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Clemente J. Mimun: la mia droga si chiama Italia

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Un padre libico, un’infanzia vissuta tra Tripoli e la Tunisia, l’ebraismo come fede religiosa e un secondo nome, “Jackie”, che fa molto Hollywood, visto che è un omaggio all’indimenticato Jackie Coogan, il “monello” protagonista, accanto a Charlie Chaplin, del film The Kid. Ce ne sarebbe abbastanza, insomma, per etichettarlo come un vero melting pot, ma lui, Clemente J. Mimun, “il direttore” per antonomasia – oggi al Tg5, dopo esserlo stato di Tg1 e Tg2: unico giornalista italiano ad aver diretto i tre principali telegiornali nazionali, oltre a Rai Parlamento – non solo è italiano fino al midollo, ma è talmente innamorato del Bel Paese da non perdere occasione per decantarne lodi e virtù, anche a dispetto di tutte le criticità che egli stesso, in 40 anni di carriera non ha mai mancato di raccontare. Da consumato cronista, infatti, la fotografia che fa dell’Italia dei giorni nostri, è impietosa. «Siamo un Paese organizzato male, la burocrazia ci ingessa, la classe politica non è all’altezza ma in questo caso è solo colpa nostra perché siamo noi a votare i nostri rappresentanti – dice senza giri di parole – la pressione fiscale, poi, è insopportabile. E che dire delle nostre città? Sono disordinate e carenti nell’ordine pubblico e nei servizi. A tutto questo aggiungi la nostra scarsa educazione civica. Siamo un popolo che pretende che gli altri facciano le cose perbene, mentre qui ci prendiamo ogni libertà. Del resto, essendo stati colonizzati un po’ dai Borboni e un po’ dagli Austriaci, non potrebbe essere altrimenti».

 

Va tutto male, quindi, direttore?

Bè, stando al dato oggettivo, c’è davvero poco da stare allegri. Ecco perché prima o poi a tutti balena la voglia di andare via. Io stesso provo a convincere i miei figli ad andare a studiare all’estero, per imparare e stare al passo coi tempi, ma…

 

Ma…?

Ma loro sono talmente legati a Roma e all’Italia, da non riuscire ad allontanarsene. Come me. L’Italia, nonostante tutto, per me resta bellissima, ed è come una droga: una volta che l’hai provata, non puoi più farne a meno. Dà dipendenza.

 

Cosa ti rende così Italy-addicted?

Il fatto che, malgrado tutti i guai, questo Paese, in tanti aspetti positivi, è rimasto uguale a se stesso. Nessuno riesce a portarci via la voglia di mangiare bene, il buon gusto, la sensibilità per l’arte e la cultura, lo stile di vita. Pensate a un inglese benestante che viene in vacanza in Italia: quando torna in patria, anche se le sue condizioni economiche restano invidiabili, sul piano della qualità della vita vive peggio di un modesto impiegato italiano. In questo, l’Italia è sempre fedele alla sua storia.

 

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Qual è l’immagine dell’Italia che più di ogni altra hai nel cuore?

Quella che mi riporta alla mente i ricordi, gli odori e i sapori dell’infanzia. Come certe gite al mare, a Castelporziano, quando si partiva su una vecchia Bianchina familiare scassata, caricata con sdraio e ombrelloni come nella più classica delle immagini Anni ’60. In quelle occasioni, mia madre si svegliava presto e iniziava a cucinare il pranzo per la gita fuoriporta: insalata di maccheroni e fettine panate. Arrivati in trattoria, bisognava solo prendere da bere: per il resto ci eravamo già portati tutto. Era un’altra Italia, quella che andava al bar a guardare la televisione, mettendo i gettoni.

 

A proposito di sapori, raccontaci il tuo personale viaggio del gusto…

Per non fare torto a nessuno, parlerò di Roma, la mia città. Di sicuro tra i miei “luoghi del gusto” c’è il ristorante Tullio, vicino Piazza Barberini. Straordinari i suoi piatti di carne, accompagnati con funghi, tartufi e carciofi. Poi mi piace andare a mangiare da Alfredo alla Scrofa, famoso per i suoi tagliolini al doppio burro. Quindi da Alvaro al Circo Massimo: insuperabile il suo agnello. Tra le new entry, cito il Sangallo ai Coronari, specializzato in tutto quello che è bufala. Lì vicino, sempre in Via dei Coronari c’è la Gelateria del Teatro, che fa il miglior gelato della città. Per il caffè, invece, consiglio il Sant’Eustachio, vicino al Pantheon. Tutti posti fantastici, che abbinano a cucina e prodotti unici, location straordinarie. Se invece mi chiedi dell’alta cucina, ti dico Hilton, da Heinz Beck. Ma quello è per le occasioni straordinarie, non per tutti i giorni.

 

Ci andrai per le feste di fine anno?

No, perché probabilmente sarò a Miami con gli amici, o in Israele, nella terra della mia famiglia. Ma in ogni caso, il mio pensiero sarà sempre rivolto al nostro Paese. A proposito… tanti auguri, Italia.

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