratoriale della parola artistica nel rigenerarsi come cosmo (il koo, appunto) continuamente nascente, che si disfa per ri-farsi e che spinge alla (ri)creazione di una mondanità nelle sue fasi prominenti – pur se sovente nascoste – alla stregua del modo in cui il futurista russo O. M. Brik intendesse la variazione del progetto dell’arte. Un esserci, insomma, e che anche su questo versante analitico mi permette di conciliare il valore implicito del libro d’artista e del multiplo con il valore di una fertile plurisignificanza aderente ad una trasversalità che riguarda la congruità ottimale del metodo non soltanto per declinare i significati celati dalla forma, quanto per dar pertinace evidenza al dato visuale nel quale s’imprime il continuo debutto delle intenzioni. Una plurisignificanza che, viepiù, ridisegna i contorni cognitivi quanto meta-comunicativi dell’identità socio-comportamentale recuperata all’arte. Non solo: nuovamente la combinazione variabile emerge come costante perché agli ambienti si affidino le parole dell’arte come risorsa ben oltre la finitezza (Si può essere poeta in tutti i campi: basta essere avventurosi e andare alla scoperta – recuperiamo da G. Apollinaire) attraverso forge che dissuadono l’ornamentale reiterazione per giungere alle consistenze vettoriali di un genere aporico, capace cioè, di riportare su un unico piano le attività congruenti del «come» meditare (nel)l’azione d’arte ‒ dimensione infinita di accoglienza perché si estenda come territorio praticabile e in totale riformulazione .

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