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Piccolo dizionario postmoderno Figure e ... - Maconi, Antonio

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Piero Vassallo<br />

<strong>Piccolo</strong> <strong>dizionario</strong> <strong>postmoderno</strong><br />

<strong>Figure</strong> e controfigure del nuovo<br />

In esclusiva per<br />

www.antoniomaconi.it<br />

La consultazione dell’opera è libera e gratuita, ed è da intendersi a uso personale dei<br />

frequentatori del sito e a titolo privato.<br />

Ogni altra riproduzione, totale o parziale, dell’opera, con diffusione a mezzo stampa,<br />

radiofonica o televisiva, è vietata, senza la preventiva autorizzazione dell’editore.<br />

Tutti i diritti artistici e letterari sono riservati.<br />

L’autore e l’editore perseguiranno ogni eventuale violazione dei loro diritti, in base alla<br />

attuali leggi vigenti in materia.<br />

Piero Vassallo<br />

<strong>Piccolo</strong> <strong>dizionario</strong> <strong>postmoderno</strong><br />

<strong>Figure</strong> e controfigure del nuovo<br />

edizione in esclusiva per<br />

www.antoniomaconi.it<br />

aprile 2003


Preambolo<br />

Lo storico che volesse datare l’inizio dell’età postmoderna non potrebbe tenersi lontano<br />

da quella estate del 1943, che fu teatro della rovente polemica tra Jean Paul Sartre e<br />

Georges Bataille intorno al predominio, nelle numerose correnti dell’ateismo<br />

contemporaneo, dei motivi della speranza o della disperazione. Nelle pagine della rivista<br />

“Cahiers du Midi”, Bataille aveva infatti provocato i santoni della sinistra umanitaria<br />

indicando la fatale convergenza dei princìpi della filosofia hegeliana (ancora considerata<br />

“vertice speculativo della modernità”) con le ebbre e devastanti suggestioni di Nietzsche<br />

(in allora giudicato alla stregua di un ispiratore dionisiaco del nazismo). L’annessione<br />

della filosofia di Nietzsche da parte della sinistra moderna costituisce, appunto, l’inizio del<br />

“<strong>postmoderno</strong>”, l’età nella quale Augusto Del Noce ha contemplato l’insorgenza di<br />

un’ideologia di genere inaudito, il “totalitarismo della dissoluzione”.<br />

La consacrazione nietzschiana feriva a morte l’interezza del progressismo ed inaugurava<br />

la stagione delle torbide ambiguità e delle collusioni umbratili tra “sinistra scientifica” e<br />

“destra ludico-mistica”.<br />

Di qui la doppiezza ideologica, che attraverso la rilettura dell’opera anfibia di Walter<br />

Benjamin persuaderà Jacob Taubes ad annettere Carl Schmitt e le altre profondità del<br />

nazismo segreto.<br />

Sarte, che nella figura del pensiero oltre umano credeva di vedere la fonte dell’odiato<br />

autoritarismo, s’indignò. E per difendere l’identità del progressismo dalla contaminazione<br />

di (presunta) destra inventò di bel nuovo la guerra tra il panteismo bianco (l’ateismo della<br />

sinistra razionale) e il panteismo nero (l’ateismo della destra irrazionale e decadente).<br />

Nel fervore della polemica Sartre abbandono ogni cautela “a futura memoria”, e nella<br />

trilogia romanzesca “Le chemin de la liberté” si spinse a tal punto da associare lo stato<br />

d’animo del nazista a quello di un raffinato pederasta. Fu un vero linciaggio: nell’esteta<br />

capovolto, che deambulava da un vespasiano all’altro, gongolando per il maschio<br />

spettacolo offerto dalle sfilate hitleriane a Parigi, si riconosceva la doppia vita di Bataille.<br />

La prosa sartriana affondava il rasoio nel cuore di una sinistra refrattaria alla pederastia.<br />

Ma il duello con Bataille era disperato: come il Sessantotto dimostrerà esaurientemente il<br />

panteismo nero esercitava un’attrazione irresistibile sul panteismo bianco. Herbert<br />

Marcuse, coniugando la rivoluzione ora sul paradigma dionisiaco di Nietzsche ora su<br />

quello tanatofilo di Freud, ha risolto il conflitto immaginario e pretestuoso tra il “bianco” e il<br />

“nero”. La storia delle involuzioni a sinistra infine ha dato pienamente la ragione a Bataille.<br />

Il disprezzo di Sartre però non aveva tutti i torti. Il pensiero e la vita di Bataille erano<br />

esposti ad un’aura viziosa, non indenne dagli influssi nazistoidi catalogati ed approvati da<br />

Benjamin. D’altra parte nessuno poteva negare l’ispirazione omosessuale dell’ideologia<br />

nazista o nascondere il fatto che Hitler prima di ottenere il potere grazie alle S.A., una<br />

milizia di pederasti conclamati e autocertificati, aveva praticato gli ambienti della Vienna<br />

equivoca e bisessuale.<br />

In uno scenario degno della “Caduta degli dei” o di “In exitu”, la pederastia, con la sua<br />

segreta tensione antivitale e con il suo seguito di violenze, è l’ultima spiaggia<br />

dell’apostasia moderna. L’ateismo, deposti gli ammennicoli della scienza illuminata e/o<br />

positiva, si converte alla pura negazione abbandonandosi senza ritegno al travestitismo e<br />

all’orgia sadica.<br />

Qui il non senso promuove l’oscuramento iniziatico della ragione e l’ebbrezza consacra la<br />

caduta della volontà nel gioco inutile e nel furore sacrilego. I testi batailleani più noti,<br />

“L’ano solare”, “La paternità anale”, “Storia dell’occhio”, “La parte maledetta”, sono<br />

semplici variazioni sul tema dell’ateo moderno in cammino verso il nulla, che abita nei<br />

luoghi dell’indecenza.


Infine l’opera teoretica di Bataille, “Il limite dell’utile”, pubblicata dall’editore milanese delle<br />

“squisitezze” crepuscolari, conferma, se fosse necessario, che l’esito necessario<br />

dell’ateismo moderno è la riduzione dell’uomo a cosa da nulla. Il programma batailleano –<br />

trasformare l’economia dell’utile nell’economia del dono – è un espediente retorico<br />

(“dono” è bella e coinvolgente parola, “utile” ha un suono sciatto, “utilitarismo” è un errore)<br />

ma insufficiente a nascondere l’intenzione di abolire anche la più elementare<br />

giustificazione dell’agire umano. L’espressione dal timbro cataro “economia del dono”, in<br />

Bataille significa consacrazione dell’uomo allo scialo e all’eccesso capriccioso, che si<br />

rovescia fuor di sé per esaltare l’effimero e il “mistico” nulla.<br />

Il <strong>postmoderno</strong> “essenziale”, dunque, propone la sepoltura dell’umanità nel totalitarismo<br />

della dissoluzione, che Bataille definisce “linguaggio del misticismo” e “profonda<br />

inclinazione per l’orrore”. Il vero volto del superuomo è il bestione di vichiana memoria.<br />

Come aveva previsto Giambattista Vico, i pregiudizi dell’umanesimo ateo scendono nella<br />

fossa dei serpenti: l’ultimo orizzonte della hegeliana “morte di Dio” è la batailleana morte<br />

dell’uomo. E’ la novità che si svela apertamente nella conclusione all’apologia del disutile,<br />

dove, a proposito del nichilismo “guerriero” interpretato da Ernst Jünger, si dichiara:<br />

“Voglio mostrare che esiste un’equivalenza tra la guerra, il sacrificio rituale e la vita<br />

mistica: è lo stesso gioco di estasi e di terrori in cui l’uomo si congiunge ai giochi del<br />

cielo”.


A<br />

Aborto<br />

Adelphi<br />

Agharti<br />

Anticristo<br />

Antisemitismo<br />

Ateologia<br />

Aborto<br />

L’Excalibur del ginecologo<br />

Il sottotitolo di “Micromega” 4/2000, dichiarava solennemente che laico è bello. E<br />

annunciava gli interventi dell’austero Carlo Augusto Viano, della tombale Simona<br />

Argentieri, del pensoso Domenico De Masi, del furente Paolo Flores d’Arcais,.<br />

Bella è la laicità. Bella (si presume) sarà la vita, illuminata dai redattori della rivista<br />

neogiacobina. Senza ombra di dubbio bello è Paolo Flores d’Arcais, nobile monumento<br />

alla contemplazione tricotant: il fiero sguardo rivolto al moto perpetuo della ghigliottina, lo<br />

zigomo imporporato dallo zelo giustizialista, irato il labbro apollineo, la mano alacre sul<br />

ferro da calza. La sua musica sferruzzante accompagna il lavoro della rivoluzione<br />

postmoderna. Viva la morte. Ma la vita, laicamente intesa, è piena di felicità?<br />

L’acrobatico Carlo Augusto Viano affrontò la spinosa e vessata questione sferrando un<br />

tremendo attacco al Cattolicesimo, “a tutta la filosofia della morte, alla promessa<br />

d’immortalità”. Sta per risuonare un festoso invito al godimento terrestre? Carpe diem?<br />

Non proprio: “poiché i preti non possono imporre la credenza in Dio o nell’anima ma si<br />

devono accontentare dei loro sostituti materiali, … come le cellule embrionali”. I preti dalla<br />

parte della vita? Dove sono gli storici paletti, se la guerra laica contro la filosofia della<br />

morte lambisce la guerra contro i difensori della vita?<br />

La vita deve mantenersi entro i limiti posti dalla ragione ghigliottinante. Il bel laicismo di<br />

“Micromega” si effuse pertanto nella rivendicazione dell’aborto e nell’apologia del suicidio.<br />

Le magnifiche sorti e progressive? Sono affidate al ferro da calza della mammana e<br />

all’aureo cucchiaio della medicina obituaria. Come la Silvia di Giacomo Leopardi, la<br />

filosofia laica indica “con la mano la fredda morte ed una tomba ignuda”.<br />

Marmorea nudità. Sul nudismo laico non tramonta mai il sole della pornografia. Questo di<br />

tanta speme oggi gli resta. Ma la vita nell’abbigliamento diurno? A rivoluzione nuda,<br />

algido ferro da calza e tomba fredda. Nelle colonne di “Micromega” si sciolse la<br />

tormentosa litania del club decadente. Tanto per cominciare, la psicoanalista Simona<br />

Argentieri titolava: “Angoscia di morte e libertà di morire”. Laico è sempre bello? “Chi<br />

decide che la mia vita è bella?” domanda la garrula autrice. Atropo si mise al lavoro. Sotto<br />

lo sguardo corrusco del direttore, nessuno osò farsi avanti per testimoniare la bellezza<br />

della vita nel mondo trasformato dalla rivoluzione laica. L’orizzonte giacobino infine si<br />

svelò. Rigido e severo, come la sentenza della Argentieri, orientata all’umanesimo<br />

suicidario: “Ci contenteremo di ricordare che comunque togliersi la vita è da sempre<br />

prerogativa precipua dell’umano”. Nel ventaglio degli umanismi possibili e immaginabili la<br />

redazione di Micromega scelse la stecca della morte.<br />

L’essenza dell’uomo laico è il suicidio. E il suicidio correva festoso allo scontro con la<br />

bella vita. Entrò in scena il pensiero di Malthus, per descrivere il lugubre effetto della vita


umana diffusa su tutto il pianeta. Un garrulo redattore di “Micromega”, il sociologo<br />

Domenico De Masi, sentenziò: “una terra superpopolata in cui manca lo spazio e<br />

ciascuno rischia di restare travolto da una moltitudine umana che cresce come un<br />

cancro”. Se la vita è un cancro, come è possibile che laico sia bello?<br />

Infatti la bellezza laica risiede nella vocazione mortuaria. Esaltare la procreazione, “con<br />

tutto il carico d’infelicità umana che ne deriva appare incomprensibile e inquietante”. La<br />

difesa della vita da parte dei cattolici è inquietante. D’accordo, ma diteci dove sta la<br />

quiete. Se la vita è un cancro l’unica consolazione è la morte: il paradiso dei laicisti è il<br />

cimitero?<br />

Sulla quiete del cimitero non si discute. Infatti architetti e scultori massonici hanno<br />

costruito le meraviglie del XIX secolo: i cimiteri quieti, dove, in un tripudio di crisantemi,<br />

arconti mesopotamici e commendatori. appesantiti ma rigorosamente laici, danzano con<br />

le algide fanciulle del Ballo Excelsior.<br />

Dopo la sfilata del primo squadrone di necrofori, Paolo Flores d’Arcais irruppe sul<br />

palcoscenico per sciorinare, senza tema del ridicolo, gli anelli della superba catena logica,<br />

da lui concepita. Dimostrò infatti che la ginecologia è un’arte marziale finalizzata alla<br />

soppressione del nascituro.<br />

L’intenzione del direttore era mettere in discussione “il diritto di medici e infermieri cattolici<br />

all’obiezione contro l’aborto”. Paolo Flores d’Arcais intendeva affermare l’ideale libertario.<br />

A tal fine egli esaminò le ragioni degli obiettori contro il servizio militare, dimostrando che<br />

la loro giustificazione era conseguente alla obbligatorietà dell’uso delle armi contro<br />

l’aggressore. La mitezza rifiuta l’uso delle armi. A rigor di logica questo dimostra che il<br />

cittadino che accetta di indossare la divisa accetta implicitamente di usare le armi. Il<br />

ragionamento non fa una piega: “pretendere di fare il militare e di non portare le armi<br />

sarebbe considerata una bizzarria, una stranezza da non prendere in considerazione”.<br />

Colui che non vuole usare le armi può non scegliere la carriera militare. L’armiere<br />

disarmato à un ossimoro che offende la ragione.<br />

Uno più uno, due. E il ginecologo? La logica cogente di Flores d’Arcais affermò che tra il<br />

ginecologo e il militare in assetto da guerra non c’è differenza: “chi ha ragioni di coscienza<br />

che fanno ostacolo all’adempimento dei suoi doveri professionali deve scegliersi una<br />

diversa professione”.<br />

Ora il potere della logica applicata da Flores d’Arcais risiede nella rimozione<br />

dell’evidenza, secondo cui ginecologo è propriamente colui che assiste le madri nel parto<br />

e perciò aiuta la nascita (e non la morte). Il ratto gesto del mago fece salire la natura del<br />

ginecologo nel cielo di una logica astratta dalla realtà e rifugiata nell’ideologia. In questo<br />

cielo l’assistente alla nascita e il soldato che cerca la morte dell’aggressore si confusero<br />

nella notte di Anassagora, che mette sullo stesso piano il forcipe e l’arma letale. Apparve<br />

un ginecologo che reggeva la mitica spada Excalibur.<br />

Il furore con il quale Viano ripeté l’aggressione laica contro il realismo filosofico, che<br />

Giovanni Paolo II ha rivendicato nella “Fides et ratio” chiarisce dunque l’ultimo capitolo<br />

della cultura: lo stupro della logica. Sei ginecologo? Allora sei anche guerriero. Il tuo<br />

forcipe si chiama, appunto, Excalibur. Hai scelto di lavorare per la nascita? Allora procura<br />

la morte ai nascituri. Il IV libro della Metafisica aristotelica nega categoricamente che una<br />

cosa sia simultaneamente un’altra cosa? Aristotele, come ha dimostrato Herbert<br />

Marcuse, era un bieco fascista. La realtà, peraltro, è fascista. Quindi la bella vita<br />

dall’immaginazione al potere si impegna ad elargire la bella morte. A spese della mutua.<br />

Aiutando la morte la spada del ginecologo procura la vita. Come sempre la guerra alla<br />

vita ha inizio dalla guerra (iniziatica) alla ragione.


Adelphi<br />

Sotto l’ermellino oxfordiano<br />

I buonisti che versano lacrime psicosociologiche intorno alle imprese criminali dei pedofili<br />

– sevizie e uccisioni rituali di bambini, commercio delle immagini che documentano un<br />

orrore straziante - non scendono mai alla radice “colta” del male. Si ha l’impressione che<br />

ingegnosi dirottatori costringano l’indagine sociologica a divagare sulle cause periferiche<br />

e a non attraversare la soglia dei santuari nei quali l’alta cultura almanacca le perversioni<br />

estreme.<br />

La causa delle turpitudini, invece, è quel trasbordo dalla razionalità cristiana<br />

all’irrazionalismo primitivo, che il potere culturale ha organizzato con scienza squisita,<br />

nascondendolo negli splendori dell’arte greca. La torbida ed elementare ferocia della<br />

religiosità arcaica, dopo esser passata attraverso il cupo delirio di De Sade e di<br />

Nietzsche, è entrata nel circuito della cultura neoilluminista di massa sotto le vesti mentite<br />

dell’eleganza e della serenità greche. Per tale inganno, il regresso alle perversioni della<br />

Grecia “profonda” ha preparato la via d’uscita dalla Grecia classica e dall’Occidente<br />

cristiano. Via d’uscita che libera la folla delle atrocità e delle sciagure che sono<br />

esemplarmente riassunte nelle ordinarie parabole della cronaca nera.<br />

Dietro ad una mistificazione, indisturbati ed acclamati dagli intellettuali che sopravvivono<br />

sulle rovine delle rivoluzioni di destra e di sinistra, agiscono le lobby della perversione<br />

dalle mani pulite, lobby invano denunciate dal disperato coraggio del Telefono<br />

Arcobaleno.<br />

Nume dell’oligarchia libertina – resa intoccabile dalla generale distrazione e dal culto<br />

superstizioso per l’uomo di genio – è Roberto Calasso, la cui casa editrice, che porta il<br />

nome iniziatico di “Adelphi”, ha prodotto un’enorme quantità di libri per specialisti aperti in<br />

tutte le direzioni del dionisismo. Si va dai limacciosi testi dell’ateologo Pierre Klossowski,<br />

un autore, che nella follia di Nietzsche ha ammirato l’esito meraviglioso della vita orientata<br />

al turpe e al subumano, ai saggi di James Hillman, teologo delle malattie mentali (il suo<br />

assioma afferma che “la pazzia è una dea”) e apologeta delle devianze connesse alla<br />

paranoia; da Guénon, mago da bagno turco e mistico dell’androginia applicata, a<br />

Chatwin, pensatore nomade e collezionista di sciamani piumati.<br />

Il vertice speculativo dell’armoniosa catena è felicemente rappresentata dalla Biblioteca<br />

Orientale di Adelphi, il cui messaggio è stato così esposto dal professor Zolla: “il maestro<br />

procede fino al rito supremo, quando introduce una vezzosa e mestruata dodicenne con<br />

cui amoreggerà, per coinvolgere alla fine anche il discepolo, che dovrà in seguito offrire<br />

un undicenne al maestro” (Corriere dell Sera, Cultura e Spettacolo, 6 novembre 1995).<br />

Roberto Calasso non conosce ritegni. Nell’autunno del 1997, nella prima pagina<br />

dell’autorevole quotidiano dei benpensanti, interpretava come amplesso sacro la violenza<br />

sessuale sui minori: “Il corpo delle ninfe è il luogo stesso di una conoscenza terribile, che<br />

dà la chiaroveggenza”. Se questo non è delirio nichilistico si deve riconoscere che il<br />

delirio e il nichilismo non esistono.<br />

Data queste premesse non è difficile indovinare l’esito finale: le lezioni oxfordiane di<br />

Calasso, pubblicate in questi giorni, presentano, nella cornice di un neopaganesimo<br />

bestiale ma elegantemente travestito, la “spiritualità” pedofila bandita da Adelphi.<br />

Tuttavia sorprende e provoca disagio quello che un uomo della (presunta) destra, Mario<br />

Bernardi Guardi, nella vacua cupidigia di stravaganza, ha scritto nel “Tempo” del 20<br />

febbraio u.s., a proposito del saggio calassiano: “Lolita è un demone immortale travestito<br />

da bambina, in un mondo dove i nympholeptoi (termine inconsueto, che indica,<br />

nascondendoli nella nube della ricercatezza filologica, i razziatori di bambini a scopo<br />

sessuale - i pederasti, quando decidessimo finalmente di abolire il vezzeggiativo


“pedofili”) possono scegliere soltanto tra essere considerati criminali o psicopatici. …<br />

Ninfa è il «medium» dove gli dei e gli uomini avventurosi (sic!) s’incontrano”.<br />

Pensiero infantile e grottesco. In realtà, Calasso è stato allievo di Taubès e Klossowski,<br />

dunque è un limpido arnese della depravazione neopagana (e drogastica) subita dal<br />

progressismo dopo il Sessantotto.<br />

Depravazione che, proprio in questi giorni, è ricordata dai quotidiani che citano le<br />

ributtanti prodezze pederastiche vantate, senza ombra di ritegno, di Daniel Cohn-Bendit.<br />

Le turpi imprese di Cohn-Bendit dimostrano, in modo inequivocabile che la sinistra (e<br />

Calasso con essa) sta affondando in una fogna. All’attrazione mostruosa di questa fogna<br />

può resistere solo il temperamento di un pensiero refrattario alle suggestioni del<br />

nichilismo.<br />

Agharti<br />

I paesi della mistica cuccagna<br />

“Bestie, uomini e dei” resoconto di un viaggio nell’Asia meravigliosa, compiuto contro<br />

l’Occidente dall’occultista Ferdinand Ossendowski, fu pubblicato a Parigi nel 1924.<br />

L’autore, affiliato ad una conventicola di occultisti, che praticavano assiduamente la<br />

ginnastica sessuale contro natura, vi narrava le sue sbalorditive esperienze in Agharti,<br />

l’arcadia sotterranea dei mistici tibetani.<br />

Vero e proprio manuale per allucinati, “Bestie, uomini e dei” fu approvato e<br />

furbescamente adottato dal massone René Guénon, piazzista di cineserie, noto nel<br />

sottobosco degli occultisti come vescovo di una chiesa gnostica. Fiutato il successo,<br />

René Guénon usò la romanzesca relazione di Ossendodowski come argomento di<br />

sensazionali e lucrose conferenze da palcoscenico, organizzate per la delizia di mature<br />

signore in cerca di compensazione spirituale alle tristezze della menopausa.<br />

Per chi desidera, in versione questo genere di emozioni, le conferenze adesso sono<br />

raccolte in un libro (“Il re del mondo”) ristampato e messo in commercio da una casa<br />

editrice nota per le copertine color pastello.<br />

Purtroppo la sapienza guénoniana passò dal palcoscenico buffo ed (apparentemente)<br />

innocuo dello spiritualismo esotico alla tragica storia della Germania nichilista. Infatti<br />

autorevoli specialisti di storia e cultura contemporanea, quali Georg Mosse, Ernst Nolte,<br />

Furio Jesi, Giorgio Galli, Dario Sacchi e Maurizio Blondet, sostengono, in discorde<br />

concordia, che le elucubrazioni guénoniane intorno alle bufale di Ossendowski furono il<br />

preambolo all’obbrobrio nazista. Obbrobrio che ha meritato, da Louis Pauwels,<br />

l’appropriato titolo di guénonismo realizzato con i carri armati e il filo spinato.<br />

Svelato l’obbrobrio nazista, finito Guénon? Neanche per sogno. Nell’età postmoderna il<br />

giro vizioso del nazismo si è allargato surrettiziamente. La suggestione nazista,<br />

l’imperativo “vivere per la morte”, replica in forma di progetto di uscita dal mondo per la<br />

via del nomadismo sessuale. Il viaggio iniziatico non si dirige più alla cittadella del Tibet<br />

misterioso ma a tutti i luoghi del delirio sciamanico e della pederastia selvaggia.<br />

Ad esempio, la magica Patagonia, dove con l’intenzione di raggiungere l’uscita<br />

sciamanica dal mondo, si era recato Bruce Chatwin, il raffinato nomade inglese che<br />

<strong>Antonio</strong> Gnoli (suo esegeta ed ammiratore) paragona ad un ideale terzetto: l’incantatrice<br />

Sherazade, il poeta omosessuale Rimbaud e il filosofo sculacciato Rousseau.<br />

Gnoli, nella “Nostalgia dello spazio”, profilo di Chatwin, edito da Bompiani, sottolinea<br />

l’indirizzo del nomade a uno stato di natura ideale perché privo anche dei più elementari<br />

sussidi tecnologici: egli non vide il fuoco come un elemento della tecnica di sopravvivenza<br />

ma come simbolo attorno cui l’uomo può incontrare i propri simili. Il nuovo errore


sostituisce quello vecchio. Il buon selvaggio eco-omo-tox ma politicamente corretto, sale<br />

sul trono di Prometeo.<br />

Lo strumento usato per far tabula rasa della tecnica è il delirio, che si incontra, appunto,<br />

nelle riserve della cultura primitiva. A Chatwin, lo sciamano alternativo a Prometeo si è<br />

presentato, come lo descrive il celebre professor Zolla: coperto di piume colorate, gli<br />

occhi roteanti, la bava alla bocca. E senza i pudori della civiltà corrotta dalla morale<br />

giudeocristiana. Secondo la testimonianza di un esegeta sbarazzino, sembra che a tale<br />

vista Chatwin abbia esclamato: “Uccellone piumato, bell’uccellone, voglio l’iniziazione!”<br />

Non è lecito dire niente di teologicamente scorretto contro il turismo naziguénoniano nella<br />

piumata Patagonia. I diritti civili del pederasta non si discutono. Ma, a questo punto del<br />

discorso sull’uscita dal mondo moderno, non si può fare a meno di ricordare che Chatwin<br />

morì devastato dal virus Hiv. Un epilogo drammatico, che suggerirebbe cautele ed<br />

esigerebbe i castigati veli della pietà.<br />

Esattamente come aveva previsto Del Noce, la rivoluzione moderna si è dunque<br />

comodamente appiattita sui programmi elaborati dal salotto dell’oligarchia iniziatica. La<br />

pederastia, culmine del destino radical chic, invade l’ultimo orizzonte culturale del<br />

progressismo. L’elegante e azzimata figura del nomade sessuale rovescia le<br />

rivendicazioni del proletariato nelle proibite delizie della borghesia alta e sovrana. Avanti<br />

popolo: lo spinello della sanità falcia il pudore e il preservativo degli affari sociali martella<br />

la virtù.<br />

Il materialismo proletario, sconfitto dal benessere prodotto dal capitalismo americano, ha<br />

trovato rifugio nei pensatori disinibiti del passato: Protagora, Gorgia e Hobbes. Un terzetto<br />

di pensatori reazionari ha soppiantato Marx. Il futuro, dimessa la tuta del lottatore operaio,<br />

veste il grigio esclusivo del frac. Il pederasta è un magnifico portatore di frac. Il frac (con<br />

regolari batti-chiappe) trionferà, evviva il salotto e la libertà.<br />

Il frac non significa rinuncia ma supplenza dei vecchi pregiudizi ideologici. Il collettivismo<br />

non è più di moda? Adesso la guida della rivoluzione tocca all’individualismo primordiale.<br />

Anzi al liberalismo selvaggio. La rivoluzione è un pendolo di errori contrapposti e<br />

l’ideologia una pianta che cambia le foglie per alimentare la corruzione che sale dalle<br />

radici.<br />

La strepitosa fortuna di Hobbes negli orfanotrofi marxisti e nella generazione pre e post<br />

sessantottina (Alexandre Kojève, Georges Bataille, Jacob Taubes, Roberto Esposito e<br />

Umberto Galimberti) fa capire che il frac del pederasta è tagliato nella stoffa ruvida e<br />

spietata dell’individualismo. E della peggiore destra. Forbici progressiste abito<br />

reazionario. Fumo di Londra. Non c’è niente di nuovo. Infatti l’opera di Hobbes è un<br />

monumento alla parrucca dei poteri forti.<br />

Hobbes ha coniugato il materialismo di Democrito ed Epicuro (gli autori che<br />

affascineranno il giovane Marx) con il soggettivismo dei sofisti (gli autori che<br />

eserciteranno un influsso decisivo nella dialettica di Hegel) ed ha adattato la miscela alle<br />

esigenze dell’animosa canaglia, che in seguito all’impresa piratesca, fu nobilitata dalla<br />

monarchia anglicana.<br />

Il pensiero di Hobbes, come la vita del Seicento inglese, ruota intorno agli istinti corrotti<br />

dell’individualismo, felicemente calato nelle forme della rivoluzione assolutista. Hobbes è<br />

il vertice speculativo della sinistra reazionaria e libertina.<br />

La rivoluzione guarda in alto ed ha ascendenze “alte”, dunque è soggetta ad una<br />

conduzione aristocratica. Il pederasta, imparentato con la nobiltà nera e vicino alla<br />

suburra, sta alla sinistra come l’alkermes al babà. Infine il tumulto dell’angiporto<br />

obbedisce al pensiero incandescente del salotto buono. C’est la finesse qui fait la<br />

révolution. O no?


Anticristo<br />

L’angelo travestito di luce<br />

Nel saggio sull’Anticristo, Gianni Baget Bozzo usa la lezione dei grandi mistici – Agostino,<br />

Dionigi, Massimo il Confessore, Tommaso d’Aquino – per dimostrare che l’incapacità di<br />

misurare la devastazione nichilista ha origine dal disfattismo teologico, che ha ridotto il<br />

progetto divino sull’uomo alle angustie e alle contorsioni dell’etica secolare. Il preteso<br />

aggiornamento del postconcilio ha deluso le attese del mondo nascondendo il Dio che<br />

vuole divinizzare l’uomo sotto l’astrazione moralistica che intende sottometterlo e<br />

umiliarlo. La teologia moderna è diventata incapace di comprendere e contrastare la<br />

seduzione del nichilismo poiché, nell’inseguimento affannoso di ciò che unisce, ha<br />

dimenticato lo splendore della vita divina che è offerta agli uomini. Questo significa che il<br />

dialogo della Chiesa cattolica con l’uomo <strong>postmoderno</strong> comincia dall’abbandono delle<br />

instabili acque sulle quali naviga l’esperienza delle cose umane, e dal ritorno alla antica e<br />

sicura riva delle cose divine.<br />

Nel silenzio del Magistero dei vescovi cattolici, stupefatti dal languore moderno, parla<br />

dell’Anticristo solo una minoranza estrema, che usa i colori daltonici della fede stirata dal<br />

brivido. L’eccesso del noir e la labilità della teologia soggiacente ai racconti dell’orrore,<br />

costringono la demonologia in un circolo vizioso, che attribuisce l’enormità del male<br />

moderno ai bassi profili del consumismo e dell’edonismo. In tal modo la tragedia, che si è<br />

consumata nel Novecento, si abbassa alla chiacchiera e al risentimento del ballatoio:<br />

mentre il mistero d’iniquità affonda nel ronzio delle scienze occulte interpretate da<br />

Massimo Introvigne, il popolo di Seattle istiga l’appartenenza cristiana ad un regno che<br />

non è di questo mondo a trasformarsi in semplice antitesi del mondo e a marciare nei<br />

cortei reazionari del contromondo e della negazione del Dio creatore e previdente.<br />

La teologia del postconcilio rimane aggrappata ai relitti del naufragio moderno, incapace<br />

di apprezzare la vittoria della verità, incapace di vedere la metamorfosi nichilista<br />

dell’apostasia. Il discorso sull’anticristo perciò rimbalza tra il politicamente corretto, il<br />

banalmente pio e il pittorescamente infernale.<br />

Veggenti barbuti, con caproni ecologici al guinzaglio, invadono i salotti televisivi per<br />

denunciare le lucrose bassezze della tecnologia. In mezzo a umilianti frastuoni, cantanti<br />

dalla pupilla dilatata e dal conto corrente in piena, urlano parole capovolte e assiomi<br />

anarchici. Banchieri appena usciti dai romanzi germanici, entrano nella filosofia infantile,<br />

che narra l’eterna guerra del sangue neodestro contro il dollaro americano, stendardo di<br />

Satana, come dimostrano serpenti inequivocabili e conclamate piramidi, segni ecc. ecc.<br />

E’ tutto chiaro, infine? L’identificazione dell’Anticristo con i simboli stampati sul biglietto da<br />

un dollaro è il vertice speculativo ma anche il punto in cui la catena santantoniana delle<br />

parodie si spezza sotto il peso dell’evidente fandonia. Non che l’attaccamento al denaro<br />

sia una virtù, e non che al dollaro manchino brutti segni, ma è sufficiente gettare uno<br />

sguardo serio sull’enorme tragedia del XX secolo - “la purezza angelica, che vive di<br />

assoluto, comunica all’uomo una perversa angelizzazione, per cui l’uomo si pone fini<br />

assoluti pensando di distruggere in quell’assoluto tutto ciò che di umano gli si oppone” -<br />

per misurare l’assurdità della demonologia che ad uso dei banditori dietrologici, specula<br />

sui simboli incisi nel biglietto verde.<br />

Scrive infatti Gianni Baget Bozzo: “spiegare le guerre del Novecento con gli interessi<br />

economici fa sorridere: una volontà di morte collettiva è essenzialmente antieconomica”.<br />

Non per niente gli interpreti ultimi ed estremi dell’apostasia moderna, ad esempio il<br />

nichilista Georges Bataille e lo steineriano Geminello Alvi, dichiarano la guerra dell’inutile<br />

contro l’economia.<br />

Il re della dietrologia da rotocalco è nudo. L’identità dell’Anticristo va dunque cercata su<br />

una via lucente e terribile quanto la guerra del secolo contro la vita. Per far risalire la


scena sanguinaria del Novecento alla seduzione cartacea dei banchieri e a quella<br />

corporea degli industriali, è necessario che la figura dell’angelo decaduto attraversi una<br />

lente rovesciata nella mediocrità. Se non che nessuna creatura è esclusa dalla<br />

partecipazione alla profondità divina. La teologia medievale, che aveva ereditato da<br />

Platone lo sguardo dall’alto, afferma che le cose sono realtà di Dio prima che realtà<br />

create. “Tommaso giunge a dire nel De veritate che tutte le cose esistono in Dio da tutta<br />

l’eternità più e meglio di quanto esse non esisteranno mai”.<br />

La superbia dell’angelo reietto vuole la meschinità del creato, ma la sapienza cristiana<br />

vede ovunque l’impronta della divina grandezza. Per comprendere la modernità occorre<br />

riconoscere la grandezza anche nell’angelo caduto.<br />

“L’Apocalisse ha una bella espressione, scrive Baget Bozzo, le profondità di Satana.<br />

Ebbene, la teologia nel Novecento non ha saputo riconoscere la profondità di Satana”.<br />

La teologia contemporanea ispira le meticolose ricerche sulla simbologia del dollaro ma<br />

esclude la vista delle cause sublimi e non venali del secolo sanguinario. “Il Novecento ha<br />

conosciuto una figura ben diversa del Satana carnale, un Satana nella sua natura<br />

spirituale”.<br />

Satana ha sedotto non la parte più bassa ma quella più alta dell’uomo. L’anima dell’uomo<br />

non si compra con il dollaro. Il peccato più alto è infatti l’assenso alla tentazione,<br />

squisitamente spirituale, di liberare l’umanità da Cristo, abolendo i limiti e i<br />

condizionamenti posti dalla dimensione materiale della creazione.<br />

L’altezza della creazione esige che si riconosca la spiritualità del male. L’aura<br />

dell’apostasia moderna trasporta l’avversione dello spirito al segno materiale della<br />

creazione.<br />

Ora la meditazione sulla realtà spirituale dell’Anticristo introduce la verità dell’onnipotenza<br />

divina, che non si risolve in un potere dispotico, “in una determinazione necessaria”, ma si<br />

rivela compatibile con la libertà della creatura. A questa verità allude il mistero della<br />

Croce: “Dio vuole che la creatura raggiunga la pienezza divina attraverso se stessa e non<br />

per un solo atto divino”.<br />

Baget Bozzo propone di superare la visione deterministica della Provvidenza e di<br />

avanzare audacemente nel solco dell’agostinismo perenne: “L’onnipotenza divina può<br />

contenere nel suo seno la libertà di contraddizione a Dio stesso, alla scelta<br />

assolutamente libera e aperta alla libertà, del disegno divino sul mondo. L’onnipotenza<br />

divina può consentire la negazione di tutto ciò che Dio compie fuori di Dio”. L’evidenza<br />

della libertà non scioglie il mistero del male ma allontana l’incubo determinista.<br />

In tal modo la teologia della storia diventa una teologia della libertà nell’accettazione del<br />

progetto divino: “Cristo dirige l’incivilimento umano dell’uomo biologico così come la<br />

formazione, nell’uomo biologico, dell’uomo divino”.<br />

La dimensione della libertà appartiene al sommo bene, dunque la dimensione oppressiva<br />

è inesorabilmente legata al maligno, “l’angelo che vuole l’umiliazione e la decadenza<br />

dell’uomo”. La misura della libertà è l’esercizio della tecnologia in conformità all’ordine<br />

divino: “Lungi dall’essere il male la tecnica indica la tensione dell’intelletto umano ad agire<br />

sul mondo oltre i limiti della sua natura corporea”.<br />

L’incontro di Baget con la teologia vichiana della storia avviene nella contemplazione del<br />

progetto d’innalzamento – il gran decorso della Provvidenza che incivilisce l’uomo - al<br />

quale si oppone l’odio satanico contro la storia dell’uomo.<br />

La riscoperta della Scienza Nuova è stata possibile perché la filosofia di Vico ha<br />

accordato la Provvidenza con la libertà dell'uomo e l’eterogenesi dei fini umani con<br />

l’ordine della natura. Non c’è dubbio che la restaurazione della Chiesa, iniziata dalle<br />

encicliche Fides et ratio e Dominus Jesus, si compie in questo orizzonte teologico, che<br />

non concede più spazio alle suggestioni dell’umanesimo integrale, alla dimensione<br />

dell’opera esteriore che oscura l’uomo interiore.


Antisemitismo<br />

La vera fonte dell’antisemitismo<br />

Non c’è motivo di scandalo nell’atteggiamento amichevole di Giovanni Paolo II nei<br />

confronti degli Ebrei, perché l’antisemitismo, oggi alimentato dai cascami del comunismo,<br />

è una minaccia che riguarda anche i cattolici. Il testo capitale dell’ideologia nazista, “Il<br />

mito del XX secolo” di Arthur Rosemberg, sta infatti a dimostrare che l’odio contro gli<br />

ebrei nasce ed è alimentato dalla feroce avversione al Dio dell’Antico e del Nuovo<br />

Testamento. L’antisemitismo nazista era unito strettamente alla dichiarata nostalgia degli<br />

idoli germanici, garanti dello stile di vita disonesta e selvaggia, che i missionari del Dio<br />

ebraico e cristiano avevano estirpato. Gli ebrei erano odiati da una superstizione<br />

accecante, che vedeva in loro non gli appartenenti alla razza semita ma i testimoni del<br />

Dio che aveva conquistato e convertito l’antica Germania. Tanto è vero che i nazisti<br />

intrattenevano un eccellente rapporto con i semiti di religione islamica, che erano perfino<br />

ammessi nei ranghi esclusivi delle SS. La pretesa scienza biologica era solo un<br />

rivestimento occasionale del razzismo, che non può essere capito senza riferimento alla<br />

intenzione polemica rivolta (come ben vide Po XI) contro la tradizione giudeocristiana. Il<br />

Cristianesimo essendo vero soltanto se “prima” è vero l’ebraismo, l’antisemitismo deve<br />

essere considerato alla stregua di un attacco alla Chiesa. Pertanto Pio XI proclamò<br />

solennemente che i cristiani, in quanto “spiritualmente semiti”, non potevano tollerare<br />

l’attentato alla loro radice spirituale, cioè la reazione pagana che operava mediante la<br />

calunnia e la persecuzione degli ebrei.<br />

Nel 1997, Giovanni Paolo II, con la “Riflessione sulla Shoà”, ha confermato<br />

l’insegnamento del suo grande predecessore e lo ha arricchito dimostrando<br />

magistralmente che l’antisemitismo ebbe inizio da Marcione, un eretico che tentò di<br />

avvelenare e inaridire la vita della Chiesa primitiva inventando la separazione di Cristo dal<br />

Dio d’Israele e opponendo il comandamento nuovo all’antica giustizia.<br />

La dottrina del papa è un sasso gettato nella palude della cultura postmoderna, habitat<br />

ideale per il neonazismo nato dalla decomposizione della cultura marxista (come<br />

testimoniano le lezioni, esemplarmente marcionite, degli ex comunisti Ernst Bloch, Walter<br />

Benjamin e Jacob Taubes).<br />

Le infaticabili agenzie dell’ateismo iniziatico tentano d’impedire la demistificazione del<br />

nuovo razzismo ora silenziando l’insegnamento del papa, ora contestandolo, mediante le<br />

rumorose voci cattoliche, che sono nutrite dallo stato d’animo tracimante nella protesta<br />

contro il papa colpevole di “arrendersi al nemico ebraico e di abrogare la storica<br />

condanna del popolo deicida”.<br />

In realtà nemici della Chiesa cattolica sono soltanto i banditori degli idoli pagani, nei quali<br />

la teologia ortodossa ha sempre visto la figura tenebrosa e polimorfa del maligno. E con<br />

loro sono nemici (inconsapevoli, si spera) i fedeli abbagliati dalla vocazione ad insegnare<br />

il Cristianesimo al papa.<br />

Gli ebrei, invece, sono “fratelli maggiori”, proprio come li definisce Giovanni Paolo II, e lo<br />

sono non in seguito alla debolezza del Concilio Vaticano II, ma in forza della parola di san<br />

Paolo: “riguardo all’elezione diletti a motivo dei loro padri, giacche irrevocabili sono i doni<br />

e la vocazione di Dio” (Rm., 11, 28)<br />

L’affermazione di Gesù “Non crediate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti. Non<br />

sono venuto ad abolire ma a compiere” (Mt., 5,17), significa che la fede della Chiesa<br />

cattolica è più vasta (compiuta) della fede d’Israele, mentre conferma che la fonte del<br />

Cristianesimo è la stessa fonte (non abolita) del giudaismo. Il Dio dei cristiani, il Padre di<br />

Gesù, è, infatti, il Dio degli ebrei. Senza la fede nel Dio degli Ebrei la fede cristiana<br />

sarebbe vuota: se rappresentasse l’adempimento delle profezie Cristo sarebbe una figura


dell’empietà pagana. Esattamente la figura che i teologi nazisti tentarono di sovrapporre<br />

al Gesù della storia sacra.<br />

L’evangelista Giovanni perciò definisce mentitore colui che nega Gesù, ma Anticristo colui<br />

che, negando il Padre, rifiuta il Figlio (I Gv., 2, 22). Il diverso peso della condanna non è<br />

stabilito a caso ma per confermare che il principio della storia cristiana si trova nel Dio<br />

d’Israele.<br />

La negazione del Dio di Abramo, il discredito d’Israele, l’esclusione della genealogia<br />

ebraica di Gesù e l’attribuzione al Cristo della discendenza da una ipotetica divinità<br />

“superiore”, sono invece i prodotti della più coerente reazione pagana al Cristianesimo,<br />

quella organizzata dall’eretico Marcione.<br />

Sant’Ireneo da Lione, che confutò magistralmente l’eresia marcionita, la definisce in<br />

questi termini: “Marcione del Ponto … bestemmiò senza pudore il Dio che fu annunciato<br />

dalla Legge e dai profeti. Dice che è autore dei mali, che desidera le guerre, è incostante<br />

nelle sue decisioni e in contraddizione con se stesso. Dice poi che Gesù, inviato dal<br />

Padre che è al disopra del Padre creatore del mondo, venne in Giudea in forma umana …<br />

abolì i profeti e la Legge e tutte le opere del Dio, che ha creato il mondo”.<br />

Marcione seguì con lucida follia l’avversione a Israele e alla Legge dettata a Mosé. Come<br />

testimonia Ireneo, insegnò, infatti, che “si salveranno solo le anime che avranno appreso<br />

la sua dottrina,, essendo impossibile che il corpo, preso dalla terra, partecipi alla<br />

salvezza. Alla bestemmia riguardante Dio ha aggiunto anche questo, facendosi portavoce<br />

del diavolo e dicendo tutte cose contrarie alla verità. Dice che Caino e i suoi simili, i<br />

Sodomiti e gli Egiziani e i loro simili, e tutte le nazioni che vissero immerse in ogni gemere<br />

di male, furono salvati dal Signore … mentre Abele, Enoch, Noé e gli altri giusti, i<br />

discendenti del patriarca Abramo, non hanno avuto parte alla salvezza”.<br />

Caino e i Sodomiti era i nomi scritti sul vessillo del nazismo. Lo conferma il recente “Pimk<br />

swastika”, documentatissimo studio degli storici americani Lovely e Abrams sulla fusione<br />

– nella persona di Hitler – del pederasta e dell’omicida.<br />

Il “cristianesimo tedesco”, inventato e sostenuto dai nazisti e oggi rilanciato dagli<br />

scomposti orfani del materialismo scientifico, rispecchia con canina fedeltà l’eresia<br />

marcionita. Proclama, infatti le stesse categorie e le stesse ragioni di superiorità: la<br />

superiorità degli ariani sugli ebrei, la superiorità del “vero” dio sul Dio della Bibbia, la<br />

superiorità di Caino e dei Sodomiti sui giusti d’Israele. Il delirio etnico, il delirio teologico e<br />

il delirio morale ripetuti con allucinante monotonia.<br />

Non tutti i fedeli ascoltarono le parole pronunciate da Pio XI per sottrarre la Cristianità alla<br />

disonorante suggestione marcionita amplificata dalla propaganda nazismo. Il primo fomite<br />

della suggestione antiebraica era la notizia del complotto ebraico contro le sacre<br />

monarchie, leggenda narrata ignobilmente da un documento (I Protocolli degli savi<br />

anziani di Sion) costruito dalla polizia segreta zarista. Evento non certo raro nella storia<br />

della Chiesa, un potere autocratico (e “reazionario”) propalava una dottrina contraria ai<br />

dogmi fondamentali della Chiesa cattolica e romana. In un’epoca nella quale maturavano<br />

le grandi conversioni degli ebrei (pensiamo, ad esempio, a due nobili italiani, il rettore<br />

magnifico dell’università di Roma, Giorgio Del Vecchio, e il rabbino di Roma, Eugenio<br />

Zolli) la gang nazista coinvolge nell’opera dell’avvelenamento un folto manipolo di cristiani<br />

accecati dall’avversione a Israele o peggio incapaci di distinguere tra ebrei e apostati. La<br />

conclamata falsità del documento passa in secondo piano davanti all’essenza tenebrosa<br />

dell’errore che la teoria del complotto introduce in campo cristiano: una drastica<br />

avversione all’Ebraismo e di conseguenza una devastante cesura tra Antico e Nuovo<br />

Testamento. Giovanni Paolo II, chiedendo perdono agli Ebrei, non ha fatto altro che<br />

adempiere al suo dovere di Vicario di Cristo, l’Unigenito Figlio di Dio che ha assunto la<br />

natura di un uomo di stirpe e di tradizione ebraica.


Ateologia<br />

Tracollo della teologia progressista<br />

La navigazione cattocomunista era già al porto delle nebbie, quando Giuseppe Dossetti,<br />

nell’intento di umiliare la ragione, meretrice di Satana, formulò una singolare tesi<br />

sull’obbedienza, che dovrebbe scattare prima della comprensione del comando. Trionfo<br />

della volontà o del vuoto mentale? Del rivoluzionario focoso o del guru languido? Di<br />

Castegnetti o di Vattimo? Dell’uno e dell’altro. La nave di Pol-pot fu prestamente avviata<br />

alle acque agitate dello zen.<br />

Dopo lo sconquasso dossettiano, viene avanti l’autorevole Bruno Forte, teologo<br />

approvato e celebrato da vescovi di scuola ambrosiana, (quelli che si appoggiano sul<br />

bastone del dubbio pastorale) e perciò accolto premurosamente nel salotto esoterico del<br />

“Corriere della Sera”.<br />

Il “teologo” Forte personifica il pensatore perplesso e gemitoso. Un Cratilo aggiornato<br />

secondo la lezione di Massimo Cacciari e incoronato dal disorientamento ecumenico.<br />

Consacrato al silenzio, il Cratilo di Platone comunicava per cenni. A chi gli chiedeva un<br />

giudizio sulla teoria di Eraclito intorno all’impossibilità di bagnarsi due volte nell’acqua di<br />

un fiume, rispondeva muovendo a diniego l’indice. Il gesto significava che non ci si bagna<br />

neppure la prima volta.<br />

Invece Bruno Forte, per narrare l’abluzione cattocomunista nel divenire, mima un vascello<br />

naufragante tra il silenzio cambogiano e la gora del nulla.<br />

Il Cratilo cacciariano, dunque, sostituisce il Cratilo platonico. Adesso nelle acque morte<br />

del sinistrismo, si bagnano due rivoluzioni, quella del pensiero naufragante e quella del<br />

pensiero non pensante. Massimo Cacciari κ Bruno Forte, appunto.<br />

Nel “Corriere della Sera”, di venerdì 23 marzo 2001, Bruno Forte propone di leggere san<br />

Paolo al lume abbagliante e stravolgente delle note ateologiche, scritte dal sessantottino<br />

Jacob Taubes e squisitamente pubblicate (sotto una copertina di tonalità rosa pastello)<br />

dall’editore iniziatico Roberto Calasso.<br />

Taubes, aggirandosi tra i viscosi cascami dell’eresia marcionita e le elucubrazioni<br />

crepuscolari di Kojève e Bataille a riguardo dello Hegel profondo e le tesi hobbesiane di<br />

Carl Schmitt, intuì che lo stravolgimento della fede cristiana si poteva ottenere alterando<br />

san Paolo e rovesciando nella blasfemia i due assiomi fondamentali della dottrina<br />

cattolica: l’affermazione dell’impassibilità di Dio e la rivendicazione della perfetta<br />

innocenza di Gesù Cristo, “pontifex sanctus, innocens, impollutus, segregatus a<br />

peccatoribus” (Ebr. 7, 26).<br />

Grazie al capovolgimento di questi assiomi e al favore del vento sollevato dai teologi<br />

postconciliari, Taubes poté affermare e far credere a un manipolo di vescovi alterati che,<br />

secondo san Paolo, Gesù Cristo ha fatto propria l’impotenza di fronte al male e, perciò,<br />

che il tragico viene ad abitare in Dio.<br />

Nel capovolto orizzonte taubesiano, san Paolo è separato dal suo pensiero e ridotto al<br />

delirio tragico del Nietzsche profeta dell’eterno ritorno. In tal modo la redenzione cristiana<br />

fu fatta svanire nell’amor fati, mentre la perfezione divina è si scioglieva in una rapsodia<br />

coribantica.<br />

Bruno Forte vede, perché è impossibile non scorgerli, i segnali dell’oscena mistificazione<br />

architettata da Taubes. Ma, invece di arretrare con sacro spavento, avanza, forse<br />

incoraggiato dall’applauso anticattolico degli editori del Corriere della Sera, forse<br />

posseduto dalla smania di stupire eseguendo voli acrobatici sulla passerella messa sotto i<br />

suoi piedi dall’oligarchia. Certo è che Forte si lascia incantare dalla dichiarazione con la<br />

quale Taubes intitola il suo interesse per le lettere paoline all’appartenenza alla<br />

“hegeliana progienies”, e non batte ciglio quando espone un progetto inteso a dimostrare


che l’eredità di san Paolo agisce in autori ferocemente e torbidamente avversi al<br />

Cristianesimo, quali Nietzsche, Freud, Benjamin, Adorno e Schmitt.<br />

Nella luce sciabolante dei pensieri elucubrati dai fari del decadentismo, appare evidente<br />

che Taubes, dichiarando che il tragico abita in Dio, intende insinuare l’infermità della<br />

pagana anima mundi nel cuore della teologia cristiana. Forte cita un passo nel quale la<br />

contaminazione panteista (e decadentista) appare come il risultato del percorso dalla<br />

teologia paolina contraffatta al nichilismo ateologico: “il messaggio cristiano è tutt’altro<br />

che la distruzione del tragico attraverso un moralismo a buon mercato, bensì l’evoluzione<br />

del tragico”.<br />

Moralismo a buon mercato vuol dire, senza dubbio, che il sangue eroicamente versato dai<br />

martiri cristiani non vale molto. E’ noto che i progressisti censurano le beatificazioni<br />

relative agli olocausti trascurabili, come quello di Spagna. E questo si capisce facilmente:<br />

i loro maestri (ad esempio Emanuele Mounier) stavano dalla parte dei persecutori.<br />

Evoluzione del tragico significa invece che il sentimento panico dei primitivi greci –<br />

l’incubo che rappresenta la fatalità e quindi l’innocenza del male – ha inquinato il<br />

progressismo cristiano.<br />

Il tragico, che nell’incubo appare abitante nel Dio cristiano, rappresenta il male come<br />

destino e perciò destituisce la morale e abbassa il diritto a funzione della psicoanalisi.<br />

Nelle parole spicciole del nichilismo al potere, tragico vuole dire che Dio (e l’uomo) sono<br />

impotenti davanti al male, quindi che la responsabilità è impossibile, la redenzione un<br />

pallido bluff, tutti sono innocenti. In conclusione: assolviamo gli assassini e lasciamo<br />

impuniti gli altri criminali.<br />

Il Sessantotto taubesiano è sviluppato nella formula consequenziale della barbarie<br />

sofisticata. Una barbarie, che, per dare fondo alla sua ultima risorsa, affida alla<br />

psicoanalisi il compito di contenere e addolcire (a chiacchiere) l’inevitabile danno.<br />

Ecco nella scena quotidiana lo spettacolo che gli “spiritualisti” alla Taubes hanno allestito<br />

per gli occhi attoniti dei vescovi e degli animatori della parrocchia sociale: il<br />

cattocomunismo, esauriti i sogni teologici intorno alla liberazione dei poveri, orchestra<br />

l’assoluzione universale del crimine. Canta il gallo buonista, e lo psicologo televisivo<br />

Crepet sentenzia che sarebbe un brutto guaio ricordare agli assassini il mal fatto. Se il<br />

tragico abita in Dio, perché dovremmo molestare gli assassini?<br />

Sul versante della teologia della storia l’influsso di Taubes è ancor più rovinoso, perché<br />

sprona l’involuzione nichilista del pensiero moderno. La teologia di Taubes è, infatti, il<br />

rifacimento del tenebroso vaniloquio messo fuori da Léon Bloy nel saggio “Dagli ebrei la<br />

salvezza”, recentemente riproposto dall’immancabile Calasso, dove si dichiara che le<br />

nefandezze rivoluzionarie dell’età moderna sono ispirata dal figlio prodigo, cioè dallo<br />

Spirito Santo, ed eseguite dagli ebrei. La salvezza ebraica, dunque, consisterebbe nel<br />

divino scatenamento della malvagità.<br />

Nella teologia di Taubes (come in quella di Bloy) Bruno Forte non può trovare altro che<br />

l’incentivo all’evasione nell’arcipelago degli inganni, dove la salvezza che viene dagli<br />

Ebrei (Gv., 4, 22), surrettiziamente identificata con l’accondiscendenza teologica al vizio,<br />

suggerisce l’errore catastrofico, che oppone il Nuovo all’Antico Testamento, la morale<br />

cristiana alla presunta immoralità ebraica.<br />

Di qui la persuasione che i fedeli siano costretti a scegliere tra le due disperate e<br />

devastanti chimere del Novecento: quella del falso profetismo, che invita a raccogliere<br />

l’eredità dell’ebraismo fittizio e a tradurla nella complicità con la sovversione della morale,<br />

quella nazista, che intitola la difesa della civiltà occidentale all’antigiudaismo. Il vero perno<br />

della mistificazione taubesiana è appunto l’ambiguo riferimento agli ebrei, identificati con<br />

gli apostati e con i sovversivi.<br />

Ora l’inflessibile condanna di Giovanni Paolo II colpisce esattamente la confusione (la cui<br />

origine è formalmente attribuita all’eresia di Marcione) che ha alimentato gli opposti orrori


del Novecento: l’inganno che, nella sovversione moderna, crede di dover apprezzare o<br />

perseguitare l’autentica tradizione ebraica. Ma Forte si è domandato per quale ragione<br />

Taubes interpreta san Paolo attraverso l’eresia di Marcione? E ha mai cercato di capire il<br />

profondissimo significato del discorso del papa sull’Olocausto?


B<br />

Babele<br />

Ballatoio<br />

Benedizione<br />

Bertinotti il rifondatore<br />

Bobbio<br />

Babele<br />

L’utopia della società multiculturale.<br />

Alle differenze culturali corrispondono istituzioni giuridiche diverse. La scienza giuridica,<br />

infatti, discende dalla cultura dei popoli. Ad esempio: dall’incontro della filosofia greca con<br />

la tradizione romana e con la fede cristiana deriva la giurisprudenza di Giustiniano; dalla<br />

cultura longobarda l’editto di Rotari. La dignità del diritto indica la statura della civiltà che<br />

lo ha prodotto. Nel corso della storia, i grandi filosofi del diritto, da Protagora a Platone, da<br />

Hobbes a Vico, da Kant a Rosmini, da Hegel a Gentile, da Marx alla Arendt, da Del<br />

Vecchio a De Tejada, si sono divisi ed hanno polemizzato su tutto, non su questo<br />

principio – il diritto è lo specchio della cultura nazionale - che sembra estratto dalla<br />

proverbiale acqua fresca. Per tutti, ma non per gli anarchici che si nascondono sotto l’ala<br />

protettiva del buonismo.<br />

Le scuole della filosofia del diritto si distinguono in contrattualistiche e giusnaturalistiche,<br />

positivistiche e utilitaristiche, materialistiche e personalistiche, ma nessuna scuola ha<br />

pensato di separare il diritto dalla sua fonte culturale. Nel passato recente, professori<br />

italiani, fortemente indiziati di pensieri scorretti, dichiaravano che l’apprezzamento della<br />

civiltà italiana si alimenta leggendo le formule grottesche contenute nell’editto di Rotari.<br />

Professori tedeschi di più larghe vedute, affermavano, invece, la superiorità della schietta<br />

giurisprudenza nordica su quello (babilonese, secondo Arthur Rosemberg) di Roma. In<br />

questa fase storica non si sa bene da che parte convenga schierarsi. Non tira aria buona.<br />

Nel regno del pensiero debole come in quello della psicoanalisi hillmaniana è imprudente<br />

proclamare che l’essere è. Figuriamo se è possibile parlare di primato civile! Ultimamente<br />

l’astensione dal giudizio di valore è diventata obbligatoria. Ma il più soave ed ecumenico<br />

rispetto di fronte all’editto di Rotari (o alle elucubrazioni giuridiche di Carl Schmitt o di<br />

Jacob Taubes) non abolisce la diversità. La disputa intorno al valore della cultura è<br />

nuovamente aperta, ma non si afferma ancora l’opportunità di sdoppiare il diritto. Pertanto<br />

l’opinione che afferma la diversità della giurisprudenza è guardata con sospetto ma<br />

ancora tollerata.<br />

Ora dire che Rotari non è Giustiniano significa riconoscere che la cultura romana non è<br />

identica alla cultura dei longobardi. Un giorno radioso un Cacciari (o un Vattimo?)<br />

dimostrerà che Rotari e Giustiniano affermavano princìpi identici. Anche di Stalin, di Hitler<br />

e di Teresa di Calcutta si potrà predicare l’uguaglianza di pensiero. In futuro, se il<br />

pensiero filosofico rimarrà ancorato alle debolezze postmoderne. Per il momento hanno<br />

ancora diritto di parola coloro che affermano o ammettono la differenza. E ammessa la<br />

differenza non si può negare che non è facile la combinazione delle diverse culture<br />

giuridiche. La storia insegna che nella convivenza di due popoli – l’italiano fedele alla<br />

cultura romana, il longobardo fedele alla cultura della steppa – non tutto filava liscio.


Al proposito è opportuno rammentare che l’Italia, nel 1938, sotto l’impulso di un<br />

entusiasmo ecumenico incontrollato, ha inserito un ramo del diritto germanico sulla pianta<br />

del diritto romano. Con tutto il rispetto che è dovuto all’etnia germanica e ai sostenitori<br />

della società multiculturale, rifiutiamo di proclamare la felicità dell’innesto. Ingiustizie e<br />

orrori a parte, è fuori discussione che dalle leggi del 1938 iniziò la divisione degli italiani, e<br />

la crisi di un regime che prima godeva del consenso popolare. Le leggi razziali furono la<br />

causa remota della guerra civile. O no?<br />

Popoli appartenenti a culture diverse possono convivere pacificamente soltanto se<br />

rispettano un diritto comune, cioè una cultura comune. Il nome di questo rispetto è<br />

integrazione. E’ inutile girare intorno al palo dell’ecumenismo: integrazione significa che,<br />

dato una popolazione multietnica, una sola cultura fa legge. Immaginiamo che sbarchi in<br />

Italia un discendente degli Incas e che dichiari, in nome del principio multiculturale, il<br />

diritto di compiere sacrifici umani, come facevano i suoi antenati. Nessun disprezzo del<br />

pensiero sacrificante: il sacrificio umano forse ebbe un significato nella lontana storia<br />

dell’umanità. Anche il cannibalismo, a dire il vero. Ma è praticabile, oggi? E’ tollerabile?<br />

Qui la tolleranza vacilla. Lo stesso Massimo Cacciari, autore dell’ecumenico “Arcipelago”,<br />

converrà che non è facile soddisfare il discendente eventuale degli Incas. Ora la nostra<br />

legge, quando proibisce il sacrificio umano o il pasto umano cosa altro afferma se non il<br />

principio della cultura religiosa che stabilisce il carattere sacro e inviolabile della persona<br />

umana innocente? Ci sono due culture e due scuole giuridiche, quella degli Incas e quella<br />

dei cattolici Romani. Purtroppo una sola può prevalere. Si dirà: ecco l’acqua fresca. Non<br />

si nega la freschezza e neppure l’acqua. Non è possibile, le cose stanno esattamente<br />

così: l’acqua è fresca perciò il diritto non può sdoppiarsi per appagare esigenze dettate da<br />

culture diverse e contrarie.<br />

Il discendente degli Incas può pensarla come vuole, vestirsi come gli aggrada, leggere i<br />

libri che preferisce, ascoltare la musica di suo gusto: la tolleranza del pensiero è sempre<br />

fuori discussione. Ma non potrà fare sacrifici umani in carne e ossa: in materia di vita<br />

umana innocente la decisione estrema, anche la decisione culturale, compete al diritto<br />

prevalente. Fedele alla tradizione culturale romana e cristiana, il diritto italiano vieta il<br />

sacrificio. L’eventuale cannibale, con rispetto parlando, dovrà dunque limitarsi al pensiero:<br />

la nostra legge tollera il pensiero cannibalesco ma non ammette il cannibale in cucina.<br />

Questo vuol dire che di molte culture una sola può superare la soglia del diritto e imporre<br />

la legge. Le altre sono destinate a rimanere nel limbo del folklore.<br />

Due culture possono convivere solo se in cucina esiste una sola legge. Una legge uguale<br />

per tutti, come è scritto sulle pareti dei tribunali. Una, non molte. Non è più necessaria<br />

l’assimilazione culturale quando la legge riesce a convincere tutti che è necessario<br />

uniformare i divieti: il sacrificio umano è interdetto sia agli italiani che agli eventuali<br />

discendenti degli Incas.<br />

Questo principio è condiviso (speriamo senza riserve mentali) anche dall’insospettabile<br />

Seleh Zighloul, il palestinese responsabile dell’ufficio immigrati della CGL. In vista di un<br />

progetto governativo per l’avvicinamento dell’Italia all’Africa, egli ha dichiarato: “Difendere<br />

la propria identità non vuol dire che in Italia si possa fare quel che si vuole. Prendiamo la<br />

poligamia: se in Italia è vietata dalla legge questa legge va rispettata. I diritti e i doveri<br />

devono valere per tutti”.<br />

La legge della convivenza non potrebbe essere formulata con maggiore esattezza. Infatti<br />

gruppi sociali appartenenti a culture diverse possono convivere solamente quando una di<br />

loro, quella maggioritaria, riconosciuti alcuni fondamentali princìpi, stabilisce e impone<br />

regole certe e univoche per tutti. Princìpi fluidi e regole ambigue sono i fomiti dell’anarchia<br />

e della guerra di tutti contro tutti. Il discendente degli Incas è tenuto ad integrarsi, cioè ad<br />

adattarsi alla legge del paese che lo ospita. I sacrifici (e i pasti) umani non sono leciti. La


tolleranza lascia pensare, la legge vieta. Punto e basta. Lo stesso vale per l’immigrato<br />

islamico; la poligamia è lecita nei paesi arabi ma non Italia, dove una moglie è sufficiente.<br />

Detto questo, cosa altro rimane da aggiungere per dimostrare che davanti al diritto l’idea<br />

della società multiculturale – dunque multigiuridica - è un’assurdità del genere legno di<br />

ferro? L’esistenza di una società ordinata e pacifica è possibile solo dove prevale una<br />

sola legge.<br />

Ballatoio<br />

I quattro livelli dello snobismo<br />

Concerto di sentenze sputate da comari effervescenti contro comparse dolenti, la rubrica<br />

televisiva di Maria De Filippi, “Uomini e donne”, rappresenta, in modo perfetto la scena<br />

del ballatoio attizzato dalle signora illuminate, e con la regolamentare puzzetta al naso.<br />

Nell’infimo ballatoio la mancanza di ritegno disputa con la disperazione, la superiore<br />

albagia con la dignità ferita e messa in piazza.<br />

Si sale una rampa di scale ed ecco il ballatoio con i fiocchi, il livello dell’ostentazione<br />

fatua, di cui offrì una memorabile interpretazione Bice Valori. Chi non ricorda le contesse,<br />

titolari di rubriche giornalistiche concepite per fare la rabbia degli inferiori? Bice Valori<br />

aveva fondato una scuola di pensiero sull’umorismo oggettivo delle contesse, che<br />

consigliano crociere caraibiche o lunghi soggiorni a Zermatt quali rimedi alle afflizioni<br />

delle proletarie con marito disoccupato, farfallone e manesco. Non si lascia andare,<br />

ragazza mia. Affidi i suoi cinque marmocchi alle cameriere e getti i problemi dietro le<br />

spalle. Prenda il volo. Spensieratamente. Come faceva Magda Lupescu, ogni volta che<br />

subiva un torto dal suo amante, il birichino re Carol. Mi chiami in redazione, le<br />

comunicherò il numero telefonico di un caro amico, ammiraglio della flotta Flutti e Flussi,<br />

le troverà una perfetta sistemazione in prima classe. Ma si affretti, le prenotazioni sono<br />

ufficialmente chiuse”.<br />

Altri tempi? Secondo i progressisti le sofferenze proletarie che Bice Valori medicava<br />

elegantemente sono dissolti nel rosolio della nuova società. Il mondo è cambiato, signori<br />

miei, e le contesse ideali ed eterne non suggeriscono più deliziose risposte alle afflizioni<br />

dei meno agiati. Lo dice Rutelli: i meno agiati non ci sono più. Sono invenzioni cielline,<br />

elucubrate per giustificare elargizioni di denaro pubblico ad asili reazionari, gestiti da<br />

biechi ordini di monache preconciliari.<br />

Le madri lavoratrici, ad esempio. Operaie, infermiere, postine, bidelle, colf, un tempo alle<br />

prese con figli da depositare all’asilo di Cinisello Balsamo o di Tor Bella Monaca. Asilo<br />

sempre costoso e sempre difficile da trovare.<br />

Situazioni del passato. Solo uno sciocco, può credere che posteggiare i figli sia un<br />

problema.<br />

Infatti si sale una rampa di scale è si trova il terzo livello, il ballatoio della sinistra soave e<br />

miracolante. Qui le proletarie parlano finalmente come Bice Valori. L’ingombrante<br />

problema dei figli, infatti, è svanito nella pagina al fosforo che la radiosa Barbara<br />

Palombelli dedica alle baby sitter. Una lettrice di Repubblica, presumibilmente<br />

un’impiegatuccia borgatara, annuncia che, in attesa degli ulteriori miracoli del<br />

centrosinistra prossimo venturo (“servizi all’infanzia qualificati, orari di lavoro brevi, non<br />

penalizzati e una cultura aperta al bambino”) “Le mie bambine stanno con una simpatica<br />

signora polacca”.<br />

A questo punto ha inizio la ferma reazione della Palombelli. Lo spirito del ballatoio, infatti,<br />

dorme ma non muore mai. L’ostentazione della (presunta) impiegatuccia manda in<br />

fibrillazione il cuore progressista. Come si permette – l’arrivista - di sfoggiare la sua<br />

miserabile polacca? Non sa quante baby sitter ho avuto io? E di che razza eletta: “Le


agazze e i ragazzi che hanno girato per la mia casa nei lunghi pomeriggi in cui ero<br />

assente sono – ora che i figli sono grandi - dei punti di riferimento in certi campi, perfino<br />

più preziosi di me”. Capito che splendore? Altro che una polacca! Udite, o meno agiati<br />

(pronuncia: menaggiuati). In casa di Palombelli-Rutelli hanno girato perfino “delle ragazze<br />

svedesi alla pari (che sono ancora in contatto con noi) fantastiche nell’insegnare le mille<br />

differenze culturali, gli sport, ile tradizioni natalizie, i cibi di un mondo lontano”.<br />

I pargoli, diventati grandicelli, furono però affidati a studenti e studentesse italiane: “è<br />

meglio quando arrivano compiti e ricerche più difficili”. E tu che vantavi una polacchetta!<br />

In casa noi abbiamo avuto dei geni in boccio: “Una di loro [beccati questo schiaffo]<br />

insegna – a soli 28 anni – già da un po’ negli Stati Uniti. Ci scriviamo via Internet e il mio<br />

primo figlio è stato ospite da lei a Philadelfia un’estate…. Insomma, evviva la baby sitter<br />

[quando la sua qualità è eccelsa, come quella delle mie]”.<br />

E ora ritorna al tuo posto, lettrice impertinente, probabilmente sposata con un uomo sine<br />

nobilitate. Mentre Barbara ha sposato un uomo dal destino regale.<br />

Nell’ultimo livello del ballatoio, quello della sinistra metafisica, appare Livia Turco, vestita<br />

da credente. Con gli occhi lucidi d’orgoglio si rivolge a un Carlo Marx dalla barba<br />

elettrizzata e gli grida: “E’ di sinistra, di sinistra, di sinistra, di sinistra”. Più a sinistra della<br />

contessa Palombelli dei Rutelli, infatti, non si può andare.<br />

Benedizione<br />

Vattimo, l’ultima sfida al ridicolo<br />

Gli italiani che scansano allegramente i futili problemi – l’incertezza del diritto, la<br />

delinquenza impunita, la devastazione drogastica, la denatalità, l’immigrazione selvaggia,<br />

la voracità del fisco, gli ostacoli ideologici allo sviluppo dell’economia, la disoccupazione<br />

diffusa, la decadenza della scuola ecc. – che le F.O.D.R.I.A. (forze oscure della reazione<br />

in agguato) sollevano al fine di nascondere le benemerenze della sinistra di governo,<br />

quegli italiani esemplarmente virtuosi vivono ore di angustia, a causa dell’infame e<br />

tremenda persecuzione, che gli omosessuali subiscono da parte della gerarchia cattolica.<br />

La misura dell’ingiustizia è tale, che un pensatore della statura somma di Gianni Vattimo<br />

è stato costretto a dichiarare, dalle limpide e serene pagine della rivista giustizialista<br />

“Micromega”, che “quest’anno non andrò in Chiesa in occasione della Pasqua, salvo che<br />

mi capiti di visitare qualche amico monaco in comunità eterodosse o comunque aperte<br />

come quelle di Bose”.<br />

Gli italiani politicamente corretti sono costernati. Ma gli altri, dopo aver eluso l’inelegante<br />

curiosità, che da un Vattimo vorrebbe notizie più precise sulla direzione dell’eterodossia<br />

delle comunità amiche e sul genere delle generose aperture praticate nel monastero di<br />

Bose, riflettono sulla causa di tanto lamentosa protesta: “Non posso frequentare i riti e<br />

partecipare ai sacramenti di una Chiesa … che accetta la mia inclinazione [omosessuale]<br />

ma mi comanda di non seguirla mentre fa pervenire agli sposi cristiani un telegramma di<br />

auguri del Santo Padre … perché crescano, si moltiplichino, facciano l’amore con la<br />

sicura coscienza che il papa è con loro”.<br />

I telegrammi agli sposi sono uno scandalo intollerabile, che desta la stizza del pensatore<br />

debole. Il graffiante Vattimo dichiara di essere disgustato dal comportamento papale,<br />

inteso a discriminare la “categoria”, alla quale appartiene orgogliosamente.<br />

Ora il buon gusto e la legge vietano ogni commento malevolo sulla pederastia.<br />

Ma la passione per la grammatica vorrebbe sapere quali parole dovrebbe usare il Santo<br />

Padre per fare gli auguri alla coppia omosessuale, che si accinge a consumare il<br />

matrimonio. E auguri per cosa? E con cosa vorrebbe essere benedetto Vattimo, con<br />

l’acqua benedetta o con la vaselina?


In occasione dei matrimoni tra uomo e donna il telegramma di auguri è indirizzato a una<br />

gentile sposa (in abito bianco) e a un egregio sposo (in nero frac). Nel caso rivendicato da<br />

Vattimo apparirebbero due signori in frac. Come si fa a stabilire chi è gentile e chi<br />

egregio?<br />

Lo spinoso problema si risolve, purché la paura del ridicolo sia definitivamente rimossa.<br />

Vattimo con intrepidezza da umorista consumato rimuove l’ostacolo senza difficoltà:<br />

l’abito bianco e il nero frac, la signorina gentile e l’egregio signore si dileguano nella<br />

nebbia sollevata dalla (presunta) rivoluzione cristiana del pensiero. Il filosofo dichiara<br />

infatti di aver scoperto, leggendo alcuni sommi autori (i suoi maestri: gli atei furenti<br />

Nietzsche e Heidegger), “che il cristianesimo ha introdotto nel mondo il principio di un<br />

rinnovamento radicale della metafisica classica: non più lo sguardo rivolto all’oggetto, alle<br />

forme naturali assunte come fisse ed eterne … ma lo sguardo sulla libertà e l’interiorità”.<br />

E se non si guarda alle forme naturali, dove sta più la differenza tra una sposa in bianco e<br />

uno sposo in frac?<br />

I progressisti del XIX secolo avevano inventato il falansterio, edificio sociale dell’utopia,<br />

dove, per realizzare l’uguaglianza anche negli accoppiamenti, gli “incontri” avvenivano in<br />

una camera buia e a tastoni. Il buio tatto poteva ottenere qualunque sorpresa. E’ evidente<br />

che Vattimo, fedele all’utopia ottocentesca, vuole l’amore cieco. (Tanto più che la<br />

pederastia, nel buio, distingue benissimo l’oggetto del suo desiderio).<br />

Sorge però un dubbio: se il pensiero cristiano avesse veramente abolito lo sguardo rivolto<br />

all’oggetto, per quale motivo la Bibbia condannerebbe ferocemente la pederastia? Perché<br />

la Chiesa ha sempre proibito e duramente perseguitato la pederastia? Perché non ha<br />

seguito “lo spostamento della nozione di verità dall’oggettività [una sposa in bianco non è<br />

uno sposo in frac] all’intersoggettività [nella camere oscura uno sposo in frac sostituisce<br />

felicemente una sposa in bianco]”?<br />

La spiegazione di Vattimo è perfettamente coerente con i principi del pensiero debole: la<br />

Chiesa sarebbe diventata ostile alla pederastia “avendo ereditato tratti essenziali dalla<br />

cultura antica e in special modo il mito dell’oggettività delle leggi di natura”. In parole<br />

povere: l’appartenenza al sesso maschile o a quello femminile non sarebbe decisa dalla<br />

nascita ma dal pensiero trasformista di Vattimo. Come in un incantesimo, Vattimo dice<br />

che i veri intellettuali sono femminili, Nel nome magico di Nietzsche i neodestri si<br />

affrettano a cambiare veste. Buttafuoco dichiara infatti che la neodestra appartiene al<br />

mondo gay. Miracolo? L’oltre uomo di Nietzsche getta la maschera e mostra la sua<br />

vocazione di oltre il maschio, cioè di androgino. Ma di qui a concludere che l’oltre<br />

maschio è diventato donna il passo è molto lungo.<br />

In definitiva, la colpa della Chiesa consisterebbe nel sottrarsi alla rivelazione del duo<br />

Nietzsche-Heidegger e nel negare che la realtà è sottoposta alla legge della soggettività:<br />

il ruolo maschile e quello femminile non dipendono dalla natura ma dalla decisione del<br />

pensatore-mago. La mente degli sconvolti e il cuore dei travestiti non chiedono niente di<br />

più.<br />

Bertinotti il rifondatore<br />

Pensieri lucertoliani<br />

L’apostasia moderna può essere paragonata alla vocazione paleontologica d’un<br />

affannoso ricercatore di fossili quale fu, ad esempio, il gesuita filonazista Pierre Teilhard<br />

du Chardin. Nel cuore segreto della filosofia in rivolta contro l’Occidente cristiano, infatti,<br />

pulsa l’amore per i relitti dell’antichità, ancorché fasulli (come il sinantropo). Gli averroisti<br />

di Parigi e di Padova usavano l’Aristotele degli arabi per aggredire la teologia razionale.<br />

Gemisto Pletone voleva che la metafisica retrocedesse al platonismo spurio degli


scolarchi. Il Rinascimento vezzeggiava i Polifemi raffigurati nelle divinità dei greci. Bacone<br />

non ha fatto altro che rincorrere un’improbabile antiquiissima sapientia veterum. Giordano<br />

Bruno ha preso sul serio gli apocrifi di Ermete Trismegisto. I giacobini erano convinti di<br />

recitare, contro Luigi XVI, la nobile parte di Bruto il Maggiore. Hegel idolatrava Eraclito.<br />

Marx fondò la scienza del mondo nuovo sui pensieri elementari di Democrito ed Epicuro.<br />

Schopenhauer fu illuminato dal buddismo arcaico. Nietzsche abbagliato dal dionisismo.<br />

Heidegger estasiato dai frammenti di Anassimandro. Senza destare più sorpresa, adesso<br />

sulla scena irrompe il furore regressivo del popolo di Seattle. L’orizzonte terminale della<br />

modernità assume la forma del pensatoio giurassico. Il paradiso in terra? Marx si è<br />

fermato alle Galapagos, adora le lucertole e forse fuma lo spinello. Stiamo forse<br />

scoprendo che l’ultimo pensiero rivoluzionario è ispirato dai rettili di Darwin?<br />

Infatti il marxismo rifondato da Bertinotti non è un umanesimo ma un lucertolismo.<br />

Bertinotti è un Pol-pot ammansito e perciò ricevuto dal salotto. Troppo raffinato per<br />

interpretare il leggendario drago, ma – all’occorrenza – capace di emettere il soffio<br />

ecologico che fa rinsecchire l’economia. Il partito della rifondazione è una brezza nella<br />

vela del socialismo reale ma una tempesta contro il progresso. Non promette sterminio di<br />

kulaki ma pacifiche carestie. Adesso che sulla vicenda moderna si è alzato l’ultimo<br />

sipario, non è difficile capire l’aurea regola del comunismo ultimamente detto: togliere a<br />

tutti, beneficare nessuno. Parliamo della persecuzione di Stalin contro i kulaki ridotta a<br />

dolce sceneggiata: la bontà punisce la ricchezza degli imprenditori refrattari per far<br />

cadere l’indigenza su tutti gli altri.<br />

Le pensioni e i salari sociali, ad esempio. Cosa ci vuole per far felici anziani e<br />

disoccupati? Nell’ottica lucertoliana, niente. E’ sufficiente abbandonarsi alla sindrome di<br />

Robin Hood: aizzare i gabellieri contro i redditi da impresa e contemporaneamente<br />

avviare l’inflactus (la meravigliosa macchinetta di Cric & Croc).<br />

Abbiamo trovato la formula della felicità? In realtà l’indigenza degli anziani è causata dal<br />

disfacimento della famiglia tradizionale, disfacimento al quale il pensiero lucertoliano (in<br />

sintonia con il lavoro della psicoanalisi parricida) sta dando un decisivo contributo.<br />

Ecco il risultato della morale socialista in lotta contro la tradizione: mantenere un anziano<br />

autosufficiente in un istituto pubblico costa circa cinque milioni al mese, il reddito di una<br />

famiglia intera. Con un modesto sussidio pubblico (perfino inferiore alla pensione minima)<br />

una famiglia tradizionale potrebbe invece risolvere il problema di un anziano. Se ben<br />

riflettiamo il nodo non è la mancanza di denaro ma la volatilizzazione della famiglia e<br />

l’abolizione della solidarietà tra consanguinei.<br />

Il problema è che famiglie non ci sono più, poiché pensieri lucertoliani hanno fatto svanire<br />

quella pietà per i deboli, che costituiva il fondamento della società cristiana. In un paese<br />

dove la famiglia non è ancora disarticolata il mantenimento di un vecchio costa molto<br />

poco. Dove esiste ancora la solidarietà familiare, la spesa sociale si riduce di<br />

conseguenza, e con essa si riducono le tasse. Il paradosso sta in questo: l’economia<br />

globale premia le società che trovano la parsimonia e l’efficienza nella fedeltà alla<br />

tradizione cristiana.<br />

I promotori dell’economia globale non si prefiggevano certamente di raggiungere questo<br />

fine. Al contrario: nella loro mente imperava un forsennato individualismo. Ma nella storia,<br />

come ha insegnato il nostro Vico, vige la legge dell’eterogenesi dei fini: la globalizzazione,<br />

pertanto, costringe gli egoismi a calcolare e a capire che la spesa sociale è troppo alta (e<br />

antieconomica) dove è più avanzata la disgregazione familiare. Se non si è solidali per<br />

scelta occorre diventarlo per obbligo.<br />

La riprova viene dall’osservazione del percorso cui è costretto il solidarismo fasullo<br />

nell’età della globalizzazione. Secondo Bertinotti nella sola Milano sotto la soglia di<br />

povertà si contano trecentomila persone. E’ chiaro che ai comunisti per rimuovere con il<br />

loro metodo un disagio tanto diffuso, sarebbe necessario un intervento massiccio della


mano pubblica. Se non che il mercato globale non consente questa operazione: i capitali<br />

fuggono dal paese dove la spesa sociale alza la clava del fisco. L’azienda Italia,<br />

nonostante le eccellenti doti degli italiani creativi, rischia di subire la concorrenza di paesi<br />

che hanno ancora una tradizione familiare. Si dimostra in tal modo che la solidarietà<br />

autentica (e non statale) à valorizzata e non depressa dall’economia globale.<br />

Per questo un coraggioso intellettuale cattolico, mons. Guido Pozzo, nel corso di un<br />

convegno recentemente promosso da Gaetano Rebecchini, ha sostenuto che la sfida<br />

della globalizzazione suscita speranze e apre scenari entusiasmanti.<br />

Contrariamente a quel che danno a credere i lucertoloni di Bertinotti, la concorrenza non<br />

è un male, poiché obbliga a discutere il (falso) progresso compiuto dalla società sulla<br />

strada dell’egoismo insensato.<br />

I comunisti vogliono far credere che la globalizzazione sia un ostacolo alla solidarietà e<br />

perciò scatenano la piazza di Seattle. L’ostacolo alla solidarietà è invece la politica<br />

lucertoliana, intesa ad abolire la morale e a disgregare la famiglia tradizionale. L’ostacolo<br />

alla solidarietà è infine l’illusione maldestra dei buonisti, che promuovono lo spreco<br />

pubblico per (non) risolvere i problemi posti dalla loro catastrofica cultura.<br />

Bobbio<br />

Terza Roma e seconda Babilonia<br />

L’azionismo fu. Si estinse al tramontare del secolo XIX, quando la sinistra crispina mise in<br />

scena un’eroica parodia del basso impero. Svanirono i sogni mazziniani e carducciani di<br />

una Terza Roma, consacrata ad un’azione fieramente laica (onde azionismo) sulle rovine<br />

della Chiesa cattolica. Lo spirito azionista sopravvisse soltanto nella polemica con<br />

Giovanni Gentile, reo di non aver impedito l’accordo di Mussolini col Vaticano. Cadde nel<br />

silenzio perfetto quando i comunisti, dietro mandato del salotto, uccisero Giovanni<br />

Gentile, la ragion d’essere (negativa) degli azionisti. Nel 1944, il filosofo azionista Guido<br />

De Ruggero (a proposito: chi se ne ricorda?) era già sceso al malinconico livello delle<br />

guardie reali al pantheon.<br />

Dignitosamente, ma al pantheon abita la naftalina, cui scamparono soltanto gli azionisti<br />

fittizi e avventizi, vale a dire gli emissari di Raffaele Mattioli. L’azionismo che non esiste,<br />

come lo definì Del Noce. Figuriamoci se esiste Bobbio, un intellettuale che vive in libreria,<br />

a distanza di cent’anni dal passato che si trova nel pantheon. L’azionismo di Bobbio è una<br />

memoria crepuscolare, gozzaniana: cara cosa ingiallita.<br />

Quando Bobbio, nella veste di padrone delle reliquie, ha firmato il manifesto che dichiara<br />

la guerra della civiltà rutelliana a Berlusconi, forse pensava di difendere l’Italia solenne del<br />

pantheon, non certo al paesaggio depresso, che è nel disegno degli altri firmatari,<br />

l’economista dell’Espresso Paolo Sylos Labini e il direttore di Micromega, il frizzante<br />

Paolo Flores d’Arcais.<br />

Infatti la Terza Roma, quella della sinistra secondo Micromega, ha il profilo sgangherato<br />

di una seconda Babilonia. La casa di Bobbio è una pietra profumata da nobili e rispettabili<br />

muschi, e perciò, lo ha ricordato Publio Fiori, rimane a distanza dall’orrore comunista e<br />

dalla truffa neocomumista. Il Bobbio che firma contro Berlusconi è dunque antitetico al<br />

Bobbio reale.<br />

Il laicismo messo in scena dalla sinistra veltroniana rappresenta il cascame del<br />

comunismo, che si divide tra le danze di Gianni Vattimo intorno all’effeminatezza di<br />

Nietzsche e i lavori a maglia, che l’ex didimo dello juventino Mughini, Paolo Flores<br />

d’Arcais, esegue, con il pensiero rivolto alla ghigliottina. Sullo sfondo appare Nanni<br />

Moretti, che proditoriamente dirige una pioggia di morfina cinematografica sugli incauti<br />

spettatori del funerale.


La sinistra si nasconde dietro la sagoma rispettabile di Norberto Bobbio, guardiano del<br />

pantheon ottocentesco, narcotizzato da Nanni Moretti. Ma la figura della comicità tracima<br />

imperiosamente: il giorno della firma al manifesto contro Berlusconi, il quotidiano<br />

“Liberazione”, organo della rifondazione comunista, scriveva: “Incredibile dichiarazione<br />

del candidato premier dell’Ulivo, alla vigilia dell’otto marzo. In visita al settimanale<br />

cattolico Famiglia cristiana, Francesco Rutelli si dichiara personalmente contrario<br />

all’aborto, e propone di cambiare la legge. Non sazio, Rutelli propone anche di aumentare<br />

il sostegno alle famiglie per favorire la scuola privata”.<br />

Bertinotti si è formato alla scuola di Riccardo Lombardi, e Riccardo Lomardi apparteneva<br />

alla scuderia “azionista” di Mattioli. Tanto per dire cosa rimane dell’azionismo: il potere<br />

dell’eversione. Il giorno successivo, gli stessi giornali che pubblicizzavano il manifesto di<br />

Bobbio e Flores d’Arcais, davano notizia della rivolta generale dell’ulivo: tutti gli esponenti<br />

della sinistra, comprese la lacrimosa Livia Turco e la soave professoressa dell’Università<br />

cattolica, Ombretta Fumagalli Carulli, avevano preso posizione contro il clericalismo di<br />

Rutelli. E Rutelli? Fermo contro Berlusconi, liquido con tutti gli altri. Udita l’unanime<br />

sconfessione, ha eseguito il delizioso rito del penitente laico. E alla fine ha rivendicato la<br />

sua antica battaglia di radicale favorevole all’aborto. Cosa ne pensa il professor Bobbio,<br />

che in altre occasioni si è detto contrario a pornografia e aborto?<br />

Aborto no, aborto sì. E poi: scuola privata sì, scuola privata no. Come nella canzone di<br />

Nicoletta Patty Pravo Strambelli, Rutelli, dichiara che il pensiero della sinistra non ha<br />

stabile dimora. Oggi qua, domani là. Un giorno abita dai frati paolini, un giorno da<br />

Pannella. Oggi terza Roma, domani seconda Babilonia. Chissà se un giorno arriverà nella<br />

Patagonia del sublime Chatwin. Certo è che la lotta della (tra virgolette) civiltà contro<br />

Berlusconi è condotta senza quartiere. Letteralmente.<br />

Per fustigare la politica italiana, l’Alighieri rinfacciava la frenetica volubilità di Firenze,<br />

… che fai tanto sottili<br />

provvedimenti, ch’a mezzo novembre<br />

non giugne quel che tu d’ottobre fili.<br />

Le sfreccianti giravolte della nuova sinistra battono il camaleontismo della Firenze<br />

medioevale. E mostrano quale è il pericolo che incombe realmente sulla civiltà italiana: un<br />

governo fregolistico. Che specchierebbe la virtù di Fregoli, un attore da avanspettacolo<br />

diventato famoso per la velocità nel cambio d’abito, d’aspetto e di ruolo.<br />

La sinistra espone il futuro costituito da un governo di banderuole esposte al vento<br />

capriccioso delle Ombrette, docilmente intese a compiacere i controllori babilonesi dello<br />

spettacolo. Gli azionisti “ultimi”, avendo capito da che parte gira il vento del palcoscenico,<br />

giocano l’asso piglia tutto e accarezzano paolini e pannelliani, libertini ed encratisti, verdi<br />

contro l’elettrosmog e scienziati nucleari, cacciatori e gattare, fumatori e drogati,<br />

sviluppisti e membri arcadici del WWF. Tutti elettori, tutti estasiati, tutti imbrogliati.<br />

Civilmente.<br />

Ma il palazzo dei superiori babilonesi ha già fatto sapere, per la voce impaurita e<br />

sottomessa della Fumagalli Carulli, chi sarebbe il padrone della vittoria “civile” contro la<br />

destra. E contro la maggioranza degli italiani.


C<br />

Cacciari<br />

Carattere<br />

Carmelo<br />

Comunitari<br />

Cosmopoli<br />

Cultura di sinistra<br />

Cacciari<br />

Il professore assoluto<br />

Umido per il compianto del creato, corrusco per lo sdegno nei confronti del creatore.<br />

L’occhio di Massimo Cacciari vigila. Nella sua luce vibra una Niobe d’ira. Contemplare<br />

l’aspetto michelangiolesco di Cacciari desta vertiginose emozioni. Ascoltarlo è una<br />

delizia. Cacciari è antico e profondo come un vescovo ammaestrato dai comunisti.<br />

Ingannati dai rustici argomenti della destra i telespettatori pensarono per un attimo che la<br />

compilazione dei testi scolastici e la loro adozione fosse compito di biechi inquisitori,<br />

orchestrati dal rozzo Storace e dal viscido Formigoni. Ma il luminoso Cacciari ha parlato.<br />

In televisione. Forte e chiaro. Ora la plebaglia sa: i libri di scuola li scrivono e li adottano i<br />

professori. Giù le mani dai professori e dai libri sacri. Il professore è l’assoluto a cavallo.<br />

Dei diritti d’autore.<br />

L’ira del palombaro nella laguna filosofica, scuote la paciosa parlata veneta. “Finiamola!”<br />

scandisce imperioso. Cacciari è un arcipelago, una coscienza multipla e scattante.<br />

Venetiae locutae sunt. Causa finita? Un circolo ermeneutico appare davanti ai rustici<br />

sguardi degli italiani: i professori scrivono, gli alunni leggono, i fascisti imparino a tacere. Il<br />

liberticida Storace stia in riga, la parola di Cacciari è legione.<br />

I revisionisti non passeranno. L’infame Francesco Cossiga andrà a cuccia. Lucio Colletti<br />

metterà le orecchie d’asino. Rocco Buttiglione sarà sculacciato. Cecilia Gatto Trocchi<br />

ammanettata. Fausto Gianfranceschi flagellato. L’Intelligenza splenderà invitta. I libri di<br />

scuola li scrivono professori-scrittori e li adottano professori-docenti. Cosa si vuole di più?<br />

I ragazzi leggano, l’impertinenza di destra è fuori dal gioco. Nei cieli astratti della filosofia<br />

cacciariana il circolo ermeneutico è perfezionato dal lieto fine: la protervia nera è battuta.<br />

Tuttavia, in questa bassa terra, tra i libri scritti dagli scrittori e i libri letti dai discenti ci sono<br />

i libri banalmente venduti dai librai. Ma pagati con denaro non banalmente guadagnato.<br />

Il mercato dei libri scolastici non gode della piena libertà ma c’è. Sopravvive in qualche<br />

modo. Al mercato si compra. Ora chi paga i libri ai librai? Cacciari? Supponiamo che il<br />

suo grande cuore voglia, sappiamo purtroppo che il bilancio pubblico non può. Allora<br />

prendiamo ad esempio il ponderoso libro di filosofia, comprato per un figlio che si prepara<br />

alla maturità. E’ solo un esempio, di libri massicci, per un anno nella scuola ulivista, ne<br />

occorrono dieci. La spesa sfiora il milione. E che libri: volutamente pletorici, farraginosi,<br />

torrentizi. Il raglio sessantottino è usato anche per la spiegazione del teorema di Pitagora.<br />

Gli studenti leggono solo il minimo indispensabile e fanno conto sull’ignoranza<br />

conclamata dei professori spinellati (come apprendiamo da Umberto Veronesi). Il resto è<br />

per il macero.


Ma il libro di filosofia pesa sul cuore più degli altri perché scritto con piedi azzoppati dal<br />

prepotere gramsciano. Un solo esempio: nella conclusione al capitolo che lo riguarda,<br />

Vico è definito “precursore dell’illuminismo italiano”. Povero Vico. Ridotto a battistrada<br />

degli errori che il suo genio aveva previsto e confutato magistralmente! E che miseria la<br />

bibliografia, ferma al 1911 (non una parola su Gentile, Del Vecchio, Bellofiore, Amerio,<br />

Del Noce, Sciacca, Voegelin, De Tejada, Montano). I genitori sono obbligati a pagare<br />

(55.000 lire) un cofano di sciocchezze omissioni. Di sinistra, se questo può consolare.<br />

Storace deve tacere per definizione. E i genitori paganti? I professori scrivono, i docenti<br />

adottano, Cacciari sputa sentenze nell’aria fritta, Buttiglione è deplorato, Cossiga va<br />

cuccia ecc. Ma le famiglie pagano. Pagare e tacere? No. Dopo l’analisi di Cacciari c’è<br />

l’analisi dei pagatori. L’ultima analisi: i libri sono monumentali e ridicoli trattati di asineria<br />

ma non divertono. Nessuno ha voglia di ridere a quel prezzo.<br />

Neanche la tracotanza lapalissiana di Cacciari fa ridere: costa troppo. Il fatto è che al<br />

centro dei circoli ermeneutici disegnati con maestria dal palombaro del pensiero plurimo e<br />

lagunare si trova la Bazza del potere editoriale, versione chic dell’antico gioco della<br />

bazzetta (un tempo proibito dal regolamento fascista di pubblica sicurezza). Bazzetta del<br />

potere assoluto con tanto di parrucca. Case editrici, professori scriventi e adottanti, filosofi<br />

sentenzianti, politici deliranti festeggiano i lauti guadagni alle spalle dei babbi che<br />

lavorano. Silenzio, la Bazza infuria?<br />

Si dice che Storace sia stato maldestro. Senza dubbio Giovanni Gentile avrebbe esposto<br />

argomenti più profondi e sarebbe stato più efficace. Stabiliamo pacificamente che Storace<br />

non è un Gentile. E Cacciari? Il problema è reale e ineludibile: i genitori, che sopportano<br />

ingenti sacrifici per mandare a scuola i loro figli hanno il diritto di sapere chi sta sul lato<br />

opposto alla loro spesa. E siccome la spesa è ingente e comporta sacrifici hanno anche il<br />

diritto ad una difesa dalle furberie di professori ed editori assoluti (legibus soluti) che, a<br />

prezzi esosi, vendono libri da pattumiera. Non si può proibire la speranza che qualcuno<br />

tenti d’impedire che ai ragazzi siano consegnati libri scritti con i piedi per essere pagati<br />

con il sudore della fronte e studiati con danno della verità.<br />

In ultima analisi: i giovani e le famiglie che li mantengono agli studi hanno diritto alla<br />

verità. Storace ha assunto maldestramente il ruolo di difensore della famiglia. Cacciari<br />

invece difende con consumata arte demagogica il potere assoluto della mistificazione.<br />

Cacciari parla con la protervia del potere: ormai tutti sanno che l’assolutismo hobbesiano<br />

è nel codice genetico della sinistra postmoderna. Ma in gioco c’è un bene più sacro: la<br />

libertà dei discenti. La libertà dalla menzogna, dagli inganni del mercato e dalla<br />

sciocchezza pagata a caro prezzo. La libertà dall’obbligo (ad esempio) di sopportare<br />

sacrifici per finanziare gli esercizi sofistici dell’uggioso Cacciari.<br />

Carattere<br />

La faccia oscura dello spiritualismo ateo<br />

Dissolte le ideologie forti, l’Occidente secolarizzato si è ristretto ai bassi e deludenti<br />

disegni, che rappresentano la felicità sulla scena precaria del divenire. La scienza profana<br />

e il potere tecnologico, versioni sbiadite della carità e del miracolo, consolano il<br />

Novecento tradito dal messia totalitario e propongono al terzo millennio una vita stirata<br />

nella rincorsa della giovinezza. Così le rivoluzioni per il paradiso in terra si appiattiscono<br />

nelle diete ecologiche, nei tormenti della chirurgia estetica, negli spettacoli<br />

d’intrattenimento e nelle maratone politicamente corrette.<br />

Nell’area depressa del <strong>postmoderno</strong> è quasi inarrestabile la circolazione degli spiritualismi<br />

reazionari e delle magie antagoniste. Ma per contrastare efficacemente il paradosso<br />

dell’eternità inseguita nella finitezza, è obbligatoria l’assunzione del punto di vista di


quella teologia razionale, che costringe ad affermare la trascendenza di Dio e a collocare<br />

la perfezione oltre il tempo.<br />

Solo davanti al pensiero che contempla l’eterno, la superstizione mondana e l’impianto<br />

dell’apparato tecnologico sono relativizzati e perciò sopportabili.<br />

Se un’ebbrezza tracotante rigetta invece le verità della metafisica, l’ossessione del non<br />

senso – l’insegnamento che James Hillman vuole impartito da terribili visitatori notturni -<br />

s’impadronisce del pensiero e vi insedia quella disperata religione dello zero metafisico,<br />

che Giovanni Paolo II ha definito cultura di morte.<br />

Nell’orizzonte del nichilismo, la contestazione dei beni effimeri e la protesta contro<br />

l’edonismo e il consumismo, non contribuiscono alla confutazione del materialismo ma lo<br />

esasperano trasferendolo nello sguardo invidioso, propriamente jettatorio della magia<br />

nera.<br />

Non il male americano, contro il quale abbaia l’accanimento dello spiritualismo ateo; non<br />

le finzioni intorno alla lunga vita, non le macchine dell’abbondanza, ma le religioni del<br />

nulla costituiscono la minaccia mortale che incombe sulla cultura dell’Occidente<br />

contemporaneo. Lo aveva inteso, Henri Massis, che alla fine degli anni Venti pubblicò un<br />

saggio, “Difesa dell’Occidente”, nel quale pronosticava gli effetti devastanti della<br />

diffusione, nella Germania moderna, di una cultura arcaica, derivata dalle tradizioni<br />

dell’India shivaita e della Grecia dionisiaca. Purtroppo il nazismo non ha esaurito tutti i<br />

veleni estratti dal pensiero arcaico. Lo spurgo continua, alimentato da autori curiosi<br />

(Kojève, Bataille, Taubes, e soprattutto Hillman) che hanno rovesciato l’avversione al<br />

nazismo nel culto del suo fondamento pagano. Grazie al gioco degli errori contrapposti, la<br />

religione del nulla, officiata dagli orfani della rivoluzione, è nuovamente in campo, per<br />

affondare la modernità nella derelizione del pensiero cristiano e della sua ombra<br />

tecnologica.<br />

La cultura dell’Occidente sta ora in bilico tra la ragione cristiana e i riflussi del<br />

paganesimo. Questo significa che dalle illusioni emanate dal pensiero tecnocratico si può<br />

uscire per la porta della verità cristiana o per quella della notte panteistica e della ragione<br />

a intorbidata.<br />

In un caso le contraddizioni della civiltà occidentale sono risolte dalla tolleranza, che<br />

apprezza i risultati materiali del progresso come frammenti e metafore del bene eterno,<br />

nell’altro la vita umana è respinta nella notte dei decadenti, dove le alternative alle illusioni<br />

intorno al benessere si riducono alla proclamazione del genio obituario di ogni specie<br />

vivente.<br />

Ora l’attrattiva che il nichilismo esercita sul disorientamento contemporaneo consiste nella<br />

doppiezza di una spiritualità, che insiste nell’aggressione alle forme secolarizzate e<br />

deviate del pensiero cristiano mentre solleva cortine fumose intorno all’intenzione di<br />

sostituirle con la follia del vuoto.<br />

L’assioma nichilista, che Freud e Jung hanno dedotto da Nietzsche è aggiornato e reso<br />

esplicito da Hillman, secondo il quale l’istinto del piacere, il sì alla vita orizzontale, si<br />

converte fatalmente nella rassegnazione all’istinto di morte.<br />

Hillman corona splendidamente la dinastia dei maestri del sospetto dichiarando che la<br />

vita è ordinata al nulla: il processo che chiamiamo marcescenza è il modo in cui il destino<br />

incomincia a trasparire.<br />

James Hillman ha condotto le caute premesse dei suoi maestri all’approdo di un<br />

paganesimo senza ritegni, tabula rasa del Cristianesimo ma anche di tutte le versioni<br />

secolarizzate dell’umanesimo, psicoanalisi inclusa. Ne “La forza del carattere”, il saggio<br />

pubblicato in questi giorni dall’editore esoterico Adelphi, egli mette a nudo la vanità delle<br />

aspettative di lunga vita, che costituiscono il vanto dell’Occidente secolarizzato, evocando<br />

il mito di Titone, “colui che si vide esaudire il desiderio di vivere per sempre, ma che,


essendosi dimenticato di precisare che voleva vivere per sempre all’età che aveva in quel<br />

momento, fu condannato a invecchiare in eterno”.<br />

Il mito di Titone introduce nel cuore buio di una spiritualità desolata, e intesa a dissuadere<br />

chiunque intraprenda la ricerca sul senso della vita. Il carattere non è più il segno che la<br />

volontà personale imprime sul temperamento ma l’orma del destino insensato, cui l’uomo<br />

non può sottrarsi. Nel carattere-destino l’istinto di piacere e indissolubilmente congiunto<br />

con il principio che informa l’invecchiamento del corpo. Il carattere è dunque lo strumento<br />

con il quale la vita discendente rivendica il suo potere assoluto sulle aspirazioni dei<br />

singoli. Secondo Hillman la vita è affetta da un male che non consente neppure<br />

l’immaginazione del rimedio: «Se volessimo esprimere con linguaggio teologico<br />

l’infirmitas dell’archetipo, diremmo che il Peccato originale si spiega con il peccato degli<br />

Originali».<br />

Negato il rapporto con l’esercizio virtuoso, nel carattere si considera solo “un istinto<br />

sottostante, che abbraccia il bene e il male essendo al di là di entrambi”.<br />

Si può affermare tranquillamente che Hillmann segna l’estremo confine dell’apostasia<br />

moderna rivelandone l’indirizzo contrario alle più profonde ed elementari aspirazioni<br />

dell’umanità.<br />

Hillman manifesta una verità che era già evidente ai Padri della Chiesa: l’ateismo,<br />

piuttosto che alla negazione di Dio, tende alla dissoluzione dell’uomo. L’ateismo<br />

hillmaniano ha per fine dichiarato la dissipazione dell’umanità nel vento di un destino o<br />

carattere – ostile alla vita in quanto tale.<br />

Hillman non ha difficoltà ad ammettere che il cadere a pezzi del corpo libera il carattere<br />

della personalità, e ancor più chiaramente che il destino espelle la personalità.<br />

Di qui l’abdicazione dello psichiatra Hillmann davanti al dolore connesso alla follia, che è<br />

peraltro rimossa dalla prospettiva della medicina: «il normale e l’anormale dovrebbero<br />

forse scambiarsi le case». Il discredito lanciato dalla “scuola” contro le terapie per mezzo<br />

degli psicofarmaci è dunque ovvio.<br />

Nella vitrea contemplazione del Male Necessario, ripresa dei temi sviluppati da Carl Jung<br />

nella “Risposta a Giobbe”, Hillman non esita a dedicare un inno mistico all’incubo: «Il<br />

panico, soprattutto di notte, quando la cittadella s’oscura e l’io eroico dorme, è una diretta<br />

participation mystique alla natura, un’esperienza fondamentale, addirittura ontologica, del<br />

mondo vivo immerso nel terrore».<br />

Gli psichiatri americani, che si oppongono risolutamente all’inquietante deriva della<br />

psicoanalisi, definiscono Hillman “lo stregone”. Quando si leggono le sue estasiate parole<br />

sull’incubo e la follia non si riesce a dire che hanno torto.<br />

Carmelo<br />

Carmelitane dissidenti e altri pericoli in agguato<br />

Un tempo i princìpi erano detti veri o falsi, secondo uno schema che riconosceva l’ovvia<br />

verità del principio di non contraddizione. Ma il radioso e finora invitto pensiero<br />

rivoluzionario ha diviso i princìpi secondo le categorie della giustizia (oggi diventata<br />

correttezza politica) e della pericolosità. Giusti e corretti politicamente sono i pensieri utili<br />

all’utopia rivoluzionaria, pericolosi tutti gli altri.<br />

La verità, che ha fondamento nell’evidenza piuttosto che nella pietra filosofale, è<br />

pericolosa. L’azione rivoluzionaria, dunque, è sempre intesa allo smascheramento e alla<br />

punizione di coloro che affermano l'esistenza della verità e perciò negano il Bene<br />

ideologico. L’ideologia in allarme vigila sull’insidiosa realtà: è la scena della cultura<br />

comunista nell’età dei buoni.


Il pericolo è il bastone della vecchiaia ideologica. Questa nozione mi fu chiara nell’ultimo<br />

giorno della primavera di Praga. Correva l’anno 1968, e il socialismo reale mostrava tutte<br />

le sue rughe. Nella piazza san Venceslao un gruppetto di turisti, giunti dall’Emilia<br />

cooperativa, discuteva con i giovani dissenzienti. Udite le critiche impertinenti dei<br />

controrivoluzionari, il più autorevole dei cooperativisti esclamò:<br />

Attenti compagni, voi mettete in pericolo la rivoluzione socialista!<br />

Caro compagno (sulla parola compagno forse batteva un accento ironico) in vent’anni di<br />

oppressione abbiamo imparato che il vero pericolo è la conservazione dell’incubo<br />

socialista.<br />

Il socialista emiliano era perplesso. L’evidenza era contro l’ideologia. Ma l’evidenza era<br />

una porta aperta sulla pericolosa e sommaria verità enunciata dal dissidente, che<br />

mescolava il socialismo con la conservazione.<br />

Una sinistra reazionaria era ed è tuttora l’Inaudito. Il socialista tacque. In sua vece, il<br />

giorno dopo, parlarono i cingoli dei carri sovietici: la rivoluzione fu sottratta al pericolo.<br />

Ora si può affermare tranquillamente (ed esprimendosi per mezzo dell’enjembent, tanto<br />

caro ai letterati di sinistra) che il pericolo non è la dirompenza del carro armato ma la<br />

coscienza personale, che crede nell’esistenza della verità e, pertanto, spregia il<br />

meraviglioso dissolvimento della rivoluzione.<br />

L’agguato al Bene rivoluzionario è teso dagli oscurantisti, che vedono la realtà ma negano<br />

il paradiso in terra.<br />

Le refrattarie monache carmelitane della clausura di Compiègne, ad esempio. Per<br />

assecondare la nota inclinazione del loro ordine all’ingerenza negli affari di stato, le<br />

monache impertinenti rifiutarono di ascoltare la messa ufficiale, celebrata dai preti allineati<br />

con il regime giacobino. Si macchiarono di una colpa grave: contestare, per i futili motivi<br />

della coscienza, il culto approvato dallo stato rivoluzionario. Furono ghigliottinate<br />

d’urgenza. A dimostrazione del fatto che il pericolo ha sede nella coscienza chiusa alle<br />

meraviglie ideologiche.<br />

In molti si augurano che, un giorno o l’altro, il celebre psicoanalista Umberto Galimberti<br />

sottragga qualche ora al prezioso impegno nella redazione di “Repubblica” e tenti di<br />

spiegare l’occulta ragione dei corsi e ricorsi delle carmelitane nella storia dei pericoli<br />

incombenti sulla sinistra rivoluzionaria.<br />

Il tormentato rapporto tra la rivoluzione e il pericolo carmelitano è, senza dubbio, materia<br />

incandescente per la psicoanalisi d’avanguardia.<br />

La storia scandalosa di madre Teresa delle meraviglie di Dio, tra le tante. Già il nome era<br />

sospetto, in quanto escludeva (pericolosamente) le meraviglie della rivoluzione in atto<br />

nella Barcellona degli anni Trenta.<br />

I vigilanti rossi chiesero a madre Teresa di mettere nero su bianco l’inventario dei tesori<br />

nascosti nel Carmelo. La monaca ribelle scrisse allora una frase ingiuriosa: “Il tesoro del<br />

Carmelo è la misericordia di Gesù”. La rivoluzione, come insegna il duo Camera-Fabietti,<br />

non può concedersi lussi borghesi: rinuncia ai guanti bianchi e punisce severamente<br />

l’ironia. Infatti suor Teresa fu immediatamente passata per le armi. Se questa non è<br />

materia da psicoanalisi, cosa è mai la psicoanalisi della rivoluzione?<br />

Forse la psicoanalisi del professor Galimberti ci potrà spiegare perché Massimo D’Alema<br />

ha sostenuto (in un’intervista rilasciata domenica 24 settembre 2001 al telegiornale della<br />

Rai) che esistono referendum utili (presumibilmente quelli promossi dalla sinistra) e<br />

referendum pericolosi (quelli promossi da Formigoni). E perché, nel “Messaggero” del 25<br />

settembre, attribuisce a Maurizio Gasparri “linguaggio squadrista e muscoli d’acciaio”.<br />

Passi il linguaggio, lo squadrismo di Gasparri non è vero e tuttavia a qualcuno potrebbe<br />

sembrare verosimile. Il pericolo è un’ossessione comunista, ma i muscoli d’acciaio dove<br />

sono? L’atletico D’Alema dimentica la figura di Gasparri o quella dell’acciaio? O non è più<br />

l’orgoglioso spezzatore d’un tempo? Forse Galimberti sa come sciogliere l’enigma.


Ma quale palombaro dello spirito rivoluzionario riuscirà a sciogliere la matassa che mette<br />

capo al rovente atto di accusa della sinistra veronese? Proclama un ideologo nella città di<br />

Romeo e Giulietta: “L’Austria è ovunque. Anche noi diventeremo razzisti. Cresce la paura<br />

dell’altro. Zingari, l’Islam, gli ebrei. L’uscita di Biffi contro i musulmani è gravissima”.<br />

(Repubblica, 21 settembre 2000).<br />

Verona è un lager dunque Biffi è un aguzzino. Tutto si tiene. Non ha nessuna importanza<br />

che il rabbino di Verona, dottor Piattelli, abbia dichiarato (al Tg 4 di sabato 23 settembre)<br />

che a Verona la comunità ebraica vive tranquillamente e non vede l’insorgenza di alcun<br />

pericolo. Il dottor Piattelli appartiene all’odiosa e bieca realtà, che ha smentito ed espulso<br />

l’ideologia. Alla larga dalla realtà, poiché l’essenziale è denunciare il pericolo, che i<br />

vigilanti intravedono nel cielo dell’illusione.<br />

Il cardinale Biffi non appartiene all’ordine del Carmelo, ma una sua recente lettera<br />

pastorale ha gettato la pericolosa ombra dell’evidenza sullo splendore dell’ideologia<br />

multiculturale. Di conseguenza la ferrea catena dell’interdetto “logico”, che parte da Hitler<br />

e attraverso Heider-Bossi-Fini giunge al mostro di Arcore, è allungata fino a inchiodarlo.<br />

In attesa delle fucilabili carmelitane e dell’uscita dei carri armati sovietici dalle nebbie del<br />

passato, la missione socialista adesso consiste nell’incolpare Biffi, infangare il pensiero<br />

realista, condannare il cattolicesimo. L’importante, per il momento, è alimentare la<br />

sindrome rivoluzionaria che denuncia l’odiosa trama nazi-carmelitan-biffiana. Finché la<br />

psicoanalisi o il probabile voto degli italiani non metteranno fine allo psicodramma.<br />

Comunitari<br />

La destra contro l’universalità<br />

Nell’intento di produrre un’antitesi alle chimere della sinistra trionfante, la destra<br />

germanica degli anni Venti ha elucubrato un’ideologia avventizia, che associa la<br />

devozione feudale al potere con il culto della nazione proletaria. Il risultato di tale<br />

ibridazione è l’ossimoro “rivoluzione conservatrice”, formula scismatica, che esprime la<br />

scelta di una direzione storica e della direzione opposta.<br />

La fragilità del pensiero neodestro (De Benoist, Tarchi, Veneziani ecc.) dipende, appunto,<br />

dall’obbedienza al principio secondo cui la scelta del valore amico è decisa<br />

dall’identificazione del valore nemico. Infatti gli iniziatori tedeschi della rivoluzione<br />

conservatrice ed i loro eredi francesi e italiani hanno assecondato l’infelice disposizione<br />

ad incarnare il rovescio di una sinistra tradizionalmente reazionaria, perché rovesciata, fin<br />

dal 1789, in un intrigante gioco di parole e di parti in commedia.<br />

La contraddittorietà dei pensieri intorno alla rivoluzione conservatrice diventa innegabile<br />

quando si ha presente che, in origine, la parola “destra” indicava la collocazione dei<br />

resistenti al disordine, che fu avviato dai persecutori monarchici dei gesuiti e arroventato<br />

dai rivoluzionari giacobini.<br />

“Destra” entra nel <strong>dizionario</strong> politico per indicare gli oppositori a quella costituzione civile<br />

del clero, che portava alle conseguenze estreme l’aspirazione monarchica ad asservire e<br />

nazionalizzare la Chiesa di Francia. L’identificazione della vera destra non è possibile<br />

finché non si riconosce che la rivoluzione del 1789 procede sulla via tracciata dal<br />

dispotismo illuminato. Il politologo che non vede il sinistrismo borbonico non è capace di<br />

individuare la giustificazione ideale della destra.<br />

Il dramma personale di Luigi XVI, che disconosce la tradizione assolutista per conservare<br />

la fede cattolica, è l’incidente di percorso che rovescia la parte di un attore ma lascia<br />

intatta la trama della storia. Fare appello al martirio di Luigi XVI per riscattare il passato<br />

della monarchia borbonica e attribuirgli un significato “di destra” è un’operazione<br />

fuorviante, attuabile solamente quando è censurata l’evidenza del fatto storico.


La verità della destra, dunque, non si trova nei pensieri dell’Ancien Régime. La linea di<br />

pensiero che inizia da Malebranche e continua in Gerdil, Bonald e De Maistre produce un<br />

risultato identico a quello ottenuto dall’illuminismo: l’oscuramento romantico della ragione.<br />

D’altra parte l’assolutismo e la rivoluzione perseguivano lo stesso fine politico: instaurare<br />

la supremazia del trono sull’altare. I princìpi fondamentali della destra storica affermano<br />

invece l’universalità dell’autorità ecclesiastico e perciò escludono che la Chiesa sia<br />

assimilabile alla figura della nazione e riconducibile al potere statale.<br />

Ora si comprende perché i nazisti, veri autori della rivoluzione conservatrice, dividevano<br />

la loro ammirazione tra l’illuminismo e la controrivoluzione romantica. La mostruosità della<br />

destra del Novecento, consiste nel tentativo di rispondere alla sfida rivoluzionaria<br />

mediante l’unione dello stato assoluto con la religione del popolo, il c.d. Cristianesimo<br />

germanico.<br />

Purtroppo la dialettica amico-nemico agisce ancora nella cultura neodestra. La cultura<br />

neodestra, incapace di vedere la rappresentazione di un esito regressivo e particolaristico<br />

della sinistra da parte del popolo di Seattle, ha ratificato l’autodefinizione della sinistra<br />

come presidio della solidarietà universale, e si è coerentemente posizionata sulla linea<br />

dei miti intorno alle patrie esclusive. Messa su questa linea la destra ha finito col ripetere<br />

il destino del Novecento: la solidarietà inavvertita con la sinistra profonda. (Inavvertita per<br />

tutti, fuorché per Hitler: “Ci sono maggiori motivi d’unione col bolscevismo che motivi di<br />

separazione”).<br />

Delle contorsioni dettate dall’abbagliante costruzione di sé nello specchio nemico è<br />

testimonianza l’opera del più celebre fra i neodestri, Marcello Veneziani.<br />

Veneziani tenta infatti la fondazione di una destra comunitaria, rigorosamente avversa<br />

alle istanze di una (presunta) sinistra libertaria e universalista, istanze identificate con il<br />

pensiero unico delle multinazionali e “con l’egemonia del questore universale nel nome<br />

del nichilismo e dello sradicamento”. In “Comunitari o liberal”, Veneziani scrive infatti:<br />

“Qual è il nocciolo dei liberal [della sinistra]? L’idea di emancipazione, di liberazione dai<br />

legami, nei progetti di un’umanità liberata. Un’idea che si coniuga con la<br />

deterritorializzazione, il superamento dei confini, l’universalismo”.<br />

L’irrealtà di questa definizione, che attribuisce la sete di libertà dai legami al partito delle<br />

manette (di sinistra) che tintinnano nelle pagine di Micormega, è evidente. Gratificante<br />

(per la fatiscente teologia della liberazione) è invece l’attribuzione del valore universale<br />

(=cattolico) ai pregiudizi della sinistra contro ogni tentativo di integrazione dei popoli.<br />

Dove è chiaro che la protesta contro la globalizzazione rappresenta la vera voce dei<br />

poteri forti, intesi alla depressione malthusiana del terzo mondo.<br />

Al polo opposto dell’immaginaria sinistra “liberal”, si troverebbe una destra conservatrice<br />

del senso di appartenenza all’etnia e della teoria della sovranità della politica<br />

sull’economia.<br />

Veneziani, quasi a confermare l’origine babelica della tradizione di cui si fa interprete,<br />

auspica che intorno all’ideale comunitario si raccolgano “circoli di nuova destra,<br />

ambientalisti, cattolici personalisti o provenienti dalla nuova sinistra”. La vecchia<br />

impolverata sfida alla logica s’impegna al raccoglimento dei rottami eterogenei, che la<br />

storia ha abbandonato sul campo dell’errore moderno.<br />

I confini del comunitarismo di destra sono peraltro segnati da traballanti paletti, che<br />

Veneziani elenca in una rapinosa bibliografia di riferimento al delirio: Nietzsche, la Weil,<br />

Eliot, Mounier, Bataille, Schmitt, Heidegger, Jünger, Cacciari, Esposito, De Benoist.<br />

Dalle loro opere, Veneziani deduce “trentacinque distinguo illuminanti sugli schieramenti<br />

del nuovo millennio”. Puntualmente la prima antitesi proposta, “l’umanità (cosmopolitismo)<br />

– la comunità (particolarismo)”, riflette i termini del conflitto tra la Chiesa cattolica e la<br />

monarchia nazionale nell’età dei lumi.


Ora non c’è dubbio che la globalizzazione costituisce una interpretazione ambigua<br />

dell’universalismo cristiano. Nei progetti dei poteri forti l’impianto dell’economia evoluta<br />

(“globale”) nei paesi terzomondiali è solo un compenso promesso in vista dell’imposizione<br />

di un’inaccettabile politica demografica. Ma questo non giustifica né l’insorgenza del<br />

particolarismo (opposto all’universalismo) né l’intrapresa della guerriglia contro la<br />

tecnologia e il libero mercato. La riforma dei progetti per la globalizzazione potrebbe<br />

diventare l’argomento vincente di una destra universale nella fedeltà alle autentiche radici<br />

cristiane. Ma Veneziani, imprigionato nei lacci della dialettica nemico-amico, non riesce<br />

più a distinguere la tradizione dalle parodie messe in scena dalla destra illuminista e dalla<br />

sinistra imparruccata.<br />

La cultura della “nuova” destra entra nel Terzo Millennio ripetendo la miracolosa<br />

moltiplicazione dei granchi che hanno insinuato elementi di illusorietà nella speranza<br />

cristiana.<br />

Cosmopoli<br />

La via comunista al regresso<br />

La civiltà occidentale ha origine dall’innovazione stoica, che introduce la spiritualità<br />

ebraica e l’universalismo persiano nel mondo classico. L’Occidente è dunque antitetico al<br />

particolarismo etnicista delle oligarchie greche.<br />

All’interno della cultura ellenistica, sulla quale si innesteranno la civiltà romana e il<br />

Cristianesimo, combattevano infatti due opposte tendenze: l’assolutismo, specchio della<br />

mentalità oligarchica e sofistica (sempre associata al naturalismo) e l’universalismo,<br />

espressione della dottrina, che gli stoici (come ha dimostrano Virginia Guazzoni Foà)<br />

avevano dedotto dalla religione ebraica e dalla tradizione politica dei persiani.<br />

Il versante “greco” (e arcaico) dell’ellenismo invece si riconosce nell’intenzione del potere<br />

politico d’imporre ai sudditi la mitologia e il culto del potere. La monarchia, che tra i<br />

macedoni era popolare e temperata, nell’interpretazione elaborata durante il regno di<br />

Alessandro Magno diventò sistema assolutista, al cui vertice stava l’imperatore, oggetto di<br />

un culto divino. Alessandro si fece proclamare figlio di Zeus per sottrarre il suo regno ai<br />

vincoli della legge e dell’autorità popolare, più antica e tradizionale dell’idea monarchica.<br />

Ma il culto divino tributato all’imperatore ellenistico è antitetico alla pietas, tanto da<br />

trovarsi associato, nell’esemplare saggio di Alexandre Kojève su Giuliano, all’ateismo<br />

radicale. All’interno del discorso teologico che Giuliano rivolge al popolo si svolge, ad uso<br />

degli iniziati, un discorso ateo, La religione è un gioco intellettuale, concepito per<br />

ingannare e sottomettere le anime semplici e fiduciose: “secondo Giuliano tutti i discorsi<br />

teologici sono necessariamente contraddittori nei loro termini e perciò mitici o falsi. … In<br />

effetti Giuliano ci dice questo: «Colui che inventa le sue storie poetiche allo scopo di<br />

migliorare i costumi e nel far questo utilizza miti teologici, deve rivolgersi non a degli<br />

uomini ma a quanti sono ancora dei bambini, sia per età che per intelligenza»”.<br />

Il carattere autentico e propriamente innovativo dell’ellenismo, quello religioso, che<br />

l’Occidente cristiano accoglierà come segno della praeparatio evangelica, si trova, invece,<br />

nell’apertura della filosofia stoica, al senso sacro dell’universalità.<br />

L’universalismo, si afferma in opposizione all’ellenismo, cioè come prodotto dei “barbari”. I<br />

principali rappresentanti della Stoa, infatti, erano estranei alla Grecia “profonda”: Zenone<br />

di Cizio era fenicio, Crisippo di origine semita, Posidonio d’Apamea siriaco.<br />

Curiosamente, alle origini della civiltà occidentale si trova l’universalismo “barbaro”, che<br />

soppianta la fierezza pagana dell’etnia greca.<br />

Non per niente l’opposizione all’assolutismo imperiale fu particolarmente dura e ostinata<br />

nell’area dove era più forte l’influsso delle due culture orientali (l’apocalittica ebraica e la


teologia dell’impero persiano) che portavano i semi dell’universalismo politico: il<br />

riconoscimento della dignità del popolo e un più alto concetto di divinità.<br />

L’usurpazione delle prerogative divina, però non era conforme alla tendenza della filosofia<br />

d’avanguardia che si affermava nell’età di Alessandro, già influenzata da una filosofia che<br />

demitizzava gli dei, e ne mostrava la natura di maschera del potere. La spietata critica<br />

della religione antropomorfica, iniziata da Senofane e condotta a perfezione dai platonici,<br />

aveva ispirato il rifiuto del fondamento superstizioso (e “poetico”) del potere imperiale.<br />

L’immagine di Alessandro educatore del mondo, che Plutarco traccia nel “De fortuna aut<br />

virtute Alexandri”, è anacronistica, in quanto rispecchia l’ideale dell’età storica successiva,<br />

che vide l’attuazione dell’universalismo ellenistico nell’impero romano.<br />

Si può dunque affermare senza tema di smentita, che la dialettica della storia occidentale<br />

si riassume nel conflitto tra il chiuso particolarismo delle oligarchie reazionarie,<br />

superstiziose e passatiste, e la mentalità nuova, inaugurata dalla filosofia stoica, che<br />

precorre la fede cristiana.<br />

L’ostilità preconcetta nei confronti dell’economia globale, che interpreta l’istanza<br />

universalistica, in questa prospettiva, è giudicabile alla stregua di una pulsione<br />

reazionaria, di segno anti-occidentale. La contestazione della strategia intesa allo<br />

sviluppo planetario dell’economia - la rivolta officiata dalle sinistre a Seattle - rappresenta<br />

la scena del principio reazionario in agguato contro il progresso.<br />

Ovviamente riconoscere che l’universalismo stoico contiene le ragioni del progresso<br />

mentre il particolarismo oligarchico esprime le tensioni regressive, non obbliga ad<br />

approvare automaticamente i metodi con i quali sono applicati i princìpi dell’economia<br />

globale. Il senso critico non deve essere abbassato per nessuna ragione al mondo ed è<br />

perciò lecito dubitare (ad esempio) sulla fedeltà ai princìpi dell’universalismo occidentale<br />

da parte del fondo monetario internazionale o di associazioni mondialiste come la<br />

“Trilateral”.<br />

Ora la neosinistra non è sollecitata dal problema della fedeltà all’universalismo ma dalla<br />

smania d’impedire la libertà e lo sviluppo. I pastori dell’arretratezza avversano l’economia<br />

globale per colpire l’Occidente, ai loro occhi colpevole di aver smentito e sconfitto l’utopia<br />

comunista.<br />

Un delirio punitivo acceca gli intellettuali neosinistri e li conduce al punto disgraziato dove<br />

i fantasmi del naturalismo greco hanno prodotto la metastasi nazista.<br />

Vecchie gattare affrante, sileni dalla chioma formicolante, pensatori dilatati e giubilanti<br />

orgogliosi marciano sulle strade “polacche”, che un tempo erano battute dell’alleanza<br />

della gloriosa armata rossa con l’esercito hitleriano.<br />

Infatti la conformità dell’economia globale ai princìpi che stanno a fondamento della civiltà<br />

occidentale è da tutta verificare, mentre non c’è dubbio che l’opposizione della sinistra sia<br />

inclinata all’antichità greca, al mondo dell’arretratezza naturalistica e del potere “mitico”,<br />

ex oggetti della sconfinata ammirazione dei nazisti. Non è un caso che la sinistra, per<br />

meglio rovesciarsi nell’opposizione all’economia globale, abbia fatto propria la filosofia di<br />

un nostalgico della Grecia primitiva come Nietzsche. Con Nietzsche il materialismo<br />

storico sprofonda nella storia naturale. L’entusiasmo prometeico piange alla fontana del<br />

tempo perduto dalle “niobi” della rivoluzione.L’aspetto inquietante di tale adozione non è<br />

la provenienza (peraltro indiscutibile, a malgrado del parere del “ripulitore” Vattimo) di<br />

Nietzsche dall’area più tenebrosa della destra germanica, ma la sintonia che, attraverso<br />

Nietzsche, si stabilisce tra la sinistra postmoderna e la Grecia arcaica, oppressiva,<br />

superstiziosa e sofistica. Il progressismo svanisce nel corteo della retromarcia, dove le<br />

menadi dell’ecologia più feroce s’incontrano con gli efebi della mollezza, per la celebrare<br />

il ritorno alla natura primordiale. La tracotanza, che eccitava Gagarin e gli altri<br />

conquistatori sovietici del cielo, si è appiattita sui flebili languori dell’ecologia.


Cultura di sinistra<br />

Il volto reazionario della rivoluzione<br />

Cosa ne è delle filosofie rivoluzionarie, della mitica cultura di sinistra? Bocciata dalla<br />

speranza nel futuro, ha messo la parrucca reazionaria e si ha trovato rifugio nell’incipriata<br />

nostalgia della giusta miseria e dell’ordine senza libertà. Paolo Bellinazzi dimostra<br />

esaurientemente che nel regresso la cultura di sinistra trova la sua originaria vocazione.<br />

Di falsa destra.<br />

L’influsso rovinante, che la filosofia di Karl Popper esercita nella scolastica progressista è<br />

documentato in un pregevole saggio, nel quale Paolo Bellinazzi svela i percorsi reazionari<br />

della filosofia a monte della sinistra perenne e la loro puntuale convergenza con le vie<br />

decadenti della destra fittizia. Ora la figura della sinistra reazionaria e regressiva è<br />

dimostrata mediante l’uso di una documentazione tanto puntuale da costringere Norberto<br />

Bobbio a riconoscere (in una imbarazzante intervista pubblicata nella Repubblica del 25<br />

gennaio 2001) l’inconsistenza degli argomenti che distinguevano gli orrori commessi in<br />

vista dei “buoni” ideali progressisti da quelli consumati su istigazione della destra<br />

germanica, nera e cattiva. Scrive Bobbio: “contrariamente all’opinione comune secondo<br />

cui nazismo e comunismo sono ideologie opposte, essi hanno matrici comuni. …<br />

Quando, per esempio, si scava nei rapporti tra i due antagonisti Carl Schmitt e György<br />

Lukàcs Bellinazzi scopre che sostengono su per giù le stesse idee”.<br />

In effetti il saggio sull’utopia reazionaria, pubblicato da un brillante editore anticonformista,<br />

ribalta le tesi di Lukács sui distruttori della ragione e mette in luce la valenza reazionaria e<br />

decadente di tutti i pensatori (da Hegel a Marx, da Nietzche a Heidegger, da Jaspers a<br />

Marcuse) “che vedevano nell’individualismo borghese e nel sistema capitalista poco<br />

meno che l’opera del diavolo”.<br />

La ricerca intorno all’utopia reazionaria si sviluppa a partire da due assiomi dedotti dalla<br />

“Scienza Nuova” del napoletano Giambattista Vico: il primo afferma che “le idee dei<br />

filosofi non cambiano a qualsiasi mutamento si trovino a sottostare le epoche che tali idee<br />

nel corso dei secoli attraversano”, il secondo attribuisce la loro incorruttibilità all’invarianza<br />

degli archetipi ideali.<br />

Ora i possibili archetipi ideali della filosofia, secondo Bellinazzi, si riducono alla<br />

convinzione razionale, secondo cui la storia dell’uomo è ordinata al progresso civile, e alla<br />

contraria visione (dichiarata da Hobbes, per esempio) dell’umanità gettata a caso nel<br />

mondo e perciò destinata a risolversi nella storia naturale, dove imperano l’egoismo e la<br />

volontà di sopraffazione.<br />

Un archetipo indirizza a quell’umanesimo cristiano che è stato magnificamente<br />

interpretato dalla storia d’Italia. L’altro spinge al catastrofismo ecologico e alla marcia<br />

delirante del popolo di Seattle.<br />

Per Bellinazzi questa antitesi è invece rispecchiata nella bipartizione della politologia,<br />

secondo il modello filosofico collettivista di Platone (il Platone caduco di Politeia, che fu<br />

criticato da Vico) e Aristotele e quello individualista di Gorgia e Protagora. Giudizio<br />

faticoso e contorto, non condivisibile, che però non attenua la lucidità del giudizio sul<br />

“moderno”.<br />

A questo punto Paolo Bellinazzi presenta un’interpretazione audace e sconvolgente della<br />

storia delle rivoluzioni: nell’età moderna gli archetipi si traducono nelle figure della<br />

rivoluzione borghese e delle controrivoluzioni (omologhe) di destra e sinistra. L’errore<br />

degli storici marxisti consiste nel credere che il comunismo “scientifico” e il nazismo<br />

“romantico”, “preparati dal materialismo storico e dal culto del superuomo”, abbiano<br />

rappresentato due fenomeni storici molto diversi.<br />

In questo nuovo e sorprendente scenario, il comunismo e il nazismo appaiono quali<br />

“movimenti reazionari, intesi a riportare le cose come erano, quando la borghesia [il cui


movimento era per se stesso progressivo] non aveva ancora preso il potere”. Di qui il<br />

giudizio, solo parzialmente inficiato dall’ipoteca sofistica, che riduce al silenzio le ragioni<br />

morali dei rivoluzionari di qualunque risma: “l’individualismo borghese appare<br />

completamente giustificato e non classificabile come un morbo e un’infezione, ovvero<br />

molto più giustificato e meno mortalmente infettivo e morboso del solidarismo comunista<br />

e nazional-socialista”.<br />

In questo modo è spezzato e abbattuto definitivamente il paletto moralistico, che,<br />

distinguendoli dalla presunta infezione borghese, teneva in gioco i fantasmi delle<br />

estenuate rivoluzioni di destra e di sinistra. Il saggio di Bellinazzi è perciò consigliabile ai<br />

retrogradi, et di destra et di sinistra, pensiamo ai redattori del “Manifesto” e a quelli<br />

speculari di “Area” e “Percorsi”, che si ostinano a svolgere la critica alla globalizzazione<br />

trascinando (ridicolmente) il pregiudizio reazionario contro il progresso nei cortei<br />

ecopauperistici o nei convegni della destra sociale e comunitaria.<br />

L’anello debole della importante costruzione di Bellinazzi sta, come si è accennato,<br />

nell’identificazione con la sofistica dell’archetipo che afferma il progresso e la teleologia<br />

della storia. In realtà la sofistica, giusta le magistrali lezioni di Michele Federico Sciacca e<br />

di Giovanni Reale, inclinava, piuttosto che allo sviluppo e alla solidarietà, all’affermazione<br />

della doppia verità e alla ricerca del piacere sfrenato. Il Callicle che sproloquia nel<br />

“Gorgia”, non è una caricatura ma l’espressione delle conseguenze estreme del pensiero<br />

sofistico. D’altra parte Platone, utopista in Politeia ha posto, in Timeo la pietra d’inciampo<br />

al pregiudizio metafisico che costituisce la sovversione perenne. Specialmente di quella<br />

sovversione (si pensi al Nietzsche dell’Anticristo) che, cercando di rinnovarsi mediante il<br />

tuffo nel pensiero arcaico, ha secreto la bile antiplatonica.<br />

Dall’apprezzamento della sofistica discende, nel saggio di Bellinazzi, l’attribuzione<br />

“all’ondata di solidarismo e spiritualismo cristiano” della responsabilità di aver soffocato<br />

l’impulso a progredire nelle vie dell’aperto. Opinione totalmente infondata, poiché al<br />

Cristianesimo, e in special modo alla teoria agostiniana delle due città che avanzano nella<br />

storia permixtae, si deve il superamento del dilemma spiritualismo-efficacia mondana in<br />

uno storicismo, che rispetta e fa convergere le vocazioni – i diversi amori - delle due città.<br />

Da sant’Agostino, Vico deduce l’idea (eminentemente tradizionalista) di una restaurazione<br />

filosofica che si realizza precisamente nella separazione del Platone utopista-reazionario<br />

dal Platone metafisico e, all’interno del Platone metafisico, nella rimozione del disprezzo<br />

“gnostico” rivolto alla materia e alle passioni umane.<br />

Il risultato del fondamentale lavoro critico che fa di Vico l’autentica avanguardia del<br />

“<strong>postmoderno</strong>”, è la dottrina dell’eterogenesi dei fini, che contempla la paradossale<br />

convergenza delle due città e dei rispettivi amori: la provvidenza divina attua il progresso<br />

usando quelle passioni umane che i sofisti (e Platone) considerava irriducibili alla pietà.<br />

Purtroppo l’assenza di un riferimento alla soluzione proposta dalla filosofia di Vico,<br />

l’autentica apertura al <strong>postmoderno</strong>, lascia incompiuta l’opera, per altri versi preziosa, di<br />

Bellinazzi, che riesce nell’intento di disperdere i fumi ideologici del passato ma non in<br />

quello di prospettare il futuro.


D<br />

Delirio<br />

Delitto<br />

Democrazia cristiana<br />

Deragliamento<br />

Destino<br />

Duello<br />

Delirio<br />

La malattia mentale e i suoi promotori<br />

In Italia i sofferenti di disturbi psichici sono dieci milioni. Un popolo nascosto dal pudore e<br />

censurato dalla stupidità della scienza avanguardista, che dichiara inesistente il loro male.<br />

Grazie Basaglia? Non solo Basaglia. Il fiume della pazzia in piena, che Umberto Veronesi<br />

ha misurato con gli occhi dello sgomento, nasce da fonti culturali che parlano nelle vette<br />

inaccessibili dei poteri forti.<br />

Correva il maggio radioso del 1968 e prestigiose case editrici cominciarono a rovesciare<br />

sul mercato testi specializzati e divulgativi, dove il malato di mente era esaltato come<br />

testimone del disagio sociale.<br />

Non un delirante nella camicia di forza, ma James Hillman, che in qualità di presidente<br />

dell’autorevole fondazione Carl Jung esibiva una camicia da imperatore della scienza<br />

psichiatrica, urlava (dalle pagine di libri pubblicati dal più aristocratico e raffinato editore<br />

italiano) ai quattro venti che le malattie mentali sono oracoli divini.<br />

Hillman urla tuttora. Non deve dunque stupire il fatto che un suo discepolo, Umberto<br />

Galimberti, sostenga la necessità di condurre una spietata lotta contro l’uso degli<br />

psicofarmaci, che contrastano la malattia o ne limitano il danno.<br />

Il filo logico di Galimberti è perfettamente teso: gli psicofarmaci sono una camicia di forza,<br />

che trattiene la malattia. Ma la malattia è divina: non è lecito mettere la camicia di forza<br />

agli dèi. Di conseguenza non si devono prescrivere psicofarmaci. Nell’età della sinistra<br />

“ulteriore”, il potere culturale è avvolto da questo filo “logico”. Una persona volgare<br />

direbbe che la camicia di forza va messa ai poteri forti. Se non che il potere è nelle salde<br />

mani dei raffinati.<br />

Sta di fatto che, invece di combattere la malattia, la scienza d’avanguardia assegna al<br />

malato l’ufficio di giudicare la società e di profetizzare la liberazione dalle catene della<br />

morale repressiva e della società borghese. La medicina non deve occuparsi della<br />

sofferenza ma ascoltare il messaggio.<br />

Alle persone prive di potere – Barbara Palombelli dice “menaggiuati” - la parola<br />

messaggio evoca biciclette sgangherate e postini da palcoscenico. Ma il Messaggio è<br />

sacro, esclusivo e inviolabile e guai a chi osa discuterlo: finisce nel libro degli scemi e<br />

peggio ancora, nel libro dei cattolici intransigenti. Uno sconvolto si esibisce nudo davanti<br />

all’uscita della scuola elementare? Il Messaggio è evidente: occorre abbattere i tabù, che<br />

escludono l’infanzia dal piacere. Partecipare ai bambini i segreti della magia sessuale,<br />

forma sublime di comunicazione mistica, come ebbe a scrivere (nel Corriere della Sera)<br />

l’illuminato Roberto Calasso.<br />

La mistica libertaria. Ecco il punto: la cultura sublime, sbandierata da Calasso, ha gli<br />

stessi “ideali” delle borgate, dove si aggiravano i Lionello Egidi e i Pasolini.


La depravazione nel salotto aristocratico, caso mai, è più spregevole della miseria che<br />

intossicava le periferie. La cultura aristocratica ha superato la pedofilia del tugurio. La<br />

spaventosa diffusione della malattia mentale appiattisce le classi e rivela l’unico risultato<br />

conseguito dalla cultura che ha posto a fondamento del vivere civile la soddisfazione di<br />

tutti i desideri: dieci milioni di disturbati senza ricovero.<br />

Quando iniziava il declino della civiltà greca Platone, ha fatto recitare a Callicle, la formula<br />

del suicidio delle civiltà: “Affermo che chi ha intenzione di trascorrere bene la propria<br />

esistenza deve permettere che le sue passioni diventino immense”. (Gorgia 492e). Il bene<br />

consiste nell’appagamento delle passioni. Come ha dimostrato Dario Composta, la Grecia<br />

si è dissolta dietro le sue immense passioni. Ma le passioni immense alla lunga si<br />

trasformano in malattie mentali. Ora le malattie mentali sono i nostri desideri divinizzati. In<br />

questo Hillman ha ragione: l’ateismo ha finalmente incontrato le sue paradossali divinità.<br />

La morale è stata allontana, la malattia rimane invitta. Oggi sappiamo, forse anche<br />

Veronesi sa che da questo circolo vizioso non si esce senza abbandonare l’illusione<br />

libertaria – la chimera urlante che la malattia è una sana, una medicinale protesta contro i<br />

tabù.<br />

Delitto<br />

La morte nell’anima<br />

Nelle pagine del Giornale d’Italia, Giuseppe Spezzaferro ha rammentato, con nobile<br />

accoramento, che anche il mondo antico conosceva quelle oscure tragedie della follia,<br />

che angosciano i lettori dei notiziari quotidiani – ragazzi che, futili motivi uccidono i<br />

genitori o la fidanzata o la vecchietta che resiste allo scippo o il tifoso della curva<br />

“nemica”. Spezzaferro ha citato l’orribile delitto di Medea, la tragedia di una madre che<br />

uccide i propri figli. Ma gli antichi drammaturghi nell’orrore inevitabile vedevano, almeno,<br />

un incentivo alla pietà e all’abbandono ai misteriosi disegni degli dei. Il Cristianesimo, poi,<br />

aveva trasformato il fatalismo nella confidenza in un Dio che trae il bene dal male e<br />

“scrive dritto nelle storte righe degli uomini”.<br />

Il mondo contemporaneo, invece, nell’orrore contempla l’assenza o la morte di Dio, vale a<br />

dire il fomite di una disperazione senza limiti. La sconfitta dell’umanità contemporanea<br />

non risiede dunque nella frequenza (allarmante) dei delitti ma nella dolorosa impotenza<br />

dei testimoni.<br />

Spezzaferro dopo aver denunciato l’impotenza dei cronisti davanti alle leggi di un mercato<br />

avido di sangue, di sesso, e di soldi, ha disegnato un cerchio vizioso che comincia<br />

dall’orrore dei delitti gratuiti e finisce nella desolata e umiliante risposta del<br />

“giornalisticamente corretto”: non è nostro mestiere insegnare alcunché.<br />

Il fatto è che nessuno si fa più carico del dovere d’insegnare. I vescovi, atterriti,<br />

farfugliano. La scuola sprofonda in un filologico sciocchezzaio. I genitori non osano. La<br />

cultura dominante ha sepolto il problema della verità sotto la lapide dell’umiltà scettica:<br />

nessuno è padrone della verità, nessuno ha diritto di dire cosa è bene e cosa è male.<br />

Quel che spunta dalla lapide è l’osso spolpato del buonismo: nella desolazione universale<br />

non rimane che piangere, indulgere e volersi genericamente bene. La cronaca quotidiana<br />

narra (appunto) la modalità del piangere perché ci si vuol bene. Troppo bene. L’aspetto<br />

tremendo delle cronache è la motivazione buonista attribuita ai delitti: si uccide per<br />

comprare la droga che allevia il malessere (il logorio) causato dalla vita moderna, si<br />

uccide per amore, si uccide perché il babbo è troppo esigente – “follia finalmente ho udito<br />

la tua voce”: a “Porta a porta”, la mente offuscata di una nonna buonista assolveva e<br />

giustificava il nipotino parricida, col dire apertamente che la severità del padre lo aveva<br />

costretto ad uccidere - si uccide perché la mamma è avara, si uccide perché la vecchia


non vuol mollare la borsetta dentro la quale il povero giovane troverebbe il denaro per la<br />

discoteca. La bontà dei buonisti è un sasso in bocca. Per terrore del giudizio inappellabile<br />

dei “buoni” nessuno osa educare.<br />

In compenso molti diseducano allegramente. Più viscido e appiccicoso delle vecchie<br />

ideologie, il buonismo furente, che pontifica (per la penna di Galimberti, ad esempio) nelle<br />

terze pagine di Repubblica, rovescia il delitto nello sciropposo capitolo sulle malattie<br />

social-mentali e infine depone le malattie mentali tra le righe di una sgangherata<br />

antropologia dell’uomo moderno che dopo Auschwitz non è più capace di credere, è<br />

irresponsabile, ha la morte nell’anima e la rivolta violenta nel cuore ecc. ecc.<br />

Ma la vera morte nell’anima e l’ossessione deterministica, che associa delitto e follia ad<br />

un irredimibile ordine “divino”. Ecco la fonte della diseducazione: l’idea che si rubi e si<br />

uccida sotto l’effetto della pressione insopportabile, di un destino alienante. In realtà si<br />

ruba e si uccide perché il buonismo ha depravato la bontà obbligandola ad esprimersi<br />

attraverso le forme del delirio necessario e del furore “innocente”.<br />

Democrazia cristiana<br />

La vittoria sfregiata<br />

Marco Follini, acuto politologo ed elegante scrittore, ha pubblicato un saggio revisionista<br />

che obbliga ad un’inconsueta lettura della storia democristiana. Quali strumenti d’analisi,<br />

Follini usa due categorie non molto frequentate dagli storici contemporanei: l’ambivalenza<br />

del rapporto dei democristiani con la tradizione cattolica e le conseguenti lacune<br />

nell’interpretazione della storia italiana.<br />

Ora la riluttanza nei confronti dell’insegnamento cattolico e l’insensibilità agli autentici<br />

valori della storia d’Italia, sono all’origine di quella identità latitante, che attirò la timidezza<br />

democristiana nei gorghi del millenarismo maritainiano e nelle trappole temerarie della<br />

consociazione. Cornelio Fabro, nel saggio sull’inaccettabilità del compromesso storico,<br />

pubblicato nel 1980 dalle edizioni del genovese Quadrivium, sostiene, appunto, che dopo<br />

il 1962 “il partito cristiano italiano fece la deprecata svolta a sinistra… con l’effetto di un<br />

grave disorientamento delle coscienze e ingenerando confusioni ed equivoci di ogni<br />

genere sia nel laicato cattolico come nel clero”.<br />

Sotto la guida sicura di Pio XII, la Chiesa italiana era uscita vittoriosa dalla seconda<br />

guerra mondiale. Nelle università romane e statali il pensiero cattolico aveva educato dei<br />

maestri capaci di produrre (e nel giro di pochi anni) un monumento di cultura come<br />

l'’Enciclopedia Cattolica. Nella letteratura, nel teatro, nel cinema, nella musica, nelle arti<br />

figurative e nel giornalismo i cattolici stavano conquistando le posizioni dell’avanguardia.<br />

Ma la Dc, come ha testimoniato Ettore Bernabei, girò le spalle alla cultura cattolica<br />

preferendo accordarsi con Raffele Mattioli e con la massoneria.<br />

Un’identità spirituale umbratile e vergognosa di sé, ed un patriottismo assordato e<br />

illanguidito dalla vicinanza urlante dell’internazionale socialcomunista, impedirono alla Dc<br />

di sopportare il peso della sconfitta italiana nella seconda guerra mondiale e di rovesciare<br />

l’influsso dei poteri forti, massoneria in testa, che dalla guerra perduta traevano<br />

l’occasione per incrementare l’opera dei corruttori.<br />

Follini, con il riferimento alla testimonianza di Bernabei, apre uno spiraglio sulla scena<br />

umiliante, nella quale il laicato cattolico appare nella figura di un Lacconte stretto nella<br />

morsa dei paralogismi modernistici intorno alla superiorità del laicismo.<br />

Baget Bozzo aveva previsto lucidamente la disfatta inscritta nel codice genetico della Dc.<br />

Nello “Stato” del 30 aprile 1961 scriveva: ”Si è offerta al paese una democrazia<br />

cristianamente ispirata: ma la verità è che tra tutti i protagonisti del 18 aprile a questo non<br />

credeva nessuno, almeno fino al punto tale da ispirarvi effettivamente la propria azione. Il


degasperismo vedeva i cattolici in politica come la forza di mediazione tra Chiesa e stato<br />

liberale e tra stato liberale e socialismo democratico, il dossettismo vi vedeva la<br />

mediazione tra senso popolare e sociale del Cattolicesimo e lo spirito della Resistenza e<br />

dell’unità di massa. Nessuno seppe parlare un linguaggio vigorosamente civile, fondato<br />

sulla religione, la fortezza e la magnanimità: nessuno ebbe la speranza di ridare alla<br />

natura il vigoroso supporto della Fede, perché essa potesse essere veramente natura.<br />

Nessuno salvo Pio XII, una voce che gridava nel silenzio”.<br />

La testimonianza di Luigi Gedda, peraltro, dimostra che. pur di non vincere la battaglia<br />

culturale al seguito di Pio XII, i democristiani si piegarono davanti all’idolo della modernità<br />

dileguante.<br />

Nell’introduzione alle memorie intorno al 18 aprile, Mauro Anselmo ha scritto che a Gedda<br />

si può applicare la definizione di “grande rimosso”. Rimosso vuol dire peso leggero, uomo<br />

che si metta da parte senza difficoltà. “Se c’è infatti un protagonista poco raccontato”,<br />

continua Mauro Anselmo, “un leader sistematicamente dimenticato o marginalmente<br />

citato dagli storici, anche cattolici, questo è lui, l’inventore dei Comitati Civici, il vincitore<br />

del 18 aprile 1948”. I cattolici che hanno attraversato la soglia del III Millennio, avendo<br />

come viatici la “Fides et ratio” di Giovanni Paolo II e la “Dominus Jesus” del cardinale<br />

Ratzinger, sono finalmente in grado di capire la causa della rimozione di un uomo, che ha<br />

avuto la parte da protagonista nella decisiva battaglia degli italiani contro il comunismo.<br />

Gedda rappresenta infatti la coscienza del trionfo della Chiesa sul mondo. Egli credeva<br />

nella Regalità di Cristo e perciò fu l’esecutore fedele del progetto di Pio XII sull’Italia. Un<br />

disegno che contemplava l’instaurazione di una democrazia fondata sui princìpi<br />

indeclinabili del Cattolicesimo, una democrazia indenne dalle suggestioni assolutiste e<br />

statolatriche, lucidamente denunciate nel Radiomessaggio per il Natale del 1944.<br />

I democristiani, dopo aver ottenuto, per il tramite dei Comitati Civici di Gedda, il voto<br />

cattolico, fecero fallire il progetto politico che Pio XII aveva affidato a don Luigi Sturzo.<br />

Non a caso, a Luigi Sturzo, all’implacabile accusatore della partitocrazia e dello<br />

statalismo, si deve il merito di aver denunciato per tempo gli errori democristiani.<br />

Follini sottolinea la reciproca incompatibilità degli orientamenti sui quali si erano divisi i<br />

democristiani: un centro liberale (la Dc degasperiana, “ampia, larga, complessa e<br />

pluralista”), la sinistra filocomunista (la Dc “partigiana, ciellenistica e consociativa, che<br />

non accettava la rottura con la sinistra) e una destra nazionale e popolare (la Dc dei<br />

Comitati Civici, fedele al progetto inteso alla successione cattolica del fascismo e al<br />

superamento dell’insoddisfacente lettura della storia moderna).<br />

La Dc non seppe approfittare dell’opportunità offerta dalla congiuntura storica favorevole<br />

alla restaurazione della Cristianità, e si barcamenò nella perpetua, estenuante<br />

oscillazione tra le fantasie puerili della sinistra e l’esangue fedeltà all’occidentalismo.<br />

Sarebbe ingeneroso non ricordare i democristiani che tentarono, in vario modo, di dare un<br />

profilo alto alla politica nazionale - Giovanni Gronchi, Enrico Mattei, Adone Zoli,<br />

Ferdinando Tambroni, Amintore Fanfani, Aldo Moro - o nascondere che, prima di finire<br />

sconfitta al tavolo della grande menzogna, la Dc fu artefice del miracolo economico. Ma il<br />

riconoscimento dei meriti e il ricordo dell’ingiustizia subita non cancellano la mediocrità<br />

intellettuale e l’ischemia religiosa di un partito che ha scialato mezzo secolo di storiche<br />

occasioni.<br />

Deragliamento<br />

L’illuminismo ermetico<br />

Roberto Calasso, l’occultista che avvolge in delicate copertine color pastello i cabalistici<br />

spruzzi di Guénon e le produzioni luttazziane di Chatwin, ha pubblicato in questi giorni i


trattati magici di Giordano Bruno. Milleseicento pagine di elucubrazioni fuor di solco. Una<br />

scorpacciata iniziatica. Il sottobosco dei maghi neri, bianchi e arcobaleno giubila e<br />

gongola.<br />

E la cultura seria? I trattati bruniani sono tortuosi scartafacci, nei quali l’autorità di Francis<br />

Yeats fu costretta a vedere l’incontro dell’antica superstizione egiziana con i disturbi della<br />

mente moderna. In base alle teorie esposte nei trattati di magia ermetica, il nolano<br />

dichiarava, infatti, di essere in grado di entrare nel pensiero altrui per piegarlo al proprio<br />

piacimento.<br />

I principi protestanti di mezza Europa versarono nelle tasche del filosofo cifre rotonde per<br />

conoscere il “segreto” della chiave filosofale. Di qui le disavventure che Matteo D’Amico<br />

ha narrato diffusamente in una pregevole biografia bruniana, edita da Piemme.<br />

Sfuggito alla minacciosa delusione della clientela luterana, Giordano Bruno persuase se<br />

stesso e, con la fatale convinzione sull’efficacia del “segreto”, scese in Italia, per plagiare<br />

(magicamente) il papa e asservirlo ai piani della rivoluzione neopagana. Un papa<br />

refrattario e un drastico inquisitore gli dimostrarono purtroppo la verità dell’antico<br />

proverbio sulla pietra filosofale: truffa i fanti ma lascia stare i santi.<br />

L’opinione degli storici, secondo i quali l’ardente esito del viaggio bruniano si sarebbe<br />

evitato se il Seicento avesse conosciuto le perizie psichiatriche, non ha dissuaso gli<br />

aspiranti maghi, che militano nella redazione di “Repubblica”, sempre sospesa tra le<br />

virtuose reminiscenze volterriane e le stregonerie hillmaniane.<br />

Infatti la preziosa miscela di panteismo e illusionismo rapisce Umberto Galimberti,<br />

l’intellettuale egemone, e lo fa cadere in estasi. E nell’estasi ecco il vaticinio: “La magia di<br />

Bruno si colloca in quella sotterranea corrente di pensiero, il pensiero per immagini, che,<br />

anche se è risultato perdente in Occidente, continua ad essere la fonte del pensare”<br />

(Repubblica, 11 febbraio 2001).<br />

Il pensiero per immagini è un “topos” infelice del sottobosco culturale che s’intitola alla<br />

neodestra. Nella redazione di Area, ad esempio, imperversa un filosofo immaginario, il<br />

quale sostiene che l’ideologia sia riassume in una figura: l’energumeno nudo, che tende<br />

la spada al cielo, sfida il fulmine e scarica a terra la potenza celeste. E l’infelicità del<br />

“topos” consiste nella possibile interpretazione frankliniana (tecnocratica e americana!)<br />

del parafulmine.<br />

Ma il precedente neodestro non ha trattenuto Galimberti, conquistato dal pensiero per<br />

immagini al punto di dichiarare che esso è il termine della discussione sull’illuminismo<br />

“opportunamente inaugurata da Scalfari”. Insomma: Giordano Bruno si oppone a quello<br />

che ha caratterizzato il pensiero occidentale, dopo che Aristotele ha formulato il principio<br />

di non contraddizione, di identità, di causalità.<br />

Mentre il lettore si aspetta una pioggia di ideogrammi fulinanti e ipercinetici, Galimberti<br />

continua ad usare i caratteri latini per dichiarare che al pensiero occidentale resistettero<br />

Gnosticismo e Neoplatonismo. Finché sant’Agostino, “logico e retore saldò il<br />

cristianesimo alla logica greca”. Un’opera della malvagità, evidentemente.<br />

Giordano Bruno, dunque, rappresenta la riemersione di gnosticismo e neoplatonismo “per<br />

quanto conflittuali siano state queste due forme di pensiero”. Ma che importanza hanno i<br />

conflitti filosofici, quando è decretata la guerra al principio aristotelico di non<br />

contraddizione?<br />

Si fa un passo avanti ed ecco apparire la risposta a tutti gli enigmi: al pensiero per<br />

immagini “si accede non con architetture logiche ma con pratiche erotiche”. Si apre la<br />

porta dell’effervescenza erotica che introduce alla psichiatria che “può tutto spiegare<br />

senza nulla comprendere”. Amore κ follia. Quando non fosse nota l’austerità di<br />

“Repubblica” si potrebbe pensare che la cosa stia per prendere una piega allarmante.<br />

Galimberti infine svela il destino culturale di “Repubblica”: “smascherare quella<br />

sotterranea parentela che, al di là delle dispute, lega la tradizione cristiana


all’agnosticismo scientifico. L’una e l’altra, infatti, condividono la persuasione che l’uomo,<br />

disponendo dell’anima, come vuole la religione, o della facoltà razionale, come vuole la<br />

scienza, è tra gli enti di natura l’ente privilegiato che può sottomettere a sé tutte le cose”.<br />

La tesi di Galimberti è il perfetto capovolgimento della tesi enunciata da Pio XII nel<br />

discorso per il Natale del 1953: la tecnica è una dono di Dio e perciò l’uomo che rifiuta Dio<br />

si trova imprigionato in un dilemma, che da un lato presenta l’alienazione tecnocratica,<br />

dall’altra la tomba ecologica della civilizzazione. Galimberti (in sintonia con la redazione<br />

del giornale codinamente progressista e rivoluzionariamente reazionario) propone le due<br />

cose al prezzo di una: tecnologia selvaggia in corpo ecologico furente. La Coop sei tu, chi<br />

può darti di più?<br />

Arriva il cocchio di Cenerentola e la sinistra si reca al galoppo nei paradisi psicoanalitici<br />

della Svizzera. La magia è l’ultimo destino della sinistra: bidibibadibibù, la ragione non c’è<br />

più. Forse viaggia sul trenino di ciuf-ciuf-Rutelli, forse si disperde nel fumo delle canne<br />

arrotolate dall’oncologo a bischero sciolto. Forse e senza forse sta facendo il verso alla<br />

zanzara della barzelletta pasoliniana: zszszsz.<br />

Destino<br />

Un destino di violenza e di frode<br />

Durante la celebrazione dell’ottantesimo anniversario del partito comunista, Fausto<br />

Bertinotti ha tenuto un discorso scismatico, inteso, per un verso, a rivendicare l’eredità<br />

della buona filosofia di Marx per l’altro a rigettare Stalin e la storia del comunismo cattivo<br />

e violento. Non c’è ragione di dubitare sulla sincerità degli stati d’animo che hanno dettato<br />

le dichiarazioni d’intenti del segretario rifondazionista. Infatti non ha importanza sapere se<br />

Bertinotti è in buona o cattiva fede, quando è evidente che, posta l’adesione alla filosofia<br />

materialista (e Marx appartiene senza dubbio alla scolastica materialista) è impossibile<br />

sfuggire a un destino di violenza e di frode. Anche se l’intenzione di Bertinotti fosse<br />

pacifica e non violenta il tentativo di separare il “buon” Marx dal “cattivo” Stalin sarebbe<br />

un vuoto e ridicolo esercizio da palcoscenico. Come ha dimostrato esaurientemente<br />

Cornelio Fabro, che nel 1980 scriveva: “il marxismo è, come teoria, un materialismo<br />

deterministico e, come pratica, rivendica di essere un partito egemone: un comunismo<br />

democratico è un circolo quadrato od un legno di ferro ed un malinteso”.<br />

La storia della filosofia, infatti, dimostra che, dato il pregiudizio materialista, consegue, per<br />

una logica fatalità sempre verificata, la scelta metodologica della frode e della violenza.<br />

La filosofia materialista ha origine da Democrito e dal suo scolaro, il sofista Protagora,<br />

che le conferì quell’indirizzo soggettivistico che ha mantenuto attraversa tutti i mutamenti<br />

subiti nel corso della sua storia plurisecolare. Virginia Guazzoni Foà ha dimostrato con<br />

rigore filologico che, secondo Protagora, “la materia è il fondamento e la ragione di tutti i<br />

fenomeni in quanto può essere tutte le cose quali appaiono a noi”.<br />

L’opinione che nei fenomeni contempla la sola apparizione della materia ed esclude la<br />

forma, implica appunto quella conclusione soggettivistica, che Platone ha confutato nel<br />

discorso dei sofisti: “Protagora disse che di tutte le cose è misura l’uomo, di quelle che<br />

esistono che esistono e di quelle che non esistono che non esistono. … E non viene egli<br />

in certo modo a dire questo, che quale ciascuna cosa apparisce a me, tale codesta cosa<br />

è per me, quale apparisce a te, tale è per te; e uomini siamo tu ed io?” (Teeteto, 152a).<br />

Protagora, e dopo di lui ogni materialista coerente, nega che la mente umana sia capace<br />

di astrarre gli universali dalle cose e perciò di formulare giudizi oggettivamente validi.<br />

Dopo Protagora, intorno al pregiudizio materialistico si costituisce un circolo vizioso. La<br />

sede della verità non è più l’oggetto ma il soggetto. L’emergenza per così dire<br />

“totalizzante” della materia scolora l’oggetto e trasferisce il colore nell’occhio del soggetto.


Ma lo scoloramento dell’oggetto destituisce il giudizio del soggetto, che tenta di colorarlo<br />

a suo modo: ci sono tanti colori quanti sono i soggetti coloranti. Esistono dunque tante<br />

verità quanti sono le opinioni dei soggetti ma in ultima analisi la verità plausibile è soltanto<br />

quella del soggetto che riesce a far valere (anche a costo d’ingannare o fare violenza) la<br />

sua opinione.<br />

Il materialismo sofistico nega gli universali, che sono il fondamento del dialogo e della<br />

ricerca e trasforma la filosofia in un ring riservato ai cacciatori di prestigio e di potere. Il<br />

luogo della verità è perciò occupato da un’opinione labile, che s’impone solo mediante giri<br />

di parole, argomenti acrobatici, lavaggi del cervello e all’occorrenza minacce, torture e<br />

“concentrazioni rieducative”. In caso di refrattarietà è infine prevista l’eliminazione fisica.<br />

A questo punto è già evidente il dato che è premurosamente confermato dalla storia di<br />

tutti movimenti d’ispirazione materialistica: le opinioni conformi al pregiudizio del<br />

materialismo sono sempre associate all’uso della violenza e/o della frode. La negazione<br />

della verità oggettiva e la consegna della verità all’opinione del più forte o del più abile<br />

nasce dal convincimento che gli oggetti del conoscere siano costituiti soltanto dalla<br />

materia. Da allora il materialismo e il soggettivismo sono rimasti inseparabili, a malgrado<br />

dei numerosi tentativi di fondare una rigorosa scienza della materia.<br />

Il materialismo ha potuto calarsi nelle diverse e opposte forme dell’individualismo e del<br />

collettivismo, del nazionalismo e del cosmopolitismo, dell’oligarchia hobbesiana e<br />

dell’egualitarismo anabattista, del pauperismo e dell’edonismo, della virtù giacobina e del<br />

vizio sadiano, dello stalinismo e del maoismo, dell’operaismo e dell’ecologismo<br />

cambogiano ma non è mai uscito dal solco della violenza e della frode. E questo vale<br />

anche per il nazismo, che ebbe le stigmate del materialismo (eco-zoologico) più feroce e<br />

della sofistica (si pensi all’oratoria di Hitler e di Goebbels).<br />

La notizia che i comunisti non sono più comunisti, perché Stalin è uscito dal loro orizzonte<br />

mentale, dunque è del tutto falsa e ridicola fin che rimane la loro adesione ai princìpi del<br />

materialismo. E della sofistica alla quale Marx aderì fondando il suo “sistema” sul classico<br />

imperativo dei mistificatori: “non fare domande”, non cercare la verità, accontentati della<br />

mia opinione.<br />

Duello<br />

L’avventizio incrocia i ferri col fittizio.<br />

Nel dramma di Enrico IV, Luigi Pirandello ha narrato la lotta disperata dell’eroe presunto<br />

contro l’irrealtà che lo assedia e, alla fine, lo sommerge. Per un errore del trovarobe, il<br />

compianto attore Giancarlo Zonghi Spontini dei conti di Catria, uomo che calcava<br />

dignitosamente la scena degli infortuni di vita e di palcoscenico, ha portato<br />

all’incandescenza il clima dell’Enrico IV. Moltiplicando l’irrealtà per se stessa, come i poeti<br />

fanno con il gioco delle cambiali. Ecco la veritiera storia, che si svolse sul palcoscenico<br />

del teatro Duse in Genova, come sa Raffaele Perrotta: quando la storia dell’imperatore<br />

virtuale volgeva alla fine, il povero Zonghi non riuscì a sguainare il pugnale omicida, che il<br />

maldestro trovarobe gli aveva legato al fianco. La follia essendo sospesa alla punta del<br />

pugnale ritroso, il dramma non andava all’assurda conclusione stabilita dal drammaturgo.<br />

Allora Zonghi fece un cenno alla sua spalla, che, in costume di scudiero medievale,<br />

recitava la parte dell’inserviente nel manicomio. L’infermiere medievale capì al volo e, con<br />

urgenza, porse il pugnale al finto imperatore, sul quale, per la parte infermieristica<br />

avrebbe dovuto invece vigilare. Nel gesto dell’infermiere mascherato e sdoppiato, gesto<br />

necessario (per la circostanza imprevista) ma (per il copione) inconsulto e paradossale,


l’irrealtà pirandelliana fu elevata al quadrato. Gregorio VII ferito a morte cadde nella<br />

polvere dell’irrealtà elevata al quadrato.<br />

Ognuno pensi quel che gli piace credere teatralmente, noi ora siamo convinti che è<br />

possibile oltrepassare l’irrealismo involontario della spalla teatrale di Zonghi, e allestire un<br />

paradosso pirandelliano al cubo. Infatti lo psicologo Umberto Galimberti, nelle pagine di<br />

“Repubblica” (6 marzo 2001) supera Zonghi dirigendo (a parole in libertà e mediante il<br />

rifacimento <strong>postmoderno</strong> dell’Enrico IV) il duello dell’umanesimo fittizio contro la sacralità<br />

avventizia.<br />

Umanesimo e sacralità, le due facce del dilemma <strong>postmoderno</strong>, indossate maschere di<br />

circostanze, duellano nella scena irreale. L’umanesimo, nel copione scritto da Galimberti,<br />

è interpretato dal compianto Benedetto Càlati, un frate camaldolese secondo il quale il<br />

Vangelo è stato scoperto dal Vaticano II: “tornare al Vangelo significa abolizione del<br />

primato di Pietro e del celibato ecclesiastico, introduzione del sacerdozio femminile, della<br />

democrazia nella Chiesa e della conciliarità”. Buonismo, schietto buonismo in due parole.<br />

Cattocomunismo, in una sola.<br />

Cattocomunismo. Correre a perdifiato incontro alle istanze del mondo moderno, che,<br />

peraltro, dilegua nella malinconia di Vattimo. Forse incontrare Guénon, forse Veltroni,<br />

nella parte dell’imperatore col pugnale di gommaschiuma.<br />

Padre Calati, infatti, poneva al centro della sua predicazione il ripudio del<br />

“contemplazionismo”, cioè il distacco dal cristianesimo tradizionale, inquinato (a suo<br />

modernistico dire) dal la metafisica di Platone e Aristotele.<br />

Evidentemente Galimberti, in obbedienza all’imperativo-Càlati, crede che l’umanesimo<br />

consista in un rifiuto categorico della “seconda navigazione” platonica. Ascoltato Càlati,<br />

l’umanesimo comanderebbe l’uscita dalla vita interiore e il naufragio (leopardiano?)<br />

nell’immensità.<br />

Se ci si mettesse d’accordo con le parole anche questa definizione potrebbe passare<br />

indenne. Sarebbe sufficiente che la storia della letteratura si volgesse a testa in giù, in<br />

una scena dove Dante e Petrarca rappresenterebbero la perfetta negazione<br />

dell’umanesimo raccontato da padre Càlati. E che la lettera in cui Petrarca, narrando<br />

l’ascesa al Mont Ventoux, formula l’assioma della filosofia umanistica – l’agostiniano in te<br />

ipsum redi – diventasse il manifesto dell’antiumanesimo.<br />

Se il pugnale di Càlati uccidesse Platone, Galimberti avrebbe ragione di esultare. Ma il<br />

pugnale di Càlati in fondo era inoffensivo, dunque Galimberti esulta a vuoto. Il testimone<br />

dell’umanesimo, secondo Galimberti, può entrare nella scena irreale del duello grazie ad<br />

un movimento surrettizio, che ripete il gesto dello scudiero di Zonghi.<br />

Secondo il teatrale pensiero di Galimberti, la categoria che si oppone all’umanesimo è il<br />

sacro, ossia la fede cristiana, che vorrebbe dire affermazione della trascendenza di Dio e<br />

negazione pura e semplice – più annientamento che kenosis - della civiltà umana. Il<br />

sacro, secondo il calendario galimbertiano, sarebbe rappresentato da Gianni Baget<br />

Bozzo, costretto nella parte di una risoluta negazione dell’umanesimo. Anche in questo<br />

caso l’attore inscenato recita una parte che è vera soltanto nell’immaginazione. Il<br />

canovaccio, infatti, svolge la canzone dell’ubiquità galimbertiana: mentre sono qua sono<br />

là. E’ infatti noto che la teologia di Baget Bozzo, costruita sul modello agostiniano,<br />

valorizza la storia nella quale contempla la collaborazione dei due amori e delle due città.<br />

L’accusa che ulivisti roventi e marciatori di Seattle rivolgono a Baget Bozzo, riguarda,<br />

appunto, il suo sostegno all’Occidente umanistico e al nefando consumismo di matrice<br />

berlusconiana. Qua o là, la verità dove sta? Nel sistema galimbertiano ovunque.<br />

Due attori sradicati dalla loro identità, gettati nel contrario, fusi nel piombo kenotico<br />

dell’indeterminatezza. Una scena truccata. Due spade selvagge. Un duello sordo, a colpi<br />

di malinteso. L’ultima parola del giornale degli illuministi italiani è il galimba-pirandellismo:<br />

l’infortunio del compianto Zonghi ridotto a pensiero. Senza l’ironia che costringeva Zonghi


a ridere durante la fittizia uccisione dell’avventizio Gregorio VII. Col pugnale consegnato a<br />

un matto da una guardia da manicomio.<br />

Zonghi se ne è andato. L’infermiere anche. Il pugnale è rotto. Nel teatro rimane solo la<br />

doppiezza postmoderna. Galimberti uno e due, forse tre. Uno nella parte del falso Enrico<br />

IV, due in quella del falso Gregorio VII. Tre nella parte del falso scudiero. Il duello dei lumi<br />

è finito, lettori di Repubblica andate in pace.


E<br />

Ecologia<br />

Economist<br />

Et … et…<br />

Ecologia<br />

La verde bufala<br />

La rossa felicità del comunismo si spegne, mentre il verde tinge le bandiere del<br />

contrattacco. Avanti alla riscossa? Ultimamente i nomi della riscossa sono quaresima<br />

sociale e carestia pianificata. Esulta l’effervescente popolo del pensiero debole – stalinisti<br />

in erba indiana, sessantottini affranti, facinorosi con licenza governativa e curiale,<br />

fratacchioni effusivi, cattocomunisti in mobilità, cultori della vacca sacra, gastronomi<br />

sbarazzini, e zitelle deragliate nell’animalismo. La rivolta è nuovamente di scena. Mentre<br />

l’elettrico Bordon dichiara la guerra lampo al Vaticano, il popolo di Seattle, nel totale oblio<br />

dei princìpi di ragione, marcia con la giubilante certezza di rappresentare l’avanguardia di<br />

una guerriglia illuminata dalla scienza austera, e perciò organizzata a difesa dei poveri,<br />

oppressi dall’industria del desiderio e del consumo.<br />

La coerenza ecologica è a tutta prova: i lussi maledetti dall’ideologia sono i consumi dei<br />

poveri. In tal modo la terra, destata dai programmi dei liberatori ecologisti, si trasforma: da<br />

regno antropocentrico a luogo di oppressione.<br />

L’ideologia verde promette la liberazione dalla schiavitù dei consumi: mai più benessere.<br />

Il benessere deve ritornare in bocca al lupo. Una bazza per i poveri, che non saranno più<br />

clienti, e vedranno i padroni dell’industria duramente umiliati e puniti. In attesa che i centri<br />

sociali, una molotov dopo l’altra, instaurino la giustizia del globo quadrato e pianificato,<br />

dove l’astinenza sovietica dai consumi, elargirà una gaudiosa catastrofe.<br />

Dei conigli è padrone il cappello a cilindro, delle bufale la stalla. Fa eccezione la bufala<br />

verde, volante libera fra le stelle dei poteri forti. L’apocalittica suggestione, che riduce<br />

l’uomo a cancro della natura, prende forma nel Club di Roma, il palazzo dove il delirio<br />

malthusiano incontra l’oligarchia giurassica e la scienza occulta.<br />

Intendiamoci: l’amore dell’uomo per la natura era fuori dall’orizzonte regressivo dei soci<br />

fondatori del club. L’amore esige la presenza del soggetto amante, cioè il “cancro umano”<br />

che l’ecologismo vuole espellere dalla scena.<br />

Il terrorismo ecologico, infatti, è una passione disincarnata, una tigre virtuale, messa in<br />

onda dai direttori dell’orchestra iniziatica, per imporre le rovinose teorie sullo sviluppo<br />

zero e sulla riduzione dei consumi di massa. Le teorie squisitamente inumane, che<br />

adesso vediamo applicate nell’Africa consegnata alle epidemie, alle guerre tribali, alle<br />

carestie, al turismo del sesso.<br />

E’ inutile cercare il perché di una mistificazione indirizzata al male: dell’irrazionalità si<br />

classificano i fenomeni, ma non si cercano le motivazioni. <strong>Antonio</strong> Gaspari, Paolo<br />

Fornaciari, Giovanni Vitagliano, Paolo Sequi e Roberto Irsuti, i coraggiosi e lucidi<br />

protagonisti dell’impresa editoriale costituita intorno alla milanese rivista “XXI Secolo”<br />

hanno dimostrato, per mezzo di saggi documentati con puntiglio, che alle spalle del racket<br />

ambientalista si trova un’ideologia priva di fondamento scientifico, moralmente ignobile, e<br />

inaccettabile a chiunque mantenga un soffio di solidarietà per i propri simili.


L’ecologismo è una consolazione babelica, appropriata al disorientamento <strong>postmoderno</strong>,<br />

perché addolcisce le delusioni antagoniste e avvicina i fallimenti delle contrarie ideologie.<br />

Rappresenta la fusione dei pregiudizi trionfanti nella sinistra atea e materialista con gli<br />

errori incandescenti, prodotti, all’inizio del Novecento, dal fanatismo reazionario.<br />

Precursori degli ecologisti furono gli apprendisti stregoni a caval di secolo, che<br />

anticiparono lo schema della gauche réactionnaire, promovendo la selezione degli eletti e<br />

l’affidamento dei reietti alla natura tenera e feroce. Una felice miscela: alla destra<br />

neopagana fu concessa la decadenza dei reietti, alla sinistra avanguardista il progresso<br />

degli eletti.<br />

Una volta avviato sulla traccia dell’orbita binaria, il sole ecologista, eseguì quella perfetta<br />

rivoluzione duale, che ha il nome innominabile di nazionalsocialismo: et destra<br />

rivoluzionaria et sinistra reazionaria.<br />

Ecologia, la parola ammaliante e imperiosa, che adesso scalda i piedi sociali dei<br />

marciatori senza testa, è compromessa, per via della sua origine e della sua storia, con le<br />

guerre della destra torbida e del capitale selvaggio contro lo sviluppo. Fu coniata, durante<br />

la belle époque, da Ernst Haeckel, un socialista ubriacato dall’evoluzionismo di Darwin e<br />

dalla sociologia antivitale e reazionaria di Malthus.<br />

Haeckel è anche l’autore di un infame libro d’eugenetica, “L’enigma della vita”, pubblicato<br />

con vent’anni di anticipo sui programmi nazisti, per affermare la superiorità della razza<br />

indogermanica e proclamare la liceità dello sterminio (spartano: la città dei guerrieri nudi<br />

ha sempre infiammato i cuori germanici) dei soggetti giudicati fisicamente o mentalmente<br />

inadatti alla vita.<br />

L’opera di Haeckel era platealmente contraria ai princìpi dell’umanesimo, e tuttavia<br />

ottenne l’illuminata e gongolante benedizione della sinistra d’inizio secolo, che,<br />

nell’eugenetica, riveriva e incensava la fedeltà al pregiudizio materialistico e all’odio<br />

contro la carità cristiana.<br />

La cultura di sinistra, approvando il pensiero di Haeckel, andò incontro alle preferenze dei<br />

più biechi circoli capitalistici, come il Boone Crockett Club, che, alla fine del XIX secolo,<br />

raccoglieva i finanziatori del progetto “ariano” di Madison Grant: le famiglie Morgan, Frick,<br />

Dodge, Vanderbilt, Rockefeller, Harriman.<br />

Grant, che non faceva mistero dell’odio nutrito nei confronti di ebrei, italiani, slavi,<br />

portoricani e irlandesi, si proponeva due obiettivi complementari: sostenere i movimenti<br />

eugenetici per la restrizione dell’immigrazione e promuovere la conservazione (ad ogni<br />

costo umano) della flora e della fauna selvatica.<br />

Prima di raggiungere Seattle il corteo verde è passato per la Germania delicata dei teneri<br />

Wandervoegel (gli uccelli migratori) e delle SS. Scrive <strong>Antonio</strong> Gaspari: “la ricerca<br />

approfondita e puntuale dello storico americano Robert Proctor, svela quanto lontano si<br />

fosse già spinto il III Reich sui percorsi della scienza e della medicina alternative, degli<br />

stili di vita oggi così in voga nella civiltà post-industriale dell’Occidente”.<br />

Il nazismo, sotto questa luce, appare come un (profetico) miscuglio di sviluppo (della<br />

tecnologia distruttiva) e di bucolica arretratezza, di scienza e di superstizione tracimante.<br />

Nella Germania di Hitler, il circolo ecologico si chiude. Riccardo Walther Darré, capo<br />

dell’ufficio per la razza e ministro dell’agricoltura nel governo hitleriano, infatti, fu iniziato<br />

ai tenebrosi misteri dell’eugenetica verde dall’americano Madison Grant. Il quale (come si<br />

è appena visto) aveva adattato l’evoluzionismo socialista alle esigenze selettive e<br />

regressive dei più torbidi capitalisti. La pista della gara circolare è completata. Ai posti,<br />

pronti, colpo di pistola e via. Ma chi è il giudice di partenza, e contro quale nemico<br />

pensano di correre gli inossidabili maratoneti di Seattle?


Economist<br />

Fumo coloniale da Londra<br />

Adesso gli italiani sono avvisati: il governo Berlusconi, benché adatto alla loro condizione<br />

di popolo stupido e corrotto, non si ha da fare né domani né mai. I poteri forti hanno<br />

sentenziato, Observer, Financial Times, Economist hanno diffuso la solenne sentenza. Gli<br />

italiani “pazienti” hanno capito, le ottuse masse non oseranno disobbedire al fermo monito<br />

dei moralisti.<br />

Ma siamo proprio sicuri che si tratti di una questione morale? Occorre una bella<br />

immaginazione per credere che i poteri forti si facciano tormentare dalla questione<br />

morale. La bella immaginazione va poi elevata al cubo se si vuol contemplare la dignità e<br />

la coerenza morale della sinistra italiana, che vive dei furori pauperistici del popolo di<br />

Seattle. Proprio nei giorni dell’infuriante polemica, la Feltrinelli ha distribuito un libro<br />

intervista, nel quale Cacciari tesse il forsennato elogio dell’ecomiseria.<br />

Il lacrimoso Cacciari, insieme con il desolante Fassino, che sale sull’ex pulpito operaista<br />

per invitare gli italiani a meditare il messaggio lanciato dai sommi padroni del capitale,<br />

con il politologo Sartori e col leggiadro Bianco, che apprezza, gongolando, la minacciosa<br />

autorità dell’alta finanza mettono, in scena lo spettacolo grottesco ma ormai classico della<br />

gauche réactionnaire.<br />

La seria ragione della guerra a Berlusconi si può dedurre tuttavia dalla lettura del Corriere<br />

della Sera, dove l’untuoso e sussiegoso Sergio Romano ha intonato la melodia della<br />

livrea iniziatica.<br />

Conforme alla destra codina, Romano ha scelto la sede più adatta per il suo appello<br />

servile: quel Corriere della Sera dove le zaffate iniziatiche, trasportate dal fumo londinese,<br />

sono respirate con religiosa devozione. L’ex ambasciatore, gustati i sublimi odori del<br />

disprezzo per l’Italia, monta in cattedra per dettare le regole in base alle quali vanno<br />

accolti gli insulti inglesi al popolo italiano: “La prima regola, naturalmente è di considerarli<br />

perfettamente legittimi”.<br />

Dopo una così categorica sentenza, da un uomo illuminato come l’ex ambasciatore si<br />

vorrebbe sapere se, a suo giudizio, sarebbero legittime anche le osservazioni di un<br />

giornalista italiano che (eventualmente) osasse mettere in discussione l’oligarchia del<br />

regno britannico, “solo” perché vi si trovano, a titolo di eredi delle fortune ammucchiate<br />

dalla pirateria, ballerini verdi, pedofili di corso antico e accettato, dame dal gomito sciolto,<br />

principesse ghiotte di sesso o dedite a discussi affari. Non c’è ragione di dubitare che<br />

l’austero Romano risponderebbe negativamente: non è lecito, non è diplomatico, non è<br />

elegante, non è aristocratico rovistare nei panni sporchi della sublime nobiltà. La pubblica<br />

sporcizia dei panni riguarda solo le classi e le nazioni inferiori. L’Italia, ad esempio. E<br />

questo l’imperterrito Romano lo direbbe benché le storie boccaccesche e affaristiche<br />

d’Inghilterra siano vere, le accuse dell’Economist spazzatura, raccolta da calunniatori di<br />

professione.<br />

D’altra parte i poteri che oggi demonizzano Berlusconi sono gli stessi che, nel 1948,<br />

tentarono di umiliare la nazione italiana con l’elezione alla presidenza della repubblica di<br />

un grottesco e osceno arnese di loggia, il conte con la caramella Carlo Sforza. Un uomo,<br />

Sforza, che la stessa “intelligence” britannica non esitava a definire “vecchio scemo”. Fu<br />

la strenua opposizione del cattolico Giovanni Gronchi a sventare la manovra dei poteri<br />

forti e a far eleggere il dignitoso Luigi Einaudi.<br />

Stabilito dunque che ai poteri forti d’Inghilterra non interessa la dignità e la moralità dei<br />

governanti italiani, si affaccia il vero problema: perché si può sputare impunemente su<br />

Berlusconi e, quel che è peggio sul popolo anzi sulla maggioranza del popolaccio italiano,<br />

che lo approva e forse lo vota, ma non criticare le graziose altezze d’Inghilterra?


E’ evidente: i pensatori in frac sono rimasti fedeli ai princìpi del darwinismo sociale, la<br />

scienza umoristica e obsoleta, che circola nelle sfere alte e imperterrite.<br />

Cecilia Gatto Trocchi, nelle pagine del nostro giornale, ha spiegato autorevolmente il<br />

significato del darwinismo sociale: gli oligarchi inglesi e i loro eleganti caudatari sono<br />

convinti di rappresentare il top dell’evoluzione della specie, mentre i popoli latini (e con<br />

loro la volgare America) sono abbassati al bottom (depresso e coloniale) della piramide<br />

del genere umano.<br />

La folle e ridicola teoria darwiniana, condivisa dai più alti iniziati del Corriere della Sera e<br />

bevuta dall’allegria reazionaria, naufragante nei torbidi sputi di Gomez Davila, contempla<br />

un Mediterraneo balcanizzato e (naturalmente) un’Italia depressa e ridotta a condizione<br />

quasi coloniale. Si tratta dell’Italia deliziosamente agognata dalla petite bande: il Grande<br />

Oriente, la famiglia del Corriere della Sera, i verdi per la quaresima perpetua, i pensatori<br />

delle riviste Babilonia e Micromega, gli antiproibizionisti per la droga, i filosofi dei centri<br />

sociali e la massoneria ecclesiastica.<br />

Berlusconi ha dichiarato l’intenzione di attuare una forte politica per il rilancio dello<br />

sviluppo, una politica che contempla il potenziamento delle infrastruttura, finora costrette<br />

al palo dell’ecologismo forsennato. Ecco l’immoralità, ecco la sfida arrogante. Ecco<br />

spiegata l’enigmatica allusione dell’Economist ai governanti corrotti del recente passato<br />

italiano, che ispirano Berlusconi: “corrotti”, dal punto di vista iniziatico, sono i promotori<br />

dello sviluppo pacifico dell’Italia e del Mediterraneo, Enrico Mattei e Aldo Moro, ad<br />

esempio. Uomini che, dopo l’avviso, hanno avuto la “giusta” punizione dalla storia.<br />

Grazie all’esperienza diretta di quella triste storia italiana, Andreotti ha immediatamente<br />

capito il senso dell’avviso di stampo iniziatico e ne ha denunciato il carattere oltraggioso.<br />

Il 13 maggio si vedrà se anche gli italiani hanno capito la lezione segreta della storia.<br />

Et … et…<br />

Le scogliere dell’ubiquità postmoderna<br />

Non occorre una fervida fantasia per astrarre dalla gondola nera, avanzante sull’acqua<br />

uggiosa della laguna novembrina, l’essenza del luogo ideale per una conversazione<br />

jüngheriana tra il nostalgico Zecchi e l’amareggiato Cacciari - la destra estetica e la<br />

sinistra affranta, in discorde concordia sull’ambivalenza della tecnica.<br />

Impianto o destino? Dominio rapinoso. La tecnica, nel pensiero <strong>postmoderno</strong>,<br />

rappresenta la metafisica, platonica e cristiana, colpevole di aver diffuso l’illusione del<br />

primato umano nella natura.<br />

La disputa sul destino tecnologico, ha spinto il pensiero rivoluzionario in una spirale<br />

armoniosa: la pacifica concorrenza tra i militanti delle ideologie rifiutate dalla storia -<br />

destra hitleriana e sinistra bolscevica. La pacificazione degli estremi inizia dunque dalla<br />

mistica nostalgia delle origini, che incita l’umanità a regredire ai territori benedetti dalla<br />

derelizione della tecnologia.<br />

Ma la realtà sorpassa la fantasia. In uno storico convegno <strong>postmoderno</strong>, un giovane<br />

pensatore di scuola jüngheriana, il ventripotente Achille Montano, espose le idee<br />

neodestre sull’ambivalente tensione, che corre tra il potere spirituale e il potere imperiale.<br />

Lo schema era esemplarmente lucido. La relazione, intitolata “Papa e imperatore: la<br />

rivoluzione conservatrice nel medioevo”, esponeva due luminosi concetti: il medioevo<br />

attuò un grande equilibrio, poiché (primo concetto) quando c’era un imperatore cattivo un<br />

papa buono faceva da contrappeso, e viceversa (secondo concetto) quando il papa era<br />

cattivo un buon imperatore ne moderava l’influsso.<br />

Fin qui la felice ambivalenza del medioevo contemplato dal pensiero neodestro. Ma gli<br />

uditori della dottrina videro, a quel punto, il volto dell’oratore imporporato dal dubbio. Egli


guardò in alto, cogitabondo, quasi ad invocare un lume. Stette a lungo. Infine<br />

l’espressione del suo volto si adeguò al severo possesso dell’intuizione folgorante.<br />

Questa: “Ci furono tuttavia situazioni terze, nelle quali ad un papa cattivo era<br />

contemporaneo un imperatore cattivo. In quei casi erano cavoli amari per tutti”.<br />

La cortese disputa tra Zecchi e Cacciari sulla dottrina di Ernst Jünger costituisce la dotta<br />

traduzione della parabola di Achile Montano: ad una destra guerriera fa da contrappeso la<br />

sinistra pacifica; la sinistra faustiana (e stakanovista) è rettificata e convertita dalle<br />

austere idee della destra pauperista e antitecnologica.<br />

In ultima analisi: l’armonia si trovo nel rifiuto categorico dell’idea di progresso. Per la<br />

scienza e l’industria sono cavoli amari. Cacciari e i neodestri superano le amarezze del<br />

Novecento dichiarando la guerra di Hitler al progresso giudeocristiano.<br />

Tutti a Seattle, allora. I nemici di un tempo si ritrovano nel baccanale della rivoluzione<br />

reazionaria. Tutti ambivalenti, anarchi & aristocratici, futuristi & ecologisti, armati & amati,<br />

maschi & femmine, fumatori & fumati, camicie brune & rosse.<br />

Suggeriva Jünger: destra e sinistra, in riga per due, et … et… Un papa buono<br />

(l’ecologista Walter Darré, ad esempio) bilancia l’imperatore cattivo (il tecnocrate Adolf<br />

Hitler), l’imperatore della virtuale bontà (Valter Veltroni) rettifica il papa cattivo (l’operaista<br />

Cossutta).<br />

La scuola lagunare - Zecchi e Cacciari - liquida Stalin e Hitler in un barattolo di nutella. Il<br />

Novecento è candito. Beati i dolci, perché avranno la nuda terra del Millennio buonista.<br />

O no? La sintesi, dopo la destra e la sinistra del Novecento, è un’idea fascinosa ma<br />

inquinata dai cavoli amari del Montano.<br />

I nichilismi delle ideologie totalitarie, infatti, segnano limiti estremi e insuperabili. Il furore<br />

della tecnocrazia pacifista e l’impeto della guerra elitaria, erano già in atto negli errori<br />

generati dalla rivoluzione illuminista, che contemplava anche le “sintesi” regressive e<br />

arcadiche oggi riproposte da Jünger (e da Heidegger, Schmitt, Benn, Kojève, Guénon,<br />

Bataille, Marcuse, Taubes, Cacciari ecc., ecc., ecc,).<br />

In altri termini: Hitler e Stalin - le contraddizioni del Settecento all’ultimo stadio, i lumi al<br />

lumicino - contengono tutte le (superflue) sintesi della destra e della sinistra postmoderne.<br />

Alla fine della serie si trovano gli irriducibili cavoli amari del Montano: un imperatore<br />

cattivo contemporaneo di un papa cattivo.<br />

Nessun pensiero è così veloce da superare il pensatore che lo ha anticipato. Nessun<br />

Mitridate si disintossica per mezzo delle tossine. La pretesa di evadere dal Novecento è<br />

grottesca, quando, per saltare il filo spinato, si usano le gambe, che hanno corso sulla<br />

pista hitleriana o su quella staliniana.<br />

Jünger contro Hitler, la mitezza ecologica contro l’intolleranza religiosa, il paganesimo<br />

contro la volontà di potenza, la sinfonia pastorale contro la guerra imperialista,<br />

l’ambivalenza ideologica contro le certezze della fede e della ragione, la dolce foresta<br />

germanica contro la Roma tirannica dei papi, sono gli attori della commedia truffaldina già<br />

messa in scena dal III Reich. L’avversione del dolce pensiero jüngeriano al mostruoso<br />

delirio nazista è una chimera o una truffa. I frutti velenosi del nazismo, infatti, nascono<br />

sull’albero delle idee neopagane che oggi gli si vorrebbe opporre.<br />

Il pensiero profondo che ha destato la ferocia nazista contro gli ebrei e i cristiani, afferma<br />

infatti l’umiliazione dell’uomo nei confronti del cosmo e della forza che lo regge. Hitler era<br />

un ecologista radicale, e un nemico della tecnologia, esattamente come Heidegger, come<br />

Jünger e come il popolo di Seattle. Nella notte tra il 28 e il 29 dicembre del 1941, Hitler<br />

uscì in un delirio pagano e maledisse l’invito della Bibbia a dominare la terra. Qui<br />

troviamo la fonte dell’odio spaventoso che ha insanguinato il Novecento, qui nella<br />

dichiarazione di guerra alla tecnologia e alla religione cristiana: “Tutti i lettori della Bibbia,<br />

che si chiamino ebrei, ginevrini, olandesi, inglesi o americani, devono aver visto sul loro<br />

libro di preghiere che Dio ha concesso a coloro che servono la sua legge il monopolio


dello sfruttamento della terra, dato che tutti questi popoli mercantili profondono, nell’arte<br />

di sfruttare il genere umano, lo stesso fervido fanatismo religioso”. Pensare di uscire<br />

dall’orrore del Novecento dichiarandogli questa guerra è una follia, che supera in comicità<br />

la parabola montaniana dei cavoli amari.


F<br />

Famiglia<br />

Fascismo<br />

Filosofia<br />

Finimondo<br />

Franchismo<br />

Famiglia<br />

Nessuna società sopravvive senza onore<br />

Non senza scandalo dei teologi aggiornati e dei moralisti politicamente corretti, Giovanni<br />

Paolo II ricorda insistentemente che i cattolici non possono contrastare il principio<br />

dell’indissolubilità del matrimonio, e della fedeltà alla parola data davanti all’altare.<br />

Nell’aprile del 1974, quando il dissenso cattolico era incensato dai vescovi conformisti – il<br />

cardinale Pellegrino dichiarava addirittura il suo rispetto per i fedeli divorzisti “per motivi di<br />

libertà di coscienza, di pace sociale e di valutazioni politiche contingenti” - furono i pochi a<br />

sfidare la direttiva emanata, in perfetta armonia dalle logge massoniche e dal Pci. Fra di<br />

loro Nino Badano, che scriveva nelle pagine intrepide della rivista di Giovanni Volpe, “La<br />

Torre”: “Il matrimonio è indissolubile, non solo come sacramento, ma come istituzione<br />

naturale; solo una donazione perenne dei coniugi garantisce alla famiglia l’adempimento<br />

della sua funzione sociale, soprattutto educativa. La famiglia unita è necessaria al bene<br />

della società. Per le sue rovinose conseguenze il divorzio è una piaga. Il cristiano, come<br />

cittadino, ha il dovere di proporre e difendere il suo modello di famiglia, perché deve<br />

partecipare alla costruzione di un retto ordine civile, partecipazione urgente quando la<br />

famiglia è insidiata da una permissiva, che favorisce il coniuge colpevole e non tutela i<br />

diritti dei figli, degli innocenti e dei deboli”.<br />

Oggi a parlare in difesa del matrimonio indissolubile sono i dati statistici, che compongono<br />

il ritratto di una società smembrata e moralmente esausta. Ogni anno il decano della<br />

Sacra Rota, monsignor Mario Francesco Pompedda, espone al papa un bilancio penoso:<br />

affievolimento delle difese morali, incoscienza del peccato grave, ostinato rifiuto della<br />

scelta che comporta un impegno vincolante nella buona e nella cattiva sorte, distorta<br />

concezione della libertà. Gli atti delle cause matrimoniali, quadri di ordinaria<br />

disgregazione sociale, potrebbero ispirare una collana di romanzi neri – alla Houllebecq –<br />

tanta è la stupida ferocia che in essi si registra.<br />

A chi ha il coraggio di considerarli, gli atti della Sacra Rota svelano la minaccia che il<br />

divorzismo porta nel cuore della convivenza civile: la sopraffazione del divertimento sulla<br />

vita. Troppo facilmente l’unione familiare si spezza a causa di risibili conflitti sulle<br />

vacanze, sulla festa del sabato sera, sulla scelta delle compagnie d’evasione, sulla<br />

strategia da seguire nella scalata della montagna del prestigio effimero.<br />

Il processo di secolarizzazione, iniziato sotto i lumi del razionalismo e proseguito<br />

attraverso le serenate romantiche, psicoanalitiche e sessantottine al libero amore e alla<br />

famiglia allargata, ha dato luogo ad una vera e propria malattia sociale.<br />

La sterminata solitudine della folla contemporanea invoca esempi di moralità accettata e<br />

vissuta eroicamente. Dopo tutto, la vita eroica, che costituisce l’onore dell’Occidente, ha<br />

avuto inizio con la fondazione delle prime famiglie: “Dai Greci fu detta Era, dalla quale,


scrive Giambattista Vico, debbono essere stati detti essi eroi, perché nascevano da nozze<br />

solenni”. Questo significa che nessuna società sopravvive senza rispettare la parola data.<br />

Il forte richiamo del papa, pertanto, significa che la civiltà si difende o si perde nelle<br />

famiglie. Il secondo nome della misericordia verso il prossimo è coerenza di vita. La<br />

fermezza dei princìpi cristiani rinvia sempre alla carità, dove l’uomo non esiste per la<br />

legge, ma la legge per l’uomo. Sarebbe facile compiacere e benedire, dall’alto della<br />

cattedra di Pietro, la volontà di ripudiare il coniuge non più amato, per unirsi con la<br />

persona ideale. Quale trasgressione non è giustificata dall’ideale? Scroscerebbero gli<br />

applausi se il papa si arrendesse allo spirito del tempo e vezzeggiasse gli ideali conformi<br />

al comandamento usa e getta. Un Cristianesimo conciliante e carino, oltre tutto, non<br />

subirebbe la temibile concorrenza delle religioni alternative, che promettono baldoria in<br />

terra e felicità nell’alto dei cieli. Ma la fede cristiana è una porta stretta: chi l’attraversa<br />

deve scegliere la vita difficile, all’alto mare della seconda navigazione, dove si corre il<br />

rischio dell’odio nutrito dalla terra ferma.<br />

Fascismo<br />

Tutti i colori del nero<br />

L’attendibilità dell’impegnativo discorso sull’estrema destra italiana, annunciato nel titolo e<br />

tentato nel torrentizio volume di Ugo Maria Tassinari (“Fascisteria I protagonisti, i<br />

movimenti e i misteri dell’eversione nera in Italia) dipendeva da una compiuta analisi delle<br />

correnti culturali, che agitarono fascismo e il neofascismo. Infatti, per definire<br />

correttamente l’estremismo neofascista, è indispensabile coglierne la natura di<br />

impedimento alla costituzione di una destra moderata, intesa a superare l’ideologia<br />

totalitaria e a disciogliere lo spirito dell’innaturale e nefasta alleanza con la Germania. I<br />

fascisti moderati, che sopravvissero alla vicenda della Rsi, ritenevano inevitabile<br />

l’accoglimento dei princìpi democratici e la trasformazione del movimento in partito<br />

dell’indipendenza nazionale. L’ala estremista (l’eversione nera) in quanto fedele all’utopia<br />

e allo spirito dell’Asse in tanto si opponeva al realismo dei moderati diventando lo<br />

strumento dei gruppi ostili alla crescita di una destra italiana.<br />

Il periodo che corre dal secondo al terzo dopoguerra, dalla sconfitta dell’ideologia fascista<br />

alla dissoluzione del comunismo, ripropone, dunque, la dialettica movimento-regime, cioè<br />

ideologia-realismo. Si tratta della dialettica che insorse alla vigilia della conciliazione, e<br />

continuò nel periodo travagliato della Rsi e in quello convulso del secondo dopoguerra.<br />

Il fatto, nascosto caparbiamente dagli storici di sinistra, è che il fascismo si costituì come<br />

avanguardia della rivoluzione moderna, ma subì l’influsso della cultura italiana, che<br />

costrinse il regime ad una radicale revisione e ad una permanente crisi d’identità. Il<br />

regime autore della conciliazione con la Chiesa cattolica era diverso se non antitetico<br />

all’ideologia dei suoi fondatori. La destra moderna, costituita dopo lo “strappo” di Fiuggi<br />

non è altro che la sanzione definitiva dell’annoso conflitto tra fascismo movimentista e<br />

destra moderata: i quadri ideologici con Rauti, gli innovatori con Tatarella e Fini.<br />

Ove non si tenga conto della dialettica movimento-regime e della sua prosecuzione<br />

nell’antitesi ideologia-realismo democratico, la storia dei neofascismi e dei postfascismi si<br />

appiattisce su quel pregiudizio antistorico, che nega la revisione dell’ideologia da parte<br />

dei fascisti moderati e perciò abbassa tutti gli attori della destra italiani al denominatore<br />

del paganesimo nazista e del terrore antidemocratico.<br />

L’opera di Tassinari non fa eccezione. A partire dalla sommaria riduzione della storia della<br />

destra all’estremismo, sulla sua obiettività scende la notte dell’identico, nella quale tutte le<br />

correnti si confondono nella figura del terrorismo.


Come ha dimostrato Renzo De Felice, e come confermano, in via definitiva, gli studi<br />

recentissimi di Ennio Innocenti, Luciano Garibaldi ed Enrico Landolfi, non ha senso<br />

tentare la riduzione dei fascisti all’ideologia estrema. Mussolini e Gentile, dopo il 25 luglio<br />

del 1943, avevano abbandonato qualunque residua fede nell’ideologia totalitaria,<br />

orientandosi verso il realismo (a fisionomia cattolica), che, da un lato, li distingueva dal<br />

fatalismo tragico dei tedeschi e del loro fiduciario Pavolini, dall’altro accentuava la<br />

distanza dal braccio finanziario della massoneria (che aveva stabilito peraltro una felice<br />

intesa con i tedeschi).<br />

I fascisti non erano calati nel blocco monolitico narrato dalla vulgata antifascista, ma divisi<br />

secondo un articolato ventaglio di posizioni, e posizioni fra loro lontane. L’innegabile<br />

realtà di un pervicace (e velleitario) totalitarismo, sopravvissuto alla catastrofe, non è<br />

sufficiente a far dimenticare l’emergenza, prima in Gentile poi in Mussolini e nei quadri<br />

responsabili della Rsi, infine nell’ala moderata del Msi, di un amor di patria separato e<br />

contrapposto all’ideologia.<br />

Dopo il 1945, la cultura della destra italiana è diventata teatro di un aspro conflitto, nel<br />

quale si sono battuti, con divergenti intenzioni, i continuatori dell’ideologia movimentista e<br />

gli eredi del realismo. Due soggetti irriducibili: un fascismo radicalizzato dalla coscienza<br />

antistorica e una destra orientata all’autosuperamento.<br />

Gli emblemi di questo totale divergenza sono il fumoso esoterismo di Evola e la filosofia<br />

dell’ultimo Gentile, interpretati, sul versante del politico, dall’estremista Pino Rauti (l’ultimo<br />

segretario del Msi ideologico) e dal moderato Arturo Michelini (il primo segretario del Msi<br />

pensato come partito democratico).<br />

Una storia della destra, come quella di Tassinari, che non contempla e anzi esclude<br />

questo forte bipolarismo, diventa sbilanciata e inattendibile. Non una storia ma un dossier<br />

poliziesco, che, in obbedienza agli imperativi categorici del manicheismo di sinistra,<br />

connette con i gruppuscoli ideologizzanti e perciò affonda nella cronaca nera tutte le<br />

correnti politiche e filosofiche, che divisero il vecchio Msi.<br />

Tassinari, che ha prestato un’eccessiva attenzione al pensiero di Evola, e alle<br />

elucubrazioni (spesso sgangherate) degli estremisti di scuola evoliana, dimentica del tutto<br />

l’eredità italiana (e non più ideologica) di Mussolini e Gentile e censura l’interpretazione<br />

modernizzatrice che ne tentarono Michelini, De Marzio e Tatarella.<br />

Nel suo libro, infatti, non si trova una sola parola su Gentile e sull’evoluzione<br />

dell’attualismo. Non un cenno all’esito cattolico della destra gentiliana (Sciacca e Carlini,<br />

ad esempio). Nessun riferimento all’esistenza di una destra anti-idealista d’indirizzo<br />

cattolico (Orestano, Ottaviano, Del Vecchio, ad esempio). Non un cenno alla riviste della<br />

destra cattolica, che, a cominciare da “Rivista romana”, “Azione” e “Vigilia romana”,<br />

denunciarono i rigurgiti ideologici del Msi.<br />

Il risultato è che l’intenzione, dichiarata da Tassinari, di mantenere l’equilibrio garantista,<br />

naufraga in una involontaria confessione di unilateralità, resa per mezzo di un maldestro<br />

bisticcio di parole: “mostrare, al di là delle semplificazioni e delle mistificazioni quanti<br />

fossero e quanti diversi tra loro, tutti i colori del nero”.<br />

I colori del nero, cioè l’assenza di colore e prospettiva, è costretta a scendere nel<br />

vorticoso gorgo del solito, trito dossier sull’eversione. L’eversione nera, la cui esistenza<br />

nessuno vuole e può seriamente negare, in tal prospettiva, annulla e sostituisce tutte le<br />

altre culture della destra. Nella notte livellatrice del dejà vu, fra inesattezze ed<br />

esagerazioni, il lettore incontra, il classico enunciato dei teoremi, imbastiti per<br />

criminalizzare la destra: il terrorista di estrema destra Tizio è amico dell’estremista (ma<br />

non terrorista) Caio, che ha frequentato il moderato Sempronio, noto per aver fatto parte,<br />

come sottosegretario, del governo Berlusconi. In chiusura, la fila indiana, per il fatale<br />

effetto “domino”, rovina addosso all’odiato cavaliere nero. Avendo scelto come<br />

collaboratore Sempronio, che è contiguo a Caio, che è amico di Tizio, Berlusconi è


compromesso con il terrorismo. Il ritornello chiude la filastrocca ma i conti della verità<br />

storica rimangono sospesi tornano ad una speculazione politica che va (senza testa)<br />

dove la porta il bruciore del piede.<br />

Filosofia<br />

L’incantevole bellezza della filosofia<br />

Conosciamo gli eroici inizi della filosofia greca attraverso pochi frammenti, conservati<br />

nelle opere di autori d’epoca più avanzata. Ma il velo della frammentarietà, che l’incuria<br />

dei contemporanei ha steso sui geniali balbettamenti dei pionieri, Parmenide ed Eraclito,<br />

ad esempio, accresce anziché diminuire il fascino aurorale del discorso sull’essere.<br />

La filosofia, infatti, consiste, all’inizio e per tutto il corso della sua storia, nell’avventura del<br />

pensiero, che si allontana dal confuso ma solido mare delle immagini per cogliere<br />

l’invisibile verità del reale.<br />

La filosofia muove dalla consapevolezza che l’immaginazione nasconde il reale. L’oggetto<br />

della riflessione filosofica si deve dunque cercare negli enigmi del frammento, parole che<br />

emergono dalla molteplicità delle sensazioni, come un legno animoso sulle acque agitate.<br />

Numenio d’Apamea, il filosofo neoplatonico che ha costruito il primo e ancora incerto<br />

passaggio dalla metafisica greca alla teologia razionale d’età cristiana, paragona l’essere<br />

ad un guscio che sfida l’impeto del mare in tempesta: “come colui che, seduto in una<br />

specola, scruta con vista penetrante e coglie, con un solo sguardo, un animoso battello,<br />

uno di quei legni solitari, lontano, in mezzo ai marosi – così ci si deve allontanare dalle<br />

percezioni sensibili per avvicinare il Bene vivente dove non sono corpi grandi o piccoli ma<br />

l’ineffabile, perfettamente divina solitudine”.<br />

La navigazione ardimentosa è dunque il simbolo della verità che si deve inseguire oltre i<br />

confini della certezza. Filosofare è abbandonarsi all’amore del bel rischio, e seguirlo oltre<br />

il fluire solido e tranquillo delle nozioni quotidiane. In questo ardimento, che scioglie gli<br />

ormeggi del pensiero e lo istiga a cercare – con l’autorità che appartiene alla natura<br />

umana - la fonte degli esistenti oltre la finitezza. Qui risiede l’incantesimo della filosofia<br />

come invito alla “seconda navigazione”, alla quale l’uomo non può sottrarsi senza negare<br />

se stesso. Il tentativo kantiano di costringere il pensiero nella caverna nella cura profana,<br />

la diserzione dall’avventura che Fabro definisce negazione assurda, è dunque giudicabile<br />

quale atto primo di quella magia nera, che ha prodotto l’illusione tracotante di un’umanità<br />

regnante nel perpetuo divenire della sua “divina” soggettività.<br />

La grandezza dell’uomo, dichiara Fabro, incomincia invece dall’aspirazione alla libertà dal<br />

finito: “Possiamo gettare il ponte sull’Abisso mediante la libertà. E’ questo il rischio della<br />

scelta radicale” (Aforisma n. 1749).<br />

Il paradosso retorico di Numenio, che nel frammento riconosce la figura della ricerca e<br />

l’allusione al fondamento è il cuore segreto della filosofia. E la filosofia non cerca il mare<br />

ma la seconda navigazione, che conduce il pensiero al di sopra del fluido coacervo delle<br />

sensazioni per metterlo in comunicazione con la divina solitudine del bene.<br />

Ora Rosa Goglia, con la maestria che le deriva dalla pietà cristiana e dall’assidua<br />

frequentazione della metafisica, ha ritagliato, dalle lezioni universitarie di Cornelio Fabro,<br />

una splendida collezione di aforismi, che è pubblicata, in elegante veste tipografica, dalla<br />

casa editrice Piemme in Casale Monferrato, insieme con brevi saggi di Emmanuele<br />

Morandi, Giuseppe Mario Pizzuti, Francesco Bonanni di Ocre e della stessa Rosa Goglia.<br />

Naturalmente la grande opera di Fabro, che ha mostrato l’attualità del tomismo<br />

essenziale attraverso il viaggio di Kierkegaard nella catastrofe del moderno, non ha<br />

bisogno della mediazione dei commenti e delle antologie. L’opera sapiente e amorevole<br />

di Rosa Goglia, tuttavia, ha condotto il discorso filosofico di Fabro all’armoniosa e


ineguagliabile misura del frammento. La fascinosa bellezza del frammento era già nel<br />

discorso fabriano, ma è stata opera d’arte il ritagliarla e ordinarla. Il risultato è questo<br />

magnifico invito alla filosofia, trasmesso attraverso le schegge nelle quali Fabro ha<br />

lasciato l’impronta del suo inimitabile stile.<br />

La filosofia autentica è un perenne ritorno ai problemi originari: “In fondo all’uomo c’è<br />

sempre l’Ulisse eterno che cerca nuovi approdi”. Il Fabro degli “inizi”, che leggiamo nei<br />

1832 aforismi proposti da Rosa Goglia, è dunque vicino alle fonti antiche, a Parmenide in<br />

special modo, e perciò si rivela più moderno del preteso ultramoderno Martin Heidegger.<br />

Rosa Goglia afferma con autorità che, laddove Heidegger si smarrisce nella confusione<br />

tra essere e tempo, Fabro ritrova il bandolo della filosofia primitiva e “recupera l’esigenza<br />

speculativa dell’essere parmernideo, facendolo compenetrare e rifluire nella dialettica<br />

platonica della partecipazione e nella metafisica dell’atto e della potenza aristotelica”.<br />

Come la piccola imbarcazione narrata da Numenio, la filosofia di Fabro ha attraversato il<br />

caleidoscopio delle apparenze per attingere l’essere: “Mettiamoci sul pinnacolo della<br />

natura e contempliamo la varietà di tutti questi esseri e riflettiamo: prima di qualsiasi<br />

qualità degli enti c’è l’essere, dopo tutte le qualità degli enti c’è l’essere dell’ente, perché<br />

nessuna qualità né accidentale né sostanziale – né colori né sapori né scintillare di anime<br />

e d’ingegno, nulla è se non ha l’esse. Questa è stata la grande scoperta di san Tommaso”<br />

(Aforisma 976).<br />

Negli anni di piombo Fabro ha sfidato la baraonda dei sistemi a getto continuo della<br />

filosofia moderna, pubblicando saggi come “La trappola del compromesso storico”, “La<br />

negazione assurda” e “L’avventura della teologia contemporanea”. Oggi la sua magistrale<br />

lezione è un viatico per salvare la ragione cristiana dalla catastrofe inscritta<br />

nell’esistenzialismo ateo di matrice nietzschiana e heideggeriana. La raccolta dei suoi<br />

aforismi vince la desolata piattezza del pensiero debole e della lingua morta per introdurre<br />

l’uomo disorientato nella casa della bellezza e della verità.<br />

Finimondo<br />

La religione del finimondo<br />

La dottrina, che contempla una storia ordinata ad un fine “ultimo”, dipende dai concetti di<br />

creazione nel tempo, peccato originale, provvidenza, redenzione e seconda creazione.<br />

Senza tali nozioni è impossibile concepire il progresso verso la fine dei tempi. Infatti l’idea<br />

di progresso storico è sconosciuta a tutte le religioni estranee alle rivelazione<br />

giudeocristiana. Gli illuministi e nella loro scia Hegel, che hanno preteso di secolarizzare<br />

la teologia cristiana hanno trascinato la filosofia occidentale nel vicolo cieco della filosofia<br />

di Nietzsche, e cioè alla negazione assoluta dell’idea di progresso.<br />

La ragione umana non può osare l’acrobazia illuminista ed hegeliana, che assume<br />

un’idea della storia coerente con la fede cristiana nel momento stesso in cui avanza la<br />

pretesa di superare ed archiviare il Cristianesimo. Il temerario volo degli illuministi e degli<br />

hegeliani termina infatti in quelle utopie escatologiche (progetti di uscita dal mondo ovvero<br />

decisioni di piegare la vita all’esigenza mortuaria) che hanno infestato la storia del<br />

Novecento.<br />

L’inglorioso tramonto delle ideologie moderne svela quanto sia contraddittorio e ridicolo la<br />

sforzo di tradurre le verità rivelate, dalle quali dipende la dottrina cristiana sul fine della<br />

storia, in una filosofia scientificamente dimostrata.<br />

Una volta separata la novità cristiana dalla fede, l’idea di progresso naufraga nell’incubo<br />

gnostico, che rinvia il vuoto dell’abisso rovesciato nella storia ad una storia sprofondata<br />

nel destino anonimo e irrazionale.


Oggi si comprende perché gli articoli della fede cristiana, gratuitamente abbassati a<br />

prodotti della ragione laica, hanno generato il nichilismo, l’idea dell’identico chiuso nel giro<br />

eterno dell’insignificante: esclusa la ragione divina, le orgogliose certezze umanistiche<br />

sono eclissate dall’incubo che rappresenta un’infinita sequela di finimondi.<br />

Negata la metafisica, e spezzato il legame tra l’idea di cosmo e la nozione di ordine a un<br />

fine, la filosofia non può far altro che affacciarsi alla finestra delirante di Nietzsche e a<br />

quella obituaria di Deleuze. Così la modernità è affondata in quel “pensiero unico”, che<br />

Aristotele aveva demolito nel IV della Metafisica. Il fatto è che l’ateismo si risolve in uno<br />

sguardo abbagliato, che una disgraziata decisione convince a riconoscere il nulla – il<br />

finimondo - attraverso la confusione di essere e indeterminato.<br />

Ora fra i pontefici del finimondo, la posizione d’avanguardia è tenuta da Umberto<br />

Galimberti, autore di una piramidale summa reazionaria (“Psiche e techne”) edita da<br />

Feltrinelli e ritualmente incensata da Eugenio Scalfari.<br />

Assiduo mixer di Freud, Jung, Hillman e Heidegger, Galimberti racconta la fine della<br />

modernità nella lingua febbrile del dolorismo dionisiaco. Il cardine del suo pensiero, infatti,<br />

è l’affermazione di un unico soggetto, “la vita eterna della natura, che si alimenta del<br />

sacrificio dei viventi”. Si entra in tal modo nel tempio del caos mentale: “il sim-bolo che<br />

nella sua essenziale ambivalenza com-pone bene e male, limite e trasgressione. …<br />

Dioniso scatena l’evento (l’orgia) in cui non può esserci alcun riconoscimento all’io e al tu;<br />

al contrario, nell’orgia, si produce il disconoscimento dell’dentità”.<br />

L’orizzonte sim-bolico è rivisitato e di bel nuovo opposto alla coscienza personale e<br />

all’idea di storia, idea che ha “senso nel dominio dell’uomo sulla natura” cioè nel principio<br />

dello sviluppo tecnologico conforme al comando biblico “dominate la terra”.<br />

La tecnica, cui Heidegger attribuiva l’ambiguità del pericolo che (forse) annuncia la<br />

salvezza, nel saggio di Galimberti diventa una perdizione salvifica: per appagare l’invidia<br />

dell’uomo nei confronti dell’animale la tecnologia avrebbe condotto l’umanità al limite<br />

invalicabile della catastrofe ambientale.<br />

In altri termini: l’uomo, animale imperfetto e pertanto incatenato al sussidio tecnologico<br />

potrebbe ritrovare la genuina animalità solo dopo aver esplorato i confini della rovina<br />

tecnologica. La metafisica e il Cristianesimo, dunque, sarebbero sconfitti proprio dal loro<br />

prodotto, la tecnologia moderna.<br />

Il nichilismo galimbertiano non avanza al punto estremo, dove si prospetta la<br />

soppressione fisica dell’uomo “cancro della natura”, ma si dichiara affascinato dalla<br />

possibilità di una prossima estinzione della sua cultura, della sua morale, della sua storia.<br />

Franchismo<br />

Falce, martello e poteri forti contro la Chiesa<br />

Nel 1978, il dossettiano Giorgio Campanini, per commentare le pagine antifranchiste di<br />

Jacques Maritain, in quei plumbei anni reputate degne di ristampa, non trovò di meglio<br />

che rovesciare la responsabilità dei massacri sulla Chiesa di Spagna, che “per trovare un<br />

appoggio presso classi privilegiate, appariva troppo spesso come il pastore di queste<br />

ultime piuttosto che della massa”.<br />

La Chiesa cattolica, secondo la vulgata cattocomunista, era schierati con i ricchi, dunque<br />

il popolo dovette a scegliere la protezione degli atei.<br />

Negli anni dell’egemonia gramsciana questa interpretazione era dogma. L’untuosa<br />

dottrina di Camera e Fabietti, oggi fa ridere perché definisce errori i delitti della<br />

rivoluzione. Ma Campanini era andato addirittura oltre, sostenendo che gli errori erano<br />

stati commessi dalle vittime ricche.


E i monaci assassinati a malgrado del voto e dell’evidente stato di povertà? E le monache<br />

di clausura, torturate atrocemente e ammazzate? E i cadaveri profanati? Per loro la<br />

coscienza dei profeti a senso unico non ha mai versato lacrime. Non erano utili alla<br />

suprema causa della giustizia comunista, dunque non era il caso di rimpiangerli.<br />

Anzi… Al culmine della frenesia aperturista, Mounier non esitò ad insinuare che i martiri<br />

avevano provocato la collera dei giusti alleandosi con i fascisti.<br />

Cosa si vuole di più utile alla causa dello schiaffo teso contro la verità?<br />

Declassare i martiri di Spagna, ridurli al rango di sostenitori del capitale e a complici di<br />

una monarchia screditata, è il servizio che la sinistra cristiana ha reso alla causa del<br />

comunismo ateo.<br />

«Per decenni», ha scritto Vittorio Messori nel saggio “Pensare la storia”, «anche per un<br />

certo mondo cattolico, sembrò che chi doveva farsi perdonare e far dimenticare, nella<br />

tragedia spagnola, fosse la Chiesa, non fossero gli anarchici, i socialisti, i comunisti. Ed è<br />

con fastidio che si respingeva l’idea stessa di martirio di quegli innocenti, fino al punto di<br />

bloccare i processi canonici per la beatificazione».<br />

La risolutezza di Giovanni Paolo II ha sollevato il velo dell’impostura storiografica,<br />

conferendo ad un alto numero di vittime del comunismo la dignità dei martiri e l’onore<br />

degli altari. Ma neanche l’inflessibile determinazione del regnante pontefice ha potuto<br />

ristabilire la verità che contempla l’essenza anticristiana della guerra civile, il<br />

coinvolgimento massonico, e la complicità dell’oligarchia finanziaria nella pianificazione e<br />

nell’esecuzione del massacro. La prudenza annidata nell’avanguardia curiale non lo<br />

consente.<br />

Finalmente Vitaliano Mattioli dell’Università Urbaniana, un sacerdote romano non nuovo a<br />

pubblicazioni contro corrente, infrange la legge del potere culturale e viola il tabù<br />

storiografico (non si deve parlare degli Olocausti trascurabili), pubblicando, per i tipi<br />

intrepidi dell’editore milanese Fabio De Fina, un saggio il cui titolo non lascia dubbi<br />

sull’esplosivo contenuto: “Massoneria e comunismo contro la Chiesa in Spagna 1931-<br />

1939”.<br />

Mattioli non è prigioniero di schemi astratti e di pregiudizi partigiani e, pertanto, può<br />

esaminare i fatti della storia senza pagare pedaggi a destra o a sinistra. Il pregio della sua<br />

opera risiede appunto nella capacità di resistere alla suggestione delle tesi consolidate<br />

dalla ripetizione terroristica.<br />

Di conseguenza Mattioli, analizzando le cause prossime e remote che hanno preparato la<br />

guerra civile stemperando e corrompendo la fede dei popoli ispanici, non tace le gravi<br />

responsabilità di quella oligarchia retriva che la vulgata di sinistra vuole associare alla<br />

Chiesa.<br />

In effetti, all’origine della decadenza spagnola si trova, come sottolinea Mattioli (in<br />

sintonia con De Tejada e con la scuola carlista) l’influenza dell’Europa protestante, che<br />

diffuse nella Spagna assolutista e codina (di Carlo III, 1759-1788) e, dopo la parentesi<br />

relativamente felice del regno di Ferdinando VII (1814-1833), in quella liberale di Isabella<br />

e dei suoi successori, i semi corrosivi dello scetticismo e dell’irreligione gratuita.<br />

Ora la rivoluzione comunista che ha devastato la Spagna, trovò un perfetto terreno di<br />

cultura nella mentalità prodotta da almeno due secoli di propaganda anticlericale e negli<br />

stati d’animo destati (come documenta Mattioli) dalla propaganda settaria, lubrificata dal<br />

denaro profuso dalle oligarchie e dalle corti.<br />

La confusione prodotta dalle agenzie dell’ateismo massonico era tale da contagiare e<br />

sviare perfino il movimento dei volonterosi intellettuali che, all’inizio del XX secolo,<br />

cercavano di promuovere la rigenerazione del paese. Il movimento, anziché valorizzare la<br />

genuina tradizione ispanica, esaltò autori decadenti e torbidi, come Schopenhauer e<br />

Nietzsche.


Contrariamente all’opinione sostenuta senza fondamento dai cattocomunisti, la Chiesa<br />

cattolica di Spagna non si identificò con la politica culturale d’ispirazione laicista attuata<br />

da Carlo III, da Isabella e dalle altre marionette “illuminate”, ma la avversò con un’azione<br />

lucida e costante ance se non sempre efficace. La Chiesa difese la sacra libertà dei<br />

fedeli, non le ragioni di una destra bifida e spuria. La vuota albagia delle classi elevate e<br />

la devastante ambizione degli emergenti soffocavano la vita della Spagna cattolica e,<br />

spesso, le si opponevano apertamente.<br />

Il ristabilimento di questa scorretta verità da parte di Vitaliano Mattioli scompagina e<br />

ridicolizza la dialettica destra-sinistra, intorno alla quale è fiorita la pia leggenda dei poveri<br />

comunisti sfruttati dalla borghesia capitalistica, oppressi dal potere retrivo, ingannati dalla<br />

chiesa preconciliare e capiti solo dai profeti Maritain, Mounier, La Pira, Dossetti.<br />

Invece dell’armonioso quadretto cattocomunista, Vitaliano Mattioli descrive due<br />

schieramenti irriducibili: l’oligarchia perenne, che tramanda la superstizione del potere dai<br />

principi assolutisti ai monarchi illuminati, dai rivoluzionari liberali ai despoti totalitari, e la<br />

Chiesa, che difende la libertà in nome di un Regno che non appartiene a questo mondo.<br />

Davanti a tale evidenza la leggenda nera sulla Chiesa reazionaria si dissolve. La guerra<br />

di Spagna appare infine come un episodio della guerra che il potere dispotico (sempre<br />

uguale, nel mutare del fondamento ideologico) conduce contro la libertà dei figli di Dio. Al<br />

termine del suo lavoro, Mattioli può concludere che l’impresa dei carnefici è fallita<br />

miseramente: in Spagna ci sono 67 diocesi, 71 seminari, 1800 giovani che si preparano al<br />

sacerdozio, mente prosperano gli ordini religiosi femminili e maschili: «Tutti coloro che si<br />

sono scontrati contro la roccia cattolica sono rimasti delusi».


G<br />

Gay<br />

Giustizia<br />

Globalizzazione<br />

Gnosticismo<br />

Gay<br />

L’allegra maschera e la torbida realtà<br />

I trombettieri politicamente corretti e aggiornati promuovono la figura del gay squisito e<br />

illuminato dall’arcobaleno della libertà di vita. In queste rappresentazioni eufemistiche il<br />

pederasta appare nella parte del maggiorenne disinibito, e puntualmente vaccinato, che<br />

in un giorno lieto scelse di assecondare la deliziosa inclinazione. Si è recato al bar delle<br />

persone brillanti e, tra un sorso di aranciata e l’altro, ha intavolato una civile<br />

conversazione con il vicino:<br />

“Una bella serata”.<br />

“Già, ottima per una passeggiata romantica”.<br />

“Veramente, quando si presentasse l’occasione adatta”.<br />

“Lei cosa intende per adatta?”<br />

“Intendo”.<br />

“Splendida intenzione, se non che io sono ancora digiuno di romanticismo”.<br />

“Anch’io”.<br />

“Allora è il momento di decidere”.<br />

“Deciso?”<br />

“Deciso”.<br />

Dissolvenza sulla passeggiata romantica. Chi osa discutere la libera espressione delle<br />

persone corretta? E chi osa negare l’efficacia spirituale dell’augusta pratica?<br />

Luchino Visconti, nel film “Ossessione”, ha dimostrato poeticamente che l’omosessualità<br />

costituisce l’orizzonte alternativo al maleficio della femmina, fomite d’egoismo e ispiratrice<br />

di delitti. Se Massimo Girotti avesse seguito il pederasta che lo invitava a viaggiare<br />

anziché fermarsi in casa di Clara Calamai (nella parte di Circe) … Così va il mondo<br />

nell’alta fantasia degli intellettuali di sinistra.<br />

E nella realtà? Le cronache nere, i trattati di criminologia e le confessione non insincere<br />

dei pederasti evocano scenari atroci, dove l’omosessualità inizia dalla violenza sui minori<br />

e finisce nell’esplosione sanguinaria.<br />

Forse i trattati di criminologia sono dettati dall’omofobia giudeocristiana e dal maschilismo<br />

in camicia bruna? Sulla maschia virtù delle camicie brune conviene non scommettere,<br />

dopo che gli storici hanno scoperto gli intimi altarini del giovane Hitler. L’omofobia<br />

giudeocristiana ultimamente è sotto mordacchia. Invece non mancano testi ideologici,<br />

dove, senza imbarazzo, si narra quello che accade oltre il pudico sipario calato da<br />

Luchino Visconti. Umberto Testori, il grande amico di Visconti, ha scritto una commedia,<br />

“In exitu”, che esibisce (con mistico compiacimento) l’oscenità terrificante e la violenza del<br />

vespasiano in cui si preparano gli amori contro natura, celebrato nella ritirata di una livida<br />

stazione. Testori omofobo? Forse è inutile tentare di sciogliere il dubbio, quando la scena<br />

finale, che mostra il cadavere del pederasta elevato - in quanto pederasta - allo splendore<br />

dei santi, parla con eloquentemente.


Se Testori lascia un fioco margine all’enigma, Pasolini omofobo è un’espressione<br />

impronunciabile. Ora nel romanzo autobiografico “Petrolio”, è descritto, con dovizia<br />

rivoltante di particolari, l’universo fetido e invivibile delle periferie degradate dalla<br />

corruzione pederastica, esercitata dagli intellettuali contro le fasce sociali indifese. In<br />

“Petrolio” (e ancor più nella versione cinematografica “Nerolio”) la pederastia si rovescia<br />

in furore contro la dignità umana. La tetra indecenza di Pasolini sguazza nella melma, ma<br />

il racconto stringe il nodo della nausea intorno alla gola. Non c’è dubbio che la realtà<br />

pederastica sia la scena da girone infernale descritta da Pasolini.<br />

Il nichilista Giuseppe Zigaina, amico ed esegeta di Pasolini, ha narrato l’indissolubile<br />

società della pederastia pasoliniana con l’istinto dell’autodistruttore. Ne “L’ano solare” e in<br />

“Storia dell’occhio”(capolavori del genere, distribuiti dall’Unità) Georges Bataille, gran<br />

maestro della pederastia iniziatica, si spinge oltre Testori ed esalta la più bestiale smania<br />

pederastica come manifestazione della felicità nichilista che soppianta il Cristianesimo.<br />

Se questi sono gli autoritratti dell’omosessualità, occorre riconoscere che il gay pride ha<br />

messo in scena una soave menzogna. Una maschera, che non corrisponde al volto<br />

osceno e violento del vizio, che tale rimane, anche se i salotti decadenti delle diverse reti<br />

televisive tentano disperatamente d’insinuare il contrario.<br />

Giustizia<br />

Il sorpasso buonista<br />

Delirio, dal latino de-lirare, indica l’uscita del pensiero dal solco che l’obbliga a darsi una<br />

misura, una “ratio”. Il delirio non è la distorsione del pensiero (propriamente detta<br />

paranoia) ma la sua sfrenata libertà, la sua corsa anarchica. Delirante, sinonimo di<br />

tracotante - ultra cogitante - è il pensatore che rifiuta di riconoscere i limiti che legano il<br />

pensare al logos.<br />

Carlo Bo, ad esempio. Sceso nella guerra periodica contro la pena di morte, il rettore<br />

urbinate non rinuncia all’opportunità di esporre un disegno per l’abolizione del male. Non<br />

il male costituito dalla legge che prevede la pena di morte. Il male. Sulla pena di morte<br />

non sarebbe difficile trovare consensi. Ma l’abolizione del male…<br />

Nel “Corriere della Sera”, il venerando interprete dell’utopia buonista, eseguito un<br />

doveroso inchino al grande filosofo del diritto Giuliano Amato, “che in un lucido intervento<br />

come sempre [sic!] ha parlato della ingiustizia della vendetta”, aggiunge un’inaudita e<br />

strabiliante novità al sottile aforisma di Amato: “Non tocca a noi giudicare”.<br />

Atterrito dalla sentenza dell’esploratore d’acqua umida, l’impertinenza (rispettosa) osa<br />

tuttavia chiedere se il comandamento evangelico, che vieta di usurpare l’autorità divina<br />

cui spetta il giudizio finale sulle persone, non sia tradotto, da Carlo Bo, nell’invito ad<br />

abolire l’autorità dello stato, cui san Paolo riconosce il diritto di giudicare e punire le<br />

violazioni della legge morale.<br />

Purtroppo Carlo Bo, pur esitando sulla soglia del sonno anarchico della ragione (“questa<br />

rivoluzione ha bisogno di molti anni, ansi di molti secoli”) non nasconde l’orizzonte<br />

immenso nel quale si muove il suo pensiero apocalittico: “spegnere dentro di noi quelle<br />

radici del male che fino ad oggi abbiamo coltivato e nutrito senza saperlo o senza volerlo<br />

sapere nella parte più segreta ed oscura del nostro cuore”.<br />

Ad una prima lettura sembra che le radici, alle quali allude Carlo Bo, siano quegli effetti<br />

del peccato originale, che la redenzione cristiana – per un decreto imperscrutabile – non<br />

ha voluto rimuovere dalla storia. In realtà il rettore urbinate, trasportato dall’entusiasmo<br />

buonista, più che l’estinzione del delitto ha in mente l’abolizione delle pene. E forse<br />

qualcosa di peggio: dietro il languore buonista non è impossibile indovinare l’agitazione di<br />

quella fumosa teologia che pone la causa del male nella contrarietà al male.


La liberazione dal male si traduce nella liberazione dal giudice? Nelle pagine del Corriere<br />

della Sera si legge questo ed altro. Ma è inutile indagare sui segreti pensieri di Carlo Bo,<br />

quando si può dire con certezza che il suo perdonismo oltrepassa i limiti della razionalità<br />

per offrire un delizioso esempio di sogno: il sorpasso della redenzione cristiana e il volo<br />

inebriante, in direzione dell’innocenza perfetta ottenuta in questo mondo. Le conseguenze<br />

del peccato originale si sciolgono nella melassa umanitaria. L’uomo diventa indefettibile.<br />

L’utopia anarchica - vietato proibire, vietato punire – alzata dalla cultura di sinistra al cielo<br />

è soavemente rivestita con i panni di un cristianesimo, che costringe il regno di Dio alla<br />

misura delle esigenze e delle fantasie umanitarie.<br />

Naturalmente il solenne Carlo Bo e gli altri utopisti del pio salotto evitano di narrare i<br />

grotteschi paradossi che seguirebbero e già seguono alla proibizione di punire i colpevoli<br />

quando permane la colpa. Ognuno può facilmente vedere quel che accade quando la<br />

passione privata pensa di sostituirsi alla giustizia vera e propria, ad esempio nelle<br />

discoteche dove, talora, un apprezzamento pesante alla fidanzata vale un colpo di<br />

coltello. Dove la legge o la buona educazione non arrivano irrompe la vendetta. Purtroppo<br />

la corsa delirante non può fermarsi ai particolari. Se il comandamento “non giudicare”<br />

significa che è vietato vietare le molestie sessuali nella discoteca, deve per forza<br />

obbligare a non punire l’autore della vendetta. La bontà che non può cancellare la colpa<br />

abolisce la pena. I carabinieri e i giudici sono largamente “superati” dalla bontà.<br />

Il principio buonistico per tale via “logica”, ha avuto licenza di turbare e avvelenare la<br />

realtà. Fuori di chiacchiera, il buonismo si rovescia nell’anarchia in carne e ossa, quella<br />

che suggerisce la filosofia della cronaca nera: libera molestia & libero coltello. E libera<br />

psichiatria: se un giudice tenta di applicare la legge insorgono cento grilli parlanti in nome<br />

di Freud, Jung, Hillman e don Ciotti.<br />

Non si può mettere in discussione la polizia e il tribunale senza tollerare la violenza della<br />

molestia e la reazione violenta alla molestia. L’esperienza storica ha bocciato l’utopia, ma<br />

il corso di recupero storico, promosso dai pensatori anacronistici e datati (come il patetico<br />

Carlo Bo) trova scolari nel salotto onirico e nelle fumerie “sociali”. Purtroppo un vasto<br />

ascolto: la madre dei buonisti è spaventosamente fertile.<br />

Globalizzazione<br />

Compimento o antitesi all’universalismo?<br />

La politica per la “globalizzazione” obbedisce a quella “legge di umana solidarietà e carità,<br />

che viene dettata e imposta sia dalla comunanza di origine e dalla eguaglianza della<br />

natura razionale in tutti gli uomini, a qualsiasi popolo appartengano, sia dal sacrificio di<br />

redenzione offerto da Gesù Cristo sull’ara della Croce” (Pio XII, Enciclica “Summi<br />

Pontificatus”, 20 ottobre 1939) o applica (più o meno avvertitamente) un principio diverso<br />

se non del tutto contrario?<br />

La dottrina cattolica, che costituisce il fondamento della cultura occidentale, “ci fa<br />

contemplare il genere umano nell’unità di una comune origine in Dio” (ibidem), e perciò<br />

non avrebbe niente da obiettare ad un progetto seriamente inteso a promuovere lo<br />

sviluppo di tutti i popoli della terra, incrementando gli scambi commerciali e riconoscendo<br />

la libertà di cercare un’onesta occupazione, nei paesi che dichiarano un’effettiva<br />

necessità di mano d’opera.<br />

Ove si prefiggessero un tale disegno, i promotori della globalizzazione sarebbero in<br />

armonia con il principio cristiano che afferma l’universale destinazione dei beni creati,<br />

l’interdipendenza delle economie e il conseguente obbligo della solidarietà internazionale.<br />

Ad uno sguardo obliquo, l’intenzione dichiarata dagli autori del progetto che contempla il<br />

villaggio globale sembra compatibile con gli orientamenti della religione cattolica. E’


l’opinione diffusa da Massimo Cacciari, autore di “Arcipelogo”, un testo che, dell’ideologia<br />

“globalizzante”, condivide l’astrazione mondialista e la deriva antidentitaria. Nelle pieghe<br />

fumose del pensiero cacciariano, si nasconde la tendenza ad eliminare il cardine del<br />

pensiero occidentale, il principio d’identità e non contraddizione, e ad abolire ciò che ne<br />

discende, la considerazione della persona umana unica e irrepetibile.<br />

D’altra parte la multiculturalità, il mito di fondazione del villaggio globale, comporta il rifiuto<br />

dell’assimilazione, erroneamente confusa con la negazione delle identità etniche, mentre<br />

le esalta, ordinandole al valore universale delle culture intitolate all’umanesimo<br />

cristocentrico. Di conseguenza si deve riconoscere che il pregiudizio multiculturale<br />

allontana dall’umanesimo e perciò nega (e non afferma) i princìpi dell’universalità.<br />

L’unità e a maggior titolo la solidarietà del genere umano sono concepibili soltanto a<br />

partire da quel principio unificante, che il multiculturalismo contraddice per mezzo<br />

dell’assurdo mitologia egalitaria, che disconosce la gerarchia delle forme civili e ne vieta.<br />

l’integrazione.<br />

Paradossalmente l’interdetto all’integrazione va incontro al principio cardinale del<br />

razzismo, “il concetto di doverosità della separazione delle varie razze umane, che vede<br />

la sua base teorica in primo luogo in un fondamento metafisico consistente nel<br />

riconoscimento dell’irriducibilità ad un modello comune dei diversi Sistemi di Valori, che<br />

esse hanno espresso e da cui sono state a loro volta conformate” (Gianantonio Valli, “La<br />

razza nel nazionalsocialismo”, nella rivista “L’uomo libero”, n. 50, novembre 2000).<br />

Ad uno sguardo realistico è evidente che la solidarietà fra i popoli – l’autentico<br />

universalismo - ha come base storica le realtà nazionali. Per questo l’universalismo<br />

cattolico “non può pensare né pensa d’intaccare o disistimare le caratteristiche particolari,<br />

che ciascuno popolo con gelosa pietà e comprensibile fierezza custodisce e considera<br />

qual prezioso patrimonio”(“Summi Pontificatus”, cit.).<br />

Questo significa che il sentimento di appartenenza alla nazione non ostacola l’adesione<br />

alla comunità umana senza confini. Tanto più che il carattere delle nazioni occidentali,<br />

che sono al centro del progetto globale, è fortemente segnato dallo spirito civilizzatore<br />

romano e dalla vocazione missionaria cristiana.<br />

La Chiesa pertanto insegna “che nell’esercizio della carità esiste un ordine stabilito da<br />

Dio, secondo il quale bisogna amare più intensamente e beneficare di preferenza coloro<br />

che sono a noi uniti con vincoli speciali”(“Summi Pontificatus”, cit.).<br />

Gli ideologi della globalizzazione negano questo ordine, e prima di rivolgersi al villaggio<br />

del futuro, postulano l’alterazione la frantumazione delle nazioni, realtà del presente. Ma<br />

in tal modo la vocazione universale deraglia nella promozione del disordine babelico in<br />

quelle nazioni che vorrebbe condurre alla cosmopoli.<br />

Nel villaggio globale, infatti, la nazione è concepita quale comunità di comunità,<br />

meccanica giustapposizione di gruppi culturali eterogenei, livellati dall’astrazione giuridica<br />

ma non integrati e perciò reciprocamente estranei (e potenzialmente disintegrati e<br />

conflittuali).<br />

Privo di una base locale esistente, il villaggio globale si avvicina alla forma naturalistica<br />

del serraglio di razze animali, delle quali si riconosce la diversità e la reciproca estraneità.<br />

Si conferma dunque la fragilità dell’argine costituito dell’ideologia globale di fronte al<br />

riflusso della suggestione razzista. Il razzismo, che i banditori del villaggio globale<br />

proclamano di voler cacciare dalla porta della realtà quotidiana, rientra dalla finestra<br />

dell’utopia.<br />

L’esame realistico dell’ideologia globale svela la natura nascosta del razzismo storico –<br />

quello nazista, ad esempio – che consiste nella categorica esclusione dell’esistenza di<br />

valori razionalmente identificabili, e perciò atti ad integrare le diverse nazioni.<br />

La conseguenza di tale disconoscimento è la dichiarazione che “esistono solo gruppi<br />

indifferenti o nemici” (Gianantonio Valli, cit.) . Questo fatto è evidente quando si


ammenta che, nella prospettiva razzista, l’unica convivenza possibile tra etnie diverse<br />

comporta lo sviluppo separato e la “cordiale ghettizzazione” reciproca. Infatti i razzisti<br />

coerenti disprezzano e odiano implacabilmente la tendenza cattolica ad assimilare il<br />

diverso. Il razzismo consiste ultimamente nel riconoscere e “rispettare” l’estraneità e<br />

l’irriducibilità delle razze umane.<br />

Il mito di fondazione della società razzista è il poligenismo. Per gli intellettuali che ne<br />

rivendicano l’eredità, l’essenza dell’ideologia razzista si trova dunque nell’avversione<br />

radicale al monoteismo biblico, avversione che si rovescia inevitabilmente in un<br />

“antiuniversalismo radicale” (Gianantonio Valli, cit.). Il poligenismo esclude, per partito<br />

preso, lo sforzo d’integrazione dei popoli e condanna qualunque impegno missionario.<br />

Per combattere il razzismo è dunque necessario dissipare le suggestioni globaliste (o<br />

mondialiste) che, a mal grado delle dichiarazioni d’intenti, sono perfettamente compatibili<br />

con l’ideologia degli sviluppi separati.<br />

Gnosticismo<br />

L’allucinazione primordiale<br />

In un’intervista concessa al “Tempo”, il 10 ottobre del 1984, Mircea Eliade, cattedratico di<br />

storia delle religioni e mistagogo infatuato dal nudismo sessantottino, rivelò che la sua<br />

vocazione neoreligiosa era maturata mentre studiava la storia dei traffici che, che, nel<br />

Quattrocento, si svolgeva, per la mediazione di Bisanzio, tra l’Occidente umanistico e<br />

l’Oriente magico.<br />

“Il mio interesse per l’India, confessava senza alcun imbarazzo, assomiglia a quella di<br />

Pico della Mirandola per le grandi civiltà dell’Asia. Come gli umanisti obbedivo<br />

all’esigenza di ritrovare nelle espressioni religiose diverse dalla nostra l’universalità del<br />

sacro. L’impatto con il Rinascimento, da Marsilio Ficno a Pico della Mirandola, mi spinse<br />

al dal neoplatonismo a Ermete Trismegisto e di là, ovviamente, verso l’Oriente”.<br />

Lo sbalorditivo proclama di Eliade, che conferma involontariamente le acute intuizioni del<br />

cardinale Giuseppe Siri e di Gianni Baget Bozzo sull’influsso della gnosi spuria nel<br />

pensiero moderno, ha guidato la ricerca di Ennio Innocenti, autore di un denso ed<br />

esauriente saggio sulle fonti superstiziose (e per niente laiche) del rinascimento (“La<br />

gnosi europea nel Cinquecento”).<br />

Usando il termine gnosi spuria, l’autore suggerisce di cercare nel sottosuolo delle religioni<br />

orientali ed ellenistiche, la provenienza dell’apostasia moderna. La riflessione, pertanto, si<br />

rivolge i miti arcaici, che contemplano la derivazione dell’essere dall’indeterminato.<br />

Gli stati d’animo che turbarono gli intellettuali del Rinascimento, specchiavano, infatti,<br />

quelli diffusi dalle chiese gnostiche: avversione al mondo creato, rifiuto di Dio creatore e<br />

giudice, decisione di abbassare la salvezza cristiana alle categorie del nichilismo, vale a<br />

dire trasgressione dissolutoria e uscita dall’essere.<br />

Gli gnostici, per tradurre in sistema le loro suggestioni, inventarono un secondo dio,<br />

opposto e superiore al Dio di Abramo e di Mosé, un secondo salvatore, in conflitto con il<br />

Verbo incarnato, e, infine, raccomandarono l’imitazione di Caino e dei sodomiti, quale via<br />

mistica all’unione con l’indeterminato.<br />

Sotto il velo del platonismo rinascimentale, eruppe lo spurgo del paganesimo. Pertanto la<br />

biografia di Giordano Bruno, apostolo di una magia erotica intesa alla dissipazione della<br />

coscienza personale nell’anima mundi, costituisce lo specchio veritiero del Rinascimento.<br />

Le scrupolose ricerche di Ennio Innocenti legittimano l’interpretazione che sottolinea<br />

l’attrazione esercitata dagli dei falsi e bugiardi sui filosofi della via modernorum. Si<br />

dimostra dunque che la chimera dell’essere oltre l’Ipsum Esse e del sacro oltre i confini<br />

della santità cristiana, non rappresenta altro che la fantasia intorno allo “zero metafisico”.


Lo schema della scolastica storicistica, che poneva la filosofia rinascimentale all’origine<br />

della rivoluzione scientifica e della modernizzazione è smentito dall’esame dei testi.<br />

Marsilio, Pico, Bruno e i loro discepoli sparsi in tutta la Cristianità, appaiono nella veste di<br />

teorici dell’involuzione e marciatori sulla via del ritorno alle antichità prelogiche. Al loro<br />

seguito, grottesche imposture e macchine truffaldine cattureranno interminabili<br />

generazioni di sconvolti e devastatori scalmanati: soffiatori di carbone, rosacroce,<br />

illuminati di Baviera, frankisti, massoni di varia buffoneria, teosofi in calzamaglia,<br />

antroposofi senza ritegni, superuomini aperti a tutte le esperienze, shivati e satanisti.<br />

Si pone pertanto il problema di stabilire, contro l’opinione della fatiscente scuola<br />

progressista, un’antitesi fra le benefiche conquiste della scienza e le fughe filosofiche nei<br />

territori selvaggi della magia. Una distinzione, che è peraltro già inscritta nelle<br />

metamorfosi subite dalle avanguardie del tardo Novecento.<br />

Ennio Innocente, forte della provata attitudine a tradurre la sua monumentale erudizione<br />

nel linguaggio della quotidianità, ha investigato le verità proibite che occultano le<br />

contraddizioni del mondo moderno: l’impossibilità di fondare la teoria del progresso<br />

scientifico sul rifiuto del Cristianesimo e la doppiezza del pensiero che si avventura al<br />

seguito dell’ossimoro progresso ateo.<br />

Il risultato di questa analisi è la dimostrazione della inclinazione regressiva del pensiero<br />

rinascimentale: “Bruno fa retrocedere l’opera scientifica di Copernico verso uno stadio<br />

prescientifico, verso l’ermetismo, e interpreta la teoria copernicana come un geroglifico di<br />

misteri”.<br />

Tolta la dottrina cristiana non è pensabile un’idea del tempo diversa dalla rivoluzione<br />

panteistica, che l’illusione primitiva deduce dalla perpetua alternanza delle stagioni. La<br />

parola rivoluzione deriva, appunto, dal verbo latino revolvere, che indicava la ripetizione, il<br />

cadere di qualunque esistenza nel vuoto dell’inizio.<br />

E’ evidente che i lumi delle rivoluzioni moderne sono accesi da un misticismo, che<br />

contempla la pendenza della storia verso l’inizio, verso l’età delle mitiche meraviglie. La<br />

via modernorum non è indirizzata al bene che la ragionevole speranza insegue nel futuro<br />

ma alla felicità che la fantasia poietica degli antichi poneva nella barbarie.<br />

Il successo delle rivoluzioni moderne dipende dalla pretesa d’innestare la mitologia<br />

arcaica sopra la speranza generata dalla novità cristiana ma contro la fede che la<br />

giustifica. L’innaturalità dell’apostasia iniziata dalla superstizione rinascimentale oggi si<br />

rivela nella torbida fortuna delle alternative al Redentore: gli sciamani, i guru shivaiti, i<br />

massaggiatori, i venditori di numeri vincenti al lotto, gli eco-erboristi e i narcotrafficanti,<br />

che imperversano nelle librerie magiche, nei salotti di varia trasgressione e negli<br />

spettacoli di sicuro intontimento.<br />

Il mondo moderno cade nel vuoto, cui lo attrae la negazione del Creatore e del<br />

fondamento. L’orizzonte primordiale è una figura del nichilismo. E’ l’autentica aspirazione<br />

di Eliade e di tutti i neognostici: indirizzare la storia verso l’Oriente del nirvana, del vuoto<br />

mentale, del vivere per la morte.<br />

Finalmente l’imposizione del duo Nietzsche-Guénon da parte dei poteri forti, attesta che<br />

la rivoluzione moderna mette capo al naufragio. La leggenda aurea delle neoreligioni<br />

contempla, da un lato, Nietzsche inteso al trasporto della vanità universale dall’Oriente di<br />

Schopenhauer all’Occidente di Hölderlin, dall’altro Guénon, che compie il viaggio<br />

contrario, rivendicando la lontana origine taoista di tutti gli oscurantismi della ragione<br />

occidentale, dai misteri di Iside al culto di Dioniso, fino alle patacche ermetiche di<br />

Giordano Bruno e alle farneticazioni templari delle massonerie.<br />

Questi viaggi gnostici procedono in parallelo alle esplorazioni del vuoto mentale da parte<br />

dei poeti dell’avanguardia drogastica e pederastica, Rimbaud, Kerouac, Pasolini, Testori,<br />

Chatwin, Jünger. I supremi esiti della rinascita degli dei pagani.


H<br />

Hippy<br />

Una generazione di naufraghi<br />

Il Sessantotto. Deposti il martello e la falce, emblemi del lavoro, i giovani contestatori<br />

impugnarono preservativo e siringa, arnesi dell'ebbrezza illuminata da Aldous Huxley e<br />

André Breton. I libertari scelti volarono verso i palazzi, gli altri planarono sui ghetti.<br />

L’avanguardia ascese agli uffici delle procure, ai ministeri, alla direzione delle aziende<br />

pubbliche, alle cattedre, alle case editrici, alle segreterie particolari. La retroguardia fu<br />

ricoverata nei centri sociali, tra gli utili furori del popolo di Seattle.<br />

Largo ai tutori del disordine conquistato nel joli mai. Luminose protesi sostituiscono i denti<br />

anneriti dall’erba, il resto delle gloriose criniere si umilia in riporti tortuosi. I jeans<br />

dell’uniforme leggendaria adattandosi a sagome adipose, ostentano le firme dei sarti di<br />

regime. L’elegante cocaina ha sostituito il giovanile spinello.<br />

La cometa del giovanilismo è irretita dal potere. Adesso la scena storica è capovolta:<br />

anchilosati nella figura del conformismo a una dimensione i reduci del Sessantotto<br />

frequentano l’accigliata oligarchia senza timore del ridicolo. Il fior fiore della rivolta<br />

sfolgora da poltrone in perfetto stile brezneviano.<br />

E gli altri, il popolo dei compagni senza ali per volare al palazzo? Cosa ne è della<br />

moltitudine dei marciatori tumultuosi, che non ha trovato alloggio nei quartieri alti della<br />

sinistra?<br />

Michel Houllebecq, uomo di scienza e scrittore non allineato, rompe il silenzio sui<br />

naufraghi e racconta la storia drammatica degli hippy, che sono passati dalle processioni<br />

in festa per il mondo nuovo alle code davanti ai dispensari psichiatrici, ai distributori di<br />

metadone, alle cliniche dermatologiche.<br />

Il romanzo “Le particelle elementari” dà voce a quella generazione devastata dalla<br />

fantasia, che oggi si chiede “come abbiano fatto le cose a rovinarsi fino a questo punto?”.<br />

Quale causa si trova all’origine di un tale disastro? Tra le righe della vicenda si legge una<br />

requisitoria implacabile contro la mistica neopagana del sesso libero e polimorfo e della<br />

mente dilatata. L’accusa è specialmente rivolta al ciarpame nazistoide elucubrato nel<br />

1932 da Aldous Huxley, il grande maestro dell’impostura fantascientifica.<br />

In effetti i sogni demenziali e perversi effusi nel “Mondo nuovo” huxleiano, hanno<br />

spianato, davanti alle irrequietezze dei giovani, la strada del delirio orgiastico. Huxley,<br />

impastando sapientemente scienza e mito, biologia e alchimia, desideri legittimi e<br />

allucinazioni erotiche, cascami positivistici e spurghi nietzscheani, ha allestito una merce<br />

illusoria, esemplarmente adatta al mercato giovanile: l’idea di produrre l’uomo nuovo<br />

separando l’atto sessuale dalla procreazione. Con fatuità criminosa, Huxley annunciava<br />

l’avvento di un’età felice, “nella quale la riproduzione della specie umana avverrà in<br />

laboratorio in condizioni di sicurezza e di affidabilità genetici totali, con conseguente<br />

collasso del concetto di paternità e, grazie ai progressi farmaceutici, alla eliminazione<br />

delle distinzioni tra età della vita”. Un paradiso avvelenato dalla prospettiva della morte:<br />

“poi, quando non è più possibile lottare contro l’invecchiamento, ci si congeda tramite<br />

eutanasia liberamente consentita”- In questo crocevia di incubi e false speranze insorge<br />

una ferocia fredda. Houllebecq non ha difficoltà a cavare dalla cronaca nera l’immagine<br />

del triangolo costituito dal progresso della libertà sessuale, dalle conquiste della scienza<br />

senza radici umanistiche e dall’egoismo ferino. “In questo senso”, scrive senza esitare, “i<br />

serial killer degli anni novanta sono i figli naturali degli hippy degli anni sessanta”.<br />

A malgrado della sua crudezza e delle sue concessioni all’etnicismo, l’opera di<br />

Houllebecq può essere accolta come un segno della vitalità dell’Occidente. La cultura<br />

cristiana, sopravvive al pensiero debole, che ha intossicato l’Europa con le farneticazioni


edonistiche, i miti intorno all’orgone cosmico, l’astrologia, l’ermetismo egizio, lo shivaismo,<br />

e la meditazione sui chakra.<br />

Nei giorni ridicoli della sinistra al potere, il viaggio attraverso le rovine del Sessantotto<br />

squarcia il sipario che nasconde l’oscenità della rivoluzione.


I<br />

Illuminismo<br />

Immigrazione<br />

Islam<br />

Illuminismo<br />

Dai lumi al lumicino<br />

La ricerca scientifica confuta i solenni pregiudizi e gli assiomi impellenti per mezzo dei<br />

quali l’ideologia scientifica intendeva isolare la religione nel recinto lukacsiano<br />

dell’irrazionale. Ad una ad una le “voci” emesse dalle agenzie volterriane si riversano in<br />

uno strepitoso e comico <strong>dizionario</strong> dei pesci d’aprile.<br />

Di recente le agenzie giornalistiche hanno battuto due notizie provenienti dal mondo<br />

scientifico, che aprono nuove prospettive agli storici della religione e a tutti i ricercatori<br />

della verità: la dimostrazione rigorosa dell’unità biologica del genere umano e la<br />

catalogazione delle similitudini tra la cosmogonia dei Sumeri e il Genesi.<br />

La prima notizia riguarda le ricerche dei biologi, che hanno dimostrato, grazie ad una<br />

sistematica ricerca sui Dna delle varie popolazioni del globo, la comune origine di tutti gli<br />

uomini.<br />

La stampa d’informazione, opportunamente, ha sottolineato l’implicita accusa, che tale<br />

scoperta rivolge contro le stupide e feroci mitologie intorno alle differenze di natura fra le<br />

“razze” umane. La vera scienza afferma categoricamente che non ha senso alcuno<br />

parlare di razze superiori e inferiori. L’umanità costituisce un’unica razza. D’ora in avanti il<br />

razzismo non avrà più quell’alone di pseudo scienza che la “certezza” poligenista gli<br />

conferiva.<br />

Purtroppo nessuno ha finora osservato che la dimostrazione dell’unità della razza umana<br />

ferisce a morte anche un vecchio pregiudizio razionalista, cioè la teoria secondo la quale<br />

era impossibile la derivazione dell’umanità dal solo Adamo, come narra la Sacra Scrittura.<br />

Non si può dimenticare che l’ipotesi poligenista ha incrementato le contrapposte forme<br />

delle barbarie ideologica, il razzismo e il classismo, che hanno fondamento nella<br />

decisione di separare l’uomo dall’uomo. Confutato il poligenismo, l’argomento che<br />

dichiarava inammissibile l’origine nell’unico Adamo e scientificamente inattendibile la<br />

Bibbia cade nella fosse delle leggende infantili.<br />

Nel campo dei credenti, nessuno dirà che adesso la Bibbia è “dimostrata”, ma nell’altro<br />

campo nessuno potrà dire seriamente che il Genesi è un mito. L’orizzonte della critica<br />

biblica cambia colore, a mal grado dell’inavvertenza clericale. La ricerca sul Dna svela,<br />

infatti, la parentela non lontana tra razzismo e razionalismo ateo (o come di diceva nel<br />

XVIII secolo “deista”). Una parentela che, tra l’altro, dà ragione delle bizzarre escursioni di<br />

Voltaire nella foresta antisemita ovvero della sorprendente simpatie nazista per Voltaire.<br />

Si fa incerto il confine che separava gli orrori della destra razzista dagli errori della sinistra<br />

illuminata. Anche questo è un segno del <strong>postmoderno</strong> incipiente.<br />

La seconda scoperta riguarda la documentata e attendibile tesi di un autorevole studioso<br />

di assirologia, il professor Giovanni Pettinato, accademico dei Lincei, in base alla quale il<br />

racconto biblico della creazione corrisponde alle teorie dei sumeri, che cominciarono ad<br />

apparire sulle tavolette d’argilla intorno al 2400 avanti Cristo. Questa scoperta può<br />

dimostrare (come afferma il professor Pettinato) che gli scribi giudei, che misero mano<br />

alla stesura dell’Antico Testamento, lo copiarono con molta probabilità dai documenti dei


sumeri, ma può anche essere usata, e con piena legittimità, per far cadere un altro<br />

pregiudizio razionalista : quello che dichiarava impossibile l’esistenza di un monoteismo<br />

primitivo.<br />

A scanso di equivoci, occorre rammentare che la teoria del monoteismo primitivo non ha<br />

nulla in comune con le leggende pseudo ecumeniche sulla tradizione primordiale e<br />

sull’unità trascendente delle religioni, leggende sincretistiche diffuse dai circoli del delirio<br />

iniziatico e ripresa dal sedicente vescovo della Chiesa gnostica, l’avventuroso imbroglione<br />

René Guénon.<br />

La teoria che riguarda il monoteismo primordiale indica invece un fatto accertato con<br />

metodo rigoroso da uno studioso cattolico di etnologia, il padre Guglielmo Schmidt s.v.d.,<br />

che negli anni Trenta dirigeva il pontificio museo etnologico lateranense. In un saggio di<br />

storia comparata delle religioni, pubblicato dalla Morcelliana nel 1934, il padre Schmidt<br />

scriveva infatti: “presso i popoli etnologicamente più antichi, i Pigmei, i Fueghini, gli<br />

Australiani sudorientali, i Californiani nordcentrali, gli Algonchini, ... il culto dell’Essere<br />

supremo raggiunge le vette più alte”.<br />

All’origine della civiltà umana non si trova il politeismo ma una forma elevata (e<br />

universalmente diffusa) di monoteismo.<br />

Il campo dell’etnologia è lontanissimo da quello della biologia, ma i risultati convergono<br />

nell’indicare l’unità fondamentale del genere umano.<br />

Il padre Schmidt, che interpretava i racconti dei primitivi, era incline a credere che il<br />

monoteismo delle origini fosse l’effetto di una rivelazione divina e non di una ricerca<br />

condotta con il solo ausilio del lume razionale : “non c’è mai alcun indizio, scriveva nel<br />

saggio citato, che la loro [dei popoli etnologicamente più antichi] religione sia il risultato<br />

delle loro ricerche o esigenze, ma invece ci consta sempre che essi fanno risalire la<br />

religione all’Essere Supremo, all’Essere supremo come tale, il quale sia in via immediata<br />

sia col tramite del capostipite da lui incaricato, avrebbe comunicato e inculcato agli uomini<br />

le dottrine di fede, i precetti morali e le forme di culto”.<br />

Il problema non è trascurabile, in quanto potrebbe riaprire la porta all’errore del<br />

tradizionalismo (Gerdil, Bonnetty, De Bonald), che disconosceva l’efficacia della ragione<br />

umana. Ma l’indecisione sull’origine (razionale o rivelata) del monoteismo primitivo passa<br />

in seconda linea davanti al ricordo della violenta insurrezione di tutte le scolastiche di<br />

derivazione illuministica e positivistica contro il padre Schmidt e della sua teoria. L’opera<br />

di padre Schmidt, infatti, fu sepolta nel dimenticatoio.<br />

Ecco uno fra i più singolari paradossi del Novecento: la maggioranza della comunità<br />

scientifica internazionale dichiarava di non condividere le teorie razziste, e tuttavia<br />

incrementava lo sragionamento germanico negando stupidamente il fondamentale<br />

principio del cattolicesimo: l’unità del genere umano in Adamo e nel monoteismo<br />

primitivo.<br />

E’ dunque facile intuire la ragione dell’accostamento, che ad uno sguardo superficiale può<br />

apparire bizzarro, delle ricerche sul Dna alle ricerche sulle tavolette cuneiformi dei Sumeri<br />

: nei due campi di ricerca, se il ricercatore è scientificamente corretto, se non è<br />

appiccicato ai rottami del Settecento, si trovano testimonianze dell’unità del genere<br />

umano. Lo scientismo moderno è messo fuori gioco dall’attualità scientifica.<br />

Immigrazione<br />

A tutta forza contro il Cattolicesimo<br />

Ad ognuno la sua parte. Contro il buon senso del cardinale Biffi, che ha denunciato la<br />

violazione dei diritti civili connessa con la politica per l’immigrazione selvaggia, il focoso e<br />

inconsapevole Pier Luigi Castagnetti ha declinato il verbo della sinistra integrale, urlante


di sdegno punitivo perpetuo contro il quieto vivere, la borghesia pantofolaia, gli italiani<br />

incivili ecc.<br />

Immagine di repertorio, quella di Castagnetti, che recita secondo il vecchio copione dello<br />

sdegno dossettiano. Lo sdegno ecumenico vorrebbe che la vita comoda (colpevolmente<br />

comoda) degli italiani gradisse la presenza purificatoria dei “poveri” delinquenti stranieri.<br />

In base al principio che la terra è di tutti, dunque ognuno ha diritto di applicare la propria<br />

tradizione: se la tradizione è furtiva ha diritto di rubare, se la sua tradizione è libertina ha<br />

diritto di impiantare postriboli a cielo aperto. I nome di questo principio una madre<br />

badessa ha giustificato l’adattamento delle celle conventuali ad asilo per prostitute.<br />

Ma lo sdegno, ormai, è dalla parte opposta, dove si trova il disagio degli italiani vittime<br />

della malavita d’importazione.<br />

Lo ha compreso Paolo Flores D’Arcais, che racconta i sudori freddi insorgenti nel salotto<br />

buono, dove l’intellettualismo libertino contempla la prossimità del ribaltone. Flores<br />

d’Arcais incarna felicemente la figura sfuggente del libertario imparruccato e severo, che<br />

monta la guardia alla ghigliottina. Ma non è stupido come le badesse abbaianti al vento<br />

sfavorevole. Al contrario: si rende conto che le parole di Biffi, esprimono il sentire comune<br />

dunque che sarebbe temerario (e suicidario) attaccare frontalmente. Infatti (nella<br />

Repubblica del 15 settembre 2000) Flores D’Arcais prende le distanze dai furori del<br />

politically correct, e riconosce la fondatezza del discorso del cardinal Biffi: “Non si<br />

scampa: se consideriamo condizione irrinunciabile di civiltà il riconoscimento dell’eguale<br />

dignità per ogni individuo, allora ogni costume, norma e tradizione che ferisca quella<br />

eguale dignità – non importa se in nome della fede o della razza o di una qualsivoglia<br />

identità – è anticivile”.<br />

Con questa concessione alla ragionevolezza, Flors D’Arcais ritiene d’aver neutralizzato il<br />

cardinale Biffi: “I diritti civili non sono infatti il portato della religione cristiana (e meno che<br />

mai cattolica): sono eventualmente il portato del cristianesimo secolarizzato. L’identità<br />

dell’Occidente ha nome scienza + più eresia, dove in realtà l’eresia avrebbe il primo<br />

posto”. In altre parole: il cardinale Biffi ha ragione quando afferma la necessità di vigilare<br />

sull’immigrazione clandestina, ha torto marcio quando parla in nome dell’identità cattolica.<br />

Castagnetti e lo sparuto manipolo dei cattocomunisti è spiazzato proprio dai compagni di<br />

strada, che abbandonano il pesante e impopolare fardello della dottrina. Ma il<br />

ragionamento del cardinal Biffi non è neppure sfiorato dall’obiezione anticattolica di Flores<br />

D’Arcais. Infatti il concetto di uguale dignità delle persone entra nella cultura occidentale<br />

solo quando san Paolo, in obbedienza al Vangelo di Cristo, abolisce la differenza tra<br />

giudeo e gentile.<br />

Ma c’è di più: prima del Cristianesimo il termine persona indicava la maschera illusoria,<br />

che si sovrapponeva ai fenomeni emergenti (per una breve ora) dal fluire fatale e<br />

monotono dell’Uno.<br />

René Guénon, un autore nichilista, che gode della stima venerante del salotto frequentato<br />

assiduamente da Flores D’Arcais, rivendicava alle culture “tradizionali” (che, per lui, erano<br />

solo le culture precristiane) il merito di aver ignorato il concetto di persona. Lucidamente<br />

Guénon affermava che tutte le filosofie nate nei laboratori illuministici e massonici erano<br />

riassunte nel progetto esoterico, inteso a dissolvere la coscienza personale. L’esito<br />

dell’eresia scientista, in Leopardi come in Guénon. consiste nell’iscrizione dell’uomo<br />

nell’infinita vanità del tutto. Si tratta della disperata malinconia pagana, grondante anche<br />

dalle uggiose pagine di “Micromega”.<br />

Guénon, poi, giudicava questo progetto compatibile con la fede islamica, alla quale si era<br />

convertito. Qui risiede la differenza che Flors D’Arcais tenta di occultare: il Cristianesimo<br />

afferma il valore della persona umana (dunque il suo diritto alla dignità) mentre l’Islam (ed<br />

è questo che afferma il cardinale Biffi) nega e la persona (sprofondata nella collettività<br />

fedele) e la dignità (oltraggiata sistematicamente dalla pratica).


Le tre tavolette (Cristianesimo, Islam, Occidente eretical-scientista) che il prestidigitatore<br />

Flores D’Arcais muove davanti agli occhi dei suoi lettori, sono in realtà solo le due figure<br />

della dialettica storica: il Cristianesimo e la sua negazione, la persona e la sua negazione,<br />

la dignità umana e la sua negazione.<br />

Islam<br />

a. L’Occidente tra Cristianità e Islam.<br />

L’Occidente del mondo contemporaneo ha inizio quando la Cristianità, nell’inseguimento<br />

della secolarizzazione abbatte le difese immunitarie contro la statolatria. La<br />

trasformazione della Cristianità secondo i canoni dell’occidentalismo fissati da Michele<br />

Federico Sciacca ebbe, infatti, principio dalla diffusione delle dottrine anticattoliche, che<br />

promuovevano la sacralizzazione della politica e, in ultima analisi, l’unione dei due poteri<br />

nelle mani del sovrano temporale. Questo abbassamento del “sacro” è stato teorizzato<br />

lucidamente da Marsilio da Padova e Tommaso Hobbes e contrastato disperatamente dai<br />

pensatori controriformisti (Bellarmino, De Mariana e Vico).<br />

La corruzione dell’Occidente non ha origine dalla laicizzazione della politica, come<br />

pretende certa scolastica reazionaria, ma, al contrario, dall’indebita attribuzione alla<br />

politica dell’autorità spirituale. E’ pertanto lecito affermare che l’essenza dell’Occidente<br />

postcristiano si trova nelle parole oscure della mistica, che ha istigato i teorici<br />

dell’assolutismo a imitare le antiche politologie ghibelline. L’occidentalismo è avvelenato<br />

da un paradossale eccesso di sacro e non dalla laicità.<br />

Ora è un fatto che gli ultimi banditori dell’ideologia moderna fanno riferimento al Levithan<br />

di Tommaso Hobbes, un’opera capitale, dove la tendenza al regresso, ispirata dal culto di<br />

Francesco Bacone per la sapientia veterum, si traduce correttamente nella proclamazione<br />

della translatio del potere spirituale dal pontefice cattolico al sovrano dell’apostasia<br />

anglicana.<br />

Non per niente Hobbes segna l’estremo confine della modernità: i pensieri delle<br />

avanguardie reazionarie, dopo aver attraversato i languori e le nostalgie del premoderno<br />

(si pensi agli atti degli hobbesiani di destra, ad esempio Carl Schmitt e Julius Evola)<br />

hanno preso definitivo alloggio nei sacri furori del nichilismo professato dalla sinistra<br />

postmoderna (si pensi agli esiti rovinosi delle interpretazioni schimittiane di Jacob Taubes<br />

e Roberto Esposito).<br />

La deviazione occidentale è perciò visibile solo da spettatori ai quali sia chiaro che la<br />

Cristianità non rappresentava il Regno di Dio in terra, ma un progresso storico<br />

naturalmente laico, ottenuto dai cristiani grazie al superamento della concezione sacrale<br />

dell’impero. Cristianità infatti significa primato dello spirituale e perciò riduzione del<br />

“politico” allo stato laicale, che gli compete.<br />

Ora il paradosso nel quale s’imbatte qualunque seria riflessione sulla crisi del “mondo<br />

moderno”, consiste nel fatto che alcune correnti della cultura occidentale hanno<br />

conservato la forma umanistica della Cristianità, talvolta separandola dalla sua fonte<br />

religiosa, talvolta riconoscendone apertamente l’origine. Queste tendenze non sono<br />

riconducibili al rovinoso sincretismo di Maritain e dei democristiani, sempre in bilico tra<br />

“umanesimo integrale” e “nuova cristianità”. Si tratta piuttosto di concetti laici, per mezzo<br />

dei quali il realismo politico ha messo al servizio di valori laici condivisi una tradizione<br />

politica che ha inizio dal Cristianesimo. Qui il pensiero reazionario incontra un’invincibile<br />

oscurità: la forma laica della politica occidentale, infatti, è cristiana, anche se i suoi<br />

contenuti possono non esserlo.<br />

Come aveva visto Augusto Del Noce, la cultura dell’Occidente contemporaneo può<br />

rovesciarsi nelle forme dell’irreligione mistica e, per quella via, approdare ad un


totalitarismo della dissoluzione. I proclami abortisti e antiproibizionisti per la droga e<br />

l’omosessualità, lanciati dalle agenzie della cultura di morte e dai poteri forti, non lasciano<br />

dubbi sulle pressioni esercitate per “ultimare” la modernità, indirizzando la politica sulle<br />

vie della dissoluzione totalitaria.<br />

L’orizzonte della degradazione libertina nell’età contemporanea non è certo immaginario.<br />

Ma il pessimismo delnociano deve essere temperato dal senso storico del Cristianesimo<br />

e adeguato alla dottrina sociale del Magistero. Si deve quindi riconoscere che la via della<br />

dissoluzione non è la sola percorribile dall’Occidente.<br />

Questa evidenza costringe a dire che, dal punto di vista dell’ortodossia cattolica, è<br />

possibile una considerazione non disperata dell’Occidente e perciò l’impostazione di un<br />

dialogo costruttivo con i suoi attori secolari. Il magistero di Giovanni Paolo II, infatti,<br />

ricorda alla pianta occidentale l’impossibilità di una vita separata dalle radici e perciò<br />

incita i popoli occidentali, un tempo fedeli, a crescere e a progredire secondo la loro<br />

semenza.<br />

Estraneo al pensiero cristiano, l’integralismo reazionario professato dalla destra di<br />

ispirazione evoliana e schimittiana, non esercita la critica dell’Occidente ma incrementa<br />

l’azione demolitrice della stremata utopia di sinistra. Nell’occidentalismo estremo si<br />

annullano le differenze che dividevano la destra dalla sinistra. Il fatto è che l’utopia<br />

reazionaria, che sta all’origine dei due estremismi, contrabbanda, sotto i travestimenti<br />

della mitologia antiebraica, le obiezioni dell’imperialismo pagano contro la novità cristiana.<br />

L’argomento fondamentale della suggestione reazionaria è appunto il complotto ebraico<br />

contro le sacre monarchie, narrato da un leggendario ed ambiguo documento (I Protocolli<br />

degli savi anziani di Sion) costruito dalla polizia segreta zarista.<br />

Ora la conclamata falsità del documento passa in secondo piano davanti alla velenosità<br />

dell’errore che la teoria del complotto introduce: una drastica avversione all’Ebraismo e di<br />

conseguenza una devastante cesura tra Antico e Nuovo Testamento.<br />

Nel 1997 Giovanni Paolo II ha pubblicato un documento sull’Olocausto, nel quale è<br />

stabilito, una volta per tutte, che la prima fonte delle elucubrazioni antiebraiche è l’eresia<br />

marcionita, per mezzo della quale è stato introdotta in ambiente cristiano l’obiezione dei<br />

gentili contro il teismo professato dall’Antico Testamento.<br />

La vera e risolutiva critica dell’occidentalismo, dunque, comincia dalla confutazione del<br />

marcionismo da parte di Giovanni Paolo II. Illustrata dalla fisima marcionita e dalla<br />

leggenda intorno al complotto ebraico, l’ideologia occidentalista – dall’illuminismo a Hegel<br />

e ai suoi epigoni crepuscolari - appare finalmente nella sua vera figura: la contaminazione<br />

dei valori cristiani da parte di un potere arcaico, inteso a parodiare la teologia.<br />

L‘esatta definizione dell’occidentalismo essenziale – statolatria perenne - chiarisce la<br />

fortuna che il pensiero islamico ha trovato nelle avanguardie postmoderne della destra<br />

reazionaria (al seguito del convertito René Guénon) e della sinistra delusa (al seguito del<br />

convertito Roger Garaudy).<br />

Il grottesco epilogo della modernità è rappresentato dalla sua conversione al<br />

fondamentalismo religioso. La cometa di Bayle non indica più le terre del laicismo ma la<br />

Mecca. Epilogo grottesco, ma non casuale. L’Islam, infatti, esaltando un potere politico<br />

sacro e non sottomesso ad un’autorità spirituale legittima, soddisfa pienamente i desideri<br />

statolatrici delle contrapposte e convergenti fazioni del mondo moderno: la sua fede<br />

consente infatti di abitare il sacro senza dover passare per l’odiata teologia ebraica e<br />

cristiana. Il fascino dell’Islam è inoltre esaltato dall’uso dei “Protocolli” come arma del<br />

delirio ideologico: una squisitezza, che appaga le smanie dietrologiche della destra<br />

socialistoide e i pruriti antiamericani della sinistra reazionaria.<br />

Nel duo islamizzato Guénon-Garaudy, il mago da palcoscenico e il filosofo estenuato,<br />

rappresentazioni della provenienza massonica e di quella comunista, et destra et sinistra,<br />

si riassume l’acrobatico destino dell’occidentalismo, che dopo aver scalato gli specchi


della rivolta marcionita contro la vera tradizione, ne abbraccia una parodia infantile, e<br />

infine riceve i cascami della dietrologia zarista. L’occidentalismo sopravvive per i soli<br />

tramiti della Russia imperiale e del favoloso Oriente. La sua condanna si trova<br />

nell’indecente bric-à-brac di desolazioni dostojewskiane e sussulti sciamanici. Nell’Islam<br />

degli iniziati pulsa il cuore arcaico della modernità occidentale. Ma il futuro<br />

dell’occidentalismo dov’è mai?<br />

b. L’irresistibile debolezza dell’Islam<br />

Le rivoluzioni tumultuose in atto nei paesi islamici a partire dagli anni Cinquanta e<br />

l’emergenza dell’immigrazione nordafricana in Europa, pongono la necessità di<br />

aggiornare la definizione dell’Islam e di trovare finalmente una chiave di lettura del suo<br />

tormentato rapporto con la modernizzazione e la tecnologia occidentali. Nell’Islam la<br />

cultura occidentale ha sempre intravisto un derivato dell’eresia Nestorio, vale a dire il<br />

rifiuto della divinità di Gesù Cristo e del dogma trinitario. La dottrina islamica presenta,<br />

senza dubbio, i caratteri di un rigido e letterale monoteismo, che esclude la teologia di<br />

Cristo, nel nome della fedeltà all’Antico Testamento, manifestando tuttavia un<br />

paradossale rispetto per il Vangelo. Ma la dottrina non dà una sufficiente ragione della<br />

parassi della storia islamica, fatta di opposizioni violente e guerre implacabili al<br />

Cristianesimo e al Giudaismo. A monte della dottrina si deve dunque cercare una fonte<br />

diversa dalla Bibbia giudeo-cristiana.<br />

Nella profonda riflessione teologica sull’Islam, pubblicata dalle edizioni Piemme di Casale<br />

Monferrato, Gianni Baget Bozzo propone, appunto, i criteri necessari per comprendere<br />

l’Islam risalendo alle altre fonti di Maometto. Solo una tale ricerca può approdare alle vere<br />

ragioni del conflitto che oppone l’Islam contemporaneo alla Cristianità secolarizzata e al<br />

sionismo, forma secolarizzata dal giudaismo.<br />

Ora Baget Bozzo formula per la prima volta l’ipotesi di una radicale estraneità dell’Islam<br />

alla teologia biblica, conseguente ad una alterazione della metafisica intorno al Dio<br />

cristiano: “La differenza fondamentale tra cristiani e musulmani sta nella Trinità, non solo<br />

nella figura esplicita del dogma cristiano, le Tre Persone di un solo Dio, ma nella sua<br />

possibilità metafisica. Il Dio coranico non è una essenza e non è una persona. E non è<br />

perché egli rivela di sé solo la sua volontà”.<br />

Nella luce della teologia volontaristica appare evidente che “il Dio coranico non ha<br />

consistenza ontologica”, ed infatti egli produce soltanto comandi sui musulmani: ”Dio<br />

compare nel Corano solo come il Comando”. Non a caso l’Islam si rivelò incompatibile<br />

con la filosofia greca a causa della teologia volontaristica.<br />

Porre l’attenzione sul fondamento antimetafisico, che regge il volontarismo della teologia<br />

islamica, significa svelarne la natura composita e spuria: da Israele l’Islam ottiene il<br />

monoteismo, dal Cristianesimo riceve il modello della sua pretesa universalistica, ma<br />

dallo gnosticismo apprende l’essenziale, l’escatologia nichilista, vale a dire una scienza<br />

negativa della finalità storica, che si riduce all’eliminazione fisica degli infedeli.<br />

Gli infedeli, per la prassi islamica, rappresentano quel male ontologico che la<br />

fantasticheria gnostica combatteva nella creazione materiale, percepita come antitesi al<br />

“principio” spirituale indeterminato. Osserva Baget Bozzo che “il Dio coranico porta con sé<br />

l’impronta del Dio gnostico per cui il mondo è la cattiva realtà, in cui esiste quindi un<br />

nemico essenziale: la materia nello gnosticismo, l’infedele nel musulmano”.<br />

Dalla struttura conflittuale della sua teologia l’Islam trae una temibile potenza aggressiva,<br />

ma anche la debolezza storica di fronte al Cristianesimo e all’Occidente. La forza<br />

dell’Islam risiede infatti in un rigore fanatico e inumano, ad esempio quello che esplode<br />

nei riti atroci dei kamikaze palestinesi. Ma questo rigore, per attuare la guerra totale<br />

(gnostica, come la guerra nazista) contro il nemico occidentale ed ebraico, è


paradossalmente costretto ad attingere idee e mezzi dalla tecnologia occidentale ed<br />

ebraica.<br />

In questa dipendenza è già inscritta la figura della debolezza islamica. Ma vi è di più.<br />

Bage Bozzo dimostra che l’illusione a fondamento del rapporto tra Islam e tecnologia<br />

occidentale consiste nel credere, come accade ai sauditi, che scienza e modernizzazione<br />

siano separabili.<br />

In realtà la separabilità delle due forme del mondo occidentale contemporaneo è,<br />

appunto, un’illusione. L’Islam non può importare tecnologia e simultaneamente dichiarare<br />

l’embargo alla modernità: alla fine il moderno costringerà i poteri islamici alla resa dei<br />

conti. E la modernità è una contraddizione che l’Islam non può sopportare a causa della<br />

vocazione conflittuale, che dichiara la guerra santa agli infedeli. Il confitto in atto tra l’Iran<br />

politico, essenzialmente modernizzante, e l’Iran religioso è un segno dell’impasse al quale<br />

l’Islam corre incontro. Ma la stessa emigrazione islamica può essere considerata (come<br />

dimostra esaurientemente Baget Bozzo) alla stregua di una fuga dall’Islam, dunque come<br />

segno di malessere “soggiacente”.<br />

Di qui la superiorità dell’Occidente e della Cristianità. Baget Bozzo lo definisce<br />

acutamente alla luce della teologia agostiniana e vichiana della storia: “Il punto difficile è<br />

che l’Islam non conosce il principio della distinzione tra natura umana e Rivelazione come<br />

il Cristianesimo, che ha potuto così offrire un punto di partenza alla modernità. … Il<br />

conflitto tra modernizzazione e identità islamica sarà al centro del mondo islamico nei<br />

prossimi decenni”.<br />

L’Occidente e la Cristianità possono godere pacificamente dei benefici tecnologici perché<br />

hanno stabilito lucidamente i criteri teoretici necessari a convivere con la<br />

modernizzazione, vale a dire perché hanno chiara la natura e i fini delle due città,<br />

procedenti “permixtae” nella storia, come ha stabilito sant’Agostino, in antitesi allo<br />

gnosticismo e al manicheismo. La tolleranza cristiana è il punto di partenza della<br />

modernità. Nella storia del pensiero cristiano è presente un’opera, la “Scienza Nuova” del<br />

napoletano Giambattista Vico, dove si dimostra che il progresso civile – la<br />

modernizzazione – rientra nel piano della Provvidenza divina, senza peraltro appartenere<br />

all’economia della salvezza cristiana. Vico ha elaborato una teoria del progresso che ha<br />

consentito alla Chiesa (pensiamo specialmente alla costruzione delle ferrovia voluta da<br />

Pio IX ai discorsi di Pio XII sul bene tecnologico e sulla democrazia) di entrare nella<br />

modernità senza assumere gli errori moderni. Una concezione audace come quella<br />

vichiana nell’Islam sarebbe considerata empia. E’ proprio questa la debolezza intrinseca<br />

dell’Islam, e la ragione della sua immancabile sconfitta.


L<br />

Lessico<br />

Logica<br />

Lessico<br />

Lo specchio dell’aggiornamento<br />

L’ora della comicità batte sulla scena politica quando gli araldi ideologici, vista l’usura dei<br />

vecchi e cari argomenti, tentano di aggiornare il vocabolario scalando lo specchio<br />

scivoloso dell’altrui novità. Il tentativo di coprire il corpo malandato di un’ideologia con i<br />

panni di un lessico nuovo è, infatti, il più sicuro segnale della crisi irreversibile.<br />

Barbara Spinelli, ad esempio. La sua fede nel progresso era talmente adamantina da<br />

sconfinare nel <strong>postmoderno</strong>. Sulle piste del futuro, la sua corsa vittoriosa sorpassava<br />

addirittura i reazionari. Era difficile tenerla a freno. Scalpitando, teneva il passo iniziatico<br />

battuto da Zolla e Calasso, le avanguardie della sinistra travestita. Ma nessuno la<br />

superava nella produzione di parola a scoppio indomito: cadeva ogni nemico, quando la<br />

mitragliatrice ideologica della Stampa crepitava.<br />

Bei tempi, il nemico non resisteva al suo fuoco micidiale. Ma il fuoco all’improvviso è<br />

diventato freddo. L’idea del progresso frequenta le impreviste contrade del centrodestra.<br />

L’avvocato nutre un forte dubbio. I sondaggi dicono che Bobbio è molto depresso. La<br />

Spinelli vacilla e si contorce amaramente, prevedendo la Casa delle libertà al potere. La<br />

mitraglia sgrana il rosario della malinconia: “Berlusconi dovrà scoprire la verità<br />

[testualmente: “il linguaggio di Rutelli è alto, sdrammatizzato, libero da vecchie ideologie]<br />

se vorrà il governo alto che promette”. In breve: Berlusconi sarà alto solo se imiterà<br />

l’altezza di Rutelli. Poiché siamo costretti a rinunciare all’esempio del potere eserciteremo<br />

il potere dell’esempio. Basta accontentarsi.<br />

E’ evidente che la mitragliatrice, adesso, funziona alla rovescia: spara torte sulla faccia<br />

degli amici. Torte involontarie, e non intese al compromesso. Chi oserebbe sospettare<br />

della fedelissima Spinelli? La mitraglia è pulita dentro. Ma fuori volano comiche torte alla<br />

panna.<br />

Ecco il punto. La costernata Spinelli ha intravisto la direzione impertinente e sgradita di<br />

“un vasto blocco sociale ansioso di modernità”. Il blocco esiste e procede alla faccia<br />

dell’ideologia: l’aspirazione popolare al progresso pianta in asso i progressisti. Gli italiani<br />

(popolo corrotto, va da sé) sono infastiditi dall’imposizione del nobile cilicio ulivista e<br />

pretendono migliori condizioni di vita. L’orrore della dolce vita ha oscurato l’orizzonte<br />

socialista. Gli italiani rischiano di perdere il socialismo. La segnaletica convenzionale<br />

pertanto è sottosopra: quelle che un tempo erano le bieche forze della reazione<br />

promuovono lo sviluppo, mentre i progressisti sono fermi al palo dell’economia<br />

quaresimale.<br />

La Spinelli angosciata lancia la prima torta: “la nozione di cittadino sembra mancare a<br />

tanti italiani”. Chi ha detto che cittadino significa estimatore dell’arretratezza socialista?<br />

Don Gallo, Martinazzoli o Castagnetti? Certo è che la crema dell’indigenza obbligatoria,<br />

sulla faccia dei progressisti rampanti non è un bel vedere.<br />

La Spinelli, d’altra parte, sa benissimo che gli italiani non voltano le spalle al senso civico<br />

ma alla conclamata incapacità dei progressisti ad attuare un’efficace e risoluta politica di<br />

sviluppo. E’ impossibile non vedere che i progressisti sono irretiti dalle suggestioni<br />

reazionarie diffuse dall’oligarchia malthusiana e dai furori proibizionisti dei verdi contro lo


sviluppo. E tuttavia prova a calare la carta (la torta) disperata, cioè il racconto di una<br />

miracolosa trasfigurazione delle solite facce: “Berlusconi non ha visto i volti mutati che<br />

l’Ulivo ha saputo produrre … disconosce la novità rappresentata da persone come Prodi<br />

e Rutelli”. Dove il progressismo retrocede avanza la leggenda dei riciclati dal viso rifatto.<br />

Dalla torta.<br />

Solo alla fine la Spinelli si concede un rispettoso scivolamento nel vecchio amore per<br />

l’oligarchia esoterica docente. E dichiara, sfidando audacemente l’opinione del padrone di<br />

casa, l’avvocato Agnelli: “non credo che i giornali stranieri, criticandoci, ci rechino offesa.<br />

Ci rivolgono consigli, hanno cura di quel che accade in una grande democrazia. Una<br />

repubblica delle banane non riceve tutte queste attenzioni, queste parole di monito e di<br />

incoraggiamento”.<br />

Chi era rassegnato alla torta in faccia riceve la frustata sul fondo schiena. Ma l’agitio del<br />

frustino riporta nella casa del progressismo. Come diceva un personaggio di Bunuel, nel<br />

“Fantasma della libertà”: “Picchia, picchia forte, vecchia mia”. Intendeva dire: le tue<br />

attenzioni mi incoraggiano.<br />

Logica<br />

Lo show come manuale di stupidità<br />

Casi di ordinaria televisione. Lunedì 30 aprile 2001 Rai2 manda in onda un’intervista ad<br />

Andrea Bussinello, candidato di Forza Nuova, il movimento di destra che conduce una<br />

strenua battaglia contro la legge abortista. L’intervistatore, in conformità al principio della<br />

par condicio, mantiene un lodevole atteggiamento neutrale. Tutto scorre nella norma. Ma<br />

nel corso della trasmissione l’oscurantismo sessantottino, che esercita la parte del jolly<br />

sui desolati tavoli del cicaleccio, induce l’intervistatore a sfoderare una magnifica perla del<br />

tesoro illogico: “d’accordo sulla proposta di abrogare la legge abortista, ma non c’è il<br />

rischio di dare luogo al triste fenomeno degli aborti clandestini?” A riprova della potenza<br />

universale dell’illogicità, Bussinello non coglie la naturale e inavvertita stupidità della<br />

domanda.<br />

Eppure l’idea che si debba autorizzare un delitto perché esiste il rischio che sia<br />

commesso nella clandestinità è semplicemente matta. Corrisponde, specularmente, al<br />

progetto di abrogare la legge che commina pene agli omicidi, in seguito all’ovvia<br />

considerazione della pericolosità dell’omicidio clandestino. Meglio l’omicidio solare? Al<br />

momento nessuno si spinge a tanto. Crepet si limita a dire che l’assassino non deve<br />

essere turbato dalla legge. La legge è salva? Più che salva, avviata a un progetto di<br />

riforma, che obbedirebbe ad un sillogismo di questo genere: la paura della pena spinge<br />

gli assassini ad agire nella clandestinità, l’omicidio clandestino è pericoloso, quindi per<br />

sventare il pericolo incombente non rimane che escludere la punizione di chi uccide. La<br />

legge è salva quando esiste solo per assolvere.<br />

Bussinello e il suo intervistatore televisivo sono però del tutto incolpevoli. Entrambi hanno<br />

dimostrato di possedere una buona cultura, un eloquio composto, un’apprezzabile<br />

disposizione al dialogo. Ma il senso comune - la vecchia logica - è sotto schiaffo, e loro<br />

con esso. La scuola e le altre agenzie culturali hanno lavorato scientificamente<br />

all’indebolimento delle difese immunitarie dell’intelligenza. Se la sfida all’immoralità oggi è<br />

diventata ardua, la rivolta contro il soggiacente delirio è quasi impossibile. La nube<br />

tossica della stupidità sessantottina inibisce l’attitudine ad analizzare e atterrisce il senso<br />

critico. In questa scena, l’inquietante interrogativo del nostro Giuseppe Spezzaferro –<br />

siamo diventati tutti matti? – ottiene una risposta affermativa: l’alluvione del pensiero<br />

sessantottino, il potere della fantasticheria, che ha demonizzato (chi non ricorda l’urlo<br />

demenziale di Marcuse, Aristotele è fascista!) i princìpi del pensiero adeguato alla realtà


invece che al sogno, se non proprio matti ci hanno resi certamente meno capaci di<br />

ragionare, dunque più vulnerabili alle contorte suggestioni del male.<br />

L’evidenza della guerra contro la ragione e contro il vivere ordinato, desta tristezza. Chi<br />

può assistere senza provare angoscia agli spettacoli “culturali” del genere catatonico e<br />

catalettico del Maurizio Costanzo show o di Satyricon? Giovanni Papini definiva “concerti<br />

di sputi” le assemblee degli intellettuali anarchici. Come si fa a definire diversamente i<br />

salotti della televisione radical-chic, dove esplode l’anarchia del pensiero? Insieme con la<br />

torbida e incontenibile piena del futile, vi corre, infatti, una schiumante e rovinosa<br />

tracotanza – l’ultra cogitazione: il pensiero si gonfia d’aria per abbandonare il solco della<br />

realtà e tracimare nelle praterie del disordine.<br />

Ecco l’immagionazione al potere. Chi ha letto il saggio che l’inarrivabile guru della scienza<br />

televisiva, Aldo Grasso, ha pubblicato in questi giorni per i tipi incredibili di un’editrice di<br />

nome cattolico, è stato certamente spaventato dal fatto che gli autori (citati inginocchioni)<br />

rappresentano la crema del decadentismo pornografico e della magia nera: Calasso,<br />

Cioran, Canetti, Bloy, Benjamin, Weil, Guénon, Sgalambro, Colli.<br />

Se alla fonte “colta” della teoria si trovano autori ,raccolti nella pattumiera, perché stupirsi<br />

quando il prodotto finale della televisione è la spazzatura? (Per inciso: Aldo Grasso è il<br />

critico televisivo del Corriere della Sera: chi sa dire per quale coincidenza le avanguardie<br />

del vuoto mentale, gli officianti della religione rovesciata nel catastrofismo gnostico, da<br />

Pasolini a Zolla, da Calasso a Severino, da Quinzio a Bruno Forte, hanno trovato<br />

ospitalità proprio in quel giornale?)<br />

La superba stupidità insorge nell’aspetto di crimine contro l’immagine divina che è<br />

nell’uomo, ma raggiunge la maturità nell’esercizio del crimine contro la vita.<br />

L’affermazione secondo la quale i delitti che gelano la cronaca dei nostri giorni sono figli<br />

del pensiero sessantottino, non rimanda alla teoria del complotto settario ma alla<br />

diffusione (questa sì delittuosa) del delirio “intelligente”, flagello atroce, che mortificando i<br />

presidi della razionalità rimuove gli ostacoli che hanno sempre frenato il cammino del<br />

crimine.


M<br />

Massoneria<br />

Metamorfosi<br />

Moralismo<br />

Mussolini<br />

Massoneria<br />

Non esiste più<br />

La massoneria? Per carità, non cadiamo al livello di Umberto Bossi. Parlare di<br />

massoneria è ecumenicamente scorretto, i massoni, se esistono, sono filantropi. La<br />

breccia di Porta Pia? Bombette del passato, oggi ci vogliamo bene, e Babilonia vale una<br />

messa, celebrata da don Gallo secondo il canone della teologia bersagliera. Il Corriere<br />

della Sera? Chi oserebbe alludere ai molesti odori massonici diffusi dal candelabro di via<br />

Solferino? Non siamo mica matti; le candele sono sacre. Caso mai accenneremo<br />

cautamente agli aromi iniziatici.<br />

Stabilito che Babilonia è il giardino della sapienza rigogliosa, il Corriere della Sera un<br />

quotidiano piissimo di proprietà popolare, l’ideologia massonica un’amabile fragranza di<br />

gelsomini? Possiamo discorrere, in ecumenica tranquillità?<br />

Emanuele Severino, il filosofo, che Cornelio Fabro segnalò al mondo accademico per<br />

l’esposizione di un magnifico “abracadabra” intorno all’essere e al nulla costringe a<br />

sollevare un cauto dubbio. Nella pagina culturale del quotidiano di via Solferino, presenta<br />

il voto del 13 maggio 2001, in una luce “libertaria”, che anche un lettore non superficiale<br />

potrebbe ritenere diffusa dal vecchio candelabro massonico: “Dalle prossime elezioni<br />

dipenderà in buona parte se gli italiani vogliano o no mantenere il diritto della Chiesa a<br />

intervenire nella legislazione italiana” (“Stato e Chiesa, Cavour era più moderno dell’Italia<br />

nel 2001”).<br />

L’obliquità della previsione, l’untuosa intitolazione alla modernità di Cavour, l’appello al<br />

dovere dei cattolici di mantenere il silenzio sulle questioni di competenze del potere<br />

politico, tutto, ma proprio tutto, nello scritto di Severino, indirizza il pensiero ai luoghi<br />

caratteristici del Settecento e dell’Ottocento. La tranquillità ecumenica si congeda.<br />

Severino, senza volerlo, evoca i due secoli in parrucca, cappuccio e grembiule, che<br />

hanno prodotto la persecuzione illuministica contro i gesuiti, la costituzione civile del<br />

clero, i massacri giacobini e comunardi, la cleptomania piemontese a danno dei beni e dei<br />

diritti ecclesiastici, la guerra civile nel Mezzogiorno, i massacri comunardi ed altre delizie.<br />

L’impressione del dejà vu (lo diciamo augurandoci che l’alta parola di Severino ci<br />

smentisca) è rafforzata dal tono sprezzante e minaccioso con cui è definita la Chiesa:<br />

“Sin dalle sue origini il cattolicesimo è oggettivamente teocratico, integralista, negatore<br />

della moderna società democratica, ma la costituzione italiana lo autorizza ad essere tutto<br />

questo”.<br />

La Chiesa oscurantista, ecco la collaudata giustificazione, che ha splendidamente<br />

protetto i due secoli delle tirannie, preparatrici degli orrori sterminati trionfalmente<br />

celebrati nel Novecento.<br />

Severino rumina una vecchia crosta di menzogne. La Chiesa cattolica non è contraria alla<br />

società democratica. Severino dovrebbe rileggere il discorso pronunciato da Pio XII nel<br />

Natale del 1944 e allora vedrebbe che la Chiesa si è opposta strenuamente a quella<br />

concezione assolutistica (e pagana) del potere che, trasportato dalla setta massonica, ha


attraversato tutte le sciagure ideologiche “a monte” del Novecento: dispotismo illuminato,<br />

giuseppinismo, giacobinismo, kultur kampf, imperialismo inglese, cavourrismo, ecc.<br />

Se Severino deponesse per un solo giorno la saccenteria che turba i suoi pensieri e li<br />

avvilisce nei luoghi comuni del laicismo, leggerebbe inoltre (e non senza profitto) i<br />

pensatori politici della Controriforna (Bellarmino, Juan de Mariana, Suarez, de Vitoria). La<br />

lettura dei pensatori controriformisti gli farebbe scoprire che la Chiesa cattolica ha sempre<br />

affermato il diritto dell’autorità popolo contro gli eccessi dell’assolutismo di qualunque<br />

risma.<br />

Del resto Cristianesimo, religione spiritualmente semita, si afferma come baluardo della<br />

verità e dei diritti del popolo contro il potere tirannico (ed esoterico, cioè derivato dal<br />

marciume pagano, nascosto – ésothen - nei sepolcri imbiancati).<br />

Non dovrebbe dunque stupire il fatto che la migliore democrazia moderna sia nata in<br />

ambienti cattolici tra il XVI e il XVII. E nata dalla fedele lettura di san Tommaso d’Aquino.<br />

Ora il falso declinato da Severino in ossequio dei poteri forti si associa felicemente al<br />

progetto anticlericale degli ambienti ulivisti, (progetto che la nostra timidezza non osa<br />

riferire all’obbedienza massonica): abolire il diritto dei cattolici a proporre soluzioni ai<br />

problemi politici.<br />

Con la banale dirompenza del pensatore dogmatico, Severino proclama infatti che “lo<br />

stato moderno nelle sue forme avanzate si trova in contraddizione con i precetti cattolici”.<br />

Questo, nelle parole stucchevoli e destituite del progressismo, vorrebbe significare che<br />

non siamo più nel Medioevo: l’autorità della Chiesa deve essere del tutto esclusa<br />

dall’orizzonte dello stato italiano.<br />

Nella chiacchiera di Severino si può ascoltare la stanca eco delle elucubrazioni<br />

massoniche intorno alle ballerine dell’Excelsior, che liberano la civiltà moderna<br />

dall’oscurantismo cattolico.<br />

Se non che il balletto Exceslior, nella fase storica attuale, si esibisce nella contrada<br />

depressa di Seatlle, dove (guarda caso) è stato rinviato dall’esortazione (di timbro<br />

heideggeriano) di Severino a<br />

demolire la macchina industriale dell’Occidente.<br />

Come dicevamo all’inizio, la massoneria non esiste, e se esistesse avrebbe la natura di<br />

una farsa alla Fregoli: i pensatori Severino & Veltroni, che inseguono la luce del<br />

progresso nelle praterie oscurantiste di Seattle. La raccomandazione di Severino non è<br />

altro che un incentivo a sospettare del voto alla coalizione reazionaria dell’ulivo.<br />

Metamorfosi<br />

Metamorfosi dell’ideologia<br />

Nella splendida “conchiusione” della Scienza Nuova, il genio cattolico di Giambattista<br />

Vico annunciò l’insorgenza necessaria di un popolo <strong>postmoderno</strong>, costituito da ingegni<br />

corrotti e “resi fiere più immani con la barbarie della riflessione che non era stata la<br />

barbarie del senso”. Le pulsioni atee dell’illuminismo albeggiante in quegli anni facevano<br />

infatti capire, a chi osservava acutamente, che nella storia d’Europa incombeva un<br />

destino di barbarie più rovinoso di quella dei secoli bui.<br />

Vico previde che la barbarie della riflessione moderna avrebbe attraversato tutte le crune<br />

dell’ideologia impropriamente intitolata alla ragione, prima di manifestare la sua oscura<br />

inclinazione al sottosviluppo e alla corruzione. La straordinaria importanza della filosofia<br />

vichiana consiste, appunto, nella descrizione dello sviluppo “logico” del pensiero europeo,<br />

dall’esaltazione razionalista al totalitarismo della dissoluzione. Quello che poi si verificato<br />

con i passaggi dall’apostasia illuminista alla delicatezza romantica e di lì al furore<br />

decadente di Nietzsche e alla sterminata barbarie comunista e nazista.


La lungimirante filosofia di Vico, dunque, è la chiave necessaria per la lettura della<br />

tragedia moderna. Finché non si vede il filo rosso che segretamente unisce gli atti della<br />

tragedia europea, dalla crisi del XVII secolo fino all’epilogo neopagano e al suo<br />

prolungamento ecoregressista, non sono decifrabili i significati della rivoluzione<br />

sessantottina e le essenze dell’ideologia, replicante a sinistra dopo la così detta morte<br />

delle ideologie.<br />

Purtroppo negli anni Settanta gli ultimi segnali emessi dall’Urss progressista e le<br />

suggestioni illusorie diffuse dalle agenzie culturali del decadentismo (si pensi alle<br />

contraffazioni del pensiero tradizionale messe sul mercato da Zolla) hanno convinto<br />

alcuni pensatori (fra i quali Augusto Del Noce e i suoi scolari ciellini e neodestri) a credere<br />

che la rivoluzione moderna, terminata la fase del comunista, si sarebbe rovesciata nella<br />

dittatura della tecnologia e dei consumi.<br />

Di qui una serie di abbagli e paradossi esemplari, come la collaborazione (in chiave<br />

antisviluppista) del nichilista Emanuele Severino al “Sabato”, e l’ingresso di Massimo<br />

Cacciari nel pantheon della destra estrema.<br />

Del Noce era stato raggirato abilmente. La sua previsione era dunque nobilmente<br />

sbagliata. Oggi l’errore delnociano si deduce facilmente dall’inabilità a capire la verità del<br />

<strong>postmoderno</strong> che i suoi ultimi scolari esibiscono continuamente. Pensiamo a Veneziani, il<br />

quale, convinto che l’apostasia dei comunisti si sia effettivamente rovesciata nel dominio<br />

tecnologico, insegue la negazione dell’Occidente nei sermoni catatonici e catastrofici di<br />

Nietzsche, della Weil, di Heidegger e di Cacciari. Autori appetibili “a destra”, perché<br />

offrono fascinose variazioni sul tema della sgangherata rivolta di Evola contro il mondo<br />

moderno.<br />

La verità è che nel Sessantotto avvenne un passaggio (ai più inavvertito) dal comunismo<br />

al pensiero radical-chic e al nazismo profondo. Un passaggio, che il vero maestro degli<br />

studenti rivoltosi, Jacob Taubes, aveva auspicato interpretando, con lucido furore,<br />

l’esortazione rivolta da Walter Benjamin alla sinistra: attraversare il fronte e penetrare nel<br />

campo del nemico nazista per riprendere le idee che le appartengono.<br />

Secondo Benjamin e Taubes, i modelli che la sinistra doveva riconquistare riguardanvao,<br />

in prima istanza, un Cristianesimo separato dall’Antico Testamento, conseguentemente<br />

una comunità buonista e pauperista, intitolata al Cristo idiota di Dostojewskij e perciò<br />

estranea al comando biblico “dominate la terra”.<br />

Il Cristianesimo separato dal Dio veterotestamentario, troppo severo e repressivo,<br />

l’illimitata tolleranza dell’immoralità e del crimine, l’indirizzo regressivo dell’istanza<br />

ambientalista. Sono i pilastri del nazismo originario, ricostruiti fedelmente e riproposti, da<br />

intellettuali di estrema sinistra come Cacciari, a quella gioventù vulnerabile (o già<br />

vulnerata dalle anfetamine) che trova rifugio nei centri sociali o nei circoli neodestri.<br />

La replica postmoderna dell’ideologia è dunque antitetica agli orizzonti della tecnologia e<br />

del consumismo. Per trovare il comunismo “soggiacente” è necessario considerare il<br />

popolo di Seattle, non il “biotech”.<br />

Ogni residuo dubbio su questa diagnosi aggiornata cade pesantemente, quando si legge<br />

con attenzione due recentissimi documenti: il testo (pubblicato in “Micromega”) del<br />

dialogo tra Cacciari e il cardinale Achille Silvestrini e la lunga intervista a Massimo<br />

Cacciari, curata dal mediatore tra nuova sinistra filosofica e centri sociali, Gianfranco<br />

Bettin, e pubblicxata da Feltrinelli.<br />

Nel dialogo con il cardinale Silvestrini, Cacciari dichiara, senza mezzi termini, che la<br />

Chiesa cattolica deve rinunciare al ruolo di ketechon, ossia alla lotta contro il disordine<br />

morale, e quindi abbandonare il decalogo al flusso della devianza postmoderna. Davanti<br />

all’attonito cardinale (per inciso: ai tempi del card. Siri i prelati evitavano il dibattito con gli<br />

atei, e se per caso li accettavano ci andavano ben preparati, la flebile reazione di<br />

Silvestrini fa capire che la precauzione è in disuso) Cacciari afferma che la Chiesa


dovrebbe convertirsi al nichilismo (il trionfo di Cristo sulla croce, per Cacciari, come già<br />

per Quinzio, non è altro che un “segno di sconfitta”) e in ultima analisi “testimoniare il<br />

carattere kenotico della storia – e perciò anelare alla sua stessa fine, intendo alla fine di<br />

sé, della Chiesa”.<br />

La fine della Chiesa cattolica è una conseguenza logica, se la premessa è il rifiuto della<br />

legge dettata a Mosé. Un’ipotesi sofistica e grottesca, quando si rammenta che il Verbo si<br />

è fatto uomo per compiere e non per distruggere la legge.<br />

Quanto alla tecnologia, Cacciari, nell’intervista a Bettin, dopo aver citato una cupa e<br />

sconfortante parafrasi di Hölderlin (dove cresce il controllo scientifico lì cresce il rischio)<br />

sciorina un discorso apocalittico, di tono heideggeriano: “La tecnologia, la scienza non<br />

hanno più limiti: sono esse stesse il limite. Il limite è dove si può arrivare con la ricerca e<br />

con le applicazioni tecnic-scientifiche. Non esiste, cioè. Il limite è il confine della scienza.<br />

Appena quel dominio si espande, il limite avanza. Ergo non esiste un punto di vista etico<br />

e politico. Esiste solo perché, per ora, provvisoriamente, non si riesce ad andare oltre”.<br />

Che fare, in questo buio scenario, se non obbedire a quelle suggestioni decadenti che<br />

sconvolgevano il cuore ecologico e romantico del nazismo profondo? Non rimane che<br />

l’applauso insensato e disperato al movimento berlinese dei “disoccupati felici”, dove<br />

esplode “la felicità di essere fuori dalla gabbia del lavoro e di trovarsi già oltre la civiltà del<br />

lavoro”.<br />

La sinistra postmoderna, per esplicita dichiarazione del suo interprete più autorevole, si<br />

colloca oltre il comandamento del Genesi, oltre il suggerimento di non magiare, che san<br />

Paolo rivolgeva ai poltroni e, in definitiva, oltre la civiltà occidentale. Si colloca dalla parte<br />

orientale, asiatica della tradizione indoeuropeo, dalla parte del nazismo esoterico,<br />

appunto.<br />

D’altra parte è difficile immaginare una più puntuale definizione della barbarie, della<br />

marginalità sottoproletaria e della distruzione reazionaria della ragione. Se tra le<br />

numerose personalità indossate da Cacciari se trova una che ha fatto parte dei pionieri o<br />

della corrente operaista, sarebbe certamente atterrita da questa definizione di “sinistra<br />

creativa”.<br />

Attraverso Cacciari l’ideologia replicante dichiara che i proletari delusi saranno recuperati<br />

quando la sinistra avanzerà nella “dimensione” angelica dei marginali. Ma il popolo<br />

veneto, col voto alle regionali del 2000 ha già bocciato la proposta. L’unico terreno<br />

propizio all’avanzamento del pensiero cacciariano è dunque quello dell’estenuazione<br />

irrazionalista, dove il vuoto mentale, preparato dai “classici” della decadenza (Nietzsche,<br />

Evola, Guénon ecc.) si sposa con l’effervescenza del comunismo sessantottino. Tolta la<br />

falce e il martello, emblema della rivoluzione diventa il porco con le ali. Infatti la barbarie<br />

possiede ali per volare, ma il suo cielo della è caduto in una pozzanghera.<br />

Moralismo<br />

Va’ dove ti porta il livore<br />

La prima lezione nella scuola di avviamento al surrealismo etico fu impartita dai partigiani<br />

comunisti, che, in obbedienza al salotto buono, uccisero Giovanni Gentile. Non senza<br />

gridargli la micidiale sentenza: “Uccidiamo le idee, non l’uomo”. Il grande interprete<br />

dell’umanesimo italiano cadde, e la filosofia del diritto s’incamminò sulla strada indicata<br />

dai carnefici.<br />

Cammin facendo i comunisti si accorsero che non c’era nulla da mettere sotto i denti e<br />

sostarono al tribunale gastronomico di Luttazzi. La splendore dello zero metafisico fu<br />

riassunto nel menù sbarazzino. Contemplato il pasto ultramoderno, gli italiani<br />

cominciarono a pensare ad un’altra via.


Le ideologie restarono sotto i muri vergognosi, la filosofia gentiliana, per la magnanimità<br />

che la separava dal resto del secolo sterminato, diventò un appiglio per la risalita alle fonti<br />

del vivere civile. Finalmente l’opera gentiliana è considerata nella luce della vocazione<br />

cristiana che il filosofo professò nel 1943. Gentile è studiato dai cattolici e dai laici di<br />

buona volontà come il continuatore della testimonianza vichiana sul fondamento della<br />

moralità nel pudore. Dei giustizieri di Gentile si è invece persa la memoria.<br />

In fondo all’esecuzione di Gentile i comunisti hanno trovato la loro identità profonda: la<br />

sconcezza dei testi insaziabili del coprofago Gerorges Bataille (distribuiti dall’Unità<br />

veltroniana) e le profumate cene di Luttazzi. Dalla ripugnanza suscitata da Luttazzi gli<br />

italiani ebbero un incentivo al riscatto.<br />

Nella colonna postmoderna in marcia, la parte “nobile” spetta ai maghi neri adelphiani e ai<br />

cultori della pedofilia mistica. Dalle pagine del rotocalco “Sette”, supplemento del<br />

sussiegoso “Corriere della Sera”, Ruggero Guarini replicando ai nemici degli stregoni e<br />

dei perversi ammaliatori, dichiarò apertamente e senza ombra di ritegno, che “gli<br />

adelphiani non hanno mai fatto mistero della loro passione per gli incantesimi”. E<br />

proseguì: “E meno che mai del giubilo che possono procurargli tutti quegli orribili misfatti –<br />

da quel primo supercrimine che fu la creazione del mondo giù giù fino alla performance<br />

dei fidanzatini di Novi Ligure”.<br />

Gli ammiratori dei serial killer adolescenti non abitano nelle corsie del neurodeliri, ma nei<br />

quartieri sublimi della cultura distillata durante cinquant’anni di egemonia comunista.<br />

Dopo il pasto con Luttazzi ecco il digestivo offerto dalla dorata bottiglia iniziatica: l’estasi<br />

perversa e la giubilante contemplazione del delitto.<br />

La magia nera degli adelphiani non ha cancellato l’ideologia della sinistra, ma l’ha<br />

esaltata, instradandola sui sentieri del delirio surrealista. In fondo al bicchiere degli<br />

adelphi si trova la concezione staliniana del diritto. A proposito della comparsata di<br />

Travaglio, ecco l’enormità giuridica che Giuseppe D’Avanzo scriveva nel giornale fondato<br />

dell’adelphiano (di complemento) Eugenio Scalfari: “Ciò che si è dimostrato non rilevante<br />

per la giustizia, può essere, è rilevante per la politica. E allora se non è giusto far passare<br />

per sentenze tracce istruttorie che non hanno avuto la consistenza di un’accusa formale,<br />

è legittimo pretendere trasparenza su una grande vicenda pubblica come quella di<br />

Berlusconi”.<br />

Questo vaneggiamento intorno ai pilastri del diritto, significa che non ha alcuna<br />

importanza la dichiarazione d’innocenza resa dai tribunali, perché, in sede politica, si può<br />

rilanciare l’accusa. L’assoluzione e il proscioglimento dalle accuse non contano niente: i<br />

pubblici ministeri della politica possono processare e condannare all’infinito. In parole<br />

povere: l’innocente (per giudizio definitivo del tribunale) può essere sottoposto a ludibrio.<br />

Stalin e Pol-pot, al confronto, sono filosofi del garantismo giuridico.<br />

Mussolini<br />

Tra ideologia e pensiero italiano<br />

Fare gli italiani, nei manifesti del risorgimento e dell’azionismo, ha significato combattere<br />

le debolezze, le meschinità e i vizi, che il popolo italiano aveva (avrebbe) acquisito<br />

frequentando la Chiesa cattolica invece delle sublimi logge massoniche. Da Mazzini a<br />

Gobetti, da Bocca a Montanelli, da Prezzolini a Bobbio, la critica del costume italiano si è<br />

sempre alleata con l’umore anticattolico e con la pedagogia sferzante. Ora Alessandro<br />

Campi, autore di un interessante profilo ideologico di Mussolini, pubblicato in questi giorni<br />

dal Mulino, dimostra esaurientemente che un sentire anti-italiano, identico a quello<br />

risorgimentale e azionista, si trova all’origine del nazionalismo fascista.


Dalla tradizione risorgimentale, Mussolini aveva ereditato quella decisione di rifare (cioè<br />

riformare e modernizzare) gli italiani, che era ispirata dal disprezzo massonico per la<br />

religione cattolica. Campi a conclusione della sua analisi, afferma risolutamente che “le<br />

interpretazioni di marca anti-italiana, che vedono in Mussolini il campione di un’italianità<br />

deteriore e patologica non tengono conto del fatto che quest’ultimo si è considerato a sua<br />

volta un anti-italiano, vale a dire esattamente un nemico del modo di essere e di fare<br />

tipico, a suo modo di vedere, degli italiani”.<br />

Posto il paradosso del Mussolini anti-italiano nel solco laico dell’Ottocento, dove si troverà<br />

mai la specificità del fascismo e la ragione del suo aspro conflitto con l’azionismo e la<br />

massoneria?<br />

La complessità del problema intorno all’essenza del fascismo era già considerevole, dopo<br />

che Baget Bozzo aveva stabilito che il decisionismo non era un carattere esclusivo del<br />

pensiero di Mussolini ma il segno dell’influenza romantica e irrazionalsta su tutte filosofie<br />

rivoluzione del Novecento.<br />

Infatti il decisionismo, connotato comune al leninismo, al fascismo e al nazismo,<br />

rappresenta, per un verso, l’aggiornamento dell’utopia rivoluzionaria, per l’altro la rottura<br />

con l’idea “classica” di rivoluzione, oltre che la smentita di quella interpretazione<br />

lukacsiana che assegnava l’eredità dell’illuminismo al movimento di Lenin e, perciò, lo<br />

accreditava come antitesi “scientifica” all’irrazionalismo delle rivoluzioni fittizie scatenate<br />

dalla destra romantica e irrazionalista.<br />

La tesi di Campi sul Mussolini anti-italiano aggiunge difficoltà a difficoltà, perché completa<br />

il quadro delle analogie tra il pensiero mussoliniano e il pensiero della sinistra<br />

anticlericale. Mussolini, di conseguenza, rimane sospeso nel limbo di una modernità<br />

ubiquitaria e aperte all’ecumenismo del pensiero unico: et … et…<br />

Si ha la sensazione che Campi sia tentato di attribuire ad un malinteso il contrasto tra<br />

Mussolini e i suoi oppositori azionisti e comunisti.<br />

Ora non c’è dubbio che una solidarietà spirituale corre tra le righe del dibattito tra il<br />

fascismo di Gentile e l’azionismo di De Ruggiero, Calogero, e l’impazienza comunistoide<br />

di Spirito. Ma le righe della storia parlano chiaramente di un conflitto insanabile intorno a<br />

Mussolini, traditore del laicismo risorgimentale e della sinistra. Conflitto che, alla fine,<br />

coinvolse anche Gentile.<br />

Le mani azioniste non sono macchiate dal sangue del filosofo, ma i sicari agivano per<br />

conto delle agenzie iniziatiche, che avevano ispirato i padri dell’azionismo. I malintesi di<br />

solito non hanno esiti così drammatici e sanguinari, è dunque evidente che il filo<br />

dell’armonia fascio-azionista e fascio-comunista era da tempo interrotto.<br />

La lacunosa tesi di Campi regge sulla disattenzione alle cause dell’infedeltà fascista alla<br />

tradizione risorgimentale. Campi analizza acutamente la tradizione laica e risorgimentale,<br />

che agiva nel pensiero di Mussolini, ma trascura di considerare l’influenza esercitata<br />

dall’altra tradizione italiana, quella vivente nella Chiesa gerarchica.<br />

Rimane perciò nascosto il rapporto che, in mezzo a molte difficoltà e contrasti, si era<br />

stabilito tra l’amor di patria predicato dalla dottrina cattolica e il progetto di grandezza<br />

italiana perseguito dal fascismo.<br />

Sta qui l’enigma Mussolini, cioè la difficoltà dello studioso che deve scegliere tra<br />

l’attribuire la causa della differenza che allontana il fascismo dal risorgimento ad<br />

un’evoluzione spirituale, ad una vera e propria conversione del duce (tesi sostenuta con<br />

dovizia di argomenti da Ennio Innocenti e Luciano Garibaldi) o all’intenzione<br />

machiavellica di coinvolgere i cattolici nelle imprese del regime.<br />

E’ certo, ad ogni modo, che il risorgimento ha combattuto la guerra alla Chiesa a prezzo<br />

della riduzione dell’Italia a Italietta, a paese di languidi mandolinisti, gondolieri nerboruti<br />

per la delizia delle dame nordiche e bambini messi alla portata della pedofilia iniziatica.


Invece Mussolini, pur in mezzo ad errori e contraddizioni, ha sacrificato l’anticlericalismo<br />

al tentativo di fare grande Italia.<br />

Il risorgimento laicista praticava viziosamente la flagellazione dei vizi italiani presunti.<br />

Mussolini, separando il suo governo dalla tradizione massonica e sottoscrivendo i patti<br />

lateranensi, valorizzò le risorse e le autentiche virtù degli italiani.<br />

Il perseguimento della grandezza nazionale anche attraverso l’alleanza con la Chiesa è<br />

dunque l’essenza del pensiero politico di Mussolini.<br />

Certo, l’amor di patria fascista non sempre coincideva con l’amor di patria esposto nel<br />

quarto comandamento del decalogo. L’influsso deleterio della cultura ottocentesca non<br />

era stato completamente smaltito. Tuttavia l’esperienza fascista, quasi obbedendo al<br />

principio dell’eterogenesi dei fini, ha confermato, che il popolo italiano, proprio nella<br />

fedeltà al Cattolicesimo, può trovare la forza necessaria a compiere grandi imprese. La<br />

sconfitta nella seconda guerra mondiale dimostra la tragicità degli errori del fascismo, non<br />

l’ineluttabilità dell’Italietta. Tanto è vero che dopo la disfatta militare (ma non spirituale) il<br />

popolo italiano, specialmente grazie alle felici intuizioni di veri patrioti come Gronchi,<br />

Mattei, Zoli, Piccioni, Tambroni e Moro, ha affermato il suo valore raggiungendo, e con<br />

mezzi pacifici, traguardi prestigiosi in tutte le competizione aperta alla creatività umana.


N<br />

Nichilismo<br />

Nozze<br />

Nucleare<br />

Nichilismo<br />

L’oppio dei miscredenti<br />

L’esito nichilista dell’ideologia era già prevedibile all’inizio degli anni Sessanta. Infatti<br />

Baget Bozzo il 20 dicembre del 1960 scriveva nella rivista “Lo Stato”: “Si è detto che<br />

Dostojewskj aveva avuto uno sguardo profetico nel giudicare il suo tempo e ciò che ne<br />

sarebbe nato. Cominciamo ora anche in Italia, a misurare quanto ciò sia vero. Si<br />

rileggano «I Demoni» e si vedrà descritta, con potenza drammatica, l’idea leninista di<br />

cinquant’anni più tardi, la strategia di «Stato e rivoluzione», la rivoluzione politica<br />

attraverso la perversione ideale e morale di una società. La nostra lotta è dunque contro<br />

coloro che dicono il bene male e il male bene. E’ una lotta contro i nichilisti. Noi sappiamo<br />

che l’obiettivo vero dei nichilisti è il Cristianesimo, è il Cattolicesimo. Sappiamo che la<br />

cosa che essi vogliono veramente distruggere è la Chiesa Apostolica Romana”.<br />

Il nichilismo, furore divampante dietro le persiane della baldoria libertina e sotto il velo<br />

della dolce frottola acquariana, ha origine dalla cupidigia d’irrealtà alimentata dai<br />

miscredenti, che presumono di sconfiggere il male abiurando religione che lo avversa.<br />

Durante i secoli che preparano il nichilismo, l’apostasia ha vestito i panni della volubilità, e<br />

dell’infermità d’animo, che ora tripudiava per il conquistato solluchero ora gemeva sotto il<br />

peso della disfatta incombete.<br />

Il fatto è che, fin dall’inizio della parabola moderna, l’assurdità insidiava l’euforia degli<br />

apostati. La chimera panteista, che Spinoza estraeva senza difficoltà dall’opera<br />

cartesiana, aveva fatto il nido nella commovente illusione di redimete l’umanità con<br />

l’immaginare una sola sostanza, dove il male si dissolve nella beata contemplazione della<br />

fatalità di qualunque evento.<br />

Ma l’etica spinosiana aveva una base talmente fragile da non sopportare l’obiezione<br />

timida e rispettosa di Blyenbergh, un dilettante di teologia, il quale fece immediatamente<br />

notare che, dato il panteismo, il passaggio dal male alla felicità diventava impossibile e<br />

privo di senso. Il risultato apparente della speculazione spinosiana fu l’idea rassicurante,<br />

quasi anestetica, di un mondo sicuro e perfetto, per l’uomo che abbia acquisito la<br />

coscienza della propria appartenenza all’eternità. Ma il passaggio mentale dal tempo<br />

all’eternità era arduo. Spinoza stesso dubitava sulla sua attuabilità, e dubitava al punto di<br />

lasciarsi sfuggire che la sua etica poggia su una finzione: “Poiché desideriamo formarci<br />

un’idea dell’uomo come modello della natura, sarà per noi utile conservare questi<br />

vocaboli”. Dal cilindro del terzo livello di pensiero uscì un vittorioso gioco di parole.<br />

L’obiezione di Blyenbergh però non cadde: se nella sostanza tutto era eterno e “divino”,<br />

dove aveva sede il modello ispiratore dei progressi etici? Se il tutto fosse un’unica<br />

sostanza, che bisogno ci sarebbe di praticare la virtù? La redenzione che si voleva<br />

ottenere non era già data nella definizione di sostanza?<br />

Se la beatitudine non è immediatamente percepita il sistema spinosiano deve essere<br />

rovesciato nel pessimismo radicale. Infatti Schopenhauer, fervente ammiratore del


sistema spinosiano, conservò il pregiudizio panteistico ma respinse l’ipotesi sulla<br />

beatitudine che avrebbe dovuto discenderne.<br />

In Europa, dopo il fatidico 1789, si diffusero i testi sacri dell’India, tradotti da Anquetil du<br />

Perron. L’aura esotica del romanticismo associò il pregiudizio panteistico all’idea<br />

dell’insuperabilità del male. Non c’è nulla d’imprevedibile nell’accoglimento e nel<br />

rifacimento filosofico delle suggestioni indiane da parte di un maestro della filosofia<br />

europea: quando Schopenhauer contemplò la volontà perversa, che starebbe intera e<br />

indivisa alla fonte di ogni ente particolare, non fece altro che declinare Spinoza senza i<br />

veli della consolazione illusoria.<br />

In questa declinazione coerente, l’unica opportunità era offerta dal non essere: la<br />

salvezza si ottiene grazie ad una perfetta uscita dal mondo, cioè dalla trasformazione<br />

della voluntas in noluntas.<br />

Quando Schopenhauer completò il suo sistema shivaita, le suggestioni gnostiche,<br />

attestate in Lutero e in Böhme e dichiarate apertamente in Hegel, avevano già alluvionato<br />

la cultura europea. La noluntas cospirava felicemente con le fantasticherie gnostiche<br />

intorno al prepadre, il puro poter essere, l’antitesi all’Essere perfettissimo della rivelazione<br />

giudeo-cristiana. Schopenhauer aveva abbandonato la scienza di Cartesio e Spinoza per<br />

lasciarsi trasportare dalla corrente del Gange.<br />

L’ultimo atto della guerra europea contro la ragione fu il passaggio da un’ebbrezza<br />

all’altra, cioè la peregrinazione di Nietzsche dall’India di Shiva alla Grecia di Dioniso.<br />

Curiosamente la nozione di eterno ritorno irruppe quando la mente di Nietzche era<br />

affaticata dagli studi spinosiani, irritata dalla polemica con Wagner, e sconvolta dall’abuso<br />

di oppio.<br />

Il drammatico deragliamento di Nietzsche è stato ricostruito con puntiglio da un acuto<br />

biografo, Johachim Köhlr, il quale, fra l’altro, cita un eloquente biglietto di Nietzsche: “Per<br />

abbondanza di vita il superuomo ha le apparenze del fumatore di oppio”.<br />

Non solo le apparenze. Quasi prigioniero di un micidiale triangolo allucinatorio, Nietzsche<br />

oscillava tra il dionisismo oppiaceo, l’irenismo etico di Spinoza e il virtuismo distruttivo di<br />

Schopenhauer. In fondo al pozzo della delizia dionisiaca, ad attendere Nietzsche c’era la<br />

luna doloristica di Schopenhauer. Il nichilismo: grido della gioia, che prepara il più grande<br />

dolore. Come si legge nel “Crepuscolo degli idoli”: “La vita comprende anche i problemi<br />

più oscuri e avversi, la volontà di vita, che nell’immolare i suoi esemplari più alti sente la<br />

gioia della propria inesauribilità”.<br />

Il cerchio si chiude. Hermann Hess, grande intenditore di dottrine esoteriche, dirà che<br />

“Nietzsche inaugura una capacità illimitata, geniale, spaventosa di soffrire”. Nell’intento di<br />

riportare la sentenza di Schopenhauer alla fittizia gioia di Spinoza, Nietzsche ha<br />

involontariamente svelato il volto sfuggente dell’antivita.<br />

Nozze<br />

Dagli omosessuali la libertà?<br />

La legge olandese, dopo aver pronunciato un’inaudita parola sul topos dell’amore, ha<br />

consacrato solennemente la famiglia omosessuale. Nell’infiorata generale suona la<br />

marcia nuziale, si tagliano le torte, volano i semi del riso propiziatorio della fecondità.<br />

Fecondità? Non guardiamo per il sottile. L’essenziale è che siamo tutti più liberi. L’area<br />

del principio che vieta il vietare si allarga. Lo annunciano i telegiornali, mentre l’etere<br />

diffonde le immagini di un delizioso matrimonio tra signorini e signorinelle<br />

capricciosamente assortiti. Il diritto olandese invade l’orbe mediatico. Solerti e radiosi i<br />

mezzibusti magnificano la splendida vittoria del principio di tolleranza sulla repressione<br />

oscurantista e nazista. Lo schermo si colora d’arancio olandese. Il mondo civile ha vinto


un’altra guerra di liberazione. L’importanza della storica vittoria à confermata dalla<br />

testimonianza di due maschietti in abito da cerimonia: prima della promulgazione della<br />

legge olandese, essendo in viaggio nel Guatemala, furono costretti a dormire in camere<br />

singole, perché sprovvisti del certificato di matrimonio richiesto (da una legge di stampo<br />

nazista) a quanti prenotano una camera doppia. D’ora in avanti un simile abuso<br />

segregazionista e razzista non sarà più possibile. Gli sposini annunciano solennemente<br />

che il Guatemala omofobo e proibizionista subirà una dura lezione: la coppia<br />

d’avanguardia, in occasione della luna di miele, farà ritorno all’albergo proibito, esibirà il<br />

certificato olandese e otterrà finalmente la camera matrimoniale. Un evento memorabile. I<br />

catechisti olandesi sono già in fibrillazione. Forse la notte d’amore sarà trasmessa in<br />

diretta. Corre il nome del telecronista: un allievo olandese di padre Schillebeeckx.<br />

La rivoluzione libertaria fa un passo avanti ed espugna il letto a due piazze (legalmente<br />

riconosciute e protette dalla monarchia olandese). Tra le lenzuola guatemalteche batte<br />

l’ora storica della liberazione. L’orgoglio omosessuale ha domato il demone<br />

dell’intolleranza nera. Bandiera arancione la trionferà. Siamo tutti più liberi e felici? Il<br />

nazismo si combatte facendo la guardia alle lenzuola. Sul vessillo della sinistra europea<br />

garrisce la parola fondamentale della pederastia.<br />

Il nazismo è vinto? In altre parole: il nazismo, a parte il presunto eretico Ernst Röhm, era<br />

veramente omofobo? Nei gloriosi giorni del matrimonio olandese le librerie d’America<br />

decretavano il successo di “Pink swastica”, opera che corona il la fatica pluriennale degli<br />

storici Scott Lively e Kavin Abrams, (Founders publisher corp., P.O. box 2037 Kaiser<br />

Oregon 97307).<br />

“Pink swastika” ricostruisce meticolosamente la storia dell’assassinio del cancelliere<br />

austriaco Engelbert Dolfuss da parte dei nazisti. Il fatto curioso è che la ricerca di Lively e<br />

Abrams ebbe inizio dopo la lettura di un articolo pubblicato dal giornale fascista “Il popolo<br />

di Roma” sotto il titolo “Pederasti assassini comandano a Berlino”.<br />

Si era all’inizio dell’agosto 1934 e nessuno dubitava sul movente politico dell’assassinio<br />

del cancelliere austriaco, che si opponeva duramente all’unione dell’Austria alla<br />

Germania. Perché allora il giornale fascista scriveva “pederasti assassini”? Per<br />

rispondere a questa domanda i due storici americani hanno esaminato la massa dei<br />

documenti d’archivio che riguardano l’affaire Dollfuss e sono giunti ad uno strabiliante<br />

risultato: nel periodo tra il 1907 e il 1912, Adolf Hitler aveva esercitato la prostituzione<br />

maschile a Vienna. Dolfuss aveva raccolto la documentazione dell’attività infamante<br />

svolta dall’apprendista fuhrer e ne aveva informato Mussolini. (Questo spiega, tra l’altro,<br />

la frequenza delle battute sarcastiche sul fuhrer effeminato, che Mussolini recitava<br />

davanti ai giornalisti).<br />

Dollfuss fu ucciso perché i nazisti volevano far tacere colui che possedeva le prove del<br />

passato imbarazzante di Hitler. Imbarazzante oggi, infamante nel 1934. Fine del mito<br />

intorno all’eroica guerra combattuta dai pederasti per vincere l’omofobia nazista. Quale<br />

omofobia e quale vittoria? Al centro della swastika rosa splende la parola più amata dai<br />

pederasti.<br />

Nucleare<br />

Freni o incentivi allo sviluppo?<br />

Dopo aver dato fiato iniziatico alla tromba reazionaria del pauperista Geminello Alvi, il<br />

"Corriere della Sera" ha pubblicato un editoriale di Alberto Ronchey, nel quale si tenta di<br />

esaminare pacatamente i princìpi che ispirano i fautori dello sviluppo nell’età dell’incubo<br />

ecologico. In particolare Ronchey ha esaminato le ragioni che hanno convinto il<br />

presidente Bush jr ad approvare un piano inteso alla costruzione di settanta nuove


centrali nucleari e allo sfruttamento dei ricchi giacimenti petroliferi dell'Alaska. Il vento di<br />

destra che tira in Italia, ha convinto l’editorialista del Corriere a riconoscere che un paese,<br />

nel quale l’espansione del prodotto lordo raggiunge un ritmo del 4% l’anno e l’incremento<br />

della domanda di energia l’8%, non può eludere e nemmeno rinviare la decisione di<br />

disporre provvedimenti risolutivi. La “svolta” di Bush, dunque, è dettata dall’evidente<br />

pericolo di una recessione economica incontrollabile e non da un’astratta ideologia.<br />

Con coraggio inusuale, Ronchey sfida la tirannia del pregiudizio e perciò confuta le tesi<br />

degli ecoterroristi sottoscrivendo la più temuta e censurata fra le verità scientifiche del<br />

nostro tempo: "A differenza del carbone o del petrolio, l'atomo genera energia pulita.... La<br />

tecnologia oggi produce reattori sempre più sicuri".<br />

La considerazione realistica dei fatti costringe ad ammettere che l'insidia all'ambiente oggi<br />

non è costituita dal nucleare ma dall’uso indiscriminato di energia ricavata dal petrolio o<br />

dal carbone. Oggi la via dello sviluppo compatibile coincide con la via del nucleare:<br />

l'aspirazione al progresso è sostenuta unicamente dalle possibilità del nucleare. Nessuno<br />

può seriamente negare che progresso tecnologico e lo sviluppo del nucleare sono<br />

inseparabili. Chi promuove il benessere diffuso deve necessariamente provvedere al<br />

sostegno del “nucleare”.<br />

Mentre si delinea la figura di una destra intesa allapromozio del progresso, si svela il<br />

paradosso dell’età postmoderna: nella sinistra postcomunista prevale una ideologia non<br />

più riconducibile all’istanza "progressista". Le escandescenze dello zoccolo duro che si è<br />

schierato contro la globalizzazione, non esprimono (come vogliono far credere i “media”) i<br />

legittimi timori sui possibili e forse reali errori e ingiustizie dei G8 ma nascondono un<br />

feroce pregiudizio, e un pregiudizio di stampo superstizioso, contro la tecnologia.<br />

Ora il sospetto che le manifestazioni contro il G8 siano motivate dal furore<br />

antiprogressista della nuova ideologia è confermato dall'abbondanza dei segnali<br />

inequivocabili lanciati continuamente dai mass media. Prendiamo ad esempio la dottrina<br />

di Aldo Grasso, ispiratore e grande architetto degli spettacoli allestiti da quella sinistra<br />

televisiva, che ha trasformato in mitologia le cronache del teppismo verde. Grasso, nel<br />

suo ponderoso saggio sulla radio e la televisione, si lascia trasportare dagli impulsi<br />

apocalittici della calassomania e perciò definisce illusorio il principio che sta a fondamento<br />

della cultura occidentale (dopo Platone) e dell’idea di progresso (dopo i Padri della<br />

Chiesa), cioè l'attribuzione al pensiero dell'idoneità a conoscere e a modificare<br />

(scientificamente) l'esistente.<br />

Dietro ad un così assurdo disconoscimento dell’idea di progresso e dei fatti della storia,<br />

non c'è niente di sensato, di razionale e di scientifico. Infatti Aldo Grasso si trincera dietro<br />

il mito irrazionalista del canto delle sirene, e scrive: "il canto dell'abisso che, inteso una<br />

volta, apriva in ogni parola un abisso e invitava con forza a sparirvi dentro". Il canto<br />

dell'abisso diventa il simbolo dell'inganno metafisico, che trionferà sul potere tecnologico<br />

adempiendo alla catastrofica profezia di Haidegger-Calasso. La disperazione del<br />

nichilismo oligarchico pertanto si traduce nella serenata oscurantista contro il progresso<br />

plebeo.<br />

Per uno strano caso, che assomiglia ad un gioco delle parti, lo stesso giorno in cui è<br />

apparso l'articolo di Ronchey, la "Stampa" ha pubblicato un furente editoriale contro Bush<br />

e la sua politica per lo sviluppo, editoriale firmato nientemeno che da Mina, la reginetta<br />

della canzone d’intrattenimento.<br />

Mina, recentemente illuminata nella scuola filosofica del sublime (con doppia zeta)<br />

Celentano ritiene di aver i titoli per discettare (cantando) sui massimi sistemi. Nel suo<br />

articolo, infatti, si leva una nota altissima e acrobatica: la citazione (a titolo di prova a<br />

sostegno dell’obiezione ecologica al progresso) di un vecchio ipocondriaco, Winston<br />

Churchill, il quale, molti anni prima che i problemi dell’ambiente fossero conosciuti,


professava la speranza di essere morto prima che gli obiettivi dichiarati dalla scienza<br />

dello sviluppo (a beneficio delle masse) fossero raggiunti.<br />

Presa dal ruolo di pensatrice della rivoluzione avventizia, Mina ripete a squarciagola la<br />

serenata del repertorio iniziatico, senza accorgersi del livore bavoso, che colava, insieme<br />

con la disperazione, dalla bocca di Churchill, oligarca, offeso mortalmente dal bene della<br />

"popoulace". Rimane tuttavia il fatto che questo livore senile e crepuscolare è la fonte<br />

inavvertita della passione che muove gambe e braccia degli ecoteppisti contro le vetrine<br />

del benessere. La sola fonte, temiamo.


O<br />

Omofilia<br />

Orme<br />

Orrore<br />

Omofilia<br />

Dalla Germania profonda<br />

Nella primavera del 1934, Leo Longanesi si recò nella profonda Germania di Hitler con<br />

l’intenzione di raccogliere notizie sui pensieri e i costumi del nuovo regime. Visitò alcune<br />

università, caserme, sedi di giornali e di partito. Al ritorno in Italia scrisse due soli<br />

memorabili versi, che rappresentano l’urgente consiglio rivolto dalla saggezza italiana ai<br />

viaggiatori nel III Reich germanico:<br />

A Monaco di Baviera<br />

mutande di lamiera.<br />

La pederastia è la cosa migliore che oggi si può ricordare del nazismo. Sia detto senza<br />

scandalo. La vocazione dei capi nazisti alla pederastia è messa fuori discussione da<br />

un’ingente letteratura iniziatica, edita con copertine color pastello, e perciò non è il caso di<br />

discuterne. Merita invece la curiosa attenzione degli italiani refrattari il ridicolo tentativo,<br />

messo in atto da un manipolo di intellettuali neodestri, di riqualificare, mediante appelli<br />

alla pederastia politicamente corretta, quelle suggestioni germaniche che furono il brodo<br />

di cultura dell’ideologia hitleriana. Per carità: ognuno è libero di scegliere la sua parte<br />

spirituale. C’è chi apprezza le tempeste nello stile tebano di Ernst Jünger, chi le sedute<br />

psicoanalitiche con Carl Jung e chi le sceneggiate del noto comico piemontese Fanfulla<br />

(quello che si travestiva da marinaio e gridava: sono una nave, siluratemi!). Nessuno<br />

intende reprimere i gusti e le legittime aspirazioni che sono nutrite dai pensatori della<br />

neodestra. Se ne parla per quella semplice curiosità che aveva indotto Longanesi a<br />

visitare la nuova Germania. Ma la prudenza è (come suol dirsi) un optional. Pur restando<br />

in Italia, dichiariamo solennemente che in Baviera oggi (come ieri) si può andare<br />

liberamente anche senza capi di lamiera. E di più: il nazismo ha stabilito il diritto civile del<br />

viaggiatore senza mutande. Almeno in questo, Hitler è sopravvissuto alla propria<br />

catastrofe. Si parla dunque in senso puramente accademico, cercando di non uscire dal<br />

solco del pederasticamente corretto. Come dice Pietrangelo Buttafuoco il destino<br />

dell’estrema destra “è quello di dire meglio quello che la sinistra balbetta e non riesce poi<br />

a spiegarsi”. Il discorso è chiaro e forte. Allons enfants de la nouvelle droite, è il giorno<br />

della gloria, per così dire. E’ l’ora: lamiera o non lamiera, guerra alla femmina nera.<br />

Ed ecco il mensile Area, dove ad un redattore che esalta l’amicizia dell’elegante<br />

intellettuale italiano Roberto Calasso per il cinedo viaggiante Chatwin, segue un redattore<br />

che spaccia per milizia di destra le meravigliose prestazioni esistenziali di Pasolini.<br />

Qui la curiosità finisce. Infatti l’onda dell’entusiasmo e dell’ammirazione per l’avanguardia<br />

sessuale trascina il neodestro Pietrangelo Buttafuoco oltre il limite del “curioso” e lo fa<br />

atterrare nel vespasiano dove si parla il linguaggio militante. Il “Giornale” recentemente ha<br />

pubblicato una nota del Buttafuoco dove si racconta che i nazisti italiani si recavano da<br />

Gegé (Pio XII) per fare la mano morta, “mano morta in natica santa”, testualmente.<br />

Sorvoliamo sulla pederastia neonazista, che delizia il raffinato Buttafuoco. Non c’è da<br />

vantarsi ma si tratta di una moda, che va tollerata, come tutte le mode imposte dal potere<br />

arrogante: alla fine passeranno. Ma non si capisce per quale ragione l’editore sopporta


che il suo giornale sia usato impunemente come portavoce dai neodestri, persone<br />

scomposte, che urlano nel vespasiano, e urlano contro la memoria di un pontefice che<br />

non può difendersi. Perché nessuno reagisce al disgustoso rigurgito della fellonia<br />

nazista? La fierezza resistenziale arretra davanti alla sacralità del vespasiano, e tollera<br />

che il pensiero nazista offenda una figura cara ai credenti italiani.<br />

Orme<br />

Orme del sacro e fantasmi della ragione<br />

I sofisti, banditori del nichilismo nella Grecia antica, vivevano come apprendisti stregoni,<br />

rapiti dal vortice perpetuo della logorrea e trascinati fuor di solco. Infatti la chiacchiera<br />

sofistica, agitata dalla smania di persuadere e prevalere ad ogni costo, alterava il<br />

pensiero e lo costringeva a predicare l’essere del niente. I sofisti greci smarrirono la<br />

solida via dell’essere, perché il desiderio di trarre vantaggio dalla discussione, condotta<br />

nello spregio della verità, li induceva al rifiuto del principio di ragione e li spronava al<br />

catastrofico volo nell’irrealtà.<br />

Aristotele, nel IV libro della Metafisica, dimostrò precisamente che la coerenza illogica<br />

forzava i negatori del principio d’identità e non contraddizione (secondo il quale “è<br />

impossibile che il medesimo attributo nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga<br />

al medesimo oggetto e nella medesima relazione”: è impossibile che Tizio sia uomo e<br />

simultaneamente trireme) ad ammettere che l’uomo è anche trireme, quindi che “tutte le<br />

cose sono confuse insieme”.<br />

Ora la confusione panica, cui si appellavano i sofisti sbilanciati dalla ciarla e coatti dalla<br />

tracotanza, non esiste realmente, perché abita astrattamente nell’ipotesi intorno<br />

all’indifferenziato.<br />

Aristotele concludeva, pertanto, che i negatori del principio di non contraddizione “quando<br />

credono di parlare dell’essere, parlano del non essere. Infatti ciò che esiste in potenza e<br />

non in atto è appunto l’indeterminato”. La conclusione aristotelica significa che solo<br />

l’essere è, dunque dimostra che il nichilismo è una chimera sdrucciolante sull’inganno<br />

della parola doppia.<br />

L’intrusione della magia nera e della psicoanalisi junghiana nel discorso filosofico dei<br />

postmoderni ha, purtroppo, accelerato la corsa al delirio nichilista. La chimera incombe.<br />

Priva della saggio vertigine del vuoto, l’astuzia rettilinea dei pensatori deboli sorpassa, a<br />

fulminante velocità, la sofistica, che danzava nel circolo ermeneutico.<br />

Il nulla dilaga in quarta marcia. La gara è dominata dagli assi del pensiero veloce. Il<br />

rombante duo Umberto Galimberti – Eugenio Scalfari, ad esempio. Puntano in alto. Sul<br />

capo non hanno lo scolapasta di Napoleone ma la piramide con l’occhio supremo. L’aura<br />

sacra circola nella leggiadra redazione di Repubblica.<br />

Naturalmente la teologia è un duro sasso da digerire per due atei dichiarati. Per<br />

conquistare l’occhio sacro, occorre sfuggire al confronto diretto con la logica, cioè<br />

sconvolgere l’aristotelismo aggirando le leggi del pensiero. Senza transitare per<br />

l’impraticabile via dei sofisti.<br />

Ma il <strong>postmoderno</strong> è una stagione buona per tutti i passaggi funambolici. Senza problemi,<br />

Galimberti, prima di elevare Scalfari all’altezza piramidale della divinità atea, si appella<br />

alla filosofia oracolare dei presocratici, dove il fondamento è posto nel “sacro”, cioè in un<br />

dio “incapace di articolare le differenze, senza di cui non si dà alcun procedere della<br />

ragione” (Umberto Galimberti, “Orme del sacro”). Scampato al trabocchetto della<br />

persuasione, il pensiero del nulla s’impossessa della lingua, l’arroventa e le fa sputare un<br />

vaniloquio fumante, ma senza capo né coda: dalla notte indifferenziata del sacro, in cui<br />

abita un dio privo d’identità e memoria, l’elucubrante Galimberti estrae l’immagine di un


uomo più che divino (Eugenio Scalfari), che si emancipa dal sacro con gesto violento. La<br />

coscienza nasce dall’inconscio. La distinzione dall’indistinto. L’essere dal nulla. Scalfari<br />

emerge dal sacro. Viviamo dunque nell’età della ragione scalfariana? Quando si tratta del<br />

duo Scalfari-Galimberti si esige cautela. “Che l’Io [di Scalfari] determini la nostra vita<br />

come nostro destino è solo una faccia della verità. L’altra faccia è che noi siamo vissuti<br />

dalla forza della vita più di quanto l’Io, nell’ebbrezza della sua recitazione, sia capace di<br />

sospettare”. In questa prospettiva teatrale, i codici razionali appaiono asserviti ad una<br />

pulsione naturale, che trasferisce all’indeterminato le vesti culturali dell’apparente libertà.<br />

L’autonomia della ragione umana, dunque, è una menzogna millenaria: il mondo<br />

appartiene all’informe notte del sacro, dove l’uomo è uomo e trireme. La piramide di<br />

Scalfari guarda il mondo con occhio corrusco e governa i lettori di “Repubblica” in nome<br />

della confusione sovrana. Avverte Galimberti: “Non dimentichiamo che il super-Io è una<br />

dimensione inconscia”. Senza intenzione d’offesa, Aristotele direbbe che Scalfari è il<br />

luogotenente del nulla. Ma per tenere occorre che ci sia la cosa tenuta dal tenente,<br />

eventualità che la teologia scalfariana, in ultima analisi, esclude. Forse il nulla è il<br />

luogotenente di Scalfari? Se Scalfari concede a Scalfari l’esistenza. Ma chi conosce i<br />

pensieri del sacro?<br />

Orrore<br />

Il teatrino dell’orrore<br />

Nel malinconico crepuscolo dell’ideologia, Barbara Spinelli consiglia la contemplazione<br />

della violenza sessuale sui minori quale via alla conoscenza del male necessario e perciò<br />

rivolge a Gad Lerner l’invito a non cedere ai benpensanti e a perseverare nella<br />

divulgazione giornalistica delle immagini orribili, che svelerebbero il vero volto<br />

dell’umanità. Infatti “il turbamento [causato, ad esempio, dalle scene di pedofilia] fa male,<br />

non di rado offende, ma aiuta a pensare l’impensabile, l’indicibile”.<br />

L’apparizione, nelle colonne di un giornale che si dichiara laico, progressivo e<br />

razionalista, di parole tratte dal gergo misterioso delle chiromanti non deve sorprendere<br />

chi conosce il domicilio crepuscolare e irrealistico, ultimamente eletto dalla cultura di<br />

sinistra.<br />

Dopo la disfatta storica del socialismo reale e delle sue illusioni, agli intellettuali di sinistra<br />

non rimane altro che arrendersi ai decadenti della destra magica, adottandone il progetto<br />

inteso all’uscita dal mondo, da questo mondo refrattario al sogno utopiano e, perciò,<br />

senza futuro.<br />

L’ultima parola del progressismo è l’imprecazione manichea: porco mondo. “Oscena non<br />

è la notizia ma la vita”, proclama la Spinelli.<br />

L’indicibile, l’impensabile, che l’imperiosa editorialista incita a scoprire, è la desolante<br />

certezza della morte di Dio e dell’irreparabile, sacra malvagità del tutto, nel quale<br />

l’umanità si colloca “come ospedale di alienati”.<br />

La censura contro l’orrore, pertanto, deve essere abolita e i giornalisti televisivi<br />

incoraggiati “a far vedere ancor più crudamente le cose che non vanno: l’orrore degli<br />

orfanotrofi russi” (ad esempio). Le immagini più sconvolgenti devono essere diffuse<br />

affinché gli uomini possano contemplare la loro perdizione nello specchio fatale<br />

dell'orrore.<br />

Le immagini efferate, secondo la Spinelli, sono una medicina per l’anima. Dannose,<br />

diseducative sono, invece, le felicità mostrate dalle televisioni kitsch, gli spettacoli di<br />

intrattenimento e tutti i programmi “che si sforzano di non intristire gli spettatori”.<br />

All’umanità, orfana del progressismo, ormai compete solo la cronaca nera, illuminata da<br />

una teologia mortuaria.


A questo punto la Spinelli sfodera un argomento che fa intravedere gli orizzonti di quel<br />

totalitarismo della disperazione che cova sotto le fiere passioni, che oppongono il teatrino<br />

dell’orrore alle (imperdonabili) banalità della televisione d’intrattenimento.<br />

Scrive la Spinelli: “E’ guardando in faccia le perversioni naziste che i tedeschi dell’Ovest<br />

hanno cominciato la loro catarsi”. I tedeschi purificati dalla visione dell’orrore non erano<br />

colpevoli dei delitti nazisti. E l’orrore che si mostrava non era associato all’immagine<br />

rasserenante di una superiore giustizia. Lo spettacolo era deprimente e gli spettatori<br />

(secondo la Spinelli) erano soggetti di un esperimento di purificazione mediante la vista<br />

del male trionfante.<br />

E spettatori forzati: “Gli americani li obbligavano a guardare i film sui campi di sterminio,<br />

insopportabili a vedersi, in cambio delle razioni alimentari postbelliche”.<br />

La Spinelli propone un magnifico modello di educazione liberale: costringere gli affamati<br />

ad assistere a un orrore senza riscatto.<br />

Ammessa (con qualche difficoltà) la verità del racconto, sarebbe corretto concludere che<br />

gli americani sono stati colpevoli di un lavaggio del cervello. Il vero problema, tuttavia, è<br />

posto dall’inutilità del “lavaggio” esaltato dalla Spinelli. Lo spettacolo sconfortante, al<br />

quale i tedeschi erano (o sarebbero stati) costretti ad assistere, non aveva infatti alcun<br />

valore catartico, poiché mancava una conclusione positiva (il male è vinto dalle forze del<br />

bene, la giustizia è ripristinata). Il fine dello spettacolo era la pura esibizione del male: la<br />

consolazione, secondo la Spinelli, era omessa perché appartenente al genere kitsch.<br />

Questo significa che l’azione catartica consiste nella rappresentazione del male come<br />

realtà senza alternative.<br />

Il bello è che, il giorno prima, nelle colonne del “Corriere della Sera”; un altro orfano del<br />

progressismo, Sebastiano Vassalli, accusava Berlusconi di aver violato la libertà degli<br />

attori e degli spettatori, mandando in onda “Il grande fratello”: “un esperimento scientifico<br />

come avrebbero potuto concepirlo gli scienziati del Terzo Reich, i Mengele, i Clauberg, i<br />

Ding-Schuler ecc.”<br />

Ora contemplare il male nella sua “assolutezza” è un incubo e, in quanto tale, non purifica<br />

ma istiga alla disperazione. L’azione educativa della Spinelli incomincia e finisce<br />

all’interno di una finzione invivibile e ossessa. In questo vicolo cieco la sola purificazione<br />

possibile è la capitolazione davanti alla vita oscena, cioè l’uscita dal cosmo, l’abbandono<br />

disperato al fantasma del disordine globale.<br />

Il progressismo è la metafora di un disastro annunciato. Come l’inascoltato genio di<br />

Kierkegaard aveva dichiarato all’Ottocento ebbro di ideologie, “quando un uomo,<br />

accecato dalla passione terrena, si volge verso l’avvenire, si trova all’opposto dell’eterno,<br />

e il domani diventa per lui simile al mostro gigantesco e confuso delle favole”.


P<br />

Pasolini<br />

Patria<br />

Pedofilia<br />

Pio XII<br />

Porta Pia<br />

Progresso<br />

Pasolini<br />

L’ebbrezza funeraria<br />

Nel 1949, Pier Paolo Pasolini, reo di corruzione di minori e di atti osceni in luogo pubblico,<br />

fu espulso dal Pci “per indegnità morale e politica”. Correvano gli anni austeri di Stalin, e<br />

la filosofia sovietica era dominata dal realismo di Lukács, il maestro di Camera e Fabietti,<br />

che autorizzava la rivoluzione senza i guanti bianchi, ma non tollerava le trasgressioni. In<br />

altre parole: sì al virile omicidio, no all’effeminatezza. Nel 1956 il rapporto Chruscev mise<br />

fine allo sdoppiamento della morale: fu duramente confermata la rivoluzione senza guanti<br />

bianchi [la pratica omicida continuò allegramente nelle radiose giornate della repressione<br />

carrista a Budapest e nell’ordinaria amministrazione dell’Arcipelago Gulag], in compenso<br />

la pederastia cominciò ad entrare nel mirino della tolleranza d’apparato.<br />

In campo estetico la svolta chrusceviana del 1956 significò interruzione del conflitto tra<br />

realismo proletario e intimismo borghese e il congedo della vigilanza dell’apparato sulla<br />

letteratura. Non la fine della cultura comunista ma la sua involuzione trasgressiva. Infatti il<br />

1956 è l’anno di “Officina”, la rivista che sanziona la fine del neoralismo, dichiara la libera<br />

uscita dei letterati e decreta il successo del pasoliniano “Ragazzi di vita”. La diversità<br />

imbarazzante e quasi intoccabile del poeta friulano esce dal margine vergognoso del Pci<br />

e diventa il vessillo della sinistra orgogliosamente marciante.<br />

Alberto Asor Rosa ha scritto che Pasolini rappresenta il passaggio dal neorealismo “ai<br />

miti della regressione sottoproletaria”, ossia la prova generale della sostituzione del<br />

binomio Marx-Lukács con il quadrinomio Nietzsche-Freud-Mann-Bataille. Pasolini è<br />

dunque l’emblema del passaggio dall’illusione rivoluzionaria alla rivoluzione del nulla nel<br />

vespasiano. Lo conferma un interessante saggio di Ilario Quirino, edito recentemente da<br />

Costantino Marco. Nel saggio in questione, l’autore approfondisce una tesi di Alberto<br />

Zigaina (secondo il quale Pasolini cercò disperatamente la propria morte) e, con il<br />

sussidio di alcune teorie psicoanalitiche, compone il ritratto di un uomo scismatico, che si<br />

aggira (quasi rapito da mistico furore) tra le perversioni atroci e le punitive delizie, che<br />

sono descritte nel romanzo autobiografico “Petrolio”. E’ il ritratto paradossale di un<br />

bacchettonismo “oltre umano” infuriante nel lupanare. In questo aveva ragione Adriano<br />

Romualdi, quando scriveva: “Come il più basso D’Annunzio, Pasolini è ad un tempo<br />

esteta e cruscante, amatore e collezionista di preziosità linguistiche, ricercato e fatuo. E<br />

come molte prose dannunziane, la prosa pasoliniana, pur capace di abilissime bravure, ci<br />

stanca o meglio ci stucca. … In fondo Pasolini è un nietzschiano. I suoi eroi, cui tutto è<br />

permesso, hanno il loro bravo posto tra le falangi delle scimmie di Zarathustra, che hanno<br />

invaso l’Europa. Gli elementi della sua concezione generale della vita rimangono,<br />

nonostante le verniciature marxiste, sul terreno del ritualismo spicciolo tra i detriti dei<br />

grandi tentativi romantici”.<br />

Purtroppo Quirino non considera il versante nietzschiano di Pasolini e perciò perde di<br />

vista lo steccato che divide il misticismo dalla paranoia. Infatti cita un testo pasoliniano,


nel quale l’alienazione suicidaria, (“la disperazione degli uomini destinati ad essere<br />

morti”), incide un carattere misterioso (“il sentimento primo di non essere accolti con<br />

amore”) sulla regressione “più terribile e incurabile”. La tensione tra l’amore e la morte,<br />

che attraversa tutta l’opera di Pasolini, sarebbe dunque la conseguenza di una ferita<br />

originaria, e di una speciale vocazione religiosa. Dalla mistica confusione di malattia e<br />

vocazione all’incursione nella teologia di san Paolo intorno allo “stecco nella carne” il<br />

passo è breve. Pasolini fu realmente incuriosito dalla teologia paolina, come risulta dalle<br />

assonanze che Quirino sottolinea puntigliosamente.<br />

Se non che la curiosità pasoliniana era intorbidata dall’intenzione della più bassa<br />

propaganda comunista e pederastica. Nel progetto per il film su san Paolo, infatti, santo<br />

Stefano diventa un partigiano comunista, i farisei hanno la parte dei nazisti invasori e san<br />

Paolo quella del collaborazionista, prossimo a convertirsi all’ideale. In seguito Pasolini (lo<br />

sottolinea senza difficoltà anche Quirino) circonda il rapporto dell’Apostolo con Timoteo<br />

“delle caratteristiche sessuali che hanno infiammato la vita dell’autore”. In breve: è in atto<br />

il tentativo di affondare il Cristianesimo nelle imposture della pederastia politicamente<br />

corretta.<br />

L’opera di Pasolini è dunque una metafora del comunismo nella fase “ultima” e<br />

mistificatoria: sarebbe interessante esplorare le suggestioni iniziatiche (di stampo<br />

marcionita) che ricorrono nelle pagine più “alte” della sua opera. In Pasolini le illusioni<br />

ideologiche si convertono ai consolamenti del vizio approvato dal potere. E dalla<br />

protervia: mentre san Paolo scriveva con la mano deformata dalla fatica, Pasolini<br />

pubblicava, ricevendo compensi sontuosi, i suoi scritti “corsari” e le sue parodie della<br />

povertà, nelle colonne di un quotidiano oligarchico. E delle più bieca e fumosa oligarchia:<br />

nel “Corriere della Sera” il comunismo finiva come scienza e diventa religione del potere.<br />

Patria<br />

Amor di patria e amor di palcoscenico<br />

I lampeggiatori lampeggiano, Rutelli romba e sgomma. Lo storico sorpasso è imminente?<br />

Il 13 maggio gli elettori hanno spento la freccia. Ma l’immagine della patria è salva. Forse<br />

salva. Rutelli, ha annunciato con toni solenni, la fantastica decisione di sgominare<br />

Umberto Bossi e la Casa delle libertà cantando l’inno di Mameli.<br />

Un radicale, noto per le battaglie libertarie e pacifiste, che mette l’elmo scipionico e dando<br />

braccio al trio Mastella-Dini-Castagnetti, si dichiara pronto a morire audacemente nella<br />

guerra del 1848 contro l’Austria, è un colpo di teatro, che spezza il respiro della<br />

concorrenza.<br />

La trama psicoanalitica di “Dallas” bussa alla porta della politica italiana. La fantasia non<br />

andrà al potere, ma lo sceneggiatore americano di Rutelli ha dimostrato magnificamente<br />

che il potere della fantasia non conosce limiti.<br />

Nessun limite, eccetto la diversa memoria degli italiani, ai quali un’esibizione canora non<br />

basta a far dimenticare la parte eminente che la forsennata campagna contro l’amor di<br />

patria ebbe nella strategia comunista e radical-chic intesa al sovvertimento della morale.<br />

Una pagina della storia cattolica, che la sinistra di salotto e di sacrestia ha tentato di<br />

rimuovere dalla memoria italiana, contempla, infatti, la strenua e disperata difesa<br />

dell’amor di patria, sostenuta da Nino Badano nell’isolamento quasi totale, in cui era<br />

ridotto dal chiasso anarchico degli agitatori conformisti e dall’omertà dei clericali senza<br />

princìpi.<br />

Nino Badano è stato una delle più limpide figure del Novecento letterario italiano.<br />

Refrattario all’ideologia fascista (e di conseguenza imprigionato e confinato lungamente)


non si lasciò accecare dal rancore e tenne fede ai doveri verso la patria, anche se al<br />

governo stavano i suoi persecutori.<br />

Nella splendida regola dello junior, scritto su commissione dell’Azione cattolica, e<br />

ripubblicata dalla sorella Emilia, Nino Badano scriveva: “Servi la Patria con amore. Non<br />

solo con fedeltà assoluta, non solo con onore immacolato, non solo donando la parte<br />

migliore di te stesso, anche la vita se occorre, questo molti lo sanno fare. Ma tu devi<br />

servire la Patria con amore. E’ molto di più, è infinitamente di più amare che dare la vita”.<br />

Non erano chiacchiere. L’impegno eroico dei giovani cattolici era di vincere la sfida con<br />

l’ideologia fascista dimostrando coi fatti la superiorità dell’amore. Fatti non canzoni da<br />

cantare con Mastella.<br />

Badano dimostrò la superiorità della fede cristiana nei campi di battaglia, dove si<br />

comportò da valoroso, nei campi di concentramento, dove sopportò con pazienta santa, e<br />

nella vita civile, dove si oppose a qualunque chimera ideologica, sempre rischiando e<br />

pagando di persona.<br />

Nominato da Pio XII direttore (“scomodo”) del prestigioso “Quotidiano” cattolico e stretto<br />

collaboratore del cardinale Siri dal 1950 al 1964, fu vittima di un’indegna manovra di<br />

alcuni vescovi progressisti, che, per allontanarlo dal posto di responsabilità, trassero in<br />

inganno due pontefici, Giovanni XXIII e Paolo VI.<br />

Nominato direttore del “Giornale d’Italia” nel periodo della proprietà di Angelo Costa, fu<br />

all’avanguardia dell’opposizione al centrosinistra. Fu estromesso quando, nel 1969, la<br />

Confindustria e la Fiat (scoperta l’utilità del centrosinistra) pretesero e ottennero la vendita<br />

della testata e il licenziamento del direttore.<br />

Nel 1970, quando la nube sessantottina aveva già intossicato l’Italia, Nino Badano era il<br />

primo nella lista degli intellettuali sconfitti ed emarginati. La morale anarchica garriva nel<br />

vento rosso della storia. Sul labaro dei conformisti fiammeggiavano le parole indecenza e<br />

viltà. Ma la sconfitta della dignità cattolica precedeva, nel tempo della speranza vittoriosa,<br />

l’effimero successo della rivoluzione nichilista.<br />

La fede lungimirante di Badano e dei suoi amici poteva presentare in anticipo di trent’anni<br />

il conto della storia reale e domandare ai promotori delle orge pacifiste: “Come sono i<br />

giovani imbottiti di propaganda libertaria e antimilitarista, di disarmo universale, di<br />

liberazione dal bisogno? Sono diventati miti e mansueti? Hanno dimenticato e ripudiato la<br />

violenza? Eccoli questi giovani: le cronache dei giornali sono piene delle loro gesta.<br />

Senza andare ai mostri criminali usciti dai branchi degli hippies ribelli ad ogni legge, a<br />

ogni disciplina a ordine, basta vedere quello che fanno … quando affrontano la polizia<br />

con bombe molotov e armi tutt’altro che improvvisate, con elmi e divise copiate dai film e<br />

dai fumetti che sono i loro breviari”.<br />

Cosa è cambiato negli ultimi trent’anni, se non l’intensità del delirio, che oggi appartiene<br />

solo a un’impunita ma pallida minoranza di replicanti, asserragliati e “fumati” nelle nicchie<br />

sociali senza autore?<br />

Di fronte alla torbida piena del sinistrismo, Badano rivendicava orgogliosamente la dignità<br />

del patriottismo cattolico. Rutelli, l’uomo della sinistra riflussa, che ha conquistato la<br />

notorietà marciando nei cortei della trasgressione e dell’ignavia, è invece costretto, e<br />

costretto da un pubblicitario americano, ad un ridicolo voltafaccia, che lo costringe a<br />

cantare l’inno nazionale per ottenere il consenso dei moderati.<br />

L’esito delle elezioni politiche si conoscerà il 13 di maggio. L’esito della storia culturale è<br />

già annunciato dal canto di rinnegamento, che Rutelli intona, non contro Bossi ma contro<br />

il passato radical-chic, nella speranza di rimanere sul palcoscenico.


Pedofilia<br />

Giri viziosi intorno al vizio<br />

Nella ricerca delle cause, che producono l’orrore pedofilo, i mezzi d’informazione<br />

barbaramente corretti si fermano alla stazione penultima e accusano l’ambiente familiare,<br />

luogo ovvio per l’inizio della perversione raggirante. Purtroppo nessuno osa contrastare la<br />

maestà urlante e terrifica del Luogo Comune per obiettare che l’indicazione dell’ambiente<br />

in cui insorge il male lascia senza risposta la domanda sulla sua causa. E’ desolante<br />

dover ricorre ad esempi come questo, ma l’influsso dell’irrazionalismo “scientifico” nella<br />

cultura televisiva costringe a ricordare che, una volta situato il teatro della malaria nelle<br />

zone paludose, non si è detto niente sugli insetti che iniettano e causano la malattia.<br />

La cultura di massa, costruita e imposta dalle agenzie ideologiche (si pensi ad Aldo<br />

Grasso e alla sinistra dottrina dei talk show, di Blob, del Grande fratello e di Striscia la<br />

notizia), ha la struttura di una kermesse, intesa all’elusione dei veri problemi e alla semina<br />

della stupidità (o stupefazione) totalitaria.<br />

Quasi inavvertitamente i talk show hanno trasformato il dibattito sulla pedofilia in futile<br />

processo alla famiglia, colpevole (tuona lo psicoanalistahillmaniano Umberto Galimberti,<br />

nelle pagine di Repubblica, e gli fa eco Maurizio Costanzo, nel suo desolante talk show)<br />

di non parlare di sesso e perciò di destare i rovinosi tabù.<br />

Sarebbe inutile chiedere ai reucci delle terze pagine e del talk show cosa altro dovrebbe<br />

opporsi alla pedofilia, se non una virtù analoga a quel pudore che Galimberti e Costanzo<br />

bollano con il nome terroristico di “tabù”. Ma il dialogo con la cultura di massa è reso<br />

arduo dall’uso di lingue assolutamente incomunicabili e intraducibili: da una parte la<br />

medicina della virtù cristiana dall’altra la chiacchiera sgangherata. In questi casi non<br />

sembra infondato il timore dei pessimisti, secondo i quali portare i tragici problemi dell’età<br />

contemporanea davanti a “tribunali”, come quelli di Costanzo e di Galimberti, significa<br />

“minimizzarli” e prostituirli alla fatuità organizzata scientificamente.<br />

Il cammino della ragione e della morale, dunque, inizia dalle evidenze, che, di solito,<br />

sfuggono ai magistrati della chiacchiera conformista. Ora la prima evidenza è il simbolo<br />

usato dai pedofili: una scena dell’antica Grecia, che rappresenta la morbosa attenzione di<br />

una adulto per un fanciullo. L’ideologo dei pedofili, inalberandolo, era andato al cuore<br />

ideologico del programma perseguito dalla “categoria”: rivalutare la cultura pagana, che<br />

approvava (in nome del politeismo) le scelte della perversione polimorfa. Sotto il cielo<br />

degli dei plurali abita felicemente una pluralità di teologie e di morali: è questa la<br />

giustificazione che il führer (neopagano) dei pedofili cercava d’imporre ai settori della<br />

nostra società che ancora si dichiarano renitenti. In un certo senso si può dire che il capo<br />

del racket ha inconsapevolmente riscritto il celebre assioma dostojewskiano,<br />

avvicinandolo al vero senso dell’opposizione cristiana alla superstizione politeista: se gli<br />

dei e le verità supreme sono tanti tutto è permesso. Cercate dunque il pederasta<br />

spiritualmente disinibito e troverete il politeista. Identificate il politeista e riconoscerete<br />

infallibilmente il pederasta.<br />

La seconda evidenza è l’odio del pedofilo per la religione cattolica, e per i preti impegnati<br />

nella lotta contro il vizio. Odio “illuminato” dalla coscienza del legame tra la tradizione<br />

monoteista e la morale che proibisce la perversione e il regresso alla vita bestiale. La<br />

storia di Abramo, padre dei credenti e fondatore della civiltà occidentale, è<br />

indissolubilmente connessa con la fine dei sacrifici umani e con la condanna del vizio. La<br />

religione che inizia il suo cammino con Abramo non è un “progetto” separato dalla<br />

razionalità e senza riflessi nella storia “laica”, ma il principio che eleva il vivere civile alla<br />

dignità dell’ordine sacro: “Io l’ho eletto [Abramo] affinché insegni ai suoi figli ed alla sua<br />

famiglia, che verrà dopo di lui, ad osservare la via di Jahve, operando ciò che è giusto e<br />

retto” (Gen., 18, 19).


L’abolizione del sacrificio umano, infatti, significa smascheramento e condanna dei riti<br />

profani, celebrati in onore dello spirito polimorfo, che fu omicida fin dal principio. D’altra<br />

parte la lotta implacabile degli angeli contro i sodomiti svela l’ovvia conseguenza della<br />

rivelazione divina: la perversione polimorfa è abolita insieme con il (menzognero) culto<br />

politeista.<br />

In questa prospettiva storica, appare chiaro che la lotta alla pederastia, condotta con i<br />

metodi psicoanalitici esposti da Galimberti e da Costanzo è perduta in partenza. E<br />

perduta due volte, perché ispirata dal principio d’elusione, che comanda di nascondere le<br />

radici storiche del male sotto gli esausti impiastrini della psicoanalisi galimbertiana e della<br />

chiacchiera profusa da Costanzo e da Platinette, sua spalla.<br />

La terza, ultima e più tragica evidenza è la conclamata impotenza della cultura di massa<br />

ad opporsi alla pedofilia. Nei giorni della scandalo, infatti, l’esteta Giampiero Mughini, uno<br />

fra i più assidui e roventi eroi del talk show scriveva, a conclusione di un lezioso articolo<br />

sul lolitismo, pubblicato nelle pagine di “Panorama” (n. 21, pag. 200): “Gli uomini vivono<br />

attraverso le lolite la bruciante nostalgia della loro giovinezza. … Non verrete a dirmi che<br />

esistono dei confini pericolosi tra il culto delle lolite e la pedofilia. Sarebbe come se uno<br />

prendesse la cifra dei morti per alcolismo e la sbattesse in faccia a chi sta guidando, e in<br />

un calice adeguato, un vino rosso d’annata”.<br />

Mughini è certamente estraneo alla pedofilia criminale. Ma nessun linguaggio saprebbe<br />

declinare, con un’efficacia teatrale superiore alla sua frivolezza mediatica, l’impotenza<br />

della cultura di massa a fronteggiare la tragica esplosione del neopaganesimo e della<br />

pedofilia.<br />

Pio XII<br />

Ritratto di una leggenda nera<br />

Prima di Hochuch, la “leggenda nera” su Pio XII fu narrata dal cattocomunista, Emmanuel<br />

Mounier, il quale, nel 1939, rivolse al clero di Spagna l’accusa di aver provocato la giusta<br />

collera dei comunisti. Un’accusa surreale prima che infame, dal momento che la presunta<br />

“provocazione” dell’episcopato spagnolo avvenne sei anni dopo l’inizio della “democratica<br />

risposta” dei comunisti (incendio delle chiese e massacri di sacerdoti e religiosi).<br />

La cronologia mistica di Mounier, che sposta i monti del passato nelle valli del futuro, è il<br />

modello ideale degli storici comunisti. Il futuro dell’anticlericalismo è stretto nel passato di<br />

una menzogna.<br />

Nell’imminenza della beatificazione è prevedibile l’inasprimento della campagna<br />

diffamatoria contro Pio XII, al quale i comunisti addebitano un colpevole silenzio sullo<br />

sterminio degli ebrei. Si presenta dunque l’occasione propizia a ricordare che la vera<br />

causa dell’avversione a Pio XII non fu il “silenzio sull’Olocausto” ma la denuncia dei delitti<br />

compiuti in Spagna dai comunisti.<br />

Fiamma Nirestein ha avuto il coraggio (per ora solitario) di sollevare il velo dell’omertà<br />

comunista e di rammentare che gli Ebrei (eccetto un’infima minoranza, manipolata dai<br />

comunisti) non sono autori della leggenda nera costruita per infangare la memoria di Pio<br />

XII.<br />

Gli ebrei romani, furono testimoni dell’azione condotta in loro difesa dal Pio XII, nei<br />

confronti del quale nutrirono stima e riconoscenza: lo dimostra l’omaggio del rabbino<br />

Israele Zolli, che, convertitosi alla fede cristiana, assunse il nome di battesimo di papa<br />

Pacelli, Eugenio. Andrea Gaspari, nel saggio “Gli ebrei salvati da Pio XII”, opera<br />

completata grazie al contributo del professore Michael Tagliacozzo, ha peraltro elencato<br />

sia i numerosi e autorevoli attestati di riconoscenza degli ebrei sia le aperte dichiarazione<br />

di ostilità rese da esponenti del III Reich nei confronti di Pio XII.


La diffamazione di Pio XII, in realtà, fu il mezzo escogitato dalla propaganda sovietica per<br />

risollevare la sinistra cristiana, emarginata dal plebiscito del 1948, e renderla complice<br />

della politica comunista. Il “silenzio di Pio XII”, infatti, è un’espressione che appartiene alla<br />

raccolta dei saggi scritti da Emmanuel Mounier nel biennio 1938-1939 e riguarda i fatti di<br />

Spagna. Tradotti da Franco Onorati, quei testi furono pubblicati dalla casa editrice dei<br />

dossettiani, La Locusta di Venezia, nel 1967, quando infuriava la calunnia contro Pio XII.<br />

Il muro di Berlino ha sepolto anche Mounier, cattocomunista talmente estremo da<br />

spaventare perfino Maritain. Ma i testi calunniosi, che egli scrisse negli anni Trenta sono<br />

conservati, per ricordare la stagione (non ancora conclusa) della mano cattolica tesa ai<br />

comunisti.<br />

Ora il bersaglio dichiarato apertamente da Mounier era “il sordido anticomunismo, pieno<br />

di paura e di egoismo, che sottolinea la sproporzione fra la mediocrità che lo sostiene e il<br />

formidabile slancio storico che il comunismo ha provvisoriamente e parzialmente captato”<br />

(L’anticomunismo”, nel giornale “Le voltigeur”, 16 novembre 1938).<br />

Il disprezzo di Mounier per l’anticomunismo, già indirizzato a Pio XI (che aveva<br />

condannato l’ideologia “intrinsecamente perversa”) si tradurrà tosto in un’accusa rovente<br />

contro il suo successore, Pio XII, colpevole di essersi felicitato con i franchisti “che<br />

gettano le bombe sui bambini”, e di averli definiti “la parte sana del popolo spagnolo, che<br />

aveva difeso l’ideale della fede e della civiltà cristiana”.<br />

Consapevole dell’enormità della sua accusa, Mounier metteva le mani avanti: “So quel<br />

che si obietterà: che chiediamo indulgenza per gli uccisori dei preti e gli incendiari delle<br />

chiese …. Come se la rivolta di Franco non avesse creato il comunismo più agguerrito in<br />

ogni parte della Spagna, provocando l’aiuto di Mosca e la riconoscenza di un popolo<br />

generoso” (“Interrogando i silenzi di Pio XII”, nel giornale “Le voltigeur”, 5 maggio 1939).<br />

La tesi di Mounier, secondo cui la rivolta di Francisco Franco aveva provocato la giusta<br />

collera popolare e la deviazione del formidabile slancio storico comunista, è una<br />

spiegazione degna della storiografia staliniana.<br />

Per misurare la menzogna confezionata dal Mounier è sufficiente considerare le date: la<br />

rivolta militare inizia il 18 luglio del 1936, mentre la persecuzione della Chiesa cattolica da<br />

parte dei comunisti spagnoli ha inizio nel 1931 (incendio e distruzione di chiese e<br />

conventi), e nel 1934 (massacri di preti e religiosi).<br />

Uno storico imparziale come il Payne, a proposito dei massacri di sacerdoti e religiosi,<br />

afferma che non furono il prodotto spontaneo della furia popolare (quella che Mounier<br />

sosteneva fosse provocata dalla rivolta franchista) ma “la conseguenza di un furore<br />

praticato da piccoli gruppi rivoluzionari, costituiti per questo compito, con l’approvazione e<br />

qualche volta per iniziativa dei dirigenti delle maggiori organizzazioni repubblicane”.<br />

Davanti a questa scenario cosa doveva fare il papa: approvare i persecutori specializzati<br />

e rimproverare le vittime inermi, che, a corpo letteralmente morto, opponevano resistenza<br />

al magnifico slancio storico dei comunisti? Esaltare lo slancio persecutorio e condannare<br />

la resistenza cattolica?<br />

Mounier, annebbiato dall’ideologia e sconvolto dalla passione servile, rivolgeva a Pio XII<br />

un’accusa analoga a quella che il lupo della favola rivolgeva all’agnello: stando a valle tu<br />

intorbidi l’acqua che io bevo a monte. In altre parole: subendo la mia violenza oggi tu<br />

provochi la reazione che domani giustificherà il mio passato. I fatti del passato sono<br />

accaduti oggi, anzi accadranno domani. La magia comunista, che produce le leggende<br />

nere esige la facoltà di muovere le tre tavolette del tempo sul tappeto del trucco.


Porta Pia<br />

La porta della violenza e dello spergiuro<br />

Radicali e sinistre ondivaghe per punire la Chiesa di Giovanni Paolo II, colpevole di aver<br />

beatificato Pio IX, celebrano l’impresa di Porta Pia. Una vendetta ridicola, che si risolve in<br />

autogol da manuale. L’impresa di Porta Pia, infatti, fu il capolavoro militare di una dinastia<br />

perdente e (perciò) proibita e ostracizzata dalla sinistra. A Porta Pia sono concentrati i<br />

difetti del potere violento, che il salotto radical chic condanna. A parole. Il cuore della<br />

sinistra batte sempre dove il potere forte vuole.<br />

La stremata passione laica agita, nel tremor dello sdegno, le venerabili rughe della<br />

sinistra e fa inarcare le sopracciglia libertarie dei radicali. Squillano trombe e tromboni: 20<br />

settembre, una severa radunata di campioni del reliquario anticlericale celebra, con<br />

orgoglio, la breccia aperta dai Savoia a Porta Pia. Orgoglio di cosa? Dello sparo di<br />

Maramaldo alla crocerossa? Dell’umiliazione inflitta a Pio IX? Dello splendore prussiano<br />

riflesso nell’impunita baldanza di Cadorna?<br />

Un tortuoso concetto della gloria ispira i celebranti di Porta Pia: il rigore democratico e la<br />

fierezza laica, che uniscono le sinistre nel rifiuto dei pallidi e inoffensivi eredi di casa<br />

Savoia, eccitano anche l’ammirazione per l’avo Vittorio Emanuele II e fanno alzare, come<br />

un labaro splendente, la meno onorevole delle non sempre magnifiche imprese sabaude.<br />

Con movimento ubriaco, si fa un passo a sinistra, per oltraggiare il beato Pio IX vinto a<br />

Porta Pia, e un passo a destra, per incensare Vittorio Emanuele II insediato al Quirinale.<br />

Nei libri di storia in uso nella scuola di De Mauro – testi che la sinistra impone per<br />

assuefare la gioventù alla menzogna – il racconto dei fatti che precedettero l’impresa del<br />

20 settembre 1870 è avvolta dai casti fumi dell’elusione. E’ un peccato che i giovani non<br />

sappiano le democratiche meraviglie oggi festeggiate dai radicali e dalle sinistre superstiti<br />

(in nome della non violenza o della solidarietà?)<br />

Sarebbe stato un bel segno di lealtà democratica e progressiva, celebrare, nella<br />

circostanza anche la prima guerra d’aggressione, di pura, immotivata aggressione,<br />

condotta da Vittorio Emanuele contro lo Stato pontificio. Ed eccellente decisione sarebbe<br />

stata l’estensione dell’invito alla festa a Vittorio Emanuele IV e a suo figlio Emanuele<br />

Filiberto.<br />

Ora la guerra rivoluzionaria, programmata allo scopo di umiliare Pio IX invadendo la<br />

Romagna, le Marche e l’Umbria, si concluse, il 18 settembre del 1860, con la battaglia di<br />

Castelfidardo. Il piccolo esercito pontificio, attaccato dalle soverchianti forze piemontesi,<br />

fu sconfitto, dopo essersi battuto con la forza della disperazione. Nella battaglia di<br />

Castelfidardo caddero numerosi combattenti della libertà, venuti dalle contrade italiane e<br />

dalle nazioni cattoliche per vestire la divisa pontifica. Tra di loro il conte di Lamorcière e il<br />

visconte di Pimodan, eroi di una storia dimenticata. I testi d’ispirazione laica e non<br />

violenta non li ricordano, forse perché non combattevano dalla parte che gli storiografi di<br />

sinistra prediligono, quella degli ingiusti aggressori.<br />

Ma il beato Pio IX, nel 1862, ricorderà l’aggressione sabauda con parole che accusano<br />

l’ispirazione eversiva della violenza subita: “Questo rovescio di princìpi, questa studiata<br />

perdita del senso morale e del retto giudizio è quello che affligge il mio cuore più assai<br />

della perdita dello Stato della Chiesa”.<br />

Ma nella storia oggi celebrata dalle sinistre non c’è solo violenza. Anche lo spergiuro e la<br />

frode hanno una giusta parte, che meriterebbe l’odierna celebrazione da parte della<br />

sinistra, che coltiva con ostinazione la memoria a senso unico e obbligato.<br />

Nel settembre del 1864, essendo ministro Minghetti, il regno sabaudo sottoscrisse una<br />

convenzione con l’Impero di Napoloene III, impegnandosi solennemente a non assalire e<br />

a non fare assalire il residuo territorio papale.


Nel 1865, infatti, Garibaldi al comando di un esercito rivoluzionario varcò i confini dello<br />

stato pontificio e si diresse alla volta di Roma. Fu fermato a Mentana dai pontifici<br />

comandati dal generale Kanzler. Ma il mandato garibaldino era tradire la parola<br />

consacrata dai patti solenni firmati da casa Savoia.<br />

Il fatidico 1870, infine. Dopo la sconfitta di Napoleone III da parte dei prussiani a Sedan,<br />

l’assistenza francese allo Stato pontificio venne meno. I Savoia non lasciarono passare<br />

l’occasione di tradire la parola data e di salire sul carro dei vincitori. Vittorio Emanuele II,<br />

imitando la logica canagliesca di don Rodrigo, indirizzò una lettera untuosa a Pio IX, per<br />

invitarlo a mettersi sotto la protezione dell’esercito piemontese: “E’ indeclinabile necessità<br />

per la sicurezza dell’Italia e della Santa Sede che le mie truppe, già poste ai confini,<br />

s’inoltrino ad occupare quelle posizioni che sarebbero indispensabili per la sicurezza della<br />

Vostra Santità e pel mantenimento dell’ordine”. Essendo l’offerta rifiutata sdegnosamente<br />

da Pio IX, il 20 settembre 1870, il generale Cadorna, aprì una breccia nelle mura di<br />

difesa, ed occupò Roma.<br />

L’ordine regnò a Roma, come non previsto dal copione democratico e non violento.<br />

L’ordine, il potere, l’inganno, la violenza, la faccia oscura della storia umana. Alla sinistra<br />

radical chic non rimane proprio altro che dichiarare la festa della guerra d’aggressione.<br />

Progresso<br />

Un’idea cristiana<br />

La nozione di progresso è accessibile soltanto per la via della metafisica razionale, che<br />

dimostra l’esistenza di Dio, modello eterno della perfezione, alla quale la creatura deve<br />

adeguarsi progredendo. In accordo con le verità teologiche attinte dalla ragione, San<br />

Tommaso d’Aquino ha definito magistralmente la natura del progresso: avanzamento<br />

dell’umanità per gradi, dalle cose imperfette a quelle imperfette. “Humanae rationi<br />

naturale esse videtur ut gradatim ab imperfecto ad perfectum perveniat” (Summa theol.,<br />

Ia IIae, q. 97, a 1).<br />

Estraniata dalla metafisica, la nozione di progresso non ha più una ragione e si smarrisce<br />

nel vicolo cieco dell’immanentismo, dove infuria il problema di avviare il moto senza<br />

l’intervento del motore. La storia del progressismo ateo, infatti, consiste in quella magia<br />

da palcoscenico, che simula l’estrazione della sovrabbondanza dal deficit, della totalità<br />

dal frammento, per giungere alla rappresentazione della beatitudine derivata dall’inferno<br />

sovietico.<br />

L’ultima stazione del progressismo è la filosofia di Nietzsche, il quale, dopo aver tratto le<br />

debite conseguenze dall’assioma ateo (“non crederei in Dio neanche si mi fosse<br />

dimostrato”) mise fine allo spettacolo sostituendo l’idea di progresso con l’incubo<br />

dell’eterno ritorno dell’identico.<br />

Esclusa la perfezione increata, oggi l’ideologia progressista affonda nel totalitarismo della<br />

dissoluzione. Immerso nel crepuscolo del comunismo, Umberto Galimberti dichiara che<br />

“Le vere religioni incontrano l’uomo presso il tempio, nell’orgia dionisiaca, nei misteri<br />

eleusini, nelle arene lorde di sangue e brandelli di carne”.<br />

Le suggestioni arcadiche, che arroventano la scena del capovolto progressismo, risultano<br />

indecifrabili se non è riconosciuta la trasformazione del devastatore “positivo” di Hegel e<br />

Marx (l’operaio che distrugge l’esistente per instaurare il mondo nuovo) nel nichilista<br />

disperato (l’uomo adeguato all’eterno ritorno, il distruttore negativo, che si rovescia<br />

nell’orgia sanguinaria).<br />

La tesi di Gehlen, Kojève e Bataille, gli autori che collocano la metafisica nichilista al<br />

seguito dell’hegelismo e del marxismo, aveva peraltro anticipato il destino fallimentare del<br />

progressismo ateo. Dopo l’ingresso di Bataille nel “pantheon” della sinistra culturale,


nessuno mette seriamente in dubbio l’essenza irrazionale e regressiva dell’ideologia<br />

moderna.<br />

Nel 1947, quando Horkheimer e Adorno pubblicarono “La dialettica dell’illuminismo”, il<br />

suicidio della modernità era già certificato. Oggi la dirompenza delle suggestioni<br />

regressive, che proliferano sulle rovine del moderno, si può dedurre dagli scritti di<br />

Geminello Alvi, autorevole cattedratico di economia, ex segretario della Banca d’Italia,<br />

pensatore selvaggio formato alla scuola esoterica dell’escandescente Rudolf Steiner ed<br />

elevato da Roberto Calasso all’onor del salotto intellettuale.<br />

Nel “Corriere della Sera” (quotidiano già in odore di Ballo Excelsior, ed ora indaffarato a<br />

rivestire le più incontrollate farneticazioni decadenti con le seriose flanelle “fumo di<br />

Londra”), Alvi disegna il torbido scenario di un’alleanza nazi-eco-anarchica da<br />

sottoscrivere nel nome furente del regresso moderno.<br />

All’affermazione della necessità di associare l’effervescenza criminogena dei neonazisti<br />

(che sopravvivono nelle profondità del vasto margine psichiatrico “liberato” da Basaglia) al<br />

teppismo del popolo di Seattle, Alvi giunge dopo un fulminante ragionamento:<br />

l’ambientalismo è contro il progresso, il nazismo aveva una vocazione regressista,<br />

dunque i verdi (“senza tabù”) devono assumere il compito di recuperare alla loro causa<br />

tutti i marginali che sono affetti della sindrome nazi: “Gli sparuti ambientalisti di sinistra<br />

rimasti in parlamento o trovano qualche sponda a destra oppure il loro disastro diventa<br />

quello di tutti”.<br />

Ora il “disastro”, secondo l’apocalittica ideologia di Alvi, consisterebbe nello sviluppo<br />

compatibile, sostenuto saggiamente dal presidente Bush. In alternativa al piano<br />

autenticamente progressista della destra americana, Alvi propone (tanto per cominciare)<br />

“la conversione al biologico di almeno il 20% dei consumi”. Alvi non ha inibizioni e perciò<br />

non esita a svelare il pensiero soggiacente al “cauto” programma: “Implicherebbe in<br />

agricoltura una diminuzione di quell’indice principe che, ci hanno abituati a pensare, deve<br />

crescere sempre perché ci sia progresso: la produttività del lavoro”.<br />

Ora non c’è dubbio che ridurre drasticamente la produttività del lavoro agricolo significa<br />

assestare un colpo micidiale allo sviluppo e al benessere diffuso. Il tenore di vita si<br />

abbasserebbe ai livelli sperimentati dagli italiani del Nord durante il tragico inverno del<br />

1944, quando l’incalzare degli eventi bellici, riducendo la disponibilità dei concimi chimici<br />

e degli antiparassitari, fece retrocedere l’agricoltura a livelli prossimi al mitico biologico.<br />

Chi conserva la memoria di quei giorni non può non indietreggiare spaventato davanti alla<br />

proposta “austera” di Geminello Alvi.<br />

Per un caso del tutto fortuito, il giorno successivo alla pubblicazione dell’editoriale di<br />

Geminello Alvi, Rai3 ha mandato in onda una puntata del programma “Educational”,<br />

durante il quale il filosofo cacciariano Giuseppe Cantarano, dopo aver sferrato un attacco<br />

inconsulto alla bonifica delle paludi, ha mostrato il vero volto dell’ideologia verde<br />

sciogliendo un inno ai mestieri arcaici, che fiorivano in margine all’acqua putrida, i<br />

“ranocchiari” ei “lumacari”, ad esempio. Mestieri infelici e usuranti, opposti, dopo un<br />

“lucido” slittamento nella farneticazione anti-umanistica, al lavoro tecnologico<br />

nell’agricoltura e nell’industria avanzate.<br />

A questo punto si può spalancare la finestra sul delirio arcadico, per contemplare lo<br />

scenario depresso che gli ideologi verdi, e con loro l’economista ineconomico Alvi,<br />

sognano febbrilmente: la de-meccanizzazione (“ranocchizzazione” e “lumachizzazione”)<br />

dell’agricoltura e la ruralizzazione degli addetti all’industria.<br />

Il risultato sarebbe una fortissima riduzione di tutti i prodotti, quindi una vera e propria<br />

carestia. In un breve giro di mesi, assisteremmo ad una catastrofe di portata cambogiana.<br />

Il progressismo ateo, rovesciato nell’indifferenza pagana, propone, quasi fosse una<br />

bucolica delizia, l’indimenticabile scenario di miseria che Augusto Genina ha ricostruito<br />

nel film “Cielo sulla palude”.


Senza ritegno, Alvi svela la paternità del pensiero eco-regressista: “Se generalizzata<br />

davvero, l’agricoltura biologica genererebbe, per logica qualche forma di nuova<br />

ruralizzazione. Ma è stato questo il mito delle destre più imbarazzanti: di Hitler e delle<br />

vegetariane SS”. Occorre aggiungere, per completare il quadro, che la ruralizzazione<br />

selvaggia era il mito ispiratore delle imprese sociali di Pol-Pot, l’eco-tiranno che eliminava<br />

i portatori di occhiali per assicurare alla Cambogia un avvenire libero dalla scienza e dalla<br />

tecnologia occidentali.<br />

Il discorso squisitamente nazi-pol-pottista di Alvi suona come un chiaro appello lanciato al<br />

fanatismo della destra marginale, affinché si unisca al furore della sinistra anarcoecologica.<br />

Quando si conosce la piramidale stupidità degli intellettuali estremi, quelli di<br />

destra nutriti da Evola, Nietzsche, Heidegger e Guénon, quelli di sinistra infiammati dal<br />

rock marcusiano, dalle serenate psicoanalitiche e dalla marcia funebre cacciariana -<br />

quando è stato misurato il volume ingente delle sconvoltezze dialoganti sotto l’ala nera di<br />

Cacciari, si deve riconoscere che l’alleanza dei due furori regressivi – quello degli eredi di<br />

Hitler e quello degli eredi di Pol-Pot - è possibile. Drammaticamente possibile. L’efficacia<br />

alchemica delle formule culturali studiate dal salotto è peraltro collaudata, come si evince<br />

dalla considerazione della felice unione artificialmente costituita tra il pauperismo della<br />

sacrestia deragliata e i marciatori progressisti.


R<br />

Reazione<br />

Reazionari<br />

Requiem<br />

Rivoluzione francese<br />

Rivoluzione italiana<br />

Risposta<br />

Rosemberg<br />

Reazione<br />

Gómez Davila, figura della reazione in gabbia<br />

Per chiarire l’idea di una destra ispirata ai veri princìpi cristiani è necessario svelare il<br />

fondamento reazionario, sul quale regge sia l’assolutismo antico che il totalitarismo<br />

moderno. Il contributo decisivo, che Francisco Elias de Tejada ha dato allo sviluppo<br />

dell’autentico pensiero di destra, consiste infatti nell’aver confutato e rimosso il<br />

pregiudizio, difeso dalla cultura di stampo borbonico, che opponeva l’assolutismo al<br />

totalitarismo.<br />

L’espressione “destra”, infatti, è usata per la prima volta alla fine del XVIII per significare<br />

la collocazione degli oppositori alla secolarizzazione del clero, programmata da quella<br />

rivoluzione giacobina, che aveva portato alle conseguenze estreme la tendenza<br />

dell’assolutismo borbonico a separare la Chiesa di Francia dal Papato per asservirla al<br />

regno.<br />

La destra delle origini si opponeva al partito rivoluzionario, che riprendeva ed esasperava<br />

il programma dell’assolutismo gallicano, inteso a contestare il papato e ad usurparne il<br />

potere. Questo significa che la vera destra combatte la falsa “rivoluzione” anche per i suoi<br />

non trascurabili aspetti codini e reazionari e rifiuta l’illusoria “reazione” perché il cuore<br />

antico, “ghibellino”, del pensiero in parrucca - la supremazia del potere secolare sul<br />

potere spirituale – si rovescia senza difficoltà nella rivoluzione laicista.<br />

Capire l’origine della vera destra significa uscire dai dogmi della volgata storiografica, che<br />

un tempo si diceva progressista, e però riconoscere che l’ispirazione cristiana della<br />

politica è la sola alternativa al nodo illiberale costituito dalla convergenza dell’assolutismo<br />

antico nel totalitarismo moderno. In ultima analisi: il pensiero della vera destra comincia<br />

quando sono evidenti la parentela stretta di Luigi XIV ed Hegel e la continuità<br />

dell’assolutismo nella rivoluzione totalitaria.<br />

A destra non tutti hanno chiara la continuità dell’errore assolutista nell’errore totalitario e<br />

perciò alle “mani sapienti” risulta facile seminare le suggestioni che fanno prosperare le<br />

idee ultime della modernità nel campo acritico della nostalgia reazionaria. Nei settori della<br />

destra reazionaria si assiste perciò alla paradossale e sconcertante esplosione di un<br />

nichilismo arbitrariamente intitolato all’Antimoderno.<br />

Il nichilismo reazionario, nato nello “splendore” profano del boudoir, tra nobili parrucche e<br />

spietati frustini, ultimamente fluttua nei gemiti spiritualisti e aristocratici, stampati sui<br />

cartigli color pastello, che la casa surrettizia Adelphi produce in concorrenza ai dolci<br />

sospiri di un cioccolatiere perugino.<br />

L’involuzione spiritualista è un destino, in marcia con il pensiero del nulla dopo che il<br />

“flaneur” Nietzsche ha sollevato le carnali dissolutezze sadiane agli astratti voli di Dioniso.


D’Annunzio fece un passo avanti nella direzione dell’esito tombale, celebrando l’amor<br />

profano con i sacri paramenti neri. Guido da Verona cantò l’estenuazione totale del<br />

dannunzianesino. Infine uno spiritista degli anni tardi esplorò (a tavolino) i territori<br />

dell’oltretomba.<br />

Solo gli anziani ricordano l’antefatto dell’avventura adelphiana: negli anni Trenta, godette<br />

di prestigio mondano un freddurista torinese, che firmava, con uno pseudonimo squillante<br />

e intrigante, Pitigrilli. Scosso da un perpetua ridarella, che gli impediva di prendere sul<br />

serio l’esplosione della quisquilia nella filosofia, il freddurista era capace di scrivere<br />

duecentoquaranta pagine per dimostrare, in immaginario dibattito con la regina Elena,<br />

che il pollo non si porta alla bocca con le mani ma con la forchetta virtuosa. Inoltre Pitigrilli<br />

pubblicava saggi di varia intrepidezza esoterica, ad esempio “Cocaina”.<br />

Nel secondo dopoguerra Pitigrilli, ammosciato dalle personali disavventure, si convertì<br />

allo spiritismo da tavolino e, anticipando il mistico successo di Elémire Zolla, Roberto<br />

Calasso e del mago torinese Rol, si diede alla scrittura di articoli medianici, in bilico tra<br />

piste di cocaina e polli in punta di forchetta. (Per gli studiosi di cose bizzarre ricordiamo<br />

che negli anni cinquanta gli articoli pitigrilleschi apparivano ogni mercoledì nelle pagine<br />

romane della “Tribuna illustrata”).<br />

Il cerchio nichilista finalmente si chiude. Pitigrilli dopo Pitrigrilli, e dopo Pitigrilli il<br />

contraffatto spiritualismo. Pubblicato dall’immancabile Adelphi, esce in Italia, “In margine<br />

a un testo implicito”, il capolavoro del colombiano Gómez Davila.<br />

A comando (iniziatico?) il parco degli scriteriati di destra mette il naso di cartone e giubila.<br />

L’autore del catechismo neoreazionario “De Rege”, Giovanni Cantoni, in quarantasette<br />

colonne di piombo neodestro, almanacca un tortuoso calendario di viaggi transoceanici,<br />

dove è annunciata la pia dottrina del Terzo Millennio: ex Bogotà lux. Si presenta una<br />

triade: l’allucinazione (lux), i viaggi e i viatici colombiani.<br />

Ad ogni modo Cantoni spiega che la dottrina del colombiano, volante da un oceano di<br />

saggezza all’altro, è costituita da pensieri brevi e folgoranti (nel testo si parla – con<br />

terminologia quasi farmaceutica - di “corroborante ed energetico spirituale”) a margine di<br />

una monumentale (trentamila volumi) biblioteca.<br />

Biblioteca monumentale senza dubbio. Pensieri corroboranti ed energetici lo dice il<br />

farmacista. Chi si esalta con l’apologia demaistriana del boia può esultare anche col<br />

prodotto della cultura colombiana. Ma spirituale?<br />

Gómez Davila è un Pitigrilli senza sorriso, che si è fermato alle soglie medianiche dello<br />

spiritismo. I suoi aforismi sono goffe metafore abbaiate in un trombone di latta. Ad<br />

esempio: “Dopo aver screditato la virtù, sentenzia il dotto colombiano, questo secolo è<br />

riuscito a screditare anche i vizi. Le perversioni sono diventate parchi suburbani<br />

frequentate in famiglia dalle moltitudini domenicali”. L’immagine è dettata dall’aristocratico<br />

disprezzo per la plebe (“la presenza politica delle moltitudini culmina sempre in<br />

un’apocalisse infernale” si legge in un altro prezioso aforisma) e dall’ammirazione per i<br />

godimenti controrivoluzionari, che si consumano nei giardini esclusivi dell’oligarchia (“Tra i<br />

moderni succedanei della religione forse il meno abietto è il vizio”). Sugli aristocratici<br />

succedanei della religione non ci sono dubbi. L’agitio dei frustini si vede ad occhio nudo.<br />

Ma dove si trova la spiritualità?<br />

Nel testo gomezdaviliano appaiono anche ossimori tragicomici, da recitare con la<br />

mascella contratta dallo spasimo ipocondriaco. Ad esempio: “Grande scrittore è quello<br />

che intinge in inchiostro infernale la penna che strappa dall’ala di un arcangelo”. Passi la<br />

stupidità del paragone. Passi il fracasso retorico. Ma chi è l’arcangelo spennato?<br />

Giovanni Cantoni? E il grande scrittore? Buttafuoco?<br />

E dopo gli ossimori il colombiano sciorina pensieri acrobatici, che procurano i brividi del<br />

salotto reazionario: “Chiamiamo filosofia la logica del discorso che ha per tema l’assurdo.


… Dio è la condizione trascendentale dell’assurdità dell’universo. … Dio stesso è l’autore<br />

di certe bestemmie”.<br />

Nessun cioccolataio svizzero mescolerebbe i suoi prodotti con simili cascami del<br />

repertorio pitigrillesco. Cantoni, invece, attribuisce al pensatore colombiano la carica<br />

ideale di ammiraglio della fede reazionaria, che ritorna in Europa dopo il bagno nella luce<br />

di Bogotà. Tanta ingenuità ha una spiegazione. Infatti l’editore di Gómez Davila è quel<br />

Roberto Calasso, che, nelle pagine del quotidiano illuminista “Repubblica”, Pietro Citati,<br />

adulatore vaselinoso, definisce “belva morbida sinuosa, pericolosa, insidiosa … che<br />

insegue e odora dovunque … un gatto che con piccoli, tenui colpi di zampa attrae i suoi<br />

topi, le sue vittime”. Le vittime-topi sono i lettori dei libri adeplhiani. Sospendiamo il<br />

giudizio sull’immaginazione di Citati: belva morbida e sinuosa potrebbe essere la cantante<br />

Milva (detta, per l’appunto, pantera di Goro) piuttosto che il solenne e cupo Calasso. Le<br />

parole di Citati tuttavia interrompono il sogno reazionario: lo separano dalla figura<br />

dell’angelo spennato per precipitarlo in quella del topo squittente tra le zampe della belva<br />

morbida e sinuosa. Milva o Calasso? I corni del dubbio metamorfico riguardano il<br />

reggente Cantoni: arcangelo o topo? Dubbio a parte, nessuna immagine saprebbe<br />

definire con maggiore forza comica il dialogo dell’alta scuola iniziatica con gli apprendisti<br />

stregoni e gli arcangeli scapigliati. O topi in gabbia?<br />

Reazionari<br />

La sinistra paleolitica<br />

La sconfitta dell’economia sovietica da parte degli americani ha costretto la cultura delle<br />

sinistre a dichiarare guerra allo sviluppo produttivo e ai consumi. I giovani contestatori del<br />

G8, ammaestrati dalle anfetamine e scossi dalle omelie dei vescovi in tuta bianca, non lo<br />

crederanno, ma i sovietici, una volta, erano progressisti e lottavano accanitamente per<br />

instaurare la baldoria del consumismo assoluto e gratuito: tutti socializzati, tutti soddisfatti,<br />

tutti felici. Negli anni Sessanta, il buon Nikita Chruscev mise fuori addirittura un opuscolo<br />

profetico, nel quale annunciava un aumento della produzione sovietica tanto miracoloso e<br />

paradisiaco da surclassare e sbaragliare il benessere americano.<br />

L’ultracogitante opuscolo, in Italia, era troppo ottimistico anche per l’imperturbabile Pci e<br />

pertanto fu diffuso a cura dell’ambasciata sovietica. Nessuno vuol calunniare la vecchia e<br />

seriosa nomenklatura del Pci, insinuando che era tentata dall’umorismo borghese, ma il<br />

rifiuto di propalare la notizia della sfida chrusceviana all’America lascia sospettare,<br />

almeno, una deviante ma giustificata paura del ridicolo a futura memoria.<br />

Sta di fatto che, alzato il sipario dietro al quale i sovietici nascondevano le malinconie del<br />

paradiso in terra, l’idea del consumismo prossimo venturo si è rovesciata nel crudele<br />

inferno delle multinazionali americane.<br />

Catastrofe politica chiama catastrofe mentale. La seconda svolta rivoluzionaria ha<br />

persuaso i comunisti a dichiarare la malvagità del progresso tecnologico e la meraviglia<br />

delle comunità sottosviluppate: la città dell’immaginario futuro fu fatta salire sulle palafitte<br />

(di sinistra). Infatti, dopo la rovina dell’impresa consumistica di Chruscev, la rivoluzione ha<br />

incontrato l’umiliante discorso di Spengler sul tramonto dell’Occidente e lo scioglilingua di<br />

Heidegger sull’Occidente come tramonto. Ad un maestro in divisa prussiana è seguito un<br />

maestro in brache tirolesi calate. Infine, nella contemplazione di zia Nietzsche, che<br />

sacrifica le brache al nudismo greco (detto gimnosofia) le folgori dell’antistoria e della<br />

reazione trafissero la trimurti del rosso pensiero (Vattimo, Natoli e Cacciari). Le bandiere<br />

rosse si tinsero del verde teutonico e forestale.


La terza svolta trascinò le sinistre direttamente ai pensieri neomalthusiani (sotto il segno<br />

dello swastika) e all’idea dell’uomo “cancro della terra”. Chruscev e i suoi ingenui progetti<br />

antiamericani svanirono per sempre nelle nebbie del nichilismo hard.<br />

Se ne sono accorti anche quei pensatori cattolici, che hanno viaggiato imperterriti nei<br />

turbamenti ecologici di Bettino Craxi: l’essenza dell’ecologismo è l’avversione al<br />

cristianesimo e all’umanità. L’ideologia del regresso, seguita caninamente fino alle<br />

conseguenze estreme, genera l’incubo giurassico, il desiderio di far scomparire l’umanità<br />

per dare spazio alla natura tenera e feroce.<br />

Dal canto loro, i firmatari del manifesto cattolico contro i pensiero unico, manifesto al<br />

quale si ispira anche Gianni Baget Bozzo, osservano che l’ecologismo radicale “intende<br />

abbattere esplicitamente il fondamento della tradizione giudeo-cristiana, cioè il primato<br />

dell’essere umano e la bontà della sua presenza sul pianeta”.<br />

Segno dell’odio al Cristianesimo (non avvertito dai vescovi fiancheggiatori) è la violenza<br />

animalesca che si sprigiona durante le manifestazioni contro il libero mercato: una<br />

violenza distruttiva che trae pretesto dall’amore per i paesi del terzo mondo, i legittimi<br />

rappresentanti dei quali, invece, si dichiarano favorevoli al progresso e alla<br />

globalizzazione.<br />

Si pone dunque il problema di rivalutare il significato originario dell’umanesimo cristiano e<br />

della civiltà occidentale, che ne è il prodotto. Ora l’illustre giurista Ubaldo Giuliani-<br />

Balestrino, in un saggio (“Il capitalista, questo sconosciuto”) pubblicato per gli eleganti tipi<br />

dell’editore torinese Fògola, dimostra magistralmente quanto sia utile, ai fini della<br />

chiarificazione delle idee, attraversare le contraddizioni della storia moderna e distinguere<br />

l’ispirazione cristiana dello spirito d’impresa dal fomite del capitalismo selvaggio.<br />

Presupposto della ricerca condotta dall’autore è il chiaro giudizio di Giovanni Paolo II, il<br />

quale, nella “Centesimus annus”, afferma risolutamente che lo sviluppo della tecnologia è<br />

“una forma di prolungamento della creazione” e perciò conclude che l’attività del<br />

capitalista è conforme al cristianesimo.<br />

Non a caso l’impresa capitalista splende nell’Italia cattolica del Medio Evo (e non<br />

nell’Europa calvinista, come ingenuamente sosteneva Max Weber): lo spirito d’impresa fu<br />

l’arma che i cattolici italiani usarono per superare l’arretratezza feudale e per liquidare le<br />

suggestioni reazionarie dell’imperialismo ghibellino.<br />

Ma l’uso storicamente felice, che ne fu fatto, non toglie l’origine spuria del capitalismo.<br />

Giuliani-Balestrino, infatti, dimostra che la cultura cattolica concesse libertà troppo ampie<br />

allo spirito d’impresa perché lo giudicava alla stregua di un insostituibile sostegno alla<br />

guerra contro l’invasore islamico.<br />

A fronte di queste libertà fu però necessario inventare un contrappeso giuridico, cioè uno<br />

spietato diritto fallimentare, che contemplava perfino la pena di morte. L’eccesso della<br />

legge fallimentare avvelenò lo spirito d’impresa: “la minaccia del fallimento è diventata<br />

un’ossessione squilibrante” che ha moltiplicato la tensione psicologica, e accentuato i vizi<br />

dell’imprenditore moderno. Si trova qui la vera origine del capitalismo selvaggio.<br />

L’intuizione di Giuliani-Balestrino fa cadere le mitologie complottiste agitate dalle tute<br />

bianche intorno alla malvagità del capitalismo americano (di radice giudaica) ed apre una<br />

nuova e affascinante via di riforma. Questo dimostra la vitalità del pensiero cattolico non<br />

conformista e svela una scenario culturale, che conforta i sostenitori dell’economia<br />

solidale di mercato, mentre sottolinea l’inanità del delirio ecologico e del ribellismo<br />

anarchico.


Requiem<br />

Dal passato d’una chimera al domani del nulla<br />

Sarebbe ridicolo cercare la bianca piuma della colomba umanitaria nell’uovo del serpente,<br />

che ha avvelenato le cronache genovesi intorno al G8. La tragica rappresentazione, alla<br />

quale abbiamo assistito sgomenti, reca infatti la firma della febbre vandalica impastata<br />

nella farina dell’ignoranza e nell’acqua del delirio nichilista. Giovanni Paolo II ha definito<br />

“cultura di morte” l’impasto che ha nutrito quella che il presidente della Repubblica Azelio<br />

Ciampi bolla come cieca violenza contro il G8. Bertinotti e don Gallo, con patetica<br />

ostinazione, si estenuano nella ricerca del confine che dovrebbe separare la rivoluzione<br />

proletaria & la teologia della liberazione dal nichilismo anarchico. In realtà questo confine<br />

non esiste e non è mai esistito, perché – caduto il sipario delle illusioni – è a tutti visibile la<br />

strutturale inutilità cadaverica della rivoluzione.<br />

Don Gallo, il prete che, incurante dell’insegnamento del papa, favorisce gli aborti e coltiva<br />

la canapa indiana, mostra il vero significato del passaggio da Marx a Marcuse: il<br />

sopravvento della gratuità surrealista e della spiritualità psichedelica sulla rivoluzione<br />

proletaria. Non c’è niente di proletario nell’aborto e nella coltivazione della droga,<br />

squallido inseguimento dei tradizionale vizio dell’oligarchia.<br />

Chiusa la parentesi “scientifica”, alla rivoluzione non rimane che la dottrina di un prete<br />

sceso in guerra contro la vita e contro la ragione. Davanti a questa situazione grottesca e<br />

umiliante anche il minimalismo dei Ds arretra. D’ora in avanti la via del riscatto proletario<br />

si separa dalla via dell’insurrezione nichilista.<br />

La quarta ed ultima fase della rivoluzione moderna, quella che ha prodotto milioni di morti<br />

per tossicodipendenze, aborti, suicidi, malattie sessuali e atti del delirio non si spiega<br />

tuttavia senza riferimento alle radici del “moderno”.<br />

Il nichilismo, furore divampante sotto la parrucca illuministica, ha infatti origine da quella<br />

cupidigia d’irrealtà, che presumeva di sconfiggere il male abbattendo le difese<br />

immunitarie della fede e della ragione. Nel XVIII secolo, il nichilismo ha infatti vestito<br />

l’abito della frivolezza demente, che (con De Sade) esultava, nelle corti e nei salotti, per il<br />

solluchero ottenuto sacrificando la legge morale.<br />

Il fatto è che l’immoralismo, imperversante nelle corti europee del Settecento si trova già<br />

in Spinoza. La chimera panteista, aveva fatto il nido nella commovente illusione di<br />

redimete (“liberare”) l’umanità immaginando un’unica sostanza, dove il male si dissolve<br />

nella contemplazione della divinità di qualunque atto.<br />

L’etica spinosiana aveva una base talmente fragile da non sopportare l’obiezione timida e<br />

rispettosa di Blyenbergh, un dilettante di teologia, il quale fece immediatamente notare<br />

che, dato il pregiudizio panteista, il passaggio dal male alla felicità scendeva<br />

nell’impensabile.<br />

Il risultato apparente della speculazione spinosiana fu l’idea rassicurante, quasi<br />

anestetica, di un mondo sicuro e perfetto, per l’uomo che avesse acquisito la coscienza<br />

del proprio radicamento all’eternità.<br />

Ora la beatitudine fantasticata da Spinoza si rovescia facilmente nel pessimismo radicale.<br />

Infatti Schopenhauer, fervente ammiratore del sistema spinosiano, conservò il pregiudizio<br />

panteistico ma respinse l’ipotesi sulla beatitudine che avrebbe dovuto discenderne.<br />

Quando Schopenhauer contemplò la volontà perversa, che starebbe intera e indivisa alla<br />

fonte di ogni ente particolare, non fece altro che declinare il panteismo di Spinoza senza i<br />

veli della consolazione.<br />

In questa declinazione coerente, l’unica opportunità è offerta dal non essere: la salvezza<br />

si ottiene grazie all’uscita dal mondo, cioè dalla trasformazione della voluntas in noluntas.<br />

E’ questa l’essenza del nichilismo che oggi si squaderna in Occidente.


L’ultimo atto della guerra rivoluzionaria contro la ragione fu il passaggio dal pessimismo<br />

all’ebbrezza, cioè la peregrinazione di Nietzsche dall’India nera di Shiva alla “splendida”<br />

Grecia di Dioniso.<br />

Curiosamente la nozione di eterno ritorno irruppe quando la mente di Nietzche era<br />

affaticata dagli studi spinosiani e sconvolta dall’abuso di oppio. Il drammatico collasso di<br />

Nietzsche è stato ricostruito con puntiglio da un acuto biografo, Johachim Köhlr, il quale,<br />

fra l’altro, cita un eloquente biglietto, nel quale Nietzsche confessa di far frequente ricorso<br />

all’oppio. In fondo al pozzo della delizia oppiacea, ad attendere Nietzsche c’era la luna<br />

della distruzione.<br />

La musica nichilista suonata a Genova con siringhe e spinelli, è appunto il grido di una<br />

malsana gioia, che prepara il più grande dolore: il tramonto dell’umanità. Come si legge<br />

nel “Crepuscolo degli idoli”: “La vita che nell’immolare i suoi esemplari più alti sente la<br />

gioia della propria inesauribilità”.<br />

Rivoluzione francese<br />

La liberté donnée par le droit de conquête<br />

La veridica immagine della rivoluzione francese si trova nella monumentale “Storia<br />

d’Italia” pubblicata dall’editore Einaudi, dove un collega di Camera e Fabietti, Franco<br />

Venturi, insensibile al brusio umoristico involontariamente suscitato dal suo candore, cita<br />

un messaggio del democratico François Cacault: in Italia la libertà sarà instaurata per<br />

mezzo del diritto di conquista - en Italie la liberté sera donnée par le droit de conquête<br />

(Dispaccio alla Convenzione del 14 Ventoso anno II, 4 marzo 1794).<br />

Poiché rivoluzione, nell’immaginario collettivo, sta a significare movimento di popolo,<br />

sembra lecito domandare se la rivoluzione napoletana abbia celebrato i diritti del popolo o<br />

l’antefatto della gloria di Budapest e Kabul: la democrazia messa sulla punta delle<br />

baionette francesi, in attesa di viaggiare sui più sbrigativi carri armati sovietici. Il lapidario<br />

messaggio di Cacault, a detta di Venturi il più intelligente e moderato fra i missionari<br />

giacobini in Italia (chissà gli altri), rappresenta con comica potenza il pensiero che<br />

dominava le menti dei liberatori francesi e dei loro complici italiani. Non si tratta però di<br />

un’opinione stravagante: quasi tutti gli informatori del Direttorio, che preparavano il<br />

terreno alle truppe d’occupazione, inviavano relazioni dove si sentenziava che gli italiani,<br />

corrotti dal dispotismo non erano maturi per la libertà.<br />

Un’ingente selva di documenti d’archivio testimonia lo spirito antipopolare dei giacobini,<br />

calati in Italia per predicare la virtù ed ottenere l’ambito titolo di cleptomani. Il partito dei<br />

virtuosi d’Italia, d’altronde, era formato dalla federazione delle conventicole oscillanti tra la<br />

loggia massonica, il lupanare e la nobile bisca. L’illuminismo e la rivoluzione, a Napoli<br />

come nel resto d’Italia, eccitavano soltanto cuori al crepuscolo ma con mezzi di fortuna.<br />

Di giorno nei giardini dei palazzi, di sera nei raffinati boudoirs, l’oligarchia infranciosata<br />

tentava d’ingannare la noia incipriata fingendo scene d’Arcadia o compiendo sublimi<br />

indigestioni di chiacchiere intorno alla filosofia dei fisiocrati (gli ecologisti da giardino, che<br />

flagellavano i magnanimi languori dei padroni di casa).<br />

La figura più rappresentativa di tali cospiratori fu, senza dubbio, Vincenzo Cuoco, un<br />

pensatore infatuato dai miti della Grecia oziosa e perciò incline a disprezzare la bassa<br />

gente cristiana, obbligata a lavorare. Il suo luminoso pensiero, per quanto riguardava il<br />

popolo, si trova nella sentenza scritta nel saggio “Platone in Italia”: “l’educazione del<br />

popolo va circoscritta entro certi limiti, nel senso che al volgo conoscer le vere ragioni è<br />

inutile, essendo le genuine scaturigini delle cose riservate ai savi, unici depositari del<br />

vero”. Concetto di squisita identità codina, elucubrato da un assidui frequentatore di<br />

palazzi nobiliari e perciò rivoluzionari.


Alla vigilia della rivoluzione immaginaria, celebrandosi l’unione ipostatica di<br />

parrucconismo e giacobinismo, Vincenzo Cuoco otterrà riconoscimenti, onori, denari e<br />

cariche, prima dalla duchessa Frangipane, poi dalla repubblica partenopea ed infine dai<br />

Borboni restaurati. Nel campo rivoluzionario la reazione non è mai in agguato, ma sempre<br />

in atto: nell’atto di raccogliere benefici.<br />

Nel 1799 Napoli assistette alla parodia della rivoluzione popolare, eseguita da un esercito<br />

straniero, arruolato per saccheggiare, come proclamava senza ombra di ritegno<br />

Napoleone, e per rinnovare i privilegi dei reazionari in livrea.<br />

L’esercito rivoluzionario non trasportava le celebrate riforme ma un codazzo di funzionari<br />

fanatici e tracotanti, che distribuivano privilegi al servilismo degli intellettuali di corte,<br />

lasciando agli occhi del popolo solo le ragioni del pianto, cioè la scena di un’ebbrezza<br />

fiscale rapinosa e associata ad incomprensibili e odiosi miti e riti neopagani.<br />

I napoletani, come i sudditi di Pio VI, avendo conosciuto i frutti benefici delle sane riforme<br />

già nella seconda metà del XVII secolo, erano indifferenti se non ostili alle novità<br />

rivoluzionarie strombazzate dai giacobini. Lo ha documentato ampiamente un medico<br />

scrittore, Gianni Ruffo, autore di un pregevole saggio sulle riforme di ispirazione<br />

sanfedista, pubblicato nel 1998 dall’editore calabrese Rubettino.<br />

Il 10 febbraio del 1798,Berthier, comandante delle truppe d’occupazione a Roma,<br />

scriveva al Direttorio per segnalare che fino ad allora (dopo dieci giorni dall’occupazione)<br />

il popolo romano non aveva fatto alcuna mossa in favore della conquistata libertà. Strana<br />

rivoluzione, compiuta nell’indifferenza e nell’immobilità del popolo, che doveva esserne<br />

attore e beneficiario!<br />

Il rivolgimento popolare ebbe invece luogo a Napoli, con amara sorpresa degli illuminati,<br />

orgogliosi di una sapienza, che vietava al popolo rerum cognoscere causas: i lazzaroni,<br />

che un tempo acclamavano Ferdinando IV come loro re, all’arrivo dei francesi del<br />

generale Championnet (20 gennaio 1799) capirono immediatamente da che parte stava<br />

la loro “causa”, insorsero e prese le armi, tennero testa per la durata di tre giorni al più<br />

agguerrito esercito del mondo.<br />

Il centenario della rivoluzione popolare non è celebrato dai progressisti, che disprezzano<br />

la plebaglia e perciò riservano il loro culto all’oligarchia collaborazionista, scesa in guerra<br />

contro i lazzaroni. Ora il sentimento dei “patrioti” schierati con i giacobini si identifica con<br />

la dichiarazione resa dall’ammiraglio Francesco Caracciolo davanti alla giuria che lo<br />

processava per alto tradimento: Ho aderito alla repubblica partenopea per difendere il mio<br />

patrimonio.<br />

La giustificazione di Caracciolo attribuisce un profondo significato alla controrivoluzione<br />

organizzata dal cardinale Fabrizio Ruffo comandante dell’esercito della Santa Fede:<br />

quello di un insurrezione contro lo spirito del secolo “illuminato” e corrotto e contro<br />

l’ondivaga oligarchia che ne custodiva gli osceni segreti.<br />

Rivoluzione italiana<br />

Il paese reale ha spento l’ideologia<br />

La fortuna delle ideologie correva al traino d’una pedagogia assillante, che snocciolava<br />

l’elenco dei rimedi necessari alla correzione dei vizi latini. Vizi cattolici, naturalmente: fare<br />

gli italiani significava rifare i figli della Chiesa. Infatti la refrattarietà ai supremi modelli<br />

della modernità – la garrula Ginevra di Calvino, la Francia della gloriosa cleptomania<br />

giacobina, la magnifica Inghilterra dell’imperialismo selvaggio, la Prussia del militarismo<br />

perfetto, la Germania dello splendore razzista, la Russia della delizia sovietica – ha<br />

procurato all’Italia due secoli di pedagogia martellante e invadente.


Intimoriti e invasi dalla maestà degli argomenti ideologici e militari, gli italiani non osavano<br />

dichiarare che la lezione era sgradita. E se osavano erano immediatamente incriminati,<br />

come narrano luminosamente le storie dei “Viva Maria!”, degli insorgenti antigiacobini e<br />

dei cafoni in rivolta contro gli incappucciati.<br />

Non che la lezione ideologica fosse insipida o disadorna. L’eleganza in cattedra non si<br />

discuteva: quanto a parole le lezioni massoniche erano stupende. Indro Montanelli, ad<br />

esempio, salito sulla vetusta cattedra, rovesciava un fiume inoppugnabile di argomenti a<br />

sostegno della pedagogia. Spiegava come Max Weber riuscì a dimostrare -<br />

scientificamente - che l’Italia, avendo ignorato i magnifici fulgori della riforma luterana e<br />

calvinista, non poté formarsi quella coscienza manageriale che è indispensabile alla vita<br />

moderna. La causa della nostra arretratezza è il papato oscurantista. Ecco perché l’Italia<br />

è un paese arretrato, peronista e quasi berlusconiano. Come si fa contestare un’opinione<br />

risalente all’inconfutabile Max Weber?<br />

Inconfutabile? Molti indizi inclinavano a riconoscere che nel successo strepitoso<br />

dell’azienda-Italia si specchiava, presumibilmente, una dottrina diversa se non opposta a<br />

quella weberiana. Ma dove trovare il coraggio di dirlo a Montanelli, e agli altri solenni<br />

scolarchi del laicismo eterno - Bobbio, Bocca, Biagi, Galante Garrone, la Spinelli e<br />

Benigni - che predicavano a squarciagola il carattere illusorio del successo ottenuto dal<br />

made in Italy? La realtà è reale, ma l’intellettualismo è ideale. Chi osa sfidare l’intelligenza<br />

dei cartesiani, intelligenza pura e separata dalla turpe storia?<br />

Del resto gli apostoli di Montanelli, viaggianti negli scompartimenti della scolastica<br />

ferroviaria, confermavano la sentenza intellettuale della prima classe:<br />

“Volete mettere l’Inghilterra? Ma l’Olanda stessa…”<br />

“Rubattino ha tentato di copiare lo schema della Compagnia delle Indie ma il modello<br />

inglese era inimitabile…”<br />

“E la burocrazia francese? Quando mai l’Italia, caro signore, ebbe una scuola di alta<br />

amministrazione pari a quella francese?”<br />

“E per carità, amico mio, non parliamo della Danimarca”.<br />

“La Danimarca? Una goduria”.<br />

“Quanto a goduria, il Belgio dove lo mettiamo?”<br />

Già. Il Belgio progressista giudicava l’Italia di Tatarella dall’alto del solluchero realizzato a<br />

Marcinelle. I viaggiatori italiani rimanevano senza astratte parole.<br />

Se non che i fatti sono più eloquenti delle parole, specialmente delle parole astratte da<br />

Montanelli. E i fatti si traducono nei numeri, che hanno detto rudemente la nudità di Max<br />

Weber, di Calvino, di Montanelli e di tutti gli ideologi giudicanti.<br />

Le idee volano in alto, i numeri circolano. Il partito intellettuale è un’ottima corazza contro<br />

il pensiero e un velo contro l’evidenza. Il sinistrismo vinse la guerra delle parole ma<br />

cedette al freddo soffio dei numeri. Numeri di fatti, che rivelano un paese reale<br />

competitivo e perfettamente adatto alle esigenze della nuova economia, cioè diverso dalla<br />

diagnosi nefasta del duo Weber-Montanelli.<br />

Sandro Fontana, storico di professione e politologo geniale, mette al bando la bella<br />

chiacchiera e dimostra, solide cifre alla mano, che la spina dorsale della nazione italiana<br />

è costituita da un “popolo sterminato di lavoratori e di produttori, la cui genesi economica<br />

e culturale rappresenta la confutazione vivente dello schema marxista e di ogni forma di<br />

paternalismo sociale" (”La grande menzogna”, Marsilio, Venezia 2001, pag. 201).<br />

L’Italia è entrata nella ristretta cerchia delle potenze industriali perché sospinta, spiegano i<br />

numeri di Sandro Fontana, dalla sua storia cattolica e da una irriducibile volontà di<br />

riscatto. E i numeri disegnano un paese all’avanguardia: cinque milioni di piccoli<br />

imprenditori, cinque milioni e mezzo di lavoratori autonomi, quattro milioni di professionisti<br />

(due dei quali costituiscono la galassia delle nuove professioni).


Max Weber e le sue sgangherate opinioni sul calvinismo, Montanelli e i suoi teoremi<br />

weberiani, i comunisti dietro la coda di paglia weberiana agitata da Montanelli, hanno<br />

perso la guerra dei fatti. Il loro fiume di chiacchiere trionfa nei cieli pneumatici, ma non ha<br />

alcuna parte nella storia del successo italiano. L’Italia reale ha smentito le dicerie della<br />

setta ideologica. Il Novecento è finito.<br />

La pacifica rivoluzione italiana, della quale Berlusconi è solo l’interprete e il notaio, nasce<br />

dalla tenacia del popolo cattolico, dalla sua laboriosità, dalla sua cultura, dalla<br />

lungimiranza delle sue guide spirituali e politiche.<br />

Prima di fare il conto elettorale del 13 maggio è dunque necessario prendere atto della<br />

rivincita della realtà sull’ideologia. Nel conto si devono mettere le imprese di un secolo<br />

cattolico: l’impulso di Leone XIII alla dottrina sociale, l’opposizione eroica di san Pio X e di<br />

Benedetto XV all’inutile strage organizzata dalle cancellerie “weberiane”, il Concordato<br />

del 1929 e la resistenza di Pio XI agli orrori delle ideologie del Novecento, il tentativo, non<br />

del tutto infruttuoso, di abbassare la temperatura ideologica del fascismo, la<br />

testimonianza di Pio XII Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II a sostegno della<br />

pace e la rivendicazione della dignità religiosa del progresso tecnologico. Ma non si<br />

possono dimenticare i contributi di quei politici cattolici, come Enrico Mattei ed Aldo Moro,<br />

che dimostrarono di avere a cuore l’indipendenza della Patria e il riscatto delle classi<br />

deboli. La storica rivoluzione che precede il voto del 13 maggio è frutto della cultura e<br />

dell’azione dei cattolici, che hanno rimandato alla casa dei sogni i due secoli del<br />

fraudolento magistero anti-italiano. Il resto è cronaca.<br />

Risposta<br />

Alla Repubblica dei maghi<br />

“Repubblica”, quotidiano della (ex) sinistra illuminata e giacobina, mette il cappello del<br />

mago e scende in campo per la difesa della rispettabilità di Roberto Calasso. Non è la<br />

prima volta che questo accade: nel recente passato Eugenio Scalfari ha scritto<br />

(genuflesso come prevede la liturgia iniziatica) una recensione dell’imbarazzante “Kâ”, un<br />

libro pornomistico di Roberto Calasso, che, tra la descrizione di un accoppiamento di<br />

principesse sapienti con cavalli moribondi e l’altro, esaltava la teologia arcaica dell’India<br />

shivaita. Adesso Paolo Mauri occupa due intere pagine del prezioso giornale scalfariano<br />

per difendere Roberto Calasso dalle accuse roventi, rivoltegli da alcuni critici, definiti<br />

“balilla dell’Opus Dei”. Chi si trova nella compagnia dei balilla (sognando di riavere l’età<br />

dei balilla) dell’Opus Dei (per l’esattezza: non appartengo all’Opus, anche se considero<br />

l’appartenenza a quell’istituto un titolo d’onore) accusati d’infamia per aver scritto che la<br />

casa editrice Adelphi, adottando i maestri fondatori del nichilismo <strong>postmoderno</strong> (Stirner,<br />

Nietzsche, Bataille, Klossowski, Hillman, ecc.) e gli autori più ridicoli ed equivoci della<br />

(falsa) destra magica e nazi-ecologista (il ciarlatano Guénon, propalatore della grottesca<br />

leggenda di Agharti e lo sgangherato Junger, Heidegger, Lorenz, Eliade, Cioranescu,<br />

Zolla ecc.) ha propiziato la trasformazione della cultura di sinistra nella cultura decadente<br />

e barzellettistica che adesso esplode anche nelle pagine fieramente laiche e progressive<br />

di Repubblica. (Ma cosa non è stata Repubblica?) A tale contestazione cosa replica<br />

Mauri? Niente. Si limita a dire, con iniziatico sussiego, che “una difesa di Adelphi non<br />

avrebbe senso, basta il catalogo con buona pace di Vassallo”. Dovrebbe dire piuttosto<br />

con buona pace del catalogo adelphiano, dove si trovano tutti gli autori imbarazzanti che<br />

ho citato insieme con tanti della stessa risma. La contiguità con un editore magico ha fatto<br />

credere a Mauri che sia sufficiente una battuta, anzi un tocco leggiadro del cappello a<br />

cilindro per far sparire la spazzatura dell’editore sotto il tappeto orientale. Non basta,<br />

invece, e se Mauri crede di aver compiuto la magia, se ha ancora qualcosa da contestare,


me lo faccia sapere: immediatamente gli spedirò una piccola edificante antologia delle<br />

squisitezza visionarie, sessuali (etero-omo-auto & sado-maso) e gastronomiche (inteso il<br />

“senso”, dotto Mauri, o dobbiamo violare la decenza e citare qualche squisitezza<br />

zolliana?) che si leggono nei libri pubblicati dall’editore Calasso.<br />

Ma c’è dell’altro, e dell’altro pesantissimo: gli scittori Calasso e Zolla, nelle pagine seriose<br />

e sontuose del Corriere della Sera, hanno pubblicato (nel 1997) articoli di esaltazione<br />

della pedofilia mistica e dello stupro metafisico. Vuole anche queste carte, il candido<br />

difensore degli adelphiani?<br />

Al dottr Mauri, infine, rivolgo una domandina: perché, quando ha citato il mio articolo sul<br />

Tempo, ha omesso di dire che deploravo un elogio della pedofilia, sfuggito alla preziosa<br />

penna del magister Calasso? E’ poco chic parlare di pedofilia? O è sconveniente<br />

mostrare gli scheletri nell’armadio del padrone? Che fa, dottor Mauri, si vergogna<br />

dell’amico importante?<br />

Rosemberg<br />

Il peccato universale secondo Galli Della Loggia<br />

Nell’intento di ridurre i contestatori del G8 ai sublimi disegni dell’oligarchia iniziatica e<br />

finanziaria, Ernesto Galli Della Loggia ha pubblicato, nelle pagine prospere e sussiegose<br />

del quotidiano di via Solferino, un articolo di fondo, nel quale afferma, con la tranquilla<br />

saccenteria del reazionario, che “quella di Genova non sarà la riunione di otto satrapi<br />

agenti in nome e per conto di un pugno di oligarchie planetarie: sarà invece la<br />

rappresentazione di una civiltà [l’Occidene, inteso come frutto secolare dell’universalismo<br />

biblico] che ha unificato il mondo credendo di padroneggiarne per sempre il futuro”. (“Il<br />

peccato originale”, “Corriere della Sera”, 11 luglio 2001).<br />

La lontana ascendenza religiosa dei princìpi della globalizzazione svela brutalmente<br />

l’incoerenza della rivolta clericale contro i G8 e sottolinea la debolezza del progressismo<br />

religioso, incapace di sottrarsi al cadaverico influsso del Sessantotto. Se non che<br />

l’intenzione di Galli Della Loggia non è indicare la fonte culturale del globalismo, e tanto<br />

meno sottolineare il possibile adattamento dei G8 all’assioma (“oggi il nome della giustizia<br />

è sviluppo”) proclamato da Paolo VI nella enciclica “Populorum progressio” e<br />

continuamente rivendicato da Giovanni Paolo II. Evidentemente persuaso che sia un<br />

errore estendere lo sviluppo tecnologico ai popoli del Terzo Mondo, Galli Della Loggia<br />

nutre un’aspirazione opposta a quella dei cattolici: indicare ai contestatori dei G8 il<br />

bersaglio (la cultura globalizzante - omologante ispirata dal monoteismo biblico e<br />

cattolico) contro il quale, per essere coerenti con le suggestioni confuse che li agitano,<br />

dovrebbero rovesciare il loro risentimento. Non avvicinare la globalizzazione alle esigenze<br />

dell’universalismo ma trasformare il sostegno ai popoli del terzo mondo in contestazione<br />

dei progetti intesi ad elevarli al grado dell’occidente.<br />

La temperatura del furore anticattolico, che altera il pensiero di Galli Della Loggia, si può<br />

misurare considerandone l’associazione con il pregiudizio contro il monoteismo, “che<br />

incarna uno dei progetti di riunificazione-omologazione del pianeta più ambiziosi che si<br />

possano concepire e inevitabilmente, ahimè, anche uno dei più distruttivi”.<br />

La diffusione planetaria del monoteismo, secondo Galli Della Loggia “ha infatti significato<br />

la virtuale cancellazione di ogni sfondo religioso, di ogni struttura di pensiero e di costumi,<br />

di ogni universo antropologico incompatibile con il modello cristiano”. In altre parole il<br />

peccato originale del monoteismo biblico e cristiano è la “distruttività nei confronti delle<br />

diversità culturali”.


In sintonia con i pensatori nazisti, Galli Della Loggia addebita alla fede monoteista la<br />

distruzione delle meraviglie conservate nelle religioni politeiste, vale a dire i culti di Thor,<br />

Baal, Astarte, Iside, Dioniso, Mitra, Shiva.<br />

Galli Della Loggia confessa senza difficoltà l’abbassamento del suo orizzonte culturale<br />

alla nostalgia (squisitamente regressiva) per il politeismo. Su questa linea, però, il<br />

naufragio del pensiero liberal nel brodo di cultura del nazismo è inevitabile. Il nazismo,<br />

infatti nasce quando le fantasticherie nibelungiche di Wagner e le allucinazioni<br />

dionisiache di Nietzsche incontrarono il misticismo malsano e il feroce antisemitismo, che<br />

avevano turbato la Germania tardo romantica.<br />

In una conferenza tenuta recentemente a Torino, il ricercatore G. C. Burlando ha<br />

ricordato il ruolo rilevante che, nella formazione dell’ideologia nazista, ebbe il<br />

tossicomane Dietrich Eckart (1868-1923) l’autore di un saggio (“Bolschevisum von Moses<br />

bis Lenin”) scritto per affermare la necessità di “purificare” la fede cristiana separandola e<br />

opponendola al monoteismo ebraico.<br />

Il delirio teologico di Eckart, che esercitò una forte influenza in Rosemberg e perfino in<br />

Hitler, rappresenta la drammatica vicenda della cultura tedesca, che usò il nome cristiano<br />

per occultare la forsennata insurrezione degli antichi dei, identificati da James Hillman<br />

con le malattie mentali. Ora Giovanni Paolo II, nella riflessione sull’Olocausto, ha<br />

dimostrato che la fonte di questa rivolta è la dottrina eretica di Marcione, secondo cui<br />

Cristo non era figlio del Dio della legge a Mosé ma l’emanazione di una divinità anarchica<br />

e immoralista. Eckart, insieme con Rosemberg, fu l’interprete moderno di Marcione: per<br />

suo tramite il nazismo diventò lo strumento ideale della guerra al monoteismo. La<br />

riapparizione della teologia di Eckart nelle espressioni soffici e circospette del pensiero<br />

liberal non può non destare inquietudine.


S<br />

Sceneggiate<br />

Smog<br />

Solitudine<br />

Sceneggiate<br />

Anarchici neri e anime belle<br />

Prima dell’irruzione buonista, il palcoscenico della sinistra conosceva una sola strategia<br />

politica atta ad evitare l’inquinamento dei pacifici cortei da parte dei facinorosi e dei<br />

terroristi: l’organizzazione d’un servizio d’ordine, preparato ad identificare e pronto a<br />

denunciare alle autorità gli agitatori criminali. Questa strategia, negli anni Settanta,<br />

contemplava, prima di tutto, la seria decisione di isolare i violenti, quindi la rinuncia alle<br />

contorsioni omertose (vale a dire il coraggio che tutti gli storici di onesta memoria<br />

riconoscono all’operaio genovese Guido Rossa, che non esitò a denunciare i brigatisti<br />

rossi), infine i mezzi necessari a far seguire i fatti alle parole.<br />

Declinando l’acqua fresca si potrebbe dire che i mezzi necessari a tutelare l’immagine<br />

pacifica dei cortei si scrivono con molti zeri: l’apparato di controllo, oltre ad implicare un<br />

fede politica salda ed una disciplina totalizzante, atta a impedire le manfrine intorno ai<br />

compagni che sbagliano, esige abbondanza di denaro liquido.<br />

Fuor di metafora: il finanziamento sovietico non c’è più, l’apparato dei Ds è allo sbando, la<br />

fede totalitaria si è dissolta insieme con il modello sovietico, che la ungeva, i trotzkisti di<br />

Bertinotti scalpitano e incalzano. In compenso zeri fino ai quattrocento milioni<br />

avventatamente elargiti del governo Amato, confortavano gli scudi pacifici della<br />

dimostrazione violenta. Il preambolo della tragedia consumata a Genova durante ilG8 è il<br />

finanziamento al Genoa social forum.<br />

Piero Fassino, almeno, ha dimostrato buon senso, revocando la decisione diessina di<br />

partecipare ad una manifestazione insieme con l’incontrollabile popolo di Seattle.<br />

Fassino, presumibilmente, ha seguito un suo filo logico: senza un adeguato servizio<br />

d’ordine nessuno può garantire il pacifico svolgimento di una manifestazione di massa. E’<br />

perciò consigliabile non affrontare il rischio di confondere il partito della sinistra moderata<br />

con gli autori di prevedibili atti di violenza impopolare.<br />

Purtroppo il timore di Fassinosi era pienamente giustificato. Gli ispiratori dei manifestanti<br />

buoni e pii, infatti, hanno seguito il filo logico della tartuferia: “posto come premessa il<br />

soave rifiuto della disciplina totalitaria, noi siamo pacifici, umili e aperti, amiamo<br />

teneramente i poveri, andiamo incontro ai loro bisogni, ed esortiamo i birichini a fare il<br />

bene ed evitare il male. Il ragionamento è finito andate a manifestare a Genova in pace”.<br />

Il gregge di Vittorio Agnoletto e (spiace rammentare l’anacronistica aggregazione cattolica<br />

al Genoa Social Forum) dell’incauto arcivescovo Dionigi Tettamanzi, pertanto è andato in<br />

tutta tranquillità allo scontro. Senza giudizio, ché il giudizio (insegna la teologia della<br />

liberazione) è un’attività ellenistica, dunque politicamente scorretta.<br />

Il governo, assediato dall’untuoso esercito dei buoni, ha fatto la sua parte, abbassando la<br />

guardia e cercando il dialogo con soggetti politici che proclamavano ai quattro venti<br />

l’intenzione di impedire (con la bontà?) lo svolgimento della riunione dei G8.<br />

A due a due, come castagne protette dal riccio, le pelose pecorelle del Genoa social<br />

forum hanno marciato trionfalmente insieme con il prete di strada don Andrea Gallo e con<br />

il leggiadro Bertinotti.


Spunta Fausto, canta Gallo la pecorella monta a cavallo. Pensiero della notte: andate al<br />

galoppo e siate pecore buone. Gli altri, i bricconcelli, sono sotto il controllo delle nostre<br />

ispirate e dolcissime parole. Come i fatti di Genova hanno poi confermato puntualmente.<br />

Narra una delicata leggenda metropolitana che trecento teppisti vestiti di nero, abbiano<br />

turbato la deliziosa manifestazione di trecentomila beati operatori di pace. Domanda la<br />

canzonetta: uno su mille ce la fa? Mille persone piissime e democratiche non sono capaci<br />

di tenere sotto controllo un solo teppista nero? Quale sortilegio paralizzava i mille buoni<br />

opposti al solitario cattivo?<br />

In attesa che don Gallo conduca i suoi mille impediti a Lourdes, per guarire dal disturbo<br />

maligno che li immobilizza, qualcuno si interroga e interroga i filmati: erano solo trecento i<br />

facinorosi? E tutti vestiti di nero? Infatti affollate scene di teppismo (e di teppismo<br />

magnificamente addestrato) se ne sono viste moltissime, ma in esse è apparsa<br />

raramente una sagoma nera. E’ lecito sospettare che i terroristi fossero più di trecento? I<br />

testimoni, le immagini e la logica dicono che i teppisti erano migliaia, ben addestrati e ben<br />

nascosti nella folla pacifica e spensierata. E don Gallo cosa dice?<br />

Il fatto è che, in una manifestazione senza controllo e senza disciplina, la massa pacifica<br />

assume spontaneamente la funzione di proteggere e aiutare i facinorosi. Visti da vicino (e<br />

con gli occhi della sindrome di Stoccolma) i facinorosi sembrano bravi ragazzi, capaci<br />

tutt’al più di birichinate. Terroristi? Teppisti? Non scherziamo, ragazzi: a sinistra non ci<br />

sono nemici. Nemici sono poliziotti e carabinieri,<br />

Gli ispirati dal verbo buonista non sono schizzinosi: le loro mani (debitamente segnate dal<br />

bianco dell’innocenza) sono perpetuamente tese a sinistra.<br />

Alla vigilia dei luminosi fatti di Genova ho incontrato una gongolante e stagionata coppia<br />

di animatori parrocchiali altamente ispirati, che mi hanno fatto entrare nel vivo di una pia<br />

sceneggiata. Ritornavo da un curioso giro negli stand del Genoa Social Forum, ed ho<br />

manifestato alle due anime belle l’inquietudine destata dalla vista delle cose (manuali di<br />

guerriglia, testi nichilistici, volantini anarchici) esposte senza ritegno e delle facce in<br />

splendida circolazione. Mi hanno riso in faccia soavemente: anche loro avevano visitato<br />

l’esposizione dei contestatori e di “strano” avevano incontrato solamente dei bravi giovani<br />

senza cravatta.<br />

La signora mi ha poi chiesto se ritenevo civile e democratico soltanto che indossa una<br />

bella camicia e annoda una cravatte berlusconiane à pois. Per la poderosa pressione del<br />

fosforo i suoi occhi scintillavano quasi lacrimando. Disgraziatamente io avevo al collo una<br />

imbarazzante cravatta a pois, che in quel momento pesava più di un masso. Ah, ah!<br />

Fecero i coniugi carismatici. L’intelligenza trionfava nel suono di un’umiliante risatina.<br />

Mi sono ritirato confuso e disfatto, con la coda fra le gambe. Cosa può obiettare un<br />

incravattato portatore di biechi simboli berlusconiani ai lampi e alle folgori dell’intelligenza<br />

buonista?<br />

L’abbacinante effetto-intelligenza ha funzionato a perfezione anche nelle agitate giornate<br />

di Genova. La principale causa del trionfo terroristico – un morto, decine di feriti, cento<br />

miliardi di danni, la promozione mediatica della città ribaltata in uno spettacolo umiliante e<br />

scostante - è stata l’intelligenza dei carismatici della parrocchia. La ferocia degli estremisti<br />

si può affrontare e con un poco di fortuna anche domare. L’intelligenza dei caudatari,<br />

specialmente l’intelligenza che è benedetta e unta dai vescovi in libera uscita, vola,<br />

trascende e travolge tutti. L’intelligenza della parrocchia progressiva affronta il terrorismo<br />

con l’acutezza ridens che fa sciogliere il nodo delle cravatte berlusconiane. A Genova il<br />

terrorismo si è infatti sciolto in un bagno di folla intelligente, monache scodinzolanti, frati<br />

in anarchica baldoria, campagne suonanti a carismatica distesa. Un concerto utile,<br />

magnificamente utile al partito della ricostruzione brigatista.


Smog<br />

L’ombra dorata del tapiro sull’ecologia<br />

Chi consegnerà il tapiro d’oro agli “ecocabibbi” di Canale 5, ora che la scienza ha<br />

smentito le teorie degli ecologisti intorno all’elettrosmog? Con fede cieca nel mito e con<br />

indeclinabile caparbietà giornalistica, conduttori e inviati di Striscia la notizia avevano<br />

ripetuto il grido anzi l’urlo d’allarme contro i diabolici inquinatori di Radio vaticana.<br />

“Striscia la notizia” ha fatto da cassa di risonanza alle accuse (di omicidio!) che la fazione<br />

delirante del movimento ecologista rivolgeva contro la stazione radiofonica del Vaticano.<br />

Suggestionati e turbati dalla “scienza” di Greggi e Iacchetti, milioni di Italiani hanno<br />

creduto che la Radio vaticana emanasse onde cancerogene.<br />

Tra i credenti nel maleficio papista “scientificamente provato” e denunciato dai cabibbi si<br />

trovava una parte dei ministri in carica nel governo Amato. Alla scuola di Canale 5, e con<br />

eroico sprezzo del ridicolo, alcuni ministri dell’Ulivo si accingevano a spedire un avviso di<br />

garanzia a Giovanni Paolo II. (Ministri da palcoscenico, posseduti dal demone<br />

dell’umorismo oggettivo, stavano scatenando una guerra diplomatica che umilia e<br />

ridicolizza l’Italia).<br />

Gli attori, tuttavia, sono convinti di recitare una parte drammatica. Convocato dal “Corriere<br />

della sera (iniziatica)”, il soave Pecoraro Scanio venne avanti e urlò che il Vaticano era<br />

reo confesso di ecocrimine. L’austero Bordon si accingeva a spezzare le reni del<br />

Vaticano, tagliando i fili della corrente elettrica che alimenta la macchina omicida. La<br />

festosa macchina da guerra era in movimento. Paolo Flores d’Arcais cantava a<br />

squarciagola una canzone intitolata “Vincere!”. Qu’un sang impure arrose nos sillons.<br />

“Vincere?”. Ecco una canzone che ha storicamente menato gramo. Gli scienziati, infatti,<br />

hanno smentito la guerra vittoriosa. Scienziati della parte cui si appella Moretti, quando<br />

supplica “Dicci qualcosa di sinistra”, non biechi complici dell’orrendo sviluppista di Arcore.<br />

Umberto Veronesi, ad esempio: sorridendo ha smantellato le comiche teorie degli<br />

ecologisti intorno all’elettrosmog. Tullio Regge: ha scritto a chiare lettere, nella prima<br />

pagina di “Repubblica”, che i verdi (Bordon, Pecoraro Scanio, la Francescato) narrano<br />

panzane oscurantistiche e che il medioevo barbarico abita a sinistra del sole che ride.<br />

“Repubblica”, a dire il vero, non è la sede appropriata per la diffusione di un discorso di<br />

buon senso contro la follia oscurantista dei verdi. Infatti Eugenio Scalfari e Umberto<br />

Galimberti, in adempimento dei doveri connessi alla loro professione iniziatica, da diversi<br />

anni, usano le pagine del quotidiano illuminista per condurre una feroce campagna contro<br />

la scienza occidentale. Roba da “Corriere della Sera. Evidentemente il professor Regge<br />

non è un attento lettore della “binaria” Repubblica di Scalfari e Galimberti: se lo fosse<br />

avrebbe scelto un'altra tribuna per confutare i verdi. Questo non ha impedito che da<br />

Regge avesse inizio la pioggia di tapiri d’oro che si è rovesciata sul governo ulivista.<br />

A questo punto è lecito domandare: chi esprime l’autentico pensiero della sinistra<br />

schizoide: lo Scalfari ecologista o lo Scalfari scientista? La prima o la terza pagina di<br />

Repubblica? Regge o Galimberti? Veronesi o Pecoraro Scanio? Forse la domanda è<br />

indiscreta: Scalfari non può interrogare Scalfari, dunque nessuno dei due Io (ideologici)<br />

può rispondere.<br />

Certo è che, a questo punto, finisce l’avanspettacolo ed inizia il dramma della sinistra.<br />

Infatti il dilemma scienza o ecologia, rinvia l’Ulivo all’imbarazzante dialettica progressoregresso<br />

e a quella intrigante sviluppo economico-depressione.<br />

Un governo che si presenta agli elettori senza poter dire se ha deciso per lo sviluppo<br />

economico o per l’ecologia è un governo che desta apprensione. Una giustificata<br />

inquietudine, poiché nella storia recente della sinistra, l’ecologismo è stato interpretato,<br />

con coerenza fanatica, da Pol-pot.


Il tiranno cambogiano non aderiva all’ideologia comunista, ma applicava, con ferocia<br />

squisitamente staliniana, i princìpi dell’ecologia. A modo suo Pol-pot è stato un audace<br />

innovatore rosso-verde, che ha indirizzato la via progressista alle desolazioni<br />

dell’economia di sussistenza.<br />

La Cambogia, per nostra fortuna, è lontanissima. Solo geograficamente, però: lo spirito<br />

dell’ecologismo non è un antidoto al pol-potismo. Pol-pot fu plasmato da quegli<br />

intellettuali gauchistes e surrealisti, che programmarono e attuarono la metamorfosi<br />

ecologica e libertina della sinistra. L’anima della sinistra verde è intrinsecamente polpottista.<br />

Tranquilli, tuttavia, Non assisteremo alla fucilazione dei portatori di occhiali, intesi come<br />

conservatori della tradizione culturale e garanti del progresso. Ma potremmo vedere, e<br />

purtroppo già vediamo lo svolgimento di processi di rito cambogiano contro alcuni dei<br />

presidi tecnologici delle legittime comodità e del modesto benessere, spacciati per fomiti<br />

di mostruoso consumismo: l’utilitaria, l’allevamento di bovini, gli inceneritori dei rifiuti, i<br />

telefoni cellulari, le tavole calde della Mc Donald’s. Processi demenziali, e condanne<br />

fulminee, che già producono situazioni grottesche e desolanti: ad esempio la corona di<br />

centrali nucleari intorno all’Italia denuclearizzata dagli ecoterroristi e la fila di treni<br />

ecologici (blindati) per il trasporto della spazzatura italiana verso gli inceneritori tedeschi.<br />

I khmer rossi non spareranno sui portatori di occhiali. Non siamo a quei punti.<br />

Sopravviveremo all’eventuale vittoria della sinistra rutelliana. Ma gli occhiali sono in<br />

pericolo.<br />

Gli occhiali sono utili. Ma il popolo di Seattle ha dichiarato la guerra al vetro e sta<br />

conducendola risolutamente. Il teppista ecologico che fa cadere a pezzi le vetrine, domani<br />

farà abbassare i consumi, tutti i consumi, anche quelli di beni essenziali, come gli occhiali<br />

per i miopi o i presbiti.<br />

L’ecologismo afferma che l’uomo è il cancro della natura, dunque che la salvezza sta nel<br />

contenimento dell’uomo. L’assioma ecologista - meno umanità, più verde – allude agli<br />

scenari del pauperismo. Meno occhiali meno scienza, meno tecnologia, meno consumi,<br />

meno cancro umano. E’ la catena logica del pauperismo.<br />

Non tutta la sinistra è ecologista, naturalmente. Ma come si fa a distinguere l’una<br />

dall’altra? E con quale garanzia il voto elettorale può premiare una delle due anime in<br />

spietato conflitto intorno all’ulivo?<br />

La sinistra non può separarsi dalla sua anima regressiva e pauperista. Regge e Veronesi<br />

sono in grado di confutare le piramidali panzane di Pecoraro Scanio, ma non di<br />

allontanare dalla sinistra l’ombra del medioevo. Veronesi non lo sa ancora, ma la sinistra<br />

“ultima” è già in cammino verso l’economia cambogiana. Ci salverà la zia monaca di<br />

Berlusconi?<br />

Solitudine<br />

Una difficile navigazione<br />

Curioso il dibattito ad armi cortesi, che oppone il rude conservatore Alessandro Maggiolini<br />

al rugiadoso buonista Francesco Alberoni. Il vescovo di Como (per mettere in discussione<br />

il dogma della chiesa indefettibile?) sostiene che la conclusione del pontificato di Karol<br />

Wojtyla è catastrofica: sta sparendo la pratica religiosa, i dogmi perdono di importanza e<br />

viene dimenticato il catechismo. Il guru emerito della facoltà sociologica di Trento,<br />

proclama, invece, l’immortalità del cristianesimo ideale. La fede muore a causa della sua<br />

astrattezza ma risorge sempre perché gli uomini non possono fare a meno dell’illusione.<br />

Sembra di assistere ad un gioco delle parti, dove all’effetto devastante di una suggestione<br />

si aggiunge l’effetto consolatorio della suggestione in apparenza contraria. Maggiolini,


autorevole maestro del pio sospetto indossa i panni del dubbio laico ed annuncia, con i<br />

toni del più nero pessimismo, la disfatta del regnante pontefice: la società si sta<br />

secolarizzando e, se continua così, il Cristianesimo potrà addirittura scomparire dall’Italia.<br />

Giovanni Paolo II non è stato il restauratore, che ha firmato documenti come la<br />

Redemptor hominis, la Splendor Veritatis, la Fides et ratio e la Dominus Jesus, ma il<br />

notaio del tramonto cattolico!<br />

Il tuttologo del “Corriere della Sera” prende però le distanze, ed afferma, in arrampicata<br />

sulle ottave alte di Jovanotti, che il Cristianesimo muore ma non tramonta, perché non ha<br />

lasciato una «Legge» dettagliata, come la Toràh ebraica e la Sharia islamica, ma un<br />

ideale sublime. Dove “sublime” vuole indicare l’utopia bella e impossibile, personificata<br />

dall’idiota di Dostojewskij e, appunto, da Jovanotti, sublime idiota senza Dostojewskij.<br />

E’ evidente che sotto il gioco delle parti (all’arcigno conservatore contro l’autorità del papa<br />

fa eco il rivoluzionario che separa Cristo dalla giustizia del Padre) corre la vena segreta di<br />

quell’irreligione postmoderna, che si riassume nella sentenza da balera heideggeriana:<br />

“solo un dio ci potrebbe salvare”. Non Dio, ma la sua ombra, riflessa in un vago e<br />

oscillante “forse”.<br />

Il vescovo, atterrito, grida che la barca affonda, l’ex maestro sessantottino, cadendo in<br />

estasi, proclama la dolcezza del naufragio cattolico nelle dolci acque dell’irreale.<br />

Entrambi fanno girare (involontariamente? incautamente?) la ruota del mulino disfattista.<br />

Una ruota che esclude i testimoni dell’autentica tradizione cattolica, specialmente quel<br />

cardinale Giuseppe Siri, che aveva denunciato - tempestivamente . l’inganno dello<br />

spiritualismo fittizio, eccitato e trasportato da antichi formicolii antigerarchici e da<br />

collaudati incubi intorno alla malvagità della divina Giustizia.<br />

Il più eloquente esempio dello spiritualismo contraffatto si trova nel proclama estetizzante<br />

in difesa della Messa di san Pio V, pubblicato nel 1966 e firmato da un manipolo costituito<br />

da iniziati ai misteri dell’oscenità, atei dichiarati e laicisti estremi: Raimondo Craveri, Philip<br />

Toynbee, Elena Croce, Salvatore Quasimodo, Elémire Zolla, Cristina Campo, Benjamin<br />

Britten, ai quali si era (inspiegabilmente?) aggiunto Jacques Maritain. A questi signori<br />

nessun problema era più estraneo della difesa della liturgia antica. Tuttavia si lanciarono<br />

nella apologia della Messa di san Pio V (peraltro abbassata al rango generico del “bene<br />

culturale”) nell’intento di arroventare e avvelenare la contestazione cattolica della nuova<br />

liturgia. Risultato raggiunto, come dimostrano purtroppo le ferite inferte all’unità della<br />

Chiesa.<br />

La discussa riforma liturgica del 1966, attuata contro la lettera del Vaticano II, non era<br />

definitiva, come ha riconosciuto implicitamente Giovanni Paolo II (autorizzando la<br />

celebrazione della Messa secondo l’antico canone) ed esplicitamente il cardinale<br />

Ratzinger, che infatti auspica la restaurazione della liturgia tradizionale. L’esperienza del<br />

passato non ha impedito la riproduzione, nel duetto tra Maggiolini e Alberoni,<br />

dell’inquinamento di un dibattito cattolico da parte dei laicisti. Il fatto che le voci del<br />

dibattito siano amplificate da un quotidiano di antica tradizione anticlericale, accresce i<br />

motivi dell’inquietudine e conferma la necessità urgente di una maggiore adesione dei<br />

fedeli al magistero romano.<br />

La fede cattolica è legata strettamente alla “conferma” del Vicario di Cristo. Le fughe nel<br />

passato e le contestazioni devono adattarsi alle circostanze storiche. E oggi le<br />

circostanze sono costituite dalla lotta implacabile che gli “iniziati” ai misteri del sottosuolo<br />

conducono contro il papa polacco, colpevole (ai loro occhi) di aver posto un argine alla<br />

deriva della “cultura di morte”, purificando la Chiesa cattolica dall’odio corrosivo contro il<br />

popolo della Legge.<br />

La linea della fedeltà al Vangelo attraversa infatti le quattro minacce del nichilismo<br />

<strong>postmoderno</strong> alla sopravvivenza del genere umano: aborto, sesso antivitale, droga, delirio


decreazionista (ad esempio l’ecologia inumana, sfoggiata da Adriano Sofri nella<br />

Repubblica del 17 luglio).<br />

Non vedere e peggio svalutare la resistenza eroica che Giovanni Paolo II oppone alle<br />

suggestioni mortifere del nichilismo significa estraniarsi dalla vita cattolica per inseguire le<br />

pulci frivole dell’estetica d’evasione.


T<br />

Terrorismo<br />

Tradizionalismo<br />

Terrorismo<br />

Le radici dell’impotenza a fronteggiare l’eversione terroristica<br />

La vera storia del terrorismo rosso ha inizio alla fine del 1943, quando il musicista Igor<br />

Markevic infiltrò i Gap di Firenze e ne fece il docile strumento della strategia elaborata<br />

dalla frangia deviata (esoterica) dell’Intelligence di sua maestà britannica.<br />

Il fine perseguito dai superiori iniziatici di Markevic, torbido criminale, che sarà coinvolto<br />

anche nella vicenda del sequestro di Aldo Moro, era umiliare e debilitare l’Italia, avviando<br />

la spirale di un odio fratricida inestinguibile. Vero è che l’azione più significativa compiuta<br />

dai Gap fiorentini fu l’assassinio di Giovanni Gentile, un moderato, che adoperava la sua<br />

autorità di filosofo per evitare, per quanto era possibile nella tragica ora della sconfitta,<br />

che gli italiani versassero sangue italiano. L’uccisione di Gentile era funzionale al progetto<br />

di rendere feroce la guerra civile e abbassare l’Italia al rango di una qualunque nazione<br />

balcanica. Un atto vile e insano, che gli iniziati intitolarono alla “sublime perfidia”.<br />

La spia Markevic non è la sola presenza iniziatica nella storia delle sciagure italiane. Un<br />

storico d’alto profilo, Luciano Garibaldi, ha dimostrato che uno speciale settore<br />

dell’Intelligence inglese era costituito allo scopo di sovvertire e devastare l’Italia cattolica.<br />

L’accanimento dei servizi segreti contro l’Italia giustifica il credito che De Felice concesse<br />

all’ipotesi sulle pressioni esercitate da agenti britannici (se non da Churchill in persona)<br />

per ingannare Mussolini e indurlo alla decisione fatale e rovinosa di entrare in guerra a<br />

fianco della Germania.<br />

Il motivo dell’intervento italiano nella II guerra mondiale, è difficilmente spiegabile se non<br />

si ammette che gli inglesi sollecitarono (in qualche modo) Mussolini ad entrare in guerra<br />

allo scopo di far sedere al tavolo della pace il moderatore italiano. In una lettera<br />

indirizzata a Hitler prima dell’offensiva contro la Francia, infatti, Mussolini consigliava<br />

moderazione all’alleato tedesco affermando che l’America non avrebbe mai tollerato la<br />

sconfitta delle democrazie europee, dunque che avrebbe trovato una giustificazione per<br />

dichiarare la guerra all’Asse e ribaltare le sorti del conflitto. (Fatto che si verificò<br />

puntualmente, come è noto).<br />

Alla luce di questa previsione, chiaramente formulata, si deve escludere tassativamente<br />

che Mussolini abbia pensato che la guerra si sarebbe limitata allo scacchiere europea e<br />

conclusa con la definitiva vittoria dell’Asse. Il suggerimento di Churchill o dei servizi<br />

inglesi, anche se non ancora documentato, è dunque l’unico motivo possibile della<br />

dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940. A meno che non si voglia sostenere che<br />

Mussolini, prudente e lucido nel febbraio, sia diventato irresponsabile e precipitoso nel<br />

giugno del 1940.<br />

Ma Luciano Garibaldi, dopo aver dimostrato, sulla base delle testimonianza inoppugnabili<br />

raccolte nel saggio “Vita col duce” edito in Milano da Effedieffe, che rapporti segreti tra<br />

l’Inghilterra e l’Italia fascista rimasero aperti fino al 1945, conclude sostenendo che<br />

“Mussolini fu ucciso da partigiani diretti da agenti britannici di Special Force, i veri<br />

interessati a farlo tacere per sempre, sottraendogli ciò che aveva di più prezioso, la<br />

documentazione della trattative con Churchill”. In tal modo è disegnato lo scenario<br />

iniziatico che fa da sfondo alla storia recente del terrorismo anti-italiano.


Cirino Pomicino, nel “Giornale” del 13 aprile 2001, sostiene invece che il terrorismo<br />

affonda le radici in “una interpretazione deviata della cultura di sinistra, che ha predicato<br />

la rivoluzione e l’abbattimento dello stato borghese”.<br />

Il sospetto che la fonte del terrorismo sia un’abietta agenzia esoterica, come induce a<br />

pensare l’inquietante presenza dell’iniziato (e pederasta) Markevic in due fasi tenebrose<br />

della storia italiana – l’assassinio di Gentile e il delitto Moro – non sfiora Pomicino. Fedeli<br />

a quel principio dell’astinenza dalla cultura, che disarmò De Gasperi davanti a Raffaele<br />

Mattioli, i democristiani non smentiscono mai la loro incapacità di capire gli avvenimenti<br />

prodotta dalla lucida follia degli iniziati.<br />

D’altra parte l’ex statista democristiano dimostra di non vedere il “salto ideologico di<br />

qualità” compiuto dal terrorismo e perciò di essere impotente davanti al fenomeno. Nel<br />

numero dell’Espresso, per una curiosa coincidenza distribuito alle edicole il giorno della<br />

pubblicazione della nota di Pomicino, appare infatti un’inchiesta nella quale si dimostra,<br />

senza lasciare ombra di dubbio, che l’ideologia del nuovo terrorismo è ecologica e non<br />

più comunista. E l’ecologia, guarda caso, ha il suo centro propulsore negli ambienti<br />

dell’oligarchia iniziatica inglese.<br />

Da quale parte sia schierata la redazione “illuministica” dell’Espresso è una domanda da<br />

lasciare a Pomicino. Ma non si può tacere il fatto che l’ecologia, come dimostrano le<br />

magistrali inchieste pubblicate da <strong>Antonio</strong> Gaspari e Massimo Martelli, è il prodotto di<br />

“alte” scuole iniziatiche, dove si miscelano, con sublime demenza, cascami darwiniani,<br />

suggestioni malthusiane, chimere arcadiche, incubi reazionari, furori nazimaoisti,<br />

malinconie comunitarie, e frustrazioni postmoderne.<br />

Quanto al fine delle imprese criminali, il nuovo e più delirante terrorismo non fa misteri<br />

dell’intenzione di colpire il “cancro umano” (l’umanità: traduciamo, per l’uso di quanti<br />

ancora si ostinano a non intendere i messaggi inglesi degli ecologisti d’alto rango)<br />

boicottando e facendo inceppare la macchina della tecnologia.<br />

Rammentare queste verità non significa scagionare i comunisti, che a tempo debito<br />

furono ottimi arnesi della sovversione, ma riconoscere l’evidenza dei fatti: un errore<br />

contrapposto all’errore comunista alimenta la banda dei devastati che, tra uno spinello e<br />

un esercizio ginnico contro natura, si preparano a scuotere le fondamenta della vita civile.<br />

Con la benedizione democristiana impartita dai teologi della morte di Dio, dai filosofi<br />

dell’ostracismo all’intelligenza e dai condottieri della guerra pederastica alla normalità.<br />

Tradizionalismo<br />

L’ideologia mascherata da tradizione<br />

Marcello Veneziani si è lamentato perché il suo pensiero è oggetto di valutazioni<br />

incostanti. In realtà l’incostanza ha sede stabile in un pensiero, il suo, che conduce<br />

l’eclettismo all’incontro con lo stile aereo dei paroliberieri. L’eclettismo di Veneziani nasce<br />

dal desiderio di traghettare nel <strong>postmoderno</strong> la memoria di alcuni autori che gli furono cari<br />

in gioventù, Evola, Nietzsche e Jünger. Impresa disperata, perché in quegli autori, dove<br />

non esplode il delirio, sono sciorinati prodotti buoni per il mercatino delle pulci culturali,<br />

non per gli ambienti della destra evoluta, dove Giano Accame, Fausto Gianfranceschi e<br />

Tommaso Romano indietreggiano spaventati davanti alle pagine verbose e uggiose di<br />

Nietzsche e ai deliri tantrici di Evola.<br />

Tuttavia l’amore per i vecchi e impresentabili libri di famiglia si può capire e perfino<br />

condividere. Amarli, in fondo, non significa condividerli e neppure leggerli, essendo noto<br />

che Veneziani, in biblioteca, non disprezza la vita comoda. Inoltre Evola, pur esponendo<br />

più cose di Adriano Celentano, era brillante, ospitale e simpatico. Perché negargli il diritto<br />

alla buona memoria?


Non si riesce invece a spiegare l’ostinazione con la quale Veneziani tenta di mescolare il<br />

ciarpame con la filosofia seria o addirittura di far passare nel gregge delle pecorelle<br />

filosofiche personaggi (come Alemanno, Storace e Bernardi Guardi) che hanno lo<br />

spessore spirituale dei polifemi.<br />

Infine che senso ha mescolare, con furia da insalata russa, la teologia vichiana della<br />

storia con le elucubrazioni nietzschiane intorno all’eterno ritorno? Scrive Veneziani (“Di<br />

padre in figlio Elogio della tradizione, Bari 2001): “Due concezioni sembrano fondersi<br />

nella visione vichiana: quella lineare di matrice ebraico-cristiana e quella ciclica di matrice<br />

classica e indoeuropea. Vico ricomponeva la romanità, lacerata fra paganesimo e<br />

cattolicesimo”.<br />

Con un’espressione raccolta dalla geometria ginecologica, Veneziani spiega anche l’idea<br />

vichiana di tradizione: si tratterebbe di un cerchio machiavellico che si innalza attraverso<br />

la forma elicoidale della spirale.<br />

Dove ha letto queste cose e dove ha avuto queste visioni, Veneziani? In Vico no di certo,<br />

ammesso che, dopo aver letto le citazioni vichiane in Del Noce, sia anche risalito ai testi.<br />

La “Scienza Nuova”, infatti, è pensata e realizzata proprio per smentire l’antichità pagana,<br />

dalla quale abbiamo ricevuto tradizioni svisate, lacere e sparte. Altro che ricomposizione<br />

di paganesimo e cattolicesimo.<br />

Il significato della filosofia vichiana sta tutto nell’intenzione, più volte manifestata, di<br />

confutare i miti intorno all’età dell’oro e alla sapienza filosofica dei primitivi. Vico aveva<br />

intuito che quei miti avevano nutrito la chimera dilagante nell’apostasia moderna, cioè<br />

l’impulso a rovesciare la storia cristiana in una folle e immotivata rincorsa del passato<br />

meraviglioso – il ritorno alle origini, all’arcadia libertina descritta nelle pagine della<br />

kermesse moderna e realizzata nella barbarie del Novecento.<br />

Vico lo afferma con una chiarezza esemplare, quando distingue la metafisica platonica<br />

dalla politologia mitica di Politeia: “questa tradizione, prendendo Platone di seguito alla<br />

sapienza riposta [filosofica] de’ primi fondatori della Grecia, desiderò con vano disio<br />

questo stato di cose, nel quale i filosofi regnavano, ovvero filosofavano i re" (Scienza<br />

Nuova, 1725, c. II, XIX).<br />

Veneziani non può non sapere che, con questa confutazione dei miti primordiali, Vico<br />

ferisce mortalmente le radici decadenti, regressive e barbare del pensiero moderno<br />

(Hobbes e Rousseau) e quelle del <strong>postmoderno</strong> (Nietzsche, Bataille, Schmitt, Taubes,<br />

Zolla, Cacciari).<br />

Quando si confronta la tesi vichiana con quella di Nietzsche, che (nel “Crepuscolo degli<br />

idoli”, “Quel che devo agli antichi”, 2) compie l’operazione contraria rigettando il Platone<br />

metafisico per quello caduco e perciò oppone gli istinti fondamentali dei primitivi Elleni<br />

all’autentico platonismo (Platone così moralizzato, così cristiano) la reciproca<br />

incompatibilità si manifesta senza lasciar ombra di dubbio.<br />

Appare dunque evidente l’impossibilità di conciliare la tradizione giudeocristiana (che Vico<br />

rivendica) con le proiezioni moderne e postmoderne e neodestre della tradizione pagana.<br />

Nietzsche nega il principio del progresso (“E’ assurdo far rotolare la natura verso un<br />

qualsiasi scopo”), Vico, al contrario, dichiara “la Provvidenza essere l’ordinatrice del diritto<br />

natural delle genti, perché ella è la regina delle faccende degli uomini” (Scienza Nuova,<br />

1744, CV degnità). Le due posizioni non sono mediabili o lo sono soltanto nell’arcipelago<br />

babilonese fantasticato da Cacciari.<br />

L’opera di Veneziani pertanto assomiglia alla recita di quel Fanfulla che rappresentava la<br />

sintesi legando il laccio delle scarpe alla cintura e perciò stava in scena con le gambe<br />

all’aria e il sedere a terra.


U<br />

Umiltà<br />

Il vescovo a una dimensione<br />

Amministrare l’eredità di un grande uomo è un’esperienza fracassante. E’ dunque<br />

doveroso contemplare con compunto rispetto il dramma umano dell’attuale arcivescovo di<br />

Genova, Dionigi Tettamanzi, le cui oneste qualità sono sistematicamente eclissate dalla<br />

memoria di un predecessore, il cardinale Giuseppe Siri, che fu uomo “tremendo” (nel<br />

significato che Platone ha conferito al termine “tremendo” attribuendolo alla paternità di<br />

Parmenide). Siri ha segnato, con gli atti di un magistero indelebile e tremendo,<br />

quarant’anni di dramma ecclesiastico, Tettamanzi naviga pacificamente nelle carte di un<br />

magistero alluvionale, ma senza amici e nemici in ascolto.<br />

Occorre tuttavia riconoscere che il successore del cardinale Siri si comporta con umiltà e,<br />

per evitare la platonica tentazione del parmenicidio, si rifugia umilmente nelle espressioni<br />

della pastorale buonista.<br />

Purtroppo anche l’umiltà, talvolta, prende la mano e trascina i suoi amanti al parmenicidio<br />

vero e proprio: al pensiero a due teste e ad una sola dimensione e al discorso intorno al<br />

nulla.<br />

Non si vuole insinuare che il cardinale Tettamanzi ceda alla moda conformista dei talk<br />

show, ma osservare, con cautela ossequiosa, che, accompagnata oltre un certo limite,<br />

l’umiltà può tracimare nella passione per le cose tremendamente ovvie.<br />

Ad esempio: in una recentissima omelia, pronunciata in vista del G8, il cardinale,<br />

nell’intento (peraltro felicemente riuscito) di scansare la tentazione della superbia, che<br />

suggerisce pensieri acuti e originali, si è gettato nelle sicure braccia dell’umiltà ed ha<br />

dichiarato: “La globalizzazione in sé non è ne buona né cattiva, ma sarà ciò che gli uomini<br />

ne faranno”.<br />

L’umiltà risplende. Ma, in questi splendori, l’umiltà si rivela sposa eccellente per il<br />

soggetto non pensante, flagello per l’oggetto pensato. L’umiltà e la povertà, in questo,<br />

sono simili: convengono alla persona, oscurano il discorso sulla realtà: non è povero colui<br />

che trasferisce la povertà sull’esistente (ad esempio: il promotore socialista della miseria<br />

diffusa) come non è umile colui che umilia l’oggetto del pensiero con la scusa di atterrare<br />

il pensante. Il pensiero è fatto per le cose grandi, dal momento che l’essenza del creato è<br />

la magnificenza.<br />

E’ dunque necessario diffidare dell’umiltà incautamente rovesciata nei pensieri umili.<br />

Trasferita all’oggetto, l’umiltà può diventare una Circe del pensiero, e dettare espressioni<br />

dell’imbarazzante genere tautologico: l’acqua nella pentola non è né calda né fresca,<br />

finché la massaia non decide di bollirla o di conservarla nella temperatura misurata<br />

all’uscita dal rubinetto. Esposti i pensieri sull’acqua, un palombaro dell’essere potrebbe<br />

addirittura rivelare che il fornello del gas, prima dell’accensione era spento e freddo.<br />

Quasi per riscattare la modestia della definizione tautologica, il vescovo Tettamanzi si<br />

lancia audacemente nell’abisso dell’insolito e dichiara: “ E’ necessario trovare i modi<br />

affinché tutte le voci possano esprimersi purché nel rispetto e nel dialogo. L’incontro (il<br />

G8) è diventato un fenomeno culturale di massa”. Il vescovo intende annunciare<br />

vertiginosamente che, intorno al G8, le autorità clericali e comunali allestiranno tavole<br />

rotonde e quadrate per tutti gli esternatori che – nel rispetto e nel dialogo teppisticamente<br />

intesi - si daranno appuntamento a Genova in nome dell’umiltà oggettiva.<br />

Pronostico delizioso, che conferma le certezze oracolari del roseo sindaco di Genova, il<br />

professor Pericu, il quale, avendo dialogato con i contestatori ha stabilito, con assoluta<br />

certezza, quali sono corretti e quali birichini.


Il dialogo, per inciso, ha avuto il seguente memorabile andamento:- Buon giorno, signor<br />

sindaco, siamo il popolo di Seattle, contestatori cioè educati e politicamente corretti. Il<br />

sindaco: Ci sono fra voi teppisti? E i contestatori: Teppisti sono gli altri. E il sindaco: - Chi<br />

sono gli altri? E i contestatori:- Gli altri, è evidente. Cioè i poliziotti. Il sindaco, rassicurato:<br />

Benissimo, sarà una cuccagna. In conclusione il sindaco ospiterà tutti i contestatori<br />

perché sono buoni e a spese dell’erario. L’arcivescovo in solluchero li benedirà. Genova<br />

diventerà sarà l’ultima roccaforte del socialismo reale. Pacificamente, parola dei<br />

contestatori.<br />

Tra una locuzione asettica e uno spruzzo d’acqua fresca, fa capolino l’idea strategica di<br />

sua eccellenza Tettamanzi: tentare il battesimo e l’orchestrazione della protesta, che sarà<br />

inscenata dai nostalgici dell’ideologia. Archiviato il progressismo, fallito l’ecumenismo, i<br />

vescovi postconciliari giocano l’ultima carta: tradurre il messaggio regressista di Seattle<br />

nella blanda e sfinita chiacchiera dei teologi della liberazione depressa (i don Gallo e i<br />

don Balletto, ”sali” effervescenti della curia genovese). Si tratta di un disegno illusorio,<br />

perfettamente adeguato all’asmatico respiro di un pensatore depresso come Valter<br />

Veltroni.<br />

Se non che il Veltroni-pensiero non è sufficiente a nascondere la contraria memoria<br />

dell’ottimismo cattolico, che fu autorevolmente interpretato dal “pacelliano” Giuseppe Siri.<br />

Il pensiero cattolico avrebbe gli argomenti atti ad illuminare il G8, quando fossero messi<br />

da parte i logori arnesi della teologia progressista, con i quali giocano le sacche del<br />

ritardo ecclesiastico.<br />

Il pensiero cattolico, infatti, è la fonte di quell’umanesimo italiano, che ha avviatola grande<br />

avventura dell’Occidente modernizzatore. L’Occidente non è la Cristianità, ma deve la<br />

sua esistenza e la sua natura fondamentalmente benefica al pensiero cristiano, e in modo<br />

speciale alla teologia agostiniana della storia. Senza l’antropologia cattolica e senza la<br />

lezione della tolleranza agostiniana, l’Europa non sarebbe mai uscita dal vicolo cieco nel<br />

quale l’avevano precipitata le invasioni dei barbari e nel quale oggi vorrebbero respingerla<br />

i teorici e gli scalmanati attivisti dell’oscurantismo verde. Se l’ebbrezza ecumenica non<br />

facesse velo, sarebbe facile vedere questa verità storica specchiata nell’arretratezza che<br />

l’Islam ha ricevuto dal pessimismo teologico, dall’integralismo e dal mito della guerra<br />

santa contro l’infedele. Senza l’idea agostiniana della pacifica convivenza delle due città,<br />

senza la teoria che contempla la provvidenziale congiura delle due economie e dei due<br />

amori, l’Europa non avrebbe mai conosciuto la primavera umanistica, rappresentata da<br />

san Tommaso, Dante, Petrarca, Suarez, Vico, Rosmini e dagli altri autori di una<br />

ininterrotta tradizione di pensiero. Contestare l’Occidente in nome del pregiudizio<br />

naturalistico o addirittura in nome della religione della terra, come fa il popolo di Seattle,<br />

significa rinnegare l’eredità dell’umanesimo cristiano, senza dare risposta alle autentiche<br />

istanze dei popoli terzomondiali, che invocano sussidi tecnologici e criteri modernizzatori,<br />

non suggestioni pauperitiche e minestre rivoluzionarie scaldate nella sacrestia<br />

cattocomunista.<br />

La cieca avversione a qualunque ipotesi sviluppista, dopo tutto, umilia la storia luminosa<br />

d’Italia nelle grottesche fantasticherie dei pauperisti di Seattle, che inconsapevolmente<br />

ripetono la ciancia luterana e nazista contro la roccia di Pietro e contro la civiltà di Roma.


V<br />

Verdismo<br />

Compagno asinaro, compagna pastora<br />

I superstiti lettori di Karl Marx (quel barbuto pensatore di Treviri, che nel 1848 pubblicò il<br />

manifesto ritrattato dell’americano Valter Veltroni), ricordano che a fondamento<br />

dell’ideologia progressista stava un rovente disprezzo per la natura incontaminata e per<br />

l’Arcadia pastorale. Marx, per definire la natura quale fu prima dell’intervento<br />

rivoluzionario dell’uomo, ricorreva ad una metafora, che stravolge l’idea di innocenza<br />

primordiale e di stupore contemplante: “la carezza impura dell’asinaro alla pastora”.<br />

L’ingratitudine dell’ateo copriva di disprezzo le meraviglie della creazione.<br />

Il mondo creato, immerso nella natura senza storia, agli occhi di Marx non offriva nulla di<br />

poetico. L’avversione al Creatore era esaltata dalla bestemmia del creato. Il senso della<br />

storia progressista, nella metafora marxiana, aveva origine dalla ribellione di fronte allo<br />

spettacolo della natura.<br />

Infatti il progressismo comunista, nella versione originaria, era dominato dalla volontà di<br />

contaminare, violentare, scomporre chimicamente (alchemicamente) e rifare<br />

industrialmente gli elementi terrestri.<br />

Si può affermare, senza tema di smentita, che il “progetto” fondamentale del comunismo<br />

contemplava la trasformazione del comando biblico (“dominate la terra”) nella<br />

disobbedienza dello homo faber (il proletario) inteso a sovvertire – dissolvere e coagulare<br />

– la realtà naturale.<br />

La rivoluzione marxiana aveva il timbro di quella ferocia innaturale, che Hegel aveva già<br />

intravisto nello sguardo corrusco e iroso del lavoratore-distruttore. La dialettica del<br />

progresso narrava l’avventura “divina” di una collera primordiale, che rifaceva il mondo<br />

per distruggerlo e rigenerare se stessa.<br />

Nell’immaginario del progressismo classico, il mondo nuovo era rappresentato dalle<br />

ciminiere chimiche e dai magli tecnologici, che percuotevano e incendiavano la natura -<br />

questo mondo: la scena dell’immediatezza arcadica - per dissolverlo e coagularlo.<br />

Demolire la realtà e ricrearla a somiglianza del sogno ideologico, ecco il riassunto del<br />

marxismo.<br />

Un ecologista, che fosse apparso davanti a Marx o a un comunista sovietico prima della<br />

svolta sessantottina, avrebbe fatto la figura esecrabile e vituperevole del distruttore della<br />

ragione. Non è un caso che gli eco-romantici, che diedero vita al III Reich germanico,<br />

diventarono grandi e mortali nemici dell’Unione sovietica. La guerra più sanguinosa del<br />

Novecento fu combattuta dagli alfieri di due errori contrapposti e apparentemente<br />

irriducibili: lo scientismo fanatico e il naturalismo neopagano.<br />

Gli ideologi nazisti, traendo le conseguenze estreme dall’ostilità (di Wagner, Nietzsche ed<br />

Heidegger) nei confronti della tradizione biblica, diedero principio ad un neopaganesimo<br />

integralmente reazionario. L’atto di nascita dell’ecologismo, certifica il passaggio<br />

dell’apostasia moderna dal campo contraddittorio dell’umanesimo marxiano a quello<br />

coerente e lucidamente folle del naturalismo nazista.<br />

Costruiti sul comune fondamento dell’apostasia, marxismo e nazismo entrarono in<br />

conflitto a causa di una diversa interpretazione del concetto di progresso come<br />

allontanamento dalla rivelazione biblica: per i marxisti il progresso (ateo) doveva passare<br />

per la via (ascendente) della scienza indirizzata all’umanizzazione della natura, per i<br />

nazisti, invece, doveva percorrere la via (discendente) della scienza inclinata alla<br />

naturalizzazione dell’uomo.<br />

Finalmente gli opposti indirizzi dell’apostasia moderna si ritrovano nella tendenza degli<br />

ecologisti a regredire pacificamente. I distruttori della ragione, inutilmente avversati da


Lukács, i nemici della scienza umanistica hanno perso la guerra e vinto il dopoguerra. Il<br />

marxismo è stato travolto e affossato dall’ecologismo dei c.d. “nazisti rossi”. Benjamin,<br />

Adorno, Marcuse, Bataille e Taubes hanno rimosso Lukács e instaurato il delirio<br />

rossoverde di Richard Wagner e Adolf Hitler e la mistica allucinazione di Rudolf Steiner.<br />

A sinistra adesso regna un pensiero naturalistico, che riduce la via ascendente dei<br />

comunisti alla via discendente e reazionaria tracciata dagli econazisti. Il vero Marx<br />

accompagna la sinistra reazionaria, che ha invertito la marcia del progresso. In questo<br />

scenario si perde l’accento paradossale sul grido – “Bush in sintonia col papa” – scolpito<br />

nel titolo del Manifesto (venerdì 30 Marzo 2001) per sottolineare la convergenza di Bush<br />

con la scelta papista a favore della politica per lo sviluppo economico.<br />

Nella lingua (ormai morta) del progressismo, il titolo sarebbe traducibile così: Bush si<br />

allinea alla dottrina progressista di Giovanni Paolo II. In altre parole: il papa costringe la<br />

prima potenza mondiale a procedere sulla via del progresso. L’oppio dei popoli diventa il<br />

motore del progresso. Una bestemmia, fino al 1968, oggi una dura (e totalmente<br />

incompresa) lezione di storia impartita ai rifondatori.<br />

La verità, sfuggita dal seno del comunismo profondo, è che il baluardo dell’ideale<br />

umanistico di progresso è costituito dal Vaticano. Il tentativo marxiano di rovesciare la<br />

Bibbia è fallito, nel momento in cui il nazismo ritornante ha rettificato il marxismo,<br />

costringendo i suoi epigoni a camminare sui piedi dell’ecologia antiumana.


Scheda bio-bibliografica dell'autore<br />

Piero Vassallo (Genova, 1933), filosofo cristiano, giornalista, scrittore, è uno dei più<br />

eminenti esponenti della destra culturale italiana. Già collaboratore del card. Siri e di<br />

Gianni Baget Bozzo alla rivista "Renovatio", ha partecipato alle più importanti iniziative<br />

editoriali dell'area cattolica non conformista, da "Carattere" a "L'Alfiere", da "La Torre" a<br />

"Traditio", nonché all'attività culturale della Fondazione Volpe e dell'Associazione<br />

Giusnaturalisti Cattolici Filippo II.<br />

Profondo conoscitore di autori quali Agostino, Tommaso e Vico, si è specializzato nello<br />

studio del pensiero del '900, con particolare attenzione alle correnti irrazionaliste,<br />

nichiliste e neognostiche.<br />

Attualmente collabora con il quotidiano "Il Tempo" di Roma e con le riviste "Certamen"<br />

e "Studi cattolici".<br />

Fra la sua più recente produzione saggistica, "L'ideologia del regresso" (D'Auria), "La<br />

memoria del futuro" (Thule), "Pensieri proibiti" (Marco) e "Le culture della destra<br />

italiana" (Effedieffe).

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