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Imperfezione intenzionale

Jackson Pollock. Blue poles. 1952. Oil, enamel, aluminium paint, glass on canvas. 212.1x488.9cm. National Gallery of Australia, Canberra. Purchased 1973. © Pollock-Krasner Foundation/ARS

Io sono un perfezionista. A metà strada tra il tipo comune e quello nevrotico. Anzi, non proprio a metà strada.

Lo vedo come un dono. Mi consente di formare una solida visione di qualsiasi cosa io faccia, e di amare i dettagli. A volte porta a risultati eccellenti. A volte. Ma il più delle volte, questi risultati non sono altro che piccoli granelli di una spiaggia spazzata dal mare.

Il problema del perfezionismo è che rimani bloccato facilmente. È una continua lotta per sbloccarsi.

Dove si posiziona il compromesso? Sacrificheremo l’eccellenza o l’azione?

Spesso la vita offre un contesto che spinge a decidere ma, quando abbiamo maggiore libertà, sia il perfezionismo che la frettolosità possono rapidamente diventare dei demoni.

Come chiunque altro, ho i miei personali modi per navigare nella palude del perfezionismo, ma una breve sequenza di un film mi ha offerto un’incisiva prospettiva sul problema e sulla sua via d’uscita.

Il film è Ex Machina, un film di fantascienza riguardo l’intelligenza artificiale, un soggetto che naturalmente conduce a domande su cosa sia umano e cosa no.

Adoro l’intero film, ma la sequenza di cui parlo ha un significato di per sé.

Riguarda un dipinto di Pollock.

Jackson Pollock è famoso soprattutto per la sua tecnica di “dripping” (sgocciolatura), in cui versava o schizzava la vernice su una tela orizzontale. Viene anche chiamata “pittura d’azione” – in senso più generale – a causa del ruolo predominante dell’azione fisica rispetto a una pittura accurata.

In quella sequenza del film, un personaggio – quello che ha creato l’intelligenza artificiale – chiede al protagonista – quello che deve “collaudare” l’essere artificiale – cosa avrebbe dipinto Pollock se, invece di dipingere qualcosa che trasuda casualità, avesse deciso di non dare una singola pennellata a meno di sapere esattamente cosa stesse facendo.

Purtroppo il video è in inglese, ma credo possa ugualmente aiutare a rendere l’idea.

E la risposta è “nulla”.

Nessuno può sapere tutto. Nessuno può sapere esattamente cosa sta facendo. Nessuno può conoscere l’esatta conseguenza delle proprie azioni.

Possiamo conoscere le proprie motivazioni, ma non possiamo avere un’esatta motivazione per ogni singola azione.

E non aiuta il fatto che nel momento stesso in cui cerchiamo quella precisa motivazione, quel momento è passato, e sono già successe altre cose, dentro e fuori di noi, senza che se ne possa afferrare esattamente il motivo.

Molto semplicemente, gli umani sono imperfetti. Ed è nostro compito gestire l’imperfezione. A un certo punto bisogna agire.

Ma l’altro lato della medaglia è anche più interessante.

Cosa fa la differenza tra azione casuale – o automatica – e azione voluta, premeditata?

L’intenzione consapevole.

La sfida, per gli umani, è l’azione intenzionale senza fermare la vita.

L’azione senza intenzione è meccanica. L’intenzione senza azione è inconsistente.

Questa formula ci dice che non dobbiamo comportarci come macchine, ciecamente, ma anche che, allo stesso tempo, si deve agire, senza restare bloccati in una vana riflessione.

L’arte di Pollock è stata spesso criticata per la sua “casualità”. La casualità è presente, ovviamente, ma il lavoro di Pollock non è casuale, bensì originato da una precisa scelta artistica. Se si osservano con attenzione le sue opere, si può notare che sono presenti delle scelte. Tuttavia, lui voleva liberare il risultato di queste scelte da qualunque imposizione o artificialità.

“Io non temo di fare modifiche, distruggere l’immagine, ecc., perché il dipinto ha vita propria. Io cerco di farlo emergere. È solo quando perdo contatto col dipinto che il risultato diventa un disastro. Diversamente, è pura armonia, un facile dare e avere, e il dipinto viene bene.”
Jackson Pollock

Ad un certo punto, Pollock smise perfino di dare titoli alle sue opere. Solo numeri casuali, per evitare di imporre un significato a ciò che era semplicemente lì da vedere.

Le azioni definiscono la nostra vita. E succede indipendentemente da quante etichette gli appiccichiamo.

Le azioni sono composte da automatismi e da caos. La vita stessa è possibile esattamente grazie a questo. Non si possono rimuovere dalla vita né la casualità né il meccanicismo.

La sfida non è agire sapendo esattamente cosa stiamo facendo. La sfida è agire con intenzionalità.