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Paola Caruana Timbrica e Prossemica.pdf - Personal Branding Day

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La prossemica<br />

Il termine inglese proxemics, derivato di proximity,<br />

"prossimità", è stato introdotto dall'antropologo<br />

americano E.T. Hall negli anni Sessanta del 20° secolo<br />

per indicare lo studio dello spazio umano e della<br />

distanza interpersonale nella loro natura di segno. La<br />

prossemica indaga il significato che viene assunto, nel<br />

comportamento sociale dell'uomo, dalla distanza che<br />

questi interpone tra sé e gli altri, tra sé e gli oggetti, e,<br />

più in generale, il valore che viene attribuito da gruppi<br />

culturalmente o storicamente diversi al modo di porsi<br />

nello spazio e di organizzarlo, su cui influiscono<br />

elementi di carattere etnologico e psicosociologico.<br />

Nell'impostazione filosofica della fenomenologia, il<br />

riconoscimento dell'intenzionalità della coscienza<br />

conduce alla nozione di una spazialità umana non<br />

geometrica ma vissuta, che non può essere esplorata al<br />

di fuori del rapporto costitutivo con il mondo.<br />

l. Distanze e valori semantici<br />

La prossemica vuole essere una semiologia dello spazio<br />

in quanto individua in esso un vero e proprio canale di


geometrica ma vissuta, che non può essere esplorata al<br />

di fuori del rapporto costitutivo con il mondo.<br />

l. Distanze e valori semantici<br />

La prossemica vuole essere una semiologia dello spazio<br />

in quanto individua in esso un vero e proprio canale di<br />

comunicazione e, nei modi differenti del suo essere<br />

organizzato, scopre una serie di messaggi interpretabili<br />

con un codice antropologico che, stabilendo regole di<br />

equivalenza tra significanti e significati, attribuisce alle<br />

varie distanze un diverso valore semantico, sul quale<br />

influiscono determinate condizioni di ordine etnologico<br />

e psicosociologico. In questo senso si può sostenere che<br />

la prossemica riconosce, accanto alle tre note<br />

dimensioni dello spazio, l'esistenza di una quarta<br />

dimensione di natura culturale (Eco 1996). Su tale<br />

persuasione del carattere culturale della percezione<br />

dello spazio e del modo con cui gli individui<br />

conferiscono un senso al mondo, si fonda la prossemica<br />

come studio comparato della comunicazione<br />

interumana di tipo non verbale, rispetto alla quale i<br />

diversi sistemi di comportamento presuppongono solo<br />

in parte la medesima fisiologia, trattandosi piuttosto di<br />

differenti mondi sensoriali che possono restare tra loro<br />

separati, non integrati. Ciò mette in crisi la convinzione<br />

che si possa far riferimento a una medesima esperienza<br />

sensoriale che accomuni indistintamente tutti gli<br />

uomini. In realtà l'esperienza vissuta da ciascun<br />

individuo è profondamente caratterizzata dalla cultura<br />

di appartenenza oltre che dalla lingua, e la percezione<br />

dello spazio e la funzione della distanza interumana<br />

sono un caso eclatante di come a differenti mondi<br />

culturali corrispondano differenti mondi percettivi.<br />

Questo è un fenomeno che si può constatare anche<br />

confrontando tra loro le diverse lingue, le quali non<br />

servono soltanto a dire le stesse cose con parole diverse,<br />

ma piuttosto manifestano altrettanti modi di percepire e<br />

ordinare significativamente il mondo (Cardona 1976); in<br />

tale prospettiva, la conoscenza delle lingue straniere ci<br />

offre la mera illusione di essere perfettamente in grado


Questo è un fenomeno che si può constatare anche<br />

confrontando tra loro le diverse lingue, le quali non<br />

servono soltanto a dire le stesse cose con parole diverse,<br />

ma piuttosto manifestano altrettanti modi di percepire e<br />

ordinare significativamente il mondo (Cardona 1976); in<br />

tale prospettiva, la conoscenza delle lingue straniere ci<br />

offre la mera illusione di essere perfettamente in grado<br />

di comprendere il significato delle parole e dei gesti di<br />

culture altre dalle nostre. La percezione non è riducibile<br />

a un fenomeno di natura esclusivamente fisiologica, né<br />

la categorizzazione del corpo e delle sue parti, peraltro<br />

così determinante per la concezione dello spazio,<br />

risponde nelle diverse culture agli stessi criteri, essendo<br />

il 'corpo culturale' qualcosa di diverso dal 'corpo<br />

anatomico' (Cardona 1985). Anche se il corpo umano<br />

resta il modello per la rappresentazione dello spazio e<br />

per la collocazione degli oggetti, secondo un sistema di<br />

coordinate che si riferisce alla nostra possibilità di<br />

orientamento di natura essenzialmente proiettiva, in<br />

virtù della quale l''avanti' indica generalmente ciò che è<br />

di faccia, il 'dietro' ciò che è alle spalle, la 'destra' e la<br />

'sinistra' ciò che si trova di fianco, l''alto' ciò che è sopra<br />

la testa e il 'basso' ciò che è sotto i piedi, tuttavia la<br />

concezione che ogni gruppo umano ha elaborato dello<br />

spazio, per quanto sembri fare riferimento alla<br />

medesima immagine di uomo, in realtà si differenzia per<br />

una sempre particolare assimilazione e codificazione di<br />

natura culturale, in cui gioca il tipo di procedimento<br />

astrattivo messo in atto, cui finisce per riferirsi la lingua.<br />

Articolando le proprie riflessioni in un confronto<br />

costante con i risultati delle indagini etologiche, E.T.<br />

Hall, nel saggio La dimensione nascosta (1966), ha<br />

proceduto a una classificazione delle distanze sulla base<br />

del loro diverso valore semantico. Anzitutto, e partendo<br />

dal mondo animale, egli ha rilevato l'esistenza di una<br />

distanza di fuga e di una distanza critica che valgono per<br />

individui di specie diverse, nonché di una distanza<br />

individuale e di una distanza sociale che riguardano<br />

membri della stessa specie. In merito alla distanza di<br />

fuga va detto che l'uomo, a differenza degli altri animali,<br />

è stato costretto a ridurla di molto con il passare del


dal mondo animale, egli ha rilevato l'esistenza di una<br />

distanza di fuga e di una distanza critica che valgono per<br />

individui di specie diverse, nonché di una distanza<br />

individuale e di una distanza sociale che riguardano<br />

membri della stessa specie. In merito alla distanza di<br />

fuga va detto che l'uomo, a differenza degli altri animali,<br />

è stato costretto a ridurla di molto con il passare del<br />

tempo, e ciò a causa di un sempre crescente<br />

sovraffollamento degli spazi abitati. Ma, prima ancora di<br />

procedere a una classificazione più dettagliata delle<br />

varie distanze, occorre indagare il ruolo che assolvono i<br />

recettori sensibili nella percezione dello spazio. Hall ha<br />

distinto i componenti dell'apparato sensoriale umano in<br />

recettori di distanza (occhi, orecchi, naso) orientati<br />

verso oggetti lontani, e recettori immediati (pelle,<br />

membrane, muscoli) riferiti all'ambiente circostante più<br />

prossimo. Su di essi vengono a influire una diversa<br />

metamorfosi evolutiva, correlata con un lento e faticoso<br />

processo di adattamento, da cui dipende la loro<br />

conformazione attuale, e un condizionamento culturale<br />

al quale ciascun individuo è esposto dalla nascita e che<br />

si fa sempre più determinante sotto il peso<br />

dell'educazione. Questa consapevolezza della presenza<br />

di elementi fisiologici e culturali interagenti nella<br />

percezione dello spazio consente di individuare almeno<br />

tre manifestazioni prossemiche generali: una<br />

infraculturale, che riguarda il comportamento nel suo<br />

stadio più basso di organizzazione e si radica nel passato<br />

biologico dell'uomo; una preculturale, che concerne la<br />

costituzione fisiologica dell'uomo, con particolare<br />

riferimento allo stadio più recente del suo sviluppo; e<br />

infine, una manifestazione microculturale, più ricca<br />

delle due precedenti e rivolta allo studio dello spazio<br />

così come esso viene organizzato secondo sistemi<br />

evoluti. In tale organizzazione è possibile distinguere<br />

uno spazio preordinato, in base al quale vengono<br />

regolate le attività individuali e sociali (come, per es.,<br />

accade con la divisione delle stanze di una casa o con la<br />

sistemazione semistabile del mobilio); uno spazio<br />

semideterminato, in cui la distribuzione degli spazi e la<br />

dislocazione degli oggetti sono tali da favorire


evoluti. In tale organizzazione è possibile distinguere<br />

uno spazio preordinato, in base al quale vengono<br />

regolate le attività individuali e sociali (come, per es.,<br />

accade con la divisione delle stanze di una casa o con la<br />

sistemazione semistabile del mobilio); uno spazio<br />

semideterminato, in cui la distribuzione degli spazi e la<br />

dislocazione degli oggetti sono tali da favorire<br />

dinamiche di fuga sociale (per es., le sale d'aspetto delle<br />

stazioni ferroviarie) o di attrazione sociale (per es., le<br />

terrasses dei caffè francesi); uno spazio informale, il più<br />

importante dal punto di vista della vita interumana, in<br />

cui i confini e le distanze tra gli individui sono regolati<br />

da processi non necessariamente consci che restano per<br />

lo più inespressi, ma profondamente determinanti così<br />

da consentirne una classificazione. Una tipologia<br />

possibile delle distanze umane, ricavata da Hall<br />

utilizzando un campione di individui americani, tuttavia<br />

troppo esiguo perché essa si possa estendere a tutto il<br />

genere umano, né sufficientemente confortata dal punto<br />

di vista sperimentale (Cook 1971), comprende i casi di<br />

seguito elencati, all'interno dei quali è possibile<br />

distinguere una fase di vicinanza e una fase di<br />

lontananza.<br />

a) Distanza intima. La fase di vicinanza è il caso del<br />

contatto erotico o della lotta, o comunque quello di un<br />

alto grado di coinvolgimento corporeo diretto, in cui i<br />

recettori dell'odore e del calore forniscono impressioni<br />

vivaci e la distanza è così ravvicinata da impedire una<br />

visione chiara e distinta. La fase di lontananza riguarda<br />

una distanza compresa tra i 15 e i 45 cm. Entro questo<br />

spazio sono ridotti i contatti del capo, delle cosce o delle<br />

parti pelviche, ma le mani possono ancora raggiungere e<br />

afferrare le estremità dell'altro, di cui restano deformati<br />

i tratti fisici a causa di una visione ancora troppo<br />

ravvicinata e per questo fastidiosa; ciò spiega, per es.,<br />

perché per molte persone l'irruzione inopportuna di<br />

qualcuno nella propria sfera intima sia ritenuta un<br />

segno di maleducazione.<br />

b) Distanza personale. La fase di vicinanza va da 45 a 75<br />

cm; resta ancora possibile toccare o afferrare l'altro per<br />

le estremità e la visione si fa meno distorta, anche se


avvicinata e per questo fastidiosa; ciò spiega, per es.,<br />

perché per molte persone l'irruzione inopportuna di<br />

qualcuno nella propria sfera intima sia ritenuta un<br />

segno di maleducazione.<br />

b) Distanza personale. La fase di vicinanza va da 45 a 75<br />

cm; resta ancora possibile toccare o afferrare l'altro per<br />

le estremità e la visione si fa meno distorta, anche se<br />

non del tutto rilassata a livello muscolare; a questa fase<br />

appartiene ancora una certa intimità di coinvolgimento:<br />

si tratta di quella distanza che, per es., può concedersi in<br />

modo esclusivo una moglie con il proprio marito,<br />

laddove l'eventuale intromissione di un'altra donna<br />

sarebbe invece interpretata come una vera e propria<br />

minaccia. La fase di lontananza va da 75 a 120 cm;<br />

costituisce il limite del 'dominio fisico', e l'altro può<br />

essere toccato al massimo sfiorando le sue dita a braccia<br />

tese; la visione si fa più nitida e non si avverte più il<br />

calore corporeo, mentre l'olfatto percepisce quasi<br />

esclusivamente l'odore dei cosmetici o quello del<br />

respiro.<br />

c) Distanza sociale. La fase di vicinanza (da 1,20 a 2,10<br />

m) è la distanza a cui si trattano gli affari impersonali ed<br />

è di solito mantenuta negli incontri occasionali o<br />

durante i convenevoli; a questa distanza un dirigente,<br />

per es., può rivolgersi a un suo impiegato e comunicargli<br />

tutto il potere che il proprio ruolo gli conferisce solo<br />

guardandolo dall'alto in basso. La fase di lontananza (da<br />

2,10 a 3,60 m) riguarda gli incontri e le trattative di<br />

carattere molto formale; viene, per es., rispettata nella<br />

sistemazione delle sedie rispetto alle ampie scrivanie<br />

dietro cui si trincerano persone importanti, alle quali<br />

viene così consentito di tenere l'interlocutore a una<br />

distanza tale da poter interrompere la comunicazione<br />

anche solo orientando lo sguardo di qualche grado<br />

rispetto al volto di colui che gli sta di fronte.<br />

d) Distanza pubblica. La fase di vicinanza (da 3,60 a<br />

7,50 m) riguarda riunioni assai informali, come quella di<br />

un relatore di fronte a un modesto uditorio, ciò che<br />

comporta da parte di chi parla una scelta più accurata<br />

delle parole e delle frasi del discorso, servendosi di un<br />

tono di voce più alto anche se non a pieno volume. La


ispetto al volto di colui che gli sta di fronte.<br />

d) Distanza pubblica. La fase di vicinanza (da 3,60 a<br />

7,50 m) riguarda riunioni assai informali, come quella di<br />

un relatore di fronte a un modesto uditorio, ciò che<br />

comporta da parte di chi parla una scelta più accurata<br />

delle parole e delle frasi del discorso, servendosi di un<br />

tono di voce più alto anche se non a pieno volume. La<br />

fase di lontananza (da 7,50 m in poi) è la distanza della<br />

massima inaccessibilità pubblica, come nel caso degli<br />

uomini politici, ma non solo; essa implica un'esaltazione<br />

generale della mimica, della postura e della<br />

modulazione vocale, dal momento che a tale distanza si<br />

adombrano i caratteri somatici individuali e si rende<br />

così necessario marcare la presenza di sé per renderla<br />

meglio percepibile. La disposizione dei corpi nello<br />

spazio esprime anche il diverso tipo di relazione sociale<br />

che è in atto di volta in volta; gli individui, infatti,<br />

organizzano lo spazio circostante come spazio sociale<br />

secondo i diversi status di appartenenza, cosicché, per<br />

es., a relazioni di uguaglianza o di disuguaglianza<br />

corrisponderà da parte dei soggetti un modo di disporsi<br />

simmetrico o asimmetrico, oppure scaturiranno<br />

tendenze all'avvicinamento o all'allontanamento<br />

(Danziger 1976). Allo stesso modo, il mantenimento del<br />

medesimo ordinamento spaziale all'interno di un<br />

gruppo sarà segno di una certa reciprocità a livello di<br />

intimità, di dominanza o di altre dimensioni<br />

dell'interazione, laddove i mutamenti<br />

dell'organizzazione dello spazio attesteranno un<br />

eventuale cambiamento della partecipazione e del<br />

consenso (Ricci Bitti-Cortesi 1977). Oltre alla vicinanza,<br />

e quindi alla distanza interpersonale propriamente<br />

detta, sono state riconosciute come dimensioni<br />

significative del comportamento spaziale anche<br />

l'orientazione, cioè l'angolazione con cui due persone si<br />

situano spazialmente l'una rispetto all'altra, che può<br />

comunicare il loro grado di intimità o di interesse;<br />

l'altezza, che uno può variare stando in piedi o restando<br />

seduto, modificando il tacco delle scarpe o la postura,<br />

oppure usando un palco o sedendo sul pavimento; il<br />

movimento nell'ambiente fisico, dove aree diverse sono


l'orientazione, cioè l'angolazione con cui due persone si<br />

situano spazialmente l'una rispetto all'altra, che può<br />

comunicare il loro grado di intimità o di interesse;<br />

l'altezza, che uno può variare stando in piedi o restando<br />

seduto, modificando il tacco delle scarpe o la postura,<br />

oppure usando un palco o sedendo sul pavimento; il<br />

movimento nell'ambiente fisico, dove aree diverse sono<br />

in rapporto a posizioni e ruoli sociali diversi, come, per<br />

es., accade con l'occupazione delle poltrone a un<br />

concerto o a una conferenza, ovvero con la distribuzione<br />

dei posti in un'aula di tribunale; le modificazioni<br />

dell'ambiente fisico, che consistono nello spostamento o<br />

nell'inserimento di oggetti all'interno di uno spazio, tali<br />

da delimitare il proprio territorio e produrre tipi<br />

differenti di interazione sociale (Argyle 1975). Lo studio<br />

prossemico tuttavia, almeno nelle intenzioni originarie<br />

del suo iniziatore, oltre a descrivere il tipo di relazione<br />

sociale e di dinamica psicologica in atto nella divisione e<br />

nell'utilizzo dello spazio umano, avrebbe dovuto<br />

contribuire anche al miglioramento delle condizioni di<br />

vita delle società, soprattutto di quelle caratterizzate da<br />

una forte promiscuità razziale e culturale. In tal senso, il<br />

misconoscimento degli schemi prossemici e delle<br />

differenze culturali nella percezione e nella gestione<br />

dello spazio potrebbe facilmente indurre progettisti e<br />

architetti all'errore di costruire città nelle quali<br />

l'incuranza dei bisogni e dei linguaggi delle varie etnie<br />

rischierebbe di forzare intere popolazioni a un modello<br />

di vita innaturale, causa quindi di un disadattamento e<br />

di uno stress socialmente pericolosi.<br />

2. L'approccio fenomenologico<br />

Nonostante il termine prossemica non compaia mai<br />

come tale, possiamo riconoscere anche alla<br />

fenomenologia il merito di aver indagato, con il suo<br />

proprio metodo, il problema dello spazio umano e della<br />

distanza in modo totalmente rilevante. Anzitutto si deve<br />

alla ricerca fenomenologica la scoperta che il corpo<br />

umano è fondamentalmente trascendenza, apertura<br />

originaria rispetto a cui soltanto può dischiudersi un


come tale, possiamo riconoscere anche alla<br />

fenomenologia il merito di aver indagato, con il suo<br />

proprio metodo, il problema dello spazio umano e della<br />

distanza in modo totalmente rilevante. Anzitutto si deve<br />

alla ricerca fenomenologica la scoperta che il corpo<br />

umano è fondamentalmente trascendenza, apertura<br />

originaria rispetto a cui soltanto può dischiudersi un<br />

'mondo', il quale non è la semplice somma degli enti,<br />

bensì la modalità del loro darsi rispetto alla nostra<br />

possibilità di essere orientati nella direzione del<br />

'progetto' esistenziale. Il corpo, pertanto, nel suo essere<br />

perennemente 'fuori di sé' dispiega uno spazio in un<br />

modo suo proprio; uno spazio però non geometrico, non<br />

neutro e quindi non qualitativamente indifferente, ma,<br />

al contrario, uno spazio vissuto, rispetto a cui le cose<br />

non solo vi restano semplicemente collocate, ma<br />

ricevono la loro posizione e il loro senso a partire dal<br />

'qui' di un corpo concepito come 'punto zero'<br />

dell'orientazione (Husserl 1983). La spazialità umana<br />

non può essere indagata al di fuori del rapporto<br />

costitutivo con il mondo; la vicinanza o la lontananza<br />

sono decise dal modo di prendersi cura di ciò che è<br />

anzitutto utilizzabile, vale a dire alla nostra portata: così,<br />

per es., si può dire che per quanto la strada che posso<br />

calpestare camminandoci sopra sia spazialmente più<br />

vicina dell'amico che mi viene incontro in lontananza, in<br />

realtà essa risulta al contrario assai più lontana di<br />

quello, verso cui io sono orientato dall'intenzionalità<br />

disallontanante della 'cura', rispetto alla quale la<br />

vicinanza spaziale resta così secondaria (Heidegger<br />

1927). È infatti il prendersi cura e non il corpo-cosa ciò<br />

che in questo caso decide della vicinanza. In altre<br />

parole, l'esserci non è spaziale perché è corporeo,<br />

semmai la corporeità è possibile solo in quanto l'esserci<br />

è originariamente un ente 'concedente-spazio'. All'uomo<br />

appartiene così una 'gittata' (Reichweite), la quale fa sì<br />

che il confine del corpo inanimato (Körper) non<br />

coincida con il confine del corpo vivente (Leib): infatti,<br />

se il confine del corpo inanimato è la pelle, quello del<br />

corpo vivente invece muta costantemente con la gittata<br />

(Heidegger 1987), di cui non si dà alcuna misura


è originariamente un ente 'concedente-spazio'. All'uomo<br />

appartiene così una 'gittata' (Reichweite), la quale fa sì<br />

che il confine del corpo inanimato (Körper) non<br />

coincida con il confine del corpo vivente (Leib): infatti,<br />

se il confine del corpo inanimato è la pelle, quello del<br />

corpo vivente invece muta costantemente con la gittata<br />

(Heidegger 1987), di cui non si dà alcuna misura<br />

geometrica. Evidentemente, la scoperta di uno spazio<br />

vissuto rivela di conseguenza quella di una distanza<br />

vissuta. Questa, in quanto qualitativamente differente<br />

dalla distanza geometrica, non può ridursi mai del tutto,<br />

come invece accade con due corpi fisici qualsiasi. Di essa<br />

si può dire che leghi più di quanto separi, né cresce o<br />

diminuisce in rapporto all'avvicinamento o<br />

all'allontanamento degli oggetti, ma al contrario 'si<br />

sposta con noi' (Minkowski 1968). Pertanto, tale<br />

distanza non è per es. maggiore in un deserto a causa<br />

della quantità di spazio a disposizione rispetto a una<br />

strada affollata, dove si è invece costretti a scansare i<br />

passanti. Anzi, proprio lo spazio sconfinato del deserto<br />

finisce per restringere la distanza vissuta a causa<br />

dell'isolamento che esso provoca, laddove il contatto<br />

molto ravvicinato nella strada piena di gente lascia<br />

essere progettualmente più liberi. La conformazione<br />

spaziale prevalentemente non geometrica dell'essere<br />

umano risalta maggiormente nei casi di gravi psicosi,<br />

dove si assiste a una trasformazione radicale dello<br />

spazio vissuto, rispetto a cui ciò che è vicino e ciò che è<br />

lontano perdono la loro autonomia e il loro senso,<br />

mentre lo spazio esterno finisce per confluire e assediare<br />

lo spazio interno, o viceversa, assoggettando l'individuo<br />

a una permeabilità senza limiti (Callieri 1996). In tali<br />

casi, il soggetto può arrivare ad abolire quasi del tutto<br />

quella distanza fondamentale tra sé e l'oggetto, al punto<br />

che l'io finisce per identificarsi in ciò che lo circonda, a<br />

causa di una liquefazione e di una dissolvenza dello<br />

spazio che gettano l'uomo in una esistenza pietrificata e<br />

alla mercé di una progettualità senza progetto e di una<br />

temporalità senza futuro. Tale permeabilità, però, non si<br />

limita solo al corpo proprio, bensì si estende anche allo<br />

spazio vissuto e agli oggetti in esso intenzionati: accade,


che l'io finisce per identificarsi in ciò che lo circonda, a<br />

causa di una liquefazione e di una dissolvenza dello<br />

spazio che gettano l'uomo in una esistenza pietrificata e<br />

alla mercé di una progettualità senza progetto e di una<br />

temporalità senza futuro. Tale permeabilità, però, non si<br />

limita solo al corpo proprio, bensì si estende anche allo<br />

spazio vissuto e agli oggetti in esso intenzionati: accade,<br />

infatti, che in alcuni casi di schizofrenia si manifesti un<br />

vero e proprio 'delirio orifiziale' (Pélicier 1983), durante<br />

il quale il paziente individua per es. nelle finestre della<br />

propria casa dei 'buchi', attraverso cui il suo vicino può<br />

fare irruzione spiandolo, insultandolo, anche solo con lo<br />

sguardo. Sempre al di là delle limitazioni imposte da<br />

una concezione esclusivamente geometrica dello spazio,<br />

la prossimità può essere inoltre pensata in maniera<br />

etica, quale dimensione ontologicamente originaria e<br />

irriducibile dell'essere umano (Lévinas 1978). Questa<br />

prossimità, non riducibile alla semplice vicinanza<br />

spaziale di un io con il suo altro, si configura ancora una<br />

volta come trascendenza. L'altro, allora, resta<br />

assolutamente invisibile e tuttavia costituisce già da<br />

sempre la mia più antica 'ossessione', nel senso che esso<br />

mi concerne già prima di potergli manifestare il mio<br />

amore, il mio odio o la mia indifferenza. In questo<br />

rapporto originario con l'altro la prossimità diventa<br />

inoltre 'responsabilità', intesa come un coinvolgimento<br />

non intenzionale e per di più anteriore a qualsiasi<br />

incontro: un coinvolgimento, un intrico che si configura<br />

a sua volta come 'sostituzione', cioè come un 'esserel'uno-per-l'altro'<br />

reso possibile dall'aver l'altro nella<br />

propria pelle, come un''incarnazione' a cui non ci si può<br />

sottrarre essendo essa legata alla nostra stessa<br />

corporeità.<br />

Tra le modalità di comunicazione, ve n’è una<br />

particolarmente interessante a cui spesso non prestiamo<br />

la dovuta attenzione: la gestione dello spazio fisico ed<br />

emotivo. La prossemica, si occupa di studiare la<br />

comunicazione attraverso le distante fisiche. Il termine è


Tra le modalità di comunicazione, ve n’è una<br />

particolarmente interessante a cui spesso non prestiamo<br />

la dovuta attenzione: la gestione dello spazio fisico ed<br />

emotivo. La prossemica, si occupa di studiare la<br />

comunicazione attraverso le distante fisiche. Il termine è<br />

stato introdotto dall'antropologo E.T.Hall nel 1963 per<br />

indicare lo studio delle relazioni di vicinanza nella<br />

Comunicazione interpersonale. Hall ha osservato che la<br />

distanza sociale è correlata con la distanza fisica ed ha<br />

definito e misurato quattro 'zone' interpersonali:<br />

1. La distanza intima (0-45 cm ) in cui ci si<br />

abbraccia, ci si tocca e si parla sottovoce.<br />

2. La distanza personale (45-120 cm) tra amici.<br />

3. La distanza sociale (1,2-3,5 metri) tra<br />

conoscenti.<br />

4. La distanza pubblica (oltre i 3,5 metri) per le<br />

pubbliche relazioni.<br />

È bene precisare che lo studio di Hall è stato eseguito<br />

sulla popolazione nord americana, pertanto la<br />

quantificazione metrica è valida per quelle popolazioni,<br />

mentre la classificazione generale è estendibile a<br />

qualunque gruppo sociale. Ognuno di noi crea più o<br />

meno inconsapevolmente uno spazio intorno a se.<br />

L’ampiezza di questo spazio è moderata da molti fattori<br />

come la cultura, la razza, il sesso, l’età e il grado di<br />

intimità con l’altro. Lo spazio che creiamo tra noi e gli<br />

altri viene definito “bolla prossemica” perché ci avvolge<br />

e ci “protegge” dall’esterno e altro non è se non la<br />

distanza mentale e relazionale che desideriamo avere.<br />

Quando si incontra qualcuno ci si distanzia<br />

automaticamente sulla base in primis della relazione che<br />

abbiamo con l’altro ( amico, conoscente, partner,<br />

sconosciuto ) e in secondo luogo sulla base di fattori<br />

culturali. Un giapponese o un arabo tenderà a starvi<br />

molto più vicino di un americano o un europeo.<br />

Differenza di questo genere si riscontrano anche tra chi<br />

vive in città e chi in campagna. È interessante notare che<br />

diverse ricerche hanno evidenziato una maggior


abbiamo con l’altro ( amico, conoscente, partner,<br />

sconosciuto ) e in secondo luogo sulla base di fattori<br />

culturali. Un giapponese o un arabo tenderà a starvi<br />

molto più vicino di un americano o un europeo.<br />

Differenza di questo genere si riscontrano anche tra chi<br />

vive in città e chi in campagna. È interessante notare che<br />

diverse ricerche hanno evidenziato una maggior<br />

distanza interpersonale nelle diadi maschio-maschio<br />

rispetto a quella femmina-femmina e un distanza<br />

intermedia nelle miste. Avete mai notato che in<br />

ascensore ci si sente quasi infastiditi dalla presenza<br />

dell’altro? E avete notato di come si cerca di celare<br />

questo malessere prestando attenzione magari alla<br />

targhetta del peso massimo trasportabile? Questo<br />

perché in uno spazio limitato siamo costretti a cedere<br />

una parte della nostra “bolla” che recuperiamo creando<br />

uno spazio mentale, estraniandoci dagli altri. In altre<br />

parole, per la teoria dell’equilibrio, se ci troviamo troppo<br />

vicini a qualcuno con il quale non vogliamo condividere<br />

molta “intimità”, distogliamo lo sguardo per ridurre<br />

l’intimità indesiderata. Pensate anche a quel che accade<br />

al ristorante. Appena ci si siede si iniziano a spostare<br />

posate e a posizionare cellulari e quanto altro per<br />

delimitare uno spazio fisico sul tavolo. È interessante<br />

notare che poco prima di avvertire consapevolmente<br />

variazioni emotive, alle variazioni di distanza, in noi o<br />

negli altri, per le invasioni o abbandoni della bolla<br />

prossemica, il nostro corpo e/o quello degli altri, le<br />

comunica attraverso modificazioni non-verbali, come<br />

irrigidimenti muscolari, modificazioni di postura,<br />

variazione della respirazione e altre. Provate a sedervi<br />

ad un tavolino di un bar con un amico o un conoscente e<br />

spostate lentamente un vostro oggetto verso la “metà”<br />

del tavolino occupata dall’altro. Noterete un<br />

irrigidimento e una nota di fastidio inconsapevole.<br />

Questo perché avrete “invaso” la bolla altrui. Grazie a<br />

questo facile esperimento è possibile comprendere<br />

quanto è importante la distanza tra noi e gli altri.<br />

Un'altra manifestazione prossemica culturalmente<br />

specifica è l'angolazione con cui le persone preferiscono<br />

collocarsi nello spazio, l'una rispetto all'altra. Gli


irrigidimento e una nota di fastidio inconsapevole.<br />

Questo perché avrete “invaso” la bolla altrui. Grazie a<br />

questo facile esperimento è possibile comprendere<br />

quanto è importante la distanza tra noi e gli altri.<br />

Un'altra manifestazione prossemica culturalmente<br />

specifica è l'angolazione con cui le persone preferiscono<br />

collocarsi nello spazio, l'una rispetto all'altra. Gli<br />

italiani, come gli arabi, preferiscono un'orientazione<br />

diretta, mettendosi di solito di fronte all'interlocutore.<br />

Al contrario, gli inglesi e i francesi preferiscono sedersi<br />

fianco a fianco. Prendere coscienza dell’importanza<br />

dello spazio prossemico è un ottimo punto di partenza<br />

per comunicare correttamente. Imparare a gestire le<br />

distanze permette di evitare quei fraintendimenti che<br />

talvolta rovinano le relazioni in partenza. Impariamo<br />

allora ad osservare le reazioni del nostro interlocutore<br />

per evitare di “rompere le bolle prossemiche” altrui.<br />

La <strong>Timbrica</strong> vocale<br />

La voce è uno “strumento” molto particolare, dato che<br />

tutte le sue parti sono contenute all’interno del nostro<br />

corpo. Esattamente come nel caso degli altri strumenti,<br />

è necessario un elemento “eccitante” (cioè l’aria, che<br />

fuoriesce grazie alla spinta del diaframma), un corpo<br />

vibrante (in questo caso le corde vocali la cui tensione,<br />

lunghezza e spessore determinano l’altezza del suono)<br />

e un “ambiente risonante” (rappresentato dalla cassa<br />

toracica nonché la cavità orale, quella nasale e diverse<br />

piccole altre zone distribuite nella scatola cranica).<br />

L’incredibile peculiarità della voce umana sta nel fatto<br />

che il “risonatore” principale, la bocca, è mobile, ed è<br />

pertanto possibile modificarne la forma nel corso<br />

dell’emissione del suono. Ne consegue la possibilità di<br />

variarne il timbro con continuità (ad esempio,<br />

mantenendo un’altezza costante, passando da una “a”<br />

ad una “u”) proprio come se trasformassimo, senza<br />

soluzione di continuità, un clarinetto in un flauto. Nelle


che il “risonatore” principale, la bocca, è mobile, ed è<br />

pertanto possibile modificarne la forma nel corso<br />

dell’emissione del suono. Ne consegue la possibilità di<br />

variarne il timbro con continuità (ad esempio,<br />

mantenendo un’altezza costante, passando da una “a”<br />

ad una “u”) proprio come se trasformassimo, senza<br />

soluzione di continuità, un clarinetto in un flauto. Nelle<br />

sezioni seguenti cercheremo di delineare il meccanismo<br />

di produzione e modulazione della voce per capire<br />

come avviene esattamente questo morphing timbrico.<br />

Come si produce la voce<br />

Dai polmoni alle corde vocali: flusso e<br />

pressione<br />

1. La forza che produce la voce e il canto è la forza<br />

dei muscoli della cassa toracica. Essi,<br />

contraendosi, comprimono i polmoni, e generano<br />

quindi un flusso d'aria continuo che dai polmoni<br />

risale lungo la trachea. Fino a questo punto<br />

nessuna onda sonora è ancora stata generata, ed il<br />

flusso d'aria è simile al flusso espiratorio.<br />

2. Verso l'estremità superiore della trachea l'aria si<br />

infrange contro una sorta di "tendina" (le cosiddette


contraendosi, comprimono i polmoni, e generano<br />

quindi un flusso d'aria continuo che dai polmoni<br />

risale lungo la trachea. Fino a questo punto<br />

nessuna onda sonora è ancora stata generata, ed il<br />

flusso d'aria è simile al flusso espiratorio.<br />

2. Verso l'estremità superiore della trachea l'aria si<br />

infrange contro una sorta di "tendina" (le cosiddette<br />

corde vocali, anche la loro forma è più quella di<br />

pieghe vocali) la cui forma ed apertura è regolabile<br />

attraverso un complesso sistema di muscoli. A<br />

riposo le corde vocali sono in posizione<br />

"aperta" (vedi figura), consentendo il passaggio<br />

dell'aria per la respirazione. Quando vengono tese<br />

dai muscoli si chiudono in misura variabile,<br />

restringendo il passaggio.<br />

3. Il flusso continuo d'aria che urta le corde vocali<br />

subisce un improvviso aumento di pressione, ma,<br />

quando la pressione è sufficiente a contrastare la<br />

tensione delle corde, si ha il passaggio improvviso<br />

dell'aria dalla fessura, con un corrispondente<br />

improvvisa diminuzione della pressione per il<br />

principio di conservazione dell'energia (che in<br />

questo caso prende il nome di teorema di<br />

Bernoulli).<br />

4. La frequenza del suono prodotto dipende quindi, in<br />

ultima analisi, dalla frequenza di oscillazione delle<br />

corde vocali, la quale, a sua volta, dipende dalla<br />

loro tensione, dalla loro densità, e dalla loro<br />

lunghezza. Nei maschi adulti le corde vocali sono<br />

lunghe circa 17-25 mm, mentre nelle femmine circa<br />

12.5-17.5 mm, il che spiega la differenza tra maschi<br />

e femmine rispettivamente attorno a 125 Hz e 210<br />

Hz.<br />

2. Modulare il tono di voce<br />

La nostra voce forse la pi efficace di tutte le<br />

armi che abbiamo a disposizione. Una voce<br />

affascinante può conquistare chiunque, e


2. Modulare il tono di voce<br />

La nostra voce forse la pi efficace di tutte le<br />

armi che abbiamo a disposizione. Una voce<br />

affascinante può conquistare chiunque, e<br />

sopratutto può aiutarci quando inseriamo dei<br />

comandi nascosti all'interno di una frase.<br />

Ora, esistono tanti corsi di dizione, ma noi<br />

abbiamo sperimentato una tecnica incredibile<br />

che ci può dare risultati in maniera veloce ed<br />

efficace.<br />

Si chiama tecnica del "sotto testo": consiste nel<br />

visualizzare le parole che stiamo dicendo,<br />

all'interno della nostra mente. In questo modo il<br />

nostro tono sarà rafforzato e trasmetter<br />

maggiore sicurezza, avrà un impatto pi forte.<br />

Oppure proviamo a concentrarci su una singola<br />

parola mentre parliamo. Pensiamo a "ti amo"<br />

mentre parliamo con il potenziale partner: il<br />

nostro tono di voce sarà istantaneamente caldo,<br />

dolce, profondo.<br />

E così via: pensiamo ad "amicizia" se vogliamo<br />

esprimere determinate sensazioni; pensiamo a<br />

"ridere" se stiamo raccontando una barzelletta.<br />

Automaticamente il nostro cervello elabora<br />

quello stato d'animo e lo trasmette attraverso il<br />

nostro tono di voce.<br />

1. Abbiamo già accennato alle<br />

problematiche inerenti l’articolazione e la<br />

pronuncia. Ma come dovrebbe procedere dal<br />

punto di vista “sonoro” per così dire, un


1. Abbiamo già accennato alle<br />

problematiche inerenti l’articolazione e la<br />

pronuncia. Ma come dovrebbe procedere dal<br />

punto di vista “sonoro” per così dire, un<br />

discorso ben fatto, un bel discorso? Il primo<br />

dovere di un oratore è quello di farsi sentire,<br />

forte e chiaro, senza tuttavia urlare. È possibile<br />

ottenere questo risultato, imparando a gestire<br />

correttamente la respirazione. Senza le giuste<br />

pause sareste obbligati a inspirare in modo<br />

coatto magari interrompendo lo slancio<br />

enfatico di una asserzione entusiasta perché vi<br />

manca il fiato, e queste inspirazioni “di<br />

emergenza” davanti a un microfono<br />

sembrerebbero delle esplosioni. Imparate a<br />

dosare l’aria che immettete nei vostri polmoni<br />

in ordine alla durata delle frasi e fate delle prove<br />

per capire quanto tempo riuscite a parlare senza<br />

inspirare. Questi esercizi vi aiuteranno a capire<br />

quali sono i vostri limiti fonatori e a non<br />

forzare la mano rischiando brutte figure.<br />

2. Esponete i vostri argomenti con<br />

pacatezza e calore, ma senza eccessiva enfasi,<br />

utilizzando delle brevi pause, talvolta<br />

impercettibili, seguite da lievi accelerazioni utili<br />

a sottolineare determinati contenuti. Imparate<br />

dai grandi scrittori: prendete un libro di buoni<br />

racconti e leggetene qualcuno a voce alta,<br />

gestendo le pause, le accelerazioni, il respiro.


impercettibili, seguite da lievi accelerazioni utili<br />

a sottolineare determinati contenuti. Imparate<br />

dai grandi scrittori: prendete un libro di buoni<br />

racconti e leggetene qualcuno a voce alta,<br />

gestendo le pause, le accelerazioni, il respiro.<br />

Fate finta di essere lo scrittore stesso che<br />

racconta verbalmente ai lettori la vicenda. È un<br />

metodo semplice dal quale tuttavia potrete<br />

trarre grossi vantaggi. Non solo migliorerete la<br />

vostra articolazione fonetica, ma imparerete<br />

nuovi modi di dire e di comunicare.<br />

3. Parlare agli altri significa rivelare parte<br />

della propria personalità. I gesti e gli<br />

atteggiamenti ci rendono più trasparenti agli<br />

occhi di chi ci guarda. Durante una esposizione<br />

verbale per molti è inevitabile gesticolare. Si<br />

tratta di quei movimenti muscolari involontari<br />

difficilissimi da controllare che tuttavia dovete<br />

cercare di tenere sotto controllo. I gesti<br />

importanti invece sono quelli volontari, che<br />

aiutano gli altri a comprendere meglio: un gesto<br />

della nostra mano può indicare un’apertura,<br />

tenere una mano sospesa può sottolineare un<br />

argomento e rafforzarlo, immobilizzare il capo<br />

per un attimo può indicare una aspettativa o<br />

una delusione, sospendere il fiato e osservare il<br />

pubblico può esprimere una ricerca di<br />

approvazione. Insomma, il cosiddetto<br />

linguaggio non verbale che consta degli<br />

atteggiamenti del nostro corpo è estremamente<br />

importante per comunicare e per affascinare il


pubblico può esprimere una ricerca di<br />

approvazione. Insomma, il cosiddetto<br />

linguaggio non verbale che consta degli<br />

atteggiamenti del nostro corpo è estremamente<br />

importante per comunicare e per affascinare il<br />

pubblico.<br />

4 . S e c o n d o a l c u n i s t u d i o s i l a<br />

comprensione di un discorso è determinata per<br />

un 10% dai suoi contenuti, per un 40% dagli<br />

aspetti formali che caratterizzano testo e<br />

relatore, ovvero dalla scelta dei vocaboli e della<br />

articolazione vocale, e per ben il 50% dal<br />

linguaggio del corpo. Secondo altri autori il<br />

35% della comunicazione verbale nasce dalle<br />

parole, il resto dalla gestualità e dagli<br />

atteggiamenti. Possiamo discutere su queste<br />

percentuali, ma resta il fatto che nel parlare ad<br />

un pubblico, i gesti, lo sguardo, la mimica, gli<br />

atteggiamenti del nostro corpo, possono<br />

condizionare, e non di poco, le nostre<br />

comunicazioni verbali.<br />

5. Gli oratori più esperti utilizzano i gesti,<br />

le pause, i sorrisi, per affascinare il pubblico. La<br />

gestualità può conferirvi quella magia che<br />

manca alle vostre parole e contribuire in tal<br />

modo al vostro successo. Ricordatevi che anche<br />

il vostro corpo parla, comunica sensazioni,<br />

esprime pensieri e spesso, proprio la postura, la<br />

mimica, lo sguardo, dicono quello che non dite<br />

con le parole.


modo al vostro successo. Ricordatevi che anche<br />

il vostro corpo parla, comunica sensazioni,<br />

esprime pensieri e spesso, proprio la postura, la<br />

mimica, lo sguardo, dicono quello che non dite<br />

con le parole.

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