Piccolo dizionario postmoderno Figure e ... - Maconi, Antonio
Piccolo dizionario postmoderno Figure e ... - Maconi, Antonio
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Piero Vassallo<br />
<strong>Piccolo</strong> <strong>dizionario</strong> <strong>postmoderno</strong><br />
<strong>Figure</strong> e controfigure del nuovo<br />
In esclusiva per<br />
www.antoniomaconi.it<br />
La consultazione dell’opera è libera e gratuita, ed è da intendersi a uso personale dei<br />
frequentatori del sito e a titolo privato.<br />
Ogni altra riproduzione, totale o parziale, dell’opera, con diffusione a mezzo stampa,<br />
radiofonica o televisiva, è vietata, senza la preventiva autorizzazione dell’editore.<br />
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L’autore e l’editore perseguiranno ogni eventuale violazione dei loro diritti, in base alla<br />
attuali leggi vigenti in materia.<br />
Piero Vassallo<br />
<strong>Piccolo</strong> <strong>dizionario</strong> <strong>postmoderno</strong><br />
<strong>Figure</strong> e controfigure del nuovo<br />
edizione in esclusiva per<br />
www.antoniomaconi.it<br />
aprile 2003
Preambolo<br />
Lo storico che volesse datare l’inizio dell’età postmoderna non potrebbe tenersi lontano<br />
da quella estate del 1943, che fu teatro della rovente polemica tra Jean Paul Sartre e<br />
Georges Bataille intorno al predominio, nelle numerose correnti dell’ateismo<br />
contemporaneo, dei motivi della speranza o della disperazione. Nelle pagine della rivista<br />
“Cahiers du Midi”, Bataille aveva infatti provocato i santoni della sinistra umanitaria<br />
indicando la fatale convergenza dei princìpi della filosofia hegeliana (ancora considerata<br />
“vertice speculativo della modernità”) con le ebbre e devastanti suggestioni di Nietzsche<br />
(in allora giudicato alla stregua di un ispiratore dionisiaco del nazismo). L’annessione<br />
della filosofia di Nietzsche da parte della sinistra moderna costituisce, appunto, l’inizio del<br />
“<strong>postmoderno</strong>”, l’età nella quale Augusto Del Noce ha contemplato l’insorgenza di<br />
un’ideologia di genere inaudito, il “totalitarismo della dissoluzione”.<br />
La consacrazione nietzschiana feriva a morte l’interezza del progressismo ed inaugurava<br />
la stagione delle torbide ambiguità e delle collusioni umbratili tra “sinistra scientifica” e<br />
“destra ludico-mistica”.<br />
Di qui la doppiezza ideologica, che attraverso la rilettura dell’opera anfibia di Walter<br />
Benjamin persuaderà Jacob Taubes ad annettere Carl Schmitt e le altre profondità del<br />
nazismo segreto.<br />
Sarte, che nella figura del pensiero oltre umano credeva di vedere la fonte dell’odiato<br />
autoritarismo, s’indignò. E per difendere l’identità del progressismo dalla contaminazione<br />
di (presunta) destra inventò di bel nuovo la guerra tra il panteismo bianco (l’ateismo della<br />
sinistra razionale) e il panteismo nero (l’ateismo della destra irrazionale e decadente).<br />
Nel fervore della polemica Sartre abbandono ogni cautela “a futura memoria”, e nella<br />
trilogia romanzesca “Le chemin de la liberté” si spinse a tal punto da associare lo stato<br />
d’animo del nazista a quello di un raffinato pederasta. Fu un vero linciaggio: nell’esteta<br />
capovolto, che deambulava da un vespasiano all’altro, gongolando per il maschio<br />
spettacolo offerto dalle sfilate hitleriane a Parigi, si riconosceva la doppia vita di Bataille.<br />
La prosa sartriana affondava il rasoio nel cuore di una sinistra refrattaria alla pederastia.<br />
Ma il duello con Bataille era disperato: come il Sessantotto dimostrerà esaurientemente il<br />
panteismo nero esercitava un’attrazione irresistibile sul panteismo bianco. Herbert<br />
Marcuse, coniugando la rivoluzione ora sul paradigma dionisiaco di Nietzsche ora su<br />
quello tanatofilo di Freud, ha risolto il conflitto immaginario e pretestuoso tra il “bianco” e il<br />
“nero”. La storia delle involuzioni a sinistra infine ha dato pienamente la ragione a Bataille.<br />
Il disprezzo di Sartre però non aveva tutti i torti. Il pensiero e la vita di Bataille erano<br />
esposti ad un’aura viziosa, non indenne dagli influssi nazistoidi catalogati ed approvati da<br />
Benjamin. D’altra parte nessuno poteva negare l’ispirazione omosessuale dell’ideologia<br />
nazista o nascondere il fatto che Hitler prima di ottenere il potere grazie alle S.A., una<br />
milizia di pederasti conclamati e autocertificati, aveva praticato gli ambienti della Vienna<br />
equivoca e bisessuale.<br />
In uno scenario degno della “Caduta degli dei” o di “In exitu”, la pederastia, con la sua<br />
segreta tensione antivitale e con il suo seguito di violenze, è l’ultima spiaggia<br />
dell’apostasia moderna. L’ateismo, deposti gli ammennicoli della scienza illuminata e/o<br />
positiva, si converte alla pura negazione abbandonandosi senza ritegno al travestitismo e<br />
all’orgia sadica.<br />
Qui il non senso promuove l’oscuramento iniziatico della ragione e l’ebbrezza consacra la<br />
caduta della volontà nel gioco inutile e nel furore sacrilego. I testi batailleani più noti,<br />
“L’ano solare”, “La paternità anale”, “Storia dell’occhio”, “La parte maledetta”, sono<br />
semplici variazioni sul tema dell’ateo moderno in cammino verso il nulla, che abita nei<br />
luoghi dell’indecenza.
Infine l’opera teoretica di Bataille, “Il limite dell’utile”, pubblicata dall’editore milanese delle<br />
“squisitezze” crepuscolari, conferma, se fosse necessario, che l’esito necessario<br />
dell’ateismo moderno è la riduzione dell’uomo a cosa da nulla. Il programma batailleano –<br />
trasformare l’economia dell’utile nell’economia del dono – è un espediente retorico<br />
(“dono” è bella e coinvolgente parola, “utile” ha un suono sciatto, “utilitarismo” è un errore)<br />
ma insufficiente a nascondere l’intenzione di abolire anche la più elementare<br />
giustificazione dell’agire umano. L’espressione dal timbro cataro “economia del dono”, in<br />
Bataille significa consacrazione dell’uomo allo scialo e all’eccesso capriccioso, che si<br />
rovescia fuor di sé per esaltare l’effimero e il “mistico” nulla.<br />
Il <strong>postmoderno</strong> “essenziale”, dunque, propone la sepoltura dell’umanità nel totalitarismo<br />
della dissoluzione, che Bataille definisce “linguaggio del misticismo” e “profonda<br />
inclinazione per l’orrore”. Il vero volto del superuomo è il bestione di vichiana memoria.<br />
Come aveva previsto Giambattista Vico, i pregiudizi dell’umanesimo ateo scendono nella<br />
fossa dei serpenti: l’ultimo orizzonte della hegeliana “morte di Dio” è la batailleana morte<br />
dell’uomo. E’ la novità che si svela apertamente nella conclusione all’apologia del disutile,<br />
dove, a proposito del nichilismo “guerriero” interpretato da Ernst Jünger, si dichiara:<br />
“Voglio mostrare che esiste un’equivalenza tra la guerra, il sacrificio rituale e la vita<br />
mistica: è lo stesso gioco di estasi e di terrori in cui l’uomo si congiunge ai giochi del<br />
cielo”.
A<br />
Aborto<br />
Adelphi<br />
Agharti<br />
Anticristo<br />
Antisemitismo<br />
Ateologia<br />
Aborto<br />
L’Excalibur del ginecologo<br />
Il sottotitolo di “Micromega” 4/2000, dichiarava solennemente che laico è bello. E<br />
annunciava gli interventi dell’austero Carlo Augusto Viano, della tombale Simona<br />
Argentieri, del pensoso Domenico De Masi, del furente Paolo Flores d’Arcais,.<br />
Bella è la laicità. Bella (si presume) sarà la vita, illuminata dai redattori della rivista<br />
neogiacobina. Senza ombra di dubbio bello è Paolo Flores d’Arcais, nobile monumento<br />
alla contemplazione tricotant: il fiero sguardo rivolto al moto perpetuo della ghigliottina, lo<br />
zigomo imporporato dallo zelo giustizialista, irato il labbro apollineo, la mano alacre sul<br />
ferro da calza. La sua musica sferruzzante accompagna il lavoro della rivoluzione<br />
postmoderna. Viva la morte. Ma la vita, laicamente intesa, è piena di felicità?<br />
L’acrobatico Carlo Augusto Viano affrontò la spinosa e vessata questione sferrando un<br />
tremendo attacco al Cattolicesimo, “a tutta la filosofia della morte, alla promessa<br />
d’immortalità”. Sta per risuonare un festoso invito al godimento terrestre? Carpe diem?<br />
Non proprio: “poiché i preti non possono imporre la credenza in Dio o nell’anima ma si<br />
devono accontentare dei loro sostituti materiali, … come le cellule embrionali”. I preti dalla<br />
parte della vita? Dove sono gli storici paletti, se la guerra laica contro la filosofia della<br />
morte lambisce la guerra contro i difensori della vita?<br />
La vita deve mantenersi entro i limiti posti dalla ragione ghigliottinante. Il bel laicismo di<br />
“Micromega” si effuse pertanto nella rivendicazione dell’aborto e nell’apologia del suicidio.<br />
Le magnifiche sorti e progressive? Sono affidate al ferro da calza della mammana e<br />
all’aureo cucchiaio della medicina obituaria. Come la Silvia di Giacomo Leopardi, la<br />
filosofia laica indica “con la mano la fredda morte ed una tomba ignuda”.<br />
Marmorea nudità. Sul nudismo laico non tramonta mai il sole della pornografia. Questo di<br />
tanta speme oggi gli resta. Ma la vita nell’abbigliamento diurno? A rivoluzione nuda,<br />
algido ferro da calza e tomba fredda. Nelle colonne di “Micromega” si sciolse la<br />
tormentosa litania del club decadente. Tanto per cominciare, la psicoanalista Simona<br />
Argentieri titolava: “Angoscia di morte e libertà di morire”. Laico è sempre bello? “Chi<br />
decide che la mia vita è bella?” domanda la garrula autrice. Atropo si mise al lavoro. Sotto<br />
lo sguardo corrusco del direttore, nessuno osò farsi avanti per testimoniare la bellezza<br />
della vita nel mondo trasformato dalla rivoluzione laica. L’orizzonte giacobino infine si<br />
svelò. Rigido e severo, come la sentenza della Argentieri, orientata all’umanesimo<br />
suicidario: “Ci contenteremo di ricordare che comunque togliersi la vita è da sempre<br />
prerogativa precipua dell’umano”. Nel ventaglio degli umanismi possibili e immaginabili la<br />
redazione di Micromega scelse la stecca della morte.<br />
L’essenza dell’uomo laico è il suicidio. E il suicidio correva festoso allo scontro con la<br />
bella vita. Entrò in scena il pensiero di Malthus, per descrivere il lugubre effetto della vita
umana diffusa su tutto il pianeta. Un garrulo redattore di “Micromega”, il sociologo<br />
Domenico De Masi, sentenziò: “una terra superpopolata in cui manca lo spazio e<br />
ciascuno rischia di restare travolto da una moltitudine umana che cresce come un<br />
cancro”. Se la vita è un cancro, come è possibile che laico sia bello?<br />
Infatti la bellezza laica risiede nella vocazione mortuaria. Esaltare la procreazione, “con<br />
tutto il carico d’infelicità umana che ne deriva appare incomprensibile e inquietante”. La<br />
difesa della vita da parte dei cattolici è inquietante. D’accordo, ma diteci dove sta la<br />
quiete. Se la vita è un cancro l’unica consolazione è la morte: il paradiso dei laicisti è il<br />
cimitero?<br />
Sulla quiete del cimitero non si discute. Infatti architetti e scultori massonici hanno<br />
costruito le meraviglie del XIX secolo: i cimiteri quieti, dove, in un tripudio di crisantemi,<br />
arconti mesopotamici e commendatori. appesantiti ma rigorosamente laici, danzano con<br />
le algide fanciulle del Ballo Excelsior.<br />
Dopo la sfilata del primo squadrone di necrofori, Paolo Flores d’Arcais irruppe sul<br />
palcoscenico per sciorinare, senza tema del ridicolo, gli anelli della superba catena logica,<br />
da lui concepita. Dimostrò infatti che la ginecologia è un’arte marziale finalizzata alla<br />
soppressione del nascituro.<br />
L’intenzione del direttore era mettere in discussione “il diritto di medici e infermieri cattolici<br />
all’obiezione contro l’aborto”. Paolo Flores d’Arcais intendeva affermare l’ideale libertario.<br />
A tal fine egli esaminò le ragioni degli obiettori contro il servizio militare, dimostrando che<br />
la loro giustificazione era conseguente alla obbligatorietà dell’uso delle armi contro<br />
l’aggressore. La mitezza rifiuta l’uso delle armi. A rigor di logica questo dimostra che il<br />
cittadino che accetta di indossare la divisa accetta implicitamente di usare le armi. Il<br />
ragionamento non fa una piega: “pretendere di fare il militare e di non portare le armi<br />
sarebbe considerata una bizzarria, una stranezza da non prendere in considerazione”.<br />
Colui che non vuole usare le armi può non scegliere la carriera militare. L’armiere<br />
disarmato à un ossimoro che offende la ragione.<br />
Uno più uno, due. E il ginecologo? La logica cogente di Flores d’Arcais affermò che tra il<br />
ginecologo e il militare in assetto da guerra non c’è differenza: “chi ha ragioni di coscienza<br />
che fanno ostacolo all’adempimento dei suoi doveri professionali deve scegliersi una<br />
diversa professione”.<br />
Ora il potere della logica applicata da Flores d’Arcais risiede nella rimozione<br />
dell’evidenza, secondo cui ginecologo è propriamente colui che assiste le madri nel parto<br />
e perciò aiuta la nascita (e non la morte). Il ratto gesto del mago fece salire la natura del<br />
ginecologo nel cielo di una logica astratta dalla realtà e rifugiata nell’ideologia. In questo<br />
cielo l’assistente alla nascita e il soldato che cerca la morte dell’aggressore si confusero<br />
nella notte di Anassagora, che mette sullo stesso piano il forcipe e l’arma letale. Apparve<br />
un ginecologo che reggeva la mitica spada Excalibur.<br />
Il furore con il quale Viano ripeté l’aggressione laica contro il realismo filosofico, che<br />
Giovanni Paolo II ha rivendicato nella “Fides et ratio” chiarisce dunque l’ultimo capitolo<br />
della cultura: lo stupro della logica. Sei ginecologo? Allora sei anche guerriero. Il tuo<br />
forcipe si chiama, appunto, Excalibur. Hai scelto di lavorare per la nascita? Allora procura<br />
la morte ai nascituri. Il IV libro della Metafisica aristotelica nega categoricamente che una<br />
cosa sia simultaneamente un’altra cosa? Aristotele, come ha dimostrato Herbert<br />
Marcuse, era un bieco fascista. La realtà, peraltro, è fascista. Quindi la bella vita<br />
dall’immaginazione al potere si impegna ad elargire la bella morte. A spese della mutua.<br />
Aiutando la morte la spada del ginecologo procura la vita. Come sempre la guerra alla<br />
vita ha inizio dalla guerra (iniziatica) alla ragione.
Adelphi<br />
Sotto l’ermellino oxfordiano<br />
I buonisti che versano lacrime psicosociologiche intorno alle imprese criminali dei pedofili<br />
– sevizie e uccisioni rituali di bambini, commercio delle immagini che documentano un<br />
orrore straziante - non scendono mai alla radice “colta” del male. Si ha l’impressione che<br />
ingegnosi dirottatori costringano l’indagine sociologica a divagare sulle cause periferiche<br />
e a non attraversare la soglia dei santuari nei quali l’alta cultura almanacca le perversioni<br />
estreme.<br />
La causa delle turpitudini, invece, è quel trasbordo dalla razionalità cristiana<br />
all’irrazionalismo primitivo, che il potere culturale ha organizzato con scienza squisita,<br />
nascondendolo negli splendori dell’arte greca. La torbida ed elementare ferocia della<br />
religiosità arcaica, dopo esser passata attraverso il cupo delirio di De Sade e di<br />
Nietzsche, è entrata nel circuito della cultura neoilluminista di massa sotto le vesti mentite<br />
dell’eleganza e della serenità greche. Per tale inganno, il regresso alle perversioni della<br />
Grecia “profonda” ha preparato la via d’uscita dalla Grecia classica e dall’Occidente<br />
cristiano. Via d’uscita che libera la folla delle atrocità e delle sciagure che sono<br />
esemplarmente riassunte nelle ordinarie parabole della cronaca nera.<br />
Dietro ad una mistificazione, indisturbati ed acclamati dagli intellettuali che sopravvivono<br />
sulle rovine delle rivoluzioni di destra e di sinistra, agiscono le lobby della perversione<br />
dalle mani pulite, lobby invano denunciate dal disperato coraggio del Telefono<br />
Arcobaleno.<br />
Nume dell’oligarchia libertina – resa intoccabile dalla generale distrazione e dal culto<br />
superstizioso per l’uomo di genio – è Roberto Calasso, la cui casa editrice, che porta il<br />
nome iniziatico di “Adelphi”, ha prodotto un’enorme quantità di libri per specialisti aperti in<br />
tutte le direzioni del dionisismo. Si va dai limacciosi testi dell’ateologo Pierre Klossowski,<br />
un autore, che nella follia di Nietzsche ha ammirato l’esito meraviglioso della vita orientata<br />
al turpe e al subumano, ai saggi di James Hillman, teologo delle malattie mentali (il suo<br />
assioma afferma che “la pazzia è una dea”) e apologeta delle devianze connesse alla<br />
paranoia; da Guénon, mago da bagno turco e mistico dell’androginia applicata, a<br />
Chatwin, pensatore nomade e collezionista di sciamani piumati.<br />
Il vertice speculativo dell’armoniosa catena è felicemente rappresentata dalla Biblioteca<br />
Orientale di Adelphi, il cui messaggio è stato così esposto dal professor Zolla: “il maestro<br />
procede fino al rito supremo, quando introduce una vezzosa e mestruata dodicenne con<br />
cui amoreggerà, per coinvolgere alla fine anche il discepolo, che dovrà in seguito offrire<br />
un undicenne al maestro” (Corriere dell Sera, Cultura e Spettacolo, 6 novembre 1995).<br />
Roberto Calasso non conosce ritegni. Nell’autunno del 1997, nella prima pagina<br />
dell’autorevole quotidiano dei benpensanti, interpretava come amplesso sacro la violenza<br />
sessuale sui minori: “Il corpo delle ninfe è il luogo stesso di una conoscenza terribile, che<br />
dà la chiaroveggenza”. Se questo non è delirio nichilistico si deve riconoscere che il<br />
delirio e il nichilismo non esistono.<br />
Data queste premesse non è difficile indovinare l’esito finale: le lezioni oxfordiane di<br />
Calasso, pubblicate in questi giorni, presentano, nella cornice di un neopaganesimo<br />
bestiale ma elegantemente travestito, la “spiritualità” pedofila bandita da Adelphi.<br />
Tuttavia sorprende e provoca disagio quello che un uomo della (presunta) destra, Mario<br />
Bernardi Guardi, nella vacua cupidigia di stravaganza, ha scritto nel “Tempo” del 20<br />
febbraio u.s., a proposito del saggio calassiano: “Lolita è un demone immortale travestito<br />
da bambina, in un mondo dove i nympholeptoi (termine inconsueto, che indica,<br />
nascondendoli nella nube della ricercatezza filologica, i razziatori di bambini a scopo<br />
sessuale - i pederasti, quando decidessimo finalmente di abolire il vezzeggiativo
“pedofili”) possono scegliere soltanto tra essere considerati criminali o psicopatici. …<br />
Ninfa è il «medium» dove gli dei e gli uomini avventurosi (sic!) s’incontrano”.<br />
Pensiero infantile e grottesco. In realtà, Calasso è stato allievo di Taubès e Klossowski,<br />
dunque è un limpido arnese della depravazione neopagana (e drogastica) subita dal<br />
progressismo dopo il Sessantotto.<br />
Depravazione che, proprio in questi giorni, è ricordata dai quotidiani che citano le<br />
ributtanti prodezze pederastiche vantate, senza ombra di ritegno, di Daniel Cohn-Bendit.<br />
Le turpi imprese di Cohn-Bendit dimostrano, in modo inequivocabile che la sinistra (e<br />
Calasso con essa) sta affondando in una fogna. All’attrazione mostruosa di questa fogna<br />
può resistere solo il temperamento di un pensiero refrattario alle suggestioni del<br />
nichilismo.<br />
Agharti<br />
I paesi della mistica cuccagna<br />
“Bestie, uomini e dei” resoconto di un viaggio nell’Asia meravigliosa, compiuto contro<br />
l’Occidente dall’occultista Ferdinand Ossendowski, fu pubblicato a Parigi nel 1924.<br />
L’autore, affiliato ad una conventicola di occultisti, che praticavano assiduamente la<br />
ginnastica sessuale contro natura, vi narrava le sue sbalorditive esperienze in Agharti,<br />
l’arcadia sotterranea dei mistici tibetani.<br />
Vero e proprio manuale per allucinati, “Bestie, uomini e dei” fu approvato e<br />
furbescamente adottato dal massone René Guénon, piazzista di cineserie, noto nel<br />
sottobosco degli occultisti come vescovo di una chiesa gnostica. Fiutato il successo,<br />
René Guénon usò la romanzesca relazione di Ossendodowski come argomento di<br />
sensazionali e lucrose conferenze da palcoscenico, organizzate per la delizia di mature<br />
signore in cerca di compensazione spirituale alle tristezze della menopausa.<br />
Per chi desidera, in versione questo genere di emozioni, le conferenze adesso sono<br />
raccolte in un libro (“Il re del mondo”) ristampato e messo in commercio da una casa<br />
editrice nota per le copertine color pastello.<br />
Purtroppo la sapienza guénoniana passò dal palcoscenico buffo ed (apparentemente)<br />
innocuo dello spiritualismo esotico alla tragica storia della Germania nichilista. Infatti<br />
autorevoli specialisti di storia e cultura contemporanea, quali Georg Mosse, Ernst Nolte,<br />
Furio Jesi, Giorgio Galli, Dario Sacchi e Maurizio Blondet, sostengono, in discorde<br />
concordia, che le elucubrazioni guénoniane intorno alle bufale di Ossendowski furono il<br />
preambolo all’obbrobrio nazista. Obbrobrio che ha meritato, da Louis Pauwels,<br />
l’appropriato titolo di guénonismo realizzato con i carri armati e il filo spinato.<br />
Svelato l’obbrobrio nazista, finito Guénon? Neanche per sogno. Nell’età postmoderna il<br />
giro vizioso del nazismo si è allargato surrettiziamente. La suggestione nazista,<br />
l’imperativo “vivere per la morte”, replica in forma di progetto di uscita dal mondo per la<br />
via del nomadismo sessuale. Il viaggio iniziatico non si dirige più alla cittadella del Tibet<br />
misterioso ma a tutti i luoghi del delirio sciamanico e della pederastia selvaggia.<br />
Ad esempio, la magica Patagonia, dove con l’intenzione di raggiungere l’uscita<br />
sciamanica dal mondo, si era recato Bruce Chatwin, il raffinato nomade inglese che<br />
<strong>Antonio</strong> Gnoli (suo esegeta ed ammiratore) paragona ad un ideale terzetto: l’incantatrice<br />
Sherazade, il poeta omosessuale Rimbaud e il filosofo sculacciato Rousseau.<br />
Gnoli, nella “Nostalgia dello spazio”, profilo di Chatwin, edito da Bompiani, sottolinea<br />
l’indirizzo del nomade a uno stato di natura ideale perché privo anche dei più elementari<br />
sussidi tecnologici: egli non vide il fuoco come un elemento della tecnica di sopravvivenza<br />
ma come simbolo attorno cui l’uomo può incontrare i propri simili. Il nuovo errore
sostituisce quello vecchio. Il buon selvaggio eco-omo-tox ma politicamente corretto, sale<br />
sul trono di Prometeo.<br />
Lo strumento usato per far tabula rasa della tecnica è il delirio, che si incontra, appunto,<br />
nelle riserve della cultura primitiva. A Chatwin, lo sciamano alternativo a Prometeo si è<br />
presentato, come lo descrive il celebre professor Zolla: coperto di piume colorate, gli<br />
occhi roteanti, la bava alla bocca. E senza i pudori della civiltà corrotta dalla morale<br />
giudeocristiana. Secondo la testimonianza di un esegeta sbarazzino, sembra che a tale<br />
vista Chatwin abbia esclamato: “Uccellone piumato, bell’uccellone, voglio l’iniziazione!”<br />
Non è lecito dire niente di teologicamente scorretto contro il turismo naziguénoniano nella<br />
piumata Patagonia. I diritti civili del pederasta non si discutono. Ma, a questo punto del<br />
discorso sull’uscita dal mondo moderno, non si può fare a meno di ricordare che Chatwin<br />
morì devastato dal virus Hiv. Un epilogo drammatico, che suggerirebbe cautele ed<br />
esigerebbe i castigati veli della pietà.<br />
Esattamente come aveva previsto Del Noce, la rivoluzione moderna si è dunque<br />
comodamente appiattita sui programmi elaborati dal salotto dell’oligarchia iniziatica. La<br />
pederastia, culmine del destino radical chic, invade l’ultimo orizzonte culturale del<br />
progressismo. L’elegante e azzimata figura del nomade sessuale rovescia le<br />
rivendicazioni del proletariato nelle proibite delizie della borghesia alta e sovrana. Avanti<br />
popolo: lo spinello della sanità falcia il pudore e il preservativo degli affari sociali martella<br />
la virtù.<br />
Il materialismo proletario, sconfitto dal benessere prodotto dal capitalismo americano, ha<br />
trovato rifugio nei pensatori disinibiti del passato: Protagora, Gorgia e Hobbes. Un terzetto<br />
di pensatori reazionari ha soppiantato Marx. Il futuro, dimessa la tuta del lottatore operaio,<br />
veste il grigio esclusivo del frac. Il pederasta è un magnifico portatore di frac. Il frac (con<br />
regolari batti-chiappe) trionferà, evviva il salotto e la libertà.<br />
Il frac non significa rinuncia ma supplenza dei vecchi pregiudizi ideologici. Il collettivismo<br />
non è più di moda? Adesso la guida della rivoluzione tocca all’individualismo primordiale.<br />
Anzi al liberalismo selvaggio. La rivoluzione è un pendolo di errori contrapposti e<br />
l’ideologia una pianta che cambia le foglie per alimentare la corruzione che sale dalle<br />
radici.<br />
La strepitosa fortuna di Hobbes negli orfanotrofi marxisti e nella generazione pre e post<br />
sessantottina (Alexandre Kojève, Georges Bataille, Jacob Taubes, Roberto Esposito e<br />
Umberto Galimberti) fa capire che il frac del pederasta è tagliato nella stoffa ruvida e<br />
spietata dell’individualismo. E della peggiore destra. Forbici progressiste abito<br />
reazionario. Fumo di Londra. Non c’è niente di nuovo. Infatti l’opera di Hobbes è un<br />
monumento alla parrucca dei poteri forti.<br />
Hobbes ha coniugato il materialismo di Democrito ed Epicuro (gli autori che<br />
affascineranno il giovane Marx) con il soggettivismo dei sofisti (gli autori che<br />
eserciteranno un influsso decisivo nella dialettica di Hegel) ed ha adattato la miscela alle<br />
esigenze dell’animosa canaglia, che in seguito all’impresa piratesca, fu nobilitata dalla<br />
monarchia anglicana.<br />
Il pensiero di Hobbes, come la vita del Seicento inglese, ruota intorno agli istinti corrotti<br />
dell’individualismo, felicemente calato nelle forme della rivoluzione assolutista. Hobbes è<br />
il vertice speculativo della sinistra reazionaria e libertina.<br />
La rivoluzione guarda in alto ed ha ascendenze “alte”, dunque è soggetta ad una<br />
conduzione aristocratica. Il pederasta, imparentato con la nobiltà nera e vicino alla<br />
suburra, sta alla sinistra come l’alkermes al babà. Infine il tumulto dell’angiporto<br />
obbedisce al pensiero incandescente del salotto buono. C’est la finesse qui fait la<br />
révolution. O no?
Anticristo<br />
L’angelo travestito di luce<br />
Nel saggio sull’Anticristo, Gianni Baget Bozzo usa la lezione dei grandi mistici – Agostino,<br />
Dionigi, Massimo il Confessore, Tommaso d’Aquino – per dimostrare che l’incapacità di<br />
misurare la devastazione nichilista ha origine dal disfattismo teologico, che ha ridotto il<br />
progetto divino sull’uomo alle angustie e alle contorsioni dell’etica secolare. Il preteso<br />
aggiornamento del postconcilio ha deluso le attese del mondo nascondendo il Dio che<br />
vuole divinizzare l’uomo sotto l’astrazione moralistica che intende sottometterlo e<br />
umiliarlo. La teologia moderna è diventata incapace di comprendere e contrastare la<br />
seduzione del nichilismo poiché, nell’inseguimento affannoso di ciò che unisce, ha<br />
dimenticato lo splendore della vita divina che è offerta agli uomini. Questo significa che il<br />
dialogo della Chiesa cattolica con l’uomo <strong>postmoderno</strong> comincia dall’abbandono delle<br />
instabili acque sulle quali naviga l’esperienza delle cose umane, e dal ritorno alla antica e<br />
sicura riva delle cose divine.<br />
Nel silenzio del Magistero dei vescovi cattolici, stupefatti dal languore moderno, parla<br />
dell’Anticristo solo una minoranza estrema, che usa i colori daltonici della fede stirata dal<br />
brivido. L’eccesso del noir e la labilità della teologia soggiacente ai racconti dell’orrore,<br />
costringono la demonologia in un circolo vizioso, che attribuisce l’enormità del male<br />
moderno ai bassi profili del consumismo e dell’edonismo. In tal modo la tragedia, che si è<br />
consumata nel Novecento, si abbassa alla chiacchiera e al risentimento del ballatoio:<br />
mentre il mistero d’iniquità affonda nel ronzio delle scienze occulte interpretate da<br />
Massimo Introvigne, il popolo di Seattle istiga l’appartenenza cristiana ad un regno che<br />
non è di questo mondo a trasformarsi in semplice antitesi del mondo e a marciare nei<br />
cortei reazionari del contromondo e della negazione del Dio creatore e previdente.<br />
La teologia del postconcilio rimane aggrappata ai relitti del naufragio moderno, incapace<br />
di apprezzare la vittoria della verità, incapace di vedere la metamorfosi nichilista<br />
dell’apostasia. Il discorso sull’anticristo perciò rimbalza tra il politicamente corretto, il<br />
banalmente pio e il pittorescamente infernale.<br />
Veggenti barbuti, con caproni ecologici al guinzaglio, invadono i salotti televisivi per<br />
denunciare le lucrose bassezze della tecnologia. In mezzo a umilianti frastuoni, cantanti<br />
dalla pupilla dilatata e dal conto corrente in piena, urlano parole capovolte e assiomi<br />
anarchici. Banchieri appena usciti dai romanzi germanici, entrano nella filosofia infantile,<br />
che narra l’eterna guerra del sangue neodestro contro il dollaro americano, stendardo di<br />
Satana, come dimostrano serpenti inequivocabili e conclamate piramidi, segni ecc. ecc.<br />
E’ tutto chiaro, infine? L’identificazione dell’Anticristo con i simboli stampati sul biglietto da<br />
un dollaro è il vertice speculativo ma anche il punto in cui la catena santantoniana delle<br />
parodie si spezza sotto il peso dell’evidente fandonia. Non che l’attaccamento al denaro<br />
sia una virtù, e non che al dollaro manchino brutti segni, ma è sufficiente gettare uno<br />
sguardo serio sull’enorme tragedia del XX secolo - “la purezza angelica, che vive di<br />
assoluto, comunica all’uomo una perversa angelizzazione, per cui l’uomo si pone fini<br />
assoluti pensando di distruggere in quell’assoluto tutto ciò che di umano gli si oppone” -<br />
per misurare l’assurdità della demonologia che ad uso dei banditori dietrologici, specula<br />
sui simboli incisi nel biglietto verde.<br />
Scrive infatti Gianni Baget Bozzo: “spiegare le guerre del Novecento con gli interessi<br />
economici fa sorridere: una volontà di morte collettiva è essenzialmente antieconomica”.<br />
Non per niente gli interpreti ultimi ed estremi dell’apostasia moderna, ad esempio il<br />
nichilista Georges Bataille e lo steineriano Geminello Alvi, dichiarano la guerra dell’inutile<br />
contro l’economia.<br />
Il re della dietrologia da rotocalco è nudo. L’identità dell’Anticristo va dunque cercata su<br />
una via lucente e terribile quanto la guerra del secolo contro la vita. Per far risalire la
scena sanguinaria del Novecento alla seduzione cartacea dei banchieri e a quella<br />
corporea degli industriali, è necessario che la figura dell’angelo decaduto attraversi una<br />
lente rovesciata nella mediocrità. Se non che nessuna creatura è esclusa dalla<br />
partecipazione alla profondità divina. La teologia medievale, che aveva ereditato da<br />
Platone lo sguardo dall’alto, afferma che le cose sono realtà di Dio prima che realtà<br />
create. “Tommaso giunge a dire nel De veritate che tutte le cose esistono in Dio da tutta<br />
l’eternità più e meglio di quanto esse non esisteranno mai”.<br />
La superbia dell’angelo reietto vuole la meschinità del creato, ma la sapienza cristiana<br />
vede ovunque l’impronta della divina grandezza. Per comprendere la modernità occorre<br />
riconoscere la grandezza anche nell’angelo caduto.<br />
“L’Apocalisse ha una bella espressione, scrive Baget Bozzo, le profondità di Satana.<br />
Ebbene, la teologia nel Novecento non ha saputo riconoscere la profondità di Satana”.<br />
La teologia contemporanea ispira le meticolose ricerche sulla simbologia del dollaro ma<br />
esclude la vista delle cause sublimi e non venali del secolo sanguinario. “Il Novecento ha<br />
conosciuto una figura ben diversa del Satana carnale, un Satana nella sua natura<br />
spirituale”.<br />
Satana ha sedotto non la parte più bassa ma quella più alta dell’uomo. L’anima dell’uomo<br />
non si compra con il dollaro. Il peccato più alto è infatti l’assenso alla tentazione,<br />
squisitamente spirituale, di liberare l’umanità da Cristo, abolendo i limiti e i<br />
condizionamenti posti dalla dimensione materiale della creazione.<br />
L’altezza della creazione esige che si riconosca la spiritualità del male. L’aura<br />
dell’apostasia moderna trasporta l’avversione dello spirito al segno materiale della<br />
creazione.<br />
Ora la meditazione sulla realtà spirituale dell’Anticristo introduce la verità dell’onnipotenza<br />
divina, che non si risolve in un potere dispotico, “in una determinazione necessaria”, ma si<br />
rivela compatibile con la libertà della creatura. A questa verità allude il mistero della<br />
Croce: “Dio vuole che la creatura raggiunga la pienezza divina attraverso se stessa e non<br />
per un solo atto divino”.<br />
Baget Bozzo propone di superare la visione deterministica della Provvidenza e di<br />
avanzare audacemente nel solco dell’agostinismo perenne: “L’onnipotenza divina può<br />
contenere nel suo seno la libertà di contraddizione a Dio stesso, alla scelta<br />
assolutamente libera e aperta alla libertà, del disegno divino sul mondo. L’onnipotenza<br />
divina può consentire la negazione di tutto ciò che Dio compie fuori di Dio”. L’evidenza<br />
della libertà non scioglie il mistero del male ma allontana l’incubo determinista.<br />
In tal modo la teologia della storia diventa una teologia della libertà nell’accettazione del<br />
progetto divino: “Cristo dirige l’incivilimento umano dell’uomo biologico così come la<br />
formazione, nell’uomo biologico, dell’uomo divino”.<br />
La dimensione della libertà appartiene al sommo bene, dunque la dimensione oppressiva<br />
è inesorabilmente legata al maligno, “l’angelo che vuole l’umiliazione e la decadenza<br />
dell’uomo”. La misura della libertà è l’esercizio della tecnologia in conformità all’ordine<br />
divino: “Lungi dall’essere il male la tecnica indica la tensione dell’intelletto umano ad agire<br />
sul mondo oltre i limiti della sua natura corporea”.<br />
L’incontro di Baget con la teologia vichiana della storia avviene nella contemplazione del<br />
progetto d’innalzamento – il gran decorso della Provvidenza che incivilisce l’uomo - al<br />
quale si oppone l’odio satanico contro la storia dell’uomo.<br />
La riscoperta della Scienza Nuova è stata possibile perché la filosofia di Vico ha<br />
accordato la Provvidenza con la libertà dell'uomo e l’eterogenesi dei fini umani con<br />
l’ordine della natura. Non c’è dubbio che la restaurazione della Chiesa, iniziata dalle<br />
encicliche Fides et ratio e Dominus Jesus, si compie in questo orizzonte teologico, che<br />
non concede più spazio alle suggestioni dell’umanesimo integrale, alla dimensione<br />
dell’opera esteriore che oscura l’uomo interiore.
Antisemitismo<br />
La vera fonte dell’antisemitismo<br />
Non c’è motivo di scandalo nell’atteggiamento amichevole di Giovanni Paolo II nei<br />
confronti degli Ebrei, perché l’antisemitismo, oggi alimentato dai cascami del comunismo,<br />
è una minaccia che riguarda anche i cattolici. Il testo capitale dell’ideologia nazista, “Il<br />
mito del XX secolo” di Arthur Rosemberg, sta infatti a dimostrare che l’odio contro gli<br />
ebrei nasce ed è alimentato dalla feroce avversione al Dio dell’Antico e del Nuovo<br />
Testamento. L’antisemitismo nazista era unito strettamente alla dichiarata nostalgia degli<br />
idoli germanici, garanti dello stile di vita disonesta e selvaggia, che i missionari del Dio<br />
ebraico e cristiano avevano estirpato. Gli ebrei erano odiati da una superstizione<br />
accecante, che vedeva in loro non gli appartenenti alla razza semita ma i testimoni del<br />
Dio che aveva conquistato e convertito l’antica Germania. Tanto è vero che i nazisti<br />
intrattenevano un eccellente rapporto con i semiti di religione islamica, che erano perfino<br />
ammessi nei ranghi esclusivi delle SS. La pretesa scienza biologica era solo un<br />
rivestimento occasionale del razzismo, che non può essere capito senza riferimento alla<br />
intenzione polemica rivolta (come ben vide Po XI) contro la tradizione giudeocristiana. Il<br />
Cristianesimo essendo vero soltanto se “prima” è vero l’ebraismo, l’antisemitismo deve<br />
essere considerato alla stregua di un attacco alla Chiesa. Pertanto Pio XI proclamò<br />
solennemente che i cristiani, in quanto “spiritualmente semiti”, non potevano tollerare<br />
l’attentato alla loro radice spirituale, cioè la reazione pagana che operava mediante la<br />
calunnia e la persecuzione degli ebrei.<br />
Nel 1997, Giovanni Paolo II, con la “Riflessione sulla Shoà”, ha confermato<br />
l’insegnamento del suo grande predecessore e lo ha arricchito dimostrando<br />
magistralmente che l’antisemitismo ebbe inizio da Marcione, un eretico che tentò di<br />
avvelenare e inaridire la vita della Chiesa primitiva inventando la separazione di Cristo dal<br />
Dio d’Israele e opponendo il comandamento nuovo all’antica giustizia.<br />
La dottrina del papa è un sasso gettato nella palude della cultura postmoderna, habitat<br />
ideale per il neonazismo nato dalla decomposizione della cultura marxista (come<br />
testimoniano le lezioni, esemplarmente marcionite, degli ex comunisti Ernst Bloch, Walter<br />
Benjamin e Jacob Taubes).<br />
Le infaticabili agenzie dell’ateismo iniziatico tentano d’impedire la demistificazione del<br />
nuovo razzismo ora silenziando l’insegnamento del papa, ora contestandolo, mediante le<br />
rumorose voci cattoliche, che sono nutrite dallo stato d’animo tracimante nella protesta<br />
contro il papa colpevole di “arrendersi al nemico ebraico e di abrogare la storica<br />
condanna del popolo deicida”.<br />
In realtà nemici della Chiesa cattolica sono soltanto i banditori degli idoli pagani, nei quali<br />
la teologia ortodossa ha sempre visto la figura tenebrosa e polimorfa del maligno. E con<br />
loro sono nemici (inconsapevoli, si spera) i fedeli abbagliati dalla vocazione ad insegnare<br />
il Cristianesimo al papa.<br />
Gli ebrei, invece, sono “fratelli maggiori”, proprio come li definisce Giovanni Paolo II, e lo<br />
sono non in seguito alla debolezza del Concilio Vaticano II, ma in forza della parola di san<br />
Paolo: “riguardo all’elezione diletti a motivo dei loro padri, giacche irrevocabili sono i doni<br />
e la vocazione di Dio” (Rm., 11, 28)<br />
L’affermazione di Gesù “Non crediate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti. Non<br />
sono venuto ad abolire ma a compiere” (Mt., 5,17), significa che la fede della Chiesa<br />
cattolica è più vasta (compiuta) della fede d’Israele, mentre conferma che la fonte del<br />
Cristianesimo è la stessa fonte (non abolita) del giudaismo. Il Dio dei cristiani, il Padre di<br />
Gesù, è, infatti, il Dio degli ebrei. Senza la fede nel Dio degli Ebrei la fede cristiana<br />
sarebbe vuota: se rappresentasse l’adempimento delle profezie Cristo sarebbe una figura
dell’empietà pagana. Esattamente la figura che i teologi nazisti tentarono di sovrapporre<br />
al Gesù della storia sacra.<br />
L’evangelista Giovanni perciò definisce mentitore colui che nega Gesù, ma Anticristo colui<br />
che, negando il Padre, rifiuta il Figlio (I Gv., 2, 22). Il diverso peso della condanna non è<br />
stabilito a caso ma per confermare che il principio della storia cristiana si trova nel Dio<br />
d’Israele.<br />
La negazione del Dio di Abramo, il discredito d’Israele, l’esclusione della genealogia<br />
ebraica di Gesù e l’attribuzione al Cristo della discendenza da una ipotetica divinità<br />
“superiore”, sono invece i prodotti della più coerente reazione pagana al Cristianesimo,<br />
quella organizzata dall’eretico Marcione.<br />
Sant’Ireneo da Lione, che confutò magistralmente l’eresia marcionita, la definisce in<br />
questi termini: “Marcione del Ponto … bestemmiò senza pudore il Dio che fu annunciato<br />
dalla Legge e dai profeti. Dice che è autore dei mali, che desidera le guerre, è incostante<br />
nelle sue decisioni e in contraddizione con se stesso. Dice poi che Gesù, inviato dal<br />
Padre che è al disopra del Padre creatore del mondo, venne in Giudea in forma umana …<br />
abolì i profeti e la Legge e tutte le opere del Dio, che ha creato il mondo”.<br />
Marcione seguì con lucida follia l’avversione a Israele e alla Legge dettata a Mosé. Come<br />
testimonia Ireneo, insegnò, infatti, che “si salveranno solo le anime che avranno appreso<br />
la sua dottrina,, essendo impossibile che il corpo, preso dalla terra, partecipi alla<br />
salvezza. Alla bestemmia riguardante Dio ha aggiunto anche questo, facendosi portavoce<br />
del diavolo e dicendo tutte cose contrarie alla verità. Dice che Caino e i suoi simili, i<br />
Sodomiti e gli Egiziani e i loro simili, e tutte le nazioni che vissero immerse in ogni gemere<br />
di male, furono salvati dal Signore … mentre Abele, Enoch, Noé e gli altri giusti, i<br />
discendenti del patriarca Abramo, non hanno avuto parte alla salvezza”.<br />
Caino e i Sodomiti era i nomi scritti sul vessillo del nazismo. Lo conferma il recente “Pimk<br />
swastika”, documentatissimo studio degli storici americani Lovely e Abrams sulla fusione<br />
– nella persona di Hitler – del pederasta e dell’omicida.<br />
Il “cristianesimo tedesco”, inventato e sostenuto dai nazisti e oggi rilanciato dagli<br />
scomposti orfani del materialismo scientifico, rispecchia con canina fedeltà l’eresia<br />
marcionita. Proclama, infatti le stesse categorie e le stesse ragioni di superiorità: la<br />
superiorità degli ariani sugli ebrei, la superiorità del “vero” dio sul Dio della Bibbia, la<br />
superiorità di Caino e dei Sodomiti sui giusti d’Israele. Il delirio etnico, il delirio teologico e<br />
il delirio morale ripetuti con allucinante monotonia.<br />
Non tutti i fedeli ascoltarono le parole pronunciate da Pio XI per sottrarre la Cristianità alla<br />
disonorante suggestione marcionita amplificata dalla propaganda nazismo. Il primo fomite<br />
della suggestione antiebraica era la notizia del complotto ebraico contro le sacre<br />
monarchie, leggenda narrata ignobilmente da un documento (I Protocolli degli savi<br />
anziani di Sion) costruito dalla polizia segreta zarista. Evento non certo raro nella storia<br />
della Chiesa, un potere autocratico (e “reazionario”) propalava una dottrina contraria ai<br />
dogmi fondamentali della Chiesa cattolica e romana. In un’epoca nella quale maturavano<br />
le grandi conversioni degli ebrei (pensiamo, ad esempio, a due nobili italiani, il rettore<br />
magnifico dell’università di Roma, Giorgio Del Vecchio, e il rabbino di Roma, Eugenio<br />
Zolli) la gang nazista coinvolge nell’opera dell’avvelenamento un folto manipolo di cristiani<br />
accecati dall’avversione a Israele o peggio incapaci di distinguere tra ebrei e apostati. La<br />
conclamata falsità del documento passa in secondo piano davanti all’essenza tenebrosa<br />
dell’errore che la teoria del complotto introduce in campo cristiano: una drastica<br />
avversione all’Ebraismo e di conseguenza una devastante cesura tra Antico e Nuovo<br />
Testamento. Giovanni Paolo II, chiedendo perdono agli Ebrei, non ha fatto altro che<br />
adempiere al suo dovere di Vicario di Cristo, l’Unigenito Figlio di Dio che ha assunto la<br />
natura di un uomo di stirpe e di tradizione ebraica.
Ateologia<br />
Tracollo della teologia progressista<br />
La navigazione cattocomunista era già al porto delle nebbie, quando Giuseppe Dossetti,<br />
nell’intento di umiliare la ragione, meretrice di Satana, formulò una singolare tesi<br />
sull’obbedienza, che dovrebbe scattare prima della comprensione del comando. Trionfo<br />
della volontà o del vuoto mentale? Del rivoluzionario focoso o del guru languido? Di<br />
Castegnetti o di Vattimo? Dell’uno e dell’altro. La nave di Pol-pot fu prestamente avviata<br />
alle acque agitate dello zen.<br />
Dopo lo sconquasso dossettiano, viene avanti l’autorevole Bruno Forte, teologo<br />
approvato e celebrato da vescovi di scuola ambrosiana, (quelli che si appoggiano sul<br />
bastone del dubbio pastorale) e perciò accolto premurosamente nel salotto esoterico del<br />
“Corriere della Sera”.<br />
Il “teologo” Forte personifica il pensatore perplesso e gemitoso. Un Cratilo aggiornato<br />
secondo la lezione di Massimo Cacciari e incoronato dal disorientamento ecumenico.<br />
Consacrato al silenzio, il Cratilo di Platone comunicava per cenni. A chi gli chiedeva un<br />
giudizio sulla teoria di Eraclito intorno all’impossibilità di bagnarsi due volte nell’acqua di<br />
un fiume, rispondeva muovendo a diniego l’indice. Il gesto significava che non ci si bagna<br />
neppure la prima volta.<br />
Invece Bruno Forte, per narrare l’abluzione cattocomunista nel divenire, mima un vascello<br />
naufragante tra il silenzio cambogiano e la gora del nulla.<br />
Il Cratilo cacciariano, dunque, sostituisce il Cratilo platonico. Adesso nelle acque morte<br />
del sinistrismo, si bagnano due rivoluzioni, quella del pensiero naufragante e quella del<br />
pensiero non pensante. Massimo Cacciari κ Bruno Forte, appunto.<br />
Nel “Corriere della Sera”, di venerdì 23 marzo 2001, Bruno Forte propone di leggere san<br />
Paolo al lume abbagliante e stravolgente delle note ateologiche, scritte dal sessantottino<br />
Jacob Taubes e squisitamente pubblicate (sotto una copertina di tonalità rosa pastello)<br />
dall’editore iniziatico Roberto Calasso.<br />
Taubes, aggirandosi tra i viscosi cascami dell’eresia marcionita e le elucubrazioni<br />
crepuscolari di Kojève e Bataille a riguardo dello Hegel profondo e le tesi hobbesiane di<br />
Carl Schmitt, intuì che lo stravolgimento della fede cristiana si poteva ottenere alterando<br />
san Paolo e rovesciando nella blasfemia i due assiomi fondamentali della dottrina<br />
cattolica: l’affermazione dell’impassibilità di Dio e la rivendicazione della perfetta<br />
innocenza di Gesù Cristo, “pontifex sanctus, innocens, impollutus, segregatus a<br />
peccatoribus” (Ebr. 7, 26).<br />
Grazie al capovolgimento di questi assiomi e al favore del vento sollevato dai teologi<br />
postconciliari, Taubes poté affermare e far credere a un manipolo di vescovi alterati che,<br />
secondo san Paolo, Gesù Cristo ha fatto propria l’impotenza di fronte al male e, perciò,<br />
che il tragico viene ad abitare in Dio.<br />
Nel capovolto orizzonte taubesiano, san Paolo è separato dal suo pensiero e ridotto al<br />
delirio tragico del Nietzsche profeta dell’eterno ritorno. In tal modo la redenzione cristiana<br />
fu fatta svanire nell’amor fati, mentre la perfezione divina è si scioglieva in una rapsodia<br />
coribantica.<br />
Bruno Forte vede, perché è impossibile non scorgerli, i segnali dell’oscena mistificazione<br />
architettata da Taubes. Ma, invece di arretrare con sacro spavento, avanza, forse<br />
incoraggiato dall’applauso anticattolico degli editori del Corriere della Sera, forse<br />
posseduto dalla smania di stupire eseguendo voli acrobatici sulla passerella messa sotto i<br />
suoi piedi dall’oligarchia. Certo è che Forte si lascia incantare dalla dichiarazione con la<br />
quale Taubes intitola il suo interesse per le lettere paoline all’appartenenza alla<br />
“hegeliana progienies”, e non batte ciglio quando espone un progetto inteso a dimostrare
che l’eredità di san Paolo agisce in autori ferocemente e torbidamente avversi al<br />
Cristianesimo, quali Nietzsche, Freud, Benjamin, Adorno e Schmitt.<br />
Nella luce sciabolante dei pensieri elucubrati dai fari del decadentismo, appare evidente<br />
che Taubes, dichiarando che il tragico abita in Dio, intende insinuare l’infermità della<br />
pagana anima mundi nel cuore della teologia cristiana. Forte cita un passo nel quale la<br />
contaminazione panteista (e decadentista) appare come il risultato del percorso dalla<br />
teologia paolina contraffatta al nichilismo ateologico: “il messaggio cristiano è tutt’altro<br />
che la distruzione del tragico attraverso un moralismo a buon mercato, bensì l’evoluzione<br />
del tragico”.<br />
Moralismo a buon mercato vuol dire, senza dubbio, che il sangue eroicamente versato dai<br />
martiri cristiani non vale molto. E’ noto che i progressisti censurano le beatificazioni<br />
relative agli olocausti trascurabili, come quello di Spagna. E questo si capisce facilmente:<br />
i loro maestri (ad esempio Emanuele Mounier) stavano dalla parte dei persecutori.<br />
Evoluzione del tragico significa invece che il sentimento panico dei primitivi greci –<br />
l’incubo che rappresenta la fatalità e quindi l’innocenza del male – ha inquinato il<br />
progressismo cristiano.<br />
Il tragico, che nell’incubo appare abitante nel Dio cristiano, rappresenta il male come<br />
destino e perciò destituisce la morale e abbassa il diritto a funzione della psicoanalisi.<br />
Nelle parole spicciole del nichilismo al potere, tragico vuole dire che Dio (e l’uomo) sono<br />
impotenti davanti al male, quindi che la responsabilità è impossibile, la redenzione un<br />
pallido bluff, tutti sono innocenti. In conclusione: assolviamo gli assassini e lasciamo<br />
impuniti gli altri criminali.<br />
Il Sessantotto taubesiano è sviluppato nella formula consequenziale della barbarie<br />
sofisticata. Una barbarie, che, per dare fondo alla sua ultima risorsa, affida alla<br />
psicoanalisi il compito di contenere e addolcire (a chiacchiere) l’inevitabile danno.<br />
Ecco nella scena quotidiana lo spettacolo che gli “spiritualisti” alla Taubes hanno allestito<br />
per gli occhi attoniti dei vescovi e degli animatori della parrocchia sociale: il<br />
cattocomunismo, esauriti i sogni teologici intorno alla liberazione dei poveri, orchestra<br />
l’assoluzione universale del crimine. Canta il gallo buonista, e lo psicologo televisivo<br />
Crepet sentenzia che sarebbe un brutto guaio ricordare agli assassini il mal fatto. Se il<br />
tragico abita in Dio, perché dovremmo molestare gli assassini?<br />
Sul versante della teologia della storia l’influsso di Taubes è ancor più rovinoso, perché<br />
sprona l’involuzione nichilista del pensiero moderno. La teologia di Taubes è, infatti, il<br />
rifacimento del tenebroso vaniloquio messo fuori da Léon Bloy nel saggio “Dagli ebrei la<br />
salvezza”, recentemente riproposto dall’immancabile Calasso, dove si dichiara che le<br />
nefandezze rivoluzionarie dell’età moderna sono ispirata dal figlio prodigo, cioè dallo<br />
Spirito Santo, ed eseguite dagli ebrei. La salvezza ebraica, dunque, consisterebbe nel<br />
divino scatenamento della malvagità.<br />
Nella teologia di Taubes (come in quella di Bloy) Bruno Forte non può trovare altro che<br />
l’incentivo all’evasione nell’arcipelago degli inganni, dove la salvezza che viene dagli<br />
Ebrei (Gv., 4, 22), surrettiziamente identificata con l’accondiscendenza teologica al vizio,<br />
suggerisce l’errore catastrofico, che oppone il Nuovo all’Antico Testamento, la morale<br />
cristiana alla presunta immoralità ebraica.<br />
Di qui la persuasione che i fedeli siano costretti a scegliere tra le due disperate e<br />
devastanti chimere del Novecento: quella del falso profetismo, che invita a raccogliere<br />
l’eredità dell’ebraismo fittizio e a tradurla nella complicità con la sovversione della morale,<br />
quella nazista, che intitola la difesa della civiltà occidentale all’antigiudaismo. Il vero perno<br />
della mistificazione taubesiana è appunto l’ambiguo riferimento agli ebrei, identificati con<br />
gli apostati e con i sovversivi.<br />
Ora l’inflessibile condanna di Giovanni Paolo II colpisce esattamente la confusione (la cui<br />
origine è formalmente attribuita all’eresia di Marcione) che ha alimentato gli opposti orrori
del Novecento: l’inganno che, nella sovversione moderna, crede di dover apprezzare o<br />
perseguitare l’autentica tradizione ebraica. Ma Forte si è domandato per quale ragione<br />
Taubes interpreta san Paolo attraverso l’eresia di Marcione? E ha mai cercato di capire il<br />
profondissimo significato del discorso del papa sull’Olocausto?
B<br />
Babele<br />
Ballatoio<br />
Benedizione<br />
Bertinotti il rifondatore<br />
Bobbio<br />
Babele<br />
L’utopia della società multiculturale.<br />
Alle differenze culturali corrispondono istituzioni giuridiche diverse. La scienza giuridica,<br />
infatti, discende dalla cultura dei popoli. Ad esempio: dall’incontro della filosofia greca con<br />
la tradizione romana e con la fede cristiana deriva la giurisprudenza di Giustiniano; dalla<br />
cultura longobarda l’editto di Rotari. La dignità del diritto indica la statura della civiltà che<br />
lo ha prodotto. Nel corso della storia, i grandi filosofi del diritto, da Protagora a Platone, da<br />
Hobbes a Vico, da Kant a Rosmini, da Hegel a Gentile, da Marx alla Arendt, da Del<br />
Vecchio a De Tejada, si sono divisi ed hanno polemizzato su tutto, non su questo<br />
principio – il diritto è lo specchio della cultura nazionale - che sembra estratto dalla<br />
proverbiale acqua fresca. Per tutti, ma non per gli anarchici che si nascondono sotto l’ala<br />
protettiva del buonismo.<br />
Le scuole della filosofia del diritto si distinguono in contrattualistiche e giusnaturalistiche,<br />
positivistiche e utilitaristiche, materialistiche e personalistiche, ma nessuna scuola ha<br />
pensato di separare il diritto dalla sua fonte culturale. Nel passato recente, professori<br />
italiani, fortemente indiziati di pensieri scorretti, dichiaravano che l’apprezzamento della<br />
civiltà italiana si alimenta leggendo le formule grottesche contenute nell’editto di Rotari.<br />
Professori tedeschi di più larghe vedute, affermavano, invece, la superiorità della schietta<br />
giurisprudenza nordica su quello (babilonese, secondo Arthur Rosemberg) di Roma. In<br />
questa fase storica non si sa bene da che parte convenga schierarsi. Non tira aria buona.<br />
Nel regno del pensiero debole come in quello della psicoanalisi hillmaniana è imprudente<br />
proclamare che l’essere è. Figuriamo se è possibile parlare di primato civile! Ultimamente<br />
l’astensione dal giudizio di valore è diventata obbligatoria. Ma il più soave ed ecumenico<br />
rispetto di fronte all’editto di Rotari (o alle elucubrazioni giuridiche di Carl Schmitt o di<br />
Jacob Taubes) non abolisce la diversità. La disputa intorno al valore della cultura è<br />
nuovamente aperta, ma non si afferma ancora l’opportunità di sdoppiare il diritto. Pertanto<br />
l’opinione che afferma la diversità della giurisprudenza è guardata con sospetto ma<br />
ancora tollerata.<br />
Ora dire che Rotari non è Giustiniano significa riconoscere che la cultura romana non è<br />
identica alla cultura dei longobardi. Un giorno radioso un Cacciari (o un Vattimo?)<br />
dimostrerà che Rotari e Giustiniano affermavano princìpi identici. Anche di Stalin, di Hitler<br />
e di Teresa di Calcutta si potrà predicare l’uguaglianza di pensiero. In futuro, se il<br />
pensiero filosofico rimarrà ancorato alle debolezze postmoderne. Per il momento hanno<br />
ancora diritto di parola coloro che affermano o ammettono la differenza. E ammessa la<br />
differenza non si può negare che non è facile la combinazione delle diverse culture<br />
giuridiche. La storia insegna che nella convivenza di due popoli – l’italiano fedele alla<br />
cultura romana, il longobardo fedele alla cultura della steppa – non tutto filava liscio.
Al proposito è opportuno rammentare che l’Italia, nel 1938, sotto l’impulso di un<br />
entusiasmo ecumenico incontrollato, ha inserito un ramo del diritto germanico sulla pianta<br />
del diritto romano. Con tutto il rispetto che è dovuto all’etnia germanica e ai sostenitori<br />
della società multiculturale, rifiutiamo di proclamare la felicità dell’innesto. Ingiustizie e<br />
orrori a parte, è fuori discussione che dalle leggi del 1938 iniziò la divisione degli italiani, e<br />
la crisi di un regime che prima godeva del consenso popolare. Le leggi razziali furono la<br />
causa remota della guerra civile. O no?<br />
Popoli appartenenti a culture diverse possono convivere pacificamente soltanto se<br />
rispettano un diritto comune, cioè una cultura comune. Il nome di questo rispetto è<br />
integrazione. E’ inutile girare intorno al palo dell’ecumenismo: integrazione significa che,<br />
dato una popolazione multietnica, una sola cultura fa legge. Immaginiamo che sbarchi in<br />
Italia un discendente degli Incas e che dichiari, in nome del principio multiculturale, il<br />
diritto di compiere sacrifici umani, come facevano i suoi antenati. Nessun disprezzo del<br />
pensiero sacrificante: il sacrificio umano forse ebbe un significato nella lontana storia<br />
dell’umanità. Anche il cannibalismo, a dire il vero. Ma è praticabile, oggi? E’ tollerabile?<br />
Qui la tolleranza vacilla. Lo stesso Massimo Cacciari, autore dell’ecumenico “Arcipelago”,<br />
converrà che non è facile soddisfare il discendente eventuale degli Incas. Ora la nostra<br />
legge, quando proibisce il sacrificio umano o il pasto umano cosa altro afferma se non il<br />
principio della cultura religiosa che stabilisce il carattere sacro e inviolabile della persona<br />
umana innocente? Ci sono due culture e due scuole giuridiche, quella degli Incas e quella<br />
dei cattolici Romani. Purtroppo una sola può prevalere. Si dirà: ecco l’acqua fresca. Non<br />
si nega la freschezza e neppure l’acqua. Non è possibile, le cose stanno esattamente<br />
così: l’acqua è fresca perciò il diritto non può sdoppiarsi per appagare esigenze dettate da<br />
culture diverse e contrarie.<br />
Il discendente degli Incas può pensarla come vuole, vestirsi come gli aggrada, leggere i<br />
libri che preferisce, ascoltare la musica di suo gusto: la tolleranza del pensiero è sempre<br />
fuori discussione. Ma non potrà fare sacrifici umani in carne e ossa: in materia di vita<br />
umana innocente la decisione estrema, anche la decisione culturale, compete al diritto<br />
prevalente. Fedele alla tradizione culturale romana e cristiana, il diritto italiano vieta il<br />
sacrificio. L’eventuale cannibale, con rispetto parlando, dovrà dunque limitarsi al pensiero:<br />
la nostra legge tollera il pensiero cannibalesco ma non ammette il cannibale in cucina.<br />
Questo vuol dire che di molte culture una sola può superare la soglia del diritto e imporre<br />
la legge. Le altre sono destinate a rimanere nel limbo del folklore.<br />
Due culture possono convivere solo se in cucina esiste una sola legge. Una legge uguale<br />
per tutti, come è scritto sulle pareti dei tribunali. Una, non molte. Non è più necessaria<br />
l’assimilazione culturale quando la legge riesce a convincere tutti che è necessario<br />
uniformare i divieti: il sacrificio umano è interdetto sia agli italiani che agli eventuali<br />
discendenti degli Incas.<br />
Questo principio è condiviso (speriamo senza riserve mentali) anche dall’insospettabile<br />
Seleh Zighloul, il palestinese responsabile dell’ufficio immigrati della CGL. In vista di un<br />
progetto governativo per l’avvicinamento dell’Italia all’Africa, egli ha dichiarato: “Difendere<br />
la propria identità non vuol dire che in Italia si possa fare quel che si vuole. Prendiamo la<br />
poligamia: se in Italia è vietata dalla legge questa legge va rispettata. I diritti e i doveri<br />
devono valere per tutti”.<br />
La legge della convivenza non potrebbe essere formulata con maggiore esattezza. Infatti<br />
gruppi sociali appartenenti a culture diverse possono convivere solamente quando una di<br />
loro, quella maggioritaria, riconosciuti alcuni fondamentali princìpi, stabilisce e impone<br />
regole certe e univoche per tutti. Princìpi fluidi e regole ambigue sono i fomiti dell’anarchia<br />
e della guerra di tutti contro tutti. Il discendente degli Incas è tenuto ad integrarsi, cioè ad<br />
adattarsi alla legge del paese che lo ospita. I sacrifici (e i pasti) umani non sono leciti. La
tolleranza lascia pensare, la legge vieta. Punto e basta. Lo stesso vale per l’immigrato<br />
islamico; la poligamia è lecita nei paesi arabi ma non Italia, dove una moglie è sufficiente.<br />
Detto questo, cosa altro rimane da aggiungere per dimostrare che davanti al diritto l’idea<br />
della società multiculturale – dunque multigiuridica - è un’assurdità del genere legno di<br />
ferro? L’esistenza di una società ordinata e pacifica è possibile solo dove prevale una<br />
sola legge.<br />
Ballatoio<br />
I quattro livelli dello snobismo<br />
Concerto di sentenze sputate da comari effervescenti contro comparse dolenti, la rubrica<br />
televisiva di Maria De Filippi, “Uomini e donne”, rappresenta, in modo perfetto la scena<br />
del ballatoio attizzato dalle signora illuminate, e con la regolamentare puzzetta al naso.<br />
Nell’infimo ballatoio la mancanza di ritegno disputa con la disperazione, la superiore<br />
albagia con la dignità ferita e messa in piazza.<br />
Si sale una rampa di scale ed ecco il ballatoio con i fiocchi, il livello dell’ostentazione<br />
fatua, di cui offrì una memorabile interpretazione Bice Valori. Chi non ricorda le contesse,<br />
titolari di rubriche giornalistiche concepite per fare la rabbia degli inferiori? Bice Valori<br />
aveva fondato una scuola di pensiero sull’umorismo oggettivo delle contesse, che<br />
consigliano crociere caraibiche o lunghi soggiorni a Zermatt quali rimedi alle afflizioni<br />
delle proletarie con marito disoccupato, farfallone e manesco. Non si lascia andare,<br />
ragazza mia. Affidi i suoi cinque marmocchi alle cameriere e getti i problemi dietro le<br />
spalle. Prenda il volo. Spensieratamente. Come faceva Magda Lupescu, ogni volta che<br />
subiva un torto dal suo amante, il birichino re Carol. Mi chiami in redazione, le<br />
comunicherò il numero telefonico di un caro amico, ammiraglio della flotta Flutti e Flussi,<br />
le troverà una perfetta sistemazione in prima classe. Ma si affretti, le prenotazioni sono<br />
ufficialmente chiuse”.<br />
Altri tempi? Secondo i progressisti le sofferenze proletarie che Bice Valori medicava<br />
elegantemente sono dissolti nel rosolio della nuova società. Il mondo è cambiato, signori<br />
miei, e le contesse ideali ed eterne non suggeriscono più deliziose risposte alle afflizioni<br />
dei meno agiati. Lo dice Rutelli: i meno agiati non ci sono più. Sono invenzioni cielline,<br />
elucubrate per giustificare elargizioni di denaro pubblico ad asili reazionari, gestiti da<br />
biechi ordini di monache preconciliari.<br />
Le madri lavoratrici, ad esempio. Operaie, infermiere, postine, bidelle, colf, un tempo alle<br />
prese con figli da depositare all’asilo di Cinisello Balsamo o di Tor Bella Monaca. Asilo<br />
sempre costoso e sempre difficile da trovare.<br />
Situazioni del passato. Solo uno sciocco, può credere che posteggiare i figli sia un<br />
problema.<br />
Infatti si sale una rampa di scale è si trova il terzo livello, il ballatoio della sinistra soave e<br />
miracolante. Qui le proletarie parlano finalmente come Bice Valori. L’ingombrante<br />
problema dei figli, infatti, è svanito nella pagina al fosforo che la radiosa Barbara<br />
Palombelli dedica alle baby sitter. Una lettrice di Repubblica, presumibilmente<br />
un’impiegatuccia borgatara, annuncia che, in attesa degli ulteriori miracoli del<br />
centrosinistra prossimo venturo (“servizi all’infanzia qualificati, orari di lavoro brevi, non<br />
penalizzati e una cultura aperta al bambino”) “Le mie bambine stanno con una simpatica<br />
signora polacca”.<br />
A questo punto ha inizio la ferma reazione della Palombelli. Lo spirito del ballatoio, infatti,<br />
dorme ma non muore mai. L’ostentazione della (presunta) impiegatuccia manda in<br />
fibrillazione il cuore progressista. Come si permette – l’arrivista - di sfoggiare la sua<br />
miserabile polacca? Non sa quante baby sitter ho avuto io? E di che razza eletta: “Le
agazze e i ragazzi che hanno girato per la mia casa nei lunghi pomeriggi in cui ero<br />
assente sono – ora che i figli sono grandi - dei punti di riferimento in certi campi, perfino<br />
più preziosi di me”. Capito che splendore? Altro che una polacca! Udite, o meno agiati<br />
(pronuncia: menaggiuati). In casa di Palombelli-Rutelli hanno girato perfino “delle ragazze<br />
svedesi alla pari (che sono ancora in contatto con noi) fantastiche nell’insegnare le mille<br />
differenze culturali, gli sport, ile tradizioni natalizie, i cibi di un mondo lontano”.<br />
I pargoli, diventati grandicelli, furono però affidati a studenti e studentesse italiane: “è<br />
meglio quando arrivano compiti e ricerche più difficili”. E tu che vantavi una polacchetta!<br />
In casa noi abbiamo avuto dei geni in boccio: “Una di loro [beccati questo schiaffo]<br />
insegna – a soli 28 anni – già da un po’ negli Stati Uniti. Ci scriviamo via Internet e il mio<br />
primo figlio è stato ospite da lei a Philadelfia un’estate…. Insomma, evviva la baby sitter<br />
[quando la sua qualità è eccelsa, come quella delle mie]”.<br />
E ora ritorna al tuo posto, lettrice impertinente, probabilmente sposata con un uomo sine<br />
nobilitate. Mentre Barbara ha sposato un uomo dal destino regale.<br />
Nell’ultimo livello del ballatoio, quello della sinistra metafisica, appare Livia Turco, vestita<br />
da credente. Con gli occhi lucidi d’orgoglio si rivolge a un Carlo Marx dalla barba<br />
elettrizzata e gli grida: “E’ di sinistra, di sinistra, di sinistra, di sinistra”. Più a sinistra della<br />
contessa Palombelli dei Rutelli, infatti, non si può andare.<br />
Benedizione<br />
Vattimo, l’ultima sfida al ridicolo<br />
Gli italiani che scansano allegramente i futili problemi – l’incertezza del diritto, la<br />
delinquenza impunita, la devastazione drogastica, la denatalità, l’immigrazione selvaggia,<br />
la voracità del fisco, gli ostacoli ideologici allo sviluppo dell’economia, la disoccupazione<br />
diffusa, la decadenza della scuola ecc. – che le F.O.D.R.I.A. (forze oscure della reazione<br />
in agguato) sollevano al fine di nascondere le benemerenze della sinistra di governo,<br />
quegli italiani esemplarmente virtuosi vivono ore di angustia, a causa dell’infame e<br />
tremenda persecuzione, che gli omosessuali subiscono da parte della gerarchia cattolica.<br />
La misura dell’ingiustizia è tale, che un pensatore della statura somma di Gianni Vattimo<br />
è stato costretto a dichiarare, dalle limpide e serene pagine della rivista giustizialista<br />
“Micromega”, che “quest’anno non andrò in Chiesa in occasione della Pasqua, salvo che<br />
mi capiti di visitare qualche amico monaco in comunità eterodosse o comunque aperte<br />
come quelle di Bose”.<br />
Gli italiani politicamente corretti sono costernati. Ma gli altri, dopo aver eluso l’inelegante<br />
curiosità, che da un Vattimo vorrebbe notizie più precise sulla direzione dell’eterodossia<br />
delle comunità amiche e sul genere delle generose aperture praticate nel monastero di<br />
Bose, riflettono sulla causa di tanto lamentosa protesta: “Non posso frequentare i riti e<br />
partecipare ai sacramenti di una Chiesa … che accetta la mia inclinazione [omosessuale]<br />
ma mi comanda di non seguirla mentre fa pervenire agli sposi cristiani un telegramma di<br />
auguri del Santo Padre … perché crescano, si moltiplichino, facciano l’amore con la<br />
sicura coscienza che il papa è con loro”.<br />
I telegrammi agli sposi sono uno scandalo intollerabile, che desta la stizza del pensatore<br />
debole. Il graffiante Vattimo dichiara di essere disgustato dal comportamento papale,<br />
inteso a discriminare la “categoria”, alla quale appartiene orgogliosamente.<br />
Ora il buon gusto e la legge vietano ogni commento malevolo sulla pederastia.<br />
Ma la passione per la grammatica vorrebbe sapere quali parole dovrebbe usare il Santo<br />
Padre per fare gli auguri alla coppia omosessuale, che si accinge a consumare il<br />
matrimonio. E auguri per cosa? E con cosa vorrebbe essere benedetto Vattimo, con<br />
l’acqua benedetta o con la vaselina?
In occasione dei matrimoni tra uomo e donna il telegramma di auguri è indirizzato a una<br />
gentile sposa (in abito bianco) e a un egregio sposo (in nero frac). Nel caso rivendicato da<br />
Vattimo apparirebbero due signori in frac. Come si fa a stabilire chi è gentile e chi<br />
egregio?<br />
Lo spinoso problema si risolve, purché la paura del ridicolo sia definitivamente rimossa.<br />
Vattimo con intrepidezza da umorista consumato rimuove l’ostacolo senza difficoltà:<br />
l’abito bianco e il nero frac, la signorina gentile e l’egregio signore si dileguano nella<br />
nebbia sollevata dalla (presunta) rivoluzione cristiana del pensiero. Il filosofo dichiara<br />
infatti di aver scoperto, leggendo alcuni sommi autori (i suoi maestri: gli atei furenti<br />
Nietzsche e Heidegger), “che il cristianesimo ha introdotto nel mondo il principio di un<br />
rinnovamento radicale della metafisica classica: non più lo sguardo rivolto all’oggetto, alle<br />
forme naturali assunte come fisse ed eterne … ma lo sguardo sulla libertà e l’interiorità”.<br />
E se non si guarda alle forme naturali, dove sta più la differenza tra una sposa in bianco e<br />
uno sposo in frac?<br />
I progressisti del XIX secolo avevano inventato il falansterio, edificio sociale dell’utopia,<br />
dove, per realizzare l’uguaglianza anche negli accoppiamenti, gli “incontri” avvenivano in<br />
una camera buia e a tastoni. Il buio tatto poteva ottenere qualunque sorpresa. E’ evidente<br />
che Vattimo, fedele all’utopia ottocentesca, vuole l’amore cieco. (Tanto più che la<br />
pederastia, nel buio, distingue benissimo l’oggetto del suo desiderio).<br />
Sorge però un dubbio: se il pensiero cristiano avesse veramente abolito lo sguardo rivolto<br />
all’oggetto, per quale motivo la Bibbia condannerebbe ferocemente la pederastia? Perché<br />
la Chiesa ha sempre proibito e duramente perseguitato la pederastia? Perché non ha<br />
seguito “lo spostamento della nozione di verità dall’oggettività [una sposa in bianco non è<br />
uno sposo in frac] all’intersoggettività [nella camere oscura uno sposo in frac sostituisce<br />
felicemente una sposa in bianco]”?<br />
La spiegazione di Vattimo è perfettamente coerente con i principi del pensiero debole: la<br />
Chiesa sarebbe diventata ostile alla pederastia “avendo ereditato tratti essenziali dalla<br />
cultura antica e in special modo il mito dell’oggettività delle leggi di natura”. In parole<br />
povere: l’appartenenza al sesso maschile o a quello femminile non sarebbe decisa dalla<br />
nascita ma dal pensiero trasformista di Vattimo. Come in un incantesimo, Vattimo dice<br />
che i veri intellettuali sono femminili, Nel nome magico di Nietzsche i neodestri si<br />
affrettano a cambiare veste. Buttafuoco dichiara infatti che la neodestra appartiene al<br />
mondo gay. Miracolo? L’oltre uomo di Nietzsche getta la maschera e mostra la sua<br />
vocazione di oltre il maschio, cioè di androgino. Ma di qui a concludere che l’oltre<br />
maschio è diventato donna il passo è molto lungo.<br />
In definitiva, la colpa della Chiesa consisterebbe nel sottrarsi alla rivelazione del duo<br />
Nietzsche-Heidegger e nel negare che la realtà è sottoposta alla legge della soggettività:<br />
il ruolo maschile e quello femminile non dipendono dalla natura ma dalla decisione del<br />
pensatore-mago. La mente degli sconvolti e il cuore dei travestiti non chiedono niente di<br />
più.<br />
Bertinotti il rifondatore<br />
Pensieri lucertoliani<br />
L’apostasia moderna può essere paragonata alla vocazione paleontologica d’un<br />
affannoso ricercatore di fossili quale fu, ad esempio, il gesuita filonazista Pierre Teilhard<br />
du Chardin. Nel cuore segreto della filosofia in rivolta contro l’Occidente cristiano, infatti,<br />
pulsa l’amore per i relitti dell’antichità, ancorché fasulli (come il sinantropo). Gli averroisti<br />
di Parigi e di Padova usavano l’Aristotele degli arabi per aggredire la teologia razionale.<br />
Gemisto Pletone voleva che la metafisica retrocedesse al platonismo spurio degli
scolarchi. Il Rinascimento vezzeggiava i Polifemi raffigurati nelle divinità dei greci. Bacone<br />
non ha fatto altro che rincorrere un’improbabile antiquiissima sapientia veterum. Giordano<br />
Bruno ha preso sul serio gli apocrifi di Ermete Trismegisto. I giacobini erano convinti di<br />
recitare, contro Luigi XVI, la nobile parte di Bruto il Maggiore. Hegel idolatrava Eraclito.<br />
Marx fondò la scienza del mondo nuovo sui pensieri elementari di Democrito ed Epicuro.<br />
Schopenhauer fu illuminato dal buddismo arcaico. Nietzsche abbagliato dal dionisismo.<br />
Heidegger estasiato dai frammenti di Anassimandro. Senza destare più sorpresa, adesso<br />
sulla scena irrompe il furore regressivo del popolo di Seattle. L’orizzonte terminale della<br />
modernità assume la forma del pensatoio giurassico. Il paradiso in terra? Marx si è<br />
fermato alle Galapagos, adora le lucertole e forse fuma lo spinello. Stiamo forse<br />
scoprendo che l’ultimo pensiero rivoluzionario è ispirato dai rettili di Darwin?<br />
Infatti il marxismo rifondato da Bertinotti non è un umanesimo ma un lucertolismo.<br />
Bertinotti è un Pol-pot ammansito e perciò ricevuto dal salotto. Troppo raffinato per<br />
interpretare il leggendario drago, ma – all’occorrenza – capace di emettere il soffio<br />
ecologico che fa rinsecchire l’economia. Il partito della rifondazione è una brezza nella<br />
vela del socialismo reale ma una tempesta contro il progresso. Non promette sterminio di<br />
kulaki ma pacifiche carestie. Adesso che sulla vicenda moderna si è alzato l’ultimo<br />
sipario, non è difficile capire l’aurea regola del comunismo ultimamente detto: togliere a<br />
tutti, beneficare nessuno. Parliamo della persecuzione di Stalin contro i kulaki ridotta a<br />
dolce sceneggiata: la bontà punisce la ricchezza degli imprenditori refrattari per far<br />
cadere l’indigenza su tutti gli altri.<br />
Le pensioni e i salari sociali, ad esempio. Cosa ci vuole per far felici anziani e<br />
disoccupati? Nell’ottica lucertoliana, niente. E’ sufficiente abbandonarsi alla sindrome di<br />
Robin Hood: aizzare i gabellieri contro i redditi da impresa e contemporaneamente<br />
avviare l’inflactus (la meravigliosa macchinetta di Cric & Croc).<br />
Abbiamo trovato la formula della felicità? In realtà l’indigenza degli anziani è causata dal<br />
disfacimento della famiglia tradizionale, disfacimento al quale il pensiero lucertoliano (in<br />
sintonia con il lavoro della psicoanalisi parricida) sta dando un decisivo contributo.<br />
Ecco il risultato della morale socialista in lotta contro la tradizione: mantenere un anziano<br />
autosufficiente in un istituto pubblico costa circa cinque milioni al mese, il reddito di una<br />
famiglia intera. Con un modesto sussidio pubblico (perfino inferiore alla pensione minima)<br />
una famiglia tradizionale potrebbe invece risolvere il problema di un anziano. Se ben<br />
riflettiamo il nodo non è la mancanza di denaro ma la volatilizzazione della famiglia e<br />
l’abolizione della solidarietà tra consanguinei.<br />
Il problema è che famiglie non ci sono più, poiché pensieri lucertoliani hanno fatto svanire<br />
quella pietà per i deboli, che costituiva il fondamento della società cristiana. In un paese<br />
dove la famiglia non è ancora disarticolata il mantenimento di un vecchio costa molto<br />
poco. Dove esiste ancora la solidarietà familiare, la spesa sociale si riduce di<br />
conseguenza, e con essa si riducono le tasse. Il paradosso sta in questo: l’economia<br />
globale premia le società che trovano la parsimonia e l’efficienza nella fedeltà alla<br />
tradizione cristiana.<br />
I promotori dell’economia globale non si prefiggevano certamente di raggiungere questo<br />
fine. Al contrario: nella loro mente imperava un forsennato individualismo. Ma nella storia,<br />
come ha insegnato il nostro Vico, vige la legge dell’eterogenesi dei fini: la globalizzazione,<br />
pertanto, costringe gli egoismi a calcolare e a capire che la spesa sociale è troppo alta (e<br />
antieconomica) dove è più avanzata la disgregazione familiare. Se non si è solidali per<br />
scelta occorre diventarlo per obbligo.<br />
La riprova viene dall’osservazione del percorso cui è costretto il solidarismo fasullo<br />
nell’età della globalizzazione. Secondo Bertinotti nella sola Milano sotto la soglia di<br />
povertà si contano trecentomila persone. E’ chiaro che ai comunisti per rimuovere con il<br />
loro metodo un disagio tanto diffuso, sarebbe necessario un intervento massiccio della
mano pubblica. Se non che il mercato globale non consente questa operazione: i capitali<br />
fuggono dal paese dove la spesa sociale alza la clava del fisco. L’azienda Italia,<br />
nonostante le eccellenti doti degli italiani creativi, rischia di subire la concorrenza di paesi<br />
che hanno ancora una tradizione familiare. Si dimostra in tal modo che la solidarietà<br />
autentica (e non statale) à valorizzata e non depressa dall’economia globale.<br />
Per questo un coraggioso intellettuale cattolico, mons. Guido Pozzo, nel corso di un<br />
convegno recentemente promosso da Gaetano Rebecchini, ha sostenuto che la sfida<br />
della globalizzazione suscita speranze e apre scenari entusiasmanti.<br />
Contrariamente a quel che danno a credere i lucertoloni di Bertinotti, la concorrenza non<br />
è un male, poiché obbliga a discutere il (falso) progresso compiuto dalla società sulla<br />
strada dell’egoismo insensato.<br />
I comunisti vogliono far credere che la globalizzazione sia un ostacolo alla solidarietà e<br />
perciò scatenano la piazza di Seattle. L’ostacolo alla solidarietà è invece la politica<br />
lucertoliana, intesa ad abolire la morale e a disgregare la famiglia tradizionale. L’ostacolo<br />
alla solidarietà è infine l’illusione maldestra dei buonisti, che promuovono lo spreco<br />
pubblico per (non) risolvere i problemi posti dalla loro catastrofica cultura.<br />
Bobbio<br />
Terza Roma e seconda Babilonia<br />
L’azionismo fu. Si estinse al tramontare del secolo XIX, quando la sinistra crispina mise in<br />
scena un’eroica parodia del basso impero. Svanirono i sogni mazziniani e carducciani di<br />
una Terza Roma, consacrata ad un’azione fieramente laica (onde azionismo) sulle rovine<br />
della Chiesa cattolica. Lo spirito azionista sopravvisse soltanto nella polemica con<br />
Giovanni Gentile, reo di non aver impedito l’accordo di Mussolini col Vaticano. Cadde nel<br />
silenzio perfetto quando i comunisti, dietro mandato del salotto, uccisero Giovanni<br />
Gentile, la ragion d’essere (negativa) degli azionisti. Nel 1944, il filosofo azionista Guido<br />
De Ruggero (a proposito: chi se ne ricorda?) era già sceso al malinconico livello delle<br />
guardie reali al pantheon.<br />
Dignitosamente, ma al pantheon abita la naftalina, cui scamparono soltanto gli azionisti<br />
fittizi e avventizi, vale a dire gli emissari di Raffaele Mattioli. L’azionismo che non esiste,<br />
come lo definì Del Noce. Figuriamoci se esiste Bobbio, un intellettuale che vive in libreria,<br />
a distanza di cent’anni dal passato che si trova nel pantheon. L’azionismo di Bobbio è una<br />
memoria crepuscolare, gozzaniana: cara cosa ingiallita.<br />
Quando Bobbio, nella veste di padrone delle reliquie, ha firmato il manifesto che dichiara<br />
la guerra della civiltà rutelliana a Berlusconi, forse pensava di difendere l’Italia solenne del<br />
pantheon, non certo al paesaggio depresso, che è nel disegno degli altri firmatari,<br />
l’economista dell’Espresso Paolo Sylos Labini e il direttore di Micromega, il frizzante<br />
Paolo Flores d’Arcais.<br />
Infatti la Terza Roma, quella della sinistra secondo Micromega, ha il profilo sgangherato<br />
di una seconda Babilonia. La casa di Bobbio è una pietra profumata da nobili e rispettabili<br />
muschi, e perciò, lo ha ricordato Publio Fiori, rimane a distanza dall’orrore comunista e<br />
dalla truffa neocomumista. Il Bobbio che firma contro Berlusconi è dunque antitetico al<br />
Bobbio reale.<br />
Il laicismo messo in scena dalla sinistra veltroniana rappresenta il cascame del<br />
comunismo, che si divide tra le danze di Gianni Vattimo intorno all’effeminatezza di<br />
Nietzsche e i lavori a maglia, che l’ex didimo dello juventino Mughini, Paolo Flores<br />
d’Arcais, esegue, con il pensiero rivolto alla ghigliottina. Sullo sfondo appare Nanni<br />
Moretti, che proditoriamente dirige una pioggia di morfina cinematografica sugli incauti<br />
spettatori del funerale.
La sinistra si nasconde dietro la sagoma rispettabile di Norberto Bobbio, guardiano del<br />
pantheon ottocentesco, narcotizzato da Nanni Moretti. Ma la figura della comicità tracima<br />
imperiosamente: il giorno della firma al manifesto contro Berlusconi, il quotidiano<br />
“Liberazione”, organo della rifondazione comunista, scriveva: “Incredibile dichiarazione<br />
del candidato premier dell’Ulivo, alla vigilia dell’otto marzo. In visita al settimanale<br />
cattolico Famiglia cristiana, Francesco Rutelli si dichiara personalmente contrario<br />
all’aborto, e propone di cambiare la legge. Non sazio, Rutelli propone anche di aumentare<br />
il sostegno alle famiglie per favorire la scuola privata”.<br />
Bertinotti si è formato alla scuola di Riccardo Lombardi, e Riccardo Lomardi apparteneva<br />
alla scuderia “azionista” di Mattioli. Tanto per dire cosa rimane dell’azionismo: il potere<br />
dell’eversione. Il giorno successivo, gli stessi giornali che pubblicizzavano il manifesto di<br />
Bobbio e Flores d’Arcais, davano notizia della rivolta generale dell’ulivo: tutti gli esponenti<br />
della sinistra, comprese la lacrimosa Livia Turco e la soave professoressa dell’Università<br />
cattolica, Ombretta Fumagalli Carulli, avevano preso posizione contro il clericalismo di<br />
Rutelli. E Rutelli? Fermo contro Berlusconi, liquido con tutti gli altri. Udita l’unanime<br />
sconfessione, ha eseguito il delizioso rito del penitente laico. E alla fine ha rivendicato la<br />
sua antica battaglia di radicale favorevole all’aborto. Cosa ne pensa il professor Bobbio,<br />
che in altre occasioni si è detto contrario a pornografia e aborto?<br />
Aborto no, aborto sì. E poi: scuola privata sì, scuola privata no. Come nella canzone di<br />
Nicoletta Patty Pravo Strambelli, Rutelli, dichiara che il pensiero della sinistra non ha<br />
stabile dimora. Oggi qua, domani là. Un giorno abita dai frati paolini, un giorno da<br />
Pannella. Oggi terza Roma, domani seconda Babilonia. Chissà se un giorno arriverà nella<br />
Patagonia del sublime Chatwin. Certo è che la lotta della (tra virgolette) civiltà contro<br />
Berlusconi è condotta senza quartiere. Letteralmente.<br />
Per fustigare la politica italiana, l’Alighieri rinfacciava la frenetica volubilità di Firenze,<br />
… che fai tanto sottili<br />
provvedimenti, ch’a mezzo novembre<br />
non giugne quel che tu d’ottobre fili.<br />
Le sfreccianti giravolte della nuova sinistra battono il camaleontismo della Firenze<br />
medioevale. E mostrano quale è il pericolo che incombe realmente sulla civiltà italiana: un<br />
governo fregolistico. Che specchierebbe la virtù di Fregoli, un attore da avanspettacolo<br />
diventato famoso per la velocità nel cambio d’abito, d’aspetto e di ruolo.<br />
La sinistra espone il futuro costituito da un governo di banderuole esposte al vento<br />
capriccioso delle Ombrette, docilmente intese a compiacere i controllori babilonesi dello<br />
spettacolo. Gli azionisti “ultimi”, avendo capito da che parte gira il vento del palcoscenico,<br />
giocano l’asso piglia tutto e accarezzano paolini e pannelliani, libertini ed encratisti, verdi<br />
contro l’elettrosmog e scienziati nucleari, cacciatori e gattare, fumatori e drogati,<br />
sviluppisti e membri arcadici del WWF. Tutti elettori, tutti estasiati, tutti imbrogliati.<br />
Civilmente.<br />
Ma il palazzo dei superiori babilonesi ha già fatto sapere, per la voce impaurita e<br />
sottomessa della Fumagalli Carulli, chi sarebbe il padrone della vittoria “civile” contro la<br />
destra. E contro la maggioranza degli italiani.
C<br />
Cacciari<br />
Carattere<br />
Carmelo<br />
Comunitari<br />
Cosmopoli<br />
Cultura di sinistra<br />
Cacciari<br />
Il professore assoluto<br />
Umido per il compianto del creato, corrusco per lo sdegno nei confronti del creatore.<br />
L’occhio di Massimo Cacciari vigila. Nella sua luce vibra una Niobe d’ira. Contemplare<br />
l’aspetto michelangiolesco di Cacciari desta vertiginose emozioni. Ascoltarlo è una<br />
delizia. Cacciari è antico e profondo come un vescovo ammaestrato dai comunisti.<br />
Ingannati dai rustici argomenti della destra i telespettatori pensarono per un attimo che la<br />
compilazione dei testi scolastici e la loro adozione fosse compito di biechi inquisitori,<br />
orchestrati dal rozzo Storace e dal viscido Formigoni. Ma il luminoso Cacciari ha parlato.<br />
In televisione. Forte e chiaro. Ora la plebaglia sa: i libri di scuola li scrivono e li adottano i<br />
professori. Giù le mani dai professori e dai libri sacri. Il professore è l’assoluto a cavallo.<br />
Dei diritti d’autore.<br />
L’ira del palombaro nella laguna filosofica, scuote la paciosa parlata veneta. “Finiamola!”<br />
scandisce imperioso. Cacciari è un arcipelago, una coscienza multipla e scattante.<br />
Venetiae locutae sunt. Causa finita? Un circolo ermeneutico appare davanti ai rustici<br />
sguardi degli italiani: i professori scrivono, gli alunni leggono, i fascisti imparino a tacere. Il<br />
liberticida Storace stia in riga, la parola di Cacciari è legione.<br />
I revisionisti non passeranno. L’infame Francesco Cossiga andrà a cuccia. Lucio Colletti<br />
metterà le orecchie d’asino. Rocco Buttiglione sarà sculacciato. Cecilia Gatto Trocchi<br />
ammanettata. Fausto Gianfranceschi flagellato. L’Intelligenza splenderà invitta. I libri di<br />
scuola li scrivono professori-scrittori e li adottano professori-docenti. Cosa si vuole di più?<br />
I ragazzi leggano, l’impertinenza di destra è fuori dal gioco. Nei cieli astratti della filosofia<br />
cacciariana il circolo ermeneutico è perfezionato dal lieto fine: la protervia nera è battuta.<br />
Tuttavia, in questa bassa terra, tra i libri scritti dagli scrittori e i libri letti dai discenti ci sono<br />
i libri banalmente venduti dai librai. Ma pagati con denaro non banalmente guadagnato.<br />
Il mercato dei libri scolastici non gode della piena libertà ma c’è. Sopravvive in qualche<br />
modo. Al mercato si compra. Ora chi paga i libri ai librai? Cacciari? Supponiamo che il<br />
suo grande cuore voglia, sappiamo purtroppo che il bilancio pubblico non può. Allora<br />
prendiamo ad esempio il ponderoso libro di filosofia, comprato per un figlio che si prepara<br />
alla maturità. E’ solo un esempio, di libri massicci, per un anno nella scuola ulivista, ne<br />
occorrono dieci. La spesa sfiora il milione. E che libri: volutamente pletorici, farraginosi,<br />
torrentizi. Il raglio sessantottino è usato anche per la spiegazione del teorema di Pitagora.<br />
Gli studenti leggono solo il minimo indispensabile e fanno conto sull’ignoranza<br />
conclamata dei professori spinellati (come apprendiamo da Umberto Veronesi). Il resto è<br />
per il macero.
Ma il libro di filosofia pesa sul cuore più degli altri perché scritto con piedi azzoppati dal<br />
prepotere gramsciano. Un solo esempio: nella conclusione al capitolo che lo riguarda,<br />
Vico è definito “precursore dell’illuminismo italiano”. Povero Vico. Ridotto a battistrada<br />
degli errori che il suo genio aveva previsto e confutato magistralmente! E che miseria la<br />
bibliografia, ferma al 1911 (non una parola su Gentile, Del Vecchio, Bellofiore, Amerio,<br />
Del Noce, Sciacca, Voegelin, De Tejada, Montano). I genitori sono obbligati a pagare<br />
(55.000 lire) un cofano di sciocchezze omissioni. Di sinistra, se questo può consolare.<br />
Storace deve tacere per definizione. E i genitori paganti? I professori scrivono, i docenti<br />
adottano, Cacciari sputa sentenze nell’aria fritta, Buttiglione è deplorato, Cossiga va<br />
cuccia ecc. Ma le famiglie pagano. Pagare e tacere? No. Dopo l’analisi di Cacciari c’è<br />
l’analisi dei pagatori. L’ultima analisi: i libri sono monumentali e ridicoli trattati di asineria<br />
ma non divertono. Nessuno ha voglia di ridere a quel prezzo.<br />
Neanche la tracotanza lapalissiana di Cacciari fa ridere: costa troppo. Il fatto è che al<br />
centro dei circoli ermeneutici disegnati con maestria dal palombaro del pensiero plurimo e<br />
lagunare si trova la Bazza del potere editoriale, versione chic dell’antico gioco della<br />
bazzetta (un tempo proibito dal regolamento fascista di pubblica sicurezza). Bazzetta del<br />
potere assoluto con tanto di parrucca. Case editrici, professori scriventi e adottanti, filosofi<br />
sentenzianti, politici deliranti festeggiano i lauti guadagni alle spalle dei babbi che<br />
lavorano. Silenzio, la Bazza infuria?<br />
Si dice che Storace sia stato maldestro. Senza dubbio Giovanni Gentile avrebbe esposto<br />
argomenti più profondi e sarebbe stato più efficace. Stabiliamo pacificamente che Storace<br />
non è un Gentile. E Cacciari? Il problema è reale e ineludibile: i genitori, che sopportano<br />
ingenti sacrifici per mandare a scuola i loro figli hanno il diritto di sapere chi sta sul lato<br />
opposto alla loro spesa. E siccome la spesa è ingente e comporta sacrifici hanno anche il<br />
diritto ad una difesa dalle furberie di professori ed editori assoluti (legibus soluti) che, a<br />
prezzi esosi, vendono libri da pattumiera. Non si può proibire la speranza che qualcuno<br />
tenti d’impedire che ai ragazzi siano consegnati libri scritti con i piedi per essere pagati<br />
con il sudore della fronte e studiati con danno della verità.<br />
In ultima analisi: i giovani e le famiglie che li mantengono agli studi hanno diritto alla<br />
verità. Storace ha assunto maldestramente il ruolo di difensore della famiglia. Cacciari<br />
invece difende con consumata arte demagogica il potere assoluto della mistificazione.<br />
Cacciari parla con la protervia del potere: ormai tutti sanno che l’assolutismo hobbesiano<br />
è nel codice genetico della sinistra postmoderna. Ma in gioco c’è un bene più sacro: la<br />
libertà dei discenti. La libertà dalla menzogna, dagli inganni del mercato e dalla<br />
sciocchezza pagata a caro prezzo. La libertà dall’obbligo (ad esempio) di sopportare<br />
sacrifici per finanziare gli esercizi sofistici dell’uggioso Cacciari.<br />
Carattere<br />
La faccia oscura dello spiritualismo ateo<br />
Dissolte le ideologie forti, l’Occidente secolarizzato si è ristretto ai bassi e deludenti<br />
disegni, che rappresentano la felicità sulla scena precaria del divenire. La scienza profana<br />
e il potere tecnologico, versioni sbiadite della carità e del miracolo, consolano il<br />
Novecento tradito dal messia totalitario e propongono al terzo millennio una vita stirata<br />
nella rincorsa della giovinezza. Così le rivoluzioni per il paradiso in terra si appiattiscono<br />
nelle diete ecologiche, nei tormenti della chirurgia estetica, negli spettacoli<br />
d’intrattenimento e nelle maratone politicamente corrette.<br />
Nell’area depressa del <strong>postmoderno</strong> è quasi inarrestabile la circolazione degli spiritualismi<br />
reazionari e delle magie antagoniste. Ma per contrastare efficacemente il paradosso<br />
dell’eternità inseguita nella finitezza, è obbligatoria l’assunzione del punto di vista di
quella teologia razionale, che costringe ad affermare la trascendenza di Dio e a collocare<br />
la perfezione oltre il tempo.<br />
Solo davanti al pensiero che contempla l’eterno, la superstizione mondana e l’impianto<br />
dell’apparato tecnologico sono relativizzati e perciò sopportabili.<br />
Se un’ebbrezza tracotante rigetta invece le verità della metafisica, l’ossessione del non<br />
senso – l’insegnamento che James Hillman vuole impartito da terribili visitatori notturni -<br />
s’impadronisce del pensiero e vi insedia quella disperata religione dello zero metafisico,<br />
che Giovanni Paolo II ha definito cultura di morte.<br />
Nell’orizzonte del nichilismo, la contestazione dei beni effimeri e la protesta contro<br />
l’edonismo e il consumismo, non contribuiscono alla confutazione del materialismo ma lo<br />
esasperano trasferendolo nello sguardo invidioso, propriamente jettatorio della magia<br />
nera.<br />
Non il male americano, contro il quale abbaia l’accanimento dello spiritualismo ateo; non<br />
le finzioni intorno alla lunga vita, non le macchine dell’abbondanza, ma le religioni del<br />
nulla costituiscono la minaccia mortale che incombe sulla cultura dell’Occidente<br />
contemporaneo. Lo aveva inteso, Henri Massis, che alla fine degli anni Venti pubblicò un<br />
saggio, “Difesa dell’Occidente”, nel quale pronosticava gli effetti devastanti della<br />
diffusione, nella Germania moderna, di una cultura arcaica, derivata dalle tradizioni<br />
dell’India shivaita e della Grecia dionisiaca. Purtroppo il nazismo non ha esaurito tutti i<br />
veleni estratti dal pensiero arcaico. Lo spurgo continua, alimentato da autori curiosi<br />
(Kojève, Bataille, Taubes, e soprattutto Hillman) che hanno rovesciato l’avversione al<br />
nazismo nel culto del suo fondamento pagano. Grazie al gioco degli errori contrapposti, la<br />
religione del nulla, officiata dagli orfani della rivoluzione, è nuovamente in campo, per<br />
affondare la modernità nella derelizione del pensiero cristiano e della sua ombra<br />
tecnologica.<br />
La cultura dell’Occidente sta ora in bilico tra la ragione cristiana e i riflussi del<br />
paganesimo. Questo significa che dalle illusioni emanate dal pensiero tecnocratico si può<br />
uscire per la porta della verità cristiana o per quella della notte panteistica e della ragione<br />
a intorbidata.<br />
In un caso le contraddizioni della civiltà occidentale sono risolte dalla tolleranza, che<br />
apprezza i risultati materiali del progresso come frammenti e metafore del bene eterno,<br />
nell’altro la vita umana è respinta nella notte dei decadenti, dove le alternative alle illusioni<br />
intorno al benessere si riducono alla proclamazione del genio obituario di ogni specie<br />
vivente.<br />
Ora l’attrattiva che il nichilismo esercita sul disorientamento contemporaneo consiste nella<br />
doppiezza di una spiritualità, che insiste nell’aggressione alle forme secolarizzate e<br />
deviate del pensiero cristiano mentre solleva cortine fumose intorno all’intenzione di<br />
sostituirle con la follia del vuoto.<br />
L’assioma nichilista, che Freud e Jung hanno dedotto da Nietzsche è aggiornato e reso<br />
esplicito da Hillman, secondo il quale l’istinto del piacere, il sì alla vita orizzontale, si<br />
converte fatalmente nella rassegnazione all’istinto di morte.<br />
Hillman corona splendidamente la dinastia dei maestri del sospetto dichiarando che la<br />
vita è ordinata al nulla: il processo che chiamiamo marcescenza è il modo in cui il destino<br />
incomincia a trasparire.<br />
James Hillman ha condotto le caute premesse dei suoi maestri all’approdo di un<br />
paganesimo senza ritegni, tabula rasa del Cristianesimo ma anche di tutte le versioni<br />
secolarizzate dell’umanesimo, psicoanalisi inclusa. Ne “La forza del carattere”, il saggio<br />
pubblicato in questi giorni dall’editore esoterico Adelphi, egli mette a nudo la vanità delle<br />
aspettative di lunga vita, che costituiscono il vanto dell’Occidente secolarizzato, evocando<br />
il mito di Titone, “colui che si vide esaudire il desiderio di vivere per sempre, ma che,
essendosi dimenticato di precisare che voleva vivere per sempre all’età che aveva in quel<br />
momento, fu condannato a invecchiare in eterno”.<br />
Il mito di Titone introduce nel cuore buio di una spiritualità desolata, e intesa a dissuadere<br />
chiunque intraprenda la ricerca sul senso della vita. Il carattere non è più il segno che la<br />
volontà personale imprime sul temperamento ma l’orma del destino insensato, cui l’uomo<br />
non può sottrarsi. Nel carattere-destino l’istinto di piacere e indissolubilmente congiunto<br />
con il principio che informa l’invecchiamento del corpo. Il carattere è dunque lo strumento<br />
con il quale la vita discendente rivendica il suo potere assoluto sulle aspirazioni dei<br />
singoli. Secondo Hillman la vita è affetta da un male che non consente neppure<br />
l’immaginazione del rimedio: «Se volessimo esprimere con linguaggio teologico<br />
l’infirmitas dell’archetipo, diremmo che il Peccato originale si spiega con il peccato degli<br />
Originali».<br />
Negato il rapporto con l’esercizio virtuoso, nel carattere si considera solo “un istinto<br />
sottostante, che abbraccia il bene e il male essendo al di là di entrambi”.<br />
Si può affermare tranquillamente che Hillmann segna l’estremo confine dell’apostasia<br />
moderna rivelandone l’indirizzo contrario alle più profonde ed elementari aspirazioni<br />
dell’umanità.<br />
Hillman manifesta una verità che era già evidente ai Padri della Chiesa: l’ateismo,<br />
piuttosto che alla negazione di Dio, tende alla dissoluzione dell’uomo. L’ateismo<br />
hillmaniano ha per fine dichiarato la dissipazione dell’umanità nel vento di un destino o<br />
carattere – ostile alla vita in quanto tale.<br />
Hillman non ha difficoltà ad ammettere che il cadere a pezzi del corpo libera il carattere<br />
della personalità, e ancor più chiaramente che il destino espelle la personalità.<br />
Di qui l’abdicazione dello psichiatra Hillmann davanti al dolore connesso alla follia, che è<br />
peraltro rimossa dalla prospettiva della medicina: «il normale e l’anormale dovrebbero<br />
forse scambiarsi le case». Il discredito lanciato dalla “scuola” contro le terapie per mezzo<br />
degli psicofarmaci è dunque ovvio.<br />
Nella vitrea contemplazione del Male Necessario, ripresa dei temi sviluppati da Carl Jung<br />
nella “Risposta a Giobbe”, Hillman non esita a dedicare un inno mistico all’incubo: «Il<br />
panico, soprattutto di notte, quando la cittadella s’oscura e l’io eroico dorme, è una diretta<br />
participation mystique alla natura, un’esperienza fondamentale, addirittura ontologica, del<br />
mondo vivo immerso nel terrore».<br />
Gli psichiatri americani, che si oppongono risolutamente all’inquietante deriva della<br />
psicoanalisi, definiscono Hillman “lo stregone”. Quando si leggono le sue estasiate parole<br />
sull’incubo e la follia non si riesce a dire che hanno torto.<br />
Carmelo<br />
Carmelitane dissidenti e altri pericoli in agguato<br />
Un tempo i princìpi erano detti veri o falsi, secondo uno schema che riconosceva l’ovvia<br />
verità del principio di non contraddizione. Ma il radioso e finora invitto pensiero<br />
rivoluzionario ha diviso i princìpi secondo le categorie della giustizia (oggi diventata<br />
correttezza politica) e della pericolosità. Giusti e corretti politicamente sono i pensieri utili<br />
all’utopia rivoluzionaria, pericolosi tutti gli altri.<br />
La verità, che ha fondamento nell’evidenza piuttosto che nella pietra filosofale, è<br />
pericolosa. L’azione rivoluzionaria, dunque, è sempre intesa allo smascheramento e alla<br />
punizione di coloro che affermano l'esistenza della verità e perciò negano il Bene<br />
ideologico. L’ideologia in allarme vigila sull’insidiosa realtà: è la scena della cultura<br />
comunista nell’età dei buoni.
Il pericolo è il bastone della vecchiaia ideologica. Questa nozione mi fu chiara nell’ultimo<br />
giorno della primavera di Praga. Correva l’anno 1968, e il socialismo reale mostrava tutte<br />
le sue rughe. Nella piazza san Venceslao un gruppetto di turisti, giunti dall’Emilia<br />
cooperativa, discuteva con i giovani dissenzienti. Udite le critiche impertinenti dei<br />
controrivoluzionari, il più autorevole dei cooperativisti esclamò:<br />
Attenti compagni, voi mettete in pericolo la rivoluzione socialista!<br />
Caro compagno (sulla parola compagno forse batteva un accento ironico) in vent’anni di<br />
oppressione abbiamo imparato che il vero pericolo è la conservazione dell’incubo<br />
socialista.<br />
Il socialista emiliano era perplesso. L’evidenza era contro l’ideologia. Ma l’evidenza era<br />
una porta aperta sulla pericolosa e sommaria verità enunciata dal dissidente, che<br />
mescolava il socialismo con la conservazione.<br />
Una sinistra reazionaria era ed è tuttora l’Inaudito. Il socialista tacque. In sua vece, il<br />
giorno dopo, parlarono i cingoli dei carri sovietici: la rivoluzione fu sottratta al pericolo.<br />
Ora si può affermare tranquillamente (ed esprimendosi per mezzo dell’enjembent, tanto<br />
caro ai letterati di sinistra) che il pericolo non è la dirompenza del carro armato ma la<br />
coscienza personale, che crede nell’esistenza della verità e, pertanto, spregia il<br />
meraviglioso dissolvimento della rivoluzione.<br />
L’agguato al Bene rivoluzionario è teso dagli oscurantisti, che vedono la realtà ma negano<br />
il paradiso in terra.<br />
Le refrattarie monache carmelitane della clausura di Compiègne, ad esempio. Per<br />
assecondare la nota inclinazione del loro ordine all’ingerenza negli affari di stato, le<br />
monache impertinenti rifiutarono di ascoltare la messa ufficiale, celebrata dai preti allineati<br />
con il regime giacobino. Si macchiarono di una colpa grave: contestare, per i futili motivi<br />
della coscienza, il culto approvato dallo stato rivoluzionario. Furono ghigliottinate<br />
d’urgenza. A dimostrazione del fatto che il pericolo ha sede nella coscienza chiusa alle<br />
meraviglie ideologiche.<br />
In molti si augurano che, un giorno o l’altro, il celebre psicoanalista Umberto Galimberti<br />
sottragga qualche ora al prezioso impegno nella redazione di “Repubblica” e tenti di<br />
spiegare l’occulta ragione dei corsi e ricorsi delle carmelitane nella storia dei pericoli<br />
incombenti sulla sinistra rivoluzionaria.<br />
Il tormentato rapporto tra la rivoluzione e il pericolo carmelitano è, senza dubbio, materia<br />
incandescente per la psicoanalisi d’avanguardia.<br />
La storia scandalosa di madre Teresa delle meraviglie di Dio, tra le tante. Già il nome era<br />
sospetto, in quanto escludeva (pericolosamente) le meraviglie della rivoluzione in atto<br />
nella Barcellona degli anni Trenta.<br />
I vigilanti rossi chiesero a madre Teresa di mettere nero su bianco l’inventario dei tesori<br />
nascosti nel Carmelo. La monaca ribelle scrisse allora una frase ingiuriosa: “Il tesoro del<br />
Carmelo è la misericordia di Gesù”. La rivoluzione, come insegna il duo Camera-Fabietti,<br />
non può concedersi lussi borghesi: rinuncia ai guanti bianchi e punisce severamente<br />
l’ironia. Infatti suor Teresa fu immediatamente passata per le armi. Se questa non è<br />
materia da psicoanalisi, cosa è mai la psicoanalisi della rivoluzione?<br />
Forse la psicoanalisi del professor Galimberti ci potrà spiegare perché Massimo D’Alema<br />
ha sostenuto (in un’intervista rilasciata domenica 24 settembre 2001 al telegiornale della<br />
Rai) che esistono referendum utili (presumibilmente quelli promossi dalla sinistra) e<br />
referendum pericolosi (quelli promossi da Formigoni). E perché, nel “Messaggero” del 25<br />
settembre, attribuisce a Maurizio Gasparri “linguaggio squadrista e muscoli d’acciaio”.<br />
Passi il linguaggio, lo squadrismo di Gasparri non è vero e tuttavia a qualcuno potrebbe<br />
sembrare verosimile. Il pericolo è un’ossessione comunista, ma i muscoli d’acciaio dove<br />
sono? L’atletico D’Alema dimentica la figura di Gasparri o quella dell’acciaio? O non è più<br />
l’orgoglioso spezzatore d’un tempo? Forse Galimberti sa come sciogliere l’enigma.
Ma quale palombaro dello spirito rivoluzionario riuscirà a sciogliere la matassa che mette<br />
capo al rovente atto di accusa della sinistra veronese? Proclama un ideologo nella città di<br />
Romeo e Giulietta: “L’Austria è ovunque. Anche noi diventeremo razzisti. Cresce la paura<br />
dell’altro. Zingari, l’Islam, gli ebrei. L’uscita di Biffi contro i musulmani è gravissima”.<br />
(Repubblica, 21 settembre 2000).<br />
Verona è un lager dunque Biffi è un aguzzino. Tutto si tiene. Non ha nessuna importanza<br />
che il rabbino di Verona, dottor Piattelli, abbia dichiarato (al Tg 4 di sabato 23 settembre)<br />
che a Verona la comunità ebraica vive tranquillamente e non vede l’insorgenza di alcun<br />
pericolo. Il dottor Piattelli appartiene all’odiosa e bieca realtà, che ha smentito ed espulso<br />
l’ideologia. Alla larga dalla realtà, poiché l’essenziale è denunciare il pericolo, che i<br />
vigilanti intravedono nel cielo dell’illusione.<br />
Il cardinale Biffi non appartiene all’ordine del Carmelo, ma una sua recente lettera<br />
pastorale ha gettato la pericolosa ombra dell’evidenza sullo splendore dell’ideologia<br />
multiculturale. Di conseguenza la ferrea catena dell’interdetto “logico”, che parte da Hitler<br />
e attraverso Heider-Bossi-Fini giunge al mostro di Arcore, è allungata fino a inchiodarlo.<br />
In attesa delle fucilabili carmelitane e dell’uscita dei carri armati sovietici dalle nebbie del<br />
passato, la missione socialista adesso consiste nell’incolpare Biffi, infangare il pensiero<br />
realista, condannare il cattolicesimo. L’importante, per il momento, è alimentare la<br />
sindrome rivoluzionaria che denuncia l’odiosa trama nazi-carmelitan-biffiana. Finché la<br />
psicoanalisi o il probabile voto degli italiani non metteranno fine allo psicodramma.<br />
Comunitari<br />
La destra contro l’universalità<br />
Nell’intento di produrre un’antitesi alle chimere della sinistra trionfante, la destra<br />
germanica degli anni Venti ha elucubrato un’ideologia avventizia, che associa la<br />
devozione feudale al potere con il culto della nazione proletaria. Il risultato di tale<br />
ibridazione è l’ossimoro “rivoluzione conservatrice”, formula scismatica, che esprime la<br />
scelta di una direzione storica e della direzione opposta.<br />
La fragilità del pensiero neodestro (De Benoist, Tarchi, Veneziani ecc.) dipende, appunto,<br />
dall’obbedienza al principio secondo cui la scelta del valore amico è decisa<br />
dall’identificazione del valore nemico. Infatti gli iniziatori tedeschi della rivoluzione<br />
conservatrice ed i loro eredi francesi e italiani hanno assecondato l’infelice disposizione<br />
ad incarnare il rovescio di una sinistra tradizionalmente reazionaria, perché rovesciata, fin<br />
dal 1789, in un intrigante gioco di parole e di parti in commedia.<br />
La contraddittorietà dei pensieri intorno alla rivoluzione conservatrice diventa innegabile<br />
quando si ha presente che, in origine, la parola “destra” indicava la collocazione dei<br />
resistenti al disordine, che fu avviato dai persecutori monarchici dei gesuiti e arroventato<br />
dai rivoluzionari giacobini.<br />
“Destra” entra nel <strong>dizionario</strong> politico per indicare gli oppositori a quella costituzione civile<br />
del clero, che portava alle conseguenze estreme l’aspirazione monarchica ad asservire e<br />
nazionalizzare la Chiesa di Francia. L’identificazione della vera destra non è possibile<br />
finché non si riconosce che la rivoluzione del 1789 procede sulla via tracciata dal<br />
dispotismo illuminato. Il politologo che non vede il sinistrismo borbonico non è capace di<br />
individuare la giustificazione ideale della destra.<br />
Il dramma personale di Luigi XVI, che disconosce la tradizione assolutista per conservare<br />
la fede cattolica, è l’incidente di percorso che rovescia la parte di un attore ma lascia<br />
intatta la trama della storia. Fare appello al martirio di Luigi XVI per riscattare il passato<br />
della monarchia borbonica e attribuirgli un significato “di destra” è un’operazione<br />
fuorviante, attuabile solamente quando è censurata l’evidenza del fatto storico.
La verità della destra, dunque, non si trova nei pensieri dell’Ancien Régime. La linea di<br />
pensiero che inizia da Malebranche e continua in Gerdil, Bonald e De Maistre produce un<br />
risultato identico a quello ottenuto dall’illuminismo: l’oscuramento romantico della ragione.<br />
D’altra parte l’assolutismo e la rivoluzione perseguivano lo stesso fine politico: instaurare<br />
la supremazia del trono sull’altare. I princìpi fondamentali della destra storica affermano<br />
invece l’universalità dell’autorità ecclesiastico e perciò escludono che la Chiesa sia<br />
assimilabile alla figura della nazione e riconducibile al potere statale.<br />
Ora si comprende perché i nazisti, veri autori della rivoluzione conservatrice, dividevano<br />
la loro ammirazione tra l’illuminismo e la controrivoluzione romantica. La mostruosità della<br />
destra del Novecento, consiste nel tentativo di rispondere alla sfida rivoluzionaria<br />
mediante l’unione dello stato assoluto con la religione del popolo, il c.d. Cristianesimo<br />
germanico.<br />
Purtroppo la dialettica amico-nemico agisce ancora nella cultura neodestra. La cultura<br />
neodestra, incapace di vedere la rappresentazione di un esito regressivo e particolaristico<br />
della sinistra da parte del popolo di Seattle, ha ratificato l’autodefinizione della sinistra<br />
come presidio della solidarietà universale, e si è coerentemente posizionata sulla linea<br />
dei miti intorno alle patrie esclusive. Messa su questa linea la destra ha finito col ripetere<br />
il destino del Novecento: la solidarietà inavvertita con la sinistra profonda. (Inavvertita per<br />
tutti, fuorché per Hitler: “Ci sono maggiori motivi d’unione col bolscevismo che motivi di<br />
separazione”).<br />
Delle contorsioni dettate dall’abbagliante costruzione di sé nello specchio nemico è<br />
testimonianza l’opera del più celebre fra i neodestri, Marcello Veneziani.<br />
Veneziani tenta infatti la fondazione di una destra comunitaria, rigorosamente avversa<br />
alle istanze di una (presunta) sinistra libertaria e universalista, istanze identificate con il<br />
pensiero unico delle multinazionali e “con l’egemonia del questore universale nel nome<br />
del nichilismo e dello sradicamento”. In “Comunitari o liberal”, Veneziani scrive infatti:<br />
“Qual è il nocciolo dei liberal [della sinistra]? L’idea di emancipazione, di liberazione dai<br />
legami, nei progetti di un’umanità liberata. Un’idea che si coniuga con la<br />
deterritorializzazione, il superamento dei confini, l’universalismo”.<br />
L’irrealtà di questa definizione, che attribuisce la sete di libertà dai legami al partito delle<br />
manette (di sinistra) che tintinnano nelle pagine di Micormega, è evidente. Gratificante<br />
(per la fatiscente teologia della liberazione) è invece l’attribuzione del valore universale<br />
(=cattolico) ai pregiudizi della sinistra contro ogni tentativo di integrazione dei popoli.<br />
Dove è chiaro che la protesta contro la globalizzazione rappresenta la vera voce dei<br />
poteri forti, intesi alla depressione malthusiana del terzo mondo.<br />
Al polo opposto dell’immaginaria sinistra “liberal”, si troverebbe una destra conservatrice<br />
del senso di appartenenza all’etnia e della teoria della sovranità della politica<br />
sull’economia.<br />
Veneziani, quasi a confermare l’origine babelica della tradizione di cui si fa interprete,<br />
auspica che intorno all’ideale comunitario si raccolgano “circoli di nuova destra,<br />
ambientalisti, cattolici personalisti o provenienti dalla nuova sinistra”. La vecchia<br />
impolverata sfida alla logica s’impegna al raccoglimento dei rottami eterogenei, che la<br />
storia ha abbandonato sul campo dell’errore moderno.<br />
I confini del comunitarismo di destra sono peraltro segnati da traballanti paletti, che<br />
Veneziani elenca in una rapinosa bibliografia di riferimento al delirio: Nietzsche, la Weil,<br />
Eliot, Mounier, Bataille, Schmitt, Heidegger, Jünger, Cacciari, Esposito, De Benoist.<br />
Dalle loro opere, Veneziani deduce “trentacinque distinguo illuminanti sugli schieramenti<br />
del nuovo millennio”. Puntualmente la prima antitesi proposta, “l’umanità (cosmopolitismo)<br />
– la comunità (particolarismo)”, riflette i termini del conflitto tra la Chiesa cattolica e la<br />
monarchia nazionale nell’età dei lumi.
Ora non c’è dubbio che la globalizzazione costituisce una interpretazione ambigua<br />
dell’universalismo cristiano. Nei progetti dei poteri forti l’impianto dell’economia evoluta<br />
(“globale”) nei paesi terzomondiali è solo un compenso promesso in vista dell’imposizione<br />
di un’inaccettabile politica demografica. Ma questo non giustifica né l’insorgenza del<br />
particolarismo (opposto all’universalismo) né l’intrapresa della guerriglia contro la<br />
tecnologia e il libero mercato. La riforma dei progetti per la globalizzazione potrebbe<br />
diventare l’argomento vincente di una destra universale nella fedeltà alle autentiche radici<br />
cristiane. Ma Veneziani, imprigionato nei lacci della dialettica nemico-amico, non riesce<br />
più a distinguere la tradizione dalle parodie messe in scena dalla destra illuminista e dalla<br />
sinistra imparruccata.<br />
La cultura della “nuova” destra entra nel Terzo Millennio ripetendo la miracolosa<br />
moltiplicazione dei granchi che hanno insinuato elementi di illusorietà nella speranza<br />
cristiana.<br />
Cosmopoli<br />
La via comunista al regresso<br />
La civiltà occidentale ha origine dall’innovazione stoica, che introduce la spiritualità<br />
ebraica e l’universalismo persiano nel mondo classico. L’Occidente è dunque antitetico al<br />
particolarismo etnicista delle oligarchie greche.<br />
All’interno della cultura ellenistica, sulla quale si innesteranno la civiltà romana e il<br />
Cristianesimo, combattevano infatti due opposte tendenze: l’assolutismo, specchio della<br />
mentalità oligarchica e sofistica (sempre associata al naturalismo) e l’universalismo,<br />
espressione della dottrina, che gli stoici (come ha dimostrano Virginia Guazzoni Foà)<br />
avevano dedotto dalla religione ebraica e dalla tradizione politica dei persiani.<br />
Il versante “greco” (e arcaico) dell’ellenismo invece si riconosce nell’intenzione del potere<br />
politico d’imporre ai sudditi la mitologia e il culto del potere. La monarchia, che tra i<br />
macedoni era popolare e temperata, nell’interpretazione elaborata durante il regno di<br />
Alessandro Magno diventò sistema assolutista, al cui vertice stava l’imperatore, oggetto di<br />
un culto divino. Alessandro si fece proclamare figlio di Zeus per sottrarre il suo regno ai<br />
vincoli della legge e dell’autorità popolare, più antica e tradizionale dell’idea monarchica.<br />
Ma il culto divino tributato all’imperatore ellenistico è antitetico alla pietas, tanto da<br />
trovarsi associato, nell’esemplare saggio di Alexandre Kojève su Giuliano, all’ateismo<br />
radicale. All’interno del discorso teologico che Giuliano rivolge al popolo si svolge, ad uso<br />
degli iniziati, un discorso ateo, La religione è un gioco intellettuale, concepito per<br />
ingannare e sottomettere le anime semplici e fiduciose: “secondo Giuliano tutti i discorsi<br />
teologici sono necessariamente contraddittori nei loro termini e perciò mitici o falsi. … In<br />
effetti Giuliano ci dice questo: «Colui che inventa le sue storie poetiche allo scopo di<br />
migliorare i costumi e nel far questo utilizza miti teologici, deve rivolgersi non a degli<br />
uomini ma a quanti sono ancora dei bambini, sia per età che per intelligenza»”.<br />
Il carattere autentico e propriamente innovativo dell’ellenismo, quello religioso, che<br />
l’Occidente cristiano accoglierà come segno della praeparatio evangelica, si trova, invece,<br />
nell’apertura della filosofia stoica, al senso sacro dell’universalità.<br />
L’universalismo, si afferma in opposizione all’ellenismo, cioè come prodotto dei “barbari”. I<br />
principali rappresentanti della Stoa, infatti, erano estranei alla Grecia “profonda”: Zenone<br />
di Cizio era fenicio, Crisippo di origine semita, Posidonio d’Apamea siriaco.<br />
Curiosamente, alle origini della civiltà occidentale si trova l’universalismo “barbaro”, che<br />
soppianta la fierezza pagana dell’etnia greca.<br />
Non per niente l’opposizione all’assolutismo imperiale fu particolarmente dura e ostinata<br />
nell’area dove era più forte l’influsso delle due culture orientali (l’apocalittica ebraica e la
teologia dell’impero persiano) che portavano i semi dell’universalismo politico: il<br />
riconoscimento della dignità del popolo e un più alto concetto di divinità.<br />
L’usurpazione delle prerogative divina, però non era conforme alla tendenza della filosofia<br />
d’avanguardia che si affermava nell’età di Alessandro, già influenzata da una filosofia che<br />
demitizzava gli dei, e ne mostrava la natura di maschera del potere. La spietata critica<br />
della religione antropomorfica, iniziata da Senofane e condotta a perfezione dai platonici,<br />
aveva ispirato il rifiuto del fondamento superstizioso (e “poetico”) del potere imperiale.<br />
L’immagine di Alessandro educatore del mondo, che Plutarco traccia nel “De fortuna aut<br />
virtute Alexandri”, è anacronistica, in quanto rispecchia l’ideale dell’età storica successiva,<br />
che vide l’attuazione dell’universalismo ellenistico nell’impero romano.<br />
Si può dunque affermare senza tema di smentita, che la dialettica della storia occidentale<br />
si riassume nel conflitto tra il chiuso particolarismo delle oligarchie reazionarie,<br />
superstiziose e passatiste, e la mentalità nuova, inaugurata dalla filosofia stoica, che<br />
precorre la fede cristiana.<br />
L’ostilità preconcetta nei confronti dell’economia globale, che interpreta l’istanza<br />
universalistica, in questa prospettiva, è giudicabile alla stregua di una pulsione<br />
reazionaria, di segno anti-occidentale. La contestazione della strategia intesa allo<br />
sviluppo planetario dell’economia - la rivolta officiata dalle sinistre a Seattle - rappresenta<br />
la scena del principio reazionario in agguato contro il progresso.<br />
Ovviamente riconoscere che l’universalismo stoico contiene le ragioni del progresso<br />
mentre il particolarismo oligarchico esprime le tensioni regressive, non obbliga ad<br />
approvare automaticamente i metodi con i quali sono applicati i princìpi dell’economia<br />
globale. Il senso critico non deve essere abbassato per nessuna ragione al mondo ed è<br />
perciò lecito dubitare (ad esempio) sulla fedeltà ai princìpi dell’universalismo occidentale<br />
da parte del fondo monetario internazionale o di associazioni mondialiste come la<br />
“Trilateral”.<br />
Ora la neosinistra non è sollecitata dal problema della fedeltà all’universalismo ma dalla<br />
smania d’impedire la libertà e lo sviluppo. I pastori dell’arretratezza avversano l’economia<br />
globale per colpire l’Occidente, ai loro occhi colpevole di aver smentito e sconfitto l’utopia<br />
comunista.<br />
Un delirio punitivo acceca gli intellettuali neosinistri e li conduce al punto disgraziato dove<br />
i fantasmi del naturalismo greco hanno prodotto la metastasi nazista.<br />
Vecchie gattare affrante, sileni dalla chioma formicolante, pensatori dilatati e giubilanti<br />
orgogliosi marciano sulle strade “polacche”, che un tempo erano battute dell’alleanza<br />
della gloriosa armata rossa con l’esercito hitleriano.<br />
Infatti la conformità dell’economia globale ai princìpi che stanno a fondamento della civiltà<br />
occidentale è da tutta verificare, mentre non c’è dubbio che l’opposizione della sinistra sia<br />
inclinata all’antichità greca, al mondo dell’arretratezza naturalistica e del potere “mitico”,<br />
ex oggetti della sconfinata ammirazione dei nazisti. Non è un caso che la sinistra, per<br />
meglio rovesciarsi nell’opposizione all’economia globale, abbia fatto propria la filosofia di<br />
un nostalgico della Grecia primitiva come Nietzsche. Con Nietzsche il materialismo<br />
storico sprofonda nella storia naturale. L’entusiasmo prometeico piange alla fontana del<br />
tempo perduto dalle “niobi” della rivoluzione.L’aspetto inquietante di tale adozione non è<br />
la provenienza (peraltro indiscutibile, a malgrado del parere del “ripulitore” Vattimo) di<br />
Nietzsche dall’area più tenebrosa della destra germanica, ma la sintonia che, attraverso<br />
Nietzsche, si stabilisce tra la sinistra postmoderna e la Grecia arcaica, oppressiva,<br />
superstiziosa e sofistica. Il progressismo svanisce nel corteo della retromarcia, dove le<br />
menadi dell’ecologia più feroce s’incontrano con gli efebi della mollezza, per la celebrare<br />
il ritorno alla natura primordiale. La tracotanza, che eccitava Gagarin e gli altri<br />
conquistatori sovietici del cielo, si è appiattita sui flebili languori dell’ecologia.
Cultura di sinistra<br />
Il volto reazionario della rivoluzione<br />
Cosa ne è delle filosofie rivoluzionarie, della mitica cultura di sinistra? Bocciata dalla<br />
speranza nel futuro, ha messo la parrucca reazionaria e si ha trovato rifugio nell’incipriata<br />
nostalgia della giusta miseria e dell’ordine senza libertà. Paolo Bellinazzi dimostra<br />
esaurientemente che nel regresso la cultura di sinistra trova la sua originaria vocazione.<br />
Di falsa destra.<br />
L’influsso rovinante, che la filosofia di Karl Popper esercita nella scolastica progressista è<br />
documentato in un pregevole saggio, nel quale Paolo Bellinazzi svela i percorsi reazionari<br />
della filosofia a monte della sinistra perenne e la loro puntuale convergenza con le vie<br />
decadenti della destra fittizia. Ora la figura della sinistra reazionaria e regressiva è<br />
dimostrata mediante l’uso di una documentazione tanto puntuale da costringere Norberto<br />
Bobbio a riconoscere (in una imbarazzante intervista pubblicata nella Repubblica del 25<br />
gennaio 2001) l’inconsistenza degli argomenti che distinguevano gli orrori commessi in<br />
vista dei “buoni” ideali progressisti da quelli consumati su istigazione della destra<br />
germanica, nera e cattiva. Scrive Bobbio: “contrariamente all’opinione comune secondo<br />
cui nazismo e comunismo sono ideologie opposte, essi hanno matrici comuni. …<br />
Quando, per esempio, si scava nei rapporti tra i due antagonisti Carl Schmitt e György<br />
Lukàcs Bellinazzi scopre che sostengono su per giù le stesse idee”.<br />
In effetti il saggio sull’utopia reazionaria, pubblicato da un brillante editore anticonformista,<br />
ribalta le tesi di Lukács sui distruttori della ragione e mette in luce la valenza reazionaria e<br />
decadente di tutti i pensatori (da Hegel a Marx, da Nietzche a Heidegger, da Jaspers a<br />
Marcuse) “che vedevano nell’individualismo borghese e nel sistema capitalista poco<br />
meno che l’opera del diavolo”.<br />
La ricerca intorno all’utopia reazionaria si sviluppa a partire da due assiomi dedotti dalla<br />
“Scienza Nuova” del napoletano Giambattista Vico: il primo afferma che “le idee dei<br />
filosofi non cambiano a qualsiasi mutamento si trovino a sottostare le epoche che tali idee<br />
nel corso dei secoli attraversano”, il secondo attribuisce la loro incorruttibilità all’invarianza<br />
degli archetipi ideali.<br />
Ora i possibili archetipi ideali della filosofia, secondo Bellinazzi, si riducono alla<br />
convinzione razionale, secondo cui la storia dell’uomo è ordinata al progresso civile, e alla<br />
contraria visione (dichiarata da Hobbes, per esempio) dell’umanità gettata a caso nel<br />
mondo e perciò destinata a risolversi nella storia naturale, dove imperano l’egoismo e la<br />
volontà di sopraffazione.<br />
Un archetipo indirizza a quell’umanesimo cristiano che è stato magnificamente<br />
interpretato dalla storia d’Italia. L’altro spinge al catastrofismo ecologico e alla marcia<br />
delirante del popolo di Seattle.<br />
Per Bellinazzi questa antitesi è invece rispecchiata nella bipartizione della politologia,<br />
secondo il modello filosofico collettivista di Platone (il Platone caduco di Politeia, che fu<br />
criticato da Vico) e Aristotele e quello individualista di Gorgia e Protagora. Giudizio<br />
faticoso e contorto, non condivisibile, che però non attenua la lucidità del giudizio sul<br />
“moderno”.<br />
A questo punto Paolo Bellinazzi presenta un’interpretazione audace e sconvolgente della<br />
storia delle rivoluzioni: nell’età moderna gli archetipi si traducono nelle figure della<br />
rivoluzione borghese e delle controrivoluzioni (omologhe) di destra e sinistra. L’errore<br />
degli storici marxisti consiste nel credere che il comunismo “scientifico” e il nazismo<br />
“romantico”, “preparati dal materialismo storico e dal culto del superuomo”, abbiano<br />
rappresentato due fenomeni storici molto diversi.<br />
In questo nuovo e sorprendente scenario, il comunismo e il nazismo appaiono quali<br />
“movimenti reazionari, intesi a riportare le cose come erano, quando la borghesia [il cui
movimento era per se stesso progressivo] non aveva ancora preso il potere”. Di qui il<br />
giudizio, solo parzialmente inficiato dall’ipoteca sofistica, che riduce al silenzio le ragioni<br />
morali dei rivoluzionari di qualunque risma: “l’individualismo borghese appare<br />
completamente giustificato e non classificabile come un morbo e un’infezione, ovvero<br />
molto più giustificato e meno mortalmente infettivo e morboso del solidarismo comunista<br />
e nazional-socialista”.<br />
In questo modo è spezzato e abbattuto definitivamente il paletto moralistico, che,<br />
distinguendoli dalla presunta infezione borghese, teneva in gioco i fantasmi delle<br />
estenuate rivoluzioni di destra e di sinistra. Il saggio di Bellinazzi è perciò consigliabile ai<br />
retrogradi, et di destra et di sinistra, pensiamo ai redattori del “Manifesto” e a quelli<br />
speculari di “Area” e “Percorsi”, che si ostinano a svolgere la critica alla globalizzazione<br />
trascinando (ridicolmente) il pregiudizio reazionario contro il progresso nei cortei<br />
ecopauperistici o nei convegni della destra sociale e comunitaria.<br />
L’anello debole della importante costruzione di Bellinazzi sta, come si è accennato,<br />
nell’identificazione con la sofistica dell’archetipo che afferma il progresso e la teleologia<br />
della storia. In realtà la sofistica, giusta le magistrali lezioni di Michele Federico Sciacca e<br />
di Giovanni Reale, inclinava, piuttosto che allo sviluppo e alla solidarietà, all’affermazione<br />
della doppia verità e alla ricerca del piacere sfrenato. Il Callicle che sproloquia nel<br />
“Gorgia”, non è una caricatura ma l’espressione delle conseguenze estreme del pensiero<br />
sofistico. D’altra parte Platone, utopista in Politeia ha posto, in Timeo la pietra d’inciampo<br />
al pregiudizio metafisico che costituisce la sovversione perenne. Specialmente di quella<br />
sovversione (si pensi al Nietzsche dell’Anticristo) che, cercando di rinnovarsi mediante il<br />
tuffo nel pensiero arcaico, ha secreto la bile antiplatonica.<br />
Dall’apprezzamento della sofistica discende, nel saggio di Bellinazzi, l’attribuzione<br />
“all’ondata di solidarismo e spiritualismo cristiano” della responsabilità di aver soffocato<br />
l’impulso a progredire nelle vie dell’aperto. Opinione totalmente infondata, poiché al<br />
Cristianesimo, e in special modo alla teoria agostiniana delle due città che avanzano nella<br />
storia permixtae, si deve il superamento del dilemma spiritualismo-efficacia mondana in<br />
uno storicismo, che rispetta e fa convergere le vocazioni – i diversi amori - delle due città.<br />
Da sant’Agostino, Vico deduce l’idea (eminentemente tradizionalista) di una restaurazione<br />
filosofica che si realizza precisamente nella separazione del Platone utopista-reazionario<br />
dal Platone metafisico e, all’interno del Platone metafisico, nella rimozione del disprezzo<br />
“gnostico” rivolto alla materia e alle passioni umane.<br />
Il risultato del fondamentale lavoro critico che fa di Vico l’autentica avanguardia del<br />
“<strong>postmoderno</strong>”, è la dottrina dell’eterogenesi dei fini, che contempla la paradossale<br />
convergenza delle due città e dei rispettivi amori: la provvidenza divina attua il progresso<br />
usando quelle passioni umane che i sofisti (e Platone) considerava irriducibili alla pietà.<br />
Purtroppo l’assenza di un riferimento alla soluzione proposta dalla filosofia di Vico,<br />
l’autentica apertura al <strong>postmoderno</strong>, lascia incompiuta l’opera, per altri versi preziosa, di<br />
Bellinazzi, che riesce nell’intento di disperdere i fumi ideologici del passato ma non in<br />
quello di prospettare il futuro.
D<br />
Delirio<br />
Delitto<br />
Democrazia cristiana<br />
Deragliamento<br />
Destino<br />
Duello<br />
Delirio<br />
La malattia mentale e i suoi promotori<br />
In Italia i sofferenti di disturbi psichici sono dieci milioni. Un popolo nascosto dal pudore e<br />
censurato dalla stupidità della scienza avanguardista, che dichiara inesistente il loro male.<br />
Grazie Basaglia? Non solo Basaglia. Il fiume della pazzia in piena, che Umberto Veronesi<br />
ha misurato con gli occhi dello sgomento, nasce da fonti culturali che parlano nelle vette<br />
inaccessibili dei poteri forti.<br />
Correva il maggio radioso del 1968 e prestigiose case editrici cominciarono a rovesciare<br />
sul mercato testi specializzati e divulgativi, dove il malato di mente era esaltato come<br />
testimone del disagio sociale.<br />
Non un delirante nella camicia di forza, ma James Hillman, che in qualità di presidente<br />
dell’autorevole fondazione Carl Jung esibiva una camicia da imperatore della scienza<br />
psichiatrica, urlava (dalle pagine di libri pubblicati dal più aristocratico e raffinato editore<br />
italiano) ai quattro venti che le malattie mentali sono oracoli divini.<br />
Hillman urla tuttora. Non deve dunque stupire il fatto che un suo discepolo, Umberto<br />
Galimberti, sostenga la necessità di condurre una spietata lotta contro l’uso degli<br />
psicofarmaci, che contrastano la malattia o ne limitano il danno.<br />
Il filo logico di Galimberti è perfettamente teso: gli psicofarmaci sono una camicia di forza,<br />
che trattiene la malattia. Ma la malattia è divina: non è lecito mettere la camicia di forza<br />
agli dèi. Di conseguenza non si devono prescrivere psicofarmaci. Nell’età della sinistra<br />
“ulteriore”, il potere culturale è avvolto da questo filo “logico”. Una persona volgare<br />
direbbe che la camicia di forza va messa ai poteri forti. Se non che il potere è nelle salde<br />
mani dei raffinati.<br />
Sta di fatto che, invece di combattere la malattia, la scienza d’avanguardia assegna al<br />
malato l’ufficio di giudicare la società e di profetizzare la liberazione dalle catene della<br />
morale repressiva e della società borghese. La medicina non deve occuparsi della<br />
sofferenza ma ascoltare il messaggio.<br />
Alle persone prive di potere – Barbara Palombelli dice “menaggiuati” - la parola<br />
messaggio evoca biciclette sgangherate e postini da palcoscenico. Ma il Messaggio è<br />
sacro, esclusivo e inviolabile e guai a chi osa discuterlo: finisce nel libro degli scemi e<br />
peggio ancora, nel libro dei cattolici intransigenti. Uno sconvolto si esibisce nudo davanti<br />
all’uscita della scuola elementare? Il Messaggio è evidente: occorre abbattere i tabù, che<br />
escludono l’infanzia dal piacere. Partecipare ai bambini i segreti della magia sessuale,<br />
forma sublime di comunicazione mistica, come ebbe a scrivere (nel Corriere della Sera)<br />
l’illuminato Roberto Calasso.<br />
La mistica libertaria. Ecco il punto: la cultura sublime, sbandierata da Calasso, ha gli<br />
stessi “ideali” delle borgate, dove si aggiravano i Lionello Egidi e i Pasolini.
La depravazione nel salotto aristocratico, caso mai, è più spregevole della miseria che<br />
intossicava le periferie. La cultura aristocratica ha superato la pedofilia del tugurio. La<br />
spaventosa diffusione della malattia mentale appiattisce le classi e rivela l’unico risultato<br />
conseguito dalla cultura che ha posto a fondamento del vivere civile la soddisfazione di<br />
tutti i desideri: dieci milioni di disturbati senza ricovero.<br />
Quando iniziava il declino della civiltà greca Platone, ha fatto recitare a Callicle, la formula<br />
del suicidio delle civiltà: “Affermo che chi ha intenzione di trascorrere bene la propria<br />
esistenza deve permettere che le sue passioni diventino immense”. (Gorgia 492e). Il bene<br />
consiste nell’appagamento delle passioni. Come ha dimostrato Dario Composta, la Grecia<br />
si è dissolta dietro le sue immense passioni. Ma le passioni immense alla lunga si<br />
trasformano in malattie mentali. Ora le malattie mentali sono i nostri desideri divinizzati. In<br />
questo Hillman ha ragione: l’ateismo ha finalmente incontrato le sue paradossali divinità.<br />
La morale è stata allontana, la malattia rimane invitta. Oggi sappiamo, forse anche<br />
Veronesi sa che da questo circolo vizioso non si esce senza abbandonare l’illusione<br />
libertaria – la chimera urlante che la malattia è una sana, una medicinale protesta contro i<br />
tabù.<br />
Delitto<br />
La morte nell’anima<br />
Nelle pagine del Giornale d’Italia, Giuseppe Spezzaferro ha rammentato, con nobile<br />
accoramento, che anche il mondo antico conosceva quelle oscure tragedie della follia,<br />
che angosciano i lettori dei notiziari quotidiani – ragazzi che, futili motivi uccidono i<br />
genitori o la fidanzata o la vecchietta che resiste allo scippo o il tifoso della curva<br />
“nemica”. Spezzaferro ha citato l’orribile delitto di Medea, la tragedia di una madre che<br />
uccide i propri figli. Ma gli antichi drammaturghi nell’orrore inevitabile vedevano, almeno,<br />
un incentivo alla pietà e all’abbandono ai misteriosi disegni degli dei. Il Cristianesimo, poi,<br />
aveva trasformato il fatalismo nella confidenza in un Dio che trae il bene dal male e<br />
“scrive dritto nelle storte righe degli uomini”.<br />
Il mondo contemporaneo, invece, nell’orrore contempla l’assenza o la morte di Dio, vale a<br />
dire il fomite di una disperazione senza limiti. La sconfitta dell’umanità contemporanea<br />
non risiede dunque nella frequenza (allarmante) dei delitti ma nella dolorosa impotenza<br />
dei testimoni.<br />
Spezzaferro dopo aver denunciato l’impotenza dei cronisti davanti alle leggi di un mercato<br />
avido di sangue, di sesso, e di soldi, ha disegnato un cerchio vizioso che comincia<br />
dall’orrore dei delitti gratuiti e finisce nella desolata e umiliante risposta del<br />
“giornalisticamente corretto”: non è nostro mestiere insegnare alcunché.<br />
Il fatto è che nessuno si fa più carico del dovere d’insegnare. I vescovi, atterriti,<br />
farfugliano. La scuola sprofonda in un filologico sciocchezzaio. I genitori non osano. La<br />
cultura dominante ha sepolto il problema della verità sotto la lapide dell’umiltà scettica:<br />
nessuno è padrone della verità, nessuno ha diritto di dire cosa è bene e cosa è male.<br />
Quel che spunta dalla lapide è l’osso spolpato del buonismo: nella desolazione universale<br />
non rimane che piangere, indulgere e volersi genericamente bene. La cronaca quotidiana<br />
narra (appunto) la modalità del piangere perché ci si vuol bene. Troppo bene. L’aspetto<br />
tremendo delle cronache è la motivazione buonista attribuita ai delitti: si uccide per<br />
comprare la droga che allevia il malessere (il logorio) causato dalla vita moderna, si<br />
uccide per amore, si uccide perché il babbo è troppo esigente – “follia finalmente ho udito<br />
la tua voce”: a “Porta a porta”, la mente offuscata di una nonna buonista assolveva e<br />
giustificava il nipotino parricida, col dire apertamente che la severità del padre lo aveva<br />
costretto ad uccidere - si uccide perché la mamma è avara, si uccide perché la vecchia
non vuol mollare la borsetta dentro la quale il povero giovane troverebbe il denaro per la<br />
discoteca. La bontà dei buonisti è un sasso in bocca. Per terrore del giudizio inappellabile<br />
dei “buoni” nessuno osa educare.<br />
In compenso molti diseducano allegramente. Più viscido e appiccicoso delle vecchie<br />
ideologie, il buonismo furente, che pontifica (per la penna di Galimberti, ad esempio) nelle<br />
terze pagine di Repubblica, rovescia il delitto nello sciropposo capitolo sulle malattie<br />
social-mentali e infine depone le malattie mentali tra le righe di una sgangherata<br />
antropologia dell’uomo moderno che dopo Auschwitz non è più capace di credere, è<br />
irresponsabile, ha la morte nell’anima e la rivolta violenta nel cuore ecc. ecc.<br />
Ma la vera morte nell’anima e l’ossessione deterministica, che associa delitto e follia ad<br />
un irredimibile ordine “divino”. Ecco la fonte della diseducazione: l’idea che si rubi e si<br />
uccida sotto l’effetto della pressione insopportabile, di un destino alienante. In realtà si<br />
ruba e si uccide perché il buonismo ha depravato la bontà obbligandola ad esprimersi<br />
attraverso le forme del delirio necessario e del furore “innocente”.<br />
Democrazia cristiana<br />
La vittoria sfregiata<br />
Marco Follini, acuto politologo ed elegante scrittore, ha pubblicato un saggio revisionista<br />
che obbliga ad un’inconsueta lettura della storia democristiana. Quali strumenti d’analisi,<br />
Follini usa due categorie non molto frequentate dagli storici contemporanei: l’ambivalenza<br />
del rapporto dei democristiani con la tradizione cattolica e le conseguenti lacune<br />
nell’interpretazione della storia italiana.<br />
Ora la riluttanza nei confronti dell’insegnamento cattolico e l’insensibilità agli autentici<br />
valori della storia d’Italia, sono all’origine di quella identità latitante, che attirò la timidezza<br />
democristiana nei gorghi del millenarismo maritainiano e nelle trappole temerarie della<br />
consociazione. Cornelio Fabro, nel saggio sull’inaccettabilità del compromesso storico,<br />
pubblicato nel 1980 dalle edizioni del genovese Quadrivium, sostiene, appunto, che dopo<br />
il 1962 “il partito cristiano italiano fece la deprecata svolta a sinistra… con l’effetto di un<br />
grave disorientamento delle coscienze e ingenerando confusioni ed equivoci di ogni<br />
genere sia nel laicato cattolico come nel clero”.<br />
Sotto la guida sicura di Pio XII, la Chiesa italiana era uscita vittoriosa dalla seconda<br />
guerra mondiale. Nelle università romane e statali il pensiero cattolico aveva educato dei<br />
maestri capaci di produrre (e nel giro di pochi anni) un monumento di cultura come<br />
l'’Enciclopedia Cattolica. Nella letteratura, nel teatro, nel cinema, nella musica, nelle arti<br />
figurative e nel giornalismo i cattolici stavano conquistando le posizioni dell’avanguardia.<br />
Ma la Dc, come ha testimoniato Ettore Bernabei, girò le spalle alla cultura cattolica<br />
preferendo accordarsi con Raffele Mattioli e con la massoneria.<br />
Un’identità spirituale umbratile e vergognosa di sé, ed un patriottismo assordato e<br />
illanguidito dalla vicinanza urlante dell’internazionale socialcomunista, impedirono alla Dc<br />
di sopportare il peso della sconfitta italiana nella seconda guerra mondiale e di rovesciare<br />
l’influsso dei poteri forti, massoneria in testa, che dalla guerra perduta traevano<br />
l’occasione per incrementare l’opera dei corruttori.<br />
Follini, con il riferimento alla testimonianza di Bernabei, apre uno spiraglio sulla scena<br />
umiliante, nella quale il laicato cattolico appare nella figura di un Lacconte stretto nella<br />
morsa dei paralogismi modernistici intorno alla superiorità del laicismo.<br />
Baget Bozzo aveva previsto lucidamente la disfatta inscritta nel codice genetico della Dc.<br />
Nello “Stato” del 30 aprile 1961 scriveva: ”Si è offerta al paese una democrazia<br />
cristianamente ispirata: ma la verità è che tra tutti i protagonisti del 18 aprile a questo non<br />
credeva nessuno, almeno fino al punto tale da ispirarvi effettivamente la propria azione. Il
degasperismo vedeva i cattolici in politica come la forza di mediazione tra Chiesa e stato<br />
liberale e tra stato liberale e socialismo democratico, il dossettismo vi vedeva la<br />
mediazione tra senso popolare e sociale del Cattolicesimo e lo spirito della Resistenza e<br />
dell’unità di massa. Nessuno seppe parlare un linguaggio vigorosamente civile, fondato<br />
sulla religione, la fortezza e la magnanimità: nessuno ebbe la speranza di ridare alla<br />
natura il vigoroso supporto della Fede, perché essa potesse essere veramente natura.<br />
Nessuno salvo Pio XII, una voce che gridava nel silenzio”.<br />
La testimonianza di Luigi Gedda, peraltro, dimostra che. pur di non vincere la battaglia<br />
culturale al seguito di Pio XII, i democristiani si piegarono davanti all’idolo della modernità<br />
dileguante.<br />
Nell’introduzione alle memorie intorno al 18 aprile, Mauro Anselmo ha scritto che a Gedda<br />
si può applicare la definizione di “grande rimosso”. Rimosso vuol dire peso leggero, uomo<br />
che si metta da parte senza difficoltà. “Se c’è infatti un protagonista poco raccontato”,<br />
continua Mauro Anselmo, “un leader sistematicamente dimenticato o marginalmente<br />
citato dagli storici, anche cattolici, questo è lui, l’inventore dei Comitati Civici, il vincitore<br />
del 18 aprile 1948”. I cattolici che hanno attraversato la soglia del III Millennio, avendo<br />
come viatici la “Fides et ratio” di Giovanni Paolo II e la “Dominus Jesus” del cardinale<br />
Ratzinger, sono finalmente in grado di capire la causa della rimozione di un uomo, che ha<br />
avuto la parte da protagonista nella decisiva battaglia degli italiani contro il comunismo.<br />
Gedda rappresenta infatti la coscienza del trionfo della Chiesa sul mondo. Egli credeva<br />
nella Regalità di Cristo e perciò fu l’esecutore fedele del progetto di Pio XII sull’Italia. Un<br />
disegno che contemplava l’instaurazione di una democrazia fondata sui princìpi<br />
indeclinabili del Cattolicesimo, una democrazia indenne dalle suggestioni assolutiste e<br />
statolatriche, lucidamente denunciate nel Radiomessaggio per il Natale del 1944.<br />
I democristiani, dopo aver ottenuto, per il tramite dei Comitati Civici di Gedda, il voto<br />
cattolico, fecero fallire il progetto politico che Pio XII aveva affidato a don Luigi Sturzo.<br />
Non a caso, a Luigi Sturzo, all’implacabile accusatore della partitocrazia e dello<br />
statalismo, si deve il merito di aver denunciato per tempo gli errori democristiani.<br />
Follini sottolinea la reciproca incompatibilità degli orientamenti sui quali si erano divisi i<br />
democristiani: un centro liberale (la Dc degasperiana, “ampia, larga, complessa e<br />
pluralista”), la sinistra filocomunista (la Dc “partigiana, ciellenistica e consociativa, che<br />
non accettava la rottura con la sinistra) e una destra nazionale e popolare (la Dc dei<br />
Comitati Civici, fedele al progetto inteso alla successione cattolica del fascismo e al<br />
superamento dell’insoddisfacente lettura della storia moderna).<br />
La Dc non seppe approfittare dell’opportunità offerta dalla congiuntura storica favorevole<br />
alla restaurazione della Cristianità, e si barcamenò nella perpetua, estenuante<br />
oscillazione tra le fantasie puerili della sinistra e l’esangue fedeltà all’occidentalismo.<br />
Sarebbe ingeneroso non ricordare i democristiani che tentarono, in vario modo, di dare un<br />
profilo alto alla politica nazionale - Giovanni Gronchi, Enrico Mattei, Adone Zoli,<br />
Ferdinando Tambroni, Amintore Fanfani, Aldo Moro - o nascondere che, prima di finire<br />
sconfitta al tavolo della grande menzogna, la Dc fu artefice del miracolo economico. Ma il<br />
riconoscimento dei meriti e il ricordo dell’ingiustizia subita non cancellano la mediocrità<br />
intellettuale e l’ischemia religiosa di un partito che ha scialato mezzo secolo di storiche<br />
occasioni.<br />
Deragliamento<br />
L’illuminismo ermetico<br />
Roberto Calasso, l’occultista che avvolge in delicate copertine color pastello i cabalistici<br />
spruzzi di Guénon e le produzioni luttazziane di Chatwin, ha pubblicato in questi giorni i
trattati magici di Giordano Bruno. Milleseicento pagine di elucubrazioni fuor di solco. Una<br />
scorpacciata iniziatica. Il sottobosco dei maghi neri, bianchi e arcobaleno giubila e<br />
gongola.<br />
E la cultura seria? I trattati bruniani sono tortuosi scartafacci, nei quali l’autorità di Francis<br />
Yeats fu costretta a vedere l’incontro dell’antica superstizione egiziana con i disturbi della<br />
mente moderna. In base alle teorie esposte nei trattati di magia ermetica, il nolano<br />
dichiarava, infatti, di essere in grado di entrare nel pensiero altrui per piegarlo al proprio<br />
piacimento.<br />
I principi protestanti di mezza Europa versarono nelle tasche del filosofo cifre rotonde per<br />
conoscere il “segreto” della chiave filosofale. Di qui le disavventure che Matteo D’Amico<br />
ha narrato diffusamente in una pregevole biografia bruniana, edita da Piemme.<br />
Sfuggito alla minacciosa delusione della clientela luterana, Giordano Bruno persuase se<br />
stesso e, con la fatale convinzione sull’efficacia del “segreto”, scese in Italia, per plagiare<br />
(magicamente) il papa e asservirlo ai piani della rivoluzione neopagana. Un papa<br />
refrattario e un drastico inquisitore gli dimostrarono purtroppo la verità dell’antico<br />
proverbio sulla pietra filosofale: truffa i fanti ma lascia stare i santi.<br />
L’opinione degli storici, secondo i quali l’ardente esito del viaggio bruniano si sarebbe<br />
evitato se il Seicento avesse conosciuto le perizie psichiatriche, non ha dissuaso gli<br />
aspiranti maghi, che militano nella redazione di “Repubblica”, sempre sospesa tra le<br />
virtuose reminiscenze volterriane e le stregonerie hillmaniane.<br />
Infatti la preziosa miscela di panteismo e illusionismo rapisce Umberto Galimberti,<br />
l’intellettuale egemone, e lo fa cadere in estasi. E nell’estasi ecco il vaticinio: “La magia di<br />
Bruno si colloca in quella sotterranea corrente di pensiero, il pensiero per immagini, che,<br />
anche se è risultato perdente in Occidente, continua ad essere la fonte del pensare”<br />
(Repubblica, 11 febbraio 2001).<br />
Il pensiero per immagini è un “topos” infelice del sottobosco culturale che s’intitola alla<br />
neodestra. Nella redazione di Area, ad esempio, imperversa un filosofo immaginario, il<br />
quale sostiene che l’ideologia sia riassume in una figura: l’energumeno nudo, che tende<br />
la spada al cielo, sfida il fulmine e scarica a terra la potenza celeste. E l’infelicità del<br />
“topos” consiste nella possibile interpretazione frankliniana (tecnocratica e americana!)<br />
del parafulmine.<br />
Ma il precedente neodestro non ha trattenuto Galimberti, conquistato dal pensiero per<br />
immagini al punto di dichiarare che esso è il termine della discussione sull’illuminismo<br />
“opportunamente inaugurata da Scalfari”. Insomma: Giordano Bruno si oppone a quello<br />
che ha caratterizzato il pensiero occidentale, dopo che Aristotele ha formulato il principio<br />
di non contraddizione, di identità, di causalità.<br />
Mentre il lettore si aspetta una pioggia di ideogrammi fulinanti e ipercinetici, Galimberti<br />
continua ad usare i caratteri latini per dichiarare che al pensiero occidentale resistettero<br />
Gnosticismo e Neoplatonismo. Finché sant’Agostino, “logico e retore saldò il<br />
cristianesimo alla logica greca”. Un’opera della malvagità, evidentemente.<br />
Giordano Bruno, dunque, rappresenta la riemersione di gnosticismo e neoplatonismo “per<br />
quanto conflittuali siano state queste due forme di pensiero”. Ma che importanza hanno i<br />
conflitti filosofici, quando è decretata la guerra al principio aristotelico di non<br />
contraddizione?<br />
Si fa un passo avanti ed ecco apparire la risposta a tutti gli enigmi: al pensiero per<br />
immagini “si accede non con architetture logiche ma con pratiche erotiche”. Si apre la<br />
porta dell’effervescenza erotica che introduce alla psichiatria che “può tutto spiegare<br />
senza nulla comprendere”. Amore κ follia. Quando non fosse nota l’austerità di<br />
“Repubblica” si potrebbe pensare che la cosa stia per prendere una piega allarmante.<br />
Galimberti infine svela il destino culturale di “Repubblica”: “smascherare quella<br />
sotterranea parentela che, al di là delle dispute, lega la tradizione cristiana
all’agnosticismo scientifico. L’una e l’altra, infatti, condividono la persuasione che l’uomo,<br />
disponendo dell’anima, come vuole la religione, o della facoltà razionale, come vuole la<br />
scienza, è tra gli enti di natura l’ente privilegiato che può sottomettere a sé tutte le cose”.<br />
La tesi di Galimberti è il perfetto capovolgimento della tesi enunciata da Pio XII nel<br />
discorso per il Natale del 1953: la tecnica è una dono di Dio e perciò l’uomo che rifiuta Dio<br />
si trova imprigionato in un dilemma, che da un lato presenta l’alienazione tecnocratica,<br />
dall’altra la tomba ecologica della civilizzazione. Galimberti (in sintonia con la redazione<br />
del giornale codinamente progressista e rivoluzionariamente reazionario) propone le due<br />
cose al prezzo di una: tecnologia selvaggia in corpo ecologico furente. La Coop sei tu, chi<br />
può darti di più?<br />
Arriva il cocchio di Cenerentola e la sinistra si reca al galoppo nei paradisi psicoanalitici<br />
della Svizzera. La magia è l’ultimo destino della sinistra: bidibibadibibù, la ragione non c’è<br />
più. Forse viaggia sul trenino di ciuf-ciuf-Rutelli, forse si disperde nel fumo delle canne<br />
arrotolate dall’oncologo a bischero sciolto. Forse e senza forse sta facendo il verso alla<br />
zanzara della barzelletta pasoliniana: zszszsz.<br />
Destino<br />
Un destino di violenza e di frode<br />
Durante la celebrazione dell’ottantesimo anniversario del partito comunista, Fausto<br />
Bertinotti ha tenuto un discorso scismatico, inteso, per un verso, a rivendicare l’eredità<br />
della buona filosofia di Marx per l’altro a rigettare Stalin e la storia del comunismo cattivo<br />
e violento. Non c’è ragione di dubitare sulla sincerità degli stati d’animo che hanno dettato<br />
le dichiarazioni d’intenti del segretario rifondazionista. Infatti non ha importanza sapere se<br />
Bertinotti è in buona o cattiva fede, quando è evidente che, posta l’adesione alla filosofia<br />
materialista (e Marx appartiene senza dubbio alla scolastica materialista) è impossibile<br />
sfuggire a un destino di violenza e di frode. Anche se l’intenzione di Bertinotti fosse<br />
pacifica e non violenta il tentativo di separare il “buon” Marx dal “cattivo” Stalin sarebbe<br />
un vuoto e ridicolo esercizio da palcoscenico. Come ha dimostrato esaurientemente<br />
Cornelio Fabro, che nel 1980 scriveva: “il marxismo è, come teoria, un materialismo<br />
deterministico e, come pratica, rivendica di essere un partito egemone: un comunismo<br />
democratico è un circolo quadrato od un legno di ferro ed un malinteso”.<br />
La storia della filosofia, infatti, dimostra che, dato il pregiudizio materialista, consegue, per<br />
una logica fatalità sempre verificata, la scelta metodologica della frode e della violenza.<br />
La filosofia materialista ha origine da Democrito e dal suo scolaro, il sofista Protagora,<br />
che le conferì quell’indirizzo soggettivistico che ha mantenuto attraversa tutti i mutamenti<br />
subiti nel corso della sua storia plurisecolare. Virginia Guazzoni Foà ha dimostrato con<br />
rigore filologico che, secondo Protagora, “la materia è il fondamento e la ragione di tutti i<br />
fenomeni in quanto può essere tutte le cose quali appaiono a noi”.<br />
L’opinione che nei fenomeni contempla la sola apparizione della materia ed esclude la<br />
forma, implica appunto quella conclusione soggettivistica, che Platone ha confutato nel<br />
discorso dei sofisti: “Protagora disse che di tutte le cose è misura l’uomo, di quelle che<br />
esistono che esistono e di quelle che non esistono che non esistono. … E non viene egli<br />
in certo modo a dire questo, che quale ciascuna cosa apparisce a me, tale codesta cosa<br />
è per me, quale apparisce a te, tale è per te; e uomini siamo tu ed io?” (Teeteto, 152a).<br />
Protagora, e dopo di lui ogni materialista coerente, nega che la mente umana sia capace<br />
di astrarre gli universali dalle cose e perciò di formulare giudizi oggettivamente validi.<br />
Dopo Protagora, intorno al pregiudizio materialistico si costituisce un circolo vizioso. La<br />
sede della verità non è più l’oggetto ma il soggetto. L’emergenza per così dire<br />
“totalizzante” della materia scolora l’oggetto e trasferisce il colore nell’occhio del soggetto.
Ma lo scoloramento dell’oggetto destituisce il giudizio del soggetto, che tenta di colorarlo<br />
a suo modo: ci sono tanti colori quanti sono i soggetti coloranti. Esistono dunque tante<br />
verità quanti sono le opinioni dei soggetti ma in ultima analisi la verità plausibile è soltanto<br />
quella del soggetto che riesce a far valere (anche a costo d’ingannare o fare violenza) la<br />
sua opinione.<br />
Il materialismo sofistico nega gli universali, che sono il fondamento del dialogo e della<br />
ricerca e trasforma la filosofia in un ring riservato ai cacciatori di prestigio e di potere. Il<br />
luogo della verità è perciò occupato da un’opinione labile, che s’impone solo mediante giri<br />
di parole, argomenti acrobatici, lavaggi del cervello e all’occorrenza minacce, torture e<br />
“concentrazioni rieducative”. In caso di refrattarietà è infine prevista l’eliminazione fisica.<br />
A questo punto è già evidente il dato che è premurosamente confermato dalla storia di<br />
tutti movimenti d’ispirazione materialistica: le opinioni conformi al pregiudizio del<br />
materialismo sono sempre associate all’uso della violenza e/o della frode. La negazione<br />
della verità oggettiva e la consegna della verità all’opinione del più forte o del più abile<br />
nasce dal convincimento che gli oggetti del conoscere siano costituiti soltanto dalla<br />
materia. Da allora il materialismo e il soggettivismo sono rimasti inseparabili, a malgrado<br />
dei numerosi tentativi di fondare una rigorosa scienza della materia.<br />
Il materialismo ha potuto calarsi nelle diverse e opposte forme dell’individualismo e del<br />
collettivismo, del nazionalismo e del cosmopolitismo, dell’oligarchia hobbesiana e<br />
dell’egualitarismo anabattista, del pauperismo e dell’edonismo, della virtù giacobina e del<br />
vizio sadiano, dello stalinismo e del maoismo, dell’operaismo e dell’ecologismo<br />
cambogiano ma non è mai uscito dal solco della violenza e della frode. E questo vale<br />
anche per il nazismo, che ebbe le stigmate del materialismo (eco-zoologico) più feroce e<br />
della sofistica (si pensi all’oratoria di Hitler e di Goebbels).<br />
La notizia che i comunisti non sono più comunisti, perché Stalin è uscito dal loro orizzonte<br />
mentale, dunque è del tutto falsa e ridicola fin che rimane la loro adesione ai princìpi del<br />
materialismo. E della sofistica alla quale Marx aderì fondando il suo “sistema” sul classico<br />
imperativo dei mistificatori: “non fare domande”, non cercare la verità, accontentati della<br />
mia opinione.<br />
Duello<br />
L’avventizio incrocia i ferri col fittizio.<br />
Nel dramma di Enrico IV, Luigi Pirandello ha narrato la lotta disperata dell’eroe presunto<br />
contro l’irrealtà che lo assedia e, alla fine, lo sommerge. Per un errore del trovarobe, il<br />
compianto attore Giancarlo Zonghi Spontini dei conti di Catria, uomo che calcava<br />
dignitosamente la scena degli infortuni di vita e di palcoscenico, ha portato<br />
all’incandescenza il clima dell’Enrico IV. Moltiplicando l’irrealtà per se stessa, come i poeti<br />
fanno con il gioco delle cambiali. Ecco la veritiera storia, che si svolse sul palcoscenico<br />
del teatro Duse in Genova, come sa Raffaele Perrotta: quando la storia dell’imperatore<br />
virtuale volgeva alla fine, il povero Zonghi non riuscì a sguainare il pugnale omicida, che il<br />
maldestro trovarobe gli aveva legato al fianco. La follia essendo sospesa alla punta del<br />
pugnale ritroso, il dramma non andava all’assurda conclusione stabilita dal drammaturgo.<br />
Allora Zonghi fece un cenno alla sua spalla, che, in costume di scudiero medievale,<br />
recitava la parte dell’inserviente nel manicomio. L’infermiere medievale capì al volo e, con<br />
urgenza, porse il pugnale al finto imperatore, sul quale, per la parte infermieristica<br />
avrebbe dovuto invece vigilare. Nel gesto dell’infermiere mascherato e sdoppiato, gesto<br />
necessario (per la circostanza imprevista) ma (per il copione) inconsulto e paradossale,
l’irrealtà pirandelliana fu elevata al quadrato. Gregorio VII ferito a morte cadde nella<br />
polvere dell’irrealtà elevata al quadrato.<br />
Ognuno pensi quel che gli piace credere teatralmente, noi ora siamo convinti che è<br />
possibile oltrepassare l’irrealismo involontario della spalla teatrale di Zonghi, e allestire un<br />
paradosso pirandelliano al cubo. Infatti lo psicologo Umberto Galimberti, nelle pagine di<br />
“Repubblica” (6 marzo 2001) supera Zonghi dirigendo (a parole in libertà e mediante il<br />
rifacimento <strong>postmoderno</strong> dell’Enrico IV) il duello dell’umanesimo fittizio contro la sacralità<br />
avventizia.<br />
Umanesimo e sacralità, le due facce del dilemma <strong>postmoderno</strong>, indossate maschere di<br />
circostanze, duellano nella scena irreale. L’umanesimo, nel copione scritto da Galimberti,<br />
è interpretato dal compianto Benedetto Càlati, un frate camaldolese secondo il quale il<br />
Vangelo è stato scoperto dal Vaticano II: “tornare al Vangelo significa abolizione del<br />
primato di Pietro e del celibato ecclesiastico, introduzione del sacerdozio femminile, della<br />
democrazia nella Chiesa e della conciliarità”. Buonismo, schietto buonismo in due parole.<br />
Cattocomunismo, in una sola.<br />
Cattocomunismo. Correre a perdifiato incontro alle istanze del mondo moderno, che,<br />
peraltro, dilegua nella malinconia di Vattimo. Forse incontrare Guénon, forse Veltroni,<br />
nella parte dell’imperatore col pugnale di gommaschiuma.<br />
Padre Calati, infatti, poneva al centro della sua predicazione il ripudio del<br />
“contemplazionismo”, cioè il distacco dal cristianesimo tradizionale, inquinato (a suo<br />
modernistico dire) dal la metafisica di Platone e Aristotele.<br />
Evidentemente Galimberti, in obbedienza all’imperativo-Càlati, crede che l’umanesimo<br />
consista in un rifiuto categorico della “seconda navigazione” platonica. Ascoltato Càlati,<br />
l’umanesimo comanderebbe l’uscita dalla vita interiore e il naufragio (leopardiano?)<br />
nell’immensità.<br />
Se ci si mettesse d’accordo con le parole anche questa definizione potrebbe passare<br />
indenne. Sarebbe sufficiente che la storia della letteratura si volgesse a testa in giù, in<br />
una scena dove Dante e Petrarca rappresenterebbero la perfetta negazione<br />
dell’umanesimo raccontato da padre Càlati. E che la lettera in cui Petrarca, narrando<br />
l’ascesa al Mont Ventoux, formula l’assioma della filosofia umanistica – l’agostiniano in te<br />
ipsum redi – diventasse il manifesto dell’antiumanesimo.<br />
Se il pugnale di Càlati uccidesse Platone, Galimberti avrebbe ragione di esultare. Ma il<br />
pugnale di Càlati in fondo era inoffensivo, dunque Galimberti esulta a vuoto. Il testimone<br />
dell’umanesimo, secondo Galimberti, può entrare nella scena irreale del duello grazie ad<br />
un movimento surrettizio, che ripete il gesto dello scudiero di Zonghi.<br />
Secondo il teatrale pensiero di Galimberti, la categoria che si oppone all’umanesimo è il<br />
sacro, ossia la fede cristiana, che vorrebbe dire affermazione della trascendenza di Dio e<br />
negazione pura e semplice – più annientamento che kenosis - della civiltà umana. Il<br />
sacro, secondo il calendario galimbertiano, sarebbe rappresentato da Gianni Baget<br />
Bozzo, costretto nella parte di una risoluta negazione dell’umanesimo. Anche in questo<br />
caso l’attore inscenato recita una parte che è vera soltanto nell’immaginazione. Il<br />
canovaccio, infatti, svolge la canzone dell’ubiquità galimbertiana: mentre sono qua sono<br />
là. E’ infatti noto che la teologia di Baget Bozzo, costruita sul modello agostiniano,<br />
valorizza la storia nella quale contempla la collaborazione dei due amori e delle due città.<br />
L’accusa che ulivisti roventi e marciatori di Seattle rivolgono a Baget Bozzo, riguarda,<br />
appunto, il suo sostegno all’Occidente umanistico e al nefando consumismo di matrice<br />
berlusconiana. Qua o là, la verità dove sta? Nel sistema galimbertiano ovunque.<br />
Due attori sradicati dalla loro identità, gettati nel contrario, fusi nel piombo kenotico<br />
dell’indeterminatezza. Una scena truccata. Due spade selvagge. Un duello sordo, a colpi<br />
di malinteso. L’ultima parola del giornale degli illuministi italiani è il galimba-pirandellismo:<br />
l’infortunio del compianto Zonghi ridotto a pensiero. Senza l’ironia che costringeva Zonghi
a ridere durante la fittizia uccisione dell’avventizio Gregorio VII. Col pugnale consegnato a<br />
un matto da una guardia da manicomio.<br />
Zonghi se ne è andato. L’infermiere anche. Il pugnale è rotto. Nel teatro rimane solo la<br />
doppiezza postmoderna. Galimberti uno e due, forse tre. Uno nella parte del falso Enrico<br />
IV, due in quella del falso Gregorio VII. Tre nella parte del falso scudiero. Il duello dei lumi<br />
è finito, lettori di Repubblica andate in pace.
E<br />
Ecologia<br />
Economist<br />
Et … et…<br />
Ecologia<br />
La verde bufala<br />
La rossa felicità del comunismo si spegne, mentre il verde tinge le bandiere del<br />
contrattacco. Avanti alla riscossa? Ultimamente i nomi della riscossa sono quaresima<br />
sociale e carestia pianificata. Esulta l’effervescente popolo del pensiero debole – stalinisti<br />
in erba indiana, sessantottini affranti, facinorosi con licenza governativa e curiale,<br />
fratacchioni effusivi, cattocomunisti in mobilità, cultori della vacca sacra, gastronomi<br />
sbarazzini, e zitelle deragliate nell’animalismo. La rivolta è nuovamente di scena. Mentre<br />
l’elettrico Bordon dichiara la guerra lampo al Vaticano, il popolo di Seattle, nel totale oblio<br />
dei princìpi di ragione, marcia con la giubilante certezza di rappresentare l’avanguardia di<br />
una guerriglia illuminata dalla scienza austera, e perciò organizzata a difesa dei poveri,<br />
oppressi dall’industria del desiderio e del consumo.<br />
La coerenza ecologica è a tutta prova: i lussi maledetti dall’ideologia sono i consumi dei<br />
poveri. In tal modo la terra, destata dai programmi dei liberatori ecologisti, si trasforma: da<br />
regno antropocentrico a luogo di oppressione.<br />
L’ideologia verde promette la liberazione dalla schiavitù dei consumi: mai più benessere.<br />
Il benessere deve ritornare in bocca al lupo. Una bazza per i poveri, che non saranno più<br />
clienti, e vedranno i padroni dell’industria duramente umiliati e puniti. In attesa che i centri<br />
sociali, una molotov dopo l’altra, instaurino la giustizia del globo quadrato e pianificato,<br />
dove l’astinenza sovietica dai consumi, elargirà una gaudiosa catastrofe.<br />
Dei conigli è padrone il cappello a cilindro, delle bufale la stalla. Fa eccezione la bufala<br />
verde, volante libera fra le stelle dei poteri forti. L’apocalittica suggestione, che riduce<br />
l’uomo a cancro della natura, prende forma nel Club di Roma, il palazzo dove il delirio<br />
malthusiano incontra l’oligarchia giurassica e la scienza occulta.<br />
Intendiamoci: l’amore dell’uomo per la natura era fuori dall’orizzonte regressivo dei soci<br />
fondatori del club. L’amore esige la presenza del soggetto amante, cioè il “cancro umano”<br />
che l’ecologismo vuole espellere dalla scena.<br />
Il terrorismo ecologico, infatti, è una passione disincarnata, una tigre virtuale, messa in<br />
onda dai direttori dell’orchestra iniziatica, per imporre le rovinose teorie sullo sviluppo<br />
zero e sulla riduzione dei consumi di massa. Le teorie squisitamente inumane, che<br />
adesso vediamo applicate nell’Africa consegnata alle epidemie, alle guerre tribali, alle<br />
carestie, al turismo del sesso.<br />
E’ inutile cercare il perché di una mistificazione indirizzata al male: dell’irrazionalità si<br />
classificano i fenomeni, ma non si cercano le motivazioni. <strong>Antonio</strong> Gaspari, Paolo<br />
Fornaciari, Giovanni Vitagliano, Paolo Sequi e Roberto Irsuti, i coraggiosi e lucidi<br />
protagonisti dell’impresa editoriale costituita intorno alla milanese rivista “XXI Secolo”<br />
hanno dimostrato, per mezzo di saggi documentati con puntiglio, che alle spalle del racket<br />
ambientalista si trova un’ideologia priva di fondamento scientifico, moralmente ignobile, e<br />
inaccettabile a chiunque mantenga un soffio di solidarietà per i propri simili.
L’ecologismo è una consolazione babelica, appropriata al disorientamento <strong>postmoderno</strong>,<br />
perché addolcisce le delusioni antagoniste e avvicina i fallimenti delle contrarie ideologie.<br />
Rappresenta la fusione dei pregiudizi trionfanti nella sinistra atea e materialista con gli<br />
errori incandescenti, prodotti, all’inizio del Novecento, dal fanatismo reazionario.<br />
Precursori degli ecologisti furono gli apprendisti stregoni a caval di secolo, che<br />
anticiparono lo schema della gauche réactionnaire, promovendo la selezione degli eletti e<br />
l’affidamento dei reietti alla natura tenera e feroce. Una felice miscela: alla destra<br />
neopagana fu concessa la decadenza dei reietti, alla sinistra avanguardista il progresso<br />
degli eletti.<br />
Una volta avviato sulla traccia dell’orbita binaria, il sole ecologista, eseguì quella perfetta<br />
rivoluzione duale, che ha il nome innominabile di nazionalsocialismo: et destra<br />
rivoluzionaria et sinistra reazionaria.<br />
Ecologia, la parola ammaliante e imperiosa, che adesso scalda i piedi sociali dei<br />
marciatori senza testa, è compromessa, per via della sua origine e della sua storia, con le<br />
guerre della destra torbida e del capitale selvaggio contro lo sviluppo. Fu coniata, durante<br />
la belle époque, da Ernst Haeckel, un socialista ubriacato dall’evoluzionismo di Darwin e<br />
dalla sociologia antivitale e reazionaria di Malthus.<br />
Haeckel è anche l’autore di un infame libro d’eugenetica, “L’enigma della vita”, pubblicato<br />
con vent’anni di anticipo sui programmi nazisti, per affermare la superiorità della razza<br />
indogermanica e proclamare la liceità dello sterminio (spartano: la città dei guerrieri nudi<br />
ha sempre infiammato i cuori germanici) dei soggetti giudicati fisicamente o mentalmente<br />
inadatti alla vita.<br />
L’opera di Haeckel era platealmente contraria ai princìpi dell’umanesimo, e tuttavia<br />
ottenne l’illuminata e gongolante benedizione della sinistra d’inizio secolo, che,<br />
nell’eugenetica, riveriva e incensava la fedeltà al pregiudizio materialistico e all’odio<br />
contro la carità cristiana.<br />
La cultura di sinistra, approvando il pensiero di Haeckel, andò incontro alle preferenze dei<br />
più biechi circoli capitalistici, come il Boone Crockett Club, che, alla fine del XIX secolo,<br />
raccoglieva i finanziatori del progetto “ariano” di Madison Grant: le famiglie Morgan, Frick,<br />
Dodge, Vanderbilt, Rockefeller, Harriman.<br />
Grant, che non faceva mistero dell’odio nutrito nei confronti di ebrei, italiani, slavi,<br />
portoricani e irlandesi, si proponeva due obiettivi complementari: sostenere i movimenti<br />
eugenetici per la restrizione dell’immigrazione e promuovere la conservazione (ad ogni<br />
costo umano) della flora e della fauna selvatica.<br />
Prima di raggiungere Seattle il corteo verde è passato per la Germania delicata dei teneri<br />
Wandervoegel (gli uccelli migratori) e delle SS. Scrive <strong>Antonio</strong> Gaspari: “la ricerca<br />
approfondita e puntuale dello storico americano Robert Proctor, svela quanto lontano si<br />
fosse già spinto il III Reich sui percorsi della scienza e della medicina alternative, degli<br />
stili di vita oggi così in voga nella civiltà post-industriale dell’Occidente”.<br />
Il nazismo, sotto questa luce, appare come un (profetico) miscuglio di sviluppo (della<br />
tecnologia distruttiva) e di bucolica arretratezza, di scienza e di superstizione tracimante.<br />
Nella Germania di Hitler, il circolo ecologico si chiude. Riccardo Walther Darré, capo<br />
dell’ufficio per la razza e ministro dell’agricoltura nel governo hitleriano, infatti, fu iniziato<br />
ai tenebrosi misteri dell’eugenetica verde dall’americano Madison Grant. Il quale (come si<br />
è appena visto) aveva adattato l’evoluzionismo socialista alle esigenze selettive e<br />
regressive dei più torbidi capitalisti. La pista della gara circolare è completata. Ai posti,<br />
pronti, colpo di pistola e via. Ma chi è il giudice di partenza, e contro quale nemico<br />
pensano di correre gli inossidabili maratoneti di Seattle?
Economist<br />
Fumo coloniale da Londra<br />
Adesso gli italiani sono avvisati: il governo Berlusconi, benché adatto alla loro condizione<br />
di popolo stupido e corrotto, non si ha da fare né domani né mai. I poteri forti hanno<br />
sentenziato, Observer, Financial Times, Economist hanno diffuso la solenne sentenza. Gli<br />
italiani “pazienti” hanno capito, le ottuse masse non oseranno disobbedire al fermo monito<br />
dei moralisti.<br />
Ma siamo proprio sicuri che si tratti di una questione morale? Occorre una bella<br />
immaginazione per credere che i poteri forti si facciano tormentare dalla questione<br />
morale. La bella immaginazione va poi elevata al cubo se si vuol contemplare la dignità e<br />
la coerenza morale della sinistra italiana, che vive dei furori pauperistici del popolo di<br />
Seattle. Proprio nei giorni dell’infuriante polemica, la Feltrinelli ha distribuito un libro<br />
intervista, nel quale Cacciari tesse il forsennato elogio dell’ecomiseria.<br />
Il lacrimoso Cacciari, insieme con il desolante Fassino, che sale sull’ex pulpito operaista<br />
per invitare gli italiani a meditare il messaggio lanciato dai sommi padroni del capitale,<br />
con il politologo Sartori e col leggiadro Bianco, che apprezza, gongolando, la minacciosa<br />
autorità dell’alta finanza mettono, in scena lo spettacolo grottesco ma ormai classico della<br />
gauche réactionnaire.<br />
La seria ragione della guerra a Berlusconi si può dedurre tuttavia dalla lettura del Corriere<br />
della Sera, dove l’untuoso e sussiegoso Sergio Romano ha intonato la melodia della<br />
livrea iniziatica.<br />
Conforme alla destra codina, Romano ha scelto la sede più adatta per il suo appello<br />
servile: quel Corriere della Sera dove le zaffate iniziatiche, trasportate dal fumo londinese,<br />
sono respirate con religiosa devozione. L’ex ambasciatore, gustati i sublimi odori del<br />
disprezzo per l’Italia, monta in cattedra per dettare le regole in base alle quali vanno<br />
accolti gli insulti inglesi al popolo italiano: “La prima regola, naturalmente è di considerarli<br />
perfettamente legittimi”.<br />
Dopo una così categorica sentenza, da un uomo illuminato come l’ex ambasciatore si<br />
vorrebbe sapere se, a suo giudizio, sarebbero legittime anche le osservazioni di un<br />
giornalista italiano che (eventualmente) osasse mettere in discussione l’oligarchia del<br />
regno britannico, “solo” perché vi si trovano, a titolo di eredi delle fortune ammucchiate<br />
dalla pirateria, ballerini verdi, pedofili di corso antico e accettato, dame dal gomito sciolto,<br />
principesse ghiotte di sesso o dedite a discussi affari. Non c’è ragione di dubitare che<br />
l’austero Romano risponderebbe negativamente: non è lecito, non è diplomatico, non è<br />
elegante, non è aristocratico rovistare nei panni sporchi della sublime nobiltà. La pubblica<br />
sporcizia dei panni riguarda solo le classi e le nazioni inferiori. L’Italia, ad esempio. E<br />
questo l’imperterrito Romano lo direbbe benché le storie boccaccesche e affaristiche<br />
d’Inghilterra siano vere, le accuse dell’Economist spazzatura, raccolta da calunniatori di<br />
professione.<br />
D’altra parte i poteri che oggi demonizzano Berlusconi sono gli stessi che, nel 1948,<br />
tentarono di umiliare la nazione italiana con l’elezione alla presidenza della repubblica di<br />
un grottesco e osceno arnese di loggia, il conte con la caramella Carlo Sforza. Un uomo,<br />
Sforza, che la stessa “intelligence” britannica non esitava a definire “vecchio scemo”. Fu<br />
la strenua opposizione del cattolico Giovanni Gronchi a sventare la manovra dei poteri<br />
forti e a far eleggere il dignitoso Luigi Einaudi.<br />
Stabilito dunque che ai poteri forti d’Inghilterra non interessa la dignità e la moralità dei<br />
governanti italiani, si affaccia il vero problema: perché si può sputare impunemente su<br />
Berlusconi e, quel che è peggio sul popolo anzi sulla maggioranza del popolaccio italiano,<br />
che lo approva e forse lo vota, ma non criticare le graziose altezze d’Inghilterra?
E’ evidente: i pensatori in frac sono rimasti fedeli ai princìpi del darwinismo sociale, la<br />
scienza umoristica e obsoleta, che circola nelle sfere alte e imperterrite.<br />
Cecilia Gatto Trocchi, nelle pagine del nostro giornale, ha spiegato autorevolmente il<br />
significato del darwinismo sociale: gli oligarchi inglesi e i loro eleganti caudatari sono<br />
convinti di rappresentare il top dell’evoluzione della specie, mentre i popoli latini (e con<br />
loro la volgare America) sono abbassati al bottom (depresso e coloniale) della piramide<br />
del genere umano.<br />
La folle e ridicola teoria darwiniana, condivisa dai più alti iniziati del Corriere della Sera e<br />
bevuta dall’allegria reazionaria, naufragante nei torbidi sputi di Gomez Davila, contempla<br />
un Mediterraneo balcanizzato e (naturalmente) un’Italia depressa e ridotta a condizione<br />
quasi coloniale. Si tratta dell’Italia deliziosamente agognata dalla petite bande: il Grande<br />
Oriente, la famiglia del Corriere della Sera, i verdi per la quaresima perpetua, i pensatori<br />
delle riviste Babilonia e Micromega, gli antiproibizionisti per la droga, i filosofi dei centri<br />
sociali e la massoneria ecclesiastica.<br />
Berlusconi ha dichiarato l’intenzione di attuare una forte politica per il rilancio dello<br />
sviluppo, una politica che contempla il potenziamento delle infrastruttura, finora costrette<br />
al palo dell’ecologismo forsennato. Ecco l’immoralità, ecco la sfida arrogante. Ecco<br />
spiegata l’enigmatica allusione dell’Economist ai governanti corrotti del recente passato<br />
italiano, che ispirano Berlusconi: “corrotti”, dal punto di vista iniziatico, sono i promotori<br />
dello sviluppo pacifico dell’Italia e del Mediterraneo, Enrico Mattei e Aldo Moro, ad<br />
esempio. Uomini che, dopo l’avviso, hanno avuto la “giusta” punizione dalla storia.<br />
Grazie all’esperienza diretta di quella triste storia italiana, Andreotti ha immediatamente<br />
capito il senso dell’avviso di stampo iniziatico e ne ha denunciato il carattere oltraggioso.<br />
Il 13 maggio si vedrà se anche gli italiani hanno capito la lezione segreta della storia.<br />
Et … et…<br />
Le scogliere dell’ubiquità postmoderna<br />
Non occorre una fervida fantasia per astrarre dalla gondola nera, avanzante sull’acqua<br />
uggiosa della laguna novembrina, l’essenza del luogo ideale per una conversazione<br />
jüngheriana tra il nostalgico Zecchi e l’amareggiato Cacciari - la destra estetica e la<br />
sinistra affranta, in discorde concordia sull’ambivalenza della tecnica.<br />
Impianto o destino? Dominio rapinoso. La tecnica, nel pensiero <strong>postmoderno</strong>,<br />
rappresenta la metafisica, platonica e cristiana, colpevole di aver diffuso l’illusione del<br />
primato umano nella natura.<br />
La disputa sul destino tecnologico, ha spinto il pensiero rivoluzionario in una spirale<br />
armoniosa: la pacifica concorrenza tra i militanti delle ideologie rifiutate dalla storia -<br />
destra hitleriana e sinistra bolscevica. La pacificazione degli estremi inizia dunque dalla<br />
mistica nostalgia delle origini, che incita l’umanità a regredire ai territori benedetti dalla<br />
derelizione della tecnologia.<br />
Ma la realtà sorpassa la fantasia. In uno storico convegno <strong>postmoderno</strong>, un giovane<br />
pensatore di scuola jüngheriana, il ventripotente Achille Montano, espose le idee<br />
neodestre sull’ambivalente tensione, che corre tra il potere spirituale e il potere imperiale.<br />
Lo schema era esemplarmente lucido. La relazione, intitolata “Papa e imperatore: la<br />
rivoluzione conservatrice nel medioevo”, esponeva due luminosi concetti: il medioevo<br />
attuò un grande equilibrio, poiché (primo concetto) quando c’era un imperatore cattivo un<br />
papa buono faceva da contrappeso, e viceversa (secondo concetto) quando il papa era<br />
cattivo un buon imperatore ne moderava l’influsso.<br />
Fin qui la felice ambivalenza del medioevo contemplato dal pensiero neodestro. Ma gli<br />
uditori della dottrina videro, a quel punto, il volto dell’oratore imporporato dal dubbio. Egli
guardò in alto, cogitabondo, quasi ad invocare un lume. Stette a lungo. Infine<br />
l’espressione del suo volto si adeguò al severo possesso dell’intuizione folgorante.<br />
Questa: “Ci furono tuttavia situazioni terze, nelle quali ad un papa cattivo era<br />
contemporaneo un imperatore cattivo. In quei casi erano cavoli amari per tutti”.<br />
La cortese disputa tra Zecchi e Cacciari sulla dottrina di Ernst Jünger costituisce la dotta<br />
traduzione della parabola di Achile Montano: ad una destra guerriera fa da contrappeso la<br />
sinistra pacifica; la sinistra faustiana (e stakanovista) è rettificata e convertita dalle<br />
austere idee della destra pauperista e antitecnologica.<br />
In ultima analisi: l’armonia si trovo nel rifiuto categorico dell’idea di progresso. Per la<br />
scienza e l’industria sono cavoli amari. Cacciari e i neodestri superano le amarezze del<br />
Novecento dichiarando la guerra di Hitler al progresso giudeocristiano.<br />
Tutti a Seattle, allora. I nemici di un tempo si ritrovano nel baccanale della rivoluzione<br />
reazionaria. Tutti ambivalenti, anarchi & aristocratici, futuristi & ecologisti, armati & amati,<br />
maschi & femmine, fumatori & fumati, camicie brune & rosse.<br />
Suggeriva Jünger: destra e sinistra, in riga per due, et … et… Un papa buono<br />
(l’ecologista Walter Darré, ad esempio) bilancia l’imperatore cattivo (il tecnocrate Adolf<br />
Hitler), l’imperatore della virtuale bontà (Valter Veltroni) rettifica il papa cattivo (l’operaista<br />
Cossutta).<br />
La scuola lagunare - Zecchi e Cacciari - liquida Stalin e Hitler in un barattolo di nutella. Il<br />
Novecento è candito. Beati i dolci, perché avranno la nuda terra del Millennio buonista.<br />
O no? La sintesi, dopo la destra e la sinistra del Novecento, è un’idea fascinosa ma<br />
inquinata dai cavoli amari del Montano.<br />
I nichilismi delle ideologie totalitarie, infatti, segnano limiti estremi e insuperabili. Il furore<br />
della tecnocrazia pacifista e l’impeto della guerra elitaria, erano già in atto negli errori<br />
generati dalla rivoluzione illuminista, che contemplava anche le “sintesi” regressive e<br />
arcadiche oggi riproposte da Jünger (e da Heidegger, Schmitt, Benn, Kojève, Guénon,<br />
Bataille, Marcuse, Taubes, Cacciari ecc., ecc., ecc,).<br />
In altri termini: Hitler e Stalin - le contraddizioni del Settecento all’ultimo stadio, i lumi al<br />
lumicino - contengono tutte le (superflue) sintesi della destra e della sinistra postmoderne.<br />
Alla fine della serie si trovano gli irriducibili cavoli amari del Montano: un imperatore<br />
cattivo contemporaneo di un papa cattivo.<br />
Nessun pensiero è così veloce da superare il pensatore che lo ha anticipato. Nessun<br />
Mitridate si disintossica per mezzo delle tossine. La pretesa di evadere dal Novecento è<br />
grottesca, quando, per saltare il filo spinato, si usano le gambe, che hanno corso sulla<br />
pista hitleriana o su quella staliniana.<br />
Jünger contro Hitler, la mitezza ecologica contro l’intolleranza religiosa, il paganesimo<br />
contro la volontà di potenza, la sinfonia pastorale contro la guerra imperialista,<br />
l’ambivalenza ideologica contro le certezze della fede e della ragione, la dolce foresta<br />
germanica contro la Roma tirannica dei papi, sono gli attori della commedia truffaldina già<br />
messa in scena dal III Reich. L’avversione del dolce pensiero jüngeriano al mostruoso<br />
delirio nazista è una chimera o una truffa. I frutti velenosi del nazismo, infatti, nascono<br />
sull’albero delle idee neopagane che oggi gli si vorrebbe opporre.<br />
Il pensiero profondo che ha destato la ferocia nazista contro gli ebrei e i cristiani, afferma<br />
infatti l’umiliazione dell’uomo nei confronti del cosmo e della forza che lo regge. Hitler era<br />
un ecologista radicale, e un nemico della tecnologia, esattamente come Heidegger, come<br />
Jünger e come il popolo di Seattle. Nella notte tra il 28 e il 29 dicembre del 1941, Hitler<br />
uscì in un delirio pagano e maledisse l’invito della Bibbia a dominare la terra. Qui<br />
troviamo la fonte dell’odio spaventoso che ha insanguinato il Novecento, qui nella<br />
dichiarazione di guerra alla tecnologia e alla religione cristiana: “Tutti i lettori della Bibbia,<br />
che si chiamino ebrei, ginevrini, olandesi, inglesi o americani, devono aver visto sul loro<br />
libro di preghiere che Dio ha concesso a coloro che servono la sua legge il monopolio
dello sfruttamento della terra, dato che tutti questi popoli mercantili profondono, nell’arte<br />
di sfruttare il genere umano, lo stesso fervido fanatismo religioso”. Pensare di uscire<br />
dall’orrore del Novecento dichiarandogli questa guerra è una follia, che supera in comicità<br />
la parabola montaniana dei cavoli amari.
F<br />
Famiglia<br />
Fascismo<br />
Filosofia<br />
Finimondo<br />
Franchismo<br />
Famiglia<br />
Nessuna società sopravvive senza onore<br />
Non senza scandalo dei teologi aggiornati e dei moralisti politicamente corretti, Giovanni<br />
Paolo II ricorda insistentemente che i cattolici non possono contrastare il principio<br />
dell’indissolubilità del matrimonio, e della fedeltà alla parola data davanti all’altare.<br />
Nell’aprile del 1974, quando il dissenso cattolico era incensato dai vescovi conformisti – il<br />
cardinale Pellegrino dichiarava addirittura il suo rispetto per i fedeli divorzisti “per motivi di<br />
libertà di coscienza, di pace sociale e di valutazioni politiche contingenti” - furono i pochi a<br />
sfidare la direttiva emanata, in perfetta armonia dalle logge massoniche e dal Pci. Fra di<br />
loro Nino Badano, che scriveva nelle pagine intrepide della rivista di Giovanni Volpe, “La<br />
Torre”: “Il matrimonio è indissolubile, non solo come sacramento, ma come istituzione<br />
naturale; solo una donazione perenne dei coniugi garantisce alla famiglia l’adempimento<br />
della sua funzione sociale, soprattutto educativa. La famiglia unita è necessaria al bene<br />
della società. Per le sue rovinose conseguenze il divorzio è una piaga. Il cristiano, come<br />
cittadino, ha il dovere di proporre e difendere il suo modello di famiglia, perché deve<br />
partecipare alla costruzione di un retto ordine civile, partecipazione urgente quando la<br />
famiglia è insidiata da una permissiva, che favorisce il coniuge colpevole e non tutela i<br />
diritti dei figli, degli innocenti e dei deboli”.<br />
Oggi a parlare in difesa del matrimonio indissolubile sono i dati statistici, che compongono<br />
il ritratto di una società smembrata e moralmente esausta. Ogni anno il decano della<br />
Sacra Rota, monsignor Mario Francesco Pompedda, espone al papa un bilancio penoso:<br />
affievolimento delle difese morali, incoscienza del peccato grave, ostinato rifiuto della<br />
scelta che comporta un impegno vincolante nella buona e nella cattiva sorte, distorta<br />
concezione della libertà. Gli atti delle cause matrimoniali, quadri di ordinaria<br />
disgregazione sociale, potrebbero ispirare una collana di romanzi neri – alla Houllebecq –<br />
tanta è la stupida ferocia che in essi si registra.<br />
A chi ha il coraggio di considerarli, gli atti della Sacra Rota svelano la minaccia che il<br />
divorzismo porta nel cuore della convivenza civile: la sopraffazione del divertimento sulla<br />
vita. Troppo facilmente l’unione familiare si spezza a causa di risibili conflitti sulle<br />
vacanze, sulla festa del sabato sera, sulla scelta delle compagnie d’evasione, sulla<br />
strategia da seguire nella scalata della montagna del prestigio effimero.<br />
Il processo di secolarizzazione, iniziato sotto i lumi del razionalismo e proseguito<br />
attraverso le serenate romantiche, psicoanalitiche e sessantottine al libero amore e alla<br />
famiglia allargata, ha dato luogo ad una vera e propria malattia sociale.<br />
La sterminata solitudine della folla contemporanea invoca esempi di moralità accettata e<br />
vissuta eroicamente. Dopo tutto, la vita eroica, che costituisce l’onore dell’Occidente, ha<br />
avuto inizio con la fondazione delle prime famiglie: “Dai Greci fu detta Era, dalla quale,
scrive Giambattista Vico, debbono essere stati detti essi eroi, perché nascevano da nozze<br />
solenni”. Questo significa che nessuna società sopravvive senza rispettare la parola data.<br />
Il forte richiamo del papa, pertanto, significa che la civiltà si difende o si perde nelle<br />
famiglie. Il secondo nome della misericordia verso il prossimo è coerenza di vita. La<br />
fermezza dei princìpi cristiani rinvia sempre alla carità, dove l’uomo non esiste per la<br />
legge, ma la legge per l’uomo. Sarebbe facile compiacere e benedire, dall’alto della<br />
cattedra di Pietro, la volontà di ripudiare il coniuge non più amato, per unirsi con la<br />
persona ideale. Quale trasgressione non è giustificata dall’ideale? Scroscerebbero gli<br />
applausi se il papa si arrendesse allo spirito del tempo e vezzeggiasse gli ideali conformi<br />
al comandamento usa e getta. Un Cristianesimo conciliante e carino, oltre tutto, non<br />
subirebbe la temibile concorrenza delle religioni alternative, che promettono baldoria in<br />
terra e felicità nell’alto dei cieli. Ma la fede cristiana è una porta stretta: chi l’attraversa<br />
deve scegliere la vita difficile, all’alto mare della seconda navigazione, dove si corre il<br />
rischio dell’odio nutrito dalla terra ferma.<br />
Fascismo<br />
Tutti i colori del nero<br />
L’attendibilità dell’impegnativo discorso sull’estrema destra italiana, annunciato nel titolo e<br />
tentato nel torrentizio volume di Ugo Maria Tassinari (“Fascisteria I protagonisti, i<br />
movimenti e i misteri dell’eversione nera in Italia) dipendeva da una compiuta analisi delle<br />
correnti culturali, che agitarono fascismo e il neofascismo. Infatti, per definire<br />
correttamente l’estremismo neofascista, è indispensabile coglierne la natura di<br />
impedimento alla costituzione di una destra moderata, intesa a superare l’ideologia<br />
totalitaria e a disciogliere lo spirito dell’innaturale e nefasta alleanza con la Germania. I<br />
fascisti moderati, che sopravvissero alla vicenda della Rsi, ritenevano inevitabile<br />
l’accoglimento dei princìpi democratici e la trasformazione del movimento in partito<br />
dell’indipendenza nazionale. L’ala estremista (l’eversione nera) in quanto fedele all’utopia<br />
e allo spirito dell’Asse in tanto si opponeva al realismo dei moderati diventando lo<br />
strumento dei gruppi ostili alla crescita di una destra italiana.<br />
Il periodo che corre dal secondo al terzo dopoguerra, dalla sconfitta dell’ideologia fascista<br />
alla dissoluzione del comunismo, ripropone, dunque, la dialettica movimento-regime, cioè<br />
ideologia-realismo. Si tratta della dialettica che insorse alla vigilia della conciliazione, e<br />
continuò nel periodo travagliato della Rsi e in quello convulso del secondo dopoguerra.<br />
Il fatto, nascosto caparbiamente dagli storici di sinistra, è che il fascismo si costituì come<br />
avanguardia della rivoluzione moderna, ma subì l’influsso della cultura italiana, che<br />
costrinse il regime ad una radicale revisione e ad una permanente crisi d’identità. Il<br />
regime autore della conciliazione con la Chiesa cattolica era diverso se non antitetico<br />
all’ideologia dei suoi fondatori. La destra moderna, costituita dopo lo “strappo” di Fiuggi<br />
non è altro che la sanzione definitiva dell’annoso conflitto tra fascismo movimentista e<br />
destra moderata: i quadri ideologici con Rauti, gli innovatori con Tatarella e Fini.<br />
Ove non si tenga conto della dialettica movimento-regime e della sua prosecuzione<br />
nell’antitesi ideologia-realismo democratico, la storia dei neofascismi e dei postfascismi si<br />
appiattisce su quel pregiudizio antistorico, che nega la revisione dell’ideologia da parte<br />
dei fascisti moderati e perciò abbassa tutti gli attori della destra italiani al denominatore<br />
del paganesimo nazista e del terrore antidemocratico.<br />
L’opera di Tassinari non fa eccezione. A partire dalla sommaria riduzione della storia della<br />
destra all’estremismo, sulla sua obiettività scende la notte dell’identico, nella quale tutte le<br />
correnti si confondono nella figura del terrorismo.
Come ha dimostrato Renzo De Felice, e come confermano, in via definitiva, gli studi<br />
recentissimi di Ennio Innocenti, Luciano Garibaldi ed Enrico Landolfi, non ha senso<br />
tentare la riduzione dei fascisti all’ideologia estrema. Mussolini e Gentile, dopo il 25 luglio<br />
del 1943, avevano abbandonato qualunque residua fede nell’ideologia totalitaria,<br />
orientandosi verso il realismo (a fisionomia cattolica), che, da un lato, li distingueva dal<br />
fatalismo tragico dei tedeschi e del loro fiduciario Pavolini, dall’altro accentuava la<br />
distanza dal braccio finanziario della massoneria (che aveva stabilito peraltro una felice<br />
intesa con i tedeschi).<br />
I fascisti non erano calati nel blocco monolitico narrato dalla vulgata antifascista, ma divisi<br />
secondo un articolato ventaglio di posizioni, e posizioni fra loro lontane. L’innegabile<br />
realtà di un pervicace (e velleitario) totalitarismo, sopravvissuto alla catastrofe, non è<br />
sufficiente a far dimenticare l’emergenza, prima in Gentile poi in Mussolini e nei quadri<br />
responsabili della Rsi, infine nell’ala moderata del Msi, di un amor di patria separato e<br />
contrapposto all’ideologia.<br />
Dopo il 1945, la cultura della destra italiana è diventata teatro di un aspro conflitto, nel<br />
quale si sono battuti, con divergenti intenzioni, i continuatori dell’ideologia movimentista e<br />
gli eredi del realismo. Due soggetti irriducibili: un fascismo radicalizzato dalla coscienza<br />
antistorica e una destra orientata all’autosuperamento.<br />
Gli emblemi di questo totale divergenza sono il fumoso esoterismo di Evola e la filosofia<br />
dell’ultimo Gentile, interpretati, sul versante del politico, dall’estremista Pino Rauti (l’ultimo<br />
segretario del Msi ideologico) e dal moderato Arturo Michelini (il primo segretario del Msi<br />
pensato come partito democratico).<br />
Una storia della destra, come quella di Tassinari, che non contempla e anzi esclude<br />
questo forte bipolarismo, diventa sbilanciata e inattendibile. Non una storia ma un dossier<br />
poliziesco, che, in obbedienza agli imperativi categorici del manicheismo di sinistra,<br />
connette con i gruppuscoli ideologizzanti e perciò affonda nella cronaca nera tutte le<br />
correnti politiche e filosofiche, che divisero il vecchio Msi.<br />
Tassinari, che ha prestato un’eccessiva attenzione al pensiero di Evola, e alle<br />
elucubrazioni (spesso sgangherate) degli estremisti di scuola evoliana, dimentica del tutto<br />
l’eredità italiana (e non più ideologica) di Mussolini e Gentile e censura l’interpretazione<br />
modernizzatrice che ne tentarono Michelini, De Marzio e Tatarella.<br />
Nel suo libro, infatti, non si trova una sola parola su Gentile e sull’evoluzione<br />
dell’attualismo. Non un cenno all’esito cattolico della destra gentiliana (Sciacca e Carlini,<br />
ad esempio). Nessun riferimento all’esistenza di una destra anti-idealista d’indirizzo<br />
cattolico (Orestano, Ottaviano, Del Vecchio, ad esempio). Non un cenno alla riviste della<br />
destra cattolica, che, a cominciare da “Rivista romana”, “Azione” e “Vigilia romana”,<br />
denunciarono i rigurgiti ideologici del Msi.<br />
Il risultato è che l’intenzione, dichiarata da Tassinari, di mantenere l’equilibrio garantista,<br />
naufraga in una involontaria confessione di unilateralità, resa per mezzo di un maldestro<br />
bisticcio di parole: “mostrare, al di là delle semplificazioni e delle mistificazioni quanti<br />
fossero e quanti diversi tra loro, tutti i colori del nero”.<br />
I colori del nero, cioè l’assenza di colore e prospettiva, è costretta a scendere nel<br />
vorticoso gorgo del solito, trito dossier sull’eversione. L’eversione nera, la cui esistenza<br />
nessuno vuole e può seriamente negare, in tal prospettiva, annulla e sostituisce tutte le<br />
altre culture della destra. Nella notte livellatrice del dejà vu, fra inesattezze ed<br />
esagerazioni, il lettore incontra, il classico enunciato dei teoremi, imbastiti per<br />
criminalizzare la destra: il terrorista di estrema destra Tizio è amico dell’estremista (ma<br />
non terrorista) Caio, che ha frequentato il moderato Sempronio, noto per aver fatto parte,<br />
come sottosegretario, del governo Berlusconi. In chiusura, la fila indiana, per il fatale<br />
effetto “domino”, rovina addosso all’odiato cavaliere nero. Avendo scelto come<br />
collaboratore Sempronio, che è contiguo a Caio, che è amico di Tizio, Berlusconi è
compromesso con il terrorismo. Il ritornello chiude la filastrocca ma i conti della verità<br />
storica rimangono sospesi tornano ad una speculazione politica che va (senza testa)<br />
dove la porta il bruciore del piede.<br />
Filosofia<br />
L’incantevole bellezza della filosofia<br />
Conosciamo gli eroici inizi della filosofia greca attraverso pochi frammenti, conservati<br />
nelle opere di autori d’epoca più avanzata. Ma il velo della frammentarietà, che l’incuria<br />
dei contemporanei ha steso sui geniali balbettamenti dei pionieri, Parmenide ed Eraclito,<br />
ad esempio, accresce anziché diminuire il fascino aurorale del discorso sull’essere.<br />
La filosofia, infatti, consiste, all’inizio e per tutto il corso della sua storia, nell’avventura del<br />
pensiero, che si allontana dal confuso ma solido mare delle immagini per cogliere<br />
l’invisibile verità del reale.<br />
La filosofia muove dalla consapevolezza che l’immaginazione nasconde il reale. L’oggetto<br />
della riflessione filosofica si deve dunque cercare negli enigmi del frammento, parole che<br />
emergono dalla molteplicità delle sensazioni, come un legno animoso sulle acque agitate.<br />
Numenio d’Apamea, il filosofo neoplatonico che ha costruito il primo e ancora incerto<br />
passaggio dalla metafisica greca alla teologia razionale d’età cristiana, paragona l’essere<br />
ad un guscio che sfida l’impeto del mare in tempesta: “come colui che, seduto in una<br />
specola, scruta con vista penetrante e coglie, con un solo sguardo, un animoso battello,<br />
uno di quei legni solitari, lontano, in mezzo ai marosi – così ci si deve allontanare dalle<br />
percezioni sensibili per avvicinare il Bene vivente dove non sono corpi grandi o piccoli ma<br />
l’ineffabile, perfettamente divina solitudine”.<br />
La navigazione ardimentosa è dunque il simbolo della verità che si deve inseguire oltre i<br />
confini della certezza. Filosofare è abbandonarsi all’amore del bel rischio, e seguirlo oltre<br />
il fluire solido e tranquillo delle nozioni quotidiane. In questo ardimento, che scioglie gli<br />
ormeggi del pensiero e lo istiga a cercare – con l’autorità che appartiene alla natura<br />
umana - la fonte degli esistenti oltre la finitezza. Qui risiede l’incantesimo della filosofia<br />
come invito alla “seconda navigazione”, alla quale l’uomo non può sottrarsi senza negare<br />
se stesso. Il tentativo kantiano di costringere il pensiero nella caverna nella cura profana,<br />
la diserzione dall’avventura che Fabro definisce negazione assurda, è dunque giudicabile<br />
quale atto primo di quella magia nera, che ha prodotto l’illusione tracotante di un’umanità<br />
regnante nel perpetuo divenire della sua “divina” soggettività.<br />
La grandezza dell’uomo, dichiara Fabro, incomincia invece dall’aspirazione alla libertà dal<br />
finito: “Possiamo gettare il ponte sull’Abisso mediante la libertà. E’ questo il rischio della<br />
scelta radicale” (Aforisma n. 1749).<br />
Il paradosso retorico di Numenio, che nel frammento riconosce la figura della ricerca e<br />
l’allusione al fondamento è il cuore segreto della filosofia. E la filosofia non cerca il mare<br />
ma la seconda navigazione, che conduce il pensiero al di sopra del fluido coacervo delle<br />
sensazioni per metterlo in comunicazione con la divina solitudine del bene.<br />
Ora Rosa Goglia, con la maestria che le deriva dalla pietà cristiana e dall’assidua<br />
frequentazione della metafisica, ha ritagliato, dalle lezioni universitarie di Cornelio Fabro,<br />
una splendida collezione di aforismi, che è pubblicata, in elegante veste tipografica, dalla<br />
casa editrice Piemme in Casale Monferrato, insieme con brevi saggi di Emmanuele<br />
Morandi, Giuseppe Mario Pizzuti, Francesco Bonanni di Ocre e della stessa Rosa Goglia.<br />
Naturalmente la grande opera di Fabro, che ha mostrato l’attualità del tomismo<br />
essenziale attraverso il viaggio di Kierkegaard nella catastrofe del moderno, non ha<br />
bisogno della mediazione dei commenti e delle antologie. L’opera sapiente e amorevole<br />
di Rosa Goglia, tuttavia, ha condotto il discorso filosofico di Fabro all’armoniosa e
ineguagliabile misura del frammento. La fascinosa bellezza del frammento era già nel<br />
discorso fabriano, ma è stata opera d’arte il ritagliarla e ordinarla. Il risultato è questo<br />
magnifico invito alla filosofia, trasmesso attraverso le schegge nelle quali Fabro ha<br />
lasciato l’impronta del suo inimitabile stile.<br />
La filosofia autentica è un perenne ritorno ai problemi originari: “In fondo all’uomo c’è<br />
sempre l’Ulisse eterno che cerca nuovi approdi”. Il Fabro degli “inizi”, che leggiamo nei<br />
1832 aforismi proposti da Rosa Goglia, è dunque vicino alle fonti antiche, a Parmenide in<br />
special modo, e perciò si rivela più moderno del preteso ultramoderno Martin Heidegger.<br />
Rosa Goglia afferma con autorità che, laddove Heidegger si smarrisce nella confusione<br />
tra essere e tempo, Fabro ritrova il bandolo della filosofia primitiva e “recupera l’esigenza<br />
speculativa dell’essere parmernideo, facendolo compenetrare e rifluire nella dialettica<br />
platonica della partecipazione e nella metafisica dell’atto e della potenza aristotelica”.<br />
Come la piccola imbarcazione narrata da Numenio, la filosofia di Fabro ha attraversato il<br />
caleidoscopio delle apparenze per attingere l’essere: “Mettiamoci sul pinnacolo della<br />
natura e contempliamo la varietà di tutti questi esseri e riflettiamo: prima di qualsiasi<br />
qualità degli enti c’è l’essere, dopo tutte le qualità degli enti c’è l’essere dell’ente, perché<br />
nessuna qualità né accidentale né sostanziale – né colori né sapori né scintillare di anime<br />
e d’ingegno, nulla è se non ha l’esse. Questa è stata la grande scoperta di san Tommaso”<br />
(Aforisma 976).<br />
Negli anni di piombo Fabro ha sfidato la baraonda dei sistemi a getto continuo della<br />
filosofia moderna, pubblicando saggi come “La trappola del compromesso storico”, “La<br />
negazione assurda” e “L’avventura della teologia contemporanea”. Oggi la sua magistrale<br />
lezione è un viatico per salvare la ragione cristiana dalla catastrofe inscritta<br />
nell’esistenzialismo ateo di matrice nietzschiana e heideggeriana. La raccolta dei suoi<br />
aforismi vince la desolata piattezza del pensiero debole e della lingua morta per introdurre<br />
l’uomo disorientato nella casa della bellezza e della verità.<br />
Finimondo<br />
La religione del finimondo<br />
La dottrina, che contempla una storia ordinata ad un fine “ultimo”, dipende dai concetti di<br />
creazione nel tempo, peccato originale, provvidenza, redenzione e seconda creazione.<br />
Senza tali nozioni è impossibile concepire il progresso verso la fine dei tempi. Infatti l’idea<br />
di progresso storico è sconosciuta a tutte le religioni estranee alle rivelazione<br />
giudeocristiana. Gli illuministi e nella loro scia Hegel, che hanno preteso di secolarizzare<br />
la teologia cristiana hanno trascinato la filosofia occidentale nel vicolo cieco della filosofia<br />
di Nietzsche, e cioè alla negazione assoluta dell’idea di progresso.<br />
La ragione umana non può osare l’acrobazia illuminista ed hegeliana, che assume<br />
un’idea della storia coerente con la fede cristiana nel momento stesso in cui avanza la<br />
pretesa di superare ed archiviare il Cristianesimo. Il temerario volo degli illuministi e degli<br />
hegeliani termina infatti in quelle utopie escatologiche (progetti di uscita dal mondo ovvero<br />
decisioni di piegare la vita all’esigenza mortuaria) che hanno infestato la storia del<br />
Novecento.<br />
L’inglorioso tramonto delle ideologie moderne svela quanto sia contraddittorio e ridicolo la<br />
sforzo di tradurre le verità rivelate, dalle quali dipende la dottrina cristiana sul fine della<br />
storia, in una filosofia scientificamente dimostrata.<br />
Una volta separata la novità cristiana dalla fede, l’idea di progresso naufraga nell’incubo<br />
gnostico, che rinvia il vuoto dell’abisso rovesciato nella storia ad una storia sprofondata<br />
nel destino anonimo e irrazionale.
Oggi si comprende perché gli articoli della fede cristiana, gratuitamente abbassati a<br />
prodotti della ragione laica, hanno generato il nichilismo, l’idea dell’identico chiuso nel giro<br />
eterno dell’insignificante: esclusa la ragione divina, le orgogliose certezze umanistiche<br />
sono eclissate dall’incubo che rappresenta un’infinita sequela di finimondi.<br />
Negata la metafisica, e spezzato il legame tra l’idea di cosmo e la nozione di ordine a un<br />
fine, la filosofia non può far altro che affacciarsi alla finestra delirante di Nietzsche e a<br />
quella obituaria di Deleuze. Così la modernità è affondata in quel “pensiero unico”, che<br />
Aristotele aveva demolito nel IV della Metafisica. Il fatto è che l’ateismo si risolve in uno<br />
sguardo abbagliato, che una disgraziata decisione convince a riconoscere il nulla – il<br />
finimondo - attraverso la confusione di essere e indeterminato.<br />
Ora fra i pontefici del finimondo, la posizione d’avanguardia è tenuta da Umberto<br />
Galimberti, autore di una piramidale summa reazionaria (“Psiche e techne”) edita da<br />
Feltrinelli e ritualmente incensata da Eugenio Scalfari.<br />
Assiduo mixer di Freud, Jung, Hillman e Heidegger, Galimberti racconta la fine della<br />
modernità nella lingua febbrile del dolorismo dionisiaco. Il cardine del suo pensiero, infatti,<br />
è l’affermazione di un unico soggetto, “la vita eterna della natura, che si alimenta del<br />
sacrificio dei viventi”. Si entra in tal modo nel tempio del caos mentale: “il sim-bolo che<br />
nella sua essenziale ambivalenza com-pone bene e male, limite e trasgressione. …<br />
Dioniso scatena l’evento (l’orgia) in cui non può esserci alcun riconoscimento all’io e al tu;<br />
al contrario, nell’orgia, si produce il disconoscimento dell’dentità”.<br />
L’orizzonte sim-bolico è rivisitato e di bel nuovo opposto alla coscienza personale e<br />
all’idea di storia, idea che ha “senso nel dominio dell’uomo sulla natura” cioè nel principio<br />
dello sviluppo tecnologico conforme al comando biblico “dominate la terra”.<br />
La tecnica, cui Heidegger attribuiva l’ambiguità del pericolo che (forse) annuncia la<br />
salvezza, nel saggio di Galimberti diventa una perdizione salvifica: per appagare l’invidia<br />
dell’uomo nei confronti dell’animale la tecnologia avrebbe condotto l’umanità al limite<br />
invalicabile della catastrofe ambientale.<br />
In altri termini: l’uomo, animale imperfetto e pertanto incatenato al sussidio tecnologico<br />
potrebbe ritrovare la genuina animalità solo dopo aver esplorato i confini della rovina<br />
tecnologica. La metafisica e il Cristianesimo, dunque, sarebbero sconfitti proprio dal loro<br />
prodotto, la tecnologia moderna.<br />
Il nichilismo galimbertiano non avanza al punto estremo, dove si prospetta la<br />
soppressione fisica dell’uomo “cancro della natura”, ma si dichiara affascinato dalla<br />
possibilità di una prossima estinzione della sua cultura, della sua morale, della sua storia.<br />
Franchismo<br />
Falce, martello e poteri forti contro la Chiesa<br />
Nel 1978, il dossettiano Giorgio Campanini, per commentare le pagine antifranchiste di<br />
Jacques Maritain, in quei plumbei anni reputate degne di ristampa, non trovò di meglio<br />
che rovesciare la responsabilità dei massacri sulla Chiesa di Spagna, che “per trovare un<br />
appoggio presso classi privilegiate, appariva troppo spesso come il pastore di queste<br />
ultime piuttosto che della massa”.<br />
La Chiesa cattolica, secondo la vulgata cattocomunista, era schierati con i ricchi, dunque<br />
il popolo dovette a scegliere la protezione degli atei.<br />
Negli anni dell’egemonia gramsciana questa interpretazione era dogma. L’untuosa<br />
dottrina di Camera e Fabietti, oggi fa ridere perché definisce errori i delitti della<br />
rivoluzione. Ma Campanini era andato addirittura oltre, sostenendo che gli errori erano<br />
stati commessi dalle vittime ricche.
E i monaci assassinati a malgrado del voto e dell’evidente stato di povertà? E le monache<br />
di clausura, torturate atrocemente e ammazzate? E i cadaveri profanati? Per loro la<br />
coscienza dei profeti a senso unico non ha mai versato lacrime. Non erano utili alla<br />
suprema causa della giustizia comunista, dunque non era il caso di rimpiangerli.<br />
Anzi… Al culmine della frenesia aperturista, Mounier non esitò ad insinuare che i martiri<br />
avevano provocato la collera dei giusti alleandosi con i fascisti.<br />
Cosa si vuole di più utile alla causa dello schiaffo teso contro la verità?<br />
Declassare i martiri di Spagna, ridurli al rango di sostenitori del capitale e a complici di<br />
una monarchia screditata, è il servizio che la sinistra cristiana ha reso alla causa del<br />
comunismo ateo.<br />
«Per decenni», ha scritto Vittorio Messori nel saggio “Pensare la storia”, «anche per un<br />
certo mondo cattolico, sembrò che chi doveva farsi perdonare e far dimenticare, nella<br />
tragedia spagnola, fosse la Chiesa, non fossero gli anarchici, i socialisti, i comunisti. Ed è<br />
con fastidio che si respingeva l’idea stessa di martirio di quegli innocenti, fino al punto di<br />
bloccare i processi canonici per la beatificazione».<br />
La risolutezza di Giovanni Paolo II ha sollevato il velo dell’impostura storiografica,<br />
conferendo ad un alto numero di vittime del comunismo la dignità dei martiri e l’onore<br />
degli altari. Ma neanche l’inflessibile determinazione del regnante pontefice ha potuto<br />
ristabilire la verità che contempla l’essenza anticristiana della guerra civile, il<br />
coinvolgimento massonico, e la complicità dell’oligarchia finanziaria nella pianificazione e<br />
nell’esecuzione del massacro. La prudenza annidata nell’avanguardia curiale non lo<br />
consente.<br />
Finalmente Vitaliano Mattioli dell’Università Urbaniana, un sacerdote romano non nuovo a<br />
pubblicazioni contro corrente, infrange la legge del potere culturale e viola il tabù<br />
storiografico (non si deve parlare degli Olocausti trascurabili), pubblicando, per i tipi<br />
intrepidi dell’editore milanese Fabio De Fina, un saggio il cui titolo non lascia dubbi<br />
sull’esplosivo contenuto: “Massoneria e comunismo contro la Chiesa in Spagna 1931-<br />
1939”.<br />
Mattioli non è prigioniero di schemi astratti e di pregiudizi partigiani e, pertanto, può<br />
esaminare i fatti della storia senza pagare pedaggi a destra o a sinistra. Il pregio della sua<br />
opera risiede appunto nella capacità di resistere alla suggestione delle tesi consolidate<br />
dalla ripetizione terroristica.<br />
Di conseguenza Mattioli, analizzando le cause prossime e remote che hanno preparato la<br />
guerra civile stemperando e corrompendo la fede dei popoli ispanici, non tace le gravi<br />
responsabilità di quella oligarchia retriva che la vulgata di sinistra vuole associare alla<br />
Chiesa.<br />
In effetti, all’origine della decadenza spagnola si trova, come sottolinea Mattioli (in<br />
sintonia con De Tejada e con la scuola carlista) l’influenza dell’Europa protestante, che<br />
diffuse nella Spagna assolutista e codina (di Carlo III, 1759-1788) e, dopo la parentesi<br />
relativamente felice del regno di Ferdinando VII (1814-1833), in quella liberale di Isabella<br />
e dei suoi successori, i semi corrosivi dello scetticismo e dell’irreligione gratuita.<br />
Ora la rivoluzione comunista che ha devastato la Spagna, trovò un perfetto terreno di<br />
cultura nella mentalità prodotta da almeno due secoli di propaganda anticlericale e negli<br />
stati d’animo destati (come documenta Mattioli) dalla propaganda settaria, lubrificata dal<br />
denaro profuso dalle oligarchie e dalle corti.<br />
La confusione prodotta dalle agenzie dell’ateismo massonico era tale da contagiare e<br />
sviare perfino il movimento dei volonterosi intellettuali che, all’inizio del XX secolo,<br />
cercavano di promuovere la rigenerazione del paese. Il movimento, anziché valorizzare la<br />
genuina tradizione ispanica, esaltò autori decadenti e torbidi, come Schopenhauer e<br />
Nietzsche.
Contrariamente all’opinione sostenuta senza fondamento dai cattocomunisti, la Chiesa<br />
cattolica di Spagna non si identificò con la politica culturale d’ispirazione laicista attuata<br />
da Carlo III, da Isabella e dalle altre marionette “illuminate”, ma la avversò con un’azione<br />
lucida e costante ance se non sempre efficace. La Chiesa difese la sacra libertà dei<br />
fedeli, non le ragioni di una destra bifida e spuria. La vuota albagia delle classi elevate e<br />
la devastante ambizione degli emergenti soffocavano la vita della Spagna cattolica e,<br />
spesso, le si opponevano apertamente.<br />
Il ristabilimento di questa scorretta verità da parte di Vitaliano Mattioli scompagina e<br />
ridicolizza la dialettica destra-sinistra, intorno alla quale è fiorita la pia leggenda dei poveri<br />
comunisti sfruttati dalla borghesia capitalistica, oppressi dal potere retrivo, ingannati dalla<br />
chiesa preconciliare e capiti solo dai profeti Maritain, Mounier, La Pira, Dossetti.<br />
Invece dell’armonioso quadretto cattocomunista, Vitaliano Mattioli descrive due<br />
schieramenti irriducibili: l’oligarchia perenne, che tramanda la superstizione del potere dai<br />
principi assolutisti ai monarchi illuminati, dai rivoluzionari liberali ai despoti totalitari, e la<br />
Chiesa, che difende la libertà in nome di un Regno che non appartiene a questo mondo.<br />
Davanti a tale evidenza la leggenda nera sulla Chiesa reazionaria si dissolve. La guerra<br />
di Spagna appare infine come un episodio della guerra che il potere dispotico (sempre<br />
uguale, nel mutare del fondamento ideologico) conduce contro la libertà dei figli di Dio. Al<br />
termine del suo lavoro, Mattioli può concludere che l’impresa dei carnefici è fallita<br />
miseramente: in Spagna ci sono 67 diocesi, 71 seminari, 1800 giovani che si preparano al<br />
sacerdozio, mente prosperano gli ordini religiosi femminili e maschili: «Tutti coloro che si<br />
sono scontrati contro la roccia cattolica sono rimasti delusi».
G<br />
Gay<br />
Giustizia<br />
Globalizzazione<br />
Gnosticismo<br />
Gay<br />
L’allegra maschera e la torbida realtà<br />
I trombettieri politicamente corretti e aggiornati promuovono la figura del gay squisito e<br />
illuminato dall’arcobaleno della libertà di vita. In queste rappresentazioni eufemistiche il<br />
pederasta appare nella parte del maggiorenne disinibito, e puntualmente vaccinato, che<br />
in un giorno lieto scelse di assecondare la deliziosa inclinazione. Si è recato al bar delle<br />
persone brillanti e, tra un sorso di aranciata e l’altro, ha intavolato una civile<br />
conversazione con il vicino:<br />
“Una bella serata”.<br />
“Già, ottima per una passeggiata romantica”.<br />
“Veramente, quando si presentasse l’occasione adatta”.<br />
“Lei cosa intende per adatta?”<br />
“Intendo”.<br />
“Splendida intenzione, se non che io sono ancora digiuno di romanticismo”.<br />
“Anch’io”.<br />
“Allora è il momento di decidere”.<br />
“Deciso?”<br />
“Deciso”.<br />
Dissolvenza sulla passeggiata romantica. Chi osa discutere la libera espressione delle<br />
persone corretta? E chi osa negare l’efficacia spirituale dell’augusta pratica?<br />
Luchino Visconti, nel film “Ossessione”, ha dimostrato poeticamente che l’omosessualità<br />
costituisce l’orizzonte alternativo al maleficio della femmina, fomite d’egoismo e ispiratrice<br />
di delitti. Se Massimo Girotti avesse seguito il pederasta che lo invitava a viaggiare<br />
anziché fermarsi in casa di Clara Calamai (nella parte di Circe) … Così va il mondo<br />
nell’alta fantasia degli intellettuali di sinistra.<br />
E nella realtà? Le cronache nere, i trattati di criminologia e le confessione non insincere<br />
dei pederasti evocano scenari atroci, dove l’omosessualità inizia dalla violenza sui minori<br />
e finisce nell’esplosione sanguinaria.<br />
Forse i trattati di criminologia sono dettati dall’omofobia giudeocristiana e dal maschilismo<br />
in camicia bruna? Sulla maschia virtù delle camicie brune conviene non scommettere,<br />
dopo che gli storici hanno scoperto gli intimi altarini del giovane Hitler. L’omofobia<br />
giudeocristiana ultimamente è sotto mordacchia. Invece non mancano testi ideologici,<br />
dove, senza imbarazzo, si narra quello che accade oltre il pudico sipario calato da<br />
Luchino Visconti. Umberto Testori, il grande amico di Visconti, ha scritto una commedia,<br />
“In exitu”, che esibisce (con mistico compiacimento) l’oscenità terrificante e la violenza del<br />
vespasiano in cui si preparano gli amori contro natura, celebrato nella ritirata di una livida<br />
stazione. Testori omofobo? Forse è inutile tentare di sciogliere il dubbio, quando la scena<br />
finale, che mostra il cadavere del pederasta elevato - in quanto pederasta - allo splendore<br />
dei santi, parla con eloquentemente.
Se Testori lascia un fioco margine all’enigma, Pasolini omofobo è un’espressione<br />
impronunciabile. Ora nel romanzo autobiografico “Petrolio”, è descritto, con dovizia<br />
rivoltante di particolari, l’universo fetido e invivibile delle periferie degradate dalla<br />
corruzione pederastica, esercitata dagli intellettuali contro le fasce sociali indifese. In<br />
“Petrolio” (e ancor più nella versione cinematografica “Nerolio”) la pederastia si rovescia<br />
in furore contro la dignità umana. La tetra indecenza di Pasolini sguazza nella melma, ma<br />
il racconto stringe il nodo della nausea intorno alla gola. Non c’è dubbio che la realtà<br />
pederastica sia la scena da girone infernale descritta da Pasolini.<br />
Il nichilista Giuseppe Zigaina, amico ed esegeta di Pasolini, ha narrato l’indissolubile<br />
società della pederastia pasoliniana con l’istinto dell’autodistruttore. Ne “L’ano solare” e in<br />
“Storia dell’occhio”(capolavori del genere, distribuiti dall’Unità) Georges Bataille, gran<br />
maestro della pederastia iniziatica, si spinge oltre Testori ed esalta la più bestiale smania<br />
pederastica come manifestazione della felicità nichilista che soppianta il Cristianesimo.<br />
Se questi sono gli autoritratti dell’omosessualità, occorre riconoscere che il gay pride ha<br />
messo in scena una soave menzogna. Una maschera, che non corrisponde al volto<br />
osceno e violento del vizio, che tale rimane, anche se i salotti decadenti delle diverse reti<br />
televisive tentano disperatamente d’insinuare il contrario.<br />
Giustizia<br />
Il sorpasso buonista<br />
Delirio, dal latino de-lirare, indica l’uscita del pensiero dal solco che l’obbliga a darsi una<br />
misura, una “ratio”. Il delirio non è la distorsione del pensiero (propriamente detta<br />
paranoia) ma la sua sfrenata libertà, la sua corsa anarchica. Delirante, sinonimo di<br />
tracotante - ultra cogitante - è il pensatore che rifiuta di riconoscere i limiti che legano il<br />
pensare al logos.<br />
Carlo Bo, ad esempio. Sceso nella guerra periodica contro la pena di morte, il rettore<br />
urbinate non rinuncia all’opportunità di esporre un disegno per l’abolizione del male. Non<br />
il male costituito dalla legge che prevede la pena di morte. Il male. Sulla pena di morte<br />
non sarebbe difficile trovare consensi. Ma l’abolizione del male…<br />
Nel “Corriere della Sera”, il venerando interprete dell’utopia buonista, eseguito un<br />
doveroso inchino al grande filosofo del diritto Giuliano Amato, “che in un lucido intervento<br />
come sempre [sic!] ha parlato della ingiustizia della vendetta”, aggiunge un’inaudita e<br />
strabiliante novità al sottile aforisma di Amato: “Non tocca a noi giudicare”.<br />
Atterrito dalla sentenza dell’esploratore d’acqua umida, l’impertinenza (rispettosa) osa<br />
tuttavia chiedere se il comandamento evangelico, che vieta di usurpare l’autorità divina<br />
cui spetta il giudizio finale sulle persone, non sia tradotto, da Carlo Bo, nell’invito ad<br />
abolire l’autorità dello stato, cui san Paolo riconosce il diritto di giudicare e punire le<br />
violazioni della legge morale.<br />
Purtroppo Carlo Bo, pur esitando sulla soglia del sonno anarchico della ragione (“questa<br />
rivoluzione ha bisogno di molti anni, ansi di molti secoli”) non nasconde l’orizzonte<br />
immenso nel quale si muove il suo pensiero apocalittico: “spegnere dentro di noi quelle<br />
radici del male che fino ad oggi abbiamo coltivato e nutrito senza saperlo o senza volerlo<br />
sapere nella parte più segreta ed oscura del nostro cuore”.<br />
Ad una prima lettura sembra che le radici, alle quali allude Carlo Bo, siano quegli effetti<br />
del peccato originale, che la redenzione cristiana – per un decreto imperscrutabile – non<br />
ha voluto rimuovere dalla storia. In realtà il rettore urbinate, trasportato dall’entusiasmo<br />
buonista, più che l’estinzione del delitto ha in mente l’abolizione delle pene. E forse<br />
qualcosa di peggio: dietro il languore buonista non è impossibile indovinare l’agitazione di<br />
quella fumosa teologia che pone la causa del male nella contrarietà al male.
La liberazione dal male si traduce nella liberazione dal giudice? Nelle pagine del Corriere<br />
della Sera si legge questo ed altro. Ma è inutile indagare sui segreti pensieri di Carlo Bo,<br />
quando si può dire con certezza che il suo perdonismo oltrepassa i limiti della razionalità<br />
per offrire un delizioso esempio di sogno: il sorpasso della redenzione cristiana e il volo<br />
inebriante, in direzione dell’innocenza perfetta ottenuta in questo mondo. Le conseguenze<br />
del peccato originale si sciolgono nella melassa umanitaria. L’uomo diventa indefettibile.<br />
L’utopia anarchica - vietato proibire, vietato punire – alzata dalla cultura di sinistra al cielo<br />
è soavemente rivestita con i panni di un cristianesimo, che costringe il regno di Dio alla<br />
misura delle esigenze e delle fantasie umanitarie.<br />
Naturalmente il solenne Carlo Bo e gli altri utopisti del pio salotto evitano di narrare i<br />
grotteschi paradossi che seguirebbero e già seguono alla proibizione di punire i colpevoli<br />
quando permane la colpa. Ognuno può facilmente vedere quel che accade quando la<br />
passione privata pensa di sostituirsi alla giustizia vera e propria, ad esempio nelle<br />
discoteche dove, talora, un apprezzamento pesante alla fidanzata vale un colpo di<br />
coltello. Dove la legge o la buona educazione non arrivano irrompe la vendetta. Purtroppo<br />
la corsa delirante non può fermarsi ai particolari. Se il comandamento “non giudicare”<br />
significa che è vietato vietare le molestie sessuali nella discoteca, deve per forza<br />
obbligare a non punire l’autore della vendetta. La bontà che non può cancellare la colpa<br />
abolisce la pena. I carabinieri e i giudici sono largamente “superati” dalla bontà.<br />
Il principio buonistico per tale via “logica”, ha avuto licenza di turbare e avvelenare la<br />
realtà. Fuori di chiacchiera, il buonismo si rovescia nell’anarchia in carne e ossa, quella<br />
che suggerisce la filosofia della cronaca nera: libera molestia & libero coltello. E libera<br />
psichiatria: se un giudice tenta di applicare la legge insorgono cento grilli parlanti in nome<br />
di Freud, Jung, Hillman e don Ciotti.<br />
Non si può mettere in discussione la polizia e il tribunale senza tollerare la violenza della<br />
molestia e la reazione violenta alla molestia. L’esperienza storica ha bocciato l’utopia, ma<br />
il corso di recupero storico, promosso dai pensatori anacronistici e datati (come il patetico<br />
Carlo Bo) trova scolari nel salotto onirico e nelle fumerie “sociali”. Purtroppo un vasto<br />
ascolto: la madre dei buonisti è spaventosamente fertile.<br />
Globalizzazione<br />
Compimento o antitesi all’universalismo?<br />
La politica per la “globalizzazione” obbedisce a quella “legge di umana solidarietà e carità,<br />
che viene dettata e imposta sia dalla comunanza di origine e dalla eguaglianza della<br />
natura razionale in tutti gli uomini, a qualsiasi popolo appartengano, sia dal sacrificio di<br />
redenzione offerto da Gesù Cristo sull’ara della Croce” (Pio XII, Enciclica “Summi<br />
Pontificatus”, 20 ottobre 1939) o applica (più o meno avvertitamente) un principio diverso<br />
se non del tutto contrario?<br />
La dottrina cattolica, che costituisce il fondamento della cultura occidentale, “ci fa<br />
contemplare il genere umano nell’unità di una comune origine in Dio” (ibidem), e perciò<br />
non avrebbe niente da obiettare ad un progetto seriamente inteso a promuovere lo<br />
sviluppo di tutti i popoli della terra, incrementando gli scambi commerciali e riconoscendo<br />
la libertà di cercare un’onesta occupazione, nei paesi che dichiarano un’effettiva<br />
necessità di mano d’opera.<br />
Ove si prefiggessero un tale disegno, i promotori della globalizzazione sarebbero in<br />
armonia con il principio cristiano che afferma l’universale destinazione dei beni creati,<br />
l’interdipendenza delle economie e il conseguente obbligo della solidarietà internazionale.<br />
Ad uno sguardo obliquo, l’intenzione dichiarata dagli autori del progetto che contempla il<br />
villaggio globale sembra compatibile con gli orientamenti della religione cattolica. E’
l’opinione diffusa da Massimo Cacciari, autore di “Arcipelogo”, un testo che, dell’ideologia<br />
“globalizzante”, condivide l’astrazione mondialista e la deriva antidentitaria. Nelle pieghe<br />
fumose del pensiero cacciariano, si nasconde la tendenza ad eliminare il cardine del<br />
pensiero occidentale, il principio d’identità e non contraddizione, e ad abolire ciò che ne<br />
discende, la considerazione della persona umana unica e irrepetibile.<br />
D’altra parte la multiculturalità, il mito di fondazione del villaggio globale, comporta il rifiuto<br />
dell’assimilazione, erroneamente confusa con la negazione delle identità etniche, mentre<br />
le esalta, ordinandole al valore universale delle culture intitolate all’umanesimo<br />
cristocentrico. Di conseguenza si deve riconoscere che il pregiudizio multiculturale<br />
allontana dall’umanesimo e perciò nega (e non afferma) i princìpi dell’universalità.<br />
L’unità e a maggior titolo la solidarietà del genere umano sono concepibili soltanto a<br />
partire da quel principio unificante, che il multiculturalismo contraddice per mezzo<br />
dell’assurdo mitologia egalitaria, che disconosce la gerarchia delle forme civili e ne vieta.<br />
l’integrazione.<br />
Paradossalmente l’interdetto all’integrazione va incontro al principio cardinale del<br />
razzismo, “il concetto di doverosità della separazione delle varie razze umane, che vede<br />
la sua base teorica in primo luogo in un fondamento metafisico consistente nel<br />
riconoscimento dell’irriducibilità ad un modello comune dei diversi Sistemi di Valori, che<br />
esse hanno espresso e da cui sono state a loro volta conformate” (Gianantonio Valli, “La<br />
razza nel nazionalsocialismo”, nella rivista “L’uomo libero”, n. 50, novembre 2000).<br />
Ad uno sguardo realistico è evidente che la solidarietà fra i popoli – l’autentico<br />
universalismo - ha come base storica le realtà nazionali. Per questo l’universalismo<br />
cattolico “non può pensare né pensa d’intaccare o disistimare le caratteristiche particolari,<br />
che ciascuno popolo con gelosa pietà e comprensibile fierezza custodisce e considera<br />
qual prezioso patrimonio”(“Summi Pontificatus”, cit.).<br />
Questo significa che il sentimento di appartenenza alla nazione non ostacola l’adesione<br />
alla comunità umana senza confini. Tanto più che il carattere delle nazioni occidentali,<br />
che sono al centro del progetto globale, è fortemente segnato dallo spirito civilizzatore<br />
romano e dalla vocazione missionaria cristiana.<br />
La Chiesa pertanto insegna “che nell’esercizio della carità esiste un ordine stabilito da<br />
Dio, secondo il quale bisogna amare più intensamente e beneficare di preferenza coloro<br />
che sono a noi uniti con vincoli speciali”(“Summi Pontificatus”, cit.).<br />
Gli ideologi della globalizzazione negano questo ordine, e prima di rivolgersi al villaggio<br />
del futuro, postulano l’alterazione la frantumazione delle nazioni, realtà del presente. Ma<br />
in tal modo la vocazione universale deraglia nella promozione del disordine babelico in<br />
quelle nazioni che vorrebbe condurre alla cosmopoli.<br />
Nel villaggio globale, infatti, la nazione è concepita quale comunità di comunità,<br />
meccanica giustapposizione di gruppi culturali eterogenei, livellati dall’astrazione giuridica<br />
ma non integrati e perciò reciprocamente estranei (e potenzialmente disintegrati e<br />
conflittuali).<br />
Privo di una base locale esistente, il villaggio globale si avvicina alla forma naturalistica<br />
del serraglio di razze animali, delle quali si riconosce la diversità e la reciproca estraneità.<br />
Si conferma dunque la fragilità dell’argine costituito dell’ideologia globale di fronte al<br />
riflusso della suggestione razzista. Il razzismo, che i banditori del villaggio globale<br />
proclamano di voler cacciare dalla porta della realtà quotidiana, rientra dalla finestra<br />
dell’utopia.<br />
L’esame realistico dell’ideologia globale svela la natura nascosta del razzismo storico –<br />
quello nazista, ad esempio – che consiste nella categorica esclusione dell’esistenza di<br />
valori razionalmente identificabili, e perciò atti ad integrare le diverse nazioni.<br />
La conseguenza di tale disconoscimento è la dichiarazione che “esistono solo gruppi<br />
indifferenti o nemici” (Gianantonio Valli, cit.) . Questo fatto è evidente quando si
ammenta che, nella prospettiva razzista, l’unica convivenza possibile tra etnie diverse<br />
comporta lo sviluppo separato e la “cordiale ghettizzazione” reciproca. Infatti i razzisti<br />
coerenti disprezzano e odiano implacabilmente la tendenza cattolica ad assimilare il<br />
diverso. Il razzismo consiste ultimamente nel riconoscere e “rispettare” l’estraneità e<br />
l’irriducibilità delle razze umane.<br />
Il mito di fondazione della società razzista è il poligenismo. Per gli intellettuali che ne<br />
rivendicano l’eredità, l’essenza dell’ideologia razzista si trova dunque nell’avversione<br />
radicale al monoteismo biblico, avversione che si rovescia inevitabilmente in un<br />
“antiuniversalismo radicale” (Gianantonio Valli, cit.). Il poligenismo esclude, per partito<br />
preso, lo sforzo d’integrazione dei popoli e condanna qualunque impegno missionario.<br />
Per combattere il razzismo è dunque necessario dissipare le suggestioni globaliste (o<br />
mondialiste) che, a mal grado delle dichiarazioni d’intenti, sono perfettamente compatibili<br />
con l’ideologia degli sviluppi separati.<br />
Gnosticismo<br />
L’allucinazione primordiale<br />
In un’intervista concessa al “Tempo”, il 10 ottobre del 1984, Mircea Eliade, cattedratico di<br />
storia delle religioni e mistagogo infatuato dal nudismo sessantottino, rivelò che la sua<br />
vocazione neoreligiosa era maturata mentre studiava la storia dei traffici che, che, nel<br />
Quattrocento, si svolgeva, per la mediazione di Bisanzio, tra l’Occidente umanistico e<br />
l’Oriente magico.<br />
“Il mio interesse per l’India, confessava senza alcun imbarazzo, assomiglia a quella di<br />
Pico della Mirandola per le grandi civiltà dell’Asia. Come gli umanisti obbedivo<br />
all’esigenza di ritrovare nelle espressioni religiose diverse dalla nostra l’universalità del<br />
sacro. L’impatto con il Rinascimento, da Marsilio Ficno a Pico della Mirandola, mi spinse<br />
al dal neoplatonismo a Ermete Trismegisto e di là, ovviamente, verso l’Oriente”.<br />
Lo sbalorditivo proclama di Eliade, che conferma involontariamente le acute intuizioni del<br />
cardinale Giuseppe Siri e di Gianni Baget Bozzo sull’influsso della gnosi spuria nel<br />
pensiero moderno, ha guidato la ricerca di Ennio Innocenti, autore di un denso ed<br />
esauriente saggio sulle fonti superstiziose (e per niente laiche) del rinascimento (“La<br />
gnosi europea nel Cinquecento”).<br />
Usando il termine gnosi spuria, l’autore suggerisce di cercare nel sottosuolo delle religioni<br />
orientali ed ellenistiche, la provenienza dell’apostasia moderna. La riflessione, pertanto, si<br />
rivolge i miti arcaici, che contemplano la derivazione dell’essere dall’indeterminato.<br />
Gli stati d’animo che turbarono gli intellettuali del Rinascimento, specchiavano, infatti,<br />
quelli diffusi dalle chiese gnostiche: avversione al mondo creato, rifiuto di Dio creatore e<br />
giudice, decisione di abbassare la salvezza cristiana alle categorie del nichilismo, vale a<br />
dire trasgressione dissolutoria e uscita dall’essere.<br />
Gli gnostici, per tradurre in sistema le loro suggestioni, inventarono un secondo dio,<br />
opposto e superiore al Dio di Abramo e di Mosé, un secondo salvatore, in conflitto con il<br />
Verbo incarnato, e, infine, raccomandarono l’imitazione di Caino e dei sodomiti, quale via<br />
mistica all’unione con l’indeterminato.<br />
Sotto il velo del platonismo rinascimentale, eruppe lo spurgo del paganesimo. Pertanto la<br />
biografia di Giordano Bruno, apostolo di una magia erotica intesa alla dissipazione della<br />
coscienza personale nell’anima mundi, costituisce lo specchio veritiero del Rinascimento.<br />
Le scrupolose ricerche di Ennio Innocenti legittimano l’interpretazione che sottolinea<br />
l’attrazione esercitata dagli dei falsi e bugiardi sui filosofi della via modernorum. Si<br />
dimostra dunque che la chimera dell’essere oltre l’Ipsum Esse e del sacro oltre i confini<br />
della santità cristiana, non rappresenta altro che la fantasia intorno allo “zero metafisico”.
Lo schema della scolastica storicistica, che poneva la filosofia rinascimentale all’origine<br />
della rivoluzione scientifica e della modernizzazione è smentito dall’esame dei testi.<br />
Marsilio, Pico, Bruno e i loro discepoli sparsi in tutta la Cristianità, appaiono nella veste di<br />
teorici dell’involuzione e marciatori sulla via del ritorno alle antichità prelogiche. Al loro<br />
seguito, grottesche imposture e macchine truffaldine cattureranno interminabili<br />
generazioni di sconvolti e devastatori scalmanati: soffiatori di carbone, rosacroce,<br />
illuminati di Baviera, frankisti, massoni di varia buffoneria, teosofi in calzamaglia,<br />
antroposofi senza ritegni, superuomini aperti a tutte le esperienze, shivati e satanisti.<br />
Si pone pertanto il problema di stabilire, contro l’opinione della fatiscente scuola<br />
progressista, un’antitesi fra le benefiche conquiste della scienza e le fughe filosofiche nei<br />
territori selvaggi della magia. Una distinzione, che è peraltro già inscritta nelle<br />
metamorfosi subite dalle avanguardie del tardo Novecento.<br />
Ennio Innocente, forte della provata attitudine a tradurre la sua monumentale erudizione<br />
nel linguaggio della quotidianità, ha investigato le verità proibite che occultano le<br />
contraddizioni del mondo moderno: l’impossibilità di fondare la teoria del progresso<br />
scientifico sul rifiuto del Cristianesimo e la doppiezza del pensiero che si avventura al<br />
seguito dell’ossimoro progresso ateo.<br />
Il risultato di questa analisi è la dimostrazione della inclinazione regressiva del pensiero<br />
rinascimentale: “Bruno fa retrocedere l’opera scientifica di Copernico verso uno stadio<br />
prescientifico, verso l’ermetismo, e interpreta la teoria copernicana come un geroglifico di<br />
misteri”.<br />
Tolta la dottrina cristiana non è pensabile un’idea del tempo diversa dalla rivoluzione<br />
panteistica, che l’illusione primitiva deduce dalla perpetua alternanza delle stagioni. La<br />
parola rivoluzione deriva, appunto, dal verbo latino revolvere, che indicava la ripetizione, il<br />
cadere di qualunque esistenza nel vuoto dell’inizio.<br />
E’ evidente che i lumi delle rivoluzioni moderne sono accesi da un misticismo, che<br />
contempla la pendenza della storia verso l’inizio, verso l’età delle mitiche meraviglie. La<br />
via modernorum non è indirizzata al bene che la ragionevole speranza insegue nel futuro<br />
ma alla felicità che la fantasia poietica degli antichi poneva nella barbarie.<br />
Il successo delle rivoluzioni moderne dipende dalla pretesa d’innestare la mitologia<br />
arcaica sopra la speranza generata dalla novità cristiana ma contro la fede che la<br />
giustifica. L’innaturalità dell’apostasia iniziata dalla superstizione rinascimentale oggi si<br />
rivela nella torbida fortuna delle alternative al Redentore: gli sciamani, i guru shivaiti, i<br />
massaggiatori, i venditori di numeri vincenti al lotto, gli eco-erboristi e i narcotrafficanti,<br />
che imperversano nelle librerie magiche, nei salotti di varia trasgressione e negli<br />
spettacoli di sicuro intontimento.<br />
Il mondo moderno cade nel vuoto, cui lo attrae la negazione del Creatore e del<br />
fondamento. L’orizzonte primordiale è una figura del nichilismo. E’ l’autentica aspirazione<br />
di Eliade e di tutti i neognostici: indirizzare la storia verso l’Oriente del nirvana, del vuoto<br />
mentale, del vivere per la morte.<br />
Finalmente l’imposizione del duo Nietzsche-Guénon da parte dei poteri forti, attesta che<br />
la rivoluzione moderna mette capo al naufragio. La leggenda aurea delle neoreligioni<br />
contempla, da un lato, Nietzsche inteso al trasporto della vanità universale dall’Oriente di<br />
Schopenhauer all’Occidente di Hölderlin, dall’altro Guénon, che compie il viaggio<br />
contrario, rivendicando la lontana origine taoista di tutti gli oscurantismi della ragione<br />
occidentale, dai misteri di Iside al culto di Dioniso, fino alle patacche ermetiche di<br />
Giordano Bruno e alle farneticazioni templari delle massonerie.<br />
Questi viaggi gnostici procedono in parallelo alle esplorazioni del vuoto mentale da parte<br />
dei poeti dell’avanguardia drogastica e pederastica, Rimbaud, Kerouac, Pasolini, Testori,<br />
Chatwin, Jünger. I supremi esiti della rinascita degli dei pagani.
H<br />
Hippy<br />
Una generazione di naufraghi<br />
Il Sessantotto. Deposti il martello e la falce, emblemi del lavoro, i giovani contestatori<br />
impugnarono preservativo e siringa, arnesi dell'ebbrezza illuminata da Aldous Huxley e<br />
André Breton. I libertari scelti volarono verso i palazzi, gli altri planarono sui ghetti.<br />
L’avanguardia ascese agli uffici delle procure, ai ministeri, alla direzione delle aziende<br />
pubbliche, alle cattedre, alle case editrici, alle segreterie particolari. La retroguardia fu<br />
ricoverata nei centri sociali, tra gli utili furori del popolo di Seattle.<br />
Largo ai tutori del disordine conquistato nel joli mai. Luminose protesi sostituiscono i denti<br />
anneriti dall’erba, il resto delle gloriose criniere si umilia in riporti tortuosi. I jeans<br />
dell’uniforme leggendaria adattandosi a sagome adipose, ostentano le firme dei sarti di<br />
regime. L’elegante cocaina ha sostituito il giovanile spinello.<br />
La cometa del giovanilismo è irretita dal potere. Adesso la scena storica è capovolta:<br />
anchilosati nella figura del conformismo a una dimensione i reduci del Sessantotto<br />
frequentano l’accigliata oligarchia senza timore del ridicolo. Il fior fiore della rivolta<br />
sfolgora da poltrone in perfetto stile brezneviano.<br />
E gli altri, il popolo dei compagni senza ali per volare al palazzo? Cosa ne è della<br />
moltitudine dei marciatori tumultuosi, che non ha trovato alloggio nei quartieri alti della<br />
sinistra?<br />
Michel Houllebecq, uomo di scienza e scrittore non allineato, rompe il silenzio sui<br />
naufraghi e racconta la storia drammatica degli hippy, che sono passati dalle processioni<br />
in festa per il mondo nuovo alle code davanti ai dispensari psichiatrici, ai distributori di<br />
metadone, alle cliniche dermatologiche.<br />
Il romanzo “Le particelle elementari” dà voce a quella generazione devastata dalla<br />
fantasia, che oggi si chiede “come abbiano fatto le cose a rovinarsi fino a questo punto?”.<br />
Quale causa si trova all’origine di un tale disastro? Tra le righe della vicenda si legge una<br />
requisitoria implacabile contro la mistica neopagana del sesso libero e polimorfo e della<br />
mente dilatata. L’accusa è specialmente rivolta al ciarpame nazistoide elucubrato nel<br />
1932 da Aldous Huxley, il grande maestro dell’impostura fantascientifica.<br />
In effetti i sogni demenziali e perversi effusi nel “Mondo nuovo” huxleiano, hanno<br />
spianato, davanti alle irrequietezze dei giovani, la strada del delirio orgiastico. Huxley,<br />
impastando sapientemente scienza e mito, biologia e alchimia, desideri legittimi e<br />
allucinazioni erotiche, cascami positivistici e spurghi nietzscheani, ha allestito una merce<br />
illusoria, esemplarmente adatta al mercato giovanile: l’idea di produrre l’uomo nuovo<br />
separando l’atto sessuale dalla procreazione. Con fatuità criminosa, Huxley annunciava<br />
l’avvento di un’età felice, “nella quale la riproduzione della specie umana avverrà in<br />
laboratorio in condizioni di sicurezza e di affidabilità genetici totali, con conseguente<br />
collasso del concetto di paternità e, grazie ai progressi farmaceutici, alla eliminazione<br />
delle distinzioni tra età della vita”. Un paradiso avvelenato dalla prospettiva della morte:<br />
“poi, quando non è più possibile lottare contro l’invecchiamento, ci si congeda tramite<br />
eutanasia liberamente consentita”- In questo crocevia di incubi e false speranze insorge<br />
una ferocia fredda. Houllebecq non ha difficoltà a cavare dalla cronaca nera l’immagine<br />
del triangolo costituito dal progresso della libertà sessuale, dalle conquiste della scienza<br />
senza radici umanistiche e dall’egoismo ferino. “In questo senso”, scrive senza esitare, “i<br />
serial killer degli anni novanta sono i figli naturali degli hippy degli anni sessanta”.<br />
A malgrado della sua crudezza e delle sue concessioni all’etnicismo, l’opera di<br />
Houllebecq può essere accolta come un segno della vitalità dell’Occidente. La cultura<br />
cristiana, sopravvive al pensiero debole, che ha intossicato l’Europa con le farneticazioni
edonistiche, i miti intorno all’orgone cosmico, l’astrologia, l’ermetismo egizio, lo shivaismo,<br />
e la meditazione sui chakra.<br />
Nei giorni ridicoli della sinistra al potere, il viaggio attraverso le rovine del Sessantotto<br />
squarcia il sipario che nasconde l’oscenità della rivoluzione.
I<br />
Illuminismo<br />
Immigrazione<br />
Islam<br />
Illuminismo<br />
Dai lumi al lumicino<br />
La ricerca scientifica confuta i solenni pregiudizi e gli assiomi impellenti per mezzo dei<br />
quali l’ideologia scientifica intendeva isolare la religione nel recinto lukacsiano<br />
dell’irrazionale. Ad una ad una le “voci” emesse dalle agenzie volterriane si riversano in<br />
uno strepitoso e comico <strong>dizionario</strong> dei pesci d’aprile.<br />
Di recente le agenzie giornalistiche hanno battuto due notizie provenienti dal mondo<br />
scientifico, che aprono nuove prospettive agli storici della religione e a tutti i ricercatori<br />
della verità: la dimostrazione rigorosa dell’unità biologica del genere umano e la<br />
catalogazione delle similitudini tra la cosmogonia dei Sumeri e il Genesi.<br />
La prima notizia riguarda le ricerche dei biologi, che hanno dimostrato, grazie ad una<br />
sistematica ricerca sui Dna delle varie popolazioni del globo, la comune origine di tutti gli<br />
uomini.<br />
La stampa d’informazione, opportunamente, ha sottolineato l’implicita accusa, che tale<br />
scoperta rivolge contro le stupide e feroci mitologie intorno alle differenze di natura fra le<br />
“razze” umane. La vera scienza afferma categoricamente che non ha senso alcuno<br />
parlare di razze superiori e inferiori. L’umanità costituisce un’unica razza. D’ora in avanti il<br />
razzismo non avrà più quell’alone di pseudo scienza che la “certezza” poligenista gli<br />
conferiva.<br />
Purtroppo nessuno ha finora osservato che la dimostrazione dell’unità della razza umana<br />
ferisce a morte anche un vecchio pregiudizio razionalista, cioè la teoria secondo la quale<br />
era impossibile la derivazione dell’umanità dal solo Adamo, come narra la Sacra Scrittura.<br />
Non si può dimenticare che l’ipotesi poligenista ha incrementato le contrapposte forme<br />
delle barbarie ideologica, il razzismo e il classismo, che hanno fondamento nella<br />
decisione di separare l’uomo dall’uomo. Confutato il poligenismo, l’argomento che<br />
dichiarava inammissibile l’origine nell’unico Adamo e scientificamente inattendibile la<br />
Bibbia cade nella fosse delle leggende infantili.<br />
Nel campo dei credenti, nessuno dirà che adesso la Bibbia è “dimostrata”, ma nell’altro<br />
campo nessuno potrà dire seriamente che il Genesi è un mito. L’orizzonte della critica<br />
biblica cambia colore, a mal grado dell’inavvertenza clericale. La ricerca sul Dna svela,<br />
infatti, la parentela non lontana tra razzismo e razionalismo ateo (o come di diceva nel<br />
XVIII secolo “deista”). Una parentela che, tra l’altro, dà ragione delle bizzarre escursioni di<br />
Voltaire nella foresta antisemita ovvero della sorprendente simpatie nazista per Voltaire.<br />
Si fa incerto il confine che separava gli orrori della destra razzista dagli errori della sinistra<br />
illuminata. Anche questo è un segno del <strong>postmoderno</strong> incipiente.<br />
La seconda scoperta riguarda la documentata e attendibile tesi di un autorevole studioso<br />
di assirologia, il professor Giovanni Pettinato, accademico dei Lincei, in base alla quale il<br />
racconto biblico della creazione corrisponde alle teorie dei sumeri, che cominciarono ad<br />
apparire sulle tavolette d’argilla intorno al 2400 avanti Cristo. Questa scoperta può<br />
dimostrare (come afferma il professor Pettinato) che gli scribi giudei, che misero mano<br />
alla stesura dell’Antico Testamento, lo copiarono con molta probabilità dai documenti dei
sumeri, ma può anche essere usata, e con piena legittimità, per far cadere un altro<br />
pregiudizio razionalista : quello che dichiarava impossibile l’esistenza di un monoteismo<br />
primitivo.<br />
A scanso di equivoci, occorre rammentare che la teoria del monoteismo primitivo non ha<br />
nulla in comune con le leggende pseudo ecumeniche sulla tradizione primordiale e<br />
sull’unità trascendente delle religioni, leggende sincretistiche diffuse dai circoli del delirio<br />
iniziatico e ripresa dal sedicente vescovo della Chiesa gnostica, l’avventuroso imbroglione<br />
René Guénon.<br />
La teoria che riguarda il monoteismo primordiale indica invece un fatto accertato con<br />
metodo rigoroso da uno studioso cattolico di etnologia, il padre Guglielmo Schmidt s.v.d.,<br />
che negli anni Trenta dirigeva il pontificio museo etnologico lateranense. In un saggio di<br />
storia comparata delle religioni, pubblicato dalla Morcelliana nel 1934, il padre Schmidt<br />
scriveva infatti: “presso i popoli etnologicamente più antichi, i Pigmei, i Fueghini, gli<br />
Australiani sudorientali, i Californiani nordcentrali, gli Algonchini, ... il culto dell’Essere<br />
supremo raggiunge le vette più alte”.<br />
All’origine della civiltà umana non si trova il politeismo ma una forma elevata (e<br />
universalmente diffusa) di monoteismo.<br />
Il campo dell’etnologia è lontanissimo da quello della biologia, ma i risultati convergono<br />
nell’indicare l’unità fondamentale del genere umano.<br />
Il padre Schmidt, che interpretava i racconti dei primitivi, era incline a credere che il<br />
monoteismo delle origini fosse l’effetto di una rivelazione divina e non di una ricerca<br />
condotta con il solo ausilio del lume razionale : “non c’è mai alcun indizio, scriveva nel<br />
saggio citato, che la loro [dei popoli etnologicamente più antichi] religione sia il risultato<br />
delle loro ricerche o esigenze, ma invece ci consta sempre che essi fanno risalire la<br />
religione all’Essere Supremo, all’Essere supremo come tale, il quale sia in via immediata<br />
sia col tramite del capostipite da lui incaricato, avrebbe comunicato e inculcato agli uomini<br />
le dottrine di fede, i precetti morali e le forme di culto”.<br />
Il problema non è trascurabile, in quanto potrebbe riaprire la porta all’errore del<br />
tradizionalismo (Gerdil, Bonnetty, De Bonald), che disconosceva l’efficacia della ragione<br />
umana. Ma l’indecisione sull’origine (razionale o rivelata) del monoteismo primitivo passa<br />
in seconda linea davanti al ricordo della violenta insurrezione di tutte le scolastiche di<br />
derivazione illuministica e positivistica contro il padre Schmidt e della sua teoria. L’opera<br />
di padre Schmidt, infatti, fu sepolta nel dimenticatoio.<br />
Ecco uno fra i più singolari paradossi del Novecento: la maggioranza della comunità<br />
scientifica internazionale dichiarava di non condividere le teorie razziste, e tuttavia<br />
incrementava lo sragionamento germanico negando stupidamente il fondamentale<br />
principio del cattolicesimo: l’unità del genere umano in Adamo e nel monoteismo<br />
primitivo.<br />
E’ dunque facile intuire la ragione dell’accostamento, che ad uno sguardo superficiale può<br />
apparire bizzarro, delle ricerche sul Dna alle ricerche sulle tavolette cuneiformi dei Sumeri<br />
: nei due campi di ricerca, se il ricercatore è scientificamente corretto, se non è<br />
appiccicato ai rottami del Settecento, si trovano testimonianze dell’unità del genere<br />
umano. Lo scientismo moderno è messo fuori gioco dall’attualità scientifica.<br />
Immigrazione<br />
A tutta forza contro il Cattolicesimo<br />
Ad ognuno la sua parte. Contro il buon senso del cardinale Biffi, che ha denunciato la<br />
violazione dei diritti civili connessa con la politica per l’immigrazione selvaggia, il focoso e<br />
inconsapevole Pier Luigi Castagnetti ha declinato il verbo della sinistra integrale, urlante
di sdegno punitivo perpetuo contro il quieto vivere, la borghesia pantofolaia, gli italiani<br />
incivili ecc.<br />
Immagine di repertorio, quella di Castagnetti, che recita secondo il vecchio copione dello<br />
sdegno dossettiano. Lo sdegno ecumenico vorrebbe che la vita comoda (colpevolmente<br />
comoda) degli italiani gradisse la presenza purificatoria dei “poveri” delinquenti stranieri.<br />
In base al principio che la terra è di tutti, dunque ognuno ha diritto di applicare la propria<br />
tradizione: se la tradizione è furtiva ha diritto di rubare, se la sua tradizione è libertina ha<br />
diritto di impiantare postriboli a cielo aperto. I nome di questo principio una madre<br />
badessa ha giustificato l’adattamento delle celle conventuali ad asilo per prostitute.<br />
Ma lo sdegno, ormai, è dalla parte opposta, dove si trova il disagio degli italiani vittime<br />
della malavita d’importazione.<br />
Lo ha compreso Paolo Flores D’Arcais, che racconta i sudori freddi insorgenti nel salotto<br />
buono, dove l’intellettualismo libertino contempla la prossimità del ribaltone. Flores<br />
d’Arcais incarna felicemente la figura sfuggente del libertario imparruccato e severo, che<br />
monta la guardia alla ghigliottina. Ma non è stupido come le badesse abbaianti al vento<br />
sfavorevole. Al contrario: si rende conto che le parole di Biffi, esprimono il sentire comune<br />
dunque che sarebbe temerario (e suicidario) attaccare frontalmente. Infatti (nella<br />
Repubblica del 15 settembre 2000) Flores D’Arcais prende le distanze dai furori del<br />
politically correct, e riconosce la fondatezza del discorso del cardinal Biffi: “Non si<br />
scampa: se consideriamo condizione irrinunciabile di civiltà il riconoscimento dell’eguale<br />
dignità per ogni individuo, allora ogni costume, norma e tradizione che ferisca quella<br />
eguale dignità – non importa se in nome della fede o della razza o di una qualsivoglia<br />
identità – è anticivile”.<br />
Con questa concessione alla ragionevolezza, Flors D’Arcais ritiene d’aver neutralizzato il<br />
cardinale Biffi: “I diritti civili non sono infatti il portato della religione cristiana (e meno che<br />
mai cattolica): sono eventualmente il portato del cristianesimo secolarizzato. L’identità<br />
dell’Occidente ha nome scienza + più eresia, dove in realtà l’eresia avrebbe il primo<br />
posto”. In altre parole: il cardinale Biffi ha ragione quando afferma la necessità di vigilare<br />
sull’immigrazione clandestina, ha torto marcio quando parla in nome dell’identità cattolica.<br />
Castagnetti e lo sparuto manipolo dei cattocomunisti è spiazzato proprio dai compagni di<br />
strada, che abbandonano il pesante e impopolare fardello della dottrina. Ma il<br />
ragionamento del cardinal Biffi non è neppure sfiorato dall’obiezione anticattolica di Flores<br />
D’Arcais. Infatti il concetto di uguale dignità delle persone entra nella cultura occidentale<br />
solo quando san Paolo, in obbedienza al Vangelo di Cristo, abolisce la differenza tra<br />
giudeo e gentile.<br />
Ma c’è di più: prima del Cristianesimo il termine persona indicava la maschera illusoria,<br />
che si sovrapponeva ai fenomeni emergenti (per una breve ora) dal fluire fatale e<br />
monotono dell’Uno.<br />
René Guénon, un autore nichilista, che gode della stima venerante del salotto frequentato<br />
assiduamente da Flores D’Arcais, rivendicava alle culture “tradizionali” (che, per lui, erano<br />
solo le culture precristiane) il merito di aver ignorato il concetto di persona. Lucidamente<br />
Guénon affermava che tutte le filosofie nate nei laboratori illuministici e massonici erano<br />
riassunte nel progetto esoterico, inteso a dissolvere la coscienza personale. L’esito<br />
dell’eresia scientista, in Leopardi come in Guénon. consiste nell’iscrizione dell’uomo<br />
nell’infinita vanità del tutto. Si tratta della disperata malinconia pagana, grondante anche<br />
dalle uggiose pagine di “Micromega”.<br />
Guénon, poi, giudicava questo progetto compatibile con la fede islamica, alla quale si era<br />
convertito. Qui risiede la differenza che Flors D’Arcais tenta di occultare: il Cristianesimo<br />
afferma il valore della persona umana (dunque il suo diritto alla dignità) mentre l’Islam (ed<br />
è questo che afferma il cardinale Biffi) nega e la persona (sprofondata nella collettività<br />
fedele) e la dignità (oltraggiata sistematicamente dalla pratica).
Le tre tavolette (Cristianesimo, Islam, Occidente eretical-scientista) che il prestidigitatore<br />
Flores D’Arcais muove davanti agli occhi dei suoi lettori, sono in realtà solo le due figure<br />
della dialettica storica: il Cristianesimo e la sua negazione, la persona e la sua negazione,<br />
la dignità umana e la sua negazione.<br />
Islam<br />
a. L’Occidente tra Cristianità e Islam.<br />
L’Occidente del mondo contemporaneo ha inizio quando la Cristianità, nell’inseguimento<br />
della secolarizzazione abbatte le difese immunitarie contro la statolatria. La<br />
trasformazione della Cristianità secondo i canoni dell’occidentalismo fissati da Michele<br />
Federico Sciacca ebbe, infatti, principio dalla diffusione delle dottrine anticattoliche, che<br />
promuovevano la sacralizzazione della politica e, in ultima analisi, l’unione dei due poteri<br />
nelle mani del sovrano temporale. Questo abbassamento del “sacro” è stato teorizzato<br />
lucidamente da Marsilio da Padova e Tommaso Hobbes e contrastato disperatamente dai<br />
pensatori controriformisti (Bellarmino, De Mariana e Vico).<br />
La corruzione dell’Occidente non ha origine dalla laicizzazione della politica, come<br />
pretende certa scolastica reazionaria, ma, al contrario, dall’indebita attribuzione alla<br />
politica dell’autorità spirituale. E’ pertanto lecito affermare che l’essenza dell’Occidente<br />
postcristiano si trova nelle parole oscure della mistica, che ha istigato i teorici<br />
dell’assolutismo a imitare le antiche politologie ghibelline. L’occidentalismo è avvelenato<br />
da un paradossale eccesso di sacro e non dalla laicità.<br />
Ora è un fatto che gli ultimi banditori dell’ideologia moderna fanno riferimento al Levithan<br />
di Tommaso Hobbes, un’opera capitale, dove la tendenza al regresso, ispirata dal culto di<br />
Francesco Bacone per la sapientia veterum, si traduce correttamente nella proclamazione<br />
della translatio del potere spirituale dal pontefice cattolico al sovrano dell’apostasia<br />
anglicana.<br />
Non per niente Hobbes segna l’estremo confine della modernità: i pensieri delle<br />
avanguardie reazionarie, dopo aver attraversato i languori e le nostalgie del premoderno<br />
(si pensi agli atti degli hobbesiani di destra, ad esempio Carl Schmitt e Julius Evola)<br />
hanno preso definitivo alloggio nei sacri furori del nichilismo professato dalla sinistra<br />
postmoderna (si pensi agli esiti rovinosi delle interpretazioni schimittiane di Jacob Taubes<br />
e Roberto Esposito).<br />
La deviazione occidentale è perciò visibile solo da spettatori ai quali sia chiaro che la<br />
Cristianità non rappresentava il Regno di Dio in terra, ma un progresso storico<br />
naturalmente laico, ottenuto dai cristiani grazie al superamento della concezione sacrale<br />
dell’impero. Cristianità infatti significa primato dello spirituale e perciò riduzione del<br />
“politico” allo stato laicale, che gli compete.<br />
Ora il paradosso nel quale s’imbatte qualunque seria riflessione sulla crisi del “mondo<br />
moderno”, consiste nel fatto che alcune correnti della cultura occidentale hanno<br />
conservato la forma umanistica della Cristianità, talvolta separandola dalla sua fonte<br />
religiosa, talvolta riconoscendone apertamente l’origine. Queste tendenze non sono<br />
riconducibili al rovinoso sincretismo di Maritain e dei democristiani, sempre in bilico tra<br />
“umanesimo integrale” e “nuova cristianità”. Si tratta piuttosto di concetti laici, per mezzo<br />
dei quali il realismo politico ha messo al servizio di valori laici condivisi una tradizione<br />
politica che ha inizio dal Cristianesimo. Qui il pensiero reazionario incontra un’invincibile<br />
oscurità: la forma laica della politica occidentale, infatti, è cristiana, anche se i suoi<br />
contenuti possono non esserlo.<br />
Come aveva visto Augusto Del Noce, la cultura dell’Occidente contemporaneo può<br />
rovesciarsi nelle forme dell’irreligione mistica e, per quella via, approdare ad un
totalitarismo della dissoluzione. I proclami abortisti e antiproibizionisti per la droga e<br />
l’omosessualità, lanciati dalle agenzie della cultura di morte e dai poteri forti, non lasciano<br />
dubbi sulle pressioni esercitate per “ultimare” la modernità, indirizzando la politica sulle<br />
vie della dissoluzione totalitaria.<br />
L’orizzonte della degradazione libertina nell’età contemporanea non è certo immaginario.<br />
Ma il pessimismo delnociano deve essere temperato dal senso storico del Cristianesimo<br />
e adeguato alla dottrina sociale del Magistero. Si deve quindi riconoscere che la via della<br />
dissoluzione non è la sola percorribile dall’Occidente.<br />
Questa evidenza costringe a dire che, dal punto di vista dell’ortodossia cattolica, è<br />
possibile una considerazione non disperata dell’Occidente e perciò l’impostazione di un<br />
dialogo costruttivo con i suoi attori secolari. Il magistero di Giovanni Paolo II, infatti,<br />
ricorda alla pianta occidentale l’impossibilità di una vita separata dalle radici e perciò<br />
incita i popoli occidentali, un tempo fedeli, a crescere e a progredire secondo la loro<br />
semenza.<br />
Estraneo al pensiero cristiano, l’integralismo reazionario professato dalla destra di<br />
ispirazione evoliana e schimittiana, non esercita la critica dell’Occidente ma incrementa<br />
l’azione demolitrice della stremata utopia di sinistra. Nell’occidentalismo estremo si<br />
annullano le differenze che dividevano la destra dalla sinistra. Il fatto è che l’utopia<br />
reazionaria, che sta all’origine dei due estremismi, contrabbanda, sotto i travestimenti<br />
della mitologia antiebraica, le obiezioni dell’imperialismo pagano contro la novità cristiana.<br />
L’argomento fondamentale della suggestione reazionaria è appunto il complotto ebraico<br />
contro le sacre monarchie, narrato da un leggendario ed ambiguo documento (I Protocolli<br />
degli savi anziani di Sion) costruito dalla polizia segreta zarista.<br />
Ora la conclamata falsità del documento passa in secondo piano davanti alla velenosità<br />
dell’errore che la teoria del complotto introduce: una drastica avversione all’Ebraismo e di<br />
conseguenza una devastante cesura tra Antico e Nuovo Testamento.<br />
Nel 1997 Giovanni Paolo II ha pubblicato un documento sull’Olocausto, nel quale è<br />
stabilito, una volta per tutte, che la prima fonte delle elucubrazioni antiebraiche è l’eresia<br />
marcionita, per mezzo della quale è stato introdotta in ambiente cristiano l’obiezione dei<br />
gentili contro il teismo professato dall’Antico Testamento.<br />
La vera e risolutiva critica dell’occidentalismo, dunque, comincia dalla confutazione del<br />
marcionismo da parte di Giovanni Paolo II. Illustrata dalla fisima marcionita e dalla<br />
leggenda intorno al complotto ebraico, l’ideologia occidentalista – dall’illuminismo a Hegel<br />
e ai suoi epigoni crepuscolari - appare finalmente nella sua vera figura: la contaminazione<br />
dei valori cristiani da parte di un potere arcaico, inteso a parodiare la teologia.<br />
L‘esatta definizione dell’occidentalismo essenziale – statolatria perenne - chiarisce la<br />
fortuna che il pensiero islamico ha trovato nelle avanguardie postmoderne della destra<br />
reazionaria (al seguito del convertito René Guénon) e della sinistra delusa (al seguito del<br />
convertito Roger Garaudy).<br />
Il grottesco epilogo della modernità è rappresentato dalla sua conversione al<br />
fondamentalismo religioso. La cometa di Bayle non indica più le terre del laicismo ma la<br />
Mecca. Epilogo grottesco, ma non casuale. L’Islam, infatti, esaltando un potere politico<br />
sacro e non sottomesso ad un’autorità spirituale legittima, soddisfa pienamente i desideri<br />
statolatrici delle contrapposte e convergenti fazioni del mondo moderno: la sua fede<br />
consente infatti di abitare il sacro senza dover passare per l’odiata teologia ebraica e<br />
cristiana. Il fascino dell’Islam è inoltre esaltato dall’uso dei “Protocolli” come arma del<br />
delirio ideologico: una squisitezza, che appaga le smanie dietrologiche della destra<br />
socialistoide e i pruriti antiamericani della sinistra reazionaria.<br />
Nel duo islamizzato Guénon-Garaudy, il mago da palcoscenico e il filosofo estenuato,<br />
rappresentazioni della provenienza massonica e di quella comunista, et destra et sinistra,<br />
si riassume l’acrobatico destino dell’occidentalismo, che dopo aver scalato gli specchi
della rivolta marcionita contro la vera tradizione, ne abbraccia una parodia infantile, e<br />
infine riceve i cascami della dietrologia zarista. L’occidentalismo sopravvive per i soli<br />
tramiti della Russia imperiale e del favoloso Oriente. La sua condanna si trova<br />
nell’indecente bric-à-brac di desolazioni dostojewskiane e sussulti sciamanici. Nell’Islam<br />
degli iniziati pulsa il cuore arcaico della modernità occidentale. Ma il futuro<br />
dell’occidentalismo dov’è mai?<br />
b. L’irresistibile debolezza dell’Islam<br />
Le rivoluzioni tumultuose in atto nei paesi islamici a partire dagli anni Cinquanta e<br />
l’emergenza dell’immigrazione nordafricana in Europa, pongono la necessità di<br />
aggiornare la definizione dell’Islam e di trovare finalmente una chiave di lettura del suo<br />
tormentato rapporto con la modernizzazione e la tecnologia occidentali. Nell’Islam la<br />
cultura occidentale ha sempre intravisto un derivato dell’eresia Nestorio, vale a dire il<br />
rifiuto della divinità di Gesù Cristo e del dogma trinitario. La dottrina islamica presenta,<br />
senza dubbio, i caratteri di un rigido e letterale monoteismo, che esclude la teologia di<br />
Cristo, nel nome della fedeltà all’Antico Testamento, manifestando tuttavia un<br />
paradossale rispetto per il Vangelo. Ma la dottrina non dà una sufficiente ragione della<br />
parassi della storia islamica, fatta di opposizioni violente e guerre implacabili al<br />
Cristianesimo e al Giudaismo. A monte della dottrina si deve dunque cercare una fonte<br />
diversa dalla Bibbia giudeo-cristiana.<br />
Nella profonda riflessione teologica sull’Islam, pubblicata dalle edizioni Piemme di Casale<br />
Monferrato, Gianni Baget Bozzo propone, appunto, i criteri necessari per comprendere<br />
l’Islam risalendo alle altre fonti di Maometto. Solo una tale ricerca può approdare alle vere<br />
ragioni del conflitto che oppone l’Islam contemporaneo alla Cristianità secolarizzata e al<br />
sionismo, forma secolarizzata dal giudaismo.<br />
Ora Baget Bozzo formula per la prima volta l’ipotesi di una radicale estraneità dell’Islam<br />
alla teologia biblica, conseguente ad una alterazione della metafisica intorno al Dio<br />
cristiano: “La differenza fondamentale tra cristiani e musulmani sta nella Trinità, non solo<br />
nella figura esplicita del dogma cristiano, le Tre Persone di un solo Dio, ma nella sua<br />
possibilità metafisica. Il Dio coranico non è una essenza e non è una persona. E non è<br />
perché egli rivela di sé solo la sua volontà”.<br />
Nella luce della teologia volontaristica appare evidente che “il Dio coranico non ha<br />
consistenza ontologica”, ed infatti egli produce soltanto comandi sui musulmani: ”Dio<br />
compare nel Corano solo come il Comando”. Non a caso l’Islam si rivelò incompatibile<br />
con la filosofia greca a causa della teologia volontaristica.<br />
Porre l’attenzione sul fondamento antimetafisico, che regge il volontarismo della teologia<br />
islamica, significa svelarne la natura composita e spuria: da Israele l’Islam ottiene il<br />
monoteismo, dal Cristianesimo riceve il modello della sua pretesa universalistica, ma<br />
dallo gnosticismo apprende l’essenziale, l’escatologia nichilista, vale a dire una scienza<br />
negativa della finalità storica, che si riduce all’eliminazione fisica degli infedeli.<br />
Gli infedeli, per la prassi islamica, rappresentano quel male ontologico che la<br />
fantasticheria gnostica combatteva nella creazione materiale, percepita come antitesi al<br />
“principio” spirituale indeterminato. Osserva Baget Bozzo che “il Dio coranico porta con sé<br />
l’impronta del Dio gnostico per cui il mondo è la cattiva realtà, in cui esiste quindi un<br />
nemico essenziale: la materia nello gnosticismo, l’infedele nel musulmano”.<br />
Dalla struttura conflittuale della sua teologia l’Islam trae una temibile potenza aggressiva,<br />
ma anche la debolezza storica di fronte al Cristianesimo e all’Occidente. La forza<br />
dell’Islam risiede infatti in un rigore fanatico e inumano, ad esempio quello che esplode<br />
nei riti atroci dei kamikaze palestinesi. Ma questo rigore, per attuare la guerra totale<br />
(gnostica, come la guerra nazista) contro il nemico occidentale ed ebraico, è
paradossalmente costretto ad attingere idee e mezzi dalla tecnologia occidentale ed<br />
ebraica.<br />
In questa dipendenza è già inscritta la figura della debolezza islamica. Ma vi è di più.<br />
Bage Bozzo dimostra che l’illusione a fondamento del rapporto tra Islam e tecnologia<br />
occidentale consiste nel credere, come accade ai sauditi, che scienza e modernizzazione<br />
siano separabili.<br />
In realtà la separabilità delle due forme del mondo occidentale contemporaneo è,<br />
appunto, un’illusione. L’Islam non può importare tecnologia e simultaneamente dichiarare<br />
l’embargo alla modernità: alla fine il moderno costringerà i poteri islamici alla resa dei<br />
conti. E la modernità è una contraddizione che l’Islam non può sopportare a causa della<br />
vocazione conflittuale, che dichiara la guerra santa agli infedeli. Il confitto in atto tra l’Iran<br />
politico, essenzialmente modernizzante, e l’Iran religioso è un segno dell’impasse al quale<br />
l’Islam corre incontro. Ma la stessa emigrazione islamica può essere considerata (come<br />
dimostra esaurientemente Baget Bozzo) alla stregua di una fuga dall’Islam, dunque come<br />
segno di malessere “soggiacente”.<br />
Di qui la superiorità dell’Occidente e della Cristianità. Baget Bozzo lo definisce<br />
acutamente alla luce della teologia agostiniana e vichiana della storia: “Il punto difficile è<br />
che l’Islam non conosce il principio della distinzione tra natura umana e Rivelazione come<br />
il Cristianesimo, che ha potuto così offrire un punto di partenza alla modernità. … Il<br />
conflitto tra modernizzazione e identità islamica sarà al centro del mondo islamico nei<br />
prossimi decenni”.<br />
L’Occidente e la Cristianità possono godere pacificamente dei benefici tecnologici perché<br />
hanno stabilito lucidamente i criteri teoretici necessari a convivere con la<br />
modernizzazione, vale a dire perché hanno chiara la natura e i fini delle due città,<br />
procedenti “permixtae” nella storia, come ha stabilito sant’Agostino, in antitesi allo<br />
gnosticismo e al manicheismo. La tolleranza cristiana è il punto di partenza della<br />
modernità. Nella storia del pensiero cristiano è presente un’opera, la “Scienza Nuova” del<br />
napoletano Giambattista Vico, dove si dimostra che il progresso civile – la<br />
modernizzazione – rientra nel piano della Provvidenza divina, senza peraltro appartenere<br />
all’economia della salvezza cristiana. Vico ha elaborato una teoria del progresso che ha<br />
consentito alla Chiesa (pensiamo specialmente alla costruzione delle ferrovia voluta da<br />
Pio IX ai discorsi di Pio XII sul bene tecnologico e sulla democrazia) di entrare nella<br />
modernità senza assumere gli errori moderni. Una concezione audace come quella<br />
vichiana nell’Islam sarebbe considerata empia. E’ proprio questa la debolezza intrinseca<br />
dell’Islam, e la ragione della sua immancabile sconfitta.
L<br />
Lessico<br />
Logica<br />
Lessico<br />
Lo specchio dell’aggiornamento<br />
L’ora della comicità batte sulla scena politica quando gli araldi ideologici, vista l’usura dei<br />
vecchi e cari argomenti, tentano di aggiornare il vocabolario scalando lo specchio<br />
scivoloso dell’altrui novità. Il tentativo di coprire il corpo malandato di un’ideologia con i<br />
panni di un lessico nuovo è, infatti, il più sicuro segnale della crisi irreversibile.<br />
Barbara Spinelli, ad esempio. La sua fede nel progresso era talmente adamantina da<br />
sconfinare nel <strong>postmoderno</strong>. Sulle piste del futuro, la sua corsa vittoriosa sorpassava<br />
addirittura i reazionari. Era difficile tenerla a freno. Scalpitando, teneva il passo iniziatico<br />
battuto da Zolla e Calasso, le avanguardie della sinistra travestita. Ma nessuno la<br />
superava nella produzione di parola a scoppio indomito: cadeva ogni nemico, quando la<br />
mitragliatrice ideologica della Stampa crepitava.<br />
Bei tempi, il nemico non resisteva al suo fuoco micidiale. Ma il fuoco all’improvviso è<br />
diventato freddo. L’idea del progresso frequenta le impreviste contrade del centrodestra.<br />
L’avvocato nutre un forte dubbio. I sondaggi dicono che Bobbio è molto depresso. La<br />
Spinelli vacilla e si contorce amaramente, prevedendo la Casa delle libertà al potere. La<br />
mitraglia sgrana il rosario della malinconia: “Berlusconi dovrà scoprire la verità<br />
[testualmente: “il linguaggio di Rutelli è alto, sdrammatizzato, libero da vecchie ideologie]<br />
se vorrà il governo alto che promette”. In breve: Berlusconi sarà alto solo se imiterà<br />
l’altezza di Rutelli. Poiché siamo costretti a rinunciare all’esempio del potere eserciteremo<br />
il potere dell’esempio. Basta accontentarsi.<br />
E’ evidente che la mitragliatrice, adesso, funziona alla rovescia: spara torte sulla faccia<br />
degli amici. Torte involontarie, e non intese al compromesso. Chi oserebbe sospettare<br />
della fedelissima Spinelli? La mitraglia è pulita dentro. Ma fuori volano comiche torte alla<br />
panna.<br />
Ecco il punto. La costernata Spinelli ha intravisto la direzione impertinente e sgradita di<br />
“un vasto blocco sociale ansioso di modernità”. Il blocco esiste e procede alla faccia<br />
dell’ideologia: l’aspirazione popolare al progresso pianta in asso i progressisti. Gli italiani<br />
(popolo corrotto, va da sé) sono infastiditi dall’imposizione del nobile cilicio ulivista e<br />
pretendono migliori condizioni di vita. L’orrore della dolce vita ha oscurato l’orizzonte<br />
socialista. Gli italiani rischiano di perdere il socialismo. La segnaletica convenzionale<br />
pertanto è sottosopra: quelle che un tempo erano le bieche forze della reazione<br />
promuovono lo sviluppo, mentre i progressisti sono fermi al palo dell’economia<br />
quaresimale.<br />
La Spinelli angosciata lancia la prima torta: “la nozione di cittadino sembra mancare a<br />
tanti italiani”. Chi ha detto che cittadino significa estimatore dell’arretratezza socialista?<br />
Don Gallo, Martinazzoli o Castagnetti? Certo è che la crema dell’indigenza obbligatoria,<br />
sulla faccia dei progressisti rampanti non è un bel vedere.<br />
La Spinelli, d’altra parte, sa benissimo che gli italiani non voltano le spalle al senso civico<br />
ma alla conclamata incapacità dei progressisti ad attuare un’efficace e risoluta politica di<br />
sviluppo. E’ impossibile non vedere che i progressisti sono irretiti dalle suggestioni<br />
reazionarie diffuse dall’oligarchia malthusiana e dai furori proibizionisti dei verdi contro lo
sviluppo. E tuttavia prova a calare la carta (la torta) disperata, cioè il racconto di una<br />
miracolosa trasfigurazione delle solite facce: “Berlusconi non ha visto i volti mutati che<br />
l’Ulivo ha saputo produrre … disconosce la novità rappresentata da persone come Prodi<br />
e Rutelli”. Dove il progressismo retrocede avanza la leggenda dei riciclati dal viso rifatto.<br />
Dalla torta.<br />
Solo alla fine la Spinelli si concede un rispettoso scivolamento nel vecchio amore per<br />
l’oligarchia esoterica docente. E dichiara, sfidando audacemente l’opinione del padrone di<br />
casa, l’avvocato Agnelli: “non credo che i giornali stranieri, criticandoci, ci rechino offesa.<br />
Ci rivolgono consigli, hanno cura di quel che accade in una grande democrazia. Una<br />
repubblica delle banane non riceve tutte queste attenzioni, queste parole di monito e di<br />
incoraggiamento”.<br />
Chi era rassegnato alla torta in faccia riceve la frustata sul fondo schiena. Ma l’agitio del<br />
frustino riporta nella casa del progressismo. Come diceva un personaggio di Bunuel, nel<br />
“Fantasma della libertà”: “Picchia, picchia forte, vecchia mia”. Intendeva dire: le tue<br />
attenzioni mi incoraggiano.<br />
Logica<br />
Lo show come manuale di stupidità<br />
Casi di ordinaria televisione. Lunedì 30 aprile 2001 Rai2 manda in onda un’intervista ad<br />
Andrea Bussinello, candidato di Forza Nuova, il movimento di destra che conduce una<br />
strenua battaglia contro la legge abortista. L’intervistatore, in conformità al principio della<br />
par condicio, mantiene un lodevole atteggiamento neutrale. Tutto scorre nella norma. Ma<br />
nel corso della trasmissione l’oscurantismo sessantottino, che esercita la parte del jolly<br />
sui desolati tavoli del cicaleccio, induce l’intervistatore a sfoderare una magnifica perla del<br />
tesoro illogico: “d’accordo sulla proposta di abrogare la legge abortista, ma non c’è il<br />
rischio di dare luogo al triste fenomeno degli aborti clandestini?” A riprova della potenza<br />
universale dell’illogicità, Bussinello non coglie la naturale e inavvertita stupidità della<br />
domanda.<br />
Eppure l’idea che si debba autorizzare un delitto perché esiste il rischio che sia<br />
commesso nella clandestinità è semplicemente matta. Corrisponde, specularmente, al<br />
progetto di abrogare la legge che commina pene agli omicidi, in seguito all’ovvia<br />
considerazione della pericolosità dell’omicidio clandestino. Meglio l’omicidio solare? Al<br />
momento nessuno si spinge a tanto. Crepet si limita a dire che l’assassino non deve<br />
essere turbato dalla legge. La legge è salva? Più che salva, avviata a un progetto di<br />
riforma, che obbedirebbe ad un sillogismo di questo genere: la paura della pena spinge<br />
gli assassini ad agire nella clandestinità, l’omicidio clandestino è pericoloso, quindi per<br />
sventare il pericolo incombente non rimane che escludere la punizione di chi uccide. La<br />
legge è salva quando esiste solo per assolvere.<br />
Bussinello e il suo intervistatore televisivo sono però del tutto incolpevoli. Entrambi hanno<br />
dimostrato di possedere una buona cultura, un eloquio composto, un’apprezzabile<br />
disposizione al dialogo. Ma il senso comune - la vecchia logica - è sotto schiaffo, e loro<br />
con esso. La scuola e le altre agenzie culturali hanno lavorato scientificamente<br />
all’indebolimento delle difese immunitarie dell’intelligenza. Se la sfida all’immoralità oggi è<br />
diventata ardua, la rivolta contro il soggiacente delirio è quasi impossibile. La nube<br />
tossica della stupidità sessantottina inibisce l’attitudine ad analizzare e atterrisce il senso<br />
critico. In questa scena, l’inquietante interrogativo del nostro Giuseppe Spezzaferro –<br />
siamo diventati tutti matti? – ottiene una risposta affermativa: l’alluvione del pensiero<br />
sessantottino, il potere della fantasticheria, che ha demonizzato (chi non ricorda l’urlo<br />
demenziale di Marcuse, Aristotele è fascista!) i princìpi del pensiero adeguato alla realtà
invece che al sogno, se non proprio matti ci hanno resi certamente meno capaci di<br />
ragionare, dunque più vulnerabili alle contorte suggestioni del male.<br />
L’evidenza della guerra contro la ragione e contro il vivere ordinato, desta tristezza. Chi<br />
può assistere senza provare angoscia agli spettacoli “culturali” del genere catatonico e<br />
catalettico del Maurizio Costanzo show o di Satyricon? Giovanni Papini definiva “concerti<br />
di sputi” le assemblee degli intellettuali anarchici. Come si fa a definire diversamente i<br />
salotti della televisione radical-chic, dove esplode l’anarchia del pensiero? Insieme con la<br />
torbida e incontenibile piena del futile, vi corre, infatti, una schiumante e rovinosa<br />
tracotanza – l’ultra cogitazione: il pensiero si gonfia d’aria per abbandonare il solco della<br />
realtà e tracimare nelle praterie del disordine.<br />
Ecco l’immagionazione al potere. Chi ha letto il saggio che l’inarrivabile guru della scienza<br />
televisiva, Aldo Grasso, ha pubblicato in questi giorni per i tipi incredibili di un’editrice di<br />
nome cattolico, è stato certamente spaventato dal fatto che gli autori (citati inginocchioni)<br />
rappresentano la crema del decadentismo pornografico e della magia nera: Calasso,<br />
Cioran, Canetti, Bloy, Benjamin, Weil, Guénon, Sgalambro, Colli.<br />
Se alla fonte “colta” della teoria si trovano autori ,raccolti nella pattumiera, perché stupirsi<br />
quando il prodotto finale della televisione è la spazzatura? (Per inciso: Aldo Grasso è il<br />
critico televisivo del Corriere della Sera: chi sa dire per quale coincidenza le avanguardie<br />
del vuoto mentale, gli officianti della religione rovesciata nel catastrofismo gnostico, da<br />
Pasolini a Zolla, da Calasso a Severino, da Quinzio a Bruno Forte, hanno trovato<br />
ospitalità proprio in quel giornale?)<br />
La superba stupidità insorge nell’aspetto di crimine contro l’immagine divina che è<br />
nell’uomo, ma raggiunge la maturità nell’esercizio del crimine contro la vita.<br />
L’affermazione secondo la quale i delitti che gelano la cronaca dei nostri giorni sono figli<br />
del pensiero sessantottino, non rimanda alla teoria del complotto settario ma alla<br />
diffusione (questa sì delittuosa) del delirio “intelligente”, flagello atroce, che mortificando i<br />
presidi della razionalità rimuove gli ostacoli che hanno sempre frenato il cammino del<br />
crimine.
M<br />
Massoneria<br />
Metamorfosi<br />
Moralismo<br />
Mussolini<br />
Massoneria<br />
Non esiste più<br />
La massoneria? Per carità, non cadiamo al livello di Umberto Bossi. Parlare di<br />
massoneria è ecumenicamente scorretto, i massoni, se esistono, sono filantropi. La<br />
breccia di Porta Pia? Bombette del passato, oggi ci vogliamo bene, e Babilonia vale una<br />
messa, celebrata da don Gallo secondo il canone della teologia bersagliera. Il Corriere<br />
della Sera? Chi oserebbe alludere ai molesti odori massonici diffusi dal candelabro di via<br />
Solferino? Non siamo mica matti; le candele sono sacre. Caso mai accenneremo<br />
cautamente agli aromi iniziatici.<br />
Stabilito che Babilonia è il giardino della sapienza rigogliosa, il Corriere della Sera un<br />
quotidiano piissimo di proprietà popolare, l’ideologia massonica un’amabile fragranza di<br />
gelsomini? Possiamo discorrere, in ecumenica tranquillità?<br />
Emanuele Severino, il filosofo, che Cornelio Fabro segnalò al mondo accademico per<br />
l’esposizione di un magnifico “abracadabra” intorno all’essere e al nulla costringe a<br />
sollevare un cauto dubbio. Nella pagina culturale del quotidiano di via Solferino, presenta<br />
il voto del 13 maggio 2001, in una luce “libertaria”, che anche un lettore non superficiale<br />
potrebbe ritenere diffusa dal vecchio candelabro massonico: “Dalle prossime elezioni<br />
dipenderà in buona parte se gli italiani vogliano o no mantenere il diritto della Chiesa a<br />
intervenire nella legislazione italiana” (“Stato e Chiesa, Cavour era più moderno dell’Italia<br />
nel 2001”).<br />
L’obliquità della previsione, l’untuosa intitolazione alla modernità di Cavour, l’appello al<br />
dovere dei cattolici di mantenere il silenzio sulle questioni di competenze del potere<br />
politico, tutto, ma proprio tutto, nello scritto di Severino, indirizza il pensiero ai luoghi<br />
caratteristici del Settecento e dell’Ottocento. La tranquillità ecumenica si congeda.<br />
Severino, senza volerlo, evoca i due secoli in parrucca, cappuccio e grembiule, che<br />
hanno prodotto la persecuzione illuministica contro i gesuiti, la costituzione civile del<br />
clero, i massacri giacobini e comunardi, la cleptomania piemontese a danno dei beni e dei<br />
diritti ecclesiastici, la guerra civile nel Mezzogiorno, i massacri comunardi ed altre delizie.<br />
L’impressione del dejà vu (lo diciamo augurandoci che l’alta parola di Severino ci<br />
smentisca) è rafforzata dal tono sprezzante e minaccioso con cui è definita la Chiesa:<br />
“Sin dalle sue origini il cattolicesimo è oggettivamente teocratico, integralista, negatore<br />
della moderna società democratica, ma la costituzione italiana lo autorizza ad essere tutto<br />
questo”.<br />
La Chiesa oscurantista, ecco la collaudata giustificazione, che ha splendidamente<br />
protetto i due secoli delle tirannie, preparatrici degli orrori sterminati trionfalmente<br />
celebrati nel Novecento.<br />
Severino rumina una vecchia crosta di menzogne. La Chiesa cattolica non è contraria alla<br />
società democratica. Severino dovrebbe rileggere il discorso pronunciato da Pio XII nel<br />
Natale del 1944 e allora vedrebbe che la Chiesa si è opposta strenuamente a quella<br />
concezione assolutistica (e pagana) del potere che, trasportato dalla setta massonica, ha
attraversato tutte le sciagure ideologiche “a monte” del Novecento: dispotismo illuminato,<br />
giuseppinismo, giacobinismo, kultur kampf, imperialismo inglese, cavourrismo, ecc.<br />
Se Severino deponesse per un solo giorno la saccenteria che turba i suoi pensieri e li<br />
avvilisce nei luoghi comuni del laicismo, leggerebbe inoltre (e non senza profitto) i<br />
pensatori politici della Controriforna (Bellarmino, Juan de Mariana, Suarez, de Vitoria). La<br />
lettura dei pensatori controriformisti gli farebbe scoprire che la Chiesa cattolica ha sempre<br />
affermato il diritto dell’autorità popolo contro gli eccessi dell’assolutismo di qualunque<br />
risma.<br />
Del resto Cristianesimo, religione spiritualmente semita, si afferma come baluardo della<br />
verità e dei diritti del popolo contro il potere tirannico (ed esoterico, cioè derivato dal<br />
marciume pagano, nascosto – ésothen - nei sepolcri imbiancati).<br />
Non dovrebbe dunque stupire il fatto che la migliore democrazia moderna sia nata in<br />
ambienti cattolici tra il XVI e il XVII. E nata dalla fedele lettura di san Tommaso d’Aquino.<br />
Ora il falso declinato da Severino in ossequio dei poteri forti si associa felicemente al<br />
progetto anticlericale degli ambienti ulivisti, (progetto che la nostra timidezza non osa<br />
riferire all’obbedienza massonica): abolire il diritto dei cattolici a proporre soluzioni ai<br />
problemi politici.<br />
Con la banale dirompenza del pensatore dogmatico, Severino proclama infatti che “lo<br />
stato moderno nelle sue forme avanzate si trova in contraddizione con i precetti cattolici”.<br />
Questo, nelle parole stucchevoli e destituite del progressismo, vorrebbe significare che<br />
non siamo più nel Medioevo: l’autorità della Chiesa deve essere del tutto esclusa<br />
dall’orizzonte dello stato italiano.<br />
Nella chiacchiera di Severino si può ascoltare la stanca eco delle elucubrazioni<br />
massoniche intorno alle ballerine dell’Excelsior, che liberano la civiltà moderna<br />
dall’oscurantismo cattolico.<br />
Se non che il balletto Exceslior, nella fase storica attuale, si esibisce nella contrada<br />
depressa di Seatlle, dove (guarda caso) è stato rinviato dall’esortazione (di timbro<br />
heideggeriano) di Severino a<br />
demolire la macchina industriale dell’Occidente.<br />
Come dicevamo all’inizio, la massoneria non esiste, e se esistesse avrebbe la natura di<br />
una farsa alla Fregoli: i pensatori Severino & Veltroni, che inseguono la luce del<br />
progresso nelle praterie oscurantiste di Seattle. La raccomandazione di Severino non è<br />
altro che un incentivo a sospettare del voto alla coalizione reazionaria dell’ulivo.<br />
Metamorfosi<br />
Metamorfosi dell’ideologia<br />
Nella splendida “conchiusione” della Scienza Nuova, il genio cattolico di Giambattista<br />
Vico annunciò l’insorgenza necessaria di un popolo <strong>postmoderno</strong>, costituito da ingegni<br />
corrotti e “resi fiere più immani con la barbarie della riflessione che non era stata la<br />
barbarie del senso”. Le pulsioni atee dell’illuminismo albeggiante in quegli anni facevano<br />
infatti capire, a chi osservava acutamente, che nella storia d’Europa incombeva un<br />
destino di barbarie più rovinoso di quella dei secoli bui.<br />
Vico previde che la barbarie della riflessione moderna avrebbe attraversato tutte le crune<br />
dell’ideologia impropriamente intitolata alla ragione, prima di manifestare la sua oscura<br />
inclinazione al sottosviluppo e alla corruzione. La straordinaria importanza della filosofia<br />
vichiana consiste, appunto, nella descrizione dello sviluppo “logico” del pensiero europeo,<br />
dall’esaltazione razionalista al totalitarismo della dissoluzione. Quello che poi si verificato<br />
con i passaggi dall’apostasia illuminista alla delicatezza romantica e di lì al furore<br />
decadente di Nietzsche e alla sterminata barbarie comunista e nazista.
La lungimirante filosofia di Vico, dunque, è la chiave necessaria per la lettura della<br />
tragedia moderna. Finché non si vede il filo rosso che segretamente unisce gli atti della<br />
tragedia europea, dalla crisi del XVII secolo fino all’epilogo neopagano e al suo<br />
prolungamento ecoregressista, non sono decifrabili i significati della rivoluzione<br />
sessantottina e le essenze dell’ideologia, replicante a sinistra dopo la così detta morte<br />
delle ideologie.<br />
Purtroppo negli anni Settanta gli ultimi segnali emessi dall’Urss progressista e le<br />
suggestioni illusorie diffuse dalle agenzie culturali del decadentismo (si pensi alle<br />
contraffazioni del pensiero tradizionale messe sul mercato da Zolla) hanno convinto<br />
alcuni pensatori (fra i quali Augusto Del Noce e i suoi scolari ciellini e neodestri) a credere<br />
che la rivoluzione moderna, terminata la fase del comunista, si sarebbe rovesciata nella<br />
dittatura della tecnologia e dei consumi.<br />
Di qui una serie di abbagli e paradossi esemplari, come la collaborazione (in chiave<br />
antisviluppista) del nichilista Emanuele Severino al “Sabato”, e l’ingresso di Massimo<br />
Cacciari nel pantheon della destra estrema.<br />
Del Noce era stato raggirato abilmente. La sua previsione era dunque nobilmente<br />
sbagliata. Oggi l’errore delnociano si deduce facilmente dall’inabilità a capire la verità del<br />
<strong>postmoderno</strong> che i suoi ultimi scolari esibiscono continuamente. Pensiamo a Veneziani, il<br />
quale, convinto che l’apostasia dei comunisti si sia effettivamente rovesciata nel dominio<br />
tecnologico, insegue la negazione dell’Occidente nei sermoni catatonici e catastrofici di<br />
Nietzsche, della Weil, di Heidegger e di Cacciari. Autori appetibili “a destra”, perché<br />
offrono fascinose variazioni sul tema della sgangherata rivolta di Evola contro il mondo<br />
moderno.<br />
La verità è che nel Sessantotto avvenne un passaggio (ai più inavvertito) dal comunismo<br />
al pensiero radical-chic e al nazismo profondo. Un passaggio, che il vero maestro degli<br />
studenti rivoltosi, Jacob Taubes, aveva auspicato interpretando, con lucido furore,<br />
l’esortazione rivolta da Walter Benjamin alla sinistra: attraversare il fronte e penetrare nel<br />
campo del nemico nazista per riprendere le idee che le appartengono.<br />
Secondo Benjamin e Taubes, i modelli che la sinistra doveva riconquistare riguardanvao,<br />
in prima istanza, un Cristianesimo separato dall’Antico Testamento, conseguentemente<br />
una comunità buonista e pauperista, intitolata al Cristo idiota di Dostojewskij e perciò<br />
estranea al comando biblico “dominate la terra”.<br />
Il Cristianesimo separato dal Dio veterotestamentario, troppo severo e repressivo,<br />
l’illimitata tolleranza dell’immoralità e del crimine, l’indirizzo regressivo dell’istanza<br />
ambientalista. Sono i pilastri del nazismo originario, ricostruiti fedelmente e riproposti, da<br />
intellettuali di estrema sinistra come Cacciari, a quella gioventù vulnerabile (o già<br />
vulnerata dalle anfetamine) che trova rifugio nei centri sociali o nei circoli neodestri.<br />
La replica postmoderna dell’ideologia è dunque antitetica agli orizzonti della tecnologia e<br />
del consumismo. Per trovare il comunismo “soggiacente” è necessario considerare il<br />
popolo di Seattle, non il “biotech”.<br />
Ogni residuo dubbio su questa diagnosi aggiornata cade pesantemente, quando si legge<br />
con attenzione due recentissimi documenti: il testo (pubblicato in “Micromega”) del<br />
dialogo tra Cacciari e il cardinale Achille Silvestrini e la lunga intervista a Massimo<br />
Cacciari, curata dal mediatore tra nuova sinistra filosofica e centri sociali, Gianfranco<br />
Bettin, e pubblicxata da Feltrinelli.<br />
Nel dialogo con il cardinale Silvestrini, Cacciari dichiara, senza mezzi termini, che la<br />
Chiesa cattolica deve rinunciare al ruolo di ketechon, ossia alla lotta contro il disordine<br />
morale, e quindi abbandonare il decalogo al flusso della devianza postmoderna. Davanti<br />
all’attonito cardinale (per inciso: ai tempi del card. Siri i prelati evitavano il dibattito con gli<br />
atei, e se per caso li accettavano ci andavano ben preparati, la flebile reazione di<br />
Silvestrini fa capire che la precauzione è in disuso) Cacciari afferma che la Chiesa
dovrebbe convertirsi al nichilismo (il trionfo di Cristo sulla croce, per Cacciari, come già<br />
per Quinzio, non è altro che un “segno di sconfitta”) e in ultima analisi “testimoniare il<br />
carattere kenotico della storia – e perciò anelare alla sua stessa fine, intendo alla fine di<br />
sé, della Chiesa”.<br />
La fine della Chiesa cattolica è una conseguenza logica, se la premessa è il rifiuto della<br />
legge dettata a Mosé. Un’ipotesi sofistica e grottesca, quando si rammenta che il Verbo si<br />
è fatto uomo per compiere e non per distruggere la legge.<br />
Quanto alla tecnologia, Cacciari, nell’intervista a Bettin, dopo aver citato una cupa e<br />
sconfortante parafrasi di Hölderlin (dove cresce il controllo scientifico lì cresce il rischio)<br />
sciorina un discorso apocalittico, di tono heideggeriano: “La tecnologia, la scienza non<br />
hanno più limiti: sono esse stesse il limite. Il limite è dove si può arrivare con la ricerca e<br />
con le applicazioni tecnic-scientifiche. Non esiste, cioè. Il limite è il confine della scienza.<br />
Appena quel dominio si espande, il limite avanza. Ergo non esiste un punto di vista etico<br />
e politico. Esiste solo perché, per ora, provvisoriamente, non si riesce ad andare oltre”.<br />
Che fare, in questo buio scenario, se non obbedire a quelle suggestioni decadenti che<br />
sconvolgevano il cuore ecologico e romantico del nazismo profondo? Non rimane che<br />
l’applauso insensato e disperato al movimento berlinese dei “disoccupati felici”, dove<br />
esplode “la felicità di essere fuori dalla gabbia del lavoro e di trovarsi già oltre la civiltà del<br />
lavoro”.<br />
La sinistra postmoderna, per esplicita dichiarazione del suo interprete più autorevole, si<br />
colloca oltre il comandamento del Genesi, oltre il suggerimento di non magiare, che san<br />
Paolo rivolgeva ai poltroni e, in definitiva, oltre la civiltà occidentale. Si colloca dalla parte<br />
orientale, asiatica della tradizione indoeuropeo, dalla parte del nazismo esoterico,<br />
appunto.<br />
D’altra parte è difficile immaginare una più puntuale definizione della barbarie, della<br />
marginalità sottoproletaria e della distruzione reazionaria della ragione. Se tra le<br />
numerose personalità indossate da Cacciari se trova una che ha fatto parte dei pionieri o<br />
della corrente operaista, sarebbe certamente atterrita da questa definizione di “sinistra<br />
creativa”.<br />
Attraverso Cacciari l’ideologia replicante dichiara che i proletari delusi saranno recuperati<br />
quando la sinistra avanzerà nella “dimensione” angelica dei marginali. Ma il popolo<br />
veneto, col voto alle regionali del 2000 ha già bocciato la proposta. L’unico terreno<br />
propizio all’avanzamento del pensiero cacciariano è dunque quello dell’estenuazione<br />
irrazionalista, dove il vuoto mentale, preparato dai “classici” della decadenza (Nietzsche,<br />
Evola, Guénon ecc.) si sposa con l’effervescenza del comunismo sessantottino. Tolta la<br />
falce e il martello, emblema della rivoluzione diventa il porco con le ali. Infatti la barbarie<br />
possiede ali per volare, ma il suo cielo della è caduto in una pozzanghera.<br />
Moralismo<br />
Va’ dove ti porta il livore<br />
La prima lezione nella scuola di avviamento al surrealismo etico fu impartita dai partigiani<br />
comunisti, che, in obbedienza al salotto buono, uccisero Giovanni Gentile. Non senza<br />
gridargli la micidiale sentenza: “Uccidiamo le idee, non l’uomo”. Il grande interprete<br />
dell’umanesimo italiano cadde, e la filosofia del diritto s’incamminò sulla strada indicata<br />
dai carnefici.<br />
Cammin facendo i comunisti si accorsero che non c’era nulla da mettere sotto i denti e<br />
sostarono al tribunale gastronomico di Luttazzi. La splendore dello zero metafisico fu<br />
riassunto nel menù sbarazzino. Contemplato il pasto ultramoderno, gli italiani<br />
cominciarono a pensare ad un’altra via.
Le ideologie restarono sotto i muri vergognosi, la filosofia gentiliana, per la magnanimità<br />
che la separava dal resto del secolo sterminato, diventò un appiglio per la risalita alle fonti<br />
del vivere civile. Finalmente l’opera gentiliana è considerata nella luce della vocazione<br />
cristiana che il filosofo professò nel 1943. Gentile è studiato dai cattolici e dai laici di<br />
buona volontà come il continuatore della testimonianza vichiana sul fondamento della<br />
moralità nel pudore. Dei giustizieri di Gentile si è invece persa la memoria.<br />
In fondo all’esecuzione di Gentile i comunisti hanno trovato la loro identità profonda: la<br />
sconcezza dei testi insaziabili del coprofago Gerorges Bataille (distribuiti dall’Unità<br />
veltroniana) e le profumate cene di Luttazzi. Dalla ripugnanza suscitata da Luttazzi gli<br />
italiani ebbero un incentivo al riscatto.<br />
Nella colonna postmoderna in marcia, la parte “nobile” spetta ai maghi neri adelphiani e ai<br />
cultori della pedofilia mistica. Dalle pagine del rotocalco “Sette”, supplemento del<br />
sussiegoso “Corriere della Sera”, Ruggero Guarini replicando ai nemici degli stregoni e<br />
dei perversi ammaliatori, dichiarò apertamente e senza ombra di ritegno, che “gli<br />
adelphiani non hanno mai fatto mistero della loro passione per gli incantesimi”. E<br />
proseguì: “E meno che mai del giubilo che possono procurargli tutti quegli orribili misfatti –<br />
da quel primo supercrimine che fu la creazione del mondo giù giù fino alla performance<br />
dei fidanzatini di Novi Ligure”.<br />
Gli ammiratori dei serial killer adolescenti non abitano nelle corsie del neurodeliri, ma nei<br />
quartieri sublimi della cultura distillata durante cinquant’anni di egemonia comunista.<br />
Dopo il pasto con Luttazzi ecco il digestivo offerto dalla dorata bottiglia iniziatica: l’estasi<br />
perversa e la giubilante contemplazione del delitto.<br />
La magia nera degli adelphiani non ha cancellato l’ideologia della sinistra, ma l’ha<br />
esaltata, instradandola sui sentieri del delirio surrealista. In fondo al bicchiere degli<br />
adelphi si trova la concezione staliniana del diritto. A proposito della comparsata di<br />
Travaglio, ecco l’enormità giuridica che Giuseppe D’Avanzo scriveva nel giornale fondato<br />
dell’adelphiano (di complemento) Eugenio Scalfari: “Ciò che si è dimostrato non rilevante<br />
per la giustizia, può essere, è rilevante per la politica. E allora se non è giusto far passare<br />
per sentenze tracce istruttorie che non hanno avuto la consistenza di un’accusa formale,<br />
è legittimo pretendere trasparenza su una grande vicenda pubblica come quella di<br />
Berlusconi”.<br />
Questo vaneggiamento intorno ai pilastri del diritto, significa che non ha alcuna<br />
importanza la dichiarazione d’innocenza resa dai tribunali, perché, in sede politica, si può<br />
rilanciare l’accusa. L’assoluzione e il proscioglimento dalle accuse non contano niente: i<br />
pubblici ministeri della politica possono processare e condannare all’infinito. In parole<br />
povere: l’innocente (per giudizio definitivo del tribunale) può essere sottoposto a ludibrio.<br />
Stalin e Pol-pot, al confronto, sono filosofi del garantismo giuridico.<br />
Mussolini<br />
Tra ideologia e pensiero italiano<br />
Fare gli italiani, nei manifesti del risorgimento e dell’azionismo, ha significato combattere<br />
le debolezze, le meschinità e i vizi, che il popolo italiano aveva (avrebbe) acquisito<br />
frequentando la Chiesa cattolica invece delle sublimi logge massoniche. Da Mazzini a<br />
Gobetti, da Bocca a Montanelli, da Prezzolini a Bobbio, la critica del costume italiano si è<br />
sempre alleata con l’umore anticattolico e con la pedagogia sferzante. Ora Alessandro<br />
Campi, autore di un interessante profilo ideologico di Mussolini, pubblicato in questi giorni<br />
dal Mulino, dimostra esaurientemente che un sentire anti-italiano, identico a quello<br />
risorgimentale e azionista, si trova all’origine del nazionalismo fascista.
Dalla tradizione risorgimentale, Mussolini aveva ereditato quella decisione di rifare (cioè<br />
riformare e modernizzare) gli italiani, che era ispirata dal disprezzo massonico per la<br />
religione cattolica. Campi a conclusione della sua analisi, afferma risolutamente che “le<br />
interpretazioni di marca anti-italiana, che vedono in Mussolini il campione di un’italianità<br />
deteriore e patologica non tengono conto del fatto che quest’ultimo si è considerato a sua<br />
volta un anti-italiano, vale a dire esattamente un nemico del modo di essere e di fare<br />
tipico, a suo modo di vedere, degli italiani”.<br />
Posto il paradosso del Mussolini anti-italiano nel solco laico dell’Ottocento, dove si troverà<br />
mai la specificità del fascismo e la ragione del suo aspro conflitto con l’azionismo e la<br />
massoneria?<br />
La complessità del problema intorno all’essenza del fascismo era già considerevole, dopo<br />
che Baget Bozzo aveva stabilito che il decisionismo non era un carattere esclusivo del<br />
pensiero di Mussolini ma il segno dell’influenza romantica e irrazionalsta su tutte filosofie<br />
rivoluzione del Novecento.<br />
Infatti il decisionismo, connotato comune al leninismo, al fascismo e al nazismo,<br />
rappresenta, per un verso, l’aggiornamento dell’utopia rivoluzionaria, per l’altro la rottura<br />
con l’idea “classica” di rivoluzione, oltre che la smentita di quella interpretazione<br />
lukacsiana che assegnava l’eredità dell’illuminismo al movimento di Lenin e, perciò, lo<br />
accreditava come antitesi “scientifica” all’irrazionalismo delle rivoluzioni fittizie scatenate<br />
dalla destra romantica e irrazionalista.<br />
La tesi di Campi sul Mussolini anti-italiano aggiunge difficoltà a difficoltà, perché completa<br />
il quadro delle analogie tra il pensiero mussoliniano e il pensiero della sinistra<br />
anticlericale. Mussolini, di conseguenza, rimane sospeso nel limbo di una modernità<br />
ubiquitaria e aperte all’ecumenismo del pensiero unico: et … et…<br />
Si ha la sensazione che Campi sia tentato di attribuire ad un malinteso il contrasto tra<br />
Mussolini e i suoi oppositori azionisti e comunisti.<br />
Ora non c’è dubbio che una solidarietà spirituale corre tra le righe del dibattito tra il<br />
fascismo di Gentile e l’azionismo di De Ruggiero, Calogero, e l’impazienza comunistoide<br />
di Spirito. Ma le righe della storia parlano chiaramente di un conflitto insanabile intorno a<br />
Mussolini, traditore del laicismo risorgimentale e della sinistra. Conflitto che, alla fine,<br />
coinvolse anche Gentile.<br />
Le mani azioniste non sono macchiate dal sangue del filosofo, ma i sicari agivano per<br />
conto delle agenzie iniziatiche, che avevano ispirato i padri dell’azionismo. I malintesi di<br />
solito non hanno esiti così drammatici e sanguinari, è dunque evidente che il filo<br />
dell’armonia fascio-azionista e fascio-comunista era da tempo interrotto.<br />
La lacunosa tesi di Campi regge sulla disattenzione alle cause dell’infedeltà fascista alla<br />
tradizione risorgimentale. Campi analizza acutamente la tradizione laica e risorgimentale,<br />
che agiva nel pensiero di Mussolini, ma trascura di considerare l’influenza esercitata<br />
dall’altra tradizione italiana, quella vivente nella Chiesa gerarchica.<br />
Rimane perciò nascosto il rapporto che, in mezzo a molte difficoltà e contrasti, si era<br />
stabilito tra l’amor di patria predicato dalla dottrina cattolica e il progetto di grandezza<br />
italiana perseguito dal fascismo.<br />
Sta qui l’enigma Mussolini, cioè la difficoltà dello studioso che deve scegliere tra<br />
l’attribuire la causa della differenza che allontana il fascismo dal risorgimento ad<br />
un’evoluzione spirituale, ad una vera e propria conversione del duce (tesi sostenuta con<br />
dovizia di argomenti da Ennio Innocenti e Luciano Garibaldi) o all’intenzione<br />
machiavellica di coinvolgere i cattolici nelle imprese del regime.<br />
E’ certo, ad ogni modo, che il risorgimento ha combattuto la guerra alla Chiesa a prezzo<br />
della riduzione dell’Italia a Italietta, a paese di languidi mandolinisti, gondolieri nerboruti<br />
per la delizia delle dame nordiche e bambini messi alla portata della pedofilia iniziatica.
Invece Mussolini, pur in mezzo ad errori e contraddizioni, ha sacrificato l’anticlericalismo<br />
al tentativo di fare grande Italia.<br />
Il risorgimento laicista praticava viziosamente la flagellazione dei vizi italiani presunti.<br />
Mussolini, separando il suo governo dalla tradizione massonica e sottoscrivendo i patti<br />
lateranensi, valorizzò le risorse e le autentiche virtù degli italiani.<br />
Il perseguimento della grandezza nazionale anche attraverso l’alleanza con la Chiesa è<br />
dunque l’essenza del pensiero politico di Mussolini.<br />
Certo, l’amor di patria fascista non sempre coincideva con l’amor di patria esposto nel<br />
quarto comandamento del decalogo. L’influsso deleterio della cultura ottocentesca non<br />
era stato completamente smaltito. Tuttavia l’esperienza fascista, quasi obbedendo al<br />
principio dell’eterogenesi dei fini, ha confermato, che il popolo italiano, proprio nella<br />
fedeltà al Cattolicesimo, può trovare la forza necessaria a compiere grandi imprese. La<br />
sconfitta nella seconda guerra mondiale dimostra la tragicità degli errori del fascismo, non<br />
l’ineluttabilità dell’Italietta. Tanto è vero che dopo la disfatta militare (ma non spirituale) il<br />
popolo italiano, specialmente grazie alle felici intuizioni di veri patrioti come Gronchi,<br />
Mattei, Zoli, Piccioni, Tambroni e Moro, ha affermato il suo valore raggiungendo, e con<br />
mezzi pacifici, traguardi prestigiosi in tutte le competizione aperta alla creatività umana.
N<br />
Nichilismo<br />
Nozze<br />
Nucleare<br />
Nichilismo<br />
L’oppio dei miscredenti<br />
L’esito nichilista dell’ideologia era già prevedibile all’inizio degli anni Sessanta. Infatti<br />
Baget Bozzo il 20 dicembre del 1960 scriveva nella rivista “Lo Stato”: “Si è detto che<br />
Dostojewskj aveva avuto uno sguardo profetico nel giudicare il suo tempo e ciò che ne<br />
sarebbe nato. Cominciamo ora anche in Italia, a misurare quanto ciò sia vero. Si<br />
rileggano «I Demoni» e si vedrà descritta, con potenza drammatica, l’idea leninista di<br />
cinquant’anni più tardi, la strategia di «Stato e rivoluzione», la rivoluzione politica<br />
attraverso la perversione ideale e morale di una società. La nostra lotta è dunque contro<br />
coloro che dicono il bene male e il male bene. E’ una lotta contro i nichilisti. Noi sappiamo<br />
che l’obiettivo vero dei nichilisti è il Cristianesimo, è il Cattolicesimo. Sappiamo che la<br />
cosa che essi vogliono veramente distruggere è la Chiesa Apostolica Romana”.<br />
Il nichilismo, furore divampante dietro le persiane della baldoria libertina e sotto il velo<br />
della dolce frottola acquariana, ha origine dalla cupidigia d’irrealtà alimentata dai<br />
miscredenti, che presumono di sconfiggere il male abiurando religione che lo avversa.<br />
Durante i secoli che preparano il nichilismo, l’apostasia ha vestito i panni della volubilità, e<br />
dell’infermità d’animo, che ora tripudiava per il conquistato solluchero ora gemeva sotto il<br />
peso della disfatta incombete.<br />
Il fatto è che, fin dall’inizio della parabola moderna, l’assurdità insidiava l’euforia degli<br />
apostati. La chimera panteista, che Spinoza estraeva senza difficoltà dall’opera<br />
cartesiana, aveva fatto il nido nella commovente illusione di redimete l’umanità con<br />
l’immaginare una sola sostanza, dove il male si dissolve nella beata contemplazione della<br />
fatalità di qualunque evento.<br />
Ma l’etica spinosiana aveva una base talmente fragile da non sopportare l’obiezione<br />
timida e rispettosa di Blyenbergh, un dilettante di teologia, il quale fece immediatamente<br />
notare che, dato il panteismo, il passaggio dal male alla felicità diventava impossibile e<br />
privo di senso. Il risultato apparente della speculazione spinosiana fu l’idea rassicurante,<br />
quasi anestetica, di un mondo sicuro e perfetto, per l’uomo che abbia acquisito la<br />
coscienza della propria appartenenza all’eternità. Ma il passaggio mentale dal tempo<br />
all’eternità era arduo. Spinoza stesso dubitava sulla sua attuabilità, e dubitava al punto di<br />
lasciarsi sfuggire che la sua etica poggia su una finzione: “Poiché desideriamo formarci<br />
un’idea dell’uomo come modello della natura, sarà per noi utile conservare questi<br />
vocaboli”. Dal cilindro del terzo livello di pensiero uscì un vittorioso gioco di parole.<br />
L’obiezione di Blyenbergh però non cadde: se nella sostanza tutto era eterno e “divino”,<br />
dove aveva sede il modello ispiratore dei progressi etici? Se il tutto fosse un’unica<br />
sostanza, che bisogno ci sarebbe di praticare la virtù? La redenzione che si voleva<br />
ottenere non era già data nella definizione di sostanza?<br />
Se la beatitudine non è immediatamente percepita il sistema spinosiano deve essere<br />
rovesciato nel pessimismo radicale. Infatti Schopenhauer, fervente ammiratore del
sistema spinosiano, conservò il pregiudizio panteistico ma respinse l’ipotesi sulla<br />
beatitudine che avrebbe dovuto discenderne.<br />
In Europa, dopo il fatidico 1789, si diffusero i testi sacri dell’India, tradotti da Anquetil du<br />
Perron. L’aura esotica del romanticismo associò il pregiudizio panteistico all’idea<br />
dell’insuperabilità del male. Non c’è nulla d’imprevedibile nell’accoglimento e nel<br />
rifacimento filosofico delle suggestioni indiane da parte di un maestro della filosofia<br />
europea: quando Schopenhauer contemplò la volontà perversa, che starebbe intera e<br />
indivisa alla fonte di ogni ente particolare, non fece altro che declinare Spinoza senza i<br />
veli della consolazione illusoria.<br />
In questa declinazione coerente, l’unica opportunità era offerta dal non essere: la<br />
salvezza si ottiene grazie ad una perfetta uscita dal mondo, cioè dalla trasformazione<br />
della voluntas in noluntas.<br />
Quando Schopenhauer completò il suo sistema shivaita, le suggestioni gnostiche,<br />
attestate in Lutero e in Böhme e dichiarate apertamente in Hegel, avevano già alluvionato<br />
la cultura europea. La noluntas cospirava felicemente con le fantasticherie gnostiche<br />
intorno al prepadre, il puro poter essere, l’antitesi all’Essere perfettissimo della rivelazione<br />
giudeo-cristiana. Schopenhauer aveva abbandonato la scienza di Cartesio e Spinoza per<br />
lasciarsi trasportare dalla corrente del Gange.<br />
L’ultimo atto della guerra europea contro la ragione fu il passaggio da un’ebbrezza<br />
all’altra, cioè la peregrinazione di Nietzsche dall’India di Shiva alla Grecia di Dioniso.<br />
Curiosamente la nozione di eterno ritorno irruppe quando la mente di Nietzche era<br />
affaticata dagli studi spinosiani, irritata dalla polemica con Wagner, e sconvolta dall’abuso<br />
di oppio.<br />
Il drammatico deragliamento di Nietzsche è stato ricostruito con puntiglio da un acuto<br />
biografo, Johachim Köhlr, il quale, fra l’altro, cita un eloquente biglietto di Nietzsche: “Per<br />
abbondanza di vita il superuomo ha le apparenze del fumatore di oppio”.<br />
Non solo le apparenze. Quasi prigioniero di un micidiale triangolo allucinatorio, Nietzsche<br />
oscillava tra il dionisismo oppiaceo, l’irenismo etico di Spinoza e il virtuismo distruttivo di<br />
Schopenhauer. In fondo al pozzo della delizia dionisiaca, ad attendere Nietzsche c’era la<br />
luna doloristica di Schopenhauer. Il nichilismo: grido della gioia, che prepara il più grande<br />
dolore. Come si legge nel “Crepuscolo degli idoli”: “La vita comprende anche i problemi<br />
più oscuri e avversi, la volontà di vita, che nell’immolare i suoi esemplari più alti sente la<br />
gioia della propria inesauribilità”.<br />
Il cerchio si chiude. Hermann Hess, grande intenditore di dottrine esoteriche, dirà che<br />
“Nietzsche inaugura una capacità illimitata, geniale, spaventosa di soffrire”. Nell’intento di<br />
riportare la sentenza di Schopenhauer alla fittizia gioia di Spinoza, Nietzsche ha<br />
involontariamente svelato il volto sfuggente dell’antivita.<br />
Nozze<br />
Dagli omosessuali la libertà?<br />
La legge olandese, dopo aver pronunciato un’inaudita parola sul topos dell’amore, ha<br />
consacrato solennemente la famiglia omosessuale. Nell’infiorata generale suona la<br />
marcia nuziale, si tagliano le torte, volano i semi del riso propiziatorio della fecondità.<br />
Fecondità? Non guardiamo per il sottile. L’essenziale è che siamo tutti più liberi. L’area<br />
del principio che vieta il vietare si allarga. Lo annunciano i telegiornali, mentre l’etere<br />
diffonde le immagini di un delizioso matrimonio tra signorini e signorinelle<br />
capricciosamente assortiti. Il diritto olandese invade l’orbe mediatico. Solerti e radiosi i<br />
mezzibusti magnificano la splendida vittoria del principio di tolleranza sulla repressione<br />
oscurantista e nazista. Lo schermo si colora d’arancio olandese. Il mondo civile ha vinto
un’altra guerra di liberazione. L’importanza della storica vittoria à confermata dalla<br />
testimonianza di due maschietti in abito da cerimonia: prima della promulgazione della<br />
legge olandese, essendo in viaggio nel Guatemala, furono costretti a dormire in camere<br />
singole, perché sprovvisti del certificato di matrimonio richiesto (da una legge di stampo<br />
nazista) a quanti prenotano una camera doppia. D’ora in avanti un simile abuso<br />
segregazionista e razzista non sarà più possibile. Gli sposini annunciano solennemente<br />
che il Guatemala omofobo e proibizionista subirà una dura lezione: la coppia<br />
d’avanguardia, in occasione della luna di miele, farà ritorno all’albergo proibito, esibirà il<br />
certificato olandese e otterrà finalmente la camera matrimoniale. Un evento memorabile. I<br />
catechisti olandesi sono già in fibrillazione. Forse la notte d’amore sarà trasmessa in<br />
diretta. Corre il nome del telecronista: un allievo olandese di padre Schillebeeckx.<br />
La rivoluzione libertaria fa un passo avanti ed espugna il letto a due piazze (legalmente<br />
riconosciute e protette dalla monarchia olandese). Tra le lenzuola guatemalteche batte<br />
l’ora storica della liberazione. L’orgoglio omosessuale ha domato il demone<br />
dell’intolleranza nera. Bandiera arancione la trionferà. Siamo tutti più liberi e felici? Il<br />
nazismo si combatte facendo la guardia alle lenzuola. Sul vessillo della sinistra europea<br />
garrisce la parola fondamentale della pederastia.<br />
Il nazismo è vinto? In altre parole: il nazismo, a parte il presunto eretico Ernst Röhm, era<br />
veramente omofobo? Nei gloriosi giorni del matrimonio olandese le librerie d’America<br />
decretavano il successo di “Pink swastica”, opera che corona il la fatica pluriennale degli<br />
storici Scott Lively e Kavin Abrams, (Founders publisher corp., P.O. box 2037 Kaiser<br />
Oregon 97307).<br />
“Pink swastika” ricostruisce meticolosamente la storia dell’assassinio del cancelliere<br />
austriaco Engelbert Dolfuss da parte dei nazisti. Il fatto curioso è che la ricerca di Lively e<br />
Abrams ebbe inizio dopo la lettura di un articolo pubblicato dal giornale fascista “Il popolo<br />
di Roma” sotto il titolo “Pederasti assassini comandano a Berlino”.<br />
Si era all’inizio dell’agosto 1934 e nessuno dubitava sul movente politico dell’assassinio<br />
del cancelliere austriaco, che si opponeva duramente all’unione dell’Austria alla<br />
Germania. Perché allora il giornale fascista scriveva “pederasti assassini”? Per<br />
rispondere a questa domanda i due storici americani hanno esaminato la massa dei<br />
documenti d’archivio che riguardano l’affaire Dollfuss e sono giunti ad uno strabiliante<br />
risultato: nel periodo tra il 1907 e il 1912, Adolf Hitler aveva esercitato la prostituzione<br />
maschile a Vienna. Dolfuss aveva raccolto la documentazione dell’attività infamante<br />
svolta dall’apprendista fuhrer e ne aveva informato Mussolini. (Questo spiega, tra l’altro,<br />
la frequenza delle battute sarcastiche sul fuhrer effeminato, che Mussolini recitava<br />
davanti ai giornalisti).<br />
Dollfuss fu ucciso perché i nazisti volevano far tacere colui che possedeva le prove del<br />
passato imbarazzante di Hitler. Imbarazzante oggi, infamante nel 1934. Fine del mito<br />
intorno all’eroica guerra combattuta dai pederasti per vincere l’omofobia nazista. Quale<br />
omofobia e quale vittoria? Al centro della swastika rosa splende la parola più amata dai<br />
pederasti.<br />
Nucleare<br />
Freni o incentivi allo sviluppo?<br />
Dopo aver dato fiato iniziatico alla tromba reazionaria del pauperista Geminello Alvi, il<br />
"Corriere della Sera" ha pubblicato un editoriale di Alberto Ronchey, nel quale si tenta di<br />
esaminare pacatamente i princìpi che ispirano i fautori dello sviluppo nell’età dell’incubo<br />
ecologico. In particolare Ronchey ha esaminato le ragioni che hanno convinto il<br />
presidente Bush jr ad approvare un piano inteso alla costruzione di settanta nuove
centrali nucleari e allo sfruttamento dei ricchi giacimenti petroliferi dell'Alaska. Il vento di<br />
destra che tira in Italia, ha convinto l’editorialista del Corriere a riconoscere che un paese,<br />
nel quale l’espansione del prodotto lordo raggiunge un ritmo del 4% l’anno e l’incremento<br />
della domanda di energia l’8%, non può eludere e nemmeno rinviare la decisione di<br />
disporre provvedimenti risolutivi. La “svolta” di Bush, dunque, è dettata dall’evidente<br />
pericolo di una recessione economica incontrollabile e non da un’astratta ideologia.<br />
Con coraggio inusuale, Ronchey sfida la tirannia del pregiudizio e perciò confuta le tesi<br />
degli ecoterroristi sottoscrivendo la più temuta e censurata fra le verità scientifiche del<br />
nostro tempo: "A differenza del carbone o del petrolio, l'atomo genera energia pulita.... La<br />
tecnologia oggi produce reattori sempre più sicuri".<br />
La considerazione realistica dei fatti costringe ad ammettere che l'insidia all'ambiente oggi<br />
non è costituita dal nucleare ma dall’uso indiscriminato di energia ricavata dal petrolio o<br />
dal carbone. Oggi la via dello sviluppo compatibile coincide con la via del nucleare:<br />
l'aspirazione al progresso è sostenuta unicamente dalle possibilità del nucleare. Nessuno<br />
può seriamente negare che progresso tecnologico e lo sviluppo del nucleare sono<br />
inseparabili. Chi promuove il benessere diffuso deve necessariamente provvedere al<br />
sostegno del “nucleare”.<br />
Mentre si delinea la figura di una destra intesa allapromozio del progresso, si svela il<br />
paradosso dell’età postmoderna: nella sinistra postcomunista prevale una ideologia non<br />
più riconducibile all’istanza "progressista". Le escandescenze dello zoccolo duro che si è<br />
schierato contro la globalizzazione, non esprimono (come vogliono far credere i “media”) i<br />
legittimi timori sui possibili e forse reali errori e ingiustizie dei G8 ma nascondono un<br />
feroce pregiudizio, e un pregiudizio di stampo superstizioso, contro la tecnologia.<br />
Ora il sospetto che le manifestazioni contro il G8 siano motivate dal furore<br />
antiprogressista della nuova ideologia è confermato dall'abbondanza dei segnali<br />
inequivocabili lanciati continuamente dai mass media. Prendiamo ad esempio la dottrina<br />
di Aldo Grasso, ispiratore e grande architetto degli spettacoli allestiti da quella sinistra<br />
televisiva, che ha trasformato in mitologia le cronache del teppismo verde. Grasso, nel<br />
suo ponderoso saggio sulla radio e la televisione, si lascia trasportare dagli impulsi<br />
apocalittici della calassomania e perciò definisce illusorio il principio che sta a fondamento<br />
della cultura occidentale (dopo Platone) e dell’idea di progresso (dopo i Padri della<br />
Chiesa), cioè l'attribuzione al pensiero dell'idoneità a conoscere e a modificare<br />
(scientificamente) l'esistente.<br />
Dietro ad un così assurdo disconoscimento dell’idea di progresso e dei fatti della storia,<br />
non c'è niente di sensato, di razionale e di scientifico. Infatti Aldo Grasso si trincera dietro<br />
il mito irrazionalista del canto delle sirene, e scrive: "il canto dell'abisso che, inteso una<br />
volta, apriva in ogni parola un abisso e invitava con forza a sparirvi dentro". Il canto<br />
dell'abisso diventa il simbolo dell'inganno metafisico, che trionferà sul potere tecnologico<br />
adempiendo alla catastrofica profezia di Haidegger-Calasso. La disperazione del<br />
nichilismo oligarchico pertanto si traduce nella serenata oscurantista contro il progresso<br />
plebeo.<br />
Per uno strano caso, che assomiglia ad un gioco delle parti, lo stesso giorno in cui è<br />
apparso l'articolo di Ronchey, la "Stampa" ha pubblicato un furente editoriale contro Bush<br />
e la sua politica per lo sviluppo, editoriale firmato nientemeno che da Mina, la reginetta<br />
della canzone d’intrattenimento.<br />
Mina, recentemente illuminata nella scuola filosofica del sublime (con doppia zeta)<br />
Celentano ritiene di aver i titoli per discettare (cantando) sui massimi sistemi. Nel suo<br />
articolo, infatti, si leva una nota altissima e acrobatica: la citazione (a titolo di prova a<br />
sostegno dell’obiezione ecologica al progresso) di un vecchio ipocondriaco, Winston<br />
Churchill, il quale, molti anni prima che i problemi dell’ambiente fossero conosciuti,
professava la speranza di essere morto prima che gli obiettivi dichiarati dalla scienza<br />
dello sviluppo (a beneficio delle masse) fossero raggiunti.<br />
Presa dal ruolo di pensatrice della rivoluzione avventizia, Mina ripete a squarciagola la<br />
serenata del repertorio iniziatico, senza accorgersi del livore bavoso, che colava, insieme<br />
con la disperazione, dalla bocca di Churchill, oligarca, offeso mortalmente dal bene della<br />
"popoulace". Rimane tuttavia il fatto che questo livore senile e crepuscolare è la fonte<br />
inavvertita della passione che muove gambe e braccia degli ecoteppisti contro le vetrine<br />
del benessere. La sola fonte, temiamo.
O<br />
Omofilia<br />
Orme<br />
Orrore<br />
Omofilia<br />
Dalla Germania profonda<br />
Nella primavera del 1934, Leo Longanesi si recò nella profonda Germania di Hitler con<br />
l’intenzione di raccogliere notizie sui pensieri e i costumi del nuovo regime. Visitò alcune<br />
università, caserme, sedi di giornali e di partito. Al ritorno in Italia scrisse due soli<br />
memorabili versi, che rappresentano l’urgente consiglio rivolto dalla saggezza italiana ai<br />
viaggiatori nel III Reich germanico:<br />
A Monaco di Baviera<br />
mutande di lamiera.<br />
La pederastia è la cosa migliore che oggi si può ricordare del nazismo. Sia detto senza<br />
scandalo. La vocazione dei capi nazisti alla pederastia è messa fuori discussione da<br />
un’ingente letteratura iniziatica, edita con copertine color pastello, e perciò non è il caso di<br />
discuterne. Merita invece la curiosa attenzione degli italiani refrattari il ridicolo tentativo,<br />
messo in atto da un manipolo di intellettuali neodestri, di riqualificare, mediante appelli<br />
alla pederastia politicamente corretta, quelle suggestioni germaniche che furono il brodo<br />
di cultura dell’ideologia hitleriana. Per carità: ognuno è libero di scegliere la sua parte<br />
spirituale. C’è chi apprezza le tempeste nello stile tebano di Ernst Jünger, chi le sedute<br />
psicoanalitiche con Carl Jung e chi le sceneggiate del noto comico piemontese Fanfulla<br />
(quello che si travestiva da marinaio e gridava: sono una nave, siluratemi!). Nessuno<br />
intende reprimere i gusti e le legittime aspirazioni che sono nutrite dai pensatori della<br />
neodestra. Se ne parla per quella semplice curiosità che aveva indotto Longanesi a<br />
visitare la nuova Germania. Ma la prudenza è (come suol dirsi) un optional. Pur restando<br />
in Italia, dichiariamo solennemente che in Baviera oggi (come ieri) si può andare<br />
liberamente anche senza capi di lamiera. E di più: il nazismo ha stabilito il diritto civile del<br />
viaggiatore senza mutande. Almeno in questo, Hitler è sopravvissuto alla propria<br />
catastrofe. Si parla dunque in senso puramente accademico, cercando di non uscire dal<br />
solco del pederasticamente corretto. Come dice Pietrangelo Buttafuoco il destino<br />
dell’estrema destra “è quello di dire meglio quello che la sinistra balbetta e non riesce poi<br />
a spiegarsi”. Il discorso è chiaro e forte. Allons enfants de la nouvelle droite, è il giorno<br />
della gloria, per così dire. E’ l’ora: lamiera o non lamiera, guerra alla femmina nera.<br />
Ed ecco il mensile Area, dove ad un redattore che esalta l’amicizia dell’elegante<br />
intellettuale italiano Roberto Calasso per il cinedo viaggiante Chatwin, segue un redattore<br />
che spaccia per milizia di destra le meravigliose prestazioni esistenziali di Pasolini.<br />
Qui la curiosità finisce. Infatti l’onda dell’entusiasmo e dell’ammirazione per l’avanguardia<br />
sessuale trascina il neodestro Pietrangelo Buttafuoco oltre il limite del “curioso” e lo fa<br />
atterrare nel vespasiano dove si parla il linguaggio militante. Il “Giornale” recentemente ha<br />
pubblicato una nota del Buttafuoco dove si racconta che i nazisti italiani si recavano da<br />
Gegé (Pio XII) per fare la mano morta, “mano morta in natica santa”, testualmente.<br />
Sorvoliamo sulla pederastia neonazista, che delizia il raffinato Buttafuoco. Non c’è da<br />
vantarsi ma si tratta di una moda, che va tollerata, come tutte le mode imposte dal potere<br />
arrogante: alla fine passeranno. Ma non si capisce per quale ragione l’editore sopporta
che il suo giornale sia usato impunemente come portavoce dai neodestri, persone<br />
scomposte, che urlano nel vespasiano, e urlano contro la memoria di un pontefice che<br />
non può difendersi. Perché nessuno reagisce al disgustoso rigurgito della fellonia<br />
nazista? La fierezza resistenziale arretra davanti alla sacralità del vespasiano, e tollera<br />
che il pensiero nazista offenda una figura cara ai credenti italiani.<br />
Orme<br />
Orme del sacro e fantasmi della ragione<br />
I sofisti, banditori del nichilismo nella Grecia antica, vivevano come apprendisti stregoni,<br />
rapiti dal vortice perpetuo della logorrea e trascinati fuor di solco. Infatti la chiacchiera<br />
sofistica, agitata dalla smania di persuadere e prevalere ad ogni costo, alterava il<br />
pensiero e lo costringeva a predicare l’essere del niente. I sofisti greci smarrirono la<br />
solida via dell’essere, perché il desiderio di trarre vantaggio dalla discussione, condotta<br />
nello spregio della verità, li induceva al rifiuto del principio di ragione e li spronava al<br />
catastrofico volo nell’irrealtà.<br />
Aristotele, nel IV libro della Metafisica, dimostrò precisamente che la coerenza illogica<br />
forzava i negatori del principio d’identità e non contraddizione (secondo il quale “è<br />
impossibile che il medesimo attributo nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga<br />
al medesimo oggetto e nella medesima relazione”: è impossibile che Tizio sia uomo e<br />
simultaneamente trireme) ad ammettere che l’uomo è anche trireme, quindi che “tutte le<br />
cose sono confuse insieme”.<br />
Ora la confusione panica, cui si appellavano i sofisti sbilanciati dalla ciarla e coatti dalla<br />
tracotanza, non esiste realmente, perché abita astrattamente nell’ipotesi intorno<br />
all’indifferenziato.<br />
Aristotele concludeva, pertanto, che i negatori del principio di non contraddizione “quando<br />
credono di parlare dell’essere, parlano del non essere. Infatti ciò che esiste in potenza e<br />
non in atto è appunto l’indeterminato”. La conclusione aristotelica significa che solo<br />
l’essere è, dunque dimostra che il nichilismo è una chimera sdrucciolante sull’inganno<br />
della parola doppia.<br />
L’intrusione della magia nera e della psicoanalisi junghiana nel discorso filosofico dei<br />
postmoderni ha, purtroppo, accelerato la corsa al delirio nichilista. La chimera incombe.<br />
Priva della saggio vertigine del vuoto, l’astuzia rettilinea dei pensatori deboli sorpassa, a<br />
fulminante velocità, la sofistica, che danzava nel circolo ermeneutico.<br />
Il nulla dilaga in quarta marcia. La gara è dominata dagli assi del pensiero veloce. Il<br />
rombante duo Umberto Galimberti – Eugenio Scalfari, ad esempio. Puntano in alto. Sul<br />
capo non hanno lo scolapasta di Napoleone ma la piramide con l’occhio supremo. L’aura<br />
sacra circola nella leggiadra redazione di Repubblica.<br />
Naturalmente la teologia è un duro sasso da digerire per due atei dichiarati. Per<br />
conquistare l’occhio sacro, occorre sfuggire al confronto diretto con la logica, cioè<br />
sconvolgere l’aristotelismo aggirando le leggi del pensiero. Senza transitare per<br />
l’impraticabile via dei sofisti.<br />
Ma il <strong>postmoderno</strong> è una stagione buona per tutti i passaggi funambolici. Senza problemi,<br />
Galimberti, prima di elevare Scalfari all’altezza piramidale della divinità atea, si appella<br />
alla filosofia oracolare dei presocratici, dove il fondamento è posto nel “sacro”, cioè in un<br />
dio “incapace di articolare le differenze, senza di cui non si dà alcun procedere della<br />
ragione” (Umberto Galimberti, “Orme del sacro”). Scampato al trabocchetto della<br />
persuasione, il pensiero del nulla s’impossessa della lingua, l’arroventa e le fa sputare un<br />
vaniloquio fumante, ma senza capo né coda: dalla notte indifferenziata del sacro, in cui<br />
abita un dio privo d’identità e memoria, l’elucubrante Galimberti estrae l’immagine di un
uomo più che divino (Eugenio Scalfari), che si emancipa dal sacro con gesto violento. La<br />
coscienza nasce dall’inconscio. La distinzione dall’indistinto. L’essere dal nulla. Scalfari<br />
emerge dal sacro. Viviamo dunque nell’età della ragione scalfariana? Quando si tratta del<br />
duo Scalfari-Galimberti si esige cautela. “Che l’Io [di Scalfari] determini la nostra vita<br />
come nostro destino è solo una faccia della verità. L’altra faccia è che noi siamo vissuti<br />
dalla forza della vita più di quanto l’Io, nell’ebbrezza della sua recitazione, sia capace di<br />
sospettare”. In questa prospettiva teatrale, i codici razionali appaiono asserviti ad una<br />
pulsione naturale, che trasferisce all’indeterminato le vesti culturali dell’apparente libertà.<br />
L’autonomia della ragione umana, dunque, è una menzogna millenaria: il mondo<br />
appartiene all’informe notte del sacro, dove l’uomo è uomo e trireme. La piramide di<br />
Scalfari guarda il mondo con occhio corrusco e governa i lettori di “Repubblica” in nome<br />
della confusione sovrana. Avverte Galimberti: “Non dimentichiamo che il super-Io è una<br />
dimensione inconscia”. Senza intenzione d’offesa, Aristotele direbbe che Scalfari è il<br />
luogotenente del nulla. Ma per tenere occorre che ci sia la cosa tenuta dal tenente,<br />
eventualità che la teologia scalfariana, in ultima analisi, esclude. Forse il nulla è il<br />
luogotenente di Scalfari? Se Scalfari concede a Scalfari l’esistenza. Ma chi conosce i<br />
pensieri del sacro?<br />
Orrore<br />
Il teatrino dell’orrore<br />
Nel malinconico crepuscolo dell’ideologia, Barbara Spinelli consiglia la contemplazione<br />
della violenza sessuale sui minori quale via alla conoscenza del male necessario e perciò<br />
rivolge a Gad Lerner l’invito a non cedere ai benpensanti e a perseverare nella<br />
divulgazione giornalistica delle immagini orribili, che svelerebbero il vero volto<br />
dell’umanità. Infatti “il turbamento [causato, ad esempio, dalle scene di pedofilia] fa male,<br />
non di rado offende, ma aiuta a pensare l’impensabile, l’indicibile”.<br />
L’apparizione, nelle colonne di un giornale che si dichiara laico, progressivo e<br />
razionalista, di parole tratte dal gergo misterioso delle chiromanti non deve sorprendere<br />
chi conosce il domicilio crepuscolare e irrealistico, ultimamente eletto dalla cultura di<br />
sinistra.<br />
Dopo la disfatta storica del socialismo reale e delle sue illusioni, agli intellettuali di sinistra<br />
non rimane altro che arrendersi ai decadenti della destra magica, adottandone il progetto<br />
inteso all’uscita dal mondo, da questo mondo refrattario al sogno utopiano e, perciò,<br />
senza futuro.<br />
L’ultima parola del progressismo è l’imprecazione manichea: porco mondo. “Oscena non<br />
è la notizia ma la vita”, proclama la Spinelli.<br />
L’indicibile, l’impensabile, che l’imperiosa editorialista incita a scoprire, è la desolante<br />
certezza della morte di Dio e dell’irreparabile, sacra malvagità del tutto, nel quale<br />
l’umanità si colloca “come ospedale di alienati”.<br />
La censura contro l’orrore, pertanto, deve essere abolita e i giornalisti televisivi<br />
incoraggiati “a far vedere ancor più crudamente le cose che non vanno: l’orrore degli<br />
orfanotrofi russi” (ad esempio). Le immagini più sconvolgenti devono essere diffuse<br />
affinché gli uomini possano contemplare la loro perdizione nello specchio fatale<br />
dell'orrore.<br />
Le immagini efferate, secondo la Spinelli, sono una medicina per l’anima. Dannose,<br />
diseducative sono, invece, le felicità mostrate dalle televisioni kitsch, gli spettacoli di<br />
intrattenimento e tutti i programmi “che si sforzano di non intristire gli spettatori”.<br />
All’umanità, orfana del progressismo, ormai compete solo la cronaca nera, illuminata da<br />
una teologia mortuaria.
A questo punto la Spinelli sfodera un argomento che fa intravedere gli orizzonti di quel<br />
totalitarismo della disperazione che cova sotto le fiere passioni, che oppongono il teatrino<br />
dell’orrore alle (imperdonabili) banalità della televisione d’intrattenimento.<br />
Scrive la Spinelli: “E’ guardando in faccia le perversioni naziste che i tedeschi dell’Ovest<br />
hanno cominciato la loro catarsi”. I tedeschi purificati dalla visione dell’orrore non erano<br />
colpevoli dei delitti nazisti. E l’orrore che si mostrava non era associato all’immagine<br />
rasserenante di una superiore giustizia. Lo spettacolo era deprimente e gli spettatori<br />
(secondo la Spinelli) erano soggetti di un esperimento di purificazione mediante la vista<br />
del male trionfante.<br />
E spettatori forzati: “Gli americani li obbligavano a guardare i film sui campi di sterminio,<br />
insopportabili a vedersi, in cambio delle razioni alimentari postbelliche”.<br />
La Spinelli propone un magnifico modello di educazione liberale: costringere gli affamati<br />
ad assistere a un orrore senza riscatto.<br />
Ammessa (con qualche difficoltà) la verità del racconto, sarebbe corretto concludere che<br />
gli americani sono stati colpevoli di un lavaggio del cervello. Il vero problema, tuttavia, è<br />
posto dall’inutilità del “lavaggio” esaltato dalla Spinelli. Lo spettacolo sconfortante, al<br />
quale i tedeschi erano (o sarebbero stati) costretti ad assistere, non aveva infatti alcun<br />
valore catartico, poiché mancava una conclusione positiva (il male è vinto dalle forze del<br />
bene, la giustizia è ripristinata). Il fine dello spettacolo era la pura esibizione del male: la<br />
consolazione, secondo la Spinelli, era omessa perché appartenente al genere kitsch.<br />
Questo significa che l’azione catartica consiste nella rappresentazione del male come<br />
realtà senza alternative.<br />
Il bello è che, il giorno prima, nelle colonne del “Corriere della Sera”; un altro orfano del<br />
progressismo, Sebastiano Vassalli, accusava Berlusconi di aver violato la libertà degli<br />
attori e degli spettatori, mandando in onda “Il grande fratello”: “un esperimento scientifico<br />
come avrebbero potuto concepirlo gli scienziati del Terzo Reich, i Mengele, i Clauberg, i<br />
Ding-Schuler ecc.”<br />
Ora contemplare il male nella sua “assolutezza” è un incubo e, in quanto tale, non purifica<br />
ma istiga alla disperazione. L’azione educativa della Spinelli incomincia e finisce<br />
all’interno di una finzione invivibile e ossessa. In questo vicolo cieco la sola purificazione<br />
possibile è la capitolazione davanti alla vita oscena, cioè l’uscita dal cosmo, l’abbandono<br />
disperato al fantasma del disordine globale.<br />
Il progressismo è la metafora di un disastro annunciato. Come l’inascoltato genio di<br />
Kierkegaard aveva dichiarato all’Ottocento ebbro di ideologie, “quando un uomo,<br />
accecato dalla passione terrena, si volge verso l’avvenire, si trova all’opposto dell’eterno,<br />
e il domani diventa per lui simile al mostro gigantesco e confuso delle favole”.
P<br />
Pasolini<br />
Patria<br />
Pedofilia<br />
Pio XII<br />
Porta Pia<br />
Progresso<br />
Pasolini<br />
L’ebbrezza funeraria<br />
Nel 1949, Pier Paolo Pasolini, reo di corruzione di minori e di atti osceni in luogo pubblico,<br />
fu espulso dal Pci “per indegnità morale e politica”. Correvano gli anni austeri di Stalin, e<br />
la filosofia sovietica era dominata dal realismo di Lukács, il maestro di Camera e Fabietti,<br />
che autorizzava la rivoluzione senza i guanti bianchi, ma non tollerava le trasgressioni. In<br />
altre parole: sì al virile omicidio, no all’effeminatezza. Nel 1956 il rapporto Chruscev mise<br />
fine allo sdoppiamento della morale: fu duramente confermata la rivoluzione senza guanti<br />
bianchi [la pratica omicida continuò allegramente nelle radiose giornate della repressione<br />
carrista a Budapest e nell’ordinaria amministrazione dell’Arcipelago Gulag], in compenso<br />
la pederastia cominciò ad entrare nel mirino della tolleranza d’apparato.<br />
In campo estetico la svolta chrusceviana del 1956 significò interruzione del conflitto tra<br />
realismo proletario e intimismo borghese e il congedo della vigilanza dell’apparato sulla<br />
letteratura. Non la fine della cultura comunista ma la sua involuzione trasgressiva. Infatti il<br />
1956 è l’anno di “Officina”, la rivista che sanziona la fine del neoralismo, dichiara la libera<br />
uscita dei letterati e decreta il successo del pasoliniano “Ragazzi di vita”. La diversità<br />
imbarazzante e quasi intoccabile del poeta friulano esce dal margine vergognoso del Pci<br />
e diventa il vessillo della sinistra orgogliosamente marciante.<br />
Alberto Asor Rosa ha scritto che Pasolini rappresenta il passaggio dal neorealismo “ai<br />
miti della regressione sottoproletaria”, ossia la prova generale della sostituzione del<br />
binomio Marx-Lukács con il quadrinomio Nietzsche-Freud-Mann-Bataille. Pasolini è<br />
dunque l’emblema del passaggio dall’illusione rivoluzionaria alla rivoluzione del nulla nel<br />
vespasiano. Lo conferma un interessante saggio di Ilario Quirino, edito recentemente da<br />
Costantino Marco. Nel saggio in questione, l’autore approfondisce una tesi di Alberto<br />
Zigaina (secondo il quale Pasolini cercò disperatamente la propria morte) e, con il<br />
sussidio di alcune teorie psicoanalitiche, compone il ritratto di un uomo scismatico, che si<br />
aggira (quasi rapito da mistico furore) tra le perversioni atroci e le punitive delizie, che<br />
sono descritte nel romanzo autobiografico “Petrolio”. E’ il ritratto paradossale di un<br />
bacchettonismo “oltre umano” infuriante nel lupanare. In questo aveva ragione Adriano<br />
Romualdi, quando scriveva: “Come il più basso D’Annunzio, Pasolini è ad un tempo<br />
esteta e cruscante, amatore e collezionista di preziosità linguistiche, ricercato e fatuo. E<br />
come molte prose dannunziane, la prosa pasoliniana, pur capace di abilissime bravure, ci<br />
stanca o meglio ci stucca. … In fondo Pasolini è un nietzschiano. I suoi eroi, cui tutto è<br />
permesso, hanno il loro bravo posto tra le falangi delle scimmie di Zarathustra, che hanno<br />
invaso l’Europa. Gli elementi della sua concezione generale della vita rimangono,<br />
nonostante le verniciature marxiste, sul terreno del ritualismo spicciolo tra i detriti dei<br />
grandi tentativi romantici”.<br />
Purtroppo Quirino non considera il versante nietzschiano di Pasolini e perciò perde di<br />
vista lo steccato che divide il misticismo dalla paranoia. Infatti cita un testo pasoliniano,
nel quale l’alienazione suicidaria, (“la disperazione degli uomini destinati ad essere<br />
morti”), incide un carattere misterioso (“il sentimento primo di non essere accolti con<br />
amore”) sulla regressione “più terribile e incurabile”. La tensione tra l’amore e la morte,<br />
che attraversa tutta l’opera di Pasolini, sarebbe dunque la conseguenza di una ferita<br />
originaria, e di una speciale vocazione religiosa. Dalla mistica confusione di malattia e<br />
vocazione all’incursione nella teologia di san Paolo intorno allo “stecco nella carne” il<br />
passo è breve. Pasolini fu realmente incuriosito dalla teologia paolina, come risulta dalle<br />
assonanze che Quirino sottolinea puntigliosamente.<br />
Se non che la curiosità pasoliniana era intorbidata dall’intenzione della più bassa<br />
propaganda comunista e pederastica. Nel progetto per il film su san Paolo, infatti, santo<br />
Stefano diventa un partigiano comunista, i farisei hanno la parte dei nazisti invasori e san<br />
Paolo quella del collaborazionista, prossimo a convertirsi all’ideale. In seguito Pasolini (lo<br />
sottolinea senza difficoltà anche Quirino) circonda il rapporto dell’Apostolo con Timoteo<br />
“delle caratteristiche sessuali che hanno infiammato la vita dell’autore”. In breve: è in atto<br />
il tentativo di affondare il Cristianesimo nelle imposture della pederastia politicamente<br />
corretta.<br />
L’opera di Pasolini è dunque una metafora del comunismo nella fase “ultima” e<br />
mistificatoria: sarebbe interessante esplorare le suggestioni iniziatiche (di stampo<br />
marcionita) che ricorrono nelle pagine più “alte” della sua opera. In Pasolini le illusioni<br />
ideologiche si convertono ai consolamenti del vizio approvato dal potere. E dalla<br />
protervia: mentre san Paolo scriveva con la mano deformata dalla fatica, Pasolini<br />
pubblicava, ricevendo compensi sontuosi, i suoi scritti “corsari” e le sue parodie della<br />
povertà, nelle colonne di un quotidiano oligarchico. E delle più bieca e fumosa oligarchia:<br />
nel “Corriere della Sera” il comunismo finiva come scienza e diventa religione del potere.<br />
Patria<br />
Amor di patria e amor di palcoscenico<br />
I lampeggiatori lampeggiano, Rutelli romba e sgomma. Lo storico sorpasso è imminente?<br />
Il 13 maggio gli elettori hanno spento la freccia. Ma l’immagine della patria è salva. Forse<br />
salva. Rutelli, ha annunciato con toni solenni, la fantastica decisione di sgominare<br />
Umberto Bossi e la Casa delle libertà cantando l’inno di Mameli.<br />
Un radicale, noto per le battaglie libertarie e pacifiste, che mette l’elmo scipionico e dando<br />
braccio al trio Mastella-Dini-Castagnetti, si dichiara pronto a morire audacemente nella<br />
guerra del 1848 contro l’Austria, è un colpo di teatro, che spezza il respiro della<br />
concorrenza.<br />
La trama psicoanalitica di “Dallas” bussa alla porta della politica italiana. La fantasia non<br />
andrà al potere, ma lo sceneggiatore americano di Rutelli ha dimostrato magnificamente<br />
che il potere della fantasia non conosce limiti.<br />
Nessun limite, eccetto la diversa memoria degli italiani, ai quali un’esibizione canora non<br />
basta a far dimenticare la parte eminente che la forsennata campagna contro l’amor di<br />
patria ebbe nella strategia comunista e radical-chic intesa al sovvertimento della morale.<br />
Una pagina della storia cattolica, che la sinistra di salotto e di sacrestia ha tentato di<br />
rimuovere dalla memoria italiana, contempla, infatti, la strenua e disperata difesa<br />
dell’amor di patria, sostenuta da Nino Badano nell’isolamento quasi totale, in cui era<br />
ridotto dal chiasso anarchico degli agitatori conformisti e dall’omertà dei clericali senza<br />
princìpi.<br />
Nino Badano è stato una delle più limpide figure del Novecento letterario italiano.<br />
Refrattario all’ideologia fascista (e di conseguenza imprigionato e confinato lungamente)
non si lasciò accecare dal rancore e tenne fede ai doveri verso la patria, anche se al<br />
governo stavano i suoi persecutori.<br />
Nella splendida regola dello junior, scritto su commissione dell’Azione cattolica, e<br />
ripubblicata dalla sorella Emilia, Nino Badano scriveva: “Servi la Patria con amore. Non<br />
solo con fedeltà assoluta, non solo con onore immacolato, non solo donando la parte<br />
migliore di te stesso, anche la vita se occorre, questo molti lo sanno fare. Ma tu devi<br />
servire la Patria con amore. E’ molto di più, è infinitamente di più amare che dare la vita”.<br />
Non erano chiacchiere. L’impegno eroico dei giovani cattolici era di vincere la sfida con<br />
l’ideologia fascista dimostrando coi fatti la superiorità dell’amore. Fatti non canzoni da<br />
cantare con Mastella.<br />
Badano dimostrò la superiorità della fede cristiana nei campi di battaglia, dove si<br />
comportò da valoroso, nei campi di concentramento, dove sopportò con pazienta santa, e<br />
nella vita civile, dove si oppose a qualunque chimera ideologica, sempre rischiando e<br />
pagando di persona.<br />
Nominato da Pio XII direttore (“scomodo”) del prestigioso “Quotidiano” cattolico e stretto<br />
collaboratore del cardinale Siri dal 1950 al 1964, fu vittima di un’indegna manovra di<br />
alcuni vescovi progressisti, che, per allontanarlo dal posto di responsabilità, trassero in<br />
inganno due pontefici, Giovanni XXIII e Paolo VI.<br />
Nominato direttore del “Giornale d’Italia” nel periodo della proprietà di Angelo Costa, fu<br />
all’avanguardia dell’opposizione al centrosinistra. Fu estromesso quando, nel 1969, la<br />
Confindustria e la Fiat (scoperta l’utilità del centrosinistra) pretesero e ottennero la vendita<br />
della testata e il licenziamento del direttore.<br />
Nel 1970, quando la nube sessantottina aveva già intossicato l’Italia, Nino Badano era il<br />
primo nella lista degli intellettuali sconfitti ed emarginati. La morale anarchica garriva nel<br />
vento rosso della storia. Sul labaro dei conformisti fiammeggiavano le parole indecenza e<br />
viltà. Ma la sconfitta della dignità cattolica precedeva, nel tempo della speranza vittoriosa,<br />
l’effimero successo della rivoluzione nichilista.<br />
La fede lungimirante di Badano e dei suoi amici poteva presentare in anticipo di trent’anni<br />
il conto della storia reale e domandare ai promotori delle orge pacifiste: “Come sono i<br />
giovani imbottiti di propaganda libertaria e antimilitarista, di disarmo universale, di<br />
liberazione dal bisogno? Sono diventati miti e mansueti? Hanno dimenticato e ripudiato la<br />
violenza? Eccoli questi giovani: le cronache dei giornali sono piene delle loro gesta.<br />
Senza andare ai mostri criminali usciti dai branchi degli hippies ribelli ad ogni legge, a<br />
ogni disciplina a ordine, basta vedere quello che fanno … quando affrontano la polizia<br />
con bombe molotov e armi tutt’altro che improvvisate, con elmi e divise copiate dai film e<br />
dai fumetti che sono i loro breviari”.<br />
Cosa è cambiato negli ultimi trent’anni, se non l’intensità del delirio, che oggi appartiene<br />
solo a un’impunita ma pallida minoranza di replicanti, asserragliati e “fumati” nelle nicchie<br />
sociali senza autore?<br />
Di fronte alla torbida piena del sinistrismo, Badano rivendicava orgogliosamente la dignità<br />
del patriottismo cattolico. Rutelli, l’uomo della sinistra riflussa, che ha conquistato la<br />
notorietà marciando nei cortei della trasgressione e dell’ignavia, è invece costretto, e<br />
costretto da un pubblicitario americano, ad un ridicolo voltafaccia, che lo costringe a<br />
cantare l’inno nazionale per ottenere il consenso dei moderati.<br />
L’esito delle elezioni politiche si conoscerà il 13 di maggio. L’esito della storia culturale è<br />
già annunciato dal canto di rinnegamento, che Rutelli intona, non contro Bossi ma contro<br />
il passato radical-chic, nella speranza di rimanere sul palcoscenico.
Pedofilia<br />
Giri viziosi intorno al vizio<br />
Nella ricerca delle cause, che producono l’orrore pedofilo, i mezzi d’informazione<br />
barbaramente corretti si fermano alla stazione penultima e accusano l’ambiente familiare,<br />
luogo ovvio per l’inizio della perversione raggirante. Purtroppo nessuno osa contrastare la<br />
maestà urlante e terrifica del Luogo Comune per obiettare che l’indicazione dell’ambiente<br />
in cui insorge il male lascia senza risposta la domanda sulla sua causa. E’ desolante<br />
dover ricorre ad esempi come questo, ma l’influsso dell’irrazionalismo “scientifico” nella<br />
cultura televisiva costringe a ricordare che, una volta situato il teatro della malaria nelle<br />
zone paludose, non si è detto niente sugli insetti che iniettano e causano la malattia.<br />
La cultura di massa, costruita e imposta dalle agenzie ideologiche (si pensi ad Aldo<br />
Grasso e alla sinistra dottrina dei talk show, di Blob, del Grande fratello e di Striscia la<br />
notizia), ha la struttura di una kermesse, intesa all’elusione dei veri problemi e alla semina<br />
della stupidità (o stupefazione) totalitaria.<br />
Quasi inavvertitamente i talk show hanno trasformato il dibattito sulla pedofilia in futile<br />
processo alla famiglia, colpevole (tuona lo psicoanalistahillmaniano Umberto Galimberti,<br />
nelle pagine di Repubblica, e gli fa eco Maurizio Costanzo, nel suo desolante talk show)<br />
di non parlare di sesso e perciò di destare i rovinosi tabù.<br />
Sarebbe inutile chiedere ai reucci delle terze pagine e del talk show cosa altro dovrebbe<br />
opporsi alla pedofilia, se non una virtù analoga a quel pudore che Galimberti e Costanzo<br />
bollano con il nome terroristico di “tabù”. Ma il dialogo con la cultura di massa è reso<br />
arduo dall’uso di lingue assolutamente incomunicabili e intraducibili: da una parte la<br />
medicina della virtù cristiana dall’altra la chiacchiera sgangherata. In questi casi non<br />
sembra infondato il timore dei pessimisti, secondo i quali portare i tragici problemi dell’età<br />
contemporanea davanti a “tribunali”, come quelli di Costanzo e di Galimberti, significa<br />
“minimizzarli” e prostituirli alla fatuità organizzata scientificamente.<br />
Il cammino della ragione e della morale, dunque, inizia dalle evidenze, che, di solito,<br />
sfuggono ai magistrati della chiacchiera conformista. Ora la prima evidenza è il simbolo<br />
usato dai pedofili: una scena dell’antica Grecia, che rappresenta la morbosa attenzione di<br />
una adulto per un fanciullo. L’ideologo dei pedofili, inalberandolo, era andato al cuore<br />
ideologico del programma perseguito dalla “categoria”: rivalutare la cultura pagana, che<br />
approvava (in nome del politeismo) le scelte della perversione polimorfa. Sotto il cielo<br />
degli dei plurali abita felicemente una pluralità di teologie e di morali: è questa la<br />
giustificazione che il führer (neopagano) dei pedofili cercava d’imporre ai settori della<br />
nostra società che ancora si dichiarano renitenti. In un certo senso si può dire che il capo<br />
del racket ha inconsapevolmente riscritto il celebre assioma dostojewskiano,<br />
avvicinandolo al vero senso dell’opposizione cristiana alla superstizione politeista: se gli<br />
dei e le verità supreme sono tanti tutto è permesso. Cercate dunque il pederasta<br />
spiritualmente disinibito e troverete il politeista. Identificate il politeista e riconoscerete<br />
infallibilmente il pederasta.<br />
La seconda evidenza è l’odio del pedofilo per la religione cattolica, e per i preti impegnati<br />
nella lotta contro il vizio. Odio “illuminato” dalla coscienza del legame tra la tradizione<br />
monoteista e la morale che proibisce la perversione e il regresso alla vita bestiale. La<br />
storia di Abramo, padre dei credenti e fondatore della civiltà occidentale, è<br />
indissolubilmente connessa con la fine dei sacrifici umani e con la condanna del vizio. La<br />
religione che inizia il suo cammino con Abramo non è un “progetto” separato dalla<br />
razionalità e senza riflessi nella storia “laica”, ma il principio che eleva il vivere civile alla<br />
dignità dell’ordine sacro: “Io l’ho eletto [Abramo] affinché insegni ai suoi figli ed alla sua<br />
famiglia, che verrà dopo di lui, ad osservare la via di Jahve, operando ciò che è giusto e<br />
retto” (Gen., 18, 19).
L’abolizione del sacrificio umano, infatti, significa smascheramento e condanna dei riti<br />
profani, celebrati in onore dello spirito polimorfo, che fu omicida fin dal principio. D’altra<br />
parte la lotta implacabile degli angeli contro i sodomiti svela l’ovvia conseguenza della<br />
rivelazione divina: la perversione polimorfa è abolita insieme con il (menzognero) culto<br />
politeista.<br />
In questa prospettiva storica, appare chiaro che la lotta alla pederastia, condotta con i<br />
metodi psicoanalitici esposti da Galimberti e da Costanzo è perduta in partenza. E<br />
perduta due volte, perché ispirata dal principio d’elusione, che comanda di nascondere le<br />
radici storiche del male sotto gli esausti impiastrini della psicoanalisi galimbertiana e della<br />
chiacchiera profusa da Costanzo e da Platinette, sua spalla.<br />
La terza, ultima e più tragica evidenza è la conclamata impotenza della cultura di massa<br />
ad opporsi alla pedofilia. Nei giorni della scandalo, infatti, l’esteta Giampiero Mughini, uno<br />
fra i più assidui e roventi eroi del talk show scriveva, a conclusione di un lezioso articolo<br />
sul lolitismo, pubblicato nelle pagine di “Panorama” (n. 21, pag. 200): “Gli uomini vivono<br />
attraverso le lolite la bruciante nostalgia della loro giovinezza. … Non verrete a dirmi che<br />
esistono dei confini pericolosi tra il culto delle lolite e la pedofilia. Sarebbe come se uno<br />
prendesse la cifra dei morti per alcolismo e la sbattesse in faccia a chi sta guidando, e in<br />
un calice adeguato, un vino rosso d’annata”.<br />
Mughini è certamente estraneo alla pedofilia criminale. Ma nessun linguaggio saprebbe<br />
declinare, con un’efficacia teatrale superiore alla sua frivolezza mediatica, l’impotenza<br />
della cultura di massa a fronteggiare la tragica esplosione del neopaganesimo e della<br />
pedofilia.<br />
Pio XII<br />
Ritratto di una leggenda nera<br />
Prima di Hochuch, la “leggenda nera” su Pio XII fu narrata dal cattocomunista, Emmanuel<br />
Mounier, il quale, nel 1939, rivolse al clero di Spagna l’accusa di aver provocato la giusta<br />
collera dei comunisti. Un’accusa surreale prima che infame, dal momento che la presunta<br />
“provocazione” dell’episcopato spagnolo avvenne sei anni dopo l’inizio della “democratica<br />
risposta” dei comunisti (incendio delle chiese e massacri di sacerdoti e religiosi).<br />
La cronologia mistica di Mounier, che sposta i monti del passato nelle valli del futuro, è il<br />
modello ideale degli storici comunisti. Il futuro dell’anticlericalismo è stretto nel passato di<br />
una menzogna.<br />
Nell’imminenza della beatificazione è prevedibile l’inasprimento della campagna<br />
diffamatoria contro Pio XII, al quale i comunisti addebitano un colpevole silenzio sullo<br />
sterminio degli ebrei. Si presenta dunque l’occasione propizia a ricordare che la vera<br />
causa dell’avversione a Pio XII non fu il “silenzio sull’Olocausto” ma la denuncia dei delitti<br />
compiuti in Spagna dai comunisti.<br />
Fiamma Nirestein ha avuto il coraggio (per ora solitario) di sollevare il velo dell’omertà<br />
comunista e di rammentare che gli Ebrei (eccetto un’infima minoranza, manipolata dai<br />
comunisti) non sono autori della leggenda nera costruita per infangare la memoria di Pio<br />
XII.<br />
Gli ebrei romani, furono testimoni dell’azione condotta in loro difesa dal Pio XII, nei<br />
confronti del quale nutrirono stima e riconoscenza: lo dimostra l’omaggio del rabbino<br />
Israele Zolli, che, convertitosi alla fede cristiana, assunse il nome di battesimo di papa<br />
Pacelli, Eugenio. Andrea Gaspari, nel saggio “Gli ebrei salvati da Pio XII”, opera<br />
completata grazie al contributo del professore Michael Tagliacozzo, ha peraltro elencato<br />
sia i numerosi e autorevoli attestati di riconoscenza degli ebrei sia le aperte dichiarazione<br />
di ostilità rese da esponenti del III Reich nei confronti di Pio XII.
La diffamazione di Pio XII, in realtà, fu il mezzo escogitato dalla propaganda sovietica per<br />
risollevare la sinistra cristiana, emarginata dal plebiscito del 1948, e renderla complice<br />
della politica comunista. Il “silenzio di Pio XII”, infatti, è un’espressione che appartiene alla<br />
raccolta dei saggi scritti da Emmanuel Mounier nel biennio 1938-1939 e riguarda i fatti di<br />
Spagna. Tradotti da Franco Onorati, quei testi furono pubblicati dalla casa editrice dei<br />
dossettiani, La Locusta di Venezia, nel 1967, quando infuriava la calunnia contro Pio XII.<br />
Il muro di Berlino ha sepolto anche Mounier, cattocomunista talmente estremo da<br />
spaventare perfino Maritain. Ma i testi calunniosi, che egli scrisse negli anni Trenta sono<br />
conservati, per ricordare la stagione (non ancora conclusa) della mano cattolica tesa ai<br />
comunisti.<br />
Ora il bersaglio dichiarato apertamente da Mounier era “il sordido anticomunismo, pieno<br />
di paura e di egoismo, che sottolinea la sproporzione fra la mediocrità che lo sostiene e il<br />
formidabile slancio storico che il comunismo ha provvisoriamente e parzialmente captato”<br />
(L’anticomunismo”, nel giornale “Le voltigeur”, 16 novembre 1938).<br />
Il disprezzo di Mounier per l’anticomunismo, già indirizzato a Pio XI (che aveva<br />
condannato l’ideologia “intrinsecamente perversa”) si tradurrà tosto in un’accusa rovente<br />
contro il suo successore, Pio XII, colpevole di essersi felicitato con i franchisti “che<br />
gettano le bombe sui bambini”, e di averli definiti “la parte sana del popolo spagnolo, che<br />
aveva difeso l’ideale della fede e della civiltà cristiana”.<br />
Consapevole dell’enormità della sua accusa, Mounier metteva le mani avanti: “So quel<br />
che si obietterà: che chiediamo indulgenza per gli uccisori dei preti e gli incendiari delle<br />
chiese …. Come se la rivolta di Franco non avesse creato il comunismo più agguerrito in<br />
ogni parte della Spagna, provocando l’aiuto di Mosca e la riconoscenza di un popolo<br />
generoso” (“Interrogando i silenzi di Pio XII”, nel giornale “Le voltigeur”, 5 maggio 1939).<br />
La tesi di Mounier, secondo cui la rivolta di Francisco Franco aveva provocato la giusta<br />
collera popolare e la deviazione del formidabile slancio storico comunista, è una<br />
spiegazione degna della storiografia staliniana.<br />
Per misurare la menzogna confezionata dal Mounier è sufficiente considerare le date: la<br />
rivolta militare inizia il 18 luglio del 1936, mentre la persecuzione della Chiesa cattolica da<br />
parte dei comunisti spagnoli ha inizio nel 1931 (incendio e distruzione di chiese e<br />
conventi), e nel 1934 (massacri di preti e religiosi).<br />
Uno storico imparziale come il Payne, a proposito dei massacri di sacerdoti e religiosi,<br />
afferma che non furono il prodotto spontaneo della furia popolare (quella che Mounier<br />
sosteneva fosse provocata dalla rivolta franchista) ma “la conseguenza di un furore<br />
praticato da piccoli gruppi rivoluzionari, costituiti per questo compito, con l’approvazione e<br />
qualche volta per iniziativa dei dirigenti delle maggiori organizzazioni repubblicane”.<br />
Davanti a questa scenario cosa doveva fare il papa: approvare i persecutori specializzati<br />
e rimproverare le vittime inermi, che, a corpo letteralmente morto, opponevano resistenza<br />
al magnifico slancio storico dei comunisti? Esaltare lo slancio persecutorio e condannare<br />
la resistenza cattolica?<br />
Mounier, annebbiato dall’ideologia e sconvolto dalla passione servile, rivolgeva a Pio XII<br />
un’accusa analoga a quella che il lupo della favola rivolgeva all’agnello: stando a valle tu<br />
intorbidi l’acqua che io bevo a monte. In altre parole: subendo la mia violenza oggi tu<br />
provochi la reazione che domani giustificherà il mio passato. I fatti del passato sono<br />
accaduti oggi, anzi accadranno domani. La magia comunista, che produce le leggende<br />
nere esige la facoltà di muovere le tre tavolette del tempo sul tappeto del trucco.
Porta Pia<br />
La porta della violenza e dello spergiuro<br />
Radicali e sinistre ondivaghe per punire la Chiesa di Giovanni Paolo II, colpevole di aver<br />
beatificato Pio IX, celebrano l’impresa di Porta Pia. Una vendetta ridicola, che si risolve in<br />
autogol da manuale. L’impresa di Porta Pia, infatti, fu il capolavoro militare di una dinastia<br />
perdente e (perciò) proibita e ostracizzata dalla sinistra. A Porta Pia sono concentrati i<br />
difetti del potere violento, che il salotto radical chic condanna. A parole. Il cuore della<br />
sinistra batte sempre dove il potere forte vuole.<br />
La stremata passione laica agita, nel tremor dello sdegno, le venerabili rughe della<br />
sinistra e fa inarcare le sopracciglia libertarie dei radicali. Squillano trombe e tromboni: 20<br />
settembre, una severa radunata di campioni del reliquario anticlericale celebra, con<br />
orgoglio, la breccia aperta dai Savoia a Porta Pia. Orgoglio di cosa? Dello sparo di<br />
Maramaldo alla crocerossa? Dell’umiliazione inflitta a Pio IX? Dello splendore prussiano<br />
riflesso nell’impunita baldanza di Cadorna?<br />
Un tortuoso concetto della gloria ispira i celebranti di Porta Pia: il rigore democratico e la<br />
fierezza laica, che uniscono le sinistre nel rifiuto dei pallidi e inoffensivi eredi di casa<br />
Savoia, eccitano anche l’ammirazione per l’avo Vittorio Emanuele II e fanno alzare, come<br />
un labaro splendente, la meno onorevole delle non sempre magnifiche imprese sabaude.<br />
Con movimento ubriaco, si fa un passo a sinistra, per oltraggiare il beato Pio IX vinto a<br />
Porta Pia, e un passo a destra, per incensare Vittorio Emanuele II insediato al Quirinale.<br />
Nei libri di storia in uso nella scuola di De Mauro – testi che la sinistra impone per<br />
assuefare la gioventù alla menzogna – il racconto dei fatti che precedettero l’impresa del<br />
20 settembre 1870 è avvolta dai casti fumi dell’elusione. E’ un peccato che i giovani non<br />
sappiano le democratiche meraviglie oggi festeggiate dai radicali e dalle sinistre superstiti<br />
(in nome della non violenza o della solidarietà?)<br />
Sarebbe stato un bel segno di lealtà democratica e progressiva, celebrare, nella<br />
circostanza anche la prima guerra d’aggressione, di pura, immotivata aggressione,<br />
condotta da Vittorio Emanuele contro lo Stato pontificio. Ed eccellente decisione sarebbe<br />
stata l’estensione dell’invito alla festa a Vittorio Emanuele IV e a suo figlio Emanuele<br />
Filiberto.<br />
Ora la guerra rivoluzionaria, programmata allo scopo di umiliare Pio IX invadendo la<br />
Romagna, le Marche e l’Umbria, si concluse, il 18 settembre del 1860, con la battaglia di<br />
Castelfidardo. Il piccolo esercito pontificio, attaccato dalle soverchianti forze piemontesi,<br />
fu sconfitto, dopo essersi battuto con la forza della disperazione. Nella battaglia di<br />
Castelfidardo caddero numerosi combattenti della libertà, venuti dalle contrade italiane e<br />
dalle nazioni cattoliche per vestire la divisa pontifica. Tra di loro il conte di Lamorcière e il<br />
visconte di Pimodan, eroi di una storia dimenticata. I testi d’ispirazione laica e non<br />
violenta non li ricordano, forse perché non combattevano dalla parte che gli storiografi di<br />
sinistra prediligono, quella degli ingiusti aggressori.<br />
Ma il beato Pio IX, nel 1862, ricorderà l’aggressione sabauda con parole che accusano<br />
l’ispirazione eversiva della violenza subita: “Questo rovescio di princìpi, questa studiata<br />
perdita del senso morale e del retto giudizio è quello che affligge il mio cuore più assai<br />
della perdita dello Stato della Chiesa”.<br />
Ma nella storia oggi celebrata dalle sinistre non c’è solo violenza. Anche lo spergiuro e la<br />
frode hanno una giusta parte, che meriterebbe l’odierna celebrazione da parte della<br />
sinistra, che coltiva con ostinazione la memoria a senso unico e obbligato.<br />
Nel settembre del 1864, essendo ministro Minghetti, il regno sabaudo sottoscrisse una<br />
convenzione con l’Impero di Napoloene III, impegnandosi solennemente a non assalire e<br />
a non fare assalire il residuo territorio papale.
Nel 1865, infatti, Garibaldi al comando di un esercito rivoluzionario varcò i confini dello<br />
stato pontificio e si diresse alla volta di Roma. Fu fermato a Mentana dai pontifici<br />
comandati dal generale Kanzler. Ma il mandato garibaldino era tradire la parola<br />
consacrata dai patti solenni firmati da casa Savoia.<br />
Il fatidico 1870, infine. Dopo la sconfitta di Napoleone III da parte dei prussiani a Sedan,<br />
l’assistenza francese allo Stato pontificio venne meno. I Savoia non lasciarono passare<br />
l’occasione di tradire la parola data e di salire sul carro dei vincitori. Vittorio Emanuele II,<br />
imitando la logica canagliesca di don Rodrigo, indirizzò una lettera untuosa a Pio IX, per<br />
invitarlo a mettersi sotto la protezione dell’esercito piemontese: “E’ indeclinabile necessità<br />
per la sicurezza dell’Italia e della Santa Sede che le mie truppe, già poste ai confini,<br />
s’inoltrino ad occupare quelle posizioni che sarebbero indispensabili per la sicurezza della<br />
Vostra Santità e pel mantenimento dell’ordine”. Essendo l’offerta rifiutata sdegnosamente<br />
da Pio IX, il 20 settembre 1870, il generale Cadorna, aprì una breccia nelle mura di<br />
difesa, ed occupò Roma.<br />
L’ordine regnò a Roma, come non previsto dal copione democratico e non violento.<br />
L’ordine, il potere, l’inganno, la violenza, la faccia oscura della storia umana. Alla sinistra<br />
radical chic non rimane proprio altro che dichiarare la festa della guerra d’aggressione.<br />
Progresso<br />
Un’idea cristiana<br />
La nozione di progresso è accessibile soltanto per la via della metafisica razionale, che<br />
dimostra l’esistenza di Dio, modello eterno della perfezione, alla quale la creatura deve<br />
adeguarsi progredendo. In accordo con le verità teologiche attinte dalla ragione, San<br />
Tommaso d’Aquino ha definito magistralmente la natura del progresso: avanzamento<br />
dell’umanità per gradi, dalle cose imperfette a quelle imperfette. “Humanae rationi<br />
naturale esse videtur ut gradatim ab imperfecto ad perfectum perveniat” (Summa theol.,<br />
Ia IIae, q. 97, a 1).<br />
Estraniata dalla metafisica, la nozione di progresso non ha più una ragione e si smarrisce<br />
nel vicolo cieco dell’immanentismo, dove infuria il problema di avviare il moto senza<br />
l’intervento del motore. La storia del progressismo ateo, infatti, consiste in quella magia<br />
da palcoscenico, che simula l’estrazione della sovrabbondanza dal deficit, della totalità<br />
dal frammento, per giungere alla rappresentazione della beatitudine derivata dall’inferno<br />
sovietico.<br />
L’ultima stazione del progressismo è la filosofia di Nietzsche, il quale, dopo aver tratto le<br />
debite conseguenze dall’assioma ateo (“non crederei in Dio neanche si mi fosse<br />
dimostrato”) mise fine allo spettacolo sostituendo l’idea di progresso con l’incubo<br />
dell’eterno ritorno dell’identico.<br />
Esclusa la perfezione increata, oggi l’ideologia progressista affonda nel totalitarismo della<br />
dissoluzione. Immerso nel crepuscolo del comunismo, Umberto Galimberti dichiara che<br />
“Le vere religioni incontrano l’uomo presso il tempio, nell’orgia dionisiaca, nei misteri<br />
eleusini, nelle arene lorde di sangue e brandelli di carne”.<br />
Le suggestioni arcadiche, che arroventano la scena del capovolto progressismo, risultano<br />
indecifrabili se non è riconosciuta la trasformazione del devastatore “positivo” di Hegel e<br />
Marx (l’operaio che distrugge l’esistente per instaurare il mondo nuovo) nel nichilista<br />
disperato (l’uomo adeguato all’eterno ritorno, il distruttore negativo, che si rovescia<br />
nell’orgia sanguinaria).<br />
La tesi di Gehlen, Kojève e Bataille, gli autori che collocano la metafisica nichilista al<br />
seguito dell’hegelismo e del marxismo, aveva peraltro anticipato il destino fallimentare del<br />
progressismo ateo. Dopo l’ingresso di Bataille nel “pantheon” della sinistra culturale,
nessuno mette seriamente in dubbio l’essenza irrazionale e regressiva dell’ideologia<br />
moderna.<br />
Nel 1947, quando Horkheimer e Adorno pubblicarono “La dialettica dell’illuminismo”, il<br />
suicidio della modernità era già certificato. Oggi la dirompenza delle suggestioni<br />
regressive, che proliferano sulle rovine del moderno, si può dedurre dagli scritti di<br />
Geminello Alvi, autorevole cattedratico di economia, ex segretario della Banca d’Italia,<br />
pensatore selvaggio formato alla scuola esoterica dell’escandescente Rudolf Steiner ed<br />
elevato da Roberto Calasso all’onor del salotto intellettuale.<br />
Nel “Corriere della Sera” (quotidiano già in odore di Ballo Excelsior, ed ora indaffarato a<br />
rivestire le più incontrollate farneticazioni decadenti con le seriose flanelle “fumo di<br />
Londra”), Alvi disegna il torbido scenario di un’alleanza nazi-eco-anarchica da<br />
sottoscrivere nel nome furente del regresso moderno.<br />
All’affermazione della necessità di associare l’effervescenza criminogena dei neonazisti<br />
(che sopravvivono nelle profondità del vasto margine psichiatrico “liberato” da Basaglia) al<br />
teppismo del popolo di Seattle, Alvi giunge dopo un fulminante ragionamento:<br />
l’ambientalismo è contro il progresso, il nazismo aveva una vocazione regressista,<br />
dunque i verdi (“senza tabù”) devono assumere il compito di recuperare alla loro causa<br />
tutti i marginali che sono affetti della sindrome nazi: “Gli sparuti ambientalisti di sinistra<br />
rimasti in parlamento o trovano qualche sponda a destra oppure il loro disastro diventa<br />
quello di tutti”.<br />
Ora il “disastro”, secondo l’apocalittica ideologia di Alvi, consisterebbe nello sviluppo<br />
compatibile, sostenuto saggiamente dal presidente Bush. In alternativa al piano<br />
autenticamente progressista della destra americana, Alvi propone (tanto per cominciare)<br />
“la conversione al biologico di almeno il 20% dei consumi”. Alvi non ha inibizioni e perciò<br />
non esita a svelare il pensiero soggiacente al “cauto” programma: “Implicherebbe in<br />
agricoltura una diminuzione di quell’indice principe che, ci hanno abituati a pensare, deve<br />
crescere sempre perché ci sia progresso: la produttività del lavoro”.<br />
Ora non c’è dubbio che ridurre drasticamente la produttività del lavoro agricolo significa<br />
assestare un colpo micidiale allo sviluppo e al benessere diffuso. Il tenore di vita si<br />
abbasserebbe ai livelli sperimentati dagli italiani del Nord durante il tragico inverno del<br />
1944, quando l’incalzare degli eventi bellici, riducendo la disponibilità dei concimi chimici<br />
e degli antiparassitari, fece retrocedere l’agricoltura a livelli prossimi al mitico biologico.<br />
Chi conserva la memoria di quei giorni non può non indietreggiare spaventato davanti alla<br />
proposta “austera” di Geminello Alvi.<br />
Per un caso del tutto fortuito, il giorno successivo alla pubblicazione dell’editoriale di<br />
Geminello Alvi, Rai3 ha mandato in onda una puntata del programma “Educational”,<br />
durante il quale il filosofo cacciariano Giuseppe Cantarano, dopo aver sferrato un attacco<br />
inconsulto alla bonifica delle paludi, ha mostrato il vero volto dell’ideologia verde<br />
sciogliendo un inno ai mestieri arcaici, che fiorivano in margine all’acqua putrida, i<br />
“ranocchiari” ei “lumacari”, ad esempio. Mestieri infelici e usuranti, opposti, dopo un<br />
“lucido” slittamento nella farneticazione anti-umanistica, al lavoro tecnologico<br />
nell’agricoltura e nell’industria avanzate.<br />
A questo punto si può spalancare la finestra sul delirio arcadico, per contemplare lo<br />
scenario depresso che gli ideologi verdi, e con loro l’economista ineconomico Alvi,<br />
sognano febbrilmente: la de-meccanizzazione (“ranocchizzazione” e “lumachizzazione”)<br />
dell’agricoltura e la ruralizzazione degli addetti all’industria.<br />
Il risultato sarebbe una fortissima riduzione di tutti i prodotti, quindi una vera e propria<br />
carestia. In un breve giro di mesi, assisteremmo ad una catastrofe di portata cambogiana.<br />
Il progressismo ateo, rovesciato nell’indifferenza pagana, propone, quasi fosse una<br />
bucolica delizia, l’indimenticabile scenario di miseria che Augusto Genina ha ricostruito<br />
nel film “Cielo sulla palude”.
Senza ritegno, Alvi svela la paternità del pensiero eco-regressista: “Se generalizzata<br />
davvero, l’agricoltura biologica genererebbe, per logica qualche forma di nuova<br />
ruralizzazione. Ma è stato questo il mito delle destre più imbarazzanti: di Hitler e delle<br />
vegetariane SS”. Occorre aggiungere, per completare il quadro, che la ruralizzazione<br />
selvaggia era il mito ispiratore delle imprese sociali di Pol-Pot, l’eco-tiranno che eliminava<br />
i portatori di occhiali per assicurare alla Cambogia un avvenire libero dalla scienza e dalla<br />
tecnologia occidentali.<br />
Il discorso squisitamente nazi-pol-pottista di Alvi suona come un chiaro appello lanciato al<br />
fanatismo della destra marginale, affinché si unisca al furore della sinistra anarcoecologica.<br />
Quando si conosce la piramidale stupidità degli intellettuali estremi, quelli di<br />
destra nutriti da Evola, Nietzsche, Heidegger e Guénon, quelli di sinistra infiammati dal<br />
rock marcusiano, dalle serenate psicoanalitiche e dalla marcia funebre cacciariana -<br />
quando è stato misurato il volume ingente delle sconvoltezze dialoganti sotto l’ala nera di<br />
Cacciari, si deve riconoscere che l’alleanza dei due furori regressivi – quello degli eredi di<br />
Hitler e quello degli eredi di Pol-Pot - è possibile. Drammaticamente possibile. L’efficacia<br />
alchemica delle formule culturali studiate dal salotto è peraltro collaudata, come si evince<br />
dalla considerazione della felice unione artificialmente costituita tra il pauperismo della<br />
sacrestia deragliata e i marciatori progressisti.
R<br />
Reazione<br />
Reazionari<br />
Requiem<br />
Rivoluzione francese<br />
Rivoluzione italiana<br />
Risposta<br />
Rosemberg<br />
Reazione<br />
Gómez Davila, figura della reazione in gabbia<br />
Per chiarire l’idea di una destra ispirata ai veri princìpi cristiani è necessario svelare il<br />
fondamento reazionario, sul quale regge sia l’assolutismo antico che il totalitarismo<br />
moderno. Il contributo decisivo, che Francisco Elias de Tejada ha dato allo sviluppo<br />
dell’autentico pensiero di destra, consiste infatti nell’aver confutato e rimosso il<br />
pregiudizio, difeso dalla cultura di stampo borbonico, che opponeva l’assolutismo al<br />
totalitarismo.<br />
L’espressione “destra”, infatti, è usata per la prima volta alla fine del XVIII per significare<br />
la collocazione degli oppositori alla secolarizzazione del clero, programmata da quella<br />
rivoluzione giacobina, che aveva portato alle conseguenze estreme la tendenza<br />
dell’assolutismo borbonico a separare la Chiesa di Francia dal Papato per asservirla al<br />
regno.<br />
La destra delle origini si opponeva al partito rivoluzionario, che riprendeva ed esasperava<br />
il programma dell’assolutismo gallicano, inteso a contestare il papato e ad usurparne il<br />
potere. Questo significa che la vera destra combatte la falsa “rivoluzione” anche per i suoi<br />
non trascurabili aspetti codini e reazionari e rifiuta l’illusoria “reazione” perché il cuore<br />
antico, “ghibellino”, del pensiero in parrucca - la supremazia del potere secolare sul<br />
potere spirituale – si rovescia senza difficoltà nella rivoluzione laicista.<br />
Capire l’origine della vera destra significa uscire dai dogmi della volgata storiografica, che<br />
un tempo si diceva progressista, e però riconoscere che l’ispirazione cristiana della<br />
politica è la sola alternativa al nodo illiberale costituito dalla convergenza dell’assolutismo<br />
antico nel totalitarismo moderno. In ultima analisi: il pensiero della vera destra comincia<br />
quando sono evidenti la parentela stretta di Luigi XIV ed Hegel e la continuità<br />
dell’assolutismo nella rivoluzione totalitaria.<br />
A destra non tutti hanno chiara la continuità dell’errore assolutista nell’errore totalitario e<br />
perciò alle “mani sapienti” risulta facile seminare le suggestioni che fanno prosperare le<br />
idee ultime della modernità nel campo acritico della nostalgia reazionaria. Nei settori della<br />
destra reazionaria si assiste perciò alla paradossale e sconcertante esplosione di un<br />
nichilismo arbitrariamente intitolato all’Antimoderno.<br />
Il nichilismo reazionario, nato nello “splendore” profano del boudoir, tra nobili parrucche e<br />
spietati frustini, ultimamente fluttua nei gemiti spiritualisti e aristocratici, stampati sui<br />
cartigli color pastello, che la casa surrettizia Adelphi produce in concorrenza ai dolci<br />
sospiri di un cioccolatiere perugino.<br />
L’involuzione spiritualista è un destino, in marcia con il pensiero del nulla dopo che il<br />
“flaneur” Nietzsche ha sollevato le carnali dissolutezze sadiane agli astratti voli di Dioniso.
D’Annunzio fece un passo avanti nella direzione dell’esito tombale, celebrando l’amor<br />
profano con i sacri paramenti neri. Guido da Verona cantò l’estenuazione totale del<br />
dannunzianesino. Infine uno spiritista degli anni tardi esplorò (a tavolino) i territori<br />
dell’oltretomba.<br />
Solo gli anziani ricordano l’antefatto dell’avventura adelphiana: negli anni Trenta, godette<br />
di prestigio mondano un freddurista torinese, che firmava, con uno pseudonimo squillante<br />
e intrigante, Pitigrilli. Scosso da un perpetua ridarella, che gli impediva di prendere sul<br />
serio l’esplosione della quisquilia nella filosofia, il freddurista era capace di scrivere<br />
duecentoquaranta pagine per dimostrare, in immaginario dibattito con la regina Elena,<br />
che il pollo non si porta alla bocca con le mani ma con la forchetta virtuosa. Inoltre Pitigrilli<br />
pubblicava saggi di varia intrepidezza esoterica, ad esempio “Cocaina”.<br />
Nel secondo dopoguerra Pitigrilli, ammosciato dalle personali disavventure, si convertì<br />
allo spiritismo da tavolino e, anticipando il mistico successo di Elémire Zolla, Roberto<br />
Calasso e del mago torinese Rol, si diede alla scrittura di articoli medianici, in bilico tra<br />
piste di cocaina e polli in punta di forchetta. (Per gli studiosi di cose bizzarre ricordiamo<br />
che negli anni cinquanta gli articoli pitigrilleschi apparivano ogni mercoledì nelle pagine<br />
romane della “Tribuna illustrata”).<br />
Il cerchio nichilista finalmente si chiude. Pitigrilli dopo Pitrigrilli, e dopo Pitigrilli il<br />
contraffatto spiritualismo. Pubblicato dall’immancabile Adelphi, esce in Italia, “In margine<br />
a un testo implicito”, il capolavoro del colombiano Gómez Davila.<br />
A comando (iniziatico?) il parco degli scriteriati di destra mette il naso di cartone e giubila.<br />
L’autore del catechismo neoreazionario “De Rege”, Giovanni Cantoni, in quarantasette<br />
colonne di piombo neodestro, almanacca un tortuoso calendario di viaggi transoceanici,<br />
dove è annunciata la pia dottrina del Terzo Millennio: ex Bogotà lux. Si presenta una<br />
triade: l’allucinazione (lux), i viaggi e i viatici colombiani.<br />
Ad ogni modo Cantoni spiega che la dottrina del colombiano, volante da un oceano di<br />
saggezza all’altro, è costituita da pensieri brevi e folgoranti (nel testo si parla – con<br />
terminologia quasi farmaceutica - di “corroborante ed energetico spirituale”) a margine di<br />
una monumentale (trentamila volumi) biblioteca.<br />
Biblioteca monumentale senza dubbio. Pensieri corroboranti ed energetici lo dice il<br />
farmacista. Chi si esalta con l’apologia demaistriana del boia può esultare anche col<br />
prodotto della cultura colombiana. Ma spirituale?<br />
Gómez Davila è un Pitigrilli senza sorriso, che si è fermato alle soglie medianiche dello<br />
spiritismo. I suoi aforismi sono goffe metafore abbaiate in un trombone di latta. Ad<br />
esempio: “Dopo aver screditato la virtù, sentenzia il dotto colombiano, questo secolo è<br />
riuscito a screditare anche i vizi. Le perversioni sono diventate parchi suburbani<br />
frequentate in famiglia dalle moltitudini domenicali”. L’immagine è dettata dall’aristocratico<br />
disprezzo per la plebe (“la presenza politica delle moltitudini culmina sempre in<br />
un’apocalisse infernale” si legge in un altro prezioso aforisma) e dall’ammirazione per i<br />
godimenti controrivoluzionari, che si consumano nei giardini esclusivi dell’oligarchia (“Tra i<br />
moderni succedanei della religione forse il meno abietto è il vizio”). Sugli aristocratici<br />
succedanei della religione non ci sono dubbi. L’agitio dei frustini si vede ad occhio nudo.<br />
Ma dove si trova la spiritualità?<br />
Nel testo gomezdaviliano appaiono anche ossimori tragicomici, da recitare con la<br />
mascella contratta dallo spasimo ipocondriaco. Ad esempio: “Grande scrittore è quello<br />
che intinge in inchiostro infernale la penna che strappa dall’ala di un arcangelo”. Passi la<br />
stupidità del paragone. Passi il fracasso retorico. Ma chi è l’arcangelo spennato?<br />
Giovanni Cantoni? E il grande scrittore? Buttafuoco?<br />
E dopo gli ossimori il colombiano sciorina pensieri acrobatici, che procurano i brividi del<br />
salotto reazionario: “Chiamiamo filosofia la logica del discorso che ha per tema l’assurdo.
… Dio è la condizione trascendentale dell’assurdità dell’universo. … Dio stesso è l’autore<br />
di certe bestemmie”.<br />
Nessun cioccolataio svizzero mescolerebbe i suoi prodotti con simili cascami del<br />
repertorio pitigrillesco. Cantoni, invece, attribuisce al pensatore colombiano la carica<br />
ideale di ammiraglio della fede reazionaria, che ritorna in Europa dopo il bagno nella luce<br />
di Bogotà. Tanta ingenuità ha una spiegazione. Infatti l’editore di Gómez Davila è quel<br />
Roberto Calasso, che, nelle pagine del quotidiano illuminista “Repubblica”, Pietro Citati,<br />
adulatore vaselinoso, definisce “belva morbida sinuosa, pericolosa, insidiosa … che<br />
insegue e odora dovunque … un gatto che con piccoli, tenui colpi di zampa attrae i suoi<br />
topi, le sue vittime”. Le vittime-topi sono i lettori dei libri adeplhiani. Sospendiamo il<br />
giudizio sull’immaginazione di Citati: belva morbida e sinuosa potrebbe essere la cantante<br />
Milva (detta, per l’appunto, pantera di Goro) piuttosto che il solenne e cupo Calasso. Le<br />
parole di Citati tuttavia interrompono il sogno reazionario: lo separano dalla figura<br />
dell’angelo spennato per precipitarlo in quella del topo squittente tra le zampe della belva<br />
morbida e sinuosa. Milva o Calasso? I corni del dubbio metamorfico riguardano il<br />
reggente Cantoni: arcangelo o topo? Dubbio a parte, nessuna immagine saprebbe<br />
definire con maggiore forza comica il dialogo dell’alta scuola iniziatica con gli apprendisti<br />
stregoni e gli arcangeli scapigliati. O topi in gabbia?<br />
Reazionari<br />
La sinistra paleolitica<br />
La sconfitta dell’economia sovietica da parte degli americani ha costretto la cultura delle<br />
sinistre a dichiarare guerra allo sviluppo produttivo e ai consumi. I giovani contestatori del<br />
G8, ammaestrati dalle anfetamine e scossi dalle omelie dei vescovi in tuta bianca, non lo<br />
crederanno, ma i sovietici, una volta, erano progressisti e lottavano accanitamente per<br />
instaurare la baldoria del consumismo assoluto e gratuito: tutti socializzati, tutti soddisfatti,<br />
tutti felici. Negli anni Sessanta, il buon Nikita Chruscev mise fuori addirittura un opuscolo<br />
profetico, nel quale annunciava un aumento della produzione sovietica tanto miracoloso e<br />
paradisiaco da surclassare e sbaragliare il benessere americano.<br />
L’ultracogitante opuscolo, in Italia, era troppo ottimistico anche per l’imperturbabile Pci e<br />
pertanto fu diffuso a cura dell’ambasciata sovietica. Nessuno vuol calunniare la vecchia e<br />
seriosa nomenklatura del Pci, insinuando che era tentata dall’umorismo borghese, ma il<br />
rifiuto di propalare la notizia della sfida chrusceviana all’America lascia sospettare,<br />
almeno, una deviante ma giustificata paura del ridicolo a futura memoria.<br />
Sta di fatto che, alzato il sipario dietro al quale i sovietici nascondevano le malinconie del<br />
paradiso in terra, l’idea del consumismo prossimo venturo si è rovesciata nel crudele<br />
inferno delle multinazionali americane.<br />
Catastrofe politica chiama catastrofe mentale. La seconda svolta rivoluzionaria ha<br />
persuaso i comunisti a dichiarare la malvagità del progresso tecnologico e la meraviglia<br />
delle comunità sottosviluppate: la città dell’immaginario futuro fu fatta salire sulle palafitte<br />
(di sinistra). Infatti, dopo la rovina dell’impresa consumistica di Chruscev, la rivoluzione ha<br />
incontrato l’umiliante discorso di Spengler sul tramonto dell’Occidente e lo scioglilingua di<br />
Heidegger sull’Occidente come tramonto. Ad un maestro in divisa prussiana è seguito un<br />
maestro in brache tirolesi calate. Infine, nella contemplazione di zia Nietzsche, che<br />
sacrifica le brache al nudismo greco (detto gimnosofia) le folgori dell’antistoria e della<br />
reazione trafissero la trimurti del rosso pensiero (Vattimo, Natoli e Cacciari). Le bandiere<br />
rosse si tinsero del verde teutonico e forestale.
La terza svolta trascinò le sinistre direttamente ai pensieri neomalthusiani (sotto il segno<br />
dello swastika) e all’idea dell’uomo “cancro della terra”. Chruscev e i suoi ingenui progetti<br />
antiamericani svanirono per sempre nelle nebbie del nichilismo hard.<br />
Se ne sono accorti anche quei pensatori cattolici, che hanno viaggiato imperterriti nei<br />
turbamenti ecologici di Bettino Craxi: l’essenza dell’ecologismo è l’avversione al<br />
cristianesimo e all’umanità. L’ideologia del regresso, seguita caninamente fino alle<br />
conseguenze estreme, genera l’incubo giurassico, il desiderio di far scomparire l’umanità<br />
per dare spazio alla natura tenera e feroce.<br />
Dal canto loro, i firmatari del manifesto cattolico contro i pensiero unico, manifesto al<br />
quale si ispira anche Gianni Baget Bozzo, osservano che l’ecologismo radicale “intende<br />
abbattere esplicitamente il fondamento della tradizione giudeo-cristiana, cioè il primato<br />
dell’essere umano e la bontà della sua presenza sul pianeta”.<br />
Segno dell’odio al Cristianesimo (non avvertito dai vescovi fiancheggiatori) è la violenza<br />
animalesca che si sprigiona durante le manifestazioni contro il libero mercato: una<br />
violenza distruttiva che trae pretesto dall’amore per i paesi del terzo mondo, i legittimi<br />
rappresentanti dei quali, invece, si dichiarano favorevoli al progresso e alla<br />
globalizzazione.<br />
Si pone dunque il problema di rivalutare il significato originario dell’umanesimo cristiano e<br />
della civiltà occidentale, che ne è il prodotto. Ora l’illustre giurista Ubaldo Giuliani-<br />
Balestrino, in un saggio (“Il capitalista, questo sconosciuto”) pubblicato per gli eleganti tipi<br />
dell’editore torinese Fògola, dimostra magistralmente quanto sia utile, ai fini della<br />
chiarificazione delle idee, attraversare le contraddizioni della storia moderna e distinguere<br />
l’ispirazione cristiana dello spirito d’impresa dal fomite del capitalismo selvaggio.<br />
Presupposto della ricerca condotta dall’autore è il chiaro giudizio di Giovanni Paolo II, il<br />
quale, nella “Centesimus annus”, afferma risolutamente che lo sviluppo della tecnologia è<br />
“una forma di prolungamento della creazione” e perciò conclude che l’attività del<br />
capitalista è conforme al cristianesimo.<br />
Non a caso l’impresa capitalista splende nell’Italia cattolica del Medio Evo (e non<br />
nell’Europa calvinista, come ingenuamente sosteneva Max Weber): lo spirito d’impresa fu<br />
l’arma che i cattolici italiani usarono per superare l’arretratezza feudale e per liquidare le<br />
suggestioni reazionarie dell’imperialismo ghibellino.<br />
Ma l’uso storicamente felice, che ne fu fatto, non toglie l’origine spuria del capitalismo.<br />
Giuliani-Balestrino, infatti, dimostra che la cultura cattolica concesse libertà troppo ampie<br />
allo spirito d’impresa perché lo giudicava alla stregua di un insostituibile sostegno alla<br />
guerra contro l’invasore islamico.<br />
A fronte di queste libertà fu però necessario inventare un contrappeso giuridico, cioè uno<br />
spietato diritto fallimentare, che contemplava perfino la pena di morte. L’eccesso della<br />
legge fallimentare avvelenò lo spirito d’impresa: “la minaccia del fallimento è diventata<br />
un’ossessione squilibrante” che ha moltiplicato la tensione psicologica, e accentuato i vizi<br />
dell’imprenditore moderno. Si trova qui la vera origine del capitalismo selvaggio.<br />
L’intuizione di Giuliani-Balestrino fa cadere le mitologie complottiste agitate dalle tute<br />
bianche intorno alla malvagità del capitalismo americano (di radice giudaica) ed apre una<br />
nuova e affascinante via di riforma. Questo dimostra la vitalità del pensiero cattolico non<br />
conformista e svela una scenario culturale, che conforta i sostenitori dell’economia<br />
solidale di mercato, mentre sottolinea l’inanità del delirio ecologico e del ribellismo<br />
anarchico.
Requiem<br />
Dal passato d’una chimera al domani del nulla<br />
Sarebbe ridicolo cercare la bianca piuma della colomba umanitaria nell’uovo del serpente,<br />
che ha avvelenato le cronache genovesi intorno al G8. La tragica rappresentazione, alla<br />
quale abbiamo assistito sgomenti, reca infatti la firma della febbre vandalica impastata<br />
nella farina dell’ignoranza e nell’acqua del delirio nichilista. Giovanni Paolo II ha definito<br />
“cultura di morte” l’impasto che ha nutrito quella che il presidente della Repubblica Azelio<br />
Ciampi bolla come cieca violenza contro il G8. Bertinotti e don Gallo, con patetica<br />
ostinazione, si estenuano nella ricerca del confine che dovrebbe separare la rivoluzione<br />
proletaria & la teologia della liberazione dal nichilismo anarchico. In realtà questo confine<br />
non esiste e non è mai esistito, perché – caduto il sipario delle illusioni – è a tutti visibile la<br />
strutturale inutilità cadaverica della rivoluzione.<br />
Don Gallo, il prete che, incurante dell’insegnamento del papa, favorisce gli aborti e coltiva<br />
la canapa indiana, mostra il vero significato del passaggio da Marx a Marcuse: il<br />
sopravvento della gratuità surrealista e della spiritualità psichedelica sulla rivoluzione<br />
proletaria. Non c’è niente di proletario nell’aborto e nella coltivazione della droga,<br />
squallido inseguimento dei tradizionale vizio dell’oligarchia.<br />
Chiusa la parentesi “scientifica”, alla rivoluzione non rimane che la dottrina di un prete<br />
sceso in guerra contro la vita e contro la ragione. Davanti a questa situazione grottesca e<br />
umiliante anche il minimalismo dei Ds arretra. D’ora in avanti la via del riscatto proletario<br />
si separa dalla via dell’insurrezione nichilista.<br />
La quarta ed ultima fase della rivoluzione moderna, quella che ha prodotto milioni di morti<br />
per tossicodipendenze, aborti, suicidi, malattie sessuali e atti del delirio non si spiega<br />
tuttavia senza riferimento alle radici del “moderno”.<br />
Il nichilismo, furore divampante sotto la parrucca illuministica, ha infatti origine da quella<br />
cupidigia d’irrealtà, che presumeva di sconfiggere il male abbattendo le difese<br />
immunitarie della fede e della ragione. Nel XVIII secolo, il nichilismo ha infatti vestito<br />
l’abito della frivolezza demente, che (con De Sade) esultava, nelle corti e nei salotti, per il<br />
solluchero ottenuto sacrificando la legge morale.<br />
Il fatto è che l’immoralismo, imperversante nelle corti europee del Settecento si trova già<br />
in Spinoza. La chimera panteista, aveva fatto il nido nella commovente illusione di<br />
redimete (“liberare”) l’umanità immaginando un’unica sostanza, dove il male si dissolve<br />
nella contemplazione della divinità di qualunque atto.<br />
L’etica spinosiana aveva una base talmente fragile da non sopportare l’obiezione timida e<br />
rispettosa di Blyenbergh, un dilettante di teologia, il quale fece immediatamente notare<br />
che, dato il pregiudizio panteista, il passaggio dal male alla felicità scendeva<br />
nell’impensabile.<br />
Il risultato apparente della speculazione spinosiana fu l’idea rassicurante, quasi<br />
anestetica, di un mondo sicuro e perfetto, per l’uomo che avesse acquisito la coscienza<br />
del proprio radicamento all’eternità.<br />
Ora la beatitudine fantasticata da Spinoza si rovescia facilmente nel pessimismo radicale.<br />
Infatti Schopenhauer, fervente ammiratore del sistema spinosiano, conservò il pregiudizio<br />
panteistico ma respinse l’ipotesi sulla beatitudine che avrebbe dovuto discenderne.<br />
Quando Schopenhauer contemplò la volontà perversa, che starebbe intera e indivisa alla<br />
fonte di ogni ente particolare, non fece altro che declinare il panteismo di Spinoza senza i<br />
veli della consolazione.<br />
In questa declinazione coerente, l’unica opportunità è offerta dal non essere: la salvezza<br />
si ottiene grazie all’uscita dal mondo, cioè dalla trasformazione della voluntas in noluntas.<br />
E’ questa l’essenza del nichilismo che oggi si squaderna in Occidente.
L’ultimo atto della guerra rivoluzionaria contro la ragione fu il passaggio dal pessimismo<br />
all’ebbrezza, cioè la peregrinazione di Nietzsche dall’India nera di Shiva alla “splendida”<br />
Grecia di Dioniso.<br />
Curiosamente la nozione di eterno ritorno irruppe quando la mente di Nietzche era<br />
affaticata dagli studi spinosiani e sconvolta dall’abuso di oppio. Il drammatico collasso di<br />
Nietzsche è stato ricostruito con puntiglio da un acuto biografo, Johachim Köhlr, il quale,<br />
fra l’altro, cita un eloquente biglietto, nel quale Nietzsche confessa di far frequente ricorso<br />
all’oppio. In fondo al pozzo della delizia oppiacea, ad attendere Nietzsche c’era la luna<br />
della distruzione.<br />
La musica nichilista suonata a Genova con siringhe e spinelli, è appunto il grido di una<br />
malsana gioia, che prepara il più grande dolore: il tramonto dell’umanità. Come si legge<br />
nel “Crepuscolo degli idoli”: “La vita che nell’immolare i suoi esemplari più alti sente la<br />
gioia della propria inesauribilità”.<br />
Rivoluzione francese<br />
La liberté donnée par le droit de conquête<br />
La veridica immagine della rivoluzione francese si trova nella monumentale “Storia<br />
d’Italia” pubblicata dall’editore Einaudi, dove un collega di Camera e Fabietti, Franco<br />
Venturi, insensibile al brusio umoristico involontariamente suscitato dal suo candore, cita<br />
un messaggio del democratico François Cacault: in Italia la libertà sarà instaurata per<br />
mezzo del diritto di conquista - en Italie la liberté sera donnée par le droit de conquête<br />
(Dispaccio alla Convenzione del 14 Ventoso anno II, 4 marzo 1794).<br />
Poiché rivoluzione, nell’immaginario collettivo, sta a significare movimento di popolo,<br />
sembra lecito domandare se la rivoluzione napoletana abbia celebrato i diritti del popolo o<br />
l’antefatto della gloria di Budapest e Kabul: la democrazia messa sulla punta delle<br />
baionette francesi, in attesa di viaggiare sui più sbrigativi carri armati sovietici. Il lapidario<br />
messaggio di Cacault, a detta di Venturi il più intelligente e moderato fra i missionari<br />
giacobini in Italia (chissà gli altri), rappresenta con comica potenza il pensiero che<br />
dominava le menti dei liberatori francesi e dei loro complici italiani. Non si tratta però di<br />
un’opinione stravagante: quasi tutti gli informatori del Direttorio, che preparavano il<br />
terreno alle truppe d’occupazione, inviavano relazioni dove si sentenziava che gli italiani,<br />
corrotti dal dispotismo non erano maturi per la libertà.<br />
Un’ingente selva di documenti d’archivio testimonia lo spirito antipopolare dei giacobini,<br />
calati in Italia per predicare la virtù ed ottenere l’ambito titolo di cleptomani. Il partito dei<br />
virtuosi d’Italia, d’altronde, era formato dalla federazione delle conventicole oscillanti tra la<br />
loggia massonica, il lupanare e la nobile bisca. L’illuminismo e la rivoluzione, a Napoli<br />
come nel resto d’Italia, eccitavano soltanto cuori al crepuscolo ma con mezzi di fortuna.<br />
Di giorno nei giardini dei palazzi, di sera nei raffinati boudoirs, l’oligarchia infranciosata<br />
tentava d’ingannare la noia incipriata fingendo scene d’Arcadia o compiendo sublimi<br />
indigestioni di chiacchiere intorno alla filosofia dei fisiocrati (gli ecologisti da giardino, che<br />
flagellavano i magnanimi languori dei padroni di casa).<br />
La figura più rappresentativa di tali cospiratori fu, senza dubbio, Vincenzo Cuoco, un<br />
pensatore infatuato dai miti della Grecia oziosa e perciò incline a disprezzare la bassa<br />
gente cristiana, obbligata a lavorare. Il suo luminoso pensiero, per quanto riguardava il<br />
popolo, si trova nella sentenza scritta nel saggio “Platone in Italia”: “l’educazione del<br />
popolo va circoscritta entro certi limiti, nel senso che al volgo conoscer le vere ragioni è<br />
inutile, essendo le genuine scaturigini delle cose riservate ai savi, unici depositari del<br />
vero”. Concetto di squisita identità codina, elucubrato da un assidui frequentatore di<br />
palazzi nobiliari e perciò rivoluzionari.
Alla vigilia della rivoluzione immaginaria, celebrandosi l’unione ipostatica di<br />
parrucconismo e giacobinismo, Vincenzo Cuoco otterrà riconoscimenti, onori, denari e<br />
cariche, prima dalla duchessa Frangipane, poi dalla repubblica partenopea ed infine dai<br />
Borboni restaurati. Nel campo rivoluzionario la reazione non è mai in agguato, ma sempre<br />
in atto: nell’atto di raccogliere benefici.<br />
Nel 1799 Napoli assistette alla parodia della rivoluzione popolare, eseguita da un esercito<br />
straniero, arruolato per saccheggiare, come proclamava senza ombra di ritegno<br />
Napoleone, e per rinnovare i privilegi dei reazionari in livrea.<br />
L’esercito rivoluzionario non trasportava le celebrate riforme ma un codazzo di funzionari<br />
fanatici e tracotanti, che distribuivano privilegi al servilismo degli intellettuali di corte,<br />
lasciando agli occhi del popolo solo le ragioni del pianto, cioè la scena di un’ebbrezza<br />
fiscale rapinosa e associata ad incomprensibili e odiosi miti e riti neopagani.<br />
I napoletani, come i sudditi di Pio VI, avendo conosciuto i frutti benefici delle sane riforme<br />
già nella seconda metà del XVII secolo, erano indifferenti se non ostili alle novità<br />
rivoluzionarie strombazzate dai giacobini. Lo ha documentato ampiamente un medico<br />
scrittore, Gianni Ruffo, autore di un pregevole saggio sulle riforme di ispirazione<br />
sanfedista, pubblicato nel 1998 dall’editore calabrese Rubettino.<br />
Il 10 febbraio del 1798,Berthier, comandante delle truppe d’occupazione a Roma,<br />
scriveva al Direttorio per segnalare che fino ad allora (dopo dieci giorni dall’occupazione)<br />
il popolo romano non aveva fatto alcuna mossa in favore della conquistata libertà. Strana<br />
rivoluzione, compiuta nell’indifferenza e nell’immobilità del popolo, che doveva esserne<br />
attore e beneficiario!<br />
Il rivolgimento popolare ebbe invece luogo a Napoli, con amara sorpresa degli illuminati,<br />
orgogliosi di una sapienza, che vietava al popolo rerum cognoscere causas: i lazzaroni,<br />
che un tempo acclamavano Ferdinando IV come loro re, all’arrivo dei francesi del<br />
generale Championnet (20 gennaio 1799) capirono immediatamente da che parte stava<br />
la loro “causa”, insorsero e prese le armi, tennero testa per la durata di tre giorni al più<br />
agguerrito esercito del mondo.<br />
Il centenario della rivoluzione popolare non è celebrato dai progressisti, che disprezzano<br />
la plebaglia e perciò riservano il loro culto all’oligarchia collaborazionista, scesa in guerra<br />
contro i lazzaroni. Ora il sentimento dei “patrioti” schierati con i giacobini si identifica con<br />
la dichiarazione resa dall’ammiraglio Francesco Caracciolo davanti alla giuria che lo<br />
processava per alto tradimento: Ho aderito alla repubblica partenopea per difendere il mio<br />
patrimonio.<br />
La giustificazione di Caracciolo attribuisce un profondo significato alla controrivoluzione<br />
organizzata dal cardinale Fabrizio Ruffo comandante dell’esercito della Santa Fede:<br />
quello di un insurrezione contro lo spirito del secolo “illuminato” e corrotto e contro<br />
l’ondivaga oligarchia che ne custodiva gli osceni segreti.<br />
Rivoluzione italiana<br />
Il paese reale ha spento l’ideologia<br />
La fortuna delle ideologie correva al traino d’una pedagogia assillante, che snocciolava<br />
l’elenco dei rimedi necessari alla correzione dei vizi latini. Vizi cattolici, naturalmente: fare<br />
gli italiani significava rifare i figli della Chiesa. Infatti la refrattarietà ai supremi modelli<br />
della modernità – la garrula Ginevra di Calvino, la Francia della gloriosa cleptomania<br />
giacobina, la magnifica Inghilterra dell’imperialismo selvaggio, la Prussia del militarismo<br />
perfetto, la Germania dello splendore razzista, la Russia della delizia sovietica – ha<br />
procurato all’Italia due secoli di pedagogia martellante e invadente.
Intimoriti e invasi dalla maestà degli argomenti ideologici e militari, gli italiani non osavano<br />
dichiarare che la lezione era sgradita. E se osavano erano immediatamente incriminati,<br />
come narrano luminosamente le storie dei “Viva Maria!”, degli insorgenti antigiacobini e<br />
dei cafoni in rivolta contro gli incappucciati.<br />
Non che la lezione ideologica fosse insipida o disadorna. L’eleganza in cattedra non si<br />
discuteva: quanto a parole le lezioni massoniche erano stupende. Indro Montanelli, ad<br />
esempio, salito sulla vetusta cattedra, rovesciava un fiume inoppugnabile di argomenti a<br />
sostegno della pedagogia. Spiegava come Max Weber riuscì a dimostrare -<br />
scientificamente - che l’Italia, avendo ignorato i magnifici fulgori della riforma luterana e<br />
calvinista, non poté formarsi quella coscienza manageriale che è indispensabile alla vita<br />
moderna. La causa della nostra arretratezza è il papato oscurantista. Ecco perché l’Italia<br />
è un paese arretrato, peronista e quasi berlusconiano. Come si fa contestare un’opinione<br />
risalente all’inconfutabile Max Weber?<br />
Inconfutabile? Molti indizi inclinavano a riconoscere che nel successo strepitoso<br />
dell’azienda-Italia si specchiava, presumibilmente, una dottrina diversa se non opposta a<br />
quella weberiana. Ma dove trovare il coraggio di dirlo a Montanelli, e agli altri solenni<br />
scolarchi del laicismo eterno - Bobbio, Bocca, Biagi, Galante Garrone, la Spinelli e<br />
Benigni - che predicavano a squarciagola il carattere illusorio del successo ottenuto dal<br />
made in Italy? La realtà è reale, ma l’intellettualismo è ideale. Chi osa sfidare l’intelligenza<br />
dei cartesiani, intelligenza pura e separata dalla turpe storia?<br />
Del resto gli apostoli di Montanelli, viaggianti negli scompartimenti della scolastica<br />
ferroviaria, confermavano la sentenza intellettuale della prima classe:<br />
“Volete mettere l’Inghilterra? Ma l’Olanda stessa…”<br />
“Rubattino ha tentato di copiare lo schema della Compagnia delle Indie ma il modello<br />
inglese era inimitabile…”<br />
“E la burocrazia francese? Quando mai l’Italia, caro signore, ebbe una scuola di alta<br />
amministrazione pari a quella francese?”<br />
“E per carità, amico mio, non parliamo della Danimarca”.<br />
“La Danimarca? Una goduria”.<br />
“Quanto a goduria, il Belgio dove lo mettiamo?”<br />
Già. Il Belgio progressista giudicava l’Italia di Tatarella dall’alto del solluchero realizzato a<br />
Marcinelle. I viaggiatori italiani rimanevano senza astratte parole.<br />
Se non che i fatti sono più eloquenti delle parole, specialmente delle parole astratte da<br />
Montanelli. E i fatti si traducono nei numeri, che hanno detto rudemente la nudità di Max<br />
Weber, di Calvino, di Montanelli e di tutti gli ideologi giudicanti.<br />
Le idee volano in alto, i numeri circolano. Il partito intellettuale è un’ottima corazza contro<br />
il pensiero e un velo contro l’evidenza. Il sinistrismo vinse la guerra delle parole ma<br />
cedette al freddo soffio dei numeri. Numeri di fatti, che rivelano un paese reale<br />
competitivo e perfettamente adatto alle esigenze della nuova economia, cioè diverso dalla<br />
diagnosi nefasta del duo Weber-Montanelli.<br />
Sandro Fontana, storico di professione e politologo geniale, mette al bando la bella<br />
chiacchiera e dimostra, solide cifre alla mano, che la spina dorsale della nazione italiana<br />
è costituita da un “popolo sterminato di lavoratori e di produttori, la cui genesi economica<br />
e culturale rappresenta la confutazione vivente dello schema marxista e di ogni forma di<br />
paternalismo sociale" (”La grande menzogna”, Marsilio, Venezia 2001, pag. 201).<br />
L’Italia è entrata nella ristretta cerchia delle potenze industriali perché sospinta, spiegano i<br />
numeri di Sandro Fontana, dalla sua storia cattolica e da una irriducibile volontà di<br />
riscatto. E i numeri disegnano un paese all’avanguardia: cinque milioni di piccoli<br />
imprenditori, cinque milioni e mezzo di lavoratori autonomi, quattro milioni di professionisti<br />
(due dei quali costituiscono la galassia delle nuove professioni).
Max Weber e le sue sgangherate opinioni sul calvinismo, Montanelli e i suoi teoremi<br />
weberiani, i comunisti dietro la coda di paglia weberiana agitata da Montanelli, hanno<br />
perso la guerra dei fatti. Il loro fiume di chiacchiere trionfa nei cieli pneumatici, ma non ha<br />
alcuna parte nella storia del successo italiano. L’Italia reale ha smentito le dicerie della<br />
setta ideologica. Il Novecento è finito.<br />
La pacifica rivoluzione italiana, della quale Berlusconi è solo l’interprete e il notaio, nasce<br />
dalla tenacia del popolo cattolico, dalla sua laboriosità, dalla sua cultura, dalla<br />
lungimiranza delle sue guide spirituali e politiche.<br />
Prima di fare il conto elettorale del 13 maggio è dunque necessario prendere atto della<br />
rivincita della realtà sull’ideologia. Nel conto si devono mettere le imprese di un secolo<br />
cattolico: l’impulso di Leone XIII alla dottrina sociale, l’opposizione eroica di san Pio X e di<br />
Benedetto XV all’inutile strage organizzata dalle cancellerie “weberiane”, il Concordato<br />
del 1929 e la resistenza di Pio XI agli orrori delle ideologie del Novecento, il tentativo, non<br />
del tutto infruttuoso, di abbassare la temperatura ideologica del fascismo, la<br />
testimonianza di Pio XII Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II a sostegno della<br />
pace e la rivendicazione della dignità religiosa del progresso tecnologico. Ma non si<br />
possono dimenticare i contributi di quei politici cattolici, come Enrico Mattei ed Aldo Moro,<br />
che dimostrarono di avere a cuore l’indipendenza della Patria e il riscatto delle classi<br />
deboli. La storica rivoluzione che precede il voto del 13 maggio è frutto della cultura e<br />
dell’azione dei cattolici, che hanno rimandato alla casa dei sogni i due secoli del<br />
fraudolento magistero anti-italiano. Il resto è cronaca.<br />
Risposta<br />
Alla Repubblica dei maghi<br />
“Repubblica”, quotidiano della (ex) sinistra illuminata e giacobina, mette il cappello del<br />
mago e scende in campo per la difesa della rispettabilità di Roberto Calasso. Non è la<br />
prima volta che questo accade: nel recente passato Eugenio Scalfari ha scritto<br />
(genuflesso come prevede la liturgia iniziatica) una recensione dell’imbarazzante “Kâ”, un<br />
libro pornomistico di Roberto Calasso, che, tra la descrizione di un accoppiamento di<br />
principesse sapienti con cavalli moribondi e l’altro, esaltava la teologia arcaica dell’India<br />
shivaita. Adesso Paolo Mauri occupa due intere pagine del prezioso giornale scalfariano<br />
per difendere Roberto Calasso dalle accuse roventi, rivoltegli da alcuni critici, definiti<br />
“balilla dell’Opus Dei”. Chi si trova nella compagnia dei balilla (sognando di riavere l’età<br />
dei balilla) dell’Opus Dei (per l’esattezza: non appartengo all’Opus, anche se considero<br />
l’appartenenza a quell’istituto un titolo d’onore) accusati d’infamia per aver scritto che la<br />
casa editrice Adelphi, adottando i maestri fondatori del nichilismo <strong>postmoderno</strong> (Stirner,<br />
Nietzsche, Bataille, Klossowski, Hillman, ecc.) e gli autori più ridicoli ed equivoci della<br />
(falsa) destra magica e nazi-ecologista (il ciarlatano Guénon, propalatore della grottesca<br />
leggenda di Agharti e lo sgangherato Junger, Heidegger, Lorenz, Eliade, Cioranescu,<br />
Zolla ecc.) ha propiziato la trasformazione della cultura di sinistra nella cultura decadente<br />
e barzellettistica che adesso esplode anche nelle pagine fieramente laiche e progressive<br />
di Repubblica. (Ma cosa non è stata Repubblica?) A tale contestazione cosa replica<br />
Mauri? Niente. Si limita a dire, con iniziatico sussiego, che “una difesa di Adelphi non<br />
avrebbe senso, basta il catalogo con buona pace di Vassallo”. Dovrebbe dire piuttosto<br />
con buona pace del catalogo adelphiano, dove si trovano tutti gli autori imbarazzanti che<br />
ho citato insieme con tanti della stessa risma. La contiguità con un editore magico ha fatto<br />
credere a Mauri che sia sufficiente una battuta, anzi un tocco leggiadro del cappello a<br />
cilindro per far sparire la spazzatura dell’editore sotto il tappeto orientale. Non basta,<br />
invece, e se Mauri crede di aver compiuto la magia, se ha ancora qualcosa da contestare,
me lo faccia sapere: immediatamente gli spedirò una piccola edificante antologia delle<br />
squisitezza visionarie, sessuali (etero-omo-auto & sado-maso) e gastronomiche (inteso il<br />
“senso”, dotto Mauri, o dobbiamo violare la decenza e citare qualche squisitezza<br />
zolliana?) che si leggono nei libri pubblicati dall’editore Calasso.<br />
Ma c’è dell’altro, e dell’altro pesantissimo: gli scittori Calasso e Zolla, nelle pagine seriose<br />
e sontuose del Corriere della Sera, hanno pubblicato (nel 1997) articoli di esaltazione<br />
della pedofilia mistica e dello stupro metafisico. Vuole anche queste carte, il candido<br />
difensore degli adelphiani?<br />
Al dottr Mauri, infine, rivolgo una domandina: perché, quando ha citato il mio articolo sul<br />
Tempo, ha omesso di dire che deploravo un elogio della pedofilia, sfuggito alla preziosa<br />
penna del magister Calasso? E’ poco chic parlare di pedofilia? O è sconveniente<br />
mostrare gli scheletri nell’armadio del padrone? Che fa, dottor Mauri, si vergogna<br />
dell’amico importante?<br />
Rosemberg<br />
Il peccato universale secondo Galli Della Loggia<br />
Nell’intento di ridurre i contestatori del G8 ai sublimi disegni dell’oligarchia iniziatica e<br />
finanziaria, Ernesto Galli Della Loggia ha pubblicato, nelle pagine prospere e sussiegose<br />
del quotidiano di via Solferino, un articolo di fondo, nel quale afferma, con la tranquilla<br />
saccenteria del reazionario, che “quella di Genova non sarà la riunione di otto satrapi<br />
agenti in nome e per conto di un pugno di oligarchie planetarie: sarà invece la<br />
rappresentazione di una civiltà [l’Occidene, inteso come frutto secolare dell’universalismo<br />
biblico] che ha unificato il mondo credendo di padroneggiarne per sempre il futuro”. (“Il<br />
peccato originale”, “Corriere della Sera”, 11 luglio 2001).<br />
La lontana ascendenza religiosa dei princìpi della globalizzazione svela brutalmente<br />
l’incoerenza della rivolta clericale contro i G8 e sottolinea la debolezza del progressismo<br />
religioso, incapace di sottrarsi al cadaverico influsso del Sessantotto. Se non che<br />
l’intenzione di Galli Della Loggia non è indicare la fonte culturale del globalismo, e tanto<br />
meno sottolineare il possibile adattamento dei G8 all’assioma (“oggi il nome della giustizia<br />
è sviluppo”) proclamato da Paolo VI nella enciclica “Populorum progressio” e<br />
continuamente rivendicato da Giovanni Paolo II. Evidentemente persuaso che sia un<br />
errore estendere lo sviluppo tecnologico ai popoli del Terzo Mondo, Galli Della Loggia<br />
nutre un’aspirazione opposta a quella dei cattolici: indicare ai contestatori dei G8 il<br />
bersaglio (la cultura globalizzante - omologante ispirata dal monoteismo biblico e<br />
cattolico) contro il quale, per essere coerenti con le suggestioni confuse che li agitano,<br />
dovrebbero rovesciare il loro risentimento. Non avvicinare la globalizzazione alle esigenze<br />
dell’universalismo ma trasformare il sostegno ai popoli del terzo mondo in contestazione<br />
dei progetti intesi ad elevarli al grado dell’occidente.<br />
La temperatura del furore anticattolico, che altera il pensiero di Galli Della Loggia, si può<br />
misurare considerandone l’associazione con il pregiudizio contro il monoteismo, “che<br />
incarna uno dei progetti di riunificazione-omologazione del pianeta più ambiziosi che si<br />
possano concepire e inevitabilmente, ahimè, anche uno dei più distruttivi”.<br />
La diffusione planetaria del monoteismo, secondo Galli Della Loggia “ha infatti significato<br />
la virtuale cancellazione di ogni sfondo religioso, di ogni struttura di pensiero e di costumi,<br />
di ogni universo antropologico incompatibile con il modello cristiano”. In altre parole il<br />
peccato originale del monoteismo biblico e cristiano è la “distruttività nei confronti delle<br />
diversità culturali”.
In sintonia con i pensatori nazisti, Galli Della Loggia addebita alla fede monoteista la<br />
distruzione delle meraviglie conservate nelle religioni politeiste, vale a dire i culti di Thor,<br />
Baal, Astarte, Iside, Dioniso, Mitra, Shiva.<br />
Galli Della Loggia confessa senza difficoltà l’abbassamento del suo orizzonte culturale<br />
alla nostalgia (squisitamente regressiva) per il politeismo. Su questa linea, però, il<br />
naufragio del pensiero liberal nel brodo di cultura del nazismo è inevitabile. Il nazismo,<br />
infatti nasce quando le fantasticherie nibelungiche di Wagner e le allucinazioni<br />
dionisiache di Nietzsche incontrarono il misticismo malsano e il feroce antisemitismo, che<br />
avevano turbato la Germania tardo romantica.<br />
In una conferenza tenuta recentemente a Torino, il ricercatore G. C. Burlando ha<br />
ricordato il ruolo rilevante che, nella formazione dell’ideologia nazista, ebbe il<br />
tossicomane Dietrich Eckart (1868-1923) l’autore di un saggio (“Bolschevisum von Moses<br />
bis Lenin”) scritto per affermare la necessità di “purificare” la fede cristiana separandola e<br />
opponendola al monoteismo ebraico.<br />
Il delirio teologico di Eckart, che esercitò una forte influenza in Rosemberg e perfino in<br />
Hitler, rappresenta la drammatica vicenda della cultura tedesca, che usò il nome cristiano<br />
per occultare la forsennata insurrezione degli antichi dei, identificati da James Hillman<br />
con le malattie mentali. Ora Giovanni Paolo II, nella riflessione sull’Olocausto, ha<br />
dimostrato che la fonte di questa rivolta è la dottrina eretica di Marcione, secondo cui<br />
Cristo non era figlio del Dio della legge a Mosé ma l’emanazione di una divinità anarchica<br />
e immoralista. Eckart, insieme con Rosemberg, fu l’interprete moderno di Marcione: per<br />
suo tramite il nazismo diventò lo strumento ideale della guerra al monoteismo. La<br />
riapparizione della teologia di Eckart nelle espressioni soffici e circospette del pensiero<br />
liberal non può non destare inquietudine.
S<br />
Sceneggiate<br />
Smog<br />
Solitudine<br />
Sceneggiate<br />
Anarchici neri e anime belle<br />
Prima dell’irruzione buonista, il palcoscenico della sinistra conosceva una sola strategia<br />
politica atta ad evitare l’inquinamento dei pacifici cortei da parte dei facinorosi e dei<br />
terroristi: l’organizzazione d’un servizio d’ordine, preparato ad identificare e pronto a<br />
denunciare alle autorità gli agitatori criminali. Questa strategia, negli anni Settanta,<br />
contemplava, prima di tutto, la seria decisione di isolare i violenti, quindi la rinuncia alle<br />
contorsioni omertose (vale a dire il coraggio che tutti gli storici di onesta memoria<br />
riconoscono all’operaio genovese Guido Rossa, che non esitò a denunciare i brigatisti<br />
rossi), infine i mezzi necessari a far seguire i fatti alle parole.<br />
Declinando l’acqua fresca si potrebbe dire che i mezzi necessari a tutelare l’immagine<br />
pacifica dei cortei si scrivono con molti zeri: l’apparato di controllo, oltre ad implicare un<br />
fede politica salda ed una disciplina totalizzante, atta a impedire le manfrine intorno ai<br />
compagni che sbagliano, esige abbondanza di denaro liquido.<br />
Fuor di metafora: il finanziamento sovietico non c’è più, l’apparato dei Ds è allo sbando, la<br />
fede totalitaria si è dissolta insieme con il modello sovietico, che la ungeva, i trotzkisti di<br />
Bertinotti scalpitano e incalzano. In compenso zeri fino ai quattrocento milioni<br />
avventatamente elargiti del governo Amato, confortavano gli scudi pacifici della<br />
dimostrazione violenta. Il preambolo della tragedia consumata a Genova durante ilG8 è il<br />
finanziamento al Genoa social forum.<br />
Piero Fassino, almeno, ha dimostrato buon senso, revocando la decisione diessina di<br />
partecipare ad una manifestazione insieme con l’incontrollabile popolo di Seattle.<br />
Fassino, presumibilmente, ha seguito un suo filo logico: senza un adeguato servizio<br />
d’ordine nessuno può garantire il pacifico svolgimento di una manifestazione di massa. E’<br />
perciò consigliabile non affrontare il rischio di confondere il partito della sinistra moderata<br />
con gli autori di prevedibili atti di violenza impopolare.<br />
Purtroppo il timore di Fassinosi era pienamente giustificato. Gli ispiratori dei manifestanti<br />
buoni e pii, infatti, hanno seguito il filo logico della tartuferia: “posto come premessa il<br />
soave rifiuto della disciplina totalitaria, noi siamo pacifici, umili e aperti, amiamo<br />
teneramente i poveri, andiamo incontro ai loro bisogni, ed esortiamo i birichini a fare il<br />
bene ed evitare il male. Il ragionamento è finito andate a manifestare a Genova in pace”.<br />
Il gregge di Vittorio Agnoletto e (spiace rammentare l’anacronistica aggregazione cattolica<br />
al Genoa Social Forum) dell’incauto arcivescovo Dionigi Tettamanzi, pertanto è andato in<br />
tutta tranquillità allo scontro. Senza giudizio, ché il giudizio (insegna la teologia della<br />
liberazione) è un’attività ellenistica, dunque politicamente scorretta.<br />
Il governo, assediato dall’untuoso esercito dei buoni, ha fatto la sua parte, abbassando la<br />
guardia e cercando il dialogo con soggetti politici che proclamavano ai quattro venti<br />
l’intenzione di impedire (con la bontà?) lo svolgimento della riunione dei G8.<br />
A due a due, come castagne protette dal riccio, le pelose pecorelle del Genoa social<br />
forum hanno marciato trionfalmente insieme con il prete di strada don Andrea Gallo e con<br />
il leggiadro Bertinotti.
Spunta Fausto, canta Gallo la pecorella monta a cavallo. Pensiero della notte: andate al<br />
galoppo e siate pecore buone. Gli altri, i bricconcelli, sono sotto il controllo delle nostre<br />
ispirate e dolcissime parole. Come i fatti di Genova hanno poi confermato puntualmente.<br />
Narra una delicata leggenda metropolitana che trecento teppisti vestiti di nero, abbiano<br />
turbato la deliziosa manifestazione di trecentomila beati operatori di pace. Domanda la<br />
canzonetta: uno su mille ce la fa? Mille persone piissime e democratiche non sono capaci<br />
di tenere sotto controllo un solo teppista nero? Quale sortilegio paralizzava i mille buoni<br />
opposti al solitario cattivo?<br />
In attesa che don Gallo conduca i suoi mille impediti a Lourdes, per guarire dal disturbo<br />
maligno che li immobilizza, qualcuno si interroga e interroga i filmati: erano solo trecento i<br />
facinorosi? E tutti vestiti di nero? Infatti affollate scene di teppismo (e di teppismo<br />
magnificamente addestrato) se ne sono viste moltissime, ma in esse è apparsa<br />
raramente una sagoma nera. E’ lecito sospettare che i terroristi fossero più di trecento? I<br />
testimoni, le immagini e la logica dicono che i teppisti erano migliaia, ben addestrati e ben<br />
nascosti nella folla pacifica e spensierata. E don Gallo cosa dice?<br />
Il fatto è che, in una manifestazione senza controllo e senza disciplina, la massa pacifica<br />
assume spontaneamente la funzione di proteggere e aiutare i facinorosi. Visti da vicino (e<br />
con gli occhi della sindrome di Stoccolma) i facinorosi sembrano bravi ragazzi, capaci<br />
tutt’al più di birichinate. Terroristi? Teppisti? Non scherziamo, ragazzi: a sinistra non ci<br />
sono nemici. Nemici sono poliziotti e carabinieri,<br />
Gli ispirati dal verbo buonista non sono schizzinosi: le loro mani (debitamente segnate dal<br />
bianco dell’innocenza) sono perpetuamente tese a sinistra.<br />
Alla vigilia dei luminosi fatti di Genova ho incontrato una gongolante e stagionata coppia<br />
di animatori parrocchiali altamente ispirati, che mi hanno fatto entrare nel vivo di una pia<br />
sceneggiata. Ritornavo da un curioso giro negli stand del Genoa Social Forum, ed ho<br />
manifestato alle due anime belle l’inquietudine destata dalla vista delle cose (manuali di<br />
guerriglia, testi nichilistici, volantini anarchici) esposte senza ritegno e delle facce in<br />
splendida circolazione. Mi hanno riso in faccia soavemente: anche loro avevano visitato<br />
l’esposizione dei contestatori e di “strano” avevano incontrato solamente dei bravi giovani<br />
senza cravatta.<br />
La signora mi ha poi chiesto se ritenevo civile e democratico soltanto che indossa una<br />
bella camicia e annoda una cravatte berlusconiane à pois. Per la poderosa pressione del<br />
fosforo i suoi occhi scintillavano quasi lacrimando. Disgraziatamente io avevo al collo una<br />
imbarazzante cravatta a pois, che in quel momento pesava più di un masso. Ah, ah!<br />
Fecero i coniugi carismatici. L’intelligenza trionfava nel suono di un’umiliante risatina.<br />
Mi sono ritirato confuso e disfatto, con la coda fra le gambe. Cosa può obiettare un<br />
incravattato portatore di biechi simboli berlusconiani ai lampi e alle folgori dell’intelligenza<br />
buonista?<br />
L’abbacinante effetto-intelligenza ha funzionato a perfezione anche nelle agitate giornate<br />
di Genova. La principale causa del trionfo terroristico – un morto, decine di feriti, cento<br />
miliardi di danni, la promozione mediatica della città ribaltata in uno spettacolo umiliante e<br />
scostante - è stata l’intelligenza dei carismatici della parrocchia. La ferocia degli estremisti<br />
si può affrontare e con un poco di fortuna anche domare. L’intelligenza dei caudatari,<br />
specialmente l’intelligenza che è benedetta e unta dai vescovi in libera uscita, vola,<br />
trascende e travolge tutti. L’intelligenza della parrocchia progressiva affronta il terrorismo<br />
con l’acutezza ridens che fa sciogliere il nodo delle cravatte berlusconiane. A Genova il<br />
terrorismo si è infatti sciolto in un bagno di folla intelligente, monache scodinzolanti, frati<br />
in anarchica baldoria, campagne suonanti a carismatica distesa. Un concerto utile,<br />
magnificamente utile al partito della ricostruzione brigatista.
Smog<br />
L’ombra dorata del tapiro sull’ecologia<br />
Chi consegnerà il tapiro d’oro agli “ecocabibbi” di Canale 5, ora che la scienza ha<br />
smentito le teorie degli ecologisti intorno all’elettrosmog? Con fede cieca nel mito e con<br />
indeclinabile caparbietà giornalistica, conduttori e inviati di Striscia la notizia avevano<br />
ripetuto il grido anzi l’urlo d’allarme contro i diabolici inquinatori di Radio vaticana.<br />
“Striscia la notizia” ha fatto da cassa di risonanza alle accuse (di omicidio!) che la fazione<br />
delirante del movimento ecologista rivolgeva contro la stazione radiofonica del Vaticano.<br />
Suggestionati e turbati dalla “scienza” di Greggi e Iacchetti, milioni di Italiani hanno<br />
creduto che la Radio vaticana emanasse onde cancerogene.<br />
Tra i credenti nel maleficio papista “scientificamente provato” e denunciato dai cabibbi si<br />
trovava una parte dei ministri in carica nel governo Amato. Alla scuola di Canale 5, e con<br />
eroico sprezzo del ridicolo, alcuni ministri dell’Ulivo si accingevano a spedire un avviso di<br />
garanzia a Giovanni Paolo II. (Ministri da palcoscenico, posseduti dal demone<br />
dell’umorismo oggettivo, stavano scatenando una guerra diplomatica che umilia e<br />
ridicolizza l’Italia).<br />
Gli attori, tuttavia, sono convinti di recitare una parte drammatica. Convocato dal “Corriere<br />
della sera (iniziatica)”, il soave Pecoraro Scanio venne avanti e urlò che il Vaticano era<br />
reo confesso di ecocrimine. L’austero Bordon si accingeva a spezzare le reni del<br />
Vaticano, tagliando i fili della corrente elettrica che alimenta la macchina omicida. La<br />
festosa macchina da guerra era in movimento. Paolo Flores d’Arcais cantava a<br />
squarciagola una canzone intitolata “Vincere!”. Qu’un sang impure arrose nos sillons.<br />
“Vincere?”. Ecco una canzone che ha storicamente menato gramo. Gli scienziati, infatti,<br />
hanno smentito la guerra vittoriosa. Scienziati della parte cui si appella Moretti, quando<br />
supplica “Dicci qualcosa di sinistra”, non biechi complici dell’orrendo sviluppista di Arcore.<br />
Umberto Veronesi, ad esempio: sorridendo ha smantellato le comiche teorie degli<br />
ecologisti intorno all’elettrosmog. Tullio Regge: ha scritto a chiare lettere, nella prima<br />
pagina di “Repubblica”, che i verdi (Bordon, Pecoraro Scanio, la Francescato) narrano<br />
panzane oscurantistiche e che il medioevo barbarico abita a sinistra del sole che ride.<br />
“Repubblica”, a dire il vero, non è la sede appropriata per la diffusione di un discorso di<br />
buon senso contro la follia oscurantista dei verdi. Infatti Eugenio Scalfari e Umberto<br />
Galimberti, in adempimento dei doveri connessi alla loro professione iniziatica, da diversi<br />
anni, usano le pagine del quotidiano illuminista per condurre una feroce campagna contro<br />
la scienza occidentale. Roba da “Corriere della Sera. Evidentemente il professor Regge<br />
non è un attento lettore della “binaria” Repubblica di Scalfari e Galimberti: se lo fosse<br />
avrebbe scelto un'altra tribuna per confutare i verdi. Questo non ha impedito che da<br />
Regge avesse inizio la pioggia di tapiri d’oro che si è rovesciata sul governo ulivista.<br />
A questo punto è lecito domandare: chi esprime l’autentico pensiero della sinistra<br />
schizoide: lo Scalfari ecologista o lo Scalfari scientista? La prima o la terza pagina di<br />
Repubblica? Regge o Galimberti? Veronesi o Pecoraro Scanio? Forse la domanda è<br />
indiscreta: Scalfari non può interrogare Scalfari, dunque nessuno dei due Io (ideologici)<br />
può rispondere.<br />
Certo è che, a questo punto, finisce l’avanspettacolo ed inizia il dramma della sinistra.<br />
Infatti il dilemma scienza o ecologia, rinvia l’Ulivo all’imbarazzante dialettica progressoregresso<br />
e a quella intrigante sviluppo economico-depressione.<br />
Un governo che si presenta agli elettori senza poter dire se ha deciso per lo sviluppo<br />
economico o per l’ecologia è un governo che desta apprensione. Una giustificata<br />
inquietudine, poiché nella storia recente della sinistra, l’ecologismo è stato interpretato,<br />
con coerenza fanatica, da Pol-pot.
Il tiranno cambogiano non aderiva all’ideologia comunista, ma applicava, con ferocia<br />
squisitamente staliniana, i princìpi dell’ecologia. A modo suo Pol-pot è stato un audace<br />
innovatore rosso-verde, che ha indirizzato la via progressista alle desolazioni<br />
dell’economia di sussistenza.<br />
La Cambogia, per nostra fortuna, è lontanissima. Solo geograficamente, però: lo spirito<br />
dell’ecologismo non è un antidoto al pol-potismo. Pol-pot fu plasmato da quegli<br />
intellettuali gauchistes e surrealisti, che programmarono e attuarono la metamorfosi<br />
ecologica e libertina della sinistra. L’anima della sinistra verde è intrinsecamente polpottista.<br />
Tranquilli, tuttavia, Non assisteremo alla fucilazione dei portatori di occhiali, intesi come<br />
conservatori della tradizione culturale e garanti del progresso. Ma potremmo vedere, e<br />
purtroppo già vediamo lo svolgimento di processi di rito cambogiano contro alcuni dei<br />
presidi tecnologici delle legittime comodità e del modesto benessere, spacciati per fomiti<br />
di mostruoso consumismo: l’utilitaria, l’allevamento di bovini, gli inceneritori dei rifiuti, i<br />
telefoni cellulari, le tavole calde della Mc Donald’s. Processi demenziali, e condanne<br />
fulminee, che già producono situazioni grottesche e desolanti: ad esempio la corona di<br />
centrali nucleari intorno all’Italia denuclearizzata dagli ecoterroristi e la fila di treni<br />
ecologici (blindati) per il trasporto della spazzatura italiana verso gli inceneritori tedeschi.<br />
I khmer rossi non spareranno sui portatori di occhiali. Non siamo a quei punti.<br />
Sopravviveremo all’eventuale vittoria della sinistra rutelliana. Ma gli occhiali sono in<br />
pericolo.<br />
Gli occhiali sono utili. Ma il popolo di Seattle ha dichiarato la guerra al vetro e sta<br />
conducendola risolutamente. Il teppista ecologico che fa cadere a pezzi le vetrine, domani<br />
farà abbassare i consumi, tutti i consumi, anche quelli di beni essenziali, come gli occhiali<br />
per i miopi o i presbiti.<br />
L’ecologismo afferma che l’uomo è il cancro della natura, dunque che la salvezza sta nel<br />
contenimento dell’uomo. L’assioma ecologista - meno umanità, più verde – allude agli<br />
scenari del pauperismo. Meno occhiali meno scienza, meno tecnologia, meno consumi,<br />
meno cancro umano. E’ la catena logica del pauperismo.<br />
Non tutta la sinistra è ecologista, naturalmente. Ma come si fa a distinguere l’una<br />
dall’altra? E con quale garanzia il voto elettorale può premiare una delle due anime in<br />
spietato conflitto intorno all’ulivo?<br />
La sinistra non può separarsi dalla sua anima regressiva e pauperista. Regge e Veronesi<br />
sono in grado di confutare le piramidali panzane di Pecoraro Scanio, ma non di<br />
allontanare dalla sinistra l’ombra del medioevo. Veronesi non lo sa ancora, ma la sinistra<br />
“ultima” è già in cammino verso l’economia cambogiana. Ci salverà la zia monaca di<br />
Berlusconi?<br />
Solitudine<br />
Una difficile navigazione<br />
Curioso il dibattito ad armi cortesi, che oppone il rude conservatore Alessandro Maggiolini<br />
al rugiadoso buonista Francesco Alberoni. Il vescovo di Como (per mettere in discussione<br />
il dogma della chiesa indefettibile?) sostiene che la conclusione del pontificato di Karol<br />
Wojtyla è catastrofica: sta sparendo la pratica religiosa, i dogmi perdono di importanza e<br />
viene dimenticato il catechismo. Il guru emerito della facoltà sociologica di Trento,<br />
proclama, invece, l’immortalità del cristianesimo ideale. La fede muore a causa della sua<br />
astrattezza ma risorge sempre perché gli uomini non possono fare a meno dell’illusione.<br />
Sembra di assistere ad un gioco delle parti, dove all’effetto devastante di una suggestione<br />
si aggiunge l’effetto consolatorio della suggestione in apparenza contraria. Maggiolini,
autorevole maestro del pio sospetto indossa i panni del dubbio laico ed annuncia, con i<br />
toni del più nero pessimismo, la disfatta del regnante pontefice: la società si sta<br />
secolarizzando e, se continua così, il Cristianesimo potrà addirittura scomparire dall’Italia.<br />
Giovanni Paolo II non è stato il restauratore, che ha firmato documenti come la<br />
Redemptor hominis, la Splendor Veritatis, la Fides et ratio e la Dominus Jesus, ma il<br />
notaio del tramonto cattolico!<br />
Il tuttologo del “Corriere della Sera” prende però le distanze, ed afferma, in arrampicata<br />
sulle ottave alte di Jovanotti, che il Cristianesimo muore ma non tramonta, perché non ha<br />
lasciato una «Legge» dettagliata, come la Toràh ebraica e la Sharia islamica, ma un<br />
ideale sublime. Dove “sublime” vuole indicare l’utopia bella e impossibile, personificata<br />
dall’idiota di Dostojewskij e, appunto, da Jovanotti, sublime idiota senza Dostojewskij.<br />
E’ evidente che sotto il gioco delle parti (all’arcigno conservatore contro l’autorità del papa<br />
fa eco il rivoluzionario che separa Cristo dalla giustizia del Padre) corre la vena segreta di<br />
quell’irreligione postmoderna, che si riassume nella sentenza da balera heideggeriana:<br />
“solo un dio ci potrebbe salvare”. Non Dio, ma la sua ombra, riflessa in un vago e<br />
oscillante “forse”.<br />
Il vescovo, atterrito, grida che la barca affonda, l’ex maestro sessantottino, cadendo in<br />
estasi, proclama la dolcezza del naufragio cattolico nelle dolci acque dell’irreale.<br />
Entrambi fanno girare (involontariamente? incautamente?) la ruota del mulino disfattista.<br />
Una ruota che esclude i testimoni dell’autentica tradizione cattolica, specialmente quel<br />
cardinale Giuseppe Siri, che aveva denunciato - tempestivamente . l’inganno dello<br />
spiritualismo fittizio, eccitato e trasportato da antichi formicolii antigerarchici e da<br />
collaudati incubi intorno alla malvagità della divina Giustizia.<br />
Il più eloquente esempio dello spiritualismo contraffatto si trova nel proclama estetizzante<br />
in difesa della Messa di san Pio V, pubblicato nel 1966 e firmato da un manipolo costituito<br />
da iniziati ai misteri dell’oscenità, atei dichiarati e laicisti estremi: Raimondo Craveri, Philip<br />
Toynbee, Elena Croce, Salvatore Quasimodo, Elémire Zolla, Cristina Campo, Benjamin<br />
Britten, ai quali si era (inspiegabilmente?) aggiunto Jacques Maritain. A questi signori<br />
nessun problema era più estraneo della difesa della liturgia antica. Tuttavia si lanciarono<br />
nella apologia della Messa di san Pio V (peraltro abbassata al rango generico del “bene<br />
culturale”) nell’intento di arroventare e avvelenare la contestazione cattolica della nuova<br />
liturgia. Risultato raggiunto, come dimostrano purtroppo le ferite inferte all’unità della<br />
Chiesa.<br />
La discussa riforma liturgica del 1966, attuata contro la lettera del Vaticano II, non era<br />
definitiva, come ha riconosciuto implicitamente Giovanni Paolo II (autorizzando la<br />
celebrazione della Messa secondo l’antico canone) ed esplicitamente il cardinale<br />
Ratzinger, che infatti auspica la restaurazione della liturgia tradizionale. L’esperienza del<br />
passato non ha impedito la riproduzione, nel duetto tra Maggiolini e Alberoni,<br />
dell’inquinamento di un dibattito cattolico da parte dei laicisti. Il fatto che le voci del<br />
dibattito siano amplificate da un quotidiano di antica tradizione anticlericale, accresce i<br />
motivi dell’inquietudine e conferma la necessità urgente di una maggiore adesione dei<br />
fedeli al magistero romano.<br />
La fede cattolica è legata strettamente alla “conferma” del Vicario di Cristo. Le fughe nel<br />
passato e le contestazioni devono adattarsi alle circostanze storiche. E oggi le<br />
circostanze sono costituite dalla lotta implacabile che gli “iniziati” ai misteri del sottosuolo<br />
conducono contro il papa polacco, colpevole (ai loro occhi) di aver posto un argine alla<br />
deriva della “cultura di morte”, purificando la Chiesa cattolica dall’odio corrosivo contro il<br />
popolo della Legge.<br />
La linea della fedeltà al Vangelo attraversa infatti le quattro minacce del nichilismo<br />
<strong>postmoderno</strong> alla sopravvivenza del genere umano: aborto, sesso antivitale, droga, delirio
decreazionista (ad esempio l’ecologia inumana, sfoggiata da Adriano Sofri nella<br />
Repubblica del 17 luglio).<br />
Non vedere e peggio svalutare la resistenza eroica che Giovanni Paolo II oppone alle<br />
suggestioni mortifere del nichilismo significa estraniarsi dalla vita cattolica per inseguire le<br />
pulci frivole dell’estetica d’evasione.
T<br />
Terrorismo<br />
Tradizionalismo<br />
Terrorismo<br />
Le radici dell’impotenza a fronteggiare l’eversione terroristica<br />
La vera storia del terrorismo rosso ha inizio alla fine del 1943, quando il musicista Igor<br />
Markevic infiltrò i Gap di Firenze e ne fece il docile strumento della strategia elaborata<br />
dalla frangia deviata (esoterica) dell’Intelligence di sua maestà britannica.<br />
Il fine perseguito dai superiori iniziatici di Markevic, torbido criminale, che sarà coinvolto<br />
anche nella vicenda del sequestro di Aldo Moro, era umiliare e debilitare l’Italia, avviando<br />
la spirale di un odio fratricida inestinguibile. Vero è che l’azione più significativa compiuta<br />
dai Gap fiorentini fu l’assassinio di Giovanni Gentile, un moderato, che adoperava la sua<br />
autorità di filosofo per evitare, per quanto era possibile nella tragica ora della sconfitta,<br />
che gli italiani versassero sangue italiano. L’uccisione di Gentile era funzionale al progetto<br />
di rendere feroce la guerra civile e abbassare l’Italia al rango di una qualunque nazione<br />
balcanica. Un atto vile e insano, che gli iniziati intitolarono alla “sublime perfidia”.<br />
La spia Markevic non è la sola presenza iniziatica nella storia delle sciagure italiane. Un<br />
storico d’alto profilo, Luciano Garibaldi, ha dimostrato che uno speciale settore<br />
dell’Intelligence inglese era costituito allo scopo di sovvertire e devastare l’Italia cattolica.<br />
L’accanimento dei servizi segreti contro l’Italia giustifica il credito che De Felice concesse<br />
all’ipotesi sulle pressioni esercitate da agenti britannici (se non da Churchill in persona)<br />
per ingannare Mussolini e indurlo alla decisione fatale e rovinosa di entrare in guerra a<br />
fianco della Germania.<br />
Il motivo dell’intervento italiano nella II guerra mondiale, è difficilmente spiegabile se non<br />
si ammette che gli inglesi sollecitarono (in qualche modo) Mussolini ad entrare in guerra<br />
allo scopo di far sedere al tavolo della pace il moderatore italiano. In una lettera<br />
indirizzata a Hitler prima dell’offensiva contro la Francia, infatti, Mussolini consigliava<br />
moderazione all’alleato tedesco affermando che l’America non avrebbe mai tollerato la<br />
sconfitta delle democrazie europee, dunque che avrebbe trovato una giustificazione per<br />
dichiarare la guerra all’Asse e ribaltare le sorti del conflitto. (Fatto che si verificò<br />
puntualmente, come è noto).<br />
Alla luce di questa previsione, chiaramente formulata, si deve escludere tassativamente<br />
che Mussolini abbia pensato che la guerra si sarebbe limitata allo scacchiere europea e<br />
conclusa con la definitiva vittoria dell’Asse. Il suggerimento di Churchill o dei servizi<br />
inglesi, anche se non ancora documentato, è dunque l’unico motivo possibile della<br />
dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940. A meno che non si voglia sostenere che<br />
Mussolini, prudente e lucido nel febbraio, sia diventato irresponsabile e precipitoso nel<br />
giugno del 1940.<br />
Ma Luciano Garibaldi, dopo aver dimostrato, sulla base delle testimonianza inoppugnabili<br />
raccolte nel saggio “Vita col duce” edito in Milano da Effedieffe, che rapporti segreti tra<br />
l’Inghilterra e l’Italia fascista rimasero aperti fino al 1945, conclude sostenendo che<br />
“Mussolini fu ucciso da partigiani diretti da agenti britannici di Special Force, i veri<br />
interessati a farlo tacere per sempre, sottraendogli ciò che aveva di più prezioso, la<br />
documentazione della trattative con Churchill”. In tal modo è disegnato lo scenario<br />
iniziatico che fa da sfondo alla storia recente del terrorismo anti-italiano.
Cirino Pomicino, nel “Giornale” del 13 aprile 2001, sostiene invece che il terrorismo<br />
affonda le radici in “una interpretazione deviata della cultura di sinistra, che ha predicato<br />
la rivoluzione e l’abbattimento dello stato borghese”.<br />
Il sospetto che la fonte del terrorismo sia un’abietta agenzia esoterica, come induce a<br />
pensare l’inquietante presenza dell’iniziato (e pederasta) Markevic in due fasi tenebrose<br />
della storia italiana – l’assassinio di Gentile e il delitto Moro – non sfiora Pomicino. Fedeli<br />
a quel principio dell’astinenza dalla cultura, che disarmò De Gasperi davanti a Raffaele<br />
Mattioli, i democristiani non smentiscono mai la loro incapacità di capire gli avvenimenti<br />
prodotta dalla lucida follia degli iniziati.<br />
D’altra parte l’ex statista democristiano dimostra di non vedere il “salto ideologico di<br />
qualità” compiuto dal terrorismo e perciò di essere impotente davanti al fenomeno. Nel<br />
numero dell’Espresso, per una curiosa coincidenza distribuito alle edicole il giorno della<br />
pubblicazione della nota di Pomicino, appare infatti un’inchiesta nella quale si dimostra,<br />
senza lasciare ombra di dubbio, che l’ideologia del nuovo terrorismo è ecologica e non<br />
più comunista. E l’ecologia, guarda caso, ha il suo centro propulsore negli ambienti<br />
dell’oligarchia iniziatica inglese.<br />
Da quale parte sia schierata la redazione “illuministica” dell’Espresso è una domanda da<br />
lasciare a Pomicino. Ma non si può tacere il fatto che l’ecologia, come dimostrano le<br />
magistrali inchieste pubblicate da <strong>Antonio</strong> Gaspari e Massimo Martelli, è il prodotto di<br />
“alte” scuole iniziatiche, dove si miscelano, con sublime demenza, cascami darwiniani,<br />
suggestioni malthusiane, chimere arcadiche, incubi reazionari, furori nazimaoisti,<br />
malinconie comunitarie, e frustrazioni postmoderne.<br />
Quanto al fine delle imprese criminali, il nuovo e più delirante terrorismo non fa misteri<br />
dell’intenzione di colpire il “cancro umano” (l’umanità: traduciamo, per l’uso di quanti<br />
ancora si ostinano a non intendere i messaggi inglesi degli ecologisti d’alto rango)<br />
boicottando e facendo inceppare la macchina della tecnologia.<br />
Rammentare queste verità non significa scagionare i comunisti, che a tempo debito<br />
furono ottimi arnesi della sovversione, ma riconoscere l’evidenza dei fatti: un errore<br />
contrapposto all’errore comunista alimenta la banda dei devastati che, tra uno spinello e<br />
un esercizio ginnico contro natura, si preparano a scuotere le fondamenta della vita civile.<br />
Con la benedizione democristiana impartita dai teologi della morte di Dio, dai filosofi<br />
dell’ostracismo all’intelligenza e dai condottieri della guerra pederastica alla normalità.<br />
Tradizionalismo<br />
L’ideologia mascherata da tradizione<br />
Marcello Veneziani si è lamentato perché il suo pensiero è oggetto di valutazioni<br />
incostanti. In realtà l’incostanza ha sede stabile in un pensiero, il suo, che conduce<br />
l’eclettismo all’incontro con lo stile aereo dei paroliberieri. L’eclettismo di Veneziani nasce<br />
dal desiderio di traghettare nel <strong>postmoderno</strong> la memoria di alcuni autori che gli furono cari<br />
in gioventù, Evola, Nietzsche e Jünger. Impresa disperata, perché in quegli autori, dove<br />
non esplode il delirio, sono sciorinati prodotti buoni per il mercatino delle pulci culturali,<br />
non per gli ambienti della destra evoluta, dove Giano Accame, Fausto Gianfranceschi e<br />
Tommaso Romano indietreggiano spaventati davanti alle pagine verbose e uggiose di<br />
Nietzsche e ai deliri tantrici di Evola.<br />
Tuttavia l’amore per i vecchi e impresentabili libri di famiglia si può capire e perfino<br />
condividere. Amarli, in fondo, non significa condividerli e neppure leggerli, essendo noto<br />
che Veneziani, in biblioteca, non disprezza la vita comoda. Inoltre Evola, pur esponendo<br />
più cose di Adriano Celentano, era brillante, ospitale e simpatico. Perché negargli il diritto<br />
alla buona memoria?
Non si riesce invece a spiegare l’ostinazione con la quale Veneziani tenta di mescolare il<br />
ciarpame con la filosofia seria o addirittura di far passare nel gregge delle pecorelle<br />
filosofiche personaggi (come Alemanno, Storace e Bernardi Guardi) che hanno lo<br />
spessore spirituale dei polifemi.<br />
Infine che senso ha mescolare, con furia da insalata russa, la teologia vichiana della<br />
storia con le elucubrazioni nietzschiane intorno all’eterno ritorno? Scrive Veneziani (“Di<br />
padre in figlio Elogio della tradizione, Bari 2001): “Due concezioni sembrano fondersi<br />
nella visione vichiana: quella lineare di matrice ebraico-cristiana e quella ciclica di matrice<br />
classica e indoeuropea. Vico ricomponeva la romanità, lacerata fra paganesimo e<br />
cattolicesimo”.<br />
Con un’espressione raccolta dalla geometria ginecologica, Veneziani spiega anche l’idea<br />
vichiana di tradizione: si tratterebbe di un cerchio machiavellico che si innalza attraverso<br />
la forma elicoidale della spirale.<br />
Dove ha letto queste cose e dove ha avuto queste visioni, Veneziani? In Vico no di certo,<br />
ammesso che, dopo aver letto le citazioni vichiane in Del Noce, sia anche risalito ai testi.<br />
La “Scienza Nuova”, infatti, è pensata e realizzata proprio per smentire l’antichità pagana,<br />
dalla quale abbiamo ricevuto tradizioni svisate, lacere e sparte. Altro che ricomposizione<br />
di paganesimo e cattolicesimo.<br />
Il significato della filosofia vichiana sta tutto nell’intenzione, più volte manifestata, di<br />
confutare i miti intorno all’età dell’oro e alla sapienza filosofica dei primitivi. Vico aveva<br />
intuito che quei miti avevano nutrito la chimera dilagante nell’apostasia moderna, cioè<br />
l’impulso a rovesciare la storia cristiana in una folle e immotivata rincorsa del passato<br />
meraviglioso – il ritorno alle origini, all’arcadia libertina descritta nelle pagine della<br />
kermesse moderna e realizzata nella barbarie del Novecento.<br />
Vico lo afferma con una chiarezza esemplare, quando distingue la metafisica platonica<br />
dalla politologia mitica di Politeia: “questa tradizione, prendendo Platone di seguito alla<br />
sapienza riposta [filosofica] de’ primi fondatori della Grecia, desiderò con vano disio<br />
questo stato di cose, nel quale i filosofi regnavano, ovvero filosofavano i re" (Scienza<br />
Nuova, 1725, c. II, XIX).<br />
Veneziani non può non sapere che, con questa confutazione dei miti primordiali, Vico<br />
ferisce mortalmente le radici decadenti, regressive e barbare del pensiero moderno<br />
(Hobbes e Rousseau) e quelle del <strong>postmoderno</strong> (Nietzsche, Bataille, Schmitt, Taubes,<br />
Zolla, Cacciari).<br />
Quando si confronta la tesi vichiana con quella di Nietzsche, che (nel “Crepuscolo degli<br />
idoli”, “Quel che devo agli antichi”, 2) compie l’operazione contraria rigettando il Platone<br />
metafisico per quello caduco e perciò oppone gli istinti fondamentali dei primitivi Elleni<br />
all’autentico platonismo (Platone così moralizzato, così cristiano) la reciproca<br />
incompatibilità si manifesta senza lasciar ombra di dubbio.<br />
Appare dunque evidente l’impossibilità di conciliare la tradizione giudeocristiana (che Vico<br />
rivendica) con le proiezioni moderne e postmoderne e neodestre della tradizione pagana.<br />
Nietzsche nega il principio del progresso (“E’ assurdo far rotolare la natura verso un<br />
qualsiasi scopo”), Vico, al contrario, dichiara “la Provvidenza essere l’ordinatrice del diritto<br />
natural delle genti, perché ella è la regina delle faccende degli uomini” (Scienza Nuova,<br />
1744, CV degnità). Le due posizioni non sono mediabili o lo sono soltanto nell’arcipelago<br />
babilonese fantasticato da Cacciari.<br />
L’opera di Veneziani pertanto assomiglia alla recita di quel Fanfulla che rappresentava la<br />
sintesi legando il laccio delle scarpe alla cintura e perciò stava in scena con le gambe<br />
all’aria e il sedere a terra.
U<br />
Umiltà<br />
Il vescovo a una dimensione<br />
Amministrare l’eredità di un grande uomo è un’esperienza fracassante. E’ dunque<br />
doveroso contemplare con compunto rispetto il dramma umano dell’attuale arcivescovo di<br />
Genova, Dionigi Tettamanzi, le cui oneste qualità sono sistematicamente eclissate dalla<br />
memoria di un predecessore, il cardinale Giuseppe Siri, che fu uomo “tremendo” (nel<br />
significato che Platone ha conferito al termine “tremendo” attribuendolo alla paternità di<br />
Parmenide). Siri ha segnato, con gli atti di un magistero indelebile e tremendo,<br />
quarant’anni di dramma ecclesiastico, Tettamanzi naviga pacificamente nelle carte di un<br />
magistero alluvionale, ma senza amici e nemici in ascolto.<br />
Occorre tuttavia riconoscere che il successore del cardinale Siri si comporta con umiltà e,<br />
per evitare la platonica tentazione del parmenicidio, si rifugia umilmente nelle espressioni<br />
della pastorale buonista.<br />
Purtroppo anche l’umiltà, talvolta, prende la mano e trascina i suoi amanti al parmenicidio<br />
vero e proprio: al pensiero a due teste e ad una sola dimensione e al discorso intorno al<br />
nulla.<br />
Non si vuole insinuare che il cardinale Tettamanzi ceda alla moda conformista dei talk<br />
show, ma osservare, con cautela ossequiosa, che, accompagnata oltre un certo limite,<br />
l’umiltà può tracimare nella passione per le cose tremendamente ovvie.<br />
Ad esempio: in una recentissima omelia, pronunciata in vista del G8, il cardinale,<br />
nell’intento (peraltro felicemente riuscito) di scansare la tentazione della superbia, che<br />
suggerisce pensieri acuti e originali, si è gettato nelle sicure braccia dell’umiltà ed ha<br />
dichiarato: “La globalizzazione in sé non è ne buona né cattiva, ma sarà ciò che gli uomini<br />
ne faranno”.<br />
L’umiltà risplende. Ma, in questi splendori, l’umiltà si rivela sposa eccellente per il<br />
soggetto non pensante, flagello per l’oggetto pensato. L’umiltà e la povertà, in questo,<br />
sono simili: convengono alla persona, oscurano il discorso sulla realtà: non è povero colui<br />
che trasferisce la povertà sull’esistente (ad esempio: il promotore socialista della miseria<br />
diffusa) come non è umile colui che umilia l’oggetto del pensiero con la scusa di atterrare<br />
il pensante. Il pensiero è fatto per le cose grandi, dal momento che l’essenza del creato è<br />
la magnificenza.<br />
E’ dunque necessario diffidare dell’umiltà incautamente rovesciata nei pensieri umili.<br />
Trasferita all’oggetto, l’umiltà può diventare una Circe del pensiero, e dettare espressioni<br />
dell’imbarazzante genere tautologico: l’acqua nella pentola non è né calda né fresca,<br />
finché la massaia non decide di bollirla o di conservarla nella temperatura misurata<br />
all’uscita dal rubinetto. Esposti i pensieri sull’acqua, un palombaro dell’essere potrebbe<br />
addirittura rivelare che il fornello del gas, prima dell’accensione era spento e freddo.<br />
Quasi per riscattare la modestia della definizione tautologica, il vescovo Tettamanzi si<br />
lancia audacemente nell’abisso dell’insolito e dichiara: “ E’ necessario trovare i modi<br />
affinché tutte le voci possano esprimersi purché nel rispetto e nel dialogo. L’incontro (il<br />
G8) è diventato un fenomeno culturale di massa”. Il vescovo intende annunciare<br />
vertiginosamente che, intorno al G8, le autorità clericali e comunali allestiranno tavole<br />
rotonde e quadrate per tutti gli esternatori che – nel rispetto e nel dialogo teppisticamente<br />
intesi - si daranno appuntamento a Genova in nome dell’umiltà oggettiva.<br />
Pronostico delizioso, che conferma le certezze oracolari del roseo sindaco di Genova, il<br />
professor Pericu, il quale, avendo dialogato con i contestatori ha stabilito, con assoluta<br />
certezza, quali sono corretti e quali birichini.
Il dialogo, per inciso, ha avuto il seguente memorabile andamento:- Buon giorno, signor<br />
sindaco, siamo il popolo di Seattle, contestatori cioè educati e politicamente corretti. Il<br />
sindaco: Ci sono fra voi teppisti? E i contestatori: Teppisti sono gli altri. E il sindaco: - Chi<br />
sono gli altri? E i contestatori:- Gli altri, è evidente. Cioè i poliziotti. Il sindaco, rassicurato:<br />
Benissimo, sarà una cuccagna. In conclusione il sindaco ospiterà tutti i contestatori<br />
perché sono buoni e a spese dell’erario. L’arcivescovo in solluchero li benedirà. Genova<br />
diventerà sarà l’ultima roccaforte del socialismo reale. Pacificamente, parola dei<br />
contestatori.<br />
Tra una locuzione asettica e uno spruzzo d’acqua fresca, fa capolino l’idea strategica di<br />
sua eccellenza Tettamanzi: tentare il battesimo e l’orchestrazione della protesta, che sarà<br />
inscenata dai nostalgici dell’ideologia. Archiviato il progressismo, fallito l’ecumenismo, i<br />
vescovi postconciliari giocano l’ultima carta: tradurre il messaggio regressista di Seattle<br />
nella blanda e sfinita chiacchiera dei teologi della liberazione depressa (i don Gallo e i<br />
don Balletto, ”sali” effervescenti della curia genovese). Si tratta di un disegno illusorio,<br />
perfettamente adeguato all’asmatico respiro di un pensatore depresso come Valter<br />
Veltroni.<br />
Se non che il Veltroni-pensiero non è sufficiente a nascondere la contraria memoria<br />
dell’ottimismo cattolico, che fu autorevolmente interpretato dal “pacelliano” Giuseppe Siri.<br />
Il pensiero cattolico avrebbe gli argomenti atti ad illuminare il G8, quando fossero messi<br />
da parte i logori arnesi della teologia progressista, con i quali giocano le sacche del<br />
ritardo ecclesiastico.<br />
Il pensiero cattolico, infatti, è la fonte di quell’umanesimo italiano, che ha avviatola grande<br />
avventura dell’Occidente modernizzatore. L’Occidente non è la Cristianità, ma deve la<br />
sua esistenza e la sua natura fondamentalmente benefica al pensiero cristiano, e in modo<br />
speciale alla teologia agostiniana della storia. Senza l’antropologia cattolica e senza la<br />
lezione della tolleranza agostiniana, l’Europa non sarebbe mai uscita dal vicolo cieco nel<br />
quale l’avevano precipitata le invasioni dei barbari e nel quale oggi vorrebbero respingerla<br />
i teorici e gli scalmanati attivisti dell’oscurantismo verde. Se l’ebbrezza ecumenica non<br />
facesse velo, sarebbe facile vedere questa verità storica specchiata nell’arretratezza che<br />
l’Islam ha ricevuto dal pessimismo teologico, dall’integralismo e dal mito della guerra<br />
santa contro l’infedele. Senza l’idea agostiniana della pacifica convivenza delle due città,<br />
senza la teoria che contempla la provvidenziale congiura delle due economie e dei due<br />
amori, l’Europa non avrebbe mai conosciuto la primavera umanistica, rappresentata da<br />
san Tommaso, Dante, Petrarca, Suarez, Vico, Rosmini e dagli altri autori di una<br />
ininterrotta tradizione di pensiero. Contestare l’Occidente in nome del pregiudizio<br />
naturalistico o addirittura in nome della religione della terra, come fa il popolo di Seattle,<br />
significa rinnegare l’eredità dell’umanesimo cristiano, senza dare risposta alle autentiche<br />
istanze dei popoli terzomondiali, che invocano sussidi tecnologici e criteri modernizzatori,<br />
non suggestioni pauperitiche e minestre rivoluzionarie scaldate nella sacrestia<br />
cattocomunista.<br />
La cieca avversione a qualunque ipotesi sviluppista, dopo tutto, umilia la storia luminosa<br />
d’Italia nelle grottesche fantasticherie dei pauperisti di Seattle, che inconsapevolmente<br />
ripetono la ciancia luterana e nazista contro la roccia di Pietro e contro la civiltà di Roma.
V<br />
Verdismo<br />
Compagno asinaro, compagna pastora<br />
I superstiti lettori di Karl Marx (quel barbuto pensatore di Treviri, che nel 1848 pubblicò il<br />
manifesto ritrattato dell’americano Valter Veltroni), ricordano che a fondamento<br />
dell’ideologia progressista stava un rovente disprezzo per la natura incontaminata e per<br />
l’Arcadia pastorale. Marx, per definire la natura quale fu prima dell’intervento<br />
rivoluzionario dell’uomo, ricorreva ad una metafora, che stravolge l’idea di innocenza<br />
primordiale e di stupore contemplante: “la carezza impura dell’asinaro alla pastora”.<br />
L’ingratitudine dell’ateo copriva di disprezzo le meraviglie della creazione.<br />
Il mondo creato, immerso nella natura senza storia, agli occhi di Marx non offriva nulla di<br />
poetico. L’avversione al Creatore era esaltata dalla bestemmia del creato. Il senso della<br />
storia progressista, nella metafora marxiana, aveva origine dalla ribellione di fronte allo<br />
spettacolo della natura.<br />
Infatti il progressismo comunista, nella versione originaria, era dominato dalla volontà di<br />
contaminare, violentare, scomporre chimicamente (alchemicamente) e rifare<br />
industrialmente gli elementi terrestri.<br />
Si può affermare, senza tema di smentita, che il “progetto” fondamentale del comunismo<br />
contemplava la trasformazione del comando biblico (“dominate la terra”) nella<br />
disobbedienza dello homo faber (il proletario) inteso a sovvertire – dissolvere e coagulare<br />
– la realtà naturale.<br />
La rivoluzione marxiana aveva il timbro di quella ferocia innaturale, che Hegel aveva già<br />
intravisto nello sguardo corrusco e iroso del lavoratore-distruttore. La dialettica del<br />
progresso narrava l’avventura “divina” di una collera primordiale, che rifaceva il mondo<br />
per distruggerlo e rigenerare se stessa.<br />
Nell’immaginario del progressismo classico, il mondo nuovo era rappresentato dalle<br />
ciminiere chimiche e dai magli tecnologici, che percuotevano e incendiavano la natura -<br />
questo mondo: la scena dell’immediatezza arcadica - per dissolverlo e coagularlo.<br />
Demolire la realtà e ricrearla a somiglianza del sogno ideologico, ecco il riassunto del<br />
marxismo.<br />
Un ecologista, che fosse apparso davanti a Marx o a un comunista sovietico prima della<br />
svolta sessantottina, avrebbe fatto la figura esecrabile e vituperevole del distruttore della<br />
ragione. Non è un caso che gli eco-romantici, che diedero vita al III Reich germanico,<br />
diventarono grandi e mortali nemici dell’Unione sovietica. La guerra più sanguinosa del<br />
Novecento fu combattuta dagli alfieri di due errori contrapposti e apparentemente<br />
irriducibili: lo scientismo fanatico e il naturalismo neopagano.<br />
Gli ideologi nazisti, traendo le conseguenze estreme dall’ostilità (di Wagner, Nietzsche ed<br />
Heidegger) nei confronti della tradizione biblica, diedero principio ad un neopaganesimo<br />
integralmente reazionario. L’atto di nascita dell’ecologismo, certifica il passaggio<br />
dell’apostasia moderna dal campo contraddittorio dell’umanesimo marxiano a quello<br />
coerente e lucidamente folle del naturalismo nazista.<br />
Costruiti sul comune fondamento dell’apostasia, marxismo e nazismo entrarono in<br />
conflitto a causa di una diversa interpretazione del concetto di progresso come<br />
allontanamento dalla rivelazione biblica: per i marxisti il progresso (ateo) doveva passare<br />
per la via (ascendente) della scienza indirizzata all’umanizzazione della natura, per i<br />
nazisti, invece, doveva percorrere la via (discendente) della scienza inclinata alla<br />
naturalizzazione dell’uomo.<br />
Finalmente gli opposti indirizzi dell’apostasia moderna si ritrovano nella tendenza degli<br />
ecologisti a regredire pacificamente. I distruttori della ragione, inutilmente avversati da
Lukács, i nemici della scienza umanistica hanno perso la guerra e vinto il dopoguerra. Il<br />
marxismo è stato travolto e affossato dall’ecologismo dei c.d. “nazisti rossi”. Benjamin,<br />
Adorno, Marcuse, Bataille e Taubes hanno rimosso Lukács e instaurato il delirio<br />
rossoverde di Richard Wagner e Adolf Hitler e la mistica allucinazione di Rudolf Steiner.<br />
A sinistra adesso regna un pensiero naturalistico, che riduce la via ascendente dei<br />
comunisti alla via discendente e reazionaria tracciata dagli econazisti. Il vero Marx<br />
accompagna la sinistra reazionaria, che ha invertito la marcia del progresso. In questo<br />
scenario si perde l’accento paradossale sul grido – “Bush in sintonia col papa” – scolpito<br />
nel titolo del Manifesto (venerdì 30 Marzo 2001) per sottolineare la convergenza di Bush<br />
con la scelta papista a favore della politica per lo sviluppo economico.<br />
Nella lingua (ormai morta) del progressismo, il titolo sarebbe traducibile così: Bush si<br />
allinea alla dottrina progressista di Giovanni Paolo II. In altre parole: il papa costringe la<br />
prima potenza mondiale a procedere sulla via del progresso. L’oppio dei popoli diventa il<br />
motore del progresso. Una bestemmia, fino al 1968, oggi una dura (e totalmente<br />
incompresa) lezione di storia impartita ai rifondatori.<br />
La verità, sfuggita dal seno del comunismo profondo, è che il baluardo dell’ideale<br />
umanistico di progresso è costituito dal Vaticano. Il tentativo marxiano di rovesciare la<br />
Bibbia è fallito, nel momento in cui il nazismo ritornante ha rettificato il marxismo,<br />
costringendo i suoi epigoni a camminare sui piedi dell’ecologia antiumana.
Scheda bio-bibliografica dell'autore<br />
Piero Vassallo (Genova, 1933), filosofo cristiano, giornalista, scrittore, è uno dei più<br />
eminenti esponenti della destra culturale italiana. Già collaboratore del card. Siri e di<br />
Gianni Baget Bozzo alla rivista "Renovatio", ha partecipato alle più importanti iniziative<br />
editoriali dell'area cattolica non conformista, da "Carattere" a "L'Alfiere", da "La Torre" a<br />
"Traditio", nonché all'attività culturale della Fondazione Volpe e dell'Associazione<br />
Giusnaturalisti Cattolici Filippo II.<br />
Profondo conoscitore di autori quali Agostino, Tommaso e Vico, si è specializzato nello<br />
studio del pensiero del '900, con particolare attenzione alle correnti irrazionaliste,<br />
nichiliste e neognostiche.<br />
Attualmente collabora con il quotidiano "Il Tempo" di Roma e con le riviste "Certamen"<br />
e "Studi cattolici".<br />
Fra la sua più recente produzione saggistica, "L'ideologia del regresso" (D'Auria), "La<br />
memoria del futuro" (Thule), "Pensieri proibiti" (Marco) e "Le culture della destra<br />
italiana" (Effedieffe).