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Post/teca<br />

materiali digitali<br />

a cura di sergio failla<br />

08.2010<br />

ZeroBook 2011


Post/teca<br />

materiali digitali<br />

Di post in post, tutta la vita è un post? Tra il dire e il fare c'è di<br />

mezzo un post? Meglio un post oggi che niente domani? E un post<br />

è davvero un apostrofo rosa tra le parole “hai rotto er cazzo”?<br />

Questi e altri quesiti potrebbero sorgere leggendo questa antologia<br />

di brani tratti dal web, a esclusivo uso e consumo personale e<br />

dunque senza nessunissima finalità se non quella di perder tempo<br />

nel web. (Perché il web, Internet e il computer è solo questo: un<br />

ennesimo modo per tutti noi di impiegare/ perdere/ investire/<br />

godere/ sperperare tempo della nostra vita). In massima parte sono<br />

brevi post, ogni tanto qualche articolo. Nel complesso dovrebbero<br />

servire da documentazione, zibaldone, archivio digitale. Per cosa?<br />

Beh, questo proprio non sta a me dirlo.<br />

Buona parte del materiale qui raccolto è stato ribloggato anche su<br />

girodivite.tumblr.com grazie al sistema di re-blog che è possibile<br />

con il sistema di Tumblr. Altro materiale qui presente è invece<br />

preso da altri siti web e pubblicazioni online e riflette gli interessi e<br />

le curiosità (anche solo passeggeri e superficiali) del curatore.<br />

Questo archivio esce diviso in mensilità. Per ogni “numero” si<br />

conta di far uscire la versione solo di testi e quella fatta di testi e di<br />

immagini. Quanto ai copyright, beh questa antologia non persegue<br />

finalità commerciali, si è sempre cercato di preservare la “fonte” o<br />

quantomeno la mediazione (“via”) di ogni singolo brano. Qualcuno<br />

da qualche parte ha detto: importa certo da dove proviene una cosa,<br />

ma più importante è fino a dove tu porti quella cosa. Buon uso a<br />

tutt*<br />

sergio<br />

Questa antologia esce a cura della casa editrice ZeroBook. Per info: zerobook@girodivite.it<br />

Per i materiali sottoposti a diversa licenza si prega rispettare i relativi diritti. Per il resto, questo libro esce sotto<br />

Licenza Creative Commons 2,5 (libera distribuzione, divieto di modifica a scopi commerciali).


Post/teca<br />

materiali digitali<br />

a cura di Sergio Failla<br />

08.2010 (solo testo)<br />

ZeroBook 2011


Post/teca<br />

20100802<br />

"Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto"<br />

- William Gibson, ne "Il neuromante"<br />

---------------------------<br />

skiribilla:<br />

[…]<br />

E invece quest’anno nessun ministro sarà sul palco del 2 agosto a<br />

Bologna.<br />

Al di là della mostruosità dal punto di visto politico che questo<br />

rappresenta, sono convinto che la mancanza dei fischi mutilerà la<br />

manifestazione, il suo senso, il suo rituale.<br />

Credo che si debba esserci stati almeno una volta per capire.<br />

La manifestazione del 2 agosto è qualcosa di vagamente surreale.<br />

C’è stata una strage. Ci sono state delle indagini, dei despistaggi e<br />

delle sentenze che hanno individuato gli autori materiali e poco<br />

altro. E su tutto gravano i paramenti del segreto di Stato. Quindi tu<br />

vai a questo corteo, silenzioso, con i gonfaloni e gli striscioni con<br />

scritto “chi è Stato?” che sfilano quasi uno di fianco all’altro.<br />

E poi arrivi sul piazzale della stazione.<br />

E c’è quel minuto di silenzio. Che è silenzio, sì. Ed è commosso. E<br />

imponente.<br />

Ma se tendi appena appena l’orecchio, se chiudi gli occhi, ti rendi<br />

conto che non è un silenzio immobile. È un silenzio attraversato da<br />

una tensione fortissima. Che non si scioglie tutta nel grande<br />

applauso che segna la sua chiusura.<br />

Secondo me, sono i fischi che permettono realmente di sfogare<br />

quella tensione, quella rabbia che anno dopo anno, silenzio dopo<br />

silenzio, promessa mancata di rimozione del segreto di Stato dopo<br />

5


Post/teca<br />

promessa mancata, è sempre più forte.<br />

È un momento antropologicamente necessario alla riuscita del<br />

rituale. È il momento in cui una comunità cerca di esorcizzare<br />

simbolicamente il Male che ha al suo interno attraverso la<br />

denigrazione di un simulacro.<br />

Alla Mecca, i pellegrini lapidano ritualmente un’effige del diavolo.<br />

Sul piazzale della stazione di Bologna, ogni anno, l’uomo che<br />

rappresenta lo Stato viene umiliato per ricordare allo Stato le sue<br />

colpe e le sue reticenze.<br />

[…]<br />

Lapidare il diavolo - continua da buoni presagi aka nipresa<br />

(segnalato anche da blondeinside emarikabortolami)<br />

fonte: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

--------------------------<br />

marikabortolami:elicriso:mercipuorlapromenade:<br />

Io non lo so, però senz’altro lei ha alle spalle un matrimonio a pezzi…<br />

Che dice???<br />

Forse ho toccato un argomento che non…<br />

No… no… è l’espressione. Non è l’argomento, non è l’argomento, non è<br />

l’argomento… è l’espressione… Matrimonio a pezzi, ma come<br />

parla…!?!?!<br />

Preferisce “rapporto in crisi”? ma è così kitsch…<br />

Kitsch! Dove le andate a prendere queste espressioni, dove le andate a<br />

prendere…??!??!<br />

Io non sono alle prime armi…<br />

Alle prime armi… ma come parla?<br />

…anche se il mio ambiente è molto “cheap”…<br />

Il suo ambiente è molto…?<br />

È molto “cheap”<br />

Ma come parla?<br />

[schiaffo sonoro]<br />

6


Post/teca<br />

Senta, ma lei è fuori di testa!<br />

E due. Come parla! Come parla! Le parole sono importanti. Come<br />

parlaaaaaaaaaa!<br />

fonte: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------------------<br />

Se non li conoscete guardateli un minuto<br />

Li riconoscerete dal tipo di saluto.<br />

Lo si esegue a braccio teso mano aperta e dita dritte<br />

Stando a quello che si è appreso dalle regole<br />

[prescritte.<br />

È un saluto singolare fatto con la mano destra<br />

Come in scuola elementare si usa far con la maestra<br />

Per avere il suo permesso ad assentarsi e andare al<br />

[cesso.<br />

Ora li riconoscete senza dubbio a prima vista<br />

Solamente chi è fascista<br />

fa questo saluto qui.<br />

Se non li conoscete è norma elementare<br />

Guardare la maniera con cui sanno marciare<br />

Le ginocchia non piegate vanno al passo tutti quanti<br />

Chi sta dietro dà pedate nel sedere a chi sta avantij<br />

Chi le piglia senza darle è chi marcia in prima fila<br />

Chi le dà senza pigliarle siano in dieci o in<br />

[diecimila<br />

È chi un po' meno babbeo sta alla coda del corteo.<br />

Ora li riconoscete senza dubbio a prima vista<br />

Solamente chi è fascista<br />

marcia in questo modo qui.<br />

Se non li conoscete guardategli un po' addosso<br />

7


Post/teca<br />

L'organica allergia che c'hanno per il rosso<br />

Non gli riesce di vedere senza scatti di furore<br />

Fazzoletti o bandiere che sian di questo colore<br />

Forse tu li paragoni a dei tori alle corride<br />

Ma son privi di coglioni e il confronto non coincide<br />

Si è saputo da un'inchiesta che li tengon nella testa.<br />

Ora li riconoscete come se li aveste visti<br />

Solamente dei fascisti<br />

sembran tori ma son buoi.<br />

Se non li conoscete guardate quanto vale<br />

Quel loro movimento che chiamano sociale<br />

Movimento di milioni ma milioni di denari<br />

Dalle tasche dei padroni alle tasche dei sicari<br />

Già eran chiare ad Arcinazzo le sue vere attribuzioni<br />

Movimento ma del cazzo come le masturbazioni<br />

Fatte a tecnica manuale con la destra nazionale.<br />

Li riconoscete adesso che sapete chi li acquista<br />

Solamente chi è fascista<br />

sa far bene da lacchè.<br />

Se non li conoscete guardate il capobanda<br />

È un boia o un assassino colui che li comanda<br />

Sull'orbace s'è indossato la camicia e la cravatta<br />

Perché resti mascherato tutto il sangue che lo<br />

[imbratta<br />

Ha comprato un tricolore e ogni volta lo sbandiera<br />

Che si sente un po' l'odore della sua camicia nera<br />

Punta a far l'uomo da bene fino a quando gli conviene.<br />

Ora lo riconoscete Almirante è sempre quello<br />

Con il mitra e il manganello<br />

ben nascosti nel gilet.<br />

8


Post/teca<br />

Se non li conoscete pensate alla lontana<br />

Ai fatti di Milano e di Piazza Fontana<br />

Una volta andavan solo con 2 bombe e in bocca un fiore<br />

Mentre adesso col tritolo fan la fiamma tricolore<br />

E ora rieccoli daccapo contro la democrazia<br />

Con un dì con la Gestapo ora invece con la CIA<br />

Concimati dalle feci di quei colonnelli greci.<br />

Ora li riconoscete sti fascisti ste carogne<br />

Se ne tornino alle fogne<br />

con gli amici che han laggiù.<br />

fonte: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

------------------------<br />

Credo davvero che ci siano<br />

cose che nessuno riesce a<br />

vedere, prima che vengano<br />

fotografate.<br />

— Diane Arbus (via coccaonthinks) (vialalumacahatrecorna)<br />

(via rispostesenzadomanda)<br />

--------------------------<br />

Come ha detto qualcuno, le storie<br />

capitano a chi le sa raccontare.<br />

Analogalmente, forse, le esperienze si<br />

9


Post/teca<br />

presentano solo a chi è capace di<br />

viverle.<br />

— (pag. 222, trilogia di new york, p.auster) (viaamemipiace) (via<br />

elebri) (via lalumacahatrecorna)<br />

------------------<br />

La sonda Kepler scova 140 mondi simili al nostro. Dopo una<br />

superficiale osservazione è stato rilevato che:<br />

In 139 mondi Fini è segretario del Pd<br />

In nessun mondo Dell’Utri è incensurato<br />

In 16 mondi è stato risolto il conflitto d’interessi: i beni del<br />

premier sono stati temporaneamente assegnati a Galeazzo<br />

Ciano<br />

In 122 mondi Cosentino gioca nel Napoli e dice che Maradona<br />

è un trans<br />

In tutti e 140 mondi Cassano gioca in nazionale<br />

In 3 mondi Scajola sa chi gli ha comprato la casa: Babbo<br />

Natale<br />

In 2 mondi è stata sconfitta la mafia: ha vinto la camorra ai<br />

rigori<br />

In 70 mondi il Pd è all’opposizione. Negli altri 70 ha appena<br />

perso le elezioni<br />

— Porchi mondi « Zabajone (via fastlive)<br />

------------------<br />

Segreti<br />

venerdì 30 luglio 2010<br />

10


Post/teca<br />

Una volta, sei mesi fa, a me è venuto da<br />

pensare che il segreto, ammesso che ci<br />

sia un segreto, è vivere con chalance,<br />

che è il contrario della nonchalance.<br />

Solo che non è mica facile.<br />

— paolo nori<br />

---------------------------<br />

(via lukiness) (via plettrude) (vialalumacahatrecorna)<br />

Le persone finiscono sempre come iniziano. Nessuno cambia<br />

davvero. Pensano di essere cambiati, ma non lo sono. Se sei il<br />

tipo depresso adesso lo sarai sempre. Se sei allegra e<br />

spensierata è come sarai da grande. Puoi dimagrire, nono<br />

avere più i brufoli, abbronzarti, aumentare il seno, cambiare<br />

sesso, non fa differenza.<br />

Sostanzialmente hai cambiato davanti, ma dietro, che tu abbia<br />

15 o 30 anni sarai sempre la stessa.”<br />

“Tu sei lo stesso?”<br />

“Sì”<br />

“Sei contento di essere lo stesso?”<br />

“Non ha importanza se sono felice, non puoi scegliere, non<br />

avevo la possibilità di scegliere cosa essere, di fare quello che<br />

faccio, vivere come vivo. Alla fine siamo solo robots cresciuti e<br />

programamti da codici genetici<br />

“non c’è nessuna speranza?”<br />

“Per cosa? Speriamo o siamo disperati a causa del modo in<br />

cui siamo programmati.<br />

Geni e casualità. E’ tutto quello che hai e niente importa.<br />

— Palindromes - Todd Solondz (viafirstbr3<br />

athaftercoma)<br />

11


Post/teca<br />

------------------------<br />

LA DENUNCIA DEI CENTRI ANTIVELENI DI MILANO-NIGUARDA E<br />

PAVIA<br />

Bevono per sbaglio lavanda vaginale,<br />

boom di intossicate. Sotto accusa lo<br />

spot<br />

Lo spot tv avrebbe tratto in inganno le<br />

consumatrici.<br />

E ora si pensa di cambiare il colore della<br />

confezione<br />

MILANO - Si chiama "Tantum Rosa" ed è venduto in bustine. Forse per la<br />

somiglianza del nome con il noto colluttorio, ma anche perché molti prodotti<br />

da assumere per bocca hanno una confezione molto simile, questo farmaco<br />

destinato all'igiene intima femminile ha fatto registrare un boom di usi<br />

scorretti, con molte donne che lo bevevano invece di applicarlo ai genitali. Ora<br />

l'Agenzia del farmaco ha approvato un documento per modificare la<br />

confezione del medicinale, in modo da ridurre i rischi di assunzione errata. La<br />

strada indicata consisterebbe nella modifica del colore, che passerebbe da<br />

rosa a nero o blu.<br />

INTOSSICAZIONI - A gennaio il Centro antiveleni della Fondazione<br />

Maugeri di Pavia ha «registrato un sensibile aumento dei casi di utilizzo<br />

incongruo accidentale di benzidamina cloridrato per ingestione di Tantum<br />

Rosa - Angelini in bustine da 500 mg», un aumento di casi che sembra<br />

«contestuale alla classificazione del farmaco come "da banco" e alla campagna<br />

12


Post/teca<br />

pubblicitaria dello stesso». A partire dal 13 dicembre 2009 «sono stati<br />

registrati 16 casi di utilizzo incongruo del farmaco che è stato assunto per via<br />

orale anziché per uso esterno», un'incidenza molto lontana da quella dei mesi<br />

precedenti (0,5 casi/mese). «Tutte le pazienti coinvolte - continua la<br />

Fondazione - hanno dichiarato allo specialista di aver inteso che il farmaco<br />

dovesse essere assunto per via orale». In 9 dei 16 casi era stata ingerita una<br />

bustina intera di farmaco diluita in un bicchiere d'acqua; negli altri 7 casi le<br />

donne hanno diluito 1-2 bustine in un litro d'acqua (come da istruzioni), e ne<br />

hanno bevuto una parte prima di sentirsi male. Le donne coinvolte vanno da<br />

una età minima di 15 a un picco di 87 anni. I 16 casi osservati dal centro di<br />

Pavia si sono poi aggiunti alle segnalazioni di altri Centri antiveleni italiani,<br />

tra i quali quello del Niguarda di Milano, «portando il numero complessivo di<br />

uso errato del farmaco a 50 circa, con omogenea provenienza delle chiamate<br />

da tutte le regioni d'Italia».<br />

VERTIGINI E ALLUCINAZIONI - A febbraio, dopo un mese dal boom, i<br />

casi si erano già dimezzati, arrivando a circa 9 solo a Pavia, ma comunque un<br />

valore troppo elevato rispetto allo 0,5 di pochi mesi prima. Anche l'azienda<br />

produttrice è corsa ai ripari e ha deciso di modificare lo spot, sottolineando a<br />

più riprese «l'uso esterno» del medicinale. A quelle che hanno finito per<br />

berlo, come fosse uno sciroppo, la lavanda vaginale ha causato «qualche<br />

problema, ma conseguenze certo non drammatiche», precisa Marcello<br />

Ferruzzi, del Cav del Niguarda: sintomi gastroenterici e stordimento, ma<br />

anche vertigini, parestesie agli arti e allucinazioni. Ma il sospetto di alcuni<br />

addetti ai lavori è che il Tantum Rosa venga usato in alcuni casi per<br />

"sballarsi", magari associato all'alcol. La benzidamina avrebbe infatti anche<br />

un effetto euforizzante. (Fonti: Ansa e Adnkronos)<br />

Fonte: http://<br />

www.<br />

corriere.<br />

it/<br />

salute/10_luglio_28/<br />

lavanda-<br />

vaginale-<br />

intossicati_54c<br />

7 d 846-9a<br />

5 d -<br />

11df-8969-00144f<br />

02aabe.<br />

shtml<br />

---------------------------<br />

13<br />

E' morta la sceneggiatrice Suso<br />

Cecchi d'Amico


Post/teca<br />

Roma, 31-07-2010<br />

E' morta a Roma, dopo una malattia, Suso Cecchi d'Amico, la famosa<br />

sceneggiatrice. Aveva 96 anni.<br />

Aveva collaborato con i più importanti registi del cinema italiano. Da Visconti ad<br />

Antonioni, da Rosi a Monicelli.<br />

La scomparsa di Susi Cecchi d'Amico, della quale hanno dato annuncio i figli, non<br />

e' semplicemente la fine di una stagione del cinema italiano. E anche la fine di un<br />

certo modo di intendere il "mestiere" del cinema nobilitato a arte.<br />

Con lei se ne va la "regina", la collaboratrice prediletta di Luchino Visconti, la<br />

sceneggiatrice piu' celebre, la piu' raffinata che al cinema porto' in dote il bagaglio<br />

di una cultura multiforme, frutto di una grande famiglia d'artisti. Giovanna Cecchi,<br />

figlia del letterato Emilio, era nata a Roma nel 1914. Fin dagli esordi come<br />

giornalista volle aggiungere alla sua firma il cognome materno eredita' di una<br />

grande tradizione teatrale. La sua firma, con il nomignolo familiare "Suso", compare<br />

pero' la prima volta al cinema in calce al film di Renato Castellani 'Mio figlio<br />

professore', nel 1946.<br />

Comincia poi la sua grande stagione neorealista a fianco di maestri come Luigi<br />

Zampa, Ennio Flaiano, Cesare Zavattini. Lavora con Antonioni, Rosi, Blasetti. Ma<br />

l'autentico sodalizio ideale e' quello con Luchino Visconti che la vuole al suo fianco<br />

nel 1950 per 'Bellissima', che ne fara' poi il suo fedele "doppio" narrativo per tutta la<br />

carriera fino al progetto mai realizzato della Recherche di Proust. Maestra della<br />

"bella prosa", di una tecnica raffinata, Suso diviene una garanzia internazionale per<br />

i copioni piu' impegnativi anche in tv. Nel 1994 la Mostra di Venezia le assegna un<br />

leone d'oro alla carriera.<br />

Si svolgeranno lunedi' alle 11:00, nella chiesa di Santa Maria del Popolo, a Roma, i<br />

funerali. Ne danno notizia i figli Masolino, Silvia e Caterina D'Amico.<br />

Fonte: http://<br />

www.<br />

rainews24.<br />

it/<br />

it/<br />

news.<br />

php?<br />

newsid=143551<br />

----------------<br />

Appunti<br />

su madre e figlia<br />

1 agosto 2010 – 10:16<br />

(Cose scritte qua e là, pensieri che scorrono, rumori dalla cucina ed è la<br />

figlia che si prepara il latte coi biscotti).<br />

Faccio, con mia figlia, delle litigate spaventose e delle chiacchierate infinite.<br />

Quando litighiamo è perché circola, tra me e lei, questa faccenda della comunicazione extrasensoriale per cui<br />

14


Post/teca<br />

ognuna risponde alla cosa che l’altra ha pensato, non a quella che ha detto. E nessuna delle due ci sta, ad<br />

avere un’interlocutrice che vuole discuterti i pensieri: non è manco sano, i pensieri non sono più veri delle<br />

parole. Sono solo meno ragionati.<br />

Quando chiacchieriamo, invece, è perché sì, perché sennò non saremmo io e lei.<br />

Ho rinunciato a nascondermi da lei. Ci ho provato per anni, con alterne fortune, e l’epoca in cui mi<br />

perquisiva la casa fino all’ultimo angolo per beccarmi i diari è l’epoca in cui cominciai a scrivere in rete,<br />

secoli fa. Mi parve che internet fosse, a quel punto, l’unico luogo dove non avrebbe potuto scoprirmi. Certo<br />

che ne è passato, di tempo.<br />

Alla fine, di segreti con mia figlia non ne ho più. Quelli che non le ho svelato direttamente glieli hanno<br />

raccontati altri: premurose ex cognate pronte a prendersi la briga – e di certo il gusto – di narrarle le mie<br />

tempestose avventure giovanili, leggende familiari ed amicali che iniziano tutte con un: “Ma come hai fatto a<br />

crescere così assennata con tanta madre?”, e poi i miei diari, appunto, e i miei quaderni, la mia sempiterna<br />

mania di scrivere i cazzacci miei, la sua scientifica, calcolata, curiosità. Mi ha guardato molto, mia figlia.<br />

Molto a fondo. E mi conosce come nessun altro, mi decodifica da ogni singola inflessione della voce.<br />

Abbastanza impressionante, e l’unico motivo per cui non mi spavento è che la sua conoscenza di me è pari al<br />

bene che mi vuole.<br />

Una è preparata a che la cosa sia al contrario, a che ad essere telepatica sia la madre. E invece lei ti anticipa,<br />

ti batte, prende il controllo della situazione. Pure io lo so fare, pure io so leggerle i pensieri. Ma lei ci va giù<br />

piatto, più piatto di me. Deve essere perché io le do tempo, non vedo mai nulla di definitivo. E’ talmente<br />

giovane, come si fa a fotografare una che cresce? Lei mi ha fotografato a ripetizione, invece, e vede come<br />

cambio e come invecchio, anche, e come rimango uguale a me stessa, e me lo racconta facendomi pochissimi<br />

sconti, profondamente a suo agio tra i miei difetti ancora più che tra le virtù. Quando si chiacchiera, io e mia<br />

figlia, si dice sempre la verità.<br />

Oddio. ‘Verità’ è una parola imprecisa. Da parte sua, dico.<br />

Credo che uno dei motivi per cui lei ci ha guardato tanto – me e suo padre, entrambi – è perché doveva<br />

imparare a torearci. Era in minoranza – l’unica bambina della casa – e doveva ridurci alle sue esigenze. Non<br />

c’è nessuno al mondo – nessuno, nel pianeta intero – capace di manipolarmi come lei. E io lo so, come è<br />

successo.<br />

E’ nata che io avevo 20 anni e suo padre 18. Pianse una notte, poi dovette capire che rischiava la vita. Passò<br />

ai sorrisi. Ed io pensai: “La Natura è saggia e dà i figli pestiferi a chi sa sopportarli. La mia ha capito che la<br />

sopportazione è pochina, qua, e per questo sorride e dorme. Lo fa apposta, ne sono certa. Lo fa per tenerci<br />

buoni.” In effetti, non ho mai avuto nessuna comprensione per chi si lagna di avere figli tremendi: penso<br />

sempre che è perché hanno comunicato ai pargoli che c’era lo spazio per esserlo, pestiferi. Magari pure la<br />

necessità. E’ una bella distrazione, un figlio pestifero.<br />

La mia, no: ci ha preso le misure e ha deciso che andavamo rigirati con le buone, fino a diventare una<br />

professionista del farsi dire di sì. E questa, poi, è la differenza vera, fondamentale, che c’è tra me e mia<br />

figlia: che io dico quello che voglio senza fronzoli e ringhio quando me lo negano. Lei ti porta per mano a<br />

darle quello che vuole, invece, facendoti credere che lo hai deciso tu. Usa tecniche contro cui io non ho<br />

difese.<br />

“Tu mi immagini sempre diabolica”, ride. Ed io annuisco, sentendomi scura e terrestre davanti a una<br />

svolazzante fatina bionda.<br />

Faccio, con mia figlia, delle litigate spaventose e delle chiacchierate infinite.<br />

Quando litighiamo è perché circola, tra me e lei, questa faccenda della comunicazione extrasensoriale per cui<br />

ognuna risponde alla cosa che l’altra ha pensato, non a quella che ha detto. E nessuna delle due ci sta, ad<br />

avere un’interlocutrice che vuole discuterti i pensieri: non è manco sano, i pensieri non sono più veri delle<br />

parole. Sono solo meno ragionati.<br />

15


Post/teca<br />

Quando chiacchieriamo, invece, è perché sì, perché sennò non saremmo io e lei.<br />

Ho rinunciato a nascondermi da lei. Ci ho provato per anni, con alterne fortune, e l’epoca in cui mi<br />

perquisiva la casa fino all’ultimo angolo per beccarmi i diari è l’epoca in cui cominciai a scrivere in rete,<br />

secoli fa. Mi parve che internet fosse, a quel punto, l’unico luogo dove non avrebbe potuto scoprirmi. Certo<br />

che ne è passato, di tempo.<br />

Alla fine, di segreti con mia figlia non ne ho più. Quelli che non le ho svelato direttamente glieli hanno<br />

raccontati altri: premurose ex cognate pronte a prendersi la briga – e di certo il gusto – di narrarle le mie<br />

tempestose avventure giovanili, leggende familiari ed amicali che iniziano tutte con un: “Ma come hai fatto a<br />

crescere così assennata con tanta madre?”, e poi i miei diari, appunto, e i miei quaderni, la mia sempiterna<br />

mania di scrivere i cazzacci miei, la sua scientifica, calcolata, curiosità. Mi ha guardato molto, mia figlia.<br />

Molto a fondo. E mi conosce come nessun altro, mi decodifica da ogni singola inflessione della voce.<br />

Abbastanza impressionante, e l’unico motivo per cui non mi spavento è che la sua conoscenza di me è pari al<br />

bene che mi vuole.<br />

Una è preparata a che la cosa sia al contrario, a che ad essere telepatica sia la madre. E invece lei ti anticipa,<br />

ti batte, prende il controllo della situazione. Pure io lo so fare, pure io so leggerle i pensieri. Ma lei ci va giù<br />

piatto, più piatto di me. Deve essere perché io le do tempo, non vedo mai nulla di definitivo. E’ talmente<br />

giovane, come si fa a fotografare una che cresce? Lei mi ha fotografato a ripetizione, invece, e vede come<br />

cambio e come invecchio, anche, e come rimango uguale a me stessa, e me lo racconta facendomi pochissimi<br />

sconti, profondamente a suo agio tra i miei difetti ancora più che tra le virtù. Quando si chiacchiera, io e mia<br />

figlia, si dice sempre la verità.<br />

Oddio. ‘Verità’ è una parola imprecisa. Da parte sua, dico.<br />

Credo che uno dei motivi per cui lei ci ha guardato tanto – me e suo padre, entrambi – è perché doveva<br />

imparare a torearci. Era in minoranza – l’unica bambina della casa – e doveva ridurci alle sue esigenze. Non<br />

c’è nessuno al mondo – nessuno, nel pianeta intero – capace di manipolarmi come lei. E io lo so, come è<br />

successo.<br />

E’ nata che io avevo 20 anni e suo padre 18. Pianse una notte, poi dovette capire che rischiava la vita. Passò<br />

ai sorrisi. Ed io pensai: “La Natura è saggia e dà i figli pestiferi a chi sa sopportarli. La mia ha capito che la<br />

sopportazione è pochina, qua, e per questo sorride e dorme. Lo fa apposta, ne sono certa. Lo fa per tenerci<br />

buoni.” In effetti, non ho mai avuto nessuna comprensione per chi si lagna di avere figli tremendi: penso<br />

sempre che è perché hanno comunicato ai pargoli che c’era lo spazio per esserlo, pestiferi. Magari pure la<br />

necessità. E’ una bella distrazione, un figlio pestifero.<br />

La mia, no: ci ha preso le misure e ha deciso che andavamo rigirati con le buone, fino a diventare una<br />

professionista del farsi dire di sì. E questa, poi, è la differenza vera, fondamentale, che c’è tra me e mia<br />

figlia: che io dico quello che voglio senza fronzoli e ringhio quando me lo negano. Lei ti porta per mano a<br />

darle quello che vuole, invece, facendoti credere che lo hai deciso tu. Usa tecniche contro cui io non ho<br />

difese.<br />

“Tu mi immagini sempre diabolica”, ride. Ed io annuisco, sentendomi scura e terrestre davanti a una<br />

svolazzante fatina bionda.<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

ilcircolo.<br />

net/<br />

lia/<br />

-----------<br />

16<br />

Arrota<br />

parole


Post/teca<br />

giovedì 29 luglio 2010<br />

È arrivato l’arrotino.<br />

Arrota coltelli, forbici, forbicine, forbici da seta, coltelli da<br />

prosciutto!<br />

Donne è arrivato l’arrotino e l’ombrellaio; aggiustiamo gli<br />

ombrelli.<br />

Ripariamo cucine a gas: abbiamo i pezzi di ricambio per le<br />

cucine a gas.<br />

Se avete perdite di gas noi le aggiustiamo, se la cucina fa<br />

fumo noi togliamo il fumo della vostra cucina a gas.<br />

Ci son dei libri che secondo me son passati attraverso un<br />

arrotino e le parole son così affilate che se non si sta attenti<br />

ci si può anche tagliare.<br />

fonte: http://<br />

eiochemipensavo.<br />

diludovico.<br />

it/<br />

---------------<br />

«Pat il mancino» era il suo nome di bordo; non perché veramente fosse mancino, ma<br />

solo perché ogni cosa che faceva la faceva alla rovescia o quasi. ❞<br />

- Henry De Vere Stacpoole<br />

fonte: http://sweetmonkeybusiness.tumblr.com/tagged/henry_de_vere_stacpoole<br />

-------------<br />

July 27<br />

“ Poter essere utili é un favore che ci fanno. Domenico Cieri Estrada<br />

+<br />

“ Non ricordo quando fu, ma venni preso un giorno dal desiderio di una vita vagabonda, dandomi al<br />

destino d’una nuvola solitaria che naviga nel vento.Matsuo Bashō<br />

July 25<br />

“ La più coraggiosa decisione che prendi ogni giorno è di essere di buon umore. Voltaire<br />

July 12<br />

“ E forse non finiamo all’inferno per quello che facciamo. Forse finiamo all’inferno per quello che<br />

17


Post/teca<br />

non facciamo. Chuck<br />

(via labrozzina)<br />

Palahniuk,<br />

Ninna nanna<br />

“ Ciò che la bocca si abitua a dire, il cuore si abitua a credere.Charles Baudelaire<br />

fonte: http://<br />

apertevirgolette.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

----------------<br />

Solo questo. Non serve altro.<br />

Antonella CECI , anni 19<br />

Angela MARINO, anni 23<br />

Leo Luca MARINO, anni 24<br />

Domenica MARINO, anni 26<br />

Errica FRIGERIO in DIOMEDE FRESA, anni 57<br />

Vito DIOMEDE FRESA anni 62<br />

Cesare Francesco DIOMEDE FRESA, anni 14<br />

Anna Maria BOSIO in MAURI, anni 28<br />

Carlo MAURI, anni 32<br />

Luca MAURI, anni 6<br />

Eckhardt MADER, anni 14<br />

Margret ROHRS in MADER, anni 39<br />

Kai MADER, anni 8<br />

Sonia BURRI, anni 7<br />

Patrizia MESSINEO, anni 18<br />

Silvana SERRAVALLI in BARBERA, anni 34<br />

Manuela GALLON, anni 11<br />

Natalia AGOSTINI in GALLON, anni 40<br />

Maria Antonella TROLESE, anni 16<br />

Anna Maria SALVAGNINI in TROLESE, anni 51<br />

18<br />

+


Post/teca<br />

Roberto DE MARCHI, anni 21<br />

Elisabetta MANEA ved. DE MARCHI, anni 60<br />

Eleonora GERACI IN VACCARO, anni 46<br />

Vittorio VACCARO, anni 24<br />

Velia CARLI IN LAURO, anni 50<br />

Salvatore LAURO, anni 57<br />

Paolo ZECCHI, anni 23<br />

Viviana BUGAMELLI in ZECCHI, anni 23<br />

Catherine HELEN MITCHELL, anni 22<br />

John ANDREI KOLPINSKI, anni 22<br />

Angela FRESU, anni 3<br />

Maria FRESU, anni 24<br />

Loredana MOLINA in SACRATI, anni 44<br />

Angelica TARSI, anni 72<br />

Katia BERTASI, anni 34<br />

Mirella FORNASARI, anni 36<br />

Euridia BERGIANTI, anni 49<br />

Nilla NATALI, anni 25<br />

Franca DALL’OLIO, anni 20<br />

Rita VERDE, anni 23<br />

Flavia CASADEI, anni 18<br />

Giuseppe PATRUNO, anni 18<br />

Rossella MARCEDDU, anni 19<br />

Davide CAPRIOLI, anni 20<br />

Vito ALES, anni 20<br />

Iwao SEKIGUCHI, anni 20<br />

Brigitte DROUHARD, anni 21<br />

Roberto PROCELLI, anni 21<br />

Mauro ALGANON, anni 22<br />

Maria Angela MARANGON, anni 22<br />

Verdiana BIVONA, anni 22<br />

19


Post/teca<br />

Francesco GOMEZ MARTINEZ, anni 23<br />

Mauro DI VITTORIO, anni 24<br />

Sergio SECCI, anni 24<br />

Roberto GAIOLA, anni 25<br />

Angelo PRIORE, anni 26<br />

Onofrio ZAPPALÀ, anni 27<br />

Pio Carmine REMOLLINO, anni 31<br />

Gaetano RODA, anni 31<br />

Antonio DI PAOLA, anni 32<br />

Mirco CASTELLARO, anni 33<br />

Nazzareno BASSO, anni 33<br />

Vincenzo PETTENI, anni 34<br />

Salvatore SEMINARA, anni 34<br />

Carla GOZZI, anni 36<br />

Umberto LUGLI, anni 38<br />

Fausto VENTURI, anni 38<br />

Argeo BONORA, anni 42<br />

Francesco BETTI, anni 44<br />

Mario SICA, anni 44<br />

Pier Francesco LAURENTI, anni 44<br />

Paolino BIANCHI, anni 50<br />

Vincenzina SALA in ZANETTI, anni 50<br />

Berta EBNER, anni 50<br />

Vincenzo LANCONELLI, anni 51<br />

Lina FERRETTI in MANNOCCI, anni 53<br />

Romeo RUOZI, anni 54<br />

Amorveno MARZAGALLI, anni 54<br />

Antonio Francesco LASCALA, anni 56<br />

Rosina BARBARO in MONTANI, anni 58<br />

Irene BRETON in BOUDOUBAN, anni 61<br />

Pietro GALASSI, anni 66<br />

20


Post/teca<br />

Lidia OLLA in CARDILLO, anni 67<br />

Maria IDRIA AVATI, anni 80<br />

Antonio MONTANARI, anni 86<br />

fonte: http://<br />

micronemo.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

post/892405102/<br />

solo-<br />

questo-<br />

non-<br />

serve-<br />

altro<br />

--------------<br />

La democrazia è due lupi e un agnello che votano su cosa mangiare a pranzo. La libertà è un<br />

agnello ben armato che contesta il voto.<br />

pi e un agnello che votano su cosa mangiare a pranzo. La libertà è un<br />

agnello ben armato che contesta il voto.”<br />

Benjamin Franklin<br />

-----------------<br />

31/7/2010<br />

Mollare gli ormeggi<br />

Mi è venuta l’idea per un film, per un poema, per la copertina di un settimanale che<br />

fosse eccezionalmente stufo di mettere la solita anoressica di tendenza in copertina.<br />

Di più: l’idea per una cartolina di buone vacanze da spedire a tutti i lettori. La<br />

ambienterei nel Sud Italia, a Catania. Protagonista maschile, un agente di<br />

commercio di quasi cinquant’anni che chiameremo Rosario. Rosario Patané.<br />

Conosce una donna un po’ più giovane di lui ma non troppo, che non può chiamarsi<br />

che Grazia. Grazia Giandolfo. Rosario e Grazia si innamorano, si sposano e<br />

cominciano a coniugare insieme i verbi al futuro. Hanno un sogno: mollare gli<br />

ormeggi e navigare lontano dagli oggetti superflui, dalle convenienze sociali e dai<br />

rumori di fondo dei telegiornali.<br />

Liberi, finalmente, dalle tossine accumulate in tanti anni di lavoro. E allora<br />

vendono. La casa, la macchina, gli elettrodomestici e anche tutti i vestiti, tranne un<br />

paio. Poi estinguono i conti in banca e col ricavato comprano il materiale che serve a<br />

Rosario per costruire la barca con cui faranno il giro del mondo. Eccoli sulla<br />

banchina del porto, in un pomeriggio d’estate, mentre salutano amici e parenti.<br />

21


Post/teca<br />

Torneranno fra cinque anni e con i soldi della barca compreranno un terreno che<br />

hanno già adocchiato nella campagna etnea. Lì costruiranno una piccola casa per<br />

continuare a viaggiare, stavolta da fermi. Dentro se stessi. Mi sarebbe piaciuto avere<br />

un’idea così. Invece Grazia e Rosario esistono davvero. Sono partiti ieri dalla<br />

banchina del porto di Catania. Buon viaggio.<br />

massimo gramellini<br />

fonte: http://www.lastampa.it/cmstp/rubriche/girata.asp?<br />

ID_blog=41&ID_articolo=853&ID_sezione=56&sezione=<br />

---------------<br />

Poi gli dissero:<br />

Tutto quello che hai visto, ricordalo,<br />

Perché tutto quel che dimentichi<br />

Ritorna a volare nel vento.<br />

— Versi di un canto Navajo (via angeloricci)<br />

(vialalumacahatrecorna)<br />

fonte: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

----------------<br />

Inizio estate, sole già caldo sulla Riviera Romagnola. Nella<br />

biglietteria di una piccola stazione, un grande ventilatore dà un<br />

parziale sollievo.<br />

In fila aspettano una coppia di quarantenni e la loro figlia, una<br />

ragazzina di dodici anni, lunghi capelli lisci e occhiali da vista<br />

dalla montatura spessa. La ragazza è emozionatissima, non<br />

vede l’ora che sia il loro turno, che finalmente dall’altra parte<br />

del vetro si materializzi il biglietto per la felicità. Parigi! Primo<br />

22


Post/teca<br />

viaggio all’estero della sua vita. L’avventura di un’intera<br />

giornata in treno, a respirare ogni paesaggio, e la sera arrivare<br />

in quella città sconfinata, che di sicuro la lascerà a bocca<br />

aperta, senza parole, ad ascoltare solo il suo batticuore.<br />

Ecco, tocca a loro.<br />

“Buongiorno, mi dica”, fa il bigliettaio al padre.<br />

“Buongiorno. Vorremmo prenotare tre posti sul treno diurno da<br />

Bologna a Parigi, per il due del mese prossimo”.<br />

Le parole magiche son tutte qui.<br />

“Il due? – si stupisce il bigliettaio – Ne è proprio sicuro?”<br />

Il padre è colto di sorpresa: “Sì, perché?”<br />

“Se vuole farsi il viaggio in treno – consiglia l’uomo,<br />

sfogliando l’orario – quel giorno lì glielo sconsiglio proprio”.<br />

“E perché?” fa eco la madre.<br />

“Perché sarà il giorno più pieno dell’anno, a Bologna sarà un<br />

carnaio, rischiate di partire già stressati. Tra l’altro, il treno è<br />

quasi del tutto pieno, e quel giorno lì è facile che porti ritardo”.<br />

Lo sguardo della madre trasmuta in una smorfia.<br />

Il bigliettaio si sporge leggermente verso il padre, in fila non<br />

c’è nessun altro.<br />

23


Post/teca<br />

“Sa cosa farei, se fossi in voi?”<br />

“Cosa?” chiede il padre, brusco. Rinunciare, non se ne parla.<br />

Sono i suoi unici giorni di ferie dell’anno, vuole goderseli con<br />

la famiglia in un posto che non sia il solito mare. E poi c’è la<br />

promessa fatta a sua figlia.<br />

“Partirei o di sera, con le cuccette, che però costano di più,<br />

oppure il giorno dopo, il tre, quando sarà tutto molto più<br />

tranquillo. Potrete scegliere i posti, ci sarà meno ressa”.<br />

La figlia mette il broncio. Ogni ora in meno a Parigi le pesa<br />

come una zavorra. Se potesse, partirebbe all’istante.<br />

“Datemi retta – conclude il bigliettaio – Perderete un giorno di<br />

vacanza, ma poi la vivrete in modo decisamente migliore”.<br />

Il padre esita. Sacrificare un giorno di vacanza su dieci non è<br />

mai piacevole. “Papà, partiamo lo stesso!”<br />

“Invece, secondo me – interviene la madre – il bigliettaio ha<br />

ragione. Meglio rimandare al giorno dopo. Sono stanca, non ho<br />

voglia di partire già stressata”. La figlia la guarda storta.<br />

Il padre riflette. Cerca di immaginarsi come potrebbe essere la<br />

stazione di Bologna quella mattina. Non ci riesce, non l’ha mai<br />

vista piena, a Bologna ci sarà andato sì e no tre volte in tutta la<br />

sua vita. Ma il pensiero di quella bolgia lo atterrisce. No, il<br />

casino prima di partire, no.<br />

24


Post/teca<br />

“Io le ho detto quel che penso – taglia corto il bigliettaio – poi<br />

decida lei”.<br />

Dietro i tre arrivano altri turisti.<br />

“Va bene – si rassegna il padre – Partiamo il giorno dopo, il tre.<br />

Se si può fare il viaggio con più calma…”<br />

“Papà…”<br />

“Cristina, dai, alla fine un giorno non cambia nulla”.<br />

La figlia cova una rabbia sorda, ma si adegua. Ora quel<br />

biglietto non le sembra più così magico. Mentre escono, i<br />

genitori cercano di convincerla della loro scelta. Un gelataio<br />

accorre in loro aiuto.<br />

“Ricordiamoci di avvisare la Gemma e Ido” dice il padre,<br />

passando davanti a una cabina telefonica.<br />

“Non penso sia un problema – risponde la madre – e a Paolo<br />

farà piacere”.<br />

__________________<br />

Quelle tre persone erano mio padre, mia madre e mia sorella.<br />

Il due, la stazione di Bologna saltò in aria.<br />

Se quel bigliettaio non avesse insistito, mi sarei con ogni<br />

probabilità ritrovato, a cinque anni, orfano di padre e madre, e<br />

25


Post/teca<br />

privato di una sorella di dodici anni che mi insegnava a leggere<br />

e scrivere. Non so con chi, né come sarei cresciuto. Mio<br />

fratello non sarebbe mai nato. E le vittime sarebbero state<br />

ottantotto. Perché i miei e Cristina dovevano essere lì, su quel<br />

binario, a quell’ora.<br />

Per questo, tutte le volte che vedo la grande lapide vicina alla<br />

sala d’aspetto ho un brivido freddo, e penso agli ottantacinque<br />

innocenti che non ebbero la fortuna di imbattersi in quel<br />

bigliettaio, così tanti proprio perché quel giorno la stazione era<br />

davvero un fottuto carnaio. E quando sento della libertà a<br />

Fioravanti, o dell’assenza di esponenti del Governo alle<br />

commemorazioni del trentennale, mi incazzo come per poche<br />

altre cose. Perché quel giorno lì qualche bastardo, fin troppo<br />

noto per far finta di nulla, gettò nella disperazione<br />

ottantacinque famiglie, e quasi ci riuscì anche con la mia.<br />

I miei genitori hanno cercato di rintracciare il bigliettaio che<br />

inconsapevolmente salvò loro la vita. Non c’era più, era stato<br />

trasferito e nessuno ricordava dove. E quel ringraziamento è<br />

sempre rimasto in sospeso. Non so se, dopo trent’anni,<br />

quell’uomo sia ancora vivo, se sia in pensione, e se gli sia mai<br />

tornato in mente quel consiglio disinteressato dato a tre<br />

perfetti sconosciuti. Ma oggi più che mai voglio e devo<br />

dirglielo: ovunque lei sia, grazie, signor bigliettaio.<br />

— Un giorno non cambia nulla (via dottorcarlo)<br />

fonte: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

-------------<br />

Ascolta come mi batte forte<br />

26


Post/teca<br />

il tuo cuore.<br />

— Wislawa Szymborska. (via contrecoeur) (viacoactusvolui)<br />

(via rispostesenzadomanda) (viatattoodoll)<br />

fonte: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

--------------------<br />

La nostra destinazione non<br />

è mai un luogo, ma un<br />

modo nuovo di vedere le<br />

cose.<br />

— Henry Miller (via angeloricci) (via creativeroom)<br />

fonte: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

-------------------<br />

20100803<br />

30/07/2010 - PASSEGGIATA D'AUTORE<br />

27<br />

Sulla via di Olaf<br />

il santo massacratore


Post/teca<br />

Trecento chilometri in undici giorni, a piedi, nella<br />

Norvegia delle pecore e delle renne che è diventata il<br />

Paese più ricco del mondo<br />

ALESSANDRO BARBERO<br />

HJERKINN (NORVEGIA)<br />

Ma può una passeggiata durare undici giorni e coprire 283 chilometri? Una vocina<br />

interiore mi dice che il Tommaseo, lo Zingarelli e altri illustri lessicografi si stanno<br />

rivoltando nella tomba all'idea che un vocabolo tanto modesto e familiare possa<br />

essere stravolto fino a questo punto. D'altra parte, se il mio viaggio a piedi in<br />

Norvegia lo chiamassi trekking non è detto che il Tommaseo si rallegrerebbe, anzi.<br />

Ma in realtà è stato piuttosto un pellegrinaggio, o almeno mezzo: ho percorso,<br />

infatti, quasi metà della via di Olaf, che i responsabili del turismo norvegese<br />

vorrebbero rendere popolare come alternativa al Cammino di Santiago. Sant'Olaf è<br />

il re che intorno al Mille completò la cristianizzazione della Norvegia, e di solito lo si<br />

raffigura appoggiato all'ascia con cui massacrava chiunque osasse opporsi a quella<br />

nobile missione. Sergio Valzania, inventore del pellegrinaggio radiofonico, è un<br />

cristiano assai più mite e pacifista, ma l'idea di andare a trovare Sant'Olaf, sepolto<br />

nell'antica cattedrale di Nidaros a Trondheim, gli è piaciuta assai, e un mese fa mi<br />

ha invitato a condividere con lui l'avventura e la trasmissione.<br />

Non si può dire che la presenza del santo si faccia particolarmente sentire lungo il<br />

cammino. In generale qui sono poche le tracce del passato, appena qualche chiesa<br />

di legno sopravvissuta agli incendi; e anche quelle sono posteriori di secoli rispetto<br />

all'epoca in cui Olaf batteva il paese, riscuotendo dai contadini il tributo in pellicce<br />

di martora, interrogandoli sulla loro fede, e soprattutto impiccando e decapitando,<br />

tagliando mani e piedi e strappando occhi, là dove incontrava resistenza. In<br />

compenso, camminare a piedi per quasi trecento chilometri, di villaggio in villaggio,<br />

di fattoria in fattoria, da un Peppe's Pizza a un altro, permette di farsi una certa idea<br />

di che cos'è la Norvegia d'oggi: una nazione seduta sul petrolio, che appena una<br />

generazione fa era il Paese più povero d'Europa e oggi è il più ricco del mondo. I<br />

norvegesi sembrano ancora un po' increduli, e non hanno dimenticato i placidi ritmi<br />

di vita degli antenati, e la loro indifferenza al tempo maturata in secoli di lunghe<br />

notti invernali; in compenso, due bottigliette d'acqua di quelle piccole comprate dal<br />

benzinaio ti costano 9 euro.<br />

Nel Paese più ricco del mondo si lavorano meno giornate all'anno rispetto a<br />

28


Post/teca<br />

qualunque altra nazione europea, e metà della popolazione abita in fattorie isolate.<br />

Tutti parlano tre lingue, ovvero l'inglese, uno dei due norvegesi rivali tra loro<br />

inventati dai nazionalisti ottocenteschi, e un dialetto locale incomprensibile a chi<br />

viene dall'altro capo del Paese (la Norvegia è lunga, e non è solo perché l'ho<br />

percorsa a piedi che mi sono fatto questa idea: provate, sulla cartina, a ruotarla<br />

tenendo ferma Oslo come se ci fosse piantato uno spillo, e vedrete che l'altro capo<br />

arriva in Calabria). Il lavoro preferito dei norvegesi è l'allevamento delle pecore, e<br />

come tutta la Norvegia combina ritmi di vita tradizionali e modernità tecnologica: il<br />

padrone d'una delle fattorie dove abbiamo pernottato presiede il locale consorzio di<br />

allevatori, e ogni volta che nella zona si trova una pecora sgozzata dai lupi il governo<br />

lo avverte via sms, in modo che i vicini possano prendere le precauzioni del caso.<br />

Questo signore possiede una fattoria che ospitava già nel Medioevo i pellegrini della<br />

via di Olaf, conserva documenti trecenteschi in latino e norvegese antico in cui è<br />

menzionata casa sua, e ci ha accolti informandoci che la sua famiglia abita lì da<br />

undici generazioni. Chi ha la fortuna di capitare a dormire in un posto simile si<br />

ritrova fra mobili del Settecento e ritratti di antenati, e la sera gli viene servito un<br />

pasto tradizionale norvegese da leccarsi i baffi. Ma se non si trova una fattoria<br />

ospitale, l'unica alternativa è uno squallido motel sull'autostrada: abitando tutto<br />

l'anno in mezzo alla natura selvaggia, i norvegesi adorano le spianate asfaltate dove<br />

sorgono la Coop, il McDonald's, il bancomat e Peppe's Pizza, e accorrono lì coi loro<br />

pick-up a passare le serate. Cercare di mangiare la cucina norvegese al di fuori delle<br />

fattorie è un'impresa disperata: quando vanno a mangiar fuori, ci hanno spiegato,<br />

vogliono provare cose esotiche, sicché il vero piatto nazionale norvegese oggi è la<br />

pizza. Che peraltro è fatta benissimo, anche in formato gigante, da pizzaioli per lo<br />

più curdi.<br />

Quando tornano a casa, i mangiatori di pizza large passano sotto le corna di renna<br />

che invariabilmente adornano l'ingresso. Nella grande valle centrale che abbiamo<br />

attraversato per giorni e giorni, il Gudbrandsdal, patria del tristemente celebre<br />

formaggio caramellato, una signora ci raccontava che lì, d'autunno, si ferma tutto, e<br />

chiudono perfino gli uffici, perché gli uomini partono per la caccia. Se si va dietro<br />

all'alce, si parte in gruppo e si sta via almeno una settimana, dormendo in rifugio.<br />

La renna, invece, si caccia da soli, e uno non è un vero uomo finché non ha<br />

ammazzato la sua, spiegava la signora, sorridendo indulgente di tanto ingenuo<br />

machismo. Abbiamo chiesto se le donne non si annoiano mentre gli uomini sono via<br />

a caccia; pare di sì, ma anche dopo le cose non vanno meglio, l'inverno è lungo, le<br />

notti interminabili, e la noia bisogna imparare a sopportarla. Per fortuna le pecore,<br />

che durante la breve estate si scapicollano su per i monti, d'inverno stanno<br />

ammassate alla fattoria, e quando bisogna nutrirne e mungerne trecento tutti i<br />

29


Post/teca<br />

giorni non rimane il tempo di annoiarsi. Io ho lasciato la spedizione quando<br />

eravamo ancora lontani da Trondheim, e non ho visto Stiklastadir, dove Sant'Olaf<br />

venne ammazzato dai contadini del Trondelag, che s'erano stufati dei suoi soprusi.<br />

Appena morto cominciò a fare miracoli, e il popolo, che cambia idea facilmente, lo<br />

venerò come santo; la Chiesa lo proclamò rex perpetuus Norvegiae, re di Norvegia<br />

in eterno. L'epoca d'oro del pellegrinaggio a Nidaros durò mezzo millennio, finché il<br />

paese non divenne luterano e l'intera faccenda venne rapidamente dimenticata. Ora<br />

però, dopo un altro mezzo millennio, pare che il popolo stia cambiando idea di<br />

nuovo; Valzania, che se ne intende, mi assicura che nelle loro chiese e nella loro<br />

liturgia compaiono segnali di contaminazione col culto cattolico, e se non Olaf,<br />

almeno la sua via potrebbe ridiventare popolare. I quaderni disseminati lungo il<br />

cammino, in mezzo a pascoli e abetaie, in apposite cassette di legno, in cui i<br />

pellegrini si firmano, dimostrano che a battere il cammino sono quasi soltanto<br />

norvegesi: andare a trovare il re è un buon modo per passare l'estate, in attesa che si<br />

apra la caccia alla renna.<br />

fonte: http://<br />

www3.<br />

lastampa.<br />

it/<br />

cultura/<br />

sezioni/<br />

articolo/<br />

lstp/287822/<br />

--------------------<br />

22/07/2010 -<br />

Eva: ma perché amo<br />

Adamo?<br />

Il giardino dell Eden accanto alle cascate del Niagara,<br />

una coppia che assomiglia tanto a quelle d oggi: lo<br />

spassoso «diario» dei biblici progenitori secondo Mark<br />

Twain<br />

ELENA LOEWENTHAL<br />

Nel pomeriggio di ieri, ho seguito l'altro esperimento per capire, se possibile, a<br />

cosa serviva. Ma non sono riuscita a comprendere con assoluta certezza. Credo sia<br />

un uomo. Non ho mai visto un uomo, ma ci somigliava, e sono quasi sicura che sia<br />

proprio così. Devo ammettere che provo più curiosità verso di lui che per qualsiasi<br />

30


Post/teca<br />

altro tipo di rettile». Se la curiosità è donna, cominciamo proprio bene. Anzi, in<br />

grande stile: mentre Adamo gira per l'Eden nel vano tentativo di costruirsi<br />

un'identità approssimativamente virile, Eva è già lì a porsi domande, indagare,<br />

classificare (in termini ancora un poco vaghi. Ma in fondo, l'aver preso il primo<br />

uomo per un rettile spiega molte cose ). Lo ying e lo yang, il maschile e il<br />

femminile, il braccio e la mente: eterni opposti sin dal principio.<br />

Il Diario di Adamo ed Eva è disponibile ora nella autorevole e puntuale traduzione<br />

di Romana Petri, e illustrato da Pedro Lino per Cavallo di Ferro editore (in uscita il<br />

27 luglio, pp. 85, e12,50). A presentarcelo è l'illustre voce dello scrittore Mark<br />

Twain, cui si deve, stando alle sue parole, il formidabile ritrovamento archeologico:<br />

«ho decifrato alcuni dei geroglifici di Adamo e ritengo sia diventato decisamente<br />

interessante come figura pubblica, tanto interessante da giustificare a pieno questa<br />

pubblicazione». Nella realtà, questo testo sorprendente e spassoso, verace e<br />

raffinato è opera sua, del «primo vero scrittore americano», come l'ha definito<br />

Faulkner. Fatto sta che nessuno come Mark Twain ha saputo tradurre in letteratura<br />

il linguaggio colloquiale del Nuovo Mondo, e persino quello del mondo nuovo in<br />

senso ben più lato: «Questo nuovo essere di pelo lungo è un bastone tra le ruote. Mi<br />

sta sempre intorno e mi segue da tutte le parti. Ciò non mi piace; non sono abituato<br />

ad avere compagnia».<br />

Che narri di se stesso nel tempo in cui navigava su e giù per il Mississippi alla guida<br />

dei battelli a vapore, che ritragga i suoi grandi e indimenticabili personaggi come<br />

Tom Sawyer e Huckleberry Finn, che si dedichi a dotte «riflessioni sulla scienza<br />

dell'onanismo», Twain, ch'è morto giusto cent'anni fa, ha il dono di far sentire chi lo<br />

legge accanto a sé, come un vecchio amico. In questo diario egli raffigura i nostri<br />

antenati con tutti i vizi, le virtù e le amene assurdità del caso, trasformando i primi<br />

passi nella storia in una irresistibile commedia umana. Come è giusto che sia.<br />

Il Diario di Adamo ed Eva (prima l'uno e poi l'altro, rigorosamente separati) sonda<br />

quell'inafferrabile intimità della prima coppia, che ha ancora tutto da imparare.<br />

Anche se forse non è che si sia imparato gran che, da allora in poi «Non è per via<br />

della sua intelligenza che lo amo - assolutamente no non è di certo per le sue<br />

maniere gentili e attente o per la sua delicatezza che lo amo Non è per la cultura<br />

che lo amo - assolutamente no Non è per la sua galanteria Allora, perché lo<br />

amo?» (Eva). «Adesso ce l'ha col serpente. Gli altri animali ne sono contentissimi<br />

perché prima stava sempre a fare esperimenti con loro e a importunarli. Anche io<br />

sono contentissimo, perché il serpente parla, e questo mi permette di prendermi un<br />

po' di riposo» (Adamo).<br />

31


Post/teca<br />

Armato della sua inimitabile vena umoristica, Mark Twain fa con Adamo ed Eva due<br />

cose rivoluzionarie. La prima è, per ragioni di copione ma soprattutto di sponsor<br />

nazionale, collocare il giardino dell'Eden nei pressi delle cascate del Niagara. Non ci<br />

aveva mai pensato nessuno, sino ad ora. Ma in fondo perché no. La seconda è quasi<br />

velleitaria (ma tant'è, in fondo lo è anche la prima): sondare l'intimità di quei due,<br />

come fossero due qualunque. Cioè noi. È ovvio che l'operazione dello scrittore<br />

contempla inevitabilmente una buona dose di ironia, per non dire irriverenza. In<br />

parole povere, allergia a tutto ciò che sa di teologico. Questo diario di Adamo ed Eva<br />

è decisamente eretico, oltre che spassoso. Lei parla, articola ragionamenti complessi<br />

e nomina le cose. Adamo non la capisce per niente, è esterrefatto ogni volta che le<br />

esce «una grande quantità di acqua dagli occhi» proprio perché lui non la capisce.<br />

Mentre la tradizione cristiana considera questa prima coppia umana la responsabile<br />

di un peccato originale (in tutti i sensi) che noi discendenti ci portiamo addosso,<br />

quella ebraica e l'islamica sono molto più indulgenti, nei loro confronti. Ma forse<br />

non è il caso di affrontare questa storia armati di troppi dilemmi teologici: Mark<br />

Twain a Dio non ci crede e non ha timore di dichiararlo. Tutto sta nel provare a<br />

immedesimarsi in quei due: beati e pasciuti, ma un po' soli e annoiati.<br />

E così, tanto vale affidarsi alle parole dello scrittore con sorridente fiducia, e<br />

provare a immaginarli in quel mondo tutto nuovo, non lontano dalle cascate del<br />

Niagara, dove tutto è ancora da imparare, a incominciare da una convivenza<br />

tollerabile. Come in ogni storia (o fiaba, perché forse di questo si tratta, ci dice Mark<br />

Twain) che si rispetti, c'è spazio anche per un lieto fine - o meglio, un lieto inizio: i<br />

nostri eroi capiranno ben presto, merito certo dell'ironia simpatetica dell'autore -<br />

che amarsi, in fondo, vale la pena.<br />

fonte: http://<br />

www3.<br />

lastampa.<br />

it/<br />

cultura/<br />

sezioni/<br />

articolo/<br />

lstp/279002/<br />

--------------------<br />

31/07/2010 -<br />

32<br />

Valli, quando il teatro<br />

era fatto dai "Giovani"


Post/teca<br />

Trent'anni dalla morte. Ma solo un documentario ricorda<br />

la sua Compagnia<br />

OSVALDO GUERRIERI<br />

Uno schianto nella notte spezzava, trent'anni fa a Roma, la vita di Romolo Valli.<br />

Come siano andate le cose, quel 1° febbraio 1980, non fu mai chiaro. L'attore, di<br />

notte, si dirigeva verso casa, sull'Appia antica. Un colpo di sonno, o forse un malore,<br />

o magari una distrazione lasciarono che l'auto volasse come un proiettile contro un<br />

muretto. Sull'asfalto non furono trovati segni di frenata, niente che consentisse<br />

un'ipotesi. Ancora sei giorni, e Valli avrebbe compiuto 55 anni. Quella notte non<br />

moriva soltanto un grande attore. Usciva di scena un protagonista autorevole della<br />

vita culturale italiana, un uomo dall'intelligenza acuta, un intellettuale morbido e<br />

sottile che, come un rabdomante, aveva sondato tutte le possibilità espressive del<br />

mestiere: il cinema (dove non fu mai protagonista), il doppiaggio, la radio,<br />

l'organizzazione culturale che lo vide per quattro anni alla direzione del Festival di<br />

Spoleto.<br />

Ma il capolavoro di Valli fu la creazione, nel 54, della Compagnia dei Giovani.<br />

L'impresa era di quelle che lasciano il segno. Grazie al lavoro ventennale dei<br />

«Giovani», il teatro non fu più quello di prima. Insieme a Giorgio De Lullo, la<br />

persona che gli era più cara, il compagno di una vita che era quasi diventato il suo<br />

alter ego, Valli inventò una formula, avviò una rivoluzione basata sul rigore delle<br />

scelte, sulla modernità e la leggerezza della recitazione, sul rovello psicologico.<br />

Resteranno esemplari le messe in scena del Giuoco delle parti, di Enrico IV, dei Sei<br />

personaggi in cerca d'autore, che rivelarono una lettura minuziosa, maniacale<br />

eppure godibilmente teatrale di Pirandello. Se vogliamo stare alle identità degli<br />

antichi ruoli di palcoscenico, Valli, con le sue interpretazioni, realizzava la simbiosi<br />

del Primo attore e del Caratterista. Più e al di sopra dell'interprete, riusciva un<br />

Personaggio che, con pochi essenziali ritocchi, si trasformava in una ipotesi<br />

dell'immaginazione.<br />

Nel 54, oltre a De Lullo c'era Rossella Falk, la pupa del gruppo, la spilungona che<br />

somigliava un poco alla Garbo e come la dea di Hollywood era complicata,<br />

misteriosa, forse snob ma, secondo Valli, «d'una sincerità quasi infantile». A loro si<br />

aggiunsero Tino Buazzelli, Annamaria Guarnieri, Elsa Albani e Ferruccio De Ceresa.<br />

Che gruppo! In vent'anni i «Giovani» fecero capire agli italiani che fare un teatro di<br />

qualità in una struttura privata non voleva dire trovarsi in contrapposizione ma in<br />

33


Post/teca<br />

dialettica con l'iniziativa pubblica, con i grandi teatri stabili.<br />

Superate le difficoltà inziali, Valli e i suoi divennero il simbolo dell'intelligenza<br />

istrionica. De Lullo si rivelava un grande regista; gli attori si muovevano tra stimolo<br />

e tradizione. La Compagnia affrontava i classici, ma cercava anche il nuovo e a volte<br />

l'inedito. Prendevano vita La bugiarda di Fabbri, e poi Testori, Bourdet, Patroni<br />

Griffi. Vent'anni esatti durò l'avventura. Quando si esaurì la spinta propulsiva, i<br />

«Giovani» si sciolsero. Ciascuno prese una strada nuova. Valli, pur in altri contesti,<br />

non tradì mai la sua cultura né il culto della parola, che in teatro è la prima<br />

componente dell'azione scenica, lo strumento insostituibile della ragione e del<br />

sentimento. Lo fece fino alla terribile notte dell'80, che lasciò sgomenti De Lullo, gli<br />

ex compagni, il Paese intero. La commozione fu enorme. Reggio Emilia, la città<br />

natale di Valli, gli dedicò subito il teatro Municipale. E poi? E poi, passando gli anni,<br />

più niente. Anche questo trentennale cade in una indifferenza appena scalfita da<br />

qualche blanda polemica di provincia.<br />

In tanta distrazione, l'unico guizzo affettuosamente memorialistico proviene da un<br />

giovane attore invaghitosi di Valli, della Falk e del loro mondo che, a ripensarlo<br />

oggi, appare quasi fiabesco. Con scelta un poco temeraria, Fabio Poggiali ha fondato<br />

una ditta teatrale che ha chiamato Compagnia dei Giovani, ha pubblicato da Bulzoni<br />

il saggio Sulle orme della Compagnia dei Giovani e adesso, sullo stesso argomento,<br />

ha realizzato per Raisat un film documentario. Se è un'ossessione, non possiamo<br />

non considerarla benefica. Se si tratta di eroismo culturale e sentimentale, siamo<br />

costretti a dire con Brecht, con amarezza: beati i popoli che non hanno bisogno di<br />

eroi. Vuol dire che sono ricchi di tutto, anche di memoria.<br />

fonte: http://<br />

www3.<br />

lastampa.<br />

it/<br />

cultura/<br />

sezioni/<br />

articolo/<br />

lstp/288622/<br />

------------------------<br />

31/07/2010 - IL LUTTO<br />

34<br />

Addio a Suso Cecchi<br />

d'Amico


Post/teca<br />

La sceneggiatrice lavorò con Visconti, Antonioni e<br />

Monicelli<br />

ROMA<br />

È morta a Roma, dopo una malattia, Suso Cecchi D'amico, la famosa sceneggiatrice.<br />

Aveva 96 anni. La scomparsa di Susi Cecchi D'amico, della quale hanno dato<br />

annuncio i figli, non è semplicemente la fine di una stagione del cinema italiano. E<br />

anche la fine di un certo modo di intendere il «mestiere» del cinema nobilitato a<br />

arte. Con lei se ne va la «regina», la collaboratrice prediletta di Luchino Visconti, la<br />

sceneggiatrice più celebre, la più raffinata che al cinema portò in dote il bagaglio di<br />

una cultura multiforme, frutto di una grande famiglia d'artisti.<br />

Giovanna Cecchi, figlia del letterato Emilio, era nata a Roma nel 1914. Fin dagli<br />

esordi come giornalista volle aggiungere alla sua firma il cognome materno eredità<br />

di una grande tradizione teatrale. La sua firma, con il nomignolo familiare «Suso»,<br />

compare però la prima volta al cinema in calce al film di Renato Castellani 'Mio<br />

figlio professorè, nel 1946. Comincia poi la sua grande stagione neorealista a fianco<br />

di maestri come Luigi Zampa, Ennio Flaiano, Cesare Zavattini. Lavora con<br />

Antonioni, Rosi, Blasetti. Ma l'autentico sodalizio ideale è quello con Luchino<br />

Visconti che la vuole al suo fianco nel 1950 per 'Bellissimà, che ne farà poi il suo<br />

fedele «doppio» narrativo per tutta la carriera fino al progetto mai realizzato della<br />

Recherche di Proust.<br />

Maestra della «bella prosa», di una tecnica raffinata, Suso diviene una garanzia<br />

internazionale per i copioni più impegnativi anche in tv. Nel 1994 la Mostra di<br />

Venezia le assegna un leone d'oro alla carriera.<br />

fonte: http://<br />

www3.<br />

lastampa.<br />

it/<br />

spettacoli/<br />

sezioni/<br />

articolo/<br />

lstp/288742/<br />

-----------------<br />

Meno le persone sanno di<br />

come vengono fatte le<br />

salsicce e le leggi e meglio<br />

35


Post/teca<br />

dormono la notte.<br />

— Otto von Bismarck (via creativeroom)<br />

fonte: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

------------------------<br />

Per quanto sia alto il trono,<br />

rimani pur sempre seduto<br />

sul tuo culo.<br />

— Michel Eyquem de Montaigne (via losgabuzzo) (via<br />

novaffanculotu) (via hardcorejudas)<br />

------------------<br />

emmanuelnegro:serena-<br />

gandhi:<br />

nell’estremo momento tutti rivedono la propria vita come un film. in<br />

quello di berlusconi ci saranno anche le pubblicità.<br />

--------------------<br />

mi stavano già sul cazzo le pubblicità delle aspirine e gli<br />

sciroppi, con il tizio che entra nel bar e si siede vicino all’amico<br />

— eh ho un forte mal di testa, un po’ di raffreddore, forse<br />

anche un po’ di febbre — e che cazzo sei venuto qui a<br />

contagiarmi? perchè non te ne vai affanculo? ora immaginate<br />

la mia reazione alla tipa che arriva annunciando un fastidioso<br />

prurito intimo<br />

36


Post/teca<br />

—<br />

babaracus1982<br />

(via el-<br />

hereje<br />

(via emmanuelnegro)<br />

(via piggyna)<br />

)<br />

---------------------<br />

Si conobbero. Lui conobbe lei e se<br />

stesso, perchè in verità non s’era mai<br />

saputo. E lei conobbe lui e se stessa,<br />

perché pur essendosi saputa sempre,<br />

mai s’era potuta riconoscere così.<br />

— Italo Calvino (via polworld, dadaumpa) (viawashingmachine9<br />

)<br />

----------------------<br />

Il mio gatto fa quello che io<br />

vorrei fare, ma con meno<br />

letteratura.<br />

— Ennio Flaiano (via alchemico)<br />

------------------<br />

Quando un popolo non sa<br />

37


Post/teca<br />

più ridere diventa<br />

pericoloso.<br />

— Dario Fo (via tattoodoll)<br />

------------------<br />

E' morta a Palermo Elvira Sellerio<br />

Elvira Giorgianni Sellerio, fondatrice con il marito Enzo<br />

dell'omonima casa editrice, è morta oggi a Palermo. La Sellerio,<br />

che è stata anche membro del Cda della Rai nel 1993-1994<br />

all'epoca dei "professori", scoprì e incoraggiò a pubblicare per la<br />

sua casa editrice numerosi autori di successo, da Leonardo<br />

Sciascia a Gesualdo Bufalino fino ad Andrea Camilleri.<br />

Elvira Giorgianni Sellerio era nata a Palermo il 18 maggio del 1936 .<br />

Figlia di un prefetto, era laureata in Giurisprudenza, cavaliere del<br />

lavoro, nel 1991 è stata insignita di una laurea honoris causa in<br />

Lettere dalla facoltà di magistero di Palermo.<br />

Ha cominciato a lavorare nell' editoria nel 1970, fondando la casa<br />

editrice Sellerio (dal nome del marito, il fotografo Enzo, dal quale si<br />

era separata).<br />

Una "scommessa": così la Sellerio ha più volte definito la sua<br />

"pretesa" di lanciare da Palermo una casa editrice, che si propone<br />

come "nazionale", scontando tutte le conseguenze di una<br />

localizzazione periferica.<br />

Attraverso Bufalino la Sellerio è stata premiata con il<br />

Spercampiello nel 1981 per 'Diceria dell' untore', il romanzo che ha<br />

38


Post/teca<br />

fatto conoscere al grande pubblico lo scrittore di Comiso.<br />

Nel 1991 alla Sellerio è stato attribuito il premio 'Marisa Belisario'.<br />

La casa editrice 'Sellerio' si è segnalata per la sua collana di<br />

"libretti" dalla caratteristica copertina in blu scuro che<br />

ripropongono testi apparentemente "minori", che spaziano tra<br />

classico e moderno, ma di grande spessore culturale.<br />

La Sellerio ha pubblicato tutti i libri di Andrea Camilleri che ha<br />

assicurato alla casa editrice un grandissimo successo.<br />

fonte: http://www.rainews24.it/it/news.php?newsid=143642<br />

---------------------<br />

20100804<br />

Certe persone parlano soltanto perché pensano che il<br />

rumore sia più sopportabile del silenzio.<br />

> Margaret Halsey<br />

------------------------------<br />

In fila<br />

Stamattina al mare provavo a leggere I fratelli Karamazov, ma<br />

era impossibile. Attaccati a me, alla mia destra, c’erano due<br />

vecchi sui settanta, uno di loro sfogliava un libro illustrato<br />

sulla visita di Mussolini a Siracusa nel ‘36, e intanto diceva<br />

all’altro: “guarda, guarda i barilla (sì, con la “R”), guarda che<br />

belli i barilla tutti in fila, guardali”, l’altro si è sporto a dare<br />

un’occhiata, ma sembrava perplesso. Poi si sono messi a<br />

parlare della strage di Bologna, il primo vecchio diceva che<br />

secondo lui non era stato Fioravanti, “non è stato Giusva”,<br />

diceva, lo chiamava Giusva, il secondo vecchio allora gli ha<br />

chiesto se secondo lui prenderanno mai i mandanti, il primo<br />

vecchio gli ha mostrato l’indice e l’ha mosso a destra e a<br />

39


Post/teca<br />

sinistra, “no, no” diceva, “non li prendono”, e intanto faceva<br />

un sorrisino furbo, come se il mandante fosse lui, tipo, e<br />

stesse fregando tutti quanti.<br />

— Renault4:<br />

In fila<br />

-----------------------<br />

(via piggyna)<br />

mumblemumblr:emmanuelnegro:w 0 rstcas3<br />

scenar1<br />

o :<br />

Un centinaio di cartelli stradali in lingua inglese con il messaggio<br />

“Attenzione. Area preti. Non lasciate i vostri bambini da soli” sono stati<br />

installati questa notte nelle vie che circondano Piazza San Pietro e tutta<br />

l’area vaticana. Obiettivo dell’azione comunicare ai genitori la massima<br />

attenzione ai propri piccoli in un area ad alto rischio pedofilia. I cartelli<br />

sono stati rimossi questa mattina dopo che alcuni turisti avevano<br />

chiesto spiegazioni. Si tratta della prima opera del collettivo<br />

artisticoBRUTALMAG che con questa installazione inaugura la propria<br />

stagione estiva.<br />

-----------------------<br />

E’ nato il figlio di Luca<br />

Cordero di Montezemolo. Si<br />

chiama figlio di papà.<br />

— Fiocco azzurro in casa Ferrari<br />

tattoodoll)<br />

-----------------------<br />

(via imod) (viaemmanuelnegro) (via<br />

Ce n’era una e noi eravamo<br />

40


Post/teca<br />

in due, ce la giocammo a<br />

dadi. Vinse lei e ci chiavò a<br />

tutti e due.<br />

— Squallor - C’era un vento quella notte (viaalchemico)<br />

---------------------------<br />

L’immaginazione non è uno<br />

stato mentale: è l’esistenza<br />

umana stessa<br />

— W. Blake (via creativeroom) (via biancaneveccp)<br />

------------------------<br />

3 agosto 2010<br />

È morta Elvira Sellerio<br />

È morta a Palermo Elvira Sellerio. Aveva 74 anni ed era una persona meravigliosa.<br />

Qui si raccontava, un poco, chi era.<br />

Il sito del Foglio ha pubblicato invece questo ricordo.<br />

Salvatore Silvano Nigro, italianista e docente alla Normale di Pisa, da più di<br />

trent’anni collaboratore della casa editrice, dove approdò anche per volontà di<br />

Sciascia e di cui è oggi direttore editoriale, racconta al Foglio, per spiegare chi fosse<br />

Elvira Sellerio, che la conobbe “all’inizio degli anni Settanta, dopo una mia<br />

recensione molto negativa, uscita su Paese Sera, di un libro da lei pubblicato”.<br />

Invece di arrabbiarsi, l’editrice “volle conoscermi. Volle sapere di me, della mia<br />

famiglia, della mia vita, e mi propose di collaborare alla sua impresa. Sciascia mi<br />

41


Post/teca<br />

aveva messo scherzosamente in allarme. Attento, mi aveva detto, Elvira è una<br />

sirena. Ed è vero, è stata sempre una straordinaria seduttrice intellettuale, capace di<br />

ottenere tutto quello che voleva”.<br />

Una sirena, dunque. Di un genere poco convenzionale, grande nuotatrice nel mare<br />

delle passioni letterarie: “Era da sempre una lettrice voracissima. Conosceva autori<br />

anche minimi della letteratura mondiale, e questo le permetteva di tirar fuori dalla<br />

sua biblioteca personale titoli dimenticati, che faceva rivivere nelle sue collane e che<br />

noi scoprivamo grazie a lei. Non abbiamo mai pubblicato un libro che Elvira Sellerio<br />

non avesse letto e che non avesse discusso, approvato e curato personalmente. Non<br />

credo che siano molti gli editori da tremila libri di cui si possa dire la stessa cosa”,<br />

dice ancora Nigro. Perché, pur considerata “piccola”, la casa editrice Sellerio è a<br />

tutti gli effetti una grande impresa culturale, “con una produzione invidiabile –<br />

sottolinea lo studioso – e di questo il merito va soprattutto a lei”.<br />

Se qualcosa non la convinceva fino in fondo, Elvira Sellerio non chiudeva le porte.<br />

“Non diceva mai un no deciso, perché temeva di offendere le persone. Diceva<br />

semmai: vediamo domani. Con noi collaboratori, compreso Sciascia, dopo averci<br />

dato ragione all’inizio, ci portava dove voleva. Con tale sottigliezza che, alla fine,<br />

tutti la ringraziavamo, perché aveva davvero ragione lei”. La stessa incapacità di<br />

dire dei “no” secchi la conoscono tutti coloro che hanno avuto la ventura di<br />

chiederle interviste. Molto rare, quelle concesse, più che altro all’epoca del<br />

coinvolgimento nella breve stagione nella Rai dei “professori” (si dimise con<br />

sollievo, ansiosa di tornare ai suoi libri e anche alla sua amata campagna dalle parti<br />

di Ragusa). Interviste subite con grazia da quella bella signora di eleganza antica,<br />

talmente schiva da sembrare scostante.<br />

Nemica delle fotografie: lei, moglie di un grande fotografo. Provava in ogni modo a<br />

far desistere il questuante, rimandava, si scusava, prometteva, si sottraeva mille<br />

volte prima di rassegnarsi a parlare. E allora, finalmente, non lesinava né cordialità<br />

né sorrisi, seduta nella sua poltrona nell’ufficio di via Siracusa 50, sempre avvolta<br />

dal fumo delle sue proibitissime sigarette (gustate di nascosto fino all’ultimo, però,<br />

perché “i vizi vanno coltivati”). Intorno a lei, la grande famiglia allargata della casa<br />

editrice. Prima di tutto i figli veri, Antonio e Olivia. Figli del marito separato ma mai<br />

lontano, Enzo Sellerio. Autore della copiatissima veste grafica dei libri blu, dal 1983<br />

si occupa delle pubblicazioni d’arte e di fotografia. “Le persone che lavorano alla<br />

Sellerio sono le stesse di trent’anni fa – spiega ancora Salvatore Silvano Nigro – e<br />

davvero l’impronta di Elvira Sellerio è inconfondibile. Pochi redattori, tutte donne,<br />

tutte cresciute lì dentro, tutte entusiaste. Lei, per prima, non si è mai risparmiata:<br />

passava l’intero giorno a leggere, circondata dai manoscritti, o a parlare con gli<br />

autori. Li seguiva, li incoraggiava, li consigliava. Non so immaginare un intreccio<br />

più appassionato tra vita e lavoro”.<br />

42


Post/teca<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

ilpost.<br />

it/2010/08/03/<br />

morta-<br />

elvira-<br />

sellerio/<br />

-------------<br />

3 agosto 2010<br />

Elvira Sellerio, la sirena dal polso fermo che amava i<br />

libri come figli<br />

Salvatore Silvano Nigro ricorda l’editrice morta a Palermo<br />

Come tutte le donne molto belle, Elvira Sellerio, morta a Palermo, non<br />

aveva età, anche se l’anagrafe le attribuiva settantaquattro anni. Nata<br />

Giorgianni, figlia di prefetto – forse per questo dotata di quel polso fermo che<br />

tutti le riconoscevano – nel 1969 aveva fondato la sua casa editrice con il<br />

marito Enzo Sellerio, famoso fotografo, e con la collaborazione e<br />

l’incoraggiamento di Leonardo Sciascia e dell’antropologo Nino Buttitta. Il<br />

catalogo della Sellerio è eloquente testimonianza di genio editoriale. Le sue<br />

scelte sofisticate, capaci di “mantenere lo stile” e di renderlo sempre<br />

riconoscibile, hanno incontrato anche il favore del pubblico. E’ il caso dello<br />

stesso Sciascia come di Gesualdo Bufalino, per arrivare a Camilleri e a i più<br />

recenti Carofiglio, Giménez-Bartlett, Doody.<br />

Salvatore Silvano Nigro, italianista e docente<br />

alla Normale di Pisa, da più di trent’anni collaboratore della casa editrice,<br />

43


Post/teca<br />

dove approdò anche per volontà di Sciascia e di cui è oggi direttore editoriale,<br />

racconta al Foglio, per spiegare chi fosse Elvira Sellerio, che la conobbe<br />

“all’inizio degli anni Settanta, dopo una mia recensione molto negativa, uscita<br />

su Paese Sera, di un libro da lei pubblicato”. Invece di arrabbiarsi, l’editrice<br />

“volle conoscermi. Volle sapere di me, della mia famiglia, della mia vita, e mi<br />

propose di collaborare alla sua impresa. Sciascia mi aveva messo<br />

scherzosamente in allarme. Attento, mi aveva detto, Elvira è una sirena. Ed è<br />

vero, è stata sempre una straordinaria seduttrice intellettuale, capace di<br />

ottenere tutto quello che voleva”.<br />

Una sirena, dunque. Di un genere poco convenzionale, grande nuotatrice nel<br />

mare delle passioni letterarie: “Era da sempre una lettrice voracissima.<br />

Conosceva autori anche minimi della letteratura mondiale, e questo le<br />

permetteva di tirar fuori dalla sua biblioteca personale titoli dimenticati, che<br />

faceva rivivere nelle sue collane e che noi scoprivamo grazie a lei. Non<br />

abbiamo mai pubblicato un libro che Elvira Sellerio non avesse letto e che<br />

non avesse discusso, approvato e curato personalmente. Non credo che<br />

siano molti gli editori da tremila libri di cui si possa dire la stessa cosa”, dice<br />

ancora Nigro. Perché, pur considerata “piccola”, la casa editrice Sellerio è a<br />

tutti gli effetti una grande impresa culturale, “con una produzione invidiabile –<br />

sottolinea lo studioso – e di questo il merito va soprattutto a lei”.<br />

Se qualcosa non la convinceva fino in fondo, Elvira Sellerio non chiudeva<br />

le porte. “Non diceva mai un no deciso, perché temeva di offendere le<br />

persone. Diceva semmai: vediamo domani. Con noi collaboratori, compreso<br />

Sciascia, dopo averci dato ragione all’inizio, ci portava dove voleva. Con tale<br />

sottigliezza che, alla fine, tutti la ringraziavamo, perché aveva davvero<br />

ragione lei”. La stessa incapacità di dire dei “no” secchi la conoscono tutti<br />

coloro che hanno avuto la ventura di chiederle interviste. Molto rare, quelle<br />

concesse, più che altro all’epoca del coinvolgimento nella breve stagione<br />

nella Rai dei “professori” (si dimise con sollievo, ansiosa di tornare ai suoi libri<br />

e anche alla sua amata campagna dalle parti di Ragusa). Interviste subite<br />

con grazia da quella bella signora di eleganza antica, talmente schiva da<br />

sembrare scostante.<br />

Nemica delle fotografie: lei, moglie di un grande fotografo. Provava in ogni<br />

modo a far desistere il questuante, rimandava, si scusava, prometteva, si<br />

44


Post/teca<br />

sottraeva mille volte prima di rassegnarsi a parlare. E allora, finalmente, non<br />

lesinava né cordialità né sorrisi, seduta nella sua poltrona nell’ufficio di via<br />

Siracusa 50, sempre avvolta dal fumo delle sue proibitissime sigarette<br />

(gustate di nascosto fino all’ultimo, però, perché “i vizi vanno coltivati”).<br />

Intorno a lei, la grande famiglia allargata della casa editrice. Prima di tutto i<br />

figli veri, Antonio e Olivia. Figli del marito separato ma mai lontano, Enzo<br />

Sellerio. Autore della copiatissima veste grafica dei libri blu, dal 1983 si<br />

occupa delle pubblicazioni d’arte e di fotografia. “Le persone che lavorano<br />

alla Sellerio sono le stesse di trent’anni fa – spiega ancora Salvatore Silvano<br />

Nigro – e davvero l’impronta di Elvira Sellerio è inconfondibile. Pochi<br />

redattori, tutte donne, tutte cresciute lì dentro, tutte entusiaste. Lei, per prima,<br />

non si è mai risparmiata: passava l’intero giorno a leggere, circondata dai<br />

manoscritti, o a parlare con gli autori. Li seguiva, li incoraggiava, li<br />

consigliava. Non so immaginare un intreccio più appassionato tra vita e<br />

lavoro”.<br />

© - FOGLIO QUOTIDIANO<br />

di Nicoletta Tiliacos<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

ilfoglio.<br />

it/<br />

soloqui/5893<br />

------------<br />

UN CAVALIERE DI NOME ELVIRA<br />

Repubblica — 30 giugno 1989 pagina 19 sezione: AFFARI & FINANZA<br />

Milano DONNA Elvira cavaliere. Cavaliere di che? Ma del lavoro, naturalmente.<br />

Già, come Gianni Agnelli, Carlo De Benedetti e Leopoldo Pirelli. O come Carlo<br />

Rodriquez, per restare tra i siciliani. Perchè Elvira Sellerio è siciliana, sicilianissima,<br />

tutta una vita da editore costruita in una città dura come Palermo. E la sua<br />

onorificenza l' ha ricevuta dal presidente della Repubblica Cossiga alla fine di<br />

maggio proprio per aver saputo fare crescere un' impresa in quell' isola del<br />

Mezzogiorno che all' imprenditoria è ostile. Mi hanno nominata cavaliere insieme ad<br />

un altro editore, Carlo Caracciolo. Solo che lui è capo d' una grande casa editrice e<br />

io invece ho un' impresa piccolina, sorride. C' è un doppio orgoglio, in quel sorriso.<br />

L' intraprendenza: Avevamo cominciato vent' anni fa, io e mio marito Enzo,<br />

45


Post/teca<br />

investendo i 6 milioni della mia liquidazione da un impiego alla Regione. Dicevo:<br />

farò libri da diecimila copie. E i miei amici ridevano. Nell' 88 abbiamo pubblicato 92<br />

titoli, per quasi 400 mila copie vendute. E la sicilianità: Il nostro nome è Sellerio<br />

Editore Palermo. Tempo fa mi accorsi che in una città veneta vendevamo<br />

pochissimo. Forse è quel Palermo che dà fastidio: toglietelo, andrà meglio in tutte<br />

le librerie del Nord, mi suggerirono le Messaggerie, i nostri distributori. Ma io ho<br />

tenuto duro: di essere siciliana, sono orgogliosa. Spiega: E' difficile fare l'<br />

imprenditore in Sicilia: problemi ambientali, alto costo del denaro, trasporti lenti e<br />

lunghi. Ma un editore può ancora giovarsi delle lunga tradizione di importanza<br />

nazionale e internazionale della cultura siciliana. Elvira Giorgianni, sposata Sellerio,<br />

53 anni, una vita tra l' impresa, che è futuro e la letteratura, che è assai spesso<br />

memoria. Figlia di un prefetto, prima di sei fratelli, una laurea in Giurisprudenza, ha<br />

vissuto una appassionata gioventù in quella Sicilia a cavallo tra anni ' 50 e ' 60 che<br />

coltivava le aspirazioni politiche dell' ancora recente autonomia regionale e<br />

soprattutto i fermenti culturali delle Settimane della nuova musica (ospite abituale<br />

Karlheinz Stockhausen, interlocutore di Gioacchino Lanza Tomasi e del barone<br />

Francesco Agnello), del Gruppo ' 63 (che si formò in un vecchio albergo appena<br />

fuori Palermo, con Alberto Arbasino, Umberto Eco e scrittori siciliani come Michele<br />

Perriera) e delle visite di Theodor W. Adorno. Elio Vittorini era un mito radicato, il<br />

successo intellettuale d' un siciliano andato al Nord, Feltrinelli aveva pubblicato nel '<br />

58 Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, mentre la provincia covava intellettuali di<br />

livello come Leonardo Sciascia, Vincenzo Consolo, Gesualdo Bufalino che teneva i<br />

suoi romanzi nel cassetto della casa di Comiso e Mario Farinella che alternava le<br />

inchieste antimafia sul quotidiano L' Ora a struggenti poesie. C' era anche Enzo<br />

Sellerio, tra quegli uomini di cultura che cercavano di tenere insieme l'<br />

appartenenza siciliana con le aspirazioni verso orizzonti più ampi, che vivevano l'<br />

isola come storia e radici, ma anche come limite da valicare: siciliani di scoglio,<br />

capaci però di navigare l' alto mare. Sellerio insegnava diritto all' università, ma<br />

faceva soprattutto il fotografo per Il Mondo, Life e Fortune. E la casa editrice<br />

Sellerio, nata nel ' 69, aveva tutto questo alle spalle. Gli entusiasmi di una nuova<br />

impresa, i legami d' una cultura che ha sempre avuto aspirazioni internazionali.<br />

Ricorda Elvira Sellerio: Nei primi anni facevamo tutto Enzo e io. La scelta dei testi,<br />

le bozze da correggere, i libri da consegnare. Vita grama. Un grande entusiasmo:<br />

Facevo il mestiere di editore per vivere, ma ero anche felice di avere un lavoro<br />

bellissimo. Dei primi volumi si tiravano tremila copie, se ne vendevano cento. Però<br />

si andava avanti. Testi rigorosi, curatissimi per l' edizione, la grafica, la carta, la<br />

stampa. Lentamente, crescevamo. Era arrivato Leonardo Sciascia come<br />

consulente negli uffici di via Siracusa dove i Sellerio avevano sistemato la casa<br />

editrice, un appartamento proprio di fronte alla loro casa. E nel ' 78, ecco il primo<br />

46


Post/teca<br />

grande successo: L' affaire Moro di Sciascia, oltre 100 mila copie vendute. Poi, la<br />

distribuzione curata dalla Messaggerie: il salto di qualità verso una presenza su<br />

tutto il mercato nazionale. Ci sono dei principi di filosofia editoriale cui la casa<br />

editrice palermitana è rimasta fedele, nel corso del tempo: Nell' interesse della<br />

qualità sostiene Elvira Sellerio la produzione libraria va mantenuta vicina alle sue<br />

radici artigianali. Il nostro prodotto è molto accurato nella fattura, ma anche<br />

contenuto nei prezzi: il libro è un bene che deve poter arrivare al maggior numero<br />

di lettori interessati. Secondo punto, i criteri di scelta dei testi: Siamo fuori dalle<br />

mode culturali, dalle pretese tendenze di mercato. Abbiamo invece fiducia nell'<br />

intelligenza del lettore. Terzo punto: il radicamento in una Sicilia che è molto più<br />

complessa dello schema mafia-antimafia con cui spesso la si racconta (Sellerio non<br />

pubblica libri di mafia perchè sarebbe troppo facile raggiungere altissime tirature e<br />

fare buoni affari insistendo su un fenomeno, la mafia, da considerare con ripulsa):<br />

C' è una storia culturale siciliana ricca di scrittori, di storici, di scienziati, che ha<br />

assorbito gli umori della migliore cultura europea. Avverte la Sellerio: Il nostro<br />

essere siciliani non vuol dire che si pubblicano solo opere di siciliani. Nel corso del<br />

tempo, infatti, Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino lasciano Sellerio e scelgono<br />

editori diversi, mentre Sellerio pubblica testi francesi del ' 600 e del ' 700, autori<br />

russi dell' 800 e del ' 900, contemporanei italiani come Antonio Tabucchi, una<br />

rivelazione. Nei primi anni ' 80 si diversifica anche l' attività della casa editrice: Enzo<br />

Sellerio guida il settore dei libri d' arte, Elvira Sellerio quello della narrativa e della<br />

saggistica. Due case editrici autonome, mentre autonome diventano anche le vite<br />

private dei due Sellerio. La seconda metà degli anni ' 80 è anche la stagione della<br />

crescita più impetuosa. Le collane diventano sette. E i titoli pubblicati passano dai<br />

57 dell' 85 ai 92 dell' 88, con una vendita crescente dalle 252 mila copie dell' 85 alle<br />

380 mila copie dell' 88. Il fatturato è stato di 1 miliardo 300 milioni nell' 87, di 2<br />

miliardi nell' 88 e adesso andiamo verso i 5 miliardi nell' 89. Sono tanti, in un<br />

mondo dell' editoria di qualità fatto di piccole case editrici che vivono tra mille<br />

problemi: Contiamo di superare i 12 miliardi nel ' 92. E gli utili? Li abbiamo avuti<br />

sempre, fin dal primo anno della casa editrice. Minimi, ma pur sempre presenti. Li<br />

abbiamo quasi tutti reinvestiti in altri libri. Adesso sono già pronte due nuove<br />

collane, una di architettura e un' altra di saggistica che si chiamerà Il divano: il<br />

primo titolo sarà un testo francese del ' 600 sull' Arte di tacere. C' è una cosa che<br />

colpisce, in questa donna che sorride spesso, muove irrequieta le mani in cerca<br />

continua di qualcosa da fare ed ama quell' arte difficile che è la conversazione: la<br />

sua capacità di tenere costantemente insieme la passione culturale e le qualità<br />

imprenditoriali. Sceglie di ripubblicare le memorie della figlia di Diderot, il Memoriale<br />

di Yalta di Togliatti e i pensieri d' un gesuita spagnolo come Baldasar Gracian<br />

(Viaggio nella mente barocca) commentati dall' imprenditore Gianfranco Dioguardi.<br />

47


Post/teca<br />

Ma azzarda anche su autori nuovi, come Enrico Deaglio o Carlo Panella. Ha pronta<br />

un' opera monumentale, i 63 volumi dei Diari del marchese di Villabianca sulla<br />

Sicilia tra ' 700 e ' 800. Ma batte e ribatte sulla accessibilità del libro: Tutti i volumi<br />

della collana La memoria li abbiamo pensati d' un formato un po' quadrato perchè<br />

fossero davvero tascabili, d' uno spessore di pagine che consentisse una lettura<br />

veloce in concorrenza con i rotocalchi e d' una qualità degna dei buoni testi di<br />

memorialistica e di letteratura. I conti, negli anni, tornano. La casa editrice resta<br />

piccola, con i suoi otto dipendenti che fanno tutti di tutto, le tipografie sempre scelte<br />

in Sicilia, la decisione economica di non fare pubblicità (Non ne abbiamo i soldi, e<br />

così i libri sono il nostro unico mezzo di promozione), i continui problemi con le<br />

banche (Al Sud, il denaro resta più caro che altrove). Però andiamo avanti, insiste<br />

Elvira Sellerio. Sfoglia il pacco di telegrammi di complimenti ricevuti dopo la nomina<br />

a cavaliere del lavoro e non nasconde la soddisfazione: E' un riconoscimento per<br />

me, per tutti noi delle casa editrice, ma anche un apprezzamento più generale per<br />

le capacità imprenditoriali che ci sono nel Mezzogiorno: una scommessa vinta sul<br />

disfattismo e sullo scetticismo, un premio alla produttività. Adesso, l' ultima iniziativa<br />

è una libreria, aperta alla fine di maggio a Palermo. Una libreria Sellerio, la prima di<br />

una catena che punterà soprattutto alle città meridionali: Ragusa, Messina,<br />

Napoli... Una sorta di Feltrinelli del Sud. Non supermarket dei libri, ma luoghi in cui<br />

trovare titoli selezionati e un personale che sappia consigliare i lettori: un giardino di<br />

carta. E' una scommessa, visto che le librerie di tutto il Mezzogiorno vendono<br />

quanto quelle della sola città di Milano. Già, la nostra è un' avventura culturale<br />

spiega la Sellerio ma anche un' operazione che ha un senso imprenditoriale. Le<br />

librerie facilitano l' incontro tra editore e lettore, ma sono anche un ottimo canale di<br />

liquidità. E avere dei soldi a disposizione, senza doverli pagare in banca a<br />

carissimo prezzo, permette ad un' impresa di crescere meglio. - di ANTONIO<br />

CALABRO'<br />

fonte: http://<br />

ricerca.<br />

repubblica.<br />

it/<br />

repubblica/<br />

archivio/<br />

repubblica/1989/06/30/<br />

un-<br />

cavaliere-<br />

di-<br />

nome-<br />

elvira.<br />

html<br />

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28/07/2010 -<br />

48<br />

Bartoli, un gesuita del '600 contro i<br />

grammatici pedanti


Post/teca<br />

Leopardi non aveva dubbi: «Bartoli è il Dante della prosa italiana». E poi: «uomo<br />

che fra tutti del suo tempo, e fors’anche di tutti i tempi, [...] più profondamente e<br />

pienamente conobbe la nostra lingua».<br />

Storiografo ufficiale della Compagnia del Gesù, alla quale apparteneva, il ferrarese<br />

Daniello Bartoli (1608-85) scrisse nel 1655 un trattato, Il torto e il diritto del non si<br />

può, dove ragiona su vari problemi linguistici, ponendosi in una via saggiamente<br />

intermedia tra ortodossia cruscante e modernismo, verso un moderato<br />

superamento di un’idea della lingua come sistema chiuso e immobile. Abbiamo ora<br />

la possibilità di tornare al suo testo - che ha avuto una parte di rilievo nella storia<br />

della lingua italiana - grazie a Sergio Bozzola, che lo presenta nella collana di<br />

classici della Fondazione Bembo/Guanda (pp. 480, e42).<br />

Si tratta di una proposta molto utile e piacevole perché ci induce a una riflessione<br />

sulla nostra lingua, tanto bella e importante quanto sconciata dalla volgarità di certi<br />

media. Ma entrando più direttamente nel trattato del Bartoli, si resta colpiti, oltre<br />

che dalla efficacia della sua prosa, dalla sua freschezza viva e dalla ricchezza degli<br />

esempi. Infatti il libro è una sorta di divagazione libera che prende in esame una<br />

serie di casi concreti per mettere in discussione i divieti linguistici dei grammatici<br />

pedanti. Il suo è il desiderio intelligente e opportuno di una lingua viva, che sappia<br />

proporsi come un corpo variabile e dinamico in perenne evoluzione. Lo vediamo<br />

discutere, allora, dei pronomi lui, lei e loro usati come soggetto, o del pronome gli<br />

usato per la terza persona plurale. Oppure auspicare l’arricchimento del vocabolario<br />

con i termini provenienti da arti e mestieri.<br />

Bartoli fa riferimento all’autorità degli scrittori, e dunque privilegia la loro capacità<br />

di governare e rinnovare creativamente la lingua. Posizione ineccepibile anche nel<br />

nostro tempo purché, come spesso oggi capita, gli scrittori non siano a loro volta<br />

appiattiti sulla banalità del parlato televisivo.<br />

Autore: Daniello Bartoli<br />

Titolo: Il torto e il diritto del non si può<br />

Edizione: Fondazione Bembo/Guanda<br />

Pagine: 480<br />

Prezzo: 42 €<br />

fonte: http://<br />

www3.<br />

lastampa.<br />

it/<br />

libri/<br />

sezioni/<br />

il-<br />

libro/<br />

articolo/<br />

lstp/284642/<br />

49


Post/teca<br />

--------------<br />

25/03/2010 -<br />

Camilleri legge se stesso<br />

e svela l'imbecillità del<br />

regime<br />

MAURIZIO ASSALTO<br />

Diavolo d’un Camilleri: questa volta se la suona e se la canta. L’ha scritto e lo<br />

legge.Il nipote del Negus, il nuovo romanzo della serie storica, da oggi in libreria per<br />

Sellerio (pp. 277, euro 13), esce in volume e contemporaneamente in versione audio,<br />

un cofanetto di cinque cd con la lettura integrale da parte dell’autore. Cinque ore e<br />

28 minuti in cui il papà di Montalbano si cala con gusto mimetico nel dedalo di<br />

linguaggi che danno vita a questo racconto-resoconto costruito per accumulo di<br />

materiali disparati, con la tecnica già felicemente sperimentata per La concessione<br />

del telefono e La scomparsa di Patò.<br />

Qui la vicenda, che come di consueto trae spunto (non più che uno spunto) da un<br />

fatto reale, è ambientata nella Vigàta del 1929, piena èra fascista. Il diciannovenne<br />

nipote del Negus d’Etiopia, «che chiamasi Grhane Sollassié <strong>Mb</strong>ssa», dopo essersi<br />

diplomato a Palermo ha chiesto di potersi iscrivere alla Regia Scuola Mineraria<br />

dell’immaginaria cittadina siciliana. È l’inizio di una grande agitazione, tra Roma e<br />

le autorità isolane, perché il regime pensa di potersi servire del ragazzo come utile<br />

tramite in una fase di rapporti problematici con Addis Abeba (siamo sul piano<br />

inclinato che porterà di lì a cinque anni all’incidente di Ual Ual e quindi alla guerra<br />

d’Abissinia). Di conseguenza, a partire dal Regi Ministeri degli Esteri e dell’Interno,<br />

si prende ogni precauzione affinché il giovane - il quale, «benché Principe, è pur<br />

sempre un negro» - non abbia a soffrire sgarbi, magari attizzati da «qualche losco<br />

sovversivo comunista», «sì da far nascere uno scandalo internazionale che la<br />

stampa estera, al Fascismo ostile, sarebbe ben lieta di ingigantire a dismisura».<br />

La narrazione si sviluppa attraverso tre «carpette» zeppe di documenti<br />

50


Post/teca<br />

amministrativi, comunicazioni burocratiche e articoli di giornale, intervallate da<br />

altrettanti «frammenti di parlate» che registrano in una fantasmagoria di accenti,<br />

fissazioni verbali, secondi e terzi fini, le reazioni dei vigatesi all’arrivo dell’ospite<br />

‘bissino (in questa pagina anticipiamo un dialogo registrato nella «camera da letto<br />

di casa Butticè, 8/9/1929, ore 22»).<br />

Con Il nipote del Negus Camilleri torna per la terza volta alle grottesche atmosfere<br />

del Ventennio - dopo La presa di Macallè e Privo di titolo - per farne vedere in atto,<br />

sotto la grancassa ufficiale, tutta la fondamentale imbecillità. Ben lungi dal farsi<br />

strumentalizzare, il giovane gaudente capisce al volo la situazione e la volge a<br />

proprio vantaggio. Organizza una trama amorosa a quattro, manovra e persuade. E<br />

chiede soldi, sempre più soldi - 5 mila lire per scrivere una lettera al Negus, 20 mila<br />

per scriverla in un certo modo, 25 mila per recarsi di persona a Roma... Alla fine<br />

saranno tutti beffati, tronfi gerarchi e federali, obbedienti zelatori e piccoli<br />

intriganti. Il «negro» si è rivelato più intelligente di loro.<br />

Autore: Andrea Camilleri<br />

Titolo: Il nipote del Negus<br />

Edizioni: Sellerio<br />

Pagine: 277<br />

Prezzo: 13<br />

fonte: http://<br />

www3.<br />

lastampa.<br />

it/<br />

libri/<br />

sezioni/<br />

il-<br />

libro/<br />

articolo/<br />

lstp/169102/<br />

---------------<br />

nipresa:<br />

Ci avete mai fatto caso?<br />

Nelle storie di Topolino non esiste il punto!<br />

Le frasi finiscono o con i tre puntini o con il punto esclamativo o con<br />

il punto di domanda!<br />

Deve essere un mondo terribile quello in cui non esiste la via di<br />

mezzo tra l’entusiasmo, il dubbio e lasciare le frasi sospese…<br />

fonte: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------<br />

51


Post/teca<br />

Quando viaggio mi piace avere<br />

qualcosa di interessante da leggere, per<br />

questo porto sempre con me il mio<br />

diario<br />

— Oscar Wilde (via creativeroom)<br />

-------------------<br />

20100805<br />

La fantasia è un posto dove<br />

ci piove dentro.<br />

— Italo Calvino (via novaffanculotu) (via tattoodoll)<br />

----------------------<br />

La vita è meravigliosa.<br />

Senza saresti morto<br />

—<br />

(Leopold Fechtner)<br />

----------------------------<br />

L ' espresso - A rischio il capolavoro della follia<br />

alchemico:<br />

Nell’ex manicomio psichiatrico di Volterra c’è un’opera d’arte in pericolo. E’ il graffito<br />

che Oreste Fernando Nannetti, internato dal 1959 al 1973 nel reparto Ferri, ha<br />

realizzato con la fibbia della sua divisa da paziente. Centottanta metri di disegni,<br />

racconti, teorie fantascientifiche e immaginazione pura. Nannetti, che si firmava<br />

52


Post/teca<br />

‘Nof4’ e si definiva “ingegnere astrale”, non parlava con nessuno. Incideva. La sua<br />

forma di comunicazione con l’esterno era questa. Dopo 30 anni di abbandono, il<br />

graffito sta cadendo a pezzi. Oggi è visibile solo una metà dell’opera completa. Il<br />

resto è già perduto. E dopo aver dato lavoro a generazioni di volterrani, il<br />

manicomio diventerà presto un centro residenziale di lusso. Per la memoria - di un<br />

luogo e di un artista folle - sembra esserci poco spazio. Qualcuno, però, si sta<br />

dando da fare. Con le proprie forze<br />

--------------------------<br />

La mia ragazza continua a fingere<br />

l’orgasmo, come se a me facesse<br />

piacere sentirla gridare fin sotto alla<br />

strada, mentre sto ancora<br />

parcheggiando.<br />

— (via spaam) (via novaffanculotu) (viahardcorejudas)<br />

--------------------<br />

20100806<br />

Il codice Azuni<br />

di: Giacomo Dotta<br />

Il ministro Brunetta ha lanciato il Codice Azuni, un progetto nel quale chiede all'utenza della rete di<br />

indicare problemi e opportunità del Web affinché si possa in futuro legiferare meglio sul tema. Ma i<br />

dubbi sul progetto sono tanti ed oltremodo pesanti<br />

Agosto potrebbe essere un mese importante per la rete. Potrebbe esserlo perchè è proprio nel<br />

mese di Agosto che prende il via una nuova iniziativa annunciata dal Ministro Brunetta e per il<br />

quale v'è già una nomenclatura ufficiale di grandi richiami: "Codice Azuni".<br />


Post/teca<br />

src="http://view.atdmt.com/D3I/view/187393007/direct;wi.300;hi.250/01/7634263"/><br />

<br />

«Per costruire una governance di Internet credibile e partecipata è fondamentale seguire un<br />

approccio "bottom up": è questo il modo con il quale la Rete ha funzionato fino ad oggi. Abbiamo<br />

così deciso di raccogliere e sistematizzare le esperienze e le prassi che si sono affermate sulla<br />

Rete al fine di individuare punti ideali di equilibrio, in analogia a quanto fece il giurista sardo<br />

Domenico Azuni che raccolse leggi, usi, consuetudini, ordinanze e decisioni consolidate per la<br />

navigazione sui mari dell'Europa di inizio '800. Il primo passo da compiere per dare avvio<br />

all'operazione "Codice Azuni" è dare voce agli utenti della Rete per condividere come "orientarsi"<br />

sulla Rete». Lo scopo, insomma, è apparentemente quello di "ascoltare" l'utenza della rete e dar<br />

voce a quanti intendono collaborare per fare in modo che il comparto possa essere regolato in<br />

modo allineato a quella che è la nuova realtà digitale. Per far ciò il "Codice Azuni" parte dal basso<br />

e tenta di estrapolare dall'utenza i principi cardine attorno a cui legiferare in futuro.<br />

Dizionario universale ragionato - Domenico Alberto Azuni<br />

Difficile, al momento, capire quanto possa essere cosa buona e giusta il "Codice Azuni" voluto da<br />

Brunetta: interessante nella forma, il progetto nasce sicuramente zoppo per essere stato<br />

lanciato ai primi di Agosto e con una durata di 30 giorni, il che significa chiaro disinteresse da<br />

parte di troppi utenti i quali hanno in queste settimane concentrato il proprio periodo vacanziero.<br />

Oltre al peccato originale legato alla tempistica, però, v'è anche un qualcosa di ulteriore: non è<br />

chiaro ad oggi dove il documento intenda arrivare e come possa essere eventualmente<br />

strumentalizzato in seguito: da più parti giunge infatti una certa diffida alla collaborazione per il<br />

modo in cui il mondo della politica ha in passato stigmatizzato la Rete francobollandone le<br />

massime espressioni come nuove forme di "brigate" o di "squadrismo".<br />

54


Post/teca<br />

Tutta la documentazione relativa al progetto è disponibile sul sito azunicode.<br />

it:<br />

● Nota<br />

● «Questo documento è stato realizzato con i contributi dei membri del Tavolo di Lavoro<br />

istituito nel novembre 2009 per assicurare il necessario supporto tecnico ai lavori del<br />

Comitato dei Ministri per la Società dell'Informazione [...] Il contenuto del documento riflette<br />

le opinioni dei membri del Tavolo di Lavoro e non rappresenta in alcun modo la posizione<br />

ufficiale del Governo italiano»;<br />

● Introduzione<br />

● «Internet è il fenomeno che maggiormente, nella storia dell'umanità, ha rivoluzionato<br />

regole, processi e abitudini sociali, offrendo grandi opportunità e, conseguentemente,<br />

ponendo importanti sfide ad una società ancorata a pratiche e paradigmi provenienti dal<br />

passato [...] Non è dunque un caso che la governance di Internet sia in misura crescente<br />

oggetto di attenzioni, anche contrapposte, da parte dei policy makers. [...] Per fare ciò, [...]<br />

è necessario riflettere sui next steps di Internet e impegnarci a proseguire l'elaborazione, in<br />

modo collaborativo, di un contributo condiviso, che definisca principi e strumenti atti a<br />

gestire in modo armonioso lo sviluppo della Rete e la nascita di una "tangibile" cittadinanza<br />

digitale globale, entrambe comunque saldamente fondate sulla tutela dei diritti della<br />

persona»;<br />

● Quale governance?<br />

● «la Commissione ha analizzato i progressi in materia di governance di Internet e il ruolo dei<br />

governi nel processo di sviluppo della Rete, individuando alcune azioni chiave di politica<br />

pubblica, a sostegno delle quali l’Europa è chiamata ad agire:<br />

○ stimolare e sostenere il dialogo intergovernativo e la cooperazione con i partners<br />

internazionali per individuare principi di policy condivisi per la governance di Internet<br />

○ mantenere la leadership del settore privato nelle questioni relative al management<br />

"day-to-day" di Internet<br />

○ incoraggiare e promuovere il processo multi-stakeholders, ove possibile»;<br />

● Le questioni da affrontare<br />

● «Alcune delle principali questioni da affrontare possono essere così sintetizzate:<br />

○ la cosiddetta "incertezza dinamica" che contraddistingue Internet, per il<br />

concomitante agire di fattori quali la crescita stocastica della rete, la irreversibilità e<br />

la multilateralità della crescita stessa<br />

○ l'architettura complessa della Rete, la sua natura multi-stakeholders e i modelli<br />

"aperti" (open source e open data)<br />

○ gli effetti sul funzionamento dei sistemi democratici (e-democracy, digital divide, einclusion,<br />

e-government)<br />

○ i temi legati alla privacy e alla dignità della persona che si confrontano con l'uso dei<br />

mezzi elettronici che pone nuove sfide di ambito territoriale, scala e velocità<br />

○ la remunerazione del lavoro intellettuale, inclusa la ridefinizione degli strumenti<br />

regolamentari in materia di copyright<br />

○ l'analisi della esistenza e/o della dimensione di fenomeni genericamente considerati<br />

fattori "devianti", quali ad esempio l'eccesso di informazione, la disinformazione<br />

○ possibili forme e limiti di intervento in termini di tradizionali strumenti di policy:<br />

accountability, regolazione, enforcement, incentivi e codici di autoregolamentazione<br />

a livello nazionale, europeo e internazionale»;<br />

● Il perchè del Codice Azuni<br />

55


Post/teca<br />

● «Al di là della similitudine tra la "navigazione" sui mari dell'Europa di inizio '800 e quella<br />

sulla Rete del XXI secolo, la lezione di Azuni dà il senso dell'importanza di governare realtà<br />

di dimensioni globali con regole condivise, ma anche e soprattutto della necessità di<br />

realizzare ciò con un metodo che riconosca principi e consuetudini già esistenti e sentite.<br />

Perché un approccio bottom-up? In passato si è rilevato che Internet non accetta una<br />

governance "dall'alto"»;<br />

● Come orientarsi?<br />

● «Sarà necessario, sempre seguendo una logica bottom up, realizzare una doppia<br />

"mappatura":<br />

○ una prima "mappatura" delle principali problematiche della Rete, identificando, da<br />

un lato, quelle sulle quali già esistono regolamentazioni più o meno rispettate e<br />

condivise dagli utenti – pertanto suscettibili di essere riconosciute come regole<br />

comuni - e, dall'altro, quelle ancora prive di ogni regolamentazione e<br />

potenzialmente capaci di creare fattori distorsivi. Per queste ultime, andrà favorito<br />

un processo di graduale disegno delle azioni di policy che, alla stregua delle prime,<br />

possa facilitare la nascita di comportamenti condivisi e, in prospettiva, di regole<br />

comuni;<br />

○ una seconda "mappatura" riguarda le opportunità che Internet offre: infatti, con<br />

l'attenzione dei policy makers spesso concentrata sui problemi posti dalla Rete,<br />

pochissima attenzione viene dedicata ad identificare le possibilità che da essa<br />

hanno origine, nonché la loro relativa priorità, imprescindibilmente valutabile in base<br />

all'impatto socio-economico atteso.<br />

Ha collaborato in modo attivo alla stesura del progetto Stefano Quintarelli, il quale spiega così il<br />

senso dell'iniziativa: «L'idea è di iniziare a fare una raccolta di contributi dal basso per arrivare<br />

poi a una mappatura il più possibile sistematizzata dei problemi, le sfide che la rete pone, e<br />

delle opportunità che offre; successivamente come fece Azuni che raccolse le regolamentazioni<br />

di tutto il mondo, raccogliere le relative best practices regolamentari mondiali (o loro motivata<br />

assenza) e poi cecare di trarre da queste dei riferimenti regolamentari raccomandabili».<br />

E continua: «Questo sarà il contributo di proposta di metodo (e relativa attuazione) che il<br />

Ministro porterà al prossimo Internet Governace Forum, un luogo che ha sempre visto l'Italia<br />

molto attiva. La mappatura delle best practices è certamente molto importante e, una volta<br />

esistente questa documentazione, si spera che i nostri rappresentanti vi faranno riferimento prima<br />

di fare proposte legislative. Oggi un tale riferimento non c'è e gli effetti delle proposte fai-da-te<br />

sono noti, costringendo molte persone a fare i "pompieri regolamentari"». Di qui l'invito alla<br />

partecipazione diretta al tavolo aperto delle discussioni, poichè è in tale sede che il Codice Azuni<br />

prenderà forma e corpo.<br />

Per partecipare è disponibile una pagina apposita contenente le istruzioni per seguire ed animare il<br />

dibattito. Il tutto con una scadenza precisa: il 4 Agosto il sito ha preso forma, il 4 Settembre<br />

terminerà in linea teorica la sessione del dibattito.<br />

Sono tante le minacce che gravano sulla bontà di un documento tanto importante. Il mese di<br />

Agosto è la più immediata ed evidente; il clima pre-elettorale che trapela dai palazzi romani è la<br />

seconda; l'imminenza dell'Internet Governance Forum di Vilnius, e la conseguente fretta imposta<br />

alla sottoscrizione delle idee sul tema, è la terza. Il Codice Azuni, pur nella volontà di un approccio<br />

"bottom-up", potrebbe non essere appreso appieno fin da subito e per questo motivo potrebbe<br />

veder viziato il suo risultato finale. Il tema è però ormai sul tavolo ed al "popolo della rete" non<br />

resta che collaborare o tacere.<br />

56


Post/teca<br />

Sempre che il tutto non sia viziato da un problema ancor antecedente: esiste il "popolo della rete"?<br />

Se sì, nelle prossime settimane è chiamato all'appello per darsi delle regole, o quantomeno per far<br />

vedere che è in grado di stabilire delle proprie linee guida da sé senza che qualcuno elargisca<br />

sentenze dall'alto. Una sfida non da poco. Soprattutto in Agosto.<br />

fonte: http://business.webnews.it/news/leggi/13519/il-codice-azuni/<br />

--------------------------<br />

La cosa di Azuni<br />

di G. Scorza - Una bozza di un documento per favorire il dibattito sulla governance di Internet.<br />

Brunetta invita con urgenza alla partecipazione, ma gli obiettivi sono vaghi. E' solo l'ultima delle<br />

quattro "cose" del 2010<br />

Roma - Uno scarno comunicato stampa pubblicato sul sito del Ministero dell'innovazione ha<br />

annunciato ieri il lancio, da parte del Ministro Brunetta, dell'operazione "Codice Azuni", un'iniziativa<br />

- si legge nel comunicato - "per favorire un dibattito nazionale ed internazionale sulla governance<br />

di internet" utilizzando - prosegue il comunicato - un "metodo non nuovo ma innovativo".<br />

Il comunicato rimanda quindi ad un sito creato per l'occasione sotto il dominio www.<br />

azunicode.<br />

it<br />

(dominio di cui è titolare l'istituto di informatica e telematica del CNR) sul quale è pubblicato un<br />

elenco di buoni propositi circa l'opportunità di avvicinarsi alla regolamentazione della Rete<br />

attraverso un approccio "bottom up" e multistakeholder nonché una "versione beta del Codice<br />

Azuni", dal nome del giurista sardo che Napoleone incaricò di redigere il Codice della navigazione<br />

marittima.<br />

La lettura di quella che è presentata come la "versione beta del Codice Azuni", in realtà, non<br />

consente di decifrare la natura del documento che, allo stato, certamente, non è la bozza di un<br />

Codice, né di comprendere quale sia il reale intendimento del Ministro Brunetta.<br />

Il testo attualmente online si risolve, infatti, in un'introduzione - densa di ovvietà e retorica - di<br />

carattere generale sulle origini della Rete e le difficoltà sin qui incontrate nella sua governance,<br />

seguita da una serie di considerazioni frutto di un cut&paste, non sempre felice, di posizioni<br />

assunte in ambito IGF (Internet Governance Forum) ed in ambito europeo, attraverso le quali si<br />

individua un elenco non esaustivo di aspetti che, a detta degli autori del documento, andrebbero<br />

tenuti in considerazione nell'occuparsi - non è chiaro attraverso quali strumenti - della governance<br />

della Rete.<br />

Un'avvertenza che campeggia nell'area del sito dedicata alla pubblicazione di questa criptica ed<br />

ermetica versione beta del codice informa, infine - tanto per confondere definitivamente il lettore<br />

circa la natura del documento sul quale è invitato a pronunciarsi - che "Il contenuto del documento<br />

riflette le opinioni dei membri del Tavolo di Lavoro e non rappresenta in alcun modo la posizione<br />

ufficiale del Governo italiano".<br />

57


Post/teca<br />

Chiunque voglia, attraverso un'apposita pagina del sito, può iscriversi ad una mailing list e, nei<br />

prossimi 30 giorni, inviare il proprio contributo "estivo" ai lavori della "Cosa di Azuni" alla quale, a<br />

settembre, il Ministro Brunetta intende porre mano.<br />

Sin qui i fatti.<br />

Veniamo ora a qualche considerazione sulla nuova iniziativa del vulcanico Ministro<br />

dell'innovazione.<br />

Ritengo, innanzitutto, che ogni volta - e non accade di frequente - che un'Istituzione decide di<br />

avviare una consultazione pubblica e raccogliere contributi e spunti di riflessione da cittadini ed<br />

esperti prima di agire, meriti il plauso di tutti.<br />

Non fa eccezione a questa regola l'iniziativa estiva del Ministro Brunetta al quale non può pertanto<br />

non andare - assieme ai colleghi ed amici che hanno dedicato pare due giorni del loro tempo a<br />

lavorare alla bozza della "Cosa di Azuni" - il ringraziamento di quanti si occupano di questioni della<br />

Rete o hanno, comunque, a cuore il futuro di Internet.<br />

Egualmente, sono convinto che, a seguito del lancio di una consultazione pubblica ciascuno - in<br />

relazione alle proprie competenze e/o interessi nella materia oggetto della consultazione - abbia<br />

prima che il diritto, il dovere di parteciparvi. Pena, qualora non lo faccia, di doversi poi astenere dal<br />

criticare o contestare il contenuto dei provvedimenti adottati a valle della consultazione.<br />

Metodo, forme e termini dell'iniziativa lanciata dal Ministro dell'Innovazione ieri, tuttavia, non<br />

convincono e, anzi, preoccupano.<br />

Cominciamo dal principio. Trenta giorni - questa la durata della consultazione pubblica - in pieno<br />

periodo estivo, per raccogliere contributi e spunti di riflessione sulla governance della Rete è una<br />

scelta che bolla inesorabilmente l'iniziativa come un'operazione di marketing istituzionale, dettata<br />

da finalità auto promozionali o, ancor peggio, dall'intento di poter agire più liberamente a settembre<br />

con l'alibi di aver preventivamente ascoltato i cittadini. Non c'è alcuna giustificazione per la scelta<br />

del Ministro circa i tempi ed i termini dell'iniziativa: non l'ormai imminente Internet Governance<br />

Forum di Vilnius fissato da mesi, né l'urgenza degli argomenti oggetto della consultazione giacché<br />

la governance della Rete è un tema vecchio più o meno di quarant'anni e realisticamente destinato<br />

a rimanere attuale ed "urgente" - ma non nel senso "estivo" del Ministro - ancora per molto tempo.<br />

In trenta giorni, in piena estate, gli stakeholder - federazioni di imprese, associazioni di<br />

consumatori, corporation, ed enti portatori di interessi che pure andrebbero ascoltati e valutati -<br />

non sono evidentemente in grado - e questo a Palazzo Vidoni lo sanno benissimo - di formare una<br />

posizione su temi tanto articolati e complessi da impegnare, da decenni, l'intera comunità<br />

internazionale senza che si sia mai arrivati ad una soluzione.<br />

È un peccato perché tale infelice scelta priva di serietà tutta l'iniziativa anche a prescindere da ogni<br />

ulteriore perplessità.<br />

Stupisce, in tutta franchezza, che si possano spendere centinaia di migliaia di caratteri - come<br />

avviene sul sito del Codice Azuni - a parlare di approccio bottom up, di volontà di ascoltare le<br />

istanze di tutti, di affrontare il problema della governance della Rete in maniera multistakeholder e<br />

poi, alla prova dei fatti, cadere nella più tipica e tradizionale delle "ipocrisie di Palazzo": una<br />

consultazione-lampo, per pochi addetti ai lavori magari informati telefonicamente dell'urgenza,<br />

lanciata in sordina ed in pieno periodo estivo.<br />

Se il buon giorno si vede dal mattino... l'iniziativa del Ministro Brunetta è, purtroppo, assai meno<br />

"innovativa" di quanto non si voglia far credere.<br />

58


Post/teca<br />

Ma, come anticipato, il problema non sono solo i tempi.<br />

Il documento pubblicato sul sito creato per l'iniziativa ed intitolato "Codice Azuni, versione Beta",<br />

non è lo schema di un Codice in nessuna delle accezioni a me note nelle quali può essere<br />

utilizzata l'espressione "codice" e non si capisce né cosa sia né cosa ambisca a divenire: un vero<br />

codice normativo, un codice deontologico, un testo unico che raccolga leggi preesistenti, una<br />

posizione italiana sui problemi della governance della Rete con la quale presentarsi al prossimo<br />

IGF di Vilnius?<br />

La natura e gli obiettivi dell'iniziativa che, a Palazzo Vidoni, probabilmente per scelta di marketing<br />

istituzionale, hanno battezzato "Codice Azuni", non sono secondari ma prioritari se la<br />

consultazione pubblica avviata deve rappresentare qualcosa di più di un'ipocrita manifestazione di<br />

"vicinanza" alla Rete. Come si può chiedere ad uno stakeholder di inviare un contributo senza<br />

chiarire quale ne sia la funzione e quale l'intenzione del Ministero promotore dell'iniziativa?<br />

Appare, sfortunatamente - lo scrivo con sincero rammarico - un altro sintomo importante del<br />

dilettantismo o della mancanza di buona fede che anima l'iniziativa.<br />

Temo, d'altra parte, che la realtà sia che, allo stato, nessuno al Ministero può dire con certezza a<br />

cosa l'iniziativa estiva, intitolata al grande Domenico Azuni, possa o debba condurre. Non credo,<br />

infatti, che il Ministro Brunetta abbia deleghe o autorità sufficienti per dettare - o proporre di dettare<br />

- regole nelle tante e complesse materie sulle quali, durante la pausa estiva, ha chiesto agli italiani<br />

di dire la loro. Né, francamente, credo che le questioni oggetto della consultazione pubblica<br />

appena lanciata possano trovare una soluzione - non importa di quale natura - a livello di<br />

regolamentazione nazionale.<br />

E veniamo, infine, alla ragione per la quale l'iniziativa del Ministero dell'innovazione, che pare in<br />

linea di principio meritevole di plausi e gratitudine, non convince e, anzi, preoccupa.<br />

Solo nell'ultimo anno, il Ministro Brunetta è il quarto Ministro di questo Governo che istituisce un<br />

tavolo tecnico per individuare regole relative alle "cose della Rete". Il primo fu il Ministro Bondi con<br />

l'ormai famoso "Comitato tecnico per la lotta alla pirateria digitale e multimediale" la cui presidenza<br />

venne - ed è tutt'ora con scelta di dubbio buon gusto almeno sotto il profilo della terzietà ed<br />

indipendenza di pensiero rispetto alle questioni trattate - affidata all'attuale direttore generale della<br />

RAI, Mauro Masi. Anche in quel caso il Prof. Masi, in conferenza stampa a Palazzo Chigi,<br />

annunciò l'intenzione di chiudere i lavori del comitato e varare una "cosa" - ieri come oggi di<br />

contenuto indefinito - entro 60 giorni attraverso un processo - ieri come oggi - "non nuovo ma<br />

innovativo" e "bottom up": la creazione di un forum per raccogliere i contributi degli stakeholder.<br />

Era il 14 gennaio 2009. Ad oltre un anno e mezzo da allora, nulla è accaduto salvo il fatto che, con<br />

un colpo di coda - in questo caso pre-estivo - il 10 luglio scorso, il Comitato ha creato, al suo<br />

interno, una task force per elaborare - naturalmente in tempi brevi - "una proposta di un codice di<br />

autoregolamentazione tra i soggetti operanti in ambito digitale... mirata a contrastare il fenomeno<br />

della pirateria".<br />

Frattanto il forum istituito sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri è alla deriva,<br />

abbandonato a sé stesso, senza che vi sia mai stato pubblicato dalla Presidenza alcun documento<br />

o studio utile ad orientare la discussione.<br />

A seguito del lancio dell'ormai celebre statuina contro il Premier Silvio Berlusconi e del costituirsi<br />

su Facebook di una serie di gruppi pro ed anti vittima ed aggressore, fu poi la volta del Ministro<br />

59


Post/teca<br />

Maroni che il 23 dicembre 2009 - anche in questo caso in tutta fretta ed a qualche ora dalla vigilia<br />

di Natale - convocò gli stakeholder - o la più parte di essi - attorno ad un tavolo per scrivere, a più<br />

mani, la bozza di un codice di autoregolamentazione per evitare che certe condotte in Rete<br />

rimanessero impunite e garantire una più elastica governance di certe dinamiche telematiche<br />

rispetto a quella assicurata dalle leggi dello Stato.<br />

Anche in quel caso, tanto rumore per nulla. Alla convocazione del tavolo ed all'indicazione del<br />

Ministro di voler concludere i lavori in tempi brevissimi seguì - per fortuna - un lungo silenzio ed un<br />

periodo di assoluta inattività giacché il Palazzo si lasciò, come di consueto, assorbire dalle<br />

consultazioni elettorali di primavera.<br />

Superata la pausa elettorale, quindi, toccò al Ministro Romani, raccogliere l'eredità del Ministro<br />

Maroni e convocare, nuovamente - questa volta era il 12 maggio 2010 - tutti gli stakeholder, per<br />

discutere, in questo caso, addirittura una bozza di codice di autoregolamentazione - benché scritto<br />

nelle segrete stanze del Ministero delle comunicazioni - relativo alla tutela della dignità della<br />

persona sulla Rete Internet. Anche in quel caso, l'imperativo categorico, fu quello di inviare<br />

osservazioni e indicazioni di modifica sulla bozza nello spazio di qualche settimana ma, anche in<br />

quel caso - per fortuna - il Palazzo venne poi distratto da questioni ritenute "più serie" - ovvero dal<br />

tormentato iter del DDL intercettazioni - rispetto alle "cose della Rete" ed il tutto si concluse con un<br />

nulla di fatto.<br />

Ora è la volta del Ministro Brunetta che, come nelle più tradizionali storie italiane, scommette e<br />

rilancia di dettare - non è chiaro come - le regole per la governance della Rete. E non già<br />

solamente per un singolo aspetto, all'esito di una consultazione pubblica di appena 30 giorni ed in<br />

piena estate.<br />

Quattro ministri, quattro "cose" per regolamentare la Rete o singoli aspetti della convivenza in<br />

Rete, quattro tavoli o commissioni tecniche, quattro consultazioni e, sempre, una costante: la<br />

fretta, l'emergenza e poi, inesorabilmente, il silenzio.<br />

A lasciare di stucco è la totale assenza di coordinamento tra Ministeri fisicamente distanti qualche<br />

centinaio di metri l'uno dall'altro, la mancanza assoluta di una politica dell'innovazione del Governo<br />

(nel pubblicare la "non" versione beta del Codice Azuni, il Ministro Brunetta ha avvertito l'esigenza<br />

di imputare il contenuto della stessa al tavolo tecnico da lui istituito piuttosto che al Governo!) e,<br />

soprattutto, l'incoerenza tra i buoni propositi manifestati in queste occasioni circa l'opportunità di<br />

avvicinarsi alle cose della Rete con un approccio multistakeholder e la sconsiderata e continua<br />

produzione di leggi, leggine e regolamenti anti-Rete.<br />

È per questo che, pur continuando a plaudire ad ogni Ministro che ritenga di ascoltare la Rete<br />

prima di dettare regole sulla Rete, sono convinto che forse sia giunta l'ora - come peraltro sta<br />

accadendo in tutti gli altri Grandi Paesi - di smettere di ricordarsi della Rete solo sull'onda di<br />

emozioni ed emergenze o, piuttosto, per scopi promozionali e, iniziare, un percorso - forse meno<br />

ambizioso rispetto al Codice che Napoleone chiese ad Azuni di redigere - che consenta al Paese<br />

di disporre, finalmente, di una politica dell'innovazione che individui in modo puntuale le priorità ed<br />

il metodo attraverso il quale istituzioni e stakeholder potranno dettare, caso per caso - solo laddove<br />

strettamente necessario e possibile a livello nazionale - regole, protocolli e best practice.<br />

La governance della Rete è una cosa seria, è un problema che va necessariamente affrontato a<br />

livello globale e che non può e non deve essere ridotto ad un spot pre-elettorale di mezza estate.<br />

Buon lavoro, comunque, ai novelli Azuni ai quali continuo a ritenere vada dato - nonostante l'estate<br />

60


Post/teca<br />

e la voglia di riposo che incombe - tutto il supporto possibile, partecipando alla consultazione<br />

pubblica nonostante la genericità e complessità dei quesiti sui quali la stessa è stata promossa.<br />

Guido Scorza<br />

Presidente Istituto per le politiche dell'innovazione<br />

www.<br />

guidoscorza.<br />

it<br />

fonte: http://punto-informatico.it/2964467/PI/Commenti/cosa-azuni.aspx<br />

---------------------<br />

P’ ‘o rriesto v’ ‘o torno a dì:<br />

nun voglio niente. Annudo<br />

so’ nato e annudo voglio<br />

murì<br />

— Tommaso Aniello d’Amalfi, detto Masaniello (viaalchemico)<br />

--------------------------<br />

Forse l’emozione più grande della mia vita<br />

è stata una notte, c’era un’afa, un fermo,<br />

come prima del terremoto,<br />

Dio entrò nella mia camera impalpabilmente<br />

e mi disse a te solo a te<br />

faccio sapere che non esisto.<br />

[Cesare Zavattini, Stricarm’ in d’na parola (Stringermi in una<br />

parola), Milano, Bompiani 2006, p. 56]<br />

— Paolo Nori » Forse (via pensierispettinati)<br />

---------------------------<br />

61


Post/teca<br />

L' ebook svuota Barnes&Noble in vendita il libraio d'<br />

America<br />

Repubblica — 05 agosto 2010 pagina 33 sezione: CULTURA<br />

NEW YORK Nell' anno del Signore 2001, quello dopo cui nulla sarebbe stato più<br />

come prima, Nora Roberts, l' autrice di centinaia di lovestory, stracciò nella<br />

classifica dei libri più venduti quei mostri sacri di John Grisham e Stephen King. Il<br />

mondo dei libri viveva l' alba di una nuova era: l' eBook era ancora fantascienza ma<br />

il web più che realtà. E una compagnia di Seattle con la scommessa di vendere<br />

senza aprire un solo negozio, Amazon, aveva varcato la soglia di un miliardo di<br />

dollari di ricavi. Quasi la metà del giro d' affari del più grande rivenditore d' America<br />

e del pianeta: Barnes & Noble. Nove anni dopo la signora Roberts è ancora lì, nei<br />

piani alti della classifica, a rigiocarsela con King & Grisham. Ma quella che era la<br />

libreria più grande d' America discende le valli del business che aveva solcato con<br />

orgogliosa sicurezza: per mettersi in vendita. Il valore di Barnes & Noble è sceso<br />

sotto il miliardo: 950 milioni di dollari. E l' ex piccola compagnia di Internet oggi vale<br />

55 volte tanto: 55 miliardi di dollari. Ai numeri non si comanda per definizione:<br />

tantomeno ci sono mai riuscite le lettere. La fine di un mondo non è però la fine del<br />

mondo. Barnes & Noble prova a rinascere dalle sue ceneri. Saltando proprio sul<br />

carro del libro elettronico. Amazon dice che vende 143 eBook ogni cento libri di<br />

carta. E per competere in un mercato da 90 milioni di dollari, raddoppiato nel giro di<br />

un anno e destinato a salire dal 6 al 25 per cento entro il 2011, Barnes & Noble ha<br />

lanciato alla fine del 2009 Nook, il lettore rivale di Kindle. Ma la gara con Amazone<br />

Apple - appena scesa nell' arena, aspettando l' arrivo di Google - non si può fare<br />

con 40mila dipendenti e 720 negozi sul groppone. Quella che era una ricchezza è<br />

diventata un peso: nell' era del libro digitale gli stocks perdono valore. Perché se l'<br />

indice di lettura cresce, addirittura del 22 per cento negli Usa, il libro si compra ai<br />

super-supermarket come Walmart. Oppure da casa. Amazon ha abbassato il<br />

prezzo del nuovo Kindle (139 dollari, 10 in meno di Nook) perché così «le famiglie<br />

potranno comprare più apparecchi per uno stesso appartamento». Il paesaggio<br />

della battaglia è cambiato. Barnes & Noble è stata la prima catenaa puntare sui<br />

megastore. La prima a fare pubblicità in tv. La primaa scontarei bestseller appena<br />

usciti. La prima a ospitare i caffè (naturalmente Starbucks). E ora è la prima ad<br />

alzare bandiera bianca. Ma non tutto è perduto. Il presidente Leonard Riggio, l'<br />

italoamericano svernato nel Bronx con l' orgoglio delle radici che affondano tra<br />

Napoli e Sicilia, ha deciso di mettersi alla testa di un fondo per prelevare lui stesso<br />

62


Post/teca<br />

la compagnia e rilanciarla puntando sul digitale. Riggio possiede già il 17,9 per<br />

cento del colosso che fondò nel 1971, acquistando quel marchio fino ad allora noto<br />

soltanto a New York, dove dal 1932 svetta su Fifth Avenue il negozio che quando<br />

aprì era il più grande d' America. Il fondatore dovrà vedersela però con il rivale Ron<br />

Burkle, l' imprenditore che già possiede il 19 per cento delle azioni. E soprattutto<br />

con quella stessa Amazon che, insieme a Microsoft, negli anni scorsi ha mostrato<br />

interesse per il rivale. Per Barnes & Noble sarebbe la nemesi finale: ingranditasi a<br />

dismisura inghiottendo i piccoli, verrebbe inghiottita a sua volta. Ecco perché pochi<br />

piangono oggi la sconfitta del megalibraio. Anzi. Barnes & Noble in vendita. E la<br />

seconda grande catena, Borders, che minaccia la bancarotta un giorno sì e uno no.<br />

Il grande magazzino ha le ore contate. «Ma con la crisi dei grandi si apre un'<br />

opportunità: ritrovare un rapporto col tuo cliente, reinventare il concetto di libreria».<br />

L' esperimento di Jack McKeown è significativo: ex manager di Random House,<br />

Simon & Schuster e Harper Collins ha aperto a Southampton, la spiaggia vip di<br />

New York, la sua Books and Books, dove tra qualche giorno andrà ad esibirsi<br />

Martin Amis. Non basta. Su quell' iPhone da cui puoi scaricare tutti gli eBook del<br />

mondo, uno di quegli apparecchi che dovrebbe segnare la fine del libro, è<br />

comparsa un' applicazione che si chiama «IndieBound»: e ti aiuta a trovare le<br />

librerie indipendenti più vicine. Dove un libraio gentile ti spiegherà che sì, va bene l'<br />

ultimo di Nora Roberts, ma se cerchi una bella storia d' amore... ©<br />

RIPRODUZIONE RISERVATA - DAL NOSTRO INVIATO ANGELO AQUARO<br />

fonte: http://<br />

ricerca.<br />

repubblica.<br />

it/<br />

repubblica/<br />

archivio/<br />

repubblica/2010/08/05/<br />

ebook-<br />

svuota-<br />

barnesnoble-<br />

in-<br />

vendita-<br />

il.<br />

html<br />

--------------------------<br />

"[…] In ognuna delle cose che scrive c’è un punto che segna<br />

la fine delle cose che ha scritto, un punto calcato, un punto<br />

deciso, un punto che non ammette repliche. In ognuna delle<br />

cose che scrive ferma un attimo, e una volta che l’attimo è<br />

passato, congelato dalla data e dall’ora di pubblicazione<br />

automatiche, lei è una persona diversa da quella che ha<br />

scritto fino a quel punto finale, una persona nuova, morta<br />

per resuscitare il giorno seguente in nuove parole, che<br />

daranno un’immagine di lei un poco diversa, o molto<br />

63


Post/teca<br />

diversa, o solo apparentemente uguale.<br />

Quello che ama la uccide. Quello che ama la rende libera.<br />

Quello che ama le permette di tenere traccia di se stessa e<br />

delle sue morti, quello che ama la rende incancellabile se<br />

non attraverso un atto di volontà.<br />

Ora del decesso, 23:48, causa del decesso, una parola<br />

sbagliata. Ora del decesso, 17:23, causa del decesso, un<br />

silenzio troppo lungo. Ora del decesso, 07:36, causa del<br />

decesso, incertezza protratta.<br />

L’impronta delle labbra, la scia dei polpastrelli, il vetro<br />

freddo sempre freddo il parcheggio sempre vuoto i platani<br />

spogli, il tappeto giallo e insidioso e due tipi di silenzio a cui<br />

segue un’identica reazione fisiologica se pure di segno<br />

opposto. La condensa si rattrappisce, l’iniziale sparisce, lei<br />

perde centimetri di circonferenza e di spessore e vorrebbe<br />

farsi goccia sul vetro, sul suo, e rifletterlo e riflettere il suo<br />

arrivo, vorrebbe farsi foglio di carta o pellicola e si frantuma<br />

le ossa per allontanarsi dalla dimensione, la terza."<br />

fonte: http://<br />

biancaneveccp.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

http://claire78.tumblr.com/post/906189061<br />

-----------------------<br />

- I ’ m singing songs with ghosts again « yellow letters<br />

(viaclaire78)<br />

"<br />

Ho visto gente cadere in piedi, gente camminare talmente<br />

lentamente da farsi superare anche da chi la vita lo ha messo<br />

in ginocchio.<br />

Ho visto gente sorridermi, farsi offrire da bere per poi<br />

64


Post/teca<br />

rintanarsi in giudizi velati da poesia.<br />

Ho visto gente fantasticare sulla donna più importante che<br />

passava nella mia vita, ho visto gente sorridere con una<br />

falsità così mediocre da farmi sorridere a mia volta.<br />

Ho visto gente con la personalità di un grissino, gente che ha<br />

buttato via quel poco di buono che la vita sembrava avergli<br />

dato, gente senza passione nelle parole che diceva.<br />

Ho visto gente che urlava cose che non avrebbe mai fatto,<br />

per una, due o tre volte; alla quarta il pentimento era già in<br />

atto, ma tu lo sapevi.<br />

Ho visto gente senza scrupoli, gente innamorata degli ideali<br />

ormai consumati anche dalla storia, gente disillusa, che si<br />

aggrappa alle fatiche degli altri.<br />

Ho visto gente buttare via lettere scritte di notte, quando<br />

nessuno può disturbare i tuoi pensieri più veri e nessuno<br />

può dirti “ma cosa stai facendo?”.<br />

Ho visto gente che sembrava immobile, invece correva<br />

disperatamente, ma che ne sapeva il vento che annebbiava la<br />

sua vista.<br />

Ho visto gente buttare via le cose belle che rimanevano, con<br />

una frase che non era frutto della rabbia, ma della forza della<br />

vendetta vestita a festa.<br />

Ho visto gente che ha trascinato la propria vita personale in<br />

luoghi pubblici, tipo i cessi degli autogrill di provincia, dove<br />

tutti passano, lasciano il proprio messaggio superficiale e<br />

non ti rimane nulla, se non i giudizi degli sciacalli.<br />

Ho visto gente talmente brava a scrivere poesie, lettere e<br />

canzoni, tanto da dimenticarsi che la vita non è fatta di<br />

65


Post/teca<br />

parole di fantasia e verbi ben coniugati, la vita è fatta di<br />

coraggio di palle, mai di coraggio di lingua.<br />

Ho visto un anno che ne vale almeno cento, ho visto gente<br />

che non rivedrò più, ho osservato come l’essere umano, a<br />

volte, è pietosamente privo di ogni tipo di valore.<br />

"<br />

- (via iltriso) (via veneredimilo) (via rinascendo) (vialunaparkmentale) (via coactusvolui)<br />

-----------------<br />

1. Snoopy: «Era una notte buia e tempestosa. D'un tratto esplose<br />

uno sparo!».<br />

2. Lucy: «Non c'è abbastanza violenza nel mondo oggigiorno? Non<br />

puoi scrivere qualcosa di carino?».<br />

3. Snoopy: «Era una notte buia e tempestosa. D'un tratto esplose<br />

un bacio!».<br />

fonte: http://<br />

batchiara.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

----------------------<br />

20100809<br />

Quello delle vacanze è il periodo che consente ai dipendenti<br />

di ricordarsi che le aziende possono continuare senza di loro.<br />

> Earl Joseph Wilson<br />

---------------------------------------<br />

I mondi che abbiamo cercato non sono<br />

mai stati quelli che volevamo; i mondi<br />

per cui abbiamo mercanteggiato non<br />

furono mai quelli che avemmo.<br />

66


Post/teca<br />

— Saul Bellow, L’uomo in bilico, Mondadori 1966, pagina 33<br />

(via reallynothing)<br />

-----------------------<br />

"Abbiamo i cassetti pieni, di cose rotte e sostituite, le vite<br />

piene, di cose rotte e sostituite. Ci siamo rotti anche noi, nel<br />

frattempo, e cerchiamo di aggiustarci con la colla e con ago e<br />

filo e in ogni modo che ci venga in mente, e ogni volta ci<br />

ritroviamo con i pezzi montati nel modo sbagliato, ad<br />

aspettare di romperci di nuovo."<br />

fonte: http://<br />

biancaneveccp.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

--------------------------------<br />

Totti su iPad<br />

- Parting Gift | yellow letters<br />

(via strepitupido) (via claire78)<br />

La Bustina di Minerva di questa settimana sull’abusato tema del<br />

libro elettronico contrapposto a quello cartaceo e’ piuttosto<br />

imbarazzante.<br />

67<br />

E anche ammesso che chi prova piaceri del genere sia<br />

una minoranza, su sei miliardi di abitanti del pianeta (ma<br />

saranno otto entro quindici anni), ci saranno abbastanza<br />

appassionati da sostenere un fiorente mercato del libro. E<br />

se poi usciranno dalle librerie e vivranno solo su Kindle o<br />

IPad i libri usa e getta, i best sellers da leggere in treno, gli<br />

orari ferroviari o le raccolte di barzellette su Totti o sui<br />

carabinieri, tanto meglio, tutta carta risparmiata.<br />

Anni fa deprecavo che nelle vecchie e ombrose librerie di<br />

un tempo chi vi entrava per curiosità fosse affrontato da<br />

un signore severo che domandava che cosa cercasse, e il


Post/teca<br />

malcapitato, intimidito, usciva subito. E giustamente<br />

trovavo più incoraggianti le nuove librerie-cattedrale dove<br />

si può stare seduti o accovacciati per ore a scoprire e<br />

sfogliare di tutto. Ora però, se le tavolette elettroniche<br />

assorbiranno tutto il mercato dei libri usa e getta,<br />

potrebbero ritornare buone le librerie de tempi andati,<br />

dove gli affezionati andranno a cercare i libri che non si<br />

gettano.<br />

fonte: http://www.mantellini.it/?p=8297<br />

--------------------------<br />

Oggi un americano medio possiede due<br />

libri, mentre c’è una sottocultura (cui io<br />

appartengo) che ne possiede migliaia.<br />

“<br />

— Siamo noi la minoranza.<br />

L’uso che Jenkins<br />

fa del termine sottocultura è davvero<br />

dirompente. E realistico. (via<br />

phonkmeister) (via 3 n 0 m 15)<br />

fonte: http://<br />

l 231. tumblr.<br />

com/<br />

------------------------<br />

“Le donne che hanno consapevolezza dei<br />

propri limiti raramente sbagliano vestito.”<br />

fonte: http://<br />

bastet.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

http://bastet.tumblr.com/post/922815884/le-donne-che-hanno-consapevolezza-dei-propri<br />

68


Post/teca<br />

------------------------<br />

La più coraggiosa decisione che prendi ogni giorno è di essere di buon umore. Voltaire<br />

fonte: http://<br />

apertevirgolette.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------------<br />

69<br />

«Lei era entrata in quella<br />

parte del cuore dove ci sono<br />

le cose più buone, quella<br />

simile a una credenza dei<br />

dolci dove c’è la Nutella, i<br />

biscotti, le merendine, la<br />

marmellata; quell’angolo di<br />

cuore dove quando uno ci<br />

entra, succeda quel che<br />

succeda, da lì non uscirà<br />

mai. Non c’entra l’amore. Ci


Post/teca<br />

sono persone che da quando<br />

le conosci non smetti mai di<br />

volergli bene.»<br />

(via kilotto) (via virginiamanda)<br />

fonte: http://<br />

luciacirillo.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

------------<br />

Se alzi un muro,<br />

pensa a cosa lasci<br />

fuori.<br />

Italo Calvino (via rinascendo) (via l 3 tsgo)<br />

(via rispostesenzadomanda) (viablondeinside)<br />

Posted on August 6, 2010<br />

fonte: http://<br />

luciacirillo.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

----------------<br />

La storia del partigiano Grozni<br />

di Paolo Rumiz<br />

"È buio di novembre. E la notte del 21 novembre 1944 i fascisti dissero al russo che<br />

avrebbero lasciato aperta la porta della prigione. Ma era una trappola, e appena lui<br />

70


Post/teca<br />

saltò il muro del giardino insieme a un altro partigiano, quelli fecero fuoco. Aveva 33<br />

anni. Il corpo fu trovato in condizioni spaventose". Abbaiare di cani, gracidare nei<br />

fossi, un concerto di grilli tra la pianura e le falde d'Appennino. Che ci facciamo qui,<br />

luogotenente Cariolato, protettore e padrone della mia camicia rossa, in questa<br />

notte rovente sulla Via Emilia, davanti a una limonata fresca e un Gutturnio, dopo<br />

avere attraversato il Po? Che ci facciamo tra Solferino e la Linea Gotica, in questa<br />

terra di campi di battaglia che da secoli sputa pallottole e punte di freccia?<br />

Semplice. Siamo venuti a sentire una storia terribile, di quelle che valgono una<br />

deviazione. La storia del partigiano Grozni, che morì per seguire Garibaldi un<br />

secolo dopo. Vassili Pivovarov Zakarovic, combattente della libertà italiana. Per<br />

sentirla dagli ultimi testimoni viventi, questo 25 aprile, Eduard - il figlio che lui non<br />

ha mai conosciuto - ha valicato gli Urali e fatto 5 mila chilometri via terra. E ora<br />

siamo qui anche noi.<br />

Luna incendiaria, nubi a brandelli, e Franco Sprega racconta nella veranda della<br />

sua casa solitaria di San Protaso a due passi dall'argine dell'Arda. È anche lui un<br />

uomo in guerra col dilagare dell'oblio. Da un decennio strappa agli ultimi testimoni<br />

pezzi di racconto sulla Resistenza, e stanotte ascolto le sue parole secche,<br />

accento in bilico tra Emilia<br />

e Lombardia.<br />

Vassili dunque, russo di Grozni in Cecenia. Ingegnere edile e soldato dell'Armata<br />

Rossa, viene fatto prigioniero nel 1941, al primo sfondamento dei tedeschi verso<br />

Est. La famiglia perde le sue tracce. C'è solo un bigliettino, trovato sulla linea<br />

ferroviaria a Sud di Pietroburgo. Dice: "Mi stanno portando in Europa". Vassili è<br />

comunista convinto. Ha perso il padre da bambino, gliel'hanno ucciso i "bianchi" nel<br />

1922, crocefiggendolo sulla porta di casa. Ricompare in Italia dopo l'8 settembre, in<br />

Padania, al seguito dei nazisti che entrano in Italia. È uomo prezioso, sa<br />

maneggiare il cemento e la dinamite. Impara il tedesco, senza darlo a vedere, e un<br />

giorno sente le SS parlare di "garibaldini sui monti". Rossi anche loro, come i Mille.<br />

S'infiamma e decide di raggiungerli, Garibaldi è il suo mito. In Russia i contadini lo<br />

venerano, ne tengono in casa il ritratto. Ed è in Russia, sul Mar Nero, che Garibaldi<br />

marinaio ha sentito parlare per la prima volta di Mazzini e di libertà. Fugge, sale in<br />

montagna, si presenta al comandante Tobruk in val d'Ongina, dice di essere<br />

ingegnere e capace di fare la guerra. Una sarta di Vernasca, oggi 92enne, lo<br />

ricorda bene. Alto, capelli neri, baffetti, spalle ricurve e fisico notevole. Educato,<br />

distinto, affabulatore. Lo prendono nella 62a brigata Garibaldi, comandata da un<br />

montenegrino, Giovanni Grcavac, Giovanni lo slavo. "Giuan a slav", un'altra<br />

leggenda vivente.<br />

Franco continua, stentoreo, mentre la notte rilascia profumi sconvolgenti. "Ci sono<br />

71


Post/teca<br />

altri garibaldini russi nella sessantaduesima. Dimitri Nikoforenko, Josip Bordin, Ivan<br />

Nustej. Vassili sceglie il nome di battaglia di "Grozni" e compie azioni mirabolanti.<br />

Copre la ritirata dei compagni dopo le incursioni sulla via Emilia. Un combattente<br />

nato. Ma nel novembre viene ferito e catturato. Lo scortano a Fiorenzuola, nel<br />

municipio che nel frattempo è diventato posto di comando di tedeschi e<br />

repubblichini.<br />

E qui la storia diventa mito. Il municipio con la cella di Vassili è dietro il macello e la<br />

casa del fascio; e la via si chiama Garibaldi. Ma non basta: a destra del portone, c'è<br />

il busto in marmo del generale per cui Grozni ha combattuto. Sotto c'è scritto: "Del<br />

lampo della tua spada / stupirono due mondi / La tua parola d'amore / l'ascoltarono<br />

i secoli". Anno 1883. Difficile che il russo non riconosca il suo generale, varcando la<br />

soglia fatale. Vassili non uscirà più da quel palazzo. I tedeschi vorrebbero<br />

scambiarlo con loro uomini prigionieri dei partigiani, ma i fascisti la pensano<br />

altrimenti. In cella con Grozni c'è Albino Villa, nome di battaglia "Sten", uno che sa<br />

troppe cose e ha troppo fegato. Lo vogliono far fuori e, per ammazzarlo, fingono di<br />

agevolarne la fuga, lasciando la porta aperta. I due corpi saranno trovati per strada,<br />

trasferiti a Castell'Arquato. Poi trafugati e sepolti in montagna. Insieme.<br />

L'indomani andiamo a vedere il posto, a due passi dalla via Emilia, la "cuntrè drita"<br />

che accieca di luce bianca. La topografia è ancora quella, terribile, delle lotte<br />

sociali, della repressione e delle vendette. Franco sa tutto. Qui il tale fu arrestato, lì<br />

avvenne la tal delazione, lì si torturava, e lì in fondo vive ancora la vedova di un<br />

ufficiale morto a Mathausen. E la storia si intreccia continuamente con quella del<br />

secolo prima. Nel Comune, un ex convento cistercense, c'è la camicia rossa<br />

insanguinata di Riccardo Botti, ucciso a sciabolate sul Volturno.<br />

Ma torniamo a Vassili. Nel dopoguerra gli storici della Resistenza si imbattono nelle<br />

sue tracce, ma non ne sanno il nome. E così, quando nel 1971 il ministero della<br />

Difesa gli conferisce la medaglia d'argento alla memoria, il titolare viene indicato col<br />

solo nome di battaglia. Grozni, appunto. Ma la notizia trapela nell'Urss, il figlio<br />

dell'eroe la apprende per caso dalla radio e capisce che quello è suo padre, non<br />

può essere che lui. Così, un anno dopo, quando il Comune di Fiorenzuola pensa di<br />

dargli la cittadinanza onoraria, ha finalmente un nome cui attribuirla. Negli archivi<br />

del municipio c'è ancora la delibera, che certifica la decisione unanime, il 25<br />

novembre 1972. La figura del garibaldino russo è così nobile che ha votato a favore<br />

anche l'Msi, il partito dei post-fascisti.<br />

Ma non c'è pace per Grozni. Le sue ossa scompaiono, e anche la lapide viene<br />

72


Post/teca<br />

trafugata dal cimitero di Castelnuovo Fogliani. Forse è stato il ministero della difesa<br />

dell'Urss, ma non restano tracce della traslazione nel caos degli archivi sovietici.<br />

Anche la medaglia d'argento, messa in una teca al museo di Grozni, in Cecenia,<br />

scompare, tra le macerie della città, fatta a pezzi come Stalingrado nella guerra<br />

caucasica degli anni Novanta. Oggi di Vassili, combattente per la libertà d'Italia, non<br />

resta che una lapide, all'esterno del palazzo che vide la sua fine, e il destino ha<br />

voluto che quella lapide finisse accanto a quella di Garibaldi.<br />

Che storia, eh, luogotenente Cariolato? Ma dimenticavo. Chiamatemi pure<br />

"111.796". È il numero della mia tessera dell'Anpi, che ho preso a Trieste alla<br />

partenza. Mai avuto tessere in vita mia. Ma stavolta che l'Italia non è più di moda,<br />

con questo viaggio che è un po' resistenza, non ci ho pensato due volte.<br />

8. continua<br />

(09 agosto 2010)<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

repubblica.<br />

it/<br />

rubriche/<br />

camicie-<br />

rosse/2010/08/09/<br />

news/<br />

partigiano_<br />

grozni-<br />

6166039/<br />

----------<br />

“non sono proprio stelle cadenti, è che gli astri ci guardano sbigottiti<br />

e inciampano, come se gli stessimo togliendo il cielo sotto i piedi” —<br />

galliter<br />

fonte: http://<br />

sileggetambler.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------<br />

“La capienza dello stomaco andrebbe misurata in cocomeri cubici,<br />

praticamente cocometri.” —Adamo Lanna<br />

--------------<br />

Due<br />

-<br />

Erri<br />

De<br />

Luca<br />

Quando saremo due saremo veglia e sonno,<br />

73


Post/teca<br />

affonderemo nella stessa polpa<br />

come il dente di latte e il suo secondo,<br />

saremo due come sono le acque, le dolci e le salate,<br />

come i cieli, del giorno e della notte,<br />

due come sono i piedi, gli occhi, i reni,<br />

come i tempi del battito<br />

i colpi del respiro.<br />

Quando saremo due non avremo metà<br />

saremo un due che non si può dividere con niente.<br />

Quando saremo due, nessuno sarà uno,<br />

uno sarà l’uguale di nessuno<br />

e l’unità consisterà nel due.<br />

Quando saremo due<br />

cambierà pure l’universo diventerà diverso.<br />

fonte: http://<br />

chetenefaidiuntitolo.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

-------------<br />

Adolf was a good man - Stefano Benni<br />

La storia questo ci insegna:<br />

che dalla storia nessuno ha imparato<br />

dei delitti che abbiam catalogato<br />

il nostro è nuovo e diverso.<br />

Hitler era un gran brav’uomo<br />

ma soffriva di forte emicrania<br />

più grande era il dolore<br />

più grande voleva la Germania.<br />

Così non chiedermi perchè<br />

colleziono divise e pugnali<br />

sono diversi, colorati e rari:<br />

i morti sono tutti uguali.<br />

74


Post/teca<br />

La storia questo ci insegna:<br />

che dalla storia nessuno ha imparato<br />

il teschio che sul braccio ho tatuato<br />

un uomo non è mai stato.<br />

fonte: http://<br />

chetenefaidiuntitolo.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

--------------<br />

H 2 O 2 -<br />

Erri<br />

De<br />

Luca<br />

Mia madre mi lavava i capelli con l’acqua ossigenata<br />

ero bruna, mi faceva bionda,<br />

l’unica della strada.<br />

(La guerra è finita signora, adesso siamo a casa nostra.)<br />

All’età di sei anni mi portò da un chirurgo,<br />

il mio naso era curvo, divenne all’insù.<br />

(La guerra è finita signora, non siamo in Europa.)<br />

Sull’album di fotografie col blu ritoccava<br />

il colore degli occhi a sua figlia,<br />

la piccola ariana inventata.<br />

(La guerra è finita signora, questa è Tel Aviv.)<br />

Ho perduto i capelli da ragazza<br />

e il mio naso assomiglia a un foruncolo,no,<br />

non ce l’ho con mia madre,<br />

veniva da un posto d’Europa<br />

dove l’acqua ossigenata decideva<br />

tra la vita e la morte<br />

fonte: http://<br />

chetenefaidiuntitolo.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------<br />

75


Post/teca<br />

Ballata per una prigioniera di Erri De<br />

Luca<br />

Era pericoloso<br />

lasciarle mani franche<br />

senza ferri avvitati intorno ai polsi<br />

quando rivide spazio, alberi, strade,<br />

al cimitero dove<br />

portavano suo padre.<br />

Dieci anni già scontati,<br />

ma contarli non serve,<br />

l’ergastolo non scade,<br />

più vivi più ci resti.<br />

Era pericoloso<br />

permetterle gli abbracci,<br />

e da regolamento<br />

è escluso ogni contatto.<br />

Era pericoloso<br />

il lutto dei parenti,<br />

di fronte al padre morto<br />

potevano tentare<br />

chissà di liberare<br />

la figlia irrigidita,<br />

solo per pareggiare<br />

la morte con la vita.<br />

Spettacolo mancato<br />

la guerriera in singhiozzi,<br />

ma chi è legato ai polsi<br />

non può sciogliere gli occhi.<br />

Per affacciarsi, lacrime e sorrisi,<br />

debbono avere un pò di intimità<br />

perchè sono selvatici, non sanno<br />

nascere in cattività.<br />

«Non si è più stati insieme,vero,babbo?<br />

Prima la lotta,gli anni clandestini,<br />

76


Post/teca<br />

neppure una telefonata per Natale,<br />

poi il carcere speciale, la tua faccia<br />

rivista dietro il vetro divisorio,<br />

intimidita prima, poi spavalda<br />

e con una scrollata delle spalle<br />

dicevi: ”muri, vetri, sbarre, guardie,<br />

non bastano a staccarci,<br />

io sto dalla tua parte<br />

anche senza toccarti,<br />

anzi, guarda che faccio,<br />

metto le mani in tasca”<br />

Porta pazienza babbo, anche stavolta<br />

non posso accarezzarti<br />

tra i miei guardiani e i ferri.<br />

Però grazie: di avermi fatto uscire<br />

stamattina, di un gruzzolo di ore<br />

di pena da scontare all’aria aperta».<br />

Ora la puoi incontrare<br />

la sera quando torna<br />

a via Bartolo Longo,<br />

prigione di Rebibbia<br />

domicilio dei vinti<br />

di una guerra finita,<br />

residenza perpetua<br />

degli sconfitti a vita.<br />

Attravesa la strada, non si gira,<br />

compagna Luna, antica prigioniera<br />

che s’arrende alle sbarre della sera.<br />

fonte: http://<br />

filippocioni.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

post/840883348/<br />

ballata-<br />

per-<br />

una-<br />

prigioniera-<br />

di-<br />

erri-<br />

de-<br />

luca<br />

----------------<br />

L’amore visto dai bambini<br />

77<br />

L’amore è la prima cosa che si sente, prima che arrivi la


Post/teca<br />

cattiveria.<br />

Carlo, 5 anni<br />

Quando nonna aveva l’artrite e non poteva mettersi più lo<br />

smalto, nonno lo faceva per lei anche se aveva l’artrite pure<br />

lui. Questo è l’amore.<br />

Rebecca, 8 anni<br />

Quando qualcuno ci ama, il modo che ha di dire il nostro<br />

nome è diverso. Sappiamo che il nostro nome è al sicuro in<br />

quella bocca.<br />

Luca, 4 anni<br />

L’amore è quando La ragazza si mette il profumo, il<br />

ragazzo il dopobarba, poi escono insieme per<br />

annusarsi.<br />

Martina, 5 anni<br />

L’amore è quando esci a mangiare e dai un sacco di<br />

patatine fritte a qualcuno senza volere che l’altro le dia a te.<br />

Gianluca, 6 anni<br />

L’amore è quando qualcuno ti fa del male e tu sei molto<br />

arrabbiato, ma non strilli per non farlo piangere.<br />

Susanna, 5 anni<br />

L’amore è quella cosa che ci fa sorridere anche quando<br />

siamo stanchi.<br />

Tommaso, 4 anni<br />

L’amore è quando mamma fa il caffè per papà e lo<br />

assaggia prima per<br />

assicurarsi che sia buono.<br />

Daniele, 7 anni<br />

L’amore è quando una donna vecchia e un uomo vecchio<br />

78


Post/teca<br />

sono ancora amici anche se si conoscono bene.<br />

Tommaso, 6 anni<br />

L’amore è quando mamma da a papà il pezzo più buono<br />

della torta.<br />

Elena, 5 anni<br />

L’amore è quando il mio cane mi lecca la faccia, anche<br />

se l’ho lasciato solo tutta la giornata.<br />

Anna Maria, 4 anni<br />

Non bisogna mai dire ti amo se non è vero. Ma se è vero<br />

bisogna dirlo tante volte.<br />

Le persone dimenticano.<br />

Jessica, 8 anni<br />

fonte: http://<br />

danyx.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

-------------<br />

O frigideiro - Bruno Lauzi (testo e traduzione. E no, non è brasiliano)<br />

Ma quande l’è che ti t’accatti o frigideiro, cöse aspëti quest’inverno se o ghe<br />

vêu d’estæ?<br />

Ti metti in fresco un pö de bira pe’i amixi, quande vegnan a trovâte stanchi<br />

morti e suæ<br />

E no ti pensi a-a roba che t’æ da parte, butiro, oêve, faxêu lumè.<br />

Se te va a mâ e ti dovië cacciala via, quande torna da-a campagna ti m’ou dixi<br />

un pö<br />

ma cöse l’è che ti ghe conti a têu moggê!<br />

Ma quande l’è che ti t’accatti o frigideiro, te fa o giasso pe’ e granite pe’ levate<br />

a sæ,<br />

perchè t’inscisti a tegnî in fresco in to-o troggetto e bottigge con a menta e<br />

l’ægua de Vichy?<br />

Ghe n’è de tûtti i prexi, nêuvi e vëgi, son grandi grosci e piccinin.<br />

I vendan finn-a dopo a fêa, in sci banchetti a Sant’Agâ<br />

Ma quande l’è che ti t’accatti o frigideiro, mi ciû fito che stâ sensa n’accattieva<br />

79


Post/teca<br />

un pà!<br />

Ma quande l’è che ti t’accatti o frigideiro,<br />

quande l’è che ti t’accatti o frigideiro,<br />

quande l’è che ti t’accatti o frigideiro,<br />

quande l’è ma quande l’è?<br />

E no ti pensi a-a roba che t’æ da parte, butiro, oêve, faxêu lumè.<br />

Se te va a mâ e ti dovië cacciala via, quande torna da-a campagna ti m’ou dixi<br />

un pö<br />

ma cöse l’è che ti ghe conti a têu moggê!<br />

Ma quande l’è che ti t’accatti o frigideiro, te fa o giasso pe’ e granite pe’ levate<br />

a sæ,<br />

perchè t’inscisti a tegnî in fresco in to-o troggetto e bottigge con a menta e<br />

l’ægua de Vichy?<br />

Ghe n’è de tûtti i prexi, nêuvi e vëgi, son grandi grosci e piccinin.<br />

I vendan finn-a dopo a fêa, in sci banchetti a Sant’Agâ<br />

Ma quande l’è che ti t’accatti o frigideiro, mi ciû fito che stâ sensa n’accattieva<br />

un pà!<br />

Ma quande l’è che ti t’accatti o frigideiro,<br />

quande l’è che ti t’accatti o frigideiro,<br />

quande l’è che ti t’accatti o frigideiro,<br />

quande l’è ma quande l’è?<br />

Il Frigorifero<br />

Ma quand’è che ti compri il frigorifero, cosa aspetti quest’inverno se ci vuole<br />

d’estate?<br />

Ci metti in fresco un po’ di birra per gli amici quando vengono a trovarti<br />

stanchi morti e sudati.<br />

E poi non pensi alla roba che hai da parte, il burro, le uova e i fagioli “lumè”.<br />

Se ti va a male e dovrai buttarla via, quando torna dalla campagna me lo dici<br />

un po’,<br />

80


Post/teca<br />

ma che cos’è che le racconti a tua moglie.<br />

Ma quand’è che ti compri il frigorifero, ti fa il ghiaccio per le granite, per<br />

levarti la sete.<br />

Perché insisti a tenere in fresco nel lavandino le bottiglie con la menta e<br />

l’acqua di Vichy?<br />

Ce n’è di tutti i prezzi, nuovi e vecchi, son grandi, grossi e piccolini.<br />

Li vendono anche dopo la fiera sui banchetti a S. Agata.<br />

Ma quand’è che ti compri il frigorifero, io piuttosto che star senza ne<br />

comprerei un paio<br />

Ma quand’è che ti compri il frigorifero,<br />

quand’è che ti compri il frigorifero,<br />

quand’è che ti compri il frigorifero,<br />

quand’è ma quand’è?<br />

E poi non pensi alla roba che hai da parte, il burro, le uova e i fagioli “lumè”.<br />

Se ti va a male e dovrai buttarla via, quando torna dalla campagna me lo dici<br />

un po’,<br />

ma che cos’è che le racconti a tua moglie.<br />

Ma quand’è che ti compri il frigorifero, ti fa il ghiaccio per le granite, per<br />

levarti la sete.<br />

Perché insisti a tenere in fresco nel lavandino le bottiglie con la menta e<br />

l’acqua di Vichy?<br />

Ce n’è di tutti i prezzi, nuovi e vecchi, son grandi, grossi e piccolini.<br />

Li vendono anche dopo la fiera sui banchetti a S. Agata.<br />

Ma quand’è che ti compri il frigorifero, io piuttosto che star senza ne<br />

comprerei un paio<br />

Ma quand’è che ti compri il frigorifero,<br />

quand’è che ti compri il frigorifero,<br />

quand’è che ti compri il frigorifero,<br />

quand’è ma quand’è?<br />

fonte: http://<br />

placidiappunti.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

81


Post/teca<br />

-------------<br />

San Lorenzo martire nella Roma di Valeriano<br />

Arcidiacono con libro e graticola<br />

di Fabrizio Bisconti<br />

Gli anni centrali del terzo secolo furono attraversati da una crisi economica, sociale, militare, tanto<br />

da diffondere una condizione di angoscia e di tensione, che caratterizzò anche e soprattutto la<br />

popolazione dell'Urbe. La peste, le<br />

catastrofi naturali, la pressione dei barbari sul Danubio e in Oriente, diffusero una forma di paura,<br />

di millenarismo apocalittico, ma anche di odio nei confronti dei cristiani che, rinnegando gli dèi<br />

della tradizione, avrebbero attirato su tutti la maledizione. La fame, il terrore, l'ansia e la<br />

depressione generalizzata crearono il clima per una persecuzione, alimentando quel rimedio<br />

irrazionale del "sacrificio espiatorio" che avrebbe placato le ire degli dèi. La paura e la<br />

superstizione alimentarono una "caccia alle streghe", che individuò i cristiani come i veri<br />

responsabili della crisi dell'Impero. Dopo alcuni provvedimenti presi da Decio (249-251), venne il<br />

tempo di Valeriano (253-260), la cui famiglia vantava origini etrusche e risultava, dunque, legata<br />

alla grande tradizione religiosa pagana, senza contare che si stava diffondendo, proprio in quegli<br />

anni, la paura della "cristianizzazione" delle classi dirigenti, avviata già negli anni della tolleranza<br />

inaugurata dalla dinastia severiana e alimentata dalla forte opposizione senatoria, che promuoveva<br />

una severa e assoluta "laicizzazione" dell'impero.<br />

Secondo le fonti - da Dionigi di Alessandria (Eusebio, Historia Ecclesiastica, 7, 10, 3) a<br />

Commodiano (Carmen Apologeticum, 82) - gli esordi dell'impero di Valeriano furono segnati da un<br />

atteggiamento di assoluta tolleranza, tanto che la sua dimora era piena di cristiani e poteva essere<br />

addirittura considerata una "chiesa di Dio". Ma di lì a poco, anche Valeriano, come Decio, ebbe un<br />

improvviso mutamento di rotta e cominciò a temere che i cristiani conquistassero i posti chiave<br />

dell'Impero. Fu così che, con due successivi editti, nel 257 e nel 258, Valeriano, mentre Gallieno<br />

82


Post/teca<br />

era impegnato in Occidente contro i barbari, colpì al cuore il cristianesimo, ordinando la chiusura<br />

delle chiese, la confisca dei cimiteri e delle altre sedi di ritrovo, l'esilio in luoghi sorvegliati dei<br />

vescovi, dei sacerdoti, dei diaconi, con la minaccia di morte nei confronti di tutti coloro che<br />

contravvenissero a questa disposizione.<br />

Nel 258 la persecuzione diviene più feroce e mirata. Si dispose di uccidere, dopo la semplice<br />

identificazione e senza alcun processo, tutti gli ecclesiastici, in quanto si riteneva che non fosse più<br />

il tempo della integrazione e che, anzi, se si voleva colpire il cristianesimo, occorreva annientarlo<br />

come Chiesa, in tutti i suoi gradi e specialmente nei vertici, così come era determinante confiscare<br />

le proprietà e i luoghi della liturgia e della sepoltura.<br />

Protagonisti famosi di questi provvedimenti furono - come è noto - Cipriano di Cartagine, Dionigi di<br />

Alessandria e Sisto ii vescovo di Roma. Quest'ultimo fu trucidato insieme a quattro diaconi il 6<br />

agosto del 258. Cipriano ricorda le circostanze drammatiche dell'eccidio, di cui aveva appreso la<br />

dinamica dai suoi chierici presenti a Roma in quel momento: "Xystum autem in coemeterio<br />

animadversum sciatis viii idus Augustus die et cum eo diacones quattuor" (Epistula, 80). I fatti,<br />

testimoniati anche dalla Depositio martyrum, dalla Depositio episcoporum e dal Martirologio<br />

Geronimiano sono rievocati anche da Papa Damaso (366-384), che in un celebre epigramma<br />

(Epigrammata damasiana, 17), sistemato presso la tomba di Sisto ii, ricorda come il Pontefice fu<br />

sorpreso dai soldati proprio mentre celebrava nel cimitero di San Callisto. Con lui, come si<br />

arguisce da un secondo epigramma, recuperato da Giovanni Battista de Rossi nella cripta dei<br />

Papi, furono uccisi anche gli altri appartenenti alla gerarchia ecclesiastica romana (ibidem, 16):<br />

"Hic comites Xysti portant qui ex hoste trophaea" e, probabilmente, i quattro diaconi, a cui, nel<br />

Liber Pontificalis sono aggiunti anche Felicissimo e Agapito, sepolti nel cimitero di Pretestato:<br />

"Capite truncatus est, et cum eo alii sex diaconi, Felicissimus et Agapitus, Ianuarius, Magnus,<br />

Vincentius et Stephanus" (LP i, 155).<br />

Qualche giorno dopo, nell'ambito degli stessi provvedimenti, il 10 agosto, secondo la Depositio<br />

martyrum e il martirologio geronimiano fu ucciso anche l'arcidiacono Lorenzo, deposto nel cimitero<br />

di Ciriaca sulla via Tiburtina, secondo anche quanto riferiscono i Padri della Chiesa, che<br />

recuperano un'affabulazione leggendaria che ne descrive il martirio sulla graticola, dopo aver<br />

distribuito i suoi averi ai poveri. Attorno alla sua figura - come si diceva - nacque presto una storia<br />

inserita nella passio Polichronii, secondo la quale Lorenzo era, appunto, arcidiacono di Sisto ii;<br />

mentre il Papa era condotto al martirio, egli si rammaricò di non poter seguire la sorte del<br />

Pontefice, tanto che costrinse i carnefici a promettergli che dopo tre giorni avrebbe ottenuto anche<br />

lui la palma della vittoria.<br />

Al di là della affabulazione leggendaria, la storicità del martire Lorenzo è attestata dai monumenti,<br />

che si sono stratificati sulla via Tiburtina presso l'agro del Verano. Qui Costantino fece costruire<br />

una sontuosa basilica circiforme, le cui fondamenta sono state intercettate durante il secondo<br />

conflitto mondiale. La grande basilica - come testimonia il Liber Pontificalis nella biografia di Papa<br />

Silvestro (LP i, p. 181) - era leggermente spostata verso sud rispetto alla tomba del martire, alla<br />

quale, sistemata in una cripta, si giungeva attraverso gradus ascensionis et descensionis. Dinanzi<br />

alla tomba, sempre secondo il Liber Pontificalis, furono sistemati alcuni preziosi elementi di<br />

illuminazione, donati dallo stesso Costantino, istoriati con le scene salienti della passione del<br />

martire a cui dedicherà uno splendido inno anche il poeta iberico Prudenzio, alla fine del iv secolo<br />

(Peristephanon, 2).<br />

Tra il 579 e il 590, Papa Pelagio II edificò una basilica ad corpus tagliando la collina sovrastante,<br />

sacrificando una porzione delle catacombe di Ciriaca e creando una aula semipogea. Ma, al tempo<br />

di Papa Onorio (1216-1217), si rivide la costruzione pelagiana invertendo l'orientamento della<br />

83


Post/teca<br />

basilica, che divenne il presbiterio del nuovo edificio di culto.<br />

La devozione per l'arcidiacono romano nacque assai precocemente e, se escludiamo la<br />

rappresentazione del suo martirio nella medaglia di Sucessa, considerata un falso settecentesco,<br />

che imita il bel mosaico del mausoleo ravennate di Galla Placidia, dobbiamo rilevare che le<br />

figurazioni del martire ci offrono l'immagine di un giovane, con o senza tonsura, spesso imberbe,<br />

ma anche barbato. Egli porta - come Pietro - la croce del martirio sulle spalle, il libro, segno del<br />

suo stato diaconale, mentre, come si diceva, talora appare anche la graticola quale influenza della<br />

passio che narra la sua fine cruenta.<br />

Nel v secolo appare, con la croce e il libro, in un affresco della catacomba di San Senatore ad<br />

Albano, dove compare per la prima volta in occidente anche la stola diaconale. Negli stessi anni, o<br />

poco più tardi, l'immagine di Lorenzo si inserisce in una teoria affrescata nelle catacombe di San<br />

Gennaro a Napoli, recando la corona del martirio, insieme a Pietro, Paolo e lo stesso Gennaro. La<br />

più antica rappresentazione legata alla fine atroce sulla graticola va riferita - come si è anticipato -<br />

alla decorazione musiva di una lunetta del cosiddetto mausoleo di Galla Placidia, dove il martire<br />

appare in tutta la sua irruenza presso una sorta di tabernacolo aperto che contiene i vangeli e una<br />

grande graticola dove ardono vivaci le fiamme pronte per il vivicomburium.<br />

Se l'immagine si diffonde anche nelle arti minori e, segnatamente, nei vetri dorati, la<br />

rappresentazione più maestosa, solenne e vivace risulta quella inserita nell'arco absidale della<br />

basilica pelagiana, ancora fortunatamente conservata. Qui, su uno splendido fondo aureo, si<br />

sviluppa un ricco mosaico che vede come protagonista un Cristo barbato assiso sul globo terrestre<br />

e vestito della porpora imperiale. Con la destra egli sostiene la croce, mentre con la sinistra<br />

propone il largo gesto dell'adlocutio, secondo il cerimoniale imperiale, ma anche del docente e del<br />

maestro di vita. Alla sua sinistra Lorenzo è riconoscibile dalla croce e dal libro aperto che sostiene,<br />

mentre il Pontefice Pelagio mostra enfaticamente il modellino della chiesa tiburtina. A destra sono<br />

sistemati il protomartire Stefano ed Ippolito, sepolto nella stessa via.<br />

La convergenza delle testimonianze agiografiche, archeologiche, architettoniche e iconografiche ci<br />

parla di un culto ininterrotto per l'arcidiacono Lorenzo che, dal momento paleocristiano, attraversa i<br />

secoli, passando per la stagione bizantina e il medioevo e raggiungendo i nostri giorni, se il<br />

complesso tiburtino e la memoria del martire romano risultano ancora oggi centri di attrazione della<br />

devozione romana, ma anche dei pellegrini cristiani di tutto il mondo.<br />

(©L'Osservatore Romano - 9-10 agosto 2010)<br />

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Cinquant'anni fa «Psyco»<br />

84<br />

E Hitchcock infranse<br />

il patto con il pubblico


Post/teca<br />

di Emilio Ranzato<br />

Marion Crane ha tutto per entrare nel novero delle eroine hitchcockiane. È giovane. È fragile ma<br />

determinata. Ha una relazione<br />

sentimentale difficile in procinto di trasformarsi in un lungo viaggio iniziatico attraverso gli ostacoli<br />

della vita. Ma soprattutto è bionda, anche se di un biondo più opaco rispetto a quello delle sue<br />

illustri colleghe del passato, così come la sua bellezza ha qualcosa di spigoloso che sa vagamente<br />

di presagio.<br />

Infine, porta il volto di Janet Leigh, un'attrice già famosa per aver partecipato a una trentina di film<br />

ed essere stata protagonista femminile incontrastata in pellicole importanti come Lo sperone nudo<br />

di Anthony Mann (1953) e L'infernale Quinlan di Orson Welles (1958), oltre che per essere da una<br />

decina d'anni la moglie della star Tony Curtis.<br />

Marion Crane, insomma, non può morire. Qualsiasi cosa possa accaderle durante il film, ne uscirà<br />

in un modo o nell'altro indenne. Questo è il patto stipulato tacitamente con il pubblico, che infatti<br />

prenderà sempre le sue difese, persino quando constaterà che si tratta di una ladra. Quei<br />

quarantamila dollari di cui si impossessa, d'altronde, le servono per dare solidità alla sua relazione,<br />

e poi la vittima del furto è un viscido petroliere maschilista che ha confessato candidamente di<br />

dichiararsi nullatenente al fisco.<br />

Il fatto di intraprendere una fuga in solitaria contro il mondo intero, anzi, non fa che cementare il<br />

suo rapporto con chi guarda. Anche perché la cinepresa la pedina ossessivamente, e se si scosta<br />

dal suo viso è per mostrarci ciò che sta vivendo in febbrili soggettive, mentre delle voci ci rendono<br />

conto persino dei suoi pensieri.<br />

Pertanto, quando Marion, dopo ben tre quarti d'ora di film - ossia dopo aver superato il controllo di<br />

un poliziotto particolarmente scrupoloso, cambiato previdentemente auto, fatto fronte a un<br />

acquazzone rintanandosi in un modesto motel di una stradina secondaria - deciderà di fare una<br />

doccia ignorando che sarà l'ultima della sua vita, a cadere sotto i colpi di un'improvvisa furia<br />

omicida non saranno soltanto le sue membra inermi, ma anche le certezze dello spettatore.<br />

Nel momento in cui la cinepresa si allontanerà lentamente dal suo occhio ormai immobile e<br />

spalancato sull'orrore, testimone attonito più per la verità che ha intuito che per la violenza in cui è<br />

85


Post/teca<br />

stato coinvolto, si assisterà non solo alla fine di un personaggio, ma del cinema americano per<br />

come il grande pubblico lo aveva conosciuto. Con Psyco finisce ufficialmente l'identificazione fra<br />

spettatore ed eroe che nella Hollywood classica tutto - chiarezza narrativa, montaggio "invisibile",<br />

finalità morali - contribuiva a supportare.<br />

È una cesura sottile, ma che segna un fondamentale passaggio di consegne: anche sugli schermi<br />

americani d'ora in poi i personaggi cominceranno a non appartenere più alla gente, a non<br />

rappresentare più una fedele proiezione emotiva del pubblico, ma saranno sempre più pedine nelle<br />

mani del regista-demiurgo, di un disegno più grande e autorevole che ha a che fare con la poetica<br />

e lo stile di quest'ultimo.<br />

Casualmente ma emblematicamente, in quello stesso 1960 anche un film simbolo del cinema<br />

d'autore europeo si sbarazza di una protagonista a storia inoltrata: L'avventura di Antonioni. Finita<br />

la stagione del suo strapotere economico e produttivo, il cinema americano tenta dunque<br />

l'aggancio a quello "artistico" d'oltreoceano, all'art-movie, come lo si chiamava in modo vagamente<br />

sprezzante fino a pochi anni prima sulla collina più famosa di Los Angeles.<br />

E Psyco rappresenta un viatico decisivo a<br />

questo processo di avvicinamento, malgrado Hitchcock non se ne mostri affatto consapevole, e in<br />

una intervista al suo fan numero uno Truffaut dichiari di non aver fatto altro che premere<br />

l'acceleratore su ciò che lo rende un grande regista commerciale: giocare con il pubblico come il<br />

gatto con il topo. Catalizzatore di queste nuove energie in fibrillazione, profittatore di questo vuoto<br />

di potere in una fase di transizione storica, è il timido, beneducato, pudico Norman Bates, il<br />

proprietario del motel. Nato come comprimario quasi a mezz'ora dall'inizio del film, se ne<br />

impossessa brutalmente nel giro di un paio di scene, ne cambia la rotta, lo stravolge dalle<br />

fondamenta, trasformandolo da thriller tipicamente hitchcockiano a un'inedita forma di horror in cui<br />

l'elemento sovrannaturale è accantonato, e a terrorizzare sono semplicemente le azioni umane.<br />

Psicologicamente uomo e donna allo stesso tempo, Norman è l'ermafrodito che riporta tutto<br />

86


Post/teca<br />

indietro all'alba dei tempi. E Hitchcock, che durante almeno mezza carriera si era servito di<br />

categorie freudiane per delineare i percorsi psicologici dei suoi personaggi, trova in questa figura<br />

quasi metafisica l'approdo della sua discesa negli inferi della mente. L'ancestrale punto d'incontro<br />

fra psicanalisi e mito. Il nuovo Edipo. Ma soprattutto, l'alter-ego di una concezione di registadittatore<br />

che crea e distrugge a piacimento senza più i vincoli dei lavori di squadra del passato.<br />

Mentre l'interprete Anthony Perkins ne riceve un marchio da cui non riuscirà più a liberarsi.<br />

Come si accennava, poi, Psyco è il padre del film horror moderno, di cui anticipa pressoché tutti gli<br />

elementi narrativi: la strada sbagliata intrapresa per motivi imprevisti e contingenti, la casa gotica<br />

che rimanda alle origini dei padri fondatori, gli animali impagliati, il riferimento a una famiglia priva<br />

di alcuni componenti, l'ambientazione semidesertica. Nella lunga progenie dei suoi epigoni,<br />

alimentata di lì a qualche anno dal terreno della controcultura, queste idee illuminanti avranno<br />

sempre più a che fare con il passato della nazione, divenendo i simboli di un peccato originale di<br />

violenza da cui l'America non riesce ad affrancarsi.<br />

Adottando e migliorando l'omonimo romanzo di Robert Bloch, dunque, Hitchcock non fa solo<br />

un'opera provocatoria sul piano dei nuovi rapporti di forza presenti sul set, ma intercetta i miasmi di<br />

un processo di autodistruzione nazionale che era in effetti sul punto di deflagrare. A conferma di<br />

come il suo cinema nasconda infiniti significati persino nei momenti più astratti. E di come un paio<br />

di illustri critici francesi avessero visto giusto nel riconoscere in lui non solo una manna per il<br />

botteghino, ma un autore fra i più importanti che il grande schermo abbia avuto. Anche quando dà<br />

l'impressione di non volerlo essere.<br />

(©L'Osservatore Romano - 9-10 agosto 2010)<br />

-------------------<br />

20100811<br />

11/8/2010<br />

Il "suicidio" del cane abbandonato<br />

GIORGIO CELLI<br />

Un fatto tragico e curioso, di cui hanno<br />

parlato i giornali, e che ne segue un altro<br />

87


Post/teca<br />

simile: i proprietari di un dogo vanno in<br />

vacanza lasciando il loro cane a casa.<br />

Provvedono, certo, che qualche buon<br />

samaritano porti all’animale di che<br />

alimentarsi, però, il recluso è condannato a<br />

vivere sul balcone di un appartamento al<br />

settimo piano. Un brutto giorno il cane salta la<br />

balaustra e va a schiantarsi miserevolmente<br />

sulla strada sottostante. Qualcuno mi ha<br />

chiesto se, per caso, non si sia trattato di un<br />

vero e proprio gesto suicida. Come etologo,<br />

penso proprio di no. È più facile immaginare<br />

un infelice tentativo di evasione, malaccorto<br />

quanto altri mai. Lo sventurato dogo doveva<br />

aver scelto la libertà ad ogni costo. Tuttavia,<br />

se non si tratta di suicidio, di questo gesto<br />

penso che debba aver condiviso la<br />

disperazione che lo ispira. Il cane era di certo<br />

disperato e sotto stress.<br />

In primo luogo, perché l’animale ha ereditato<br />

dai suoi avi, i lupi, la necessità fisiologica di<br />

vivere in branco, e la famiglia che l’ospita<br />

costituisce per il cane il sostituto del gruppo<br />

delle origini.<br />

In assenza del quale il nostro dogo argentino<br />

ha dovuto soffrire di un nero senso di<br />

solitudine, culminata nello stress. In secondo<br />

luogo, il cane ha necessità di muoversi.<br />

Correre a perdifiato in un campo costituisce<br />

per il cane la suprema felicità. Ora, un<br />

balcone è molto più simile alla gabbia di uno<br />

zoo, per di più sospeso in aria. Dopo qualche<br />

giorno, la solitudine e il disagio della<br />

claustrazione devono essere diventati per il<br />

povero prigioniero di quella sorta di cella di<br />

isolamento del tutto intollerabili, e il cane<br />

deve aver deciso che o la va o la spacca. Per<br />

tutti questi motivi, penso che per i proprietari<br />

di quel povero animale si possa configurare il<br />

reato di maltrattamento grave che, come si sa<br />

costituisce attualmente un reato penale.<br />

Proprio come l’abbandono, che in questi<br />

giorni, soprattutto al Sud sta confermandosi<br />

88


Post/teca<br />

come una triste consuetudine.<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

lastampa.<br />

it/_web/<br />

cmstp/<br />

tmplRubriche/<br />

editoriali/<br />

gEditoriali.<br />

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ID_<br />

blog=25&ID_<br />

articolo=7697&ID_<br />

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11/08/2010 - IL MUSEO RACCONTA. L'ASHMOLEAN DI OXFORD<br />

Nessuno può più suonare<br />

lo Stradivari perfetto<br />

Il grande liutaio realizzò il violino Messiah nel 1716.<br />

"Unisce come nessun altro dolcezza e grandeur" ha detto<br />

Joseph Joachim, l’ultimo che l’ha provato<br />

SANDRO CAPPELLETTO<br />

OXFORD<br />

Un nome così, e non poter far sentire la propria voce. «È vero, lo chiamiamo il<br />

Messiah», dice John Whiteley, responsabile del Dipartimento di arte occidentale<br />

dell’Ashmolean Museum; poi, davanti alla teca di vetro infrangibile che lo protegge,<br />

aggiunge con espressione un po' divertita, un po’ sconsolata: «But, it is dumb». È<br />

muto.<br />

Esito paradossale per un violino di Stradivari; un capolavoro della sua arte che<br />

molte volte è passato di mano e prima di trovare la sede definitiva in questo museo<br />

attiguo alla prestigiosa Università, ha viaggiato per migliaia di chilometri, tra Italia,<br />

Francia e Gran Bretagna. Ed è stato anche suonato: i pochi virtuosi toccati da<br />

questo privilegio, ne hanno lasciato testimonianze entusiasmanti. Dobbiamo<br />

credere loro sulla parola; se oggi un violinista provasse a farlo, il Messiah non<br />

reggerebbe alla pressione, le fibre del legno si incrinerebbero, spezzandosi,<br />

morendo per sempre. Il valore? Immenso e zero; perché uno strumento musicale<br />

che non fa musica è soltanto un pezzo di legno.<br />

89


Post/teca<br />

Cremona, 18 dicembre 1737: vecchio di 93 anni, muore Antonio Stradivari; nella<br />

bottega dove ha sempre lavorato, creando oltre mille tra violini, viole e violoncelli,<br />

rimangono ancora novantuno strumenti da vendere. Degli undici figli avuti,<br />

soltanto Francesco Giacomo, Omobono e Paolo, il più piccolo, continuano il<br />

mestiere. Costruiscono nuovi strumenti, anche falsificando la firma del padre, ma<br />

soprattutto, approfittando di un mercato subito fiorente, vendono a buon prezzo i<br />

capolavori creati da Antonio. Si arriva così, di cessione in cessione, fino al 1775,<br />

quando di strumenti ne sono rimasti soltanto dieci e Paolo Stradivari non resiste<br />

all’offerta che gli proviene da Ignazio Alessandro Cozio, conte di Salabue. È un<br />

nobile piemontese, al momento di quell’acquisto ha soltanto vent’anni e nel suo<br />

castello di Casale Monferrato ha iniziato quella che diventerà la prima e più<br />

importante collezione al mondo di violini italiani: non si contano gli Amati, i<br />

Ruggeri, i Bergonzi, i Cappa. L’arrivo dei dieci Stradivari è il suo capolavoro: la fama<br />

di Cozio dilaga ed è a lui che si rivolgerà Niccolò Paganini, quando proverà il<br />

desiderio di suonare uno Stradivari. Ma la passione diventa una febbre, una<br />

malattia; con l’aiuto del liutaio Giovanni Battista Guadagnini, Cozio tenta di clonare<br />

gli Stradivari, di creare dei figli degni dei loro padri: un’ambizione che non verrà<br />

mai soddisfatta, provocandogli una crescente frustrazione.<br />

Il conte invecchia, nessuno in famiglia condivide quella mania e qui entra in scena il<br />

personaggio più nero di tutta la vicenda. Luigi Tarisio, un commerciante di<br />

Fontaneto Po, vicino a Vercelli. Di professione ebanista e restauratore, però anche<br />

lui malato di violini: da mercante, non da innamorato. Ha un fiuto infallibile;<br />

viaggia da solo, a cavallo, a piedi, raramente si concede il lusso di una carrozza,<br />

batte le città e le campagne piemontesi e lombarde a caccia di strumenti.<br />

Trasandato, scontroso, di poche parole, buon pagatore. Accumula, pulisce, restaura,<br />

rivende. Arriva a duecento strumenti, che tiene nascosti nel nuovo appartamento di<br />

Milano, dove si è trasferito e dove ha sistemato anche tutti gli Stradivari comprati<br />

da Cozio. Ma i più preziosi, li nasconde nei casali di campagna, sotto la paglia.<br />

I primi decenni dell'Ottocento vedono esplodere la figura del violinista virtuoso,<br />

splendido e demoniaco, che incanta il pubblico. I prezzi si impennano e Tarisio<br />

diventa ricco; entra in contatto con i migliori liutai di Parigi e di Londra e ogni<br />

volta, prima di ritornare a Milano, si congeda con la stessa frase: «Questi sono<br />

ottimi strumenti, ma ne ho uno con una voce meravigliosa, potente e lieve come<br />

nessun'altro. Se soltanto lo vedeste!».<br />

Jean Baptiste Vuillaume, il più affidabile liutaio parigino, gli chiede di portarlo, di<br />

provarlo, ma Tarisio non lo accontenta mai. Un giorno, entra nel negozio Jean-<br />

90


Post/teca<br />

Delphin Alard, il migliore violinista francese del tempo. Ascolta la conversazione,<br />

l'immancabile chiusa di Tarisio e sbotta: «Ma insomma, il vostro violino è come il<br />

Messia degli ebrei. Lo si aspetta sempre, ma non appare mai». Il nome è dato, per<br />

sempre. Tarisio muore nel 1854, senza eredi, e questa volta è Vuillaume a scendere<br />

da Parigi a Milano. Va nell’appartamento di Tarisio e, in un disordine e sporcizia da<br />

clochard, trova molti violini, ma non quello che più di ogni altro cerca. Mette in fila<br />

nomi, indirizzi, ricordi, raggiunge una cascina tra Lombardia ed Emilia. Il Messiah<br />

è nascosto lì, in una stalla, come un suo omonimo di molti anni prima. Custodi sono<br />

due sorelle, ignare del valore di quello Stradivari. A Vuillaume lo strumento appare<br />

subito bellissimo e proporzionato: lungo 59,3 centimetri, profondo circa 3; la<br />

vernice finissima che dà alla tavola in abete rosso della Val di Fiemme un caldo<br />

colore arancio-marrone; l’intensa e irregolare marezzatura delle nervature del<br />

fondo, costituito da due pezzi di acero perfettamente uniti; l’inclinazione accentuata<br />

delle due «effe», i fori della parte anteriore indispensabili per far «volare» il suono;<br />

l’eleganza delle curve del riccio, la parte conclusiva del manico. All’interno, appare il<br />

cartiglio con la sigla del maestro: «Antonius Stradivarius Cremonensis faciebat<br />

1716». Il suo periodo d’oro.<br />

Eccolo, ora, il Messiah farsi ammirare nel negozio di Parigi; Vuillaume lo conserva<br />

con scrupolo, resiste alle mille richieste di vendita; evidentemente colpito anche lui<br />

dal morbo di Tarisio, non lo fa suonare a nessuno. Il Messiah rimane muto.<br />

Vuillaume muore, i suoi tesori vengono ereditati dalla figlie e dal genero violinista.<br />

Quando anche il genero muore, i suoi figli vendono il Messiah agli Hill, i più<br />

importanti collezionisti inglesi. È il 1890, il prezzo è stabilito in 2 mila sterline: la<br />

somma più alta mai pagata per un violino.<br />

Gli Hill, finalmente, permettono ai migliori violinisti di suonarlo. Questa è la<br />

testimonianza di Joseph Joachim, l'interprete prediletto da Brahms: «Il suono del<br />

Messiah è unico, e ritorna sempre alla mia memoria, con la sua combinazione di<br />

dolcezza e “grandeur”, che mi impressionò così tanto. È giustamente celebrato e<br />

spero un giorno di poter di nuovo toccare con il mio archetto le sue corde».<br />

Non accadrà più. Gli Hill vendono, ricomprano, il fragile Messiah ha bisogno di<br />

urgenti interventi di restauro, ma allo scoppio della seconda guerra mondiale,<br />

mentre le bombe tedesche iniziano a devastare Londra, la preoccupazione di Alfred<br />

e Arthur Hill è, prima di tutto, quella di salvare il violino. Con gesto da grandi<br />

mecenati, decidono di portarlo lontano dal pericolo e lo donano al Museo di Oxford,<br />

dove ancora sta. Anche Salvatore Accardo ha chiesto di poterlo provare, ma la<br />

direzione dell’Ashmolean è stata inflessibile: «Probabili problemi di mantenimento<br />

91


Post/teca<br />

e di resistenza della struttura, dovuti alla lunga inattività del violino, rendono<br />

impossibile soddisfare la sua richiesta». Il Messiah continua a tacere.<br />

fonte: http://<br />

www3.<br />

lastampa.<br />

it/<br />

musica/<br />

sezioni/<br />

news/<br />

articolo/<br />

lstp/296542/<br />

-----------------------<br />

"Desiderare è come scrivere; lo faccio per avvicinarti ma se<br />

sono fortunata riesco a sfiorarti, e non ti volti mai."<br />

-<br />

It was the hope of all we might have been / That fills me with the hope to wish / Impossible things<br />

« yellow letters<br />

fonte: http://<br />

biancaneveccp.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------------<br />

20100812<br />

12/08/2010 - IL CASO<br />

I conti in tasca al caro estinto<br />

Scrittori, politici e comuni spiantati: un sito inglese mette online<br />

sei milioni di testamenti<br />

ANDREA MALAGUTI<br />

CORRISPONDENTE DA LONDRA<br />

Hanno fatto i conti in tasca agli inglesi. Ma non a quelli vivi. A quelli morti. Ci hanno lavorato per 5<br />

anni poi, seppellendo il sacro rispetto britannico per la privacy, gli studiosi del sito Ancestry.co.uk -<br />

«Tutto quello che c'è da sapere sul vostro albero genealogico noi ve lo diciamo» - hanno messo on<br />

line il testamento di oltre sei milioni di Sudditi vissuti tra il 1861 e il 1940.<br />

Da Lewis Carroll a Charles Darwin, da Charles Dickens a Carlo Marx. «Quanti soldi hanno lasciato<br />

agli eredi questi signori di fama? E i cittadini comuni che sono stati il vostro prozio o il vostro<br />

trisnonno? Da oggi la risposta è in un clic». Slogan vincente, che ha scatenato l'inferno. Nove<br />

milioni di contatti in una settimana: aspetta caro, voglio capire chi è stato il primo a dilapidare il<br />

92


Post/teca<br />

patrimonio. «Questi documenti sono una fantastica risorsa per ciascuno di noi. Ci aiutano a capire<br />

le nostre radici ma anche la storia degli uomini che hanno fatto il Paese. Non è meraviglioso?», si<br />

domanda estasiato Dan Jones di Ancestry.com.<br />

Così, mentre negli appartamenti di periferia è tutto un compulsare di mouse, si scopre che Carlo<br />

Marx, morto a Londra il 14 marzo 1883, coerente con una vita di pensiero rivoluzionario, lasciò alla<br />

figlia più piccola Eleonora (e chissà perché solo a lei tra i suoi sette figli) il frutto di una intera<br />

esistenza fatta di pensiero, libri, conferenze e anche di un tentativo di farsi assumere dalle ferrovie<br />

britanniche quando aveva 42 anni: 250 sterline, equivalenti a novemila attuali.<br />

Oscar Wilde non fece meglio di lui. Messo in ginocchio da un processo per comportamenti<br />

immorali - «Non ho niente da dichiarare, tranne che sono un genio» - esalò l'ultimo respiro a Parigi<br />

avendo nel portafoglio le stesse poco incoraggianti 250 sterline.<br />

Charles Dickens e Charles Darwin, invece, con una gestione più oculata del patrimonio e con libri<br />

di diverso genere si ritrovarono in punto di morte rispettivamente con l'equivalente di 7 e 13 milioni<br />

di sterline. Un'ultima soddisfazione che forse non li aiutò ad avere meno paura dell'aldilà.<br />

Nel lungo elenco anche il bistrattato primo ministro conservatore Chamberlain, che dopo aver<br />

dissipato in gioventù 50 mila sterline paterne nel tentativo di aprire una azienda alle Bahamas<br />

guidò malamente il Paese riuscendo però a consegnare agli eredi una casa da oltre 4 milioni di<br />

sterline, un patrimonio dieci volte superiore a quello del padre di Alice Lewis Carroll, fotografando<br />

così con precisione la differenza di opportunità che offrono la politica e la letteratura.<br />

Il più ricco in classifica in ogni caso (15 milioni odierni), fu un ingegnere civile di nome Joseph<br />

Bazalgette, convocato a corte dalla Regina Vittoria in un piovoso giorno d'inverno del 1848. Il<br />

Tamigi era una cloaca a cielo aperto, i topi invadevano Oxford street e 14 mila inglesi erano morti<br />

di colera. Bazalgette si fece carico del problema e inventò il sistema di fogne che ancora adesso<br />

regola gli scarichi della Capitale.<br />

Un progetto decisamente remunerativo e d'altra parte, come canta De André, dai diamanti non<br />

nasce nulla, dal letame può nascere un fiore. «Era questo che voleva Maestà?». Lei rispose<br />

aprendo la cassaforte.<br />

fonte: http://www3.lastampa.it/costume/sezioni/articolo/lstp/297282/<br />

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11/08/2010 - LA STORIA<br />

93<br />

1907, guerra civile per i preti pedofili<br />

Uno scandalo a Varazze infiamma d'anticlericalismo


Post/teca<br />

l'Italia giolittiana<br />

MARIO BAUDINO<br />

Ci furono moti di piazza, assalti alle chiese, portoni date alle fiamme, altari saccheggiati, l'esercito<br />

per le strade a Milano alla Liguria, e persino un morto, a la Spezia. Nell'Italia giolittiana d'inizio<br />

Novecento uno scandalo di preti pedofili scoppiato a Varazze e dilagato per tutto il Nord Ovest<br />

evocò spettri di guerra civile. Scatenò addirittura la corsa al porto d'armi da parte di sacerdoti che<br />

non si sentivano troppo sicuri, e uno di loro, a Savona, sparò per disperdere un gruppo di<br />

giovanotti che sembravano volerlo schernire. I giornali cattolici usarono toni violentissimi contro il<br />

«complotto massonico» e le presunte vittime, quelli liberali non furono da meno quanto a fair play.<br />

Tutti pubblicarono dettagli quanto meno scabrosi, approfittando della loquacità degli inquirenti e<br />

delle parti in causa.<br />

Furono i torridi mesi della orge in Riviera, anzi «orgie» come scrivevano preferibilmente allora,<br />

prima che il processo più importante venisse cautamente insabbiato e la grande indignazione<br />

collettiva scivolasse verso l'oblio. Di quanto avvenne nell'estate del 1907 non si è serbata<br />

memoria, anche perché i documenti chiave sono spariti. Ora uno studioso, Pier Luigi Ferro, ha<br />

ritrovato il memoriale che fu al centro dello scandalo, scritto da Alessandro Besson, un convittore<br />

dei salesiani di Varazze, e ricostruisce la vicenda in Messe nere sulla Riviera (Utet), con<br />

prefazione in forma di intervista a Edoardo Sanguineti, il critico e poeta scomparso di recente. Al<br />

centro, il diario che accusa: è una sorta di racconto gotico, morboso e fantastico, dove la verità è<br />

coperta e resa obiettivamente incredibile dalla furia visionaria. L'aspetto più romanzesco dell'intera<br />

vicenda è che questo scritto è tornato alla luce tra le carte di un poeta molto caro a Sanguineti,<br />

Gian Pietro Lucini, che all'epoca frequentava Varazze e voleva trarre un libro dallo scandalo.<br />

Anche lui non ne fece poi nulla, come se gravasse una sorta di maledizione, o una coazione a<br />

lasciar perdere. Lucini era un animo critico e ribelle (Revolverate si intitola significativamente la<br />

sua raccolta di versi più nota) e ne voleva ricavare un fremente atto d'accusa, forse alla Zola. La<br />

denuncia del ragazzo Besson (o meglio della madre) era del resto molto grave, e toccava un tema<br />

che era insieme tabù e attualissimo. Perché i fatti di Varazze non erano un fenomeno isolato.<br />

Lanciò la notizia il quotidiano savonese Il Cittadino, edizione del 30 luglio 1907. Strillava il titolo: La<br />

scoperta di turpitudini nel Collegio Salesiano di Varazze, e il catenaccio completava: Frati e<br />

monache compromessi. Il giorno prima un nutrito gruppo di carabinieri, col «sottoprefetto»<br />

Domenico Silva, erano infatti piombati nel collegio, «a seguito d'una denuncia anonima», avevano<br />

interrogato tutti, sottoposto alcuni adolescenti a visita medica e arrestati sei «reverendi, che<br />

negarono naturalmente ogni cosa». Il giornale sembrava specificava gli addebiti: «atti di corruzione<br />

su allievi minorenni» commessi «sulla spiaggia del mare, nella camerate, ovunque», ma anche<br />

«fatti osceni» che «si consumavano fra i reverendi istitutori colla partecipazione delle reverende<br />

suore di un convento vicino», messe nere «con scene conseguenti, degne del più turpe lupanare».<br />

La scintilla divenne subito un incendio: non solo volò lontano, fino al New York Times, ma deflagrò<br />

in Liguria. Nella socialista Savona un migliaio di persone scesero in piazza minacciose, dirigendosi<br />

verso il locale oratorio salesiano. All'inizio di agosto a La Spezia, dove socialisti e anarchici erano<br />

94


Post/teca<br />

ovviamente ben radicati, la folla assalì una Chiesa, venne respinta, tornò il giorno dopo e la<br />

saccheggiò. Venne incendiato un oratorio dei cappuccini, mentre a Genova sfilavano 25 mila<br />

persone. E ancora a La Spezia, alla fine, un carabiniere perse la testa e sparò sui manifestanti<br />

che, dopo aver liberato a sassate alcuni compagni arrestati, assediavano una chiesa salesiana; un<br />

giovane operaio fu colpito a morte. La situazione pareva ingovernabile, mentre i cattolici reagivano<br />

con altrettanta energia. A Varazze, considerata città «clericale», mille donne sfilarono in segno di<br />

solidarietà con i preti accusati e contro madre e figlio Besson. Un giornale cattolico, scoperto che il<br />

ragazzo era in realtà stato adottato, si chiese a caratteri cubitali come si potesse dar credito «a un<br />

bastardo».<br />

I medici avevano diagnosticato lesioni inequivocabili su alcuni convittori, ma nel corso delle<br />

indagini i genitori, per i più svariati motivi, cominciarono a ritirare le querele. Il codice Zanardelli<br />

prevedeva che per i reati sessuali si potesse procedere solo su querela di parte. L'indignazione<br />

nasceva dal fatto che scandali simili erano già emersi: ora sembravano tutti confluire in un solo<br />

affresco. Un anno prima ad Alassio, ancora in un convitto salesiano, un sacerdote era stato<br />

accusato dai ragazzi perché «si dilettava di produrre godimento manuale», ma venne subito<br />

allontanato. A Milano, dove una suora torinese - in dissidio col vescovo sabaudo - aveva trasferito<br />

la sua comunità di assistenza, l'Asilo della Consolata, si erano scoperte ogni genere di violenze e<br />

maltrattamenti sulle bambine lì accolte. Il terreno era pronto, le «orgie» della Riviera scatenarono<br />

gli animi: l'intero sistema educativo religioso sembrava ormai in discussione.<br />

Alessandro Besson scriveva nel suo memoriale che preti e suore, a Varazze, non solo si davano al<br />

sesso ma celebravano messe nere punzecchiando simulacri del Re, di Cavour e di Garibaldi;<br />

narrava di ragazze svestite in presenza dei loro compagni, per premiarli dei buoni risultati<br />

scolastici; e dell'annuncio piuttosto esilarante che il parroco di Altare, «se staremo buoni», «si<br />

spoglierà nudo». Nei convitti le fantasie - e non solo quelle - dovevano andare a mille, aiutate dalla<br />

frustrazione sessuale e certo da romanzetti che evidentemente circolavano alla grande. Il<br />

memoriale era buffo, pornografico e grottesco; poco credibile, e infatti non venne creduto. Nel giro<br />

di pochi mesi tutti furono prosciolti, salvo due sacerdoti troppo compromessi che però erano spariti<br />

dalla circolazione. Il sottoprefetto Silva venne trasferito, Besson e la madre, accusati di calunnia -<br />

ma prosciolti anche loro - fuggirono all'estero. E il poeta Lucini si ritrovò messo fuori gioco dai<br />

velocissimi tempi italici. Il suo lavoro era ancora lontano dall'essere concluso, e già lo scandalo<br />

che aveva fatto tremare il Paese non sembrava più interessare nessuno.<br />

fonte: http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/296522/<br />

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09/08/2010 - E' MORTO A 93 ANNI<br />

95<br />

Lanternari, etnologo delle feste


Post/teca<br />

Con De Martino uno dei più grandi antropologi<br />

italiani<br />

MARIO BAUDINO<br />

Il suo libro più bello, e certo molto importante non solo per l'epoca, è stato La grande festa, uscito<br />

in prima edizione nel 1959, una enciclopedico studio sulla celebrazione del Capodanno nelle<br />

culture tradizionali e arcaiche di tutto il mondo. Vittorio Lanternari cercava di dare all'etnologia<br />

(ancora preferiva questo termine a quello di antropologia, per definire il suo lavoro) una fondazione<br />

marxista, mettendo in relazione riti, dei, danze e sacrifici con i rapporti economici e sociali. Poco<br />

più giovane di Ernesto De Martino, è stato uno dei padri dell'antropologia italiana. E' morto a<br />

Roma, ultranovantenne (era nato nel 1918) dove abitava e dove aveva a lungo insegnato<br />

all'Università «La Sapienza».<br />

Lascia un'eredità, come dice il professor Francesco Remotti dell'Università di Torino, che andrebbe<br />

riconsiderata con grande attenzione. Lantenari non è certo un nome dimenticato - ancora negli<br />

ultimi anni si era occupato con vigore del problema ecologico e del rapporto uomo-pianeta - ma la<br />

sua disciplina è molto cambiata. Lui ebbe esperienze sul campo in Africa, ma sostanzialmente era<br />

uno studioso che amava restare nella sua biblioteca, dotato di un'enorme capacità di studio e di<br />

sintesi, in grado di scrivere capolavori «a tavolino». Negli anni ha spostato i suoi interessi in varie<br />

direzioni: importante lo studio sugli effetti della colonizzazione (Movimenti religiosi di libertà e<br />

salvezzara) e l'emergere nella crisi delle società extraeuropee di fenomeni di millenarismo.<br />

Oggi l'antropologia si dedica con grande raffinatezza di strumenti soprattutto allo studio della<br />

contemporaneità, della vita sociale e simbolica d'ogni giorno, nelle nostre città o nei paesi, dalle<br />

leggende metropolitane all'uso dei tatuaggi nei gruppi giovanili, dai problemi dell'immigrazione a<br />

quelli dei consumi. Quando Lanternari era nel pieno della sua attività l'antropologia urbana non<br />

esisteva.<br />

Ma, aggiunge un maestro riconosciuto come Remotti, sarebbe forse tempo, se non proprio di<br />

tornare al suo esempio, di riflettere sulla domanda che la sua lunga vita di studioso ci pone:<br />

buttarsi sulla contemporaneità lasciando alle spalle gli studi dell'etnologia classica, quell'enorme<br />

magazzino di sapere accumulato in un secolo, è davvero la scelta giusta? La contemporaneità, si<br />

sa, è piena di trappole. E dopo un attimo è già cambiata.<br />

fonte: http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/294592/<br />

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12/08/2010 - L'INIZIATIVA EDITORIALE<br />

96


Post/teca<br />

Riparte l'Encyclomedia di Eco<br />

Grazie all'intervento di Corrado Passera che ha<br />

rilevato la società<br />

FRANCESCO MANACORDA<br />

MILANO<br />

E' uno strumento che mancava e che pensiamo possa essere molto utile anche alla scuola.<br />

Mentre di solito le varie discipline si studiano separatamente qui si riescono invece a vederle in<br />

modo integrato, dalla filosofia all'architettura, dalla religione alla letteratura. E su tutto il progetto c'è<br />

il marchio di qualità assoluto di Umberto Eco». Parla Corrado Passera, che di mestiere fa<br />

l'amministratore delegato di Intesa-Sanpaolo, uno dei colossi del sistema bancario europeo. Ma<br />

adesso, a titolo assolutamente personale, si lancia - anzi si rilancia - nell'Encyclomedia, una storia<br />

multimediale della civiltà europea ideata e curata da Umberto Eco. «E' una piccola iniziativa<br />

editoriale - dice ancora Passera - ma di sicuro un progetto di qualità. E i canali per diffonderla sono<br />

in aumento: dagli e-book all' edutainment ».<br />

L'opera che era partita sotto l'egida della Olivetti all'inizio degli Anni 90, quando proprio Passera<br />

guidava il gruppo di Ivrea, è andata avanti a rilento nel corso degli anni. Lo scorso dicembre lo<br />

stesso banchiere - come racconta l'agenzia Radiocor - ha creato la Encyclomedia Publishers Srl;<br />

poi, il 30 luglio ne ha aumentato il capitale sociale da 10 mila a 450 mila euro, sottoscrivendolo<br />

interamente, e al tempo stesso ha ceduto come «liberalità non donativa» quote da 50 mila euro<br />

ciascuna ai due figli, alla compagna e a Danco Singer, l'esperto di comunicazione che già guidava<br />

Opera Multimedia, finora editore dell'Encyclomedia.<br />

Nel corso dei diciassette anni dalla sua nascita l'Encyclomedia ha già fatto uscire non i tomi, ma i<br />

cd-Rom, che vanno dal Cinquecento all'Ottocento, che sono stati poi venduti anche come allegati<br />

a periodici e quotidiani. Adesso, alla vigilia della maggiore età e con l'apporto del nuovo socio forte,<br />

il progetto riparte su nuove basi. Eco si è così messo al lavoro sull'antichità, con l'obiettivo di<br />

ampliare il periodo di tempo coperto dall'opera in tempi rapidi.<br />

Nella versione che circola oggi ogni cd-Rom dell'Encyclomedia ha tra l'altro una propria biblioteca,<br />

con testi originali pensati per l'uso interattivo e materiale multimediale, uno schedario, una<br />

cronologia interattiva che si può utilizzare su base cronologica o tematica e un atlante storico, tutti<br />

collegati tra di loro con rimandi interni.<br />

fonte: http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/297362/<br />

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97


Post/teca<br />

Giovanni Baffetti<br />

L'Encyclomedia di Eco<br />

Come un tempo la rivoluzione «inavvertita» prodotta dall'invenzione della stampa, l'applicazione<br />

delle nuove tecnologie informatiche all'enciclopedia delle conoscenze umane introduce oggi<br />

modifiche radicali nella struttura della percezione e nel ritmo dei rapporti tra l'uomo e le forme<br />

simboliche che costituiscono il patrimonio della sua memoria culturale. La simultaneità<br />

multimediale del cronotopo elettronico investe direttamente non soltanto l'immagine, sempre più<br />

virtuale, della realtà, ma anche la sua elaborazione segnica, incidendo in profondità sulle<br />

dinamiche che regolano la vita dei sistemi culturali, sui meccanismi di produzione, organizzazione<br />

e trasmissione della cultura.<br />

Gli stessi concetti di «linguaggio» e di «testo», fondamentali nell'interpretazione semiologica della<br />

cultura come informazione, risultano da questo punto di vista trasformati perché il codice<br />

informatico si propone come una sorta di lingua universale in grado di unificare gli universi<br />

discorsivi più disparati, annullando i confini disciplinari tradizionali, mentre il testo diviene un ipertesto,<br />

sottratto all'isolamento della propria singolarità storica e inserito in un sistema sincronico di<br />

relazioni potenzialmente infinito. E per l'appunto le potenzialità combinatorie offerte dalle<br />

tecnologie informatico-multimediali, che permettono di intrecciare linguaggi e codici espressivi<br />

differenti, non potevano non affascinare Umberto Eco, da sempre appassionato indagatore dei<br />

progetti e delle aspirazioni enciclopediche del pensiero umano, dalla mnemotecnica medievale e<br />

rinascimentale alla moderna semiotica: proprio a Eco, affiancato da un comitato scientifico<br />

composto da Laura Barletta, Pietro Corsi, Roberto Leydi, Anna Ottani Cavina, Ezio Raimondi e<br />

Aldo Schiavone, si deve infatti l'ideazione di Encyclomedia, la Guida Multimediale alla Storia della<br />

Civiltà Europea, di cui è già uscito il primo Cd-rom dedicato al Seicento, mentre è in preparazione il<br />

secondo sul Settecento e sono annunciati quelli successivi che dovrebbero completare l'opera per<br />

il periodo compreso tra il XVI secolo e il Novecento.<br />

La navigazione multimediale nei diversi settori disciplinari della biblioteca virtuale di Encyclomedia,<br />

dalla storia alla filosofia e alla scienza, dalla letteratura alla musica e alle arti figurative, è resa<br />

possibile da un thesaurus di parole chiave associate agli eventi schedati in modo da permetterne<br />

la combinazione secondo criteri logico-cronologici impostati dall'utente, al quale le «cronologie<br />

interattive» consentono di selezionare e incrociare, entro determinate coordinate spazio-temporali,<br />

i materiali relativi ai temi d'interesse. Ma oltre che soddisfare, con risultati spesso inattesi, le<br />

proprie curiosità erudite, il «lettore» dell'enciclopedia multimediale potrà anche abbandonarsi al<br />

passatempo ludico di seguire il gioco infinito dei rinvii ipertestuali muovendosi lungo percorsi<br />

sempre diversi tra le immagini, i suoni e le parole. In questo modo l'ossatura informatica di<br />

Encyclomedia introduce una dimensione dinamica nel sistema delle conoscenze, moltiplicando i<br />

percorsi, gli incroci, le prospettive, proponendo una mappa interattiva e mobile del sapere che<br />

varia a seconda del punto di vista dell'utente, verificando il detto di D'Alembert che «si possono<br />

immaginare tanti sistemi differenti della conoscenza umana, quanti mappamondi derivanti da<br />

diverse proiezioni».<br />

98


Post/teca<br />

n. quattro-cinque, maggio 1996 - 1996, n. 1<br />

fonte: http://www.iperbole.bologna.it/iperbole/boll900/baffetti.htm<br />

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"me ne torno su youporn ad aiutare con la catalogazione dei video"<br />

- l'estate sui forum di PI (agosto 2010)<br />

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Consigli per l’estate<br />

PER LUI :<br />

1) non portare il libro , tanto sulla spiaggia non lo leggi . Culi maior liber<br />

cessat .<br />

2) non portare la camicia bianca , il bermuda con le tasche , la cintola di<br />

gucci col fibbione , il mocassino e l’occhiale a mascherina . In primo<br />

luogo sei a serio rischio mimetismo . In seconda e più spartana analisi ,<br />

fai veramente stra-caà .<br />

3) quando entri nel locale la prima sera , mi raccomando , restami<br />

concentrato : ora , la vedi la cubista , al centro , sul palco , là in alto , con<br />

la coscia lunga due metri e il due pezzi filatelico che ti strizza l’occhio ?<br />

ecco, bravo : dimenticatela . Volgi pertanto lo sguardo spermatico a<br />

sinistra . Come il bagno è sempre in fondo a destra , nell’angolino a<br />

sinistra del locale , seduta , c’è sempre e dico sempre una bruttina che si<br />

annoia . Pipa quella lì . Fidati . Se è decisamente inguardabile ,<br />

semplicemente , bevi di più .<br />

PER LEI :<br />

1) evita gli occhiali da sole quando il sole non c’è : pare a prima vista<br />

inutile sottolineare questo paradosso ma , ahimé , quella dell’occhiale da<br />

sole a oltranza è una pratica tutta italiana , diffusa quanto improduttiva .<br />

99


Post/teca<br />

Gli occhi servono ( a mio modesto parere ) per guardare ed essere<br />

guardati . E’ piuttosto sterile che tu , giovine donna , li nasconda dietro<br />

l’occhiale da sole , per controllare semplicemente se quello bono<br />

appoggiato al bancone ti guarda , beandoti del fatto ch’egli non possa<br />

fare altrettanto . Che poi tu mi dirai > . Hai ragione mon amour , su<br />

questo hai perfettamente ragione . Però rifletti : su facebook c’hai già un<br />

portfolio autunno-inverno di foto di gruppo con le amiche , tutte con la<br />

solita bocca a culo di tortora che fate le borghe-dive nei locali . Però , se<br />

rimembri un attimino , l’ultimo uccello l’hai visto che andavano di moda<br />

le maglie della Best Company . Ecco . Fai te . Io mi toglierei gli occhiali e<br />

gli strizzerei l’occhio a quello lì al bancone . Ci sta che tu trombi .<br />

2) se sei all’estero evita scene di isteria di fronte all’ambasciata italiana<br />

perchè non trovi uno Spritz . Siamo l’unico paese al mondo in cui va<br />

ancora di moda l’aperitivo .<br />

3) Dalla moltissimo : che tu sia in in compagnia del fidanzato o da sola<br />

con le amiche tu smòllala a gogò . Nel primo caso perchè noi uomini<br />

siamo animali primitivi e con una eiaculazione restiamo ammansiti per<br />

diverse ore , nel secondo caso perchè …. rileggiti il discorso sulla Best<br />

Company .<br />

fonte: http://<br />

batchiara.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

----------------------<br />

“togliete di mezzo i computer, che quelli effettivamente servono di<br />

base, e pensate alle vostre ultime conversazioni con dei fan della<br />

apple. esce l’ipod: non funziona anche come chiavetta usb, ha il<br />

volume basso, non ha le batterie intercambiabili, o lo utilizzi<br />

tramite itunes o è utile quanto un capezzolo sotto un’unghia.<br />

risposta del fan di apple ‘ahahahha povero stolto ma non è un<br />

lettore mp3, è un ipod. se volevi un lettore mp3 compravi un<br />

lettore mp3, questo è l’ipod, lo compri se ti serve un ipod.’<br />

migliardoni di profitto. esce l’iphone: obiezioni sul<br />

100


Post/teca<br />

funzionamento/connettività/software dell’iphone. risposta del fan<br />

di apple ‘ahahahha povero stolto ma non è un telefonino, è un<br />

iphone. se volevi un telefonino compravi un lettore mp3, questo è<br />

l’iphone, lo compri se ti serve un iphone.’ fantastiliardi di profitto.<br />

esce l’ipad: non è un cellulare, non è un computer portatile. è un<br />

misto che pare non accontentare nessuno da subito. risposta del<br />

fan di apple ‘ahahahha povero stolto ma non è computer o un<br />

telefono, è un ipad. se volevi un computer o un telefono compravi<br />

un computer o un telefono, questo è l’ipad, lo compri se ti serve un<br />

ipad.’ profitti talmente alti che il resto del caffè glielo devono dare<br />

in diamanti, che girano solo con banconote da un PIL africano e<br />

mezzo in tasca. questi son dieci anni che buttano fuori roba che<br />

soddisfa bisogni precisissimi ma inesistenti fino al secondo prima.<br />

io non ci capisco niente di tecnologia eh, quindi il mio parere<br />

contancazzo, ma o son dei geni assoluti loro o sento distintamente<br />

darwin roteare vorticosamente mentre considera che a sto punto<br />

tanto valeva che si dedicasse allo studio degli schemi della<br />

sambenedettese.”<br />

uds, nei commenti al solito blog privato.<br />

fonte: http://batchiara.tumblr.com/post/887471035/v4l3-plettrude-prezzemolo<br />

-----------------------------<br />

da masticare<br />

1. - mamma, devo comprare un libro.<br />

2. - da leggere?<br />

fonte: http://batchiara.tumblr.com/post/880415405/da-masticare<br />

---------------------------<br />

La mortadella è comunista, il salame socialista, il prosciutto crudo democristiano, la coppa liberale,<br />

101


Post/teca<br />

la finocchiona è radicale. Il prosciutto cotto è fascista...<br />

fonte: http://www.fainotizia.it/2010/08/11/la-finocchiona-%C3%A8-radicale<br />

video: http://www.youtube.com/watch?v=CATQHe8Vcws&feature=player_embedded<br />

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«L'altalena del respiro» del premio Nobel Herta Müller<br />

Dal lager non si esce mai del tutto<br />

di Gaetano Vallini<br />

"Che cosa si può dire della fame cronica. Si può dire che esiste una fame che fa ammalare di<br />

fame. Una fame sempre più affamata che si aggiunge a quella che c'è già. Una fame sempre<br />

nuova che cresce insaziabile e si tuffa nell'eterna e vecchia domata a fatica. Come si gira per il<br />

mondo quando non si sa dire più nulla di se stessi se non che si ha fame.<br />

Quando non si riesce a pensare ad<br />

altro. Il palato è più grande della testa, una cupola, alto e penetrante fin nel cranio".<br />

Leopold Auberg, con la sua insaziabile fame, è il protagonista del romanzo del premio Nobel Herta<br />

102


Post/teca<br />

Müller L'altalena del respiro (Milano, Feltrinelli, 2010, pagine 251, euro 18) dedicato alla tragica<br />

vicenda della minoranza romeno-tedesca deportata dai sovietici nei campi di lavoro forzato in<br />

Ucraina nel gennaio 1945, a guerra ancora in corso. Per ordine del generale Vinogradov, in nome<br />

di Stalin, tutti i tedeschi, uomini e donne di età compresa fra i diciassette e i quarantacinque anni,<br />

abitanti in Romania furono strappati dalle loro case e ai loro affetti per essere impiegati nella<br />

"ricostruzione" dell'Unione Sovietica distrutta dal conflitto. Era il prezzo che il Governo e il Paese<br />

dovevano pagare per aver affiancato la Germania nazista.<br />

Ma come tanti compatrioti, Leopold non sa cosa lo attende e parte pieno di speranze. Quella vita<br />

nel Banato romeno - regione al confine tra Serbia, Romania e Ungheria in cui è nata la stessa<br />

Müller - gli sembra squallida, senza prospettive. La sua ingenua incoscienza adolescenziale,<br />

speranzosa di sfuggire all'angustia della vita quotidiana di provincia accettando persino come<br />

destino migliore la deportazione in un lager, si scontra ben presto con una realtà terribile: la fame.<br />

È la fame a scandire i suoi cinque anni di cattività: "Non ci sono parole adatte a descrivere la<br />

sofferenza della fame. Ancora oggi io devo far vedere alla fame che le sono sfuggito. Mangio<br />

letteralmente la vita stessa, da quando non devo più soffrire la fame. Sono prigioniero del sapore<br />

del mangiare, quando mangio. Dal mio ritorno dal lager, da sessant'anni, mangio contro la fame".<br />

Quando viene prelevato da casa, il ragazzo decide di portare con sé solo una valigia ricavata dalla<br />

scatola di un grammofono. Dentro qualche indumento, pochi oggetti e tanta speranza. Ma già<br />

durante l'estenuante viaggio le aspettative cominciano a vacillare fino a sgretolarsi di colpo una<br />

volta giunto a destinazione. Attraverso il racconto di Leopold - che la scrittrice romena fa parlare in<br />

prima persona - anche il lettore viene catapultato nella terrificante realtà del lager. Dove a<br />

predominare è l'istinto di sopravvivenza. "E come potresti essere così lesto altrimenti - riferisce il<br />

protagonista - quando sei il primo a scoprire il morto. Bisogna spogliarlo in fretta mentre non si è<br />

ancora irrigidito e prima che un altro si prenda i vestiti. Bisogna tirare fuori dal cuscino il suo pane<br />

avanzato, prima che ci arrivi un altro. Sgomberare i morti è il nostro modo di portare il lutto". Del<br />

resto, aggiunge, "il lager è un mondo pragmatico. La vergogna e l'orrore non sono sentimenti che<br />

ci si possa permettere. Si agisce con costante indifferenza, forse con sfiduciata soddisfazione. Non<br />

c'è in questo nessuna gioia maligna".<br />

Ma se la fame - l'angelo della fame, come lo chiama Leopold - è una presenza costante,<br />

incombente, sono gli oggetti a definire i luoghi e le esistenze che si affacciano di volta in volta nel<br />

racconto. E sono sempre gli oggetti a mantenere il legame via via più flebile con la vita. Ecco allora<br />

il giovane deportato soffermarsi nella descrizione degli oggetti con i quali viene a contatto, come il<br />

fazzoletto ricamato portato da casa, il giaccone con l'inutile imbottitura, il letto perennemente<br />

infestato dalle pulci, la pala, il legno, il carbone, il cemento, che divengono centrali e prendono<br />

quasi vita, assorbendo nei prigionieri energie non solo fisiche ma persino mentali.<br />

Emblematica è la descrizione del cemento che "morde e ferisce le gengive", con le labbra che "ti si<br />

spaccano, come la carta dei sacchi". Non solo. "Si sgobba e si sente il proprio cuore che batte, e:<br />

bisogna risparmiare il cemento, bisogna stare attenti al cemento, il cemento non deve bagnarsi, il<br />

cemento non deve volare via. Ma il cemento si sparge, è autodilapidante e avaro con noi fino<br />

all'estremo. Noi viviamo come vuole il cemento. È un ladro che ci ha rubati, non siamo noi a rubare<br />

lui. E come se non bastasse, il cemento ci rende maligni. Spargendosi semina la diffidenza, il<br />

cemento è un intrigante".<br />

È la sicurezza degli oggetti, che sfocia spesso nell'ossessione del dettaglio e che sembra essere<br />

l'unica consentita. Perché in chi non possiede nulla, anche un attrezzo da lavoro diventa<br />

importante, dando protezione, restituendo persino identità e memoria, e rendendo la vita un po' più<br />

sopportabile. Fino al giorno della riacquistata libertà. Una libertà che però per Leopold, come per<br />

103


Post/teca<br />

altri deportati - e non solo per mano dei sovietici - non significa liberazione. Dal lager non si esce<br />

mai del tutto. "In mezzo alla gente sazia di casa - confessa il ragazzo ormai divenuto uomo - la<br />

libertà mi dava le vertigini".<br />

Con una scrittura asciutta, essenziale, capace di dar conto con toccante efficacia delle dinamiche<br />

interiori che si scatenano in un uomo costretto a una vita di stenti e di soprusi, Müller - nata nel<br />

villaggio di lingua tedesca di Nitzkyrdorf - racconta una pagina oscura e poco conosciuta della<br />

storia romena. "Il tema della deportazione - scrive nella postfazione - era tabù, perché ricordava il<br />

passato fascista della Romania. Solo in famiglia e con gli amici intimi, i quali erano stati anch'essi<br />

deportati, si parlava degli anni del lager. E anche allora soltanto per allusioni. Queste<br />

conversazioni furtive hanno accompagnato la mia infanzia. I contenuti non li capivo, ma percepivo<br />

la paura".<br />

Quella paura che evidentemente<br />

trapelava dalle parole della madre, che trascorse cinque anni in un campo di lavoro, e di altri<br />

conoscenti indelebilmente segnati dalla stessa sorte con i quali la donna parlava di quella terribile<br />

esperienza. Evidentemente l'eco di quelle discussioni non ha mai abbandonato la scrittrice, che nel<br />

2001 ha iniziato ad annotare conversazioni con ex deportati del suo villaggio. Tra questi anche il<br />

poeta Oskar Pastior, al quale raccontò il desiderio di scrivere su questo tema e con il quale prese a<br />

incontrarsi regolarmente. Tanto da indurla all'idea di scrivere il libro insieme. Tuttavia la morte di<br />

Pastior nel 2006 impedì di portare a termine il progetto, che pure aveva già prodotto quattro<br />

quaderni pieni di appunti ma che la Müller, profondamente colpita da quella perdita, mise da parte.<br />

"Solo un anno dopo - racconta il Nobel - riuscii a risolvermi e a congedarmi dal "noi", e a scrivere<br />

da sola un romanzo. Ma senza i dettagli sulla vita quotidiana del lager che mi aveva fornito Oskar<br />

Pastior non ci sarei riuscita".<br />

Il risultato è un libro intenso, crudo, brutale, come da attendersi da una scrittrice premiata<br />

dall'Accademia Reale Svedese per aver "saputo descrivere il panorama dei diseredati con la forza<br />

della poesia e la franchezza della prosa". Ne L'altalena del respiro la vita del lager viene<br />

presentata attraverso gli occhi e la memoria del protagonista, in un susseguirsi di fatti reali e di<br />

avvenimenti surreali, come capita di sperimentare quando il corpo è straziato da freddo e fame e la<br />

mente non riesce più a riequilibrare una coscienza sempre in bilico tra un illusorio simulacro di<br />

normalità e una follia vissuta come unica ancora di salvezza. E il lager sovietico non appare poi<br />

troppo dissimile da quello nazista. In entrambi il male, pianificato con scientifica determinazione e<br />

alimentato dalla banale normalità che lo rende ancor più mostruoso, si insinua negli uomini<br />

modificando inconsciamente la loro l'umanità fino ad annullarla. E impedendo di riconoscerla<br />

104


Post/teca<br />

persino negli altri.<br />

(©L'Osservatore Romano - 12 agosto 2010)<br />

-----------------------<br />

La devozione per il Borromeo nei teleri del Seicento<br />

Carlo dai mille volti<br />

di Giorgio Picasso<br />

Una felice circostanza ha fatto sostanzialmente coincidere la pubblicazione di Annalisa Albuzzi,<br />

dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: "Per compire l'apparato che suole farsi<br />

ogn'anno nel duomo di Milano". I più tardi teleri sulla vita di san Carlo dal progetto alla<br />

realizzazione (Perugia, Editrice Pliniana, 2009), con il quarto centenario della canonizzazione del<br />

santo, proclamata da Papa Paolo V Borghese il 1° novembre 1610.<br />

Ben noti sono i solenni festeggiamenti organizzati all'epoca dalla città di Milano (in primis dalla<br />

veneranda Fabbrica della cattedrale) alla notizia tanto attesa e desiderata. A partire dalla<br />

confezione di un magnifico apparato che comprendeva venti grandiosi quadroni, destinati a essere<br />

annualmente esposti in duomo, in una sorta di ideale galleria, per ricordare, anzi, quasi per voler<br />

imprimere nell'immaginario dei milanesi i racconti che si trasmettevano l'uno all'altro, di casa in<br />

casa, sulla memorabile vita del loro santo vescovo. Se pensiamo che altri ventiquattro quadri<br />

furono dedicati ai miracoli operati dal Borromeo, possiamo innanzitutto rilevare come l'agiografia<br />

carolina si sia sviluppata insieme all'iconografia, alimentandosi entrambe in reciproco vantaggio,<br />

105


Post/teca<br />

secondo un progetto non a caso coscientemente perseguito dal cardinale Federico Borromeo,<br />

cugino di Carlo.<br />

Ciò che la studiosa ha definito "canone paradigmatico" - la serialità standardizzata dei temi<br />

proposti dai teleri - trovò ampia diffusione e lo spirito che l'aveva animato continuò a mietere frutti<br />

per tutto il Seicento - senz'altro fino agli anni Novanta del secolo - quando furono realizzati gli<br />

ultimi otto grandi quadroni a completamento del ciclo borromaico. E siamo così giunti al cuore e,<br />

nello stesso tempo, a una delle novità più qualificanti del volume.<br />

Annalisa Albuzzi, dopo aver raccolto e vagliato una bibliografia puntuale e cospicua, che sarà<br />

senz'altro di grande utilità a quanti vorranno inerpicarsi per questi non agevoli sentieri, attraverso<br />

una minuziosa ricerca di carattere archivistico è riuscita in modo convincente a offrire una risposta<br />

finalmente sicura in merito all'ideazione e alla datazione di tutti i teleri, nonché alla paternità e alla<br />

committenza della maggior parte di essi. Cosa non da poco, qualora si ponga mente che i risultati<br />

della letteratura storico-artistica - malcerti e spesso ancorati unicamente a una metodologia<br />

purovisibilista - non erano stati rivisitati con sistematicità da quasi mezzo secolo.<br />

Il motivo di questo oblio va anche ricondotto a un equivoco di fondo: ritenere, cioè, che gli ultimi<br />

teleri fossero stati voluti dalla Fabbrica. In realtà fu la Congregazione dello Scurolo - un'istituzione<br />

fino a oggi poco nota, eretta dallo stesso Federico Borromeo nel 1622 per governare il continuo<br />

afflusso dei fedeli alla tomba del santo e, di conseguenza, favorire l'ordinato sviluppo del culto - a<br />

interessarsi del completamento della straordinaria impresa artistica e devota a un tempo. Nei<br />

documenti di un archivio, purtroppo disseminato in più istituzioni, ma che l'acribia della studiosa è<br />

riuscita in gran parte a ricuperare, si sono trovate le notizie che hanno gettato finalmente luce sulla<br />

genesi, sulla preparazione e sulla realizzazione del progetto a opera di artisti tra i più significativi<br />

del tardo Seicento milanese: Cesare Fiori, Giorgio Bonola, Filippo Abbiati, Andrea Lanzani, Carlo<br />

Preda e, a sorpresa - ma nemmeno troppo - Federico Panza e Federico Maccagno.<br />

Questo libro di Annalisa Albuzzi, una vera miniera di puntuali notizie adeguatamente<br />

contestualizzate, non soltanto si segnala per la precisa ricomposizione delle tappe che segnarono<br />

la realizzazione dei teleri. Vengono, infatti, acquisiti, per la prima volta nella storia del culto carolino<br />

una serie di elementi che ne dimostrano la continuità per tutto il secolo XVII, e ciò grazie<br />

all'impegno congiunto dei vertici della Chiesa e della società (governatori spagnoli, élite comunali e<br />

univeritates), intimamente collegati in un grande sforzo collettivo di arte e di pietà.<br />

106


Post/teca<br />

La devozione a san Carlo fu<br />

alimentata in modo determinante da un costante riferimento a quelle iniziative che al momento<br />

della canonizzazione avevano trovato adeguata espressione nei grandi apparati effimeri e barocchi<br />

del primo Seicento, capaci di coinvolgere con entusiasmo il popolo nella celebrazione dei santi.<br />

Pochi anni avanti la canonizzazione dell'arcivescovo di Milano, nella primavera del 1608, gli stessi<br />

cerimoniali, con i medesimi apparati (se non proprio gli stessi nel dettaglio), si erano svolti per la<br />

canonizzazione di santa Francesca Romana, decretata dal medesimo Papa, il romano Paolo V.<br />

Nel caso della santa dei Ponziani, detta pure "una santa tutta romana", il coinvolgimento della città<br />

di Roma e dei suoi magistrati, fu un fatto scontato; con la canonizzazione di Carlo Borromeo, detto<br />

anche speculum episcoporum, il riconoscimento della santità riprese a essere percepito al centro<br />

della cattolicità per coinvolgere poi tutta la Chiesa. Per il loro "grande" Carlo i milanesi, e non<br />

soltanto loro, vollero sempre espressioni grandiose; il culto mantenuto vivo lungo tutto il Seicento,<br />

come ne è conferma la storia degli ultimi teleri, troverà ben presto uno sviluppo nell'eccezionale<br />

monumento eretto sul colle di Arona. Ma a proposito di santa Francesca Romana si può<br />

aggiungere un particolare curioso. In tutte le chiese dei monaci benedettini di Monte Oliveto, a<br />

cominciare dalla stessa abbazia delle crete senesi da cui derivano il nome, accanto alla devozione,<br />

ovvia, per santa Francesca, loro oblata in Santa Maria Nova, vi è sempre un segno di devozione,<br />

un quadro, un altare, o altro, in onore di san Carlo Borromeo, per ricordare, idealmente congiunte,<br />

le due grandi canonizzazioni del pontificato di Paolo V, alle origini della imponente storia della<br />

santità nell'età moderna.<br />

(©L'Osservatore Romano - 12 agosto 2010)<br />

--------------------------------<br />

107<br />

GLI INCONTRI / A TRICESIMO (UDINE) NEL PREFABBRICATO DI<br />

PIERLUIGI CAPPELLO


Post/teca<br />

Sono un poeta<br />

fragile. Ma<br />

libero<br />

Da bambino scopre Omero<br />

e Ariosto. A 16 anni<br />

l'incidente<br />

«Ho trasformato<br />

l'immobilità in una fonte<br />

d'ispirazione»<br />

«No, no, non è lui l’imperatore». Pierluigi Cappello sorride. È disteso a letto,<br />

la giornata è soffocante. Fuori, il frinire delle cicale, il profumo delle ortensie<br />

108


Post/teca<br />

e una scritta in serbocroato che appare come un motto solenne per chi varca<br />

questo prefabbricato in legno d’abete a Tricesimo, alle porte di Udine: «Chi<br />

non sopporta il vino è costretto a sopportare la vita». Dentro, nella densità<br />

dello spazio dell’ultimo residuo di un dono del governo austriaco alla<br />

popolazione martoriata dal terremoto del Friuli, l’odore acre delle sigarette.<br />

Più che una casa, tutto ricorda la cella di un monaco con la vocazione alla<br />

lettura: in ogni spazio libero, romanzi, saggi, libri di poesia. Qua e là, dipinti<br />

di qualche amico (i disegni di Sergio Toppi), una foto con due poeti, su un<br />

tavolino, il modellino di un aereo (la passione per il modellismo), una tazza,<br />

una bottiglia di vino. Per terra, il compressore per l’aerografo, la sedia a<br />

rotelle accanto al letto.<br />

ESSENZIALITA' - In questa manciata di metri quadri, ultimo simulacro di<br />

morte e vita di un tempo tragico, Pierluigi Cappello, classe 1967, poeta civile,<br />

finalista al Premio Viareggio con la nuova raccolta edita da Crocetti Mandate<br />

a dire all’imperatore, vive nella ritualità di un’esistenza essenziale come le<br />

sue parole, che ripete con ferma dolcezza, quasi un sussurro. «No, non è lui<br />

l’imperatore. È una figura alta, simbolica». E poi: «È una poesia scritta nel<br />

2005, molto prima che il nostro presidente del Consiglio fosse gratificato<br />

dell’appellativo dalla moglie Veronica». «È il rovesciamento di un racconto di<br />

Kafka - continua -. È la voce di chi sta fuori dallo spazio delle leggi. È la voce<br />

di chi non deflette lo sguardo di fronte al potere». Cappello declama a<br />

memoria: «Così come oggi tanti anni fa / mandate a dire all’imperatore / che<br />

tutti i pozzi si sono seccati / e brilla il sasso lasciato dall’acqua / orientate le<br />

vostre prore dentro l’arsura / perché qui c’è da camminare nel buio della<br />

parola». «È una voce dai margini. Versi che parlano della sconfitta della storia<br />

e cosa vuol dire portarsi addosso una cassa di morti». La poesia che apre e dà<br />

il titolo, (come ricorda Eraldo Affinati nella postfazione) tocca «il tema<br />

cardine del ventesimo secolo, per tutto ciò che si porta dietro, il gorgo,<br />

l’inconscio, persino il fraintendimento della libertà».<br />

SEDIA A ROTELLE - Già, la libertà. Per lui, costretto a una sedia rotelle da<br />

quando aveva 16 anni (dopo un incidente in moto); per lui che da<br />

centometrista, falcata dopo falcata, rincorreva ogni frazione di secondo; per<br />

lui che ha vissuto l’infanzia nella natura aspra di Chiusaforte (un paesino di<br />

700 anime stretto tra le montagne della Val di ferro, a qualche chilometro<br />

dall’Austria); per lui, dove la libertà era il campanello della stazione che<br />

annunciava il treno, sogno di un altrove oltre quella frontiera di ghiaccio e<br />

109


Post/teca<br />

sassi, ecco, ora per lui la libertà appare come un Canto d’aprile: «Noi<br />

cantiamo perché teniamo duro / il nostro morire è per il nascere dei figli /<br />

quando cantiamo alziamo lontano / dal buio del bosco al cielo d’aprile / il<br />

fuoco del nostro sangue, per il domani». Forse, la vera libertà, per Cappello, è<br />

proprio nella poesia: «Una libertà vastissima ma dettata dall’indifferenza dei<br />

più. E non solo: c’è poco confronto anche tra la comunità dei poeti. Eppure, la<br />

poesia ha in sé tutti i tempi di questa civiltà: testi brevi come gli slogan<br />

pubblicitari, ad esempio. Con una differenza: la poesia porta in sé la postura<br />

dei sentimenti che vengono rimossi. La poesia ha in sé, insieme, l’idea di<br />

morte e vita. E questo rappresenta la sua forza irripetibile». «La poesia è una<br />

forma di resistenza perché ti insegna a sentire le cose senza appropriartene:<br />

illumina le cose da dentro e le libera. La vera poesia in qualsiasi modo si<br />

esprima è sempre fuori mercato. Per questo è pericolosa e disturba il potere».<br />

Pierluigi Cappello parla lentamente, scandendo le parole, sottovoce. Se esiste<br />

un’idea di poeta, quest’uomo sofferente dal volto di ragazzo fragile sembra<br />

incarnarne tutte le stigmate: tormento, tenerezza, profondità, in Cappello<br />

diventano carne, occhi, voce. Non è un caso che l’incontro con la poesia sia<br />

avvenuto come un’epifania quand’era poco più che bambino. Un destino che<br />

ha il nome di una insegnante delle medie, Mariarosa Famiglietti: gli ha fatto<br />

scoprire la Chanson de Roland, Omero, Ariosto.<br />

RUOLO CIVILE - Poi l’incidente, ma il seme era piantato. «Ho trasformato<br />

l’immobilità in un’opportunità» dice sorridendo. E poi: «Stiamo seppellendo<br />

ogni cosa sotto una colata di clamore. È il trionfo della società mediatica.<br />

Nutriamo una malsana paura del silenzio. Un silenzio vivo che confondiamo<br />

con il vuoto». È strano. Ascoltando la voce di Cappello, anche il silenzio in<br />

questa piccola stanza sembra diventare materia da accarezzare. Il tempo in<br />

questo pomeriggio d’estate appare sospeso e ogni dettaglio assume contorni<br />

inaspettati: il caldo torrido e la sua carrozzina sembrano svanire. Con un<br />

gesto prende in mano il suo libro e legge: «Scrivere come sai dimenticare /<br />

scrivere e dimenticare / Tenere un mondo intero sul palmo /e dopo soffiare».<br />

«Una postura del poeta è quella dell’ascolto - continua -. Chiunque scriva ha<br />

una necessità con se stesso. Talvolta, per alcuni, c’è un io che ha la necessità<br />

di diventare noi. È un io in risonanza». Pierluigi Cappello è così: un<br />

incantatore tenero e determinato nel difendere l’idea di un ruolo civile, il suo.<br />

Forse, la sua forza sta proprio in quel «Noi», in quella risonanza che Cappello<br />

riesce ad avocare. E, ironizzando, non concede spazi neanche ai nuovi<br />

110


Post/teca<br />

fenomeni di successo giovanile: «Ho letto il libro di poesie di Ligabue con lo<br />

stesso atteggiamento con cui ho letto le poesie di Bondi». «Troppe volte si<br />

pensa che per scrivere versi basta essere padroni di una certa grammatica; c’è<br />

l’idea che andando a capo si possono scrivere dei versi. Così si fa come<br />

quando si era bambini: le file dei soldatini allineati. Proprio per questo di<br />

poeti ne nascono forse cinque in un secolo. Quando è morto Pasolini ricordo<br />

l’urlo di Moravia: "È morto un poeta, è morto un poeta! Un lamento senza<br />

possibilità di pacificazione».<br />

BARRIERE - Il gruppo di prefabbricati dove vive Cappello si chiama<br />

«Rosade». Non si sa chi abbia scelto profeticamente questo nome ma il<br />

destino ha voluto che proprio Pier Paolo Pasolini l’abbia trascritta in forma<br />

poetica ai tempi delle sue Poesie a Casarsa, nel ’42. Ora c’è un via vai di<br />

amici, belle ragazze e soprattutto premurose vecchiette vicine di casa: «Astu<br />

bisugne di alc? Hai bisogno di qualcosa Pierluigi?», chiede Silvana in friulano.<br />

C’è sempre qualcuno che prepara una zuppa, un piatto di pasta. Il poeta è<br />

accudito da una rete di solidarietà. D’altronde, la sua fragilità fisica è assoluta:<br />

ha bisogno di costante assistenza e un infermiere dorme con lui tutte le notti.<br />

«La mia giornata? Una giornata dettata da questo corpo cocciuto. Una<br />

giornata di barriere costanti. Una giornata di orari scanditi. Ho sempre delle<br />

cose da fare, incontri con studenti, conferenze. E poi il silenzio, la scrittura. La<br />

poesia è una caccia al buio, hai tutti gli elementi tecnici, ma non sai mai l’esito<br />

finale. La poesia è come un’isola che emerge dalla nebbia». «Scrivo a matita,<br />

non amo tanto il computer, alle email preferisco la voce» sottolinea. E sono<br />

molte le voci che cercano l’amico poeta. Ecco al telefono, dall’altra parte del<br />

mondo, Daniella, un’artista brasiliana che dai grattacieli di San Paolo ogni<br />

tanto piomba in questo scorcio di Friuli: «Sei baciata dal sole o no?»,<br />

domanda Pierluigi ridendo. Cappello, come Pasolini, compone anche in<br />

friulano: «Il senso di scrivere poesia? È collocarsi in modo antitetico a un<br />

linguaggio che si consuma in un istante e che viene buttato via come un<br />

guanto di gomma».<br />

LINGUE - «Non mi piace usare il sintagma lingua minore - aggiunge -. La<br />

stessa dignità che ha il friulano può averla un dialetto dell’Africa. Perché è<br />

una lingua. Porta con sé un mondo, porta con sé i detriti della storia. E più<br />

prospettive noi abbiamo sul mondo e più siamo ricchi. Immaginate quale<br />

potrebbe essere la visione di un bambino che impara l’italiano ma impara<br />

anche a conoscere la sua lingua. Quanto può nominare, interpretare e capire il<br />

111


Post/teca<br />

mondo se conosce il vero idioma della sua terra? Quella terra dove si è<br />

sporcato giocando? Dove ha imparato a piangere, ridere e amare?».<br />

gcolin@corriere.it<br />

Gianluigi Colin<br />

09 agosto 2010<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

corriere.<br />

it/<br />

cultura/10_agosto_09/<br />

colin-<br />

poeta-<br />

fragile-<br />

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9 c 56-00144f<br />

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shtml<br />

-----------------------------<br />

112<br />

I LUOGHI / A ROMA. QUI NASCE «LA CIVILTÀ CATTOLICA»<br />

Il think-tank<br />

dei Papi<br />

dove dormì il<br />

conte di


Post/teca<br />

Cagliostro<br />

Villa Malta, da teatro di<br />

feste a sede della rivista<br />

gesuita<br />

MILANO - «Agli inizi degli anni Novanta fui ricevuto dal cardinale Joseph<br />

Ratzinger: gli parlavo in tedesco per mostrargli che conoscevo la sua lingua e<br />

lui mi rispondeva in italiano. Naturalmente fui io a cedere e a invitarlo, in<br />

italiano, nella nostra sede. Ratzinger sulle prime si tenne sul vago, ma quando<br />

gli dissi che Villa Malta era stata la residenza di Ludovico I di Baviera,<br />

esclamò in tedesco: mein König, il mio re, e accettò l’invito».<br />

«LA CIVILTA' CATTOLICA» - Padre GianPaolo Salvini, classe 1936, una<br />

laurea in Teologia conseguita a Innsbruck, una in Economia e commercio,<br />

una in Filosofia, è dal 1985 il direttore della «Civiltà Cattolica», la rivista<br />

quindicinale di cultura, politica e attualità redatta da un «collegio di<br />

scrittori», tutti rigorosamente gesuiti, che fu fondata nel 1850 a Portici,<br />

durante l’esilio papale, per volere di Pio IX, e su iniziativa di un gruppo di<br />

padri della Compagnia di Gesù, nel quale spiccava l’acutissimo napoletano<br />

Carlo Maria Curci. La rivista, spiega padre Salvini, «fu fondata per difendere<br />

la Chiesa e la fede cristiana di fronte alle idee della Rivoluzione francese. Nel<br />

1848 si stavano moltiplicando le rivoluzioni in Europa, alimentate da idee<br />

liberali e massoniche. E in Italia il Risorgimento si andava delineando anche a<br />

spese dello Stato pontificio. Nacque così l’idea di dare una versione<br />

giornalistica degli avvenimenti politici e delle correnti culturali dal punto di<br />

vista della Chiesa cattolica». Paradossalmente, come ha notato il redattore<br />

storico, padre Giovanni Sale, i «gesuiti pensarono fin dall’inizio alla loro<br />

113


Post/teca<br />

rivista in termini "italiani" prima ancora che esistesse politicamente l’Italia».<br />

Segno della modernità del progetto.<br />

VILLA MALTA - Sono passati 160 anni da quegli inizi burrascosi: la<br />

redazione della «Civiltà cattolica» fu presto trasferita dal regno di Napoli a<br />

Roma, a causa della severa censura dei Borbone, i quali non digerivano il<br />

relativismo in fatto di forme di governo: i gesuiti infatti ritenevano legittime<br />

altre forme oltre alla monarchia. Dopo la presa di Roma nel 1870 e<br />

l’autoreclusione del Papa, il collegio degli scrittori gesuiti si trasferì a Firenze<br />

dove rimase sino al 1887, quando l’energico Leone XIII decise che il tempo<br />

dell’isolamento era finito e che era ora di tornare a casa. A lungo «La Civiltà<br />

Cattolica» rimase in via di Ripetta, sinché per far fronte alle esigenze della<br />

comunità di studiosi e soprattutto per trovare uno spazio adeguato all’enorme<br />

biblioteca, che oggi conta 600 mila volumi, il direttore padre Giacomo<br />

Martegani, consultato il Generale della Compagnia, nel 1950 decise di<br />

acquistare Villa Malta, una residenza che confina con Villa Medici, poco<br />

lontano da Villa Borghese, che aveva conosciuto gli ultimi fasti con il principe<br />

e ambasciatore di Germania Bernhard von Bülow, ex cancelliere del Reich che<br />

con quella proprietà aveva voluto rendere felice la moglie italiana Laura<br />

Minghetti, figlia del ministro Marco Minghetti. Gli eredi di von Bülow dopo la<br />

sua morte nel 1929 vendettero la villa a un uomo d’affari romano, Gioacchino<br />

Mecheri, che la cedette ai gesuiti. «Un’impresa - racconta padre Salvini - che<br />

ha indebitato la nostra comunità per quarant’anni, finché siamo usciti dalle<br />

secche grazie alla sapienza di un nostro amministratore, padre Luciano<br />

Caldiroli».<br />

LA VISTA - Così, dopo i lavori di ristrutturazione e ampliamento, uno dei<br />

luoghi più suggestivi e antichi di Roma è diventato la sede di quel collegio<br />

degli scrittori di una rivista che, come spiegò il cardinale Agostino Casaroli al<br />

neodirettore Salvini, «non è la voce ufficiale del Vaticano, ma la stampa può<br />

sapere che non pubblica niente contro la nostra opinione». Villa Malta,<br />

racconta Salvini, invitando a leggere un libretto sulla sede della «Civiltà<br />

Cattolica» scritto dal sacerdote della Compagnia di Gesù Giovanni Caprile,<br />

scomparso nel 1993 senza poter vedere pubblicata la sua opera, «è più<br />

conosciuta in Baviera che in Italia. Tra la fine del Settecento e per tutto<br />

l’Ottocento fu residenza dei Wittelsbach. Fu Ludovico I ad acquistarla e a<br />

trasformarla in grande centro di cultura tedesca: fu frequentata dal pittore<br />

danese Bertel Thorvaldsen, dalla pittrice svizzera Angelica Kauffmann che<br />

114


Post/teca<br />

lavorava nel giardino dove andava a trovarla il giovane Goethe, dal composito<br />

gruppo dei Nazareni. Ai tempi di Ludovico I di Baviera Villa Malta non aveva<br />

quella forma monumentale assunta dopo l’acquisizione nel 1873 da parte del<br />

conte russo Leo Bobrinski, imparentato con Caterina la Grande. Era piuttosto<br />

una residenza di campagna da cui il principe tedesco, prima di diventare re,<br />

godeva della vista di Roma e della compagnia di artisti, come documentano<br />

molti quadri: le quattro vedute di Roma dipinte da J. C. Reinhart e oggi<br />

custodite alla Neue Pinakothek di Monaco furono commissionate da Ludovico<br />

I, che una volta diventato re voleva mantenere vivo il ricordo del paesaggio<br />

romano. Franz Louis Catel effigiò il principe alla Taverna Spagnola assieme ai<br />

suoi amici artisti». A proposito della vista che si gode dal terrazzo<br />

dell’edificio, sembra che il presidente Francesco Cossiga abbia fatto misurare<br />

l’altezza di Villa Malta, scoprendo che era più alta dello stesso Quirinale.<br />

LE ORIGINI - Padre Salvini non ha il tempo di raccontare le origini romane<br />

della villa, risalenti al I secolo avanti Cristo, i passaggi di proprietà del sito,<br />

dal cardinale Giovanni Michiel, fatto avvelenare da Cesare Borgia, ai frati<br />

minori del vicino convento di Trinità dei Monti che nel Seicento riuscirono ad<br />

acquistare la villa e poi per pagare il mutuo la concessero in enfiteusi. Tra gli<br />

affittuari alla fine del Settecento, il balì Fra Laure le Toumelier de Breteuil,<br />

ambasciatore dell’Ordine di Malta. Da qui il nome tramandato sino a noi. Alla<br />

fine del secolo dei Lumi, tra artisti, filosofi, nobili, spicca la visita a Villa Malta<br />

di Giuseppe Balsamo conte di Cagliostro, fondatore della cosiddetta<br />

«massoneria egizia», che il 27 dicembre 1789 fu arrestato e condannato a<br />

morte perché accusato di aver animato la sera del 15 settembre una seduta<br />

spiritica proprio a Villa Malta, dove aveva «trasformato» l’acqua in vino con<br />

l’aiuto di una magica polverina e aveva predetto una brutta fine per Luigi XVI.<br />

LA COMUNITA' - Tanta storia, arte, mondanità, intrighi rendono ancora<br />

più affascinante Villa Malta, dove oggi vive una comunità di 23 padri gesuiti,<br />

nove dei quali membri a titolo effettivo del collegio degli scrittori della rivista,<br />

che viene pubblicata due volte al mese, il primo e il terzo sabato, dopo che il<br />

numero è stato approvato dalla Segreteria di Stato vaticana. Una nuova ala<br />

del complesso è adibita ad alloggio per i padri: su tre piani sono distribuiti 18<br />

piccoli appartamenti di due stanze sobriamente arredate, ma con viste<br />

mozzafiato. Sulla sinistra di ciascun ingresso una fessura lignea, una speciale<br />

cassetta della posta dove i padri inseriscono il loro articolo per farlo<br />

correggere dai colleghi. «Ogni pezzo viene riletto da quattro redattori diversi -<br />

115


Post/teca<br />

spiega padre Salvini, che fu scelto come successore di Bartolomeo Sorge forse<br />

anche perché c’era l’esigenza di avere alla guida della rivista una figura più<br />

neutrale -. La responsabilità degli articoli è nostra anche se lavoriamo in<br />

sintonia con la Santa Sede, secondo il progetto di Pio IX. Da allora le cose<br />

sono cambiate e la rivista, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, divulga<br />

una Chiesa più disponibile e aperta al dialogo che alle condanne, disposta al<br />

confronto con le altre religioni, che prima invece confutava, a cominciare<br />

dall’ebraismo che aveva combattuto per motivi religiosi e non razziali».<br />

BIBLIOTECA - I tempi sono cambiati anche dall’epoca di Ludovico I, che<br />

dalle finestre fischiava agli amici pittori seduti nel vicolo degli artisti e da<br />

quelli di Bobrinski e von Bülow: il salone delle feste con l’ingresso su un<br />

grande giardino è stato trasformato nella cappella della comunità, dove spicca<br />

un dipinto attribuito al Bassano, una rara Adorazione dei Magi in cui è<br />

raffigurato un elefante. La bella sala delle riunioni non riesce ad assumere<br />

una veste spartana per la presenza di un meraviglioso camino marmoreo,<br />

lampadari di Murano e di un magnifico fregio lungo 50 metri acquistato da<br />

Bobrinski a Venezia, raffigurante la gara di canto tra Apollo e il pastore<br />

Marsia. I padri tengono a parlare con orgoglio soprattutto della loro<br />

biblioteca, una delle più fornite della capitale, distribuita su cinque piani,<br />

quattro dei quali sotterranei. Che è il motivo per cui si trovano qui.<br />

Dino Messina<br />

09 agosto 2010<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

corriere.<br />

it/<br />

cultura/10_agosto_09/<br />

messina-<br />

papi-<br />

cagliostro_<br />

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61c<br />

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9 c 56-00144f<br />

02aabe.<br />

shtml<br />

--------------------------<br />

116<br />

Lui anziano, lei


Post/teca<br />

117<br />

giovane. O<br />

viceversa<br />

La differenza<br />

di età non<br />

conta più<br />

All'amore non si rinuncia.<br />

Nasce la coppia<br />

«sbilanciata»


Post/teca<br />

MILANO - Il grande tabù dell’amor senile viene sconfessato dalle cronache<br />

sociali e il pubblico pregiudizio non ferma più gli anziani contemporanei che<br />

rivendicano il diritto ad amare le loro spose/sposi bambini. E non stiamo<br />

parlando di signore che pagano gigolò a ore o di machi ormai spenti che<br />

cercano nel viagra il loro riscatto.<br />

IL CASO BETTENCOURT - Stiamo parlando di diversamente giovani che<br />

non vogliono arrendersi al tempo che passa e rivendicano il diritto al<br />

sentimento amoroso a qualsiasi età. Insomma, macchine desideranti più che<br />

assatanati satiri del sesso, come Liliane Bettencourt, la ricca e privilegiata<br />

dama dell’Oréal al centro del mega affaire delle intercettazioni che arriva fino<br />

a Sarkozy, e che nel pieno della bufera rilascia una fulminea intervista a «Le<br />

Monde» più che altro per difendere il suo toy boy, François-Marie Banier,<br />

accusato dalla figlia di lei d’essersi fatto dare dalla signora più ricca di Francia<br />

un cadeau di un miliardo di euro in opere d’arte, assegni e assicurazioni sulla<br />

vita. Ma soprattutto per ribadire il suo diritto di donna anziana in grado di<br />

intendere e volere, a godere le sue follie senili fino in fondo: «La vita è più<br />

bella da vivere se non hai rimpianti. Amo l’azione e ancora di più la fantasia»,<br />

è il suo sfavillante Manifesto di vitale ottantasettenne.<br />

OVER OTTANTA - Simili fremiti percorrono l’appena più giovane duchessa<br />

Cayetana d’Alba, nome abbreviato per una titolata da Guinness dei primati<br />

che nell’albo nobiliare compare con più di venti nomi e 40 altisonanti<br />

qualifiche, e che a 84 anni si è innamorata di un semplice antiquario quasi<br />

sessantenne, Alfonso Diez, che tuba nelle trasparenti acque di Ibiza con lei<br />

rigida nei suoi anni e nei suoi lifting (il filmato è su YouTube). Con battagliero<br />

comunicato stampa l’indomita duchessa fa sapere ai figli che - tranquilli - non<br />

lo sposerà mai, ma che se lo terrà ben stretto perché lui la «rende felice».<br />

NELL'ARTE - Si potrebbe obiettare che non c’è nulla di nuovo sotto il sole.<br />

Quando l’uomo (o la donna) sentono svanire l’energia della giovinezza si<br />

volgono alle nuove generazioni per trovare motivo vitale. L’ha raccontato un<br />

classico della letteratura orientale, La casa delle belle addormentate del<br />

giapponese Yasunari Kawabata, dove i vecchi andavano poeticamente a<br />

giacere con le vergini dormienti per trarre forza e voglia di futuro solo dalla<br />

loro vicinanza. Ed è successo e succede con amori dove lo scarto d’età è<br />

vistoso, ieri con Arturo Toscanini e la sua pianista Ada Colleoni Mainardi (66<br />

anni contro 36) bersagliata dalle lettere ardenti del maestro, con Pablo<br />

Picasso e Genèvieve Laporte (70 contro 24) e con Paola Borboni e il ragazzo<br />

118


Post/teca<br />

giocattolo ante litteram Bruno Vilar (72 contro 30) che l’attrice volle, sposò e<br />

a cui sopravvisse. Succede oggi con Jean-Paul Belmondo che non si rassegna<br />

alle menomazioni impostegli dall’ictus e difende la sua giovane nuova<br />

compagna ex coniglietta Barbara Gandolfi dalle accuse di manipolarlo (anche<br />

qui secondo le intercettazioni della polizia belga prodotte dall’avvocato della<br />

sua ex moglie), e con Alain Delon che, ancora attonito per lo svanire di quella<br />

sua furibonda bellezza, si aggrappa nelle apparizioni ai festival al braccio di<br />

sconosciute fanciulle tanto belle quanto nude. Immagini del mondo<br />

occidentale contemporaneo che richiamano quelle dei vecchi afgani con le<br />

loro spose bambine dagli spalancati occhi verdi e i davvero pochi anni,<br />

istantanee che provengono da mondi lontani e che forse troppo velocemente<br />

archiviamo come arcaiche. Meglio allora esser più comprensivi o perlomeno<br />

compassionevoli, perché al fondo c’è sempre quella nostalgia del soffio vitale<br />

che fugge e che si vorrebbe catturare ovunque, magari in un occhio giovane,<br />

in una pelle fresca.<br />

NUOVE VIE - Anche se in questi nuovi casi che ci raccontano le cronache<br />

della società occidentale c’è qualcosa di più, una rivendicazione, un orgoglio,<br />

una voglia di prendere tutto quello che si può fino all’ultimo e non rassegnarsi<br />

al fatto che ogni passione sia spenta, con buona pace di figli e parentela:<br />

qualcosa che ha a che fare con i desideri e le golosità contemporanee. E così lo<br />

sposo e la sposa bambina non sono più vergogne, come per lo scrittore<br />

francese François- René de Chateaubriand che, sessantenne, riflettendo quasi<br />

due secoli fa su amore e vecchiaia, concludeva rinunciatario: «La giovinezza<br />

rende amabile ogni cosa, mentre la vecchiaia rende laida persino la felicità».<br />

Oggi, quelli che lo psicologo Heinz Hartmann per primo aveva definito<br />

«menage sbilanciati», non sono archiviabili come animal spirits, ma<br />

diventano sfide da sperimentare, vivere e pure comunicare. e nuove vie che<br />

avrebbe preso l’amore romantico, a qualsiasi età, le aveva intuite e predette<br />

quel grande interprete della modernità e del sentimento contemporaneo che è<br />

stato Johann Wolfgang Goethe, che con occhio lungo anticipò l’uomo che<br />

riprende in mano i suoi desideri cercando di liberarli dai vincoli del<br />

matrimonio tradizionale.<br />

GOETHE - Lui, il grande e poetico teorico delle Affinità elettive, il cantore<br />

dei dolori dell’amor giovane, non si inaridì in tarda età, anzi fu capace di<br />

coltivare le diverse età, declinandole nel loro divenire, in «un’esistenza lunga,<br />

piena, calma e voluttuosa. Possedeva il grande segreto di trasformare ogni<br />

119


Post/teca<br />

cosa in un nettare intellettuale» come ha scritto Paul Valéry. «Un saggio, sì,<br />

ma con quel tanto di diavolo che occorre per essere completo». E a 72 anni<br />

Goethe si innamorò e non si tirò indietro. Nelle sue estati a Marienbad lo<br />

scrittore incontra la diciassettenne Ulrike von Levetzow e se ne incapriccia<br />

fortemente, anche ricambiato dalla fanciulla che, lusingata dal successo già<br />

planetario di quel vedovo di cui il domestico vendeva in segreto i capelli, ne<br />

era sottilmente attratta: lo avrebbero testimoniato alcune lettere che, nel<br />

1899, alla morte di Ulrike, furono bruciate (per sua volontà postuma) dalla<br />

cameriera. Non rinuncia dunque Goethe e due anni dopo l’incontro la fa<br />

chiedere in sposa, ma la famiglia rifiuta e lui, partendosene sconsolato dalla<br />

località termale, comincerà già nel viaggio a scrivere quell’Elegia a<br />

Marienbad che resta una delle testimonianze amorose più inesorabili: «Ora<br />

sono lontano! A questo preciso momento cosa conviene? Io certo non lo so. Di<br />

su di giù mi mena brama incontenibile, altro non vo’ al momento che lacrime<br />

infinite. Non si smorza comunque questo interiore fuoco! Morte e vita si<br />

danno orrendo assalto».<br />

WALSER E MANN - Ma di quella vicenda così coinvolgente nella sua non<br />

convenzionalità si conosceva, in fondo, molto poco a parte gli scarni dati<br />

storici e la struggente Elegia, e nel 2008 lo scrittore tedesco Martin Walser ha<br />

voluto misurarsi con il sommo poeta conterraneo, colmando narrativamente<br />

il vuoto di quell’amore e raccontando in Un uomo che ama (Sugarco) i dolori<br />

e i tremori del vecchio Wolfgang mentre guarda allo specchio il suo<br />

stupefacente corpo di anziano, senza tuttavia rinunciare a inebriarsi della sua<br />

senile follia («la dipendenza da Ulrike lo rende ricco, tutta la vita nemmeno<br />

un secondo di noia») pur macerandosi su «quel numero mostruoso, 74 meno<br />

19 uguale 55». Prima di Walser, Thomas Mann nel romanzo breve L’inganno,<br />

sempre forse misurandosi a distanza con Goethe, aveva raccontato come<br />

l’amore sbilanciato per un giovane potesse ridare la vita. È quel che succede a<br />

Rosalie, vedova solare e innamorata della natura, che s’invaghisce del<br />

precettore d’inglese del figlio, il giovane Ken che arriva dal mondo nuovo,<br />

l’America; Rosalie si confessa con la figlia Anna in anticipatoria intimità,<br />

«Voglio credere al miracolo della mia anima e dei miei sensi», e si dice piena<br />

di orgoglio per quella «dolorosa primavera» della sua anima.<br />

EGOISMO - Ma se ogni età ha il diritto di avere la sua passione, non<br />

rischiamo - nella società dove gli anziani saranno quei baby boomer che<br />

hanno sempre morso la vita con avidità - di trovarci attorniati da vecchi<br />

120


Post/teca<br />

audaci e neofelici ma molto selfish, individualisti decisi a consumare gli ultimi<br />

periodi di vita in egoista autocompiacimento? «La minaccia del vecchio<br />

incombe su questa epoca. La vecchiaia è tempo duro e orribile dove però si<br />

annida il segreto dell’età» annota implacabile il filosofo Manlio Sgalambro nel<br />

suo Trattato dell’età (Adelphi). E difatti Goethe, che la sapeva lunga, non fa<br />

dire proprio a Mefistofele, nel Faust (versi 6817/18), con remota sapienza: «Il<br />

diavolo è vecchio, pensateci: invecchiate e lo capirete»?<br />

Maria Luisa Agnese<br />

09 agosto 2010<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

corriere.<br />

it/<br />

cultura/10_agosto_09/<br />

agnese-<br />

amore-<br />

senza-<br />

limiti_<br />

d 900b<br />

72e<br />

- a 389-<br />

11df-9c<br />

56-00144f<br />

02aabe.<br />

shtml<br />

--------------------------------<br />

fare l’amore con il sole<br />

prima che una luna gelosa lo spenga.<br />

fonte: http://lachimera.tumblr.com/post/927951513/fare-lamore-con-ilsole-prima-che-una-luna-gelosa<br />

---------------------<br />

Fuori, è tutto uno stupro.<br />

HANNO TUTTI RAGIONE - PAOLO SORRENTINO (VIA<br />

COMUVENISICUNTA,FREDDAOMERAVIGLIAO)<br />

fonte: http://lachimera.tumblr.com/post/931338668/fuori-e-tutto-uno-stupro<br />

---------------------------<br />

121<br />

“Pensai alla vita, alla mia vita, ai disagi, alle piccole<br />

coincidenze, all’ombra delle sveglie sui comodini.<br />

Pensai alle mie piccole vittorie e a tutto ciò che avevo<br />

distrutto, avevo nuotato tra le pellicce di visone sul<br />

letto dei miei genitori mentre ricevevano gli ospiti di


Post/teca<br />

basso, avevo perso l’unica persona con cui avrei<br />

potuto vivere la mia unica vita, mi ero lasciato dietro<br />

mille tonnellate di marmo da cui avrei potuto ricavare<br />

sculture, ricavare me stesso dal marmo di me stesso.<br />

Avevo conosciuto la gioia, ma non abbastanza, può<br />

essere abbastanza? La fine del dolore non giustifica il<br />

dolore, e il dolore è infinito, che macello che sono,<br />

pensai, come sono stupido, stupido e meschino, e<br />

inutile, misero e patetico, come sono disperato.<br />

Nessuno dei miei animali conosce il proprio nome, che<br />

razza di persona sono, io?<br />

Alzai il suo dito come se fosse la puntina di un<br />

giradischi e sfogliai all’indietro, una pagina alla volta:<br />

Aiuto”<br />

fonte: http://<br />

untemporale.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

--------------------------<br />

“Mamma l’italiani Après la Classe”<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li cani<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li ca<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li cani<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li ca<br />

nei secoli dei secoli girando per il mondo<br />

nella pizzeria con il vesuvio come sfondo<br />

non viene dalla cina non è pure americano<br />

se vedi uno spaccone è solamente un italiano<br />

l’italiano fuori si distingue dalla massa<br />

sporco di farina o di sangue di carcassa<br />

passa incontrollato lui conosce tutti<br />

fa la bella faccia e poi la mette in culo a tutti<br />

rit<br />

122<br />

— J. S. Foer - Molto forte, incredibilmente vicino


Post/teca<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li cani<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li ca<br />

a suon di mandolino nascondeva illegalmente<br />

wiski e sigarette chiaramente per la mente<br />

oggi è un pò cambiato ma è sempre lo stesso<br />

non spaccia sigarette ma giochetti per il sesso<br />

l’italiano èstato sempre un povero emigrato<br />

che guardava avanti con la mente nel passato<br />

a chi non lo capiva lui lo rispiegava<br />

e chi gli andava contro e’ saltato pure in a!<br />

rit<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li cani<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li ca<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li cani<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li ca<br />

l’italia gl’italiani e la sua gente<br />

lo stile che fa la differenza chiaramente<br />

e genialità questa è la regola<br />

con le idee che hanno cambiato<br />

tutto il corso della storia<br />

l’italia e la sua nomina è un’alta carica<br />

un eredità scomoda<br />

oggi la visone italica e che<br />

viaggiamo tatuati con la firma della mafia<br />

mafia mafia mafia<br />

non mi appartiene none no questo marchio di fabbrica<br />

aria aria aria<br />

la gente è tantostanca è ora di cambiare aria<br />

mafia mafia mafia<br />

non mi appartiene none no questo marchio di fabbrica<br />

aria aria aria<br />

la gente è tanto stanca è ora di cambiare aria<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li cani<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li ca<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li cani<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li ca<br />

vacanze di piacere per giovani settantenni<br />

all’anagrafe italiani ma in brasile diciottenni<br />

pagano pesanti ragazze intraprendenti<br />

se questa compagnia viene presa con i denti<br />

l’italiano e’ stato sempre un povero emigrato<br />

che guardava avanti con la mente nel passato<br />

a chi non lo capiva lui lo rispiegava<br />

e chi gli andava contro è saltato pure in a!<br />

123


Post/teca<br />

rit<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li cani<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li ca<br />

spara la famiglia del pentito che ha cantato<br />

lui che viene stipendiato il ventisette dallo stato<br />

nominato e condannato nel suo nome hanno sparato<br />

e ricontare le sue anime non si può più<br />

risponde la famiglia del pentito che ha cantato<br />

difendendosi al compare tutti i giorni più incazzato<br />

sarà guerra tra famiglie sangue e rabbia tra le grigle<br />

con la fama come foglie che ti tradirà<br />

mafia mafia mafia<br />

non mi appartiene none no questo marchio di fabbrica<br />

aria aria aria<br />

la gente è tanto stanca è ora di cambiare aria<br />

mafia mafia mafia<br />

non mi appartiene none no questo marchio di fabbrica<br />

aria aria aria<br />

la gente e’ tanto stanca è ora di cambiare aria<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li cani<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li ca<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li cani<br />

mamma litaliani mamma litaliani mancu li cani mancu li ca<br />

fonte: http://<br />

sweetmonkeybusiness.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

video: http://<br />

www.<br />

youtube.<br />

com/<br />

watch?<br />

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feature=<br />

player_<br />

embedded<br />

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07/08/2010 - GIALLO ITALIANO. IL PIONIERE DE ANGELIS<br />

Il cadavere in libreria<br />

"Sei donne e un libro", l’omicidio di un politico e il furto<br />

di un "porno" nella Milano Anni 30, indaga De Vincenzi<br />

SERGIO PENT<br />

Non è mai troppa la riconoscenza nei confronti dell'editore Sellerio. Ha restituito<br />

onore e dignità al nostro più grande scrittore «popolare», Giorgio Scerbanenco, di<br />

cui è da poco in libreria L'antro dei filosofi. Ha rispolverato la fama un po'<br />

124


Post/teca<br />

appannata del mitico affabulatore - e bevitore - Gian Carlo Fusco. Ci ha permesso di<br />

capire che, in fondo, il vero giallo italiano esisteva già negli Anni Trenta, e che il suo<br />

nome era Augusto De Angelis.<br />

De Angelis, il grande padre putativo dei nostri thrilleristi, autore di almeno tre<br />

granitici capolavori:Il candeliere a sette fiamme, L'Albergo delle Tre Rose e Il<br />

mistero delle tre orchidee. Romanzi datati tra il 1935 e il 1942, quando le traversie<br />

del declino fascista cominciarono a costituire un'insidia per l'appartato e poco<br />

militante giornalista De Angelis. Il destino di questo generoso narratore doveva<br />

compiersi con la beffa di una lite casuale - e fatale - a Bellagio, nel 1944, a un passo<br />

dalla fine del conflitto e dopo mesi di pesante carcerazione.<br />

Ma prima della misera fine quasi da romanzo d'appendice, il romano Augusto De<br />

Angelis - classe 1888 - ne aveva scritti a decine, di romanzi, fino al successo<br />

popolare con la serie del commissario De Vincenzi. Libri di viaggio, corrispondenze<br />

dal fronte libico, racconti esotico-avventurosi per la rivista torinese Le grandi firme<br />

di Pitigrilli. Molte «vite romanzate», da Cleopatra a Maria Antonietta al figlio di<br />

Napoleone. E poi De Vincenzi: nascita e imprese - ancora oggi appena velate da<br />

qualche sporadico arcaismo linguistico - di un uomo di legge normale, arguto ma<br />

non sovrumano, politicamente appartato, sentimentalmente indefinito. Un eroe<br />

quotidiano senza fisionomia concreta, portato al successo nella tv di Stato Anni 70<br />

con il volto espressivo, ma forse troppo teatrale del grande Paolo Stoppa.<br />

De Vincenzi si muove in una Milano sfuggente, deserta di sera - non c'era ancora<br />

nulla «da bere», forse - dove la campagna è a un tiro di fionda e la borghesia,<br />

spesso, cela segreti insospettabili. La generosa caratterizzazione dei personaggi<br />

riflette un'ansia - o una inconscia consapevolezza - di modernità piuttosto lontana<br />

dai clichés tipici del periodo di esaltazione fascista. Cognomi anche stranieri fanno<br />

capolino qua e là nel risvolto delle trame, ma la sostanza tutta italiana dei soggetti è<br />

assai distante dagli impedimenti causati dalle legge del 1937 che non voleva<br />

criminali italici nelle storie gialle. I criminali di De Angelis sono invece<br />

sfacciatamente tricolori, e la cadenza trainante dei suoi romanzi lascia intuire la<br />

lezione di Poe ma - soprattutto - la conoscenza profonda e recente di un certo<br />

Freud.<br />

In Sei donne e un libro, del 1936 (Sellerio, pp. 330, euro 13), De Vincenzi è alle<br />

prese con l'omicidio di un senatore donnaiolo e della sua giovane cameriera. Delitti<br />

all'apparenza scollegati, che sembrano trovare un punto d'incontro nella libreria in<br />

cui è stato scoperto il cadavere dell'uomo e nel furto di un antico libro di argomento<br />

125


Post/teca<br />

pornografico.<br />

Sei donne attorno al mistero che De Vincenzi risolverà con arguzia e con una finta<br />

seduta spiritica predisposta per accalappiare il colpevole. Un giallo bello e<br />

rilassante, umano, moderno nelle intenzioni e nei risultati, una certezza che si<br />

consolida nel tempo, non certo un'anticaglia recuperata dal baule dei ricordi.<br />

Autore : Augusto De Angelisi<br />

Titolo : Sei donne e un libro<br />

Edizione : Sellerio<br />

Pagine : 330<br />

Prezzo : 13€<br />

fonte: http://<br />

www3.<br />

lastampa.<br />

it/<br />

libri/<br />

sezioni/<br />

il-<br />

libro/<br />

articolo/<br />

lstp/293332/<br />

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12/08/2010 - STORIA DEL GRAFFITARO SENZA VOLTO<br />

Con Opiemme la poesia<br />

diventa punk<br />

L'artista che porta i versi in strada: «La Moratti sbaglia<br />

a farci la guerra, educhi<br />

i giovani all’arte»<br />

LUCA INDEMINI<br />

Senza nome e senza volto. Di lui si conoscono solo regione e anno di nascita:<br />

Liguria, 1979. E la città d'elezione: Torino, dove vive dal 1999. Si nasconde dietro il<br />

marchio Opiemme (www.opiemme.com), l'artista e scrittore che si propone di<br />

«abituare la gente alla poesia», diffondendola in modo rivoluzionario. Parlano per<br />

lui le sue opere, volte a mescolare la poesia ad altre forme espressive, per non<br />

lasciarla imprigionata nella carta stampata. Versi arrotolati, appesi sugli alberi;<br />

126


Post/teca<br />

messaggi apparsi sui cartelli stradali, con divieti preoccupanti, di pensare, sognare e<br />

respirare; fino alla campagna dal forte impatto visivo «Traffic Kills».<br />

«La decisione di trasferirmi a Torino era legata agli studi e agli amici - spiega<br />

Opiemme -. A posteriori la scelta si è rivelata azzeccata: proprio il passaggio da una<br />

piccola realtà del litorale a una grande città è stato un input importante per il mio<br />

lavoro, in questi anni ho vissuto importanti esperienze formative. Devo molto a<br />

Torino». E anche se non c'è il mare, pazienza: «Grazie al mio lavoro mi muovo<br />

molto e riesco a vederlo abbastanza spesso».<br />

Tutto iniziò alla fine degli Anni Novanta, riscoprendo la passione per quella<br />

letteratura che durante gli anni del liceo, per una ragione o per l'altra, si finisce per<br />

odiare. «Ho iniziato a scrivere», e a pubblicare, prima una raccolta di poesie,<br />

“Sfioraci”, poi una di racconti, “Sette”. Ma ben presto mi sono reso conto che se sei<br />

giovane e sconosciuto hai poche possibilità di raggiungere i lettori. Allora ho cercato<br />

di svecchiare i canali di comunicazione della poesia, ho provato a portarla per<br />

strada, verso le persone, avvicinandola a forme di arte urbana, legate alla street art,<br />

al graffiti writing, alle installazioni». Un poeta post moderno, che propone una<br />

rivoluzione punk della poesia: «Spesso uno Stato cerca diversi modi per creare<br />

legalmente ignoranza. Io, portando le parole mie di altri autori sui muri, è come se<br />

facessi illegalmente cultura».<br />

Tema di estrema attualità, vista la tolleranza zero promessa dal sindaco di Milano,<br />

Letizia Moratti, verso i graffiti e i graffitari. «Mi dispiace concordare con Bossi, ma<br />

ha ragione nel dire che “i muri sono il libro di un popolo” - spiega Opiemme -. Fare<br />

guerra ai writers è velleitario, sarebbe più opportuno crescere i giovani<br />

avvicinandoli all'arte, concedendo loro spazi idonei. Dall'altra parte, chi fa le scritte<br />

sui muri è giusto che conosca e accetti le regole del gioco. In quelle sono contenuti il<br />

rispetto e la tutela del bene privato. Vanificare le norme adducendo l'arte, è nel<br />

tipico stile italiano: una perdita di valori».<br />

Uno degli esempi più incisivi dell'opera torinese di Opiemme, rimane l'installazione<br />

realizzata sulla pensilina GTT davanti all'Accademia di Belle Arti, commissionata<br />

dallo stesso istituto in occasione di Artissima 2007: la fermata venne<br />

completamente ricoperta con testi di autori transitati per Torino: «Un punto di<br />

passaggio come la fermata dell'autobus è così diventato metafora del passaggio<br />

letterario». Ma sono molti i luoghi in città diventati teatro delle installazioni di<br />

Opiemme. «Uno di quelli a cui mi sento più legato è l'Hiroshima Mon Amour, che<br />

da sempre ha aperto le sue porte alle mie opere. E poi San Salvario e il Valentino;<br />

127


Post/teca<br />

uno dei luoghi migliori per appendere i miei rotolini di poesie».<br />

Il 2010 si è aperto con la partecipazione alla mostra veneziana «L'Altra Memoria»:<br />

«Un incontro fortuito tra la mia opera “Lead by Madness”, in cui riproduco una<br />

svastica rovesciata, fisicamente e concettualmente, che contiene cinque poesie<br />

sull'assurdità della guerra e dell'odio, e il tema della mostra, incentrata sulla<br />

memoria e sulla storia del popolo ebraico. Mi ha fatto molto piacere sapere che<br />

l’opera è stata ammessa col consenso del rabbino di Venezia, che pur trovandola<br />

molto forte, ne ha riconosciuto la sensibilità del messaggio». L'anno si concluderà<br />

con «Torino me for we», una mostra collettiva all'Arsenale della Pace, dal 14 al 31<br />

ottobre. «Inoltre sto preparando la mia prossima personale, che sarà ospitata a<br />

inizio 2011 dalla galleria Dieffe: un’indagine artistica sull’uso della parola.<br />

Insomma, è un momento intenso».<br />

fonte: http://<br />

www3.<br />

lastampa.<br />

it/<br />

torino/<br />

sezioni/<br />

cultura/<br />

articolo/<br />

lstp/297432/<br />

----------------<br />

20100813<br />

14 agosto 1861: i «liberatori piemontesi» compiono l’eccidio di Pontelandolfo e Casalduni<br />

(Benevento)<br />

15 agosto 1863: con l’approvazione della legge Pica viene estesa la repressione alla popolazione<br />

civile<br />

Dal rapporto ufficiale sulla cosiddetta "guerra al brigantaggio" del gen. Enrico Cialdini,<br />

plenipotenziario a Napoli del governo del re Vittorio Emanuele (nei soli primi mesi del 1861<br />

e nella sola zona di Napoli): “8.968 fucilati, tra i quali 64 preti e 22 frati; 10.604 feriti; 7.112<br />

prigionieri; 918 case bruciate; 6 paesi interamente arsi; 2.905 famiglie perquisite; 12 chiese<br />

saccheggiate; 13.629 deportati; 1.428 comuni posti in stato d'assedio”.<br />

fonte: newsletter del sito catto-fondamentalista Storia Libera.<br />

link a: http://www.storialibera.it/epoca_contemporanea/risorgimento/brigantaggio/<br />

-----------------------------------<br />

Da dove viene la tempesta perfetta di presunta sfortuna del<br />

venerdì 13?<br />

Oggi è venerdì 13. L'unico venerdì 13 del 2010. C'è chi sostiene che<br />

128


Post/teca<br />

esista un'antica tradizione secondo la quale questa combinazione di<br />

giorno e data sarebbe particolarmente sfortunata. Quella del venerdì<br />

13 è una delle superstizioni più diffuse: secondo una stima dello<br />

psicoterapeuta Donald Dossey, solo negli Stati Uniti 21 milioni di<br />

persone (l'8% della popolazione) è convinta che la saggezza degli<br />

antichi consigli di non uscire, non andare al lavoro, non mangiare al<br />

ristorante e non avviare nessuna attività importante (per esempio un<br />

matrimonio) in questa data.<br />

Esiste persino della letteratura scientifica sul venerdì 13. Uno studio,<br />

pubblicato dal British Medical Journalnel 1993 e intitolato "Venerdì 13<br />

fa male alla salute?"(Is Friday the 13th<br />

Bad for Your Health?<br />

), confronta gli<br />

incidenti e l'affluenza ai centri commerciali in un venerdì "normale" e<br />

in un venerdì 13 nel Regno Unito e rileva che il numero di<br />

frequentatori dei negozi non cambia, ma quello dei ricoverati per<br />

incidenti sì: "Il rischio di un ricovero ospedaliero a causa di un<br />

incidente con mezzi di trasporto può risultare aumentato fino al 52%.<br />

Si consiglia di restare a casa".<br />

Un articolo dell'American Journal of Psychiatry nel 2002 confrontò il<br />

numero di morti per incidenti collegati al traffico avvenuti di venerdì<br />

13 rispetto a quelli avvenuti negli altri venerdì fra il 1971 e il 1997 in<br />

Finlandia, scoprendo che il rischio di incidente fatale il venerdì 13 era<br />

pressoché invariato per gli uomini ma molto più alto della norma per le<br />

donne. Dice l'articolo: "Si stima che il 38% delle morti dovute al<br />

traffico [avvenute di venerdì 13] siano attribuibili al venerdì 13<br />

stesso", che risulta essere "un giorno pericoloso per le donne,<br />

principalmente a causa dell'ansia dovuta alla superstizione". Un altro<br />

articolo, basato su un campione più ampio, smentì l'allarmante dato<br />

statistico finlandese sfavorevole alle donne ma confermò l'opportunità<br />

per i superstiziosi ansiosi di"evitare perlomeno di guidare un'auto".<br />

Insomma, è scientificamente dimostrato: credere alla superstizione<br />

porta male.<br />

129


Post/teca<br />

Sembra che ci sia in gioco una sorta di effetto placebo al contrario<br />

(nocebo): se siamo convinti che un certo giorno ci succederà qualcosa<br />

di brutto, è più facile che ci succeda davvero. Non perché esistono<br />

influssi cosmici o antiche maledizioni, ma perché siamo ansiosi a causa<br />

della credenza e questo nuoce alla nostra concentrazione per esempio<br />

sul lavoro o nella guida.<br />

Ma da dove deriva questa credenza del venerdì 13? Urban Legends ha un<br />

gustoso articolo sull'argomento. Le due tradizioni separate, quella di<br />

considerare il venerdì come giorno sfortunato e il 13 come numero<br />

superstiziosamente significativo (iettatore o fortunato, a seconda delle<br />

culture), sono piuttosto ben documentate. Quella dell'effetto nefasto<br />

combinato del venerdì e del 13 no. Il romanzo Il Codice Da Vinci<br />

attribuisce la genesi di questa superstizione alla decimazione dei<br />

Templari avvenuta il 13 ottobre 1307 (un venerdì), ma stranamente<br />

nella letteratura dei sette secoli successivi all'evento non c'è alcun<br />

accenno in proposito. L'assenza di riferimenti scritti successivi vale<br />

ancora di più per l'ipotesi che lega il venerdì 13 alla morte di Gesù e<br />

alla presenza di tredici persone all'Ultima Cena.<br />

Per esempio, la prima citazione nota del venerdì 13 in tutta la<br />

letteratura di lingua inglese compare in una biografia del compositore<br />

Gioachino Rossini, datata 1869, ma in forma piuttosto blanda: "se è<br />

vero che, come molti italiani, considerava il venerdì un giorno<br />

sfortunato e il tredici come numero iettatore, è notevole che morì il<br />

venerdì 13 novembre [1868]".<br />

Forse, molto banalmente, la superstizione del venerdì 13 è nata<br />

semplicemente per somma di superstizioni precedenti. Magari<br />

qualcuno ha ragionato che se il venerdì è un giorno infausto e il 13<br />

porta sfortuna, allora la loro combinazione sarà sfortunatissima. Ma c'è<br />

chi sostiene che questa credenza abbia origini molto recenti e precise:<br />

130


Post/teca<br />

Nathaniel Lachenmeyer, autore di un libro (Thirteen: the story of the<br />

world's most popular superstition) dedicato interamente alle<br />

superstizioni intorno al numero 13, ha notato che i riferimenti al<br />

venerdì tredici sono praticamente inesistenti prima del 1907 e poi<br />

diventano molto frequenti, nota che proprio nel 1907 fu pubblicato un<br />

romanzo di successo di Thomas Lawson, intitolato appunto Friday the<br />

Thirteenth (Venerdì Tredici), oggi scaricabile gratuitamente,<br />

in cui un<br />

operatore di borsa senza scrupoli sfrutta la superstizione per scatenare<br />

il panico a Wall Street un venerdì 13.<br />

Il romanzo ebbe molta risonanza all'epoca: la stampa di allora ne<br />

adottò subito il titolo come frase ricorrente e diffuse in modo<br />

esplosivo la sua mitologia, rendendola popolare fino a farla diventare<br />

un luogo comune di cui poi si è dimenticata l'origine. Una bufala<br />

giornalistica, insomma. È vero che Lawson accenna alla credenza del<br />

venerdì 13 come se già fosse in circolazione, ma la pubblicazione del<br />

libro fu indubbiamente un fattore decisivo nell'affermarsi di questa<br />

tempesta perfetta di due superstizioni. In altre parole, gli antichi<br />

c'entrano poco; i giornalisti e la loro propensione a disseminare cliché<br />

c'entrano molto di più.<br />

fonte: http://attivissimo.blogspot.com/2010/08/il-venerdi-13-e-una-bufala.html<br />

------------------------<br />

Archeologi italiani per i monumenti turchi<br />

Il ministero della cultura di Ankara ha finanziato il restauro del teatro romano di Hierapolis di Frigia. Un<br />

progetto di restauro ambizioso, elaborato dalla missione guidata da Francesco D’Andria dell’Ibam-Cnr<br />

Presso uno dei siti archeologici più affascinanti della Turchia, la città romano-ellenistica di<br />

Hierapolis (l’odierna Pamukkale), grazie alle tecnologie e alle competenze italiane, sta per avere<br />

inizio un ambizioso progetto: far tornare alla luce una delle più fastose facciate teatrali in marmo<br />

dell’antichità. È quella che qui fu costruita sotto il regno di Settimio Severo agli inizi del III sec. d.C.,<br />

secondo gli archeologi uno degli esempi meglio conservati dell’architettura ‘barocca’ sviluppatasi<br />

131


Post/teca<br />

nelle province orientali dell’Impero romano.<br />

Francesco D’Andria, direttore dell’Istituto per i beni archeologici e monumentali del Consiglio<br />

nazionale delle ricerche (Ibam-Cnr), è il coordinatore del gruppo di circa 80 tra tecnici e<br />

restauratori - provenienti dal Cnr, da otto Università italiane, dall’Università di Oslo e dal Cnrs di<br />

Bordeaux - che sta lavorando sul cantiere di Hierapolis. “Erano circa mille i blocchi decorati<br />

provenienti dal crollo della facciata della scena”, spiega. “Sono stati studiati, catalogati, ricostruiti in<br />

3D con le tecniche più avanzate e riposizionati in un modello virtuale del teatro. Senza l’ausilio<br />

delle nuove tecnologie l’opera sarebbe stata molto più impegnativa. Architetti e archeologi hanno<br />

avuto il pieno sostegno dell’Ibam-Cnr, che vanta una lunga esperienza sui progetti di<br />

valorizzazione del patrimonio archeologico e qui ha messo in capo tutti i suoi specialisti: dello<br />

scavo stratigrafico, della cartografia computerizzata, delle prospezioni geofisiche, del<br />

telerilevamento, delle analisi sui manufatti, delle ricostruzioni virtuali. Grazie a questo sforzo si è<br />

potuto ricostruire la scena perfettamente. Ora ogni singolo blocco di marmo, prima di essere<br />

ricollocato nella posizione originaria, sarà restaurato, dotato di perni speciali e integrato delle parti<br />

mancanti”.<br />

Il progetto di restauro, elaborato dagli architetti della missione archeologica italiana, che qui lavora<br />

dal 1957, ha ricevuto il finanziamento del ministro della Cultura turco, Ertuğrul Günay, grazie<br />

all’intervento del governatore di Denizli, Yavuz Erkmen. Hierapolis è una località turistica molto<br />

importante. Sorge presso la celeberrima Pamukkale, nota per le sue sorgenti termali dalle cascate<br />

di calcare bianchissimo, frequentata ogni anno da milioni di turisti.<br />

“Il programma dei lavori prevede, oltre al restauro del teatro, lo scavo del Santuario delle Sorgenti,<br />

sorto sul luogo in cui sgorgano le acque termali che creano le fantastiche formazioni bianche di<br />

calcare che danno al sito il nome di ‘Castello del Cotone’ (Pamukkale)”, prosegue D’Andria. “Un<br />

altro obiettivo della Missione riguarda il complesso monumentale di età bizantina (V sec. d.C.)<br />

sorto sul luogo della sepoltura dell’Apostolo Filippo, che costituiva uno dei centri maggiori di<br />

pellegrinaggio della prima età cristiana”.<br />

newsletter del CNR<br />

---------------------------------<br />

Lo statuto di San Leucio<br />

Si trattò di un esperimento sociale, nell’età dei lumi, di assoluta avanguardia nel<br />

mondo, un modello di giustizia e di equità sociale raro nelle nazioni del XVIII secolo e<br />

non più ripetuto così genuinamente nemmeno nelle successive rivoluzioni francese e<br />

marxista. I lavoratori delle seterie usufruivano di diversi benefici: veniva loro<br />

assegnata una casa all’interno della colonia, usufruivano di formazione gratuita (qui il<br />

re istituì la prima scuola dell’obbligo d’Italia femminile e maschile che includeva<br />

discipline professionali) e le ore di lavoro erano 11, mentre nel resto d’Europa erano<br />

14. Le donne ricevevano una dote dal re per sposare un appartenente della colonia, e<br />

a disposizione di tutti vi era una cassa comune “di carità”, dove ognuno versava una<br />

parte dei propri guadagni. Non c’era nessuna differenza tra gli individui qualunque<br />

fosse il lavoro svolto, l’uomo e la donna godevano di una totale parità in un sistema<br />

che faceva perno esclusivamente sulla meritocrazia. Era abolita la proprietà privata,<br />

132


Post/teca<br />

garantita l’assistenza agli anziani e agli infermi, ed era esaltato il valore della<br />

fratellanza. Il Codice legislativo si rivolge ad una società già esistente, adattandosi ad<br />

essa e, addirittura, non ne fissa un’immagine definitiva ed immobile nel tempo, ma<br />

tiene conto della sua naturale evoluzione, prevedendone “nuovi bisogni”. In questa<br />

visione dinamica s’inserisce il tentativo di espansione del nucleo iniziale, rappresentato<br />

dal piano di ampliamento del villaggio manifatturiero nella grande città di<br />

Ferdinandopoli.<br />

fonte: http://<br />

alchemico.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

post/943050747/<br />

lo-<br />

statuto-<br />

di-<br />

san-<br />

leucio<br />

-----------------------------------<br />

"Ci sono cose che non si ripetono mai a sufficienza. Una di<br />

queste è: se ti dice che non ti vuole più vedere, non ti vuole<br />

più vedere. Non vuole essere riconquistata, non vuole che la<br />

chiami, non vuole fiori, cioccolatini, scritte con lo spray sotto<br />

casa e tantomeno fiori “alla casa”. Non vuole niente, vuole<br />

solo che tu ti levi di torno. Nel caso specifico, l’unico motivo<br />

per cui non ti dice semplicemente e allenianamente<br />

“Sparisci, sgorbio” è che pensa che tu sia matto. E dei matti è<br />

difficile prevedere le mosse. Dove finisce il corteggiamento e<br />

inizia lo stalking? In un punto preciso, ed è quello in cui lei ti<br />

dice “Non farti più vedere”. Da quel punto lì, puoi essere<br />

certo che non la stai riconquistando, le stai dando fastidio.<br />

Le sembri un pazzo impermeabile ai più elementari segnali<br />

di rigetto. Sì, lei sbaglia a dire “Ci tengo a te”, quando la<br />

formulazione corretta sarebbe “Non voglio più stare con te”,<br />

ma a uno la cui idea di esprimere imperituro amore è il<br />

vandalismo vorrai mica poter dire la verità?"<br />

fonte: http://<br />

biancaneveccp.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

-----------------------------<br />

133<br />

- Me parlare donna un giorno (via plettrude)


Post/teca<br />

"Certo, dio ha creato l’universo, ma non ce l’avrebbe mai fatta<br />

senza i fascicoli De Agostini."<br />

— IL BLOG CHE SE LO<br />

fonte: http://<br />

imod.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

--------------------------<br />

VEDI,<br />

POI MUORI:<br />

Il Creazionissimo<br />

"Sono fallimentare come scrittore. Scrivo i libri che finiscono nelle<br />

librerie esposte ad Ikea."<br />

— Le chiacchiere stanno<br />

a uno:<br />

quel que tu m ’ a dit<br />

fonte: http://<br />

imod.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

fonte originaria: http://<br />

serena-<br />

gandhi.<br />

blogspot.<br />

com/<br />

------------------------------<br />

NON MI ROMPETE I COGLIONI<br />

Ci sono magnifiche storie su come vanno a finire le speculazioni intellettuali troppo<br />

intricate. Vecchio, stanco. Ossesionato dal sospetto di un oscuro malvolere altrui, Carlo<br />

Emilio Gadda ricevette un cartoncino d’invito della casa editrice Einaudi. Era una<br />

comunicazione anonima, spedita sulla base di un indirizzario standard, che ne sollecitava<br />

la presenza a non so quale insignificante dibattito sulla letteratura. Ma l’Ingegnere non<br />

poteva credere all’imparziale e cieca automaticità degli uffici di relazioni esterne. “Perchè<br />

hanno invitato proprio me?”, si chiedeva. “Non ci vado. Potrei incontrare Tizio , che mi<br />

vuole male,o Caio, che detesto.” Gli umori atrabiliari di Gadda erano imperscrutabili. Sottili<br />

e distruttive nevrosi traevano nutrimento dai misteri indicibili della vita quotidiana. “Ma se<br />

non ci vado - ragionava inquieto tra sé ne sé - noteranno la mia assenza. Penseranno a<br />

uno sgarbo”. Si macerava: “Gli invierò una missiva comunicando che sono malato”.<br />

Eppure: “Qualcuno potrebbe smentire la mia giustificazione, e ci farei la figura del<br />

maleducato, del bugiardo!”. Dopo una settimana di torture psicologiche, di ripensamenti, di<br />

colossali argomenti via via perfezionati ma alla fine respinti per qualche insopprimibile<br />

vizio logico, di scuse sempre più tortuose immaginate e accantonate con crescente<br />

disperazione, al colmo di una sofferenza ansiosa che gli levava ogni altro pensiero,<br />

l’Ingegnere afferrò carta e penna, preparò la busta indirizzata a Giulio Einaudi editore,<br />

proprio lui, via Umberto Biancamano 1, Torino, e scrisse il biglietto definitivo: “Non mi<br />

rompete i coglioni. Carlo Emilio Gadda”.<br />

Tratto da Il più mancino dei tiri di Edmondo Berselli (via TumbleRael)<br />

fonte: http://<br />

tumblr.<br />

eppol.<br />

net/<br />

page/6<br />

134


Post/teca<br />

-----------------------<br />

C’è chi colleziona francobolli, o scatole di<br />

fiammiferi. Tu collezioni rancori.<br />

----------------------------<br />

La versione di Barney (M. Richler)<br />

Una cellula umana contiene 75MB di<br />

informazioni genetiche. Uno spermatozoo ne<br />

contiene la metà, 37,5MB. Un millilitro di<br />

seme contiene circa 100 milioni di<br />

spermatozoi. In media, l’eiaculazione dura<br />

per 5 secondi e contiene 2.25 millilitri di<br />

seme.<br />

Ciò significa che il throughput del membro di<br />

un uomo è di (37.5 x 100000000 x 2.25)/5,<br />

cioé 1.6875 Terabyte al secondo.L’ovulo<br />

femminile può sopportare questo attacco e<br />

lascia passare solo UN pacchetto di dati,<br />

cosa che ne fa il miglior fottuto firewall del<br />

mondo. Il lato negativo è che quel singolo<br />

pacchetto di dati blocca il sistema per nove<br />

mesi.<br />

135


Post/teca<br />

----------------------<br />

[ Ilario P. on facebook ] (via composmentis)<br />

Le persone sono più spaventate dalle loro<br />

passioni che da qualunque altra cosa<br />

Il declino dell’occidente (Hanif Kureishi)<br />

Ti è mai capitata una cosa del genere, che<br />

qualcuno che credi di conoscere a fondo<br />

cambi fino a diventare irriconoscibile?<br />

Il declino dell’occidente (Hanif Kureishi)<br />

Quando nel mondo appare un vero genio,<br />

lo si riconosce dal fatto che tutti gli idioti<br />

fanno banda contro di lui<br />

--------------------------------<br />

Una banda di idioti (John Kennedy Toole)<br />

Secondo certa gente Dio non avrebbe nemmeno la barba e il mantello. Io non lo so, ma<br />

comunque stiano le cose per me la questione più interessante non è se Dio esiste o non<br />

esiste, ma come passa le giornate. […]<br />

Alla mattina si alza abbastanza presto, verso le nove (in realtà non avrebbe bisogno di<br />

dormire, ma gli piace l’idea) fa colazione cincischiando con Internet, controlla la posta, due<br />

carezze al suo cagnolino Gesù e doccia. Anche qui, non ne avrebbe bisogno. Il fatto è che<br />

sa quanto sia piacevole starsene sotto l’acqua calda a pensare, finché la pelle non inizia a<br />

fare le pieghette. Anche il pomeriggio non è niente di speciale: un libro, un po’ di musica,<br />

una puntatina su qualche sito porno, insomma, le solite cose. L’unica cosa è che non può<br />

uscire di casa. Del resto è ovvio, essendo la sua casa l’universo.<br />

fonte: http://tumblr.eppol.net/post/712088162/la-giornata-tipo-di-dio<br />

---------------------<br />

136


Post/teca<br />

Ogni inizio infatti<br />

è solo un seguito<br />

e il libro degli eventi<br />

è sempre aperto a metà.<br />

Wislawa Szymborska<br />

fonte: http://<br />

acchiappanuvole.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

137


Post/teca<br />

anthology agosto 2010 II<br />

20100814<br />

14/8/2010<br />

La cultura cinese<br />

non deve fare paura<br />

FRANCO BRUNI<br />

Gli economisti hanno sempre più bisogno di<br />

antropologi. Per capire dove va il mondo<br />

globalizzato occorre la geo-economia, cui<br />

serve la geo-politica. Ma entrambe richiedono<br />

«geo-cultura», dove siamo più indietro.<br />

L’aspetto più rilevante, anche sul fronte<br />

culturale, è il ruolo dei Paesi emergenti e, in<br />

particolare, della Cina, con la quale<br />

l’Occidente sta cercando il giusto modo per<br />

rapportarsi. Si è parlato a sproposito di G2:<br />

un mondo governato da Cina e Usa. Mentre<br />

le relazioni sino-occidentali registrano<br />

continue incomprensioni e incidenti: dai diritti<br />

umani alla libertà del global web, da questioni<br />

strategico-militari, come Iran e Corea, a<br />

quelle ecologiche, ai bisticci nel Wto e sul<br />

tasso di cambio. Frattanto si rafforza<br />

l’influenza della finanza e della politica cinese<br />

in tutto il mondo. Se la qualità del dialogo fra<br />

Occidente e Cina non migliora saranno guai<br />

economici e politici.<br />

Ed ecco la geo-cultura: il nostro<br />

atteggiamento verso la cultura cinese deve<br />

maturare più svelto. A volte sembra inceppato<br />

e sciocco. È come se pensassimo che, visto<br />

che ci imitano nelle forme dello sviluppo<br />

economico, che hanno abbandonato i loro<br />

138


Post/teca<br />

vestiti per i nostri, che studiano nelle nostre<br />

università, i cinesi gareggino solo sul nostro<br />

stesso terreno e inseguano un adeguamento<br />

completo alla nostra cultura, lasciando la loro,<br />

millenaria, al folclore antiquario. È l’idea che<br />

la globalizzazione può avvenire solo sotto<br />

l’egida di una cultura essenzialmente<br />

occidentale. L’idea, insieme timorosa e<br />

arrogante, che la concorrenza di Pechino sia<br />

una minaccia dannosa ma che soccomberà<br />

se i cinesi non accetteranno del tutto, fra<br />

l’altro, la nostra concezione della democrazia.<br />

Conviene provare a pensare diversamente.<br />

La Cina adotta strumentalmente nostri<br />

costumi e infrastrutture culturali, ma la cultura<br />

globale del futuro conterrà elementi irriducibili<br />

di quella cinese, che l’Occidente deve<br />

individuare e condividere per tempo, nutrendo<br />

così la sua disponibilità a un vero dialogo fra<br />

pari, a una diplomazia economica e politica,<br />

privata e pubblica, spogliata di paure<br />

aggressive, a una collaborazione senza<br />

supponenze con quello che potrebbe tornare<br />

a essere, come l’etimo del suo nome, il<br />

«paese centrale».<br />

Gli elementi della cultura cinese ai quali fare<br />

attenzione fanno riferimento a quelli che, fin<br />

dai secoli lontanissimi, sono giunti in Europa<br />

dall’Oriente, per vie traverse e mediate, con<br />

una contaminazione certo non nuova, ma che<br />

va rinnovata e rafforzata. Alcuni di questi<br />

elementi, importanti per l’economia e la<br />

politica, impressionano chi, come me, è lungi<br />

dall’essere un sinologo.<br />

A cominciare dalla densità di concetti e<br />

messaggi contenuta in ogni «mattone» del<br />

linguaggio con cui i cinesi si esprimono e<br />

ragionano. La scrittura ideografica è solo<br />

l’aspetto più evidente di un modo di pensare<br />

e comunicare più «quantistico» del nostro,<br />

dove il singolo carattere-vocabolo ha<br />

significati diversi persino a seconda della<br />

calligrafia e si collega agli altri con un’algebra<br />

139


Post/teca<br />

più complessa di quella con cui le nostre<br />

lettere formano le parole e le frasi. Il<br />

linguaggio cinese ha una maggiore<br />

predisposizione del nostro a trattare le<br />

sfumature e la complessità e meno pretese di<br />

trasmettere messaggi neutri, oggettivi, adatti<br />

a una razionalità aristotelica. A ciò non è<br />

estranea la ritrosia con cui i cinesi accettano<br />

l’alternativa secca fra affermazione e<br />

negazione, vero e falso, bianco e nero, la loro<br />

grande confidenza coi vari toni di grigio.<br />

E non è solo il confine fra il sì e il no che la<br />

logica cinese tende a sfumare, ma tanti altri<br />

confini che noi pretendiamo di considerare<br />

netti. Il confine, per esempio, fra individuo e<br />

collettività che il confucianesimo presenta in<br />

modo diverso dall’individualismo occidentale.<br />

Il confine fra l’oggi e il domani, con la maggior<br />

propensione dei cinesi a guardar lontano<br />

anche quando sembrano concentrati con<br />

avidità sul presente, anche quando<br />

soddisfano con impeto il loro piacere per<br />

l’azzardo, per il gioco, per la graziosità<br />

dell’effimero, anche quando cavalcano con<br />

apparente imprudenza cambiamenti<br />

rivoluzionari, subitanei e bruschi. E, ancora, a<br />

sfumare è il confine fra sostanza e<br />

apparenza: un confine che a noi dà ansia e<br />

sensi di colpa, mentre i cinesi accettano la<br />

legittimità della sovrapposizione-confusione<br />

fra forma, estetica, galateo, rito, mito,<br />

cerimonia, e ciò che apparenze e simboli<br />

vogliono significare. È sfumato anche il<br />

confine fra il diritto e le relazioni amicali e<br />

gerarchiche, personali e di gruppo. In molti<br />

modi la sfumatura dei confini investe poi<br />

quello fra vita e morte.<br />

Un’iniezione di questo genere di elementi nel<br />

tessuto della cultura occidentale può<br />

generare contrasti e traumi. Ma può anche<br />

arricchirci e dar luogo a una mescola più<br />

adatta per affrontare i problemi con cui ci<br />

misuriamo. Una mescola più potente per<br />

140


Post/teca<br />

gestire le complessità che la razionalità<br />

occidentale si sforza di semplificare in schemi<br />

cartesiani, con risultati sovente inadeguati.<br />

Proviamo ad accennare un elenco disordinato<br />

di possibili utilizzi di una cultura iniettata di<br />

cineserie. Servirebbe, innanzitutto, ad<br />

apprestare qualche cura alla nostra<br />

democrazia, che è in crisi per tante ragioni.<br />

Riusciremmo forse a: maneggiare meglio la<br />

compatibilità fra pubblico e privato, fra<br />

interessi individuali, corporativi e collettivi;<br />

trovare nuova forza per esaltare la<br />

complementarità fra i meccanismi di<br />

alternanza, tipo destra-sinistra, e<br />

convergenze e mobilitazioni indispensabili per<br />

grandi azioni collettive; accettare e, insieme,<br />

superare, i limiti sempre più clamorosi della<br />

legittimazione elettorale del potere; impostare<br />

relazioni internazionali meno muscolari e<br />

riconoscere sostanziali poteri sopranazionali<br />

per un mondo globale, prima ancora di averli<br />

legittimati all’occidentale; riaffermare lo stato<br />

di diritto e l’indipendenza del potere<br />

giudiziario, comprendendo con più sereno<br />

realismo che non sono fini assoluti ma<br />

strumenti imperfetti.<br />

Capiremmo inoltre meglio: come guardare al<br />

lungo periodo nelle nostre decisioni,<br />

pubbliche e private; come sposare l’anonimità<br />

del mercato economico, aperto a tutti, con gli<br />

affari basati su relazioni esclusive, personali e<br />

di gruppo; come accettare le inevitabili<br />

mescolanze del laico col religioso; come fare<br />

affari e politiche che sono davvero<br />

multiculturali, non perché usiamo algoritmi<br />

occidentali per evitare «scontri di civiltà», ma<br />

perché abbiamo un concetto meno arrogante<br />

dei confini di una cultura. L’impressione è che<br />

i cinesi siano da tempo al lavoro per studiarci,<br />

cercando la fusione culturale dove lasceranno<br />

il loro potente imprinting. Abbassiamo le<br />

difese e le paure e mettiamoci a lavorare<br />

anche noi per accelerare la scoperta della<br />

formula migliore per la mescola. C’è da<br />

141


Post/teca<br />

guadagnare per tutti: non occorre fare i conti<br />

all’occidentale per esserne sicuri.<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

lastampa.<br />

it/_web/<br />

cmstp/<br />

tmplRubriche/<br />

editoriali/<br />

gEditoriali.<br />

asp?<br />

ID_<br />

blog=25&ID_<br />

articolo=7709&ID_<br />

sezione=&sezione=<br />

----------------------<br />

13/08/2010 -<br />

Massimo Mila, dal carcere<br />

alle vette<br />

la vita come sfida<br />

Nasceva 100 anni fa il critico musicale amico di Bobbio.<br />

Famoso per gli studi su Verdi e per le polemiche con il<br />

Pci<br />

ALBERTO PAPUZZI<br />

TORINO<br />

Quando Massimo Mila è arrestato, a Torino il 15 maggio 1935, con Vittorio Foa e<br />

altri giovani antifascisti del gruppo Giustizia e Libertà, nella prima lettera scritta<br />

alla madre così conclude: «Non mancandomi il tempo per meditare, può darsi che<br />

qui dentro diventerò filosofo: ma spero vivamente di non averne il tempo». Era il<br />

suo noto understatement, dietro cui si celava un uomo capace di scelte drastiche, e<br />

anche dure, come in un'altra lettera alla madre, del 30 dicembre da Roma, dov'è in<br />

attesa del processo che lo vedrà condannato a sette anni di carcere: «Ficcati bene in<br />

testa che io sto benissimo, che il vivere separati è cosa che doveva pur succedere<br />

una volta o l'altra, che la pena che mi è data io me la tengo onore». Questa mistura<br />

di orgoglio e rigore lo spinge addirittura a un elogio della galera: «La mia vita qui<br />

non è affatto anormale: se non mi mancaste voi e la montagna, direi che è la miglior<br />

142


Post/teca<br />

vita che posso desiderare: niente da fare, leggere, studiare, pensare».<br />

Nato a Torino il 14 agosto 1910, studente del D'Azeglio, il liceo della buona<br />

borghesia cittadina, aveva per compagni Bobbio e Ginzburg, Pavese e Einaudi. La<br />

mamma si raccomanda al loro professore Augusto Monti perché lo tenga lontano<br />

dai pericoli della montagna. Ci voleva altro! Nel 1928, a 18 anni, con Renato Chabod<br />

apre una via sull'Herbétet (3778 m) nel Gran Paradiso: è la via della cresta Sud-<br />

Ovest, fra temibili spuntoni. Le scalate erano la sua grande passione da quando Tota<br />

Paganôn lo portava ragazzino ai Picchi del Pagliaio in Val Sangone (come raccontò<br />

in un esilarante articolo). Alla morte, 26 dicembre 1988, si trovò fra le sue carte un<br />

curriculum estremamente dettagliato dell'attività alpinistica, con oltre<br />

centocinquanta salite fra cui il Monte Bianco lungo quattro vie diverse, Jorasses e<br />

Cervino, senza contare una grande quantità di gite scialpinistiche. Come scrisse<br />

Italo Calvino, la passione di Mila per la montagna faceva scoprire un uomo «che<br />

certo non aveva problemi con se stesso, che sapeva senza incertezze cosa gli piaceva<br />

e cosa non gli piaceva, così come sapeva cosa doveva e cosa non doveva fare: da ciò<br />

l'ostinazione e la sicurezza in quel che diceva e faceva».<br />

Naturalmente la montagna era un hobby, la sua professione era quella di storico<br />

della musica e di critico musicale. Protagonista di un esordio folgorante quando la<br />

tesi di laurea, Il melodramma di Verdi, viene pubblicata da Laterza, nel 1933, su<br />

insistente consiglio di Benedetto Croce, la sua precoce carriera, che lo vede a<br />

ventitré anni redattore della Rassegna Musicale e coinvolto nel Maggio Fiorentino è<br />

però interrotta dagli arresti per antifascismo e in seguito dalla partecipazione alla<br />

Resistenza nel Canavese, come ispettore militare partigiano. Tuttavia trova il tempo<br />

per tradurre due libri culto come Le affinità elettive di Goethe e Siddharta di<br />

Herman Hesse, entrambi per Einaudi, di cui diventa redattore nel 1945, restandone<br />

consulente fino alla morte. L'anno dopo esce il suo libro più conosciuto: Breve<br />

storia della musica, eccellente e pratico compendio, che l'editore ripubblica per<br />

cinquant'anni. Quindi verranno L'arte di Verdi, Compagno Strawinsky e le<br />

Letture: Don Giovanni, Nozze di Figaro, Flauto Magico, Nona Sinfonia.<br />

Collaboratore dell'Unità dal dopoguerra, dell'Espresso dal 1955 e della Stampa dal<br />

1967, non è opinionista che rifugga le polemiche, come quando entra in contrasto<br />

con Roderigo di Castiglia, pseudonimo di Togliatti, attorno al rapporto fra cultura e<br />

politica, querelle che ricorda quelle sullo zdanovismo fra Togliatti e Vittorini e fra<br />

Togliatti e Bobbio. Mila nel 1949 recensisce sulla Rassegna Musicale un libro<br />

inglese sulla musica in Urss. Togliatti su Rinascita si stupisce di vedere Mila<br />

allineato «con i Comitati civici nell'accusare d'ignoranza Zdanov». Poi scaglia una<br />

143


Post/teca<br />

delle sue bordate (si sa che il Migliore non eccelleva in finezza): «Ancora un passo,<br />

caro Mila, e vi troverete in compagnia di Benedetto Croce, a giudicare il marxismo<br />

coi criteri razzistici di Adolfo Hitler». Pacato ma fermissimo, il musicologo spiegava<br />

di essersi comportato come chi cerca di salvare un amico che vedeva correre alla sua<br />

rovina.<br />

Ma il «caso Mila» è quello che scoppia con un articolo in favore della pena di morte<br />

sulla Stampadell'11 febbraio 1981. I neofascisti del Msi avevano avviato una raccolta<br />

di firme per la pena capitale. «Naturalmente non firmo la petizione dei missini -<br />

scriveva Mila -. Ma mi dispiace che una causa tanto giusta venga lasciata a loro». Ne<br />

nasce un putiferio: gli rispondono fra gli altri Calvino, Eco, Sciascia, Valiani,<br />

Arbasino, Bocca. Lui replica che ricusare la pena capitale «è l'ultimo patetico sforzo<br />

per salvare l'Assoluto». Cita il processo di Norimberga: «Vogliamo deplorare<br />

l'"omicidio legale" dei grandi gerarchi nazisti?». In realtà bisogna leggere quel duro<br />

pronunciamento all'interno dell'insofferenza che Mila provava per le ipocrisie<br />

politiche di ogni sorta, per cui ci si stracciava le vesti di fronte all'imbarbarimento<br />

della criminalità, ma non si faceva granché per combatterla se non sventolare<br />

vecchie bandiere.<br />

Personaggio complesso. La chiave che forse tiene insieme il musicologo che nel 1935<br />

si batte per il jazz, l'alpinista che cerca se stesso sulle montagne e lo scrittore civile<br />

che vede nel Pci «i nuovi piagnoni», ma per difenderli si dice disposto a fare l'utile<br />

idiota, è quella della sfida, per essere se stessi e per costruire l'Italia. In questo senso<br />

in un'intervista poco prima della morte mi disse che il vanto della sua vita era<br />

l'esperienza da partigiano.<br />

fonte: http://<br />

www3.<br />

lastampa.<br />

it/<br />

cultura/<br />

sezioni/<br />

articolo/<br />

lstp/298292/<br />

---------------------<br />

08/08/2010 - IL CASO<br />

144<br />

La vera storia dei bronzi di<br />

Riace


Post/teca<br />

Finora si era creduto che venissero da lontano. Ma lo<br />

scrittore Mimmo Gangemi è convinto che siano stati<br />

forgiati a Kaulonía, in Calabria. E spiega perché<br />

MIMMO GANGEMI<br />

CAULONIA<br />

Vezzii, Vezzii» urlavano festosi i Brettii, dall'alto d'una collinetta a ridosso di<br />

Kaulonía, durante il compiersi dell'agonia della grande bireme romana, che colava a<br />

picco in uno sfasciume di legname. Mentre si dibatteva tra i flutti, avevano<br />

parteggiato per la dea Afrodite, e quindi per il mare che Poseidone, per accontentare<br />

la figlia di Zeus, in un niente aveva infuriato da schiaffeggiarne le fiancate con<br />

spallate di onde possenti. I marinai sui due ordini di remi avevano provato ad<br />

affondare le pale a pescare acqua, nel tentativo di tagliarla dell'angolazione che<br />

desse un impatto sopportabile.<br />

Troppo alte, però, le dune su cui si trascinava il mare. La bireme vi si inerpicava,<br />

sbatteva di prua, ripiombava giù con un tonfo, risaliva in cima, ricadeva. Dai legni,<br />

scricchiolii di assi, come contorti gemiti. La resa infine a Poseidone, che l'accolse nel<br />

suo ventre. Inghiottiti nave e marinai, il mare aveva finito di sfogare la rabbia sulle<br />

lunghe distese di sabbie e addosso alle pareti del promontorio di Corynthus. Vezzii<br />

era, per i Brettii, la dea della bellezza, l'Afrodite cui era dedicato il grande tempio di<br />

Kaulonía. Che i romani, approdati con la bireme, avevano appena spogliato delle<br />

statue bronzee dei due maestosi guerrieri, piantati su basamenti e sempre lì a<br />

memoria di Brettio. Erano gli ultimi guardiani della città, abbandonata da dopo la<br />

sconfitta di Annibale.<br />

Fin qui la leggenda giunta ai giorni nostri. È invece storia che i Brettii erano ciò che<br />

rimaneva dei Greci arrivati dall'Acaia, o da Crotone, anch'essa achea, e fondatori di<br />

Kaulonía, tra l'VIII e il VII secolo a. C., essendosi le due popolazioni integrate lungo<br />

gli anni - ne sono prova le molte monete brettie trovate nel sito. Dopo la disfatta di<br />

Annibale, con cui s'erano alleati, i Greci-Brettii erano schiavi di Roma. E di nuovo<br />

Brettii da quando, per scampare alle rappresaglie, s'erano ritirati sulle alture.<br />

Apposta, nel ratto dei bronzi, avevano parteggiato per il mare e gioito alla sua<br />

vittoria: meglio in braccio a Poseidone, i due eroi giganti, che a decoro di Roma.<br />

Leggenda è pure quella che riporta le origini di Kaulonía ai tempi della guerra di<br />

Troia: l'amazzone Cleta, nutrice della regina Pentesilea, navigò alla volta di Troia<br />

dopo aver saputo che la sua padrona lì era stata uccisa da Achille; la nave fu<br />

dirottata da una tempesta e dovettero approdare nei luoghi attorno a Capo<br />

145


Post/teca<br />

Corynthus, dove fondarono la città di Cleta e dove furono raggiunti da altri Troiani<br />

scampati alla distruzione. Le regine che si succedettero ebbero tutte il nome Cleta.<br />

L'ultima Cleta fu uccisa dagli achei Crotoniati. Con il giavellotto - l'arma dei vili,<br />

perché scagliata da lontano - nel condurre all'attacco le sue amazzoni, mentre il<br />

cielo consumava il giornaliero miracolo di squagliare la notte e il mare s'adagiava<br />

carezzevole sulla sabbia. Il figlio, Caulon, diede poi il suo nome alla città.<br />

C'è da credere che ad amazzoni e troiani corrispondessero gli indigeni - gli Enotri,<br />

antenati dei Brettii. Per i Greci, infatti, i forestieri erano tutti barbari, tranne i<br />

Troiani - questi solo meno barbari degli altri, però. Essersi imbattuti, nei dintorni<br />

della futura Kaulonía, in un popolo con un certo livello di civiltà li dovette<br />

sorprendere, e convincere che si trattasse dei discendenti dei Troiani.<br />

Tornando ai due bronzi affondati assieme alla bireme e ai romani e attribuendo alla<br />

leggenda lo spunto di verità d'obbligo, non è una bestemmia riconoscere nelle due<br />

statue sottratte i Bronzi di Riace e la loro realizzazione nelle officine bronzee di<br />

Kaulonía da parte di artisti magno greci del luogo. L'ipotesi è suffragata da dati che<br />

la rendono plausibile quanto le tante altre esistenti - sul punto c'è tutto e il contrario<br />

di tutto, quindi, di fatto, il buio, con gli studiosi che le ipotizzano realizzate in<br />

Magna Graecia, in Grecia, a Roma addirittura, le collocano a Locri Epizefiri, a<br />

Taranto, nell'agorà di Atene, ad Argo, in posti imprecisati della Grecia, le<br />

attribuiscono a Fidia, alla scuola di Fidia, a Pitagora di Reggio, a Pitagora di Samo, a<br />

Mirone, ad Alkamenes, ad Agelada di Argo, a un anonimo artista magno greco, a<br />

uno attico, a uno peloponneso.<br />

Kaulonía, perché, di recente, durante gli scavi estivi condotti dalle due università di<br />

Pisa, è emersa un'officina bronzea, comprensiva di fornace per la fusione databile<br />

VI, V secolo a.C., di grande pregio artigiano, come testimoniano i reperti trovati:<br />

rami di alloro e di ulivo, lamine di rivestimento delle labbra, ciglia; e riccioli di<br />

barba e ciocche di capelli, simili a quelli dei due guerrieri, quasi che un barbiere si<br />

fosse applicato di forbice per sfoltire e modellare. Kaulonía, perché ricca, nelle zone<br />

interne, di miniere di rame e il bronzo è una lega costituita per oltre il 90% da rame.<br />

Kaulonía, perché dentro il santuario esistevano una serie di templi di cui restano<br />

elementi decorativi di grande raffinatezza, su tutti, i gocciolatoi, a forma di teste di<br />

leone, collocate a giro sulla cornice in alto. Il più grande è quello dorico, dedicato ad<br />

Afrodite, con il tetto in tegole di marmo pario e con i segni, nel colonnato antistante<br />

il mare, dell'esistenza di piedistalli a cui sono stati strappati due grandi statue, come<br />

nella leggenda.<br />

146


Post/teca<br />

Kaulonía, perché il mare di Riace, nei cui fondali è avvenuto il ritrovamento, è lì, a<br />

un tiro di schioppo. Kaulonía perché, partendo dal presupposto che i bronzi fossero<br />

stati depredati per portarli a Roma, non si spiegherebbe l'affondamento della nave<br />

nelle acque vicino a Riace, e vicino a Kaulonía, fuori rotta rispetto a un percorso<br />

dalla Grecia e da Locri, e invece plausibile se fossero partite da Taranto, da<br />

Metaponto, da Crotone e, appunto, da Kaulonía. Kaulonía, perché splendeva di<br />

civiltà - coniava monete in argento! - e simili capolavori camminano di pari passo<br />

con la grandezza di un popolo. Kaulonía perché, di fronte alle tenebre delle teorie<br />

più disparate, è un posto credibile quanto gli altri. Per similitudine, mi viene in<br />

mente il mastro Mico della mia adolescenza. Egli, di fronte alle ritrosie di una<br />

donna di facili costumi, «tutti sì e io no?» protestò, non credendo d'insidiarla con<br />

mani tentacolari che la rovistavano ovunque.<br />

Né contraddicono Kaulonía, le analisi sulla «sabbia di fusione» utilizzata, e che era<br />

presente all'interno dei bronzi: che sembri quella di Argo non prova nulla, non<br />

esistendo una documentazione stratigrafica dei suoli e delle cave intorno al<br />

Mediterraneo. A parte che indagini geologiche pare abbiano evidenziato grandi<br />

affinità tra le terre di Argo e quelle di Kaulonía.<br />

Comunque sia, le rovine dell'achea Kaulonía, alleata di Crotone e ostile a Locri,<br />

meritano d'essere visitate. È una camminata nella storia, e nella natura sfolgorante<br />

dell'alto Ionio reggino, dove il sole si erge dalle acque.<br />

Kaulonía è stata operosa e attiva dal VII secolo al II a.C., nel massimo splendore<br />

contava diecimila abitanti, sviluppava, attorno all'area del santuario, un impianto di<br />

città dalle gradevoli e lineari geometrie, con case a uno o due piani, disposte in file<br />

parallele, arterie principali e secondarie diritte e ortogonali, marciapiedi e portici,<br />

inoltre, impianti termali, la rete idrica, sistemi di drenaggio, una cinta muraria<br />

torrita. Si estendeva su quasi cinquanta ettari. Dal sito, emergono di continuo nuovi<br />

tesori. Altri li conserva il tratto di mare che, dopo aver sconfitto la bireme romana,<br />

ha inghiottito il Capo Coryntus, o Punta Stilo. La moderna cittadina di Caulonia, già<br />

Castelvetere, è quindici chilometri più a Sud. Ne ha usurpato il nome, che spettava a<br />

Monasterace.<br />

fonte: http://<br />

www3.<br />

lastampa.<br />

it/<br />

cultura/<br />

sezioni/<br />

articolo/<br />

lstp/294082/<br />

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05/08/2010 -<br />

147


Post/teca<br />

Luciano Erba, la poesia<br />

di un maestro segreto<br />

Lo scenario era un festival letterario, qualche anno fa, dove un gruppo di autori<br />

spagnoli parlavano al pubblico dei loro libri, ma soprattutto di politica, di grandi<br />

sistemi, scenari internazionali. A un certo punto un elegante signore dai capelli<br />

bianchi, corti, fitti e ordinati, e l'aria lievemente annoiata, rivolse una domanda<br />

assai pacata, forse un po' ironica: «Ma non vi sembra un po' riduttiva, tutta questa<br />

gabbia politica, per uno scrittore?». Era Luciano Erba, il poeta che nel 60 aveva<br />

scritto una raccolta destinata a battezzarne anche oltre il dovuto un profilo critico:<br />

Il male minore.<br />

È stato sempre fedele a un principio che amava riassumere così: «tutta la vita, a<br />

partire dalla mia famiglia, mi sono spinto a rifiutare i fasti gotici di una certa scuola,<br />

preferendo i piccoli dettagli della realtà di ogni giorno. Quelli che appartengono a<br />

una società intera», come fece ricevendo un premio alla poesia «civile». È morto<br />

l'altra sera nella sua casa milanese, a 87 anni; per mezzo secolo è stato uno di quei<br />

maestri segreti che hanno nutrito nel profondo una lunga stagione della nostra<br />

poesia. Il «male minore» gli ha anche un po' nuociuto, visto che sulla base di<br />

un'evidente assonanza qualche critico che non lo amava ha finito per considerarlo<br />

un epigono montaliano; e il gusto per l'ironia, sempre leggera, elegante, metafisica,<br />

ne ha fatto un caso atipico nel panorama italiano.<br />

Dal suo esordio nel 51 con Linea K alla grande antologia personale del 2000,<br />

Terre di mezzo, passando per libri con Il nastro di Moebius e L'ippopotamo, quasi<br />

un trattato morale per microimmagini (dell'89), Erba ha pubblicato relativamente<br />

poco, distillando una poesia che emergeva quando voleva lei, attenta alla grande<br />

tradizione italiana (Novecento compreso) lontana dalle ideologie, legata a un clima,<br />

a una terra e anche a una certa idea di Milano. Fra i suoi versi c'è anche una sorta di<br />

congedo, severamente bonario: «Questi ultimi anni avuti in premio/ hanno a volte<br />

il gusto un poco sfatto/ di certe scatolette di tonno/ che si mangiano ai bordi del<br />

torrente/ sull'erba corta, dopo una camminata:/ il vino è fresco/ la bottiglia tra sassi<br />

e corrente».<br />

148


Post/teca<br />

fonte: http://<br />

www3.<br />

lastampa.<br />

it/<br />

cultura/<br />

sezioni/<br />

articolo/<br />

lstp/292232/<br />

------------------<br />

20100816<br />

Poter essere utili é un favore che ci fanno. Domenico<br />

via: http://<br />

apertevirgolette.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

----------------------<br />

Cieri Estrada<br />

- Sei al sicuro con me<br />

- Non sono affatto al sicuro, con te. Ma non<br />

ho alcun desiderio di essere altrove.<br />

A. BYATT, POSSESSIONE DREAMS-<br />

EATER:PRINCESSPARANOIA:PLETTRUDE:REASONS<br />

TO<br />

BE CHEERFUL:<br />

(VIA UNTEMPORALE)<br />

(VIA BIANCANEVECCP)<br />

Quello che mi serve è un piano. Quello che<br />

voglio è aprire gli occhi domani mattina e<br />

svegliarmi in un letto diverso, in una vita<br />

diversa, nella parte opposta del mondo.<br />

via: http://<br />

nives.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

----------------------<br />

SONO IO CHE ME NE VADO - VIOLETTA BELLOCCHIO<br />

"Un essere umano deve essere in grado di cambiare un<br />

pannolino, pianificare un’invasione, macellare un maiale,<br />

guidare una nave, progettare un edificio, scrivere un sonetto,<br />

tenere la contabilità, costruire un muro, aggiustare un osso<br />

rotto, confortare i moribondi, prendere ordini, dare ordini,<br />

149


Post/teca<br />

collaborare, agire da solo, risolvere equazioni, analizzare un<br />

problema nuovo, raccogliere il letame, programmare un<br />

computer, cucinare un pasto saporito, battersi con<br />

efficienza, morire valorosamente.<br />

La specializzazione va bene per gli insetti."<br />

via: http://<br />

biancaneveccp.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

----------------------<br />

- Robert A. Heinlein (via justanemptyspace) (via clairefisher)<br />

Mi piace pensare che il giorno della vostra nascita avete ricevuto in regalo il<br />

mondo.<br />

Leo Buscaglia<br />

via: http://<br />

angolo.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

----------------------<br />

“Con amore, per il comunismo”<br />

di nichi vendola<br />

Gli anni che stiamo attraversando, gli anni che ci stanno attraversando, appaiono<br />

più veloci poiché più rapidi sono i ritmi dello sviluppo, più carichi di fretta sono i ritmi<br />

di svolgimento dei nostri destini individuali, con vertiginosa rapidità si accavallano<br />

scenari vecchi e nuovi, si profilano orizzonti inediti, si aggrovigliano contraddizioni.<br />

La velocità non è solo un parametro con il quale misuriamo i nostri tempi, ma è un<br />

valore in nome del quale pieghiamo il tempo in rigide compatibilità, lo frantumiamo<br />

in orari convulsi e nevrotici, lo scandiamo anzi ci scandisce, con un tic tac estraneo<br />

e quasi beffardo. È l’orologio di questa organizzazione dei rapporti sociali che<br />

decide del mio tempo, annullando con feroce disinvoltura i tempi del mio corpo, dei<br />

miei bisogni, per esempio del mio bisogno di prendere tempo o di perdere tempo.<br />

È un tempo ferito, il mio tempo: non mi mancano solo gli spazi nella città nemica e<br />

spaccata in mille fette di solitudine, mi manca il mio tempo, e ho sempre una fottuta<br />

paura di non essere, di non giungere “in tempo”. Il tempo della politica e il tempo<br />

della vita: che allucinante assenza di sincroni il tempo affannoso, dolente, insonne,<br />

di quella mia compagna malata di cancro. Il tempo di chi ha poco tempo. Il tempo<br />

150


Post/teca<br />

del desiderio, di un desiderio che non vuole lasciarsi infilzare dalle dispotiche<br />

lancette del tempo della produzione o del tempo della morale: la mia voglia di<br />

amare quel ragazzo che amo, gridando al mondo intero che non è più “tempo” di<br />

amare nella vergogna, nella colpa, nel silenzio, nella paura, nella clandestinità,<br />

nella violenza, o di amare soltanto nella tremenda fretta di un incontro senza storia.<br />

L’etica e l’estetica del cespuglio, della lampo (lampo che ti folgora di caducità):<br />

anche lì tra quelle umanissime e ombrose fratte metropolitane il tempo troppo<br />

spesso è altro da te, È un tempo brutale.<br />

Ecco, io, sulla mia pelle, avverto l’urgenza, la voglia disperata di un tempo gentile.<br />

Ma non è questo, forse, il segno forte che ha connotato l’esistenza, la quotidianità,<br />

dei movimenti di massa in Italia e anche altrove?<br />

Il movimento delle donne non ha forse spaccato gli orologi di un dominio secolare,<br />

non è il tempo maschile e maschilista ciò di cui in realtà si è discusso anche nel<br />

dibattito alla Camera sulla violenza sessuale? Il tempo gerarchico, alienante,<br />

parcellizzato, virile, perbene fino alla nausea, produttivistico, diplomatico: ecco il<br />

nemico della donna, del giovane, del pacifista, dell’ecologista, dell’omosessuale,<br />

del comunista. Riempire, colmare il tempo di chances di vita, convertire, pervertire il<br />

tempo ai ritmi dei nostri corpo, dei nostri bisogni, dei nostri desideri. Non è questo il<br />

bisogno di comunismo che ci spinge a militare, a lottare, a sognare?<br />

Con questa chiave, compagni, ho letto le tesi del nostro congresso e ho ascoltato la<br />

lunga ma bella relazione del compagno Fumagalli: ci sono singoli punti sui quali è<br />

necessario discutere, dissentire, ma io mi sento di condividere appieno il taglio sia<br />

delle tesi che della relazione. Questo perché avverto dentro quello sforzo<br />

oggettivamente difficile di elaborazione, una grande intuizione, e cioé il<br />

rovesciamento di una lettura politicistica della realtà, la rottura di un’idea<br />

pedagogica del nostro ruolo, un’adesione più spregiudicata, più libera, più rischiosa<br />

ma anche più bella, al movimento delle cose.<br />

A me pare di poter parlare di un capovolgimento del giacobinismo della politica,<br />

quel giacobinismo che ci prefigurava scenari obbligati e percorsi necessari ora in<br />

nome di una concretezza tutta liberale ora in nome di un progettualismo tutto rinvii<br />

e consolatorie proiezioni verso un domani che non diventa mai oggi.<br />

La cultura del fare, dell’immediatezza, sono tutt’altro dal pragmatismo, dallo<br />

svilimento delle idealità, dal mero appiattimento al dato empirico: sono invece la<br />

palpabilità, la visibilità, la quotidianità di un progetto di trasformazione dell’esistente.<br />

Stare “dentro” l’universo frammentato dei giovani, stare dentro ciascun frammento,<br />

lì costruire sintesi sia pure parziali, lì costruire analisi e fare battaglie, lì, tra le<br />

pieghe e le piaghe del mondo vero, imparare a legare il piccolo al grande, il<br />

particolare al generale.<br />

Ecco, la politica come sperimentazione generosa, e contro il cinismo di chi<br />

151


Post/teca<br />

“commercializza” i brandelli della coscienza giovanile, senza più l’aristocratica<br />

presunzione di chi parla dei giovani, di questi giovani o muti o più sovente<br />

inascoltati, e ne parla con i codici degli “adulti”.<br />

Una sperimentazione che valorizzi l’esperienza di ciascuno, che dia voce a chi non<br />

ce l’ha, che legga nel cuore dei silenzi, che raccolga e non più schiacci noi stessi,<br />

noi tutti, corpi, passioni, allegrie, disperazioni, irriducibili utopie.<br />

Care compagne e cari compagni, io credo che questo Congresso possa lanciare<br />

una sfida grande alla società e allo stesso partito comunista, una sfida sulla<br />

politica, sulla cultura, sui valori. Ci sono questioni che vanno finalmente affrontate,<br />

con franchezza, scrollandosi di dosso un pesante fardello di pregiudizi e<br />

intolleranze. E l’indifferenza può essere più feroce dell’intolleranza.<br />

Vengo da un’esperienza politica in cui ho potuto misurare l’emergere prepotente di<br />

una questione omosessuale in termini di formazione di circoli, come qui a Napoli, di<br />

socializzazione, di storie, di fatiche, di itinerari individuali e collettivi, ma anche in<br />

termini di violenze immani, di solitudini senza scampo, di morti ammazzati.<br />

Per noi non si tratta solo di riconoscere la dignità dell’esperienza omosessuale, si<br />

tratta soprattutto di raccogliere la diversità e le diversità come una ricchezza grande<br />

e insostituibile del patrimonio morale e politico di chi vuole cambiare il mondo. Si<br />

tratta di fare un discorso spietato sulla cultura dominante, sul costume, sulla<br />

miserevole e violenta sessualità del maschilismo.<br />

Si tratta di tirar fuori le nostre storie. L’omosessualità è ancora l’amore che non osa<br />

pronunciare il suo nome? In questo campo, più che altrove, le parole sono pietre,<br />

pesano sulle coscienze, talvolta sono macigni.<br />

Ci sono molte persone, anche compagni, che soffrono di una sofferenza muta. È<br />

soprattutto con queste persone, con questi compagni, diciamo i “diversi” di ogni<br />

tipo, che ho voglia di costruire l’alternativa. Un’alternativa al ghetto del quartiere<br />

dormitorio, al ghetto della fretta spersonalizzante, della solitudine coatta,<br />

dell’impotenza, dei gesti della siringa e della fuga terrorizzata da se stessi.<br />

Compagne e compagni, ora concludo.<br />

In una stagione in cui pare di udire, con parole cifrate (e purtroppo il vezzo dei<br />

messaggi in codice ha preso piede anche nel PCI), un senso di estraneità, in alcuni<br />

comunisti adulti, alla parola comunista, noi della FIGC, io credo, dobbiamo ribadire<br />

con forza la nostra identità comunista. È vero, non siamo pentiti della nostra storia.<br />

Soprattutto non abbiamo smesso di aver voglia di trasformare le regole del gioco,<br />

perché questo è un gioco al massacro e noi vogliamo “giocare” e liberarci.<br />

Ma siamo comunisti non tanto per quello che ci lega al passato, alla tradizione del<br />

movimento operaio, quanto per quello che ci lega al futuro.<br />

La nostra identità dobbiamo “giocarcela” sul campo. Sul muro di un palazzone<br />

grigio di Bari, ho letto una frase scritta in vernice rossa in cattivo francese, ma il cui<br />

152


Post/teca<br />

senso era inequivocabile. Dalla nervosa geografia urbana, tra graffiti e walkman e<br />

neon lividi e metallica solitudine, fin dentro il mio cervello, e spero, fin dentro il<br />

vostro cervello: quella frase era “Con amore, per il comunismo”.<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

ilpost.<br />

it/2010/08/08/<br />

con-<br />

amore-<br />

per-<br />

il-<br />

comunismo/<br />

Quando Vendola divenne Vendola<br />

Il 23 febbraio 1985 il potenziale futuro leader del centrosinistra prese la parola a un<br />

congresso della FGCI...<br />

Quando Massimo D’Alema esprime con sarcasmo le sue risentite perplessità sul<br />

fatto che Nichi Vendola rappresenti il rinnovamento della politica qualche<br />

argomento concreto ce l’ha. A cercare negli archivi dei quotidiani nazionali si scopre<br />

che il governatore della Puglia ha cominciato a essere citato nella storia politica<br />

nazionale esattamente un quarto di secolo fa, nel febbraio del 1985 (come “Nic”). Il<br />

24 febbraio di quell’anno, ultimo giorno del congresso della FGCI a Napoli,<br />

Repubblica ospitò un articolo di Alberto Stabile sui nuovi giovani comunisti.<br />

Il fatto è che questi ragazzi della Fgci, nati nel 1968, i “post comunisti” li ha definiti<br />

qualcuno, non riconoscono la “centralità” della politica – pur facendo politica -; non<br />

credono nel potere totalizzante delle ideologie, pur proclamandosi comunisti;<br />

rifiutano – per dirla con uno di loro, Nic Vendola, doppia tessera dell’Arci-gay e<br />

della Fgci, protagonista di uno degli interventi più applauditi – una concezione della<br />

politica intesa come “alchimia del potere”.<br />

Tre settimane dopo la FGCI nominò i suoi organismi dirigenti, di cui entrò a far<br />

parte a 26 anni Nichi Vendola, come responsabile per l’ambiente. Il suo ingresso<br />

nella Segreteria fu un effetto dell’intervento di Napoli, “uno degli interventi più<br />

applauditi”, che segnò di fatto la discesa in campo nella politica nazionale del futuro<br />

governatore della Puglia e oggi potenziale futuro candidato premier del<br />

centrosinistra, da quando Vendola ha messo i piedi nel piatto delle goffaggini del<br />

PD e ha di fatto convocato delle primarie al momento formalmente non previste. Ma<br />

torniamo al 1985.<br />

Il 23 febbraio, a Napoli, Vendola sale sul palco e tiene un discorso “applauditissimo”<br />

e tuttora memorabile per quelli che c’erano. Non c’era ancora Vendola come lo<br />

conosciamo, allora: però c’era già. È infatti interessante leggere in quel testo – del<br />

quale il Post ha recuperato il manoscritto – le stesse visioni, lo stesso eloquio<br />

153


Post/teca<br />

barocco e le stesse ispirate metafore che hanno portato Vendola dove è arrivato<br />

oggi.<br />

La velocità non è solo un parametro con il quale misuriamo i nostri tempi, ma è un<br />

valore in nome del quale pieghiamo il tempo in rigide compatibilità, lo frantumiamo<br />

in orari convulsi e nevrotici, lo scandiamo anzi ci scandisce, con un tic tac estraneo e<br />

quasi beffardo. È l’orologio di questa organizzazione dei rapporti sociali che decide<br />

del mio tempo, annullando con feroce disinvoltura i tempi del mio corpo, dei miei<br />

bisogni, per esempio del mio bisogno di prendere tempo o di perdere tempo.<br />

È un tempo ferito, il mio tempo: non mi mancano solo gli spazi nella città nemica e<br />

spaccata in mille fette di solitudine, mi manca il mio tempo, e ho sempre una fottuta<br />

paura di non essere, di non giungere “in tempo”. Il tempo della politica e il tempo<br />

della vita: che allucinante assenza di sincroni il tempo affannoso, dolente, insonne,<br />

di quella mia compagna malata di cancro. Il tempo di chi ha poco tempo. Il tempo<br />

del desiderio, di un desiderio che non vuole lasciarsi infilzare dalle dispotiche<br />

lancette del tempo della produzione o del tempo della morale: la mia voglia di<br />

amare quel ragazzo che amo, gridando al mondo intero che non è più “tempo” di<br />

amare nella vergogna, nella colpa, nel silenzio, nella paura, nella clandestinità, nella<br />

violenza, o di amare soltanto nella tremenda fretta di un incontro senza storia.<br />

L’etica e l’estetica del cespuglio, della lampo (lampo che ti folgora di caducità):<br />

anche lì tra quelle umanissime e ombrose fratte metropolitane il tempo troppo<br />

spesso è altro da te, È un tempo brutale.<br />

Se volete leggerlo tutto, è qui:<br />

è interessante ed è l’inizio di una storia. Storia che<br />

colpì rapidamente i giornali, tanto che ancora Repubblica affidò subito a Stefano<br />

Malatesta un ritratto del nuovo personaggio, pubblicato col titolo “Il gay della FGCI”<br />

il 19 marzo.<br />

Nichi Vendola ha 26 anni, è pugliese. Qualche giorno fa è stato eletto membro della<br />

segreteria nazionale della Fgci, la Federazione giovanile comunista. Ha un viso<br />

gradevole. In testa calza un berretto blu con visiera, da studente svedese. Intorno al<br />

collo è annodata una sciarpa di lana bianca. Porta al lobo sinistro un orecchino<br />

d’oro. Nichi Vendola è un gay, il primo attivista omosessuale entrato a far parte<br />

della dirigenza comunista. Dice senza asprezza polemica: “Sono sicuro che parlerai<br />

dell’ orecchino d’ oro. Ho già dato un’ intervista in cui raccontavo un po’ di cose,<br />

fatti personali e politici. Dopo ho avuto dei timori, credevo che ci fossero reazioni a<br />

Roma, nel partito. Invece i compagni sono stati benevoli. Mi hanno però avvertito:<br />

stai attento a non farti ingabbiare nel clichè, il gay alle Botteghe Oscure, eccetera.<br />

Prima c’ erano i funzionari infagottati nei doppipetti grigi tagliati male, con le<br />

cravatte stonate in raso. Adesso l’ omosessuale con l’ orecchino. Al congresso<br />

giovanile avevo un magnifico, luminescente papillon sopra una camicia a righe. Dì,<br />

vuoi che ti stringa la mano sotto il tavolo?”. Rispondo che il passaggio sotto le<br />

154


Post/teca<br />

forche del commento becero è obbligato: cosa si vuole aspettare, finezze<br />

anglosassoni? L’umorismo in Italia, e anche altrove, è spesso di genere caserma,<br />

dovrebbe esserci abituato. Però mica posso far finta di essere venuto per le sue<br />

preclare virtù politiche di cui tutta l’Italia parla. Sono venuto perchè Vendola è il<br />

primo dirigente comunista gay dichiarato.<br />

Che sia passato un quarto di secolo grazie al cielo un po’ si sente (l’articolo<br />

indeterminativo in “è un gay” è illuminante) e Vendola scrisse poi una lettera per<br />

correggere le parole su suo padre, ma è interessante come la questione<br />

dell’orecchino sul maggiore quotidiano della sinistra apparisse già così ingombrante<br />

e ci abbia messo 25 anni a chiudersi con la richiesta di Giovanni Valentini di sabato<br />

scorso che Vendola se lo tolga. Ma toglierlo significherebbe – come nota lo stesso<br />

Valentini – una rottura rispetto al se stesso del 1985 che Nichi Vendola non mostra<br />

di avere tra le sue priorità, a sentirlo oggi e allora.<br />

La nostra identità dobbiamo “giocarcela” sul campo. Sul muro di un palazzone<br />

grigio di Bari, ho letto una frase scritta in vernice rossa in cattivo francese, ma il cui<br />

senso era inequivocabile. Dalla nervosa geografia urbana, tra graffiti e walkman e<br />

neon lividi e metallica solitudine, fin dentro il mio cervello, e spero, fin dentro il<br />

vostro cervello: quella frase era “Con amore, per il comunismo”.<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

ilpost.<br />

it/2010/08/09/<br />

quando-<br />

vendola-<br />

divenne-<br />

vendola/<br />

VECCHIO GIOVANE DEL PCI, ADDIO 'LA VITA NON E'<br />

SOLO POLITICA'<br />

Repubblica — 24 febbraio 1985 pagina 2 sezione: POLITICA INTERNA<br />

NAPOLI - Facce ben rasate, niente zazzere, via le giacche di foggia militare. Una<br />

cravatta a farfalla, semmai, sulla camicia a quadri o un orecchino quasi invisibile, o<br />

un braccialetto ricordo di un' amicizia cara. Sono attenti, simpatici, schietti e molto<br />

spesso timidi. Lontani un miglio, si direbbe, da quei loro fratelli maggiori che una<br />

decina d' anni fa o giù di lì interpretavano, loden sulle spalle e fascio di giornali<br />

sotto il braccio, la parte del giovane dirigente comunista dotto di citazioni e un po'<br />

saccente. Ma non è solo questione di immagine, di mode e di tempi che cambiano.<br />

Il fatto è che questi ragazzi della Fgci, nati nel 1968, i "post comunisti" li ha definiti<br />

qualcuno, non riconoscono la "centralità" della politica - pur facendo politica -; non<br />

credono nel potere totalizzante delle ideologie, pur proclamandosi comunisti;<br />

rifiutano - per dirla con uno di loro, Nic Vendola, doppia tessera dell' Arci-gay e della<br />

Fgci, protagonista di uno degli interventi più applauditi - una concezione della<br />

155


Post/teca<br />

politica intesa come "alchimia del potere". Ed è bene chiarire subito che c' è in<br />

questo rifiuto una chiamata in causa anche del Pci. Insomma, tra le istanze, i dubbi,<br />

gli entusiasmi del loro mondo che oggi si esprimono nell' impegno ecologista o nel<br />

movimento pacifista o in una concezione più distaccata e concreta della politica e la<br />

fedeltà assoluta ma burocratica e paralizzante alla casa-madre-partito, hanno<br />

scelto i primi. Scelta obbligata, certo, forse anche dettata dallo stato di necessità,<br />

sicuramente influenzata dalla lenta, inarrestabile emorragia di adesioni che ha visto<br />

la Fgci ridursi ad appena 46 mila iscritti; ma non per questo meno "copernicana" -<br />

se si ha riguardo all' ottica del centralismo comunista - e meno rischiosa. Vedremo<br />

meglio cosa vogliono i giovani che hanno affollato per quattro giorni la sala del<br />

cinema Augusteo e cosa rimproverano al Pci. Chiediamoci per ora chi sono e se è<br />

possibile tracciare qualche sommario identikit. Una prima risposta - per quel che<br />

può valere - l' ha data un questionario diffuso dalla rivista Jonas (ricordate il film<br />

dello svizzero Alain Tanner che racconta le ansie di una coppia di sessantottini,<br />

genitori di un bimbo che "avrà vent' anni nel Duemila?"). Ora, al di là delle risposte<br />

ancora da assemblare, è il questionario stesso, si direbbe, una spia significativa dei<br />

gusti, delle tendenze, degli interessi che si muovono in questa fetta di mondo<br />

giovanile. Laddove, ad esempio, nel capitolo riguardante le letture si chiede di<br />

indicare quali sono le riviste preferite in una gamma che non esclude nè il<br />

"Monello", nè "Lancio story", nè "Rocherella", nè "Mucchio selvaggio". E le risposte<br />

confermano pienamente che i giovani comunisti non sono affatto un gruppo<br />

separato, dedito a demonizzare la pubblicità, a perorare l' impegno totale a<br />

sacrificare il privato, anche se per molti resta valido lo slogan berlingueriano che "la<br />

politica può degnamente riempire una vita". Nella maggioranza si manifesta una<br />

decisa tendenza per il pluralismo dell' informazione. Se si eccettua l' Unità, la<br />

Repubblica e il Manifesto sono i quotidiani più letti. Ai settimanali politici va il<br />

gradimento dei più, ma molto letti sono anche i periodici giovanili. Al teatro si va<br />

poco; molto di più al cinema. La musica di gran lunga preferita è il genere rock;<br />

seguito dalla classica e dai cantautori. Il cinema più apprezzato è quello d' autore;<br />

molti amano Wenders, ma i più apprezzano la nuova comicità di Troisi e Benigni.<br />

Le letture. Le risposte del questionario dicono che la storia della sinistra e i grandi<br />

autori che ne sono stati protagonisti sono molto apprezzati. Ma nella bancarella<br />

allestita nella hall dell' Augusteo vanno a ruba i manuali di informatica e i saggi sul<br />

caso Moro; come diventare un manager di successo e la storia dei Servizi segreti; l'<br />

album fotografico dei funerali di Berlinguer e la rivista di Pietro Ingrao Democrazia e<br />

diritto. Si torna dunque al rapporto con il partito e al "bisogno di autonomia" che fa<br />

da sfondo e da motivo conduttore di questo congresso. "Qui - dice Maurizio Vinci,<br />

direttore di Jonas - si è conclusa una esperienza che datava dagli anni Cinquanta.<br />

La Fgci intesa come organizzazione incaricata di trasmettere i valori degli adulti alla<br />

156


Post/teca<br />

società giovanile è finita. Il nostro ruolo è quello di rappresentare le tendenze della<br />

società che ci circonda, non più limitarci a segnalarle al partito". Non sono mancati,<br />

quasi a sottolineare la fase di transizione, momenti di conflittualità, di polemica<br />

aperta. La coreografia stessa del congresso, per cominciare, è stata contestata,<br />

come anche il formalismo di certi interventi nello stile "brevi cenni sull' universo".<br />

"Stiamo cambiando tutto - dice un delegato - facciamo i congressi come se fossimo<br />

il Pci di un paese dell' Est". Le ragazze soprattutto hanno criticato una messinscena<br />

che vede il tavolo della presidenza e la tribuna degli oratori incombere, dal<br />

palcoscenico, sulla platea dei delegati. Così alcuni hanno rifiutato questa<br />

separazione e c' è chi parla dal palco e chi da un microfono in sala. Tuttavia, dalla<br />

stessa tribuna, sono risuonati - nonostante i richiami di Pajetta - chiari appelli all'<br />

uscita dell' Italia dalla Nato, alla ricontrattazione dell' Alleanza atlantica (linea<br />

predominante). La verità è che non pochi di questi giovani vedono un<br />

tentennamento, un eccesso di prudenza del partito sulla questione della pace e non<br />

solo quando si parla di missili e di guerra atomica ma anche, ad esempio, sulle<br />

armi convenzionali. Non meno spinoso è il dialogo interno sul tema dell' ambiente.<br />

Netto viene fuori, ad esempio, il dissenso per le scelte compiute dall'<br />

amministrazione regionale piemontese che con l' appoggio determinante del Pci ha<br />

dato il via libera alla centrale nucleare di Trino Vercellese. E che dire dei problemi<br />

del lavoro? C' è una critica diffusa verso il sindacato, troppo proteso nella difesa del<br />

"lavoro fisso" e dei lavoratori occupati. Mentre qui si guarda al lavoro come il<br />

momento, certo importante, di una vita più complessa, qualcosa che "dà<br />

sussistenza, raramente soddisfazione". Alla crisi e alla disoccupazione dilagante tra<br />

i giovani, si risponde con misure a largo raggio, ma non sono da scartare la<br />

riduzione dell' orario di lavoro o il salario d' ingresso, anche se a proporli sono<br />

rispettivamente la Cisl e Goria. In questa visione del mondo che sembra<br />

ridimensionare il peso delle ideologie anche il ' 68 viene confinato nella stagione<br />

delle "illusioni romantiche, sconfitte dalla realtà". C' è invece una grande<br />

esaltazione dell' utopia e dell' etica che lascia spazio ad affermazioni del tipo: "Io<br />

non voglio essere una compatibilità dell' esistente"; oppure come ha detto un<br />

delegato davanti ad un Natta plaudente: "Non dobbiamo essere realisti". - dal<br />

nostro inviato ALBERTO STABILE<br />

fonte: http://<br />

ricerca.<br />

repubblica.<br />

it/<br />

repubblica/<br />

archivio/<br />

repubblica/1985/02/24/<br />

vecchio-<br />

giovane-<br />

del-<br />

pci-<br />

addio-<br />

la-<br />

vita.<br />

html<br />

157<br />

ELETTI I NUOVI DIRIGENTI FGCI


Post/teca<br />

Repubblica — 13 marzo 1985 pagina 12 sezione: POLITICA INTERNA<br />

ROMA - Il consiglio nazionale della Federazione giovanile comunista italiana (Fgci)<br />

ha eletto gli organismi dirigenti dell' organizzazione. La direzione è composta da 47<br />

membri, di cui dieci ragazze. Il coordinamento esecutivo, struttura centrale, è<br />

composto da 13 membri. Essi sono: Pietro Folena, segretario nazionale; Claudio<br />

Stacchini, responsabile dell' Unione dei circoli territoriali; Fabio Binelli, responsabile<br />

lega degli studenti medi; Umberto De Giovannangeli, responsabile lega degli<br />

studenti universitari; Franco Giordano, responsabile lega per il lavoro; Fiorenza<br />

Amatrini, responsabile centri per la liberazione delle ragazze; Gianfranco<br />

Burchiellaro, responsabile centri per la pace; Nichi Vendola, responsabile centri per<br />

l' ambiente; Maurizio Vinci, direttore del mensile della Fgci "Jonas"; Marco Errani e<br />

Lino Paganelli, dipartimento problemi della nuova Fgci; Roberto Cuillo,<br />

responsabile dipartimento esteri; Mario Lavia, responsabile dipartimento cultura,<br />

propaganda e informazione. Il nuovo gruppo dirigente illustrerà le iniziative della<br />

Fgci in una conferenza stampa che si terrà venerdì alla presenza di Pietro Folena e<br />

Achille Occhetto.<br />

fonte: http://<br />

ricerca.<br />

repubblica.<br />

it/<br />

repubblica/<br />

archivio/<br />

repubblica/1985/03/13/<br />

eletti-<br />

nuovi-<br />

dirigenti-<br />

fgci.<br />

html<br />

IL GAY DELLA FGCI<br />

Repubblica — 19 marzo 1985 pagina 4 sezione: POLITICA INTERNA<br />

ROMA - Nichi Vendola ha 26 anni, è pugliese. Qualche giorno fa è stato eletto<br />

membro della segreteria nazionale della Fgci, la Federazione giovanile comunista.<br />

Ha un viso gradevole. In testa calza un berretto blu con visiera, da studente<br />

svedese. Intorno al collo è annodata una sciarpa di lana bianca. Porta al lobo<br />

sinistro un orecchino d' oro. Nichi Vendola è un gay, il primo attivista omosessuale<br />

entrato a far parte della dirigenza comunista. Dice senza asprezza polemica: "Sono<br />

sicuro che parlerai dell' orecchino d' oro. Ho già dato un' intervista in cui raccontavo<br />

un po' di cose, fatti personali e politici. Dopo ho avuto dei timori, credevo che ci<br />

fossero reazioni a Roma, nel partito. Invece i compagni sono stati benevoli. Mi<br />

hanno però avvertito: stai attento a non farti ingabbiare nel clichè, il gay alle<br />

Botteghe Oscure, eccetera. Prima c' erano i funzionari infagottati nei doppipetti grigi<br />

tagliati male, con le cravatte stonate in raso. Adesso l' omosessuale con l'<br />

orecchino. Al congresso giovanile avevo un magnifico, luminescente papillon sopra<br />

una camicia a righe. Dì, vuoi che ti stringa la mano sotto il tavolo?". Rispondo che il<br />

passaggio sotto le forche del commento becero è obbligato: cosa si vuole<br />

158


Post/teca<br />

aspettare, finezze anglosassoni? L' umorismo in Italia, e anche altrove, è spesso di<br />

genere caserma, dovrebbe esserci abituato. Però mica posso far finta di essere<br />

venuto per le sue preclare virtù politiche di cui tutta l' Italia parla. Sono venuto<br />

perchè Vendola è il primo dirigente comunista gay dichiarato. Nel 1948 il Pci non ha<br />

espulso Pier Paolo Pasolini per indegnità morale? "Sono passati esattamente 37<br />

anni. Sai cosa ho detto al congresso giovanile? Per noi comunisti non si tratta di<br />

difendere la grande dignità e i valori dell' omosessualità, ma di acquisire la diversità<br />

come elemento di ricchezza per chi vuole ancora trasformare il mondo. E' stato il<br />

passo più applaudito nel mio intervento". Mi ricordo di un altro intervento, più volte<br />

citato, fatto da Enrico Berlinguer quando era segretario della Fgci, su Maria Goretti:<br />

la additava ad esempio per le future generazioni dei comunisti. "Era il dopoguerra. I<br />

comunisti venivano descritti come bestie. L' accusa di essere intellettual-frociocomunista,<br />

senza molta distinzione tra i termini, ugualmente vituperati, è stata<br />

merce corrente fino a non troppo tempo fa. Da parte del Pci si tentava di difendersi,<br />

di proporre dei modelli di moralità sotto quell' alluvione di vituperi. Il difetto stava nel<br />

prendere in prestito i modelli dalla cultura cattolico borghese". Ma c' era anche<br />

molta grettezza moralistica e bacchettona all' interno del partito. Chi conviveva con<br />

una ragazza veniva convocato e avvertito con l' usuale frase: "Compagno, è ora<br />

che regoli la tua posizione". E Togliatti ebbe dei problemi quando iniziò la sua<br />

relazione con Nilde Jotti. Secchia non scherzava. "Lo stesso Secchia, una volta<br />

caduto in disgrazia, fu accusato, non tanto larvatamente, di essere un finocchio,<br />

accusa infamante e degradante. Ma erano tempi diversi, il partito continuava a<br />

vivere in stato di allarme, non ci si potevano concedere lassismi personali con il<br />

nemico o con la sindrome del nemico alle porte. Però Pasolini, tra il ' 60 e il ' 70, già<br />

poteva scrivere liberamente anche di omosessualità su "Vie Nuove"". Pasolini era<br />

uno scrittore celebre, un poeta, "un' artista". Anche Visconti non venne mai<br />

attaccato: Togliatti ne ha fatto sempre grandi elogi. Ma era un' eccezione. L'<br />

aristocratico decadente se lo poteva permettere, proprio perchè aristocratico e<br />

decadente. L' operaio in fabbrica no. Diciamo la verità: i compagni lo avrebbero<br />

preso a calci nel sedere. "Su Visconti posso essere d' accordo. Ma lui non faceva<br />

professione di omosessualità, come non la fa Zeffirelli. In questo senso non sono<br />

"scandalosi". Invece Pasolini era provocatorio, almeno per quegli anni e il fatto che<br />

scrivesse su "Vie Nuove" è significativo. Però è vero che l' omosessuale in fabbrica,<br />

tra i compagni, non aveva vita allegra. Mio padre, comunista da sempre, un uomo<br />

magnifico, dolce, andava a fare le spedizioni per picchiare "i froci". Una volta mi ha<br />

detto: se ti ammazzassi, noi tutti potremmo riacquistare una dignità. Mi ha molto<br />

amato, ma per lui, come per tanti altri, gli omosessuali erano solo i turpi individui<br />

che adescavano i bambini nei giardinetti. Ma di queste cose non ne voglio più<br />

parlare". Non ho l' intenzione di continuare ad insistere su certi ritardi e<br />

159


Post/teca<br />

manchevolezze del Pci. Ma qui, come in altre occasione, l' azione dei radicali mi<br />

sembra sia stata decisiva. Gli altri hanno seguito, anche con riluttanza: tutto questo<br />

non gli interessava, soprattutto non faceva parte della loro cultura. "I radicali hanno<br />

avuto dei meriti, creando movimenti, flussi, attraverso un' ottica garantista. Ma con<br />

qualche casella o piccolo spazio in più di libertà non cambi le regole del gioco, che<br />

sono rimaste quasi le stesse. Il "Fuori" voleva creare la cittadella gay, dove gli<br />

omosessuali si potessero sentir protetti. I comunisti sono sempre stati contro l'<br />

ideologia del ghetto: in ritardo, magari, però decisi a risolvere le questioni, non solo<br />

a presentarle, che è molto più facile. D' altronde basta andarsi a rileggere le<br />

centinaia di lettere che arrivavamo all' "Unità" e a "Rinascita"" durante gli anni 70:<br />

un dibattito libero". Mi dicono però che alti dirigenti del partito non siano stati<br />

particolarmente soddisfatti dell' elezione di un omosessuale nella segreteria della<br />

Fgci: Chiaromonte ad esempio. "Francamente nel Pci non ho mai avuto problemi,<br />

come li ho avuti in famiglia. Credo che oggi comunista significhi anche rispetto dell'<br />

altro, essere condannati ad una contaminazione attraverso il rapporto umano: un<br />

rischio che bisogna accettare. Lo sguardo inquietante di un altro uomo può farti<br />

crollare il tuo castello di certezze, ma è inutile e stupido fuggire. Sono i liberali che<br />

hanno sguardi paralleli, che non s' incrociano mai: l' idea del rapporto come due<br />

monologhi. Questa è mummificazione dell' esistente. Libertà comunista è<br />

dinamismo, è contaminazione, con le nostre coscienze e i nostri corpi, è buttarsi<br />

nella mischia. Io l' ho fatto, sono diventato coscientemente omosessuale, per poi<br />

recuperare l' eterosessualità, per poi trovar la sessualità, senza aggettivi. Vorrei che<br />

ci capissimo, non sto parlando di membri e di apparati genitali, altrimenti torniamo<br />

alla caserma". Io credo di capire, ma non so quanti siano in grado di farlo nel Pci,<br />

non parlo della Fgci... "Giovanni Berlinguer è uno che capisce: aperto, vivace.<br />

Anche Natta ci aiuta. Abbiamo avuto un dibattito con lui molto libero. Ripete sempre<br />

che bisogna andare fino in fondo, che bisogna parlare, confessarci di più - non dal<br />

prete con la cotta - togliersi di dosso tutti i residui di intolleranza. Gli altri non so,<br />

sono arrivato da pochi giorni a Roma. Certo l' età conta, ognuno forma la propria<br />

cultura in un momento storico preciso. Non è facile affrontare un tema come quello<br />

della pedofilia ad esempio, cioè del diritto dei bambini ad avere una loro sessualità,<br />

ad avere rapporti tra loro, o con gli adulti - tema ancora più scabroso - e trattarne<br />

con chi la sessualità l' ha vista sempre in funzione della famiglia e dalla<br />

procreazione. Le donne, da questo punto di vista, sono notevolmente più sensibili.<br />

Ma il Pci non è un organismo matriarcale". - di STEFANO MALATESTA<br />

fonte: http://<br />

ricerca.<br />

repubblica.<br />

it/<br />

repubblica/<br />

archivio/<br />

repubblica/1985/03/19/<br />

il-<br />

gay-<br />

della-<br />

fgci.<br />

html<br />

--------------------<br />

160


Post/teca<br />

Una storia da leggere<br />

di goffredo fofi<br />

La storia dell’Italia unita sta per toccare i 150 anni di età, e se ne<br />

preparano ambigue celebrazioni che vanno di pari passo ad accanite<br />

denigrazioni. Oggi queste non vengono, come in passato, dai nostalgici<br />

dei Borboni, bensì dai passatisti lombardo-veneti, niente affatto<br />

nostalgici di Francesco Giuseppe ma che non vogliono aver più a che fare<br />

con “Roma ladrona” e si sognano soli, ricchi e con molti schiavi. D’estate<br />

è buon uso leggere i libri che non si è riusciti a leggere nel corso<br />

dell’anno, perché troppo massicci o perché si era persi negli affanni del<br />

quotidiano. E se i più leggono i romanzoni alla moda pieni di amori<br />

esotici o crimini spaventevoli, i meno si dedicano alla nobile impresa del<br />

recupero: ai classici con cui ri-confrontarsi o confrontarsi per la prima<br />

volta, ai saggi che esigono molta attenzione, ma preferibilmente ai primi,<br />

perché il riposo è riposo. Non sfuggo questa regola, mi ci trovo<br />

benissimo.<br />

Quale dunque il classico che ho voluto leggere per la prima volta o<br />

rileggere in quest’agosto semi-lavorativo? Da lettore veloce e vorace,<br />

uno non me ne basta, e se ho voluto goderne uno che ignoravo (La<br />

bottega dell’antiquario, di Dickens, nell’edizione della Bur che ha una<br />

bellissima prefazione di Giorgio Manganelli, scrittore e critico<br />

indimenticabile, di grande acutezza ma anche, cosa rara, di immensa<br />

simpatia umana) e di cui ho scoperto insospettate qualità di antenato<br />

indiretto o diretto dell’opera di Terry Gilliam e perfino Fellini, per il resto<br />

mi sono affidato alle suggestioni “unitarie”, e ho voluto rileggere alcuni<br />

romanzi italiani sugli anni fondamentali della nostra storia patria, prima e<br />

dopo il Risorgimento. Non I Vicerè (De Roberto) e I vecchi e i giovani<br />

(Pirandello, meno noto, ed è un vero peccato perché spiega<br />

perfettamente la caduta delle illusioni post-unitarie e il fango di cui la<br />

nostra storia patria venne rapidamente coperta da una oscena classe<br />

161


Post/teca<br />

dirigente, oggi perfino peggiore), perché li conosco benissimo, non i<br />

racconti di Verga e quelli di De Amicis, bensì due romanzi, di<br />

diversissimo valore, che narrarono come ci si accostò all’Unità: Cento<br />

anni di Rovani (gli anni che vanno, a Milano, dal 1750 al 1850: istruttivo<br />

e vivace, ma di sostanza minore) e soprattutto le Confessioni di un<br />

italiano di Ippolito Nievo, di commovente bellezza e di esaltante amore<br />

per un’Italia da edificare. Nievo morì in mare a trent’anni subito dopo<br />

aver partecipato all’impresa dei Mille, e resta uno dei personaggi più<br />

amabili, più eternamente giovani della nostra storia letteraria e civile. Le<br />

sue Confessioni sono un libro chiave per capire perché scritte da dentro<br />

un’esperienza e guidate da un amore, anzi un ideale (parola ahinoi fuori<br />

moda, in questi pessimi anni).<br />

Ma venendo più vicini ai nostri anni, ho riletto tre romanzi sul<br />

Risorgimento visto dal Sud, però istruttivi per tutti, di uno dei quali, Il<br />

gattopardo (1958) di Tomasi di Lampedusa non sono mai stato<br />

entusiasta, anche perché negli anni in cui uscì io vivevo in Sicilia e ho<br />

visto da vicino le condizioni di vita dei feudatari dei principi come il<br />

Tomasi. Delle quali, certo, egli e la sua gentile signora ignoravano quasi<br />

tutto, ché ci pensavano i suoi fattori e campieri a sfruttarli. Non ho mai<br />

amato neanche il film del nobiluomo Visconti, benché ammirevole per i<br />

suoi quadri d’ambiente e le sue coreografie quanto lo era il romanzo<br />

nella sua descrizione del fatalistico abbandono alle “leggi” della storia.<br />

Il vero romanzo del Risorgimento nel Sud è sempre stato per me Signora<br />

Ava (1942) di Francesco Jovine, un capolavoro dimenticato della nostra<br />

letteratura che narra, semplicemente, come lo vissero i contadini per<br />

molte cose vale anche per il Centro e per il Nord, perché ovunque, lungo<br />

il lungo Stivale, contadini e proletari furono tenuti lontani dalla<br />

partecipazione alla storia, ne furono soggetti e talora vittime). Poiché<br />

pochi lo hanno letto (lo pubblicò Einaudi, lo ripubblicherà Donzelli),<br />

cercate di non perderlo, fidatevi! Il terzo romanzo lo sto rileggendo in<br />

questi giorni ed è decisamente “borbonico: L’eredità della priora (1963)<br />

di Carlo Alianello, best-seller dimenticato (fu di Feltrinelli, lo ha<br />

ristampato una gloriosa casa editrice di Venosa, Osanna), ma ha molto<br />

da insegnare, nell’impeto con cui racconta la ferocia della guerra tra<br />

l’esercito piemontese e i briganti, ai nordisti di oggi... Quel che si impara<br />

è che nel Risorgimento buoni e cattivi si sono divisi equamente sul<br />

162


Post/teca<br />

territorio nazionale, che una rivoluzione non c’è stata, e che i romanzi<br />

servono, spesso più dei saggi di storia, a capire da dove veniamo.<br />

15 agosto 2010<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

unita.<br />

it/<br />

news/<br />

goffredo_<br />

fofi/102402/<br />

una_<br />

storia_<br />

da_<br />

leggere<br />

--------------------<br />

Scoperti i resti delle più antiche pitture etrusche di Tarquinia nell'anticamera<br />

della «Tomba della Regina»<br />

Un bell'andirivieni nel Mediterraneo di 2700 anni fa<br />

di Maurizio Sannibale<br />

Molti ricorderanno il clamore suscitato dalla scoperta avvenuta nel 2006 della tomba dei Leoni<br />

Ruggenti a Veio (circa 690 prima dell'era cristiana), da ascrivere tra i più antichi documenti della<br />

pittura parietale etrusca (cfr. "L'Osservatore Romano" del 25 giugno 2006).<br />

Pochi giorni fa, accompagnata da<br />

una certa risonanza mediatica, è avvenuta altrettanto inaspettata la scoperta dei resti di un<br />

intonaco dipinto nel corso dello scavo di una monumentale tomba a tumulo di Tarquinia, circa della<br />

metà del VII secolo prima dell'era cristiana, che andrebbe così a retrodatare di qualche decennio le<br />

prime esperienze pittoriche di carattere monumentale in questa antica metropoli etrusca,<br />

universalmente nota proprio per l'alta concentrazione di tombe dipinte. Esse costituiscono una<br />

"pinacoteca" del tutto peculiare, che in una sola area copre lo sviluppo della pittura antica dallo<br />

scorcio del vii a tutto il II secolo antecendente all'era cristiana, in pratica dall'orientalizzante all'età<br />

ellenistica, motivo che è valso l'iscrizione ai siti Unesco della necropoli tarquiniese.<br />

Certamente l'evidenza monumentale di questi scarsi lacerti di apparato figurativo, peraltro di<br />

163


Post/teca<br />

difficile comprensione anche all'occhio più esperto, sono ben poca cosa rispetto all'impatto della<br />

Tomba delle Pantere nella stessa Tarquinia, scoperta nel 1968 e datata intorno ai 2600-2580 anni<br />

che sino a oggi costituiva il documento pittorico più antico della necropoli, con le sue due figure di<br />

felini in rosso e nero in tutto simili, ma in proporzioni ingigantite, allo stile orientalizzante etruscocorinzio<br />

della coeva pittura vascolare.<br />

Una prima prudente lettura dei resti ora scoperti tenderebbe a restituire una figura di uccello<br />

stilizzato, campito in nero e con contorni in rosso, forse simile a quelli rappresentati nelle tombe<br />

dei Leoni Ruggenti e delle Anatre di Veio, partecipi dello stile etrusco-geometrico nel corso della<br />

prima metà del VII secolo prima dell'era cristiana.<br />

Il motivo degli uccelli acquatici, di antica ascendenza pan-mediterranea, viene puntualmente citato<br />

nell'apparato cultuale delle tombe aristocratiche etrusche del periodo orientalizzante, anche<br />

attraverso elementi del corredo come bronzi e oreficerie, in chiara connessione con i temi funerari.<br />

L'argomento è complesso e può solo essere accennato. Basti solo pensare al ruolo di<br />

collegamento esercitato dagli uccelli con sfere e dimensioni diverse, acqua, terra, cielo, e alla loro<br />

connessione con fenomeni e divinità astrali, al punto da divenire riferimento imprescindibile<br />

dell'attività divinatoria da parte degli stessi sacerdoti etruschi che ne osservavano il volo.<br />

Ma quello che più interessa è il contesto generale che fa da quinta a questa scoperta. Data al 2008<br />

l'avvio di una promettente campagna di scavo a opera dell'università degli studi di Torino e della<br />

Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Etruria meridionale, coordinata da Alessandro<br />

Mandolesi, docente di Etruscologia e Antichità italiche nell'ateneo piemontese.<br />

L'area interessata è quella della Doganaccia, nel cuore della necropoli etrusca di Tarquinia,<br />

caratterizzata da due grandiose tombe a tumulo del periodo orientalizzante, non a caso<br />

denominate del Re e della Regina. Proprio su quest'ultima si è concentrata l'attività degli scavatori,<br />

in quanto il tumulo curiosamente non era ancora stato indagato scientificamente, sebbene<br />

l'esplorazione del tumulo del Re, risalente ormai al lontano 1928, avesse già dato risultati di un<br />

certo interesse, come quel vaso con iscrizione etrusca che cita un certo Rutile Hipucrates, dal<br />

gentilizio di chiara ascendenza greca.<br />

Non sfugge, a tal riguardo, il collegamento con quanto narrato dalle fonti antiche in merito<br />

all'inserimento di importanti personaggi stranieri nei ranghi dell'aristocrazia etrusca che ebbe come<br />

sua ultima dimora proprio tumuli come quello ora scavato. Assume valore paradigmatico la vicenda<br />

del nobile - e mercante - Demarato di Corinto che, intorno alla metà del VII secolo prima dell'era<br />

cristiana, si stabilisce a Tarquinia con un seguito di artisti e, sposando una nobildonna del posto,<br />

genererà Lucumone ovvero il futuro re di Roma Tarquinio Prisco.<br />

Il tumulo della Regina al di là del nome di fantasia, oggetto dell'attuale indagine, è una imponente<br />

struttura architettonica di circa 40 metri di diametro, provvista di un monumentale accesso con<br />

gradinata che costituiva al contempo un'area a cielo aperto per le cerimonie e gli spettacoli in<br />

onore del nobile defunto. Non occorre un grosso salto di fantasia per ambientare in un simile<br />

contesto qualcosa di simile al racconto dei giochi funebri per Patroclo narrato nel libro xxiii<br />

dell'Iliade. Più in generale è tutto il mondo "eroico" di ascendenza omerica che viene tradito dal<br />

rituale funerario e dalla composizione del corredo, quando si vanno ad analizzare le tombe<br />

dell'orientalizzante etrusco e dell'oriente mediterraneo.<br />

In particolare, giova sottolineare l'affinità del tumulo, anche dal punto di vista architettonico, con le<br />

tombe regali di Cipro, come quelle di Salamina dell'area sud-orientale dell'isola. È probabile che<br />

all'origine del modello delle tombe a tumulo destinate ai re di Tarquinia sia riconoscibile l'opera di<br />

architetti e maestranze del Mediterraneo orientale, giunti in Etruria all'inizio del VII secolo<br />

antecedente all'era cristiana.<br />

164


Post/teca<br />

Un ulteriore tassello di queste<br />

dinamiche è fornito ora dalla scoperta della pittura parietale dalla quale siamo partiti, destinata a<br />

decorare l'anticamera della tomba vera e propria del personaggio regale sepolto nel tumulo della<br />

Regina. Nei fatti questo documento pittorico si discosta nettamente dal punto di vista tecnologico<br />

da tutte le altre pitture etrusche note sino ad oggi, in quanto il supporto dei colori è costituito da<br />

uno spesso strato di gesso alabastrino, secondo una pratica consolidata nel Vicino Oriente: Egitto,<br />

area siro-palestinese, Cipro. È ipotizzabile, quindi, che questa più antica decorazione pittorica sia<br />

dovuta alla mano di maestranze provenienti direttamente dal Levante mediterraneo, secondo una<br />

tecnica usuale e compatibile con il clima delle aree originarie, ma del tutto inadatta alle condizioni<br />

ambientali dell'Etruria. Per questo l'intonaco e i colori sono apparsi agli scopritori fortemente<br />

deteriorati dall'umidità, al punto da essere quasi illegibili. Non è da escludere che questo raro<br />

superstite delle prime realizzazioni pittoriche parietali a Tarquinia rappresenti solo un esiguo<br />

campione di un più vasto e insospettabile patrimonio figurativo, naufragato per gli intrinseci limiti<br />

tecnologici prima che venissero elaborati procedimenti compatibili con le condizioni locali.<br />

Il quadro storico complessivo che ne risulta, mostra come quello che viene denominato periodo<br />

orientalizzante, tra i 2730 e i 2580 anni fa, non costituisca solo un fenomeno commerciale:<br />

insieme ai beni viaggiarono anche uomini e idee. L'alfabeto e i poemi omerici - che in quegli anni<br />

vennero redatti - sono per noi solo il retaggio più rilevante di un processo che vide dinamicamente<br />

coinvolti fenici, greci ed etruschi. Il futuro sviluppo della civiltà occidentale deve molto a questo<br />

straordinario grande incontro tra le diverse sponde del Mediterraneo, avvenuto all'incirca ventisette<br />

secoli fa.<br />

(©L'Osservatore Romano - 15 agosto 2010)<br />

---------------------------------<br />

Un prototipo dell'iconografia mariana del IV secolo<br />

165<br />

La Signora che prega


Post/teca<br />

di Giovanni Carrù<br />

Lungo la via Nomentana, non lontano dal grande complesso monumentale di Sant'Agnese, si<br />

sviluppa il cimitero Maggiore, così definito per distinguerlo dal meno esteso cimitero Minore, non<br />

ancora completamente scavato.<br />

Secondo il prezioso documento agiografico noto come Martirologio geronimiano, che fa menzione,<br />

nel V secolo, dei più importanti martiri dei primi secoli, al Maius erano sepolti i santi Papia, Mauro,<br />

Alessandro, Felice e Vittore, ma, secondo fonti più tarde e leggendarie, doveva trovare riposo<br />

anche Emerenziana, per la tradizione sorella di latte di sant'Agnese.<br />

Il cimitero Maggiore, in gran parte scavato nel secolo scorso dal padre Umberto Maria Fasola, per<br />

molti anni segretario della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, si sviluppa su due piani e<br />

ha origini piuttosto antiche, riferibili già al III secolo, come testimoniano alcuni affreschi che<br />

riproducono, tra l'altro, una delle più suggestive immagini del Cristo maestro, rappresentato come<br />

un ispirato filosofo.<br />

Nel IV secolo il cimitero conosce un grande sviluppo, proponendo un audace scavo di cubicoli<br />

complessi, provvisti di cattedre e per i refrigeria, che si svolgevano in onore dei defunti e dei<br />

martiri.<br />

La tradizione attribuisce una di queste cattedre alla sede dove Pietro battezzava i primi cristiani,<br />

mentre un cubicolo particolarmente complesso è stato identificato come il luogo di sepoltura di<br />

sant'Emerenziana. Non lontano da quest'ultimo ambiente fu ritrovato un cubicolo decorato ad<br />

affresco e riferibile al pieno IV secolo. In un arcosolio si riconosce, proprio nella lunetta di fondo,<br />

una solenne immagine femminile, orante, ritratta a mezzo busto, con un bambino dinanzi e con<br />

due grandi cristogrammi ai lati, rappresentati specularmente.<br />

La donna presenta l'acconciatura tipica del IV secolo, un velo leggero, gioielli e una preziosa palla<br />

ampia e caratterizzata da grandi bande colorate. Nel sottarco appaiono altre due figure di oranti,<br />

suggerendo che nel cubicolo è sepolta un'intera famiglia nobile e abbiente.<br />

Al momento della scoperta la matrona orante fu interpretata come la Vergine con il Bambino, ma<br />

166


Post/teca<br />

l'abbigliamento, l'acconciatura e gli accessori preziosi allontanarono, pian piano, gli iconografi da<br />

questa lettura. Eppure, l'atteggiamento della donna, la presenza del bambino e quella dei<br />

cristogrammi fanno assurgere il ritratto della defunta a prototipo di uno schema iconografico che<br />

avrà grande fortuna nella stagione bizantina.<br />

Maria assumerà, infatti, assai spesso l'atteggiamento della preghiera, ovvero delle braccia levate,<br />

per esprimere i concetti intimi e delicati dell'annunciazione e dell'incarnazione, mostrando con<br />

questo gesto, insieme discreto e indice di incredula sorpresa, l'abbandono, la fiducia e la<br />

sottomissione alla volontà del Padre. In questo senso la Vergine diviene - secondo la terminologia<br />

bizantina - Deomène e Theotòkos, ovvero riveste il ruolo di intermediaria, rivolgendo una preghiera<br />

universale al Figlio per la salvezza del genere umano e assumendo la parte di anello di<br />

congiunzione tra l'umanità e l'Eterno.<br />

L'atteggiamento di orante assunto dalla Vergine nelle icone bizantine richiama, in ultima battuta, la<br />

forma della croce, intrecciando, in maniera indissolubile, i misteri dell'incarnazione e della morte<br />

del Cristo, tanto che, assai spesso, la Deomène propone, all'altezza del ventre il Bambino,<br />

allacciando due momenti epocali della storia del Cristo, di cui Maria è strumento e mediatrice<br />

privilegiata, anticipando la tensione tragica, ma sospesa, della Deèsis.<br />

Ebbene, questa trafila iconografica, che si consuma specie in Oriente e nella civiltà bizantina,<br />

sembra trovare i suoi antefatti più lontani e limpidi in quella pittura del cimitero Maggiore, quando<br />

l'arte cristiana insorge, ma già prepara un percorso della storia e della fede per Maria, tramite<br />

insostituibile della incarnazione.<br />

(©L'Osservatore Romano - 15 agosto 2010)<br />

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Il Transito di Maria nella tradizione siro-occidentale<br />

Oggi è il giorno benedetto<br />

in cui la Madre raggiunge il Figlio<br />

di Manuel Nin<br />

Il 15 agosto la tradizione liturgica siro-occidentale celebra, assieme a tutte le altre liturgie cristiane,<br />

la festa del Transito della Madre di Dio. Mentre quella bizantina usa per la festa odierna quasi<br />

esclusivamente il termine "dormizione", in ambito siro-occidentale ci si serve ripetutamente nei<br />

testi liturgici di diversi termini che possono essere tradotti come "transito", "esodo" (ambedue<br />

anche sinonimi di morte), "traslazione", "sepoltura", e anche "salita", "migrazione" al cielo.<br />

167


Post/teca<br />

I libri liturgici prevedono un periodo di digiuno di quattordici giorni che precede questa festa della<br />

Madre di Dio, un periodo che la mette in parallelo con la stessa Pasqua del Signore, e la prepara<br />

con la preghiera assidua per mezzo di testi che mettono in evidenza la dimensione penitenziale di<br />

questo periodo: "Concedici, Signore Dio, l'aiuto che ci viene da te, affinché col digiuno, la veglia,<br />

la preghiera e l'astinenza ci prepariamo alla festa del Transito della tua Madre benedetta dalla terra<br />

al cielo".<br />

L'amore e la venerazione per la Madre di Dio sono l'anima della pietà delle Chiese cristiane di<br />

Oriente e il cuore che vivifica la comunità cristiana. La tradizione siro-occidentale, fin dall'inizio, ha<br />

contemplato la Madre di Dio inscindibilmente inserita nel mistero del Verbo incarnato, e di questo i<br />

testi della liturgia sono una bella mistagogia con lo sviluppo di alcuni temi.<br />

In primo luogo, il transito della Vergine è un motivo di gioia per tutta la creazione, per gli angeli e<br />

per gli uomini: "Il transito della Madre pura e santa del nostro Salvatore rallegra gli angeli e gli<br />

abitanti della terra; gli apostoli celebrano una sacra liturgia, e le schiere di fuoco con le anime dei<br />

giusti si avviano in processione per la sua sepoltura". La liturgia evidenzia anche in modo molto<br />

chiaro come colei che oggi muore ed è messa in un sepolcro è veramente la madre del datore di<br />

vita che si incarnò nel suo seno: "Oggi la schiera dei vigilanti ignei e spirituali con tutte le legioni<br />

degli angeli onorano il giorno del transito della vergine Maria figlia di Davide, Madre genitrice di<br />

Dio".<br />

In secondo luogo, è da rilevare la lunga lista di titoli cristologici che la liturgia siro-occidentale<br />

riserva alla Madre di Dio in questa festa, per bocca degli uomini che la lodano dalla terra e degli<br />

angeli che la accolgono in cielo. I primi la cantano come "sposa irreprensibile e madre pura ignara<br />

di nozze, sorgente di benefici e nave carica delle gioie che dai al mondo dei benefici indescrivibili".<br />

A loro volta gli angeli in cielo poi la lodano: "Sei benvenuta, dimora dello Spirito Santo e camera<br />

nuziale del re celeste; vigna fertile che ha dato il grappolo di gioia il cui vino inebria tutta la<br />

creazione, tavola di vita che offre il pane benedetto". E uno dei testi del vespro, facendo<br />

un'esegesi originale della parabola del lievito (cfr. Matteo, 13, 33), la canta dicendo: "Tu sei il<br />

lievito di vita mescolato alle tre misure del frumento che è il Verbo di Dio".<br />

In terzo luogo, la liturgia riprende dal Protovangelo di Giacomo il tema che è presente anche nelle<br />

altre liturgie cristiane, cioè l'arrivo miracoloso degli apostoli anche da paesi lontani per la<br />

celebrazione del transito di Maria: "Giorno benedetto in cui la Madre raggiunge il Figlio, giorno in<br />

cui gli apostoli portano il suo corpo, e la terra la congeda nella gioia. Colei che portò nel suo<br />

168


Post/teca<br />

grembo il Signore altissimo muore come gli altri uomini; Pietro, il primo degli apostoli e che ha le<br />

chiavi del Regno, porta il suo sarcofago, e Gabriele, il primo degli angeli, canta davanti al suo<br />

corpo". La presenza degli apostoli e degli angeli attorno al corpo di Maria ripropone anche la<br />

sepoltura e l'ascensione di Cristo stesso: "Gli apostoli, venuti da paesi lontani e alcuni usciti dalle<br />

loro tombe, si radunarono per seppellire il tuo corpo prezioso. Videro i cieli aperti e gli angeli<br />

scendere per onorarti". Ed è Giovanni l'Evangelista a prendere oggi nella sepoltura di Maria il<br />

posto che Nicodemo ebbe nella sepoltura di Cristo: "Venne Giovanni per seppellire il corpo puro<br />

della tutta benedetta; come Nicodemo seppellì il corpo di suo Figlio, anche ora il puro e luminoso<br />

figlio del tuono seppellì il suo corpo. La schiera degli apostoli accompagnò l'anima splendente di<br />

colei che è la Madre del Figlio di Dio".<br />

Tutta l'opera della redenzione viene infine riproposta nella preghiera trinitaria che conclude il<br />

vespro della festa: "Gloria al Padre che scelse Maria fra tutti i popoli e magnificò il giorno del suo<br />

transito. Adorazione al Figlio, che per la sepoltura di sua Madre radunò profeti, apostoli e<br />

patriarchi. Lode allo Spirito Santo per mezzo del quale ella raggiunse il riposo desiderato. Nel suo<br />

transito ella si diletta con il suo Figlio".<br />

(©L'Osservatore Romano - 15 agosto 2010)<br />

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C'era una volta la cartolina, ora dalle<br />

vacanze si manda un tweet<br />

di Giuseppe Scaraffia<br />

15 agosto 2010<br />

«Cosa significa una cartolina? In quali condizioni è possibile?», si chiede il filosofo Jacques Derrida.<br />

Malgrado la sua precoce senescenza, la cartolina è infinitamente più giovane della lettera. È nata nel<br />

1870, durante la Comune di Parigi, quando la posta doveva essere leggera perché veniva trasportata<br />

in pallone. Aveva avuto subito un certo successo per il suo costo ridotto rispetto alla lettera. Un<br />

privilegio pagato con la riduzione dello spazio e la perdita della privacy del messaggio. Però era<br />

esplosa solo con l'Esposizione Universale del 1889, quando erano state stampate trecentomila<br />

cartoline con la nuovissima Tour Eiffel.<br />

Fu il periodo d'oro del rettangolo di carta. Nel 1904, la popolazione svedese – circa cinque milioni di<br />

persone – aveva imbucato oltre quarantotto milioni di cartoline.<br />

Eppure gli autori più sofisticati guardavano con sospetto quell'irrefrenabile diffusione di immagini.<br />

Tozzi, descrivendo lo squallore della sua camera, lo fa culminare in «una cartolina che è una<br />

caricatura orrenda». Gozzano irride «la cartolina della Bella Otero / alle specchiere... Che<br />

malinconia!». Ma era solo uno snobismo momentaneo. Ancora più trasgressivi i surrealisti, Aragon<br />

in testa, si innamorarono dell'estetica naïf delle cartoline.<br />

169


Post/teca<br />

La grafomania degli scrittori spesso si ribellava ai limiti della cartolina. Proust mandò una lunga<br />

lettera scomposta in dieci cartoline.<br />

Kafka non aveva scrupoli a invadere l'immagine non solo con le parole, ma anche con uno schizzo di<br />

se stesso, sconsolato e inappetente in sanatorio. Più conciso, Waugh si interrogava: «Come fanno i<br />

romanzieri a scrivere dei libri così lunghi? Sono sicuro che potrei scrivere qualsiasi romanzo su due<br />

cartoline postali».<br />

Nelle cartoline si sollevavano problemi inquietanti, come quando Freud, preoccupato, scrisse a<br />

Binswanger: «Che cosa vuol fare lei con l'inconscio o piuttosto come pretende di cavarsela senza<br />

l'inconscio? Forse che in conclusione il diavolo filosofico la tiene nei suoi artigli? Mi tranquillizzi». O<br />

dichiarazioni di estetica, come quella di Victor Hugo dietro alla cartolina di un castello diroccato: «Il<br />

passato è bello solo così. In rovina». O una svolta filosofica, come nella celebre cartolina di<br />

Nietzsche da Sils-Maria in cui celebra la sua scoperta di Spinoza: «Sono stupito, estasiato! Ho un<br />

precursore e che precursore!».<br />

Parenti e amici seguivano i viaggi su una scia di cartoline. Wilde annunciava la sosta a Ravenna per<br />

ammirare i mosaici. Il giovane Hofmanstahl stupiva la nonna con una peraltro precaria padronanza<br />

dell'italiano, sfoggiata in una cartolina imbucata in «una bocca di lettere». Palma Bucarelli non si<br />

accontentava di un cartolina della città giapponese, ma aggiungeva: «Tokio di notte è un bellissimo<br />

spettacolo perché le scritte pubblicitarie fortunatamente non le leggiamo, sono segni astratti su<br />

colori luminosi, tra cui certi rosa, violetti, arancioni, insoliti per le nostre strade». Malaparte mandava<br />

all'amato levriero di Stromboli cartoline che aveva tenuto a lungo sul suo corpo, perché gliene<br />

arrivasse l'odore, indirizzandole «a Febo Malaparte, Capri».<br />

Solo di rado la cartolina serviva a scusare la brevità dello scritto. «Quando sei stanca e non hai nulla<br />

di speciale da dirmi, prendi una cartolina postale, scrivi l'indirizzo e comunicami che stai bene. Guai<br />

se lo scrivermi ha da esserti una cosa sgradevole; preferisco la cartolina postale», dichiarava Svevo<br />

alla moglie. «Stanca ma felice», ripeteva Colette in ogni cartolina spedita alla madre durante il suo<br />

tour teatrale. «Ho sofferto molto più di ora: se tu puoi ti prego di restare mandandomi giornalmente<br />

una cartolina»., chiedeva Campana alla Aleramo. Era celebre la concisione dei ringraziamenti di<br />

Morand a chi gli aveva mandato un libro. Ma niente supera la nudità dei «baci» mandati da Simenon<br />

alla madre che gli preferiva il fratello.<br />

A volte la cartolina era la foto del posto in cui risiede il mittente. Colette mandava alla sua amante,<br />

Missy, quella con la sua casa di Saint-Tropez. Inutile dire che l'aveva fatta sequestrare per uno<br />

sbaglio: avevano scritto il suo nome con due elle. Più dettagliata, Kiki de Montparnasse, in orgiastica<br />

vacanza a Villefranche, segnava sulla facciata dell'Hotel Welcome la sua camera e il bar dei marinai,<br />

dove si dava al bel tempo. Hesse, appena separato dalla moglie, mandava la cartolina della Casa<br />

Camuzzi del Canton Ticino, dove si era trasferito.<br />

L'erotismo non si limitava alle ingenue nudità offerte dai pornografi. Joyce faceva ritratti<br />

particolareggiati, in latino maccheronico, delle prostitute che frequentava. Per farsi ricordare<br />

dall'amato Dalí, Lorca aveva disegnato una doppia aureola intorno alla propria foto formato cartolina<br />

che gli mandava. Su quel pezzo di carta potevano materializzarsi delicati equilibri. Cioran mandava<br />

all'amante una cartolina da Toledo – «Tornare a Parigi è assurdo. La Spagna avrebbe dovuto essere<br />

la mia patria» – con in calce gli indulgenti saluti della moglie.<br />

La cartolina poteva preparare incontri importanti. Eliot invitava Joyce, sempre squattrinato, a<br />

prendere il tè con una mecenate. Quando la Pivano, che stava traducendo Addio alle armi, aveva<br />

170


Post/teca<br />

ricevuto una cartolina firmata Hemingway – «Sono a Cortina, vorrei vedervi» – aveva pensato a uno<br />

scherzo. Ma quando ne era arrivata un'altra – «Se non volete venire a Cortina, vengo io a Torino, ma<br />

devo parlarvi» – aveva capito che era vero.<br />

Anche i segreti potevano passare attraverso la cruna leggera della cartolina. Nella corrispondenza di<br />

Gide, durante l'occupazione tedesca, gli altri scrittori venivano chiamati con i nomi dei loro eroi di<br />

carta. Altre volte lo scrittore veniva trasparentemente designato come lo zio G. e Valéry come p.v. Ma<br />

c'era anche chi come Pavese non prendeva troppo sul serio quell'opposizione velleitaria e aveva<br />

scritto su una cartolina: «Quand'è che manderanno al confino anche te?». Inutile dire che l'amico,<br />

terrorizzato, aveva subito bruciato quel provocatorio messaggio.<br />

Nella Prima guerra mondiale un grande traffico di cartoline legava i soldati alle retrovie. Malaparte ne<br />

mandava ai commilitoni caduti perché venissero posate «sulla fossa coperta di neve». Dietro<br />

cartolina di propaganda contro il prussiano Guglielmo II, Apollinaire tracciava un quadro della vita in<br />

trincea: «Temo che non resteremo a lungo in questo sporco paese pieno di mosche, pendii brulli, e<br />

granate. Quanto rimpiango il settore 59... È vero che qui le notti sono favolose, fantastiche». Ma c'era<br />

anche chi, come Maccari, rimpiangeva i giorni della marcia su Roma e mandava ogni giorno, dal<br />

primo ottobre, una cartolina a Flaiano con scritto: «Il 28 ottobre si avvicina!».<br />

Le scabre parole di uno sconosciuto potevano ferire un autore apparentemente corazzato come<br />

Waugh: «Una critica ha avuto il potere di deprimermi: la cartolina di un uomo, che scrive: "Il suo<br />

Ritorno a Brideshead è uno strano modo di mostrare come il cattolicesimo sia una risposta a tutto.<br />

Fa pensare più al bacio della Morte"». Un tipico lapsus freudiano aveva fatto credere a Schnitzler che<br />

fosse anonima la cartolina in cui veniva avvertito che la sua amante lo tradiva con un attore della<br />

troupe. In realtà la denuncia era firmata dal padre.<br />

E anche la morte trovava il suo posto nelle cartoline, come in quella mandata sotto falso nome dal<br />

diciassettenne D'Annunzio, ansioso di farsi notare, alla «Gazzetta della Domenica», annunciando la<br />

propria fine dopo una caduta da cavallo. Il poeta astrologo Max Jacob, in una cartolina a Camus,<br />

destinato a scomparire in un incidente automobilistico, prese un memorabile granchio: «Non so<br />

perché vi dicono che morirete tragicamente». Ma la cartolina migliore è quella spedita da<br />

Hemingway, poco prima di suicidarsi, a un amico: «Comunque ce la siamo proprio spassata!».<br />

fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2010-08-14/cera-volta-cartolina-vacanze-195936.shtml?<br />

uuid=AYWYstGC<br />

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171<br />

Imminente l'uscita del romanzo<br />

Freedom, il nuovo affresco dell'America


Post/teca<br />

porta Franzen su Time<br />

Great American Novelist. Un grande autore americano. Non capita a tutti di finire sulla copertina di<br />

Time, soprattutto se si scrivono libri e si è ancora vivi. Ma l'attesa per il nuovo, grande affresco<br />

americano di Jonathan Franzen è tale che la scelta del magazine, negli Stati Uniti, non sorprende<br />

nessuno. Tanto che il produttore Scott Rudin ne ha già acquistato i diritti per cinema e tv.<br />

Freedom<br />

Salito alla ribalta nazionale nel 2001 con un autentico capolavoro, Le correzioni (National Book<br />

Award) Franzen, 51 anni da festeggiare fra due giorni, si è poi rifugiato in una serie di contributi,<br />

articoli, saggi. Neppure le pressioni dell'editore lo hanno convinto a scrivere un nuovo romanzo,<br />

iniziato e poi abbandonato varie volte fino alla drammatica morte del suo carissimo amico David<br />

Foster Wallace, anch'egli geniale autore (il suo Infinite Jest venne inserito da Time fra i migliori 100<br />

romanzi in linguia inglese del XX secolo).<br />

Da qui, dalla rabbia e dal dolore per il suicidio di Foster Wallace, Franzen avrebbe tratto la forza<br />

per scrivere le 589 pagine di Freedom. E chi ha potuto leggerle non ha dubbi: è un testo, scrive<br />

Lev Grossman di Time, che ha "una straordinaria forza e ricchezza"; è l' "opera di un genio<br />

assoluto", fa eco Sam Anderson sul New York Magazine; potrebbe dividere ancora una volta critica<br />

e pubblico, azzarda Catherine Lacey su BlackBook, ma questa volta c'è "il potenziale per<br />

conquistare almeno alcuni di coloro che lo hanno evitato in passato".<br />

La trama<br />

Se nelle Correzioni il lettore era catapultato in casa Lambert, e di capitolo in capitolo assorbiva<br />

nevrosi, paure e speranze di Enid e Alfred e dei loro tre figli, questa volta il romanzo segue la vita<br />

di Patty Berglund, un'ex campionessa di basket al college, oggi moglie di Walter, dipendente di una<br />

grande azienda.<br />

Lei, racconta Akan Cheuse sulla National Public Radio, è "una specie di Emma Bovary del<br />

Minnesota, che soffre di depressione profonda e dell'attrazione mai corrisposta per un amico di<br />

college del marito, Rick Katz, che nel frattempo è diventato un rocker di successo". Il figlio, Joey, è<br />

affascinato dalla vita dei vicina di casa - una delle ossessioni tipiche della middle class americana -<br />

e allaccia con loro rapporti sempre più stretti, fino a tessere una relazione con la loro figlia<br />

adolescente. Quasi inspiegabile per una coppia di 'progressisti' democratici, visto che i vicini<br />

incarnano lo stereotipo del repubblicano conservatore.<br />

Deviazioni stilistiche<br />

Fatto inusuale, rispetto alle abitudini stilistiche di Franzen, è la svolta impressa al romanzo che<br />

passa da una narrazione in terza persona ad una in prima persona, con Patty che comincia a<br />

scrivere la sua autobiografia: un romanzo nel romanzo che porta Franzen a misurarsi con un io<br />

narrante al femminile prima del ritorno alla narrazione in terza persona. C'è, come nelle Correzioni,<br />

la descrizione impietosa della lotta interna alla famiglia Berglund, dove le insicurezze degli uni<br />

vengono imougnate dagli altri come armi; c'è il senso di solitudine profonda, di dolore che traspira<br />

all'improvviso in un contesto apparentemente invidiabile ed in linea con 'il sogno americano'. Forse<br />

anche troppo, dice qualcuno, perché "ogni sguardo sembra coperto da leggera patina di disprezzo.<br />

172


Post/teca<br />

Franzen - sostiene Alan Cheuse - sembra non aver mai incontrato un essere umano normale,<br />

dignitoso, che lotta".<br />

fonte: http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=144068<br />

--------------------<br />

20100817<br />

Previsioni scientifiche errate<br />

La scienza ha come bizzarra caratteristica quella di dover ritornare<br />

sui propri passi, spesso dopo breve tempo, dopo affermazioni<br />

pesanti che contemplano espressioni del tipo “non si potrà mai…” o<br />

“è impossibile…”.<br />

Ecco un elenco delle previsioni scientifiche mancate o errate nel<br />

corso della storia che sono state immancabilmente smentite a<br />

distanza di pochi anni, o addirittura pochi mesi.<br />

“Non c’è alcuna ragione per la quale qualcuno possa<br />

volere un computer in casa propria” - Key Olson, presidente e<br />

fondatore della Digital Equipment Corporation, creatore del<br />

business dei mainframe, in un’intervista del 1977<br />

“Non faremo mai un sistema operativo a 32 bit” Bill Gates<br />

“Un razzo non potrà mai lasciare l’atmosfera terrestre” -<br />

New York Times, 1936. Nel 1957, lo Sputnik si aggiudica il primato<br />

di primo satellite in orbita nella storia.<br />

“Il viaggio nello spazio è una pagliacciata” - Sir Harold<br />

Spencer Jones, astronomo della Royal Society, 1957. Due settimane<br />

dopo lo Sputnik era in orbita.<br />

173


Post/teca<br />

“Le macchine volanti più pesanti dell’aria sono poco<br />

pratiche ed insignificanti, se non addirittura impossibili” -<br />

Simon Newcomb; 18 mesi dopo i fratelli Wright hanno fatto il primo<br />

volo su una macchina a motore<br />

“L’uomo non volerà per almeno 50 anni” - Wilbur Wright al<br />

fratello Orville dopo un volo sperimentale fallito nel 1901. Nel 1903 i<br />

fratelli Wright effettuano il primo volo a motore della storia.<br />

“Non esisterà mai un aeroplano più grosso” - un ingegnere<br />

della Boeing dopo il primo volo del 247, un aereo bimotore in grado<br />

di portare 10 persone<br />

“Aspirapolvere alimentati da energia nucleare saranno<br />

probabilmente realtà in 10 anni” alex Lewyt, presidente della<br />

Lewyt Corp, azienda produttrice di aspirapolvere, in un’intervista al<br />

New York Times nel 1955.<br />

“Questo ‘telefono’ ha troppi difetti per poter essere<br />

considerato un mezzo di comunicazione. Quel trabiccolo<br />

non ha alcun valore per noi” - un memo alla western Union nel<br />

1878<br />

“Il potenziale mondiale per questa macchina è di massimo<br />

5000 unità” - IBM ai futuri fondatori della Xerox, affermando che<br />

la fotocopiatrice non aveva un mercato abbastanza esteso per<br />

giustificare la produzione, 1959<br />

“Credo che ci sia un mercato mondiale per soli 5<br />

computer, forse” - Thomas Watson, presidente della IBM, 1943<br />

“I raggi-X si dimostreranno una bufala” Lord kelvin,<br />

174


Post/teca<br />

presidente della royal Society, 1883<br />

“Giocare con la corrente alternata è solo uno spreco di<br />

tempo. Nessuno la userà, mai” Thomas Edison, 1889<br />

“Viaggi su rotaia ad alte velocità non sono possibili perchè<br />

i passeggeri, impossibilitati a respirare, morirebbero di<br />

asfissia” Dottor Dionysys Larder, proferrore di Filosofia e<br />

Astronomia alla University College London.<br />

“Non c’è alcuna prova che l’energia nucleare possa essere<br />

sfruttata. Significherebbe piegare l’atomo al volere dell’<br />

uomo” - Albert Einstein, 1932<br />

“Quel virus è una bazzecola” Peter Duesberg, professore di<br />

biologia molecolare a Berkeley, parlando dell’ HIV nel 1988<br />

“Quella bomba non funzionerà mai. E parlo da esperto di<br />

esplosivi” Ammiraglio William Leahy, quando gli venne chiesto un<br />

parere sulla bomba atomica.<br />

“Tutto ciò che poteva essere inventato è stato inventato”<br />

charles H. Duell, addetto all’ufficio brevetti, 1899<br />

fonte: http://<br />

paolotumblr.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

------------------------<br />

175<br />

umorismo.<br />

● g: tendenzialmente prendo tutto ciò che voglio.<br />

● r: nei negozi questo lo chiamerebbero taccheggio.


Post/teca<br />

fonte: http://<br />

paolotumblr.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------------<br />

La tesi di fondo di Derrida nella prima parte de libro è che quello che<br />

Heidegger chiama, sulla scia di Nietzsche, “metafisica”, è<br />

essenzialmente una rimozione non dell’essere dimenticato sotto gli enti,<br />

bensì del mezzo che consente la costituzione dell’essere come idealità e<br />

della presenza dell’ente situato nello spazio e nel tempo. Il rimosso è,<br />

come ci si può attendere, la scrittura intesa nel suo senso più generale<br />

(“archiscrittura”), ossia non come scrittura fonetica (che trascrive la<br />

voce) o ideografica (che si presenta comunque come veicolo delle idee),<br />

bensì come ogni forma di iscrizione in genere, dal graffito alla incisione,<br />

alla tacca. La metafisica rimuove la mediazione proprio perché persegue<br />

un sogno di presenza piena, sia essa quella del soggetto presente a se<br />

stesso o quella dell’oggetto presente fisicamente e senza mediazioni di<br />

schemi concettuali.<br />

— Introduzione a Derrida di Maurizio Ferraris<br />

fonte: http://<br />

samaelqadmon.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

------------------------<br />

Lui: “Magari tutti gli uomini fossero come Dante e Picasso”<br />

Lei: “Morti?”<br />

(Altan)<br />

fonte: http://<br />

samaelqadmon.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------------<br />

PHILIP LARKIN<br />

di Franco Buffoni<br />

Il 1956, per l’Inghilterra, non fu soltanto l’anno della crisi di Suez, che ridimensionò radicalmente lo<br />

status della nazione come potenza mondiale, ma anche l’anno della svolta in due fondamentali<br />

generi letterari: il teatro (con lo shock provocato dalla prima rappresentazione di Look Back in<br />

Anger di John Osborne) e la poesia, con la pubblicazione della antologia New Lines, curata da<br />

176


Post/teca<br />

Robert Conquest, che sancì la nascita del Movement.<br />

L’evento era stato preceduto da un articolo anonimo – apparso due anni prima sullo Spectator (poi<br />

riconosciuto come proprio da Anthony Hartley), che riconosceva in un gruppo di giovani poeti “il<br />

solo movimento degno di questo nome nella poesia inglese dopo quello dei trentisti” – e da un’altra<br />

antologia, Poets of the 1950s, apparsa nel 1955 a Tokyo (e, proprio per questo, passata al<br />

momento inosservata) curata dal poeta e critico D. J. Enright. I nomi dei poeti presenti nelle due<br />

antologie sono gli stessi, con la sola aggiunta, da parte di Hartley, di Thom Gunn: Kingsley Amis,<br />

Donald Davie, John Wain, Elizabeth Jennings, John Holloway. E Philip Larkin: di tutti il più<br />

rappresentativo dello spirito del Movement e destinato, dapprima, a consustanziarsi in esso, quindi<br />

a informare di sé, griffandolo, l’intero movimento.<br />

Nato a Coventry nel 1922, Larkin si affaccia alla vita adulta assistendo alla più radicale e<br />

sistematica distruzione di un centro urbano che l’Inghilterra abbia mai conosciuto, ma decide di<br />

non testimoniare né questo né alcun altro dramma o tragedia dell’umanità. O, se non altro, di non<br />

farlo direttamente.<br />

Il primo libro di versi, uscito nel 1945 presso un piccolo editore, The Fortune Press, e ristampato<br />

da Faber nel 1966, si intitola The North Ship. Pur risentendo ancora fortemente dell’influenza di W.<br />

B. Yeats, in particolare per quanto attiene l’attrazione per la musicalità del verso (Larkin stesso<br />

avrebbe poi ammesso di essere riuscito a trovare una voce propria in poesia solo dopo essersi<br />

affrancato dal fascino della versificazione yeatsiana), The North Ship contiene testi poetici di alto<br />

valore e a tratti è in grado di annunciare gli sviluppi della poetica dell’autore nel decennio<br />

successivo:<br />

Dawn<br />

To wake, and hear a cock<br />

Out of the distance crying<br />

To pull the curtains back<br />

And see the clouds flying–<br />

How strange it is<br />

For the heart to be loveless, and as cold as these.1<br />

Prima di giungere alla pubblicazione nel 1955 presso Marvell Press di The Less Deceived, il<br />

volume che avrebbe rivelato appieno l’originalità e la forza centripeta del suo dettato poetico,<br />

Larkin si irrobustì stilisticamente superando con successo quella che vorremmo definire la “prova<br />

della prosa”: ben due romanzi, pubblicati il primo (Jill) nel 1946, il secondo (A Girl in Winter) nel<br />

1947, testimoniano di questa fase di apprendistato. Una fase nobile, tuttavia: in Larkin non vi è<br />

nulla di “giovanile” in senso deteriore, l’autocoscienza e il senso critico essendo stati in lui<br />

profondamente radicati sin dagli esordi. E in questo periodo, per esplicita ammissione dell’autore<br />

(cfr. la sua prefazione all’edizione del 1966 di The North Ship), all’influenza quasi subliminale di<br />

Yeats si sostituisce quella cercata, costruita, voluta, estremamente tecnica e ideologica, di Thomas<br />

Hardy poeta.<br />

The Less Deceived, oltre che uno splendido libro di poesia, può anche essere definito il manifesto<br />

programmatico di una poetica, risultando Larkin particolarmente avaro per quanto attiene le<br />

cosiddette dichiarazioni di poetica. Emblematico un distico d’esordio: “Too much confectionery, too<br />

rich: / I choke on such nutritious images”. La poesia si intitola “Lines on a Young Lady’s<br />

Photograph Album”, e il poeta subito attacca difendendosi strenuamente dalle “immagini”. Troppo<br />

dolci quei dolci per poterli gustare a lungo; soffocante è quella vita che gli trabocca innanzi.<br />

Basterebbe un rivolo di tanta abbondanza per un intero romanzo.<br />

Il poco, dunque, il meno che poco, ma analizzato al microscopio, vivisezionato, è quanto il poeta<br />

177


Post/teca<br />

(la cui infanzia è stata tutta un “forgotten boredom”) abbisogna per nutrire la propria scrittura. Ma in<br />

quella noia di una crescita senza rivelazioni (e la critica – o meglio, la mockery – è totale al<br />

movimento romantico, alle eroiche mistiche trentiste)2, in quella monotonia, il poeta ritrova il<br />

guizzo, l’attimo: “I… feel like a child / Who comes on a scene / Of adult reconciling, / And can<br />

understand nothing / But the unusual laughter, / And starts to be happy”.3<br />

Colta la chiave di lettura, la poesia di Larkin si dispiega senza reticenze, grazie a uno stile diretto,<br />

a un lessico preciso, al rifiuto pregiudiziale della metafora. A Larkin sta a cuore parlarci di quel<br />

“meraviglioso odore di ragazze” che lo attrae. E allora perché stare fuori dal locale dove si balla,<br />

dove quell’odore domina; perché accontentarsi di sbirciare dalla finestra? Perché, malgrado tutto<br />

“What calls me is that lifted, rough-tongued bell / (Art, if you like)”; così, loro, dentro, si agitanto<br />

“believing that”; e io sto fuori “believing this”.<br />

Potremmo quasi pensare a Luzi nella locanda, quando osserva entrare gli avventori, e li vede bere<br />

e giocare, li sente parlare: al senso di estraneità che egli prova. Con una differenza: Larkin non è<br />

sostenuto da alcuna superiorità teleologica, non ha nessuna rivelazione ad innalzarlo: manca il<br />

trespolo. Anzi, il trespolo è al contrario. In uno dei testi più celebri della raccolta – “Church Going” –<br />

il poeta narra di come talvolta nei giorni feriali scenda dalla bicicletta accanto alla chiesa, ed entri<br />

imbarazzato domandandosi chi sarà l’ultimo, proprio l’ultimo, “a cercare questo posto per ciò che<br />

era”.<br />

Eroe-antieroe dei propri testi, Larkin finisce con l’incarnare, malgrado la dichiarata avversione al<br />

Modernismo e ai suoi autori, l’immagine di un Leopold Bloom per le strade di Oxford (dove ha<br />

studiato) o di Hull (dove ha lavorato per vent’anni come bibliotecario), rimuginante spettatore delle<br />

azioni e soprattutto delle frasi altrui. “He walked out on the whole crowd”, oppure “Then she undid<br />

her dress”, o ancora “Take that you bastard”4 sono frasi che il poeta sente e si ripete chiedendosi<br />

se mai anche lui un giorno potrà dire o fare ciò. Ben sapendo che non accadrà mai;<br />

semplicemente egli non uscirà mai dalla sua vita “reprehensibly perfect”.<br />

Se si dovessero percepire parentele patologiche con dichiarazioni relative ad esistenze vissute al<br />

5% non credo si sarebbe fuori strada, sempre tuttavia tenendo conto del fatto che, in Larkin, anche<br />

il più piccolo moto di narcisismo riferito al ricordo, al dato personale, viene capovolto e irriso. Nella<br />

lirica “I Remember, I Remember”, per esempio, il processo in atto è precisamente il contrario di<br />

quanto avviene nel Prelude wordsworthiano (in ambito romantico) o nel World Within World<br />

spenderiano (per andare ai trentisti), o più semplicemente nell’Amarcord di Federico Fellini. Il treno<br />

passa da Coventry è l’io narrante pensa “è solo dove la mia infanzia non fu vissuta, dove tutto<br />

incominciò”. Proseguendo con il giardino “where I did not invent / Blinding theologies of flowers<br />

and fruits”, per giungere alle felci “where I never trembling sat” e finire a quelle stanze dove “my<br />

doggerel / Was not set up in blunt ten-point, nor read / By a distinguished cousin of the mayor”.<br />

Conclusione: “I suppose it’s not the place’s fault”.5<br />

Fino a rivolgersi alla propria “Pelle”, in uno dei testi conclusivi della raccolta, chiedendole di<br />

raggrinzirsi in fretta, di afflosciarsi (sottintendendo con ciò: allora molti problemi si risolveranno<br />

definitivamente); e scusandosi con essa, tuttavia, per non averla saputa indossare a nessuna festa<br />

quando era nuova e fresca, come è giusto fare con gli abiti “till the fashion changes”.<br />

La pubblicazione di The Less Deceived, coincidendo con l’uscita della antologia di Conquest,<br />

costituì il nucleo essenziale attornò al quale, negli anni successivi, andò sviluppandosi il dibattito<br />

attorno al Movement. Dibattito al quale Larkin riuscì quasi sempre a sottrarsi, proprio per questo<br />

finendo per assumere il ruolo di eminenza grigia del movimento. Ma quali ne erano, in sintesi, i<br />

principali punti programmatici? Anzitutto va ricordato che, nei primi anni cinquanta, la scena<br />

poetica inglese si presenta piuttosto sguarnita. T. S. Eliot è ormai un monumento mondiale, ma è<br />

178


Post/teca<br />

chiaro a tutti che la sua vena poetica è completamente esaurita. W. H. Auden è diventato cittadino<br />

americano e i suoi ex compagni trentisti, perduto con la guerra il baldanzoso slancio giovanile,<br />

sono poeticamente allo sbando. Dylan Thomas muore alcolizzato nel 1953, e già da alcuni anni il<br />

suo carisma si era affievolito. Ecco dunque i bersagli da colpire: il modernismo con gli “americani”<br />

Pound e Eliot e la loro scrittura egoistica e oscura, assolutamente estranea alla netta e cristallina<br />

versificazione tradizionale inglese (tanto è vero che ci si rifarà a modelli di chiarezza persino<br />

settecenteschi); e il surrealismo metafisico-misticheggiante (leggi Dylan Thomas) con le sue<br />

pretese di affascinare inebetendo gli ascoltatori. Occoreva riscoprire l’ironia, la sintassi e lo wit.<br />

Non casualmente i “movementeers” vennero soprannominati “university wits” sul modello<br />

settecentesco, con riferimento anche alla loro provenienza oxbridgeana e al fatto che ormai<br />

insegnavano tutti in varie università del regno (o all’estero come Enright), o almeno regnavano su<br />

una biblioteca universitaria, come Larkin a Hull.<br />

Celeberrima programmaticamente fu anche la sentenza di Kingsley Amis: “Nobody wants any<br />

more poems about philosophers or paintings or novelists or art galleries or mythology or foreign<br />

cities or other poems”. La dichiarazione divenne ben presto moda. Non ci fu più casa editrice<br />

importante disposta a pubblicare libri di autori d’ambito cosmopolita, modernista, surrealista o<br />

trentista, inclusi Stephen Spender, MacNeice e Day Lewis; o autorevole quotidiano o rivista che<br />

invitasse un autore non-moventeer a pubblicare sulle proprie pagine: poeti come David Gascoyne,<br />

Charles Tomlinson o J. H. Prynne ebbero vita durissima. Per altri, come Basil Bunting, ancora oggi<br />

non è avvenuta una piena rivalutazione.<br />

Ad antologia di tendenza rispose allora un’altra antologia di tendenza (quella del Group, dominata<br />

da Ted Hughes), secondo la consuetudine tipicamente inglese di dividersi in certi periodi in<br />

battagliere schiere letterarie contrapposte, dotate di organi di informazione, apparati e antologie<br />

estremamente tendenziosi; mentre in altri periodi – come in quello attuale – predomina il fair play<br />

del dato acquisito, e le antologie si limitano a registrare asetticamente gli autori operanti.<br />

In questo quadro di aspre invettive e reciproche scomuniche Larkin per lo più taceva e scriveva<br />

(saggiamente poco: i suoi libri di poesia ebbero una cadenza decennale). Ma quando usciva anche<br />

con un solo testo su rivista faceva centro, divenendo così sempre più un modello per tanti giovani<br />

aspiranti poeti. E nel 1965 pubblicò il suo libro più importante, The Whitsun Weddings. Prima di<br />

passare ad analizzare tale sviluppo maturo della sua poetica, ricordiamo che in seguito (1974)<br />

l’ultimo libro – High Windows – ebbe enorme successo di pubblico, ma non riuscì più a centrare<br />

con eguale precisione e secchezza elementi biografico-aneddotici insieme a stoici e/o nichilistici<br />

ritratti d’ambiente. Poi, lunghi periodi di silenzio interrotti da pochi inediti su rivista, fino alla morte<br />

avvenuta nel 1985. Postumi i Collected Poems del 1988 e le Selected Letters del 1992.<br />

The Whitsun Weddings si apre con testi ad ampio respiro, sorretti da mirabili schemi metrici. Larkin<br />

gioca a suo piacimento con strofe a 4, 6, 7, 8 versi, riuscendo a presentare come un fatto<br />

assolutamente naturale gli intarsi di rima più artificiosi: per esempio, nelle composizioni di strofe a<br />

sette versi, ciascuna stanza – già compiuta in sé – risulta legata alle altre in quanto il primo verso<br />

riprende la rima del quinto verso della stanza precedente, così da poter permettere la lettura della<br />

poesia anche come se fosse composta di sotterranee quartine.<br />

Anche sul piano strettamente contenutistico i testi di The Whitsun Weddings presentano incredibili<br />

sorprese. Si confronti per esempio il finale della poesia “Here” (“Here is unfenced existence: /<br />

Facing the sun, untalkative, out of reach”) con il finale del primo testo di North, la contemporanea<br />

(apparsa nel 1975 da Faber) raccolta di Heaney (“Here is love / like a tinsmith’s scoop / sunk past<br />

its gleam / in the metal bin”).<br />

Sempre con la spietatezza del groppo in gola trattenuto fino al distico finale e mai esplicitato se<br />

179


Post/teca<br />

non in termini di sommesso dettaglio; più spontaneo quando si tratta di altri personaggi piuttosto<br />

che dell’io narrante, Larkin mette in scena le sue madeleines: la stanza d’affitto di Mr Bleaney,<br />

dove poter spegnere i mozziconi sullo stesso piattino-ricordo non più usato dalla morte di lui; o gli<br />

spartiti di romanza logorati dal tempo a cui “lei” ora ritorna, rimasta sola, ben sapendo che “così<br />

come non era stato allora, non sarebbe stato neanche adesso”. E sempre passando, con un<br />

rapidissimo cambio di inquadratura, dal generale al particolare, e giungendo al dettaglio rivelatorio<br />

in modo dolorosamente sorprendente (“and the voice above / Saying Dear child, and all time has<br />

disproved”). O anche: “You can see how it was: /…/ The music in the piano stool. That vase”.<br />

Fino al componimento che dà il titolo al libro: le nozze di pentecoste, tanti matrimoni conclusi alla<br />

stazione con la partenza degli sposi in treno, paese dopo paese; e l’io narrante che li vede salire, e<br />

vede i parenti salutare (“children frowned / At something dull; fathers had never known / Success<br />

so huge… / The women shared / The secret like a happy funeral; / While girls, gripping their<br />

handbags tighter, stared / At a religious wounding”). Conclusione: “A dozen marriages got under<br />

way”.<br />

Il tutto intervallato da un componimento breve, giustamente famoso – “Days” – che a noi italiani,<br />

nella prima parte non può non richiamare Lamarque; mentre, nella seconda lassa, pare riprendere<br />

l’immagine del prete e del dottore dalla Ballad of Reading Gaol di Oscar Wilde:<br />

What are days for?<br />

Days are where we live.<br />

They come, they wake us<br />

Time and time over.<br />

They are to be happy in:<br />

Where can we live but days?<br />

Ah, solving that question<br />

Brings the priest and the doctor<br />

In their long coats<br />

Running over the fields.6<br />

Peculiare larkiniana è comunque sempre la capacità di illuminare a giorno l’infimo dettaglio,<br />

facendogli assumere valenza universale. E’ così per quegli agnelli (e ci vuole del coraggio per un<br />

poeta inglese a porre gli agnelli nel primo verso; come per un italiano la cavallina o l’anguilla:<br />

totalmente bruciate in poesia); quegli agnelli che imparano a camminare nella neve: “They could<br />

not grasp it if they knew, / What so soon will wake and grow / utterly unlike the snow”.<br />

Una capacità che il poeta riesce persino ad accentuare quando il riferimento è alla sfera sessuale,<br />

alla sfera dei rapporti sessuali con l’altro sesso. Dockery, il compagno di università scomparso, ora<br />

ha un figlio di vent’anni che frequenta lo stesso loro college. Lo ripete tra sé, pensoso, il poeta,<br />

dopo le parole del rettore (la poesia si intitola appunto “Dockery and Son”). Dockery, dunque, a<br />

quel tempo… e “Dockery was junior to you, / Wasn’t he?”. Sono “innate supposizioni” che si<br />

ergono come nubi di sabbia: “For Dockery a son, for me nothing”. Ma la vita, conclude il poeta –<br />

implicitamente ribadendo al sonetto shakespeariano che, tanto, con lui, non c’era nessuna<br />

bellezza da tramandare – “is first boredom, then fear. / Whether or not we use it, it goes”.<br />

Certo, che la si usi o no, la vita passa. Ma fino all’ultimo testo dell’ultimo libro l’ossessione,<br />

divenuta forse vezzo, birignao; l’ossessione si trascina dal kavafisiano nogozio di merceria (“The<br />

Large Cool Store”), dove – oltre i mucchi di camicie e pantaloni – appaiono “Lemon, sapphire,<br />

moss-green, rose / Bri-Nylon Baby-Dolls and Shorties” come lucenti alberi della tentazione. E così<br />

Larkin, che in “Annus Mirabilis” ci aveva dichiarato<br />

Sexual intercourse began in nineteen-sixtythree-<br />

180


Post/teca<br />

Which was rather late for me-<br />

Between the end of Chatterley ban and the Beatles<br />

First L.P.7,<br />

vuole concludere – e può assolutamente permetterselo – il suo percorso poetico e umano in tono<br />

quasi voyeuristico:<br />

High Windows<br />

When I see a couple of kids<br />

And guess he’s fucking her and she’s<br />

Taking pills and wearing a diaphragm,<br />

I know this is paradise. 8<br />

NOTE<br />

[ Tutte le versioni italiane dei testi di Philip Larkin presentate in queste note sono di Franco Buffoni.<br />

]<br />

4. Alba<br />

5. Svegliarsi sentendo in lontananza<br />

6. Un gallo cantare,<br />

7. Aprire le ante e vedere<br />

8. Le nuvole fuggire…<br />

9. Come è strano che il cuore non senta,<br />

10. Che sia freddo come le cose. [↩]<br />

11. A mo’ di esempio, su questo punto, commenteremo in seguito la lirica “I Remember,<br />

I Remember” che appare nella raccolta The Less Deceived. [↩]<br />

12. Giungendo<br />

13. Come si allungano le sere<br />

14. La luce gialla e fredda<br />

15. Bagna la fronte serena delle case.<br />

16. Dall’albero di alloro<br />

17. Nel giardino spoglio<br />

18. Un tordo canta:<br />

19. La sua voce nuova sorprende<br />

20. Il muro di mattoni.<br />

21. Presto sarà primavera<br />

22. Presto sarà primavera<br />

23. Ed io con la mia infanzia<br />

24. Di noia dimenticata<br />

25. Mi sento un bambino<br />

181


Post/teca<br />

182<br />

26. Che giunge proprio quando<br />

27. Gli adulti fanno pace,<br />

28. E non capisce niente<br />

29. Tranne un sorriso insolito,<br />

30. E comincia ad essere felice.<br />

31. [↩]<br />

32. “E lui piantò baracca e burattini”, “Allora lei si slacciò il vestito”, “Prenditi questo,<br />

bastardo”. Cfr. “Poetry of Departures” in The Less Deceived. [↩]<br />

33. “Dove non inventai / Stupefacenti teologie di fiori e frutti”, “Dove non mi sedetti mai<br />

tremante”, “Dove i miei versi / Non vennero composti in un corpo dieci logorato”;<br />

“Suppongo che non sia colpa del posto”. Cfr. “I Remember, I Remember”, in The Less<br />

Deceived. [↩]<br />

34. Giorni<br />

35. A cosa servono i giorni?<br />

36. I giorni servono per viverci.<br />

37. Vengono e ci svegliano<br />

38. Ogni volta di nuovo.<br />

39. Servono per viverci felici.<br />

40. Dove si può vivere se non nei giorni?<br />

41. Ah, risolvere il problema<br />

42. Porta il prete e il dottore<br />

43. Nei loro abiti lunghi<br />

44. Di corsa per i campi. [↩]<br />

45. da “Finestroni”<br />

46. E a scopare si cominciò nel 63<br />

47. Tra la fine del bando a Lady Chatterley<br />

48. E il primo ellepi dei Beatles.<br />

49. Invero piuttosto tardi per me. [↩]<br />

50. da “Annus Mirabilis”<br />

51. Quando li vedo in coppia<br />

52. E si capisce che scopano<br />

53. E lei prende la pillola ha il diaframma<br />

54. Io lo so che quello è il paradiso. [↩]


Post/teca<br />

Altri articoli su questo argomento:<br />

3. G . M . HOPKINS di Franco Buffoni G. M. Hopkins (1844-1889) oggi si staglia ai vertici<br />

poetici della letteratura inglese del secondo Ottocento, ma...<br />

4. I mondi di Guido Mazzoni di Franco Buffoni Era il 1991, l’avventura dei Quaderni di Poesia<br />

Italiana Contemporanea era all’inizio: stava per uscire il secondo...<br />

5. LIBERTA’<br />

DI CURA di Ignazio Marino “Si tratta di un problema di libertà individuale che non<br />

può non essere garantito dalla Costituzione, quello...<br />

6. STATO LAICO ? di Luigi Tosti, magistrato Ricordo a tutti coloro che mi hanno sostenuto<br />

nella battaglia per la rimozione dei crocifissi dalle...<br />

7. Mehmet di Franco Buffoni Le lingue delle madri Da tre anni qui a Roma [...]...<br />

7 agosto 2010 alle 09:09<br />

Questo articolo è stato scritto da franco<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

nazioneindiana.<br />

com/2010/08/07/<br />

philip-<br />

larkin-2/#<br />

more-36277<br />

----------------------------------------<br />

buffoni,<br />

e pubblicato il<br />

“Ho passato gran parte della giornata a pensare che non stavo facendo un<br />

cazzo. Poi è arrivata la fine della giornata. Indovinate? Non ho concluso un<br />

cazzo perché ho passato tutto il tempo a pensare che non stavo facendo un<br />

cazzo. Lo dico sempre io che il mio grosso problema è che penso troppo.”<br />

— le supposte di paz83:<br />

(fortuna che sono in ferie)<br />

# vita # gtd # rido<br />

via: http://<br />

piccole.<br />

rispostesenzadomanda.<br />

com/<br />

------------<br />

coactusvolui:<br />

Ogni dipendenza è piacevole perché fa male. Proprio come te.<br />

via: http://<br />

biancaneveccp.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

----------------<br />

“Non fu facile volersi bene, restare assieme<br />

183


Post/teca<br />

o pensare d’avere un domani e stare lontani;<br />

tutti e due a immaginarsi: “Con chi sarà?”<br />

In ogni cosa un pensiero costante,<br />

un ricordo lucente e durissimo come il diamante<br />

e a ogni passo lasciare portarci via da un’ emozione non piena, non colta:<br />

rivedersi era come rinascere ancora una volta.”<br />

— Francesco Guccini (via<br />

untemporale)<br />

via: http://<br />

biancaneveccp.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

-----------------<br />

Ralph Koenig, per 30 anni ha<br />

disegnato uomini gay con grandi nasi<br />

a patata<br />

di Laura Lucchini<br />

Ralph König non aveva ancora vent’anni quando iniziò, «come un regista<br />

senza copione», a disegnare un mondo di uomini gay caratterizzati da<br />

grandi nasi a patata. Da allora e per trent’anni, questi personaggi, che<br />

soffrono e si divertono, che ballano e fanno sesso, ma anche che<br />

piangono e invecchiano, hanno tenuto compagnia a generazioni di gay e<br />

lesbiche, incoraggiati dalla visione ironica di un mondo in cui gli<br />

omosessuali sono al centro dell’universo, circondati, come da satelliti, da<br />

figure femminili tragiche e uomini eterosessuali bigotti. Al secondo piano<br />

di un edificio del Meringdahm a Berlino, in un loft dalle pareti bianche, il<br />

museo gay della città ha voluto dedicargli una retrospettiva in occasione<br />

del suo cinquantesimo compleanno (il 9 agosto), che coincide anche con<br />

i suoi trent’anni di lavoro come disegnatore.<br />

A rendere König uno dei fumettisti gay più famosi al mondo è stato un<br />

attore, con un gran naso reale, e che fino ad allora era considerato un<br />

184


Post/teca<br />

simbolo della cultura sciovinista renana. Si tratta di Til Schweiger, che<br />

recitò il ruolo principale in un film rivoluzionario intitolato L’uomo in bilico<br />

(Der bewegte Mann). Ralph König aveva pubblicato un fumetto omonimo<br />

nel 1987. Sette anni più tardi il regista Sönke Wortmann lo portò sui<br />

grandi schermi. In poco tempo, il film si convertì nella seconda pellicola<br />

più vista della storia del cinema tedesco. Parallelamente, Schweiger<br />

diventava una star mentre grazie alla locandina, i personaggi di König si<br />

stampavano per sempre nell’immaginario collettivo. König, nato nel 1960<br />

a Soest in Westfalia, frequentava da poco l’accademia delle Belle arti di<br />

Düsseldorf quando pubblicò, a 19 anni, le sue prime strisce sulla rivista<br />

underground di Monaco Zomix .<br />

Le storie dei suoi personaggi uscivano, allora come oggi, direttamente da<br />

vicende quotidiane. «Mi comporto come un regista che non ha copione,<br />

ma che inizia a filmare ugualmente», dice König nelle frasi stampate<br />

sulle pareti della mostra. La routine dei suoi personaggi, che a volte sono<br />

operai muscolosi in tuta da lavoro e altre sono omini pelosi vestiti da<br />

donne, viene descritta nei dettagli più scomodi come il costante conflitto<br />

tra il sesso libero e il timore di contrarre il virus Hiv. Proprio per questa<br />

ragione, in più di una occasione, le sue opere sono state considerate<br />

insidiose e pericolose per i giovani. Come nel 1996, quando la procura di<br />

Meiningem ordinó di confiscare in più di 1000 librerie di tutta la<br />

Repubblica Federale il suo famosissimo libro il Condom Assassino , una<br />

parodia di una storia criminale, che gia dal titolo, si capisce, non può far<br />

male a nessuno. In Germania esiste un ampio consenso, ribadito anche<br />

in questi giorni sulle pagine dei giornali, sul fatto che i fumetti di König,<br />

da subito molto amati anche tra il pubblico eterosessuale, abbiano<br />

contribuito in modo fondamentale a un mutamento sociale e<br />

all’integrazione degli omosessuali nel paese.<br />

Ma basta dare uno sguardo veloce alla mostra berlinese per capire che<br />

nella sua carriera di disegnatore c’è molto di più. «Sono diventato<br />

famoso come fumettista gay», spiega, «questo all’inizio è stato molto<br />

utile. Mi è servito a togliere il tabù da un tema e a farlo con ironia.<br />

Adesso però lo sento un po’ come una palla al piede. Non perché non mi<br />

piaccia più essere gay, al contrario, mi piace e continuerò a fare fumetti<br />

gay, ma vorrei che si rispettasse più in generale che sono un fumettista.<br />

185


Post/teca<br />

Per esempio Walter Moers e Wermer, non sono considerati fumettisti<br />

etero, però io sono sempre il disegnatore frocio». Dalla sua volontà di<br />

superare, artisticamente, il vincolo tematica gay, nascono una serie di<br />

libri in cui König si muove con destrezza attraverso classici della<br />

letteratura e del teatro come Lisistrata di Aristofane e l’Otello di<br />

Shakespeare, ma arriva anche a toccare l’attualità con il fumetto Dschin<br />

Dschin , una serie di scene che hanno come oggetto il radicalismo<br />

islamico. In una striscia del 2005, disegna una passerella di moda a<br />

Parigi, con tre donne che indossano burka di diversi colori e sotto la<br />

scritta: «per la prossima stagione presentiamo qui i modelli: “apertura<br />

mentale”, “libertà di stampa” e “senso della satira” in un outfit<br />

tollerante».<br />

Con questo ed altri fumetti König prese posizione nel 2005 nel dibattito<br />

sulla libertà di satira, causato dalla pubblicazione sul quotidiano danese<br />

Jyllands-Posten delle vignette che rappresentavano Maometto. Per il suo<br />

impegno in questo dibattito, nello stesso anno vinse il premio Max-und-<br />

Moritz-Preis. I suoi ultimi lavori guardano in modo critico, ma sempre<br />

rispettoso, verso la chiesa cattolica e la bibbia. La musica che<br />

accompagna la mostra, è la musica che König ascolta mentre disegna.<br />

Così l’ha voluto lui, non a caso. Quando la playlist passa all’improvviso<br />

ad Again , degli Archive, tutte le figure colorate assumono un aspetto più<br />

malinconico, e la critica che percorre tutte le strisce arriva con più<br />

rabbia.<br />

14 agosto 2010<br />

fonte:<br />

http://<br />

www.<br />

unita.<br />

it/<br />

news/<br />

culture/102369/<br />

ralph_<br />

koenig_<br />

per_<br />

anni_<br />

ha_<br />

disegnato_<br />

uomini_<br />

gay_<br />

con_<br />

gr<br />

andi_<br />

nasi_<br />

a _ patata<br />

----------------<br />

“ Chi non si muove non sente le catene. Rosa<br />

via: http://<br />

apertevirgolette.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------<br />

186<br />

Luxemburg


Post/teca<br />

"- “io sono un socratico”<br />

- “sai di non sapere?”<br />

- “no, penso che la cicuta sia la soluzione"<br />

via: http://<br />

squilitumblr.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

fonte: http://<br />

friendfeed.<br />

com/<br />

spad<br />

----------------<br />

La morte di Francesco Cossiga<br />

Uno statista cristiano<br />

di Marco Bellizi<br />

Francesco Cossiga, figura di spicco del cattolicesimo politico democratico italiano, è stato<br />

essenzialmente un uomo di Stato. Ripercorrendo i grandi eventi che hanno caratterizzato la storia<br />

della Repubblica, si può facilmente constatare come il suo nome compaia in molti momenti cruciali<br />

della vita del Paese, dalla ricostruzione postbellica ai movimenti studenteschi, dagli anni bui del<br />

terrorismo fino all'esaurirsi di un'epoca e di una generazione politica, sotto i colpi delle inchieste<br />

giudiziarie e degli sconvolgimenti innescati dalla caduta del muro di Berlino.<br />

Lo statista scomparso è stato a tutti gli effetti anche uomo della cosiddetta Prima Repubblica, della<br />

quale potrebbe essere considerato tra i simboli, esponente di una generazione che, dalle ceneri<br />

del ventennio fascista e del secondo conflitto mondiale, ha saputo costruire un'Italia nuova, in un<br />

187


Post/teca<br />

contesto pieno di difficoltà e contraddizioni come fu quello della guerra fredda.<br />

Ma Cossiga è stato anche capace di puntuali intuizioni circa gli sviluppi dei processi politici e ha<br />

anticipato, oltre che gli esiti di questi, anche un nuovo stile politico. Uomo di Stato, dunque. Di<br />

quello Stato che a volte ha saputo trasmettere il senso della fermezza e della certezza del diritto e<br />

che a volte ha tremato sotto i colpi del terrorismo e delle trame, vere o presunte, che di tanto in<br />

tanto affioravano in un contesto sicuramente particolare come è stato quello italiano, soprattutto<br />

dagli anni settanta fino ai novanta del secolo scorso.<br />

Del suo essere uomo di Stato Cossiga - ed è questa forse la sua particolarità più spiccata - è stato<br />

sempre consapevole. Spesso insofferente. Soprattutto, è stato consapevole delle difficoltà, a volte<br />

drammatiche, che questo ruolo comporta. È stato così non solo nella tragica ed epocale vicenda<br />

del sequestro di Aldo Moro ma anche in molte altre pagine della storia repubblicana. Cossiga era<br />

consapevole di far parte integrante di un sistema - in quel momento, a suo parere, l'unico possibile<br />

- che presentava nette contraddizioni. Le stesse che, una volta diventato presidente della<br />

Repubblica, volle additare in quella stagione nella quale, "togliendosi qualche sassolino dalle<br />

scarpe", divenne per tutti il "picconatore".<br />

Visione d'insieme e capacità di proiezione sono dunque alcuni dei caratteri della figura di Cossiga<br />

uomo politico. La carriera del futuro presidente della Repubblica italiana è stata del resto un<br />

percorso dalle tappe consumate sempre in anticipo sui tempi: nato a Sassari il 26 luglio 1928, a<br />

soli 16 anni ottenne la maturità liceale. Quattro anni più tardi la laurea in giurisprudenza: da qui<br />

prese avvio la carriera universitaria che lo porterà al insegnare diritto costituzionale nell'università<br />

di Sassari. Ancora più fulminante il percorso politico: a 17 anni è già iscritto alla Democrazia<br />

cristiana, e a 28 ne diventa segretario provinciale. Due anni dopo, nel 1958, entra a Montecitorio. È<br />

il più giovane sottosegretario alla Difesa nel terzo governo guidato da Aldo Moro; nel 1976, a 48<br />

anni, è il più giovane ministro dell'Interno; nel 1979 è il più giovane presidente del Consiglio; poi, il<br />

più giovane presidente del Senato nel 1983, a 55 anni, e il più giovane presidente della Repubblica<br />

nel 1985, a 57 anni, eletto alla prima votazione da una maggioranza di voti molto estesa (752 su<br />

977).<br />

La formazione politica di Cossiga - cattolico in possesso di una raffinata institutio culturale e<br />

ammiratore di pensatori come Rosmini e Newman - è radicata nel solco del cattolicesimo politico.<br />

Negli anni universitari fece parte della Federazione universitaria cattolica italiana con ruoli di primo<br />

piano nella sezione di Sassari e a livello nazionale. Nella Democrazia cristiana è rimasto fino al<br />

suo scioglimento; nel 1998 ha poi fondato l'Unione democratica per la Repubblica (Udr), nel<br />

tentativo di costituire un'alternativa di centro ai nuovi poli di sinistra e destra, a suo parere non<br />

sufficientemente capaci di fornire al Paese una guida solida come quella che, sia pure nel<br />

succedersi di Governi, la Democrazia cristiana aveva saputo assicurare nel corso di un intero<br />

cinquantennio.<br />

Il pragmatismo e il realismo sono stati del resto le altre cifre caratterizzanti la figura politica di<br />

Cossiga. Nello scenario della divisione fra blocchi e dellaconventio ad excludendum a danno del<br />

Partito comunista italiano, Cossiga si trovò a gestire situazioni drammatiche, dalle contromisure in<br />

vista di un'eventuale affermazione del comunismo in Italia, al movimento del 1977, con i tragici<br />

incidenti di Bologna e Roma, a seguito dei quali dai contestatori fu introdotta per il suo cognome la<br />

grafia Kossiga con la doppia s runica della famigerata organizzazione nazista, con una trovata<br />

tanto facile quanto ingiusta.<br />

La vicenda più tragica è però senza dubbio quella del sequestro e dell'assassinio del presidente<br />

della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, a opera delle Brigate rosse quando Cossiga ricopriva la<br />

carica di ministro dell'Interno. Di fronte alle richieste dell'organizzazione terroristica per la<br />

188


Post/teca<br />

liberazione dello statista democristiano, come è noto, le istituzioni scelsero la linea della fermezza.<br />

A seguito dell'uccisione di Moro il 9 maggio 1978, Cossiga si dimise. Ma l'anno successivo fu<br />

nominato presidente del Consiglio, rimanendo in carica fino al 1980.<br />

Cinque anni più tardi, nel 1985, arrivò l'elezione al Quirinale. Fino al 1990 lo stile di Cossiga fu in<br />

linea con quello dei precedenti capi di Stato. Dopo la caduta del muro di Berlino, lo statista divenne<br />

invece più incisivo nel denunciare, come si è accennato, alcune delle contraddizioni del sistema di<br />

quella che venne poi definita Prima Repubblica. Nel 1991, a seguito delle rivelazioni sull'esistenza<br />

dell'organizzazione segreta Gladio, il presidente fu fatto oggetto di una procedura di messa in stato<br />

d'accusa, che cadde poi nel 1993. L'anno prima, il 25 aprile, a due mesi dalla scadenza del<br />

mandato presidenziale, si era dimesso.<br />

Da senatore a vita, esaurito il tentativo cui si è già fatto cenno, della costruzione di un'alleanza di<br />

centro, le sue preferenze hanno oscillato fra i due principali schieramenti politici che si contendono<br />

la guida del Paese. Nel 1998 aveva contribuito alla nascita del primo governo italiano guidato da<br />

un politico di formazione comunista, Massimo D'Alema, nel 2006 ha dato il suo appoggio<br />

all'esecutivo presieduto da Prodi mentre nel 2008 ha sostenuto quello guidato da Berlusconi, al<br />

quale aveva già dato la sua fiducia nel 1994. Sempre nel 2006 aveva presentato le dimissioni dalla<br />

carica di senatore a vita, ritenendosi "ormai inidoneo ad espletare i complessi compiti e a<br />

esercitare le delicate funzioni che la Costituzione assegna come dovere ai membri del parlamento<br />

nazionale". Ma le dimissioni erano state respinte. A conferma dell'autorevolezza di un ruolo<br />

riconosciuto allo statista al di là delle divisioni politiche.<br />

(©L'Osservatore Romano - 17-18 agosto 2010)<br />

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Il pensiero di John Henry Newman nell'interpretazione di uno statista<br />

cristiano<br />

Un padre assente del concilio vaticano II<br />

Pubblichiamo stralci di un articolo apparso nel 2009 sulla rivista "Vita e Pensiero" a firma del<br />

presidente emerito della Repubblica italiana, morto martedì 17 agosto a Roma.<br />

di Francesco Cossiga<br />

Il pensiero di John Henry Newman era ben conosciuto a padri e periti conciliari: e tra questi anche<br />

al già ben noto teologo tedesco Joseph Ratzinger. Durante il concilio vaticano II, ci si riferì a<br />

Newman - come a un altro originale filosofo e teologo, Antonio Rosmini - come a un ispiratore e<br />

189


Post/teca<br />

"padre assente" del concilio. Dire<br />

esaustivamente quanto le decisioni conciliari debbano ai suoi insegnamenti esigerebbe un oratore<br />

molto, ma molto più ferrato di me, che non ho coltivato né la filosofia né la teologia, ma ho soltanto<br />

"razzolato" in esse!<br />

In un articolo scritto su "L'Osservatore Romano" nel 1964, il filosofo cattolico Jean Guitton<br />

scriveva: "I grandi geni sono dei profeti sempre pronti a rischiarare i grandi avvenimenti, i quali, a<br />

loro volta, gettano sui grandi geni una luce retrospettiva che dona loro un carattere profetico. È<br />

come il rapporto che intercorre tra Isaia e la passione di Cristo, reciprocamente illuminati: così<br />

Newman rischiara con la sua presenza il Concilio e il Concilio giustifica Newman".<br />

Le dichiarazioni del concilio hanno statuito sulla libertà della coscienza e sul primato della<br />

coscienza nel campo del pensiero e dell'etica, anche se - come notò in un suo studio il teologo<br />

Joseph Ratzinger - non senza qualche ambiguità e indeterminatezza. Il concetto di libertà e di<br />

primato della coscienza è al centro delDecreto sulla libertà religiosa. Questo concetto è<br />

caratteristico del pensiero di Newman che lo espose in modo brillante nella famosa Lettera al<br />

Duca di Norfolk, nella quale confutò le gravi osservazioni sulla libertà dei sudditi cattolici della<br />

Corona di osservare le leggi del Regno e di servire lealmente la Corona stessa, dopo la<br />

proclamazione, da parte del concilio Vaticano i, del dogma dell'infallibilità; dogma contro la<br />

sostanza del quale Newman, a differenza del suo grande amico cattolico napoletano-bavareseinglese,<br />

lo storico della libertà, regius professor dell'università di Cambridge, il cattolico-liberale<br />

lord Acton, non aveva scritto, ma solo si era interrogato pubblicamente sull'opportunità di<br />

proclamarlo in quel momento storico (ma subito dopo obbedendo silenziosamente).<br />

Lo stesso Papa che lo aveva proclamato, di fronte alla dura reazione del cancelliere germanico<br />

von Bismarck, sentì la necessità di scrivere una lettera ai vescovi tedeschi, in risposta a una lettera<br />

che essi gli avevano scritto, chiarendo il contenuto e i limiti dell'infallibilità papale. Proprio nella già<br />

citataLettera al Duca di Norfolk Newman conclude il capitolo sulla coscienza con le celebri parole:<br />

190


Post/teca<br />

"Se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo (il che in verità non mi<br />

sembra proprio la cosa migliore), brinderò, se volete, al Papa; tuttavia prima alla coscienza, poi al<br />

Papa".<br />

Per spiegare che cosa fosse la coscienza, nel suo saggio appunto a essa dedicato, forse quasi<br />

temerariamente e con parole che a suo tempo scandalizzarono molti, specie tra gli ultramontani,<br />

affermava: "Sembra (...) che vi siano casi estremi nei quali la coscienza può entrare in conflitto<br />

con la parola del Papa e che, nonostante questa parola, debba essere seguita". E ancora: la<br />

coscienza "non è un egoismo lungimirante, né il desiderio di essere coerenti con se stessi, bensì la<br />

messaggera di Colui, il quale, sia nel mondo della natura sia in quello della grazia, ci parla dietro<br />

un velo e ci ammaestra e ci governa per mezzo dei suoi rappresentanti". E addirittura: "La<br />

coscienza è l'originario vicario di Cristo". Ma Newman più oltre aggiunge: "Per timore di non venire<br />

fraintesi, debbo ripetere che, quando io parlo di coscienza, intendo quella coscienza intesa nel suo<br />

vero significato. Per avere il diritto di opporsi all'autorità suprema, benché non infallibile, del Papa,<br />

essa dev'essere qualcosa ben maggiore di quell'infelice contraffazione che (...) viene ora<br />

popolarmente intesa".<br />

Newman ricorda anche quella sentenza, propria oltre che di Tommaso d'Aquino anche dei teologi<br />

e canonisti della Scuola Salmaticense e dei gesuiti del XVII secolo, secondo cui la coscienza va<br />

sempre seguita anche se erronea, e anche se l'errore sia frutto della propria colpa. La coscienza di<br />

cui Newman invoca il primato è la tuta et informata conscientia dei più certi moralisti, una<br />

coscienza che anche se erronea - perché l'uomo non è perfetto e poche sono le così dette<br />

"rivelazioni personali" - sia frutto di preghiera, di onesta informazione e di meditazione. Questo<br />

primato della coscienza invocarono non con dichiarazioni, ma con fatti, coloro che non condivisero<br />

la conclusione del concordato tra la Santa Sede e il Terzo Reich e il conseguente ordine impartito<br />

attraverso i vescovi ai cattolici tedeschi di sciogliere il partito del Centro Cattolico e il Partito<br />

cristiano-sociale bavarese.<br />

Non si tratterebbe di ingiusto appello al primato della coscienza disattendere l'insegnamento del<br />

Papa in materia di aborto, eutanasia, così detti patti di solidarietà sociale, se si ritenesse di<br />

approvare leggi civili secondo il criterio del "male minore", se a esempio, qualora i deputati e<br />

senatori cattolici dichiarassero di volere votare contro siffatti provvedimenti e il governo<br />

minacciasse per ritorsione di denunziare il concordato o di abolire l'insegnamento della religione, il<br />

giudizio sul "che fare" sarebbe di competenza dei politici per quanto attiene alla credibilità della<br />

minaccia, ma del Papa e dei vescovi, per quanto attiene alla ponderazione degli interessi.<br />

Grande influenza ha poi avuto John Henry Newman nell'esaltazione del laicato, e nella definizione<br />

della sua posizione e della sua funzione nella Chiesa. Già nel suo famoso saggio sugli ariani o<br />

precisamente sull'arianesimo, dottrina cristologica elaborata da Ario e condannata come eresia dal<br />

primo concilio di Nicea - saggio nel quale cominciò a esternare i suoi dubbi sull'adesione di tutta la<br />

Chiesa d'Inghilterra ai principi stabiliti dagli antichi concili - egli aveva messo in luce come di fronte<br />

all'imperatore e alla stessa grande maggioranza dei vescovi che avevano aderito alla dottrina di<br />

Ario o che tacevano, furono i laici, i semplici fedeli, che tennero salda la retta fede e rimasero<br />

nell'ortodossia e a essa assicurarono la fedeltà della Chiesa. Questa dottrina della funzione del<br />

laicato John Henry Newman sviluppò, poi, da cattolico, nel saggio pubblicato nell'ultimo numero<br />

del periodico cattolico inglese "The Rambler", fondato da lord Acton e di cui questi gli aveva ceduto<br />

la direzione nella speranza di evitare che i vescovi inglesi ne ordinassero la chiusura. Di fronte a<br />

monsignor Talbot, che affermava che i laici cattolici dovevano limitarsi ad andare a caccia e a<br />

pesca, giocare a cricket, sostentare la Chiesa, organizzare banchetti e fare figli, nel saggio<br />

intitolato Sulla consultazione dei fedeli laici in materia di fede, egli spiegò come il popolo di Dio,<br />

191


Post/teca<br />

tutto il popolo di Dio e quindi anche i laici, sia soggetto di infallibilità e come quindi sia non soltanto<br />

lecito ma doveroso "sentire i laici in materia di fede".<br />

A conferma della sua tesi, egli ricordò come Pio IX, prima di proclamare il dogma dell'Immacolata<br />

Concezione, avesse chiesto ai vescovi non solo cosa essi pensassero, ma cosa pensasse il<br />

popolo di Dio. Questo saggio fece precipitare la situazione, perché da alcuni fu considerato eretico<br />

o almeno apud haeresim. Già, perché fino a quando - nonostante l'opposizione di un altro<br />

convertito, il cardinale Manning, il vescovo ultramontano - Leone xiii lo fece cardinale, John Henry<br />

Newman fu spesso sospettato di eterodossia e molto soffrì non solo pro Ecclesia, ma anche<br />

propter Ecclesiam!<br />

Il terzo per così dire "spazio conciliare" nel quale fu grande l'influenza del pensiero di John Henry<br />

Newman - giustamente definito, dopo la sua morte, "un profeta e un genio" - fu quello del ritorno<br />

dello studio teologico e della stessa catechesi alla Bibbia e ai Padri della Chiesa, cui ampiamente<br />

si riferirono i padri conciliari: sul ritorno alla Bibbia si sono fatti molti passi avanti (pensiamo<br />

all'ultimo Sinodo dei vescovi).<br />

L'originale dottrina di Newman sullo sviluppo del dogma, dottrina che non vuole certo contraddire<br />

quanto sempre affermato dalla Chiesa (essersi la Rivelazione chiusa e conclusa con la<br />

predicazione degli apostoli), ha posto in luce, cosa ormai pacificamente accettata, che la storia, la<br />

storia dell'uomo, nella quale si è manifestata la Rivelazione e si svolge la storia della sua salvezza,<br />

questa storia con le ricerche e l'esperienza umana dilata e precisa il significato del dogma, ne<br />

amplia gli orizzonti, lo sviluppa, insomma. E questo vale anche per l'insegnamento ordinario del<br />

Papa e dei vescovi. Così, la storia, la storia della libertà, la storia della libertà dei popoli, ha dato un<br />

diverso significato a quanto nell'insegnamento di Pio IX, particolarmente nel Sillabo, sembrava - e<br />

forse nell'intenzione privata del Papa era davvero - la condanna del concetto di sovranità popolare,<br />

la "inaudita pretesa dei governati a scegliersi i propri governanti" - principio della sovranità<br />

popolare invero già affermato e teorizzato dai teologi e dai giuristi gesuiti del XVII secolo, tra i quali<br />

il sommo padre Francisco Suarez -, dovendo essere interpretato invece nel senso che "la<br />

maggioranza dei voti non fa del falso il vero né dell'ingiusto il giusto".<br />

Così la vittoria dell'Unione antischiavista contro la Confederazione schiavista nella Guerra Civile<br />

americana servì a illuminare quei vescovi cattolici del Sud che difendevano la schiavitù dei neri,<br />

argomentando che la loro cattura in Africa, il loro trasporto nelle Americhe, nazioni cristiane, in<br />

quanto utile al loro indottrinamento cristiano e alla loro salvezza eterna, poteva se non giustificare,<br />

controbilanciare la loro riduzione in schiavitù al servizio di bianchi.<br />

E così la persecuzione degli ebrei culminata con la Shoah modificò radicalmente non solo<br />

l'atteggiamento, ma lo stesso pensiero non dico teologico, ma per così dire pratico, di gran parte<br />

della Chiesa nei confronti degli ebrei, in particolare per la testimonianza di fede culminata nel<br />

martirio di sante come Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, o la testimonianza di<br />

vescovi come quello di Münster, il beato Graf von Galen, o di Berlino, Konrad von Preysing.<br />

Svolta epocale nel rapporto con l'ebraismo, inoltre, è quella costituita dall'insegnamento e dalla<br />

prassi di Giovanni Paolo II che, per primo, visitò una sinagoga in Roma, sua sede episcopale e<br />

capitale della cristianità, là ove un tempo i giudei erano stati rinchiusi nel ghetto da Papi<br />

precedenti, di cui uno, Pio IX, è stato peraltro da lui stesso proclamato beato, e chiamò coloro che<br />

per secoli erano stati definiti nella stessa liturgia del Venerdì Santo come i "deicidi", addirittura<br />

"nostri fratelli maggiori". Per questo sbaglia chi, abbagliato da sole parvenze, considera il concilio<br />

vaticano II come un "concilio di rottura" rispetto agli altri concili, in particolare il concilio di Trento e<br />

il concilio Vaticano i, e non invece il "concilio del rinnovamento nella continuità", un concilio che ha<br />

annunziato verità, come la collegialità episcopale, che erano già comprese nella Rivelazione,<br />

192


Post/teca<br />

Nuovo Testamento e Tradizione, che si sono venute disvelando nella storia e che sono state per<br />

così dire "illuminate" nella storia della Chiesa che è parte, o meglio, comprende la storia per così<br />

dire "profana", la storia della Città dell'uomo, attraverso la ricerca, lo studio, la meditazione, la<br />

preghiera e la testimonianza non solo di vescovi e teologi, ma anche dell'intero popolo di Dio. Può<br />

certo considerarsi un miracolo intellettuale che John Henry Newman avesse compreso e formulato<br />

questa legge di sviluppo della Chiesa nella, attraverso e grazie alla storia, che è sempre, in un Suo<br />

misterioso disegno, la storia di Dio.<br />

Per quanto attiene all'ecumenismo, fu sempre John Henry Newman che pose in evidenza, da<br />

anglicano e da cattolico, ciò che univa le Chiese cristiane, pur non sottacendo cosa le divideva.<br />

Nel suo Tract 90, l'ultimo dei famosi Tracts for The Times - la collezione di saggi anonimi<br />

pubblicata dai grandi autori del Movimento di Oxford per combattere l'ispirazione liberaleggiante e<br />

protestante di parte della Chiesa d'Inghilterra, della quale essi volevano esaltare invece i tratti di<br />

cattolicità e di apostolicità -, Newman, per avvicinare le Chiese di Canterbury e di York alla Chiesa<br />

di Roma, tentò di dare un'interpretazione dei famosi Trentanove Articoli di Fede della Chiesa<br />

d'Inghilterra che fosse conforme all'insegnamento del Concilio di Trento: venne subito la condanna<br />

prima da parte del vescovo anglicano di Oxford e poi di tutti i vescovi della Chiesa d'Inghilterra, e<br />

fu la fine sia dei Tracts sia del Movimento di Oxford, e l'inizio di quel cammino che doveva portare<br />

nella Chiesa cattolica romana l'allievo del Trinity College, il fellowe tutor dell'Oriel College e<br />

parroco della Chiesa universitaria anglicana di Saint Mary the Virgin e della Chiesa di Littlemore -<br />

piccolo centro nel quale egli poi si ritirò per tre anni con alcuni suoi amici per studiare, meditare e<br />

pregare -; e tra poco, infine, alla sua proclamazione come beato.<br />

John Henry Newman è stato il grande ispiratore dell'ecumenismo. Da teologo anglicano egli fu un<br />

sostenitore della cosiddetta Via Media, una terza via tra protestantesimo luterano e calvinista e<br />

cattolicesimo romano; ma in questa sua visione egli pensava di creare un ponte di dialogo tra le<br />

varie confessioni cristiane. E anche quando scrisse il Tract 90 pensava di gettare un ponte tra la<br />

"sua Chiesa", la Chiesa d'Inghilterra, e quella che cominciava a sentire parimenti "sua", la Chiesa<br />

cattolica di Roma: Chiese che riteneva già unite dai caratteri dell'universalità e dell'apostolicità.<br />

(©L'Osservatore Romano - 17-18 agosto 2010)<br />

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È morto Nicola Cabibbo<br />

Il fisico noncurante<br />

di Maria Maggi<br />

Nicola Cabibbo è morto la sera del 16 agosto nell'ospedale Fatebenefratelli di Roma, dopo una<br />

lunga malattia. Era professore di Fisica delle particelle alla Sapienza e dal 1993 presidente della<br />

Pontificia Accademia delle Scienze. È stato anche presidente dell'Infn (Istituto nazionale di Fisica<br />

193


Post/teca<br />

nucleare) e dell'Enea (Ente nazionale energie alternative).<br />

Ha lavorato più volte al Cern ed è stato l'ispiratore dell'esperimento di Alice (A Large Ion Collider<br />

Experiment), uno dei quattro grandi esperimenti che si svolgono con l'Lhc, il superacceleratore di<br />

particelle di Ginevra.<br />

Cabibbo ha ottenuto importanti risultati scientifici nel campo della fisica delle particelle studiando<br />

l'interazione debole e formulando, nel 1963, la teoria valida per i processi con cambiamento di<br />

stranezza, che contiene i cosiddetti "angoli di Cabibbo"; ha fornito così alcuni fondamentali<br />

elementi del Modello Standard delle particelle elementari.<br />

La gran parte delle particelle conosciute all'inizio degli anni Sessanta si comportava in maniera<br />

coerente con il formalismo sviluppato fino a quel tempo. Si trattava di quelle particelle costituite,<br />

ora diremmo, solo da quark up edown; il comportamento di altre particelle era, però, anomalo in<br />

rapporto alle leggi allora formulate. Oggi sappiamo che sono costituite anche da uno o più quark<br />

strange e possiedono perciò una proprietà fisica chiamata stranezza. Cabibbo ipotizzò che la forza<br />

nucleare debole agisse in maniera diversa su ciascuna particella solo in funzione della sua carica<br />

di stranezza, e introdusse una costante ora nota come angolo di Cabibbo. Sfruttando anche la<br />

spiegazione proposta da Cabibbo, Gell-Mann ipotizzò l'esistenza dei quark, particelle subatomiche<br />

che costituiscono mesoni e adroni e previde che potessero presentarsi in tre differenti colori - e tre<br />

anticolori - e in differenti sapori. Il modello a quark fu immediatamente sfruttato per proporre<br />

l'esistenza di un quarto quark (il charm).<br />

Nel 1974 il modello inizialmente proposto da Cabibbo fu ampliato da Makoto Kobayashi e<br />

Toshihide Maskawa, che mostrarono come nelle interazioni deboli occorrano tre famiglie di quark.<br />

Questa proposta, basata sulla cosiddetta matrice di Ckm (acronimo con le iniziali di Cabibbo,<br />

Kobayashi, Maskawa) ha portato a prevedere l'esistenza di sei quark rispetto ai quattro allora noti,<br />

con l'aggiunta dei quark top ebottom, che poi furono effettivamente scoperti con gli esperimenti.<br />

Nel 2008 Kobayashi e Maskawa hanno ricevuto il premio Nobel per la fisica, proprio per questa<br />

194


Post/teca<br />

teoria.<br />

Di recente gli interessi scientifici di Cabibbo si erano estesi all'applicazione dei supercomputer a<br />

problemi di fisica teorica. Come presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, Nicola<br />

Cabibbo, profondamente cattolico, ha affrontato con grande equilibrio la relazione tra scienza e<br />

fede. Durante la sua permanenza all'Accademia, e sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, è<br />

avvenuta sia la completa riabilitazione di Galileo Galilei, sia la sostanziale ammissione che la<br />

teoria dell'evoluzione non è in contrasto con la dottrina cattolica.<br />

In aprile ci aveva concesso l'ultima intervista in occasione dell'avvio in pieno del superacceleratore<br />

Lhc del Cern, e ci aveva parlato con slancio degli esperimenti che si svolgevano.<br />

"La prima preda che ci si aspetta è il bosone di Higgs - aveva spiegato a "L'Osservatore Romano"<br />

- se esiste, si sa che ha una massa superiore a 114 Gev, impossibile da osservare con il Lep, la<br />

macchina acceleratrice del Cern precedente l'Lhc. All'interno del cosiddetto modello standard il<br />

bosone di Higgs ha un ruolo centrale, quello di dare massa alle particelle elementari. Il modello<br />

standard non è completo e presenta delle crepe. I fisici si aspettano di scoprire una regione di<br />

nuove particelle, anche con molte sorprese. Uno dei campi più interessanti è quello riguardante la<br />

struttura dell'Universo. Negli ultimi anni si è trovato che la materia ordinaria, di cui sono fatte le<br />

stelle e i pianeti, è solo il quattro per cento. Poi esiste un ventisei per cento di materia oscura, mai<br />

osservata, e un settanta per cento di energia oscura".<br />

Cabibbo è stato uno dei fisici italiani più noti in campo internazionale; avrebbe, senza dubbio,<br />

meritato il Nobel, sfuggitogli per anni, e andato piuttosto a chi ha sviluppato una teoria ideata da<br />

lui. Non ha mai fatto polemica per questa ingiustizia e ha sempre continuato a lavorare con<br />

serenità e umiltà. Il suo premio migliore era la conoscenza. Le esequie del grande fisico si<br />

celebrano mercoledì 18 agosto a Roma, nella basilica di San Lorenzo fuori le Mura alle ore 11.<br />

(©L'Osservatore Romano - 17-18 agosto 2010)<br />

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La patrona di Catania secondo Pietrangelo Buttafuoco, Luigi Maina e Marco<br />

Samà<br />

Agata casta diva<br />

di Silvia Guidi<br />

"Anche quest'anno Catania s'allicchittau, si è fatta bella per lei" sorride il pittore Marco Samà<br />

parlando dei festeggiamenti per la patrona in corso in questi giorni. Il modo migliore per capire<br />

cosa sono veramente è chiedere a chi vive da sempre a Catania, come Samà o Luigi Maina, lo<br />

storico cerimoniere delle feste dedicate alla "santuzza", o a chi si sente catanese di adozione,<br />

come lo scrittore e giornalista Pietrangelo Buttafuoco, nato ad Agira ma da anni presidente del<br />

Teatro Stabile della città etnea.<br />

195


Post/teca<br />

Cosa si festeggia in questi giorni a Catania?<br />

(Samà) "Il 17 agosto facciamo memoria dell'884esimo anniversario del ritorno in patria delle<br />

reliquie da Costantinopoli. La cosa più bella però è partecipare alla festa grande, a febbraio. In<br />

quei giorni, che siamo nella settimana di sant'Agata lo si capisce dal fruscio della cera sotto le<br />

ruote, per strada. E dagli schizzi gialli, ocra, arancione che colano come fregi barocchi sui<br />

copricapi neri e le vesti bianche di chi veste il sacco, l'abito devozionale. In quei giorni Catania ha<br />

una luce speciale, la luce calda di migliaia di candele accese. Il bianco e nero dei palazzi antichi fa<br />

risaltare i colori del corteo, in certi punti del centro sembra una capitale del nord, come se fosse<br />

costruita in ardesia e pietra chiara, e non con la lava dell'Etna.<br />

Una settimana di festeggiamenti ininterrotti.<br />

(Maina) "La notte bianca che va di moda in tante città per noi non è una novità; la facciamo da<br />

sempre durante la processione. L'importante è non chiamarlo folclore.<br />

Guai a scambiarla per una manifestazione per turisti, ci tengono a precisare i catanesi.<br />

(Samà) O, peggio, bollarla come un caso di isteria collettiva - anche questo mi è capitato di<br />

leggere sui giornali - perché è la cronaca di una vittoria, un trionfo nel senso latino del termine, un<br />

corteo che celebra un successo in battaglia. Lo scopo è ricordare che la crudeltà del potere, di<br />

qualsiasi potere, non ha l'ultima parola sulla vita degli uomini quando questa poggia sulla Vita con<br />

la v maiuscola.<br />

Tra le immagini più famose della santa c'è un quadro di Tiepolo: sant'Agata, in una rara versione<br />

196


Post/teca<br />

bruna, molto pallida, semisvenuta, sostenuta da un'ancella.<br />

(Samà) Un'immagine cruda che descrive bene l'accanimento sadico del potere quando distrugge<br />

quello che non riesce a capire, a misurare, a possedere, o anche solo a inquadrare nei suoi<br />

progetti. Un potere atterrito da una tranquillità di cui non conosce l'origine, come il governatore<br />

Quinziano di fronte ad Agata. Anche i santi hanno paura, ma si appoggiano a una Presenza più<br />

potente del male; per questo la testimonianza di questa ragazza coincide con la speranza di una<br />

città intera.<br />

Che si ferma completamente per festeggiarla.<br />

(Maina) Per noi ascoltare il canto delle suore di clausura di via dei Cruciferi all'alba, o toccare il<br />

cordone bianco del fercolo è entrare in contatto con un qualcosa che è stato materialmente<br />

investito dalla Grazia divina ed essere parte di quel trionfo; è come essere fisicamente trascinati<br />

dentro quell'evento, una vittoria che è costata la vita a una ragazza di vent'anni.<br />

(Buttafuoco) Per la città è un appuntamento più importante del Natale; durante la Messa<br />

dell'Aurora tutta la città si stringe intorno all'altare della Cattedrale. È una festa religiosa nel senso<br />

completo del termine. Catania era già predisposta a questa tradizione dall'antichissimo culto di<br />

Iside; non a caso il busto reliquiario di Agata ricorda l'iconografia delle statue egizie. Il rito ha nessi<br />

con la storia ma anche con la collocazione geografica della città: il Velo della santa è il baluardo<br />

contro la forza distruttiva del male come storicamente è stato una difesa dalla lava durante le<br />

eruzioni del vulcano.<br />

(Maina) È una manifestazione di fede che nessuna forza politica è mai riuscita a imbrigliare,<br />

neanche nei momenti più bui della storia.<br />

(Buttafuoco) Ogni anno si torna a parlare di infiltrazione mafiosa, ma è solo una reiterazione<br />

declamatoria. Se qualcuno nel corteo si mette a fare troppo lo sbruffone ci pensa don Alfio<br />

Spampinato (un sacerdote ex parà ed ex soldato della Legione Straniera, n.d.r.) a richiamarlo<br />

all'ordine.<br />

197


Post/teca<br />

"Rosalia, Agata e Lucia sono le<br />

padrone di casa della Sicilia" scrive Buttafuoco nel suo ultimo libro; anche un possibile antidoto<br />

alla "mostrificazione" in atto dell'ideale femminile?<br />

(Buttafuoco) La donna ha una grande potenza sacrale, iconica, archetipa. Non solo le grandi figure<br />

della tradizione, anche la donna contemporanea; la mia non è un'operazione nostalgia. Il<br />

sentimento ha una radice spirituale e quello di cui ci siamo privati è proprio questo: l'elemento che<br />

aveva fatto cantare i poeti. Ci siamo persi nella trappola della chiacchiera e abbiamo dimenticato di<br />

far cantare il cuore.<br />

(Samà) "C'è molto in gioco, e qualcosa che ci tocca tutti da vicino. Siamo immersi nella mentalità<br />

"niente ha valore e tutto ha un prezzo" e vediamo tutti i giorni in tv o in edicola la parodia grottesca<br />

dell'amore, quella che le Afrodisie del tempo (Afrodisia era la cortigiana che, secondo i progetti di<br />

Quinziano, avrebbe dovuto "rieducare" la prigioniera, n.d.r.) avranno cercato di insegnare ad<br />

Agata. Ma sono e restano simulacri vuoti che si vanno a impantanare presto nella sazietà e nella<br />

noia, diversi dalla felicità autentica "come leggere il tariffario di una prostituta è diverso dal sentire<br />

la voce della fidanzata che si credeva morta" per citare Clive Staples Lewis. Agata è l'icona di tutto<br />

questo; è nella musica che il tema della verginità ha trovato la sua tradizione più fedele e<br />

suggestiva, e proprio nell'opera di un catanese, Vincenzo Bellini. Dall'Ottocento a oggi,<br />

nell'immaginario collettivo la preghiera alla luna della Norma si fonde con la supplica a Dio di Agata<br />

prigioniera. "Casta diva" e l'ideale di purità e bellezza incarnato dalla santa sfumano l'uno nell'altro,<br />

fino a diventare un'unica realtà simbolica di grande forza espressiva e di sorprendente pervasività;<br />

un saggio del cinephile Franco La Magna (Vi ravviso o luoghi ameni. Vincenzo Bellini nel cinema e<br />

nella televisione, Città del Sole, 2007) ne rintraccia le citazioni nei contesti più disparati e<br />

imprevedibili, sul grande e sul piccolo schermo, da Don't call me Frankie di Thomas Fucci a Il<br />

posto del tricorno del regista kazako Ermek Shinarbaev, passando per "2046" di Wong Kar Wai.<br />

198


Post/teca<br />

Ovviamente le trame dei film - e dei fumetti; Agata ha ispirato anche autori di comics - sono molto<br />

diverse fra loro, ma in tutte "Casta diva" allude, in un modo o nell'altro, alla misteriosa<br />

grandezza dell'amore.<br />

(©L'Osservatore Romano - 17-18 agosto 2010)<br />

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20100818<br />

Strafalcione nella traduzione de "Il cinque Maggio" del Manzoni<br />

"Schreckensmann", il fatal errore di<br />

Goethe<br />

Roma, 17-08-2010<br />

Anche un sommo scrittore come Johann Wolfgang Goethe ha commesso il suo strafalcione<br />

letterario, nella traduzione in tedesco della poesia "Il cinque maggio" di Alessandro Manzoni.<br />

A rivelarlo e' Burkhart Kroeber, uno dei maggiori traduttori tedeschi, che ha trasposto nella lingua<br />

dell'autore del "Faust" i romanzi di Umberto Eco e "I promessi sposi".<br />

Kroeber ha pubblicato la sua scoperta nel terzo numero di quest'anno della rivista culturale<br />

"Akzente". Il verso manzoniano "muta pensando all'ultima ora dell'uom fatale" e' stato reso da<br />

Goethe usando il termine "Schreckensmann", letteralmente "dell'uom terribile", uno insomma che<br />

incute terrore, non l'uomo del destino, come intendeva Manzoni.<br />

Un altro studioso goethiano ha contestato l'interpretazione di Kroeber, sostenendo che a partire dal<br />

1820 il termine "Schreckensmann" veniva usato correntemente in Germania per definire i<br />

personaggi della Rivoluzione Francese durante l'epoca del Terrore, in particolare Robespierre, ma<br />

la spiegazione non spiega nulla, anzi aggrava l'abbaglio di Goethe, da sempre affascinato da<br />

Napoleone, che per lui era tutto meno che un fanatico del terrore assetato di sangue.<br />

La passione di Goethe per Manzoni era iniziata dopo la lettura dei "Promessi sposi", che lo<br />

scrittore italiano gli aveva inviato in omaggio per ottenerne un parere, analogamente a quanto<br />

aveva fatto il giovane Balzac con la sua "Pelle di Zigrino".<br />

Dopo la morte di Napoleone Goethe aveva sempre continuato a manifestare pubblicamente la sua<br />

ammirazione senza riserve per l'imperatore dei francesi, esibendo all'occhiello ad ogni occasione<br />

la Legion d'Onore di cui era stato insignito.<br />

E a chi, sia pure cautela, cercava di mettere in dubbio la grandezza di Napoleone, il grande<br />

scrittore tedesco replicava inevitabilmente in tono sprezzante con la frase: "Lassen Sie meinen<br />

Kaiser in Ruhe", non mi toccate il mio imperatore.<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

rainews24.<br />

it/<br />

it/<br />

news.<br />

php?<br />

newsid=144173<br />

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199


Post/teca<br />

17/08/2010 -<br />

Il Gobbo di Notre Dame?<br />

Hugo lo incontrò davvero<br />

Era uno scultore che lavorava ai restauri della cattedrale, aveva la sua bottega vicino alla casa del<br />

romanziere<br />

MATTIA BERNARDO BAGNOLI<br />

LONDRA<br />

Correvano gli Anni Venti dell'Ottocento. In una Parigi che ancora si leccava le ferite inflitte dalla<br />

furia giacobina vive un certo Victor Hugo, poeta e narratore precoce che ha già al suo attivo diversi<br />

romanzi. Il successo, quello vero, che lo trasformerà in una delle grandi penne della Francia, deve<br />

però ancora arrivare. Ma è vicino, vicinissimo. Basta scrivere Notre Dame de Paris, raccontare la<br />

triste epopea del deforme Quasimodo, e il gioco è fatto. Che meraviglia, la fervida fantasia dei<br />

grandi. Poi, dopo quasi due secoli, spunta il diario di uno scalpellino inglese. E tra i suoi appunti,<br />

già di per sé testimonianza originale delle vicissitudini degli artisti dell'epoca, ecco comparire i tratti<br />

di uno scultore gobbo che non solo lavora presso i cantieri di restauro di Notre Dame, ma ha<br />

anche gli «uffici» nel quartiere dove vive Victor Hugo. Insomma, Quasimodo. O, almeno, l'uomo<br />

che diede la base d'appoggio all'estro del romanziere.<br />

Ad avanzare l'ipotesi sono gli archivisti della Tate, il grande museo d'arte di Londra. Tutto nasce<br />

dallo studio del diario - sette volumi scritti a mano - lasciato da Henry Sibson, scultore britannico<br />

nato nel 1795. I libri, rinvenuti per caso in un'abitazione di Penzance, Cornovaglia, sono stati<br />

acquisiti dalla Tate nel 1999, che da ieri li ha esposti al pubblico nella Hyman Kreitman Reading<br />

Room. Ci è voluto del tempo, ma alla fine l'attenzione di un ricercatore, Adrian Glew, ha avuto la<br />

meglio. E dalle pieghe del tempo è comparso Quasimodo. «Ho notato i riferimenti mentre<br />

catalogavo i diari di Sibson - ha spiegato -. Ho capito subito che era il caso di approfondire meglio<br />

la questione».<br />

A un certo punto lo scalpellino di Sua Maestà (in quel caso Giorgio IV) si reca a Parigi per lavorare<br />

al restauro della cattedrale di Notre Dame. «Io - scrive Sibson - avrei dovuto lavorare alle<br />

decorazioni delle finestre». Incarico che però non si realizzerà mai a causa di un litigio con i<br />

subappaltatori Plantor & Fontaine. Sibson si ritrova disoccupato e decide di rivolgersi alle botteghe<br />

che si occupano delle statue più grandi su commissione del governo francese. E ha fortuna. «Qui -<br />

scrive - incontrai Monsieur Trajan, una delle persone più gentili che abbia mai incontrato. Lavorava<br />

come incisore per lo scultore-capo, il cui nome non mi ricordo. Era gobbo e non amava mischiarsi<br />

con gli incisori: gli scalpellini gli avevano dato il soprannome Le Bossu ». Ovvero il Gobbo, in<br />

francese.<br />

200


Post/teca<br />

Alla fine Sibson viene assunto nella sua squadra e spedito a lavorare nella cittadina di Dreux.<br />

Come scrive nel diario, raccontandosi in questo caso in terza persona, «Monsieur Le Bossu in<br />

persona raccomandò a Trajan di portare con sé quell'inglese minuto». Sibson, a questo punto,<br />

segue il suo destino. Mentre gli archivisti della Tate iniziano a indagare su Le Bossu. «Gli scultori e<br />

gli incisori descritti nel diario di Sibson - fanno notare - lavoravano in un atelier vicino alla Ecole<br />

des Beaux Arts situata nel sesto arrondissement di Parigi». Ovvero il quartiere dove viveva il<br />

giovane Victor Hugo. Che, tra le altre cose, prese molto a cuore il restauro di Notre Dame. «A<br />

Hugo non andava a genio il progetto di restauro del transetto settentrionale, firmato dall'architetto<br />

Etienne-Hippolyte Godde», ricorda Glew. Tanto è vero che Hugo, insieme con altri intellettuali, fu<br />

tra i sostenitori del Comité historique des Arts et Monuments, che promosse l'uso di uno stile più<br />

simile al gotico.<br />

L'autore di Notre Dame de Paris, pubblicato nel 1831, conosceva dunque molto bene la cattedrale.<br />

«Visto il suo interesse per i lavori di restauro e la vicinanza tra la sua abitazione e la bottega di Le<br />

Bossu - avanza Glew - è possibile che Hugo avesse visto, o persino conosciuto, Trajan e il suo<br />

capo, il Gobbo». Tanto più che, in una prima versione dei Miserabili, il protagonista del romanzo -<br />

guarda caso - era stato battezzato da Hugo Jean Trajean, divenuto Jean Valjean solo nella<br />

versione successiva. Una coincidenza? Forse. Sta di fatto che un gobbo, a Notre Dame, c'era sul<br />

serio. Il resto lo ha fatto la fantasia di Hugo.<br />

fonte: http://<br />

www3.<br />

lastampa.<br />

it/<br />

cultura/<br />

sezioni/<br />

articolo/<br />

lstp/300442/<br />

-----------------------<br />

18/08/2010 - IL CASO<br />

Parlo arabo? Mica tanto<br />

Lingua in declino in tutto il Medio Oriente. Dal Libano alla Siria iniziative per salvarla<br />

ELENA LOEWENTHAL<br />

Imprevedibili risvolti della globalizzazione. A Milano i pizzaioli egiziani superano alla grande i<br />

napoletani (119 contro 10 partenopei doc e una trentina di campani). Del resto, millenni prima che<br />

arrivasse la Margherita, dalle loro parti s'inventava la pita, focaccia di acqua e farina cotta su pietra<br />

rovente. In compenso, o meglio per contrappasso, su una via di Beirut si incrocia il nastro giallo<br />

che la polizia usa per delimitare gli incidenti stradali. Porta scritto a grandi caratteri «Non uccidete<br />

la nostra lingua» e contorna una bella consonante in arabo, dipinta sull'asfalto.<br />

Questa originale iniziativa si deve agli organizzatori di un festival dell'arabo (inteso come lingua),<br />

tenutosi in questi giorni nella capitale libanese per iniziativa di un'associazione non governativa<br />

201


Post/teca<br />

che si chiama «Feil Amer» e ha per obiettivo la tutela di questa affascinante e antica lingua. «I<br />

nostri studenti non pensano quasi più in arabo», dice mestamente Suzanne Talhouk, la poetessa<br />

trentenne che ha fondato il movimento. Per motivi evidenti all'occhio e all'orecchio, in questo<br />

Paese mediorientale la multietnicità non è certo una sigla dell'ultima ora, piuttosto una cifra storica<br />

che non si deve solo al suo passato coloniale quanto alla vocazione di «porta» che la regione ha<br />

sempre avuto. Qui, i giovani si salutano ormai con un rituale «Hi kifak, ça va?» che in quattro brevi<br />

parole raccoglie inglese, arabo e francese. Qui, il primo ministro Saad Hariri ha infarcito di<br />

strafalcioni il suo discorso inaugurale alla Camera, destando reazioni indignate e insieme valanghe<br />

di risate. Costretto a fare i conti con la lingua franca dei nostri tempi, cioè l'inglese, oltre che con gli<br />

strumenti di comunicazione globale che esigono una piattaforma comune (tanto che, così come<br />

per l'ebraico, anche per l'arabo c'è chi sta pensando a una trascrizione standard in caratteri latini),<br />

la lingua dell'Islam non è in crisi solo nel multietnico Libano. La Siria ha avviato iniziative di<br />

protezionismo, come quella che prevede almeno il 60 per cento delle insegne in arabo. Senza<br />

contare che ormai in alcuni Paesi del Golfo, come il Qatar o gli Emirati Arabi Uniti - e qui siamo<br />

proprio nel cuore dell'Arabia intesa come luogo geografico, storico e culturale - la maggioranza<br />

della popolazione non è più arabofona perché appartiene alle diverse etnie giunte in quelle ricche<br />

zone per lavorare.<br />

Non è proprio il caso di gridare alla morte dell'arabo, spiega Elias Mouhanna, intellettuale libanese.<br />

Effettivamente, 280 milioni di persone lo parlano nel mondo. Il problema sorge quando debbono<br />

parlarsi fra loro: un marocchino e un saudita faticano a comunicare, a meno di non accantonare i<br />

rispettivi «dialetti» (che in realtà non sono tali, bensì diverse declinazioni e intonazioni della stessa<br />

lingua) e passare all'arabo classico. Un idioma, questo, prettamente letterario, di altissimo profilo<br />

espressivo e dalla grammatica decisamente complessa. Non per niente, già nel XIII secolo, Ibn<br />

Manzour, funzionario del sultanato mamelucco in Africa, spinto dal desiderio di fissare e preservare<br />

la lingua, preparò il grande lessico dell'arabo in venti volumi, Lisan al-Arab, che è ancora oggi il<br />

thesaurus di riferimento ai quattro angoli del mondo. Niente paura, dunque, l'arabo non è in<br />

estinzione ma vivo e vegeto come da millenni a questa parte, spiega Mouhanna. E il confronto con<br />

altre civiltà e diverse parlate non può che far bene alla tradizione.<br />

Intanto però in Libano i bambini imparano l'abicì in francese e in inglese, e quando arrivano al liceo<br />

faticano ad andare al di là della quinta lettera dell'alfabeto arabo. La lingua è lo specchio<br />

dell'identità, lamentano i puristi. Il mondo si muove e non possiamo farci niente, dicono i fautori del<br />

«Facebook arabic» - cioè di una lingua virtuale buona per tuffarsi nella rete. Certo è che,<br />

guardando il nostro povero italiano mutilato di congiuntivi e infarcito di anglismi, vien da pensare<br />

che tutto il mondo è paese e la querelle sull'arabo ci riguarda non meno di quella sulla pizza<br />

egiziana.<br />

fonte: http://<br />

www3.<br />

lastampa.<br />

it/<br />

cultura/<br />

sezioni/<br />

articolo/<br />

lstp/301452/<br />

----------------------<br />

202


Post/teca<br />

E’ morto Cossiga.<br />

Secondo le sue<br />

volontà sarà<br />

insabbiato.<br />

SMS ricevuto da anonimo - Macchianera<br />

fonte: http://<br />

luciacirillo.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

--------------------------<br />

(via s 7 efano)<br />

MARONI DOVREBBE FARE<br />

QUEL CHE FECI IO<br />

QUAND’ERO MINISTRO<br />

DELL’INTERNO: INFILTRARE<br />

IL MOVIMENTO CON AGENTI<br />

PRONTI A TUTTO, E<br />

203


Post/teca<br />

LASCIARE CHE PER UNA<br />

DECINA DI GIORNI I<br />

MANIFESTANTI DEVASTINO<br />

LE CITTÀ. DOPO DI CHE,<br />

FORTI DEL CONSENSO<br />

POPOLARE, IL SUONO<br />

DELLE SIRENE DELLE<br />

AMBULANZE DOVRÀ<br />

SOVRASTARE QUELLO<br />

DELLE AUTO DELLA POLIZIA.<br />

LE FORZE DELL’ORDINE<br />

DOVREBBERO<br />

MASSACRARE I<br />

MANIFESTANTI SENZA PIETÀ<br />

E MANDARLI TUTTI<br />

204


Post/teca<br />

ALL’OSPEDALE. PICCHIARE A<br />

SANGUE, TUTTI, ANCHE I<br />

DOCENTI CHE LI<br />

FOMENTANO.<br />

Francesco Cossiga, 30 ottobre 2008.<br />

fonte: http://<br />

tattoodoll.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

--------------------<br />

sono una disadattata emotiva<br />

fonte: http://<br />

batchiara.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

-----------------------<br />

A MALTA CIRCOLA UNA<br />

STORIA CHE VIENE<br />

RACCONTATA SEMPRE PIÙ<br />

SPESSO. IO L’HO SENTITA<br />

QUATTRO VOLTE. UN<br />

AFRICANO APPENA<br />

205


Post/teca<br />

SBARCATO DICE A UN<br />

POLIZIOTTO MALTESE:<br />

“CONSERVATE LE BARCHE,<br />

PERCHÉ UN GIORNO<br />

SERVIRANNO A VOI”.<br />

The unwanted, Joe Sacco<br />

fonte: http://<br />

micronemo.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

--------------------------------<br />

Abbiamo inventato i blog<br />

Newsweek racconta la storia del ragazzo e della ragazza che hanno creato i blog<br />

18 AGOSTO 2010<br />

Siamo nel maggio del 1999. Peter Merholz pubblica una nota – unpost, lo<br />

chiameremmo oggi – sul suo sito internet. Ne pubblica diverse, tutte molto brevi:<br />

meno di cento caratteri, oggi forse sarebbero dei tweet. Peter scrive che ha deciso<br />

di chiamare i weblog in un altro modo: wee-blog. Wee è uno dei tanti modi per dire<br />

“fare la pipì”, gli era sembrato un gioco di parole simpatico. Oppure direttamente<br />

blog, che è più breve.<br />

Merholz era uno dei pochi ad avere un blog, allora, perché allora avere un blog<br />

voleva dire essere in grado di costruirlo fisicamente: di scrivere codice html, di<br />

masticare almeno un po’ di grafica, di avere tempo e voglia e soldi per comprare un<br />

dominio e un po’ di spazio sul web. Un passatempo per iniziati insomma, che però<br />

lo sarebbe rimasto ancora per pochissimo tempo. Pochi mesi dopo altre due<br />

persone, Meg Hourihan ed Evan Williams, crearono una piattaforma di blog per la<br />

loro società, la Pyra Labs. La chiamarono Blogger. La loro storia è raccontata dal<br />

numero di Newsweek di questa settimana.<br />

Blogger non fu il primo software per la creazione e la gestione dei blog, ma fu il<br />

206


Post/teca<br />

primo a rendere la creazione e la gestione di un blog un’operazione semplicissima<br />

e gratuita. I blog venivano pubblicati sotto il dominio blogspot.com: un anno dopo<br />

erano centomila. Non lo sapevano, scrive Newsweek, ma avevano cambiato per<br />

sempre il modo in cui il mondo comunica su internet.<br />

Williams e Hourihan si conoscono nel 1998 a una specie di aperitivo/evento<br />

pubblicitario, e chiacchierando scoprono di avere in comune la voglia di costruire<br />

cose per questa cosa incredibile che si chiama Internet. Fondano la Pyra Labs con<br />

l’obiettivo di costruire applicazioni per il web e la speranza di venderle in giro.<br />

Avevano bisogno di tenere traccia del loro lavoro e dei suoi progressi, e<br />

comunicare tra loro: allora misero in piedi un web-log (un blog!, sì) e lo usarono<br />

come oggi un’azienda userebbe una rete intranet. A quei tempi stavano cercando di<br />

individuare quali aziende e soggetti potessero essere più interessati ai loro<br />

software, e si resero rapidamente conto che tutti questi avevano un blog. Allora<br />

decisero di prendere il software che avevano scritto per loro, dargli una ripulita e<br />

renderlo disponibile gratuitamente: magari vedono che è fatto bene e decidono di<br />

comprarsi qualcos’altro fatto da noi, si dissero.<br />

Quell’agosto pubblicarono Blogger: lo chiamarono così in onore del gioco di parole<br />

di Peter Merholz. Se ne parlò un po’ in giro ma c’era ancora una grossa barriera<br />

all’ingresso: per creare un blog bisognava avere un dominio e un hosting. Alla fine<br />

del 1999 Pyra Labs lanciò Blogspot.com per risolvere questo problema. A gennaio<br />

gli utenti erano 2300: pochi, diremmo oggi, ma gli esperti del settore erano<br />

sbalorditi visto che pensavano che i blog fossero cose marginali, per ultraminoranze<br />

di utenti.<br />

Le cose andavano alla grande, insomma, eccetto per un piccolo particolare: non<br />

c’erano soldi. Il servizio era fornito in forma gratuita, la pubblicità non esisteva e<br />

non esisteva perché non ce n’erano le condizioni di mercato. I fondi di Pyra Labs si<br />

vanno prosciugando. Gli impiegati lavorano per settimane senza essere pagati, poi<br />

le settimane diventano mesi. Alla fine del 2001 se ne vanno tutti. Se ne va anche<br />

Meg Hourigan. Il solo Williams riesce in qualche modo a tenere le cose a galla, e a<br />

un certo punto riceve una telefonata da Google. Che nel febbraio del 2003 compra<br />

Blogger e Blogspot, e il loro milione di utenti (crescevano in fretta, come vedete).<br />

Per un’intera generazione, scrivere su un blog è diventato l’unico trampolino di<br />

lancio possibile. Per alcuni, come Andrew Sullivan o Arianna Huffington, scrivere<br />

su un blog è stato un modo per costruirsi una carriera. Per altri magari è stato una<br />

disgrazia: ha fatto fallire il loro matrimonio o ha compromesso la loro professione.<br />

Alcuni, pochissimi, ci hanno fatto un sacco di soldi.<br />

Dieci anni dopo, Blogger è uno dei pilastri di Google. Non è più il massimo della<br />

novità in rete, certo, ma le cose comunque non vanno affatto male. Ogni minuto<br />

270mila parole vengono scritte su Blogger. Sono 388 milioni di parole al giorno. Se<br />

207


Post/teca<br />

tutti i post sui blog di Blogger dovessero essere contenuti in libri di carta, ci si<br />

potrebbero scrivere più di tre milioni di romanzi. Un bel po’ di questa roba consiste<br />

in gente che racconta cos’ha mangiato a colazione o altri che pubblicano le foto dei<br />

loro animali domestici. Ma ne è comunque valsa la pena, scrive Newsweek, per il<br />

web e anche per Meg Hourigan ed Evan Williams. Anche perché certe cose –<br />

l’invenzione dei blog, per esempio – non accadono mai per caso, anche quando<br />

sembrano accadere per caso. Per dire: quattro anni dopo aver inventato Blogger e<br />

averlo venduto a Google, Evan Williams ha inventato un’altra cosa. Twitter.<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

ilpost.<br />

it/2010/08/18/<br />

chi-<br />

ha-<br />

inventato-<br />

i - blog/<br />

---------------------------------<br />

Da "LA REPUBBLICA" di mercoledì 18 agosto 2010<br />

LEMETAMORFOSI DIUNPRESIDENTE FILIPPO CECCARELLI S EMBRA<br />

incredibile che non ci sia più Cossiga. E allora subito, sopraffatti dai<br />

ricordi, ci si sorprende a fare i conti con le controversie più radicali<br />

applicate alla necrologia:<br />

il massimo della verità consentita al potere e il massimo della<br />

diffidenza che quella stessa verità finisce per meritarsi al cospetto<br />

della morte.<br />

N PAIO d`anni orsono aveva dato Uconto del suo stato fisico<br />

offrendo la seguente valutazione contabile:<br />

«Hosubìtonove operazioni, di cui cinque gravi, una della durata di<br />

sette ore, seguita da sette giorni di terapia intensiva. Ma resisto».<br />

Preciso e spavaldo, aveva aggiunto nella lingua delle sue parti:<br />

«Pelle mala, no mondi, i cattivi non muoiono».<br />

Ecco, si era scritto da solo l`epitaffio: alla rovescia, come spesso gli<br />

capitava.<br />

Per niente facile da raccontare «Franciscus Cossiga», come da<br />

ruffianissima lapide appostagli in onore sui muri del palazzone dei<br />

Beni Culturali quando era ancora un classico democristiano: «Uomo<br />

non di polso, ma di polsino», secondo Montanelli; poco prima cioè<br />

che fosse afferrato dallavoglia di diventare quello che non era mai<br />

stato e quindi prima di impugnare il piccone e di darci dentro, bùmbùm,<br />

incurante della polvere e dei calcinacci della Prima<br />

208


Post/teca<br />

Repubblica.<br />

Enigma biografico quant`altri mai: signore all`antica, ma anche<br />

-assai evoluto;<br />

arcaico e tecnologico, il padrenostro tradotto in gallurese dal nonno<br />

Bainzu e il telefonino di ultimissima generazione, altoborghese e<br />

pastorale aun tempo. «Vengo da una terra - diceva - dov`è amaro<br />

anche il miele». Un sardo inglese, Cossiga, uno statista sovversivo,<br />

un laico clericale, ingenuo e astutissimo, tragico e infantile, il<br />

custode dei segreti più oscuri della Repubblica e insieme la<br />

suapretesa Bocca della Verità.<br />

Giovane allievo di Antonio Segni, ondeggiò tra Taviani e Moro prima<br />

di manifestarsi provvisorio doroteo di complemento.<br />

Tale evanescenza correntizia, a mezza stradatraunavocazione<br />

notabilare e una specie di astuta autonomia, lo pose nelle migliori<br />

condizioni per una splendidaascesa, com`è ovviopagataduramente.<br />

Ministro dell`Interno, si può dire che non riuscì a salvare Moro,<br />

l`uomo che più di tutti aveva creduto in lui. Sui modi in cui ciò<br />

avvenne sono lecite le più terribili e dolorose congetture, in un arco<br />

che va dal colpo alla ragion di Stato. Per crudele paradosso, le<br />

pronte e inusitate dimissioni gli aprirono una ancora più rapida car-<br />

riera. Ma giunto inopinatamente aPalazzo Chigi, all`inizio degli anni<br />

Ottanta, subito si trovò impelagato fra le ambizioni craxiane, gli<br />

ultimi misteriosi colpi del terrorismo (Ustica, Bologna), le trame di<br />

Gelli, la scelta degli euromissili.<br />

Come succedeva nel mondo democristiano:<br />

più si faceva da parte, e più lo venivano a cercare. Ebbe così<br />

Palazzo Madama e quindi anche il Quirinale. Gli alleati<br />

d`oltreoceano lo apprezzavano; la Chiesa grosso modo pure; la<br />

grande finanza temeva più Andreotti; alle Botteghe Oscure<br />

sapevano che era imparentalo con i Berlinguer.<br />

E tuttavia, aun certo punto, queste mirabilipre-condizionivalsero<br />

nullacontro l`intima turbolenza che, a lungo repressa, cambiò la<br />

vita del personaggio. Fu lui stesso ateorizzare, privilegio raro,<br />

laproprialaceranteduplicità, sentendo dentro di sé all`opera<br />

«Tomino bianco», disse, e «l`ornino nero»: lapiù cupa depressione<br />

e l`indole istrionica, paralisi dei sentimenti e impulso<br />

209


Post/teca<br />

gíocherelIone.<br />

Lo si vide dunque con inusitate divise, peluche in braccio, incredibili<br />

copricapi, mostrine cucite sulla giacca, maglietta recante versi<br />

Rimbaud; una volta, per qualche mirata provocazione, si fece<br />

riprendere ai tavolini di un McDonald`s, hamburgerinmano,<br />

maioneseeketchup sulle guance.<br />

Per oltre mezzo secolo siè dedicato agli arcani del comando; ma da<br />

questa sua passione ha ricavato sensi di colpa, macchie sulla pelle,<br />

tristi farmaci spegni-vita, ingegnose sedute di psicanalisi e ardenti<br />

confessionali. Aparziale risarcimento si è concesso, con la dovuta<br />

allegria, una specie di eccentrica libertà che l`ha portato a<br />

presiedere riunioni politiche in pantofole, a farsi servire whisky in<br />

conferenza stampa, a disseminare casa sua di cartelli «questo<br />

telefono potrebbe essere intercettato», e a lungo c`è stato pure<br />

l`Uomo Ragno sulla sua scrivania di senatore avita a Palazzo<br />

Giustiniani, anzi di Presidente Emerito, come stabilì per legge il suo<br />

rango, con tanto di privilegi e bandiera da lui stesso disegnata.<br />

Era infatti anche vessillologo, Cossiga, nonché collezionista di<br />

soldatini, radioamatore, consumatore impenitente di cannoli,<br />

dimissionario strategico prima, poi funzionale, quindi professionale<br />

e infine esistenziale, perennemente attratto dai tabù, cattolico<br />

liberale obbediente alle gerarchie nonché appassionato di mistica,<br />

ma poi cultore distaccato di parolacce e materie basse per épater i<br />

moralisti, espansivo e permaloso com`era, attaccabrighe e<br />

generoso come gli piaceva di essere, annoiato e spiritoso quanto si<br />

prese la briga di sembrare.<br />

Con qualche imprudenza, allorché le picconate cominciarono a farsi<br />

distruttive, Ciriaco De Mita, che più di ogni altro aveva propiziato<br />

«l`infausta parentesi che mivide al Quirinale», disse che Cossiga<br />

era «un caso clinico».<br />

Ora, a parte che tra il comando e la follia i rapporti sono molto più<br />

complessi di quanto sia rassicurante immaginare, è anche vero che<br />

proprio a quei tempi Cossiga andava approfondendo la figura<br />

shakespeariana del fool, il sacro giullare che scaglia via lo scettro e<br />

si mette a cercarlo a carponi gridando cose scombinate, main<br />

questo modo facendo capire che solo il folle dice laverità. A<br />

210


Post/teca<br />

distanza di tanti anni pare semplicistico evocare ibuffoni per dare<br />

un senso al ruolo svolto dall`allora Capo dello Stato fra il 1990 e il<br />

fatidico 1992. L`impressione, piuttosto, è che oltre a presentire la<br />

fine di quegli equilibri geopolitici che egli aveva difeso, Cossiga gli<br />

abbia assestato il colpo finale, in questo anche anticipando<br />

modalità espressive di vistosa e straniante caratura - tempi, parole,<br />

stríllí, lacrime, simboli e spettacoli che di lì a poco tuffala politica<br />

avrebbe fatto suoi.<br />

E comunque: mai metamorfosi fu così allarmante. Forse ha<br />

cambiato confessore, si disse, o forse i sedativi, o forse la<br />

fidanzata.<br />

Stadi fatto che l`astuto, cinico e brillante democristiano che aveva<br />

atteso l`elezione al Quirinale in un convento di rosminiani, finì<br />

all`improvviso proiettato in quel fastoso palcoscenico pop che egli<br />

stesso aveva contribuito ad allestire con fuochi, fumi e luminarie.<br />

Un che di liberatorio accompagnò questa suasecondavita, un soffio<br />

dispregiudicatezza gli mise le ali. Per tigna o per dispetto corteggiò<br />

Berlusconi, ma arrivò a definirlo "anticristo"; frequentò Sgarbi,<br />

divenne amico e supremo informatore di Dagospia, del resto<br />

sapeva sempre tutto a partire dai segreti, Cossiga, «uomo di<br />

ancien régime con punte negromantiche secondo il severo giudizio<br />

di Franco Cordero - eretismo intrigante, rimescolio trasversale,<br />

dialettica cabalístíca, e disegni che sanno d`oniriSi divertiva ad<br />

arrivare dove nessuno l`attendeva: «La gente mi guarda stupita<br />

come se fossi un canguro». Fondò partiti da cui venne presto<br />

liquidato; e allora, con un pugno di fedelissimi, diede vita a una<br />

compagine che volle battezzare: «Gli Straccioni di Vaimy».<br />

Contribuì a distruggere la Bicamerale slanciandosi contro il "patto<br />

della crostata" (suo conio), salvo poi favorire la nascita del governo<br />

D`Alema. Un giorno arrivò a proclamarsi «Gatto Mammone» per<br />

fondare una specie di ordine cavalleresco, «I quattro gatti», con<br />

stemma di legno eporcellanadi sua creazione. Da<br />

quell`altezzaprese asfottereVeltroni, degradato a "Gatto Felix".<br />

Nel frattempo denunciava nausea eI o entusiasmo. In alcune<br />

occasioni sembrava pentito, in altre smaniava, in altre ancora<br />

prevaleva la delusione e allora fioccavano provocatorie note che<br />

211


Post/teca<br />

terminavano:<br />

«Un grido prorompe dal cuore: vivala gloriosa Prima Repubblica!».<br />

Infaticabile conversatore, convoce cavernosa e assai scarsa<br />

capacità d`ascolto poteva intrattenere chiunque al telefono per ore<br />

sugli argomenti più disparati, cardinali inglesi, spie cecoslovacche,<br />

ecce- zionali ricordi anche romantici d`Irlanda, meccanica del<br />

complotto, teoretica del malaffare, casistica della jella. Si riteneva<br />

un dono, a volte effettivamente lo era, a volte oggettivamente no.<br />

Aveva la passione dei regali mirati, ottimi per lanciare messaggi ma<br />

anche per coltivare il gusto della beffa: monete di cioccolato,<br />

bambinelli di zucchero, tricicli, slip, salvagenti, coltelli e campanelli.<br />

Haaccettato di farsi psicanalizzare dalle lene. Ha raccontato sogni.<br />

Ha preso a difendere la causa dei baschi. Ha rivelato a pizzichi e<br />

smentito abocconi su tragedie e commedie.<br />

Un censimento delle contraddizioni e dei silenzi di Cossiga si<br />

porterebbe via una decina di pagine di giornale. In definitiva,<br />

sfidava programmaticamente ogni linearità di comportamento.<br />

Glipiacevamoltissimo difenderequelli che considerava deboli. Ira<br />

primaria, in quei casi, barbaricina. Una volta disse di uncapo<br />

dellapolizia, al Senato: «Unlosco figuro di tale bassezza che non mi<br />

offende neppure semi sputa in faccia». Ma poi gli piaceva anche di<br />

più fare la pace, con specifici rituali che non sempre lo vincolavano<br />

rispetto a ulteriori collere.<br />

Nella sua lunga vita e carriera ha indossato parecchie maschere.<br />

jiastian Contrario. Don Chisciotte. Zorro. Puer Aetemus. Senatore<br />

Pannolone. Una volta, a "Porta a porta", Vespa gliene fornì una<br />

antica della sua terra, e seduto sulla poltroncina bianca, mentre in<br />

studio irrompevano i Mamuttones, faceva veramente un po` paura.<br />

Dopo quella performance, gli piacque leggere che lo consideravano<br />

uno sciamano, anzi un «majarzu», da «majia», magia, come si dice<br />

in sardo. Un individuo dotato di facoltà speciali, un po` antenna, un<br />

po` guaritore, un po` veggente, un po` chissà cos`altro in questo<br />

tempo senza tempo e ora anche senza più Cossiga - a parte le<br />

sorprese postume.<br />

® RIPRODUZIONE RISERVATA Ma sempxe inca éo il sso: fu un<br />

~ese, stss laico Cle7liC71@g làtrìOlLàiCfl e iusiessse d sso<br />

212


Post/teca<br />

Cominciò a fare riunioni ist fole, asss iss posa coss copricapi<br />

deEmdrsi as o M ss Si Ma io non sono matto. Io faccio il matto. È<br />

diverso Sono il finto matto che dice le cose come stanno Veltroni fit<br />

"Gatto Felix", Rutelli "Clcclobello" Se Berlusconi è il nuovo De<br />

Gasperi, io allora sono il nuovo Carlo Magno personaggio Doroteo,<br />

sovversivo, giullare le metamorfosi di un Presidente Dai silenzi di<br />

Stato alle esternazioni da palcoscenico<br />

fonte: http://<br />

rassegna.<br />

governo.<br />

it/<br />

testo.<br />

asp?<br />

d =49433151<br />

----------------------------<br />

(via quello-<br />

nello-<br />

specchio)<br />

La bibbia: successo editoriale, ma a quando il bis?<br />

fonte:http://quello-nello-specchio.tumblr.com/<br />

via: http://<br />

nubetossica.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------------<br />

"Sapremo nei prossimi mesi se questa è l’agonia del berlusconismo o<br />

l’arroganza di chi sta per prendersi il Paese. Quello che sappiamo fin d’ora è<br />

che l’incontinenza del linguaggio e il virus della volgarità sono malattie che<br />

non guariranno con l’auspicabile fine politica del Cavaliere. Sarà, nel caso, il<br />

suo lascito peggiore. Aver trasformato l’Italia in una babele di linguaggi. Dove<br />

si piscia sul Quirinale e si prega davanti a una velina."<br />

Il lord del Cavaliere » Politica Pop - Blog - Repubblica.<br />

it<br />

via: http://<br />

s 7 efano.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

fonte: http://<br />

bracconi.<br />

blogautore.<br />

repubblica.<br />

it/2010/08/16/<br />

i - lord-<br />

del-<br />

cavaliere/<br />

---------------------------<br />

Luci meticolose:<br />

Perché non si tratta di tornare dalla mamma, ma di tornare a casa. Da chi ti vuole<br />

bene. Dimmi, ti vogliono bene forse i portieri degli alberghi? O i benzinai, o i<br />

padroni dei bar, o i padroni delle fabbriche, o le mignotte, o le ragazze pulite nei<br />

213


Post/teca<br />

loro abiti di percalle? Le anime inquiete, si sa, affascinano. Tutti si godono lo<br />

spettacolo volentieri, ma nessuno se le vuole ritrovare per casa!<br />

Vinicio Capossela e Vincenzo Costantino - In clandestinità (Feltrinelli, 2009)<br />

fonte: http://<br />

s 7 efano.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------------------<br />

L’origine del QWERTY fra miti e fatti 12.8.10<br />

di paolo attivissimo<br />

Le lettere sulle tastiere sono disposte davvero in modo da<br />

rallentare la scrittura?<br />

Chiunque usi un computer se l'è chiesto o sentito chiedere almeno una<br />

volta: perché le lettere sulle tastiere sono disposte apparentemente a<br />

caso, ma con una parvenza d'ordine alfabetico nella terza fila, con la<br />

sua sequenzaDFGHJKL?<br />

Di solito la risposta è che questa disposizione delle lettere risale ai<br />

tempi delle macchine per scrivere meccaniche e fu concepita per<br />

rallentare i dattilografi che correvano troppo e ne facevano inceppare<br />

i meccanismi, ma è vero solo in parte.<br />

L'origine di questa disposizione bizzarra è effettivamente dovuta alle<br />

prime macchine per scrivere meccaniche commerciali, risalenti al 1860<br />

circa, dalle quali derivano le attuali tastiere per computer.<br />

Inizialmente ogni inventore aveva proposto una disposizione<br />

differente, ma nel 1873 la Remington adottò quella scelta dallo<br />

statunitense Christopher Sholes per la sua Type-Writer, il cui successo<br />

commerciale definì lo standard di fatto per la posizione delle lettere<br />

sulla tastiera, che è fondamentalmente quello che usiamo tuttora<br />

214


Post/teca<br />

anche se le ragioni per cui nacque sono completamente obsolete.<br />

Sholes aveva proposto inizialmente (nel 1867,brevetto USA 79868)<br />

una<br />

disposizione sostanzialmente alfabetica: due sole file di tasti, con le<br />

lettere dalla A alla M in basso e quelle dalla N alla Z in alto; a sinistra,<br />

sulle stesse file, c'erano le cifre, senza 0 e 1 (che si digitavano usando<br />

la O e la I). Si potrebbe dire che il tastierino numerico fu inventato<br />

allora.<br />

Il problema di questa disposizione sensata era che battendo a<br />

macchina velocemente, i bracci dei martelletti sui quali erano<br />

collocate le singole lettere (che colpivano un nastro inchiostrato per<br />

imprimere i caratteri sulla carta) tendevano ad incastrarsi fra loro<br />

quando venivano azionati in rapida sequenza due bracci adiacenti. La<br />

magagna fu risolta collocando le coppie di lettere più frequenti della<br />

lingua inglese (per esempio T e H oppure S e T) in modo che i loro<br />

bracci fossero fisicamente distanti l'uno dall'altro.<br />

Ma non è vero che la disposizione QWERTY (poi mutata in QWERTZ in<br />

alcuni paesi) fu inventata per rallentare i dattilografi affinché non<br />

facessero inceppare la macchina: al contrario, serviva per consentire<br />

loro di scrivere più rapidamente senza inceppamenti. Del resto, la<br />

macchina per scrivere era stata inventata proprio per consentire di<br />

scrivere più in fretta che a mano nell'era industriale, che pretendeva<br />

sempre più velocità. Non avrebbe avuto senso rallentare il suo<br />

operatore.<br />

Tuttavia lo studio sistematico dell'efficienza e l'ergonomia dovevano<br />

ancora nascere, per cui la disposizione di Sholes non fu ottimizzata a<br />

fondo (è per questo motivo che persiste una parziale sequenza<br />

alfabetica). E non fu affatto pensata per ridurre e distribuire<br />

razionalmente il carico di movimento e di lavoro sulle dieci dita: in<br />

inglese, lingua per la quale fu concepita questa disposizione, il 52%<br />

delle digitazioni è nella fila superiore invece che in quella centrale,<br />

215


Post/teca<br />

dove le dita stanno di norma, e la mano sinistra lavora molto più della<br />

destra. Disposizioni alternative, come la Dvorak (1936), scrivono il 70%<br />

delle parole senza spostare le dita dalla fila centrale.<br />

Un altro retaggio che persiste nelle tastiere odierne senza alcuna<br />

ragione è la disposizione sfalsata dei tasti, nata inizialmente per<br />

fornire spazio alle leve sotto ciascun tasto. Questo sfalsamento obbliga<br />

il dattilografo a movimenti diagonali inutili ed inefficienti.<br />

Allora perché non adottiamo una disposizione più efficiente, ora che la<br />

tecnologia ha eliminato tutte queste limitazioni? Per inerzia. Le nuove<br />

generazioni iniziano ad usare la disposizione QWERTY perché la<br />

trovano ovunque intorno a loro e rieducare centinaia di milioni di<br />

persone all'uso di una disposizione differente sarebbe costoso e<br />

traumatico. Dubbiosi? Provateci voi: oggi è facile comperare tastiere<br />

alternative e impostarle nel vostro computer, che già le supporta da<br />

tempo, eppure non lo fa nessuno. E così andiamo avanti nell'era del<br />

microchip con un sistema inventato quando si usavano leve, molle,<br />

martelletti e rulli inchiostrati. È come se guidassimo le nostre<br />

automobili usando le briglie. Mai sottovalutare il potere della pigrizia.<br />

fonte: http://<br />

attivissimo.<br />

blogspot.<br />

com/2010/08/<br />

lorigine-<br />

del-<br />

qwerty-<br />

fra-<br />

miti-<br />

e - fatti.<br />

html<br />

------------------------<br />

20100819<br />

“ Mi piacerebbe soltanto vedere i<br />

miei occhi quando ti guardano ”<br />

Roland Barthes (via veneredimilo, menodizero) (viamentedistorta)<br />

(via divara)<br />

216


Post/teca<br />

via: http://<br />

plettrude.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

----------------------<br />

L’UNICO MOTIVO PER CUI MI<br />

SPIACE CHE SIA MORTO È<br />

CHE NE PARLANO<br />

(via scochesta)<br />

Wednesday, 08/18/2010<br />

via: http://<br />

tattoodoll.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

----------------------------<br />

"Se è vero che una fetta di pane cade sempre dal lato imburrato e che un gatto<br />

cade sempre in piedi, lasciando cadere un gatto con una fetta di pane sulla<br />

schiena nessuno dei due cadrà mai per primo e si avrà il moto perpetuo."<br />

Paradosso del gatto imburrato (via creativeroom)<br />

VIA: http://<br />

s 7 efano.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

--------------------------<br />

i contenuti sono sempre, sono sempre stati, e sempre saranno gratuiti.<br />

Ad essere (eventualmente) pagato è il formato, il package, la formaprodotto<br />

in cui vengono resi disponibili. Non sto qui a motivare, mi basti<br />

un accenno un po' semplicistico, ma che rende l'idea: la Divina<br />

Commedia costa come l'ultimo dei romanzetti proprio perché a essere<br />

pagato è il formato-libro, e non il suo contenuto. Così è anche per i<br />

giornali: le news e gli articoli buttati lì nel flusso più o meno informe e<br />

automatico di un sito web non possono che essere gratuiti. Ma nulla<br />

impedisce di creare forme-prodotto digitali per le quali l'utente è<br />

disponibile a pagare un prezzo. Devo anche dichiarare il mio debito nei<br />

confronti delle riflessioni condotte a questo riguardo da un amico che<br />

risponde al nome di Marco Formento.]<br />

217


Post/teca<br />

fonte: http://<br />

antoniotombolini.<br />

simplicissimus.<br />

it/2010/08/<br />

il-<br />

sole-24ore-<br />

su-<br />

ipad-<br />

e - gli-<br />

altri-<br />

secondo-<br />

wired-<br />

it-<br />

e - secondo-<br />

me.<br />

html<br />

-----------------------<br />

Ray Bradbury compie 90 anni<br />

«Abbiamo troppi cellulari, abbiamo troppo internet; dobbiamo<br />

sbarazzarci di questi aggeggi, ne abbiamo davvero troppi». Compie 90<br />

anni Ray Bradbury, lo scrittore che ha ricreato il mondo della<br />

fantascienza, il grande sceneggiatore di Hollywood, ma la sua<br />

aggressività e la sua fantasia rimangono intatte.<br />

Lo scrittore nato a Waukegan in Illinois compie gli anni il 22 agosto, ma<br />

la sua città di adozione, Los Angeles, prevede una settimana intera di<br />

festeggiamenti, con il consiglio comunale che venerdi proclamerà<br />

ufficialmente la 'Ray Bradbury Week' tra il 22 e il 28 agosto. Al Los<br />

Angeles Times, l'autore di Fahrenheit 451 (la temperatura alla quale la<br />

carta dei libri prende fuoco) ha avuto parole critiche sulle politiche<br />

seguite dal presidente Usa Barack Obama, anche se non lo ha definito<br />

«dickhead», cioè testa di cazzo, come aveva fatto con il suo<br />

predecessore Bill Clinton. Le sue critiche sono però d'ordine molto<br />

generale, quasi filosofico. «Dovrebbe annunciare che torniamo sulla luna<br />

- ha detto Bradbury -. Non avremmo dovuto mai andarcene. Dovremmo<br />

tornare sulla luna, preparare una base per lanciare un razzo per Marte,<br />

andare su Marte e colonizzare Marte. Quando saremo in grado di farlo,<br />

diventeremo eterni».<br />

Spunta anche il Bradbury un po' anarchico. «Credo che questo paese<br />

abbia bisogno di una rivoluzione - spiega lo scrittore -. C'è troppo<br />

governo oggigiorno e dobbiamo ricordarci che il governo dovrebbe essere<br />

vicino al popolo, del popolo e per il popolo». Ha bruciato libri in<br />

Fahrenheit 451, portato allo schermo da Francois Truffaut, ma Bradbury<br />

non è pronto a rinunciare ai libri di carta. Niente Kindle della Amazon,<br />

niente iPad della Apple. «A ben tre riprese l'anno scorso -racconta<br />

218


Post/teca<br />

sempre al Los Angeles Times lo scrittore scenarista - sono stato<br />

avvicinato da compagnie di internet, che volevano mettere i miei libri»<br />

su un lettore elettronico. «A Yahoo! ho risposto 'Rizzate' lo orecchie e<br />

andate al diavolo!». Oltre che per Fahrenheit 451, considerato il suo<br />

capolavoro, Bradbury è famoso per la sua sceneggiatura del Moby Dick di<br />

John Huston. Altri suoi libri di successo sono Cronache Marziane, Il<br />

Grande Mondo laggiù, Morte a Venice.<br />

17 agosto 2010<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

unita.<br />

it/<br />

news/<br />

culture/102487/<br />

ray_<br />

bradbury_<br />

compie_<br />

anni<br />

---------------------------<br />

La canzone dell'escort secondo<br />

Benni e Damiani<br />

di Gabriella Gallozzi<br />

Dal dramma dell’emigrazione alle escort. Stefano Benni spazia nel sociale<br />

e nel costume con la sua ironia non addomesticata. E per l’estate si fa in<br />

due sul palco del festival jazz di Roccella Jonica, «Rumori mediterranei<br />

2010», sotto la direzione artistica di Polo Damiani, suo «complice» da<br />

una quindicina d’anni, da quando nel ‘98, proprio allo stesso festival<br />

calabrese, diedero vita al loro connubio con Sconcerto. L’ultima creatura<br />

nata dal loro sodalizio è Escort Song, una sorta di «inno» alla figura<br />

delle escort diventate negli ultimi tempi le protagoniste della nostra<br />

scena politica, che sarà eseguita domani (ore 21) nell’ambito del<br />

concerto di Paolo Damiani con la sua neonata band di «scavezzacollo» -<br />

la definizione è del jazzista - «Pane e tempesta». Il giorno dopo, invece,<br />

venerdì 20 (ore 18) per Stefano Benni sarà la volta del recital Fuori<br />

straniero su musiche di Danilo Rea. Il testo messo a punto dall’autore de<br />

Il bar sotto il mare è un sapiente mix tra le lettere degli emigranti italiani<br />

dei primi anni del secolo scorso e gli articoli razzisti dei giornali svizzeri e<br />

americani dell’epoca. Parole oltraggiose e violente che in un attimo<br />

riconducono ai venti xenofobi che battono il nostro paese, colpendo i<br />

219


Post/teca<br />

migranti di oggi, come i nostri di ieri. L’indicazione che lancia Benni è<br />

semplice: se si serbasse la memoria del dramma vissuto dai nostri padri<br />

e dai nostri nonni costretti a lasciare le loro terre, forse le cose<br />

andrebbero diversamente.<br />

Ma questa è la nostra Italia, senza ricordi, senza rispetto per nessuno<br />

dove tutto è ridotto a merce. Le donne per prime. Ed ecco dunque Escort<br />

Song, nata per la prima volta a partire da un brano musicale scritto da<br />

Paolo Damiani. «Normalmente - dice il musicista - sono io a scrivere la<br />

musica per i testi di Stefano, stavolta invece è stato il contrario. Io gli ho<br />

proposto il brano e lui mi ha stupito con questo inno alle escort». Ma non<br />

quelle «sempliciotte» finite alla ribalta con «la calda primavera» di<br />

Berlusconi in quel di Casoria. Piuttosto una figura di escort quasi<br />

«femminista», potremmo osare, «intelligente, colta, raffinata - spiega<br />

Paolo Damiani - che esprime tutto il suo disprezzo per l’utilizzatore<br />

finale». «Sei un uomo insignificante/come amante tu non vali niente....».<br />

Recita il testo. «Non ti amo ma se paghi t’amo...».<br />

Insomma, quasi un inno di riscossa per «quelle poveracce che sono state<br />

demonizzate», prosegue il musicista, quasi fossero loro le «responsabili»<br />

dello sfascio di questo paese e non, viceversa, gli «utilizzatori finali».<br />

Dunque se c’è un augurio è che la nuova canzone della coppia Benni-<br />

Damiani possa servire, si augura il musicista, a mettere a fuoco meglio la<br />

figura dell’«escort, fuori dai luoghi comuni e dalle esemplificazioni»<br />

pruriginose dei media.<br />

18 agosto 2010<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

unita.<br />

it/<br />

news/<br />

italia/102510/<br />

la_<br />

canzone_<br />

dellescort_<br />

secondo_<br />

benni_<br />

e _ damiani<br />

---------------------<br />

19/8/2010<br />

Italia ferma nell'ingorgo degli "ex"<br />

220


Post/teca<br />

MICHELE AINIS<br />

Un personaggio segnato dalle rughe s’aggira<br />

fra i palazzi del potere. Non ha un nome,<br />

benché in gioventù ebbe un nome<br />

altisonante. Non ha una carica, o almeno non<br />

così solenne come quelle che rivestì in<br />

passato. Non ha più lustro, né energie per<br />

lustrare la sua targa d’ottone. Tuttavia non si<br />

contenta affatto dei ricordi. No: traffica,<br />

cospira, confabula, almanacca, e in<br />

conclusione non esce mai di scena. È l’ex.<br />

La politica italiana trabocca di questi<br />

pluridecorati, perennemente a caccia di trofei<br />

per rimpolpare il proprio medagliere. E non<br />

c’è troppa differenza fra sinistra e destra, fra<br />

estremisti e moderati. Pensateci: con chi<br />

deve vedersela tutti i santi giorni il segretario<br />

del Pd Bersani? Con gli ex segretari D’Alema,<br />

Franceschini, Veltroni. Tutti lì, ancora e<br />

sempre in prima fila. Ma d’altronde quel<br />

partito ha affidato il Dipartimento Riforme<br />

all’ex presidente della Camera Violante,<br />

nonché ex magistrato, ex docente, ex<br />

parlamentare, ex capogruppo, ex presidente<br />

dell’Antimafia. Siccome di riforme non ne<br />

parla più nessuno, almeno in questo caso la<br />

poltrona dell’ex è un’ex poltrona.<br />

E a destra? Solo per citare le figure più<br />

eminenti, ci trovi per esempio Fabrizio<br />

Cicchitto, già deputato e senatore socialista.<br />

O Giulio Tremonti, che fin qui ha girato il Psi,<br />

Alleanza democratica, il Patto Segni, la<br />

Federazione liberaldemocratica, Forza Italia,<br />

il Pdl. Senza dire del centro, dove il riciclo è<br />

come l’usato garantito. Tanto per dire, la<br />

nuova formazione politica fondata da Rutelli<br />

(Alleanza per l’Italia) è la sua quinta creatura.<br />

Infatti, il fondatore è stato via via eletto in<br />

Parlamento con i Radicali, i Verdi arcobaleno,<br />

221


Post/teca<br />

la Margherita, il Pd, mentre adesso<br />

rappresenta per l’appunto l’Api.<br />

È la tragedia dell’Italia: un Paese immobile,<br />

come le sue classi dirigenti. Al più cambiano<br />

le sigle, mai le facce. È anche il fallimento<br />

della seconda Repubblica, che nei primi Anni<br />

Novanta aveva allevato la speranza d’un<br />

ricambio generazionale. Ci guadagnò una<br />

rispettabile pensione Giulio Andreotti, 7 volte<br />

presidente del Consiglio, 26 volte ministro.<br />

Esordirono in politica uomini nuovi, a partire<br />

da Silvio Berlusconi. Dopo quasi vent’anni,<br />

dopo cinque elezioni vinte o perse, anche lui<br />

è diventato un ex. Ma la sua età rimane in<br />

media con quella della classe politica italiana:<br />

secondo il Rapporto Luiss 2008 il 60% ha più<br />

di settant’anni, mentre nella Penisola iberica<br />

lo stesso dato s’arresta al 4,3%. D’altronde in<br />

Spagna Aznar e Zapatero avevano entrambi<br />

quarant’anni, quando ottennero le chiavi del<br />

governo. E il primo ha lasciato la politica dopo<br />

una sconfitta elettorale, al pari di John Major,<br />

Tony Blair, Michail Gorbaciov, Al Gore, Carl<br />

Bildt. Tutti cinquantenni, mica vecchi come il<br />

cucco.<br />

Ma in Italia nessuna sconfitta è mai definitiva.<br />

Specialmente con questa legge elettorale,<br />

che toglie agli elettori ogni potere sugli eletti.<br />

Decidono loro, i capibranco, i signori dei<br />

partiti; e decidono in base alla ferrea regola<br />

della cooptazione. Significa che promuovono<br />

se stessi, o al più i loro maggiordomi. Poi<br />

capita talvolta che non si mettano d’accordo<br />

(gli oligarchi sono molto suscettibili); e allora<br />

smembrano le truppe, vanno in sartoria a<br />

cucirsi una divisa tutta nuova, la indossano<br />

insieme ai propri soldatini. Ma le parole no,<br />

quelle sono sempre uguali, come le bocche<br />

che gli danno fiato.<br />

Sarà probabilmente questo lo scenario che ci<br />

consegneranno le prossime elezioni: qualche<br />

nuovo partito, nessuna faccia nuova. Eppure<br />

222


Post/teca<br />

c’è una volontà di cambiamento in giro per<br />

l’Italia, un senso di stanchezza per le litanie e<br />

le risse di palazzo, la voglia di respirare un<br />

vento fresco, anche a costo di buscarsi un<br />

raffreddore. La politica, invece, spranga le<br />

finestre. Tuttavia stavolta non potrà arricciare<br />

il naso se gli italiani, chiamati a celebrare il<br />

trionfo dell’ex, trasformeranno il loro voto in<br />

un ex voto.<br />

michele.ainis@uniroma3.it<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

lastampa.<br />

it/_web/<br />

cmstp/<br />

tmplRubriche/<br />

editoriali/<br />

gEditoriali.<br />

asp?<br />

ID_<br />

blog=25&ID_<br />

articolo=7724&ID_<br />

sezione=&sezione=<br />

--------------------<br />

19/8/2010 - EDITING SIONISTA<br />

Israele, i coloni studiano<br />

per riscrivere Wikipedia<br />

I corsi organizzati dalla destra nazionalista, in palio anche il<br />

premio "miglior editor sionista"<br />

TEL AVIV<br />

Wikipedia sarà la prossima meta di conquista del movimento dei coloni israeliani,<br />

deciso a far filtrare «i punti di vista» della destra nazionalista ebraica fra le pagine<br />

virtuali della più popolare enciclopedia in versione elettronica. A questo scopo,<br />

come riporta la versione online di "Haaretz" , sono stati inaugurati corsi per<br />

navigatori-militanti. L’obiettivo dichiarato è quello di fornire gli strumenti<br />

indispensabili per essere più efficaci: imparare a registrarsi, ma anche a pubblicare<br />

certe informazioni in modo tale da superare il vaglio dei gestori e della community<br />

di Wikipedia.<br />

Un territorio, quello del web, che è da tempo al centro di schermaglie fra le anime<br />

più militanti di Israele e del mondo arabo. I due schieramenti sono pronti a<br />

misurarsi a colpi di editing e puntualizzazioni reciproche su alcune delle voci più<br />

223


Post/teca<br />

spinose di Wikipedia: come ad esempio i riferimenti a certi villaggi palestinesi<br />

(soffocati dall’occupazione israeliana secondo la descrizione tratteggiata dai<br />

contributi della sinistra pacifista; additati come covi di violenza nelle repliche della<br />

destra).<br />

Ecco quindi la necessità di preparare una schiera di correttori di bozze virtuali,<br />

accreditati dalla Yesha come «patrioti» e seguaci ortodossi della causa. A finanziare<br />

i corsi, accanto al movimento dei coloni, c’è un’altra organizzazione della destra<br />

radicale israeliana, Israel Sheli,<br />

che si professa «nazionale» e «sionista». In palio è annunciato pure un premio per<br />

il "Miglior Editor Sionista" destinato a chi riuscirà a piazzare il maggior numero di<br />

«informazioni corrette» fra le voci dell’enciclopedia, e a contrastare i punti di vista<br />

sgraditi.<br />

In passato la destra israeliana aveva già incaricato blogger militanti di difendere in<br />

rete idee magari marginali, ma diffuse in modo compatto e attivo da manipoli di<br />

navigatori coordinati fra loro. La differenza è che questa volta l'obiettivo è specifico<br />

e sensibile: Wikipedia.<br />

Fra i primi allievi, radunatisi a Gerusalemme per l’inaugurazione del progetto,<br />

Haaretz ha intercettato soprattutto giovani: quasi tutti di idee nazional-religiose e<br />

quasi tutti provenienti dagli insediamenti dei coloni. «Sono qui perchè voglio<br />

migliorare la mia capacità d'impatto», ha spiegato Einat Bornstein, deplorando<br />

coloro che nel web «hanno paura di dare risposte di destra». «La prima voce su cui<br />

voglio scrivere - le ha fatto eco Ruthie Avraham - è la voce<br />

Famiglia ebraica: per affermare che essa è la sola vera risposta alla crisi da<br />

isolamento dell’Occidente»<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

lastampa.<br />

it/_web/<br />

cmstp/<br />

tmplrubriche/<br />

tecnologia/<br />

grubrica.<br />

asp?<br />

ID_<br />

blog=30&ID_<br />

articolo=7988&ID_<br />

sezione=38&sezione=<br />

------------------------------<br />

L'opera di Karl Erich Grözinger sul pensiero ebraico nei secoli<br />

Da Abramo di Ur ad Abraham Geiger<br />

di Mordechay Lewy<br />

Nell'era del taglia e incolla, non siamo più tanto abituati ad affrontare l'opera genuina di uno<br />

224


Post/teca<br />

studioso che illustra un intero campo della conoscenza quale è il pensiero ebraico nei secoli.<br />

L'opus magnum di Grözinger (Karl Erich Grözinger, Jüdisches Denken - Theologie, Philosophie<br />

Mystik, 3 volumi, Francoforte, Campus, 2004-2009, pagine 2249, euro 74) è un raro caso di<br />

erudizione e di mente innovativa cheoggigiorno è raggiungibile quasi esclusivamente attraverso il<br />

lavoro di una squadra di studiosi.<br />

Si tratta, infatti, di un tour de force di storia intellettuale, da Abramo il Patriarca ad Abraham Geiger<br />

e Hermann Cohen: i tre volumi comprendono 2249 pagine con 6961 note a pie' di pagina. Karl<br />

Erich Grözinger, professore emerito di storia delle religioni e di studi ebraici alla Potsdam<br />

University, è fluente in ebraico e molto preparato nelle relative fonti e nella letteratura secondaria.<br />

Ciò che lo rende una rarità è che non è limitato ad un campo, ovvero il suo background luterano,<br />

ma mette in discussione i testi tralasciando qualsiasi zavorra teologica, come solo pochi studiosi<br />

ebrei farebbero.<br />

Nella sua introduzione Grözinger presenta gli strumenti analitici che lo assisteranno nella disamina<br />

dei cambiamenti avvenuti nella teologia ebraica nel corso della storia: l'immagine di Dio (teologia);<br />

l'immagine del mondo (cosmologia); l'immagine dell'uomo (antropologia); la redenzione<br />

(soteriologia); la condotta dell'uomo al fine di raggiungere tali scopi (etica, pietà). Grözinger pone<br />

l'accento sul doppio elemento chiave: il concetto dell'imago dei, che comprende sia la concezione<br />

dell'immagine di Dio che quella dell'immagine dell'uomo (zelem elohim). Nell'ebraismo<br />

l'aspirazione del credente ad assomigliare a Dio è espressa già in Genesi, 1, 26-27, poiché<br />

l'umanità è stata creata ad immagine di Dio. Questa concezione di Dio e con essa, dell'imago dei,<br />

cambierà nella teologia ebraica nel corso di diversi periodi: da interpretazioni naturali/corporee a<br />

spirituali e persino soprannaturali.<br />

Tali cambiamenti saranno seguiti anche da una mutata immagine dell'uomo, poiché ogni religione<br />

si occupa di come l'uomo si relaziona a Dio. A dispetto del concetto ebraico che Dio non è pari a<br />

nessuno (Isaia, 40, 25), Grözinger cita il concetto mistico secondo cui la comunicazione può<br />

esistere solo tra eguali. Secondo lui la teologia ebraica si muove tra la tensione alla distanza e<br />

all'eguaglianza con Dio. È compito dell'ebreo ambire a questo scopo nel corso della sua vita.<br />

225


Post/teca<br />

Grözinger traccia la differenza tra l'ebraismo e il cristianesimo nell'atto unico del battesimo che<br />

consente al cristiano di ricevere il dono di essere simile a Dio attraverso la comunione con suo<br />

figlio Gesù Cristo e anche di essere redento. Benché alcuni Padri della Chiesa esortino il credente<br />

a condurre la propria vita a imitatio dei, Grözinger pone in risalto la differenza in quanto gli ebrei,<br />

per tutta la vita, cercano la redenzione e l'imago dei attraverso l'imitatio. Non è loro assicurata.<br />

Dipende dalla loro fede e dalla loro condotta.<br />

La questione scottante nella teologia ebraica durante i primi 2500 anni dalla nascita dell'ebraismo<br />

fino al Medioevo consisteva nel come seguire la Torah e quale fosse la sua corretta<br />

interpretazione. Grözinger mobilita Moses Mendelssohn per chiarire che, nonostante la gran<br />

varietà di teologie e filosofie ebraiche e il ruolo centrale dell'Halacha (la Legge ebraica) e della<br />

vasta letteratura rabbinica che la interpreta (dal Talmud, attraverso la Mishne Torah di Maimonides<br />

fino al Shulchan Aruch), l'ebraismo è rimasto più un'ortoprassia che un'ortodossia. La stretta<br />

osservanza della legge non si è mai sostituita alla fede nell'Altissimo.<br />

Grözinger evidenzia che l'ebraismo rabbinico si è astenuto dai giudizi universali e cosmologici in<br />

quanto meno interessato alla validità universale della legge e dell'osservanza ebraica. I gentili, che<br />

non credevano nel Dio ebraico, non erano obbligati a seguire l'osservanza ebraica. Il posto<br />

occupato da Dio nell'ebraismo biblico e l'ammirazione e la fedeltà nei suoi riguardi erano giustificati<br />

dall'impresa storica che aveva compiuto quando salvò il popolo ebraico. Si tratta di una relazione<br />

contrattuale nella quale Dio ha agito come se fosse personificato.<br />

Grözinger divide i tre volumi seguendo la cornice cronologica degli otto periodi della religione<br />

ebraica e della storia intellettuale. Ciò si traduce in un quadro di sviluppi dinamici che<br />

contraddicono ogni sforzo di pietrificare l'ebraismo nella sua antiquata versione rabbinica.<br />

La prima è l'epoca dell'Israele Biblica (circa 1400-587 prima dell'era cristiana) fino alla distruzione<br />

del primo Tempio. Questo era il periodo dei patriarchi, dei giudici, dei re, dei profeti e dei sacerdoti.<br />

Il culto del Tempio, con i suoi sacrifici e la sua liturgia, era l'elemento centrale dell'espressione<br />

religiosa. La devozione individuale era indicata attraverso la pietà dei salmi. Il secondo periodo è il<br />

periodo persiano (507-332 prima dell'era cristiana) che terminò con la conquista della Terra<br />

d'Israele da parte di Alessandro Magno. Durante questo periodo furono scritti i grandi libri della<br />

Bibbia: la Torah (i cinque libri di Mosè) e i Profeti. L'ebraismo si trasformò in una religione scritta e<br />

codificata. Il suo protagonista principale, secondo Grözinger, divenne non il sacerdote ma i saggi<br />

che potevano interpretare la Torah. Erano reclutati da tutte le classi sociali, tanto che l'ebraismo<br />

divenne una religione laica che officiava non in un tempio centrale ma in sinagoghe ampiamente<br />

sparse.<br />

Il terzo periodo è quello dell'ellenizzazione e "europeizzazione" dell'ebraismo (dal 332 prima<br />

dell'era cristiana al 70) esposto alle influenze culturali del mediterraneo, siano esse greche, arabe<br />

o italiane, nel corso dell'antichità classica e dell'era medievale. L'Europa a nord delle Alpi ha<br />

lasciato il proprio segno sull'ebraismo solo in seguito. Grözinger pone sulla sua storia religiosa un<br />

nuovo e fresco accento mediterraneo e abbandona la tendenza centro-europea tradizionale che ha<br />

segnato il soggetto fino alla precedente generazione di studiosi. L'ellenizzazione della religione<br />

ebraica avvenne tramite l'adozione di generi letterari ellenici e l'utilizzo di concetti filosofici e<br />

modalità di pensiero ellenici. La resistenza dei Maccabei (intorno al 167 prima dell'era cristiana)<br />

contro tale assimilazione fu notevole ma non poté arrestarne lo sviluppo.<br />

Il quarto periodo è quello dell'ebraismo rabbinico (dal 70 in poi) che enfatizzò l'osservanza della<br />

Torah e le preghiere quali sostituti dei sacrifici, dopo la totale scomparsa del Tempio e dei suoi<br />

culti. Grözinger non è chiaro nel delimitare questo periodo e così facendo implica che l'ebraismo<br />

rabbinico sia tuttora una forza impegnata a modellare l'ebraismo di oggi. Rabbini e saggi divennero<br />

226


Post/teca<br />

l'elíte intellettuale che interpretò la Torah. La dispersione del popolo ebraico provocò un processo<br />

eclettico di codificazione di concetti religiosi nella Mishna e nel Talmud rappresentando tutte le<br />

correnti dell'ebraismo. Insieme a Neusner, Grözinger nega una particolare influenza dei Farisei in<br />

questo processo - convinzione errata sostenuta dai teologi cristiani fino a tempi recenti.<br />

Il quinto periodo è chiamato ebraismo filosofico, il cui inizio è identificato con Saadia Gaon (882-<br />

942). Antichi concetti rabbinici furono messi in discussione dal razionalismo della filosofia grecoaraba<br />

prevalente nella Baghdad degli Abbasidi e in seguito nella Cordoba degli Omayyadi e nel<br />

Cairo Fatimida. Questa apertura al razionalismo greco-arabo ha permesso ai concetti aristotelici e<br />

neoplatonici di permeare la teologia ebraica di nuove immagini di Dio, degli uomini e delle<br />

cosmologie. Questo approccio razionale è proseguito con i protagonisti dell'influenza aristotelica,<br />

Avraham Ibn Da'ud e Moses Maimonides. Tuttavia, la vera sorpresa è che Grözinger attribuisce<br />

eguale importanza alle influenze neoplatoniche all'interno del pensiero ebraico medievale. Tra i<br />

protagonisti affrontati da Grözinger figurano Isaac ben Salomon Yisraeli (855-955/6), Salomon Ibn<br />

Gevirol (circa 1021-1058), Shem Tov Ibn Josef Falaqera (circa 1225-ca. 1295). Alla fine Grözinger<br />

affronta Jehuda Abravanel (1460-1523) conosciuto in Italia come Leone Ebreo, con i suoi Dialoghi<br />

d'amore.<br />

Contrariamente a Colette Sirat, Grözinger lo valuta non come un dialogo di filosofia profana ma<br />

come un trattato ebraico neoplatonico.<br />

I primi cinque periodi vengono trattati nel primo volume di Grözinger. Il sesto periodo affronta la<br />

reazione al nuovo approccio razionalistico dell'ebraismo. È denominato ebraismo esoterico-mistico<br />

nel quale la Cabala e il Chassidismo (pietismo ebraico) poterono svilupparsi e prosperare.<br />

L'intero secondo volume di Grözinger è dedicato al misticismo ebraico dai primi inizi della Cabala<br />

(prima del ix secolo) seguiti dal Sefer Jezira,attraverso Sefer Bahir e Sefer Zohar fino alla<br />

comparsa del Chassidismo nel XVIii secolo. La Cabala si può far risalire al 1150 quando un misto<br />

di elementi mitici gnostici e di filosofia medievale divenne teologia esoterica e misticismo. L'ampia<br />

trattazione di questo tema è giustificata dai commenti di Grözinger secondo il quale, oltre alla<br />

normale "osservanza e pietà", tutti i periodi attraversati dall'ebraismo sono stati testimoni della<br />

spinta verso il contatto diretto con la divinità. Grözinger cita qui, tra gli altri, la definizione di<br />

misticismo di Tommaso d'Aquino, cognitio dei experimentalis, che non è solo intesa come<br />

desiderio di unio mystica con Dio. Per Grözinger è egualmente importante includere sia<br />

l'esperienza ebraica raccolta nel tentativo di raggiungere la vicinanza divina, che le diverse<br />

espressioni che hanno articolato questa esperienza nei diversi periodi. Il giudizio di Grözinger sulla<br />

Cabala e sul Chassidismo è particolarmente valido e considerevolmente equilibrato tenendo conto<br />

del fatto che questi sono i suoi campi preferiti di studio. Questi argomenti suscitano molta<br />

attenzione da parte degli studiosi contemporanei.<br />

Inoltre, nel trattare la Cabala egli pone il padre della ricerca moderna sulla Cabala, Gershom<br />

Sholem, come il "patrono del suo libro", per dirla con le parole di Thomas Mayer.<br />

Sholem, che era radicato pienamente nella tradizione filologica tedesca compì uno sforzo enorme<br />

per razionalizzare il pensiero mistico nella Cabala; come già disse Amleto "c'è del metodo in<br />

questa follia". Gli allievi di Sholem, Josef Dan e Moshe Idel non rimasero sempre fedeli agli<br />

insegnamenti del loro maestro, ma esposero le molte facce del pensiero mistico a discapito di una<br />

Cabala troppo razionalizzata. L'impresa di Grözinger è stata di integrare entrambe le tendenze.<br />

Nel suo secondo volume egli ha illustrato un lavoro chiave molto lucido che sta già diventando il<br />

testo base per gli studiosi di misticismo ebraico. La svolta del Chassidismo ebbe inizio nell'Europa<br />

dell'Est dove vennero utilizzate nuove interpretazioni riguardo alla comunicazione con Dio, il<br />

credente e l'intermediario, lo Zaddik (il giusto). Il Chassidismo è un movimento religioso ancora<br />

227


Post/teca<br />

attivo che ha qualche attinenza con l'ebraismo di oggi.<br />

Nel suo schema, Grözinger<br />

definisce il settimo periodo ebraismo della Haskala (illuminismo) attraverso il quale venne scossa<br />

l'unità tra il popolo e la religione intesa come marchio di identità dell'ebraismo. Non fu solo Moses<br />

Mendelssohn a dichiarare di essere un ebreo a casa e un cittadino fuori. L'ebraismo riformato e la<br />

neo ortodossia (Samson Rafael Hirsch) nel xix secolo hanno cercato di plasmare l'ebraismo come<br />

una confessione e in questo modo permettere una piena assimilazione nella società gentile e nei<br />

suoi sentimenti nazionali. Nei cinque anni trascorsi tra l'apparizione del suo primo volume nel 2004<br />

ed il terzo volume nel 2009, Grözinger ha cambiato opinione. Si è staccato dalla suddivisione<br />

convenzionale delle epoche che stabiliva il termine della storia ebraica medievale intorno al 1750<br />

con l'illuminismo (così come addotto da Heinrich Graetz) o con la rivoluzione francese (come<br />

sosteneva Simon Dubnov). Egli, invece, ha fissato con il rinascimento (XVI secolo) l'inizio di un<br />

periodo sin qui meno visibile dell'era moderna per la storia intellettuale ebraica. A suo favore, porta<br />

a testimonianza il numero crescente di pensatori ebrei italiani che hanno preso parte alla<br />

rivoluzione scientifica ma che hanno anche espresso le proprie critiche riguardo alla religione e alla<br />

tradizione. Grözinger sceglie come protagonisti Asarja (Buonaiuto) dei Rossi (circa 1511-1578),<br />

Elija Delmedigo (1460-1497), Josef Salomo Delmedigo (1591-1655) e Leon Modena di Venezia<br />

(1571-1648). Questo movimento è culminato con Uriel da Costa e Baruch Spinosa. Grözinger<br />

riconduce proprio quest'ultimo al contesto ebraico nell'ambito della tradizione dei pensatori ebrei<br />

critici nei confronti della religione. In seguito alla Haskala, il xix secolo si è dimostrato essere l'età<br />

del confessionalismo. I teologi ebrei hanno tentato di identificare l'ebraismo come la religione della<br />

Torah (Salomon Raphael Hirsch) come la religione dello spirito (Salomon Formstecher) la religione<br />

della scienza teologica (Abraham Geiger) e, infine, la religione della ragione (Hermann Cohen). Il<br />

terzo volume non poteva contenere l'ottavo periodo che tratta dell'ebraismo contemporaneo del xx<br />

228


Post/teca<br />

secolo. In questo periodo la Haskala ebraica e l'assimilazione alla società gentile hanno fine. La<br />

Shoah e l'istituzione della sovranità ebraica nella Terra Promessa hanno riaperto nuove questioni<br />

riguardo all'identità ebraica e al confessionalismo. La ristabilita unità di popolo e di religione e la<br />

relazione alle sue diaspore sembra riflettere un sito in costruzione pronto a modellare nuove forme<br />

di ebraismo. Questo quarto volume è ora in fase di scrittura; come i precedenti sono stati una<br />

rivelazione, ci aspettiamo ora il compimento.<br />

(©L'Osservatore Romano - 19 agosto 2010)<br />

----------------------------------<br />

Finalmente Francesco Cossiga (requiescat in pace) ha una buona ragione per non rispondere alle<br />

domande che gli si sono fatte in questi decenni.<br />

fonte: http://<br />

xmau.<br />

com/<br />

notiziole/<br />

arch/201008/006783.<br />

html<br />

---------------------<br />

Celere<br />

alla<br />

celere<br />

È morto Francesco Cossiga. Kondoglianze.<br />

È morto Francesco Cossiga. Falce batte piccone.<br />

È morto Francesco Cossiga. Ma puzzava già da anni.<br />

È morto Francesco Cossiga. La salma sarà insabbiata domani.<br />

È morto Francesco Cossiga. Resterà vivo il suo “Non ricordo”.<br />

È morto Francesco Cossiga. Non fiori ma opere di intelligence.<br />

È morto Francesco Cossiga. Aveva 62 anni più di Giorgiana Masi.<br />

È morto Francesco Cossiga. Non si prevedono ulteriori<br />

miglioramenti.<br />

È morto Francesco Cossiga. Si continua a girare intorno al<br />

problema.<br />

È morto Francesco Cossiga. Pare si sia trattato di un cedimento<br />

strutturale.<br />

È morto Francesco Cossiga. Non sapremo mai come si sono estinti i<br />

dinosauri.<br />

È morto Francesco Cossiga. In sua memoria verranno osservati<br />

229


Post/teca<br />

quarant’anni di silenzio.<br />

È morto Francesco Cossiga. Le vie che gli saranno dedicate<br />

porteranno da tutt’altra parte.<br />

Cossiga aveva 82 anni. Di cui molti nostri.<br />

(Non capisco i giornali che titolano “Cossiga non ce l’ha fatta”. Lo<br />

scopo non era morire democristiani?)<br />

Pochi giorni fa Cossiga aveva ricevuto l’estrema unzione. Come se<br />

non fosse già abbastanza viscido.<br />

Le ultime volontà di Cossiga: nessuna autorità dello Stato ai<br />

funerali. Ci teneva a non dividere la scena con altri cadaveri.<br />

I funerali di Cossiga si svolgeranno in forma privata. È che i cortei<br />

numerosi proprio non gli piacevano.<br />

(in realtà Cossiga non è morto. Si è infiltrato nell’aldilà)<br />

Ai funerali saranno presenti numerosi esponenti delle forze<br />

dell’ordine. Vestiti da parenti.<br />

Consegnate a Napolitano, Berlusconi, Fini e Schifani quattro lettere<br />

di Cossiga. Incredibile, manda già i saluti!<br />

Cossiga ha lasciato lettere alle quattro più alte cariche dello Stato. In<br />

ognuna si sparla delle altre tre.<br />

Schifani ha interrotto le vacanze alle Eolie per fare rientro a Roma.<br />

Proprio adesso che c’era il terremoto.<br />

Calderoli: “Cossiga ha insegnato qualcosa a ciascuno di noi”. A me,<br />

ad esempio, a imitare il sardo.<br />

(Se ci pensate, Cossiga non era molto diverso da un Tampax: da<br />

fuori non si vedeva nulla, ma nei bagni di sangue lui c’entrava<br />

sempre)<br />

“È inutile che mi guardiate in quel modo” ha dichiarato Andreotti.<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

spinoza.<br />

it/2010/<br />

celere-<br />

alla-<br />

celere<br />

---------------------<br />

230<br />

VITA E FINZIONE. IL BISOGNO D’AMORE: NON SI VIVE DI SOLO


Post/teca<br />

ODIO<br />

Il coraggio<br />

della felicità<br />

Tolstoj, Balzac, Fitzgerald:<br />

i grandi insegnano a<br />

crederci<br />

Una ricetta per uscire indenne da un truce pomeriggio estivo in città è<br />

pensare agli amici. Immaginarli in sovraffollate spiagge alle prese con<br />

bambini pestiferi e mogli assetate di sangue. La spaventosità della loro<br />

condizione è un ottimo diversivo.<br />

Ma alla lunga anche certi malevoli pensieri si rivelano insufficienti. L’altro<br />

giorno ci ha pensato Italia Uno a salvarmi la vita. Regalandomi l’insperata<br />

epifania di tre film, ciascuno in modo diverso un classico anni Ottanta:<br />

Sapore di mare dei fratelli Vanzina, Il segreto del mio successo con Michael J.<br />

Fox. E a chiudere, Guerre stellari.<br />

Guardarli uno di seguito all’altro mi ha donato l’entusiasmo peloso - venato di<br />

commozione e autoironia - da cui ti senti invaso quando ti trovi faccia a faccia<br />

con una parte di te scomparsa per sempre: una felicità andata in fumo.<br />

Bisognerebbe scrivere sul frontespizio dello scatolone della felicità il titolo che<br />

231


Post/teca<br />

Scott Fitzgerald diede a uno dei suoi famosi saggi autobiografici: Attenzione,<br />

fragile. Non è forse quel tipo di felicità lì - delicata e intermittente - che chi<br />

scrive e chi legge non smette mai di inseguire? O almeno questo capitava una<br />

volta, agli albori, diciamo così, della narrativa, fino a quando, a un certo<br />

punto, la felicità ha smesso di godere di ottima stampa. Quando un<br />

pregiudizio moralistico ha iniziato a demonizzarla. Quando i letterati hanno<br />

spostato la loro austera attenzione su sediziosità sociologiche, miserabili<br />

constatazioni strutturali, facinorose dispute politiche.<br />

Questo fu il trauma che patii quando all’inizio degli anni Novanta iniziai a<br />

studiare letteratura all’università. Erano tutti così seriosi e risentiti. Leggere<br />

per il gusto di identificarsi era una pratica disdicevole, da sradicare dalle teste<br />

e dai cuori delle poche riottose matricole.<br />

Che cosa diavolo stava succedendo?<br />

«Alle quattro, col batticuore, Lévin scese dalla vettura al giardino zoologico e<br />

si avviò per una stradina verso le montagne russe e il campo da pattinaggio,<br />

dove sapeva con certezza che l’avrebbe trovata, perché aveva visto la carrozza<br />

degli Scerbàckij all’ingresso».<br />

Confido che i fanatici di Tolstoj abbiano riconosciuto uno dei passi più<br />

emozionanti di Anna Karenina. Quando Kostantin Lévin va al campo di<br />

pattinaggio per incontrare Kitty. Nessuno ha saputo descrivere con tanta<br />

vivida potenza l’emozione di un giovane uomo innamorato che sta per<br />

rivedere l’oggetto della sua passione. Non c’è dettaglio (le quattro del<br />

pomeriggio, il cielo terso dell’inverno, tutto quel bianco sfavillante, il cik-ciak<br />

della neve sotto le scarpe e lo stridio dei pattini sul ghiaccio) che non partecipi<br />

con fervore quasi religioso all’imbarazzante felicità da cui Lévin si sente<br />

invaso.<br />

Ed ecco invece come Balzac, in Papà Goriot, dà conto dell’emozione che<br />

anima il giovane Rastignac a un passo del primo grande trionfo sessuale: «Ci<br />

sono emozioni che non si incontrano due volte nella vita dei giovani. La prima<br />

donna veramente tale di cui si innamora un uomo, quella cioè che gli si<br />

mostra nello splendore degli attributi che la società parigina richiede, non ha<br />

mai rivali. L’amore com’è a Parigi, è del tutto diverso dagli altri amori».<br />

Anche qui, proprio come nella scena tolstoiana, c’è un’identificazione perfetta<br />

tra un ragazzo e il luogo di sogno in cui si è ritrovato. Se là c’era una pista di<br />

ghiaccio alle quattro di pomeriggio, qui c’è Parigi: la Parigi del faubourg<br />

Saint-Germain, la Parigi di Balzac.<br />

232


Post/teca<br />

Certo, non ha quasi senso paragonare Lévin a Rastignac. A ben vedere i due<br />

non si somigliano in niente. Il secondo se la sogna la magnanimità del primo,<br />

per non dire del suo conto in banca. Si potrebbe persino ipotizzare una<br />

relazione tra gli alti sentimenti di Lévin e la sua solidità patrimoniale,<br />

relazione non meno profonda di quella che intercorre tra la meschinità di<br />

Rastignac e la sua indigenza. Eppure ciò che li accomuna è l’aspirazione alla<br />

felicità. E il fatto che i loro sommi creatori non provino alcun ritegno nel<br />

raccontarla. A costo di essere pacchiani. A costo di esporsi al ridicolo.<br />

E tuttavia mi piace notare come le felicità così splendidamente pregustate da<br />

Lévin e Rastignac stiano per essere negate ad entrambi da un concatenarsi di<br />

circostanze sfavorevoli. Sia Lévin che Rastignac dovranno aspettare un sacco<br />

di tempo per tornare a godere quel tipo di felicità. E quando essa tornerà non<br />

avrà più un sapore immacolato e primigenio. D’ora in poi per i nostri eroi solo<br />

felicità di seconda mano.<br />

Il dato beffardo della felicità è che essa non è mai in diretta ma, in un certo<br />

senso, sempre in differita. Ed ecco perché di fronte a certe grandi felicità<br />

romanzesche assistiamo alla realizzazione di una specie di discrasia<br />

temporale. L’ineffabilità della felicità è sancita dal rapporto che si stabilisce<br />

tra l’eroe del romanzo e il lettore. L’eroe del romanzo - Lévin o Rastignac - è lì<br />

tutto preso dalla voluttà che sta per assaggiare. E dall’altra parte della<br />

barricata c’è il lettore che sa che si tratta di una voluttà trascorsa: qualcosa<br />

che, sebbene sulla carta debba ancora avvenire, altrove e in altro tempo è già<br />

avvenuta. Questo produce nel lettore una specie di nostalgia: una nostalgia<br />

per ciò che deve ancora capitare e che, in uno strano paradosso, è già capitato.<br />

La nostalgia che conosce chiunque sia stato felice almeno una volta nella vita.<br />

Non è proprio questo il dato assurdo della felicità? La sua incapacità di essere<br />

contemporanea - esiliata com’è nel passato e nell’avvenire -, che produce,<br />

persino in chi la assapora, la preventiva delusione per qualcosa che si va<br />

sbriciolando?<br />

Ed ecco perché la letteratura, molto più della vita, è il luogo deputato alla<br />

felicità. Se la felicità per sua stessa natura è anacronistica allora nessuno<br />

meglio del lettore (un essere condannato a vivere nel passato o proteso nel<br />

futuro) è più adatto a goderne i frutti troppo acerbi o già avvizziti. Tanto più<br />

perché la felicità, in presa diretta, è insostenibile, invivibile.<br />

In un racconto di Mishima dedicato al sodalizio omoerotico tra Cocteau e<br />

Radiguet troviamo scritto: «Era una vita che precipitava a una velocità<br />

233


Post/teca<br />

spaventosa verso la catastrofe. Era una vita spaventosa. Eppure non<br />

potevamo viverla in un altro modo».<br />

Sì, c’è sempre qualcosa di catastrofico nella felicità. Scott Fitzgerald<br />

(campione olimpico nella specialità «felicità perdute»), in uno scritto degli<br />

anni Trenta, nel ricordare con struggimento l’euforia da lui vissuta un<br />

decennio prima, scrive: «New York aveva tutta l’iridescenza del principio del<br />

mondo. (…) La nostra era una grande nazione e c’era ovunque aria di gala».<br />

Notate come lo spirito edenico con cui Fitzgerald parla di New York non è<br />

troppo diverso da quello con cui Balzac parla di Parigi. E notate anche come,<br />

nel sentirli parlare delle loro rispettive città elettive, il nostro cuore sia<br />

appesantito dal sospetto di essere al cospetto di qualcosa di irripetibile e di<br />

irrimediabilmente compromesso. Ruderi pieni di vita.<br />

Occorre notare, infine, che gli scrittori capaci di realizzare felicità così<br />

paradisiache sono di solito gli stessi in grado di fornirci gli scenari più<br />

mostruosi e apocalittici: Tolstoj, Balzac, Proust, Fitzgerald, Nabokov… E<br />

questo di certo non è un caso. Solo chi ha una così vivace familiarità con il<br />

Paradiso può essere così terrorizzato dall’Inferno.<br />

Ma allora perché, se tutto questo è vero, la letteratura ha rotto il suo sodalizio<br />

millenario con la felicità? Cosa è successo? George Steiner, parlando del<br />

cattivo carattere di Thomas Bernhard commenta: «Il guaio dell’odio è che ha<br />

il fiato corto. Là dove l’odio produce un’ispirazione autenticamente classica -<br />

in Dante, in Swift, in Rimbaud -, lo fa con delle folate su breve distanza.<br />

Quando si protrae, diventa una sega monotona e mal affilata che ronza e<br />

stride senza fine. L’ossessiva, indiscriminata misantropia di Bernhard, le<br />

filippiche contro l’Austria ventiquattr’ore su ventiquattro minacciano di<br />

vanificare i loro stessi scopi».<br />

Che non sia Steiner, al solito, a mettere il dito sulla piaga? Non si vive di solo<br />

odio. Lo sdegno perpetuo alla fine diventa un vezzo. Se la vita, nella migliore<br />

delle ipotesi, è un’alternanza tra euforia e disperazione, allora anche la<br />

letteratura deve esserlo. La letteratura deve dare conto delle intermittenze del<br />

cuore. Solo così riesce a essere grande. Per questo ho sempre trovato<br />

intollerabile, quasi illeggibile, 1984 di Orwell. Un libro tetro, privo di gioia.<br />

Persino Dostoevskij, persino Kafka sono capaci di fervide seppur<br />

momentanee felicità. Orwell ne è completamente incapace. L’ideologo uccide<br />

a ogni riga il romanziere.<br />

Insomma la ricetta è nella felicità. È grazie ad essa che - in un ipotetico<br />

234


Post/teca<br />

campionato mondiale tra pesi massimi - Catullo e Orazio vinceranno sempre<br />

su Giovenale, Proust non smetterà mai di sbaragliare Céline e Tolstoj non<br />

avrà mai rivali. Proprio perché anche l’odio, la disperazione, l’indignazione<br />

ogni tanto hanno bisogno di un po’ di relax.<br />

Alessandro Piperno<br />

16 agosto 2010(ultima modifica: 19 agosto 2010)© RIPRODUZIONE RISERVATA<br />

Classici<br />

Il classico romanzo sulla ricerca frustrata della felicità di Lev Tolstoj è «Anna<br />

Karenina» (Classici Einaudi, pp. 888, € 11); da una prospettiva differente<br />

affronta il tema del desiderio insoddisfatto anche Honoré de Balzac in «Papà<br />

Goriot», Rizzoli Bur, pp 318, € 7,40. Lo scrittore americano Francis Scott<br />

Fitzgerald, in un periodo di crisi esistenziale, descrisse l’effimera conquista<br />

della felicità nel saggio «Attenzione, fragile», contenuto nella trilogia de «Il<br />

crollo», pubblicata quest’anno da Adelphi (pp. 64, € 6). La raffinata<br />

descrizione delle «intermittenze del cuore», o «epifanie», strettamente legate<br />

alla felicità trascorsa, è contenuta in «Alla ricerca del tempo perduto» di<br />

Marcel Proust (Oscar Mondadori, 8 volumi, pagine <strong>3.8</strong>50, € 70)<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

corriere.<br />

it/<br />

cultura/10_agosto_16/<br />

piperno-<br />

coraggio-<br />

felicita_277c<br />

6 c 24a 90a<br />

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------------<br />

235<br />

IL RACCONTO<br />

La musica è<br />

finita,


Post/teca<br />

comincia<br />

l’apocalisse<br />

Ritratto da vecchio del<br />

leader di una band che<br />

predicava la necessità di<br />

salvare il mondo<br />

Sarebbe stato meglio se lei avesse trovato la sua scorta nascosta di riviste<br />

porno. E invece, aveva scovato la rivista che conteneva l’intervista ai<br />

Paradosso.<br />

«Santo cielo, santo cielo, che zigomi strepitosi che avevi in quegli anni!» disse<br />

lei.<br />

«Dammela!» esclamò lui, cercando di strapparle di mano la rivista a viva<br />

forza.<br />

Lei se la portò rapidamente dietro la schiena. «Prima voglio leggerla».<br />

«È roba privata».<br />

«Privata? Eri in un gruppo rock. Hai rilasciato un’intervista per una rivista di<br />

musica. Come potresti essere più popolare di così?».<br />

«È successo tanto tempo fa».<br />

«1982», riconobbe lei. «Allora ero una fan di Renato Zero. Con capelli<br />

gonfissimi, con la permanente, e collant di lurex rosa. Sembravo un Muppet».<br />

Stava cercando di rassicurarlo; di ricordargli che il passato era molto lontano<br />

236


Post/teca<br />

anche per lei. «Dài, diamole un’occhiata insieme».<br />

Lui accettò perché non aveva altra scelta. E perché non voleva che la rivista si<br />

rovinasse. Era l’unica copia che aveva.<br />

Si accomodarono insieme sul divano e lei si sistemò la preziosa copia di<br />

«Nuovi Suoni» del 1982 sulle gambe. Il suo gruppo, Paradosso, non era sulla<br />

copertina. Quell’onore era toccato a The Human League. Ma sull’articolo alle<br />

pagine 12 e 13 campeggiava il titolo «Paradosso rosso!» e lui era lì: diciannove<br />

anni, con indosso una maglietta rossa e un paio di pantaloni di pelle rossi,<br />

scheletrico come un top model (e quasi femmineo). E sì, aveva due zigomi da<br />

sballo, contornati da capelli neri come l’inchiostro. Guardava nell’obiettivo<br />

della macchina fotografica in cagnesco, con un’espressione sprezzante da<br />

sporco borghese. I suoi compagni, schierati elegantemente sullo sfondo,<br />

esibivano la medesima aria boriosa, eccetto Tempo, il batterista, che presto<br />

avrebbe defezionato lasciando il gruppo per un complessino soul.<br />

«Siamo durati soltanto otto mesi - disse lui -. Non abbiamo fatto uscire<br />

nemmeno un disco».<br />

«Allora è incredibile il fatto che siate riusciti ad accaparrarvi uno spazio<br />

simile su una rivista di musica».<br />

«Eravamo molto bravi dal vivo».<br />

«Vuoi dire che le ragazze sentendovi suonare si mettevano a strillare?».<br />

Lui arrossì. Il rossore si propagò fin sopra la testa calva. «Eravamo<br />

semplicemente...bravi. Ecco tutto. Provavamo come dei pazzi. Dei<br />

perfezionisti. Che si preparavano a dominare il mondo».<br />

«Eri tu il leader. Questo è abbastanza chiaro».<br />

«Ero un buono a nulla».<br />

«Un blaterone con opinioni ben radicate su tutto, dal Vaticano alla<br />

vivisezione», c’è scritto qui.<br />

«Oddio...».<br />

Lei rimase in silenzio per un minuto mentre leggeva l’intervista. Nei primi<br />

paragrafi si leggevano le solite stupidaggini sul fatto che la scena musicale<br />

fosse satura e compiaciuta di sé e avesse bisogno di uno scossone per<br />

rigenerarsi. Ma persino a diciannove anni lui si era reso conto che tali<br />

indicazioni erano troppo generiche perché i Paradosso si distinguessero dalla<br />

massa.<br />

«Sono spronato interamente dal disgusto e dalla rabbia. Sono il mio<br />

237


Post/teca<br />

carburante», lesse sua moglie ad alta voce.<br />

Quelle parole suonavano persino più pretenziose se pronunciate dalla voce<br />

dolce e soave di una donna di mezz’età che lavorava come ottica.<br />

«Ti prego, non farmi questo», disse lui.<br />

La donna premette affettuosamente la mano sul suo ginocchio, quasi a dire<br />

«Rilassati, non è poi la fine del mondo». Ma il successivo frammento di<br />

intervista che lesse era proprio su quell’argomento.<br />

«La gente è così irragionevolmente preoccupata all’idea di una guerra<br />

nucleare. Non succederà - per quanto sarebbe molto meglio per il nostro<br />

pianeta se qualche milione di noi evaporasse. La grande industria però ha<br />

bisogno di consumatori, e tutti i presidenti e i primi ministri sono alle mercé<br />

delle multinazionali, pertanto credo che nessuno farà il primo passo -<br />

purtroppo. Magari accadrà una bella calamità naturale, come quelle d’un<br />

tempo. Sempre molto più efficace delle bombe».<br />

Lei si fermò. Le parole di lui rimasero sospese nell’atmosfera tranquilla di un<br />

salotto della periferia in una notte d’estate del 2010.<br />

«È eyeliner quello che hai sul viso?» chiese lei.<br />

«Sì. Tutti i componenti del gruppo ne facevano un uso smodato. Eccetto<br />

Tempo, il batterista. Questo qui dall’aria imbronciata». E lo indicò.<br />

«Non sembra imbronciato. Semmai solamente molto triste».<br />

«Ben detto. Non ha mai ingranato con noi».<br />

«Meno favorevole rispetto al resto di voi alla peste bubbonica come arma di<br />

distruzione di massa?».<br />

«Droghe diverse. A lui piaceva l’alcol. A noi invece la marijuana».<br />

Lei declamò un altro brano dell’intervista. Mentre leggeva, lui si ricordò<br />

chiaramente del giornalista, un tipo panciuto sulla trentina che aveva detto<br />

chiaramente che reputava i Paradosso niente di più che una manica di<br />

marmocchi narcisisti - anche se nei suoi occhi s’intravedeva un barlume di<br />

smania, il desiderio frustrato di trovare, almeno per una volta, un gruppo che<br />

facesse davvero sul serio.<br />

I Paradosso fecero del loro meglio per essere quel gruppo fino all’ultimo.<br />

«Se lei pensa che questo abbia a che fare con la vendita di dischi, di prodotti,<br />

allora non capisce la cosa più importante che ci riguarda», sentì dichiarare il<br />

giovanotto che era una volta, nella voce della donna che amava. «La musica è<br />

solamente la strada verso un nuovo modo di pensare. Ecco perché<br />

intitoleremo il nostro album See You On The Other Side. Perché quando<br />

238


Post/teca<br />

avrete superato le illusioni della cosiddetta civiltà moderna, non avrete più<br />

bisogno di noi. Ma adesso, la maggior parte del mondo è addormentata. In un<br />

fottuto stato comatoso! Siamo qui per farvi aprire gli occhi!».<br />

Naturalmente, il giornalista gli chiese quali cambiamenti una persona appena<br />

uscita dal torpore dovesse apportare al proprio stile di vita.<br />

«Tanto per cominciare, smettere di fare figli. Non ci sono scuse. Ogni essere<br />

umano che si aggiunge sottrae un altro po’ di linfa vitale al futuro. Credete di<br />

poter salvare il pianeta comprando carta igienica riciclata o dando denaro in<br />

beneficenza? Scordatevelo! L’unico modo efficace in cui potrete contribuire a<br />

cambiare le cose è smettere di procreare. Non aggiungere altri parassiti al<br />

nugolo!».<br />

Anche se l’intervista proseguiva, a sua moglie non interessò continuare la<br />

lettura. Richiuse la rivista e distolse lo sguardo rivolgendolo verso il marito.<br />

Lui era un uomo grasso, di mezz’età e un ciarlatano, e si chiese se questo, in<br />

retrospettiva, si sarebbe rivelato il momento della fine del suo matrimonio. La<br />

moglie aprì la bocca per parlare: questa volta sarebbero state le sue parole,<br />

non quelle di lui. Ma prima che avesse il tempo di cominciare, la porta si<br />

spalancò e la loro bambina piombò dentro, il moccio al naso, tenendo il<br />

soffice dinosauro rosa stretto contro la maglia del pigiama.<br />

«Ho fatto un incubo», si lamentò la bambina.<br />

Lui se la mise in grembo e la consolò. La figlia sprofondò il viso assonnato nel<br />

suo petto, imbrattandogli di moccolo il maglione. Il padre le mormorò alcune<br />

rassicurazioni senza senso chino sulla sua testa, baciandole i capelli<br />

profumati. La moglie lo cinse con un braccio. Stava ridendo. Il loro<br />

matrimonio non sarebbe finito quella notte. Ma quello che non riuscì a dirle<br />

gli si gonfiò dentro, spandendosi come gas, finché le costole e lo stomaco non<br />

cominciarono a fargli male come se stessero per esplodere. Era una<br />

sensazione intensa quanto l’amore che provava per la figlia - la convinzione<br />

che questa piccola creatura bisognosa non avrebbe mai dovuto essere messa<br />

al mondo e che lui aveva avuto ragione, parecchi anni prima, un profeta della<br />

verità, e che il mondo stesse andando incontro alla catastrofe se nessuno<br />

ascoltava, e naturalmente nessuno ascoltava, e che la sua band si stesse<br />

allontanando, lasciandolo da solo con il suono della sua voce, niente musica,<br />

solo parole aspre, sgradevoli e vere.<br />

«Va tutto bene adesso», sussurrò, aspirando alcune ciocche di capelli della<br />

figlia dentro la bocca. «Va tutto bene».<br />

239


Post/teca<br />

(traduzione di Licia Vighi)<br />

Michel Faber<br />

16 agosto 2010(ultima modifica: 19 agosto 2010)© RIPRODUZIONE RISERVATA<br />

L’autore<br />

Michel Faber è nato nei Paesi Bassi nel 1967 ma si è trasferito in Australia con<br />

la famiglia dove ha vissuto fino al 1992. Attualmente vive in Scozia con la<br />

moglie Eva. Il suo primo romanzo, «Sotto la pelle», è stato un successo<br />

internazionale. Nel 2002, dopo una gestazione durata 21 anni, pubblica «Il<br />

petalo cremisi e il bianco», storia postmoderna e dickensiana di una<br />

prostituta nella Londra vittoriana. Entrambi i libri sono editi da Einaudi,<br />

mentre «Il vangelo del fuoco» è uscito da Rizzoli. Faber ha partecipato<br />

all’ultima edizione della «Milanesiana», rassegna letteraria ideata e diretta da<br />

Elisabetta Sgarbi.<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

corriere.<br />

it/<br />

cultura/10_agosto_16/<br />

faber-<br />

musica-<br />

finita-<br />

apocalisse_4caa36d<br />

8a 910-<br />

11df-<br />

b 3 a 8-00144f<br />

02aabe.<br />

shtml<br />

-----------<br />

“Tutti sostengono che più si va avanti con gli anni più il sonno si fa difficile: un<br />

anziano in paese diceva che il buon Dio ci avvertiva che il tempo stava per<br />

scadere, e sprecarlo a dormire non valeva la pena. Era meglio sfruttarlo al<br />

bar, da mattina a sera, con più bianchi in corpo che parole dette agli amici.”<br />

— Tommaso Iori, “Ancora una volta,<br />

sempre” (racconto della<br />

serieSubway 2007)<br />

via: http://<br />

aitan.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------<br />

“l’ottavo mi hai chiamata, io avevo cancellato il tuo numero ma ti ho<br />

riconosciuto lo stesso, mi mancavi tutte le mattine quando mi alzavo e tutte le<br />

sere quando andavo a letto. ma questo, al telefono, non ho potuto dirtelo.<br />

il nono, di inverno, si avvicina rapido. e per la prima volta stamattina ho intuito<br />

che la vita non è altro che un susseguirsi di persone: una in fila all’altra, anno<br />

dopo anno, fino alla fine. e tu? tu che sei l’unico di cui non so scrivere nè<br />

parlare? tu hai avuto il tuo posto in fila, hai spintonato anche qualcuno, per<br />

240


Post/teca<br />

rimanerci, e poi te ne sei andato.”<br />

— places that pull:<br />

in cui ho visto dieci<br />

inverni,<br />

anzi otto<br />

via: http://<br />

plettrude.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

----------------<br />

241


Post/teca<br />

20100823<br />

Le diciannove nuove idee della scienza<br />

Michael Brooks è un fisico inglese che si occupa di meccanica quantistica.<br />

Collabora con la rivista New Scientist e ha scritto per il Guardian, l’Observer,<br />

l’Independent. Ha tenuto conferenze all’Università di New York, al Museo<br />

Americano di Storia Naturale e all’Università di Cambridge, e partecipa<br />

regolarmente a un programma radiofonico di BBC 6, in cui spiega (o cerca di<br />

farlo) i misteri dell’universo. Per New Statesman ha scritto una lista di<br />

diciannove nuove idee della scienza — o vecchie idee che hanno fatto passi<br />

avanti. La realizzazione di alcuna di queste teorie sembra vicina e possiamo già<br />

vederla all’orizzonte, altre sembrano ancora fantascienza. Ovviamente le cose<br />

sono spesso più articolate e complesse di come vengono descritte, e tutte<br />

meriterebbero maggiori e più precisi approfondimenti per poter essere<br />

descritte in modo completo. L’intenzione di Brooks però è puramente<br />

divulgativa e l’obiettivo è raggiunto: il racconto di come la scienza sta<br />

cambiando è decisamente affascinante, anche per chi non ha alle spalle<br />

un’adeguata preparazione.<br />

Gli esseri umani si stanno ancora evolvendo<br />

Noi non ce ne accorgiamo perché avviene lentamente, ma il nostro codice<br />

genetico è ancora in continua evoluzione. Due esempi: la presenza di un gene<br />

che aumenta la fertilità sta aumentando in Europa, mentre quello per digerire il<br />

lattosio si sta diffondendo dai paesi dell’est a tutto il mondo. E ovviamente ci<br />

sono i cambiamenti in reazione alle malattie. Le persone con un particolare<br />

codice genetico sono più inclini a sopravvivere a malaria e HIV, e quasi tutti gli<br />

umani stanno perdendo il gene caspasi, perché rende più vulnerabili alle<br />

infezioni batteriche.<br />

Il tempo non esiste<br />

C’è un problema nella coesistenza delle teorie che gli scienziati stanno<br />

formulando per arrivare a una “teoria del tutto”: il tempo, che in ognuna di<br />

queste teorie funziona in modo diverso. Nella relatività non viene misurato<br />

mentre nella teoria dei quanti non si prende nemmeno in considerazione il fatto<br />

che questo debba venire misurato. La soluzione radicale al problema è<br />

considerare il tempo come una cosa che gli esseri umani si sono inventati, per<br />

nulla fondamentale e definita nei processi dell’universo.<br />

Questo è solo uno dei tanti universi<br />

Ci sono cose del nostro universo che sembrano essere così e basta. Non si sa<br />

242


Post/teca<br />

da cosa dipenda il valore della forza di gravità, e questo non sarebbe un<br />

problema se il valore non fosse quello perfetto per permettere la vita sul nostro<br />

universo, quasi come se qualcuno l’avesse deciso a tavolino. Ma, dato che<br />

questa è chiaramente una spiegazione a cui gli scienziati non sono affezionati,<br />

hanno ipotizzato un’altra soluzione: il nostro è solo uno di tantissimi universi —<br />

tutti differenti tra loro — tra cui noi non possiamo muoverci. Questa<br />

eliminerebbe la “specialità” delle condizioni di questo universo: è chiaro che è<br />

perfetto per noi, altrimenti non saremmo qui per vederlo.<br />

Potremmo essere in grado di fermare l’invecchiamento<br />

Esperimenti su diversi animali, come topi e vermi, hanno dimostrato che<br />

bloccando o modificando dei geni è possibile rallentare molto la velocità<br />

dell’invecchiamento. Ed esistono anche modi meno tecnologici per farlo:<br />

seguire diete particolari o iniettare ormoni nel corpo potrebbero portare allo<br />

stesso risultato. La questione è naturalmente una delle più controverse in<br />

ambito scientifico, ma non ce ne dovremo preoccupare ancora per parecchio:<br />

molti biologi dicono che si tratti ancora di un miraggio, e sostengono che non<br />

riusciremo mai a contrastare la morte delle cellule. La lotta contro<br />

l’invecchiamento è comunque passata da “impossibile” a “enormemente<br />

difficile”.<br />

Stanno arrivando gli uomini potenziati<br />

Tra una o due generazioni gli esseri umani avranno una scelta da fare: potenziare o<br />

meno i proprio bambini? Un gruppo di scienziati guidato da Raymond Kurzweil<br />

sostiene che stiamo per entrare in un’era dove sarà protagonista la Singolarità,<br />

in<br />

cui le nostre capacità mentali e fisiche potranno essere migliorate con l’uso della<br />

tecnologia. La ricerche sono ovviamente iniziate con l’intento di prevenire sul<br />

nascere le malattie, ma si sono ben presto allargate al superamento dei nostri limiti:<br />

impianti nella retina per migliorare la vista o nel cervello per aumentare la memoria.<br />

E le diagnosi del codice genetico degli embrioni in vitro danno già la possibilità di<br />

selezionare bambini che possano poi donare a fratelli malati; da qui a selezioni più<br />

specifiche il passo è breve.<br />

Tutto è informazione<br />

L’universo potrebbe essere una semplicissima ma sterminata rete di “atomi<br />

d’informazione”. Allo stesso modo del codice binario con cui lavora un computer, i<br />

processi della natura potrebbe essere stabiliti da decisioni che hanno come<br />

risposte possibili unicamente il sì e il no: “Il fotone passa per questo punto?”. E così<br />

via. L’universo sarebbe quindi un gigante sistema informatico,<br />

una visione che<br />

semplificherebbe e renderebbe comprensibile il modo con cui funzionano le cose.<br />

Comprendere la nostra coscienza non è più un sogno<br />

243


Post/teca<br />

La conoscenza sempre maggiore del nostro cervello e i modelli disegnati al<br />

computer potrebbero pian piano svelarci come sia possibile che quella roba<br />

spugnosa nel nostro cranio crei la nostra coscienza di esseri umani. In particolare,<br />

è osservando le conseguenze della morte di piccoli frammenti di cervello che i<br />

biologi stanno cercando di comprendere come funzioni: depressione, schizofrenia e<br />

autismo sono malattie che derivano dalla distruzione di piccole parti del cervello, e<br />

studiarle potrebbe portarci a comprendere il nostro funzionamento. Ci vorranno<br />

forse cent’anni, ma è molto probabile che durante il viaggio si riescano a scoprire<br />

diverse cose interessanti.<br />

Non sappiamo di cosa sia composta la maggior parte dell’universo<br />

L’universo è in buona parte formato da qualcosa che non riusciamo a comprendere.<br />

Secondo la nostra concezione delle cose, le galassie girano troppo velocemente<br />

per riuscire a tenere aggregate le stelle di cui sono composte. Ma, dato che quelle<br />

galassie compatte lo sono, significa che deve esistere qualcosa di extra<br />

gravitazionale che le tiene al loro posto. Gli scienziati chiamano questo qualcosa<br />

materia oscura,<br />

che dovrebbe formare circa un quarto della massa dell’universo. I<br />

restanti tre quarti sono formati invece daenergia oscura,<br />

che spinge l’espansione<br />

dell’universo. Riguardo alla materia oscura, gli scienziati sono ancora parecchio<br />

confusi: sanno quali sono i suoi effetti, ma non sanno né da dove venga né di cosa<br />

sia composta: è quindi necessario che la materia oscura preveda l’esistenza di<br />

particelle che non abbiamo ancora scoperto, ed è questo l’obiettivo a cui sta<br />

puntando il Large Hadron Collider di Ginevra. Riguardo all’energia oscura, gli<br />

scienziati sono messi peggio ancora: si sa solo che non arriva né da particelle<br />

sconosciute né dallo spazio che c’è tra di loro.<br />

Potremmo essere vicini al comprendere la massa<br />

L’eccitazione dei fisici del Large Hadron Collider al Cern di Ginevra è legata alla<br />

possibilità di scoprire il bosone di Higgs — chiamato anche particella di Dio —<br />

l’unica prova che ci manca per dimostrare una delle migliori teorie sulla fisica delle<br />

particelle. Ilbosone di Higgs dovrebbe infatti esercitare una forza su certi tipe di<br />

particelle, in modo che queste diventino massa, la proprietà della materia che<br />

risponde alla gravità e alle altre forze esterne. Quello che succederà al Cern è<br />

fondamentale: se il bosone venisse scoperto la teoria verrebbe confermata, ma se<br />

questo non dovesse accadere metterebbe in dubbio una buona fetta delle<br />

convinzioni della scienza.<br />

Preparatevi agli alieni<br />

È sempre più probabile che la nostra generazione sia quella che scoprirà la vita su<br />

un altro pianeta. Certo, non forme di vita intelligente ma microbi, e scusate se è<br />

poco. Con la tecnologia che avanza sempre più velocemente, ogni anno si<br />

244


Post/teca<br />

scoprono decine e decine di nuovi pianeti fuori dal nostro sistema solare, e i mezzi<br />

di rilevamento (fotografico e non) in grado di individuare la presenza di vita su un<br />

pianeta stanno migliorando. Se trovassimo organismi viventi su un altro pianeta<br />

sarebbe evidentemente una scoperta epocale, significherebbe che esiste più di<br />

un’evoluzione possibile nell’universo. Scienziati e filosofi stanno già discutendo su<br />

cosa dovremmo fare in caso di una scoperta del genere.<br />

Gli esseri umani non sono speciali<br />

Finora i ricercatori hanno trovato solo tre geni che appartengono esclusivamente<br />

agli esseri umani. Altri primati hanno le cellule del cervello identiche alle nostre,<br />

quello che sappiamo fare in più di loro è solo una versione evoluta dei loro<br />

“giochetti”. Gli scimpanzè dimostrano moralità, gli elefanti empatia. I corvi usano<br />

oggetti, i delfini hanno delle comunità culturali, anche le salamandre hanno caratteri<br />

diversi una dall’altra. Nessuno usa il linguaggio come noi, ma i gesti degli orangotango<br />

e dei bonobo ci vanno molto vicini. In conclusione: siamo i primi della classe,<br />

ma non siamo in un’altra classe.<br />

Nasciamo credenti<br />

Esperimenti neuroscientifici hanno dimostrato che siamo naturalmente portati a<br />

credere alle entità invisibili. Il cervello umano si è evoluto ipotizzando una<br />

spiegazione vivente per ogni fenomeno: siamo discendenti di decine di<br />

genereazioni che, se dietro un cespuglio in movimento non vedevano un predatore,<br />

pensavano istintivamente alla presenza di uno spirito maligno.<br />

La maggior parte della Terra è inesplorata<br />

È probabile che ci siano ancora molte cose che non sappiamo del nostro stesso<br />

pianeta. L’oceano copre il 70 per cento del pianeta e ha una profondità media di 4<br />

chilometri. La maggior parte è ancora inesplorato, e ogni volta che i ricercatori<br />

scendono in profondità scoprono nuove specie e nuove formazioni geologiche,<br />

spingendo gli scienziati a riconsiderare i loro studi sulle condizioni che possono<br />

portare alla vita.<br />

L’albero della vita è una rete<br />

Prima ci immaginavamo l’albero della vita come una serie di rami che si diramano<br />

in altri rami, con alla base di tutto un unico antenato comune. Ora abbiamo invece<br />

capito che l’evoluzione della vita è ben più complessa di così: gli animali non si<br />

evolvono creando nuovi rami, ma spostandosi da un ramo all’altro, formando cioè<br />

una rete. Questo significa che la biologia ha davanti a sé un futuro interessante, in<br />

cui non dovrà più limitarsi a catalogare le specie e comprendere la selezione<br />

naturale, ma analizzare i meccanismi della natura e la loro imprevedibilità.<br />

C’è più di una strada per arrivare alla teoria finale<br />

Quello a cui stanno puntando molti fisici è una teoria delle teorie, qualcosa di breve<br />

245


Post/teca<br />

che racchiuda la spiegazione a tutti i fenomeni. Per anni la teoria più accreditata è<br />

stata quella delle stringhe,<br />

che cercava di spiegare l’universo con vibrazioni di anelli<br />

d’energia, ma ora altri fisici hanno iniziato a proporre altre teorie. La gravità<br />

quantistica a loop,<br />

la gravità quantistica discreta lorentziana,<br />

la quantum graphity,<br />

tutte teorie che verranno testate nei prossimi anni.<br />

È possibile fare esperimenti importanti in piccoli laboratori<br />

È stato scoperto che le particelle in cristalli e bolle di elio liquido seguono le stesse<br />

leggi di qualcuna delle particelle fondamentali presenti in natura. Questo le rende<br />

ideali per simulare sistemi più grandi, rimpiazzando così le enormi e ipertecnologiche<br />

macchine dei fisici. Questo significa che in futuro anche gli scienziati<br />

che lavorano in piccoli laboratori negli scantinati potranno svolgere lavori e progetti<br />

simili a quelli dei loro colleghi più blasonati, all’opera su costosi acceleratori di<br />

particelle.<br />

La rivoluzione del grafene è arrivata<br />

La mina di una matita cambierà il futuro dell’industria elettronica. O, meglio, la<br />

scoperta che Andre Geim ha fatto nel 2004 analizzando la grafite della matita<br />

lasciata su un foglio. Geim ha scoperto che sul foglio era rimasto uno strato<br />

monoatomico (quindi dello spessore di un solo atomo) di atomi di carbonio legato<br />

tra loro esagonalmente. I test seguenti hanno dimostrato che questo grafene ha<br />

proprietà straordinarie: è dieci volte più forte dell’acciaio e, usato come conduttore,<br />

perde per strada molta meno energia di un chip medio usato dai computer attuali.<br />

Quando ne verrà affinata la produzione, verrà usato per costruire transistor che<br />

consumano poca energia. Come se non bastasse, il grafene è anche trasparente<br />

alla luce, il che rende ideale il suo uso nelle fibre ottiche e nei sistemi a cui sono<br />

collegate. I ricercatori stanno già lavorando su telecomunicazioni, televisori e<br />

pannelli solari basati sul grafene.<br />

Il linguaggio è la chiave del pensiero<br />

Negli anni Sessanta Noam Chomsky formulò l’idea che tutti i linguaggi umani si<br />

basano su impostazioni del cervello già presenti alla nascita. Negli ultimi anni,<br />

diverse ricerche etnografiche hanno tentato invece di dimostrare che non è così,<br />

spiegando che nulla è pre-programmato. Il modo di pensare delle diverse culture e<br />

il loro linguaggio sarebbero legati indissolubilmente, e uno influenzerebbe l’altro.<br />

Gli origami di DNA potrebbero cambiare il mondo<br />

Sembra una ricetta culinaria: prendete qualche centinaia di stringhe di DNA,<br />

alteraratele chimicamente e legatele in punti diversi. Poi unitele tutte e usate<br />

qualsiasi tecnica disponibile per far sì che quei legami funzionino. Alla base del<br />

DNA origami c’è la volontà di costruire macchine e computer molto più piccoli di<br />

quelli attuali, proprio attraverso la costruzione di nanostrutture formate da legami di<br />

DNA.<br />

246


Post/teca<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

ilpost.<br />

it/2010/08/17/<br />

nuove-<br />

idee-<br />

della-<br />

scienza/<br />

-----------------------<br />

Il<br />

fumetto<br />

tattoodoll:<br />

hangedman:<br />

skiribilla:<br />

Da quanto è nato, per più di un secolo è stato disprezzato e<br />

sottovalutato.<br />

Ma dopo tante battaglie, oggi il fumetto è finalmente considerato<br />

“La nona arte.”<br />

La settima sono gli oggetti in pasta di sale.<br />

L’ ottava è il rutto parlato.<br />

Rat-<br />

man<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

----------------------<br />

Libertà e altri nomi pomposi sono<br />

invocati come pretesti: né mai alcuno<br />

volle la schiavitù per gli altri e il potere<br />

per sé, che non abbia usurpato queste<br />

parole.<br />

— Tacito, Storie (via lapislazzulo)<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------------<br />

247


Post/teca<br />

Fare una fotografia e l’attività sessuale<br />

sono cose parallele. Sono entrambe due<br />

elementi ignoti. Ed è questo che mi<br />

emoziona di più nella vita: l’ignoto.<br />

— R. Mapplethorpe (via cheppalleee) (viamenodizero)<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------------<br />

“ Non esiste salvaguardia contro il<br />

senso naturale dell’attrazione. ”<br />

A. C. Swinburne (via angolo) (via princessparanoia)<br />

(viarosesandcherubim)<br />

via: http://<br />

plettrude.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------------<br />

248<br />

“ voglio sistemarmi i capelli, togliermi il peso che<br />

ogni tanto sento nel cuore (o in subordine sul<br />

culo), fare yoga e andare al cinema, leggere sotto<br />

le coperte, cucinarmi il minestrone, mangiare<br />

meno carne, andare ai concerti, non perdere<br />

tempo. voglio studiare qualcosa di completamente<br />

inutile, come la pazienza. e’ quasi settembre,


Post/teca<br />

June P<br />

meno male ”<br />

via: http://<br />

plettrude.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

------------------<br />

249<br />

“C’è un momento in cui ogni rapporto viene messo<br />

alla prova. A volte quel momento arriva nel giro di<br />

pochi minuti, è una questione di risposte giuste o<br />

sbagliate e l’abbraccio arriva spontaneo se la risposta<br />

è giusta, spontaneo e inaspettato, e la caduta è breve<br />

come il tempo speso con l’altra persona. Sì, perché<br />

quando mi innamoro, salgo. Prendo i miei mattoncini<br />

e i tuoi mattoncini e li impilo per costruire un ponte<br />

che ci permetterà sempre di ritrovarci. Il ponte è un<br />

viadotto dal punto in cui sono io al punto in cui sei tu,<br />

e se anche tu ti sei innamorato o innamorata sappiamo<br />

sempre trovarci nel mezzo.<br />

A volte quel momento arriva dopo mesi o dopo anni. Si<br />

potrebbe intuirlo per via di certi mattoncini che si<br />

sbriciolano o che si incastrano male, ma la fiducia<br />

trova una scusa per ogni difetto. O l’amore. O<br />

entrambe le cose.<br />

Allora la caduta è lunghissima. Dicono che quando si<br />

cade da molto in alto a volte si muore prima di<br />

toccare il suolo, perché il cuore si ferma. Il mio si<br />

spezza ma continua a pompare, sono cosciente, vedo<br />

tutti i piani del nostro innamoramento. La stanza che


Post/teca<br />

abbiamo arredato con tappeti e divani. Il balcone sul<br />

quale abbiamo piantato il basilico. Le colonne portanti<br />

che portavano me sola fino a quando hanno retto il<br />

mio peso per poi spezzarsi.”<br />

via: http://<br />

untemporale.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------------<br />

— What do you get when you fall in<br />

love?<br />

| yellow letters (via plettrude)<br />

“ Girando sempre su se stessi, vedendo e facendo sempre le stesse cose, si perde l’abitudine e la<br />

possibilità di esercitare la propria intelligenza e lentamente tutto si chiude, si indurisce, si atrofizza<br />

come un muscolo. Albert Camus<br />

via: http://<br />

apertevirgolette.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------<br />

“Una sera, che erano vicini a partire per Parigi e si sentivano come presi in un<br />

sogno, come dentro un sogno, Candido disse: - Sai che cos’è la nostra vita, la<br />

tua e la mia? Un sogno fatto in Sicilia. Forse siamo ancora lì, e stiamo<br />

sognando-.”<br />

Leonardo Sciascia, Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia<br />

via: http://<br />

gaeoskin.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

------------------<br />

La collaborazione fra donne e uomini nel Nuovo Testamento<br />

Pietro e Maddalena<br />

di Lucetta Scaraffia<br />

Se sono state le studiose le prime a guardare con attenzione al ruolo delle donne nei testi sacri del<br />

cristianesimo, oggi questo filone di studi - per fortuna - è entrato anche nell'interesse degli studiosi,<br />

250


Post/teca<br />

talvolta con risultati sorprendenti. Un esempio felice di questa nuova positiva realtà è un piccolo<br />

libro del teologo e biblista Damiano Marzotto (Pietro e Maddalena. Il vangelo corre a due voci,<br />

Milano, Ancora, 2010), dedicato alla collaborazione fra donne e uomini nel Nuovo Testamento. Il<br />

volume contiene tre saggi: sul celibato di Gesù e la verginità di sua madre, sul ruolo di Maria e<br />

delle altre donne che Gesù incontra nei vangeli, e per finire sulle figure femminili presenti negli Atti<br />

degli apostoli, indagate con grande finezza e originalità.<br />

L'autore infatti è ben consapevole dell'originalità e della importanza del ruolo femminile di<br />

cooperazione al processo di evangelizzazione, e ne sottolinea il peso centrale in svariati episodi, in<br />

particolare nel mistero della morte e resurrezione di Cristo. La continuazione della missione<br />

salvifica degli apostoli e la non interruzione del rapporto con il maestro durante il dramma della<br />

crocefissione e della sepoltura sono state possibili infatti grazie alla continua presenza delle donne<br />

al suo fianco, "perché le donne hanno avuto la forza e il coraggio di seguire Gesù fino alla morte in<br />

croce, non staccandosi da Lui neppure dopo la sua sepoltura". Quindi, anche se agli apostoli è<br />

affidata la missione di evangelizzare il mondo, essi hanno bisogno della fedeltà delle donne che<br />

attraversa la notte per non perdersi.<br />

Nei testi canonici, per tutti e quattro gli evangelisti le figure femminili sono determinanti proprio<br />

perché "la fecondità di Cristo non si realizza senza una stretta associazione di alcune donne al<br />

ministero della redenzione, della rigenerazione dell'umanità". Di conseguenza, il celibato di Gesù<br />

non è visto come una rinuncia, ma come la proposta di una forma più profonda di rapporto con le<br />

donne, che ne valorizza la differenza.<br />

Se nessuno dubita quanto sia fondamentale il ruolo della madre Maria, che con la sua richiesta a<br />

Cana provoca il primo raduno di credenti intorno a Cristo, altrettanto importante è stato quello della<br />

Samaritana "nell'avvicinare al Salvatore del mondo le primizie della mietitura escatologica, i suoi<br />

concittadini che hanno creduto in lui attraverso la sua parola"; ed essa "d'altra parte ha anticipato<br />

questo movimento di fede andando per prima ad attingere alla fonte, che zampilla per la vita<br />

eterna".<br />

Altre due donne, Marta e Maria, hanno il compito di accelerare il compimento degli eventi della<br />

salvezza, e anch'esse precedono nella fede gli abitanti di Betania perché si mettono per prime in<br />

cammino verso Gesù, riconoscendolo. C'è quindi un ruolo "di provocazione e insieme di<br />

anticipazione da parte della donna" che rivela "una compartecipazione originale" fra Gesù e le<br />

figure femminili dei vangeli, indicando così la possibilità di una relazione significativa fra uomo e<br />

donna al di là della relazione sponsale.<br />

Particolarmente innovativa è la lettura proposta delle figure femminili negli Atti degli apostoli, dove<br />

lo studioso individua nelle donne che offrono ristoro e accoglienza ai principali protagonisti del libro<br />

di Luca appena usciti dalla prigionia - a Pietro prima e a Paolo poi - un modello di accoglienza, e<br />

insieme una spinta alla nuova partenza per la missione. La presenza delle donne, quindi, sembra<br />

favorire "l'apertura universalistica" di cui esse sembrano capaci di cogliere in anticipo il dispiegarsi,<br />

e la loro funzione di accoglienza e ospitalità offre le condizioni ideali per il dispiegarsi della grazia,<br />

come dimostrano tante conversioni.<br />

Se una studiosa attenta come Marinella Perroni ha giudicato meno significative le figure femminili<br />

presenti negli Atti degli apostoli, il biblista ne rivela invece l'importanza e la ricchezza simbolica,<br />

offrendo quindi un nuovo rilevante contributo alla discussione sul ruolo delle donne nella vita della<br />

Chiesa. Non è poi senza significato il fatto che monsignor Marzotto Caotorta, attuale<br />

sottosegretario della Congregazione per la dottrina della fede, abbia colto questi aspetti. A<br />

differenza infatti della teologa italiana, interessata soprattutto a rintracciare ruoli ministeriali precisi<br />

nelle figure femminili presenti nel Nuovo Testamento, lo studioso si è dimostrato più libero nella<br />

251


Post/teca<br />

ricerca. A conferma del fatto che non sempre il cosiddetto punto di vista di genere è garanzia di<br />

una comprensione più profonda.<br />

(©L'Osservatore Romano - 22 agosto 2010)<br />

---------------------<br />

Tommaso Sgovio il comunista italo-americano<br />

che nei gulag sovietici ritrovò la fede<br />

Lo splendore del vero<br />

Si è tenuta nel Museo storico di Stato, sulla Piazza Rossa di Mosca la presentazione della<br />

traduzione russa del libro di memorie di Tommaso Sgovio Cara America! L'odissea di un giovane<br />

comunista americano miracolosamente sopravvissuto ai Campi di lavoro forzato di Kolyma. La<br />

manifestazione è stata accompagnata da un convegno. Pubblichiamo una parte dell'intervento del<br />

direttore dell'Istituto italiano di cultura, appena insediato.<br />

di Adriano Dell'Asta<br />

La storia di Tommaso Sgovio si apre come molte altre: agli inizi del Novecento una famiglia<br />

italiana di origini pugliesi viene costretta dalla povertà a cercare fortuna negli Stati Uniti; la<br />

situazione pesante in cui si trova il capofamiglia, un semplice operaio, immigrato in un Paese che<br />

conosce una profonda crisi economica, porta ben presto quest'ultimo alla militanza politica con la<br />

sinistra comunista; l'esito di questo impegno e lo scontro con le autorità americane e la<br />

252


Post/teca<br />

conseguente espulsione dagli Stati Uniti.<br />

Siamo all'inizio degli anni Trenta. A quel punto il padre di Tommaso decide di non tornare nell'Italia<br />

fascista e di tentare invece la carta che allora affascinava moltissimi attivisti del movimento<br />

comunista internazionale: l'Unione Sovietica.<br />

Nell'estate del 1935 anche Tommaso, che era nato nel 1916 quando la famiglia stava già in<br />

America da qualche anno, segue il padre e inizia un altro pezzo di questa storia, forse meno<br />

comune di quello precedente, ma tutt'altro che unico: dopo un breve periodo di entusiasmo e di<br />

speranze, l'Unione Sovietica si rivela per quello che è, un regime compiutamente totalitario, e nel<br />

1938 Tommaso, senza aver fatto nulla di particolare (salvo cercare di riottenere un passaporto<br />

americano per tornare negli Stati Uniti), come molti altri stranieri che nell'Urss avevano cercato il<br />

paradiso, si trova precipitato letteralmente nell'inferno della Kolyma, uno dei campi più tremendi<br />

del mondo concentrazionario sovietico, inferno dal quale potrà uscire, tra condanna e proroga della<br />

condanna, solo alla fine del 1947.<br />

Seguiranno altre traversie fino a quando, all'inizio degli anni Sessanta, Sgovio potrà finalmente<br />

lasciare l'Unione Sovietica e tornare negli Stati Uniti; qui, prima di morire nel 1997, si rifarà una<br />

vita, si sposerà, avrà dei figli e una vecchiaia tranquilla, ma accompagnata da un'insopprimibile<br />

esigenza di testimoniare e di mantenere viva la memoria dell'esperienza vissuta.<br />

Da questa esigenza sono nate delle memorie, pubblicate in America nel 1979, tradotte in italiano<br />

nel 2009 (Cara America!, Edizioni dal Sud, Bari) e ora anche in russo. Sono memorie di una<br />

freschezza e di un interesse di primissimo piano, che legano Sgovio alla letteratura russa nata dai<br />

campi di concentramento, la letteratura di grandi scrittori come Vasilij Grossman, Aleksandr<br />

Solzenicyn e Varlam Salamov.<br />

Sgovio non è uno scrittore di questo calibro; è più propriamente un memorialista, ma la sua opera<br />

ci riporta con immediatezza e senza tentennamenti nel mondo morale che caratterizza questa<br />

grande letteratura, invita i suoi lettori alla sincerità, a non accettare alcun compromesso con<br />

253


Post/teca<br />

l'ideologia totalitaria: in una parola, ci invita, come faceva Solzenicyn, a "vivere senza menzogna";<br />

ci mostra la realtà, con tutto il suo male e il suo dolore, per quello che è, nella sua verità: ora,<br />

questo non sarà il bello estetico, ma mostrare il vero, dargli visibilità è pur sempre creare quella<br />

bellezza suprema che gli antichi chiamavano "lo splendore del vero"; ci mostra da ultimo (è uno dei<br />

temi più ricorrenti della sua opera) degli uomini che sono rimasti uomini, una carrellata infinita di<br />

esseri umani che, in mezzo alla violenza più infernale restano uomini e manifestano questa loro<br />

umanità con gesti di bontà assolutamente non interessata, la stupida, gratuita bontà che secondo<br />

Grossman vinceva l'idea astratta di bene in nome della quale le ideologie avevano sacrificato<br />

milioni di uomini, quella bontà nascosta, che magari nessuno vede, che magari disprezziamo e<br />

consideriamo appunto stupida, come tutti consideravano stupida la Matriona di Solzenicyn, salvo<br />

poi doversi accorgere dopo la sua morte, che Matriona era "il giusto senza il quale non esiste il<br />

villaggio, né la città né tutta la terra nostra".<br />

Sgovio ci mostra tutto questo, in un'opera che vuole esplicitamente essere non un testo politico,<br />

ma la storia di un uomo: "L'intento di questo libro non è soltanto quello di un'ulteriore descrizione<br />

delle prigioni sovietiche e dei campi di lavoro. Si tratta piuttosto di un viaggio attraverso<br />

l'esperienza umana". Non è che non vi siano giudizi politici; anzi ve ne sono e sono di grande<br />

acutezza: raccontando perché in fondo non era mai potuto diventare un comunista perfetto,<br />

accennando a quelli che erano i punti dell'ideologia per lui inaccettabili, Sgovio enuclea quelle che<br />

sono le caratteristiche fondamentali dell'ideologia totalitaria: l'ideologia, in primo luogo, toglie<br />

all'uomo la capacità di un giudizio personale (e questo indocile italiano non accetta mai di stare<br />

zitto quando vede qualcosa che contrasta con il suo senso di umanità e di verità); l'ideologia, in<br />

secondo luogo, tende ad annullare i legami naturali per sostituirli con le relazioni di partito,<br />

distrugge un popolo per mettere al suo posto una macchina in cui gli esseri umani unici e irripetibili<br />

diventano tante rotelline infinitamente intercambiabili (e anche qui questo piccolo italiano<br />

innamorato della sua famiglia non può scendere a compromessi; non fa certo lunghi discorsi<br />

filosofici, ma, dopo aver sentito un attivista del partito che diceva di essere disposto ad uccidere<br />

anche il fratello se si fosse opposto all'idea comunista, semplicemente commenta: "Non penso di<br />

essere capace di diventare un vero comunista [...] Non avrei mai potuto uccidere mia sorella,<br />

qualsiasi cosa facesse"); da ultimo, l'ideologia sostituisce la realtà con l'immagine ideologica del<br />

reale: non ci sono più gli uomini reali, ma "i nemici oggettivi" (e anche qui questo italiano, molto<br />

concreto, molto poco ideologico, non riesce a tacere e un'accusa falsa resta un'accusa falsa, non<br />

diventa vera per il bene della causa; sacrificando la realtà per l'interesse del partito non si<br />

costruisce un mondo migliore, si elimina semplicemente quello che esiste per sostituirlo con le<br />

proprie fantasie, si elimina la realtà e si lascia il nulla).<br />

Ora, come si vede, un discorso politico c'è, e acutissimo e composito, ma esplicitamente, per<br />

stessa indicazione dell'autore, non è la cosa fondamentale; la cosa fondamentale, quella che<br />

rende possibile questo stesso giudizio politico, è "l'esperienza umana", la rinascita dell'uomo, il<br />

fatto che l'uomo resti uomo anche là dove il regime aveva tentato nella maniera più radicale di<br />

eliminarlo e di sostituirlo con le sue rotelline. Sgovio definisce questo essenziale, questa<br />

esperienza come "la trasformazione di un bambino comunista ateo, nato nel movimento<br />

rivoluzionario, in cristiano con il timore di Dio". E anche qui, questo piccolo italiano ricorda una<br />

grande scrittrice russa come Nade da Mandel'stam, secondo la quale l'eredità più autentica del XX<br />

secolo era il fatto che persino in questo secolo di lupi l'uomo era potuto rimanere un uomo. È uno<br />

dei temi più ripetuti da Sgovio, che certo non ci risparmia nessuna delle atrocità dei campi di<br />

concentramento ma, parlando di una guardia che gli aveva manifestato un appena percettibile<br />

senso di solidarietà umana, commenta: "ogni particolare del volto di quel contadinotto guardia è<br />

254


Post/teca<br />

rimasto impresso nella mia memoria. Di tutti i volti, feroci com'erano, ricordo soltanto il suo,<br />

sebbene non ci fosse assolutamente nulla di significativo nella sua espressione russa così<br />

comune. Sicuramente lo ricordo perché (...) in lui c'era ancora un po' di umanità. E ciò dimostra<br />

anche che si ricorda più il bene che il male".<br />

È questo percorso umano che ci viene descritto nel libro di Sgovio; è il percorso della discesa agli<br />

inferi, di un progressivo annullamento dell'uomo, perché, come ricorda Sgovio, "l'unico modo per<br />

sopravvivere e mantenere il potere era attraverso il degrado e la disumanizzazione delle persone,<br />

soltanto in questo modo il sistema si sentiva sicuro. Niente soddisfa una dittatura a parte la<br />

distruzione completa del rispetto di sé".<br />

Ma, arrivando anche in questo caso a una significativa somiglianza con il percorso descritto ad<br />

esempio da Solzenicyn, Sgovio ci mostra come proprio quando è giunto al fondo di questa discesa<br />

infernale l'uomo misteriosamente scopre di esserci ancora: "a un uomo al quale avete tolto tutto -<br />

diceva Solzenicyn - non potete più togliere niente: è di nuovo libero"; e Sgovio, dal canto suo,<br />

dice: "quando non vidi più alcuna luce in fondo al tunnel mi misi a pregare". E nella preghiera<br />

l'uomo ritrova se stesso, con un tragitto che sembra ripercorrere quello dell'uomo agli albori della<br />

civiltà, nell'attesa della luce del nuovo giorno e della rivelazione: "avevo la sensazione di<br />

precipitare (...) sempre più giù. Quando avrei toccato il fondo? Quanto potevano peggiorare le<br />

cose? Al lavoro rivolsi una preghiera alla stella polare, la prima e la più luminosa di tutte le stelle.<br />

Poi, quando apparvero le altre, rivolsi la mia preghiera a tutte. E così, inconsapevolmente, iniziai a<br />

pregare Dio, ed Egli mi rispose. Dio mi diede una vena di caparbietà. Più le cose peggioravano,<br />

più ero risoluto a vivere".<br />

L'incontro con Dio, invece di<br />

annullare l'uomo, secondo quanto ci insegnava l'ideologia moderna, lo difende proprio da questo<br />

annullamento, come ha riconosciuto anche un altro dei grandi scrittori russi del XX secolo,<br />

Salamov, che, pure essendo assolutamente lontano dalla Chiesa, diceva: "L'ambiente privo di<br />

religiosità in cui avevo vissuto tutta la mia vita cosciente non aveva fatto di me un cristiano. Ma non<br />

ho mai visto nei lager persone più degne dei credenti. Tutte le anime si corrompevano, resistevano<br />

255


Post/teca<br />

soltanto loro. Quindici come cinque anni fa". Quanti piccoli uomini, senza trasformarsi in eroi<br />

hanno ritrovato questa grandezza che li rendeva capaci di resistere nelle condizioni più terribili e di<br />

vivere, non a dispetto di quelle condizioni, ma in quelle condizioni, non dimenticando il dolore o<br />

censurandolo ma portandone il peso, come testimonianza del fatto che l'uomo è più forte della<br />

morte proprio perché Dio lo lega alle stelle e all'infinito: creato a immagine dell'infinito, l'uomo non<br />

può più essere schiavo di nulla di finito.<br />

A questo punto il tragitto di Sgovio si compie e ci lascia il suo ultimo dono: quest'uomo, che con la<br />

fede ha ritrovato se stesso, ritrova anche la realtà, non ha più bisogno di sognare mondi migliori<br />

che non esistono, che gli danno l'illusione di una beatitudine futura e gli impediscono così di<br />

cercare una felicità e una vita più autentica: "Durante il controllo non mi aspettavo più di essere<br />

chiamato all'ufficio della direzione del campo per sentirmi dire che era stato tutto un errore e che<br />

ero libero. E in questo senso mi sentivo davvero libero! La mia conversione era completa. Non ero<br />

più un ateo! Non ero più un comunista!".<br />

Non era più un comunista, ma aveva trovato una dimensione che lo faceva e lo fa andare al di là di<br />

ogni limite; aveva trovato quella dimensione dell'infinito dell'uomo che rende questo piccolo italiano<br />

e il suo piccolo libro una compagnia nella quale vale la pena di stare per un po' di tempo, il tempo<br />

di una lettura che non ci dà l'illusione di una grandezza e di una perfezione che non abbiamo.<br />

Detto per inciso, un altro dei motivi che tenevano Sgovio lontano da un certo radicalismo<br />

ideologico era appunto la pretesa di perfezione di quest'ultimo; tant'è che di un attivista da tutti<br />

ammirato, il giovane Sgovio pensava invece: "lo ritenni disumano. Come avrebbe mai potuto<br />

essere umano se non aveva vizi?". Ma, liberandoci da illusioni e sogni, Sgovio ci libera anche dallo<br />

scetticismo e, con la sua scoperta della fede, ci fa condividere l'esperienza di una possibile<br />

rinascita, di una rinascita continuamente possibile.<br />

(©L'Osservatore Romano - 22 agosto 2010)<br />

--------------------<br />

Dall’intervista-sfogo a Giuseppe Battiston su Repubblica:<br />

«Il cinema italiano, mi chiedi. Bè, è una merda, ma questo è sotto gli occhi di tutti. Un film<br />

basta guardare come inizia per capire che non funziona. In Italia [estrae un foglio dalla<br />

tasca, ndr], dati alla mano, l’82% dei film degli ultimi cinque anni comincia con un cellullare<br />

che squilla o una sveglia che suona, poi si accendono le luci e a letto c’è una coppia, e tu<br />

sai già che quella coppia è in crisi, lo vedi dalle facce, dall’arredamento della casa. Il 25%<br />

di questi film prevede l’invio di almeno 8 SMS, il 55% sta tra i 3 e i 7 SMS, il 20% restante<br />

sta sotto i 3. Un’altra statistica interessante è il minutaggio delle copulazioni: il 64% dei film<br />

presenta almeno una sequenza di due minuti di sesso continuativo, si vedono tette e fiche<br />

ma non si vedono cazzi. Non l’ho mai capita sta cosa dei cazzi che non si vedono.<br />

Perché? Sai quanti cazzi in camera conta il cinema italiano? [estrae un piccolo quadernino<br />

dalla tasa della giacca, ndr] Quattro. Quattro cazzi in ottant’anni di storia del cinema. Una<br />

vergogna. Ma la statistica più interessante è questa: la presenza di Battiston, che poi sarei<br />

io, nel cinema italiano degli ultimi anni. Contando le parti da protagonista, da<br />

coprotagonista e da personaggio secondario il 67% del cinema che sforna questo paese di<br />

merda conta me nel cast. Ses-san-ta-set-te-per-cen-to! E sai perché? Perché sono bravo?<br />

256


Post/teca<br />

No. Perché sono grasso. Perché sono ciccione e faccio ridere. E siccome il cinema<br />

italiano è una palla mostruosa c’è bisogno di uno come me, che faccia dire al più acerrimo<br />

dei critici frasi come “il film era scandaloso, ma Battiston infila un paio di battute<br />

formidabili. Resistergli è impossibile.” Così mi vogliono coglione, nerd, impacciato, isterico.<br />

Io invece nella vita sono un cagacazzi insopportabile, sono serio, impettito, sicuro di me.<br />

Non va bene, non va bene per niente… Poi chi me lo paga lo psicoterapeuta,<br />

Mazzacurati? Soldini? Io voglio tornare a vivere a Udine, dalla mamma. Voglio continuare<br />

a litigare coi Furlan, i miei vicini, per colpa di Dredd, il cocker che mi piscia sui nani da<br />

giardino e che io puntualmente impallino con una pistola caricata a sale. Voglio essere<br />

libero di fare lo stronzo quanto mi pare e piace. Ma quelli che ho citato solo dati, in fondo,<br />

capirai cosa ce ne frega [brucia le carte e per spegnerle ci urina sopra, ndr]. La verità è<br />

che il cinema italiano è bloccato, fermo, provinciale. E poi mi continuano a scambiare per<br />

Adinolfi.»<br />

via: http://<br />

maciste.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

post/912805299/<br />

batti-<br />

golpe<br />

----------------------<br />

257<br />

scrittori<br />

dell'Unità<br />

ITALIA 150<br />

Romantici, gli


Post/teca<br />

Fatta l’Italia, 1861, restavano da fare gli italiani,<br />

secondo il monito di Massimo d’Azeglio; ma mancavano anche i libri che potessero, per la loro<br />

storia, valori e ideali, porsi come strumenti di educazione e formazione della rinata Italia. A tale<br />

progetto contribuirono certamente I promessi sposi, in specie a partire dall’edizione illustrata del<br />

1840. Ma non bisogna dimenticare il ruolo essenziale avuto da Le mie prigioni di Silvio Pellico<br />

(Saluzzo 1789 - Torino 1854). Ci fu un’Italia eroica del sacrificio: quello del sangue, delle lotte<br />

risorgimentali, dei giovani morti a Curtatone e Montanara (29 maggio 1848), dei garibaldini e<br />

mazziniani; di tutto quel sangue saranno eredi le pagine di Cuore. Ma ci fu anche un’Italia più<br />

silente, stoica, quella di un cattolicesimo biblico, legato più alla coscienza che ai riti o ai poteri, del<br />

quale il Pellico e il Rosmini furono i più coerenti interpreti. Rileggere oggi qualche pagina da Le<br />

mie prigioni significa ritrovare la storia sotterranea di un "pietismo" europeo che, basato sulla<br />

semplicità, su un narrare sobrio, per quadretti raccolti, per capitoletti distribuiti intorno a una o due<br />

figure, aveva dato i suoi migliori frutti in Johann Peter Hebel (1760-1826), autore poi amatissimo<br />

da Walter Benjamin. Le sue Storie bibliche (1828-1829) sono, sul versante riformato, quello che Le<br />

mie prigioni rappresentano, con ben più ampia risonanza, sul versante cattolico; con la stessa<br />

attenuazione anti-eroica dello stile, nella ricerca di una «calma costante» («Curioso fatto, che il<br />

vivere arrabbiato piaccia tanto! Vi si pone una specie di eroismo!», capitolo XVII) nel governo di sé,<br />

nel giudizio sugli eventi, per quanto terribili come il carcere duro. La loro diffusione fu europea<br />

(edizioni in lingua italiana: Torino e Saluzzo 1832; Capolago 1833; Lugano 1834 e 1842; Parigi-<br />

Lione 1833, 1834, 1840, 1845; Bruxelles 1839; Bastia 1842; Malta 1842; Firenze 1847 e 1851;<br />

Milano 1858), anche in lingua francese (Mes prisons, Paris, Fournier 1833, 1837, 1838, 1842,<br />

eccetera). Più tardi – nello Stato unitario – continuò ad essere modello delle virtù risorgimentali: le<br />

edizioni si moltiplicarono, in effetti, dall’anno stesso dell’unificazione: Napoli 1860; Torino e Milano<br />

1862, eccetera; e anche nei decenni successivi: Milano 1867, 1871, 1877, 1886, 1880, 1889,<br />

1898; Torino 1874, 1887, 1890, 1893, eccetera, senza contare le molte edizioni scolastiche<br />

fiorentine, torinesi e milanesi di inizio XX secolo. Andrà anzi osservato, a proposito della<br />

formazione del Pellico, che gli anni lionesi lo porranno in contatto non solo con le correnti<br />

dell’Illuminismo, ma anche con i circoli di un cattolicesimo riformatore – si ricordino, su tutti, Pierre-<br />

Simon Ballanche (Lione 1776 – Parigi 1847), e sulla sua scia, appena più giovani del Pellico,<br />

Frédéric Ozanam (1813-1853), studioso di Dante e fondatore delle Conferenze di San Vincenzo<br />

de’ Paoli, e Jean-Jacques Ampère (1800-1864), francesista e comparatista, entrambi poi allievi, a<br />

Parigi, di Fauriel – che gli permetterà, negli anni milanesi, di aderire alla Carboneria e, non meno,<br />

di rimanere fedele alla Filotea di san Francesco de Sales. L’esperienza milanese, 1809-1820, lo<br />

vede prima di tutto artefice di testi teatrali: la tragedia Francesca da Rimini, 1815, ebbe un<br />

successo immediato, tanto che venne tradotta anche in francese e tedesco. Nel 1818 esce il<br />

Conciliatore, rivista-manifesto dei Romantici milanesi: il Pellico ne sarà animatore e sollecito<br />

redattore. Nel 1820, entra in contatto con Pietro Maroncelli, affiliato alla Carboneria, e vi aderisce;<br />

arrestato dagli austriaci, è processato a Milano (1820-1821), poi trasferito ai Piombi a Venezia,<br />

infine condannato a morte (pena commutata in «quindici anni di carcere duro» e trasferito alla<br />

258


Post/teca<br />

fortezza dello Spielberg in Moravia). Nel 1830 viene graziato ed, espulso dai territori austriaci,<br />

rientra in Piemonte: di questa vicenda danno conto Le mie prigioni. Il Pellico si impiega come<br />

bibliotecario dei marchesi Barolo, rinuncia a qualsiasi attività pubblica e sostiene l’attività<br />

filantropica promossa – come nella Francia di Ozanam – dalla marchesa Giulia di Barolo Colbert.<br />

Seppe nondimeno contribuire ai libri dell’«identità italiana» non solo con il ritratto autobiografico,<br />

ma anche con un volumetto di letture: Dei doveri degli uomini: discorso ad un giovane, 1834, che<br />

ebbe una diffusione prodigiosa (nello stesso 1834 il libro venne pubblicato, presso distinti editori, a<br />

Torino, Milano, Bergamo, Cremona, Capolago, Venezia, Trieste, Padova, Parma, Bologna,<br />

Ancona, Firenze, Livorno, Napoli e, in italiano, a Lione e Parigi. Venne tradotto in svedese nel<br />

1836) e fu poi rilanciato, nell’Italia unita, da un’edizione prefata dal sacerdote, e poi beato,<br />

Giovanni Bosco. Nel 1853 volle rendergli visita Giuseppe Mazzini. Morì a Torino l’anno dopo, il 31<br />

gennaio 1854. Poeta degli spazi minimi, testimone tra i primi dell’universo concentrazionario – che<br />

avrà nel Novecento i suoi più marcati interpreti: Mandel’štam, Primo Levi, Varlam Šalamov,<br />

Aleksander Solzenicyn – Silvio Pellico ha, come questi, gli stessi compagni di coscienza e d’esilio:<br />

«Ben mi si permise ch’io avessi una Bibbia ed il Dante» (capitolo VI). Egli sa isolare, come negli<br />

stessi anni il Leopardi, e nel Novecento Calvino, il palpito creaturale e trasformarlo in simbolo<br />

universale. Il «bel ragno» o le formiche del capitolo XXVI de Le mie prigioni come la lucciola dei<br />

Ricordi d’infanzia e d’adolescenza del Leopardi («Intanto la lucciola era risorta ec. avrei voluto ec.<br />

ma quegli se n’accorse tornò – porca buzzarona – un’altra botta la fa cadere già debole com’era<br />

ed egli col piede ne fa una striscia lucida fra la polvere ec.»), il «geco» di Calvino rimangono<br />

emblemi assoluti, forme pure della vita al di là del male di esistere. Ma, soprattutto, Le mie prigioni,<br />

sono un lungo, sommesso, e insieme esigente, monologo di coscienza: «Il vivere libero è assai più<br />

bello del vivere in carcere; chi ne dubita? Eppure anche nelle miserie d’un carcere, quando ivi si<br />

pensa che Dio è presente, che le gioie del mondo sono fugaci, che il vero bene sta nella coscienza<br />

e non negli oggetti esteriori, puossi con piacere sentire la vita» (capitolo VII). Questa hebeliana<br />

simplicitas non manca tuttavia di lucide, e persin aguzze, allusioni; basterebbe ricordare l’episodio<br />

della "Maddalena" per osservare quanto il Pellico sottolinei la sua distanza dagli episodi<br />

manzoniani della Monaca di Monza, rifiutando i contatti e le facili complicità di una sottile parete<br />

(che avevano invece portato all’abnorme sviluppo di simile episodio nel Fermo e Lucia): «Mi<br />

passavano parimente sotto gli occhi molte donne arrestate. Da quella galleria s’andava, per un<br />

voltone, sopra un altro cortile, e là erano le carceri muliebri e l’ospedale delle sifilitiche. Un muro<br />

solo, ed assai sottile, mi dividea da una delle stanze delle donne. […] Se avessi voluto entrare in<br />

colloquio, avrei potuto. Me n’astenni» (capitolo XI). Per molti aspetti, questo libro è una "riduzione<br />

al minimo" delle Confessioni di Agostino e di quelle di Rousseau; ma questa attenuazione di tono è<br />

compensata da una affilata capacità di autoanalisi, che di rado capita di trovare anche nei grandi<br />

moralistes del Sei e del Settecento: «L’uomo infelice ed arrabbiato è tremendamente ingegnoso a<br />

calunniare i suoi simili e lo stesso Creatore. L’ira è più immorale, più scellerata che generalmente<br />

non si pensa. Siccome non si può ruggire dalla mattina alla sera, per settimane, e l’anima la più<br />

dominata dal furore ha di necessità i suoi intervalli di riposo, quegli intervalli sogliono risentirsi<br />

dell’immoralità che li ha preceduti. Allora sembra d’essere in pace, ma è una pace maligna,<br />

irreligiosa; un sorriso selvaggio, senza carità, senza dignità; un amore di disordine, d’ebbrezza, di<br />

scherno» (capitolo XXIV). La prigione non accentua soltanto il controllo di sé; essa suscita anzi –<br />

come nelle notti tassiane della prigionia di Sant’Anna – fantasmi e simulacri, descritti dal Pellico<br />

con la stessa febbrile impotenza di Torquato Tasso: «In quelle orrende notti, l’immaginazione mi<br />

s’esaltava talora in guisa che pareami, sebbene svegliato, or d’udir gemiti nel mio carcere, or d’udir<br />

risa soffocate. Dall’infanzia in poi, non era mai stato credulo a streghe e folletti, ed or quelle risa e<br />

259


Post/teca<br />

que’ gemiti mi atterrivano, e non sapea come spiegar ciò, ed era costretto a dubitare s’io non fossi<br />

ludibrio d’incognite maligne potenze. Più volte presi tremando il lume, e guardai se v’era alcuno<br />

sotto il letto che mi beffasse. […] Stando al tavolino, or pareami che alcuno mi tirasse pel vestito,<br />

or che fosse data una spinta ad un libro, il quale cadeva a terra, or che una persona dietro me<br />

soffiasse sul lume per ispegnerlo. Allora io balzava in piedi, guardava intorno, passeggiava con<br />

diffidenza, e chiedeva a me stesso, s’io fossi impazzito od in senno» (capitolo XLV). Sembrano qui<br />

tornare lampi shakespeariani della sua Francesca da Rimini: «Fin nel delirio, agl’infelici / Scrutar<br />

vuolsi il pensier?» (atto I).<br />

Come Pascal, anche il Pellico ebbe in animo un progetto di Apologia del cristianesimo, i cui tratti<br />

mostrano bene quanto egli – e forse meglio che il Manzoni – sapesse far passare le esigenze di<br />

Port-Royal al filtro dei Lumi, adombrando una società compiuta nella Fraternité e nella quale il<br />

Vangelo accompagnava, ad ogni tappa, l’"incivilimento": «Quella difesa, io mi proponeva di farla a<br />

poco a poco, ed intanto la incominciava, analizzando con fedeltà l’essenza del cristianesimo: –<br />

Culto di Dio, spoglio di superstizioni, fratellanza fra gli uomini, aspirazione perpetua alla virtù,<br />

umiltà senza bassezza, dignità senza orgoglio. […] Una rassegna della storia, da Gesù Cristo in<br />

qua, dovea per ultimo dimostrare come la religione da lui stabilita s’era sempre trovata adattata a<br />

tutti i possibili gradi d’incivilimento. Quindi essere falso che, l’incivilimento continuando a<br />

progredire, il Vangelo non sia più accordabile con esso» (capitolo XXXVIII). Si può ben capire<br />

perché, nei decenni successivi, questa voce sia stata rimossa: e sarebbe saggio, oggi, ricollocarla<br />

al giusto posto in un Risorgimento con più pensiero, e anima, che sangue.<br />

Carlo Ossola<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

avvenire.<br />

it/<br />

Cultura/<br />

Romantici_<br />

scrittori_<br />

unit<br />

% C 3% A 0_italia_201008230940495400000.<br />

htm<br />

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20100824<br />

Le donne sanno<br />

nascondere un cadavere e<br />

affettare i peperoni, hanno<br />

un posto per tutto.<br />

260


Post/teca<br />

— Almodóvar (via tattoodoll)<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

page/2<br />

-----------------<br />

24/8/2010<br />

Basta uno starnuto<br />

per seppellire la musica<br />

ALBERTO MATTIOLI<br />

E’ il colmo: rovinarsi le vacanze per colpa di un raffreddore. Ma non tuo: degli altri. La sventura di<br />

aver scelto come passione della vita l’opera è che ci vuole qualcuno che la canti. Quindi sei<br />

sempre alla mercè della gola altrui. Uno starnuto, un colpo di freddo di lor cantori e tu hai fatto<br />

qualche centinaio di chilometri per niente, o almeno non per chi volevi ascoltare. Quest’estate,<br />

però, si sta esagerando. Quattro forfait in una settimana, tra il festival di Salisburgo e quello di<br />

Bayreuth, sono un’enormità, l’equivalente operistico della nuvoletta che segue il ragionier Ugo<br />

Fantozzi. Le spiegazioni possibili sono due, una razionale e l’altra, diciamo così, mistica. Quella<br />

razionale, naturalmente, ha a che fare con la tipica imprevedibilità meteo dell’Europa centrale,<br />

complicata dagli ultimi sconvolgimenti climatici (altro che mezze stagioni, madama mia: qui ci si<br />

accontenterebbe che ci fossero ancora le stagioni intere, tipo l’estate). Insomma, se si continua a<br />

passare, in un pomeriggio solo, da un novembre tendenza dicembre a un caldo africano con<br />

complicazioni monsoniche è il minimo che qualcuno si ammali. E se la frenetica alternanza<br />

impermeabile-bermuda è pericolosa per il turista, risulta fatale per chi con i bronchi ci lavora.<br />

La spiegazione mistica riguarda invece l’imperscrutabile cattiveria del fato. Nell’estate 2010<br />

l’operoinomane che scrive ha peccato di ubris, tentando di stabilire il suo nuovo record personale<br />

di tredici opere in tredici giorni. Il dio del melodramma, capriccioso come in una tragedia greca, l’ha<br />

castigato con uno dei suoi soliti insensati decreti: sì, il record si realizzerà, però a forza di<br />

rimpiazzi. Ma perché proprio a me? Boh, risponderebbe in sostanza l’oracolo di Delfi.<br />

E infatti la sagra della sostituzione last minute è iniziata già lunedì 16 a Salisburgo. Prima che il<br />

sipario si alzasse sull’Elektra di Strauss, non da Tebe ma dalla direzione del Festival è arrivato un<br />

messo annunciando che non c’era più Elettra, Iréne Theorin. Bel problema perché la parte sembra<br />

un capitolo degli Studi sull’isteria di Freud (del resto coevi) e alla signora è chiesto di sparare acuti<br />

a ripetizione su un’orchestra scatenata di cento elementi. Comunque il Festival ha raccattato<br />

un’Elettra di riserva, Janice Baird, che l’opera l’ha cantata e anche benino. Resta il mistero della<br />

Theorin che è una svedesona di quelle che escono in maglietta a Stoccolma a gennaio: e mi si<br />

ammala a Salisburgo in agosto?<br />

261


Post/teca<br />

Seconda mazzata del fato, venerdì a Bayreuth. In un colpo solo, l’Oro del Reno perde il dio Wotan,<br />

Albert Dohmen, e il gigante Fafner, Diògenes Randes. Per Fafner, pochi problemi: l’Hagen del<br />

Crepuscolo degli dei è stato prontamente arruolato. Se vi pianta Wotan, invece, è un guaio: alla<br />

fine, è spuntato un tale che non aveva la voce per la parte e non la sapeva nemmeno tanto bene.<br />

Ma almeno così Dohmen ha potuto prendere i brodini e le aspirine, guarire e fare, il giorno<br />

seguente, una magnifica Valchiria.<br />

Però il peggio, naturalmente, deve ancora venire: ieri l’altro, sempre Bayreuth, in cartellone<br />

Lohengrin con la star Jonas Kaufmann, il tenore più cool del momento, bravo e bello, seguito<br />

ovunque da un codazzo di fan dei tre sessi. E Kaufmann, che pure a Ferragosto aveva cantato<br />

magnificamente nel fantastico Fidelio di Abbado a Lucerna, ovviamente si scassa. Seguono scene<br />

di ordinaria isteria, tipo un’americana di mezza età molto wasp e vestita come per un party agli<br />

Hamptons che singhiozza davanti al fatale comunicato: «Ma io vengo apposta da New York!».<br />

Solito gioco delle tre tavolette: Klaus Florian Vogt, fresco di Maestri cantori di Norimberga, viene<br />

caricato sul cigno e spedito nel Lohengrin, peraltro funestato dalla regia più idiota che io abbia<br />

visto in vita mia (basti dire che i nobili brabantini sono vestiti, chissà perché, da topi. Sì, proprio<br />

topi, ratti, sorci, pantegane: segnatevi il nome di questo regista, Hans Neuenfels, ed evitatelo).<br />

Però il buon Vogt ha fatto bene, grazie al boccolo biondo è risultato anche lui belloccio o almeno<br />

guardabile («looks like a boy scout, but not bad», sempre secondo l’americana di cui sopra) ed è<br />

stato applaudito come il salvatore della patria. Resta la suspense: Kaufmann ha un concerto a<br />

Salisburgo domani e l’ultimo Lohengrin qui venerdì. Canta? Non canta? Pare che il dio del<br />

melodramma stia meditando di mandarci una bella pestilenza, e farla finita.<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

lastampa.<br />

it/_web/<br />

cmstp/<br />

tmplRubriche/<br />

editoriali/<br />

gEditoriali.<br />

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ID_<br />

blog=25&ID_<br />

articolo=7739&ID_<br />

sezione=&sezione=<br />

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262<br />

Archeologia - Un'équipe di un'università greca è al lavoro da sedici<br />

anni<br />

«Trovata la reggia di Ulisse. Omero<br />

aveva ragione»<br />

A Itaca ceramiche e i resti di un palazzo di origine<br />

micenea


Post/teca<br />

Forse sarebbe più onesto chiamarlo «palazzo di Penelope», visto che Ulisse, tra guerre, viaggi,<br />

necessarie furbizie e dispettose avversioni degli dei, in quella casa c'è stato davvero poco: ma<br />

comunque le si chiami, le tracce di un edificio di epoca micenea, scoperte a Itaca da un gruppo di<br />

archeologi greci, sono una notizia destinata a restituire la luce che merita a tanti anni di lavoro<br />

oscuro di questi studiosi. Protagonista della scoperta è il professor Athanasios Papadopoulos,<br />

dell'università di Ioannina, che da sedici anni scava con la sua équipe nell'isola ionica, sulle tracce<br />

della reggia descritta da Omero. Il ritrovamento è avvenuto a Exogi, una località nel nord dell'isola:<br />

qui sono emerse le strutture di un edificio a tre livelli. Gli elementi che porterebbero a identificarlo<br />

come la reggia del figlio di Laerte sono sostanzialmente tre: la forma, riconducibile ad altri palazzi<br />

micenei, con scale scavate nella roccia; frammenti di ceramiche della stessa epoca (le prime<br />

notizie parlano di porcellane, ma è probabile che si tratti di un errore di traduzione, visto che la<br />

porcellana è di molto posteriore); una fontana, che gli archeologi hanno potuto datare al XIII secolo<br />

avanti Cristo, cioè l'epoca in cui sarebbe vissuto Ulisse.<br />

Papadopoulos - secondo quanto riporta l'agenzia Ansa da Atene - ha spiegato che il palazzo è<br />

simile per dimensioni e struttura a quelli già attribuiti ad Agamennone, Menelao o Nestore a<br />

Micene, Pellana, Pilos, Tirinto. L'ultima scoperta simile è del 2006 quando il professor Yannos<br />

Lolos riportò alla luce a Salamina il palazzo che sarebbe stato di Aiace Telamonio. E sempre a<br />

Itaca alcuni anni fa Papadopoulos e la sua collega Litsa Kontorli avevano scoperto una tavoletta<br />

con incisa una scena dell'Odissea: Ulisse legato all'albero della sua nave per resistere al canto<br />

delle sirene. Già allora i due archeologi avevano annunciato di «essere vicini» alla scoperta del<br />

palazzo dove Ulisse dovette sterminare i Proci.<br />

La notizia ha rinnovato l'emozione che segue ogni ritrovamento sulle tracce della storia omerica, a<br />

cominciare dalla scoperta di Troia ad opera di Schliemann. «Quel che conta è il ritrovamento di un<br />

edificio di epoca micenea - conferma Andrea Carandini, che da anni scava il Palatino a Roma - e la<br />

datazione della fontana può aiutare a definire il contesto. Se poi lo si pospone nel mito<br />

dell'Odissea è facile farlo diventare il palazzo di Ulisse». «Che si scavi sull'ispirazione di Omero è<br />

comprensibile - aggiunge Adriano La Regina, per decenni sovrintendente archeologico a Roma -<br />

ma ora la notizia importante è proprio l'edificio, così come è successo per la reggia di Nestore a<br />

Pilos. Che si tratti di Ulisse o no interessa fino a un certo punto, ora sappiamo che a Itaca c'era un<br />

re miceneo. E spero che si trovi anche l'archivio: tavolette importantissime in scrittura micenea che<br />

oggi siamo in grado di decifrare e che possono dare informazioni preziose».<br />

Al collegamento tra i ritrovamenti archeologici e i poemi omerici del VII secolo, presta più<br />

attenzione lo storico Luciano Canfora: «Noi abbiamo un'idea riduttiva dell'epos di Omero, come<br />

mero ricettacolo di racconti leggendari. Ma la storicità della vicenda, dall'assedio di Troia alla figura<br />

di Agamennone, la spedizione dei principi greci e i loro tormentatissimi ritorni, non sono discutibili.<br />

L'archeologia cerca qualcosa che forse c'è stato, pur tra colpi di fortuna ed equivoci. Non è come<br />

cercare la Sindone. E Omero - insiste Canfora - non è un poeta. Lui ci offre un racconto storico<br />

scritto in esametri, perché quella era l'unica forma di comunicazione».<br />

L'unico deluso dal ritrovamento di Papadopulos dev'essere Robert Bittlestone, imprenditore<br />

inglese amante dell'antichità, che qualche anno fa s'era convinto che la vera Itaca non fosse affatto<br />

l'isoletta che ancora oggi porta quel nome. Per lui la vera Itaca col passare dei millenni s'era<br />

trasformata nella penisola di Paliki sulla costa nordoccidentale della vicina Cefalonia e per<br />

dimostrarlo aveva profuso molte energie e sofisticate fotografie satellitari. Ma forse a Ulisse (e a<br />

Penelope) questo ennesimo cambiar casa non era piaciuto.<br />

263


Post/teca<br />

Paolo Fallai<br />

24 agosto 2010<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

corriere.<br />

it/<br />

cultura/10_agosto_24/<br />

reggia-<br />

ulisse_<br />

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Il viaggio dell'Unità, 150 anni dopo Le<br />

donne ribelli della Sicilia<br />

di Giuseppe Civati<br />

Qui non si va né avanti, né indietro»: l’unità, la scuola e le camicie rosa un Paese che ospita<br />

Cefalù non può essere triste. Rileggo i miei appunti ai piedi della cattedrale, tra turisti francesi e<br />

spagnoli. C’è un sole giaguaro e un caldo torrenziale. Per il poncho garibaldino, le temperature<br />

sono troppo elevate. Va bene una t-shirt.<br />

È un’insegnante precaria, Caterina Altamore. Mi parla dello sciopero della fame iniziato una<br />

settimana fa a Palermo da parte di tre colleghi. Uno è stato ricoverato la scorsa notte. Caterina è la<br />

dimostrazione vivente che gli statali e gli insegnanti non sono tutti fannulloni, come piace a<br />

qualcuno. Ha insegnato per un anno a Palazzolo sull’Oglio, Brescia. Molto lontano da casa sua e<br />

dai suoi affetti. Mi parla della difficile interlocuzione con il mondo della politica, «con chi di dovere»:<br />

Lombardo aveva promesso un anno fa un tavolo di confronto, che però non è mai stato aperto. E i<br />

partiti spesso sembrano distanti. Mila Spicola è stata un mese a Roma a preparare il Forum della<br />

Scuola del Pd, che si terrà a fine agosto. Dice che finalmente il partito è tornato a occuparsi di<br />

scuola, dopo una lunga assenza. Del resto, il nostro problema, in generale, è che ci preoccupiamo<br />

troppo di noi stessi: «se sprechi le energie al tuo interno, poi ne hai poche da dedicare ai cittadini».<br />

«La scuola s’è persa», dice Mila. E c’è bisogno di una presenza della politica, ancor più importante<br />

delle «azioni eclatanti». C’è bisogno di un’attenzione speciale. Ci sono dieci milioni di cittadini che<br />

vivono di scuola. Un milione di insegnanti e nove milioni di studenti, dice Mila. «Li possiamo<br />

abbandonare?».<br />

Lei si occupa soprattutto dei «nativi digitali», perché i ragazzi di oggi vivono in un «mondo nuovo»,<br />

da cui non possiamo prescindere. Ma poi mi dice che la sua preoccupazione maggiore, per l’anno<br />

scolastico che inizia, è avere in classe un bambino che soffre di autismo che non può avere il<br />

sostegno. Si chiede come farà. Ce lo chiediamo anche noi. Mila mi parla della necessità di «una<br />

politica del sottovoce», attenta agli argomenti e non alle chiacchiere da talk show. Ne sente un<br />

gran bisogno, come tutti. Parla di «valore sociale del silenzio» e dell’urgenza di una riflessione più<br />

seria. Eppure quel silenzio dovrà farsi sentire, nei prossimi mesi, se, come pare, le cose dovessero<br />

precipitare verso nuove elezioni. Dovremo trovare il modo di argomentare, di non farci «avvelenare<br />

264


Post/teca<br />

i pozzi» dalla solita canea e dalla confusione di cui la politica italiana sembra non riuscire a<br />

liberarsi. Un dibattito pubblico urlato, superficiale e, spesso, volgare. Da superare di slancio.<br />

La scuola è mobilità sociale e cultura. È libertà e cittadinanza. È un tema che riguarda certo gli<br />

insegnanti e gli studenti, ma allo stesso modo la società nel suo complesso. Averlo dimenticato, da<br />

parte nostra, è stato un grande errore, averlo negato uno dei grandi «crimini» del berlusconismo. E<br />

l’Italia è l’unico Paese del mondo occidentale che in tempi di crisi abbia tagliato sulla formazione e<br />

sulla ricerca. E la cosa però sembra non sorprendere nessuno. Forse questa battaglia di civiltà<br />

l’abbiamo già persa. C’è un sacco di cielo a Pollina. Dal castello e dal teatro all’aperto si domina la<br />

Sicilia. Il mare, le Madonie. Quando fa bello, anche l’Etna. Il sindaco è Magda Culotta. Ha<br />

venticinque anni. Ti richiama dopo aver ricaricato il cellulare. Le mancano due esami della<br />

specialistica. Studia anche di notte. Dice che vuole finire, perché altrimenti avrebbe paura di non<br />

terminare il corso di studi in economia e sviluppo locale. Quando l’hanno candidata, però, ha<br />

accettato. E sembra davvero entusiasta di averlo fatto. Le piacciono i «giovani dentro», perché ci<br />

sono ventenni che esprimono «una politica che risale a due generazioni fa». Vuole estendere la<br />

raccolta differenziata e riportare la gestione dell’acqua in mani sicure (e pubbliche).<br />

Parla con competenza di barriere architettoniche e di efficienza energetica. Le piacerebbe avviare<br />

l’esperienza dell’«albergo diffuso» nel fantastico borgo di Pollina. E ci fa venire voglia di visitare il<br />

«suo» territorio. Dice che guarda alla politica nazionale con rispetto e quasi con soggezione, «in<br />

punta di piedi», anche se le dispiace che il Pd a volte appaia così «sgretolato». Si prepara alla<br />

«festa della manna», una sostanza che si ottiene da incisioni nella corteccia dei frassini. Una<br />

«specialità» locale, che serve per i dolci e per i medicinali. Magda intende valorizzarla, la manna. E<br />

una manna deve essere sembrata ai cittadini di Pollina, 3000 abitanti, la candidatura di una<br />

giovanissima, dopo dieci anni di governo di una lista civica vicina al centrodestra, «abitudinaria» e<br />

ferma all’«ordinaria amministrazione». Più di seicento voti andati da una parte all’altra e,<br />

finalmente, la vittoria dei «nostri». Magda è modesta ma sicura di sé, determinata e seria quando<br />

parla del suo incarico. E ascoltarla fa bene. Anche alla politica. Chissà che all’unità d’Italia non<br />

siano mancate le donne. Del resto, anche se spesso i manuali non lo ricordano, con i Mille ce n’era<br />

una soltanto. Rosaria, la moglie di Crispi. E forse una delle chiavi dei nostri ritardi, la possiamo<br />

trovare proprio qui. Camicie rosse e quote rosa, insomma. Per cambiare. E perché diventi un fatto<br />

normale, in questo Paese, che un Comune sia governato da una giovane donna.<br />

Si parla di futuro, oggi. E ci si prepara alla campagna elettorale. Ripartendo da scuola e cultura. E<br />

allora si va a Calatafimi. Un nome che sa di sussidiario e di toponomastica. Un piccolo centro che<br />

fa Comune con Segesta. Per dire che la storia qui ha un senso. Eccome se ce l’ha. Da millenni. A<br />

pochi metri dal tempio più bello, la battaglia del 1860. I Mille sbarcano a Marsala e si dirigono<br />

verso Palermo. La strategia degli avversari è semplice: vogliono giocare d’anticipo e sbarrare la<br />

strada verso la città. La località in cui s’incontrano si chiama Pianto Romano. Le truppe borboniche<br />

sono su in alto e i garibaldini partono svantaggiati (nei sondaggi?). Si affidano ai tiratori scelti – «i<br />

più capaci e meritevoli», quelli che sanno come centrare il bersaglio – per cercare di contrastare<br />

l’artiglieria dei nemici. A un certo punto, il vicesegretario Nino Bixio ha un attimo di smarrimento e<br />

pensa di ritirarsi. Il segretario non è d’accordo. La famosa frase non sarebbe però: «Qui si fa l’Italia<br />

o si muore». Ma: «Qui non possiamo andare né avanti, né indietro». Che probabilmente fotografa<br />

meglio la situazione. Anche la presente, per capirci. E allora i Cacciatori delle Alpi (senza fazzoletto<br />

verde) lanciano l’assalto ai soldati avversari, che, guidati da Francesco Landi (probabilmente un<br />

265


Post/teca<br />

finiano dell’epoca), retrocedono. È una splendida vittoria, insperata, miracolosa. Che apre a<br />

Garibaldi e ai suoi la via di Palermo e della grande impresa. Domattina ci passiamo. E poi Mazara.<br />

E poi Marsala. Siamo a «cento passi» dalla nostra meta. Una meta strana, per la verità. Perché il<br />

nostro viaggio da lì inizierà. E faremo sul serio.<br />

23 agosto 2010<br />

fonte:<br />

http://<br />

www.<br />

unita.<br />

it/<br />

news/<br />

viaggi/102682/<br />

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viaggio_<br />

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donne_<br />

ribelli_<br />

della_<br />

sicilia<br />

---------------------<br />

Ok, lamentarsi delle autostrade, delle ferrovie, delle poste o di<br />

qualsiasi altro servizio pubblico italiano fa molto anziano<br />

etilista al bar bloggher vecchio e barboso. Però abbiamo<br />

scoperto cinque misteri su cui bisogna davvero indagare. O<br />

semplicemente è l’età che avanza.<br />

Gli stipendi delle signore delle pulizie nei bagni degli autogrill.<br />

Queste signore hanno un contratto di lavoro? Se sì, ricade in<br />

qualche contratto collettivo nazionale di lavoro? E in<br />

quest’ultimo cosa c’è scritto? Che i miei 20 centesimi sono il<br />

loro premio di produzione?<br />

La convenienza delle promozioni negli autogrill.<br />

Se compri un rustichella + una coca + una vocale hai in regalo<br />

l’ultimo CD di Beniamino Gigli. A soli 60 centesimi in più. O<br />

risparmi 60 centesimi. Tutto ciò ti viene detto nell’autogrill<br />

sovraffollato, mentre il tuo collo è accarezzato dal respiro di un<br />

camionista turco che senti che si sta per alterare.<br />

Il vero nome della A4.<br />

Torino-Milano. Torino-Trieste. Milano-Brescia. Brescia-Padova.<br />

Milano-Venezia. Padova-Venezia. Venezia-Trieste e<br />

permutazioni varie. Ai bollettini sul traffico la stessa autostrada<br />

viene chiamata in più modi. Anche a distanza di pochi secondi.<br />

266


Post/teca<br />

Perché non adottare la versione unificata europea Corridoio<br />

5 Lisbona-Kiev? Traffico intenso tra Desenzano e Sirmione in<br />

direzione Kiev.<br />

Il bilancio, questo sconosciuto.<br />

Nei giorni del grande esodo su Isoradio si sentivano gli spicher<br />

entusiasti per le ore di coda al traforo del Monte Bianco per chi<br />

voleva entrare in Italia. Evvai! Stanno arrivando molti turisti<br />

stranieri da spennare che faranno girare la nostra economia.<br />

Peccato che gli stessi commentatori non commentavano le<br />

code (ben più consistenti) a Trieste Lisert. Da quel che ne<br />

sappiamo fermi al Monte Bianco potrebbero esserci milioni di<br />

turisti francesi che vogliono attraversare la val Padana per<br />

andare in Croazia. E l’unica cosa che faranno in Italia è<br />

ingurgitare camogli e benzina ed emettere smog.<br />

L’imbocco del Telepass.<br />

Telepass: grande invenzione italiana. Finalmente qualcosa per<br />

cui andare fieri di essere italiani oggi. (Vabbé negli altri paesi le<br />

autostrade sono gratuite, ma sorvoliamo). Senti crescere<br />

dentro di te l’autocompiacimento di essere abbonato al<br />

telepass, mentre superi i peones fermi con il loro bigliettino<br />

cartaceo. Mai più: tre euro e sessanta. Settanta? Sessanta!<br />

Aspetti che cerco le monetine: dieci, venti, quaranta… Fino a<br />

quando non trovi l’automobilista senza telepass che si infila<br />

nella corsia gialla. Semaforo rosso. Inchiodata. È non è un<br />

polacco di passaggio. È un italiano. Nel 2010.<br />

— I cinque più grandi misteri delle autostrade | Educazione<br />

cinica (via fastlive)<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

267


Post/teca<br />

----------------------<br />

Dieci comportamenti inammissibili nel 2010<br />

di rectoscopy<br />

10. regalare cornici d'argento<br />

9. usare la parola "sballo"<br />

8. sperare di vedere virtuosismi nello sport<br />

7. sbagliare numero di telefono<br />

6. pronunciare la parola "Timberland"<br />

5. non conoscere l'ora<br />

4. impiegare 10 minuti al telefono per spiegare la strada<br />

3. attraversare l'Europa in treno<br />

2. vendere giornaletti porno<br />

1. chiedere l'invio di un fax<br />

fonte: http://<br />

educazionecinica.<br />

splinder.<br />

com/<br />

post/23066744/<br />

dieci-<br />

comportamenti-<br />

inammissibili-<br />

nel-<br />

2010<br />

---------------------------<br />

di Alessandra Daniele<br />

DEMOKRISTIAN<br />

Dopo la sua morte, quattro lettere postume di Cossiga sono state recapitate<br />

alle principali cariche dello Stato. Carmilla ha ricevuto la quinta. Eccola:<br />

SEGUE SPOILER<br />

Care Zecche,<br />

se state leggendo queste righe, significa che siete morti. So che finora vi siete<br />

illusi del contrario, ma questo è soltanto un altro degli innumerevoli errori di<br />

valutazione della vostra patetica esistenza. Vi siete illusi d'essere sopravvissuti<br />

agli anni settanta, rifugiandovi in un vostro limbo immaginario, ma in realtà<br />

siete tutti morti durante le cariche dei blindati che hanno macellato il vostro<br />

cosiddetto Movimento, o in carcere subito dopo.<br />

E' un risultato di cui sono molto fiero, e che a tutti i miei colleghi consiglio<br />

sempre di perseguire, come ribadivo anche l'anno scorso: “il suono delle sirene<br />

delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Le<br />

forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli<br />

tutti in ospedale.”<br />

268


Post/teca<br />

Come aggiungo sempre, a questo proposito ho un solo rammarico: che<br />

qualcuno sia scampato, e diventato terrorista. Anche da quella vicenda però io<br />

e i miei colleghi siamo riusciti a trarre il meglio.<br />

Suppongo che siate delusi da questa rivelazione, che vi aspettaste invece la<br />

soluzione a qualcuno dei tanti misteri d'Italia: chi ha abbattuto l'aereo di<br />

Ustica; perché la P2 è ancora in piena attività trent'anni dopo il suo presunto<br />

smantellamento; come funzionava la Gladio; cosa tiene in vita da secoli<br />

Andreotti; dove ha originariamente preso Berlusconi i miliardi per pagare tanti<br />

mercenari e mercenarie; qual'è l'origine del micidiale potere menagramo di<br />

Walt Veltroni; cos'è davvero l'oscura cortina fumogena che da sempre occulta<br />

la verità sulle stragi di Stato; perché l'Italia continua a scivolare indietro nel<br />

tempo verso il ventennio fascista.<br />

Care Zecche, ancora una volta non avete capito nulla. La soluzione dei misteri<br />

non ha nessuna importanza. Ciò che conta sono le relazioni, restare tutti<br />

insieme. Le relazioni che consentono ai miei colleghi di restare tutti insieme al<br />

potere, come sempre. Magari dandosi ogni tanto il cambio alla guida, ma<br />

sempre tra loro, proprio come si fa durante una gita in macchina fra amici.<br />

Non vi resta che prendere finalmente coscienza d'essere morti, e noi vi<br />

aiuteremo a farlo, anche a costo di usare le maniere forti.<br />

Accettate il trapasso, e andate verso la Luce.<br />

Tranquilli, è solo un altoforno.<br />

Pubblicato Agosto 23, 2010 09:13 AM<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

carmillaonline.<br />

com/<br />

archives/2010/08/003592.<br />

html<br />

---------------------------<br />

Ad Avila un congresso internazionale su il "Libro della Vita" di santa Teresa di<br />

Gesù<br />

La grandezza<br />

di essere donna<br />

Si svolge dal 23 al 31 agosto ad Avila il i Congresso internazionale "Il libro della Vita", organizzato<br />

dal Centro internazionale teresiano sangiovannistico (Cites). Pubblichiamo un'intervista al direttore<br />

del Cites e stralci di una delle relazioni.<br />

269


Post/teca<br />

di Cristiana Dobner<br />

Il Cites e l'Università della mistica dei carmelitani scalzi hanno sede ad Avila, terra che<br />

immediatamente evoca Teresa di Gesù. Anche per questo proprio su Il libro della Vita scritto dalla<br />

santa è incentrato il congresso internazionale del quale parliamo con padre Francisco Javier<br />

Sancho Fermín, direttore del centro.<br />

cosa esprime questa sigla?<br />

Quale è il volto del Cites, che<br />

Il Centro internazionale teresiano sangiovannistico è nato nel 1986 per decisione del Definitorio<br />

generale dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi, con una vocazione internazionale che cerca<br />

innanzitutto di approfondire e di diffondere a tutti i livelli la vita, la dottrina e l'esperienza dei due<br />

grandi maestri della mistica cristiana: Teresa di Gesù e Giovanni della Croce. Un progetto molto<br />

semplice e indirizzato inizialmente soltanto ai membri dell'Ordine, quale centro di formazione e<br />

specializzazione, ma le molteplice richieste di corsi, di formazione e di approfondimento della<br />

mistica del Carmelo hanno portato pian piano ad aprire le porte per dare una risposta a questa<br />

sete di spiritualità e di esperienza di Dio, di cui gli uomini di oggi hanno bisogno. Per questo nel<br />

2008 è nata l'Università della mistica, che cerca di offrire lo spazio e la formazione a quanti da tutte<br />

le parti del mondo vogliono soddisfare la sete profonda di Dio: un luogo aperto allo studio, alla<br />

esperienza di Dio, alla fraternità, alla preghiera, che offre attività a tutti i livelli: per studiosi e<br />

specialisti, per semplici cristiani. In fondo, la missione è portare avanti il grande desiderio e<br />

progetto di Teresa di Gesù e di Giovanni della Croce: aiutare l'uomo di tutti i tempi ad avere un<br />

rapporto esistenziale ed esperienziale con Dio.<br />

Qual è il significato di un congresso internazionale dedicato ad un libro scritto da una monaca nel<br />

XVI secolo?<br />

Se lo scopo di questo congresso internazionale fosse soltanto avvicinarsi a un libro scritto nel<br />

secolo XVI sarebbe interessante solo dal punto di vista storico e letterario; lo scopo però non è<br />

270


Post/teca<br />

semplicemente riempire un curriculum accademico. Il Libro della Vita di santa Teresa è un libro<br />

"vivo", nel senso che è testimone di una profonda esperienza di Dio che, lungo i secoli, è riuscito a<br />

muovere a tante persone a prendere una decisione cosciente per Dio, per esempio, Edith Stein. Il<br />

fatto che Teresa monaca sia anche la prima donna dottore della Chiesa, e dottore soprattutto per<br />

quanto riguarda l'orazione e l'esperienza di Dio, è ancora una testimonianza valida della salvezza<br />

che Dio continua a realizzare in ogni persona. In poche parole non si può sottolineare tutta la<br />

ricchezza presente in queste pagine di Teresa, dire tuttavia che è una donna che ha vissuto la<br />

grandezza del suo essere donna nell'incontro con Dio, apre le porte a tantissime conclusioni<br />

esistenziali di cui sempre abbiamo bisogno.<br />

Perché questo primo congresso internazionale?<br />

Questo appuntamento vuole essere l'inizio di un cammino che porta verso il 2015, anno della<br />

celebrazione del V centenario della nascita di santa Teresa. Nel Carmelo crediamo, dopo<br />

l'esperienza non tanto lontana di altri centenari, che non ci si debba arrivare solo con l'idea di far<br />

festa o di guadagnare un giubileo. L'idea è molto più ambiziosa: vogliamo veramente fare un<br />

cammino di formazione profonda del pensiero e dell'esperienza mistica di Teresa, ma anche<br />

essere capaci di vedere la sua attualità e capacità di dialogo e incontro, sia con le altre scienze,<br />

sia con le altre religione e i diversi stati di vita. Percorrere quindi nuove vie, riscoprendo una Teresa<br />

di Gesù capace di offrire "vita" a tutte le persone: una risposta e una soluzione alle gravi crisi<br />

dell'uomo e della Chiesa.<br />

A chi è rivolto il congresso?<br />

Il congresso proprio per questo è aperto a tutte le persone. Certamente si toccano temi di grande<br />

profondità e specializzazione ma, per il fatto che parliamo anzitutto di un'"esperienza", di qualcosa<br />

che, in un modo o nell'altro, può essere offerta a tutti, siano o meno conoscitori di Teresa.<br />

Da chi è stata voluta e come viene gestita un'esperienza così capillare?<br />

Da anni, nella misura in qui nasceva il progetto dell'Università della mistica, una delle idee<br />

principali era l'organizzazione di congressi internazionali, come i quattro del 2010 con temi<br />

diversi. Decisiva è stata la creazione della Commissione internazionale di preparazione del<br />

centenario che, nella sezione culturale si è impegnata nell'organizzazione dei congressi teresiani,<br />

per approfondire la lettura annuale di una delle opere di Teresa fino al 2015.<br />

Quale è l'attesa dei Carmelitani e della Carmelitane Scalze e di tutti coloro che guardano a Teresa<br />

come Madre della vita nello Spirito?<br />

Essere capaci di portare avanti oggi il desiderio e la missione di Teresa: fare in modo che tanti<br />

uomini e donne, cristiani e non cristiani diventino "veri amici di Dio". La via è seguire i passi di<br />

Teresa: conoscerla meglio per conoscere più profondamente a Dio, aprirci all'esperienza del Dio<br />

vivo, vero e misericordioso, ed essere capaci di testimoniare con la propria vita il Dio Amore,<br />

riscoprire che Teresa si è incontrata con Dio nella propria umanità. Perché Il Libro della Vita è un<br />

testo vivo, capace di trasmettere ancora vita ed esperienza: non solo nello stile peculiare di<br />

Teresa, ma nella testimonianza profonda di un Dio che non smette di amare, di donarsi, di ricreare<br />

271


Post/teca<br />

le persone. Un Dio che nella sua umanità riempie di senso la vita dell'uomo nella narrazione di un<br />

Dio vicino e amico, nella narrazione di una persona che riscopre e accetta se stessa, nella storia di<br />

amore che porta all'amore dell'altro, che non si chiude in sé, ma si apre a tutta l'umanità perché in<br />

Dio scopre il vero senso della sua vita e la dignità infinita di ogni essere umano. Chi vuole scoprire<br />

se stesso, chi vuole scoprire il Dio amico, troverà sempre in questo libro una guida attuale, perché<br />

parla del desiderio più profondo di ogni essere umano: scoprire la via della pienezza e della<br />

felicità.<br />

(©L'Osservatore Romano - 23-24 agosto 2010)<br />

[ Index]<br />

[ Top]<br />

[ Home]<br />

Presentato al Meeting di Rimini il primo volume dell'opera omnia del Papa<br />

dedicato alla liturgia<br />

Col modo d'essere<br />

dell'angelo<br />

di Silvia Guidi<br />

"Un regalo implica anche una responsabilità: quella di accettarlo, di non trascurarlo, di cercare di<br />

capirne il valore e percepirne la portata nel tempo" spiega don Giuseppe Costa, direttore della<br />

Libreria Editrice Vaticana, durante la presentazione in anteprima per l'Italia del primo volume<br />

dell'opera omnia del Papa Benedetto XVI (Teologia della liturgia, Città del Vaticano, Libreria<br />

Editrice Vaticana, 2010, pagine 849, euro 55) che si è svolta domenica al Meeting per l'amicizia tra<br />

i popoli di Rimini.<br />

"I libri del Papa sono un'immensa ricchezza - continua don Costa - un dono che è nostro compito e<br />

nostra responsabilità divulgare. Presto uscirà il secondo volume di Gesù di Nazaret, mentre<br />

continueremo a pubblicare le raccolte delle catechesi del mercoledì; per dare un'idea della risposta<br />

delle case editrici di tutto il mondo, negli Stati Uniti cinque editori la pubblicheranno<br />

simultaneamente. Si tratta di condividere un bene che il Signore ci dà, particolarmente prezioso<br />

nello smarrimento del nostro tempo". Il primo passo di un'opera imponente: sedici volumi,<br />

ventimila pagine di saggi, omelie e lezioni di cui il vescovo di Ratisbona Gerhard Ludwig Müller,<br />

presente all'incontro, ha avuto "la gioia e l'impegno" di curare l'edizione in tedesco. "Si potrebbe<br />

dire che le tematiche più complicate vengono come sottratte alla loro stessa complessità e rese<br />

trasparenti nella loro linearità interna - spiega monsignor Müller a "L'Osservatore Romano"<br />

parlando dell'opera che il genius loci della sua diocesi ha visto nascere e poi ha avuto il compito di<br />

custodire: a Ratisbona il professor Joseph Ratzinger ha insegnato dal 1969 fino alla sua nomina<br />

ad arcivescovo di Monaco e Frisinga nel 1977, e sempre a Ratisbona, nel 2006, durante la visita<br />

pastorale nella sua patria bavarese è stata pronunciata la celebre lectio magistralis in cui il<br />

Pontefice più diffusamente ha descritto l'intima connessione tra fede e ragione.<br />

272


Post/teca<br />

Il volume che inaugura la pubblicazione dell'opera omnia<br />

di Joseph Ratzinger è dedicato al tema della liturgia perché "nel rapporto con la liturgia che si<br />

decide il destino della fede e della chiesa" si legge nella quarta di copertina dell'edizione italiana,<br />

curata da Pierluca Azzaro ed Edmondo Caruana, presenti in sala durante l'incontro.<br />

"Prima di tutto Dio; questo ci dice l'iniziare con la liturgia - si legge nella prefazione del Papa al<br />

volume - là dove lo sguardo su Dio non è determinante, ogni altra cosa perde il suo orientamento.<br />

Le parole della regola benedettina Nihil Operi Dei praeponetur (niente si anteponga all'ufficio<br />

divino, 43, 3) valgono in modo specifico per il monachesimo, ma nell'ordine delle priorità hanno<br />

valore anche per la vita della Chiesa e del singolo, per ciascuno nel modo proprio. È forse utile<br />

ricordare qui che nella parola ortodossia la seconda metà della parola, dòxa, non significa<br />

opinione, ma gloria; non si tratta dell'opinione giusta su Dio ma del modo giusto di glorificarlo, di<br />

rispondere a Lui".<br />

Se il Bello è lo splendore del Vero, la chiave per comunicare l'esperienza "dell'eterno nel tempo" è<br />

proprio la "ferita della bellezza", chiosa Alberto Savorana, portavoce di Comunione e Liberazione,<br />

citando l'intervento sulla Settimana Santa che nel 2002 l'allora cardinale Ratzinger inviò al<br />

Meeting: la bellezza ferisce, è come un dardo che colpisce l'anima, la richiama al suo destino<br />

ultimo e le apre gli occhi sulla sua natura infinita. Secondo un'antica leggenda russa, Vladimiro,<br />

principe di Kiev, non si convertì al cristianesimo in seguito a un'opera di persuasione missionaria<br />

particolarmente convincente, ma grazie all'incontro con la bellezza del culto divino.<br />

Dice Roberto Fontolan, direttore del Centro internazionale di Roma di Cl, presentando il libro: "La<br />

mia prima e costante reazione è stata la sorpresa; è nota la chiarezza del linguaggio di Joseph<br />

Ratzinger, ma la passione del Papa per la liturgia, che definisce "il centro della mia vita", riesce<br />

davvero a contagiare. Innanzitutto ecco un punto fondamentale. Ben al di là degli atti liturgici<br />

singolarmente considerati e vissuti, sui quali peraltro ci sono moltissime e illuminanti pagine, il<br />

culto cristiano è "esperienza della contemporaneità con il mistero pasquale di Cristo". In esso<br />

273


Post/teca<br />

"esiste qualcosa dei sacramenti primordiali, sacramenti della creazione che nascono dai punti<br />

nodali dell'esperienza umana e lasciano intravvedere un'immagine tanto dell'essenza dell'uomo<br />

quanto del tipo del suo rapporto con Dio. Punti nodali come la nascita, la morte, il pasto, l'unione<br />

sessuale". In queste che sono le sue condizioni biologiche l'uomo sperimenta di essere sopraffatto<br />

da una potenza che non può né chiamare né vincere e che, ancora prima delle sue decisioni, già<br />

lo circonda e lo sorregge. Fessure, le chiama citando Schleiermacher, attraverso le quali l'eternità<br />

getta uno sguardo nel procedere uniforme della vita quotidiana dell'uomo. Inizia così il senso della<br />

spiritualità, il connettersi col cosmo, il proiettarsi nella dimensione del "con": con le cose, con gli<br />

altri uomini. Per i cristiani, cioè per me, la liturgia diventa pertanto una questione terribilmente seria<br />

- continua Fontolan - che ha a che fare con la concezione stessa della fede e investe la vita stessa<br />

della Chiesa, la sua presenza efficace nel mondo. La perdita della centralità di Dio, lo smarrimento<br />

della coscienza della contemporaneità di Cristo si rivela in molti indizi, anche nella liturgia, e<br />

rivelano una sorta di resa alla modernità che cancella il mistero dall'orizzonte umano. L'arte visiva,<br />

a esempio, manifesta "l'intero problema della conoscenza dell'epoca moderna: se non si verifica<br />

nell'uomo un'apertura interiore che lo renda capace di vedere qualcosa di più di ciò che è<br />

misurabile e ponderabile e di percepire nel creato lo splendore del divino, allora Dio rimane<br />

escluso dal nostro campo visivo" scrive l'autore. Non vederlo è perciò non viverlo più.<br />

A proposito delle chiese, intese come edifici, l'autore scrive: "L'edificio chiesa, per conservare la<br />

sua legittimità cristiana, deve essere cattolico nel senso originario della parola, una dimora dei<br />

credenti in tutti i luoghi". E poi cita Albert Camus "che ha dato espressione sconvolgente<br />

all'esperienza dell'estraneità e della solitudine" raccontando di un viaggio a Praga, "in una città in<br />

cui non capisce la lingua dei suoi abitanti, è come un esule; anche lo splendore delle chiese<br />

rimane muto e non consola. Per un credente questo dovrebbe essere impossibile: dove c'è la<br />

Chiesa, dove c'è la presenza eucaristica del Signore, egli fa esperienza di patria".<br />

Tutto per l'autore concorre a costruire la meravigliosa cattedrale della liturgia cristiana, che vale la<br />

pena di conoscere, amare e soprattutto vivere pienamente perché la liturgia, come ha scritto Luigi<br />

Giussani, "è un discorso che non ha termine e vi si è trascinati dentro dal flusso della forza della<br />

Grazia di Dio, del mistero di Dio del mondo". Trascinati dentro; è proprio l'esperienza che ho fatto e<br />

che ho cercato di riproporvi, sentendomi un lettore che ha tutto da imparare" ha concluso Fontolan.<br />

"Pregare - continua Savorana citando il discorso di saluto al Meeting del cardinale segretario di<br />

Stato, Tarcisio Bertone - non è un evento dalle nuvole in su, non è una fuga dal mondo ma il<br />

massimo della concretezza; imparare a domandare e imparare a desiderare, a "orientare bene i<br />

desideri" è imparare a vivere. Pregare è l'avamposto dell'uomo in battaglia per difendere il cuore<br />

dell'uomo nel suo desiderio di cose grandi. La preoccupazione che spesso ha espresso il Papa è<br />

che l'intelligenza della fede diventi intelligenza della realtà; la chiesa dovrebbe essere il luogo in<br />

cui la bellezza è di casa, "la bellezza - scrive Benedetto XVI - senza la quale il mondo diventa il<br />

primo cerchio dell'inferno". "Vorrei concludere le mie considerazioni con una bella parola del<br />

Mahatma Gandhi che ho trovato una volta su un calendario - scrive il Papa nel saggio sulla<br />

teologia della musica sacra pubblicato nel volume, nel capitolo dedicato a "L'immagine del mondo<br />

e dell'uomo propria della liturgia" - nel mare vivono i pesci e tacciono, gli animali sulla terra<br />

gridano, ma gli uccelli, il cui spazio vitale è il cielo, cantano. Del mare è proprio il tacere, della terra<br />

il gridare e del cielo il cantare. L'uomo però partecipa di tutti e tre: porta in sé la profondità del<br />

mare, il peso della terra e l'altezza del cielo, e per questo sono sue anche tutte e tre le proprietà, il<br />

tacere, il gridare e il cantare. Oggi, vorrei aggiungere, vediamo come all'uomo privo di<br />

trascendenza rimane solo il gridare, perché vuole essere soltanto terra e cerca di far diventare<br />

terra anche il cielo e la profondità del mare. La liturgia giusta, la liturgia della comunione gli<br />

274


Post/teca<br />

restituisce la sua interezza. Essa gli insegna nuovamente il tacere e il cantare, aprendogli la<br />

profondità del mare e insegnandogli a volare, che è il modo di essere dell'angelo; elevando il suo<br />

cuore fa nuovamente risuonare in lui il canto che era stato sepolto".<br />

(©L'Osservatore Romano - 23-24 agosto 2010)<br />

---------------<br />

20100825<br />

Ci sono persone che sono state considerate coraggiose<br />

perche' avevano troppa paura per scappare.<br />

> Thomas Fuller<br />

mailinglist di buongiorno.<br />

it<br />

---------------------------<br />

25/8/2010<br />

La ripresa era solo un'illusione<br />

MARIO DEAGLIO<br />

Almeno in America, la crisi di oggi si chiama W: il che significa, seguendo la scrittura di questa lettera, caduta (fino a<br />

tutta l’estate 2009), parziale risalita (fino a tutta la primavera 2010), nuova caduta (in America sembra essere in<br />

corso ora) e risalita, che si spera definitiva, a data non certa né particolarmente prossima. Forse potremmo ritenerci<br />

fortunati perché è stata evitata una crisi a L (caduta seguita da stagnazione, che in Giappone si protrae da oltre un<br />

decennio), ma certamente siamo lontanissimi dall’ottimistica ripresa a V (caduta seguita da rapida ripresa).<br />

Il dato che in qualche modo certifica la ripresa a W è stato diffuso ieri negli Stati Uniti: nel mese di luglio la vendita di<br />

abitazioni è precipitata di oltre il 27 per cento rispetto al luglio 2009. Tale brutta caduta, nettamente superiore alle<br />

previsioni, è dovuta alla scadenza, a fine giugno, di un «bonus» fiscale di ottomila dollari per ogni acquisto di<br />

abitazione. Il «bonus» aveva determinato, come spesso succede in questi casi, una «corsa», peraltro modesta, a<br />

concludere le compravendite prima del termine di questo beneficio; e ha lasciato a luglio quelli che non sono arrivati in<br />

tempo, con meno di quattro milioni di contratti, il più basso numero di abitazioni vendute negli Stati Uniti da 15 anni a<br />

questa parte.<br />

Tutto ciò fa ragionevolmente supporre che, siccome si vendono meno case, se ne costruiranno anche di meno e<br />

l’effetto di questa minor domanda influenzerà le industrie americane che producono materiali da costruzione, infissi,<br />

elettrodomestici e via discorrendo, diffondendo nuovi germi recessivi nella maggiore economia del mondo.<br />

Si tratta di una conferma in più che, senza il «bonus», il malato - ossia il consumatore americano - non respira. Le<br />

conseguenze si sono immediatamente riflesse sulla finanza mondiale determinando una forte caduta di tutte le Borse,<br />

un lieve aumento del tasso di interesse, un indebolimento del dollaro e un rafforzamento del prezzo dell’oro. Il che<br />

legittima nuovi interrogativi sull’attuale ripresa europea, per la quale è ancora incerto se si tratta di un rimbalzo o di<br />

qualcosa di più solido. Particolarmente negative sono risultate le quotazioni dei titoli del debito pubblico greco e<br />

irlandese, così come l’andamento di quelle Borse, in quanto i piani di rientro dal deficit di quei Paesi sarebbero<br />

indubbiamente compromessi da una mancata crescita dell’economia mondiale.<br />

La prospettiva di un altro autunno tempestoso per l’economia mondiale si riflette su una serie di problemi per l’Europa<br />

e per l’Italia. Per l’Europa, le vendite che cadono potrebbero aver come conseguenza barriere che si alzano; molti Stati<br />

potrebbero essere tentati da un «protezionismo leggero» ai limiti delle norme dell’Unione europea, e l’intera Unione<br />

potrebbe avere atteggiamenti più incisivi nei confronti di importazioni che violano gli standard di qualità che l’Europa si<br />

275


Post/teca<br />

è data. Entro certi limiti (molto risicati) un atteggiamento difensivo è comprensibile e perfino auspicabile, ma occorre<br />

fare attenzione a non irritare troppo gli asiatici: chi infatti, se non cinesi, coreani e giapponesi, potrebbe sottoscrivere<br />

le valanghe di titoli pubblici che i maggiori Paesi europei (Francia, Germania e Gran Bretagna) si preparano a emettere<br />

nei prossimi mesi?<br />

Per l’Italia la non favorevole evoluzione americana deve essere un motivo in più per assumere un atteggiamento<br />

responsabile nell’affrontare i due problemi, uno economico e uno politico, che il Paese ha di fronte e dei quali i listini<br />

delle Borse e i dati economici in genere sono diventati una dimensione importante. La prospettiva che nei prossimi<br />

mesi una nuova gelata economica raggiunga l’Italia e i Paesi che sono i migliori clienti dell’Italia non può essere<br />

disinvoltamente trascurata.<br />

Al di là del lato giuridico della vertenza della Fiat di Melfi - che sembra implicare un tentativo di evoluzione della<br />

struttura, da tempo consolidata, dei rapporti sindacali in Italia - vi è la realtà di un mercato europeo e mondiale<br />

dell’auto con i suoi parametri di costi, prezzi, modelli. Sarebbe una sciagura se l’industria automobilistica italiana si<br />

trovasse in difficoltà per motivi, pur comprensibili, di tipo giuridico-istituzionale e per una generale sottovalutazione<br />

della difficoltà della situazione internazionale. Senza il bilanciamento delle diverse esigenze, auspicato anche dal<br />

presidente Napolitano, il rischio di un forte indebolimento produttivo non può essere escluso: l’Italia non vive nel vuoto<br />

pneumatico e non può pensare di risolvere i suoi problemi chiudendo gli occhi a quanto avviene nel resto del mondo.<br />

Un’analoga consapevolezza di quanto avviene al di là delle Alpi e del mare è necessaria da parte dei politici: crisi ed<br />

elezioni non possono e non devono essere decise soltanto in base al calcolo politico, trascurando disinvoltamente il<br />

calcolo economico.<br />

mario.deaglio@unito.it<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

lastampa.<br />

it/_web/<br />

cmstp/<br />

tmplRubriche/<br />

editoriali/<br />

gEditoriali.<br />

asp?<br />

ID_<br />

blog=25&ID_<br />

articolo=7746&ID_<br />

sezione=&sezione=<br />

----------------<br />

C’è nel lampo e nel tuono una forza che manca alla giornata<br />

serena; c’è nella febbre, nell’incubo notturno, perfino in una<br />

sbornia, un indefinibile attimo di chiarezza, di certezza<br />

improvvisa. Quando qualcosa sconvolge ci dice molto più di<br />

quel che siamo abituati a sentire.<br />

— Roberto Vecchioni - Il libraio di Selinunte<br />

(viaquartodisecolo) (via batchiara)<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

----------------------<br />

Quello<br />

che<br />

le<br />

seia:<br />

… saranno anche cazzi loro.<br />

276<br />

donne<br />

non<br />

dicono…


Post/teca<br />

Non se ne può più di queste che parlano delle donne e per le<br />

donne: ma quali donne? Io non sono “le donne”, io non dico una<br />

cosa pensandone un’altra, non lancio segnali ambigui, non cambio<br />

idea ogni cinque minuti, non vado in crisi per la posizione della<br />

tavoletta del water, non ho bisogno di parlare dopo aver fatto<br />

l’amore (anzi un bigné alla panna e via a dormire), non dico ti amo<br />

ogni due per te, non m’interessa di sentirmelo dire ogni due per te,<br />

non ciacolo per ore, non credo all’amore eterno, non credo che il<br />

sesso si accompagni necessariamente all’amore, non mi ritengo più<br />

sensibile, materna, intuitiva, responsabile, matura degli uomini, non<br />

odio l’X-box, non me ne frega niente di essere accompagnata a fare<br />

spese, non piango al cinema e non mi piacciono i film d’amore…<br />

E se anche facessi o pensassi una, o tutte queste cose insieme,<br />

non le farei o non le penserei perché faccio parte “delle donne”, ma<br />

perché io sono così e il mio modo di vedere le cose e di vivere la<br />

vita non è influenzato da quello che risiede tra le mie cosce.<br />

Per cui smettela di parlare anche per me, perché non sapete un<br />

cazzo di me, e poi magari qualcuno comincerà a prendervi più sul<br />

serio, se per prime non vi ghettizzate.<br />

Posso sposarti un po’?<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

-------------------<br />

Il linguaggio è un traditore, un agente<br />

segreto doppiogiochista che scivola<br />

inavvertito tra un confine e l’altro nel<br />

cuore della notte. E’ una pesante nevicata<br />

277


Post/teca<br />

su un paese straniero, che nasconde le<br />

forme e i contorni della realtà sotto un<br />

manto di nebuloso biancore. E’ un cane<br />

azzoppato, che non riesce mai a eseguire<br />

correttamente gli esercizi richiesti. E’ un<br />

biscotto allo zenzero che, lasciato a<br />

inzupparsi per troppo tempo nel tè dei<br />

nostri auspici, si sbriciola, si dissolve,<br />

diventa niente. E’ un continente perduto.<br />

La casa del sonno, Jonathan Coe. (via logicoanalogo) (via<br />

batchiara) (via marisaelle)<br />

via: http://<br />

untemporale.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

--------------------<br />

fare una cosa per volta. sia essa pensare, amare, preoccuparsi, correre, leggere,<br />

dubitare, camminare, scrivere, dormire, cucinare, pedalare, annusare, condividere,<br />

abbracciare, sognare, desiderare, toccare, contorcere, intorcinare, assaporare. una<br />

cosa per volta. è la perfezione. è lusso vero.<br />

(via 11ruesimoncrubellier)<br />

un vero lusso.<br />

(via hoplalalaa)<br />

via: http://<br />

comeberlino.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

--------------------<br />

E una sera che il fiore mi pesa<br />

e le stelle mantengono i loro segreti.<br />

Più freddamente che mai,<br />

guardo le mie povere cose.<br />

278


Post/teca<br />

Una foto di Angela Davis muore lentamente sul muro<br />

e a me di lei non me ne è fregato niente, mai.<br />

E tutte queste informazioni di Vincent<br />

mi vanno intorno e non mi dicono perché.<br />

E tutte queste informazioni di Vincent<br />

girano in tondo e non mi spiegano cos’è che muore.<br />

E stasera ho tradito gli affetti,<br />

ho affittato i miei occhi a una banda di ladri,<br />

vedo quel che vedono loro.<br />

Tu conosci mica qualcuno che è disposto a chiamarmi fratello<br />

senza avermi letto la mano.<br />

Amore mio, voltati dall’altra parte<br />

e fai quello che Vincent non t’avrebbe detto mai,<br />

quello che Vinc non t’insegnerebbe mai,<br />

quello che Vinc non regolerebbe mai,<br />

quello che Vinc non permetterebbe mai, stasera.<br />

E a Parigi mi aspettano ancora,<br />

c’è una stanza con bagno prenotata a mio nome,<br />

la moquette sarà piena di topi.<br />

Ieri alla televisione mi hanno detto di stare tranquillo,<br />

non c’è nessuna ragione di aver paura.<br />

Non c’è proprio niente che non va.<br />

Francesco De Gregori, Informazioni di Vincent<br />

via: http://<br />

gaeoskin.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

------------------<br />

Sto lavorando duro per preparare il mio<br />

prossimo errore.<br />

Bertolt Brecht<br />

(via eternalstarshine:clairefisher)<br />

(via littlechini)<br />

via: http://<br />

gaeoskin.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

279


Post/teca<br />

--------------------<br />

“Leggere sulle prime pagine le parole “contro<br />

natura” […] a proposito delle unioni<br />

omosessuali, mi fa rivoltare le viscere. La<br />

natura umana è così complicata e ricca (essendo<br />

biologica, psicologica, culturale, sociale) che<br />

estrarne un pezzo e appenderlo al lampione del<br />

Giudizio Divino equivale ad amputarla.<br />

L’omosessualità è sempre esistita ed esisterà<br />

sempre, consiste di amore e di vizio, di eros e di<br />

moda, di piacere e di colpa, di profondità e di<br />

futilità, tanto quanto le altre pulsioni dell’animo<br />

e del corpo. Si può diffidarne, si può criticarla,<br />

ma solo una violenta e impaurita torsione dello<br />

sguardo sulle persone, sulla vita, sull’eros, può<br />

arrivare addirittura a scacciare l’amore<br />

omosessuale dalla “natura umana”.”<br />

— Michele Serra.<br />

via: http://<br />

contrecoeur.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

page/2<br />

-----------------<br />

Quando mi cadi fra le<br />

l ’ amore che esonda.<br />

280<br />

gambe,<br />

ho


Post/teca<br />

via: http://<br />

contrecoeur.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

page/4<br />

-----------------<br />

Il<br />

verde<br />

è un<br />

colore<br />

di<br />

merda<br />

*Poesia nella quale il poeta fa del bullismo nei confronti di un colore colpevole di cose che<br />

fatima in confronto è una notizia del tiggitré<br />

Il verde è un colore di merda.<br />

A qualcuno piace il verde,<br />

si sbagliano tutti, quelli a cui piace il verde.<br />

Primo, perché se ti rotoli coi pantaloni nell’erba medica,<br />

il verde ti rimane a vita.<br />

Il secondo motivo non ve lo dirò mai,<br />

ma c’entra col fatto di rimanere a vita.<br />

E c’entra col fatto di rotolarsi<br />

il secondo motivo c’entra coi pantaloni e con l’erba, ma non è una scampagnata, non è<br />

una cosa bella<br />

non sono occhi verdi, né prati al sole<br />

il verde non è nemmeno un colore,<br />

è una catastrofe di cose accatastate, di foglie che travestono un albero, di erba sopra alla<br />

terra,<br />

il vomito è quasi verde<br />

i ricordi pure<br />

macchiati di verde all’altezza delle cosce, i lividi di due giorni.<br />

Il verde è un colore di merda per due motivi,<br />

il secondo motivo non ve lo dirò mai.<br />

fonte: http://<br />

decubito.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

post/892529827/<br />

il-<br />

verde-<br />

e - un-<br />

colore-<br />

di-<br />

merda<br />

--------------------<br />

tutti quei capelli in testa li avete solo perché i vostri pensieri non sono<br />

belli da vedere<br />

fonte: http://<br />

friendfeed.<br />

com/<br />

azael<br />

281


Post/teca<br />

L'ultimo saluto a Cossiga. Napolitano: "Un grande statista". Scalfaro:<br />

"Una capitale con la esse". Pol Pot: "Ok tocca a me, un fiore con la<br />

erre".<br />

solo ciò che non funziona ha una possibilità di essere nel giusto<br />

fonte: http://<br />

friendfeed.<br />

com/<br />

azael<br />

---------------<br />

La morte ai tempi di Facebook<br />

Ieri è morto un mio “amico” di Facebook. Non lo conoscevo.<br />

C’eravamo scambiati giusto qualche parere a distanza negli<br />

ultimi mesi. Pareri su musica, politica, film, le solite cose su<br />

cui si parla su Facebook. In tarda serata mi sono accorto che<br />

qualcosa non andava dai messaggi che mi comparivano nella<br />

“home” e che gli amici (veri) gli lasciavano in bacheca.<br />

Mi paralizzo. Rimango sgomento. Un nome, un cognome e<br />

un anno di nascita. Ventinove anni nemmeno compiuti. Da<br />

ventiquattro ore fisso la sua foto. Sprizza energia. Vita.<br />

Voglia di vivere. Morte reale in un mondo virtuale. E’ un<br />

nuovo tipo d’angoscia. Un nuovo tipo di disagio. Nessuno ha<br />

ancora scritto nulla su questo malessere: Facebook c’è da<br />

troppo poco tempo per conoscere le dinamiche emotive dei<br />

flussi digitali.<br />

Quel ragazzo è morto. Non c’è più. La sua pagina è lì con la<br />

sua foto e continua a scorrere. Cerco di leggere, cerco di<br />

capire. Chi eri? Come eri fatto? Quanto eri alto? Che voce<br />

avevi? Perché? Che ti è successo?<br />

282


Post/teca<br />

Non so niente. La foto continua a fissarmi, sempre uguale,<br />

sempre allegra, sempre piena di vita. Piovono i messaggi<br />

degli amici, rimango lì, guardo le foto che aveva messo lui.<br />

Mi sembra di essere un voyeur, un guardone, un ciaccione,<br />

sono in imbarazzo.<br />

Ma a volte il cervello ha bisogno di spiegazioni. Mi dispiace<br />

incredibilmente. Mi sento inutile. E ora che faccio? Non<br />

conosco nessuno di questi ragazzi disperati. Qualcuno lascia<br />

un numero, scrive “Se avete bisogno chiamatemi”. Ma<br />

chiami e che fai? Chi sono IO per chiamare? Eppure vorrei<br />

sapere “chi”, “come”, “perché”, mille domande. Scelgo di<br />

stare lì. Rimango in silenzio. Spero di venire a sapere da un<br />

media qualsiasi quando e dove ci sarà il funerale. Continuo a<br />

sentirmi un intruso maledettamente triste nella vita degli<br />

altri.<br />

La morte ai tempi di Facebook è ancora più astratta, più<br />

dirompente. Ti entra in casa da uno schermo e ti lascia solo<br />

nel tuo vuoto senza sapere che fare, su quale spalla piangere<br />

o quale confortare.<br />

–<br />

scritto da Claudio Marmugi non un intellettuale ma un comico<br />

livornese. Un pezzo semplice, ma sincero, con sentimenti e<br />

ragionamenti basici, di quelli che proviamo e facciamo tutti i giorni<br />

nella vita reale e on line.<br />

trovato su emmebi tramite Lumoz<br />

(via menodizero)<br />

via: http://<br />

robiberta.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------------<br />

“Lombroso si sbagliava. Non è la conformazione fisica a dare<br />

283


Post/teca<br />

indicazioni sullo stato psichico delle persone. E’ il loro utilizzo della<br />

punteggiatura.”Micia da FF . Anche se è giusto specificare che la<br />

caratteristica delle speculazioni lombrosiane, stava nello studio<br />

della forma del cranio (frenologia) e non della conformazione<br />

fisica.<br />

via: http://<br />

lyzaazyl.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

post/962153088/<br />

lombroso-<br />

si-<br />

sbagliava-<br />

non-<br />

e - la-<br />

conformazione<br />

----------------<br />

25/8/2010<br />

La bella politica<br />

Di massimo gramellini<br />

Se gradite un massaggio al morale, scordatevi leggi ad personam e cognati a Montecarlo. Date piuttosto<br />

un’occhiata alla rassegna-stampa di ieri: «Egregio ministro dell’Interno, quando lasciai il mio posto a Milano<br />

fui messo in disponibilità con metà dello stipendio. Ebbene, trovo di poterne fare a meno. Considerando che<br />

già ricevo dallo Stato la cifra di… come direttore della Galleria, mi pare doveroso, nelle attuali condizioni<br />

delle finanze, rinunciare a quell’altra somma». E allora?, direte voi. Si tratterà di un miliardario o di un<br />

eccentrico. Il vero dramma di questo Paese non è solo lo spreco di denaro pubblico, ma la tragica<br />

incompetenza di chi è chiamato a gestirlo. Giusto, eccovi serviti, sempre dalla rassegna-stampa di ieri:<br />

«Signor ministro, Ella mi ha comunicato un decreto che mi nomina direttore del ministero dei Lavori<br />

Pubblici. La ringrazio dell’onore che mi ha voluto fare, ma non ho le cognizioni tecniche necessarie a un<br />

direttore dei Lavori Pubblici e non potrei, senza danno pubblico e senza rimprovero della mia coscienza,<br />

togliermi un carico maggiore delle mie forze. La prego perciò di accettare la mia rinuncia».<br />

Siete rimasti colpiti, vero? Anch’io, accidenti. Ho confuso le buste e, anziché quella con la rassegna stampa,<br />

ho aperto quella coi ritagli della storia d’Italia che sto scrivendo in ultima pagina con Fruttero. La prima<br />

lettera era di Massimo D’Azeglio, Torino 1861, la seconda di Luigi Settembrini, Napoli 1860. Chiedo scusa ai<br />

politici contemporanei per averli confusi con quegli improvvidi antenati.<br />

Fonte: http://<br />

www.<br />

lastampa.<br />

it/_web/<br />

cmstp/<br />

tmplRubriche/<br />

editoriali/<br />

hrubrica.<br />

asp?<br />

ID_<br />

blog=41<br />

------------------------<br />

284


Post/teca<br />

20100826<br />

Usa bene il tempo, se vuoi avere del tempo libero.<br />

> Benjamin Franklin<br />

mailinglist Buongiorno.it<br />

-----------------------<br />

Faccio mille cose, ho fatto<br />

voto di vastità.<br />

—<br />

Alessandro Bergonzoni<br />

tuffatore<br />

(via hollywoodparty)<br />

(via el-<br />

hereje)<br />

(via rispostesenzadomanda)<br />

(via involutionaryroad)<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

------------------<br />

ze-<br />

violet:<br />

el-<br />

hereje:<br />

monicagellerb:<br />

“Eccola, la testimonianza fotografica della tua generazione.<br />

Scordati sorrisi sinceri sotto la torre di Pisa come nelle foto in<br />

bianco e nero di mamma e papà. Scordati gli autoscatti in riva al<br />

lago di quando eri contenta. Scordati la bambina paffuta e<br />

imbronciata che si vestiva da principessa delle rose. Solo cieli<br />

cianotici, tralicci di merda e dita dei piedi con l’effetto LOMO. Tra<br />

285


Post/teca<br />

una decina d’anni l’unica foto che potrai permetterti di piazzare<br />

sull’album di famiglia ti ricorderà stanca e sfatta di Keglevich al<br />

melone mentre ti fai toccare una tetta dal bassista del Teatro degli<br />

Orrori.”<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

------------------<br />

MARTEDÌ 24 AGOSTO 2010<br />

Abbattere il postino a tutti<br />

COSTI.<br />

di matteo bordone<br />

i costi.<br />

Ripeto:<br />

A TUTTI<br />

Oggi Walter Veltroni ha scritto questalettera all’Italia.<br />

[pausa]<br />

Leggetevela, se vi va.<br />

[pausa]<br />

L’avete letta? Bella, no? Voglio dire che mi sembra un bel gesto, il martedì del rientro dalle<br />

vancanze. Io sono stato a Milano, però insomma, per dire.<br />

[pausa lunga]<br />

Quando Veltroni compare sulla stampa nazionale, i miei quindici affezionati lettori si aspettano da<br />

me qualcosa, un commento, una sintesi, degli improperi. Se lo aspettano perché ormai è un piccolo<br />

classico di questo posto. E io ogni volta sparo le mie cartucce migliori, mi dilungo in esegesi che<br />

grondano sangue, mi esercito nell’arte dell’incazzatura creativa, della frustrazione lirica, del<br />

sarcasmo affilato. Anche questa volta, quindi, immagino che qualcuno sia venuto a cercare il mio<br />

intervento puntuale. Il solito, per parlare onestamente, piccolo esercizio di stile e retorica. Poca<br />

cosa, insomma. Mi sono chiesto se fosse ancora il caso; se non fosse più signorile rispondere con un<br />

elegantissimo silenzio, carico di superiorità e cose più serie da fare.<br />

Me lo sono chiesto davvero.<br />

Mi sono anche dato una risposta.<br />

Volete sapere qual è?<br />

La risposta suona più o meno così: «Silenzio un cazzo, porca di quella puttana troia schifosa».<br />

Lo stile di Walter ormai ci è noiosamente familiare, come certe laringiti di stagione. Eppure ogni<br />

volta il celebre scrittore riesce a stupirci per la capacità di usare tutte le parole giuste per farci<br />

ribollire più forte il sangue, per l’acume capovolto di chi non ne dice una giusta. Qua e là, certo, ci<br />

sono dei concetti che possiamo anche condividere. Ma prima di arrivarci bisogna sfrondare, con il<br />

più grosso e affilato machete mai prodotto nelle profondità della selva amazzonica, una serie di<br />

cretinate così infestante che poi quello che resta è poco. È il vicino di bancone al bar che dice<br />

«Certo che dei politici normali potremmo averli anche noi, no?». E allora tu mormori «Eh»,<br />

286<br />

I


Post/teca<br />

bevendo il latte macchiato, e la cosa finisce lì. Nessuno cala dei jolly, nessuno la mette giù dura:<br />

piccola condivisione elementare, minuscolo momento di fratellanza prêt-à-porter, sorriso, fine<br />

della questione.<br />

Lui no.<br />

Partiamo dalla lettera al direttore del quotidiano: una formula talmente fogliadifico che fa<br />

innervosire a priori. Vuoi scrivere una lettera a un direttore? Cerca un quotidiano col direttore, per<br />

prima cosa. E già non ci siamo. Dopo di che tu gli scrivi e lui la legge. Vuoi pubblicare un pezzo? E<br />

fattelo pubblicare. Non va bene. Cosa vuoi fare, piccolo? Vuoi scrivere agli italiani? Abbi il coraggio<br />

di partire con «Cari italiani». Non ce l’hai? È troppo anche per te? Ah, è per quello che per quindici<br />

righe descrivi una platea di disperati senza futuro: perché speri che siano talmente indeboliti dagli<br />

strascichi della campagna di Russia da non rovesciarti il latte macchiato in testa.<br />

Se citassi e commentassi tutto, scriverei venti pagine, quindi mi limito a un florilegio.<br />

In un articolo che descrive una situazione politica asfittica, un paese immobile, una totale assenza<br />

di slancio, Walter decide di connotare l’età contemporanea con le parole «questo tempo leggero e<br />

bulimico». Ma che strano: è il contrario di quello che ripete per tutto il pezzo. Si vede che gli<br />

suonava poetico. Si sente un po’ Calvino che spiega la leggerezza agli americani. Lo facesse davvero,<br />

gli arriverebbe in testa la lava di Starbucks. Non sarebbe una bella cosa. Meglio rompere il cazzo<br />

qui per lettera, a distanza di sicurezza.<br />

«… quasi quattordici milioni di italiani fecero una croce sul simbolo che conteneva il mio nome<br />

come candidato alla presidenza del Consiglio. Se un milione e mezzo dei 38 milioni di votanti<br />

avesse scelto il centrosinistra riformista invece di Berlusconi ora saremmo noi a guidare il<br />

Paese.» Quella del nonno che piscia benzina e ha un distributore non te l’hanno mai raccontata,<br />

no? Ecco. Ah, poi volevo dire anche 2753. Vedo che i numeri a vanvera fanno faville.<br />

«Ma non è successo, per tanti motivi. Come cercherò altrove di approfondire, credo più per<br />

ragioni profonde e storiche che per limiti di quella campagna elettorale che si concluse con il<br />

risultato elettorale più importante della storia del riformismo italiano.» Mai mi sarei aspettato<br />

che tu attribuissi la responsabilità a ragioni di ordine generale e macroscopico. Mi aspettavo che<br />

avessi scoperto che c’erano stati degli errori nella strategia politica del partito che dirigevi. Peccato,<br />

cazzo. Va be’, la prossima volta, dai. Resta il fatto che le Elezioni per il Raggiungimento di Grandi<br />

Risultati per il Riformismo non sono previste dalla Costituzione Italiana. Ci sono quelle per<br />

eleggere i rappresentanti dei due rami del parlamento. Noi pensavamo di partecipare a quelle.<br />

Certe cose si dicono.<br />

«Sono stato tra i pochi che si sono fatti da parte davvero (caricandomi responsabilità certo non<br />

solo mie).» Caricarsi responsabilità certo non solo proprie fa parte del passare dalle elementari alle<br />

medie: tu sei più grande, Walter, e se tuo fratello si sbuccia ancora le ginocchia poi vedi. Sul<br />

dichiarare di essersi fatto da parte davvero, vorrei ricordarti di non fidarti mai dei Cretesi, perché<br />

raccontano solo bugie. Io lo so bene: sono di Creta.<br />

«Non ho chiesto alcun incarico, non ho fatto polemiche, non ho alimentato veleni.» [Si infila una<br />

matita nella coscia, sperando di svegliarsi da un incubo in cui Chewbacca reclamizza creme<br />

depilatorie.]<br />

«Ho semmai taciuto e ingoiato fiele, anche di fronte a varie vigliaccherie.» [Non funziona.<br />

L’incubo continua. In televisione mandano uno spot contro il fumo. Il testimonial è Pannella.]<br />

«E, tutto, senza una parola di autocritica. Chi ha vinto le elezioni e ne provoca altre neanche a<br />

metà delle legislatura vorrà almeno dichiarare il proprio fallimento politico?» Cosa obbligatoria<br />

se duri mezza legislatura. Se duri niente, nada, niet, nixon, nisba, allora no. Se perdi puoi ripetere<br />

ogni due mesi quanto la tua sconfitta fosse carica di un sottotesto pulsante di vittoria. Sarà anche<br />

287


Post/teca<br />

così, ma sono regole strane, a dirla tutta.<br />

«Un Paese che smarrisce il suo senso di comunità, la sua anima solidale, la sua coscienza<br />

unitaria finisce con lo sfarinarsi violentemente.» E qui Walter mette il dito dritto nella piaga. Di<br />

cosa ha paura l’italiano, il cittadino europeo che più di tutti vive un senso di comunità, di<br />

condivisione solidale, di vocazione colletiva che viene prima dello stato, parte dalle piazze, dai<br />

pianerottoli, dai vicini di casa che sempre, invariabilmente, senza eccezione alcuna, se un affamato<br />

bussa alla porta questuando, sono pronti a privarsi col sorriso di un cazzo di comunitario e<br />

democraticissimo piatto di grano? Di cosa ha paura? Dello sfarinamento: quella cosa di cui sono<br />

fatti gli incubi degli innocenti. «Mamma, stanotte ho sognato l’uomo nero.» «Oh, povero piccolo, e<br />

cosa ti ha fatto?» «Mi ha portato via da te, mi ha legato in una stanza buia, mi ha picchiato a<br />

sangue e poi mi ha violentato. Ma quello è il meno. Il brutto è quando mi ha tutto sfarinato.»<br />

«Questo è il rischio che corriamo, l’alternativa tra una monarchia livida e una pura difesa<br />

dell’esistente.» Che io ho studiato poca filosofia politica, ma ho idea che siamo davanti a una nuova<br />

dottrina affascinante: le forme di governo Pantone. Come sarà l’oligarchia indaco cangiante, per<br />

dire?<br />

«L’alleanza di centrodestra sembra immersa nello scenario dei Dieci piccoli indiani di Agatha<br />

Christie.» Vai Walter, che questo ce l’hanno presente tutti i tuoi elettori. Almeno quelli coi capelli<br />

blu.<br />

«Rimando per una analisi più compiuta al volume di John Kampfner Libertà in vendita o al<br />

bellissimo lavoro di Alessandro Colombo La disunità del mondo.» Ma scusa, puttana di quella<br />

Eva, io sono qui a casa mia che leggo il giornale. È agosto. Scopro che mi scrivi. Leggo per cortesia.<br />

Mi dai del pezzente morto di fame senza una lira, poi dici che è stata un’estate di merda, inanelli<br />

una serie ragguardevole di minchiate roboanti, e io devo leggere un volume e un lavoro?! Ma ti<br />

rimando io, ti rimando.<br />

«Dunque l’unica strada che i veri democratici devono percorrere è quella di una repubblica forte<br />

e decidente.» Decidente. No, ma vai avanti, vai. Ti aiuto, così facciamo prima: la giugulare è alla<br />

base del collo.<br />

«Un Paese che non ha una università tra le prime cento del mondo (dopo averle inventate)…»<br />

Pappappero pappappero ciccalaminera gnè gnè gnè.<br />

«… che ha una metà, meravigliosa, di sé sotto il condizionamento di poteri criminali, che ha<br />

evasione altissima e altissima pressione fiscale, che ha una amministrazione barocca e il primato<br />

dei condoni, che scarta come un cavallo l’ostacolo ogni volta che deve sfidare sondaggi e<br />

corporazioni.» Cioè non sei in grado di dire che il Sud è in una condizione di merda, che quella<br />

cosa fa schifo, che la bellezza non basta. Sono anni che fai politica e non hai ancora capito che le<br />

parole della vedova dell’agente di Borsellino hanno il tono giusto per queste cose, che sono quelle,<br />

terribili, quelle giuste; non quelle di chi ripete sempre che Napoli è la città più bella del mondo,<br />

come se la Camorra fosse una tenda brutta in una casa splendida. No. Non ce la fai. È una merda,<br />

ma anche una meraviglia. E le tasse non le paga nessuno, ma sono anche alte. E l’amministrazione<br />

è barocca. E soprattutto il cavallo, quel cazzo di cavallo, che nella tua similitudine scarta per<br />

definizione l’ostacolo. Giusto. Infatti il salto a ostacoli lo fanno in groppa ai cocker.<br />

«Non per mettere la pietra al collo al bipolarismo e riportare l’orologio ai giorni in cui pochi<br />

leader decidevano vita e morte dei governi, quasi sessanta in cinquanta anni, come l’andamento<br />

del debito pubblico testimonia in modo agghiacciante.» Debito pubblico che negli anni Sessanta,<br />

coi governi annuali e i morti in piazza, non esisteva. Debito pubblico che per circa 500MD€ è<br />

responsabilità dei governi Berlusconi. Ma certo, questo sarebbe un dato politico, quindi lasciamolo<br />

perdere. Identifichiamo un legame univoco tra lunghezza dei governi e solidità economica,<br />

288


Post/teca<br />

parliamo un po’ di roba che gli italiani a cui scriviamo conoscono bene. Tipo Parri, per esempio.<br />

Parliamo di Parri, dai. Parri. Senti che bella parola. Parri. Bella rotonda, con la erre che<br />

accompagna per mano la bocca a chiudersi, dopo la A, fino alla discrezione minuscola della I.<br />

Parri. Parrri. Parrrrri. Senti come gira bene, come un aereoplanino che cabra, smitragliando i civili.<br />

Parrrrrrrrrrrrrrrrrrrri. L’hanno colpito con la contraerea! Sta per schiantarsi a terra.<br />

Paaaaaaaaaaaaaaaarri. BOOOOOM! [Sembra preso da un’euforia segreta.]<br />

Anche perché quei partiti avevano storie grandi che affondavano nel Risorgimento o nelle lotte<br />

bracciantili e quei leader avevano fatto, insieme, la Resistenza o la Ricostruzione. [Cade a terra.<br />

Ripete «Le. Lotte. Bracciantili. Le. Lotte. Bracciantili. Le. Lotte. Bracciantili». Poi si ferma. Sembra<br />

morto. Si riprende dopo qualche minuto di immobilità totale. Sembra sereno, determinato.]<br />

«… riformare la legge elettorale dando forma, per esempio attraverso i collegi uninominali e le<br />

primarie per legge, a un moderno e maturo bipolarismo» Ah, le primarie per legge, questa è<br />

nuova. Lo stato decide i regolamenti interni dei partiti politici. Proprio come in America, Wally.<br />

Proprio quello che ci vuole. Vai così.<br />

«Chiunque alzi gli occhi nella Cappella Palatina di Palermo o nella galleria di Diana di Venaria<br />

Reale non può non sentire tutto intero l’orgoglio di essere figlio di questo Paese e della sua<br />

straordinaria e travagliata storia.» Eh sì. Certo. È lì che si vede. Brao ciccio. Bel finalone. Perché<br />

l’Italia è messa come è messa? Eh, sono quelli lì che sono cattivi, fanno le truffe male. Perché la<br />

gente invece è buona. Quelli lì li convincono che il male paghi, come Palpatine, e loro si affidano al<br />

lato oscuro della Forza. Cacchiarola, sono problemi. E perché è il caso di essere orgogliosi del<br />

paese? Due cose: la Cappella Palatina di Palermo e la galleria Diana di Venaria. Certo. Bello che il<br />

paese dia il massimo in Sindrome conclamata di Stendhal. Ma ancora più bello è vedere che, anche<br />

quando si cala una carta così mollemente retorica, non si sia in grado di citare qualcosa che la gente<br />

conosce, tipo, che ne so, quella sciocchezza di Leonardo Da Vinci. No, che c’è pieno di stranieri in<br />

Toscana. Nel paese più imballato di musei, chiese, opere d’arte, facciamo un po’ anche le veci del<br />

FAI e del Touring. Vuoi non approfittare per far conoscere agli italiani dei luoghi che, benché in<br />

questa estate di merda siano senza una lira, afflitti, morti e marci, dovrebbero visitare anzichenò?<br />

«Lo stesso orgoglio che si prova pensando agli italiani che lavorano per la nazione, imprenditori<br />

od operai, insegnanti o poliziotti. Per questo il nostro Paese merita di più. Merita di più dei<br />

dossier e dei veleni. Di più della politica ridotta a interesse di un leader. Di più delle alleanze con<br />

il diavolo. Il nostro Paese deve smettere di vivere dominato solo da passioni tristi. È difficile. È<br />

possibile.» Sì sì, con le lotte bracciantili, i volumi e i lavori, le primarie per legge, le sconfitte<br />

straordinarie, i ditini alzati, Parri, gli sfarinamenti e le cappelle palermitane è proprio molto<br />

difficile. È difficile perché non solo bisogna levarsi di torno i pirati, ma tocca anche sprecare il latte<br />

freddo macchiato della mattina, che senza non riesco proprio a fare niente, per non lasciare che<br />

certe stupidaggini dilaghino. Fatto questo, ne convengo, è insieme difficile e possibile. Come un po’<br />

tutto nella vita, no?<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

freddynietzsche.<br />

com/2010/08/24/<br />

abbattere-<br />

il-<br />

postino-<br />

a - tutti-<br />

i - costi-<br />

ripeto-<br />

a - tutti-<br />

i -<br />

costi/<br />

-------------------<br />

289


Post/teca<br />

2026, la vittoria dei barbari<br />

Uno scrittore viaggia nel futuro, alla scoperta di un'èra dominata dalla<br />

superficialità. Con una sorpresa: non sarà poi così male<br />

di ALESSANDRO BARICCO<br />

Ci crediate o no, questo articolo l'ho scritto nel luglio 2026, cioè fra sedici<br />

anni. Diciamo che mi son portato un po' avanti col lavoro. Prendetela così.<br />

Ecco l'articolo.<br />

Alle volte si scrivono libri che sono come duelli: finita la sparatoria guardi chi<br />

è rimasto in piedi, e se non sei tu, hai perso. Quando ho scritto I barbari, venti<br />

anni fa, poi mi son guardato attorno ed erano ancora tutti lì, belli in piedi.<br />

Aveva tutta l'aria di una disfatta, ma la cosa non mi quadrava. Allora mi son<br />

seduto e ho aspettato. Il gioco è stato vederli cadere uno ad uno, tardivi ma<br />

stecchiti. Ci vuole solo pazienza. Alle volte agonizzano molto elegantemente.<br />

Alcuni franano a terra tutto d'un colpo. Non la prenderei come una vittoria,<br />

probabile che cadano per consunzione loro, non per i miei proiettili: ma certo<br />

non avevo mirato male, mi viene da dire, a parziale consolazione.<br />

L'ultimo che ho visto crollare, dopo aver vacillato a lungo con grande lentezza<br />

e dignità, mi ha emozionato, perché lo conoscevo bene. Credo di avere in<br />

passato anche lavorato per lui (con pistole caricate a parole, come sempre).<br />

Più che uno, è una: la profondità. Il concetto di profondità, la pratica della<br />

profondità, la passione per la profondità. Forse qualcuno se li ricorda, erano<br />

animali ancora in forma, ai tempi dei Barbari. Li alimentava l'ostinata<br />

convinzione che il senso delle cose fosse collocato in una cella segreta, al<br />

riparo dalle più facili evidenze, conservato nel freezer di una oscurità remota,<br />

accessibile solo alla pazienza, alla fatica, all'indagine ostinata. Le cose erano<br />

alberi - se ne sondavano le radici. Si risaliva nel tempo, si scavava nei<br />

significati, si lasciavano sedimentare gli indizi. Perfino nei sentimenti si<br />

aspirava a quelli profondi, e la bellezza stessa la si voleva profonda, come i<br />

libri, i gesti, i traumi, i ricordi, e alle volte gli sguardi. Era un viaggio, e la sua<br />

meta si chiamava profondità.<br />

La ricompensa era il senso, che si chiamava anche senso ultimo, e ci<br />

concedeva la rotondità di una frase a cui, anni fa, credo di aver sacrificato<br />

290


Post/teca<br />

una marea di tempo e luce: il senso ultimo e profondo delle cose.<br />

Non so quando, esattamente, ma a un certo punto questo modo di vedere le<br />

cose ha iniziato a sembrarci inadatto. Non falso: inadatto. Il fatto è che il<br />

senso consegnatoci dalla profondità si rivelava troppo spesso inutile, e<br />

talvolta perfino dannoso. Così, come in una sorta di timido preludio, ci è<br />

accaduto di mettere in dubbio che esistesse poi davvero un "senso ultimo e<br />

profondo delle cose". Provvisoriamente ci si orientò per definizioni più soft<br />

che sembravano rispecchiare meglio la realtà dei fatti. Che il senso fosse un<br />

divenire mai fissabile in una definizione ci sembrò, ad esempio, un buon<br />

compromesso. Ma oggi credo si possa dire che semplicemente non osavamo<br />

abbastanza, e che l'errore non era tanto credere in un senso ultimo quanto il<br />

relegarlo in profondità. Quel che cercavamo esisteva, ma non era dove<br />

pensavamo.<br />

Non era lì per una ragione sconcertante che la mutazione avvenuta negli<br />

ultimi trent'anni ci ha buttato in faccia, emanando uno dei suoi verdetti più<br />

affascinanti e dolorosi: la profondità non esiste, è un'illusione ottica. È<br />

l'infantile traduzione in termini spaziali e morali di un desiderio legittimo:<br />

collocare ciò che abbiamo di più prezioso (il senso) in un luogo stabile, al<br />

riparo dalle contingenze, accessibile solo a sguardi selezionati, attingibile<br />

solo attraverso un cammino selettivo. Così si nascondono i tesori. Ma nel<br />

nasconderlo avevamo creato un Eldorado dello spirito, la profondità, che in<br />

realtà non sembra mai essere esistito, e che alla lunga sarà ricordato come<br />

una delle utili menzogne che gli umani si sono raccontati. Piuttosto<br />

scioccante, non c'è santo.<br />

Infatti uno dei traumi cui la mutazione ci ha sottoposto è proprio il trovarsi a<br />

vivere in un mondo privo di una dimensione a cui eravamo abituati, quella<br />

della profondità. Ricordo che in un primo momento le menti più avvedute<br />

avevano interpretato questa curiosa condizione come un sintomo di<br />

decadenza: registravano, non a torto, la sparizione improvvisa di una buona<br />

metà del mondo che conoscevano: oltretutto, quella che veramente contava,<br />

che conteneva il tesoro. Da qui l'istintiva inclinazione a interpretare gli eventi<br />

in termini apocalittici: l'invasione di un'orda barbarica che non disponendo del<br />

concetto di profondità stava ridisponendo il mondo nell'unica residua<br />

dimensione di cui era capace, la superficialità. Con conseguente dispersione<br />

291


Post/teca<br />

disastrosa di senso, di bellezza, di significati - di vita. Non era un modo idiota<br />

di leggere le cose, ma ora sappiamo con una certa esattezza che era un<br />

modo miope: scambiava l'abolizione della profondità con l'abolizione del<br />

senso. Ma in realtà quello che stava accadendo, tra mille difficoltà e<br />

incertezze, era che, abolita la profondità, il senso si stava spostando ad<br />

abitare la superficie delle evidenze e delle cose. Non spariva, si spostava. La<br />

reinvenzione della superficialità come luogo del senso è una delle imprese<br />

che abbiamo compiuto: un lavoretto d'artigianato spirituale che passerà alla<br />

storia.<br />

Sulla carta, i rischi erano enormi, ma va ricordato che la superficie è il luogo<br />

della stupidità solo per chi crede nella profondità come luogo del senso. Dopo<br />

che i barbari (cioè noi) hanno smascherato questa credenza, collegare<br />

automaticamente superficie e insignificanza è diventato un riflesso meccanico<br />

che tradisce un certo rincoglionimento. Dove molti vedevano una semplice<br />

resa alla superficialità, molti altri hanno intuito uno scenario ben differente: il<br />

tesoro del senso, che era relegato in una cripta segreta e riservata, ora si<br />

distribuiva sulla superficie del mondo, dove la possibilità di ricomporlo non<br />

coincideva più con una discesa ascetica nel sottosuolo, regolata da un'élite di<br />

sacerdoti, ma da una collettiva abilità nel registrare e collegare tessere del<br />

reale. Non suona poi tanto male. Soprattutto sembra più adatto alle nostre<br />

abilità e ai nostri desideri. Per gente incapace di stare ferma e di<br />

concentrarsi, ma in compenso velocissima nello spostarsi e nel collegare<br />

frammenti, il campo aperto della superficie sembra la sede ideale dove<br />

giocarsi la partita della vita: perché mai dovremmo giocarcela, e perderla, in<br />

quei cunicoli nel sottosuolo che si ostinavano a insegnarci a scuola?<br />

Così non sembriamo aver rinunciato a un senso, nobile e alto, delle cose: ma<br />

abbiamo iniziato a inseguirlo con una tecnica diversa, cioè muovendoci sulla<br />

superficie del mondo con una velocità e un talento che gli umani non hanno<br />

mai conosciuto. Ci siamo orientati a formare figure di senso mettendo in<br />

costellazione punti del reale attraverso cui passiamo con inedita agilità e<br />

leggerezza. L'immagine del mondo che i media restituiscono, la geografia di<br />

ideali che la politica ci propone, l'idea di sapere che il mondo digitale ci mette<br />

a disposizione non hanno ombra di profondità: sono collezioni di evidenze<br />

sottili, perfino fragili, che organizziamo in figure di una certa potenza. Le<br />

292


Post/teca<br />

usiamo per capire il mondo. Perdiamo capacità di concentrazione, non<br />

riusciamo a fare un gesto alla volta, scegliamo sempre la velocità a discapito<br />

dell'approfondimento: l'incrocio di questi difetti genera una tecnica di<br />

percezione del reale che cerca sistematicamente la simultaneità e la<br />

sovrapposizione degli stimoli: è ciò che noi chiamiamo fare esperienza. Nei<br />

libri, nella musica, in ciò che chiamiamo bello guardandolo o ascoltandolo,<br />

riconosciamo sempre più spesso l'abilità a pronunciare l'emozione del mondo<br />

semplicemente illuminandola, e non riportandola alla luce: è l'estetica che ci<br />

piace coltivare, quella per cui qualsiasi confine tra arte alta e arte bassa va<br />

scomparendo, non essendoci più un basso e un alto, ma solo luce e oscurità,<br />

sguardi e cecità. Viaggiamo velocemente e fermandoci poco, ascoltiamo<br />

frammenti e mai tutto, scriviamo nei telefoni, non ci sposiamo per sempre,<br />

guardiamo il cinema senza più entrare nei cinema, ascoltiamo reading in rete<br />

invece che leggere i libri, facciamo lente code per mangiare al fast food, e<br />

tutto questo andare senza radici e senza peso genera tuttavia una vita che ci<br />

deve apparire estremamente sensata e bella se con tanta urgenza e<br />

passione ci preoccupiamo, come mai nessuno prima di noi nella storia del<br />

genere umano, di salvare il pianeta, di coltivare la pace, di preservare i<br />

monumenti, di conservare la memoria, di allungare la vita, di tutelare i più<br />

deboli e di difendere il lardo di Colonnata. In tempi che ci piace immaginare<br />

civili, bruciavano le biblioteche o le streghe, usavano il Partenone come<br />

deposito di esplosivi, schiacciavano vite come mosche nella follia delle<br />

guerre, e spazzavano via popoli interi per farsi un po' di spazio. Erano spesso<br />

persone che adoravano la profondità.<br />

La superficie è tutto, e in essa è scritto il senso. Meglio: in essa siamo capaci<br />

di tracciare un senso. E da quando abbiamo maturato questa abilità, è quasi<br />

con imbarazzo che subiamo gli inevitabili sussulti del mito della profondità:<br />

oltre ogni misura ragionevole patiamo le ideologie, gli integralismi, ogni arte<br />

troppo alta e seria, qualsiasi sfacciata pronuncia di assoluto. Probabilmente<br />

abbiamo anche torto, ma sono cose che ricordiamo saldate in profondità a<br />

ragioni e sacerdozi indiscutibili che ora sappiamo fondati sul nulla, e ne siamo<br />

ancora offesi - forse spaventati. Per questo oggi suona kitsch ogni<br />

simulazione di profondità e in fondo sottilmente cheap qualsiasi concessione<br />

alla nostalgia. La profondità sembra essere diventata una merce di scarto per<br />

i vecchi, i meno avveduti e i più poveri.<br />

293


Post/teca<br />

Vent'anni fa avrei avuto paura a scrivere frasi del genere. Mi era chiaro<br />

perfettamente che stavamo giocando col fuoco. Sapevo che i rischi erano<br />

enormi e che in una simile mutazione ci giocavamo un patrimonio immenso.<br />

Scrivevo I barbari, ma intanto sapevo che lo smascheramento della<br />

profondità poteva generare il dominio dell'insignificante. E sapevo che la<br />

reinvenzione della superficialità generava spesso l'effetto indesiderato di<br />

sdoganare, per un equivoco, la pura stupidità, o la ridicola simulazione di un<br />

pensiero profondo. Ma alla fine, quel che è accaduto è stato soltanto il frutto<br />

delle nostre scelte, del talento e della velocità delle nostre intelligenze. La<br />

mutazione ha generato comportamenti, cristallizzato parole d'ordine,<br />

ridistribuito i privilegi: ora so che in tutto ciò è sopravvissuta la promessa di<br />

senso che a suo modo il mito della profondità tramandava. Sicuramente tra<br />

coloro che sono stati più svelti a capire e gestire la mutazione ce ne sono<br />

molti che non conoscono quella promessa, né sono capaci di immaginarla, né<br />

sono interessati a tramandarla. Da essi stiamo ricevendo un mondo brillante<br />

senza futuro. Ma come sempre è successo, ostinata e talentuosa è stata<br />

anche la cultura della promessa, e capace di estorcere al disinteresse dei più<br />

la deviazione della speranza, della fiducia, dell'ambizione. Non credo sia<br />

stolto ottimismo registrare il fatto che oggi, nel 2026, una cultura del genere<br />

esiste, sembra più che solida, e spesso presidia le cabine di comando della<br />

mutazione. Da questi barbari stiamo ricevendo un'impaginazione del mondo<br />

adatta agli occhi che abbiamo, un design mentale appropriato ai nostri<br />

cervelli, e un plot della speranza all'altezza dei nostri cuori, per così dire. Si<br />

muovono a stormi, guidati da un rivoluzionario istinto a creazioni collettive e<br />

sovrapersonali, e per questo mi ricordano la moltitudine senza nomi dei<br />

copisti medievali: in quel loro modo strano, stanno copiando la grande<br />

biblioteca nella lingua che è nostra. È un lavoro delicato, e destinato a<br />

collezionare errori. Ma è l'unico modo che conosciamo per consegnare in<br />

eredità, a chi verrà, non solo il passato, ma anche un futuro.<br />

(26 agosto 2010)<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

repubblica.<br />

it/<br />

spettacoli-<br />

e - cultura/2010/08/26/<br />

news/<br />

barbari_2026-6516602/?<br />

ref=<br />

HREC2-3<br />

---------------------<br />

294


Post/teca<br />

Con gli ebook si legge di più<br />

Il Wall Street Journal analizza il successo dei libri in formato elettronico tra pregi e difetti<br />

del nuovo modo di leggere<br />

25 AGOSTO 2010<br />

Chi utilizza un dispositivo per i libri in formato elettronico, come Kindle o iPad,<br />

tende a investire molto più tempo nella lettura,racconta oggi il Wall Street Journal.<br />

Lo studio statistico è stato condotto su un campione di 1.200 possessori di lettori<br />

per ebook dalla società di indagine Marketing and Research Resources Inc. Il 40%<br />

degli intervistati dice di leggere molto di più rispetto a quando utilizzava i soli libri in<br />

formato cartaceo, mentre il 58% dice di non aver cambiato molto le proprie abitudini<br />

e solo due su cento dicono di leggere meno di prima.<br />

Lo studio è stato commissionato da Sony, società che produce diversi modelli di<br />

dispositivi per gli ebook e dunque interessata a conoscere le tendenze del mercato.<br />

Il 55% degli intervistati afferma, inoltre, di avere intenzione di leggere molto di più in<br />

futuro. L’indagine è stata condotta negli Stati Uniti sui possessori di Kindle, iPad e i<br />

lettori Sony. Gli ebook reader si stanno affermando rapidamente tra gli statunitensi<br />

grazie alle numerose offerte disponibili, Amazon ha da poco rinnovato il proprio<br />

Kindle offrendolo a prezzi vantaggiosi, e ai cataloghi di libri in formato elettronico<br />

sempre più ampi ed aggiornati.<br />

Si stima che entro la fine dell’anno, negli Stati Uniti ci saranno almeno 11 milioni di<br />

persone in possesso di un dispositivo in grado di riprodurre gli ebook. Nella prima<br />

metà del 2010, dicono quelli dell’Association of American Publishers, le vendite di<br />

ebook sono aumentate del 183%. La crescita del settore è notevole, probabilmente<br />

grazie all’effetto novità e all’inizio di un vero e proprio mercato di massa, tanto da<br />

aver spinto numerosi esperti e ricercatori ad approfondire come gli ebook stiano<br />

cambiando il modo di leggere i libri.<br />

All’inizio dell’estate, Jakob Nielsen, il celebre ricercatore della Silicon Valley<br />

specializzato nello studio dell’interazione tra persone e nuove tecnologie, ha<br />

chiesto a 32 volontari di leggere alcuni racconti brevi di Ernest Hemingway su<br />

carta, su un iPad o su Kindle. Nielsen ha poi cronometrato il tempo di lettura su<br />

ogni supporto. Rispetto alla carta, la velocità di lettura su iPad è inferiore del 6,2%<br />

mentre su Kindle è più lenta del 10,7%. Secondo Nielsen, una delle cause potrebbe<br />

essere la definizione degli schermi dei due dispositivi, che non restituiscono ancora<br />

una chiarezza paragonabile a quella della carta stampata.<br />

Le differenze di genere nell’utilizzo degli ebook reader sono, invece, del tutto<br />

insignificanti stando a quanto scrivono sul Wall Street Journal:<br />

Uno studio pubblicato questo mese dal Book Industry Study Grouo Inc. segnala che<br />

295


Post/teca<br />

ci sono più lettori di sesso maschile di ebook rispetto alle donne, ma di poco. Tra gli<br />

acquirenti di ebook, il 52% sono uomini mentre il 48% donne, a differenza dei libri<br />

stampati dove sono le donne a comprare più volumi.<br />

Sull’utilizzo degli ebook e sulla loro diffusione incidono però alcuni aspetti negativi.<br />

Condividere il medesimo libro tra più utenti non è sempre semplice: un libro su<br />

carta lo puoi prestare a un amico, un ebook se è “bloccato” per ragioni di copyright<br />

può essere difficilmente letto su un altro dispositivo. Questo limite non vale<br />

comunque per i testi privi di diritto d’autore e per quegli ebook che possono essere<br />

prestati per un breve periodo di tempo ad altri lettori. Inoltre, online si trovano<br />

facilmente copie pirata o non autorizzate prive di limitazioni.<br />

Un altro problema è il numero delle pagine, che non è fisso e cambia a seconda del<br />

dispositivo o della grandezza del carattere scelta da ogni utente per la lettura<br />

dell’ebook. La gestione delle pagine potrebbe così rivelarsi problematica in classe,<br />

per esempio, dove gli studenti devono in genere seguire tutti la medesima pagina<br />

sui loro libri di testo. Alcuni lettori di ebook hanno al momento cercato di ovviare al<br />

problema indicando la percentuale di testo letto. La possibilità di effettuare ricerche<br />

a tutto testo attraverso parole chiave attenua comunque il problema.<br />

Con un dispositivo per gli ebook, i lettori possono consultare e girare le pagine con<br />

una sola mano. Alcuni lettori sono entusiasti della possibilità di aumentare il corpo<br />

del carattere con pochi clic e della retroilluminazione degli schermi come nel caso<br />

dell’iPad, che funziona meglio per la lettura a letto anche quando le luci sono<br />

spente. I capitoli gratuiti di prova, ormai molto comuni negli store online, rendono<br />

più semplice la possibilità di provare – e potenzialmente lasciar perdere – un libro<br />

prima di impegnarsi nella lettura di 400 pagine.<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

ilpost.<br />

it/2010/08/25/<br />

con-<br />

gli-<br />

ebook-<br />

si-<br />

legge-<br />

di-<br />

piu/<br />

------------------<br />

Una risposta a Veltroni<br />

di ivan scalfarotto<br />

25 AGOSTO 2010<br />

Ogni volta che leggo Walter Veltroni non posso fare a meno di essere d’accordo<br />

con lui. Mi piace moltissimo il suo modo di raccontare. Mi convince appieno la sua<br />

indubbia capacità di mettere le cose da fare dentro una cornice coerente, cosicché<br />

invece di dare l’impressione di zompettare casualmente qua e là tra mille questioni<br />

sembra in effetti uno che sta lavorando a un progetto dotato di una sua propria<br />

296


Post/teca<br />

visione. Mi conquista ogni volta il suo modo di parlare così “inspirational”, così<br />

capace di motivare le persone e di metterle insieme sulla base di valori condivisi. E<br />

così anche ieri leggendo la sua lettera agli italiani (e quindi anche a me), alla fine<br />

della lettura mi sono detto ancora una volta: “E bravo Walter!”<br />

E’ stato un attimo. Poi ho pensato che la vicenda delle dimissioni, come Veltroni ce<br />

la racconta, non è per niente condivisibile e non può essere liquidata come una<br />

cosa marginale. Innanzi tutto per una questione di metodo, ma sostanziale: quando<br />

si perde una battaglia politica in quel modo drammatico e si giunge ad un gesto<br />

estremo come quello di lasciare acefalo un intero partito, non bastano alcuni mesi<br />

di “purgatorio” per emendarsi e riproporre in prima persona delle ricette per il<br />

paese. E’ doveroso anche ai fini della salubrità dell’aria nelle istituzioni e nella<br />

politica di un paese. Se Gordon Brown si sognasse tra 18 mesi di scrivere una<br />

lettera al popolo britannico raccontandogli “cosa farebbe lui se fosse il leader dei<br />

laburisti” dubito che troverebbe un giornale disponibile a pubblicargli la lettera, dato<br />

che gli sarebbe risposto con gentilezza che l’unica cosa rilevante è ciò che lui<br />

concretamente ha fatto quando, essendo in carica, ne ha avuto la possibilità<br />

concreta.<br />

E poi c’è la questione di merito. Le dimissioni di Veltroni sono state il frutto della<br />

paralisi a cui lo stesso Veltroni si è condannato cercando di tenere insieme tutta la<br />

dispersiva e litigiosissima nomenklatura del partito. Un’impresa impossibile, a meno<br />

di far riferimento ai 3 milioni di elettori che gli avevano dato la fiducia alle primarie e<br />

tirar dritto per la sua strada (cosa che, per ciò che posso giudicare sulla base di<br />

quanto ho visto con i miei occhi quando lavoravo nella commissione che scrisse il<br />

famigerato statuto del partito, scelse consapevolmente di non fare). Come spiega<br />

bene Andrea Romano nel suo libro “Compagni di scuola”, non si può negare che la<br />

classe dirigente del Partito di oggi – che è molto più coesa e compatta di quanto<br />

non si dia a vedere – abbia (quanto meno sul piano storico) delle responsabilità<br />

collettive su quanto accaduto negli ultimi 15 anni in Italia.<br />

Il punto è allora: con quale credibilità possiamo oggi andare a chiedere il consenso<br />

elettorale se non siamo in grado di mettere insieme un programma radicalmente<br />

innovativo rispetto sia alla devastazione del centro-destra che agli errori che noi<br />

stessi abbiamo commessi durante l’epopea berlusconiana? E con quale credibilità<br />

possiamo rappresentare una vera discontinuità se le persone che propongono e<br />

gestiscono le nostre politiche sono sempre quelle che, messe alla prova, per un<br />

motivo o per un altro, quando furono chiamate direttamente a provarci, hanno<br />

fallito?<br />

Non penso sia necessaria una tabula rasa o una pulizia etnica: le ispirazioni di<br />

Veltroni e l’esperienza di tanti altri dirigenti non vanno di certo buttate via. Eppure è<br />

veramente indispensabile mettere insieme una narrazione dell’Italia completamente<br />

297


Post/teca<br />

innovativa, rivoluzionaria e non meramente evolutiva, un progetto di paese che<br />

suoni autenticamente in linea con i tempi, senza nostalgie e senza specchietti<br />

retrovisori. Che cammini su gambe credibili e veramente in grado di sostenerlo,<br />

però. E’ difficile? E’ possibile.<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

ilpost.<br />

it/<br />

ivanscalfarotto/2010/08/25/<br />

una-<br />

risposta-<br />

a - veltroni/<br />

---------------------<br />

298<br />

“ Perché finalmente lo abbiamo imparato che c’è<br />

tempo soltanto se c’è un tempo, un tempo per<br />

ogni cosa.<br />

Per sceglierne magari una sola di quelle cose<br />

impossibili, però poi realizzarla, costi quel che<br />

costi.<br />

E arrivare in un posto per restarci e guardare con<br />

gli occhi spalancati,<br />

perché c’è un tempo per viaggiare e un tempo per<br />

costruire,<br />

un tempo per scappare e un tempo per guarire,<br />

un tempo per capire, lunghissimo,<br />

un tempo per spiegare,


Post/teca<br />

299<br />

un tempo per perdonare,<br />

un tempo per perdere tempo.<br />

C’è un tempo per cambiare e un tempo per<br />

tornare gli stessi di sempre,<br />

un tempo per gli amori e un tempo per l’amore,<br />

un tempo per essere figli e un tempo per farli, i<br />

figli,<br />

un tempo per volere una vita spericolata e un<br />

tempo per trovare un senso a questa vita, che è<br />

anche l’unica che abbiamo.<br />

C’è un tempo per raccogliere tutte le sfide, un<br />

tempo per combattere tutte le battaglie, un tempo<br />

per fare la pace, un tempo per esigerla, la pace.<br />

C’è un tempo per dire e un tempo per fare - e non<br />

è detto che di mezzo debba per forza esserci una<br />

barca.<br />

A volte basta uno sguardo, a volte perfino la<br />

scheda elettorale.


Post/teca<br />

300<br />

C’è un tempo per innamorarsi - prorogabile.<br />

C’è un tempo per ballare e un tempo per<br />

aspettare,<br />

un tempo per correre,<br />

un tempo per il silenzio.<br />

E se c’è un tempo bellissimo per ricordare<br />

allora ce ne deve essere anche uno calmo per<br />

dimenticare,<br />

ma senza perdere<br />

e senza perdersi.<br />

Perché se c’è un tempo per dormire e uno per<br />

morire, forse<br />

- forse -<br />

se siamo sempre stati bravi e attenti,<br />

e continuiamo a tener gli occhi spalancati


Post/teca<br />

allora, forse,<br />

c’è anche un tempo<br />

infinito<br />

per sognare. ”<br />

Alice - Lella Costa (via coccaonthinks)<br />

via: http://<br />

plettrude.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

------------------------<br />

POSSIAMO IMPARARE DAL<br />

PASSATO,<br />

MA QUEI GIORNI SONO<br />

ANDATI<br />

POSSIAMO SPERARE PER IL<br />

FUTURO,<br />

MA POTREBBE ANCHE NON<br />

ESSERCENE UNO<br />

A change of seasons, Dream Theater (via sottomentitespoglie) (via iosonotremenda)<br />

(viainveceerauncalesse) (via euristicheinsoldiesis) (via falcemartello)<br />

301


Post/teca<br />

via: http://<br />

tattoodoll.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

----------------<br />

CONOSCIAMO NOI STESSI<br />

TROPPO BENE PER NON<br />

CONDIVIDERE LA CATTIVA<br />

OPINIONE CHE GLI ALTRI<br />

HANNO DI NOI.<br />

Saul Bellow, L’uomo in bilico, Mondadori 1966, pagine 114-115. (via reallynothing)<br />

(viacuriositasmundi) (via michelamarra) (via batchiara) (via biancaneveccp)<br />

via: http://<br />

tattoodoll.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

------------------<br />

Questo è il fatto. E il fatto è la cosa più ostinata del<br />

mondo.<br />

— Il Maestro e Margherita ( Michail Bulgakov)<br />

(viaphilapple) (via lapolaroidiuntuffo)<br />

(viarispostesenzadomanda)<br />

via: http://<br />

batchiara.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------------<br />

ferie.<br />

● F: i posti più strani in cui ho fatto l'amore sono le stanze buie<br />

dell'incomprensione, il deserto riarso del rancore, l'asettico<br />

302


Post/teca<br />

tavolo in plexiglass dell'incomunicabilità.<br />

● SM: quando sei andato in ferie a La Spezia?<br />

via: http://<br />

batchiara.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

------------------------<br />

La "quarta rivoluzione" che dà il titolo a questo libro (Gino Roncaglia, La quarta rivoluzione,<br />

Laterza - i Robinson 2010, pag. 287, € 19, ISBN 978-88-420-9299-5) segue quelle che dall'oralità<br />

ha portato alla scrittura, dal rotolo (il volumen) al libro (il codex), e dal manoscritto alla<br />

stampa. E cosa ci riserverà il futuro del libro, ciò di cui se ne parla nelle sei "lezioni" di<br />

quest'opera? Ma del libro elettronico, l'e-book insomma. L'analisi di Roncaglia è molto acuta e<br />

spazia su tutti i temi legati anche indirettamente al libro elettronico, dalla differenza di<br />

fruizione ("lean forward", delle opere da consultare; "lean back", per le letture piu leggere,<br />

mobilità) all'evoluzione degli ebook reader ai progetti di digitalizzazione di Google. L'unico<br />

appunto che posso fare al testo è che spesso ripete un po' troppo lo stesso concetto, un metodo<br />

più da lezione universitaria che da testo scritto. Il libro è comunque assolutamente consigliato<br />

per chiunque voglia capire cosa sta succedendo con i libri elettronici; poi possiamo chiederci se<br />

le previsioni di Roncaglia della nascita di un nuovo oggetto, dalla fruizione diversa da quella di<br />

un libro e legata a una tecnologia ancora diversa da quelle attuali, si avvererà.<br />

fonte: http://<br />

xmau.<br />

com/<br />

notiziole/<br />

arch/201008/006789.<br />

html<br />

------------------------<br />

Gerard Manley Hopkins e la sua interpretazione del Bardo<br />

Il gesuita che convertì Shakespeare<br />

di Enrico Reggiani<br />

La filiale italiana di quella che Gerald Roberts propose di chiamare nel 1987 la Hopkins Industry è<br />

un fenomeno culturale di grande tradizione e di ampie proporzioni. Taluni ne vedono le origini - non<br />

troppo accuratamente - nel 1937 a opera dell'"antigesuita Croce" (per richiamare una definizione<br />

tranchant di Alessandro Martini), trascurando coloro che, in Italia e in quegli stessi anni<br />

partecipavano al dibattito su Hopkins e, più in generale, sulla presenza dei cattolici inglesi<br />

nell'ambito dello scenario vittoriano. Costoro, con competenza, esprimevano qualche dissonanza<br />

rispetto agli assiomi crociani: erano tutti esponenti (Olivero, De Luca, Castelli e Baldi) di una sorta<br />

di anglistica altra, assai variegata rispetto a quella più di frequente tramandata dagli annali, ma<br />

altrettanto meritevole di attenzione.<br />

Quella stessa filiale italiana della Hopkins Industry pare anche avere risolto, in misura sempre più<br />

accentuata, la questione del ruolo letterario e culturale di Gerard Manley Hopkins (1844-1889) in<br />

senso modernista, cioè esasperandone i tratti potenzialmente riferibili ai successivi sviluppi teorici<br />

e creativi del Novecento, a discapito di una loro lettura più legittimamente calata nel coevo<br />

303


Post/teca<br />

contesto vittoriano e altrettanto esaltante.<br />

È utile però far emerge alcune dinamiche del pensiero critico del grande "gesuita-poeta" - per<br />

tornare alla nota definizione laudatoria di Benedetto Croce rispetto a quella denigratoria di "poetagesuita"<br />

- su qualche imprescindibile protagonista della cultura letteraria d'Inghilterra, anche<br />

perché proprio tale pensiero critico può utilmente lasciar intravedere le sue posizioni nel più<br />

ampio quadro cultural-religioso e socio-politico-istituzionale del suo tempo.<br />

Sintomatica, in primis, è la sua posizione su Charles Dickens (1812-1870), con il quale Hopkins<br />

simpatizzava, prevedendo recensioni ingenerosamente negative di Our Mutual Friend (1864-1865)<br />

e confessando che "la literary history (ricezione critica, si direbbe oggi) di Dickens mi suscita<br />

malinconia; tuttavia, assumere nei suoi confronti la posizione che è assunta o che sarà assunta da<br />

alcuni non è giusto o equilibrato" (lettera a Baillie, 1864). Allo stesso tempo Hopkins riteneva che<br />

Dickens "non fosse davvero in grado di controllare il pathos e che le sue opere avessero qualcosa<br />

di sdolcinato, ma forse non ne ho letto i passi migliori" (lettera a Dixon, 1881).<br />

Hopkins si espresse inoltre in modo assai penetrante su George Eliot (pseudonimo autoriale di<br />

Mary Ann Evans, 1819-1880). Ne stava leggendo il romanzo Romola all'inizio del 1865 e<br />

commentò questa sua esperienza di lettore in modo significativo: da una parte si dichiarò infelice<br />

per la tragica sorte di Savonarola in una lettera del 1865 a Urquhart, dall'altra, scrisse in una<br />

missiva del 1865 a Baillie di aver fatto "uno sforzo per non accettarlo all'inizio; ma ora lo considero<br />

un grande libro, benché non al livello di Shirley" (di Charlotte Brontë, 1849), soggiungendo un<br />

commento assai emblematico, ma tuttora inadeguatamente scandagliato o non di rado<br />

ingiustificatamente omesso in sede critica: it is a pagan book.<br />

Assai di frequente, inoltre, nella sua breve ma intensa esistenza, Hopkins si ritrovò a percorrere i<br />

sentieri di quel grande scenario culturale che Gary Taylor ha definito neologisticamente<br />

shakesperotics e che "include tutto ciò che una società fa nel nome - variamente compitato - di<br />

Shakespeare".<br />

Già in un saggio del 1865, il giovanissimo gesuita-poeta, allora studente presso la fucina<br />

shakespeariana del Balliol College di Oxford, aveva elaborato una sua definizione della natura<br />

sintetica della cultura del genio di Stratford-upon-Avon (1564-1616).<br />

L'avrebbe confermata due anni prima di morire in una lettera a Patmore (1887): "Shakespeare<br />

andò alla scuola del suo tempo. Era il Rinascimento: gli antichi classici erano studiati in profondità<br />

e con entusiasmo e influenzavano tutto, direttamente o indirettamente; inoltre, l'Umanesimo aveva<br />

dato vita a una breve ma brillante combinazione con la tradizione medievale". A tale profilo<br />

culturale sintetico, secondo Hopkins, rispondeva nel Bardo sul piano antropologico "una vera<br />

umanità dello spirito, né sdolcinata né arrogante" che impreziosisce ulteriormente l'inusitata<br />

"ampiezza della sua natura umana" (lettera a Dixon, 1881): "Chiamiamo Platone e Shakespeare<br />

grandi menti, ma è a Platone e a Shakespeare che ci riferiamo, e non solo alle loro menti. Poi<br />

diciamo che un uomo è un cuore appassionato, proprio con questa espressione, un cuore grande<br />

e così via: ma è a tutto l'uomo che ci riferiamo e non solo al suo cuore" (sermone, 1881).<br />

Come non scorgere dietro queste sue parole l'invito alla completezza, che potrebbe qualificare una<br />

sorta di consapevole approccio personalista all'esperienza umana e creativa del Bardo, oltre che<br />

alla letteratura nel suo complesso, il cui "unico critico letterario giusto è Cristo" (lettera a Dixon,<br />

1878).<br />

Basta forse questa breve ghirlanda di citazioni per far intuire che, nell'arco della breve vita di<br />

Hopkins, il suo "Shakspere" (questa l'ortografia del nome del Bardo preferita dal nostro poeta)<br />

assunse caratteristiche sempre più chiaramente riferibili a una tradizione ermeneutica ottocentesca<br />

di matrice cattolica, confermando le sue iniziali inclinazioni criptocattoliche: ad esempio,<br />

304


Post/teca<br />

un'equidistanza rispetto alle varie posizioni della ricezione shakespeariana di matrice nazionale o<br />

estera, whig o tory, anglicana o protestante, scientifica o esperienziale; una personale ed<br />

equilibrata articolazione del cosiddetto Victorian medievalism, depurato da taluni eccessi<br />

intellettualistici o spiritualistici; una sempre crescente consapevolezza del ruolo istituzionale della<br />

shakesperotics "cattolicamente ispirata", con funzione eminentemente critica nei confronti delle<br />

istituzioni shakespeariane dominanti in quel periodo e dei maître-à-penser più attivi e più autorevoli<br />

in quell'ambito.<br />

In quest'ultima prospettiva andrebbero più accuratamente indagati sia gli interminabili dibattiti coevi<br />

sull'effettivo credo religioso del Bardo; sia, per quanto riguarda Hopkins, il suo sonetto incompiuto<br />

Shakspere, che risale al 1865 e costituisce un importante ed emblematico contributo, seppure<br />

tardivo, al tricentenario shakespeariano celebrato nel 1864.<br />

Un'indagine su quel testo poetico confermerebbe quanto ricordava Romano Guardini al termine di<br />

una breve ma illuminante serie di Riflessioni Estetico-Teologiche sul sonetto The Windhover:<br />

"Hopkins (...) non soltanto era continuamente colpito dalla potenza delle forme, ma trascorreva un<br />

tempo considerevole, ogni giorno, immerso nella meditazione religiosa. Da questa meditazione<br />

scaturiva una sorgente di vivide rappresentazioni, orientate verso la realtà della fede, che<br />

potevano poi confluire in ogni pensiero e azione della giornata".<br />

(©L'Osservatore Romano - 26 agosto 2010)<br />

--------------------<br />

15/07/09<br />

La fine del tempo<br />

di amedeo balbi<br />

Come se non fosse bastata la lettura de I misteri del tempo,<br />

subito dopo mi sono avventurato in La<br />

fine del tempo,<br />

di Julian Barbour. Ora, se il libro di Davies era un tentativo tutto sommato onesto di<br />

divulgazione sul tema del tempo (secondo me non ben riuscito,<br />

ma non voglio ripetermi), con il<br />

libro di Barbour siamo dalle parti dell'oggetto non identificato. Barbour è convinto che lo scorrere<br />

del tempo sia solo un'illusione e che la fisica andrebbe rifondata, arrivando a una descrizione<br />

atemporale delle leggi di natura; l'idea, mi pare di capire, è che il mondo sarebbe in realtà<br />

cristallizzato in una struttura fissa, e che sarebbe solo la nostra coscienza a organizzare le<br />

percezioni creando un'illusione di mutamento e movimento. Fin qui, niente di male: in fondo la<br />

scienza produce di frequente un superamento delle impressioni immediate, in favore di concetti<br />

meno intuitivi ma più rigorosi. Può anche darsi che il tempo non esista. Purtroppo, dal libro di<br />

Barbour risulta secondo me impossibile trarre qualsiasi conclusione. Dopo oltre trecento pagine,<br />

faticosissime non perché troppo tecniche ma, al contrario, perché troppo discorsive e qualitative,<br />

piene di analogie di cui è difficile verificare la validità, Barbour candidamente ammette:<br />

È vero, non posso presentare prove matematiche concrete a sostegno della mia idea, ma spero<br />

che a questo punto il lettore si sia persuaso che almeno gli argomenti a favore di un universo<br />

atemporale sono validi<br />

Il ricorso all'intuizione e ad argomenti euristici per indirizzare la ricerca non è uno scandalo: lo<br />

stesso Einstein ne fece largo uso, ma poi passò anni a scontrarsi con i dettagli matematici.<br />

305


Post/teca<br />

Chiaramente, Barbour non è uno di quei mattacchioni che ti intasano la casella di posta vantandosi<br />

di aver risolto l'unificazione delle forze o di aver dimostrato che Einstein aveva torto. È uno che sa<br />

di cosa parla e, nonostante non abbia una posizione accademica convenzionale (e qui<br />

bisognerebbe aprire un discorso sulla leggenda del "ricercatore indipendente", ma sarà per un'altra<br />

volta), vanta frequentazioni e corrispondenze con scienziati di grosso calibro, come Lee Smolin o<br />

Roger Penrose. Magari un giorno il punto di vista atemporale si rivelerà corretto. E però, una volta<br />

le teorie si divulgavano dopo essere state accettate, non prima. Per essere uno convinto che il<br />

tempo non esiste, forse Barbour ha avuto un po' troppa fretta. libri, tempo<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

keplero.<br />

org/2009/07/<br />

la-<br />

fine-<br />

del-<br />

tempo.<br />

html<br />

------------------<br />

Ogni cosa che dico o faccio, per te sono matta. Sono sempre<br />

matta. Se mi spalmo la maionese in faccia sono matta, se<br />

colleziono carcasse di piccione sono matta, se vado<br />

contromano in autostrada sono matta… Chiedilo a lui se sono<br />

matta? Su! Chiediglielo!<br />

Stai indicando il caminetto.<br />

— in coma è meglio:<br />

FAI UN FIGLIO E NON SAI CHI TI METTI IN<br />

CASA (via halbertmensch)<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

------------------<br />

FAI UN FIGLIO E NON SAI CHI TI METTI IN CASA<br />

Sandro, devo dirti una cosa.<br />

Cos’è successo?<br />

Credo che nostra figlia sia atea.<br />

Ha solo tre mesi.<br />

Non vedi come s’irrigidisce ogni volta che si nomina il Papa? Si blocca, inizia a<br />

sudare e ruota gli occhi all’indietro.<br />

È una tua impressione.<br />

306


Post/teca<br />

L’altro ieri sono uscita a comprarle la pappa --<br />

La pappa?<br />

Torrone, pecorino e una tanica di soia.<br />

Forse avresti dovuto leggerlo quel libro del pediatra.<br />

Soia biologica. Quando sono rientrata era nel suo box che giocava coi<br />

sonaglietti e i santi di peluche --<br />

E allora?<br />

Ha parlato.<br />

Ha parlato...<br />

Tutti i bambini dicono “papà”, “mamma” o al massimo “Carla”, lo sai lei cos’ha<br />

detto?<br />

No.<br />

Ha detto “secondo me Dio non esiste”.<br />

Carla --<br />

E intanto guardava il crocifisso con aria di sfida. Mi ha fatto una paura...<br />

Nessun bambino parla a quell’età.<br />

Mary è una bambina speciale, lo sai. Un giorno sarà una persona importante,<br />

andrà sulla Luna, scoprirà l’America e vincerà dieci Oscar. Anzi, mille! Sarà la<br />

prima donna a diventare Papa. Ci pensi? La nostra Mary che arringa i fedeli dal<br />

suo palazzo incantato, tutta lustrini e paillette, accompagnata da un’orchestra<br />

di unicorni...<br />

Non è che c’era la tv accesa?<br />

Che c’entra?<br />

307


Post/teca<br />

Chiedo.<br />

Pensi che non sappia distinguere mia figlia dal televisore?<br />

Ascolta, Carla --<br />

Tu credi che io sia matta.<br />

No.<br />

Ogni cosa che dico o faccio, per te sono matta. Sono sempre matta. Se mi<br />

spalmo la maionese in faccia sono matta, se colleziono carcasse di piccione<br />

sono matta, se vado contromano in autostrada sono matta... Chiedilo a lui se<br />

sono matta? Su! Chiediglielo!<br />

Stai indicando il caminetto.<br />

Sono stufa di questo atteggiamento! Hai capito!? Stufa! Stufa! Stufa! Se non<br />

cambi ti lascio! Ti lascio e mi metto con tuo fratello gemello!<br />

Potremmo chiamare un esorcista.<br />

Ottima idea.<br />

Fonte: http://<br />

incomaemeglio.<br />

blogspot.<br />

com/2010/08/<br />

fai-<br />

un-<br />

figlio-<br />

e - non-<br />

sai-<br />

chi-<br />

ti-<br />

metti-<br />

in.<br />

html<br />

--------------------<br />

Kindle.<br />

E la<br />

biblioteca<br />

della<br />

mente<br />

By Luca De Biase on August 26, 2010 10:24 AM | Permalink | Comments (1) | TrackBacks (0)<br />

Il nuovo Kindle piace alla critica. Non si sa quanto,<br />

ma si presume piaccia molto anche al pubblico.<br />

Difficile non vedere i vantaggi di questa tecnologia - reader sempre connesso con funzioni di<br />

ricerca nel testo più negozio iperfornito - e dunque non immaginare che si tratta almeno di un<br />

nuovo modo per fruire di quei lunghi testi che un tempo si chiamavano libri. Un modo<br />

fantasticamente adatto all'aggiornamento di chi legge saggi americani di attualità, di chi ama<br />

portarsi in viaggio una quantità di romanzi e saggi, di chi studia un argomento a fondo... E chissà<br />

308


Post/teca<br />

quanti altri utilizzi.<br />

E' un mondo di libri per nomadi, dove lo spazio è poco mentre è necessario viaggiare leggeri.<br />

La biblioteca invece è pesante. Come sa bene chi cambia casa. Costa. Occupa spazio. Ma il peso,<br />

la lentezza, lo spazio hanno una funzione culturale. La perdiamo a cuor leggero?<br />

La biblioteca non è un deposito informe di libri. La biblioteca parla. Il suo ordine costruito nel tempo<br />

è un supporto della memoria senza paragoni. I collegamenti che ciascuno produce tra i suoi libri<br />

appoggiandoli negli scaffali sono riproposti ogni volta che li si percorre con lo sguardo. E ogni<br />

lavoro di ricerca, ogni ripensamento dell'esperienza accumulata dagli autori delle opere, ogni<br />

consultazione, si sostanzia anche dell'ordine dei ricordi di ciò che si è letto e di ciò che si da dove<br />

si può leggere incarnato dalla biblioteca.<br />

Personalmente, ho un'esperienza preKindle che può aiutare a immaginare quello che succede con<br />

il Kindle. Dopo troppi traslochi, la mia biblioteca è stata smembrata e scompaginata tante volte che<br />

ormai il suo ordine è restato solo nella mia mente. I neuroni e le sinapsi sono l'unico luogo dove si<br />

mantengono in vita i valori culturali della biblioteca della mia vita. Ed è un po' quello che sarebbe<br />

successo se tutti i miei libri si fossero trovati soltanto nel reader e nei computer cui esso consente<br />

di accedere. Perché la biblioteca, con la fisicità dei suoi scaffali e la pensante lentezza della sua<br />

struttura, manca nel mondo dei libri digitali. Né vale, per ora, a sostituirla, l'immagine riflessa nello<br />

schermo, per esempio di aNobii o di iBooks, degli scaffali digitali. Quella sembra piuttosto la<br />

scaffalatura della libreria, non della biblioteca personale.<br />

La memoria di una biblioteca è fondamentale. La sua sostituzione vera nel mondo digitale non è<br />

ancora chiara. Ma è un tema di sviluppo al quale varrebbe la pena di dedicare un poco di<br />

creatività. L'interfaccia e l'architettura di interni di un mondo digitalizzato ma che si deve connettere<br />

all'esperienza analogica di chi ne fruisce.<br />

update: Giuseppe Granieri suggerisce l'intrigante soluzione della biblioteca<br />

Goodreads...<br />

fonte: http://<br />

blog.<br />

debiase.<br />

com/2010/08/<br />

kindle-<br />

e - la-<br />

biblioteca-<br />

della-<br />

m . html<br />

------------------<br />

26/8/2010<br />

Biblioteca sociale elettronica<br />

di giuseppe granieri<br />

sociale,<br />

tipo<br />

«I lettori di ebook», scrive il Wall Street Journal, «passano più tempo con il naso tra le pagine».<br />

La ricerca citata nell'articolo è preliminare, e forse è ancora troppo presto per costruire<br />

generalizzazioni. Tuttavia, a quanto pare, un 40% di lettori (tra quelli intervistati) dichiara di leggere<br />

di più da quando è passato al libro elettronico.<br />

309


Post/teca<br />

«Questo dato coincide con la mia esperienza personale», racconta un blogger dell'Economist. «Da<br />

felice possessore di un iPad, mi capita spesso di avere tempo in treno o mentre sono in coda per il<br />

caffè. E ne approfitto per immergermi in un romanzo, in una detective story o in un libro di<br />

management. Piuttosto che sostituire i libri tradizionali, l'iPad è un supplemento ideale».<br />

Luca de Biase, invece, solleva un problema importante. «Il nuovo Kindle piace alla critica. Non si<br />

sa quanto, ma si presume piaccia molto anche al pubblico», scrive. E sottolinea come sia facile<br />

vedere i vantaggi di questa tecnologia: un dispositvo di lettura sempre connesso, con funzioni di<br />

ricerca nel testo e in più l'accesso a un negozio quasi illimitato. «Dunque non è difficile immaginare<br />

che si tratta almeno di un nuovo modo per fruire di quei lunghi testi che un tempo si chiamavano<br />

libri. Un modo fantasticamente adatto all'aggiornamento di chi legge saggi americani di attualità, di<br />

chi ama portarsi in viaggio una quantità di romanzi e saggi, di chi studia un argomento a fondo... E<br />

chissà quanti altri utilizzi. »Ma se il Kindle è la Biblioteca della Mente,<br />

si chiede Luca, alla fine é<br />

«un mondo di libri per nomadi, dove lo spazio è poco mentre è necessario viaggiare leggeri. La<br />

biblioteca invece è pesante. Come sa bene chi cambia casa. Costa. Occupa spazio. Ma il peso, la<br />

lentezza, lo spazio hanno una funzione culturale. La perdiamo a cuor leggero?»<br />

Non è certo una domanda che prevede risposte facili. A me capita spesso di pensarci, quando<br />

guardo la pila di libri fisici sul comodino o i tanti volumi sugli scaffali. Danno in qualche modo la<br />

sicurezza di essere lì, di poterci rimanere, di costruire un insieme ordinato. I file ci sembrano fragili,<br />

basta poco a cancellarli, perderli, dimenticarli in qualche recondito anfratto di qualche cartellina<br />

periferica.<br />

Ma se superiamo l'affezione, l'abitudine ad un comportamento anche rituale, ci rendiamo subito<br />

conto che anche per i libri sta accadendo quello che succede con i nostri dati personali, con gli<br />

appunti, con piccole o grandi porzioni della nostra memoria. Oggi molti di noi conservano queste<br />

«fette» di vita nella nuvola del cloud computing: le mail, le foto, la musica, i file sono tutti custoditi<br />

da una serie di servizi che non possediamo più, ma che ci garantiscono l'accesso da qualsiasi<br />

dispositivo e/o da qualsiasi punto del mondo. I libri non faranno eccezione: non ne avremo più il<br />

possesso fisico, ma godremo dell'accesso. E' già accaduto con tanti altri pezzi della nostra sfera<br />

vitale e lo abbiamo accettato senza troppo dispiacere. La trasformazione che stiamo vivendo<br />

intorno al libro è solo una parte di una trasformazione più grande, quella in cui stamo ridisegnando<br />

il modo di governare la conoscenza umana.<br />

La carta non morirà, nè saremo costretti a separarcene se non vogliamo. Ma la nostra biblioteca<br />

personale dei prossimi anni, forse, sarà molto diversa da quella fatta di volumi di carta affiancati e<br />

disposti ordinatamente su dei mobili. Magari sarà sempre più sociale,<br />

magari assomiglierà a<br />

Goodreads, sarà un posto in cui abbiamo contemporaneamente accesso ai nostri libri letti, alle<br />

letture degli altri e ai libri ancora da leggere. O magari sarà qualcosa che oggi ancora non<br />

possiamo immaginare, come solo pochi anni fa non immaginavamo YouTube.<br />

E' un passaggio che abbiamo già consumato altre volte, ad esempio con le fotografie (che<br />

custodivamo gelosamente nei cassetti e negli album e che oggi sono nella nuvola di Flickr, di<br />

Facebook o del nostro social network preferito). Queste transizioni diventano normali solo se un<br />

numero sufficiente di persone le trova vantaggiose. E anche se -come è ovvio- ogni nuova<br />

soluzione porta con sè nuovi problemi, forse vale la pena di guardare al futuro come a un'altra<br />

bella avventura ricca di stimoli per chi ama la lettura.<br />

310


Post/teca<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

lastampa.<br />

it/_web/<br />

cmstp/<br />

tmplrubriche/<br />

giornalisti/<br />

grubrica.<br />

asp?<br />

ID_<br />

blog=285&ID_<br />

articolo=34&ID_<br />

sezione=&sezione=#<br />

-----------------<br />

NON NEGO CHE LE DONNE<br />

SIANO STUPIDE; DIO<br />

ONNIPOTENTE LE HA FATTE<br />

PER VIVERE INSIEME AGLI<br />

UOMINI. (GEORGE ELIOT)<br />

via xlthlx (via monicabionda)<br />

via: http://<br />

tattoodoll.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

-----------------<br />

"Oggi ho imparato che bisogna lasciare che la vita ci spettini, perciò ho deciso di vivere la vita con<br />

maggiore intensità.<br />

Il mondo è pazzo. Decisamente pazzo. Le cose buone, ingrassano. Le cose belle, costano. Il sole<br />

che ti illumina il viso, fa venire le rughe. E tutte le cose veramente belle di questa vita, spettinano:<br />

fare l’amore, spettina; ridere a crepapelle, spettina; viaggiare, volare, correre, tuffarti in mare,<br />

spettina; toglierti i vestiti, spettina; baciare la persona che ami, spettina; giocare, spettina; cantare<br />

fino a restare senza fiato, spettina; ballare fino a farti venire il dubbio se sia stata una buona idea<br />

metterti i tacchi alti stanotte, ti lascia i capelli irriconoscibili.<br />

Quindi, ogni volta che ci vedremo, avrò sempre i capelli spettinati.<br />

Tuttavia, non dubitare che io stia vivendo il momento più felice della mia vita. E’ la legge della vita:<br />

sarà sempre più spettinata la donna che scelga il primo vagoncino sulle montagne russe di quella<br />

che scelga di non salire.<br />

Può essere che mi senta tentata di essere una donna impeccabile, pettinata ed elegante dentro e<br />

fuori. Questo mondo esige bella presenza: pettinati, mettiti, togliti, compra, corri, dimagrisci,<br />

mangia bene, cammina diritta, sì seria.<br />

Forse dovrei seguire le istruzioni per quando mi ordineranno di essere felice?<br />

Forse non si rendono conto che per risplendere di bellezza, mi devo sentire bella… La persona più<br />

bella che possa essere!<br />

L’unica cosa che veramente importa è che quando mi guardi allo specchio, veda la donna che<br />

311


Post/teca<br />

voglio essere. Perciò, ecco la mia raccomandazione a tutte le donne:<br />

abbandonati, mangia le cose più buone, bacia, abbraccia, balla, innamorati, rilassati, viaggia, salta,<br />

vai a dormire tardi, alzati presto, corri, vola, canta, fatti bella, mettiti comoda, ammira il paesaggio,<br />

goditela e, soprattutto, lascia che la vita ti spettini!!!<br />

Il peggio che pu succederti è che, sorridendo di fronte allo specchio, tu debba pettinarti di nuovo."<br />

Carrie Bradshaw - SATC<br />

via: http://<br />

coccaon.<br />

blogspot.<br />

com/2010/06/<br />

lascia-<br />

che-<br />

la-<br />

vita-<br />

ti-<br />

spettini.<br />

html<br />

---------------------<br />

20100827<br />

Rain Men<br />

August 24, 2010 | by Angus Trumble | File under On Language<br />

The lost language of Italian parasols and the men who made them.<br />

312


Post/teca<br />

Photograph by Almanac Piemonteis Times.<br />

Last month, on a visit to Piedmont in northern Italy, I chanced upon a small museum in the hill town<br />

of Gignese that is devoted to the local craft of umbrella-making. At first, I wondered how this<br />

particular region along the west shore of Lago Maggiore became associated with the production—<br />

through the past few centuries—of quality umbrellas and parasols, but the reason is not hard to<br />

find. Every year more than thirty-three inches of rain falls over the neighborhood of Turin, and more<br />

than thirty-nine around Milan. That’s at least a third more than what London gets. Meanwhile the<br />

northern Italian summers are hot and sunny. The word umbrella descends from the Latin<br />

umbraculum, which means a convenient device for providing shade.<br />

The ancient Romans were very fond of umbrellas, and regularly exchanged them as gifts. Yet<br />

umbrellas were virtually unknown in England and America before the 1780s, and the traveler Jonas<br />

Hanway, who acquired a Piedmontese umbrella in Leghorn (Livorno), was for many years held up<br />

to ridicule when, in about 1750, he returned to London with one. The problem before the midnineteenth<br />

century was that Regency umbrellas were oily, not necessarily reliably waterproof, and<br />

tended to run—and the harder it rained, the worse it was. Oil and dye in roughly equal measure<br />

dribbled and spattered onto silk or muslin dresses. Gloves, bonnets, and satin slippers were<br />

maculated by nasty black spots. So at first umbrellas were used in England much more as shelter<br />

from the sun than the rain, and exclusively by women. It took several early Victorian decades for<br />

the English umbrella to shed its reputation for effeminacy, and more than a century and a half for it<br />

313


Post/teca<br />

to burrow its way into the national character, and take up its dignified position in the crook of<br />

Neville Chamberlain’s elbow.<br />

In the seventeenth and early eighteenth centuries the ombrellai of Piedmont were a relatively<br />

closed community of highly specialist craftsmen. They engaged child-apprentices from among the<br />

poorest families of the region. Upon signing up, the apprenticed ombrellaio received a pair of<br />

shoes, somewhere to sleep, two square meals a day, and, of course, an umbrella. He said<br />

goodbye to his family for at least a period of four or five years—effectively, for good—and as well<br />

as learning to make umbrellas, he hiked from town to town selling braces of them to wholesalers,<br />

agents, and traders for export, mostly through Genoa.<br />

As with so many other northern Italian industries (most famously the glass factories of Venice) the<br />

relevant production techniques, recipes, and other trade secrets were jealously guarded and<br />

protected with much paranoia, even ruthlessness. To that end the ombrellai used an in-house<br />

language known as Tarùsc, which seems to have existed in one form or another among the hilldwelling<br />

people of Piedmont and the southern cantons of Switzerland since at least pre-Roman<br />

times. And while it came to be associated almost exclusively with the ombrellai, it was also used for<br />

related purposes by smugglers, thieves, spies—indeed a comparatively large proportion of the<br />

population whose occupations were covert.<br />

According to local folklore, il Tarùsc was a very shy, small bad-tempered gnome who lived on the<br />

slopes of Mottarone and Motta Rossa. He was surly, difficult, and misanthropic. Nevertheless from<br />

him the ombrellai learned the art of making the shapeliest, lightest, most lissome and elegant<br />

umbrellas in all the world. And in the process Tarùsc taught the ombrellai how to speak his own<br />

strange tongue. He had a long red beard; wore green clothes, red shoes, and a tricorn hat that<br />

doubled as a knapsack. His extreme shyness did not prevent Tarùsc from engaging in spiteful little<br />

pranks, such as tripping people on mountain paths, wolf-whistling, and other impertinent behavior.<br />

If you found yourself targeted in this way, the only solution was to scatter a sack of rice as near as<br />

possible to the site of the affront, so that gathering it all up again, grain by meticulous grain, he was<br />

distracted all through the night, long enough to forget all about you and move on to his next<br />

hapless victim.<br />

That was of course the unofficial story. In fact, the language called Tarùsc was documented in the<br />

seventies by the ethnographer P. E. Manni da Massino, just in the nick of time, before the last old<br />

men who still spoke it died out. His view was that Tarùsc drew upon five distinct sources: (1) Italian,<br />

that is to say the reasonably stable dialects of Lombardy, Piedmont, Liguria, and the southern<br />

cantons of Switzerland, and was therefore built, in turn, upon the ancient bedrock of (2) Latin; (3)<br />

German, that form of it that seeped across the Dolomites from southern Austria, and across the<br />

Swiss Alps from Bavaria; (4) French, thanks to the traditional alliances that regularly formed and<br />

re-formed in the same period between France and Savoy, and (5) Spanish, because of Philip II’s<br />

sixteenth-century annexation of the Duchy of Milan.<br />

But Manni also concluded from his not always helpful informants that by the mid-nineteenth<br />

century there must have been various strains of Tarùsc that were sufficiently different from one<br />

another to cause a headache in the umbrella-making community. A linguistic fork in the road<br />

divided Tarùsc alla stresiana (the form of Tarùsc that was spoken in Stresa), for example, from<br />

Tarùsc alla massinese (Massino), and forms of Tarùsc that were spoken in the approximately forty<br />

other Piedmontese towns and villages where umbrellas and parasols were made.<br />

Manni never got as far as plotting any plausible grammar of Tarùsc. He made some progress with<br />

his old men, but they were inclined to be grumpy, suspicious, and maddeningly reluctant to share<br />

any expressions that related directly to the craft of umbrella-making, because obviously their<br />

314


Post/teca<br />

commitment to trade secrecy outweighed any desire to preserve the language they must have<br />

known was on the verge of extinction.<br />

All we have is a few stray words, a list of numbers, some cooking terminology, and names for a<br />

handful of farm animals and plants. But I assure you: the umbrellas themselves are beautiful.<br />

Tarùsc Italian English<br />

minu uomo man<br />

mazucà sposo husband<br />

manìja donna/moglie woman/wife<br />

gjuméll figlio son<br />

gjumèla figlia daughter<br />

raspänta gallina hen<br />

muss gatto cat<br />

tabù cane dog<br />

ciusa capra goat<br />

verr capretto kid<br />

burùcia pecora sheep<br />

burùcc agnello lamb<br />

jébul cavallo horse<br />

sluscià poive rain<br />

lùscia ombrello umbrella<br />

ritúsc ombrello di seta silk umbrella<br />

rajòn ombrello rotto broken umbrella<br />

élban uovo egg<br />

gêrb pane bread<br />

milk latte milk<br />

mösa minestra soup<br />

jênk riso rice<br />

varna carne meat<br />

cartòful patate potatoes<br />

315


Post/teca<br />

stafél formaggio cheese<br />

vuncìn burro butter<br />

slandrina camicia shirt<br />

sciärbëtul scarpe shoes<br />

mucareu fazzoletto handkerchief<br />

mòcul naso nose<br />

lusnéj occhi eyes<br />

rundél mondo world<br />

Kasêr del rundél Dio God<br />

t’zurla prete priest<br />

böla paese town<br />

böla di t’zurla Roma Rome<br />

stringòn carabiniere policeman<br />

pilusàt pescatore fisherman<br />

denciòn avvocato attorney<br />

sbrugnabäcâgn medico doctor<br />

brüsapignàt cuoco cook<br />

munéll ladro thief<br />

brisòld ricco rich<br />

crügia casa house<br />

brédul freddo cold<br />

imbrüna sera evening<br />

ruff fuoco fire<br />

scabià bere to drink<br />

räcàgna grappa grappa<br />

bernarda serva female servant<br />

disbalûra chiacchierata friendly chat<br />

grapèll mani hands<br />

316


Post/teca<br />

piulàt ubriaco drunk<br />

s’ciözz gambe legs<br />

minìn bacio kiss<br />

smòrfia bocca mouth<br />

pajarînn seni breasts<br />

patìnn letto bed<br />

lòfia cattiveria naughtiness<br />

in fund del piän sfinito exhausted<br />

cubià dormire sleep<br />

lüsneu alba dawn<br />

marisch fidanato fiancé<br />

ficà da lòvigh andare to go<br />

luscà vedere to see<br />

squita paura fear<br />

caramlà discutere to discuss<br />

s’ ciunà appioppare to administer<br />

tafòn schiaffo slap<br />

lumà piangere to weep<br />

ribas no no<br />

vol sì yes<br />

smèssär coltello knife<br />

sbarliosa morte death<br />

catùfla prigione jail<br />

traùna chiave key<br />

lungôs anno year<br />

lüsusa mattina morning<br />

spuntòn uno one<br />

silvester due two<br />

317


Post/teca<br />

trent tre three<br />

pala quattro four<br />

sgrifia cinque five<br />

du trent sei six<br />

pala e trent sette seven<br />

do pall otto eight<br />

pala e sgrifia nove nine<br />

mina russìn dieci ten<br />

Angus Trumble is senior curator of paintings and sculpture at the Yale Center for British Art in New<br />

Haven, Connecticut, and this word list has been selected from Il Tarùsc: la parlata degli ombrellai,<br />

dizionarietto etimologico, by P. E. Manni da Massino (Varallo Sesia, Piedmont: Fratelli Capelli,<br />

n.d.).<br />

fonte: http://<br />

blog.<br />

theparisreview.<br />

org/2010/08/24/<br />

rain-<br />

men/<br />

-----------------------------<br />

Ma che è? La rivoluzione?<br />

R - ESISTENZA-<br />

INFINITA<br />

(via hneeta)<br />

(via emmanuelnegro)<br />

[…]<br />

Ieri sera ho letto le dichiarazioni di propaganda che quel<br />

cretino di tremonti ha rilasciato a Rimini durante il sabba di<br />

comunione e liberazione. Nonostante la gente che muore,<br />

secondo il ministro (?) è ora di rivedere i diritti dei lavoratori,<br />

che sono troppo onerosi, che l’Italia non si può più permettere.<br />

Secondo lui, persino la legge 626, quella che in teoria<br />

dovrebbe salvare la vita a chi ancora lavora, è troppo costosa<br />

per il padrone. Ma peggio, per tremonti, sarebbe ora che l’Italia<br />

e l’Europa si adeguassero al resto del mondo. Vale a dire:<br />

318


Post/teca<br />

“perché essere costretti a delocalizzare in Vietnam o in<br />

Bangladesh quando possiamo fare dell’Italia un nuovo Vietnam<br />

o un nuovo Bangladesh?”<br />

E dopo aver letto queste dichiarazioni, aggiornando la pagina<br />

del giornale on line, mi è apparsa la foto di una macchina dei<br />

carabinieri in fiamme, con un titolo in neretto: “Contestato<br />

maroni, scontri con la polizia.” Per un attimo ho avuto un tuffo<br />

al cuore: “Dai! Cazzo … Inizia la rivoluzione!”<br />

Poi ho letto bene: era la Berghem fest della lega, e a mettere a<br />

ferro e fuoco la città, ad incendiare le macchine dei carabinieri,<br />

della polizia locale, a prendere le botte erano i tifosi<br />

dell’Atalanta. Contestavano il ministro per l’ingiustizia schifosa<br />

della tessera del tifoso.”<br />

E allora … andate a cagare.<br />

Rita Pani (APOLIDE)<br />

Da leggere, tutto. E andate a cagare se non siete d’accordo.<br />

(via ze-<br />

violet)<br />

ESATTAMENTE.<br />

(via emmanuelnegro)<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com<br />

---------------------<br />

La prima guerra degli e-book è già finita<br />

Raggiunto un accordo tra Random House e l'agente letterario che avevano provato a<br />

scavalcare gli editori trattando direttamente con Amazon: non se ne farà niente<br />

La battaglia tra Random House, una delle più potenti case editrici al mondo, e<br />

l’agente letterario americano Andrew Wylie è finita, e sembra finita in pace. Lo<br />

scorso mese Wylie aveva annunciatol’apertura di una nuova casa editrice, la<br />

Odissey Editions,<br />

dedicata esclusivamente alle edizioni digitali dei suoi autori, da<br />

trattare direttamente con Amazon per il suo Kindle saltando le case editrici che<br />

facevano da intermediarie. Gli autori dei titoli in catalogo, tutti classici moderni e<br />

319


Post/teca<br />

contemporanei, erano di grande rilievo: tra gli altri Philip Roth, John Updike e<br />

Vladimir Nabokov.<br />

Le case editrici, e Random House in particolare, avevano protestato contro la<br />

mossa di Wylie, reclamando i diritti digitali di quegli autori. Random House aveva<br />

infine dichiarato concluso qualsiasi tipo di rapporto con l’agenzia di Wylie,<br />

smettendo di pubblicare i titoli degli oltre 700 autori che rappresentava.<br />

Ora sembra che le due parti abbiano trovato un compromesso. Il New York Times<br />

scrive che Random House ha ottenuto i diritti della pubblicazione digitale dei 13<br />

romanzi contestati, che verranno quindi eliminati dal catalogo della Odissey. Le due<br />

società hanno comunicato la notizia attraverso un comunicato congiunto:<br />

«Siamo lieti di annunciare che la Wylie Agency e Random House hanno risolto le<br />

loro divergenze sui titoli di Random House che la Odyssey Editions aveva incluso<br />

nel suo catalogo di e-books.»<br />

Random House ha inoltre fatto sapere che la collaborazione con Wylie ripartirà<br />

come se non fosse successo nulla. Non è chiaro, scrive il New York Times, cosa<br />

succederà al catalogo della Odyssey: al momento sono solo sette i suoi autori, tra<br />

cui Saul Bellow, Jorge Luis Borges, William S. Burroughs e Oliver Sacks.<br />

La portavoce di Random House non ha voluto comunicare i termini dell’accordo<br />

finanziario, limitandosi a dire che sono gli stessi che hanno con altre agenzie<br />

letterarie. In ballo non c’era solo il possesso dei diritti dei libri, ma anche il valore di<br />

questi diritti e le royalties degli autori. I più limitati costi di produzione da parte degli<br />

editori avevano suggerito agli autori di pretendere di più per se stessi e che gli<br />

editori meritino meno, alzando i loro diritti sulle vendite di e-book fino al 50 per<br />

cento.<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

ilpost.<br />

it/2010/08/26/<br />

random-<br />

house-<br />

wylie-<br />

ebook-<br />

amazon/<br />

------------------<br />

Mi scopi talmente bene che<br />

sembri la mia mano sinistra<br />

— sono mancino. (via spaam)<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------------------<br />

320


Post/teca<br />

Beh, chi lo pensa ha il dovere della coerenza. Chi pensa che<br />

sbagliamo a non boicottare, ci boicotti a sua volta. Ma lo faccia<br />

subito, senza ulteriori tentennamenti, basta coi parolai! In<br />

fondo è semplice: basta non comprare i nostri libri. Non<br />

comprateli più, è un vostro diritto e lo esercita già molta gente.<br />

Siate coerenti e boicottateci. L’importante è che non ci<br />

rompiate più le balle.<br />

Chi poi volesse boicottare l’Einaudi senza boicottare noi, può<br />

scaricare i nostri libri gratis e non dare un ghello all’Einaudi. E’<br />

una possibilità che diamo da oltre dieci anni. Lo rammentiamo<br />

nel caso qualcuno se lo fosse scordato. (…)<br />

L’Einaudi non è un luogo dove tutto va bene, bensì un campo<br />

di battaglia. E’ così che l’abbiamo sempre descritta, e non è<br />

un’espressione scelta a caso: è in corso una guerra. Lì dentro<br />

c’è chi combatte ogni giorno per difendere degli spazi, per<br />

difendere il proprio lavoro. E noi vogliamo continuare a dare<br />

un contributo. Conosciamo la casa editrice, da anni la viviamo<br />

nella sua complessità (benché a relativa distanza), conosciamo<br />

le pressioni che vengono fatte e subite, conosciamo i conflitti<br />

interni, i contrasti, le difficoltà, sappiamo quali errori vengono<br />

commessi e perché, sappiamo quali tendenze intervengono a<br />

compensare alcuni di questi errori, abbiamo un’idea di<br />

massima ma abbastanza buona dei “paletti” e degli<br />

sconfinamenti. Sappiamo anche che alcuni “scandali” degli<br />

ultimi anni e mesi erano poco più che montature mediatiche,<br />

ma su questo non intendiamo dilungarci. Ci sono interessi di<br />

bottega. C’è gente che ha il dentino avvelenato contro la casa<br />

editrice. Insomma, le cose non sono semplici come vengono<br />

descritte. (…)<br />

A ben vedere, noi Wu Ming veniamo da una pesante sequela di<br />

321


Post/teca<br />

fallimenti. C’è forse un altro modo di descriverli? Undici anni<br />

dopo il nostro esordio, siamo ancora una “bizzarria”. Nessuna<br />

nostra prassi è diventata esempio contagioso. La scrittura<br />

collettiva resta una bestia rara. Il copyleft è fermo ai blocchi di<br />

partenza. La carta riciclata l’adottano in pochissimi. La<br />

letteratura italiana è ancora in gran parte fatta da scorreggioni.<br />

La grande maggioranza degli «addetti ai lavori» ci detesta e<br />

passa sotto silenzio il nostro lavoro. A conti fatti, abbiamo<br />

“inciso” molto, molto meno di quanto avremmo voluto.<br />

Il nostro rimanere in Einaudi non ha nulla di “universale”, né<br />

stiamo indicando la Via (o dando la linea) ad alcuno. Non<br />

siamo apostoli né “cavalli di Troia” per niente e per nessuno.<br />

Facciamo, nella nostra singolarità, ciò che riteniamo giusto,<br />

punto. Se c’è chi, al contrario, lo ritiene ingiusto, vale il punto 6<br />

di questo stesso testo.<br />

Boicotta Wu Ming.<br />

—<br />

Boicotta Wu Ming<br />

L’unica presa di posizione che rispetto in questa farsa della<br />

crisi di coscienza degli autori di sinistra che pubblicano con<br />

Mondadori ed Einaudi, da sempre, è quella dei Wu Ming perché<br />

il problema hanno cominciato a porselo da subito, perché non<br />

hanno ammorbato giornali e riviste con le loro dichiarazioni<br />

d’intenti, perché si sono sempre pensatamente schierati senza<br />

mandare avanti gli altri, perché non hanno aspettato un<br />

teologo molto furbo e poco pentito per essere folgorati sulla<br />

via di Segrate, perché hanno cambiato e stravolto le logiche<br />

editoriali imponendo a una grande casa editrice regole e<br />

limitazioni, persino l’utilizzo di un certo tipo di carta per i loro<br />

libri, perché hanno tirato le somme e ammesso che qualcosa<br />

non è andata come pensavano ma soprattutto perché a<br />

322


Post/teca<br />

qualsiasi obiezione, loro sì, possono opporre dei fatti: i libri dei<br />

Wu Ming sono gratuitamente scaricabili on line. Questione<br />

chiusa.<br />

(via seia)<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com<br />

----------------------<br />

Ottimista senza speranza<br />

di redazione il 27 agosto 2010 · 1 commento<br />

in crocevia<br />

[Una versione più breve di questa intervista realizzata da Andrea Cortellessa a Nanni Balestrini<br />

è uscita su «Tuttolibri» della «Stampa» il 21 agosto.]<br />

AC<br />

Sembra esserci qualcosa di non italiano in te. Voglio dire al di là del tuo aspetto fisico, delle tue<br />

origini famigliari. C’è qualcosa di straniero, come se fossi sempre in fuga o, comunque,<br />

velocemente di passaggio. Come se risiedere in Italia fosse qualcosa di accidentale, anzi proprio<br />

un incidente; uno di quegli incidenti dai quali non ci si rimette mai del tutto…<br />

NB<br />

Mia madre era tedesca, di Colonia, ma ha sempre vissuto in Italia; si trasferì a Milano quando<br />

sposò mio padre, che faceva l’industriale nel settore chimico. Dal punto di vista esistenziale, più<br />

che in fuga non mi sono mai sentito legato a un’identità locale. Le città dove ho vissuto, Milano,<br />

Roma, Parigi e Berlino, le sento tutte città mie, non sento legami con un’origine specifica. Ho l’idea<br />

che potrei stare in qualsiasi posto del mondo: dove faccio delle cose, lì sto bene. Per me è stato<br />

molto importante, piuttosto, essere stato giovane negli anni Cinquanta, un’epoca straordinaria per<br />

la cultura europea. Gli anni Cinquanta e Sessanta sono stati un nuovo Rinascimento, i cui esiti si<br />

riverberano ancora oggi. Un periodo ricchissimo, pieno di curiosità instancabili, e che venivano<br />

soddisfatte! Ora, tutto questo in effetti proveniva dall’estero; la generazione di intellettuali italiani<br />

precedente alla mia non mi pareva più in grado di offrire niente. Al limite, dell’Italia mi interessava<br />

più quello che era successo all’inizio del secolo; il Futurismo per esempio.<br />

AC<br />

323


Post/teca<br />

Un libro simbolo di quel tempo?<br />

NB<br />

C’erano delle cose che all’estero erano stranote ma in Italia apparvero, allora, come novità<br />

dirompenti. I Cantos o l’Ulisse per esempio. Ho cominciato a scrivere poesie nell’adolescenza,<br />

effusivamente, come si fa in quell’età – qualcosa che con la poesia vera e propria, con l’arte del<br />

linguaggio, com’è ovvio non aveva niente a che fare (anche se, oggi come allora, non manca chi<br />

pensa che la poesia sia quello che Sanguineti chiamava il “poetese”, appunto l’effusione<br />

sentimentale del soggetto). Leggere poeti come Rimbaud e Pound, che a scuola erano<br />

sconosciuti, mi ha fatto capire che dovevo andare in una direzione diversa. E che, soprattutto,<br />

dovessi inventarmi qualcosa di nuovo, io personalmente.<br />

AC<br />

Il tuo ultimo lavoro, Caosmogonia, uscito all’inizio di quest’anno nello «Specchio» Mondadori,<br />

dispiega pienamente quest’idea della poesia come «arte del linguaggio». Ogni poemetto mostra<br />

istanze diverse, modalità anche contrastanti.<br />

NB<br />

Sì, i primi tre componimenti si ispirano a degli influssi diversi – parole di Bacon, Cage e Godard<br />

che ho ritagliato e montato e che mi servono per dichiarazioni di poetica, o di etica se vuoi. La<br />

parte centrale è per me abbastanza nuova, perché si tratta di una specie di flusso di accostamenti<br />

verbali che ha a che fare con la logica dell’inconscio. Come ama dire Eco, siccome ho sempre<br />

usato il collage verbale io in effetti non ho mai scritto una parola di mio; è un’esagerazione ma c’è<br />

del vero, perché anche le parole mie le ho sempre usate in modo impersonale. Qui ho lasciato<br />

invece parlare la lingua del mio inconscio, come fosse quella di un estraneo.<br />

AC<br />

È come se la frantumazione stavolta fosse avvenuta in un’altra sede, a livello onirico…<br />

NB<br />

L’inconscio si è messo a parlare, e io l’ho lasciato fare.<br />

AC<br />

In fondo sei molto liberale. Lasci sempre parlare la gente – e dunque anche l’inconscio, perché<br />

no? Tornando alla tua formazione: make it new di Pound è stato lo slogan decisivo?<br />

NB<br />

La poesia dei Cantos non aveva niente a che fare con quello che conoscevo all’epoca. L’uso<br />

materico del linguaggio, lo scardinamento della “lingua madre”, l’ideogramma. Ma anche il<br />

personaggio, l’icona di Rimbaud, il faut être absolument modernes.<br />

AC<br />

Pound era anche l’autore di culto della tua couche milanese… Vanni Scheiwiller, Aldo Tagliaferri,<br />

Leo Paolazzi cioè il futuro Antonio Porta…<br />

NB<br />

Ho un ricordo forte di una lettura di Pound a Milano appunto; il suo ritmo come un basso continuo,<br />

una specie di mantra sonoro. Non c’erano solo l’imagismo o la poesia visiva; la matericità del<br />

linguaggio era un ritmo corporeo di straordinario coinvolgimento. Pound fu decisivo anche come<br />

critico; è stato lui a insegnarci, per esempio, che un classico dell’Ottocento come L’educazione<br />

sentimentale di Flaubert anticipava già l’epica del quotidiano che deflagra nell’Ulisse di Joyce.<br />

L’educazione sentimentale mi affascinava fin dalla giovinezza: la critica spietata e appassionata<br />

della borghesia e del suo romanzo attraverso una scrittura che annega l’illusione romantica nella<br />

banalità quotidiana, una struttura senza trama e senza eroi che sfilaccia l’esistenza borghese in<br />

una scettica consapevolezza di inutilità, corruzione e fallimento… La couche… a scuola ho<br />

324


Post/teca<br />

incontrato altri compagni amanti della poesia. Ma soprattutto ho avuto la fortuna di avere Luciano<br />

Anceschi come professore di filosofia, al Liceo Scientifico Vittorio Veneto di Milano (mio padre<br />

s’era messo in testa che avrei dovuto fare l’ingegnere). Era il 1952. Anceschi era un uomo di<br />

straordinaria generosità; si interessò ai miei primi versi, ed entrammo in un rapporto stretto che<br />

conservammo per tutta la vita. Diventai subito il ragazzo di bottega del «verri», alla sua fondazione<br />

nel ’56. Fu un’esperienza decisiva, entrai nel mondo letterario da quella che allora non sembrava,<br />

ma in effetti era, la porta principale. Nello stesso anno lessi Laborintus di Sanguineti. Aveva solo<br />

cinque anni più di me, ma a me pareva una distanza decisiva; l’ho subito considerato il mio<br />

maestro e infatti l’ho sempre chiamato così, “Maestro”.<br />

AC<br />

Una delle frasi che colpiscono, in Caosmogonia, è presa da Francis Bacon: Ciò che conta è ciò<br />

che avviene senza sapere quale sarà il risultato. A me, guardando a quegli anni, pare vero il<br />

contrario di quello che si tende a dire oggi, che ci fosse cioè un ragguardevole sforzo progettuale i<br />

cui èsiti letterari non furono però alla sua altezza. Al contrario, a guardare au ralenti quel momento<br />

si vedono tentativi che vanno in tutte le direzioni, e lo sforzo teorico era per lo più ex post. Ancora<br />

da Caosmogonia: all’improvviso succede qualcosa di cui l’istinto si appropria / catturare il fatto nel<br />

suo momento più vitale.<br />

NB<br />

Ma basta vedere cosa facevano in poesia i Novissimi, sono poeti che andavano in direzioni molto<br />

diverse l’uno dall’altro. Alle riunioni del Gruppo 63 le baruffe non erano teatro, c’era una distanza<br />

persino esasperata fra noi. C’era per esempio il neosurrealismo di «Malebolge», di Corrado Costa<br />

o Adriano Spatola, che aveva davvero poco a che fare con me o con Sanguineti…<br />

AC<br />

Del resto lo teorizzava proprio Anceschi, che la poesia non dovesse essere post rem, applicazione<br />

o “traduzione” estetica di una concettualizzazione elaborata altrove…<br />

NB<br />

… al contrario: teoria, poetica e critica erano innestate nella poesia stessa.<br />

AC<br />

Nell’organigramma della neoavanguardia, al tuo nome resta legata questa spinta al fare,<br />

all’organizzare. Ancora Caosmogonia: la sensazione di essere mortale / anima la vita / ottimista<br />

senza speranza.<br />

NB<br />

È un po’ la mia croce, essere sempre stato delegato a questo ruolo quando si trattava di<br />

organizzare convegni, festival, riviste… Posso avere alcune qualità organizzative, ma non è che<br />

dovessi farlo a tutti i costi. Nessuno ne voleva sapere; mi ci incastravano tutte le volte, finché è<br />

parso naturale che mi occupassi sempre io degli aspetti organizzativi. Ancor oggi, con alfabeta2,<br />

mi capita questa cosa. Poi c’è stato anche il mio lavoro editoriale, a insegnarmi qualche trucco del<br />

mestiere.<br />

AC<br />

Tu hai lavorato in un’editoria che era già un fenomeno industriale, ma assai diversa da quella di<br />

oggi.<br />

NB<br />

Come dicevo prima, ho avuto fortuna. Ho iniziato a lavorare nell’editoria negli anni Sessanta, alla<br />

Feltrinelli, dove ho incontrato subito un personaggio come Giangiacomo Feltrinelli. Sono stati anni<br />

appassionati, anni felici, anni straordinari. Ma anche l’Einaudi e la Bompiani erano case editrici di<br />

prim’ordine. C’era una quantità di persone della mia generazione che ci lavorava. Ed erano<br />

325


Post/teca<br />

anzitutto intellettuali, giovani scrittori ad avere ruoli decisionali: già questo aspetto ci distanzia<br />

decisamente dalla situazione attuale. Fare una casa editrice significava anzitutto proporre<br />

un’invenzione intellettuale. La dimensione del mercato c’era anche allora, ovviamente: la prima<br />

cosa che mi disse Feltrinelli era che lo scopo di un editore non è pubblicare libri, ma venderli. Ma<br />

alla Feltrinelli per esempio, con personaggi come Valerio Riva ed Enrico Filippini, scoprire nuove<br />

aree come la letteratura sudamericana o quella tedesca significava a un tempo esercitare<br />

l’immaginazione imprenditoriale e fare una scommessa culturale.<br />

AC<br />

In quella situazione l’interesse culturale e quello politico non erano cose separate, erano la stessa<br />

cosa.<br />

NB<br />

Beh, l’intento iniziale di Feltrinelli era schiettamente politico; e la sua attrazione per le situazioni<br />

rivoluzionarie lo porterà a una fine tragica. In ogni caso, da noi alla Feltrinelli non c’era una<br />

separazione netta fra narrativa e saggistica. Per gli scrittori italiani, poi, c’era l’idea di una<br />

progettazione a lungo termine: era possibile pubblicare libri fuori del mercato, come per esempio<br />

quelli della neoavanguardia, perché li si considerava importanti culturalmente, apportavano un<br />

prestigio intellettuale.<br />

AC<br />

Cos’è cambiato, da allora?<br />

NB<br />

La fine di questo sistema è legata alla scomparsa fisica dei fondatori di queste case editrici.<br />

Personaggi che erano in grado di trovare sovvenzioni, non pubbliche come in altri paesi come la<br />

Francia, ma private (Feltrinelli si finanziava da solo con le sue altre imprese, mentre la FIAT<br />

finanziava Einaudi per esempio). Dopo la loro scomparsa, le case editrici che portano i loro nomi<br />

sono divenute società gestite da amministratori, dunque l’unica cosa che conta è far quadrare i<br />

bilanci. Poi c’è evidentemente anche una mutazione strutturale, legata all’allargarsi dell’editoria a<br />

fenomeno di massa; del resto in Italia proprio la Feltrinelli è stata protagonista di questo<br />

mutamento.<br />

AC<br />

Nell’editoria di oggi, i libri sono concepiti come armi di intrattenimento di massa.<br />

NB<br />

In Italia abbiamo l’abitudine di adeguarci al livello più basso. Lo si vede in politica, ma anche nei<br />

comportamenti individuali. L’editoria di massa all’estero si fa benissimo, infatti i più grandi<br />

bestseller li importiamo, ma altrove si mantiene vivo anche un settore letterario che ha<br />

evidentemente un pubblico più limitato ma comunque esistente, consistente. Da noi si fa finta che<br />

non esista, questo pubblico diverso; anzi, addirittura lo si respinge, evitando di pubblicare libri che<br />

vadano in quella direzione, o ingannevolmente presentandoli come opere d’evasione. Sugli autori<br />

esordienti, poi, si interviene massicciamente a livello di editing, per normalizzarli secondo una<br />

media astratta; vengono letteralmente ricattati, amputandoli delle loro potenzialità. Ci sono<br />

evidentemente delle eccezioni, ma il panorama italiano è in sostanza questo. Viviamo nel dogma<br />

capitalista della produttività, nel mito dello sviluppo, c’è il feticcio del PIL; è questo fra l’altro che<br />

causa crisi ricorrenti che sono essenzialmente crisi di sovrapproduzione: si incoraggia la gente a<br />

indebitarsi sino a che la situazione diventa insostenibile e la bolla esplode. Anche in editoria c’è<br />

una quantità eccessiva di pubblicazioni, una massa immensa di titoli che non vengono nemmeno<br />

selezionati, si va avanti con gli anticipi della distribuzione, poi al momento delle rese ci si ritrova<br />

indebitati fino al collo…<br />

326


Post/teca<br />

AC<br />

… è la corsa dei lemming verso la scogliera. Senti, la tua vita intellettuale è stata scandita dalle<br />

riviste. Per dirla col Cage di Caosmogonia: costruire cioè riunire ciò che esiste allo stato disperso.<br />

Cominci col verri, come hai ricordato; poi c’è Quindici, la prima Alfabeta, e ora alfabeta2. Sono<br />

quattro situazioni completamente diverse, quattro Italie molto lontane l’una dall’altra.<br />

NB<br />

Il verri fu l’apertura all’estero, la gita a Chiasso per dirla con Arbasino; Quindici fu la fine della<br />

neoavanguardia e l’abbracciare un’azione politica più diretta: esplose il Sessantotto e fu un<br />

momento di mutazione violenta, non c’è dubbio. Prima non è che fossi indifferente alla politica, ma<br />

quello che succedeva in Italia negli anni Sessanta da questo punto di vista francamente non mi<br />

coinvolgeva granché, seguivo Quaderni rossi ma insomma non era al centro dei miei interessi. Dal<br />

Sessantotto in poi le cose sono cambiate, negli anni Settanta mi sono sostanzialmente dedicato<br />

alla politica. Non ho certo le qualità del teorico né del dirigente, ma le mie capacità organizzative<br />

sono tornate utili anche allora. Mi sono occupato dell’aspetto editoriale di Potere operaio, per<br />

esempio. Verso il 1976-77, poi, inventammo Area: una federazione di una dozzina di piccole<br />

iniziative editoriali come la Cooperativa scrittori, l’Erba voglio, Aut Aut, eccetera (molte erano<br />

espressione di aree politiche, appunto), che messe assieme componevano un’entità di medie<br />

proporzioni, con una buona distribuzione e ottimi risultati commerciali. I singoli editori, come<br />

Fachinelli per l’Erba voglio per esempio, erano perfettamente autonomi nelle scelte ma non<br />

dovevano poi occuparsi del resto della “filiera”. A questa situazione venne messa la parola fine con<br />

interventi politici pesanti; la storia per la verità è piuttosto complessa, ma insomma si vede che<br />

tutto si può fare, da noi, tranne mettere in discussione gli assetti economici vigenti con efficacia.<br />

AC<br />

E poi ci fu Alfabeta.<br />

NB<br />

Sì, insieme a molte persone che provenivano appunto dall’Area, che chiude nel ’78. Io in quel<br />

periodo vivevo a Milano, e con gli amici di lì pensammo che occorreva reagire al dilagare della<br />

repressione, alla criminalizzazione di ogni dissenso, alle leggi speciali che intervenivano sul<br />

tessuto sociale e culturale a tutti i livelli. Con Paolo Volponi, Maria Corti, Antonio Porta, Gianni<br />

Sassi, Mario Spinella e altri pensammo di partire dall’eterogeneità dei nostri percorsi, senza<br />

dissimularla: eravamo uniti proprio dall’emergenza in atto. Io però ho fatto in tempo a fare solo il<br />

primo numero, aprile 1979 (spero che la storia non si ripeta così anche stavolta!). Mentre il<br />

fascicolo andava in stampa venni coinvolto nel processo «7 aprile», e sono dovuto andare via<br />

dall’Italia. Il numero 1 di Alfabeta l’ho ricevuto per posta, a Parigi. Ho continuato a seguire la rivista<br />

da lontano, ma non ho partecipato alle riunioni settimanali della Redazione, che – dicono quelli che<br />

le hanno vissute – erano occasioni piuttosto eccezionali. Dopo il processo e l’assoluzione rientro in<br />

Italia nel 1984, ma ho continuato a vivere più in Francia che in Italia ancora negli anni Novanta.<br />

Proprio in Francia, avendo molto tempo a disposizione, ho cominciato a dedicarmi con continuità<br />

all’arte visiva, che è poi oggi è la mia attività prevalente. Ho sempre fatto collages, sin da quando<br />

ho cominciato a scrivere poesia sul serio: proprio il considerare la parola come oggetto ha portato<br />

con sé la pratica del ritaglio e del collage. Poi ho sempre fatto una quantità di altre cose;<br />

programmi televisivi, la prima web-tv-cam culturale, eccetera.<br />

AC<br />

E oggi, come mai di nuovo una rivista?<br />

NB<br />

Mah, l’idea ce l’ho da qualche anno; ne ho parlato tante volte con Eco. Poi l’estate scorsa,<br />

327


Post/teca<br />

constatando una situazione italiana sempre più incancrenita, una cultura sempre più degradata, ci<br />

siamo decisi. Gli intellettuali non possono più stare alla finestra, spettatori del naufragio, bisogna<br />

lanciare un S.O.S. Come nel caso della prima Alfabeta, la cosa più importante secondo me è<br />

mettere assieme diverse generazioni: c’è la mia, la tua, quella di mezzo – un po’ più problematica,<br />

segnata dal riflusso – e poi i più giovani, che incontriamo nelle università e in altri luoghi e che<br />

saranno l’anima del sito www.<br />

alfabeta2.<br />

it,<br />

tutt’altro che una vetrina neutra della rivista cartacea ma<br />

al contrario, speriamo, il suo vero motore. Tra noi ci sono ovviamente delle differenze ma non mi<br />

pare conflitti; anche nei seminari di Ricercare, che negli anni Novanta a Reggio Emilia sono stati<br />

un laboratorio piuttosto importante, l’elemento che ci accomunava era la necessità di un<br />

atteggiamento di ricerca, in sede tanto artistica che politica. Il fatto che alfabeta2 abbia ricevuto<br />

attacchi da più parti credo voglia dire che la cosa non lascia indifferenti. Poi nella maggior parte dei<br />

casi c’è stata un’accoglienza quasi entusiasta, un’attesa interessante e significativa. Che sta a noi,<br />

ovviamente, non deludere.<br />

Il primo numero di alfabeta2, dal titolo Intellettuali senza (articoli, fra gli altri, di Franco<br />

Buffoni, Stefano Chiodi, Andrea Cortellessa, Umberto Eco, Augusto Illuminati, Andrea<br />

Inglese, Mario Tronti e Paul Virilio), è uscito in edicola e in libreria l’8 luglio con<br />

distribuzione Messaggerie (48 pagine, euro 5,00; per abbonamenti alfabeta@sofiasrl.com). Il<br />

secondo, col doppio titolo Italia al bivio e Operai della conoscenza, uscirà l’8 settembre<br />

(interventi, fra gli altri, di Sergio Bologna, Omar Calabrese, Furio Colombo, Maurizio<br />

Ferraris, Daniele Giglioli, Aldo Nove, Gilda Policastro, Marco Rovelli e Michel Serres). In<br />

redazione – oltre a Balestrini, Cortellessa e Inglese – Sergio Bianchi, Ilaria Bussoni, Erica<br />

Lese e Jan Reister. Nel «comitato storico» figurano – oltre a Calabrese e Ferraris – Umberto<br />

Eco, Carlo Formenti e Pier Aldo Rovatti. La rivista sarà presentata il 15 settembre alla<br />

Triennale di Milano, il 17 alla Fondazione Marino Marini di Pistoia durante la prima Festa di<br />

Palomar e il 19 a Firenze, al Teatro della Pergola, nel corso dell’ULTRA festival.<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

alfabeta2.<br />

it/2010/08/27/<br />

ottimista-<br />

senza-<br />

speranza/<br />

----------------<br />

Furio Colombo sul Fatto Quotidiano<br />

Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, deve avere visto le<br />

immagini televisive dei tre operai Fiat, Barozzino, Lamorte,<br />

Pignatelli che fanno passare le ore sul piazzale assolato e vuoto<br />

della fabbrica proibita, ci ha pensato, e ha detto: “C’è da<br />

augurarsi che la politica italiana non lasci solo il capo del<br />

Lingotto”. Evidentemente Capezzone era scosso dalla risposta<br />

immediata e chiara del capo dello Stato sul reclamo di dignità<br />

dei tre operai che non possono rientrare in fabbrica nonostante<br />

una sentenza.<br />

Era turbato dalla ferma solidarietà dei vescovi, che non<br />

dovrebbero immischiarsi in beghe sindacali. Certo, un po’ lo<br />

328


Post/teca<br />

avranno consolato le parole di Emma Marcegaglia che, con<br />

Cesare Geronzi al suo fianco (dunque il meglio del meglio<br />

dell’Italia) ha detto ai fervidi ragazzi di Comunione e Liberazione<br />

di Rimini: “Oggi bastano due persone per fermare un’intera<br />

produzione. Serve un cambiamento forte o sarà il declino”. Gli<br />

autori del declino erano sempre là, a Melfi, con le magliette blu<br />

dell’uniforme. Tre uomini spinti fuori, sotto il sole, per otto ore al<br />

giorno. La preghiera di Capezzone però non è restata<br />

inascoltata. Si è fatta avanti Mariastella Gelmini e ha detto<br />

“Marchionne è il più bravo di tutti”. Probabile che Marchionne<br />

comparirà, vita e opere, nelle tracce dei temi di maturità del<br />

prossimo anno.<br />

Dopo un po’ di esitazione si è fatta avanti la sinistra. Prima<br />

Chiamparino che, da sindaco di Torino e da candidato del<br />

centrodestra del Pd – fa il tifo per Marchionne (strano, però; lo<br />

fa, quando la Fiat va in Serbia e lo fa mentre gli operai torinesi<br />

sono rimasti cauti, zitti e umiliati a Mirafiori). Poi Pietro Ichino,<br />

per spiegare che Napolitano, in realtà, è dalla parte di<br />

Marchionne, non dei tre operai in maglietta blu, soli sul piazzale<br />

vuoto. Sentite: “Prendere posizione sulla questione del piano<br />

Fiat è ciò che il messaggio del capo dello Stato sottolinea:<br />

rispetto degli standard dell’occidente industrializzato”.<br />

Gli risponde sullo stesso giornale, lo stesso giorno (Il Corriere<br />

della Sera, 26 agosto) il vice direttore Massimo Mucchetti: “I<br />

lavoratori tedeschi partecipano alle decisioni strategiche; negli<br />

Usa i sindacati sono entrati nel Board per tutelare le azioni<br />

ricevute”. Ma “per fortuna Marchionne c’è”. A Rimini, fra ciellini<br />

giovani e festanti, dice queste frasi nette e incoerenti: “Accetto<br />

l’invito di Napolitano. Non si possono difendere atti di<br />

sabotaggio. La dignità non è esclusiva di tre persone”. Non sarà<br />

esclusiva, ma i tre in maglietta blu restano ad aspettare nel<br />

piazzale vuoto di Melfi. Il saggio ministro Tremonti offre loro il<br />

pensiero del giorno: “Se tutti vogliono diritti perfetti nella<br />

329


Post/teca<br />

fabbrica ideale, si rischia che la fabbrica ideale va da un’altra<br />

parte”. Giusto. Il mondo è pieno di schiavi.<br />

via: http://<br />

www.<br />

pasteris.<br />

it/<br />

blog/2010/08/27/<br />

le-<br />

colpe-<br />

degli-<br />

operai/#<br />

more-20994<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

ilfattoquotidiano.<br />

it<br />

-------------<br />

Il partigiano Giorgio<br />

di Roberto Saviano<br />

Ha combattuto con il fucile durante la Resistenza. E con l'inchiostro sui<br />

giornali. Ma sempre per la libertà. L'omaggio dello scrittore Roberto Saviano<br />

al giornalista per i suoi novant'anni<br />

(19 agosto 2010)<br />

Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose,<br />

dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari<br />

diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i<br />

nostri alleati... Quelli che parlavano erano due piemontesi e discutevano delle radici<br />

profonde del male meridionale, loro lo avevano capito e l'analisi che si scambiavano come<br />

un testimone che l'uno affidava all'altro non era disprezzo colonialista verso un popolo<br />

schiavo che non aveva la forza di riscattare i suoi diritti. No, il loro era amore per il Sud, da<br />

italiani che sapevano di essere parte di quella stessa terra così lontana dai portici delle<br />

città sabaude, costruiti per proteggere da un clima europeo che il sole della Sicilia e della<br />

Campania non sa immaginare: un amore che andava oltre il senso del dovere o della<br />

professione e che per questo si trasformava in denuncia, nella metodica, sistematica<br />

analisi di quanto il male fosse profondo nella vita della gente che non sapeva, non voleva,<br />

non poteva ribellarsi.<br />

Quel colloquio tra Carlo Alberto Dalla Chiesa e Giorgio Bocca è stato importante per me e<br />

per quelli della mia generazione che hanno sempre chiesto di capire. Noi che abbiamo<br />

cominciato a fare domande dopo la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per<br />

riscoprire così il sacrificio del carabiniere diventato prefetto che aveva rinunciato alle<br />

scorte e alle blindate per essere parte della vita di Palermo, l'altra capitale del Sud, e si<br />

era imposto di cominciare la sua missione proprio dalle scuole, dal consegnare ai giovani<br />

meridionali la speranza in un futuro di legalità.<br />

Noi volevamo capire perché senza capire non si può cambiare; capire anche a costo di<br />

specchiarsi nell'orrore di una realtà che non poteva più restare nascosta dietro slogan<br />

330


Post/teca<br />

logori e paesaggi da soap: guardarsi in faccia, scoprire il proprio volto a costo di rendersi<br />

conto di quanto fosse brutto.<br />

Questo è quello che Giorgio Bocca mi ha insegnato, a raccontare senza avere scrupoli né<br />

sentirmi un traditore. Lo hanno accusato di essere razzista, antimeridionale, di odiare il<br />

Sud. Sono le stesse cose che hanno detto di me, contro di me, "il rinnegato". Ci hanno<br />

dato degli "avvoltoi" che si arricchiscono con il dolore altrui. Bocca invece ha fatto<br />

dell'essere "antitaliano" una virtù, il metodo per non arrendersi a luoghi comuni. Da lui ho<br />

capito che non bisognava mai lasciarsi ferire, né abbassare gli occhi: gli insulti sono spinte<br />

ad andare oltre, a entrare più in profondità nei problemi. La mia strada per l'inferno l'ha<br />

indicata lui, "Gomorra" si è nutrito della sua lezione: guardare le cose in faccia, respirarle,<br />

sbatterci contro fino a farsele entrare dentro e poi scrivere senza reticenze, smussature,<br />

compiacenze.<br />

Bocca lo ha sempre fatto, da fuoriclasse, lo continua a fare oggi a novant'anni con la<br />

curiosità e la tenacia di un ventenne; sempre pronto a mettersi in discussione come quel<br />

ragazzo che nel 1943 salì in montagna superando il suo passato e scegliendo il suo<br />

futuro.<br />

E quando lui e Dalla Chiesa parlavano di un popolo da liberare lo facevano con l'anima dei<br />

partigiani, di chi aveva combattuto lo stesso nemico in nome dello stesso popolo. Avevano<br />

rischiato la vita e ucciso anche per consegnare un domani diverso a chi accettava<br />

passivamente la dittatura fascista e la dominazione nazitedesca; sono stati partigiani<br />

anche per chi non aveva il coraggio, la forza, la volontà, la possibilità o la capacità di<br />

lottare per i propri diritti. La loro vittoria è stata la Costituzione, quel documento vivo che<br />

dovrebbe essere il pilastro della nostra democrazia, un monumento di libertà troppo<br />

spesso ignorato o bollato di vecchiaia. No, è un testo modernissimo, come ancora oggi lo<br />

sono gli interventi di Giorgio Bocca. Essere partigiano prima con il fucile e poi per altri 65<br />

anni con l'inchiostro significa avere la misura della libertà, saperla riconoscere ovunque.<br />

A sud di Roma è difficile ascoltare racconti partigiani. La guerra di liberazione è stata più a<br />

nord e anche questo ha contribuito a non risvegliare coscienze già rassegnate. Napoli con<br />

le sue quattro giornate è stata una fiammata d'eroismo, l'unica metropoli europea a<br />

cacciare i tedeschi, ma la sua levata d'orgoglio è bruciata in meno di una settimana.<br />

Sembrava quasi che ad animare i napoletani diventati guerriglieri ci fosse lo stesso<br />

sentimento del tassista che Bocca descrive nell'incipit del suo "Napoli siamo Noi": "Lui che<br />

è più intelligente del forestiero. La maledetta presunzione individualista per la quale un<br />

napoletano è pronto a dannarsi".<br />

Dopo, la rivolta della dignità in armi ha lasciato spazio all'umanità prostituta di Curzio<br />

Malaparte. Scriveva Bocca in quei mesi dell'autunno 2006 quando ancora una volta Napoli<br />

tornava a essere sinonimo di abisso criminale: "Una grande città può accettare<br />

un'occupazione delinquenziale? La risposta è sì: la grande città che dovrebbe ribellarsi<br />

all'occupazione è purtroppo composta da troppi cittadini impigliati nei vizi della camorra.<br />

Napoli dovrebbe ribellarsi contro se stessa e questo francamente è impensabile. In<br />

331


Post/teca<br />

definitiva noi crediamo che almeno per ora la criminalità abbia vinto. Napoli ha toccato il<br />

fondo". Il Sud non ha speranze? Da solo, difficilmente può farcela, ma senza il Sud non c'è<br />

più l'Italia. I partigiani lo avevano capito, Dalla Chiesa lo aveva capito, Bocca continua a<br />

ripeterlo. E nel titolo del suo libro c'è la chiave per decifrarne il significato: "Napoli siamo<br />

noi, il dramma di una città nell'indifferenza dell'Italia". Lui non è antimeridionale, non è<br />

razzista ma da italiano dimostra un amore vero per questa terra devastata.<br />

Per Bocca la guerra di liberazione era stata battaglia per salvare anche l'unità, contro i<br />

tedeschi, i francesi gaullisti e i comunisti titini; contro i "moti separatisti siciliani e calabresi,<br />

di Portella della Ginestra e di Caulonia, ci fu una spontanea offerta partigiana di riprendere<br />

le armi a difesa dell'unità nazionale. Il vento del Nord, come fu chiamata la presenza<br />

partigiana nei primi governi di Parri e di De Gasperi, guardasigilli il comunista Togliatti, fu<br />

chiaramente unitario e risorgimentale. Sentimento condiviso dagli italiani che si strinsero<br />

attorno a quei padri fondatori della Repubblica".<br />

Oggi anche lui guarda con sospetto alla chiamata federalista: sa che le mafie non<br />

chiedono altro e non soltanto al Sud. Perché lui, quello che chiamano "razzista<br />

piemontese", quello che tra i primi ha saputo scorgere le istanze positive della Lega, non<br />

si fa scrupolo nel dire il male che vede al Nord, i frutti malati di quella colonizzazione<br />

criminale che ha trovato terreno fertile sulle due sponde del Po grazie anche alla<br />

distrazione spesso complice degli amministratori leghisti: "La presenza della criminalità<br />

organizzata, per sua storia e natura antistatale, è qualcosa di visibile, di onnipresente, di<br />

impudente. Ci sono ristoranti, mercati, club, sezione di partito, amministrazioni della<br />

Padania equamente divise fra la novità politica della Lega anti-unitaria e le cosche mafiose<br />

che di patria conoscono solo quella della rapina e delle consorterie criminali". Eccolo<br />

Bocca, in quello che parlando dei suoi maestri definì : "Lo stesso modo di vedere il mondo,<br />

senza retorica ma senza rassegnazione". Vedere il mondo a testa alta, la sua lezione, che<br />

mi accompagnerà sempre.<br />

© 2010 Roberto Saviano Agenzia Santachiara<br />

fonte: http://<br />

espresso.<br />

repubblica.<br />

it/<br />

dettaglio/<br />

il-<br />

partigiano-<br />

giorgio/2132791/9/1<br />

----------------<br />

Io, autore Mondadori e lo<br />

scandalo "ad aziendam"<br />

di VITO MANCUSO<br />

332


Post/teca<br />

Da quando ho letto l ' articolo di Massimo Giannini 1 giovedì scorso 19 agosto<br />

non ho potuto smettere di pensarci. Ho provato a fare altro e a concentrarmi<br />

sul mio lavoro, ma dato che in questi giorni esso consiste proprio nella<br />

stesura del nuovo libro che a breve dovrei consegnare alla Mondadori, mi è<br />

sempre risultato impossibile distogliere dalla mente i pensieri abbastanza<br />

cupi che vi si affacciavano. La domanda era sempre quella: come posso<br />

adesso, se quello che scrive Giannini corrisponde al vero, continuare a<br />

pubblicare con la Mondadori e rimanere a posto con la mia coscienza? Come<br />

posso fondare il mio pensiero sul bene e sulla giustizia, e poi contribuire al<br />

programma editoriale di un'azienda che a quanto pare, godendo di favori<br />

parlamentari ed extra-parlamentari, pagherebbe al fisco solo una minima<br />

parte (8,6 milioni versati) di un antico ed enorme debito (350 milioni dovuti)?<br />

Come posso fare dell'etica la stella polare della mia teologia e poi pubblicare i<br />

miei libri con un'azienda che non solo dell'etica ma anche del diritto<br />

mostrerebbe, in questo caso, una concezione alquanto singolare?<br />

Io sono legato da tempo alla Mondadori, era il 1997 quando vi entrai come<br />

consulente editoriale della saggistica fondandovi una collana di religione e<br />

spiritualità, poi nel 2002 ebbi l'onore di diventarne autore quando il comitato<br />

editoriale accettò il mio saggio sull'handicap come problema teologico, onore<br />

ripetuto nel 2005 e nel 2009 con altri due libri.<br />

Conosco bene i cinque piani di palazzo Niemeyer a Segrate, gli uffici openspace,<br />

i corridoi interminabili dove si incontra chiunque (scrittori, politici,<br />

cantanti, calciatori, scienziati, matematici, preti, comici...), la mensa dove per<br />

parlare con il vicino spesso bisogna gridare, il ristorantino vip, lo spaccio dove<br />

si comprano i libri a metà prezzo, le redazioni dei settimanali e dei femminili,<br />

l'auditorium dove presentavo ai venditori i libri in uscita e di recente il libro<br />

che sto scrivendo. So dove si trovano le macchinette del caffè, luogo di ritrovi<br />

e di battute, e di gara con gli amici a chi mette per primo la monetina. Ecco,<br />

gli amici. Impossibile per me parlare della Mondadori e non rivedere i loro<br />

volti e non provare ancora una volta ammirazione e stima per la loro<br />

professionalità. Perché questo anzitutto la Mondadori è: una grande azienda<br />

di brillanti professionisti. Del resto a parlare sono i titoli e i fatturati, sono i<br />

lettori italiani che continuano a premiare con le loro scelte il lavoro di<br />

333


Post/teca<br />

un'editrice che va avanti dal 1907. Un lavoro in grado di vincere anche in<br />

qualità, basti pensare alla collezione dei Meridiani, ai Meridiani dello Spirito,<br />

ai classici greci e latini della Fondazione Valla. E se uno avesse dei dubbi,<br />

prenda in mano il catalogo degli Oscar e di sicuro gli passeranno, perché si<br />

ritroverà tra le mani una vera e propria enciclopedia della scienza editoriale in<br />

compendio.<br />

Per questo il mio dubbio, dopo l'articolo di Giannini, è pesante. Leggendo ho<br />

appreso che non si tratta più di accettare una proprietà che può piacere<br />

oppure no ma che non ha nulla a che fare con le scelte editoriali, cioè con<br />

l'azienda nella sua essenza. Stavolta è la Mondadori in quanto tale a essere<br />

coinvolta, non solo il suo proprietario per i soliti motivi che non hanno nulla a<br />

che fare con l'editoria libraria. Quindi stavolta come autore non posso più dire<br />

a me stesso che l'editrice in quanto tale non c'entra nulla con gli affari politici<br />

e giudiziari del suo proprietario, perché ora l'editrice c'entra, eccome se<br />

c'entra, se è vero che di 350 milioni dovuti al fisco ne viene a pagare solo 8,6<br />

dopo quasi vent'anni, e senza neppure un euro di interesse per il ritardo,<br />

interessi che invece a un normale cittadino nessuno defalca se non paga nei<br />

tempi dovuti il bollo auto, il canone tv o uno degli altri bollettini a tutti noti.<br />

Eccomi quindi qui con la coscienza in tempesta: da un lato il poter far parte di<br />

un programma editoriale di prima qualità venendo anche ben retribuito,<br />

dall'altro il non voler avere nulla a che fare con chi speculerebbe sugli<br />

appoggi politici di cui gode. Da un lato un debito di riconoscenza per l'editrice<br />

che ha avuto fiducia in me quando ero sconosciuto, dall'altro il dovere civico<br />

di contrastare un'inedita legge ad aziendam che si sommerebbe alle 36 leggi<br />

ad personam già confezionate per l'attuale primo ministro (riprendo il numero<br />

delle leggi dall'articolo di Giannini e mi scuso per il latino ipermaccheronico<br />

"ad aziendam", ma ho preso atto che oggi si dice così). A tutto questo si<br />

aggiunge lo stupore per il fatto che il Corriere della Sera, gruppo Rizzoli<br />

principale concorrente Mondadori, finora abbia dedicato una notizia di poche<br />

righe alla questione: come mai?<br />

Nella mia incertezza ho deciso di scrivere questo articolo. Spero infatti che a<br />

seguito di esso qualcuno tra i dirigenti della Mondadori possa spiegare<br />

pubblicamente cosa c'è che non va nell'articolo di Giannini, perché e in che<br />

334


Post/teca<br />

cosa esagera e non corrisponde a verità. Io sarei il primo a gioirne. Spero<br />

inoltre che anche altri autori Mondadori che scrivono su questo giornale<br />

possano dire come la pensano e cosa rispondono alla loro coscienza. Sto<br />

parlando di firme come Corrado Augias, Pietro Citati, Federico Rampini,<br />

Roberto Saviano, Nadia Fusini, Piergiorgio Odifreddi, Michela Marzano... Se<br />

poi allarghiamo il tiro alle editrici controllate interamente dalla Mondadori (il<br />

che, in questo caso, mi pare oggettivamente doveroso) arriviamo all'Einaudi e<br />

a nomi come Eugenio Scalfari, Gustavo Zagrebelsky, Adriano Prosperi...<br />

Sono tutte personalità di grande spessore e per questo sarei loro<br />

riconoscente se contribuissero a risolvere qualcuno dei dubbi sollevati da<br />

questa inedita legge ad aziendam nella coscienza di un autore del Gruppo<br />

Mondadori.<br />

(21 agosto 2010)<br />

fonte:<br />

http://<br />

www.<br />

repubblica.<br />

it/<br />

politica/2010/08/21/<br />

news/<br />

io_<br />

autore_<br />

mondadori_<br />

e _ lo_<br />

scandalo_<br />

ad_<br />

aziend<br />

am-6407472/<br />

index.<br />

html?<br />

ref=<br />

search<br />

------------<br />

Cara Mondadori, per le leggi<br />

il tuo sarto è proprio su misura<br />

di VITO MANCUSO<br />

Cara Arnoldo Mondadori Editore, penso sia capitato a pochi di venire<br />

chiamato per nome da un'entità impersonale come una Società per Azioni,<br />

com'è avvenuto ieri a me con la Vostra lettera: "Caro Mancuso... firmato:<br />

Arnoldo Mondadori Editore". Ora sono un po' a disagio perché non so bene<br />

come rispondere (come ci si rivolge a una SpA?) e se uso l'antiquato Voi è<br />

perché non trovo di meglio.<br />

Sento però che già in questa Vostra confusione di generi letterari tra<br />

335


Post/teca<br />

l'epistola, dove ci si rivolge all'interlocutore in modo personale e si firma in<br />

prima persona, e il comunicato ufficiale, che non conosce legami e firma<br />

istituzionalmente, c'è qualcosa di stonato. Tanto più se si considera che a<br />

essere in gioco è un'editrice che fa della letteratura e della poesia, e dei<br />

rapporti personali con gli autori, il suo punto forte.<br />

Ma entrando nel merito vi sono alcune cose nel Vostro scritto, cara Arnoldo<br />

Mondadori Editore, che a mio avviso non convincono.<br />

1) Voi scrivete di "rivendicare con forza e convinzione la correttezza e la<br />

limpidezza di ogni scelta" e sottolineate la "correttezza cristallina dei<br />

comportamenti imprenditoriali". Per quanto riguarda la mia esperienza, sia<br />

come consulente sia come autore, posso testimoniare che è effettivamente<br />

così. Ma allora perché, dopo aver vinto due gradi di giudizio contro l'Agenzia<br />

delle Entrate, non avete atteso il terzo? Anzi, perché non l'avete ricercato Voi<br />

per prima, cara Arnoldo Mondadori Editore, con quella medesima forza e<br />

convinzione di cui parlate? Voi scrivete di "non dovere al fisco alcunché", ma<br />

la controparte sostiene che dovete la bellezza di 350 milioni di euro: perché,<br />

dopo aver vinto due volte, non avete voluto vincere anche la terza definitiva<br />

partita, tanto più se in possesso di "eccellenti argomentazioni"?<br />

2) Voi, cara Arnoldo Mondadori Editore, scrivete che avete agito per seguire<br />

"la strada maestra per un'impresa" e identificate tale strada nel "danno<br />

minore e certo", invece di un lungo contenzioso. Ma per come la vedo io non<br />

è per nulla così: per un'impresa con una storia e una missione civica e<br />

culturale come quella del Gruppo editoriale che Voi rappresentate (e che<br />

controlla una sigla che si chiama Einaudi!), la strada maestra è la tutela del<br />

proprio onore, della propria correttezza, della propria limpida onestà. E a<br />

questo Voi vi siete sottratta, cara Arnoldo Mondadori Editore, approfittando di<br />

una legge che sembra proprio fatta su misura per il Vostro caso, come se il<br />

legislatore fosse il Vostro sarto di fiducia e non quello del Bene comune.<br />

Avevate la possibilità definitiva di essere al di sopra di ogni sospetto e non<br />

l'avete usata, anzi Vi siete affrettata a sfuggire: e ora, mi spiace dirlo, per la<br />

coscienza Voi siete molto più sospettabile di prima.<br />

3) Entrando nel merito della cifra versata, desidero far notare che il<br />

336


Post/teca<br />

versamento del 5% del dovuto al netto degli interessi quasi ventennali è<br />

veramente ben poca cosa: chi non sarebbe disposto a pagare? Solo uno non<br />

lo sarebbe: chi è innocente e sa di poter dimostrare di essere tale,<br />

esattamente come Voi affermate di essere, solo che Voi... avete pagato.<br />

4) L'esiguità della somma richiesta per chiudere il contenzioso non è certo<br />

materia che Vi riguardi, la legge non l'avete scritta Voi, qui si tratterebbe<br />

semmai di chiedere al Legislatore di chi faccia veramente gli interessi, se del<br />

Bene comune di tutti o dei beni privati di pochi. Rimane però che la somma<br />

da Voi versata, cara Arnoldo Mondadori Editore, costitu isce pur sempre una<br />

cifra molto impegnativa: 8,6 milioni di euro. Torno a chiedere: non sono troppi<br />

per un innocente? Chi sa di avere ragione, di non dovere proprio nulla al fisco<br />

e di poterlo tranquillamente dimostrare, non verserebbe mai una cifra<br />

considerevole come quella, non è vero? Cara Arnoldo Mondadori Editore,<br />

finora avete dovuto attendere vent'anni: perché non avete aspettato ancora<br />

un po' e così risparmiato quasi nove milioni di euro e soprattutto tutelato fino<br />

in fondo il Vostro nome, che vale molto, molto di più?<br />

La Vostra lettera a me ieri pubblicamente indirizzata si concludeva dicendo:<br />

"Vorremmo rassicurarla sul fatto che la Mondadori è e resta quella che lei è<br />

abituato a conoscere". Per tutte le ragioni dette, io non mi sento per nulla<br />

rassicurato. Voi sapete che oltre al tribunale esteriore esiste un tribunale<br />

interiore. Col tribunale esteriore si può venire a patti pagando qualche milione<br />

di euro. Col tribunale interiore no.<br />

(23 agosto 2010)<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

repubblica.<br />

it/<br />

politica/2010/08/23/<br />

news/<br />

mondadori_<br />

mancuso-6442732/<br />

index.<br />

html?<br />

ref=<br />

search<br />

-------------<br />

337<br />

Gli scrittori, i libri e il conflitto


Post/teca<br />

d'interesse<br />

di EUGENIO SCALFARI<br />

A leggere dichiarazioni, articoli, interviste degli autori interessati e dello<br />

stesso Vito Mancuso che ha sollevato il caso su Repubblica, sembrerebbe<br />

che tocchi a me chiudere (o riaprire) il discorso sulla compatibilità di avere<br />

come editore dei propri libri il gruppo Mondadori oppure andarsene cercando<br />

altre case editoriali eticamente e politicamente più pulite.<br />

Non mi aspettavo questo privilegio. Forse dipende dalla cosiddetta età<br />

veneranda o dall'essere stato a suo tempo anch'io editore (ma di giornali e<br />

non di libri che è cosa diversa). Comunque mi si chiede un giudizio e forse<br />

una decisione. Da tre anni sono un autore dell'Einaudi, società che dal 1994<br />

è controllata dalla Mondadori. Resto o me ne vado?<br />

Da quanto ho capito, questa risposta sta particolarmente a cuore a Mancuso<br />

il quale è sull'orlo di una decisione ma, ch'io sappia, ancora non l'ha presa. E<br />

da me che cosa ti aspetti, caro Vito? Che io t'incoraggi a cercare nuovi lidi<br />

editoriali dove magari seguirti o ti convinca a restare dove sei e dove dici di<br />

trovarti bene, se non fosse per un rovello etico che ti rode dentro da quando<br />

hai letto sul nostro giornale, cui tu collabori, lo scandalo della legge "ad<br />

aziendam" imposta dal premier-editore per consentire alla sua Mondadori di<br />

saldare un debito fiscale presuntivamente accertato in 350 milioni di euro<br />

pagandone in tutto 8,6?<br />

Tu sei un mio amico ed ho molta stima per la tua cultura religiosa. Diciamo<br />

"martiniana" e tu sai con quanto affetto e rispetto io guardi al cardinal Martini<br />

sebbene non condivida la fede che lo anima. Perciò rispondo alle tue<br />

sollecitazioni e per maggior chiarezza lo farò esaminando i vari aspetti della<br />

questione.<br />

1. Il governo, dopo averci provato varie volte senza riuscirvi, ha inserito<br />

surrettiziamente in un recente decreto convertito in legge una norma che<br />

autorizza le aziende che abbiano una vertenza tributaria in corso ed abbiano<br />

vinto nei due primi gradi di giurisdizione, a chiudere la vertenza pagando una<br />

sanzione irrisoria. La Mondadori - vedi caso - si trova esattamente in<br />

338


Post/teca<br />

questa condizione ed ha utilizzato uno "scivolo" estremamente favorevole.<br />

2. Non ci sarebbe molto da obiettare se non fosse che il presidente del<br />

Consiglio è proprietario di riferimento della stessa Mondadori. Il problema<br />

nasce dunque dal gigantesco conflitto di interessi incorporato nella figura di<br />

Silvio Berlusconi.<br />

3. Il suddetto conflitto di interessi è un morbo che avvelena la vita politica<br />

italiana fin dal 1993 e la condizionò anche prima. Quando Berlusconi faceva<br />

ancora l'impresario televisivo i suoi politici di riferimento erano Bettino Craxi e<br />

in minor misura Forlani. Poi entrò in politica portandosi appresso quel conflitto<br />

che permane tuttora senza che la classe politica vi abbia posto alcun rimedio.<br />

Ricordo queste cose per dire che il problema non nasce oggi ma almeno 17<br />

anni fa se non prima.<br />

4. La mia esperienza di autore è stata abbastanza lunga e varia. Ho avuto<br />

come editori Laterza, Feltrinelli, Mondadori (dove pubblicai "La sera<br />

andavamo in Via Veneto" quando quella società era controllata dalla Cir e dal<br />

gruppo dell'Espresso), Rizzoli. Alla Rizzoli ero affezionato al direttore<br />

editoriale Rosaria Carpinelli che seguiva gli scrittori con rara competenza<br />

professionale. Quando la Carpinelli lasciò la Rizzoli me ne andai anch'io e<br />

scelsi Einaudi pur sapendo che la proprietà di quella casa editrice era della<br />

Mondadori. Fu dunque nel mio caso una scelta perfettamente consapevole.<br />

5. Scelsi Einaudi perché il gruppo dirigente che ha al suo vertice editoriale<br />

Ernesto Franco è ancora quello formatosi con Giulio Einaudi. La Einaudi fu<br />

per tanti anni una delle case editrici che contribuì fortemente alla formazione<br />

culturale del nostro paese e che tuttora - non a caso - vanta un catalogo di<br />

scrittori di prima grandezza nella narrativa, nella saggistica, nella storia, con<br />

particolari presenze di scrittori civilmente e politicamente impegnati, da Ingrao<br />

alla Rossanda, da Asor Rosa a Zagrebelsky.<br />

6. Se il gruppo editoriale che guida la Einaudi cambiasse o se i suoi dirigenti<br />

si piegassero a richieste politicamente scorrette e per me incompatibili, non<br />

esiterei un istante ad andarmene. Finché questo non avverrà, alla Einaudi mi<br />

trovo benissimo e ci resto.<br />

339


Post/teca<br />

7. Ho avuto anche un'altra esperienza che forse è utile raccontare perché<br />

riguarda pur sempre il settore della comunicazione. Due anni fa la casa<br />

cinematografica Medusa di proprietà della Fininvest mi informò che era<br />

interessata a fare un film utilizzando come soggetto un mio romanzo intitolato<br />

"La ruga sulla fronte". In quello stesso giro di mesi la Medusa stava<br />

realizzando il film "Baarìa" con Giuseppe Tornatore. Accettai la proposta e si<br />

arrivò fino alla stesura del copione ma a quel punto accadde un fatto: il<br />

presidente della Medusa, Carlo Rossella, intervenendo alla trasmissione<br />

televisiva "Ballarò" e pochi giorni dopo a quella di "Porta a porta", fece<br />

affermazioni molto gravi e a mio avviso faziose in favore di Berlusconi e si<br />

lasciò andare a veri e propri insulti contro i partiti di opposizione. Scrissi<br />

dunque alla Medusa rescindendo il rapporto che avevo con lei. In campo<br />

cinematografico questa società è il solo produttore e distributore esistente sul<br />

mercato italiano, a differenza del mercato dei libri. Perciò chi rifiuta di lavorare<br />

con Medusa rinuncia a veder realizzato il film che lo interessa.<br />

8. Il conflitto di interessi di Berlusconi è un'anomalia che - in queste<br />

proporzioni - esiste soltanto in Italia. Si combatte eliminando l'anomalia, cioè<br />

si combatte politicamente. Lo sciopero degli autori, degli operatori televisivi e,<br />

perché no, quello dei lettori o dei telespettatori non sono armi facilmente<br />

realizzabili. Si possono determinare casi personali come quello di Roberto<br />

Saviano, insultato da Berlusconi e da sua figlia Marina con giudizi offensivi<br />

sul suo libro "Gomorra" ancorché pubblicato dalla Mondadori. Ma si tratta di<br />

casi personali che l'interessato risolve come ritiene più opportuno.<br />

L'importante è che le idee possano circolare liberamente senza<br />

condizionamenti o ricatti. Questa è la ragione della nostra battaglia contro la<br />

legge-bavaglio. Chi ci impone un bavaglio avrà da parte nostra pane per i<br />

suoi denti come si è visto nei mesi scorsi e come ancora si vedrà se quella<br />

legge dovesse essere nuovamente riproposta.<br />

(25 agosto 2010)<br />

fonte:<br />

http://<br />

www.<br />

repubblica.<br />

it/<br />

politica/2010/08/25/<br />

news/<br />

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scrittori_<br />

i _ libri_<br />

e _ il_<br />

conflitto_<br />

d _ interesse-<br />

6493004/ index.<br />

html?<br />

ref=<br />

search<br />

340


Post/teca<br />

-----------------<br />

Mondadori salvata dal Fisco<br />

scandalo "ad aziendam" per il<br />

Cavaliere<br />

La somma dovuta dall'azienda editoriale: 173 milioni, più imposte,<br />

interessi, indennità di mora e sanzioni. Una norma che si somma ai 36<br />

provvedimenti "ad personam" fatti licenziare alle Camere dal premier.<br />

Segrate è difesa al meglio: i suoi interessi li cura lo studio tributario di<br />

Giulio Tremonti, nel '91 non ancora ministro. Marina Berlusconi mette<br />

da parte 8,6 milioni, in attesa delle integrazioni al decreto. Che<br />

puntualmente arrivano<br />

di MASSIMO GIANNINI<br />

Sotto i nostri occhi, distolti dalla Parentopoli privata di Gianfranco Fini usata<br />

come arma di distruzione politica e di distrazione di massa, sta passando uno<br />

scandalo pubblico che non stiamo vedendo. Questo scandalo si chiama<br />

Mondadori. Il colosso editoriale di Segrate - di cui il premier Berlusconi è<br />

"mero proprietario" e la figlia Marina è presidente - doveva al Fisco la<br />

bellezza di 400 miliardi di vecchie lire, per una controversia iniziata nel '91.<br />

Grazie al decreto numero 40, approvato dal governo il 25 marzo e convertito<br />

in legge il 22 maggio, potrà chiudere la maxi-vertenza pagando un minitributo:<br />

non i 350 milioni di euro previsti (tra mancati versamenti d'imposta,<br />

sanzioni e interessi) ma solo 8,6. E amici come prima.<br />

Un "condono riservato". Meglio ancora, una legge "ad aziendam". Che si<br />

somma alle 36 leggi "ad personam" volute e fatte licenziare dalle Camere dal<br />

Cavaliere, in questi tumultuosi quindici anni di avventurismo politico.<br />

Repubblica ha già dato la notizia, in splendida solitudine, l'11 agosto scorso.<br />

341


Post/teca<br />

Ma ora che il centrodestra discute di una "questione morale" al suo interno,<br />

ora che la propaganda di regime costruisce teoremi assolutori sul "così fan<br />

tutti" e la macchina del fango istruisce dossier avvelenati sulle compravendite<br />

immobiliari, è utile tornarci su. E raccontare fin dall'inizio la storia, che<br />

descrive meglio di ogni altra l'enormità del conflitto di interessi del premier, il<br />

micidiale intreccio tra funzioni pubbliche e affari privati, l'uso personale del<br />

potere esecutivo e l'abuso politico sul potere legislativo.<br />

Il prologo: paura a Segrate<br />

La vicenda inizia nel 1991, quando il marchio Mondadori, da poco entrato<br />

nell'orbita berlusconiana, decide di varare una vasta riorganizzazione nelle<br />

province dell'impero. Scatta una fusione infragruppo tra la stessa Arnoldo<br />

Mondadori Editore e la Arnoldo Mondadori Editore Finanziaria (Amef).<br />

Operazioni molto in voga, soprattutto all'epoca, per nascondere plusvalenze<br />

e pagare meno tasse. Il Fisco se ne accorge, scattano gli accertamenti, e le<br />

Finanze chiedono inizialmente 200 miliardi di imposte da versare. L'azienda<br />

ricorre e si apre il solito, lunghissimo contenzioso. Da allora, la Mondadori<br />

vince i due round iniziali, davanti alle Commissioni tributarie di primo e di<br />

secondo grado. È assistita al meglio: i suoi interessi fiscali li cura, in aula, lo<br />

studio tributario di Giulio Tremonti, nel 1991 non ancora ministro delle<br />

Finanze (lo diventerà nel '94, con il primo governo Berlusconi). Nell'autunno<br />

del 2008 l'Agenzia delle Entrate presenta il suo ricorso in terzo grado, alla<br />

Cassazione. Nel frattempo la somma dovuta dall'azienda editoriale del<br />

presidente del Consiglio è lievitata: 173 milioni di euro di imposte dovute, alle<br />

quali si devono aggiungere gli interessi, le indennità di mora e le eventuali<br />

sanzioni. Il totale fa 350 milioni di euro, appunto.<br />

Se la Suprema Corte accogliesse il ricorso, per Segrate sarebbe un salasso<br />

pesantissimo. Soprattutto in una fase di crisi drammatica per il mercato<br />

editoriale, affogato quanto e più di altri settori dalla "tempesta perfetta" dei<br />

mutui subprime che dal 2007 in poi sommerge l'economia del pianeta. Così,<br />

nel silenzio che aleggia sull'intera vicenda e nel circuito perverso del<br />

berlusconismo che lega la famiglia naturale alla famiglia politica, scatta un<br />

piano con le relative contromisure. Che non sono aziendali, secondo il<br />

principio del liberalismo classico: mi difendo "nel" mercato, e non "dal"<br />

342


Post/teca<br />

mercato. Ma normative, secondo il principio del liberismo berlusconiano: se<br />

dal mercato non mi posso difendere, cambio le leggi. Un "metodo" collaudato,<br />

ormai, che anche sul fronte dell'economia (come avviene da anni su quello<br />

della giustizia) esige il "salto di qualità": chiamando in causa la politica,<br />

mobilitando il partito del premier, militarizzando il Parlamento. Un "metodo"<br />

che, nel caso specifico, si tradurrà in tre tentativi successivi di piegare<br />

l'ordinamento generale in funzione di un vantaggio particolare. I primi due<br />

falliranno. Il terzo centrerà l'obiettivo.<br />

Il primo tentativo: il "pacchetto giustizia"<br />

Siamo all'inverno 2008. Nessuno sa nulla, del braccio di ferro che vede<br />

impegnate la Mondadori e l'Amministrazione Finanziaria. Nel frattempo, il 13<br />

aprile dello stesso anno il Cavaliere ha stravinto le elezioni, è di nuovo capo<br />

del governo, e Tremonti, da "difensore" del colosso di Segrate in veste di<br />

tributarista, è diventato "accusatore" del gruppo, in veste di ministro<br />

dell'Economia. Può scattare il primo tentativo. E nessuno si insospettisce,<br />

quando nel mese di dicembre un altro ministro del Berlusconi Terzo, il<br />

guardasigilli Angelino Alfano, presenta il suo corposo "pacchetto giustizia" nel<br />

quale, insieme al processo breve e alla nuova disciplina delle intercettazioni<br />

telefoniche, compare anche la cosiddetta "definizione agevolata delle liti<br />

tributarie". Una norma stringatissima: prevede che nelle controversie fiscali<br />

nelle quali abbia avuto una sentenza favorevole, in primo e in secondo grado,<br />

il contribuente può estinguere la pendenza, senza aspettare l'eventuale<br />

pronuncia successiva in terzo grado (cioè la Cassazione) versando all'erario<br />

il 5% del dovuto. È un piccolo "colpo di spugna", senz'altro. Ma è l'ennesimo,<br />

e sembra rientrare nella logica delle sanatorie generalizzate, delle quali i<br />

governi di centrodestra sono da sempre paladini. In realtà, è esattamente il<br />

"condono riservato" che serve alla Mondadori.<br />

L'operazione non riesce. Il treno del "pacchetto giustizia", che veicola la<br />

pillola avvelenata di quello che poi sarà ribattezzato il "Lodo Cassazione",<br />

non parte. La dura reazione del Quirinale, dei magistrati e dell'opposizione,<br />

sia sul processo breve che sulle intercettazioni, costringe Alfano allo stop. "Il<br />

pacchetto giustizia è rinviato al prossimo anno", dichiara il Guardasigilli alla<br />

vigilia di Natale. Così si blocca anche la "leggina" salva-Mondadori. Ma dietro<br />

343


Post/teca<br />

le quinte, nei primi mesi del 2009, non si blocca il lavoro dell'inner circle del<br />

presidente del Consiglio. Il tempo stringe: la Cassazione ha già fissato<br />

l'udienza per il 28 ottobre 2009, di fronte alla sezione tributaria, per discutere<br />

della controversia fiscale tra l'Agenzia delle Entrate e l'azienda di Segrate.<br />

Così scatta il secondo tentativo. In autunno si discute alla Camera la Legge<br />

Finanziaria per il 2010. È il secondo "treno" in partenza, e per chi lavora a<br />

tutelare gli affari del premier è da prendere al volo.<br />

Il secondo tentativo: la Finanziaria<br />

Giusto alla vigilia dell'udienza davanti alla sezione tributaria della Suprema<br />

Corte, presieduta da un magistrato notoriamente inflessibile come Enrico<br />

Altieri, accadono due fatti. Il primo fatto accade al "Palazzaccio" di Piazza<br />

Cavour: il 27 ottobre il presidente della Cassazione Vincenzo Carbone (che<br />

poi risulterà pesantemente coinvolto nello scandalo della cosiddetta P3)<br />

decide a sorpresa di togliere la causa Agenzia delle Entrate/Mondadori alla<br />

sezione tributaria, e di affidarla alle Sezioni Unite come richiesto dagli<br />

avvocati di Segrate, con l'ovvio slittamento dei tempi in cui verrà discussa. Il<br />

secondo fatto accade a Montecitorio: il 29 ottobre, in piena notte, il presidente<br />

della Commissione Bilancio Antonio Azzolini, ovviamente del Pdl, trasmette<br />

alla Camera il testo di due emendamenti alla Finanziaria. Il primo innalza da<br />

75 a 78 anni l'età di pensionamento per i magistrati della Cassazione<br />

(Carbone, il presidente che due giorni prima ha deciso di attribuire la causa<br />

Mondadori alle Sezioni Unite, sta per compiere proprio 75 anni, e quindi<br />

dovrebbe lasciare il servizio di lì a poco). Il secondo riproduce testualmente la<br />

"definizione agevolata delle liti tributarie" già prevista un anno prima dal<br />

"pacchetto giustizia" di Alfano. È di nuovo la legge "ad aziendam", che<br />

stavolta, con la corsia preferenziale della manovra economica, non può non<br />

arrivare al traguardo.<br />

Ma anche questo secondo tentativo fallisce. Stavolta, a bloccarlo, è<br />

Gianfranco Fini. La mattina del 30 ottobre, cioè poche ore dopo il blitz<br />

notturno di Azzolini, il relatore alla Finanziaria Maurizio Sala (ex An) avverte il<br />

presidente della Camera: "Leggiti questo emendamento che consente a chi è<br />

in causa con il Fisco e ha avuto ragione in primo e in secondo grado di<br />

evitare la Cassazione pagando un obolo del 5%: c'è del marcio in<br />

344


Post/teca<br />

Danimarca...". Fini legge, e capisce tutto. È l'emendamento salva-Mondadori,<br />

con la manovra non c'entra nulla, e non può passare. La norma salta ancora<br />

una volta. E non a caso, proprio in quella fase, cominciano a crescere le<br />

tensioni politiche tra Berlusconi e Fini, che due anni dopo porteranno alla<br />

rottura. Ma crescono anche le preoccupazioni di Marina sull'andamento dei<br />

conti di Segrate. Per questo il premier e i suoi uomini non demordono, e di lì<br />

a poco tornano all'attacco. Scatta il terzo tentativo. Siamo ai primi mesi del<br />

2010, e sui binari di Palazzo Chigi c'è un terzo "treno" pronto a partire. Il 25<br />

marzo il governo vara il decreto legge numero 40. È il cosiddetto "decreto<br />

incentivi", un provvedimento monstre, dove l'esecutivo infila di tutto. Durante<br />

l'iter di conversione, il Parlamento completa l'opera. Il 28 aprile, ancora una<br />

volta durante una seduta notturna, un altro parlamentare del Pdl, Alessandro<br />

Pagano, ripete il blitz, e ripresenta un emendamento con la norma salva-<br />

Mondadori.<br />

Il terzo tentativo: il "decreto incentivi"<br />

Stavolta, finalmente, l'operazione riesce. Il 22 maggio le Camere convertono<br />

definitivamente il decreto. All'articolo 3, relativo alla "rapida definizione delle<br />

controversie tributarie pendenti da oltre 10 anni e per le quali<br />

l'Amministrazione Finanziaria è risultata soccombente nei primi due gradi di<br />

giudizio", il comma 2 bis traduce in legge la norma "ad aziendam": "Il<br />

contribuente può estinguere la controversia pagando un importo pari al 5%<br />

del suo valore (riferito alle sole imposte oggetto di contestazione, in primo<br />

grado, senza tener conto degli interessi, delle indennità di mora e delle<br />

eventuali sanzioni)". E pazienza se il presidente della Repubblica Napolitano,<br />

poco dopo, sul "decreto incentivi" invia alle Camere un messaggio per<br />

esprimere "dubbi in ordine alla sussistenza dei presupposti di straordinaria<br />

necessità ed urgenza, per alcune nuove disposizioni introdotte, con<br />

emendamento, nel corso del dibattito parlamentare". E pazienza se la critica<br />

del Quirinale riguarda proprio quell'articolo 3, comma 2 bis. Ormai il gioco è<br />

fatto. Il colosso editoriale di proprietà del presidente del Consiglio è<br />

sostanzialmente salvo. Per consentire alla Mondadori di chiudere<br />

definitivamente i conti con il Fisco manca ancora un banale dettaglio, che<br />

rende necessario un ultimo passaggio parlamentare. Il decreto 40 non ha<br />

precisato che, per considerare concluso a tutti gli effetti il contenzioso,<br />

345


Post/teca<br />

occorre la certificazione da parte dell'Amministrazione Finanziaria.<br />

Per questo, nel bilancio semestrale 2010 del gruppo di Segrate, presentato il<br />

30 giugno scorso, Marina Berlusconi fa accantonare "8.653 migliaia di euro<br />

relativi al versamento dell'importo previsto dal decreto legge 25 marzo 2010,<br />

numero 40" sulla "chiusura delle liti pendenti", e fa scrivere, a pagina 61, al<br />

capitolo "Altre attività correnti": "Pur nella convinzione della correttezza del<br />

proprio operato, e con l'obiettivo di non esporre la società a una situazione di<br />

incertezza ulteriore, sono state attuate le attività preparatorie rispetto al<br />

procedimento sopra richiamato. In particolare si è proceduto all'effettuazione<br />

del versamento sopra richiamato. Nelle more della definizione del quadro<br />

normativo, a fronte dell'introduzione di specifiche attestazioni da parte<br />

dell'Amministrazione Finanziaria previste nelle ultime modifiche al decreto, e<br />

tenuto anche conto del fatto che gli atti necessari per il perfezionamento del<br />

procedimento e l'acquisizione dei relativi effetti non sono stati ancora<br />

completati, la società ha ritenuto di iscrivere l'importo anticipato nella posta in<br />

esame...". Ricapitolando: la Mondadori mette da parte poco più di 8,6 milioni<br />

di euro, cioè il 5% dei 173 che avrebbe dovuto al Fisco (al netto di sanzioni e<br />

interessi), in attesa di considerare perfezionato il versamento al Fisco in base<br />

alle ultime integrazioni al decreto che saranno effettuate in Parlamento. E le<br />

integrazioni arrivano puntuali, alla Camera, il 7 luglio: nella manovra 2011 il<br />

relatore Antonio Azzolini (ancora lui) inserisce l'emendamento finale:<br />

"L'avvenuto pagamento estingue il giudizio a seguito dell'attestazione degli<br />

uffici dell'Amministrazione Finanziaria comprovanti la regolarità dell'istanza e<br />

il pagamento integrale di quanto dovuto". Ci siamo: ora il "delitto" è davvero<br />

perfetto. La Mondadori può pagare pochi spiccioli, e chiudere in gloria e per<br />

sempre la guerra con l'Erario, che a sua volta gliene da atto rilasciandogli<br />

regolare "quietanza".<br />

L'epilogo: una nazione "ad personam"?<br />

Sembra un romanzaccio di fanta-finanza o di fanta-politica. È invece la pura e<br />

semplice cronaca di un pasticciaccio di regime. Nel quale tutto è vero, tutto<br />

torna e tutto si tiene. Stavolta Berlusconi non può dire "non mi occupo degli<br />

affari delle mie aziende": non è forse vero che il 3 dicembre 2009 (come<br />

riportato testualmente dalle intercettazioni dell'inchiesta di Trani) nel pieno del<br />

346


Post/teca<br />

secondo tentativo di far passare la legge "ad aziendam" dice al telefono al<br />

commissario dell'Agcom Giancarlo Innocenzi "è una cosa pazzesca, ho il<br />

fisco che mi chiede 900 milioni... De Benedetti che me li chiede ma ha già<br />

avuto una sentenza a favore, 750 milioni, pensa te, e mia moglie che mi<br />

chiede 90 miliardi delle vecchie lire all'anno... sono messo bene, no?".<br />

Stavolta Berlusconi non può dire che Carboni, Martino e Lombardi sono solo<br />

"quattro sfigati in pensione": non è forse vero che nelle 15 mila pagine<br />

dell'inchiesta delle procure sulla cosiddetta P3 la parola "Mondadori" ricorre<br />

430 volte (insieme alle 27 in cui si ripete la parola "Cesare") e che nella<br />

frenetica attività della rete criminale creata per condizionare i magistrati<br />

nell'interesse del premier sono finiti sia il presidente della Cassazione<br />

Carbone (cui come abbiamo visto spettava il compito di dirottare alle Sezioni<br />

Unite la vertenza Mondadori-Agenzia delle Entrate) sia il presidente<br />

dell'Avvocatura dello Stato Oscar Fiumara (cui competeva il necessario via<br />

libera a quel "dirottamento"?).<br />

È tutto agli atti. Una sola domanda: di fronte a un simile sfregio delle norme<br />

del diritto, un simile spregio dei principi del mercato e un simile spreco di<br />

denaro pubblico, ci si chiede come possano tacere le istituzioni, le forze<br />

politiche, le Confindustrie, gli organi di informazione. Possibile che "ad<br />

personam", o "ad aziendam", sia ormai diventata un'intera nazione?<br />

m.giannini@repubblica. it<br />

(19 agosto 2010)<br />

fonte:<br />

http://<br />

www.<br />

repubblica.<br />

it/<br />

politica/2010/08/19/<br />

news/<br />

mondadori_<br />

salvata_<br />

dal_<br />

fisco_<br />

scandalo_<br />

ad_<br />

azie<br />

ndam_<br />

nell_<br />

interesse_<br />

del_<br />

cavaliere-6365174/<br />

------------------<br />

347<br />

Il gran rifiuto di don Gallo


Post/teca<br />

"Mai più libri con la Mondadori"<br />

Evasione fiscale e legge "ad aziendam": il prete di strada che ha<br />

pubblicato con la casa di Segrate "Angelicamente anarchico" e<br />

"Così in terra come in cielo" è il primo autore che se ne va<br />

di MICHELA BOMPANI<br />

"Non pubblicherò più libri con Mondadori, dopo questa storia del romanzaccio<br />

di Segrate io zitto non ci sto". Don Andrea Gallo è un autore Mondadori e<br />

mette la parola fine al suo rapporto con la casa editrice dopo l'inchiesta del<br />

vicedirettore di Repubblica Massimo Gianninipubblicata<br />

tre giorni fa e la<br />

"tempesta del dubbio" di un autore Mondadori, il teologo Vito Mancuso,<br />

che in<br />

una lettera aperta al quotidiano ha sollevato la questione se sia eticamente<br />

corretto continuare a pubblicare il proprio lavoro con un'azienda che ha<br />

pagato 8,6 milioni di euro al fisco, in vent'anni, anziché 350 milioni. E poi tutto<br />

sia stato sanato da una legge "ad aziendam".<br />

Tra tutti gli autori Mondadori in ambasce, don Andrea però è il primo che<br />

consuma lo strappo. "Ciò che è grave sono le leggi ad personam del<br />

governo, allora dovrei dimettermi dall'Italia - riflette sulla polemica la<br />

psicoterapeuta e scrittrice, Gianna Schelotto - Mondadori è un'azienda con<br />

cui lavoro benissimo, ha altissime professionalità e non ha mai toccato una<br />

virgola nei miei libri". "Da Mondadori me ne sono andato un anno fa - spiega<br />

Dario Vergassola, comico e autore spezzino - non mi trovavo bene; nessuna<br />

pressione, ma nei miei confronti c'era indifferenza".<br />

Don Gallo invece sabato ha pagato 92 euro, la bolletta di un pensionato<br />

genovese cui avevano tagliato la luce perché non riusciva a saldarla, e non<br />

può stare zitto, dice, davanti a un'evasione di 350 milioni. "Sono un autore<br />

piccolissimo, minuscolo, ho compagni enormi, da Zagrebelski a Scalfari, da<br />

Saviano a Citati, ma qualcuno deve pur dire no a un certo punto, e questa<br />

vicenda: è un romanzaccio che spinge un mini-autore come me a non poter<br />

proseguire ancora con Mondadori", dice don Gallo.<br />

Il prete di strada ci tiene a precisare, però: "L'azienda di Segrate è un<br />

348


Post/teca<br />

monumento dell'editoria italiana e, lì dentro, ho incontrato professionalità<br />

eccellenti. Però non posso fare finta di niente davanti a una legge "ad<br />

aziendam" che ha messo a posto un'evasione fiscale enorme. Vero che ci<br />

sono state due sentenze favorevoli, ma al terzo grado non ci si è arrivati: è<br />

invece arrivata l'ennesima legge ad personam".<br />

Per Mondadori don Gallo ha pubblicato due titoli, "Angelicamente anarchico"<br />

nel 2004 e, a febbraio 2010, "Così in terra come in cielo": "È successa una<br />

cosa che mi ha incuriosito, in occasione delle presentazioni pubbliche<br />

dell'ultimo libro - svela don Andrea - la Mondadori, sia a Milano, sia a<br />

Genova, dove esistono librerie dell'azienda, mi ha organizzato gli incontri da<br />

Feltrinelli". Ricorda la telefonata furiosa del suo amico Beppe Grillo, appena<br />

pubblicò "Angelicamente anarchico" per Mondadori: "Prete maledetto non<br />

dovevi farlo" - ride il fondatore della Comunità di San Benedetto - ma mi<br />

avevano cercato loro, io non mi ero posto il problema, avevo incontrato<br />

persone molto competenti, e poi mi interessava soltanto che tutto ciò che il<br />

libro guadagnava, così come tutti quelli che ho scritto, andasse sul conto<br />

della Comunità e finanziasse il suo lavoro. Quando è uscito "Così in terra<br />

come in cielo" Grillo mi ha nuovamente telefonato ("Finalmente pubblichi con<br />

Feltrinelli" mi ha detto). Io gli ho risposto di no, ma anche lui era caduto nel<br />

giochetto, perché il volume veniva presentato al pubblico nella libreria di via<br />

Ceccardi".<br />

Don Gallo guarda indietro e punta il dito: "Abbiamo tutti preso un grosso<br />

granchio: abbiamo sottovalutato chi sapeva e aveva capito tutto, per tempo,<br />

Indro Montanelli". "Perché davanti all'inchiesta di Giannini le istituzioni, le<br />

forze politiche non parlano? C'è un silenzio assordante in questa crisi di<br />

sistema".<br />

Gianna Schelotto si allinea con la maggior parte di grandi autori che non<br />

vogliono rompere un rapporto di altissimo profilo con le eccellenze che<br />

lavorano in Mondadori: "Ho cominciato con la casa editrice negli anni<br />

Settanta e Berlusconi non c'era ancora - dice la psicoterapeuta genovese -<br />

Spero di continuare finché Berlusconi, come proprietario, non ci sarà più".<br />

(23 agosto 2010)<br />

349


Post/teca<br />

fonte: http://<br />

genova.<br />

repubblica.<br />

it/<br />

cronaca/2010/08/23/<br />

news/<br />

don_<br />

gallo-6444638/<br />

index.<br />

html?<br />

ref=<br />

search<br />

-------------<br />

L ' uomo<br />

che<br />

era<br />

DOMENICA 22 AGOSTO 2010 23:00<br />

Internet<br />

di mazzetta<br />

Il nome di Jon Postel (Jonathan Bruce Postel) non dirà molto ai miliardi di<br />

persone che navigano su internet oggi e probabilmente nemmeno a quelli del<br />

futuro, ma nessuno come Postel ha interpretato la figura dell'immaginario<br />

folletto che molti immaginano far funzionare i meccanismi misteriosi che<br />

faticano a comprendere. Oggi usiamo una miriade di macchine e programmi<br />

dei quali conosciamo a malapena l'interfaccia-utente. Ben pochi sanno cosa<br />

succede nel motore di un'automobile, come funzionano i freni e gli<br />

ammortizzatori, come i cambi moltiplichino e demoltiplichino i giri dell'albero<br />

motore e, spesso, la maggior parte dei guidatori è all'oscuro persino<br />

dell'esistenza del motorino d'avviamento.<br />

Se si parla di macchine elettroniche la cosa diventa ancora più oscura e,<br />

quando si arriva ai programmi che le fanno funzionare o ai protocolli che<br />

permettono loro di comunicare con altre macchine, spesso cala un muro<br />

impenetrabile che separa le operazioni più elementari riservate all'utente dalla<br />

realtà del funzionamento sottostante. Molti sono diventati famosi grazie alla<br />

diffusione dei computer e di internet, tutti conoscono il fondatore di Microsoft o<br />

di Apple, tutti hanno sentito parlare degli "inventori" di Google o di Facebook,<br />

350


Post/teca<br />

quasi nessuno conosce i nomi di chi ha fondato e costruito Internet come la<br />

conosciamo e di chi, come il folletto ricordato sopra, ha lavorato per anni per<br />

crescerla amorevolmente ottenendo poca fama e ancor meno ricchezza.<br />

Jon Postel è stato per anni il folletto invisibile che ha retto i destini della rete,<br />

che l'ha plasmata e gestita fino a pochi mesi prima della sua morte. Se Vint<br />

(Vinton) Cerf è considerato "il padre di Internet", Postel ne è stato sicuramente<br />

la levatrice e la madre premurosa dalla nascita della rete fino a quando la<br />

morte l’ha colto nel 1998. Diversamente da Cerf e da Steve Crocker; due<br />

compagni alla high school e poi alla UCLA, che dalla partecipazione alla nascita<br />

della rete hanno raccolto ricchezza ed onori, Postel è stato un esempio di<br />

selfless serving, curando la rete e i meccanismi che la sovraintendono e<br />

ponendo con il suo esempio le basi di quella che diventerà poi l'etica hacker,<br />

senza mai pensare di monetizzare le sue competenze e senza trarre alcun<br />

vantaggio dall'essere pioniere tra i pionieri di quella che diventerà negli anni<br />

una vera e propria miniera d'oro.<br />

Il valore dell'eredità e del lavoro di Postel sono stati conosciuti e riconosciuti da<br />

molti, ma al grande pubblico rimane sconosciuto e solo una frazione<br />

infinitesimale di quanti usano la rete ne conosce l'opera e ne ha compreso i<br />

meriti. Jon Postel è stato allo stesso tempo motore, garante, facilitatore e<br />

artigiano dell'incredibile processo che ha portato alla trasformazione di una<br />

rete di computer locale in quella che poi è diventata l'Internet che conosciamo.<br />

Ha incarnato per anni l'autorità per l'assegnazione degli indirizzi di rete (quella<br />

che poi diventerà la IANA), è stato l'editor delle RFC (Request For Comments:<br />

la lista di discussione che ha sviluppato tecnicamente e formato la rete), è<br />

stato il primo socio della Internet Society, fondatore dell'Internet Architecture<br />

Board, membro dell'Internet Engineering Task Force (IETF) e per anni<br />

l'amministratore del dominio di primo livello ".US". Ma è stato anche il<br />

formulatore del "principio di robustezza" che ancora oggi è alla base dei<br />

protocolli di comunicazione internet (conosciuto anche come "legge di Postel")<br />

e molto altro.<br />

Postel è stato tutto questo, ma soprattutto è stato la persona che ha moderato<br />

i rapporti nell'estrosa comunità d'ingegneri e scienziati che nel corso degli anni<br />

hanno costruito la rete, l'instancabile facilitatore che ha tirato le fila e dato<br />

impulso alle discussioni tecniche e di principio e anche l'artigiano che ha messo<br />

le mani nella macchina, da quando era una sbuffante utilitaria fino a quando ha<br />

assunto l'aspetto e le prestazioni di una fuoriserie. Per trent'anni Postel ha<br />

tenuto il filo e la memoria di tutti i protocolli, gli indirizzi, i nomi, le reti e le<br />

discussioni tecniche che nel tempo si sono accumulate nella formazione<br />

Internet, oltre a dirigere e fondare molte delle istituzioni e delle società nonprofit<br />

che si sono occupate dello sviluppo della rete.<br />

351


Post/teca<br />

Nel suo modesto ufficio alla USC School of<br />

Engineering Information Sciences Institute a Marina del Rey Postel ha<br />

incarnato a lungo la massima autorità della rete, senza essere stato eletto da<br />

nessuno, ma essendo semplicemente il depositario della fiducia di tutti quelli<br />

che per tre decenni hanno contribuito alla sua concezione e costruzione. "Se<br />

internet ha un Dio, quello è probabilmente Jon Postel", ha scritto a suo tempo<br />

l'Economist cercando di descrivere l'enorme lavoro e il potere di Postel sulla<br />

rete, potere che gli sarà tolto nel 1998 pochi mesi prima della sua morte,<br />

dall'amministrazione Clinton, con un provvedimento che segnerà la fine<br />

dell'epoca pionieristica della rete e l'inizio dell'era moderna, caratterizzata dal<br />

trasferimento del potere sulla rete governi (in primis quello americano) e<br />

dall'influenza delle corporation.<br />

Jon Postel non era più il garante e arbitro della rete e la rete non sarebbe più<br />

stata la stessa, il potere che la comunità degli operatori e scienziati aveva<br />

affidato a Postel venne trasferito d'imperio al governo americano e all'influenza<br />

delle lobby attirate dal progetto delle "autostrade informatiche" fortemente<br />

voluto da Al Gore e dai ciclopici investimenti che prevedeva.<br />

La vita di Postel è sempre stata lontana dai riflettori dei media, se si può dire<br />

con certezza che il denaro non era in cima ai suoi interessi, si può affermare<br />

con altrettanta certezza che il suo carattere schivo e la sua naturale modestia<br />

funzionarono da perfetti antidoti alla sua trasformazione in personaggio<br />

iconico. Di lui si ricordano la passione per le lunghe camminate nella natura<br />

con uno zaino in spalla, l'amore per i gialli di autori inglesi e il look poco<br />

convenzionale tendente all'hippy.<br />

In un ricordo di Ira Magaziner, consigliere dell'amministrazione Clinton per lo<br />

sviluppo delle reti, si racconta che l'unico incontro al quale Postel fu invitato<br />

alla Casa Bianca cominciò con un ritardo di venti minuti perché gli uomini dei<br />

servizi segreti non potevano credere che quell'uomo barbuto che si era<br />

presentato in sandali e look da sovversivo fosse tra gli invitati. Magaziner dirà<br />

352


Post/teca<br />

poi che osservando la stanza piena di burocrati incravattati: "Mi ricordo che<br />

pensai: Questi uomini sono molto preoccupati del posto che avranno nella<br />

storia, ma non c'è nessuno in questa stanza che la storia ricorderà, tranne Jon<br />

Postel".<br />

Nella sua breve vita (morirà a cinquantacinque anni per complicazioni<br />

cardiache) Jon Postel ha contribuito con la sua opera ad accelerare lo sviluppo<br />

della rete di diversi anni, a formarne il carattere unico e a stabilire molti dei<br />

principi che la reggono e ne rendono possibile il funzionamento, riuscendo allo<br />

stesso tempo a essere l'autorità silente che a reso possibile la collaborazione di<br />

menti, interessi e aspirazioni tanto diverse senza mai farsi distrarre<br />

dall'interesse personale o dalla brama di ricchezza.<br />

Ma, soprattutto, Postel ha incarnato un esempio ineguagliabile dedizione a un<br />

progetto, disponibilità all'ascolto e intelligenza al servizio dell'umanità.<br />

Un'eredità che sicuramente merita di essere ricordata e trasmessa ai posteri<br />

più delle storie di tanti protagonisti dell'epopea digitale, santificati quasi<br />

quotidianamente per la loro capacità d'arricchirsi durante la corsa all'oro delle<br />

dot com.<br />

fonte: http://<br />

altrenotizie.<br />

org/<br />

cultura/3419<br />

luomo-<br />

che-<br />

era-<br />

internet.<br />

html<br />

----------------<br />

Alzare i tacchi<br />

di Franco Cordelli<br />

Il primo libro da me consegnato a Einaudi è del 1990, dunque fuori gioco. Ne ho pubblicati altri<br />

due, uno nel 1996 e uno nel 1999. In quegli anni al governo c’era il centro-sinistra. Credevo che<br />

Berlusconi fosse spacciato. Credevo che si sarebbe fatta una legge sul conflitto d’interessi. Più in<br />

generale, non avevo percepito la questione dell’opportunità di “lavorare” o meno per una casa<br />

editrice di un industriale – sceso in politica e già, fugacemente, primo ministro (nel 1994). Per me<br />

Einaudi e Mondadori erano ancora aziende simili alle altre, d’ogni natura (non credo che le aziende<br />

editoriali siano uguali alle aziende ortofrutticole: i libri non sono, come è stato detto, uguali ai<br />

pomodori). Presi coscienza del problema quando Berlusconi vinse le elezioni del 2001. Fu in quel<br />

momento, o poco dopo, che cominciai a pensare al libro che poi divenne Il duca di Mantova. Più<br />

quel libro prendeva forma, più si faceva strada nelle mie intenzioni l’idea che sarebbe stato anche<br />

un banco di prova. A quale editore migliore di Einaudi consegnare un romanzo in cui l’antagonista<br />

morale del narratore è lo stesso Berlusconi?<br />

Nella prima settimana di luglio del 2003 consegnai il manoscritto a Ernesto Franco. Mi<br />

disse che mi avrebbe richiamato entro una settimana. Alla fine di luglio, essendo i nostri rapporti<br />

amichevoli ma non avendolo ancora sentito, incaricai il mio agente di offrirlo a un altro editore. Il<br />

353


Post/teca<br />

libro uscì nel 2004 da Rizzoli. Ancora oggi i redattori della Einaudi che conosco mi dicono che il<br />

romanzo fu rifiutato perché non piacque. Non ne dubito, anche se mi riesce difficile credere che<br />

altri autori della stessa casa editrice, tra quelli che pubblicano con più frequenza di quanto accada<br />

a me, scrivano libri che sempre piacciono. Se il motivo del rifiuto non era il “che cosa”, come lo<br />

chiama Jacob Burckhardt, ma il “come”, è una mera coincidenza la querela per diffamazione che<br />

mi fu intentata, poco dopo l’uscita del libro, da Cesare Previti. La vicenda giudiziaria è tuttora in<br />

corso: il primo grado di giudizio respinse le accuse del querelante, e ora si sta istruendo l’appello.<br />

Il silenzio del direttore editoriale mi dispiacque ma nello stesso tempo ne fui felice. Adesso le cose<br />

mi erano chiare. Quel romanzo era nato non per caso. Giudicare le scelte degli altri scrittori mi<br />

annoia ma non posso fare a meno di invidiare Sandro Veronesi che, come ha dichiarato in questi<br />

giorni, già nel 1994 ruppe un contratto con la Mondadori indipendentemente, lo sottolineo,<br />

dall’argomento del suo romanzo. Come non ammirarlo?<br />

Al di là del caso personale, di fronte alle obiezioni che Vito Mancuso ha sollevato avanzerei<br />

due osservazioni. La prima riguarda la differenza tra Mondadori e Einaudi. La Mondadori è una<br />

casa editrice priva di qualunque connotato ideologico-culturale. È come un supermercato ed è suo<br />

preciso obiettivo commerciale pubblicare tutti i tipi di libro, anche quelli di chi non abbia in<br />

particolare stima il suo proprietario, persino quelli dei suoi più esposti nemici (Benché non me ne<br />

venga in mente nessuno: D’Alema fino a che punto era un avversario politico di Berlusconi?). Al<br />

contrario l’Einaudi vanta un persistente prestigio culturale, un alone immarcescibile: pubblicare per<br />

Einaudi appare significativo in un modo tutto speciale. Quale vanità vi rinuncerà mai? Non è più la<br />

casa editrice della sinistra culturale egemonica? Ciò non ha alcuna importanza.<br />

Ma dopo un fatto clamoroso come quello che ha destato la coscienza di Mancuso, un fatto<br />

che mette a nudo l’iniquità giuridico-morale in cui viviamo, l’abnormità del conflitto di interessi, ci si<br />

pone una domanda. Ci si chiede come sia possibile che coloro che conducono una battaglia<br />

quotidiana contro il presidente del Consiglio e proprietario di aziende cui collaborano, ci si chiede<br />

come costoro possano rinunciare a una coerenza minima: non viviamo forse in una democrazia,<br />

opinabile quanto si vuole, ma pur sempre ricca di opportunità perfino editoriali?<br />

Che vi sia la possibilità di pubblicare con altri editori, rispetto a quello che fu il proprio, appare fonte<br />

di squilibrio psichico, di marasma, perfino di sconforto. Ne sono una prova tutte le voci raccolte dai<br />

quotidiani in seguito all’intervento di Vito Mancuso. Poiché l’insulto è divenuto dominante nella vita<br />

politica, era inevitabile che si trasferisse nella sfera culturale. Culturale? La questione riguarda il<br />

mondo dei libri ma suo perno è proprio la politica, il nostro modo di vivere in società e non già nella<br />

eremitica grotta in cui il teologo è stato invitato a traslocare. Bisogna comunque dire che se si<br />

tratta di insulti gli intellettuali italiani si rivelano ferratissimi e non indegni dei loro rappresentanti in<br />

Parlamento e al Senato. C’è chi ha accusato Mancuso di aver offeso, con il suo caso di coscienza,<br />

non Berlusconi ma proprio lui, lo scrittore intervistato che, voglio farne il nome, è Antonio<br />

Pennacchi, il fasciocomunista. E c’è chi (sono i più) ha fantasiosamente lavorato di metafora su<br />

Mancuso. Le ipotesi sono state due: ingenuo o ipocrita? L’ipocrisia batteva la lievemente meno<br />

riprovevole ingenuità. Poi i mille distinguo, le sofisticazioni giustificatorie («allora bisognerebbe non<br />

comprare o non recensire i libri Mondadori»). Inutile ripeta quanto tutto ciò mi sembri farsesco. Se<br />

si è d’accordo con Berlusconi, non vi sono problemi. Se non si è d’accordo, dal momento che non<br />

siamo nel campo delle mere opinioni, sarebbe decisamente opportuno smetterla con le chiacchiere<br />

e passare ai fatti, cioè alzare i tacchi da Segrate e da Via Biancamano.<br />

Questo testo amplia e aggiorna quello uscito, col titolo A questo punto un po’ di coerenza,<br />

sul «Corriere della Sera» del 23 agosto 2010. La memoria difensiva di Cordelli, contro la<br />

354


Post/teca<br />

querela intentata da Previti, si legge alle pp. 51-62 dell’«Almanacco Guanda 2008», a cura di<br />

Ranieri Polese, su Il romanzo della politica La politica del romanzo.<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

nazioneindiana.<br />

com/2010/08/24/<br />

alzare-<br />

i - tacchi/#<br />

more-36467<br />

----------------<br />

20100830<br />

Poi la porta si spalancò. Ed entrò quella donna. Tutto quello<br />

che posso dirvi è che ci sono miliardi di donne, sulla terra,<br />

giusto? Certune sono passabili. La maggior parte sono<br />

abbastanza belline, ma ogni tanto la natura fa uno scherzo,<br />

mette insieme una donna speciale, incredibile. Cioè, guardi e<br />

non ci puoi credere. Tutto è un movimento ondulatorio<br />

perfetto, come l’argento vivo, come un serpente, vedi una<br />

caviglia, un gomito, un seno, un ginocchio, e tutto si fonde in<br />

un insieme gigantesco, provocante, con magnifici occhi<br />

sorridenti, bocca leggermente piegata in giù, labbra atteggiate<br />

in modo che sembrano scoppiare in una risata alla tua<br />

sensazione di impotenza. E sanno vestirsi, e i loro lunghi<br />

capelli incendiano l’aria. Troppo di tutto, accidenti.<br />

— da “Pulp” di Charles Bukowski (via anarchaia) (via<br />

rispostesenzadomanda)<br />

fonte: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com<br />

----------------------------------------<br />

quando una donna si stende per prendere il sole e fa quel<br />

gesto di sbottonarsi il costume ma solo per non far venire il<br />

segno, lo spostamento d’aria provocato dalle cape dei maschi<br />

che si girano di botto sperando in una tetta scoperta provoca<br />

raffiche di vento e onde che si sbattono nella piscina.<br />

—<br />

untemporale:s 7 efano:Viadellaviola:<br />

un blog senza sottoveste<br />

355


Post/teca<br />

(via hollywoodparty)<br />

(via rispostesenzadomanda)<br />

---------------------------------------<br />

Sarebbe facile liquidare il discorso di Zaia come un discorso<br />

idiota. Non è un discorso idiota. E’ un discorso cattivo. A Zaia<br />

non danno noia gli emiliani, i lombardi, i pugliesi che risiedono<br />

nel Veneto. No. E non gli danno noia nemmeno i senegalesi, i<br />

cinesi, i rumeni. Gli danno noia, a Luca Zaia, e ho il sospetto<br />

che gli ispirino un vero e proprio terrore, gli “apolidi”, ovvero<br />

coloro che non accettano la sua retorica.<br />

— Luca Zaia,<br />

Nanni Loy e il terrore degli apolidi « vibrisse,<br />

bollettino (via niente) (via hneeta) (viaemmanuelnegro)<br />

--------------------------<br />

117.<br />

fastlive:<br />

uds: rispostesenzadomanda: el-<br />

hereje:<br />

weofp: tagestamas:<br />

Continua inarrestabile, nel nostro Paese, il calo di popolarità della<br />

fica. Il consumo medio pro-capite è passato in Italia dagli 8,3 chili<br />

del 1951, ancora segno di una civiltà contadina tradizionale, agli<br />

odierni 2,1 chili. Presso le giovani generazioni, oltretutto, il calo<br />

appare anche più netto e difficile da recuperare: molti ragazzi<br />

dichiarano di non apprezzare né il gusto deciso della fica né di<br />

amarne la forma, giudicata troppo minacciosa e responsabilizzante.<br />

Se si andrà avanti così, e non ci sono segnali di recupero, le grandi<br />

tavolate a base di fica, che ancora riecheggiano nei racconti dei<br />

nostri nonni, saranno presto solo un dato storico e un ricordo di<br />

356


Post/teca<br />

pochi. Si va in compenso generalizzando l’uso e il consumo di<br />

vestiti di merda e occhiali anche peggio.<br />

tamas tvbnohomo<br />

uin tantissimo uin<br />

--------------------------<br />

flatguy:serena-<br />

gandhi:<br />

se dovessi decidere chi sia il personaggio più sfortunato di sempre,<br />

sceglierei icaro: finisce rinchiuso nel labirinto senza colpe, viene<br />

travestito da pollo dal padre, cade in mare e, come se non<br />

bastasse, viene associato ad un tristissimo panino.<br />

---------------------------<br />

Diffidate da chi dice adoro i<br />

bambini, avete mai sentito<br />

qualcuno dire adoro gli<br />

adulti?<br />

—<br />

David Grossmann<br />

(via tattoodoll) (via progvolution)<br />

(via alkemilk)<br />

(via lasimple)<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com<br />

------------------------------<br />

357


Post/teca<br />

Al cinismo più bieco e posato<br />

tipo quello da cantautorato<br />

esser stronzi è dono di pochi<br />

farlo apposta è roba da idioti<br />

A chi è andato a vivere a Londra<br />

a Berlino, a Parigi, a Milano o Bologna<br />

ma le paure non han fissa dimora<br />

le vostre svolte son sogni di gloria<br />

A chi critica, valuta, elogia<br />

figli di troppo di madre noiosa<br />

l’arte è pensiero che esce dal corpo<br />

né più né meno come lo sterco<br />

Alle donne, agli uomini ai froci<br />

vi amo, vi adoro e ricopro di baci<br />

corpi ignudi sgraziati o armoniosi<br />

perdenti per sempre perfetti per oggi<br />

A voi che vi piace di farvi fregare<br />

dai nati vincenti, dal navigatore<br />

dalla macchina nuova e dal suo fetore<br />

dalla prova finale dall’uomo che muore<br />

—<br />

(The Zen Circus - “Andate tutti affanculo”)<br />

(via flatguy)<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com<br />

dovrebbe chiamarsi Emiliano Severoni, in: http://<br />

flatguy.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

post/1031947598/<br />

al-<br />

cinismo-<br />

piu-<br />

bieco-<br />

e - posato-<br />

tipo-<br />

quello-<br />

da<br />

-----------------------------<br />

358<br />

Mondadori, le tasse e la leggina


Post/teca<br />

ad hoc (con un importante link<br />

finale)<br />

Di Giulio Mozzi<br />

di giuliomozzi<br />

Ho pubblicato cinque libri con Einaudi e due con Mondadori; con<br />

quest’ultima ho un contratto per un terzo libro. Ho un contratto di<br />

consulenza con Einaudi Stile libero. L’attuale discussione sull’opportunità<br />

di pubblicare con / lavorare per Mondadori o società da essa controllate,<br />

quindi, mi riguarda.<br />

L’argomento a favore del distacco da Mondadori è questo: l’attuale<br />

governo ha fatto una leggina ad hoc per Mondadori; grazie ad essa<br />

Mondadori ha evitato di pagare 350 di euro milioni che doveva al fisco, e<br />

se l’è cavata (o se la caverà: non ho capito se il pagamento sia già<br />

avvenuto) cavandosi di tasca solo una frazione minima della somma.<br />

Mondadori? No grazie!<br />

L’argomento è illustrato con le parole che seguono (neretti loro) dagli<br />

organizzatori della campagna Mondadori?<br />

No grazie!<br />

, rivolta agli autori e<br />

ai lettori; i primi sono invitati a staccarsi da Mondadori, i secondi a non<br />

comperarne i prodotti.<br />

Questa è una campagna per denunciare e fare pressione<br />

tramite il non-acquisto la Mondadori, la casa editrice della<br />

famiglia Berlusconi per la quale il Parlamento ha emanato una<br />

norma che le consente di “evadere” per legge il fisco.<br />

La presidente della Arnoldo Mondadori Editore è Marina Berlusconi,<br />

figlia del capo della maggioranza al governo.<br />

Grazie ad un provvedimento parlamentare approvato dalla<br />

maggioranza guidata da Silvio Berlusconi, la Mondadori<br />

risparmierà quasi 350 milioni di euro non versandoli nelle<br />

casse dell’erario. Sono soldi che la casa editrice doveva allo Stato<br />

da molti anni e per la quale si aspettava una sentenza della Corte<br />

di Cassazione. Grazie al provvedimento, la Mondadori pagherà il<br />

5% della somma dovuta ed estinguerà il contenzioso.<br />

E così ciascun italiano (bambini compresi) si ritrova a<br />

pagare una tassa di ben 7 euro per coprire le tasse non<br />

versate dalla Arnoldo Mondadori Editore.<br />

359


Post/teca<br />

L’evasione fiscale danneggia tutti quanti, sono soldi che ci vengono<br />

sottratti direttamente. Sono mancati servizi, tagli alla cultura, alla<br />

scuola, alla sanità.<br />

Noi cittadini italiani non possiamo tacere, accettando<br />

supinamente che il capo del Governo approfitti della sua situazione<br />

per approvare provvedimenti “ad-aziendam” che permettono alle<br />

sue società di famiglia di non pagare tasse dovute. Tutto questo a<br />

scapito dei bilanci dello Stato e quindi di tutti noi. (Qui).<br />

La campagna ha anche una pagina in Facebook. Non sono riuscito a<br />

trovare, né nel sito né nella pagina in Facebook, i nomi degli<br />

organizzatori (ma forse si tratta di inettitudine mia). (Aggiunto dopo: sì,<br />

è inettitudine mia. La campagna è stata ideata daGianfranco Mascia).<br />

Tutto cominciò da Repubblica<br />

Questa mobilitazione nasce, mi sembra, da un articolo di Massimo<br />

Giannini, vicedirettore di La Repubblica, apparso nel quotidiano il 19<br />

agosto scorso. L’articolo comincia così:<br />

Sotto i nostri occhi, distolti dalla Parentopoli privata di Gianfranco<br />

Fini usata come arma di distruzione politica e di distrazione di<br />

massa, sta passando uno scandalo pubblico che non stiamo<br />

vedendo. Questo scandalo si chiama Mondadori. Il colosso<br />

editoriale di Segrate – di cui il premier Berlusconi è “mero<br />

proprietario” e la figlia Marina è presidente – doveva al Fisco la<br />

bellezza di 400 miliardi di vecchie lire, per una controversia iniziata<br />

nel ’91. Grazie al decreto numero 40, approvato dal governo il 25<br />

marzo e convertito in legge il 22 maggio, potrà chiudere la maxivertenza<br />

pagando un mini-tributo: non i 350 milioni di euro<br />

previsti (tra mancati versamenti d’imposta, sanzioni e interessi)<br />

ma solo 8,6. E amici come prima.<br />

Un “condono riservato”. Meglio ancora, una legge “ad aziendam”.<br />

Che si somma alle 36 leggi “ad personam” volute e fatte licenziare<br />

dalle Camere dal Cavaliere, in questi tumultuosi quindici anni di<br />

avventurismo politico.Repubblica ha già dato la notizia, in<br />

splendida solitudine, l’11 agosto scorso. Ma ora che il centrodestra<br />

discute di una “questione morale” al suo interno, ora che la<br />

propaganda di regime costruisce teoremi assolutori sul “così fan<br />

tutti” e la macchina del fango istruisce dossier avvelenati sulle<br />

compravendite immobiliari, è utile tornarci su. E raccontare fin<br />

360


Post/teca<br />

dall’inizio la storia, che descrive meglio di ogni altra l’enormità del<br />

conflitto di interessi del premier, il micidiale intreccio tra funzioni<br />

pubbliche e affari privati, l’uso personale del potere esecutivo e<br />

l’abuso politico sul potere legislativo.<br />

Faccio notare che in questi primi due capoversi dell’articolo di Giannini<br />

viene affermato un fatto preciso: Mondadori doveva dei soldi al fisco, e<br />

ha evitato di pagare quanto doveva. Tale fatto è accolto pari pari<br />

nell’appello di Mondadori? No grazie!, sopra riportato.<br />

Come si afferma un fatto che non esiste<br />

Il problema è che questo fatto, come La Repubblica spiega subito dopo,<br />

non è vero. L’articolo di Giannini prosegue così:<br />

La vicenda inizia nel 1991, quando il marchio Mondadori, da poco<br />

entrato nell’orbita berlusconiana, decide di varare una vasta<br />

riorganizzazione nelle province dell’impero. Scatta una fusione<br />

infragruppo tra la stessa Arnoldo Mondadori Editore e la Arnoldo<br />

Mondadori Editore Finanziaria (Amef). Operazioni molto in voga,<br />

soprattutto all’epoca, per nascondere plusvalenze e pagare meno<br />

tasse. Il Fisco se ne accorge, scattano gli accertamenti, e le<br />

Finanze chiedono inizialmente 200 miliardi di imposte da versare.<br />

L’azienda ricorre e si apre il solito, lunghissimo contenzioso. Da<br />

allora, la Mondadori vince i due round iniziali, davanti alle<br />

Commissioni tributarie di primo e di secondo grado. È assistita al<br />

meglio: i suoi interessi fiscali li cura, in aula, lo studio tributario di<br />

Giulio Tremonti, nel 1991 non ancora ministro delle Finanze (lo<br />

diventerà nel ’94, con il primo governo Berlusconi). Nell’autunno<br />

del 2008 l’Agenzia delle Entrate presenta il suo ricorso in terzo<br />

grado, alla Cassazione. Nel frattempo la somma dovuta<br />

dall’azienda editoriale del presidente del Consiglio è lievitata: 173<br />

milioni di euro di imposte dovute, alle quali si devono aggiungere<br />

gli interessi, le indennità di mora e le eventuali sanzioni. Il totale<br />

fa 350 milioni di euro, appunto.<br />

Noto alcune cose. Nella terza frase di questo capoverso, Giannininon dice<br />

che Mondadori abbia fatto quelle operazioni allo scopo di “nascondere<br />

plusvalenze e pagare meno tasse”, ma dice che quelle operazioni erano<br />

all’epoca “molto in voga”, allo scopo di “nascondere plusvalenze e pagare<br />

meno tasse”.<br />

Faccio un esempio. Io abito a Padova. Un amico mi telefona da Salerno e<br />

361


Post/teca<br />

mi domanda: “Piove, dalle tue parti?”. Io gli rispondo: “Sai, la pianura<br />

Padana è celebre per i suoi temporali d’agosto”. Che cosa fa allora<br />

l’amico? Mi dice: “Sì, vabbè, ma in questo momento piove o no?”.<br />

Anche nella frase successiva è interessante ciò che non è detto: “Il Fisco<br />

se ne accorge, scattano gli accertamenti, e le Finanze chiedono<br />

inizialmente 200 miliardi di imposte da versare”. “Il Fisco se ne accorge”:<br />

si accorge di che cosa? L’unico oggetto al quale si possa riferire il<br />

pronome relativo ne è: le “operazioni”, la “fusione intergruppo”. Ma il<br />

lettore è sufficientemente suggestionato, a questo punto, da capire ciò<br />

che non è letteralmente scritto: che cioè il Fisco “si accorge” di<br />

un’evasione fiscale.<br />

La quinta e sesta frase sono decisive: “L’azienda ricorre e si apre il solito,<br />

lunghissimo contenzioso. Da allora, la Mondadori vince i due round<br />

iniziali, davanti alle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado”.<br />

Il fatto che viene qui affermato è chiarissimo: per due volte, in primo e<br />

in secondo grado, la Commissione tributaria ha stabilito che Mondadori<br />

ha ragione e che il Fisco ha torto. Ovvero, che non c’è nessuna evasione<br />

fiscale e che Mondadori non deve un soldo al Fisco.<br />

Giannini però fa una mossa astuta. Ci ricorda subito che l’avvocato di<br />

Mondadori era allora (1991) Giulio Tremonti; ci ricorda che Giulio<br />

Tremonti diventerà successivamente (1994) ministro delle Finanze, nel<br />

primo governo Berlusconi. Abbiamo dunque il possibile scandalo di un<br />

ministro, di professione avvocato tributarista, che, da ministro, sostiene<br />

un provvedimento di legge che potrebbe far comodo a un suo vecchio<br />

cliente. Ma Giannini non insiste su Giulio Tremonti (lo ricorderà al volo<br />

più avanti notando come, nel 1994, “Tremonti, da ‘difensore’ del colosso<br />

di Segrate in veste di tributarista, è diventato ‘accusatore’ del gruppo, in<br />

veste di ministro dell’Economia”).<br />

Il capoverso si conclude con il racconto di un fatto indiscutibile<br />

(“Nell’autunno del 2008 l’Agenzia delle Entrate presenta il suo ricorso in<br />

terzo grado, alla Cassazione”) e con il racconto di unfatto discutibile:<br />

“Nel frattempo la somma dovuta dall’azienda editoriale del presidente del<br />

Consiglio è lievitata: 173 milioni di euro di imposte dovute, alle quali si<br />

devono aggiungere gli interessi, le indennità di mora e le eventuali<br />

sanzioni. Il totale fa 350 milioni di euro, appunto”. Domanda: secondo<br />

chi sono dovuti, questi 350 milioni? Secondo il Fisco, evidentemente. Ma<br />

non secondo la Commissione tributaria. Giannini, quindi, difronte a due<br />

362


Post/teca<br />

sentenze della Commissione tributaria, entrambe favorevoli a Mondadori,<br />

dà per scontato che Mondadori ha torto.<br />

Ora: un buon giornalista, a questo punto, ci spiegherebbe per quali<br />

ragioni, difronte a due sentenze della Commissione tributaria che dicono<br />

una certa cosa, egli ritiene che sia vero l’esatto contrario. Il vicedirettore<br />

di Repubblica non si sofferma neanche un istante su questo. Mondadori è<br />

colpevole di evasione fiscale, a prescindere dai giudizi ad essa favorevoli<br />

della magistratura tributaria.<br />

Se il vicedirettore di Repubblica si permette una cosa del genere, sarà –<br />

immagino – perché pensa di potersela permettere. Ossia – immagino –<br />

perché è convinto che il suo pubblico assimilerà senza particolari<br />

problemi il concetto: Mondadori, azienda di Berlusconi, ha evaso il fisco.<br />

Il contagio imperfetto<br />

E infatti è questo che, mi pare, è avvenuto. L’appello di Mondadori? No<br />

grazie!, sopra riportato, lo incorpora senza la minima esitazione:<br />

Grazie ad un provvedimento parlamentare approvato dalla<br />

maggioranza guidata da Silvio Berlusconi, la Mondadori<br />

risparmierà quasi 350 milioni di euro non versandoli nelle<br />

casse dell’erario. Sono soldi che la casa editrice doveva allo Stato<br />

da molti anni e per la quale si aspettava una sentenza della Corte<br />

di Cassazione. Grazie al provvedimento, la Mondadori pagherà il<br />

5% della somma dovuta ed estinguerà il contenzioso.<br />

E così ciascun italiano (bambini compresi) si ritrova a<br />

pagare una tassa di ben 7 euro per coprire le tasse non<br />

versate dalla Arnoldo Mondadori Editore.<br />

Se vi fate un giro in rete, vi accorgerete che questo fatto è dato per<br />

scontato da molte persone. Non da tutte. Stefano Mauri, presidente e<br />

amministratore delegato di Gems (Gruppo editoriale Mauri Spagno, l’ex<br />

“gruppo Longanesi”), ha dichiarato ad Affaritaliani:<br />

Quanto alla legge ad aziendam non ho letto le carte, non sono un<br />

avvocato e non sono un fiscalista. Ho letto quel che dicono i<br />

giornali e devo dire che se han vinto due volte e se alla fine han<br />

compensato perdite e guadagni appartenenti alla stessa proprietà<br />

accorciando la catena di controllo usando strumenti di legge, nella<br />

sostanza non ci vedo chissà quale malefatta.<br />

Ricordo che Gems è un concorrente di Mondadori; che Stefano Mauri fu<br />

promotore, insieme con i Laterza, di un appello contro la cosiddetta<br />

363


Post/teca<br />

“legge bavaglio” lanciato durante l’ultimo Salone del libro di Torino<br />

(testo), che mise non poco in imbarazzo gli autori e i lavoratori del<br />

gruppo Mondadori (alcuni autori Einaudi pubblicrono a loro volta, qualche<br />

settimana dopo, un altro appello); che Gems detiene il 49% di<br />

Chiarelettere (vedi), che a sua volta è tra gli azionisti del quotidiano Il<br />

fatto: Lorenzo Fazio, direttore editoriale di Chiarelettere, è nel consiglio<br />

d’amministrazione di Editoriale Il Fatto spa. Ricordo questo per far notare<br />

che Stefano Mauri non è esattamente un filoberlusconiano.<br />

L’altro punto della faccenda<br />

Torniamo all’articolo di Giannini, che qui compie una svolta. Fatto<br />

passare il concetto che Mondadori aveva un problema, il viceditorettore<br />

di Repubblica scrive un capoverso per introdurre il secondo argomento.<br />

Se la Suprema Corte accogliesse il ricorso, per Segrate sarebbe un<br />

salasso pesantissimo. Soprattutto in una fase di crisi drammatica<br />

per il mercato editoriale, affogato quanto e più di altri settori dalla<br />

“tempesta perfetta” dei mutui subprime che dal 2007 in poi<br />

sommerge l’economia del pianeta. Così, nel silenzio che aleggia<br />

sull’intera vicenda e nel circuito perverso del berlusconismo che<br />

lega la famiglia naturale alla famiglia politica, scatta un piano con<br />

le relative contromisure. Che non sono aziendali, secondo il<br />

principio del liberalismo classico: mi difendo “nel” mercato, e non<br />

“dal” mercato. Ma normative, secondo il principio del liberismo<br />

berlusconiano: se dal mercato non mi posso difendere, cambio le<br />

leggi. Un “metodo” collaudato, ormai, che anche sul fronte<br />

dell’economia (come avviene da anni su quello della giustizia)<br />

esige il “salto di qualità”: chiamando in causa la politica,<br />

mobilitando il partito del premier, militarizzando il Parlamento. Un<br />

“metodo” che, nel caso specifico, si tradurrà in tre tentativi<br />

successivi di piegare l’ordinamento generale in funzione di un<br />

vantaggio particolare. I primi due falliranno. Il terzo centrerà<br />

l’obiettivo.<br />

Dal punto di vista informativo, questo capoverso è nullo. Ma serve: serve<br />

a introdurre il concetto che, poiché Silvio Berlusconi agisce sempre in un<br />

certo modo, anche questa volta ha agito in quel modo. Dal punto di vista<br />

logico, sarebbe più corretto fare l’inverso: mostrare che Silvio Berlusconi<br />

ha agito in un certo modo questa volta, ricordare che altre volte (anzi:<br />

tutte le altre volte) ha agito nello stesso modo, e quindi affermare per<br />

364


Post/teca<br />

induzione che Silvio Berlusconi agisce sempre allo stesso modo. Per<br />

carità: la principale differenza tra il discorso logico e quello retorico sta,<br />

in genere, proprio nell’ordine delle cose. Qui mi interessa far notare la<br />

funzione suggestiva del capoverso.<br />

Dopodiché, si comincia con le cose serie. Ancora Giannini:<br />

Siamo all’inverno 2008. [...] E nessuno si insospettisce, quando<br />

nel mese di dicembre un altro ministro del Berlusconi Terzo, il<br />

guardasigilli Angelino Alfano, presenta il suo corposo “pacchetto<br />

giustizia” nel quale, insieme al processo breve e alla nuova<br />

disciplina delle intercettazioni telefoniche, compare anche la<br />

cosiddetta “definizione agevolata delle liti tributarie”. Una norma<br />

stringatissima: prevede che nelle controversie fiscali nelle quali<br />

abbia avuto una sentenza favorevole, in primo e in secondo grado,<br />

il contribuente può estinguere la pendenza, senza aspettare<br />

l’eventuale pronuncia successiva in terzo grado (cioè la<br />

Cassazione) versando all’erario il 5% del dovuto. È un piccolo<br />

“colpo di spugna”, senz’altro. Ma è l’ennesimo, e sembra rientrare<br />

nella logica delle sanatorie generalizzate, delle quali i governi di<br />

centrodestra sono da sempre paladini. In realtà, è esattamente il<br />

“condono riservato” che serve alla Mondadori.<br />

Le parole “in realtà” sono la chiave argomentativa del capoverso. Esse<br />

dicono che: benché i “governi di centrodestra” siano “da sempre<br />

paladini” dei “colpi di spugna”, quella norma lì “in realtà” è stata fatta<br />

solo perché serviva alla Mondadori.<br />

Anche le parole “colpo di spugna” sono importanti: perché fanno<br />

intendere che la norma serva a cancellare, come con un colpo di spugna<br />

sulla lavagna, dei debiti di aziende verso il fisco. “In realtà”, come<br />

direbbe Giannini, le norme di quel tipo servono ad altro: servono a fare<br />

cassa, tirando fuori soldi da cause che lo Stato ritiene ormai perse, o<br />

troppo onerose da sostenere. Se un’azienda è stata per due volte<br />

assolta, è abbastanza improbabile che sia condannata in terzo grado (*);<br />

e allo Stato conviene, alla fin fine, chiudere tutto spillando un po’ di soldi<br />

piuttosto che rischiare di perdere anche in terzo grado. Analogamente,<br />

alle aziende può convenire chiudere tutto pagando una cifra modesta<br />

piuttosto che affrontare ulteriori spese legali e il rischio, per quanto<br />

debole, di perdere anche in terzo grado.<br />

E anche le parole “sanatorie generalizzate”, infine, hanno il loro peso.<br />

365


Post/teca<br />

Una sanatoria che dicesse: “Chiunque ha guai col Fisco, paghi un tanto e<br />

non ci si pensa più”, sarebbe sì una “sanatoria generalizzata”. Una<br />

sanatoria che si rivolge solo a chi ha già visto per due volte, difronte alla<br />

Commissione tibutaria, respingere le richieste del Fisco, non è proprio<br />

tanto “generalizzata”.<br />

“In realtà”<br />

La frase finale del capoverso, comunque, indica la strada per il prosieguo<br />

dell’articolo. Il cui scopo è dimostrare che veramente quella norma, a<br />

prescindere da tutto, è stata fatta soltanto, o almeno primariamente,<br />

perché faceva comodo a Mondadori.<br />

Giannini spiega che quella volta il “pacchetto giustizia” non andò in porto<br />

(non vi riporto l’intero articolo, vi ricordo che potete leggerloqui). Dopo<br />

qualche frase un po’ vaga, ma necessaria per tenere la tensione<br />

narrativa, il viceditorettore di Repubblica mette giù quella che sembra<br />

essere davvero la carta più pesante. Leggiamo:<br />

La Cassazione ha già fissato l’udienza per il 28 ottobre 2009, di<br />

fronte alla sezione tributaria, per discutere della controversia<br />

fiscale tra l’Agenzia delle Entrate e l’azienda di Segrate. Così scatta<br />

il secondo tentativo. In autunno si discute alla Camera la Legge<br />

Finanziaria per il 2010. È il secondo “treno” in partenza, e per chi<br />

lavora a tutelare gli affari del premier è da prendere al volo.<br />

Giusto alla vigilia dell’udienza davanti alla sezione tributaria della<br />

Suprema Corte, presieduta da un magistrato notoriamente<br />

inflessibile come Enrico Altieri, accadono due fatti. Il primo fatto<br />

accade al “Palazzaccio” di Piazza Cavour: il 27 ottobre il presidente<br />

della Cassazione Vincenzo Carbone (che poi risulterà<br />

pesantemente coinvolto nello scandalo della cosiddetta P3) decide<br />

a sorpresa di togliere la causa Agenzia delle Entrate/Mondadori alla<br />

sezione tributaria, e di affidarla alle Sezioni Unite come richiesto<br />

dagli avvocati di Segrate, con l’ovvio slittamento dei tempi in cui<br />

verrà discussa. Il secondo fatto accade a Montecitorio: il 29<br />

ottobre, in piena notte, il presidente della Commissione Bilancio<br />

Antonio Azzolini, ovviamente del Pdl, trasmette alla Camera il testo<br />

di due emendamenti alla Finanziaria. Il primo innalza da 75 a 78<br />

anni l’età di pensionamento per i magistrati della Cassazione<br />

(Carbone, il presidente che due giorni prima ha deciso di attribuire<br />

la causa Mondadori alle Sezioni Unite, sta per compiere proprio 75<br />

366


Post/teca<br />

anni, e quindi dovrebbe lasciare il servizio di lì a poco). Il secondo<br />

riproduce testualmente la “definizione agevolata delle liti<br />

tributarie” già prevista un anno prima dal “pacchetto giustizia” di<br />

Alfano.<br />

Nell’ambito delle indagini sulla cosiddetta P3, fu intercettata una battuta<br />

al telefono di Vincenzo Carbone: “E io che faccio dopo la pensione?”<br />

(vedi). Faccio notare che, in quelle indagini, è così arduo definire dove<br />

stia il reato che gli inquirenti, non senza fantasia, hanno deciso di<br />

applicare quello di “associazione segreta”. E una battuta di quel genere<br />

non vedo com possa essere prova di alcunché. Tuttavia, la coincidenza<br />

dei due emendamenti presentati da Azzolini sembra lampante.<br />

Una piccola correzione alla realtà?<br />

Tuttavia, trovo in giro per la rete questa notiziola:<br />

La Corte di Cassazione ha smentito, con una lettera a “Repubblica”,<br />

il collegamento strumentale fra la rimessione della causa che vede<br />

protagonista la “Mondadori” e l’emendamento che posticipa la<br />

pensione ai magistrati. Nella lettera di smentita, la Corte fa<br />

presente che la rimessione alle Sezioni Unite è stata adottata in<br />

base a quanto prescrive l’art. 374 del codice di procedura civile, e<br />

cioè: a) la rimessione era stata chiesta da entrambe le parti del<br />

contenzioso (Avvocatura dello Stato e legali della “Mondadori”); b)<br />

la richiesta è stata esaminata come da prassi e, considerato anche<br />

il fatto che la fattispecie è stata considerata di particolare rilievo (e<br />

questo è uno dei motivi previsti per la rimessione di una causa alle<br />

Sezioni Unite), è stata accolta. Nella smentita, oltre a ipotizzare<br />

una querela al quotidiano romano, si precisa anche che il<br />

presidente del Collegio che avrebbe dovuto giudicare il caso non<br />

era il citato giudice Enrico Altieri. (Vedi)<br />

Sulla remissione alle sezioni unite, peraltro l’Avvocato dello Stato Oscar<br />

Fiumara, la racconta ancora diversa:<br />

Da parte nostra non ci fu opposizione ma neanche consenso.<br />

Semplicemente ci rimettemmo alla decisione della Suprema Corte.<br />

(Qui).<br />

Non sono riuscito a trovare, nell’archivio in rete di Repubblica, questa la<br />

lettera della Cassazione. Né mi pare si possa trovarla nel sito della<br />

Cassazione (nemmeno provo a cercare il verbale della seduta: il sito<br />

della Cassazione sembra, lui sì, quello di una società segreta). Anche con<br />

367


Post/teca<br />

i motori di ricerca non mi salta fuori. Vedrò cosa riesco a fare in<br />

emeroteca.<br />

Diciamo quindi che anche mentre cala la sua carta più pesante, il<br />

vicedirettore di Repubblica continua a dire cose che sembrano un po’<br />

dubbie. E’ vero che lo spostamento della causa è stato “richiesto dagli<br />

avvocati di Segrate”, cioè di Mondadori: ma l’aveva chiesto anche<br />

l’Avvocatura dello Stato, o almeno l’Avvocatura aveva si era rimessa alla<br />

decisione della corte. E’ vero che Enrico Altieri presiede la sezione<br />

tributaria della Corte di cassazione, ma la Cassazione dice che “il<br />

presidente del Collegio che avrebbe dovuto giudicare il caso non era il<br />

citato giudice Enrico Altieri”.<br />

[E' curioso peraltro che Giannini non ricordi un fatto preciso, riportato il 24 agosto scorso dal Sole/24 iore:<br />

Sulla vicenda, però, pende la richiesta di compatibilità della sanatoria con il diritto comunitario. Questione<br />

sollevata da un collegio presieduto dal giudice Enrico Altieri. (Qui).<br />

Non so quando sia stata presentata questa "richiesta di compatibilità". Mi stupisce che Giannini non la usi per<br />

rafforzare l'immagine di Altieri come giudice inflessibile; immagino che prima o poi qualcuno, dall'altra parte, la userà<br />

per provare che Altieri avrebbe un atteggiamento persecutorio nei confronti di Berlusconi.]<br />

Gli anelli di congiunzione<br />

A questo punto, Giannini può correre veloce verso la conclusione:<br />

Il 22 maggio [2010] le Camere convertono definitivamente il<br />

decreto. All’articolo 3, relativo alla “rapida definizione delle<br />

controversie tributarie pendenti da oltre 10 anni e per le quali<br />

l’Amministrazione Finanziaria è risultata soccombente nei primi due<br />

gradi di giudizio”, il comma 2 bis traduce in legge la norma “ad<br />

aziendam”: “Il contribuente può estinguere la controversia<br />

pagando un importo pari al 5% del suo valore (riferito alle sole<br />

imposte oggetto di contestazione, in primo grado, senza tener<br />

conto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali<br />

sanzioni)”. [...] Nel bilancio semestrale 2010 del gruppo di<br />

Segrate, presentato il 30 giugno scorso, Marina Berlusconi fa<br />

accantonare “8.653 migliaia di euro relativi al versamento<br />

dell’importo previsto dal decreto legge 25 marzo 2010, numero<br />

40″ sulla “chiusura delle liti pendenti”.<br />

A tutto questo racconto manca solo qualche anello di congiunzione.<br />

L’azienda Mondadori era informata di quanto stava accadendo?<br />

L’azionista di maggioranza, nonché capo del governo, era informato di<br />

quanto stava accadendo? Ciò che è avvenuto, è avvenuto su richiesta di<br />

Mondadori? E’ avvenuto per ordine di Silvio Berlusconi? Ha ordito tutto<br />

Tremonti? O tutto è stato fatto dapeones intesi a soddisfare ogni<br />

368


Post/teca<br />

desiderio, compresi quelli inespressi, del capo? Eccetera.<br />

Queste, sia chiaro, sono cose facilissime da immaginare ma difficilissime<br />

da dimostrare. Giannini fa quello che può, e sicuramente non può fare di<br />

più:<br />

Stavolta Berlusconi non può dire “non mi occupo degli affari delle<br />

mie aziende”: non è forse vero che il 3 dicembre 2009 (come<br />

riportato testualmente dalle intercettazioni dell’inchiesta di Trani)<br />

nel pieno del secondo tentativo di far passare la legge “ad<br />

aziendam” dice al telefono al commissario dell’Agcom Giancarlo<br />

Innocenzi “è una cosa pazzesca, ho il fisco che mi chiede 900<br />

milioni… De Benedetti che me li chiede ma ha già avuto una<br />

sentenza a favore, 750 milioni, pensa te, e mia moglie che mi<br />

chiede 90 miliardi delle vecchie lire all’anno… sono messo bene,<br />

no?”. Stavolta Berlusconi non può dire che Carboni, Martino e<br />

Lombardi sono solo “quattro sfigati in pensione”: non è forse vero<br />

che nelle 15 mila pagine dell’inchiesta delle procure sulla<br />

cosiddetta P3 la parola “Mondadori” ricorre 430 volte (insieme alle<br />

27 in cui si ripete la parola “Cesare”) e che nella frenetica attività<br />

della rete criminale creata per condizionare i magistrati<br />

nell’interesse del premier sono finiti sia il presidente della<br />

Cassazione Carbone (cui come abbiamo visto spettava il compito di<br />

dirottare alle Sezioni Unite la vertenza Mondadori-Agenzia delle<br />

Entrate) sia il presidente dell’Avvocatura dello Stato Oscar Fiumara<br />

(cui competeva il necessario via libera a quel “dirottamento”?).<br />

Il guaio è che se Silvio Berlusconi si dice preoccupato perché rischia di<br />

dover tirare fuori (o far tirar fuori alle sue aziende) delle quantità di<br />

denaro nemmeno immaginabili per i comuni mortali, da ciò non<br />

consegue che abbia ordita tutta la trama raccontata da Giannini. Il guaio<br />

è che, se Carbone sembra abbastanza compromesso, l’intercettazione<br />

che (secondo “Repubblica”, qui) eventualmente incastrerebbe Fiumara è<br />

un tantino debole. E comunque ci sono delle indagini in corso, non c’è un<br />

giudizio, e la faccenda dell’associazione segreta è tutta da dimostrare.<br />

Senza contare che se “Repubblica” mi dice (e non ho ragioni per<br />

dubitarne) che “nelle 15 mila pagine dell’inchiesta delle procure sulla<br />

cosiddetta P3 la parola ‘Mondadori’ ricorre 430 volte”, io magari resto<br />

impressionato: ma non ho nessuna idea del contesto. Per circa vent’anni<br />

della mia vita, chiunque avesse affermato che almeno due volte al<br />

369


Post/teca<br />

giorno, e spesso di più, era possibile vedermi davanti all’abitazione di un<br />

pluriomicida, avrebbe detto il vero: dovevo passarci davanti per andare<br />

in centro (e il pluriomicida, peraltro, stava in galera).<br />

Conclusione personale<br />

Riporto altre parole dalla già citata dichiarazione di Stefano Mauri:<br />

Tornando alla questione della legge le malefatte, in questo caso, se<br />

è vero quanto riportato da diversi quotidiani, sono l’azione<br />

turbativa per spostare il procedimento da una sezione all’altra in<br />

modo che potesse godere di questa legge un’azienda del<br />

presidente del Consiglio e il fatto che una legge che può sembrare<br />

ragionevole venga in mente solo quando sono toccati i suoi<br />

interessi personali. Ma questo è un altro piano che segna non da<br />

oggi la politica italiana.<br />

Mi pare una conclusione condivisibile. E proprio perché si tratta di un<br />

“altro piano” non penso che sia sensato, per me, oggi, decidere di<br />

rompere il contratto che ho con Mondadori per la pubblicazione di un<br />

ulteriore libro e il contratto che ho con Einaudi per la consulenza a Stile<br />

libero.<br />

La rottura del contratto con Mondadori comporterebbe per me, credo, la<br />

restituzione dei 5.000 euro avuti come anticipo diritti. Il contratto di<br />

consulenza con Einaudi per Stile libero è un contratto annuale di<br />

collaborazione a progetto; l’importo annuale è di 16.000 euro; è iniziato<br />

il 1° marzo 2008; finora mi è stato rinnovato due volte; la prossima<br />

scadenza è al 28 febbraio 2011. Questo contratto costituisce la mia<br />

maggiore fonte di reddito.<br />

Quando firmai il contratto con Mondadori e quando iniziai la consulenza<br />

per Einaudi l’ “altro piano” c’era già.<br />

Considerazione ulteriore<br />

Giannini, nel suo articolo, in tre punti diversi evoca il “silenzio che<br />

aleggia sull’intera vicenda”, della quale “Repubblica” ha dato notizia “in<br />

splendida solitudine”, e si chiede “come possano tacere le istituzioni, le<br />

forze politiche, le Confindustrie, gli organi di informazione”.<br />

Faccio un giro e poi torno sul punto. Il 28 luglio 2005 apparve nel<br />

“Corriere della sera” un articolo di Gian Antonio Stella intitolato: I libri<br />

scolastici in conflitto d ’ interessi.<br />

Stella segnalava<br />

l’iniziativa delle Poste Italiane che, tra cori di consensi, hanno<br />

distribuito 5 milioni di locandine e avvisi vari per segnalare agli<br />

370


Post/teca<br />

istituti scolastici e alle famiglie italiane la possibilità di ordinare i<br />

testi, via internet o via telefono, per poi comodamente riceverli a<br />

casa portati dal postino.<br />

Con l’optional di poter rateizzare il pagamento in 12 mesi al tasso<br />

del 7.5%. Che non sarà basso, visto che il tetto massimo sarebbe<br />

il 7,77%, ma potrebbe aiutare molte famiglie a sopportare meglio<br />

l’impatto della spesa supplementare autunnale. Fin qui, tutto ok.<br />

Ma il bello deve ancora arrivare. A chi hanno deciso di affidare<br />

l’operazione, infatti, il ministero della Pubblica Istruzione e le Poste<br />

Italiane? Voi direte: avranno fatto una gara d’appalto. Macché.<br />

Avranno sentito gli editori? No, tranne uno: indovinate quale.<br />

Avranno consultato i librai? Neppure: «Manco una telefonata»,<br />

spiega furente Rodrigo Diaz, presidente dell’Ali, l’Associazione librai<br />

italiani, «abbiamo saputo tutto a cose fatte e tutti i telegrammi<br />

mandati alla Moratti o a Letta non hanno avuto risposta. E’ stata<br />

una cosa sporca». Avranno sondato il mercato per vedere chi è il<br />

più forte nel commercio di libri on-line? «Assolutamente no»,<br />

risponde Mauro Zerbini, amministratore delegato di Ibs, gruppo<br />

Longanesi, «il nostro è il sito di questo tipo più visitato d’Italia, a<br />

giugno abbiamo avuto 991 mila contatti e nel 2004 abbiamo<br />

fatturato 13,2 milioni di euro. Ma non abbiamo avuto dal ministero<br />

o dalle poste neppure una telefonata. Neppure una. Abbiamo<br />

saputo tutto a cose fatte».<br />

Ma allora, come è stato scelto il fornitore di tutto quel bendidio di<br />

libri? E’ quello che chiede in una interrogazione, tra gli altri, il<br />

senatore Stefano Passigli. Il quale, oltre ad accusare la Moratti<br />

poiché «il suddetto servizio postula che Poste Italiane abbiano<br />

ottenuto dal ministero la lista delle adozioni dei testi con largo<br />

anticipo su tutte le librerie», ha anche presentato un esposto ad<br />

Antonio Catricalà, l’ex segretario generale di Palazzo Chigi<br />

nominato presidente dell’Autorità per la concorrenza e il mercato.<br />

Il fortunato fornitore prescelto per il businness è infatti «Bol». Una<br />

società di vendita di libri on-line che fattura meno della metà di Ibs<br />

(5,5 milioni contro 13,2), ha meno della metà dei contatti internet<br />

(a giugno 434 mila contro 991 mila) ma, per pura coincidenza,<br />

appartiene alla Mondadori. Cioè alla casa editrice di proprietà del<br />

«principale» di Letizia Moratti, il presidente del Consiglio Silvio<br />

371


Post/teca<br />

Berlusconi.<br />

L’importanza economica della cosa, spiega Stella, non è poca:<br />

Cosa rappresentino i libri scolastici è presto detto: con 400 milioni<br />

di euro l’anno di fatturato, sono una fetta di un terzo circa<br />

dell’intero mercato del libro. Ma, ciò che più conta, sono la boccata<br />

di ossigeno che una volta l’anno permette alle piccole librerie<br />

sparse per la provincia italiana, dove si vende il 28% scarso di tutti<br />

i volumi, di tirare il fiato e non abbassare le saracinesche vinte<br />

dalla sciatta indifferenza di un paese che legge poco come il<br />

nostro. Tanto per capirci: in molti casi, nelle cittadine del Nord<br />

come del Mezzogiorno, l’incasso per i testi adottati dalle elementari<br />

alle medie superiori può superare il 60% degli introiti annuali.<br />

Se fate un giro con i motori di ricerca vi accorgerete che anche Stella<br />

diede quella notizia “in splendida solitudine”: ho provato a cercar notizie<br />

con diverse chiavi, e l’unico articolo che ne parla, ripreso qua e là, è il<br />

suo. E anche su questa vicenda ha “aleggiato il silenzio”, e hanno taciuto<br />

“le istituzioni, le forze politiche, le Confindustrie, gli organi di<br />

informazione”.<br />

Nessuno, all’epoca, si alzò in piedi per chiedere agli autori Mondadori di<br />

mollare la casa editrice.<br />

Oggi invece questo accade. Perché?<br />

Perché, secondo me, oggi la notizia fa comodo a “La Repubblica”. Non<br />

solo perché “La Repubblica” ha costruito sempre più il suo marketing,<br />

negli ultimi anni, su un antiberlusconismo totale. Ma perché, appunto, in<br />

conseguenza del giudizio definitivo sulla questione del Lodo Mondadori<br />

(rimando all’articolo di Wikipedia,<br />

che mi pare chiaro), nella successiva<br />

causa civile avviata dalla Cir di Carlo De Benedetti, il giudizio di primo<br />

grado ha stabilito che la Fininvest deve risarcire alla stessa Cir 750<br />

milioni (vedi). La reazione di Mediaset è stata, per ora, duplice: da un<br />

lato ha, com’è suo diritto, fatto ricorso; dall’altro ha tentato un’azione<br />

diffamatorio contro il magistrato che ha emessa la sentenza (vedi).<br />

Immagino che De Benedetti tema che il governo intervenga a cambiare<br />

le norme allo scopo di evitare a Fininvest il pagamento di cotanta<br />

somma. Il timore è reso esplicito in un articolo di Liana Milella apparso in<br />

“Repubblica” pochi giorni dopo (il 23 agosto 2010) l’articolo di Giannino<br />

che abbiamo ripercorso. Il titolo dell’articolo è:Per salvare il Lodo,<br />

5<br />

milioni di cause a rischio.<br />

La norma, che il governo ha già tentato di<br />

372


Post/teca<br />

infilare nella manovra economica recentemente approvata, ha secondo<br />

Milella questi contenuti:<br />

Due trucchi e il dibattimento si blocca: la sospensione di sei mesi e<br />

una nuova figura, quella dell’ausiliario del giudice, che a bocce<br />

ferme studia e propone una soluzione nel merito. Le parti possono<br />

accoglierla, l’ausiliario si becca un bel gruzzolo, la causa è finita.<br />

Oppure, se i contendenti non sono d’accordo, si va alla sentenza<br />

per le vie regolari, ma sul perdente pesa la minaccia di doversi<br />

accollare tutte le spese per aver rifiutato la “via breve”.<br />

Sulla base di un articolo letto giorni fa, e che non riesco a ritrovare, mi<br />

sembra che l’ultima frase non sia esatta. La logica dovrebbe essere che<br />

le spese sono a carico di chi, avendo rifiutata la mediazione, si ritrovi con<br />

una sentenza peggiorativa rispetto alla mediazione. (Esempio: io e Gigi<br />

siamo in lite; il mediatore propone che io paghi a Gigi 100, e morta là; io<br />

rifiuto; si torna dal giudice; il giudice mi condanna a pagare 120, e per di<br />

più a pagare le spese: così resto punito, e la prossima volta accetterò<br />

piuttosto la mediazione. Altro caso: è Gigi, stavolta, a rifiutare la<br />

mediazione; si torna dal giudice; il giudice mi condanna a pagare 80, ma<br />

le spese sono di Gigi: così sta punito lui, e la prossima volta accetterà<br />

piuttosto la mediazione. Se chi ne sa di più si accorge che non ho capito<br />

niente, spieghi la faccenda nei commenti).<br />

Mi pare che se De Benedetti ritiene di avere ragione e di essere in grado<br />

di provarlo, da una norma come questa ricava uno svantaggio e un<br />

vantaggio: uno svantaggio, perché per aspettare la mediazione, rifiutarla<br />

e tornare in giudizio vanno via mesi e mesi (e, i 750 milioni, averli oggi o<br />

averli tra otto mesi non è proprio la stessa cosa); un vantaggio, perché<br />

accettando la mediazione si eviterebbe il terzo grado di giudizio (e quindi<br />

si potrebbero avere meno soldi, ma subito).<br />

Ora, io mi domando: tutti questi, sono affari miei?<br />

La mia scelta sta tra l’essere un “soldatino” che difende gli interessi del<br />

Cav. o un “soldatino” che difende gli interessi dell’Ing.?<br />

Link finale (importante)<br />

Su questo mi fermo, e invito a leggere un articolo, intitolato Forse perché<br />

nulla è , scritto da una persona della quale ignoro l’identità (ma che<br />

lavora nell’editoria, e precisamente per Gallimard). Qui ne cito un<br />

passaggio, ma raccomando di leggerlo tutto:<br />

La dialettica dell’illuminismo [di Adorno e Horkheimer], critica<br />

373


Post/teca<br />

radicale dell’industria culturale e del capitalismo in generale, è<br />

pubblicata in Italia da Einaudi, storica casa editrice di sinistra<br />

fondata nel 1933 e acquistata nel 1994 dal gruppo Mondadori, il<br />

cui azionista di maggioranza è l’imprenditore e politico Silvio<br />

Berlusconi. Ma il grande capitale, di cui Berlusconi è senz’altro<br />

emblematico, non aveva secondo Adorno e Horkheimer l’unico<br />

scopo di sostenere il sistema esistente? La dialettica<br />

dell’illuminismo starebbe dunque anch’essa partecipando a<br />

sottomettere gli individui al potere totale del capitale, imponendo<br />

l’obbediente accettazione della gerarchia sociale, invece di svelarne<br />

la vera natura e annunciarne la dissoluzione?<br />

Il meno che si possa dire è che nell’industria culturale qualcosa è<br />

cambiato: ciò che un tempo era prodotto e distribuito da case<br />

editrici indipendenti viene oggi direttamente venduto da grandi<br />

gruppi industriali, spesso indifferenti al contenuto politico dei<br />

prodotti su cui lucrano. La dialettica dell’illuminismo non è un caso<br />

isolato. Tra i paradossi più eclatanti, i libri di Naomi Klein (No Logo,<br />

The shock doctrine) sono pubblicati da Random House, il più<br />

grande editore mondiale. Da parte sua il gruppo editoriale<br />

Mondadori, lungi dallo stampare soltanto agiografie del suo<br />

azionista di maggioranza o elegie per l’economia di mercato,<br />

comprende nel suo vasto catalogo opere «per tutti i gusti», con<br />

una particolare attenzione per i «materiali radicali, ’scomodi’, non<br />

omologati» (dicono gli autori del collettivo Wu Ming).(leggi tutto<br />

l ’ articolo).<br />

–<br />

(*) Questo me l’hanno detto un paio di amici tributaristi, ai quali ho chiesta un’opinione. Non mi hanno però fornito<br />

delle statistiche. Le ho cercate e non le ho trovate. Se qualcuno è in grado di trovarle e segnalarle, lo ringrazio.<br />

fonte: http://<br />

vibrisse.<br />

wordpress.<br />

com/2010/08/29/<br />

mondadori-<br />

le-<br />

tasse-<br />

e - la-<br />

leggina-<br />

ad-<br />

hoc/<br />

--------------------------------<br />

No, non sono ominidi dell’età della pietra. Hanno 40 anni, dei<br />

figli e una moglie che li aspetta a casa, ma arrivano a lavoro<br />

sempre prima. L’ufficio è il loro rifugio, il nascondiglio., la sala<br />

giochi dove parlare di calcio, fantacalcio, cellulare, figa vista in<br />

tv.<br />

374


Post/teca<br />

Sono gli uomini che hanno scelto delle compagne toste e<br />

coraggiose. Donne che li rimettono in riga appena varcano la<br />

porta di casa. Donne con le quali spesso perdono il confronto.<br />

Qui invece sono in vacanza. Fanno gli scapoli impenitenti che<br />

ogni volta al supermercato trovano una tipa che li guarda<br />

vogliosi. Sono i campioni del mondo di calcio, se solo fossero<br />

stati loro il ct. Sono superdotati e sexy al punto che nessuna<br />

riesce a dire loro di no.<br />

Sono uomini in vacanza, dalla loro vita vera.<br />

—<br />

.<br />

[uh, quanti ne conosco, purtroppo.]<br />

(via xlthlx)<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

page/7<br />

-----------------------------<br />

NESSUN GENTILUOMO FA<br />

MAI GINNASTICA.<br />

Oscar Wilde<br />

via: http://<br />

tattoodoll.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

------------------------<br />

che i diamanti brillano perchè non hanno niente da<br />

dire.<br />

(via soliukkable)<br />

via: http://<br />

comeberlino.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

-----------------------<br />

375


Post/teca<br />

20100831<br />

Gli uomini si dividono in due categorie: i geni e quelli che<br />

dicono di esserlo. Io sono un genio.<br />

> Enzo Costa<br />

mailinglist buongiorno.it<br />

----------------------------<br />

Dunque, riassumendo: un vecchio porcello ridicolmente<br />

pittato, cammuffato e truccato come un guitto da<br />

avaspettacolo, diventato milionario a spese dei propri<br />

connazionali attraverso oscure connections, incapace di<br />

tollerare anche la minima opposizione alla propria stizzosa<br />

prepotenza, dotato di televisioni e giornali sotto controllo<br />

governativo che cantano la sua gloria e azzannano i suoi<br />

avversarsi a comando, cinicamente capace di esibire per il<br />

pubblico una devozione religiosa che si guarda bene dal<br />

praticare in privato, arriva a Roma circondato da legioni di<br />

smandrappone per (e)scortarlo e intrattenerlo e per<br />

sparecchiare qualche altro milione dalle nostre tasche in<br />

cambio di qualche nocciolina regalata alle scimmiette italiane<br />

per far contenti i beduini dei suoi media che le spacciano per<br />

grandi affari. Nei prossimi giorni, questo grottesco, ma<br />

ricchissimo satrapo, da anni oggetto di ridicolo internazionale,<br />

incontrerà Muammar Gheddafi.<br />

—<br />

Vittorio Zucconi,<br />

via Wittgenstein. (via phonkmeister) (via<br />

3 n 0 m 15)<br />

sto sganasciandomi…<br />

(via 11ruesimoncrubellier)<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

376


Post/teca<br />

----------------------------<br />

La televisione è meglio del<br />

cinema. Sai sempre dov’è la<br />

toilette.<br />

— Dino Risi, Vorrei una ragazza, 2001 (viacreativeroom)<br />

-----------------<br />

Contrappunti/ L'elefante e i suoi perché<br />

di M. Mantellini - Blockbuster in procinto di portare i libri in tribunale. Ma la spiegazione di questo<br />

possibile fallimento non è la pirateria: è l'evoluzione, come Darwin insegna<br />

Roma - Perché il mese prossimo Blockbuster dichiarerà fallimento? Per diverse ragioni, molte delle<br />

quali abbastanza lontane dalla semplificazione di certa stampa italiana che, nel darne notizia, ha<br />

scritto che il più grande noleggiatore di video al mondo chiuderà per colpa della pirateria su<br />

Internet.<br />

Blockbuster chiude invece per una ragione sopra le altre: perché il formato dei suoi prodotti sta<br />

scomparendo. Mentre questa scomparsa prendeva forma loro, che erano grandi e pesanti, non<br />

sono riusciti ad organizzarsi per tempo. La colpa è dei bit che hanno abbandonato la schiavitù del<br />

supporto, esattamente come le parole si sono ormai separate dalla carta da lettera o i biglietti del<br />

treno dal cartoncino rigido consegnato allo sportello della stazione. Certo esistono ancora i DVD,<br />

l'industria multimediale ha sparato una delle ultime cartucce sui supporti con i blu-ray disk e le<br />

stazioni ferroviarie sono ancora popolate di gialle obliteratrici: ma stiamo parlando di oggetti<br />

complessivamente morti, già consegnati al ricordo di un periodo ormai passato, anche se tutt'ora<br />

percepito come attuale.<br />

Nel prossimo ottobre saranno trascorsi due anni dalla presentazione del Macbook Air, uno dei<br />

primi computer portatili pensato senza lettore CD/DVD. Nei due anni appena trascorsi moltissimi<br />

fra i computer venduti sono stati dei netbook, piccole macchine anch'esse fisicamente incapaci di<br />

leggere i supporti a disco. Nella riduzione di volume degli oggetti sono le cose meno importanti a<br />

farne le spese per prime. Nello stesso periodo abbiamo assistito anche ad una lenta migrazione<br />

dei contenuti audio e cinematografici dai device dedicati verso i computer: eppure oggi molte di<br />

queste macchine non hanno nemmeno più un pertugio nel quale inserire i DVD noleggiati da<br />

377


Post/teca<br />

Blockbuster, o i CD acquistati in uno di quei luoghi strani chiamati negozi di dischi.<br />

La scomparsa dei supporti crea un effetto domino prevedibile che riguarda molti attori differenti, e<br />

comprensibilmente viaggia più veloce nei paesi dove l'utilizzo della tecnologia ha maggiore<br />

diffusione. In USA i concorrenti di Blockbuster, che in questi ultimi due anni hanno guadagnato<br />

buona parte del mercato, si chiamano Hulu o Netflix, società che gestiscono lo stesso tipo di bit,<br />

ordinati in forma di film, documentario o serie televisiva, ma che non sanno (quasi) cosa sia un CD<br />

o un DVD. Che possono ignorare le meraviglie del blu-ray, esattamente come un acquirente di<br />

musica digitale ignora la magia del vinile o degli amplificatori valvolari.<br />

A differenza del libro che è un oggetto affascinante e complesso, carico di storia e sensazioni tattili,<br />

una videocassetta in plastica nera o un CD sono da sempre supporti casuali e senza anima,<br />

totalmente slegati da qualsiasi carico affettivo dei suoi utilizzatori. Nessuno ha pianto quando le<br />

videocassette sono silenziosamente scomparse dagli scaffali degli ipermercati, nessuno piangerà<br />

quando i DVD smetteranno di frequentare le nostre case.<br />

Uno dei limiti sentimentali, nel passaggio dei contenuti della nostra libreria multimediale alla<br />

dimensione immateriale, è invece la sensazione di mancato possesso. Le nostre case hanno<br />

ampie librerie dove custodire i "nostri" libri. Oggetti che una volta acquistati nessuna Amazon potrà<br />

cancellare da remoto (come invece accade per le nostre librerie su Kindle) e che riempiono la<br />

nostra vita occupandone uno spazio fisico. Lo stesso accadeva, pur se in misura minore, con i CD<br />

musicali o con videocassette, con i videogames o i film in DVD. Partecipavano come potevano<br />

all'arredamento di casa. Ma, a differenza dei libri, nessuno di questi oggetti era veramente nostro e<br />

forse anche questo ne ha accelerato la fine. Le licenze d'uso hanno esteso dal software<br />

all'intrattenimento la fine della nostra rassicurante sensazione di possesso. Internet è diventata la<br />

nostra libreria, non solo nel senso dei prodotti multimediali variamente raggiungibili, ma anche in<br />

quella più concreta e materiale del nostro scaffale.<br />

E lo spostamento dei bit verso la nuvola ha ovviamente aggiunto anche consistenti e nuove<br />

controindicazioni. Sulla manutenzione e sulla sicurezza degli archivi intanto, uno degli interrogativi<br />

più seri che il passaggio al digitale impone alla nostra società, ma anche sulla più immediata<br />

fruibilità di un bene che risiede attualmente ad una certa distanza fisica da noi stessi. Termina con<br />

la fine dei supporti il minimo residuo fraintendimento sul possesso materiale delle opere<br />

dell'ingegno, ma nasce anche una nuova complicazione legata al nostro diritto di accesso a<br />

contenuti che abbiamo regolarmente pagato. Un universo nuovo di rapporti complessi, fortemente<br />

mediati dalla tecnologia, dentro il quale Blockbuster non ha saputo trovare una propria posizione.<br />

Massimo Mantellini<br />

fonte: http://<br />

punto-<br />

informatico.<br />

it/2977174/<br />

PI/<br />

Commenti/<br />

contrappunti-<br />

elefante-<br />

suoi-<br />

perche.<br />

aspx<br />

--------------------------<br />

28/8/2010<br />

378


Post/teca<br />

Il genitore ridens<br />

MASSIMO GRAMELLINI<br />

Della vicenda di Civitanova Marche, dove un gruppo di bulletti da spiaggia fra i dieci e gli undici<br />

anni ha preso a calci la sdraio su cui un venditore ambulante si era seduto, gridandogli «amigo,<br />

vattene, questa è proprietà privata», mi ha sconvolto soprattutto il comportamento ridanciano dei<br />

genitori. Con questo non voglio dire che il resto vada derubricato a ordinaria amministrazione. Pur<br />

avendo un ricordo abbastanza vago delle mie vacanze infantili, non ho memoria di un coetaneo<br />

che mi proponesse di prendere a calci la sdraio di un venditore ambulante. A dieci anni ci si tirava<br />

calci al massimo tra noi.<br />

E comunque nessuno, ma proprio nessuno, sapeva che cosa fosse una proprietà privata e tanto<br />

meno che si chiamasse così. Però di una cosa vado assolutamente certo: che se il più bullo della<br />

brigata avesse deciso di compiere un gesto tanto infame, lo avrebbe fatto di nascosto dalla sua<br />

famiglia, temendone la reazione. Qui invece pare che insegnare il disprezzo verso le persone più<br />

deboli stia diventando, per certi genitori, una missione educativa di cui menare gran vanto. Non si<br />

spiegherebbero altrimenti le risate con cui i padri e le madri di quei mocciosi hanno accompagnato<br />

la scena. Ma che bel gioco. Ma che orgoglio aver cresciuto dei figli così. Par di sentirli: cosa sarà<br />

mai, sono solo dei bambini! Oppure (variante Giornale-Libero): perché non parlate dei ragazzi dello<br />

stabilimento accanto che buttano per terra le cartacce? La novità, rispetto al passato, non è la<br />

cattiveria. È la mancanza d’imbarazzo dei cattivi.<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

lastampa.<br />

it/_web/<br />

cmstp/<br />

tmplRubriche/<br />

editoriali/<br />

hrubrica.<br />

asp?<br />

ID_<br />

blog=41<br />

--------------------<br />

Le femme est l’être qui projette la plus<br />

grande ombre ou la plus grande lumière<br />

dans nos rêves.<br />

La donna è l’essere che proietta la più<br />

grande ombra o la più grande luce<br />

dentro i nostri sogni.<br />

— Charles Baudelaire (via apertevirgolette)<br />

379


Post/teca<br />

via: http://<br />

curiositasmundi.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

-----------------<br />

Trovo la TV molto istruttiva. Ogni volta<br />

che qualcuno mette in funzione<br />

l’apparecchio, me ne vado nell’altra<br />

stanza a leggere un libro.<br />

— Groucho Marx (via creativeroom)<br />

--------------------<br />

La notte suggerisce, non mostra. La<br />

notte ci turba e ci sorprende per la sua<br />

stessa stranezza, libera quelle forze<br />

dentro di noi che di giorno sono<br />

dominate dalla ragione.<br />

— Brassaï (via apertevirgolette)<br />

---------------------------<br />

I miei unici segreti sono le cose che non so di me. Alcune non<br />

riesco a impararle perché prima dovrei impararne altre che<br />

sono rinchiuse su scaffali troppo alti e polverosi, altre non<br />

riesco a impararle perché mi sono ingannata pensandomi in un<br />

certo modo e scoprendomi poi di essere in un altro.<br />

— Who can guess the secrets of the sea?<br />

(viamaretta) (via<br />

lalumacahatrecorna)<br />

380


Post/teca<br />

----------------------<br />

zenzeroecannella:clairefisher:<br />

“L’essere umano deve viaggiare. Solo in terra straniera egli può<br />

essere se stesso; a casa propria deve invece raccontare il suo<br />

passato che, nel presente, si trasforma in una maschera pesante e<br />

dissimulatrice”<br />

– Rahel Vanhagen<br />

(via 1000eyes)<br />

(via nubetossica)<br />

--------------------<br />

zenzeroecannella:<br />

Una nuvola non sa perché si muove in una certa direzione e a una<br />

certa velocità. Segue un impulso, è li che deve andare. Ma il cielo<br />

conosce le ragioni e gli schemi al di là delle nuvole, e anche tu li<br />

conoscerai, quando ti librerai abbastanza in alto per vedere<br />

l’orizzonte.<br />

Richard Bach<br />

--------------------------<br />

Alcuni uomini trasformano il sole in un<br />

puntino giallo,<br />

mentre altri trasformano un puntino<br />

giallo nel sole.<br />

— Pablo Picasso (via creativeroom) (via angeloricci) (via<br />

monicabionda)<br />

---------------------------------<br />

381


Post/teca<br />

Rifare le frasi fatte<br />

31 AGOSTO 2010<br />

di giuseppe civati<br />

Da sempre sostenitore del modello kirghiso, mi sottraggo alla brillante discussione<br />

avviata da D’Alema e subito sviluppata da Franceschini, rivisitata da Bindi e<br />

reinterpretata da Vassallo (il nome indica il ruolo che svolge per conto di Veltroni).<br />

Secondo me si deve ripartire, per sobrietà, dal mattarellum ed evitare uno<br />

spettacolo simile, che puntualmente i responsabilissimi dirigenti del Pd<br />

ripropongono agli incolpevoli (e attoniti) elettori. Poi se la prendono con Renzi che<br />

chiede la rottamazione: rottamazione con il doppio turno o alla tedesca? Già.<br />

Quello che non hanno capito i nostri sempiterni leader è che di fronte a quello che<br />

sta accadendo – icasticamente rappresentato dalla tenda berbera con hostess e<br />

cavalli e carabinieri che rievocano Pastrengo (tutto vero) – ci vuole una rivoluzione.<br />

Sì, proprio una rivoluzione. Di fronte al crollo di questa Italia, non si può<br />

traccheggiare. Non ci si può abbandonare al politicismo. Non si può discutere come<br />

se il mondo si riducesse a tre palazzi romani e a due segreterie di partito. No, non<br />

si può. Non solo è sbagliato, è quasi immorale. Perché l’Italia può e deve essere<br />

meglio di così. E di fronte a quello che abbiamo visto negli ultimi vent’anni, bisogna<br />

esagerare. Dall’altra parte. Sognare qualcosa di nuovo, la notte, e, durante il<br />

giorno, saperlo spiegare con parole chiare.<br />

La rivoluzione, ci vuole. Una rivoluzione che riguardi prima di tutto noi stessi. E vuol<br />

dire che noi dobbiamo fare proprio il contrario di così. I giornali si aspettano che noi<br />

ci mettiamo a discutere – anzi, a litigare – sul sistema elettorale? E noi non lo<br />

facciamo. E presentiamo le nostre proposte per i precari. Gli addetti ai lavori ci<br />

interrogano circa la migliore leadership di un eventuale governo tecnico che ci<br />

sappia traghettare verso le prossime elezioni? E noi rispondiamo che abbiamo<br />

un’idea per il fisco e per la lotta all’evasione. Tutti si chiedono chi si candiderà alle<br />

primarie? E noi, dal momento che tra l’altro si sono già candidati proprio tutti alle<br />

primarie, rispondiamo che abbiamo da fare, perché riaprono le scuole. Qualcuno ci<br />

cita l’ennesima dichiarazione di Bocchino (che ormai dichiara anche nel sonno)? E<br />

noi rispondiamo, sereni, che ci vuole una nuova politica estera, perché questa cosa<br />

di Gheddafi è avvilente.<br />

E poi ci vuole una rivoluzione della politica. Sul serio. Che tolga argomenti alla<br />

famosa anti-politica (che si sono inventati i cattivi-politici), che si rivolga agli<br />

astensionisti sempre più numerosi, che sappia trovare la misura al «tempo» e alla<br />

«dote», diceva Dante, rievocando una Firenze che non c’è più. Due mandati<br />

possono bastare, si può rinunciare alla pensione, si può ridurre del 20-30% lo<br />

382


Post/teca<br />

stipendio senza che accada nulla. Si può immaginare che chi spreca e sperpera, in<br />

un momento del genere soprattutto, torni a fare il proprio lavoro, se ce l’ha, o ne<br />

cerchi uno, se ha sempre vissuto di politica. Ho detto lavoro, non un consorzio o un<br />

ente pubblico. Che chi fa un’opera (di bene) ci metta il tempo previsto e che se non<br />

ce la fa, lo spieghi e ci spieghi chi deve pagare la penale. Ci vuole un partito che<br />

passi tutto il proprio tempo a parlare con i cittadini e non con se stesso, in uno<br />

stream of consciousness che ci sta facendo uscire pazzi. Molly Bloom? Certo.<br />

Forse senza ‘Y’. Perché siamo proprio molli.<br />

La rivoluzione deve partire dalle cose che vanno peggio, proprio perché ci sono<br />

ampi margini di miglioramento. Ti entra in casa un idraulico. Chiedigli la ricevuta,<br />

perché potrai scaricarla dalle tasse. E se facciamo pagare le tasse, poi, anziché<br />

creare un tesoretto e discuterne con Diliberto (che è tornato, anche lui),<br />

automaticamente le restituiamo a chi le tasse le ha sempre pagate e a chi si<br />

impegna a investire per davvero.<br />

Le grandi opere? Non ci sono solo le autostrade, ci sono anche i treni che fanno<br />

schifo, la banda larga da posare, i tubi dell’acqua da sistemare senza venderla alle<br />

finanziarie. Sei precario ma lavori da dipendente, dalle 9 alle 18. Ti diamo una<br />

notizia sconvolgente: ti stanno prendendo per il culo. E così non va bene.<br />

E tutti tagliano la scuola e la ricerca? E noi invece la finanziamo a prescindere, e<br />

chiediamo uno sforzo a chi se lo può permettere. E tutti pensano che la finanza sia<br />

incontrollabile, e che minimo minimo se vai in banca ti fregano di sicuro? Queste<br />

cose possono cambiare, anche subito. Grazie all’informazione, altro problema di<br />

cui occuparsi, dopo questi anni di conflitto di interessi.<br />

Tutto quello che è successo in questi ultimi vent’anni, è sbagliato. Abbiamo buttato<br />

via tempo e denaro. Abbiamo perso un miliardo di occasioni. Cambiare il sistema<br />

elettorale è uno strumento, cambiare la politica e la società sono i nostri obiettivi.<br />

Non invertiamo i fattori, perché il risultato – in politica – cambia. Si stravolge.<br />

Diventa irriconoscibile.<br />

Intendiamoci, non lo dico da politico in sedicesimi: lo dico da elettore di sinistra. E<br />

lo dico dopo averne parlato con millemila elettori di sinistra. Questo ci vuole. Tutto il<br />

resto, è noia e, forse, errore a sua volta.<br />

Una rivoluzione italiana, che parta da dove siamo deboli e incerti. E rompa lo<br />

schema della dannata comunicazione di B. Una forma di disobbedienza verso i<br />

luoghi comuni e i proverbi che ci accompagnano come fossero mantra. «Non siamo<br />

mica qui a pettinare le bambole», «non mettere il carro davanti ai buoi», «non<br />

accettiamo lezioni da nessuno». I proverbi, come le cose, si possono cambiare. E<br />

la sinistra l’hanno inventata, secoli fa, proprio per cambiare le frasi fatte. Che sono,<br />

appunto, da farsi, di nuovo, per rimettere a posto le parole. E le cose.<br />

383


Post/teca<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

ilpost.<br />

it/<br />

pippocivati/2010/08/31/<br />

rifare-<br />

le-<br />

frasi-<br />

fatte/<br />

---------------------<br />

Arriva Cohen menestrello<br />

del Vecchio Testamento<br />

di Gianfranco Ravasi<br />

31 agosto 2010<br />

«È così divertente credere in Dio!». E ancora: «Mi piace la compagnia dei<br />

monaci, delle suore e dei credenti di ogni genere e mi sono sempre sentito a casa<br />

tra le persone di quella fascia. Io non so esattamente perché, so soltanto che rende<br />

le cose più interessanti».<br />

A fare simili dichiarazioni davanti a una selva di microfoni è stato un<br />

cantautoreche sicuramente molti miei lettori conoscono, ma che io ho incrociato<br />

per caso solo perché anni fa il mio amico Roberto Vecchioni gli aveva intitolato<br />

una canzone: era Leonard Cohen dell'album Milady del 1989. Lo stupore in me era<br />

cresciuto quando avevo scoperto che la «Garzantina» della letteratura gli riservava<br />

una voce lunga quanto quella dedicata a Bob Dylan. Sì, perché questo «little Jew<br />

who wrote the Bible», come lui stesso si autodefinisce, nato nella canadese<br />

Montreal 76 anni fa, è stato anche un apprezzato poeta e romanziere. E domani<br />

sarà in concerto a Firenze per l'unica tappa italiana del suo tour.<br />

Ora, finalmente, so quasi tutto di lui perché un infaticabile cultore dei nessi<br />

espliciti e segreti tra Bibbia e cultura contemporanea come Brunetto Salvarani,<br />

coadiuvato da Odoardo Semellini, un esperto di musica della sua stessa città,<br />

Carpi, ne ha offerto un ritratto capace di fondere insieme filologia e divertissement,<br />

documentazione e narrazione, testo ed emozione. Un po' come il protagonista<br />

Cohen, che ha sempre cercato di intrecciare nel suo pensare, scrivere e cantare<br />

spirito e corpo, mito e storia, mistica e amore, sacro e profano, ma soprattutto Dio e<br />

uomo, avendo sempre accesa nel suo cielo la stella della Bibbia, cibo quotidiano<br />

della sua famiglia di ebrei mitteleuropei e stemma di un cognome così impegnativo<br />

(come è noto, in ebraico, kohen è il «sacerdote»).<br />

Certo, la sua religiosità è iridescente come un arcobaleno e i vari capitoli di<br />

384


Post/teca<br />

questo profilo ne sono il riflesso, affidati a una trama di citazioni, di episodi, di<br />

testimonianze che non lasciano varco alla noia o alla distrazione. Basti solo<br />

evocare una canzone la cui simbolicità è già nel titolo, «Hallelujah», sì, il termine<br />

dei Salmi e della liturgia. Si tratta di una manciata di minuti (oscillanti tra i quattro e i<br />

sette delle due versioni da lui approntate) che, però, fanno scrivere a un critico di<br />

Repubblica (che immagino "laico"), Gino Castaldo: «È una canzone di tale bellezza<br />

che da sola varrebbe una carriera».<br />

L'ispirazione di questo «Lodate il Signore» (tale è il significato dell'ebraico<br />

Hallelujah) attinge a uno dei Salmi più celebri, il 51, cioè il Miserere, che la<br />

tradizione ha posto sulle labbra di un re Davide finalmente baffled, «confuso», dopo<br />

il suo adulterio con Betsabea e l'assassinio – per interposta persona – del marito di<br />

lei, l'ufficiale Uria dell'esercito ebraico (si rilegga la straordinaria "sceneggiatura" di<br />

questi eventi nei capitoli 11-12 del Secondo Libro di Samuele).<br />

Non tracciamo ora la trama di questa canzone che Cohen elaborò in più di due<br />

anni, giungendo fino ad almeno ottanta strofe per farne sopravvivere solo cinque.<br />

L'esegeta potrebbe eccepire sulla confusione (voluta?) tra la storia di quel re di<br />

Giuda e la vicenda di Sansone e Dalila: «La sua bellezza e il chiarore della luna ti<br />

sconfissero / lei ti legò a una sedia da cucina, / distrusse il tuo trono, tagliò i tuoi<br />

capelli...». Ma ciò che brilla e che importa è da cercare nella finale del canto,<br />

allorché al volto di Davide subentra in dissolvenza quello di Leonard, vanamente<br />

teso in un'autogiustificazione che non resiste davanti alla «vampa di luce presente<br />

in ogni parola» divina. Ma a questo punto si assiste a una polimorfia di allusioni, di<br />

ammiccamenti, di rimandi poetici, personali, spirituali, teologici che i due autori del<br />

saggio dipanano con finezza, e alla fine Cohen-Davide altro non è che un<br />

Hallelujah vivente: «I'll stand before the Lord of Song / With nothing on my tongue<br />

but Hallelujah». Davanti al Signore del canto, egli si erge avendo sulle labbra<br />

nient'altro che la lode, l'Hallelujah appunto.<br />

Lasciamo al lettore di andare oltre nella scoperta della filigrana biblica e<br />

religiosa dell'opera di questo «little Jew», che rimpianse apertamente di non aver<br />

conosciuto l'autore italiano più vicino (a suo modo) a lui, cioè quel Fabrizio De<br />

André che si professava suo discepolo. In queste pagine una vasta bio-bibliografia<br />

ricostruisce tutta un'esistenza condotta «aspettando che l'Amore ti chiami per<br />

nome» (Love calls you by your name). Vorrei solo ricordare che la raccolta dei 150<br />

Salmi biblici non ha affascinato solo Cohen, che ne respira ritmo e anelito anche<br />

quando non li adotta direttamente (si ascolti If it be your will, «una vera e propria<br />

preghiera dai contorni di un Salmo biblico»).<br />

Anche Bono, il noto leader della band degli U2, ha saldamente imbracciato<br />

l'arpa di Davide, facendola echeggiare in alcune sue composizioni recenti, e<br />

385


Post/teca<br />

giungendo al punto di scrivere la prefazione a un'edizione dei Salmi (da noi l'ha<br />

tradotta Einaudi nel 2000) ove confessa che «Salmi e inni sono stati il mio primo<br />

assaggio di musica ispirata... Parole e musica hanno fatto per me ciò che solide,<br />

addirittura rigorose argomentazioni religiose non sono mai riuscite a fare, mi hanno<br />

introdotto a Dio, non alla fede in Dio, piuttosto a un senso tangibile di Dio».<br />

È un po' questa anche l'esperienza di Cohen che un altro componente degli<br />

U2, il chitarrista The Edge, così dipingeva: «Leonard è per me colui che è<br />

sceso dal monte con le tavole di pietra, dopo essere stato lassù a parlare con<br />

gli angeli». È curioso notare che nelle nostre lingue il termine «ispirazione» è<br />

usato sia per indicare lo Spirito di Dio che attraversa gli autori sacri, sia l'afflato<br />

creativo del poeta, del musicista, dell'artista. La stessa Bibbia non esitava a usare<br />

la medesima radice verbale (nb') per definire il profeta e l'opera dei cantori e dei<br />

musicisti (1 Cronache 25,1).<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

ilsole24ore.<br />

com/<br />

art/<br />

cultura/2010-08-31/<br />

arriva-<br />

cohen-<br />

menestrello-<br />

vecchio-<br />

084818. shtml<br />

-----------------------<br />

La conversione delle hostess<br />

Il traffico di donne tra Italia e Africa ha una storia lunga e con un lungo tratto comune: il<br />

traffico di donne<br />

"Sul corpo delle donne africane l'Italia ha scritto alcune pagine incresciose della sua storia;<br />

ora, sul corpo delle donne italiane un dittatore africano viene a dettare le sue condizioni<br />

per dirigere contatti economici sempre più pervasivi"<br />

30 AGOSTO 2010 | CULTURA, MONDO | DI FILIPPOMARIA PONTANI<br />

Della rappresentazione simbolica che accompagna l’ultima spedizione romana di<br />

Gheddafi vorrei segnalare qui due aspetti, strettamente connessi tra loro: il ruolo<br />

del passato e il ruolo delle donne. Do per scontati, senza insistervi ulteriormente, i<br />

veri motividel crescendo diplomatico fra Roma e Tripoli: motivi che attengono a un<br />

cospicuo fiume di danaro (pubblico, se parliamo delle partite di giro a beneficio dei<br />

nostri costruttori di edifizi e autostrade; fors’anche privato, se hanno fondamento i<br />

reportages che additano i profondi interessi economici che legano i due capi), e –<br />

cosa a mio avviso ben più grave – all’intervento sul traffico di esseri umani, ché non<br />

altrimenti deve esser giudicato l’accordo anti-sbarchi, grazie al quale africani d’ogni<br />

Paese sono stati bloccati nelle Strafkolonien del deserto libico, con tanti saluti<br />

all’accoglienza panafricana sbandierata nei verdi manifesti di Tripoli, e tanti saluti –<br />

386


Post/teca<br />

per noi – al rispetto internazionale dei diritti umani, a cominciare da quello d’asilo.<br />

I passati coloniali, beninteso, sono sempre molto scomodi da confessare e da<br />

rileggere. Da noi, per di più, il popolare mito degli “Italiani brava gente” è duro a<br />

morire, e non viene sostanzialmente scalfito, nella coscienza comune come nella<br />

gran parte dei manuali scolastici, dall’ormai preciso catalogo delle atrocità compiute<br />

dal 1911 al Governatorato di Graziani nelle sabbie della Sirte e della Tripolitania<br />

(oltre ai classici lavori di Angelo Del Boca, una buona introduzione al tema, con<br />

documentazione, fra l’altro, dei centomila morti e dell’yprite scagliata sulla<br />

Cirenaica, è il libro di Eric Salerno, Genocidio in Libia, manifestolibri 2005). Gli è<br />

che tale dibattito, più ancora che nella curvatura delle relazioni diplomatiche con la<br />

Jamahiriya, dovrebbe forse influire sulla nostra propria considerazione di uno<br />

spicchio del nostro passato, se non altro almeno per verificare se condividiamo<br />

ancora – a tacere delle antiche speculazioni razziali dell’oggi incensatissimo<br />

Giorgio Almirante – i non troppo obsoleti discorsi di Gianfranco Fini (2004) o di<br />

Alfredo Mantica (2001), secondo i quali il colonialismo italiano in Africa non si<br />

sarebbe macchiato di crimini rilevanti, e anzi avrebbe fornito alle popolazioni locali<br />

strade, lavoro e un modello di civiltà superiore. Vedremo mai in RAI (per ora è<br />

passato solo su Sky nel giugno del 2009) il ripetutamente censurato film Il leone<br />

del deserto (1980, con Anthony Quinn)?<br />

Ma nella mascherata romana di questi giorni si consuma anche qualcosa d’altro:<br />

l’aspetto forse più sconcertante della visita sta nell’inedita cerimonia di conversione<br />

delle hostess, che ha almeno due facce: da un lato fornisce ottimo materiale per la<br />

televisione libica di regime (un regime, è bene ricordarlo, che tutto l’Occidente<br />

ritiene dittatoriale), dall’altro induce forse qualche problema di autocoscienza nel<br />

Paese che si presta a ospitare e a finanziare un simile spettacolo. Non può non<br />

sfiorare l’idea che fra le varie analogie che uniscono Gheddafi a Berlusconi (alcune<br />

brillantemente enucleate oggi da un triste Francesco Merlo) vi sia anche un certo<br />

modo di considerare la donna e il suo ruolo nella società.<br />

Ad fontes: nel Libro verde, vademecum e fondamento ideologico della Jamahiriya,<br />

Gheddafi consacra un lungo capitolo alla donna. Dal suo periodare lutulento e<br />

ripetitivo, peraltro non dissimile dalla sua retorica verbale (almeno a sentire le<br />

anonime superstiti della performance di ieri), si enucleano alcuni concetti-cardine,<br />

come la distinzione di principio fra maschio e femmina, la predestinazione della<br />

donna al suo ruolo di madre, la condanna senz’appello della contraccezione e<br />

dell’aborto, la condanna non meno veemente degli asili (definiti come “squallidi<br />

allevamenti di pollame”) in favore dell’educazione casalinga nell’ambito familiare,<br />

infine la grande diffidenza nei confronti del lavoro femminile: «Poiché la natura le ha<br />

assegnato un ruolo diverso da quello dell’uomo, la donna dev’essere messa in<br />

condizione di adempiere al suo ruolo naturale». Come si vede, non è questione di<br />

387


Post/teca<br />

veli e di lapidazioni: è questione di un preciso disegno politico.<br />

Qui siamo: è come se il principale mercificatore del corpo femminile nel mondo<br />

occidentale avesse trovato un inatteso punto di convergenza con il patriarca di<br />

certa Africa islamica: le donne vanno considerate essenzialmente per la loro<br />

funzione biologica o per il loro aspetto fisico (insomma: per l’hardware), e pazienza<br />

se le nostre civiltà si sono evolute in direzioni diverse così da spogliare le une e<br />

velare le altre; un compromesso, di volta in volta, si trova sempre, come si evince<br />

dalle direttive dell’agenzia “hostessweb.<br />

it“,<br />

che consigliava per le candidate uditrici<br />

un abbigliamento elegante ma “soft” – chi abbia visto le foto delle signorine<br />

convenute sulla Cassia, e abbia avuto la fortuna di girare per le vie di Bengasi, può<br />

fare un rapido confronto tra i nostri tailleurs e i peculiari prêt-à-porter in uso laggiù.<br />

Nel Paese di Videocracy, dove le soubrettes diventano ministre e la quota di donne<br />

impiegate (lo ricorda oggi l’OCSE) è tra le più basse dell’Occidente, anche questo<br />

show, che svende decenni di conquiste nella lotta per la parità fra i sessi, ha un suo<br />

senso, una sua cittadinanza. Ma sarebbe molto interessante se i maschi coinvolti<br />

affrontassero, senza facili ironie, altri temi scomodi del passato che non passa, per<br />

esempio la questione del ruolo e dello status delle donne indigene nelle campagne<br />

italiane in Africa. È infatti molto raro che qualcuno ricordi, accanto all’<br />

architettura di<br />

cui abbiamo insignito Asmara e Addis Abeba, altri omaggi di noi sapidi coloni, come<br />

l’istituto del “madamato”, o peggio le pratiche inflitte alle giovani “faccette nere”<br />

prima e dopo il formale divieto (conseguente alla proclamazione dell’impero nel<br />

1936) di commercio sessuale con le indigene per i soldati e coloni, preziosi<br />

depositari della purezza della razza.<br />

Molto si potrebbe imparare da una recente indagine di Nicoletta Poidimani<br />

(Difendere la razza,<br />

Sensibili alle foglie 2009), che si concentra soprattutto<br />

sull’Abissinia e l’Eritrea: nelle pagine di questo libro si possono discernere le<br />

abominevoli tappe del passaggio dal modello erotico-esotico dell’Africana da<br />

conquistare e civilizzare, all’annullamento nazionalistico della donna etiope che<br />

diventa prostituta o, appunto, “madama”, concubina in relazioni tanto più illecite<br />

quanto meno fondate sulla violenza e lo sfruttamento (il sospetto di affectio<br />

maritalis era un’aggravante pesantissima per l’incauto italiota colto in fallo). A ben<br />

vedere, osserva la Poidimani, l’atteggiamento razzista che esaltava le “madri<br />

romane e fasciste” in nome del rifiuto del meticciato non è rimasto senza un<br />

séguito: a dispetto delle grottesche profferte del leader libico (“Venite a Tripoli a<br />

sposare i nostri uomini”), molta della retorica sulla “sicurezza”, e una parte del<br />

memorando “decreto antistupri” del 2009, tradiscono la più o meno diretta<br />

identificazione fra straniero e stupratore.<br />

Sul corpo delle donne africane l’Italia ha scritto alcune pagine incresciose della sua<br />

storia; ora, sul corpo delle donne italiane un dittatore africano viene a dettare le sue<br />

388


Post/teca<br />

condizioni per dirigere contatti economici sempre più pervasivi. Ancora una volta,<br />

per chiudere, torniamo al passato: l’Italia ha restituito alla Libia nel 1999 (per mano<br />

di Massimo D’Alema) la splendida Venere di Leptis Magna che ora troneggia<br />

all’ingresso del Museo della Jamahiriya, e che nel ‘40 Italo Balbo aveva prelevato<br />

per farne omaggio (nientemeno) a Hermann Goering; nel 2008 (per mano di Silvio<br />

Berlusconi) è stata restituita la Venere Anadiomene trafugata dai nostri nel 1913 a<br />

Cirene. Due Veneri romane (anzi, fondamentalmente greche) abdotte e ricondotte<br />

in terra d’Africa. Sarebbe bello pensare che nel 2010 le donne in carne ed ossa<br />

sulle due sponde del Mediterraneo non funzionino come merce di scambio al pari di<br />

quei vetusti monumenti, lasciati secoli fa da conquistatori dotati di maggiore abilità<br />

e, certo, maggior gusto.<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

ilpost.<br />

it/2010/08/30/<br />

la-<br />

conversione-<br />

delle-<br />

hostess/<br />

--------------------------------<br />

La poligamia conviene?<br />

tim hardford risponde ai lettori<br />

Vivo in un paese dove è ammessa la poligamia. Ho un amico che<br />

ha due mogli. Quando gli ho chiesto perché avesse fatto questa<br />

scelta, lui mi ha risposto: “Più offerta vuol dire più concorrenza e un<br />

servizio migliore per il cliente”. Osservando i poligami mi sono<br />

accorto però che raramente hanno una vita pacifica. Come mai? –<br />

Mohsin, Pakistan<br />

Il tuo amico dimostra la validità del vecchio detto: “L’unica cosa più<br />

pericolosa di un economista è un economista dilettante”. La<br />

poligamia non crea mogli extra, cambia solo la dinamica “chi sposa<br />

chi”: pochi uomini ricchi o attraenti sposeranno più di una donna, e<br />

le donne che resteranno saranno più richieste e avranno più potere<br />

contrattuale.<br />

Forse il tuo amico ha scoperto il modo per godersi il suo doppio<br />

matrimonio, ma non ne sarei così sicuro. Prima di affrontare un<br />

389


Post/teca<br />

matrimonio poligamo, le donne più sagge concordano con il futuro<br />

marito delle condizioni vincolanti che regoleranno il futuro rapporto.<br />

Il tuo amico deve aver trovato una scappatoia oppure sta<br />

nascondendo i suoi problemi. La cosa certa è che riducendo<br />

l’offerta di mogli ha causato un problema agli altri uomini. Non<br />

fonte: http://<br />

www.<br />

internazionale.<br />

it/<br />

opinioni/<br />

tim-<br />

harford/<br />

la-<br />

poligamia-<br />

conviene/<br />

---------------------------------<br />

“perché il tempo ci sfugge<br />

ma il segno del tempo<br />

rimane…”<br />

— Baustelle<br />

via: http://<br />

burza.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

---------<br />

Die Welt ist alles, was der Fall ist<br />

1. El mundo es todo lo que es el caso.<br />

1.1. El mundo es la totalidad de los hechos, no de las cosas.<br />

1.1.1. El mundo viene determinado por los hechos, y por ser éstos todos los<br />

hechos.<br />

1.1.2. Porque la totalidad de los hechos determina lo que es el caso y<br />

también todo cuanto no es el caso.<br />

1.1.3. Los hechos en el espacio lógico son el mundo.<br />

1.2. El mundo se descompone en hechos.<br />

1.2.1. Algo puede ser el caso o no ser el caso, y todo lo demás permanecer<br />

igual.<br />

390


Post/teca<br />

Ludwig Wittgenstein: Tractatus Logico-philosoficus<br />

via: http://<br />

uminuscula.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

----------<br />

❝ I proprietari del capitale inciteranno nei lavoratori il bisogno di comprare i loro beni costosi, case<br />

e tecnologie, costringendoli a contrarre debiti sempre più alti, fintanto che diventeranno<br />

insostenibili. Alla fine i debiti non pagati porteranno alla bancarotta delle banche, che dovranno<br />

essere nazionalizzate, e gli stati dovranno allora imboccare la strada che conduce al comunismo. ❞<br />

- Karl Marx, 1867 (milleottocentosessantasette) (centoquarantatré anni fa, già)<br />

via: http://<br />

eclipsed.<br />

tumblr.<br />

com/<br />

-------------<br />

"il vero motivo per cui hendrix bruciava le chitarre era perchè non voleva che finissero esposte<br />

all’hard rock cafè."<br />

gabinetto di Violet: serena-gandhi: (via draculafrizzi, serena-gandhi)<br />

via: http://thisissoweird.tumblr.com/<br />

-----------------<br />

"Oh Cristo… Il matrimonio, Dio, i figli, i parenti e il lavoro. Non ti rendi conto che qualsiasi idiota<br />

può vivere così e che la maggior parte lo fa?"<br />

Charles Bukowski (via dramatispersona) (via kshaed) (via paz83) (via emmanuelnegro) (via<br />

lalumacahatrecorna) (via biuz) (via tolasudolsa) (via robertodragone)<br />

via: http://thisissoweird.tumblr.com/<br />

----------------<br />

Zingari le radici dell'odio<br />

BARBARA SPINELLI<br />

E’ utile ricordare come fu possibile, appena sette-otto decenni fa, la distruzione degli zingari nei<br />

campi tedeschi. Non fu un piano di sterminio accanitamente premeditato, in origine non nacque<br />

391


Post/teca<br />

nella mente di Hitler. Nel libro Mein Kampf si parla di ebrei, non di zingari. La distruzione (in lingua<br />

rom Poràjmos, il «grande divoramento») ha le sue radici nella volontà tenace, insistente, delle<br />

campagne e delle periferie urbane tedesche: un fiume di ripugnanza possente, antico, che la<br />

democrazia di Weimar non arginò ma assecondò. Chi ha visto il film di Michael Haneke Il nastro<br />

bianco sa come prendono forma i furori che accecano la mente, escludono il diverso, infine<br />

l’eliminano perché sia fatta igiene nella famiglia, nel villaggio, nella nazione. Anche l’antisemitismo<br />

ha radici simili, tutti i genocidi sono favoriti da silenziosi consensi. Ma l’odio dei Rom e dei Sinti<br />

(zingari è dal secolo scorso nome spregiativo) riscuote consensi particolarmente vasti. È un odio<br />

che ancor oggi s’esprime liberamente, nessun vero tabù lo vieta: in parte perché è sepolto nelle<br />

cantine degli animi, dove vive indisturbato; in parte perché è un’avversione non del tutto razziale;<br />

in parte perché il loro genocidio non ha generato l’interdizione sacra tipica del tabù.<br />

A differenza di quello che accadde per gli ebrei, nel dopoguerra non si innalzò in Europa una diga<br />

fatta di vergogna di sé, di memoria che sta all’erta. Si cominciò a parlare tardi degli zingari, i libri<br />

che narrano la loro sorte sono sufficienti ma non molti. E’ strano come Sarkozy, figlio di un<br />

ungherese, non abbia ricordo, quando decide l’espulsione dei rom, di quel che essi patirono in<br />

Europa orientale. È strano che non ricordi quel che patiscono ancor oggi nei Paesi da cui fuggono,<br />

perché l’Est europeo è uscito dalle dittature denunciando il totalitarismo comunista ma non i<br />

nazionalismi etnici, non l’ideologia che mette il cittadino purosangue al di sopra della persona: in<br />

Romania, Bulgaria, Ungheria, i rom sono trattati, nonostante il genocidio, come sotto-persone.<br />

Rimpatriarli spesso è condannarli ancor più. È anche un’ipocrisia, perché come cittadini europei i<br />

rom possono tornare in Francia o Italia senza visti. Spesso vengono chiamati romeni. Sarebbe<br />

bene sapere che i Rom sono detestati dalla maggioranza dei Romeni. Ovunque, la crisi economica<br />

li trasforma in capri espiatori. Il più delle volte non è la razza a svegliare esecrazione. È il modo di<br />

vivere itinerante. L’Unione, allargandosi nel 2004 e 2007, ha accolto anche questa comunità<br />

speciale, per vocazione non sedentaria, originaria dell’India, insediatasi nel nostro continente<br />

cinque-sei secoli fa, ripetutamente perseguitata.<br />

Una direttiva europea restringe la libera circolazione se l’ordine pubblico è turbato, ma la direttiva<br />

vale per i singoli e comunque decadrà nel dicembre 2013. Non è chiaro chi oggi abbia ricominciato<br />

questa storia di esclusioni, di muri che separando i nomadi dal cittadino «normale» impedisce loro<br />

di divenire sedentari se vogliono, di trovar lavori, di non cadere nelle mani di mafie. È probabile<br />

che Berlusconi e Bossi abbiano svolto un ruolo d’avanguardia: un ruolo di «modello per l’Europa»,<br />

ha detto monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes della Cei (La Stampa,<br />

22 agosto). Molti governi dell’Est si sono sentiti legittimati dall’Italia, Paese fondatore dell’Unione.<br />

Ora Sarkozy si fa megafono del fiume d’esecrazione. La parola che ha ripetuto più volte, parlando<br />

di immigrati, di rom e di delinquenza a Grenoble, era «guerra». Nello stesso discorso, il Presidente<br />

ha annunciato che il cittadino di origine straniera colpevole di delitti perderà la nazionalità francese<br />

(la parola décheance, revoca, rimanda a déchet, pattume). La democrazia non ci protegge da<br />

simili deviazioni, proprio perché la volontà del popolo è il suo cardine. Giuliano Amato lo spiega<br />

bene, in un articolo sul Sole-24 Ore del 22 agosto: ci sono momenti, e la crisi economica è uno di<br />

questi, in cui può crearsi un conflitto mortale fra i due imperativi democratici che sono l’esigenza<br />

del consenso e quella di preservare la propria civiltà.<br />

Il leader democratico ansioso di raccogliere immediati consensi vince forse alle urne, ma non salva<br />

necessariamente la civiltà («Non a caso nell’assetto istituzionale delle democrazie si distingue fra<br />

392


Post/teca<br />

istituzioni maggioritarie elettive, nelle quali prevalgono le ragioni del consenso, e istituzioni non<br />

maggioritarie di garanzia, in primo luogo le corti, nelle quali dovrebbero prevalere le ragioni della<br />

civiltà codificate proprio in quei diritti a cui le maggioranze sono meno sensibili»). Sono rari, nei<br />

moderni Stati-nazione, i leader che sappiano tener conto di ambedue gli imperativi, e nei momenti<br />

critici anteporre le esigenze della civiltà a quelle del consenso. Quando Obama si dichiara non<br />

contrario alla costruzione di una moschea nei pressi di Ground Zero difende la costituzione laica e<br />

la storia americana lunga, non la storia tra un sondaggio e l’altro. Il consenso sente di doverselo<br />

creare a partire da qui, sapendo che può anche perderlo. In genere, quando i governanti esaltano<br />

ogni minuto la sovranità e le emozioni del popolo non è il popolo a governare: sono le oligarchie, i<br />

poteri segreti, le mafie. Anche la nostra Costituzione ha lo sguardo lungo, e non a caso dà la<br />

preminenza alla persona, più ancora che al cittadino. Tutti gli articoli che concernono i diritti<br />

fondamentali (libertà, divieto della violenza, inviolabilità del domicilio, responsabilità penale, diritto<br />

alla salute) parlano non di cittadini ma di persone o individui, e precedono la Costituzione stessa.<br />

Il nomadismo è una forma di vita che tende a scomparire, ma resta una forma della vita umana. Il<br />

non aver fissa dimora, il vivere in roulotte, il muoversi in carovane («in orde», era scritto nei decreti<br />

d’espulsione ai tempi di Weimar e di Hitler): tutto ciò è parte della cultura dei Rom e Sinti. Lo è<br />

anche la scelta di adottare la religione dei Paesi in cui vivono: è l’integrazione che prediligono da<br />

secoli. Come tutti i cittadini anch’essi delinquono, specie se vessati. I più sono cittadini plurisecolari<br />

dei Paesi in cui girovagano o si sedentarizzano. Da noi, l’80 per cento dei Rom sono italiani. Non<br />

sono mancate le proteste contro la politica francese (700 rimpatri entro settembre): nell’Onu,<br />

nell’Unione europea. Hanno protestato anche importanti leader della destra: primo fra tutti<br />

Dominique de Villepin, secondo cui oggi esiste sulla bandiera una «macchia di vergogna». Resta<br />

tuttavia il fatto che i Rom non hanno un Elie Wiesel, che in loro nome trasformi il divieto di odio in<br />

tabù. Possono contare solo sulla Chiesa, memore della parabola del Samaritano e della storia<br />

d’Europa. L’Europa e le costituzioni postbelliche sono state escogitate per evitare simili ricadute,<br />

sempre possibili quando il nazionalismo etnico di tipo ottocentesco riprende il sopravvento. Le<br />

strutture imperiali erano più propizie alla diversità, e il compito di uscire dalle gabbie etniche e<br />

restaurare autorità superiori a quelle degli Stati sovrani spetta al potere superiore che in tanti<br />

ambiti giuridici oggi s’incarna nell’Unione.<br />

È l’Europa che deve ripensare lo statuto dei Rom: permettendo loro di continuare a viaggiare, di<br />

trovar lavoro, di difendersi dalle mafie, di rispettare la legge e l’ordine. Nel quindicesimo secolo,<br />

quando migrarono in Europa, gli zingari avevano una protezione-salvacondotto universale, non<br />

nazionale o locale: la protezione del Papa e quella dell’Imperatore. Solo una protezione di natura<br />

universale può garantire «le legittime diversità umane» cui ha accennato Benedetto XVI<br />

nell’Angelus pronunciato in francese il 22 agosto. Oggi i Rom hanno la protezione del Papa. Quella<br />

dell’Imperatore (della politica) è crudelmente latitante.<br />

fonte: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?<br />

ID_blog=25&ID_articolo=7758&ID_sezione=&sezione=<br />

via: http://articoliscelti.blogspot.com/<br />

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393


Post/teca<br />

La sonda Kepler scova 140 mondi simili al nostro. Dopo una superficiale osservazione è stato<br />

rilevato che:<br />

In 139 mondi Fini è segretario del Pd<br />

In nessun mondo Dell’Utri è incensurato<br />

In 16 mondi è stato risolto il conflitto d’interessi: i beni del premier sono stati temporaneamente<br />

assegnati a Galeazzo Ciano<br />

In 122 mondi Cosentino gioca nel Napoli e dice che Maradona è un trans<br />

In tutti e 140 mondi Cassano gioca in nazionale<br />

In 3 mondi Scajola sa chi gli ha comprato la casa: Babbo Natale<br />

In 2 mondi è stata sconfitta la mafia: ha vinto la camorra ai rigori<br />

In 70 mondi il Pd è all’opposizione. Negli altri 70 ha appena perso le elezioni<br />

Porchi mondi « Zabajone (via fastlive)<br />

via: http://draculafrizzi.tumblr.com/<br />

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394

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