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L'ESPERIENZA CREATIVA claudio widmann Il modello della ...

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L’ESPERIENZA <strong>CREATIVA</strong><br />

<strong>claudio</strong> <strong>widmann</strong><br />

<strong>Il</strong> <strong>modello</strong> <strong>della</strong> creatività<br />

Secondo Mircea Eliade i miti sono “modelli esemplari“ dell’agire umano e “in quanto esemplare il<br />

mito è creatore, suscita e orienta le attività dell’uomo” (1985, p. 60). Non diversamente Jung ritiene<br />

che i miti siano narrazioni archetipiche, cioè rappresentazioni di strutture universali dell’esperienza<br />

umana. Se tutto ciò è vero, il modo migliore per ricostruire la struttura dell’esperienza creativa è<br />

quella di ripercorrere i “miti di creazione”. Come dice un cantautore,<br />

Per capire la nostra storia<br />

bisogna farsi a un tempo remoto.<br />

Guccini introduce in questo modo il mito cosmogonico a noi più familiare, quello narrato in Genesi<br />

(I, 1-27). Lo introduce con alcune varianti ironiche, apparentemente burlesche e per qualcuno<br />

dissacranti, ma non propriamente estranee al tema archetipico <strong>della</strong> creazione. Provocatoriamente,<br />

sosterrò anzi l’ipotesi che questa manipolazione costituisca un arricchimento, un miglioramento del<br />

mito e che gli conferisca maggiori potenzialità espressive (frutto probabilmente <strong>della</strong> creatività<br />

dell’autore che ha riformulato il testo).<br />

In principio (illo tempore)<br />

C’era un vecchio con la barba bianca,<br />

<strong>Il</strong> vecchio con la barba bianca è colui che i miti più antichi chiamano in svariati modi, che gli<br />

antropologi inglesi chiamano genericamente the Maker e che noi, abitualmente, chiamiamo Dio.<br />

Se ci vogliamo occupare di miti cosmogonici, siamo costretti a confrontarci subito con la figura del<br />

Maker, il Fattore, Dio; e quindi è opportuno precisare immediatamente i termini <strong>della</strong> questione. In<br />

una prospettiva analitica e non religiosa, la realtà oggettiva di Dio non ci riguarda; è centrale invece<br />

riconoscere la realtà psichica di questo concetto. Intendo dire che è un dato di realtà che la psiche<br />

umana abbia concepito l’idea di Dio, che ne abbia ideato delle immagini (il Vecchio con la barba<br />

bianca), che gli abbia attribuito delle caratteristiche. E se intendiamo assumere i miti di creazione<br />

come traccia per riflettere sulla creatività, la prima cosa che ci interessa è cogliere le caratteristiche<br />

di Dio in quanto Creatore per antonomasia.<br />

Senza pretesa di essere esaustivi, diremo che a Dio sono abitualmente attribuite le seguenti<br />

caratteristiche: è preesistente all’uomo (il quale viene anzi creato da lui); è estraneo all’uomo<br />

(benché ci sia sempre uno stretto intreccio di vicende fra lui e l’uomo, egli rimane sempre<br />

qualitativamente diverso e i suoi interventi hanno sempre il carattere di interventi “dall’esterno”; il<br />

Dio Creatore non è mai “dei nostri”); è più grande dell’uomo (spesso gli vengono attribuiti caratteri<br />

assoluti come l’onnipotenza, l’onniveggenza, l’onniscienza, l’onnipresenza, eccetera); è<br />

imperscrutabile (nessuno sa cosa passi nella mente di Dio): è dotato di estrema saggezza (anche se<br />

la sua saggezza molto spesso è discutibile dal punto di vista dell’uomo, ad esempio quando manda<br />

sulla terra dei cataclismi).<br />

Proviamo a fare un salto e a richiamare alcuni punti basilari nella teoria <strong>della</strong> personalità di C. G.<br />

Jung. Per questo autore la personalità non si esaurisce in ciò che io so e percepisco di me (nel “chi<br />

sono io”); la personalità totale è anzi preesistente all’io, come si può notare osservando un bambino<br />

molto piccolo che già esiste come individuo, ma che ancora non ha formato un io. Anche quando<br />

l’io si è sviluppato, ampie regioni <strong>della</strong> personalità totale rimangono inconsce e noi le percepiamo<br />

come entità estranea. Si pensi a un atto veramente involontario e inconscio come, ad esempio, un<br />

incidente, una dimenticanza, una distrazione: non sempre diciamo “io ho sfasciato la macchina”, “io<br />

non sono andato all’appuntamento”, “io ho rotto quell’oggetto”; di preferenza diciamo “mi è


scivolata la macchina”, “mi è passato di mente”, “mi è sfuggito tra le mani”, eccetera. Queste<br />

espressioni impersonali testimoniano l’estraneità dell’io ad azioni che tuttavia sono state compiute<br />

dal soggetto nel suo insieme. Da un secolo a questa parte, la scoperta dell’inconscio ha dilatato la<br />

concezione di uomo: la sua personalità totale è più ampia di ciò che egli sa di essere; egli possiede<br />

più ricordi, più percezioni, più abilità, più contenuti di quelli che coscientemente conosce. La<br />

personalità totale possiede un’indiscussa grandezza rispetto all’Io. Nel contempo l’inconscio, per<br />

definizione, è imperscrutabile e nessuno di noi sa cosa “esso” ha in mente (ovvero cosa ci sia in<br />

quella parte <strong>della</strong> mente che non appartiene alla coscienza). Sappiamo anche che facciamo molte<br />

cose inconsciamente; nessuno di noi si è mai innamorato per decisione cosciente: l’innamoramento<br />

“ci è accade” come dall’esterno. E non sempre la consapevolezza condivide quell’accadimento.<br />

I paralleli mi sembrano visibili: l’immagine di Dio che la psiche ha ideato e le caratteristiche di cui<br />

l’ha rivestito costituiscono un ritratto figurato dell’Uomo Totale, <strong>della</strong> personalità globale. Jung ha<br />

chiamato Sé questa categoria psichica e ha documentato molto diffusamente come, addentrandoci<br />

nel mondo dei simboli e delle immagini psichiche, non si riesca distinguere l’immagine di Dio da<br />

quella del Sé.<br />

Quanto a noi, seguendo le tracce del mito, troviamo qui una prima indicazione: per comprendere il<br />

fenomeno <strong>della</strong> creatività occorre muovere da una concezione che contempli non solo l’io, ma la<br />

personalità totale. Lo spiritus creator, difatti, è sempre di natura divina: è estraneo, superiore,<br />

imperscrutabile, più grande e più acuto <strong>della</strong> nostra mente cosciente. La creazione ha più a che fare<br />

col Sé (e dunque con l’inconscio) che con l’Io (e cioè col conscio).<br />

Caratteristicamente, nei miti cosmogonici il momento che precede l’atto creativo è segnato dal<br />

vuoto:<br />

Lui, la sua barba, e il resto era vuoto.<br />

Questo “vuoto” va però precisato; in realtà la Genesi dice che lo spirito di Dio “aleggiava sulle<br />

acque” (o sull’Abisso). Nelle isole Marshall in principio tutto era mare e al di sopra scorreva la<br />

divinità (the Maker); in Micronesia sopra il mare primordiale volteggiava un ragno. Gli Egizi<br />

raccontavano che prima <strong>della</strong> creazione esisteva il Nun, termine di difficile traduzione, ma che<br />

indica un universo indifferenziato. Con sostanziale analogia, altri miti parlano del caos preesistente<br />

alla creazione. Ad esempio, nel mito pelasgico Eurinome, la Dea di Tutte le Cose, emerse dal χαος,<br />

divise il mare dal cielo e intrecciò una danza sulle onde. Altri miti narrano di un “mondo parallelo”<br />

in cui vivono i creatori primordiali, che è evidentemente preesistente alla creazione dell’uomo e<br />

all’esperienza umana.<br />

Credo che tutto ciò parli in maniera simbolica di un “vuoto” che è tale dal punto di vista del<br />

conscio; in effetti, prima dell’atto creativo, c’è realmente un vuoto di conoscenza, di contenuti, di<br />

esperienza. Ma non necessariamente è un Vuoto in senso assoluto; ciò che è vuoto per il conscio<br />

può essere denso di contenuti nel “mondo parallelo” dell’inconscio. La creazione ex nihilo, quindi,<br />

non è propriamente tale; avviene sulla base di una realtà preesistente, anche se quella realtà non è<br />

<strong>della</strong> coscienza, ma dell’inconscio. χαος, vale la pena anticiparlo in maniera espressa, è un antico<br />

simbolo dell’inconscio originario. Così possiamo asserire che il materiale dell’atto creativo è un<br />

materiale inconscio: qualcosa che prima non era presente alla coscienza, che non era sottoposto<br />

all’attenzione, che non era specificamente evocativo ora lo diventa.<br />

E Guccini continua:<br />

Voi capirete che in tale frangente<br />

Quel vecchio solo lassù si annoiava<br />

Strana spiegazione, quella <strong>della</strong> noia, per un evento così fondamentale. Tuttavia la creazione “per<br />

noia” non è rara nella mitologia; è raro, al contrario, che un mito dica “perché” il dio decide di<br />

creare l’universo. Semplicemente accade: nel mito giudaico-cristiano Dio conduce la sua esistenza<br />

di sempre e un giorno inizia la creazione, senza una richiesta specifica, senza una ragione evidente.


In un mito esquimese un giorno Tulungersaq (Padre Corvo) si sveglia dal sonno e di lì inizia la<br />

vicenda creativa. In un mito irochese per la prima volta nella storia muore un uomo che viveva nel<br />

regno dei cieli e di lì inizia la serie di vicende che porteranno alla creazione del (nostro) mondo.<br />

Nella mitologia Achomawi (California) il Coyote e la Volpe galleggiarono sul vuoto per molti,<br />

molti anni e cominciarono ad annoiarsi di stare sempre lì; così la Volpe creò il mondo mentre il<br />

Coyote dormiva (von Franz., 1989, p. 63).<br />

M. L. von Franz –la più nota e apprezzata collaboratrice di Jung- osserva che in più d’un caso<br />

dall’inconscio scaturisce improvvisamente un impulso nuovo, che non possiamo spiegare come una<br />

reazione a qualcosa, se non, forse, alla noia! (von Franz, 1989, p. 38). Rifletteremo più avanti sul<br />

fatto che ad un certo punto il Creatore sembra scosso da un suo bisogno di creare, quasi una<br />

compulsione che viene da lui stesso e che nessuno gli ha imposto. Per ora evidenziamo che nell’atto<br />

creativo qualcosa di autonomo si mette in moto nelle regioni dell’inconscio, inaccessibili all’io e<br />

imperscrutabili alla mente. Non c’è una causa esterna e non c’è una ragione cosciente; l’esperienza<br />

creativa sgorga come un impulso improvviso e autonomo dell’inconscio.<br />

A rincarare la dose, Guccini precisa che la noia del Vecchio era aggravata dal fatto che nessuno<br />

aveva ancora inventata la T. V. A questa cosa decise di porre rimedio lui stesso, invero un po’<br />

maldestramente:<br />

Dixit. Ma poi toccò un filo scoperto<br />

Prese la scossa, ci fu un gran boato.<br />

Come T. V. non valeva un bel niente<br />

Ma l’universo era stato creato.<br />

E’ un esempio evidente di “creazione per caso”, come altre creazioni documentate dalla mitologia.<br />

Secondo la citata cosmogonia irochese, ad esempio, la donna primordiale rimase incinta prendendo<br />

i pidocchi mentre pettinava il marito. Un evento tanto banale e fortuito originerà il creato. A prima<br />

vista la “creazione per caso” sembra un absurdum, tuttavia descrive bene un aspetto caratteristico<br />

<strong>della</strong> creatività: una mela caduta per caso in testa a Newton gli fece scoprire la legge di gravitazione<br />

universale. L’esperienza creativa si confronta spesso con il caso, nel quale –sviluppando le linee di<br />

ricostruzione sin qui impostate- ravvisiamo l’ignoto, il non conosciuto (ripetitivamente: l’inconscio)<br />

che si rivela a noi.<br />

Anche il modo in cui Dio crea il mondo merita una riflessione: gli basta denominare le cose e<br />

queste prendono a esistere. Fiat lux, et lux facta est. (Oppure, con Guccini, si chiami l’Enel sia fatta<br />

la luce!). “Enuma elish -quando in alto- il cielo non era stato nominato; quando in basso la terra non<br />

era stata chiamata per nome”, recita il poema babilonese noto per il suo incipit. Qualcosa che prima<br />

non c’era improvvisamente esiste; senza gradualità, senza progressione, tutto “d’un botto”. La<br />

moderna cosmogonia nota come teoria del “Big Bang” esprime questo aspetto nella forma più pura.<br />

In effetti, l’atto creativo è quasi sempre un’eruzione improvvisa, una sorta di esplosione; qualcosa<br />

erompe nella coscienza immediatamente, improvvisamente e in forma pressoché completa.<br />

Nei miti di creazione spesso la prima cosa ad essere creata è la luce. In principio, in effetti, tutto è<br />

avvolto nel buio:<br />

Zitto Lucifero non disturbare<br />

Non stare sempre qui a criticare<br />

Beh, sì lo ammetto, sarà un po’ buio…<br />

Questo passaggio per noi è del massimo interesse, perché la luce è forse il simbolo più universale<br />

<strong>della</strong> conoscenza, <strong>della</strong> sapienza, <strong>della</strong> coscienza. Per contro le tenebre sono analogiche agli stati di<br />

cecità, di ignoranza e di incoscienza; stati in cui si annaspa nel buio, in cui non “ci si vede chiaro”.<br />

L’atto creativo è sempre un atto che squarcia le tenebre, che porta luce e che porta “alla luce”. Si<br />

potrebbe dire con la von Franz che “annaspare nel buio attiva i processi creativi” e che la creatività<br />

implica sempre un rapporto dialettico fra buio e luce, fra noto e ignoto. Nell’esperienza di ciascuno


di noi la funzione creativa espande la coscienza, squarcia le tenebre <strong>della</strong> non conoscenza, del non<br />

noto, del non conosciuto. Può essere interessante ricordare che per gli Egizi il verbo ir (creare) si<br />

scriveva col geroglifico dell’occhio il cui nome era simile anche etimologicamente (irt), la cui<br />

immagine è collegata alla luce e alla coscienza, allegoria del vedere e del vederci chiaro.<br />

Come prosegua il mito di creazione giudaico-cristiano dopo la creazione <strong>della</strong> luce è noto a tutti<br />

noi. Esso è scandito in sei giornate (più la settima di contemplazione) e ciò pone in evidenza il<br />

rapporto fra atto creativo e scansione temporale. E’ risaputo che la creatività non è di tutti i giorni e<br />

che quanto più un atto è creativo, tanto più gli fanno da contrappunto momenti silenti, di opacità.<br />

Conosco persone che hanno avuto una Intuizione Creativa veramente maiuscola una sola volta nella<br />

vita, che tuttavia ha segnato per intero la loro vita. Ma la scansione temporale dei miti di creazione<br />

può suggerire anche che l’atto creativo va gestito nel tempo: un atteggiamento precipitoso brucia la<br />

creazione così come la pigrizia la isterilisce.<br />

Questa disordinata incursione nei miti di creazione ci consente di individuare alcuni elementi<br />

narrativi cui attribuiamo valore simbolico:<br />

- l’atto creativo è opera di uno spiritus creator che ha più attinenza con le dimensione<br />

inconsce e con la personalità globale che con che con quelle consce dell’io;<br />

- materia dell’atto creativo non è il “vuoto”, ma il caos: i contenuti ignoti, sconosciuti<br />

(inconsci)<br />

- l’atto creativo avviene nel buio, per noia, per caso o comunque per un impulso<br />

inspiegabile; esso “ci accade”, poiché la sua genesi non sta nelle strutture consapevoli<br />

dell’io, ma in quelle inafferrabile dell’inconscio;<br />

- l’atto creativo è erompente e dirompente, a rappresentare il carattere improvviso e compiuto<br />

<strong>della</strong> creazione;<br />

- l’atto creativo è anzitutto un’illuminazione: ha il potere di fare luce, di rendere le cose più<br />

chiare (coscienti);<br />

- l’atto creativo necessita di una scansione temporale ed energetica che prevede forme<br />

ottimali di ritmo;<br />

- il risultato dell’atto creativo è sempre una trasformazione del caos in cosmos, un passaggio<br />

da livelli di conoscenza-coscienza approssimata, nebulosa e indifferenziata verso livelli di<br />

conoscenza-coscienza più elevata, integrata e ordinata.<br />

Questi elementi simbolici che abbiamo estrapolato dai miti di creazione, possono costituire delle<br />

linee guida per tratteggiare una sommaria fenomenologia dell’atto creativo.<br />

Le caratteristiche <strong>della</strong> creatività<br />

<strong>Il</strong> caos<br />

Tutto ha inizio nel caos. Empiricamente il fenomeno non ci è estraneo: davanti a un problema di cui<br />

non conosciamo la soluzione, in un momento critico <strong>della</strong> vita, quando siamo aggrovigliati in una<br />

situazione d’impasse viviamo concretamente il χαος. Nei procedimenti che intendono stimolare<br />

intenzionalmente la creatività, il caos viene perseguito tecnicamente: brain storming è il termine<br />

con cui si designa l’afflusso libero e caotico di pensieri 1 . L’adolescenza è età specificamente<br />

segnata da un intenso flusso creativo e dalla ricerca di soluzioni creative per l’esistenza: è nota<br />

anche come età di caos (oggi più frequentemente detto “casino”). <strong>Il</strong> disordine, il caos, il casino, per<br />

gli adolescenti, è un’esigenza. Naturalmente potremmo attingere anche a esempi più illustri di<br />

esperienze creative e parlare dei periodi confusivi che precedettero le grandi creazioni pittoriche di<br />

van Gogh; oppure ai momenti di travaglio che precedettero certe scoperte scientifiche. Per noi sarà<br />

importante ricordare che caos è archetipo dell’inconscio, dei suoi stati confusivi e dei suoi contenuti<br />

amorfi e indifferenziati. Questo aspetto segna l’esperienza creativa a tutti i livelli: quella ordinaria<br />

che è di tutti e quella geniale che è di pochi.<br />

1 A volte è un flusso spontaneo e individuale; in certi contesti viene sollecitato intenzionalmente e collettivamente<br />

(gruppi di ricerca), magari come libera espressione di ipotesi. In ogni caso deve fuoriuscire senza censure e senza vaglio<br />

critico.


Gli alchimisti, che nella loro ricerca intendevano ripercorrere il processo <strong>della</strong> creazione,<br />

individuavano nel caos la loro prima materia, quella da cui iniziare l’intera opera trasmutativa. Essi<br />

conoscevano bene anche i sentimenti che accompagnano il caos: smarrimento, impotenza e<br />

soprattutto frustrazione.<br />

In questa fase essi collocavano un’operazione interessante, la collectio (collazione, raccolta) ed è<br />

un fatto che, per diventare creativa, la mente ha bisogno di immergersi in un determinato problema,<br />

di imbibirsi di emozioni, idee, pensieri e anche di nozioni, informazioni, conoscenze. Questo<br />

comporta a volte una full immersion in un certo clima (si parla di certi argomenti, si vivono certe<br />

situazioni, si frequentano certi luoghi, eccetera); a volte è necessario un lavoro sistematico e<br />

ripetitivo, un impegno di acculturazione: è il momento dell’expertise, quello in cui si matura<br />

competenza o familiarità con un certo tema. Pasteur amava dire che “il caso predilige le menti<br />

preparate”. La creatività artistica di solito è insofferente nei confronti di questa fase; quella<br />

scientifica, invece, la integra nel proprio metodo di lavoro e spesso la pianifica con rigore. Edison<br />

diceva che la creatività è ispirazione per l’1% ed è traspirazione (cioè sudore) per il 99%.<br />

La collectio è spesso faticosa, monotona e poco entusiasmante. Gli alchimisti parlavano dei “giorni<br />

delle ceneri” per descrivere la frustrazione, la noia e la costanza necessarie in questa fase; erano<br />

giorni trascorsi a pestare finemente la materia nel mortaio, facendosi grigi di polvere e di noia loro<br />

stessi. Ad appesantire questo stato d’animo, s’aggiunga che, mentre ci si immerge in un clima o in<br />

un argomento, non manca la percezione di annaspare nel caos: si ha nella testa una ridda di<br />

informazioni, di pareri contrastanti, un affastellarsi di nozioni sconnesse, un disordine di idee. <strong>Il</strong><br />

vissuto soggettivo è quello di brancolare nel buio.<br />

<strong>Il</strong> buio<br />

Abbiamo visto che la creazione è spesso un atto che avviene nel buio. Anche i nostri comuni atti<br />

creativi talvolta avvengono nel buio; a volte uno si ritira nella penombra a pensare, più spesso<br />

decide di “dormirci sopra”. Abbiamo esempi storici molto evidenti di come la creatività sgorghi<br />

letteralmente dal buio; uno dei più emblematici è forse quello del chimico Kekoulé che dopo un<br />

lungo periodo in cui annaspava nel caos <strong>della</strong> ricerca sugli idrocarburi, nella penombra <strong>della</strong> sera<br />

ebbe un sogno ad occhi aperti e vide un’immagine uroborica che gli aprì la mente alla scoperta<br />

dell’anello benzenico 2 .<br />

<strong>Il</strong> buio però può essere inteso anche in un’accezione meno letterale, come fase di incubazione che<br />

precede l’emergere dei contenuti creativi. <strong>Il</strong> pulcino, covato nel buio dell’uovo per 21 giorni prima<br />

di uscire alla luce, viene citato in maniera ricorrente nelle metafore <strong>della</strong> creatività.<br />

Secondo un certo <strong>modello</strong>, il buio corrisponde a quella fase del processo creativo in cui si accumula<br />

una tensione sotterranea che poi sfocia in una subitanea rivoluzione. Accade così nella vita <strong>della</strong><br />

scienza: vi sono fasi di “scienza normale”, organizzate attorno a paradigmi dominanti e<br />

caratterizzate da “cambiamenti di routine” (Barnes); queste fasi, che possiamo assimilare al buio,<br />

accumulano un crescendo di tensione creativa che esplode in “cambiamenti rivoluzionari” quali, ad<br />

esempio, la rivoluzione copernicana o la teoria <strong>della</strong> relatività di Einstein. Accade così anche nella<br />

storia dell’evoluzione filogenetica: lunghi periodi di stabilità sono improvvisamente scossi da<br />

periodi di rapida e profonda trasformazione in cui l’organismo vivente reinventa aspetti importanti<br />

del proprio assetto e <strong>della</strong> propria esistenza.<br />

2 La scoperta <strong>della</strong> formula di struttura del benzene fu significativa nella storia <strong>della</strong> chimica. Questa sostanza ha la<br />

seguente struttura che, per certi versi, richiama l’immagine archetipica dell’ouroboros:<br />

CH<br />

⁄<br />

HC CH<br />

HC CH<br />

⁄<br />

HC


Propongo, inoltre, di leggere il buio come simbolo di introversione e di notare come l’atto creativo<br />

abbia bisogno di un momento di introversione: silenzio, raccoglimento, isolamento, solitudine,<br />

abbassamento degli stimoli sensoriali, eccetera.<br />

Negli stati introversivi hanno luogo un paio di fenomeni che sono importanti ai fini dell’esperienza<br />

creativa. Anzitutto, essendo rivolti al proprio mondo interno (intro-versi!), si è maggiormente<br />

recettivi nei confronti <strong>della</strong> propria interiorità. Ciò va di pari passo con un atteggiamento di<br />

disponibilità nei confronti dei contenuti interni, con una migliore accettazione. Non a caso<br />

l’immagine orientale che esprime simbolicamente la creatività è l’acqua; analogamente anche nel<br />

mito di creazione cristiano lo spiritus creator aleggia inizialmente sulle acque. Possiamo<br />

preliminarmente intendere l’acqua come elemento fluido, plastico, vitale ma dotato di una certa<br />

passività, cioè come immagine <strong>della</strong> recettività introversiva. Questo stato mentale in Cina viene<br />

chiamato wu wei e potremmo tradurlo con “lasciar accadere”; è un atteggiamento di delicata, libera<br />

accettazione nei confronti dei nostri contenuti interni.<br />

Ciò introduce un secondo elemento che spesso accompagna l’introversione: un certo abaissement<br />

du niveau mentale. <strong>Il</strong> livello di coscienza è una variabile importante nelle esperienze creative, le<br />

quali avvengono spesso in uno stato di ridotta vigilanza. Un esempio tipico è dato dalla “creazione<br />

per caso”; lo abbiamo incontrato nel mito, lo incontriamo spesso nella realtà: Wiliam Perkins scoprì<br />

i coloranti sintetici mentre era concentrato nella sperimentazione su un chinino (Goleman, 1992, p.<br />

45). A volte sembra che davvero che nell’inconscio qualcosa si metta in moto autonomamente,<br />

invalidando ogni teoria psicologica “reattiva”, fondata cioè sul principio <strong>della</strong> causa ed effetto,<br />

dell’azione e reazione.<br />

E’ frequente che la soluzione di un problema o la strategia per affrontare una difficoltà ci venga in<br />

mente mentre stiamo facendo altro, mentre siamo soprappensiero, mentre ci stiamo truccando o<br />

facendo la barba, cioè quando il livello di concentrazione sul problema è basso. Si ricorderà che nel<br />

mito Achomawi la Volpe crea l’universo mentre il Coyote, suo partner creatore, dorme. In una<br />

ricerca, alcuni scienziati riferiscono di aver trovato la chiave di qualche problema “mentre lavavo i<br />

piatti”, “mentre guidavo”, “a cena coi colleghi”, “viaggiando in treno” (Melucci, 1994, p. 66).<br />

M. L. von Franz osserva che questa alterazione del livello di coscienza può essere pervasiva e<br />

stabile oppure alluvionale e occasionale; cita ad esempio due temperamenti artistici quasi opposti:<br />

van Beethoven che viveva in uno stato mentale quasi stabilmente alterato e Goethe che invece<br />

conosceva momenti solo occasionali di alterazione, spesso innescati dall’esperienza amorosa<br />

(ibidem, p. 65).<br />

La ricerca di uno stato di coscienza modificato induce talvolta all’uso di sostanze psicodislettiche.<br />

Vi sono artisti che fanno ricorso a queste sostanze nel loro lavoro creativo; altri –non<br />

necessariamente artisti- parlano di una spiccata immaginazione creativa sperimentata in stati di<br />

coscienza alterati da sostanze. Alcuni studiosi (S. Grof ad esempio) sono sostenitori del ruolo<br />

positivo che certe sostanze esercitano sull’esperienza creativa; ma molti altri (Arieti in primis)<br />

assumono posizioni molto critiche nei confronti di queste pratiche.<br />

Uno degli effetti concreti e frequenti delle sostanze psicodislettiche consiste nell’accentuare i<br />

sentimenti di inflazione che spesso accompagnano l’esperienza creativa. E’ facile riscontrare difatti<br />

che “quando è ancora in noi, l’idea [creativa] ci appare straordinaria, ma quando la portiamo alla<br />

luce subisce sempre una riduzione relativa: è la montagna che partorisce il topolino” (von Franz, op.<br />

cit., p. 85). Per la psicologia archetipica l’atto creativo comporta una contaminazione di tutto<br />

l’inconscio da parte dell’idea creativa e ciò induce un sentimento inflazionato di sé; si ha cioè<br />

l’impressione di essere sul punto di afferrare qualcosa di rivoluzionario, di grandioso, che<br />

sconvolgerà la ricerca futura, che non è mai stato visto prima con tanta chiarezza e ampiezza.<br />

Queste sensazioni sono particolarmente vivide durante le esperienze psicodislettiche e il confronto<br />

con la realtà, poi, è proporzionalmente deludente.<br />

Creator Spiritus


Dante, dopo aver vagato per un certo tempo nel caos e nel buio <strong>della</strong> selva oscura, viene<br />

improvvisamente accecato e tramortito da un fulmine. Quando vede la luce è al di qua<br />

dell’Acheronte, quando il tuono lo risveglia è al di là. <strong>Il</strong> suo genio poetico non ci dice come è<br />

accaduto questo passaggio; ci dice solo che esso accade.<br />

Lo stesso inesplicabile “salto” avviene in molte forme dell’esperienza creativa: si annaspa nel buio,<br />

ci si dibatte nel caos e improvvisamente ci si ritrova la soluzione tra le mani, senza sapere come si<br />

sia arrivati a quell’idea, a quella comprensione. I termini che spesso invochiamo per descrivere<br />

quest’esperienza sono quelli di ispirazione o di intuizione.<br />

L’intuizione, nella psicologia junghiana, è una funzione conoscitiva che non passa né attraverso la<br />

sensazione né attraverso il pensiero. In altre parole entriamo in possesso di un’informazione senza<br />

l’uso degli organi di senso e senza l’azione dei processi mentali coscienti; potremmo definire<br />

l’intuizione una percezione che avviene a livello inconscio. Per questo essa ci risulta estranea (“mi è<br />

venuta”), inspiegabile (come si potrebbe rendere conto di una cosa che non conosciamo?!) e<br />

improvvisa (in realtà ciò che percepiamo come istantaneo è il passaggio dell’informazione dallo<br />

strato inconscio a quello conscio). In questo senso –come dice Jung- “l’intuizione ci precede”: essa<br />

giunge cioè là dove il conscio non è ancora arrivato e ha il carattere dell’impulso autonomo. Tutte<br />

queste caratteristiche e queste descrizioni si fanno chiare se consideriamo l’atto intuitivo come un<br />

processo conoscitivo che si forma nell’inconscio.<br />

Una delle forme in cui si esprime di preferenza l’ispirazione creativa è la fantasia. Essa costituisce<br />

una sorta di fil rouge che caratterizza sia le forme più elevate che quelle più ordinarie <strong>della</strong><br />

creatività, quasi un ingrediente fondamentale e qualificante. Ad essa sono riconducibili alcune<br />

caratteristiche salienti dell’atto creativo: salto rispetto alla strutturazione del reale; stranezza e<br />

assurdità concettuale; carattere inatteso e sorprendente che colpisce. Una certa concezione <strong>della</strong><br />

creatività identifica con la fantasia l’intero processo creativo e identifica i “creativi” con chi per<br />

lavoro sforna immagini e slogan capaci di far colpo, di sbalordire, di colpire con la loro bizzarria,<br />

stranezza, imprevedibilità. Ma questa è solo l’“ombra” <strong>della</strong> creatività; è un aspetto,<br />

artificiosamente dilatato, di un processo più complesso e più fecondo. Veri professionisti <strong>della</strong><br />

fantasia sono invece i bambini, la cui attività mentale è popolata di immagini, è ampiamente<br />

svincolata dal principio di realtà ed è in forte connessione con l’inconscio. La danza di idee e di<br />

immagini che popolano la fantasia e il gioco infantile (gioco sarà un altro termine centrale per<br />

comprendere la creatività) è il riscontro quotidiano e concreto <strong>della</strong> “danza di Shiva” che nella<br />

mitologia induista crea (o ricrea) in quel modo l’universo .<br />

La fantasia rimanda non tanto all’infanzia personale, quanto all’infanzia archetipica, cioè<br />

all’archetipo del Puer. Esso costella un complesso di caratteristiche che spesso si ritrovano (con<br />

diversi gradi di intensità o di “gravità”) proprio nelle personalità creative. Tra le più importanti:<br />

travagliato adattamento al reale, stile di vita provvisorio (provisional life), intolleranza per gli<br />

schemi e le ingabbiature, invenzione di stili anticonvenzionali, amore per l’impossibile, idealismo<br />

da sognatore e fantasia molto vivida, atteggiamento ludico, estetismo ed ebbrezza. Spesso queste<br />

caratteristiche vengono percepite come negative, ma Guilford (1967) ipotizzò una “personalità<br />

creativa", attribuendole flessibilità (dunque rifiuto degli schemi), fluidità (dunque assenza di<br />

rigidità), originalità (dunque stile anticonvenzionale), capacità di analisi e sintesi (dunque vivacità).<br />

Per sua stessa natura la fantasia ha il carattere dell’assurdo, dell’irreale, dell’inusuale.<br />

In ciò sta anche un elemento caratteristico dell’atto creativo: quello di ribaltare la visione, di<br />

introdurre un’angolatura mai contemplata, di porre domande più ancora che di conoscere risposte.<br />

Parsifal, che sappiamo alla ricerca del misterioso Graal, un giorno giunse alla corte di Amfortas<br />

dove vide l’oggetto <strong>della</strong> sua ricerca passargli proprio davanti al naso. Ma non riuscì a toccarlo né a<br />

possederlo né a conoscerlo per “non aver saputo porre la domanda”. Parsifal è qui un’immagine<br />

dell’ordinario stato di coscienza che non sa “porre la domanda” o che non sa porla in modo<br />

fecondo, creativo. Per fare questo è spesso necessario un sovvertimento dell’ordine cosciente,<br />

un’innovazione che proviene da un altrove (l’inconscio) e che viene introdotta dalla fantasia,<br />

dall’ispirazione creativa. Hillman (1988) ascrive al puer il non banale compito di dare voce e vita


alle immagini <strong>della</strong> fantasia, di mantenere pervia la via dei contenuti inconsci e di sospingerci<br />

incessantemente verso l’alto. Ciò non accade nell’infantilismo puerile, ma nel momento in cui il<br />

puer dà voce (a volte impudica e impudente) allo spiritus creator.<br />

L’ illuminazione<br />

<strong>Il</strong> fenomeno creativo ha sempre il carattere di un “salto”. E’ un atto rivoluzionario nel senso che<br />

ribalta (rivoluziona) l’assetto esistente. “Se uno continua a fare quello che ha sempre fatto,<br />

continuerà a ottenere quello che ha sempre ottenuto”, dice Larry Wilson (in Goleman, op. cit., p.<br />

147).<br />

In termini più propriamente psicologici, Guilford (1971) parla di “pensiero divergente”,<br />

caratterizzato da flessibilità, fluidità e originalità. Grazie a queste caratteristiche esso sovverte,<br />

capovolge la percezione del campo, la sequenza di operazioni già apprese, le strategie di soluzione<br />

già collaudate. Nell’uomo il pensiero creativo è spesso supportato dal “pensiero <strong>della</strong> mano<br />

sinistra”, ovvero dalle funzioni dell’emisfero sinistro, più estranee -come noto- ai processi logicodeduttivi<br />

e razionali in genere.<br />

Manifestazioni di pensiero divergente si incontrano anche negli animali.. Köhler ha condotto<br />

esperimenti probanti e interessanti sulle scimmie antropoidi già fra il 1910 e il 1920. Ad esempio<br />

una scimmia veniva istruita a salire su una pila di scatole per raggiungere delle banane e, in altra<br />

situazione, veniva addestrata ad usare un bastone per spingere una leva molto in basso. Messa in<br />

una situazione insolita (una gabbia con delle banane in alto, ma in cui non c’erano scatole su cui<br />

salire e c’era invece un bastone), improvvisamente essa rovesciava gli schemi appresi e cercava di<br />

afferrare le banane per mezzo del bastone. Esempio manifesto di creazione (apparentemente) ex<br />

nihilo.<br />

La creazione ha sempre come esisto quello di produrre qualcosa di nuovo; in questo senso i miti<br />

cosmogonici sono l’espressione esemplare <strong>della</strong> creatività. A livello ordinario l’esperienza creativa<br />

è vissuta come la capacità di fare e pensare qualcosa che nessuno aveva fatto o pensato prima. Non<br />

si tratta tanto di fare qualcosa di impossibile per gli altri, ma qualcosa che non era stato concepito<br />

prima: ciascuno di noi si sente in grado di dipingere come Kandinsky (“quello riesco a farlo<br />

anch’io”), ma ciò non sarebbe un’esperienza creativa; atto veramente creativo fu il concepire un<br />

dipinto accostando figure geometriche semplici.<br />

La creazione è sempre un’illuminazione. Abbiamo visto che frequentemente i miti cosmogonici<br />

narrano di un fiat lux. Da un punto di vista simbolico, si disse, la creazione <strong>della</strong> luce corrisponde a<br />

un incremento <strong>della</strong> consapevolezza; è un vederci più chiaro. La metafora <strong>della</strong> procreazione per<br />

esprimere il processo creativo a questo punto è completa: qualcosa di non conosciuto germina nel<br />

buio, necessita di un tempo di gestazione e alfine “viene alla luce”. Già Wallas (1926) distingueva il<br />

processo creativo in tre fasi: la preparazione, l’incubazione e l’illuminazione.<br />

E si tratta di un’illuminazione particolare: improvvisa, rivelatrice, dinamizzante. Non sempre è<br />

un’esperienza mentale, intellettuale. Nell’articolato universo egizio, la cosmologia tebana aveva in<br />

Ptah il suo deus faber. Ptah era un dio artigiano che plasmava l’universo sul suo tornio da vasaio;<br />

forse per questo un sinonimo egizio del verbo “creare” era khenem e il suo geroglifico era<br />

un’anfora di terracotta. La figura di Ptah è lì a testimoniare che talvolta la creatività avviene<br />

nell’atto stesso in cui si agisce: un ragazzino non ha idee, ma si mette a scrivere e i contenuti gli<br />

escono dalla penna; si potrebbe dire che apprende da ciò che ha scritto quello che pensava<br />

dell’argomento. Un artista non sa cosa produrrà, ma si mette al cavalletto e il dipinto prende forma<br />

quasi a sua insaputa.<br />

Nelle esperienze più intense la creatività ha il carattere molto singolare di “esperienza ottimale”: la<br />

motivazione proviene tutta da stimoli intrinseci e non da fattori esterni; il rapporto fra difficoltà del<br />

compito e capacità di superarle è vissuto con sentimento di piena adeguatezza; l’attenzione è<br />

focalizzata e non può essere distolta da nient’altro; spesso ne consegue distorsione <strong>della</strong> percezione<br />

temporale; si verifica un “flusso” spontaneo, sovrabbondante e lucido di pensieri; la persona è<br />

totalmente coinvolta nella sua azione e tuttavia molto consapevole di sé in modo così piacevole che


nient’altro sembra contare. Questa fenomenologia fa rientrare i momenti di illuminazione creativa<br />

fra le peak-experiences di Maslow e nelle sue forme più intense è assimilabile all’estasi (che è essa<br />

pure una “illuminazione”). La definizione di “esperienza di flusso” è stata introdotta da Mihalyi<br />

Csikszentmihalyi (1990), ma non si tratta di una scoperta: la psicologia analitica aveva riconosciuto<br />

da tempo lo statuto di peak experiences ai momenti e agli stati in cui l’io si trova in piena assonanza<br />

col Sé.<br />

<strong>Il</strong> tempo<br />

Nei miti delle origini alla creazione dell’universo spesso corrisponde anche la creazione del tempo:<br />

nella Genesi, ad esempio, la creazione è scandita nell’arco dei sette giorni. Nei miti greci il dio dei<br />

primordi è Kronos, il cui nome allude manifestamente a Chronos (tempo) e spesso il fatto che egli<br />

divori i suoi figli viene interpretato come allegoria del tempo che ingoia le sue creature.<br />

Nel nostro contesto questi aspetti del mito inducono a evidenziare che l’atto creativo deve<br />

confrontarsi con la dimensione temporale. Melucci recupera a questo proposito la dialettica di<br />

Calvino fra un “tempo di Vulcano”, che racchiuso nella sua fucina sotterranea e semibuia forgia<br />

metalli e fabbrica opere creative, e un “tempo di Mercurio”, dio esagitato e iperattivo, che è tutto<br />

azione e movimento (1994, p. 228). Non l’una o l’altra, ma entrambe queste dimensioni temporali<br />

appartengono all’atto creativo: chi fa <strong>della</strong> creatività un mestiere descrive spesso periodi di vuoto,<br />

inquietudine, fermento, incubazione, in cui la tensione creativa cresce (il “tempo di Vulcano”),<br />

seguiti da momenti di fervore, frenesia, attività, esaltazione, in cui la tensione creativa esplode e si<br />

scarica (il “tempo di Mercurio”) e alla fine svuotamento e bisogno di ricarica. Per Marcelle Spira<br />

(1986, p. 147) un <strong>modello</strong> psicobiologico molto arcaico di questo funzionamento potrebbe<br />

rintracciarsi già nel ritmo di incorporazione-espulsione con cui il neonato affronta sia gli stimoli<br />

esterni (il cibo, ad esempio), sia quelli interni (la propria aggressività, ad esempio).<br />

Troppo frequentemente l’atto creativo viene identificato con il momento espulsivo, quello in cui<br />

l’artefatto viene alla luce. Occorre però porre maggiormente l’accento sulla fase di incorporazione e<br />

di incubazione; questa è la vera fucina vulcanica <strong>della</strong> creatività. I germi creativi vanno coltivati in<br />

un adeguato clima introversivo e vanno affidati al tempo di Vulcano, che -a differenza di quello di<br />

Mercurio- è un tempo occulto, lento, di attesa. Proprio per la lentezza <strong>della</strong> gestazione Leonardo da<br />

Vinci riteneva opportuno mettere in fermentazione più progetti e lavorare a ciascuno solo al<br />

“momento giusto”, lasciandoli appena il flusso creativo si affievoliva.<br />

<strong>Il</strong> “momento giusto” corrisponde alla fase espulsiva del parto; nessuno può stabilire a priori quando<br />

avverrà. Soltanto una creatività che è l’ombra di se stessa può sfornare un’idea creativa a comando<br />

o a temine (in realtà, abbiamo visto che o creativi di professione spesso sfornano idee originali e<br />

provocatorie più che creative in senso pieno). Ciò significa che il fermento creativo non può essere<br />

interrotto prematuramente dalla compulsione ad agire; Dieter Baumann –noto analista junghiano<br />

che è anche nipote di Jung- rifiuta persino di parlare di un’idea, di un’intuizione fino a quando non<br />

è il “momento giusto”. E Jung scrisse le sue voluminose opere tutte a mano, con calligrafia<br />

volutamente lenta e curata per non bruciare la vena creativa col fuoco <strong>della</strong> frenesia.<br />

Per contro, rispettare la legge del tempo significa anche che un’idea non può essere trattenuta più<br />

del necessario: dopo un certo tempo avvizzisce e perde di significanza. L’esperienza creativa ci<br />

confronta, in altre parole, con la categoria del ritmo. Hanna Segal suggerisce che l’esperienza<br />

estetica e la nozione stessa di armonia, due aspetti rilevanti nelle produzioni creative, affondino le<br />

loro radici in esperienze biologiche arcaiche che sono ritmiche e totalizzanti: il respirare, il battito<br />

del cuore, il succhiare, il rapporto sessuale. I miti delle origini parlano lo stesso linguaggio quando<br />

narrano di Shiva che danza al ritmo <strong>della</strong> musica emessa da un flauto e con la sua danza segna la<br />

Mahapralaya (distruzione cosmica) e la restaurazione di un nuovo cosmo. La creatività è<br />

un’esperienza psichica che sta in bilico fra la destrutturazione del vecchio e l’invenzione del nuovo.


I meccanismi <strong>della</strong> creatività<br />

L’enigma <strong>della</strong> creatività<br />

Nel libro sapienziale cinese I Ching il primo dei sessantaquattro esagrammi è Kienn, il creativo e<br />

rimanda al cielo, al padre e alla forza. Nella sua struttura ci sono cioè elementi che già conosciamo<br />

(la creatività come atto che si pone all’origine di salti conoscitivi ed esperienziali; la potenza <strong>della</strong><br />

creatività, eccetera), ma c’è anche un riferimento alla creatività come fenomeno celeste, divino. E,<br />

richiamando quanto precisato in apertura, divino implica anche una porzione di imperscrutabile.<br />

Lo stesso Freud, che per primo si occupò analiticamente dei fenomeni creativi e <strong>della</strong> creatività<br />

artistica in particolare, parlava di un fenomeno “psicologicamente ancora enigmatico” (1910/1974,<br />

p. 168) e diceva che “donde venga all’artista la capacità di creare non è problema <strong>della</strong> psicologia”<br />

(1913/1974, p. 269).<br />

E’ passato all’incirca un secolo da quegli scritti; soprattutto negli ultimi 30 anni gli studi sulla<br />

creatività si sono moltiplicati, ma il nucleo di questo fenomeno rimane “psicologicamente ancora<br />

enigmatico”. E forse manterrà sempre un nucleo inaccessibile ed enigmatico, se è vero che la<br />

creatività è atto squisitamente divino (che attiene dunque alla totalità psichica nel suo insieme,<br />

espressamente comprensiva di un aspetto inconscio).<br />

La sorgente dei contenuti<br />

Occorrerà partire proprio di qui: dalla creatività come fenomeno che attinge all’inconscio.<br />

Naturalmente è necessario accettare prima l’ipotesi dell’inconscio.<br />

L’inconscio è quella porzione <strong>della</strong> personalità totale che non è assoggettata ai processi di<br />

adattamento alla realtà (Io), né alle norme e alle costrizioni sociali (Super-io). Ciò rende ragione del<br />

fatto che la fantasia, il cui ruolo nell’atto creativo abbiamo visto centrale, goda di un particolare<br />

statuto di libertà. Essa in effetti è attività di pensiero sottratta al principio di realtà e quindi ispirata<br />

essenzialmente al principio del piacere o, più genericamente, alla logica dell’inconscio. Di qui<br />

l’intenso godimento che accompagna l’esperienza creatrice, ma anche il carattere sovversivo<br />

dell’atto creativo e, al suo estremo, il temperamento asociale, irriverente o anarchico delle<br />

personalità dominate dalla funzione creatrice. <strong>Il</strong> gioco dei bambini è espressione pressoché pura<br />

<strong>della</strong> “fantasia al potere”, ma anche nell’adulto sopravvive una certa parte di pensiero esentato dal<br />

principio di realtà, ad esempio nei sogni ad occhi aperti o, appunto, nel pensiero creativo. Diremo<br />

meglio che la creatività è intermedia fra realtà e fantasia e che non è unicamente inconscia e<br />

anarchica rispetto alla realtà. Tra l’altro, ciò sarà un criterio per discriminare fra creatività e<br />

patologia.<br />

La fantasia è una forma di pensiero assai singolare; Arieti parla di una “pensiero paleologico” e lo<br />

accosta al pensiero mitico dei popoli antichi o delle culture aborigene. Esso è essenzialmente<br />

figurativo anziché verbale; tende a dare spessore concreto alle parole e ad alterare il rapporto<br />

parola-significato; si fonda sulla somiglianza e sulla contiguità; genera metafore e similitudini; è<br />

intriso di processo primario. La funzione creativa dunque attinge ai livelli più arcaici <strong>della</strong> psiche<br />

umana. Anche per Jung l’impulso creativo si muove in uno scenario di immagini e di fantasie “che<br />

scaturiscono da un mondo interiore e generano forme cangianti ora plastiche ora fantasmagoriche”<br />

(1952/1970, p. 34). Noi facciamo uso quotidiano di questo pensiero ogniqualvolta ridiamo di una<br />

barzelletta, o facciamo una battuta di spirito o organizziamo uno scherzo. L’umorismo è una delle<br />

forme creative più usuali e talvolta più gioiose.<br />

La funzione creativa dunque attinge ai livelli più arcaici e inconsci <strong>della</strong> psiche umana e nel fare ciò<br />

il pensiero creativo fa abbondante ricorso a una categoria mentale particolare che si chiama<br />

simbolo. Spesso utilizza simboli già elaborati dal pensiero mitologico come nell’immagine<br />

dell’ouroboros vista da Kekulé. F. Capra ha fornito molti esempi di come le moderne teorie<br />

scientifiche riformulino con termini nuovi gli stessi simboli dell’antichità. Ad esempio, la<br />

concezione dell’ “universo dinamico” ripropone l’immagine di Shiva il Danzatore Cosmico; la<br />

teoria duale <strong>della</strong> materia (come particella e come onda) richiama la dualità del taoismo; la polarità<br />

delle cariche nell’atomo (positiva nel nucleo e negativa negli elettroni) rispecchia la polarità del


T’ai chi, eccetera. Altre volte la creatività produce simboli nuovi; esempi frequenti si ritrovano nella<br />

creatività artistica, che costituisce uno strumento interessante attraverso cui contenuti inconsci<br />

producono forme simboliche continuamente attuali.<br />

Sarebbe interessante aprire qui una comparazione fra creatività corrente e creatività artistica. Mi<br />

limiterò a sollecitare la riflessione proponendo un’osservazione che si fonda sulla prossimità fra atto<br />

creativo e inconscio. I miti di creazione ci dissero, difatti, che lo spiritus creator ha sempre carattere<br />

divino e che quindi attiene in maniera sostanziale alle dimensioni inaccessibili, imperscrutabili e<br />

ignote <strong>della</strong> psiche. L’ipotesi che suggerisco è che la creatività artistica sappia esprimere delle realtà<br />

inconsce collettive. Alcune opere creative darebbero forma cioè a contenuti dell’inconscio<br />

collettivo, i quali si avvicinano alla coscienza grazie a esse. Ciò comporterebbe un corteo di<br />

sensazioni, di emozioni e anche di conoscenze (illuminazioni) che caratterizzano l’esperienza<br />

artistica, sia nella sua forma attiva (la creazione) sia in quella recettiva (la fruizione).<br />

L’inconscio come polo conflittuale<br />

L’abusato termine “inconscio” sta perdendo il suo potenziale semantico, per cui può non essere<br />

superfluo richiamare che, al fondo, esso designa qualcosa che è antagonista del conscio, che è<br />

estraneo al conscio, che non può (!) essere conscio, salvo non chiamarsi più così e non essere più<br />

tale. Corollario: attingere all’inconscio significa attingere a contenuti che sono antagonisti del<br />

nostro modo di pensare, delle nostre convinzioni, di noi stessi. Sono il nostro polo conflittuale.<br />

La psicoanalisi <strong>della</strong> prima ora ne dedusse che la creatività (soprattutto la creatività artistica) dà<br />

voce e forma ai conflitti <strong>della</strong> psiche. Gli studi freudiani sull’Edipo di Sofocle o sull’Amleto di<br />

Sakespeare si fondano su questo assunto. Secondo Freud certi capolavori diventano immortali<br />

quando rappresentano conflitti che caratterizzano l’uomo da sempre e per sempre. “Le opere d’arte<br />

sarebbero soddisfacimenti fantastici di desideri inconsci … e dovrebbero saper evitare il conflitto<br />

aperto con le forze <strong>della</strong> rimozione” (1925/1978, p. 131). Da questo punto di vista gli artisti sono<br />

stati anticipatori delle conoscenze psicoanalitiche e interpreti di conflitti che accomunano ciascuno<br />

di noi. Per questa ragione il regista Ingmar Bergmann è stato proclamato psicoanalista honoris<br />

causa.<br />

Secondo questa filiera logica i nuclei conflittuali (e a fortiori i conflitti nevrotici, che sono quelli<br />

più aggrovigliati e di maggiore investimento energetico) sono la vera sorgente <strong>della</strong> creatività.<br />

Rank, dando sviluppo più pieno a questo concetto, colloca nelle tendenze patografiche dell’artista la<br />

sua vena creativa. Un esempio evidente per lui è dato dalla figura di E. A. Poe, la cui madre morì<br />

che egli aveva tre anni. La sua fissazione materna avrebbe determinato sia la ricerca di partner<br />

dall’aspetto smorto, ammalate di tubercolosi e destinate alla morte, sia la frequente introduzione di<br />

figure simili nei suoi scritti. Secondo questa lettura il conflitto inconscio e il conflitto nevrotico in<br />

particolare sono la vera sorgente <strong>della</strong> creatività.<br />

Una lettura che in 90 anni di storia non è andata esente da critiche.<br />

Un secondo approccio alla questione vuole che la creatività non sia solo una rappresentazione del<br />

conflitto, quanto un tentativo di risolverlo. In quest’ottica la creatività (quella artistica in<br />

particolare) si propone come via privilegiata per conciliare le polarità del conflitto e i contrasti fra<br />

conscio-inconscio, realtà-piacere, Io-Ombra, Persona-Anima, eccetera. In effetti, anche la rilettura<br />

del mito di creazione fatta da Guccini colloca Lucifero accanto a Dio fin dal primo momento <strong>della</strong><br />

creazione; coppie di creatori antagonisti fra di loro compaiono, poi, in molti miti di creazione<br />

(compreso quello citato <strong>della</strong> Volpe e del Coyote). L’esempio mitologico più esplicito è dato dalla<br />

cosmogonia persiana in cui il dio Ahura Mazdah esiste dall’eternità in eterna luce e onniscienza, ma<br />

contemporaneamente a lui esiste dall’eternità Ahriman, nelle profondità e in eterna tenebra. Più<br />

recentemente, la teoria di Jordan e Dirac sulla formazione dell’universo ipotizza che il cosmo abbia<br />

avuto origine da due elettroni gemelli.<br />

Forse questa struttura archetipica parla di tendenze antitetiche onnipresenti nella psiche, da cui<br />

scaturisce l’impulso creativo; in questo senso per M. L. von Franz “ogni impulso creativo racchiude<br />

sempre un sì e un no, un aspetto attivo e uno passivo” (op. cit., p. 82). M. Klein ha rintracciato la


prima, clamorosa manifestazione di questi opposti nella polarità distruzione-riparazione che il<br />

neonato nutre nei confronti del seno: impulsi distruttivi verso il seno frustrante e impulsi riparativi<br />

di desiderio e di riparazione verso il seno nutriente. Per l’Autrice, l’esigenza di dominare oggetti e<br />

impulsi cattivi alimenta la prima ricerca di compiutezza e armonia. La prima creatività, per la Klein,<br />

attinge al senso di colpa e ai sentimenti depressivi, al bisogno di riparare, alla ricerca -dentro e fuori<br />

di sé- di oggetti integri, completi, belli che il bambino credeva perduti a causa <strong>della</strong> propria<br />

distruttività. E’ in questo contesto che mi piace leggere l’espressione di van Gogh: “per non<br />

lasciarmi andare alla disperazione ho scelto la malinconia attiva. Ho preferito la malinconia che<br />

spera a quella cupa e sterile che dispera”. Per lui, purtroppo, era solo una dichiarazione d’intenti.<br />

Secondo M. Klein questa polarità è così primitiva da costituire un <strong>modello</strong> universale delle tensioni<br />

amore-odio e, più genericamente, <strong>della</strong> polarità vita–morte, eros–thanatos (1963/1972, p. 76-77).<br />

Con la felice espressione di Stokes la tensione degli opposti psichici, la tensione “eros–thanatos<br />

costituisce il basso continuo che accompagna la melodia delle immagini di integrazione usate in<br />

armonia per creare la musica <strong>della</strong> Forma” (1955/1966, p. 527). Quanto sia potente questa tensione<br />

fra istinto di vita e istinto di morte appare con evidenza, ad esempio, nella produzione letteraria di<br />

Nietzsche, la cui creatività si regge in perenne e instabile equilibrio fra Cristo e Anticristo, fra<br />

moralità e immoralità, fra bene e male (Spira, 1986, p. 69).<br />

Rispetto a M. Klein, Winnicott sposta il focus dell’attenzione, ma non muta lo schema<br />

interpretativo, quando ricerca la prima matrice <strong>della</strong> creatività nella formazione di oggetti<br />

transizionali. Com’è noto, si tratta di oggetti, come il “ciuccio”, il peluche o la coperta di Linus, che<br />

nella fantasia infantile costituiscono un surrogato materno che aiuta a superare le primitive fasi di<br />

attaccamento. Esperienze normali e violente come la separazione, l’allontanamento, lo svezzamento<br />

mobilitano strategie psichiche per fronteggiarle. E’ lì che la fantasia del bambino introduce una<br />

trasformazione nella percezione di un qualche oggetto (la coperta di Linus o il peluche o il<br />

succhiotto), il quale viene trasfigurato e da oggetto reale diventa oggetto simbolico. Una<br />

deformazione creativa lo trasforma in alleato con cui affrontare il distacco, lo svezzamento, la vita.<br />

Anche Jung, che ha dato enorme rilievo agli opposti psichici, vede nella funzione creativa uno<br />

strumento di sintesi grazie al quale tentare un’impossibile conciliazione. Neumann svilupperà le<br />

intuizioni del maestro rintracciando in certe forme di creatività un tentativo di ridurre la tensione fra<br />

gli archetipi dell’Ombra e <strong>della</strong> Persona (1978, p. 34-35).<br />

Tutte le osservazioni analitiche qui accennate convergono sulla convinzione che la fantasia tenti di<br />

ripristinare la pienezza perduta attraverso la formazione di simboli. La funzione creativa consente<br />

così di non vivere il passato come perdita e disperazione e di riformulare il presente come<br />

possibilità di benessere e come occasione di ripristinata pienezza. Le fantasie suscitate dai conflitti<br />

più arcaici alimentano la prima formazione di simboli e la creatività adulta attinge a queste forze<br />

emozionali originarie e potentissime attraverso il simbolo. Di conseguenza la ricerca psicologica si<br />

va interessando sempre più alla creatività come fenomeno che non si limita a riprodurre il conflitto,<br />

ma che ne inventa delle soluzioni. Si va interessando anche ai meccanismi attraverso cui si realizza<br />

questo obiettivo.<br />

Fin dagli inizi del secolo XX si riconobbe nella creatività il meccanismo <strong>della</strong> sublimazione:<br />

impulsi inaccettabili dal punto di vista del reale vengono modificati creativamente fino al punto di<br />

poter essere agiti. La pittura di Ligabue sarebbe così una sublimazione di impulsi aggressivi che non<br />

possono essere agiti come tali, esattamente come il gioco <strong>della</strong> guerra o dei cow-boy per i bambini o<br />

le storie che molti genitori inventano ogni sera per addormentare i figli piccoli.<br />

Più tardi l’attenzione si è appuntata sulle cosiddette “componenti narcisistiche” <strong>della</strong> creatività.<br />

Essa, in effetti, alimenta l’illusione di una certa onnipotenza quando trova gratificazioni che la<br />

realtà non consente. C’è un’aria di trionfo nelle scimmie che improvvisamente hanno<br />

l’illuminazione di come arrivare alla banana; la stessa aria di esaltazione si legge sul viso del<br />

bambino che col celebre “gioco del rocchetto” 3 riesce a padroneggiare l’angoscia di<br />

3 <strong>Il</strong> gioco del rocchetto è celebre nella letteratura psicoanalitica: un bambino piccolo gioca con un rocchetto legato a un<br />

filo e lo lancia oltre in un luogo fuori dalla propria vista, gridando “ooh!”; poi lo recupera, tirando il filo e gridando


allontanamento. Nella creatività si tende a riconoscere una forma evoluta e sana del narcisismo<br />

primario, che assolve funzioni di sintesi fra istanze contrapposte <strong>della</strong> vita psichica e tende a una<br />

sostanziale armonia interna.<br />

Arieti (1979) ha tratto tutto ciò entro la sua teoria <strong>della</strong> funzione creativa quale “processo terziario”<br />

che fa da ponte e da sintesi fra il processo primario (inconscio ed emozionale) e quello secondario<br />

(conscio e razionale), fondendo le caratteristiche di entrambi in un’esperienza che rimane carica<br />

dell’energetica e dell’emozionalità dell’inconscio, ma che non si sottrae anarchicamente<br />

all’esigenza di fare i conti con la realtà.<br />

A ben vedere, nel ripercorrere le posizioni di Freud, Klein, Winnicot, Jung, Arieti (e di altri) si<br />

compie un progressivo viraggio verso una visione sempre meno patologica e sempre più elevata<br />

<strong>della</strong> funzione creativa. Essa viene progressivamente sottratta alle radici nevrotiche <strong>della</strong> personalità<br />

e viene configurata come operazione sana e costruttiva <strong>della</strong> vita psichica. In questa prospettiva si<br />

potrebbe persino dire che l’artista non crea a causa <strong>della</strong> sua nevrosi, ma nonostante la sua nevrosi.<br />

Si profila in questo modo una concezione esistenziale, secondo cui la creatività appartiene al talento<br />

umano e non alla patologia umana. La creatività è un’esperienza dotata di senso e che introduce al<br />

senso profondo delle cose.<br />

<strong>Il</strong> senso <strong>della</strong> creatività<br />

Perdita di senso e ricerca di senso<br />

Ciò significa anche che tra creatività e follia corrono più differenze che somiglianze.<br />

L’affinità fra i due fenomeni (quella che sta alla base degli originari accostamenti <strong>della</strong> creatività<br />

alla follia) si fonda in primo luogo sul contatto estremamente ravvicinato con l’inconscio: la<br />

creatività come la follia attinge certamente ai contenuti dell’inconscio. La storia dell’arte è<br />

costellata di figure (da van Gogh a Nietzsche, da Behetoven a Nerval) il cui Io si è frantumato in<br />

questo incontro ed è stato devastato dalle energie sprigionatesi dall’inconscio. M. Spira (op. cit. p.<br />

144) paragona questo fenomeno a quanto avviene nel bombardamento atomico: “in analogia con la<br />

fisica nucleare, può essere rappresentato nella forma di bombardamento dell’atomo e come<br />

conseguenza del bombardamento energetico intollerabile che ciò comporta”. Non diversamente per<br />

Jung: l’impulso creativo è concepito come un istinto di base <strong>della</strong> personalità, ma quando esso non<br />

viene adeguatamente contenuto e organizzato all’interno del processo di individuazione, la<br />

dirompente potenza degli archetipi dilaga ed è devastazione psichica. La creatività, e in questo sta<br />

una delle differenze sostanziali rispetto alla follia, è sempre alla ricerca di un “equilibrio fra le forze<br />

contenute, guidate, controllate e quelle che esplodono…, facendo ogni individuo un potenziale<br />

artista in continua possibilità di essere o di non-essere” (Spira, op. cit., p. 165).<br />

In secondo luogo creatività e follia hanno in comune il fenomeno dell’originalità,<br />

dell’imprevedibilità, <strong>della</strong> bizzarria. Ma qui scattano immediatamente le differenze. Perché il delirio<br />

(o l’allucinazione) sono dissociativi, frutto di scissione e frammentazione, mentre la creatività<br />

possiede un’intrinseca funzione sintetica. <strong>Il</strong> sintomo, inoltre, è statico e ripetitivo; la creatività,<br />

invece, per sua essenza è innovativa. La follia è strana, ma assurda; la creazione è strana, ma<br />

portatrice di senso. Essa si muove squisitamente in direzione dell’espansione <strong>della</strong> coscienza è non<br />

è bizzarria dovuta alla restrizione di coscienza: Hillman ha sondato le varie forme del processo<br />

creativo come percorso di espansione <strong>della</strong> coscienza. In questo senso la psicoanalisi è stata una<br />

grande, collettiva operazione di creatività che ha ripercorso temi e simboli già espressi dai pionieri<br />

<strong>della</strong> vita psichica (poeti e artisti), ma con l’aggiunta <strong>della</strong> scoperta del senso interno alle loro<br />

figure, immagini e simboli. Tutto ciò si declina anche nel più ordinario livello dell’analisi<br />

individuale: vivere creativamente la sofferenza è la base per un’acquisizione di senso e diventa<br />

strumento elettivo di guarigione psichica.<br />

“aah! "con grande soddisfazione. Questo gioco è stato interpretato come una creativa operazione di controllo<br />

sull’allontanamento di ciò che esce dal suo campo visivo (“ooh” starebbe per fort: “via”; “aah!” starebbe per da:<br />

“qua”). In questo gioco il bambino acquista il potere e il controllo sulla situazione: tirando il filo può far riapparire a<br />

sua discrezione l’oggetto scomparso e ciò gli dà quella sensazione trionfante con cui grida “aah”: “qua”.


Con un rapido inciso collocherei in questo contesto anche un ulteriore elemento distintivo <strong>della</strong><br />

creatività: la passione. La passione caratterizza l’eros, così che ogni creazione è “una fatica<br />

d’amore” (Goleman, op. cit., p. 33). Del resto non è una scoperta per nessuno che l’amore sfocia<br />

spesso in una creazione o pro-creazione. L’amore è creativo per sua natura.<br />

In terzo luogo, il contatto creativo con le immagini dell’inconscio può sfiorare il delirio, ma rimane<br />

distinto da esso. L’autobiografia di Jung registra un suo incontro con le figurazioni dell’inconscio a<br />

Ravenna (1934), quando vide alle pareti del Battistero degli Ortodossi quattro mosaici che non ci<br />

sono mai stati e in particolare l’immagine di Pietro che sta per annegare nelle acque del mar di<br />

Tiberiade. Quelle immagini gli diedero la misura di quanto reale sia il rischio di perire nel confronto<br />

con l’inconscio. Esse entrarono anche nella sequenza di immagini da cui egli trasse la convinzione<br />

che l’Europa fosse, come in realtà era, sull’orlo di un naufragio collettivo (la seconda guerra<br />

mondiale).<br />

Ciò consente di riflettere sul fatto che la funzione creativa, grazie al suo contatto ravvicinato e<br />

fecondo con l’inconscio, è uno strumento molto particolare di conoscenza. Se la follia segna la<br />

perdita del senso (immagini senza senso per la persona, discorsi senza senso per chi ascolta,<br />

messaggi senza senso sussurrati dalle “voci”), la cifra specifica <strong>della</strong> creatività è la “presa di senso”.<br />

L’atto creativo squarcia le tenebre e ciò che prima era confuso e buio ora diventa chiaro e prende<br />

senso. Fu pioniere di questa convinzione Groddeck, il quale considerava creativa non solo la<br />

produzione artistica, ma l’atto di comprensione in genere, la “captazione del senso profondo che<br />

nasce dalle radici inconsce dell’individuo, radici che, costituendo l’essenza stessa <strong>della</strong> vita, sono<br />

comuni a tutti gli uomini” (De Caroli, 1996, p, 39).<br />

Per questa via si consuma anche il processo di differenziazione e di autonomia dell’atto creativo,<br />

che cessa di essere identificato con l’arte. La fantasia, il pensiero immaginativo e la funzione<br />

creativa attingono all’inconscio, con-tengono le polarità psichiche, arrecano senso non solo quando<br />

“fanno arte”.<br />

Per Jung le enormi potenzialità <strong>della</strong> funzione creativa derivano dal contatto con l’inconscio<br />

collettivo, al quale egli ascrive espressamente “una disposizione psichica di tipo creativo”<br />

(1936a/79, p. 547-8). Grazie al carattere universale dell’inconscio collettivo, il pensiero creativo che<br />

attinge ai suoi simboli finisce per parlare un linguaggio universale, come testimonia non solo la<br />

produzione artistica, ma ogni produzione simbolica (narrazioni, miti, leggende, sogni, disegni,<br />

giochi, eccetera). Inoltre i simboli dell’inconscio collettivo possiedono un carattere numinoso che<br />

conferisce loro potenza evocativa e un forte impulso dinamico, una forte spinta all’azione. M.<br />

Eliade ha sviluppato osservazioni e commenti interessanti da questo punto di vista, ad esempio<br />

sull’arte di Brancusi e sul modo di accostarsi alla pietra di questo artista; un incontro con un<br />

simbolo archetipico, con una ierofania antica che manteneva tutta la carica, la reverenza, la sacralità<br />

e la potenzialità espressiva che lo spirito umano ha sempre sperimentato nel suo accostarsi alla<br />

pietra. Riflessioni analoghe si potrebbero sviluppare a proposito di moltissime altre espressioni<br />

artistiche; a solo titolo di esempio: quelle di Moore e di Botero sono interessanti elaborazioni in<br />

chiave moderna dell’archetipo <strong>della</strong> Grande Madre. Ma le stesse riflessioni possono applicarsi<br />

anche al disegno infantile: non sono diversi –da questo punto di vista.- i “cefalopodi” che decorano<br />

le pareti di tutti gli asili e i disegni <strong>della</strong> donna fatta a palla che ogni insegnante conosce.<br />

L’inconscio collettivo come sostrato generale cui attinge la psiche individuale è un costrutto<br />

psicologico che rende ragione di ulteriori fenomeni <strong>della</strong> creatività. E’ noto, ad esempio, che certe<br />

scoperte scientifiche sono di difficile attribuzione perché due o più ricercatori giungono pressoché<br />

contemporaneamente agli stessi risultati. In psicologia, ad esempio, Desoille in Francia e Leuner in<br />

Germania svilupparono due tecniche sostanzialmente identiche negli stessi anni e ognuno<br />

all’insaputa dell’altro. A livelli molto più ordinari molti di noi hanno avuto delle piccole<br />

illuminazioni, che poi hanno trovato scritte –magari in termini più felici- da Autori più affermati.<br />

Spesso questi fenomeni danno l’impressione di plagi o di imitazioni, ma in molte occasioni<br />

ricercatori diversi scoprono le stesse cose circa contemporaneamente e per vie indipendenti.


Potremmo dire che contenuti dell’inconscio collettivo giungono contemporaneamente a<br />

maturazione in aree diverse del tessuto collettivo e che si esprimono attraverso persone diverse.<br />

Naturalmente questo va tenuto distinto da quelle pseudo-scoperte che ci vedono affermare cose che<br />

con piena convinzione crediamo di avere intuito personalmente e che poi scopriamo di aver letto<br />

anni addietro. Qui si tratta di contenuti così profondamente introiettati che sono entrati a far parte<br />

<strong>della</strong> nostra individualità e che non vengono più riconosciuti come esterni/estranei a noi.<br />

Ciò introduce a un ulteriore elemento dinamico del processo creativo: la creatività è espressione<br />

alta, eccellente <strong>della</strong> soggettività. Gardner (1987) ha formulato la sua teoria <strong>della</strong> pluralità delle<br />

intelligenze secondo la quale esistono varie forme di intelligenza (linguistica, matematica, musicale,<br />

spaziale, cinestetica, interpersonale, intrapersonale). La creatività viene intesa non come una forma<br />

specifica di intelligenza, ma come un modo di eccellenza di utilizzare qualunque forma di<br />

intelligenza. Essa quindi va a caratterizzare lo stile personale del soggetto; ciò significa non solo<br />

che l’opera d’arte è intrisa <strong>della</strong> personalità dell’artista (Kouth, 1984, p. 298), ma anche che<br />

un’accentuata propensione creativa è pervasiva: “chi davvero crea è in ogni cosa creativo: dal<br />

curare la casa all’occuparsi dei figli, dal coltivare i campi all’insegnare, e così via” (Rossi e<br />

Travaglini 1997, p. 84).<br />

Si apre qui un capitolo estremamente interessante che investe il rapporto fra creatività e vocazione,<br />

dove per vocazione si intenda un progetto esistenziale assolutamente soggettivo che è contenuto<br />

nelle aree insondabili (inconsce) del Sé. E’ significativo che il termine tedesco Beruf (chiamata)<br />

designasse inizialmente la vocazione, ma che abbia finito per indicare la professione per effetto del<br />

processo di secolarizzazione promosso dal calvinismo. Dietro a tutto ciò sta la consapevolezza che<br />

la soggettività individuale costituisce un unicum, con caratteristiche specifiche di intelligenza, di<br />

talento e di inclinazione. La creatività appare come un modo di esprimere queste caratteristiche<br />

personali a livelli di eccellenza. Per Melucci essa è “un modo di porsi di fronte alla realtà,<br />

un’energia senza contenuto che rende capaci di organizzare il progetto di vita e di mettersi in<br />

rapporto con il futuro, una forma che il soggetto riconosce ed esprime nel linguaggio di una<br />

passione a fare certe cose, quale che sia il progetto che ha realizzato (op. cit., p. 247).<br />

Si è consumato qui un ulteriore trapasso, dal contenuto alla forma. Se inizialmente la creatività è<br />

considerata tale per i contenuti (inconsci) che rivela, ora si qualifica per il modo in cui consente di<br />

dare attuazione a quei contenuti.<br />

Aspetti cognitivi<br />

I miti di creazione ci hanno insegnato che l’atto creativo porta caratteristicamente ad aumentare la<br />

conoscenza. Non stupisce quindi che l’esperienza creativa abbia molto interessato la psicologia del<br />

pensiero.<br />

Per comportamentisti e cognitivisti essa appartiene alle funzioni dell’io e costituisce un insieme di<br />

abilità operative <strong>della</strong> mente che ci rende capaci di risolvere problemi (problem solving). Abbiamo<br />

visto che negli esperimenti di Köhler anche le scimmie sono capaci di pensiero creativo, cioè di<br />

risolvere qualche situazione problematica non per tentativi ed errori, ma grazie a un’improvvisa<br />

illuminazione, grazie a una scoperta improvvisa. Queste “scoperte” comportano sempre un<br />

raggruppamento (di informazioni, nozioni, strumenti), una riorganizzazione (del campo percettivo,<br />

degli schemi comportamentali, <strong>della</strong> percezione), una strutturazione (su basi nuove degli elementi<br />

preesistenti).<br />

<strong>Il</strong> percorso creativo individuato dai cognitivisti si sviluppa secondo uno schema assai<br />

standardizzato: percezione di una carenza/insoddisfazione (ad es.: percezione <strong>della</strong> fame) –<br />

attivazione di una carica energetica attorno al nucleo carenziale (ad es.: interesse per il casco di<br />

banane appeso al soffitto) – manipolazione <strong>della</strong> situazione e del campo per renderli più adeguati<br />

alle esigenze (ad es.: spostamento di casse e bastoni per afferrare le banane).<br />

La creatività però non può essere identificata con il problem solving, ma va estesa di diritto al<br />

problem making: s’è detto che “porre la domanda” è momento centrale in ogni queste, in ogni<br />

ricerca. E porre la domanda in modo nuovo, costruttivo, illuminante è una delle caratteristiche più


salienti del pensiero creativo. Con un’espressione di Whitehead potremmo dire che “ci vuole una<br />

mente molto singolare per intraprendere l’analisi di ciò che è ovvio” (in Goleman, op. cit., p. 42).<br />

Propongo di leggere in questo contesto l’originale mito melansesiano delle Nuove Ebridi (Isole<br />

Banks): in principio tutto era giorno (anziché buio) e l’eroe primigenio Quat navigò fino all’estremo<br />

nord del cielo per sottrarre un po’ di notte alla Notte. Esso sembra metterci in guardia dal prendere<br />

tutto per chiaro, dal dare tutto per acquisito; l’atto creativo comincia quando si individua un po’ di<br />

buio, un po’ di ignoto nell’universo già noto.<br />

Intesa nel suo aspetto di funzione conoscitiva, la creatività oggi ha acquistato una dimensione di<br />

gruppo. Attualmente le “scoperte” sono poco dell’individuo e molto dell’equipe. Ciò porta anche a<br />

ipotizzare e a indagare una “creatività di gruppo” che non dipende solo dalle caratteristiche dei<br />

singoli, ma anche da quelle del gruppo (ad esempio dalle sue norme interne, dalla sua recettività,<br />

eccetera). Se l’istinto creativo è iscritto nell’inconscio collettivo e se questo è la vera matrice<br />

dell’evoluzione umana, non c’è dubbio che la creatività di gruppo costituisce una delle frontiere<br />

prossime venture. Per ora possiamo solo costatare che di ciò sappiamo poco: forse perché gli studi<br />

si sono dedicati prevalentemente alla creatività individuale, forse perché quella collettiva è un<br />

fenomeno ancora giovane. Mi pare, ad esempio, che la creatività collettiva (anche in termini di<br />

problem solving) sia sproporzionatamente piccola rispetto ai grandi e incalzanti problemi collettivi<br />

(quali possono essere le emergenze del pianeta)<br />

Collocata nella sua dimensione collettiva, l’esperienza creativa non è affatto lineare. Nell’ambito<br />

scientifico (un campo dove il fenomeno si manifesta nelle forme più evidenti) si può notare il<br />

susseguirsi delle seguenti fasi:<br />

a. una scoperta sconvolge l’orizzonte conoscitivo e introduce nuove conoscenze e nuove<br />

soluzioni a una sequenza di problemi;<br />

b. il sistema scientifico adotta questa scoperta e affronta grazie ad essa molte situazioni<br />

problematiche, attraverso una serie di atti “micro-creativi”,<br />

c. progressivamente emergono e si accumulano situazioni non risolvibili con gli schemi noti e<br />

integrati nella procedura scientifica, nemmeno alla luce <strong>della</strong> scoperta effettuata;<br />

d. al termine di un periodo di cecità conoscitiva, una nuova scoperta scardina il sistema di<br />

riferimento noto e lo sostituisce con uno diverso nella sostanza;<br />

e. il ciclo riprende e, superata una fase di forti resistenze iniziali, il nuovo schema di<br />

riferimento ingloba parzialmente le acquisizioni precedenti, collocandole però all’interno<br />

<strong>della</strong> nuova visione.<br />

Ciò significa che l’evoluzione procede per salti evolutivi che sono contemporaneamente dei salti<br />

creativi. Persino l’evoluzione filogenetica procede per salti evolutivi inframmezzati da lunghi<br />

periodi di stasi. Mi pare che stiamo attualmente vivendo un periodo di grande fermento creativo,<br />

innovativo ed evolutivo (il momento “attuale” dura da un buon paio di secoli); sulla base di quanto<br />

conosciamo <strong>della</strong> dinamica <strong>della</strong> creatività è prevedibile che questo non sia un trend destinato a<br />

crescere in continuazione, ma che a questa fase “espulsiva” debba seguire un periodo di nuova<br />

gestazione prevedibilmente lungo.<br />

Gli studi del cognitivismo sono certamente utili per formulare modelli di apprendimento, di studio e<br />

di ricerca; ad essi rimanda, ad esempio, parte rilevante <strong>della</strong> didattica di gruppo, del lavoro in<br />

equipe, <strong>della</strong> teoria delle organizzazioni. Ma per la psicologia del profondo la fenomenologia<br />

dell’atto creativo entra in una Weltanschauung più ampia. Qui la creatività viene intesa come<br />

momento conoscitivo in un senso più in generale; si guarda ad essa come a un istinto che consente<br />

un “conoscere simbolico”, grazie al quale un oggetto esce improvvisamente dalla sua dimensione<br />

banale di cosa nota da tempo e riacquista il suo spessore originario di oggetto appartenente al<br />

mondo delle origini, degli archetipi e ciò che in esso prima era oscuro ora diventa palese (<br />

Neumann, 1989, p. 43-44).<br />

La creatività entra in questo modo nella storia dello sviluppo <strong>della</strong> coscienza e forse non è un caso<br />

che il ruolo <strong>della</strong> creatività sia ritenuto oggi predominante su quello <strong>della</strong> riproduttività. Ciò


entrerebbe nel quadro <strong>della</strong> progressiva cerebrazione e corrispondente mentalizzazione dell’uomo.<br />

O forse costituisce un momento embrionale dello sviluppo umano nella sua accezione di totalità.<br />

Aspetti esistenziali<br />

Con espressione concettuosa, ma efficace Mircea Elide sostiene che “l’esperienza <strong>della</strong> luce cambia<br />

lo statuto ontologico del soggetto, rendendolo aperto al mondo dello spirito” (op. cit., p. 29).<br />

Se ricordiamo che la creatività trova nella luce un’immagine simbolica caratterizzante, dobbiamo<br />

arguire che essa ha l’effetto e il senso di cambiare il sapore e il livello dell’esistenza, di cambiarne<br />

lo “statuto ontologico”. Se i miti sono un “<strong>modello</strong> esemplare” di esistenza la creazione <strong>della</strong> luce è<br />

momento originario nell’esperienza individuale. Essa accompagna sempre un risveglio, che è<br />

momento di rottura, frattura esistenziale grazie alla quale la realtà si rivela e si svela più<br />

chiaramente di prima. Questo momento di illuminazione non è necessariamente gnoseologico nel<br />

senso del problem solving; spesso riguarda la conoscenza di noi stessi, la comprensione <strong>della</strong> nostra<br />

vita, la coscienza di un passaggio esistenziale. Si tratta come sempre di uscire dal caos, metafora<br />

insistente dell’inconscio, e ciò significa abitualmente affrontare il tema del sacrificio. I miti di<br />

creazione sono ripetitivi su questo punto: Enkidu plasma il mondo col corpo del gigante marino<br />

Tiamat; Indra crea il mondo dopo aver ucciso il serpente del mondo Vrtra; in Oceania si narra<br />

dell’uccisione di una ragazza col cui corpo vengono create le diverse specie alimentari, eccetera. Un<br />

sacrificio sembra esistere in maniera necessariamente solidale con l’atto creativo.<br />

Jung ha sviluppato una lezione acuta sul significato psichico del sacrificio. Nei confronti<br />

dell’inconscio (l’animale primordiale) noi possiamo avere un atteggiamento di repressione, oppure<br />

di sacrificio. La repressione nega l’appagamento di una certa esigenza mantenendola nell’inconscio;<br />

il sacrificio lascia affiorare alla coscienza quell’esigenza, non per soddisfarla, ma per rinunciare al<br />

suo appagamento a favore di un obiettivo diverso. Senza troppe teorizzazioni, ciascuno di noi fa<br />

ricorso a questi meccanismi: ogni coppia che accende un mutuo per acquistare casa avvia una<br />

sequela di “sacrifici” per pagarne le rate (si sacrificano certi viaggi, le vacanze fatte in un certo<br />

modo, il piacere di rinnovare il guardaroba, eccetera). Da un punto di vista psicodinamico, io<br />

auguro a tutti costoro di affrontare con lucida consapevolezza queste rinunce, di “rendere sacra”<br />

(ciò significa sacrificare) la mancata vacanza e la pizza mangiata in casa al posto <strong>della</strong> cena di pesce<br />

al ristorante. L’energia psichica proveniente da questo sacrificio è ciò che dà realtà e senso alla<br />

nuova casa. Diversamente, l’acquisto <strong>della</strong> casa (che è passaggio di grande valenza simbolica e di<br />

grande impegno creativo nella vita di molte coppie) diventa una maledizione che getta la propria<br />

ombra sulla vita coniugale per dieci-venti anni.<br />

Se si riconosce l’importanza del sacrificio nella dinamica del processo creativo, apparirà un po’<br />

meno bizzarro il comportamento di uno scrittore che perpetuava in forma individuale la ritualità del<br />

sacrificio. Ad ogni capo d’anno sceglieva un proprio scritto (breve o lungo, ma sempre di qualità: i<br />

sacrifici non hanno mai accettato gli scarti) e lo bruciava.<br />

L’atto creativo affonda le radici nell’inconscio, ma si apre sempre al Sé. Nelle culture in cui la<br />

costruzione <strong>della</strong> casa ripete ancora la creazione del cosmo, le abitazioni portano quasi sempre un<br />

simbolismo che le trasforma in imago mundi (Eliade, op. cit., 68). Una delle forme più significative<br />

è quella di un’apertura in cima al tetto; ne conserviamo traccia e memoria nei nostri lucernari. E’<br />

l’apertura attraverso la quale entra luce (!) o quella da cui escono le anime dei defunti quando<br />

muore qualcuno. E’ in ogni caso l’apertura al divino.<br />

La creatività, come momento improvviso, acuto e illuminante di conoscenza e di coscienza esprime<br />

bene il ruolo che gioca l’io nel progetto di realizzazione <strong>della</strong> personalità totale o Sé. Nei miti di<br />

creazione gli esseri divini hanno in un certo senso bisogno di creare. Dal punto di vista psicologico<br />

ciò significa che la complessa, insondabile, onni- totalità psichica (il dio) ha esigenza di strutturare<br />

una funzione minimale, limitata e parziale che è quella dell’io (l’umano) per darsi attuazione, per<br />

realizzarsi. Jung ha sviluppato riflessioni interessanti sul rapporto fra il divino e l’umano<br />

commentando il libro di Giobbe (quello in cui Dio scommette con il Diavolo sulla lealtà del suo<br />

servo Giobbe e lascia che il demonio lo perseguiti per metterlo alla prova). La cosa che colpisce


Jung in questo testo è che “Giobbe è certamente cosciente dell’ingiustizia divina. Certamente è più<br />

cosciente di YHWH. E’ una superiorità sottile dell’uomo moralmente cosciente di fronte a un dio<br />

meno cosciente. Ecco la ragione dell’incarnazione”, ovvero del fare l’uomo (nota di Jung in: Eliade,<br />

op. cit., p. 33). In termini psicologici ciò significa che la partecipazione dell’io come strumento di<br />

consapevolezza e come nucleo di coscienza è indispensabile affinché la personalità totale si possa<br />

realizzare nella sua individualità, nella sua interezza. L’Io ha la funzione di farsi interprete cosciente<br />

<strong>della</strong> soggettività individuale e di farsi strumento <strong>della</strong> realizzazione di questa.<br />

La creatività è una funzione elettiva attraverso cui l’io assolve a questa sua funzione. “E’ lo sforzo,<br />

la tensione verso l’evoluzione, è il respiro profondo e regolare che ogni essere umano produce in<br />

ogni momento <strong>della</strong> sua vita mentre impegna ciascuna cellula del suo corpo a compiere il<br />

quotidiano miracolo dell’adattamento” (De Caroli, op. cit., p. 89). In senso più ampio ancora: “è il<br />

respiro profondo e regolare che ogni essere umano produce in ogni momento <strong>della</strong> sua vita mentre”<br />

lavora al progetto sovrumano dell’individuazione. In questo senso Adler diceva che il capolavoro<br />

dell’uomo è il suo senso <strong>della</strong> vita (1933/190, p. 113). Del tutto analogamente, da un punto di vista<br />

junghiano, mi sento di sostenere che la vera opera d’arte cui ciascuno di noi lavora consiste<br />

nell’inventare la propria esistenza.<br />

La pratica <strong>della</strong> creatività<br />

Se l’atto creativo è nella sua essenza atto rivoluzionario, converrà ricordare l’acuta osservazione di<br />

Fromm secondo cui il rivoluzionario vittorioso è uno statista, il rivoluzionario fallito è un criminale<br />

(1941/1975, p. 223).<br />

La diversità non sta nel diverso valore delle idee, ma nella diversa fortuna sociale che esse<br />

incontrano. In effetti il rapporto fra creatività e consenso sociale è spesso cruciale e l’esperienza<br />

creativa deve sapersi misurare con la resistenza dell’ambiente. Se l’idea creativa, difatti, ha per<br />

caratteristica quella di essere originale, provocatoria e sovversiva di vecchi schemi, si può ben<br />

comprendere come essa incontri opposizioni più o meno massicce. Per questa ragione c’è chi<br />

sostiene che l’idea creativa deve essere trasgressiva per superare gli schemi tradizionali e per<br />

introdurre a dimensioni inesplorate; ma deve contenere elementi di tradizionalismo per poter<br />

dialogare con la realtà sociale (Melucci, op. cit., p. 72). Un esempio interessante in cui si traduce<br />

questa formula è l’opera di Umberto Eco; egli produce un artefatto espressamente mirato a un<br />

“lettore <strong>modello</strong>” precedentemente studiato a tavolino e chiaramente individuato (Eco, 1979, p. 52-<br />

53). L’apporto creativo nella sua produzione è innegabile; ma innegabile e dichiarata è anche la<br />

ricerca del consenso sociale.<br />

Quello del riconoscimento sociale è un problema storicamente e fortemente sentito dagli artisti, al<br />

punto che l’espressione “genio incompreso” è pressoché idiomatica. E’ un problema centrale anche<br />

nell’ambito <strong>della</strong> creatività scientifica (il caso di Galilei è forse l’esempio storicamente più<br />

eclatante). Tuttavia, dal punto di vista psicologico, non trascurerei di asserire in maniera recisa che<br />

il consumo di beni artistici è diverso dall’arte; che l’approvazione <strong>della</strong> creatività è diversa dalla<br />

creatività. Con la lapidaria espressione di un artista: “lo sguardo degli altri sulla mia pittura non è un<br />

problema mio, è un problema loro” (in Melucci, op. cit., p. 48).<br />

Esistono aneddoti interessanti a questo proposito. Nel gennaio 1993 Sting rimase per una mattinata<br />

a suonare come un suonatore ambulante nella stazione <strong>della</strong> metropolitana londinese di Landbroke<br />

Grove: riuscì a racimolare 75 pence. Prima di lui anche Severino Gazzelloni si era esibito<br />

gratuitamente come suonatore ambulante il giorno prima di un suo affollatissimo concerto, ma solo<br />

uno sparuto gruppetto di sfaccendati rimase a sentirlo. Questi aneddoti, tra le molte riflessioni che<br />

sollecitano, ci consentono di asserire che, dal punto di vista psicodinamico, la creatività sta nel<br />

processo e non nel prodotto, né –tanto meno- nel successo sociale di questo prodotto.<br />

Tuttavia, la riflessione sul rapporto fra creatività e risonanza sociale ci sospinge anche in altra<br />

direzione. Se l’atto creativo attinge sempre all’inconscio e spesso a quello collettivo, esso è anche<br />

un atto espressivo <strong>della</strong> psiche collettiva. I pubblicitari –che non sempre sono “ombra <strong>della</strong><br />

creatività e che spesso sono creativi in senso proprio- sono interpreti eccellenti delle spirito dei


tempi, delle tendenze collettive, in una parola degli orientamenti dell’inconscio collettivo.<br />

L’esperienza creativa impone in ogni caso una soggettiva apertura all’inconscio.<br />

E se è vero che molti geni sono incompresi, è altrettanto vero che a distinguere il genio dalla follia è<br />

spesso un criterio di relazione e di comunicazione: la follia ha perso la capacità di relazione<br />

significativa col mondo; il genio è capace di una relazione altamente significativa (anche se<br />

scomoda e inquietante) col mondo. Alcuni prendono spunto da queste constatazioni per asserire che<br />

l’oggetto <strong>della</strong> creatività dev’essere un’idea utile; ma si tratta di miopia materialistica: l’arte sta lì a<br />

dimostrare che la creatività è gesto gratuito per eccellenza. Se è vero che si cerca di (e talvolta si<br />

riesce a) piegare la creatività alle esigenze del reale, l’esperienza del “flusso creativo” evidenzia che<br />

in non pochi casi la creatività “accade” e segue filoni non sempre orientati all’utilità.<br />

Resta il fatto che la creatività si verifica in un milieu e che sembra sia necessaria una “soglia di<br />

resistenza ottimale” da parte dell’ambiente perché essa si verifichi. E’ necessario cioè un certo stato<br />

di indigenza; anche Freud diceva che “l’uomo felice non fantastica mai, solo l'insoddisfatto lo fa”<br />

(1907/1972, p. 378). D’altra parte occorre dire che la censura sociale e il conformismo sono<br />

strumenti certi di inibizione del pensiero creativo. Questo ci offre l’occasione per suggerire, in via<br />

preliminare, che se l’atto creativo nasce prevalentemente nell’inconscio, esso non lo si insegna;<br />

tuttavia lo si può “disinsegnare”.<br />

Tentando di trarre alcune indicazioni dall’exursus sviluppato fin qui, potremo dire che per non<br />

inibire (disinsegnare) la naturale funzione creativa <strong>della</strong> psiche sarà opportuno che si diano alcune<br />

condizioni:<br />

- anzitutto accettare situazioni almeno minimali di resistenza (un certo livello di frustrazione);<br />

- immergersi, anche con fatica e con “sacrificio”, nel campo, ovvero assimilare conoscenze,<br />

approfondire argomenti, accumulare materiale, interagire con altri ricercatori;<br />

- sopportare la tensione del “caos”: il disordine di idee che si accavallano, di teorie che si<br />

dimostrano insoddisfacenti, di dati che reclamano un ordine;<br />

- riconoscere spazio e valore al “buio” dell’introversione, <strong>della</strong> solitudine, dell’attesa;<br />

- rispettare i tempi <strong>della</strong> funzione creativa, in equilibrio fra il lento maturare <strong>della</strong> gestazione e<br />

la precipitosa irruenza dell’espulsione;<br />

- concedere spazi di espressione alla fantasia, all’originalità, al “pensiero <strong>della</strong> mano sinistra”;<br />

- alimentare un certo rispetto per gli impulsi sovversivi, provocatori, trasgressivi,<br />

riconoscendo nell’irriverenza innovativa la vis <strong>della</strong> trasformazione e dell’evoluzione.<br />

Tutto ciò significa guardare all’uomo come Uomo Totale, costituito da conscio e inconscio, in<br />

bilico fra soggettivo e collettivo, sostenuto da pulsioni biologiche e capace più di ogni alto animato<br />

di esperienze che chiamiamo spirituali. In questa concezione la creatività non è mai un atto<br />

puramente conscio, un’iniziativa esclusiva dell’Io; ad essa l’Io partecipa, ma da essa è sovrastato e<br />

talvolta sopraffatto. La creazione, simbolicamente parlando, non è mai un atto umano (dell’io), ma è<br />

sempre un atto divino (<strong>della</strong> totalità psichica); in essa l’inconscio viene sperimentato non solo come<br />

il grande nemico, ma anche come la fondamentale sorgente di energie e di contenuti.<br />

All’interno di questa concezione converrà guardare all’uomo come soggetto che cerca di dare<br />

attuazione alla propria totalità; come termine primo e termine ultimo dell’esperienza di totalità.<br />

Sembra esprimerlo bene il mito cinese di P’an-ku, un Maker primordiale di forma umana, il cui<br />

soffio diventa vento, la cui voce diventa tuono, il cui occhio sinistro diventa sole e quello destro<br />

luna, il cui sudore diventa pioggia e i cui parassiti (sic!) diventano il genere umano.<br />

Questa figura mitologica sembra illustrare che l’Uomo Totale è contemporaneamente l’attore e il<br />

destinatario dell’esperienza creativa. La creatività, difatti, confluisce nel disegno esistenziale<br />

secondo cui l’uomo dà realizzazione alla propria totalità, così come la creazione mitica converge<br />

nella formazione dell’uomo. E’ la creazione dell’uomo il momento culminante, più elevato e più<br />

significante del ciclo cosmogonico. Su di essa convergono narrazioni antichissime e quella,<br />

recentissima, di Francesco Guccini:


Prese in poco di argilla rossa<br />

Fece la carne, fece le ossa,<br />

Ci sputò sopra, ci fu un gran tuono<br />

E fu in quel modo che nacque l’uomo.

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