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Angela Peduto - L'amore e la morte in E. A. Poe - officinaMentis

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<strong>Ange<strong>la</strong></strong> <strong>Peduto</strong><br />

L’ amore e <strong>la</strong> <strong>morte</strong> <strong>in</strong> E. A. <strong>Poe</strong><br />

<strong>Poe</strong> e <strong>la</strong> psicoanalisi<br />

Su Edgar Al<strong>la</strong>n <strong>Poe</strong>, scrittore dell’<strong>in</strong>cubo e dell’orrore, etilista, oppiomane, morto di «delirium<br />

tremens» all’età di 40 anni, esiste nel<strong>la</strong> letteratura psicoanalitica un unico monumentale studio,<br />

quello che Marie Bonaparte diede alle stampe nel 1933 e al quale rimane soprattutto legato il suo<br />

nome, preceduto tre anni prima da un breve articolo: ”Lutto, necrofilia e sadismo“ (M. Bonaparte,<br />

1930), <strong>in</strong> cui venivano anticipate le sue idee. La tesi pr<strong>in</strong>cipale del<strong>la</strong> Bonaparte, quel<strong>la</strong> che essa<br />

tenta di dimostrare attraverso <strong>la</strong> m<strong>in</strong>uziosa analisi dei racconti di <strong>Poe</strong> e degli avvenimenti biografici,<br />

è che lo scrittore soffre di una <strong>in</strong>conscia fissazione al<strong>la</strong> madre, morta di tisi quando egli aveva meno<br />

di tre anni. E’ a causa di questa fissazione e del<strong>la</strong> coazione a ripetere che egli tende a cercare e ad<br />

amare donne con le medesime caratteristiche del<strong>la</strong> madre, donne ma<strong>la</strong>te o morenti. Questa ricerca si<br />

compie tanto nel<strong>la</strong> f<strong>in</strong>zione poetica quanto nel<strong>la</strong> realtà del<strong>la</strong> vita. Egli tenta di sfuggire al<strong>la</strong> madre,<br />

di sciogliere <strong>la</strong> fissazione che lo unisce a lei, ma al tempo stesso non fa che ritornare a lei, ed essa<br />

f<strong>in</strong>isce per riapparire fatalmente <strong>in</strong> ogni nuovo oggetto. Nel<strong>la</strong> necrofilia di <strong>Poe</strong>, <strong>la</strong>tente e sublimata,<br />

Marie Bonaparte vede perciò soprattutto riflesso il suo ”perenne lutto“, forte anche<br />

dell’osservazione di E. Jones secondo cui ”<strong>la</strong> più comune (forma di necrofilia) pare non essere<br />

qualcosa di molto superiore a un’estensione del ruolo svolto dall’amore nel lutto: il rifiuto<br />

frenetico di accettare il triste evento e di staccarsi per sempre dall’oggetto d’amore“ (E. Jones,<br />

1931). Accanto a questa ”necrofilia per fedeltà“ essa r<strong>in</strong>traccia <strong>in</strong> <strong>Poe</strong> anche l’elemento di sadonecrofilia,<br />

che ricollega all’impasto orig<strong>in</strong>ario tra ist<strong>in</strong>to erotico ed ist<strong>in</strong>to aggressivo e al<strong>la</strong><br />

concezione sadica <strong>in</strong>fantile del coito, unita al ritrarsi davanti all’identificazione totale col padre<br />

assass<strong>in</strong>o. ”Questi necrofili sembrano <strong>in</strong> effetti dei sadici timidi o <strong>in</strong>timiditi… (Essi) si limitano a<br />

scivo<strong>la</strong>re furtivamente vic<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> madre, al<strong>la</strong> donna già uccisa da quel padre esaltato che è per<br />

tutti il dest<strong>in</strong>o. A questo punto si limitano a impadronirsi dei resti del padre, oppure riproducono,<br />

ma su un cadavere, semplice simu<strong>la</strong>cro di un vivente, gli atti del padre assass<strong>in</strong>o… Tuttavia si<br />

risparmiano, oltre all’aggressione, <strong>la</strong> pena capitale“ (M. Bonaparte, 1933). L’evento <strong>in</strong>fantile,<br />

<strong>in</strong>teso come dato biografico, è nel<strong>la</strong> Bonaparte il riferimento costante, punto di partenza e punto<br />

d’arrivo. Impegnata a riscoprire <strong>in</strong> ogni partico<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> vita e del<strong>la</strong> narrativa di <strong>Poe</strong> le tracce delle<br />

sue esperienze <strong>in</strong>fantili, essa si affida alle partico<strong>la</strong>rità reali di tali esperienze, ed è questa realtà che<br />

cerca m<strong>in</strong>uziosamente di ricostruire. Se <strong>la</strong> psicoanalisi vive nell’<strong>in</strong>terregno ambiguo di realtà e<br />

fantasie, Marie Bonaparte si sbi<strong>la</strong>ncia a favore del<strong>la</strong> realtà, ma di una realtà fattuale che f<strong>in</strong>isce per<br />

dom<strong>in</strong>are il campo e rendere a volte asfittica l’e<strong>la</strong>borazione. Il merito del<strong>la</strong> sua analisi è tuttavia<br />

l’aver <strong>in</strong>dicato nel lutto mancato del<strong>la</strong> madre e nell’aggressione erotica condotta sul corpo<br />

femm<strong>in</strong>ile un doppio percorso che si raccorda da un <strong>la</strong>to ai dest<strong>in</strong>i del<strong>la</strong> depressione, dall’altro ai<br />

dest<strong>in</strong>i delle perversioni. Questo mi è parso il filo da cui partire per dipanare, a mia volta, l’idea che<br />

più mi suggestiona: l’idea di una madre sepolta viva, <strong>in</strong>carcerata nello spazio <strong>in</strong>terno, mille volte<br />

duplicata nello spazio letterario, oggetto che deve ad ogni costo sopravvivere e non essere mai<br />

perduto. Seguire <strong>la</strong> vicenda di un tale oggetto nello scenario del<strong>la</strong> sublimazione letteraria è ciò che<br />

tenterò di fare.<br />

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<strong>Poe</strong>, l’amore, <strong>la</strong> <strong>morte</strong><br />

Dal<strong>la</strong> <strong>morte</strong> <strong>Poe</strong> è ossessionato: nel<strong>la</strong> vita, dove, stralunato e mal<strong>in</strong>conico, vaga tra alcool, oppio,<br />

amori dest<strong>in</strong>ati a niente, a un nul<strong>la</strong>… o al<strong>la</strong> <strong>morte</strong>; nei racconti, dove <strong>la</strong> <strong>morte</strong> è sempre presente, <strong>in</strong><br />

tutte le forme, <strong>in</strong> tutti i suoi volti notturni. Egli scrive, nel<strong>la</strong> Filosofia del<strong>la</strong> Composizione: “Qual è<br />

secondo il parere universale dell’umanità, qual è fra tutti i soggetti me<strong>la</strong>nconici il più<br />

me<strong>la</strong>nconico? La Morte, fu l’ovvia risposta. E’ quando questo soggetto, che fra tutti è il più<br />

me<strong>la</strong>nconico, quand’è che esso diviene poetico? E quando si congiunge <strong>in</strong>timamente al<strong>la</strong> Bellezza.<br />

Dunque <strong>la</strong> <strong>morte</strong> di una bel<strong>la</strong> donna è, fuor di discussione, il più poetico argomento al mondo,<br />

come pure è fuor di dubbio che le <strong>la</strong>bbra che più si adattano a sviluppare tale argomento sono<br />

quelle di un amante che ha perso <strong>la</strong> donna amata” (<strong>Poe</strong>, 1846).<br />

Molti racconti di <strong>Poe</strong> ruotano <strong>in</strong>torno a un personaggio femm<strong>in</strong>ile all’ombra del quale si<br />

sviluppano vicende <strong>in</strong>quietanti d’amore e di <strong>morte</strong>. Nei due racconti che ho scelto, Berenice e<br />

Lìgeia, il protagonista ama una donna eterea e idealizzata, <strong>in</strong> entrambi <strong>la</strong> donna si amma<strong>la</strong> e muore,<br />

precipitandolo <strong>in</strong> una vertig<strong>in</strong>e di terribili eventi che fatalmente lo riportano verso l’amante perduta;<br />

egli è anche preso <strong>in</strong> una spirale persecutoria dove l’amata riappare, non più oggetto ideale quale<br />

era <strong>in</strong>izialmente, bensì nelle vesti angosciose di fantasma che trasc<strong>in</strong>a al<strong>la</strong> <strong>morte</strong>. In entrambi questi<br />

racconti il gioco amoroso si <strong>in</strong>tesse attraverso atmosfere spirituali, rarefatte, solo per preparare un<br />

unico evento, quello che sembra cont<strong>in</strong>uamente alluso e cercato, quasi spasmodicamente atteso<br />

lungo il tragitto delle parole: <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia e <strong>la</strong> <strong>morte</strong> dell’oggetto d’amore. Qui, nel<strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia e nel<strong>la</strong><br />

<strong>morte</strong>, l’oggetto d’amore emerge <strong>in</strong> tutta <strong>la</strong> sua potenza di fantasma sconvolgente e mortifero. Al di<br />

là di questi due racconti troviamo ovunque donne ma<strong>la</strong>te, morenti, identificazioni con presenze<br />

femm<strong>in</strong>ili che portano al<strong>la</strong> <strong>morte</strong>, fantasie di fusione annientante, sp<strong>in</strong>te mortifere… E’ difficile non<br />

pensare al<strong>la</strong> madre morta dell’<strong>in</strong>fanzia. Ovunque è <strong>la</strong> sua ombra che sembra profi<strong>la</strong>rsi, fantasma che<br />

imprigiona il figlio, che si perpetua nel<strong>la</strong> sua scrittura e negli amori impossibili del<strong>la</strong> sua vita. In<br />

questo spazio di <strong>morte</strong>, che a buon diritto può dirsi mal<strong>in</strong>conico, nessun padre è presente a offrirsi<br />

come oggetto riparatìvo o come Padre ideale che distanzia e separa. E’ sempre nel fantasma<br />

materno che il testo poetico si esaurisce, f<strong>in</strong>o a consumarsi <strong>in</strong> esso. C’è una straord<strong>in</strong>aria monotonia<br />

nei racconti di <strong>Poe</strong>. Pag<strong>in</strong>a dopo pag<strong>in</strong>a ogni racconto segna <strong>la</strong> logorante riapparizione dello stesso<br />

tema fantastico, ogni volta <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> lo riedifica, lo esibisce, Io ripercorre senza trovare alternative,<br />

essa stessa impotente a situarsi altrove. La paro<strong>la</strong> poetica di <strong>Poe</strong> è il suo canto di fedeltà al<strong>la</strong> madre<br />

e il suo scacco f<strong>in</strong>ale davanti ad essa. Con precisione conturbante questo tema, d’amore e di <strong>morte</strong>,<br />

percorre e anima il suo paesaggio letterario, ma forse è anche il nodo drammatico che avvelena gli<br />

amori del<strong>la</strong> sua vita: impossibili, sempre.<br />

Berenice<br />

In Berenice <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> situa subito il protagonista, Egeo, all’<strong>in</strong>terno di una rapsodia depressiva:<br />

mal<strong>in</strong>conico e fragile visionario avvolto dalle ombre, Egeo è prigioniero di un ”ricordo che non<br />

vuole est<strong>in</strong>guersi“, di memorie sottili che aleggiano <strong>in</strong> quel<strong>la</strong> biblioteca dove egli si chiude per<br />

lunghe ore, dove morì <strong>la</strong> madre e dove egli nacque. Il mondo <strong>in</strong> cui egli si muove è un vuoto di<br />

tempo e di spazio, cosparso di frammenti disartico<strong>la</strong>ti, di immag<strong>in</strong>i iso<strong>la</strong>te cui l’attenzione si<br />

aggrappa (o meglio si <strong>in</strong>col<strong>la</strong>, ipnoticamente assorbita) non come a stimoli per pensare, per sentire,<br />

ma come a segni, tracce fisiche, materiali senza senso. “Meditare cont<strong>in</strong>uamente per lunghe ed<br />

estenuanti ore, concentrando l’attenzione su qualche sciocca nota <strong>in</strong> marg<strong>in</strong>e o sul testo d’un libro,<br />

rimanere assorto per <strong>la</strong> maggior parte di una giornata estiva <strong>in</strong> una strana ombra che cadeva di<br />

sbieco sul<strong>la</strong> tappezzeria o sul pavimento, perdermi per un’<strong>in</strong>tera notte a fissare <strong>la</strong> fiamma immobile<br />

di una <strong>la</strong>mpada o le braci di un cam<strong>in</strong>o, fantasticare per giorni e giorni sul profumo di un fiore,<br />

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ipetere <strong>in</strong> maniera monotona una paro<strong>la</strong> qualsiasi f<strong>in</strong>ché questo suono, a forza di essere ripetuto,<br />

si vuotasse di ogni significato, perdere ogni senso di moto o di esistenza fisica <strong>in</strong> un’immobilità<br />

assoluta, ost<strong>in</strong>atamente prolungata, queste erano le (mie) più comuni e meno dannose<br />

aberrazioni.” (<strong>Poe</strong>, 1835). Esiliato dal<strong>la</strong> vita, recluso nello spazio delle sue visioni, Egeo priva<br />

l’esperienza reale di vita, <strong>la</strong> smonta, <strong>la</strong> riduce a un assemb<strong>la</strong>ggio di forme prive di significato, e con<br />

ciò <strong>la</strong> svuota del<strong>la</strong> sua sensualità, separa gli oggetti, rendendoli così <strong>in</strong>servibili per un contatto<br />

<strong>in</strong>timo. Se <strong>la</strong> sp<strong>in</strong>ta creativa obbedisce all’imperativo erotico — mettere <strong>in</strong>sieme, unire — e rego<strong>la</strong><br />

l’alchimia del<strong>la</strong> s<strong>in</strong>tesi e del<strong>la</strong> trasformazione, <strong>la</strong> sp<strong>in</strong>ta distruttiva separa, scollega, frantuma. Si può<br />

immag<strong>in</strong>are che da qui prenda orig<strong>in</strong>e tale smontaggio dell’esperienza, smontaggio che ha analogie<br />

con i meccanismi ossessivi e che opera deanimando e desensualizzando il Sé e il mondo mediante <strong>la</strong><br />

rottura di legami. In questo tempio privato Berenice non può entrare, lei più che mai, donna reale<br />

che vive e respira, pericoloso richiamo di desiderio; lei più che mai deve essere resa <strong>in</strong>nocua,<br />

devitalizzata, conge<strong>la</strong>ta <strong>in</strong> un’eco dai freddi meccanismi mentali di lui. “Io <strong>la</strong> vedevo non come <strong>la</strong><br />

Berenice vivente e respirante, non come <strong>la</strong> Berenice di un sogno, non come una creatura del<strong>la</strong><br />

terra, non come una cosa da ammirare ma da analizzare, non come un oggetto d’amore ma come il<br />

tema del<strong>la</strong> più astrusa e disord<strong>in</strong>ata specu<strong>la</strong>zione” (<strong>Poe</strong>, ibid.). Egeo non può veder<strong>la</strong>, e cioè<br />

<strong>in</strong>vestir<strong>la</strong> di significato emotivo, da viva. La ma<strong>la</strong>ttia è <strong>la</strong> chiave che le dà accesso all’universo<br />

pulsionale di lui. Una ma<strong>la</strong>ttia fatale “s’abbatté come il simun sul suo corpo (…) Ed ora, ora io<br />

tremavo al<strong>la</strong> sua presenza, impallidivo al suo avvic<strong>in</strong>arsi, e tuttavia, nel soffrire amaramente delle<br />

pietose condizioni del<strong>la</strong> sua rov<strong>in</strong>a, mi ricordai ch’el<strong>la</strong> m’aveva lungamente amato e, <strong>in</strong> un<br />

ma<strong>la</strong>ugurato momento, le par<strong>la</strong>i di matrimonio” (<strong>Poe</strong>, ibid.). Nel<strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia di Berenice, Marie<br />

Bonaparte vede il re<strong>in</strong>carnarsi del<strong>la</strong> madre morente: ”E’ così che l’identità di Berenice si vede poco<br />

a poco amalgamarsi con quel<strong>la</strong> dell’amata madre di un tempo, morente di un male cosi vago e<br />

<strong>in</strong>comprensibile come <strong>la</strong> tubercolosi materna doveva essere stata per il piccolo Edgar“ (M.<br />

Bonaparte, 1933). E tuttavia, al di là di questa riemergenza <strong>in</strong> Berenice dell’imago materna, non<br />

possiamo tentare di cogliere qualcos’altro? Non possiamo forse vedere nel<strong>la</strong> <strong>morte</strong> di lei anche<br />

l’irrompere di una sp<strong>in</strong>ta arcaica, fatta d’amore e di distruzione, che l’esasperata immobilità<br />

mentale dì Egeo serviva a contenere? È perché muore che Berenice diventa oggetto di passione, o<br />

<strong>in</strong>vece muore proprio <strong>in</strong> quanto viene <strong>in</strong>vestita di passione? Passione amorosa o distruttiva, è Io<br />

stesso, perché qui l’amore e <strong>la</strong> distruzione si sovrappongono. Travolto dall’ossessione dei denti, i<br />

denti di lei, Egeo commette qualcosa che sprofonda nell’oblio, qualcosa che nel pulsare, nel<br />

palpitare di quel corpo femm<strong>in</strong>ile creduto morto ma ancora vivo, nelle ferite d’unghie umane, nel<br />

sangue che macchia gli abiti, nel<strong>la</strong> crudeltà del gesto, si connota come vio<strong>la</strong>zione amorosa e mortale<br />

al tempo stesso, poiché, <strong>in</strong> def<strong>in</strong>itiva, il corpo nascosto nel sudario, sfigurato, era vivo: <strong>in</strong> uno stato<br />

simile al sogno Egeo si reca al sepolcro dell’amica, <strong>la</strong> disseppellisce e le strappa i denti. Berenice si<br />

risveglia e grida. Certo possiamo vedere qui affiorare il fantasma del possesso arcaico, così avido,<br />

così totale, che può divenire datore e vettore di <strong>morte</strong>. Ci ricorda a questo proposito <strong>la</strong> Bonaparte<br />

che l’impulso cannibalico <strong>in</strong>fantile promuove, attraverso <strong>la</strong> paura del<strong>la</strong> punizione, il fantasma del<br />

morso da parte del seno materno: ”I denti di Berenice sono così fratelli di quelli del<strong>la</strong> strega che,<br />

nel<strong>la</strong> versione di Perrault, divora i bamb<strong>in</strong>i ne La bel<strong>la</strong> addormentata nel bosco” (M. Bonaparte,<br />

1933). Madre divorata – madre divorante, questo sarebbe il circuito fantasmatico: madre e figlio<br />

<strong>in</strong>trappo<strong>la</strong>ti <strong>in</strong> un fantasma di divorazione reciproca. Intuizione significativa, poiché porta <strong>la</strong><br />

vicenda fantasmatica a collocarsi di colpo <strong>in</strong> uno scenario primitivo, pre-oggettuale e pre-edipico.<br />

Allora si potrebbe cogliere nel gesto estremo di Egeo <strong>la</strong> rappresentazione immag<strong>in</strong>aria di quel<strong>la</strong><br />

”violenza fondamentale“di cui par<strong>la</strong> Bergeret, elemento ancora senza amore e senza odio, senza<br />

aggressività e senza oggettualità, energia pura di autoconservazione che ha a che fare con <strong>la</strong> lotta<br />

per <strong>la</strong> sopravvivenza <strong>in</strong> rapporto ad un pre-oggetto primitivo e non ancora con l’amore, i suoi<br />

ostacoli, i suoi arresti, i suoi sviluppi, <strong>in</strong> rapporto ad un oggetto def<strong>in</strong>ito (Bergeret, 1994). La<br />

ma<strong>la</strong>ttia di Berenice segnerebbe allora il passaggio verso l’emergenza di una tale imago materna, di<br />

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un tale oggetto folle e sconvolgente che trasc<strong>in</strong>a lui, il figlio, <strong>in</strong> un gioco per <strong>la</strong> vita o per <strong>la</strong> <strong>morte</strong>:<br />

così, solo dandole <strong>la</strong> <strong>morte</strong> egli può tentare di sottrarsi al<strong>la</strong> <strong>morte</strong>.<br />

Ligeia<br />

C’è un lungo elenco di nomi femm<strong>in</strong>ili <strong>in</strong> <strong>Poe</strong>: Berenice, Morel<strong>la</strong>, Ligeia, Madel<strong>in</strong>e… Ligeia, come<br />

le altre, è subito catturata dal<strong>la</strong> mal<strong>in</strong>conica immanenza del<strong>la</strong> <strong>morte</strong>; come le altre, si muove <strong>in</strong> un<br />

universo amoroso che ha nel suo sfondo un oggetto aggredito e agonizzante. E’ l’idealizzazione che<br />

fonda l’<strong>in</strong>contro amoroso con lei, ma fa di lei una semplice presenza abbagliante; privata di ogni<br />

qualità sensoriale, <strong>la</strong> spoglia di ogni passione, di ogni segno vitale. “Era una visione aerea e<br />

meravigliosa (…) <strong>la</strong> sua bellezza era quel<strong>la</strong> degli esseri che vivono al di sopra o fuori dal<strong>la</strong> terra<br />

(…) <strong>la</strong> bellezza delle favolose Uri dei Turchi” (<strong>Poe</strong>, 1838). Favolosa e dis<strong>in</strong>carnata Ligeia si colloca<br />

nel cuore stesso dell’<strong>in</strong>ganno amoroso che <strong>in</strong>trappo<strong>la</strong> il soggetto: supporto del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, ma di una<br />

paro<strong>la</strong> <strong>in</strong>sterilita poiché sganciata dal gioco del desiderio, oggetto d’amore, ma di un amore estetico<br />

che si appaga nel<strong>la</strong> pura contemp<strong>la</strong>zione dell’amata. La lunga e dettagliata descrizione del<strong>la</strong><br />

bellezza di Ligeia occupa l’<strong>in</strong>tera prima parte del racconto. Marie Bonaparte vi ritrova, seppure<br />

deformata dall’idealizzazione, <strong>la</strong> descrizione dei tratti del<strong>la</strong> madre, quei tratti ”restati per sempre<br />

vivi nel<strong>la</strong> sua memoria <strong>in</strong>conscia“ (M. Bonaparte, 1933). E, tuttavia, l’<strong>in</strong>sistenza con cui il testo si<br />

sofferma su tale bellezza, <strong>la</strong> reiterazione delle parole che ne ripercorre ogni partico<strong>la</strong>re, segna<strong>la</strong>no lo<br />

sforzo di mantenersi su quel piano estetico dove l’oggetto ideale, bello e da ammirare, smentisce<br />

con <strong>la</strong> sua perfezione e <strong>la</strong> sua immortalità <strong>la</strong> realtà del decadimento e del<strong>la</strong> <strong>morte</strong>. Da questo punto<br />

dì vista è <strong>in</strong>teressante constatare che il tema centrale di questo racconto è proprio <strong>la</strong> sopravvivenza<br />

dell’amata al<strong>la</strong> <strong>morte</strong>: Ligeia <strong>in</strong>fatti, che si amma<strong>la</strong> e poi muore,è dest<strong>in</strong>ata a re<strong>in</strong>carnarsi <strong>in</strong><br />

Rowena. Una simile funzione denegante dell’oggetto ideale ci farebbe comprendere perché<br />

cont<strong>in</strong>uamente affiori nel<strong>la</strong> bellezza del volto di Ligeia un altro volto, segreto e diverso, una<br />

“stranezza” <strong>in</strong>quietante che ne confonde i contorni e ne offusca l’identità. “La stranezza che io<br />

trovavo <strong>in</strong> quegli occhi era di una natura ben dist<strong>in</strong>ta da quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> loro conformazione, colore e<br />

splendore e andava, <strong>in</strong>somma, attribuita all’espressione … L’espressione degli occhi di Ligeia!<br />

Quante lunghe ore vi ho meditato sopra! Come, durante un’<strong>in</strong>tera notte d’estate, mi sono sforzato<br />

di penetrarne il significato! Che cos’era dunque mai questo qualcosa molto più profondo del pozzo<br />

di Democrito che giaceva <strong>in</strong> fondo alle pupille del<strong>la</strong> mia amata? Che cos’era? Ero ossessionato<br />

dal<strong>la</strong> passione di scoprirlo” (<strong>Poe</strong>, ibid). Freud ci ha par<strong>la</strong>to di questa “estraneità <strong>in</strong>quietante” o<br />

Unheìmliche, che è lo stesso: qui ciò che è occultato si rive<strong>la</strong>, ma solo furtivamente, il noto allude<br />

all’ignoto e, nel<strong>la</strong> <strong>in</strong>effabile compresenza di entrambi, apre il soggetto al<strong>la</strong> vertig<strong>in</strong>e del fantasma.<br />

Qui dunque, <strong>in</strong>izierebbe ad emergere nel<strong>la</strong> sua forma più sottile l’ossessione del fantasma materno.<br />

Ma dipaniamo l’altro filo. Vediamo allora che l’immag<strong>in</strong>e idealizzata di Ligeia faceva di lei una<br />

presenza <strong>in</strong>corporea e spirituale, e perciò rassicurante; ora l’Unheimliche segna<strong>la</strong> <strong>la</strong> rottura di un<br />

tale equilibrio. Se tale rottura si consuma, gli affetti sono messi <strong>in</strong> libertà. Allora ciò che<br />

<strong>in</strong>contriamo non è propriamente il volto del<strong>la</strong> madre ma il volto “reale” del soggetto. Ligeia si<br />

amma<strong>la</strong>, come le altre: ancora una volta si tratta di vedere qui non solo il corpo re<strong>in</strong>carnato del<strong>la</strong><br />

madre ma anche il corpo offerto al<strong>la</strong> violenza dell’immag<strong>in</strong>ario, alle passioni <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e sve<strong>la</strong>te del<br />

soggetto. “Ligeia cadde amma<strong>la</strong>ta; gli strani occhi <strong>la</strong>mpeggiavano con una luce troppo… troppo<br />

splendente; le pallide dita presero il cereo colore trasparente del<strong>la</strong> tomba, mentre le vene azzurr<strong>in</strong>e<br />

del<strong>la</strong> sua spaziosa fronte si gonfiavano e si abbassavano impetuosamente al flusso del<strong>la</strong> più lieve<br />

emozione. Compresi che el<strong>la</strong> doveva morire” (<strong>Poe</strong>, ibid). Vita e <strong>morte</strong> si contendono il corpo<br />

femm<strong>in</strong>ile <strong>in</strong> un movimento che, portato al parossismo, ritroveremo nell’agonia di Rowena, quasi<br />

un movimento orgastico cui gli occhi di lui assistono con <strong>la</strong> crudeltà che ha il bamb<strong>in</strong>o davanti alle<br />

convulsioni agoniche del<strong>la</strong> vittima appena colpita. Ligeia dovrà morire: <strong>la</strong> <strong>morte</strong> si <strong>in</strong>serisce come<br />

punto di fuga del godimento… ma anche del<strong>la</strong> nostalgia d’amore: “… solo nel<strong>la</strong> <strong>morte</strong> compresi<br />

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pienamente tutta <strong>la</strong> forza del suo affetto” (<strong>Poe</strong>, ibid.). Nel<strong>la</strong> <strong>morte</strong> l’oggetto d’amore si dà con<br />

assoluta certezza, si piega ad un possesso totale, assoluto. Onnipotente. “El<strong>la</strong> riversava su di me<br />

tutta l’esuberanza di un cuore <strong>la</strong> cui devozione più che appassionata giungeva f<strong>in</strong>o all’ido<strong>la</strong>tria…<br />

nell’abbandono più che femm<strong>in</strong>ile di Ligeia ad un amore che assolutamente non meritavo e che mi<br />

era <strong>in</strong>degnamente concesso, riconobbi al<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e il pr<strong>in</strong>cipio del suo ardente, del suo cosi sfrenato<br />

rimpianto per una vita che ormai troppo rapidamente fuggiva; proprio questo sfrenato ardore…<br />

questo appassionato, veemente desiderio di vita… solo di vita… non ho il potere di ritrarre” (<strong>Poe</strong>,<br />

ibid.). La separazione, ma non necessariamente <strong>la</strong> <strong>morte</strong>, si muove nel registro del tempo. Qui, al<br />

contrario, <strong>la</strong> <strong>morte</strong> consegna lei, l’oggetto d’amore, all’eternità fuori del tempo, suggel<strong>la</strong> un<br />

contratto d’amore senza term<strong>in</strong>e… <strong>in</strong>sieme per sempre… e, come estrema fantasia di unione, fonda<br />

l’asservimento amoroso dell’oggetto, <strong>la</strong> sua illimitata fedeltà. Da un altro punto di vista, <strong>la</strong> <strong>morte</strong><br />

dell’oggetto segna<strong>la</strong> l’onnipotenza fantasticata del soggetto: ”essa muore… io do, io tolgo <strong>la</strong> vita”.<br />

Ligeia muore, ma r<strong>in</strong>asce attraverso <strong>la</strong> <strong>morte</strong> stessa: notturna alchimia dì aggressione e di fusione,<br />

di resurrezione e di <strong>morte</strong>, <strong>in</strong> cui si consuma segretamente <strong>la</strong> nostalgia di una stretta amorosa.<br />

Nostalgia: nostos- ritorno, algos- dolore. Questi canti di distruzione e di <strong>morte</strong> sono disperate<br />

<strong>in</strong>vocazioni d’amore. Figura centrale nell’immag<strong>in</strong>ario di <strong>Poe</strong>, <strong>la</strong> <strong>morte</strong> condensa realtà e fantasmi.<br />

Non possiamo vedervi soltanto <strong>la</strong> reviviscenza del trauma reale (<strong>la</strong> <strong>morte</strong> del<strong>la</strong> madre); <strong>in</strong>torno al<br />

frammento reale, e a partire da esso, l’immag<strong>in</strong>ario tesse il fantasma. Da questo momento è <strong>la</strong> <strong>morte</strong><br />

come fantasma che dom<strong>in</strong>a lo scenario. La <strong>morte</strong> è allora il ricordo nostalgico di cui egli aureo<strong>la</strong> <strong>la</strong><br />

madre, e perciò è il godimento come nostalgia. Ma è anche il segno del suo tradimento. E se, nel<br />

rimpianto, egli veste <strong>la</strong> madre di aerea, dis<strong>in</strong>carnata bellezza, è perché essa non mostri il suo volto<br />

segreto, perché non si sveli come figura del negativo, del vuoto e dell’abbandono. La <strong>morte</strong>, allora,<br />

è anche <strong>la</strong> vendetta del figlio, messa-a-<strong>morte</strong> che istituisce il godimento nel<strong>la</strong> crudeltà. Là, nel<br />

punto dove l’oggetto muore, scompare, egli lo distrugge, lo abolisce, per farlo tuttavia r<strong>in</strong>ascere nel<br />

sogno d’unione dopo <strong>la</strong> <strong>morte</strong>, là dove si proietta l’onnipotenza del suo desiderio di averlo… per<br />

sempre. La <strong>morte</strong>, dunque, anche come celebrazione narcisistica, trionfale recupero dell’oggetto,<br />

per restituirsi un contorno, un’esistenza (un’identità), per non cadere nell’abisso del<strong>la</strong> mancanza.<br />

Del nul<strong>la</strong>. Perché questo abisso non annulli il soggetto bisogna che <strong>la</strong> <strong>morte</strong>, anziché separare, apra<br />

percorsi di immortalità e di unione: morto, l’oggetto si trasfigura e r<strong>in</strong>asce vivo nell’immag<strong>in</strong>ario,<br />

ora sarà <strong>in</strong> eterno asservito al soggetto, mai più potrà sottrarsi agli <strong>in</strong>trighi del<strong>la</strong> passione, sarà<br />

distrutto per essere creato e creato per essere distrutto.<br />

Da Ligeia a Rowena<br />

La fedeltà a Ligeia richiede paradossalmente un altro oggetto su cui <strong>la</strong> distruzione possa compiere i<br />

suoi riti mortiferi: Ligeia muore. In un istante di smarrimento egli sposa un’altra donna, così <strong>la</strong><br />

prima potrà essere polo d’amore e di struggimento a patto che l’altra si <strong>la</strong>sci travolgere dal<br />

vertig<strong>in</strong>oso deflusso del<strong>la</strong> marea pulsionale. È Rowena, <strong>la</strong> bionda, <strong>la</strong> fragile, che si fa vittima<br />

sacrificale perché l’altra possa essere amata nel<strong>la</strong> distanza del rimpianto. Rowena, amante<br />

degradata, si contrappone a Ligeia, “l’amata, <strong>la</strong> maestosa, <strong>la</strong> bel<strong>la</strong>, <strong>la</strong> morta”, una, egli <strong>la</strong> odia di<br />

un odio più demoniaco che umano, per l’altra l’amore può liberamente dispiegarsi. “Io <strong>la</strong> odiavo di<br />

un odio degno dell’<strong>in</strong>ferno più che di questo basso mondo; <strong>la</strong> mia mente sì volgeva <strong>in</strong>dietro (oh,<br />

con quale <strong>in</strong>tenso rimpianto!) a Ligeia, l’amata, <strong>la</strong> maestosa, <strong>la</strong> bel<strong>la</strong>, <strong>la</strong> morta: mi esaltavo nel<br />

ricordare <strong>la</strong> sua purezza, <strong>la</strong> sua saggezza,, <strong>la</strong> sua sublime, eterea natura, il suo appassionato e<br />

ido<strong>la</strong>trico amore; ora il mio spirito ardeva pienamente e liberamente di un fuoco più ardente di<br />

quanto fosse stato il suo; nell’eccitazione dei miei sogni d’oppio… <strong>in</strong>vocavo ad alta voce il suo<br />

nome nel silenzio del<strong>la</strong> notte o di giorno nei recessi del<strong>la</strong> torre <strong>in</strong> cui trovavo rifugio, come se il<br />

selvaggio impeto, <strong>la</strong> solenne passione, il divorante ardore del mio desiderio potessero richiamar<strong>la</strong><br />

ai sentieri del<strong>la</strong> terra che el<strong>la</strong> aveva abbandonato” (<strong>Poe</strong>, 1838). Ma Rowena dev’essere sacrificata.<br />

5


Da questo momento <strong>la</strong> <strong>morte</strong>, liberata, si fa passione, godimento perverso, estetica barocca. La<br />

<strong>morte</strong> di<strong>la</strong>ga e si moltiplica nelle rappresentazioni di se stessa, nel<strong>la</strong> sovrabbondanza dei segni,<br />

quasi impudica nel suo eccesso di offerta ai sensi e al l<strong>in</strong>guaggio. Un crescendo di esaltazione, <strong>in</strong><br />

una sorta di macabra danza delle parole, sostiene <strong>la</strong> descrizione del<strong>la</strong> camera nuziale, luogo <strong>in</strong> cui si<br />

consuma <strong>la</strong> <strong>morte</strong> di Rowena. Niente più di questo corpo femm<strong>in</strong>ile degradato dal rito di<br />

resurrezione e di <strong>morte</strong> che mille volte si compirà su di esso valgono a condensare lo spettro<br />

multiforme dell’immag<strong>in</strong>ario. Su questo corpo <strong>la</strong> violenza può avere libero corso, è il corpo che egli<br />

uccide e resuscita ma sul quale ogni rito di r<strong>in</strong>ascita ha solo l’effetto di rendere <strong>la</strong> decomposizione<br />

più impudicamente presente. “Divenne chiaro che una lieve, debolissima e appena percettibile<br />

colorazione era salita alle gote e lungo le piccole <strong>in</strong>cavate vene delle palpebre,., non c’era alcun<br />

dubbio che i nostri preparativi erano stati un po’ troppo affrettati… che Rowena era ancora viva.,,<br />

ma <strong>in</strong> breve il colore scomparve dalle gote e dalle palpebre, <strong>la</strong>sciando un pallore più che<br />

marmoreo; le <strong>la</strong>bbra si raggr<strong>in</strong>zirono doppiamente e si serrarono nel<strong>la</strong> spettrale espressione del<strong>la</strong><br />

<strong>morte</strong>; un freddo viscido e repulsivo si diffuse rapidamente su tutta <strong>la</strong> superficie del corpo” (<strong>Poe</strong>,<br />

ìbìd.). Questo corpo che si decompone riassume un’ambiguità fondamentale: morto-vivo, esso<br />

allude <strong>in</strong> maniera <strong>in</strong>quietante ad un oggetto sospeso dentro, ambiguamente teso tra vita e <strong>morte</strong>,<br />

oggetto non significabile perché non ancora perduto e perciò rappresentabile solo come materia,<br />

sostanza, cosa. Questo corpo muore per non morire mai, ma il ritorno al<strong>la</strong> vita è soltanto una<br />

macabra rappresentazione agonica, una convulsione di vita che ha l’effetto di rendere <strong>la</strong> <strong>morte</strong><br />

ancora più eccessivamente, <strong>in</strong>sopportabilmente presente. Il suo spasimo allude a riti di crudeltà e di<br />

piacere. Violenza e sessualità (o meglio, quel presentimento di sessualità che è l’universo anale)<br />

sembrano <strong>in</strong>trecciare il groviglio di fantasie, oggetti, desideri, che sì ce<strong>la</strong>no dietro <strong>la</strong> preponderanza<br />

di questo corpo femm<strong>in</strong>ile morente. Un corpo che è anche oggetto sacrificale cui il gesto crudele e<br />

onnipotente di lui accorda vita e <strong>morte</strong>, conferendo al<strong>la</strong> <strong>morte</strong> il trasalimento del<strong>la</strong> vita e al<strong>la</strong> vita <strong>la</strong><br />

pesantezza, l’offuscamento del<strong>la</strong> <strong>morte</strong>. “Al colmo dell’orrore stetti <strong>in</strong> ascolto… il suono si sentì di<br />

nuovo… era un sospiro… vidi… vidi dist<strong>in</strong>tamente un tremore sulle <strong>la</strong>bbra; un m<strong>in</strong>uto dopo esse si<br />

dischiusero, scoprendo <strong>la</strong> l<strong>in</strong>ea bril<strong>la</strong>nte dei suoi denti per<strong>la</strong>cei… Ora un parziale colorito si<br />

stendeva sul<strong>la</strong> fronte, sulle gote e <strong>la</strong> go<strong>la</strong>; un sensibile colore pervadeva tutto il corpo… <strong>la</strong> donna<br />

viveva… e io, con r<strong>in</strong>novato ardore, mi dedicai al compito di risuscitar<strong>la</strong>… ma <strong>in</strong>vano;<br />

improvvisamente il colore scomparve, le <strong>la</strong>bbra ripresero l’espressione di <strong>morte</strong> e, un istante dopo,<br />

l’<strong>in</strong>tero corpo aveva ripreso <strong>la</strong> freddezza g<strong>la</strong>ciale, il colore livido, l’assoluta rigidezza, il profilo<br />

<strong>in</strong>cavato e tutte le orribili caratteristiche di chi è stato per molti, giorni <strong>in</strong> una tomba” (<strong>Poe</strong>, ìbid.)<br />

Egli si arresta qui, ca<strong>la</strong>mitato da questo polo di desiderio e di odio, di fasc<strong>in</strong>azione e di repulsione;<br />

prigioniero di questa visione oltre <strong>la</strong> quale c’è per lui l’ignoto. Morte come vendetta, <strong>morte</strong> come<br />

godimento, <strong>morte</strong> come celebrazione onnipotente. Non <strong>morte</strong> simbolica ma <strong>morte</strong> immag<strong>in</strong>aria, che<br />

diventa oggetto di un desiderio perverso, che non si scambia più e non può monetizzarsi nel<br />

fantasma (J. Baudril<strong>la</strong>rd, 1984). Morte, dunque, come re<strong>in</strong>carnazione e ritorno: “Eccoli f<strong>in</strong>almente,<br />

gridai, non posso <strong>in</strong>gannarmi… non posso <strong>in</strong>gannarmi… questi sono gli <strong>in</strong>tensi, i neri, gli strani<br />

occhi del mio perduto amore… del<strong>la</strong> mia donna… di <strong>la</strong>dy Ligia” (<strong>Poe</strong>, ibid.),<br />

La Madre morta<br />

Lo spazio letterario offre a questo amoroso mal<strong>in</strong>conico <strong>la</strong> possibilità, sia pure <strong>in</strong>certa, sia pure<br />

fragile, di ridare parole al dramma <strong>in</strong>fantile, rievocarlo, rimemorarlo, tentare per esso <strong>la</strong> soluzione<br />

sublimatoria. Nell’area di gioco dei suoi racconti <strong>Poe</strong> può sognare, giocare con i morti e i fantasmi<br />

— gioco del rocchetto (madre morta-madre resuscitata), gioco dello specchio — unica garanzia<br />

contro <strong>la</strong> propria <strong>morte</strong>. È l’oggetto arcaico, <strong>la</strong> Madre, che egli cerca, con cui cerca di far re<strong>la</strong>zione.<br />

Ma non fa che rivivere, ripetitivamente, l’<strong>in</strong>contro con un oggetto femm<strong>in</strong>ile assolutamente<br />

spaventoso, <strong>in</strong>contro che, nello scenario dei racconti, comporta il disfacimento e <strong>la</strong> corruzione<br />

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(fisica, psichica) del protagonista e <strong>in</strong>sieme del suo oggetto. Berenice, Madel<strong>in</strong>e, Morel<strong>la</strong>, Ligeia:<br />

esse sono, con ogni evidenza, doppi immag<strong>in</strong>ari dove celebrare il ritrovamento del<strong>la</strong> madre e al<br />

tempo stesso commemorarne ogni volta <strong>la</strong> perdita. Attraverso di loro l’antico oggetto d’amore si<br />

ridà all’immag<strong>in</strong>ario, ma per sottrarsi, per morire di nuovo: circo<strong>la</strong>rità estenuante di illusione e<br />

delusione, di possesso e di perdita, di resurrezione e di <strong>morte</strong>. Egli pare consumarsi <strong>in</strong> questo<br />

appuntamento sempre tentato e sempre mancato; monotonamente egli r<strong>in</strong>nova un oggetto che poi è<br />

dest<strong>in</strong>ato a morire. Il luogo verso il quale egli cont<strong>in</strong>ua a gravitare è una specie di cimitero privato<br />

dove <strong>la</strong> madre lo assorbe senza restituirgli nessuna parte viva. “.. e cosi tutta <strong>la</strong> notte al fianco io<br />

giaccio del mio amore, mia vita e mia sposa, nel suo sepolcro <strong>la</strong>ggiù presso il mare, nel<strong>la</strong> sua<br />

tomba presso <strong>la</strong> riva del mare”(<strong>Poe</strong>, 1849). D’altra parte, vivo, l’oggetto fenm<strong>in</strong>ile è tenuto<br />

costantemente a <strong>la</strong>to: è un’astrazione, un’idea, una qualità spirituale, una presenza pallida e<br />

<strong>in</strong>corporea. Solo nel<strong>la</strong> dissoluzione del<strong>la</strong> <strong>morte</strong> o nell’agonia prende corpo e diviene una presenza<br />

reale, eroticamente allusiva. Allora il l<strong>in</strong>guaggio lo racconta, lo accarezza, lo accompagna <strong>in</strong> tutta <strong>la</strong><br />

sequenza di distruzioni che <strong>la</strong> <strong>morte</strong> gli <strong>in</strong>fligge. Vivo, è oggetto di un amore <strong>in</strong>sterilito, impotente;<br />

morto, è teatro di passioni folli. Allora veramente si anima e anima il soggetto, mettendo <strong>in</strong> moto<br />

l’economia degli affetti. Allora desiderio e distruzione vi si consumano e lo consumano f<strong>in</strong>o<br />

all’annientamento f<strong>in</strong>ale di entrambi, soggetto e oggetto. L’oggetto amoroso rimane comunque<br />

<strong>in</strong>tangibile; spogliandolo di passione, l’idealizzazione lo proietta ad altezze sublimi, dove è<br />

neutralizzata ogni valenza di desiderio. Se sfugge a questa negazione radicale dell’Eros è per<br />

precipitare nel<strong>la</strong> <strong>morte</strong>. Sono comunque sempre i segni (le parole) a veico<strong>la</strong>re <strong>la</strong> passione:<br />

l’atmosfera stagnante, opprimente, <strong>la</strong> decomposizione, l’<strong>in</strong>cubo, si ode, si respira, si percepisce,<br />

attraverso una paro<strong>la</strong> che, essa, è diventata corporea, <strong>la</strong>ddove <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> che esprime l’amore<br />

idealizzato è paro<strong>la</strong> “cortese”, fragile quanto <strong>in</strong>animata. Perf<strong>in</strong>o <strong>la</strong> mal<strong>in</strong>conia nostalgica che allora<br />

esprime è un sentimento sottile, che vive di trasparenze purificate, un’eco di dolore. Quando il<br />

corpo femm<strong>in</strong>ile si sve<strong>la</strong> sotto il segno del<strong>la</strong> <strong>morte</strong> anche <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> si anima: essa r<strong>in</strong>uncia allora ai<br />

rarefatti artifici l<strong>in</strong>guistici dell’idealizzazione, sprofondando nel<strong>la</strong> <strong>morte</strong> si fa stranamente discorso<br />

vivo, pulsante. L’oscil<strong>la</strong>zione tra <strong>la</strong> difesa e <strong>la</strong> rive<strong>la</strong>zione del fantasma <strong>in</strong>conscio sembra tradursi<br />

qu<strong>in</strong>di <strong>in</strong> un’oscil<strong>la</strong>zione formale tra una paro<strong>la</strong> spirituale, <strong>in</strong>animata, e una paro<strong>la</strong> densa,<br />

emozionalmente carica.<br />

Nel reciproco riverberarsi tra il prima e il dopo, tra quanto ha vissuto nell’<strong>in</strong>fanzia e quanto vive<br />

dopo, accade che tutta <strong>la</strong> realtà successiva viene avvelenata dal<strong>la</strong> realtà <strong>in</strong>iziale e, <strong>in</strong>versamente,<br />

tutto ciò che di fatalmente traumatizzante viene trovato nel<strong>la</strong> realtà adulta è ricatturato <strong>in</strong> quelle<br />

maglie e ne amplifica le qualità tragiche e m<strong>in</strong>acciose: muore <strong>la</strong> madre, a tre anni, muore Helen,<br />

amore dei qu<strong>in</strong>dici anni, muore Frances, <strong>la</strong> madre adottiva, Virg<strong>in</strong>ia, <strong>la</strong> moglie bamb<strong>in</strong>a, Frances, <strong>la</strong><br />

poetessa amata ma<strong>la</strong>ta di usi. ”I miei lutti, scriverà, sono più di quanto io possa sopportare”. Come<br />

un boomerang l’esperienza di <strong>morte</strong> di ora rimanda a quell’altra, quel<strong>la</strong> di prima, e r<strong>in</strong>forza <strong>in</strong> lui il<br />

sentimento di una maledizione, di una sofferenza <strong>in</strong>eluttabile. “Oh, Annie, ha visto, ha sentito<br />

l’agonia dolorosa con <strong>la</strong> quale le dico addio, si ricorda <strong>la</strong> mia cupa espressione, come se avessi lo<br />

spaventoso e orribile presentimento dell’<strong>in</strong>felicità… mi sembrava che <strong>in</strong> quel momento <strong>la</strong> <strong>morte</strong> mi<br />

si avvic<strong>in</strong>asse e che fossi già avvolto nell’ombra di oscuri presentimenti. La mia vita mi appare<br />

f<strong>in</strong>ita, l’avvenire mi appare un oscuro vuoto” (<strong>Poe</strong>, 1849), Ma ogni perdita, ogni <strong>morte</strong>, mentre<br />

<strong>la</strong>scia rivivere i suoi lutti, si costituisce nell’immag<strong>in</strong>ario anche come scenario <strong>in</strong> cui può scriversi<br />

<strong>la</strong> violenza; dunque messa-a-<strong>morte</strong> che ribalta <strong>la</strong> <strong>morte</strong> sofferta, subita, di una donna, <strong>in</strong> <strong>morte</strong> data,<br />

<strong>in</strong>flitta. Sullo sfondo traspare qualcosa di ancora diverso: nel<strong>la</strong> <strong>morte</strong> soggetto e oggetto sono,<br />

def<strong>in</strong>itivamente, <strong>in</strong>dissolubilmente prigionieri l’uno dell’altro; lì, attraverso il loro annientamento,<br />

essi celebrano i loro amori. In questa traiettoria ci portano le sconvolgenti immag<strong>in</strong>i dove il mare,<br />

“<strong>in</strong>ferno liquido”, abbraccia, avvolge, <strong>in</strong>ghiotte: fantasia oceanica che del<strong>la</strong> <strong>morte</strong> fa l’abisso che<br />

ricongiunge e fonde, e qu<strong>in</strong>di annul<strong>la</strong> <strong>la</strong> <strong>morte</strong> stessa <strong>in</strong> un miraggio di eternità. In queste acque egli<br />

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consuma l’unione con lei, <strong>la</strong> Madre. La <strong>morte</strong> è l’arco teso del loro godimento fusionale, letale…<br />

come l’oppio… vertig<strong>in</strong>e del loro ricongiungimento <strong>in</strong>differenziato. “Intorno al<strong>la</strong> nave c’è<br />

l’oscurità del<strong>la</strong> notte eterna e un caos d’acqua senza spuma, ma a destra e a s<strong>in</strong>istra, al<strong>la</strong> distanza<br />

di circa una lega da noi, si possono scorgere dist<strong>in</strong>tamente e a <strong>in</strong>tervalli i mostruosi baluardi di<br />

ghiaccio che torreggiano contro il cielo deso<strong>la</strong>to e sembrano le mura dell’universo. Come io avevo<br />

immag<strong>in</strong>ato, <strong>la</strong> nave si trova certamente <strong>in</strong> una corrente, se si può dare questo nome a una marea<br />

che, mugghiando e ur<strong>la</strong>ndo fra il banco dei ghiacci, si precipita verso sud con <strong>la</strong> velocità del<strong>la</strong><br />

precipitosa caduta di una cateratta. E’,credo, impossibile concepire lo spavento delle mie<br />

sensazioni; tuttavia il desiderio di conoscere i misteri di quelle spaventose regioni oltrepassa anche<br />

<strong>la</strong> mia disperazione e f<strong>in</strong>irà con il conciliarmi anche con il più tremendo aspetto del<strong>la</strong> <strong>morte</strong>. E’<br />

chiaro che corriamo verso qualche affasc<strong>in</strong>ante scoperta, qualche segreto che non si può<br />

trasmettere, <strong>la</strong> cui conoscenza porta al<strong>la</strong> <strong>morte</strong>… Frattanto abbiamo sempre il vento <strong>in</strong> poppa e,<br />

poiché siamo forniti di un’enorme quantità di vele, <strong>la</strong> nave talvolta emerge quasi <strong>in</strong>teramente dal<br />

mare. Oh, orrore su orrore… Il ghiaccio ad un tratto s’apre a destra e a s<strong>in</strong>istra, e noi stiamo<br />

girando vertig<strong>in</strong>osamente <strong>in</strong> <strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti cerchi concentrici come <strong>in</strong>torno ad un immenso anfiteatro, <strong>la</strong><br />

cima dei cui muri si perde nelle tenebre dello spazio… Rapidamente i cerchi si restr<strong>in</strong>gono, e noi<br />

nel<strong>la</strong> stretta del turb<strong>in</strong>e affondiamo vertig<strong>in</strong>osamente. In mezzo all’urlo, allo scroscio,<br />

all’esplosione dell’oceano e del<strong>la</strong> tempesta, <strong>la</strong> nave trema, mio Dio! e affonda” (<strong>Poe</strong>, 1833).<br />

L’imago materna è li, f<strong>in</strong>almente ritrovata, ma al prezzo di questa totale dissoluzione dell’Io.<br />

Questa fusione avvolgente e mortifera sembra l’ultima fantasia possibile; prima ancora, <strong>in</strong> un<br />

immag<strong>in</strong>ario tragitto regressivo, egli tenterà di re<strong>in</strong>vestire le tracce traumatiche, facendo di un corpo<br />

femm<strong>in</strong>ile morente lo scenario delle pulsioni distruttive.<br />

La Madre sepolta viva<br />

Morta e rianimata ad ogni re<strong>in</strong>venzione d’oggetto, <strong>la</strong> madre non muore mai veramente,<br />

def<strong>in</strong>itivamente. È lei che ipoteca l’amore; a lui, al figlio, non sarà proibito amare Virg<strong>in</strong>ia, <strong>la</strong><br />

moglie bamb<strong>in</strong>a ma<strong>la</strong>ta di tisi da riscaldare nel letto di <strong>morte</strong> <strong>in</strong> un impressionante quanto tragico<br />

rovesciamento di ruoli: Virg<strong>in</strong>ia figlia, Edgar madre… Virg<strong>in</strong>ia bamb<strong>in</strong>a, Virg<strong>in</strong>ia ma<strong>la</strong>ta: <strong>la</strong> madre<br />

attraverso di lei è diventata il suo bamb<strong>in</strong>o, ma egli sa da subito che <strong>la</strong> perde ancora… Elisabeth,<br />

Helen, Frances, Virg<strong>in</strong>ia. Comunque una perdita. E le altre? Da amare, certo, purché “Imeneo,<br />

Tempo e Dest<strong>in</strong>o” le rendano già <strong>in</strong>accessibili: amerà l’eterea Frances, sposata, che lo fugge<br />

terrorizzata dal suo carattere stravagante; amerà Helen e Annie contemporaneamente, oscil<strong>la</strong>ndo<br />

dall’una all’altra, implorando <strong>la</strong> prima di sposarlo e delirando d’amore per <strong>la</strong> seconda quando <strong>la</strong><br />

prima accetta, così, f<strong>in</strong>o all’orlo del matrimonio, quando vaga ebbro per <strong>la</strong> città e <strong>la</strong> condizione<br />

posta da Helen era <strong>la</strong> r<strong>in</strong>uncia all’alcool. Il matrimonio non si farà, naturalmente. Lui, Edgar, è<br />

altrove, nel<strong>la</strong> cripta nuziale dove madre e figlio consumano i loro amori defunti, prigioniero di lei<br />

senza <strong>la</strong>sciar<strong>la</strong> mai veramente morire, bamb<strong>in</strong>o nostalgico al<strong>la</strong> ricerca di un oggetto<br />

irrimediabilmente <strong>in</strong>trovabile, ma al quale non sa r<strong>in</strong>unciare e che non sa perdere. Perderlo<br />

aprirebbe <strong>la</strong> vertig<strong>in</strong>e del<strong>la</strong> separazione, del vuoto. Bisogna <strong>in</strong>vece a tutti i costi che egli conservi<br />

l’oggetto, trattenendolo disperatamente, facendo fusione con esso, sprofondando <strong>in</strong>sieme ad esso <strong>in</strong><br />

un universo buio e sepolcrale. Non è morta, <strong>la</strong> madre, ma sepolta viva, <strong>in</strong>carcerata nelle parole,<br />

nel<strong>la</strong> scrittura, doppio segreto di ogni riapparizione femm<strong>in</strong>ile. Di volta <strong>in</strong> volta espropriata nel<strong>la</strong><br />

sacralità che <strong>la</strong> <strong>morte</strong> vorrebbe conferirle, vio<strong>la</strong>ta nel<strong>la</strong> segretezza del sepolcro, <strong>in</strong>def<strong>in</strong>itamente<br />

riesumata e messa a <strong>morte</strong>… tutto… purché non venga mai perduta. Avventuriero di un mondo<br />

dove gioca <strong>la</strong> sfida coi propri fantasmi, egli non ne sa uscire. Raccontare è <strong>la</strong> sua maniera di<br />

conservare e custodire <strong>la</strong> madre: farsene prigioniero, catturar<strong>la</strong>, resuscitar<strong>la</strong>, adorar<strong>la</strong>, resp<strong>in</strong>ger<strong>la</strong>,<br />

lei, oggetto irr<strong>in</strong>unciabile, morbosa fonte d’amore e di <strong>morte</strong>. In assenza di un polo paterno di<br />

riparazione e identificazione, <strong>in</strong> assenza di quel Padre simbolico <strong>in</strong>dispensabile al<strong>la</strong> salvezza e al<strong>la</strong><br />

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nascita dal<strong>la</strong> c<strong>la</strong>ustrofobica cel<strong>la</strong> materna, le cose rimangono a livello di un vissuto duale, dove <strong>la</strong><br />

fantasia estrema di ritorno a lei non può che configurarsi come fantasia angosciosa di sprofondare e<br />

rimanere avvolto, sepolto, <strong>in</strong> un oggetto datore di <strong>morte</strong>. Escluso dal so<strong>la</strong>re regno dei Padri, l’abisso<br />

<strong>in</strong> cui egli precipita è un regno tanatico, dove l’amore si confonde con <strong>la</strong> <strong>morte</strong>, dove le eccitazioni<br />

erotiche sono spasmi di agonia. “Da allora fummo avvolti <strong>in</strong> tenebre fittissime... ci avvolgeva <strong>in</strong><br />

cont<strong>in</strong>uità una notte eterna, non rischiarata nemmeno dal<strong>la</strong> fosforescenza del mare a cui, sotto i<br />

tropici, eravamo abituati… Attorno a noi tutto era orrore, fitta oscurità, nero, opprimente desetto<br />

d’ebano… ad ogni nodo compiuto dal<strong>la</strong> nave l’agitazione di quel nero, mostruoso mare diveniva<br />

sempre più terribile, a volte, sp<strong>in</strong>ti ad un’altezza superiore a quel<strong>la</strong> dell’albatro, ci mancava il<br />

respiro, a volte soffrivamo di vertig<strong>in</strong>i per <strong>la</strong> velocità del<strong>la</strong> caduta <strong>in</strong> fondo a quell’<strong>in</strong>ferno liquido<br />

dove l’aria diventa stagnante e dove nessun suono poteva disturbare i sonni del Kraken (<strong>Poe</strong>,<br />

1833). Tutto si gioca tra loro due, madre e figlio, <strong>in</strong> quell’ambigua falda del narcisismo dove <strong>la</strong><br />

madre non può essere né trovata né persa… <strong>in</strong> quel lìmite <strong>in</strong>stabile tra il ritrovamento, che li<br />

riunirebbe, e <strong>la</strong> perdita, che li separerebbe… limite <strong>in</strong>stabile, giacché il ritrovar<strong>la</strong> prepara l’iperbole<br />

dell’annientamento fusionale e il perder<strong>la</strong> apre il vuoto dei col<strong>la</strong>sso narcisistico, buco psichico<br />

riempito da frammenti persecutori o da immag<strong>in</strong>i di muti<strong>la</strong>zione, castrazione, ferite cruente che<br />

dell’Edipo non sono presagio ma so<strong>la</strong>mente allusione. La loro funzione <strong>in</strong> realtà è diversa: funzione<br />

riempitiva per eccellenza, esse tentano di colmare le fratture, i buchi, gli squarci vuoti, <strong>la</strong>ddove<br />

questi si profi<strong>la</strong>no nell’orizzonte psichico. L’odio, ugualmente, serve a mantenere l’Io <strong>in</strong> vita, ad<br />

attribuirsi, <strong>in</strong> una onnipotenza negativa, il potere di dare <strong>la</strong> <strong>morte</strong> per non esserne, all’<strong>in</strong>verso, preda<br />

impotente. Così, <strong>la</strong> distruttività che si esercita sui personaggi femm<strong>in</strong>ili dei suoi racconti, mentre<br />

soddisfa, da un <strong>la</strong>to, <strong>la</strong> sete di vendetta, diventa anche un baluardo difensivo per proteggerlo da una<br />

doppia m<strong>in</strong>accia di annientamento: quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> fusione materna dissolutrice, da una parte, quel<strong>la</strong><br />

del vuoto per <strong>la</strong> perdita d’oggetto dall’altra.<br />

La Cosa<br />

E’ Julia Kristeva a postu<strong>la</strong>re l’esistenza di un oggetto orig<strong>in</strong>ario, arcaico denom<strong>in</strong>ato Cosa per<br />

sottol<strong>in</strong>eare il suo porsi fuori dal dom<strong>in</strong>io del<strong>la</strong> significazione. ”Questo — qualcosa — sarebbe<br />

precedente all’oggetto <strong>in</strong>dividuabile: orizzonte segreto e <strong>in</strong>toccabile dei nostri amori e dei nostri<br />

desideri, esso assume per l’immag<strong>in</strong>ario <strong>la</strong> consistenza di una Madre arcaica che tuttavia nessuna<br />

immag<strong>in</strong>e precisa riesce a <strong>in</strong>globare“ (J. Kristeva, 1988). Cosa che necessariamente deve farsi<br />

oggetto di un lutto perché ”il soggetto, separato dall’oggetto, divenga un essere par<strong>la</strong>nte ma sul<br />

quale, al contrario, il me<strong>la</strong>nconico non cessa di esercitare un impossessamento d’amore e d’odio,<br />

una captazione immag<strong>in</strong>aria che ne impedisce <strong>la</strong> perdita” (J. Kristeva, 1988). Ora, c’è uno sfondo<br />

costante nei racconti di <strong>Poe</strong>, qualcosa che si annuncia con un sospetto di <strong>in</strong>quietante estraneità,<br />

Unheimliche, e diventa poi ciò che sempre fu per lui fasc<strong>in</strong>o e terrore; non tanto <strong>la</strong> <strong>morte</strong> o <strong>la</strong> vita,<br />

ma piuttosto <strong>la</strong> mesco<strong>la</strong>nza di entrambe, <strong>la</strong> loro compresenza, l’ìndecidibilità tra l’una e l’altra.<br />

Catalessi, morti apparenti, <strong>in</strong>umazioni premature, sonni mesmerici, esprimono l’oscil<strong>la</strong>zione<br />

tormentosa tra uno stato e l’altro. La vita ha sempre il colore pallido, spettrale, del<strong>la</strong> <strong>morte</strong>, già ne<br />

annuncia i segni, <strong>la</strong> corruzione; <strong>la</strong> <strong>morte</strong>, d’altra parte, non si situa mai <strong>in</strong> uno spazio di sicura<br />

assenza… i morti sono sempre a un passo dal rivivere, dal risvegliarsi… riesumati, sepolti troppo<br />

presto, ipnotizzati. Valdemar, sul punto di morire, viene posto nel sonno ipnotico che lo manterrà<br />

vivo per sette mesi, sette mesi durante i quali egli è anche già morto. Per consegnarlo<br />

def<strong>in</strong>itivamente al<strong>la</strong> <strong>morte</strong> bisognerà risvegliarlo, ma il risveglio mostrerà che egli è solo<br />

spaventosa, <strong>in</strong>forme putrefazione. “Per amor di Dio, presto, addormentatemi o risvegliatemi<br />

subito, presto io vi dico che sono morto… Mentre rapidamente facevo i passi mesmerici <strong>in</strong> mezzo<br />

alle grida di — morto, morto – che addirittura esplodevano dal<strong>la</strong> l<strong>in</strong>gua e dalle <strong>la</strong>bbra del<br />

paziente, tutto il suo corpo, ad un tratto, nello spazio di un solo m<strong>in</strong>uto o anche meno, si sbriciolò<br />

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decomponendosi completamente sotto le mie mani. Sul letto, davanti a tutti i presenti, giaceva una<br />

massa quasi liquida di nauseante, orrenda putrefazione” (<strong>Poe</strong>, 1845). Quali fantasmi brulicano là<br />

dentro? La Madre sepolta viva, sospesa tra vita e <strong>morte</strong>? O forse vi si agita questo qualcosa di più<br />

arcaico, questo pre-oggetto <strong>in</strong>dist<strong>in</strong>to, <strong>in</strong>forme, ancora troppo corporeo e reale per avere nome? E’<br />

forse questo livello più arcaico che risuona non solo <strong>in</strong> Valdemar, ma <strong>in</strong> tutte le <strong>in</strong>quietanti pag<strong>in</strong>e<br />

<strong>in</strong> cui <strong>Poe</strong> scivo<strong>la</strong> verso le figure dell’impurità e del<strong>la</strong> decomposizione: figure del caos, esse<br />

evocano quel pullu<strong>la</strong>re biologico <strong>in</strong>differenziato posto al crocicchio tra l’ord<strong>in</strong>e generativo del<strong>la</strong><br />

vita e il disord<strong>in</strong>e putrescente del<strong>la</strong> <strong>morte</strong>. Esse sono, con ogni evidenza, figure dell’analità, di<br />

un’analità che, non <strong>in</strong>tegrata né sublimata, può solo liberarsi nell’immag<strong>in</strong>ario del soggetto,<br />

mostrando così il suo fallimento come operatore di dist<strong>in</strong>zioni e di frontiere. Anche a causa dì<br />

questo fallimento l’Io non è mai veramente protetto dal richiamo del<strong>la</strong> regressione fusionale; e<br />

perciò, anche da questo punto di vista, noi vediamo sullo sfondo il pericolo dell’<strong>in</strong>ghiottimento, del<br />

divoramento nel corpo-a-corpo con <strong>la</strong> Madre arcaica. Senza frontiere stabili, egli cont<strong>in</strong>ua a<br />

gravitare verso un polo di fusione e <strong>in</strong>differenziazione, mortale richiamo di un corpo materno che<br />

<strong>in</strong>vade ed è <strong>in</strong>vaso. Ancora una volta si profi<strong>la</strong> <strong>la</strong> perdita di identità: terrore-desiderio di essere<br />

<strong>in</strong>ghiottito, seppellito, soffocato. Come sottrarsi allora a questa immag<strong>in</strong>e mortifera dell’oggetto<br />

(dell’Amore) se non fuggendo?<br />

Conclusioni<br />

Abbiamo visto come il tema del<strong>la</strong> madre morta possa essere agganciato a differenti scenari<br />

fantasmatici; esso è <strong>in</strong> re<strong>la</strong>zione, secondo <strong>la</strong> c<strong>la</strong>ssica <strong>in</strong>terpretazione di Marie Bonaparte, con <strong>la</strong><br />

madre morta dell’<strong>in</strong>fanzia che, per il pr<strong>in</strong>cipio del<strong>la</strong> ripetizione, si re<strong>in</strong>carna <strong>in</strong> ogni nuovo oggetto<br />

d’amore; esso è anche <strong>in</strong> re<strong>la</strong>zione con <strong>la</strong> madre messa-a-<strong>morte</strong>, uccisa e devastata dalle passioni<br />

distruttive del soggetto; <strong>in</strong> esso, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, si può cogliere il riflesso di un fantasma di<br />

ricongiungimento fusionale con <strong>la</strong> Madre arcaica, che potrebbe ben esprimersi attraverso <strong>la</strong><br />

mediazione simbolica di un femm<strong>in</strong>ile legato al<strong>la</strong> <strong>morte</strong> e portatore di <strong>morte</strong>. Il tema del<strong>la</strong> Madre<br />

sepolta viva rappresenta un passo ulteriore: si collega <strong>in</strong>fatti all’idea di un oggetto che viene<br />

perennemente riedificato per non essere mai perduto, di un oggetto gelosamente custodito per<br />

evitare che lo spazio psichico si svuoti. Mentre una serie di operazioni può essere messa <strong>in</strong> atto per<br />

scongiurare <strong>la</strong> m<strong>in</strong>accia fusionale, operazioni tese o a distanziare tale oggetto neutralizzandone <strong>la</strong><br />

valenza libidica o ad annientarlo attraverso l’attivazione del<strong>la</strong> distruttività, ciò che rimane sempre<br />

essenziale è che lo spazio <strong>in</strong>terno non si spopoli. Proprio lo spettro del vuoto psichico alimenta <strong>la</strong><br />

necessità di un impossessamento totale, divorante, dell’oggetto, f<strong>in</strong>o allo sconf<strong>in</strong>amento fusionale.<br />

È qui che <strong>in</strong>crociamo il dilemma narcisistico per eccellenza, quello che, come ci ricorda Green,<br />

<strong>in</strong>trappo<strong>la</strong> il soggetto tra l’angoscia di <strong>in</strong>vasione e l’angoscia di separazione (Green, 1985). È<br />

suggestivo pensare che <strong>la</strong> madre morta che anima i racconti di <strong>Poe</strong> si situi all’<strong>in</strong>crocio di questa<br />

doppia significazione: morta nel senso del<strong>la</strong> sparizione, dell’assenza, del vuoto d’oggetto, morta nel<br />

senso di farsi luogo di operazioni mortifere che paradossalmente servono a resuscitar<strong>la</strong> e a render<strong>la</strong><br />

immortale. L’oppio allora, come l’alcool, anestetizza e p<strong>la</strong>ca: <strong>Poe</strong> vi fece ricorso per tutta <strong>la</strong> vita.<br />

Diversamente, <strong>la</strong> scrittura tenta di nom<strong>in</strong>are e rappresentare, offrendo al malessere psichico<br />

l’ancoraggio delle parole. Non si deve sottovalutare questa funzione essenziale che <strong>la</strong> scrittura<br />

riveste <strong>in</strong> certi dest<strong>in</strong>i: <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> scritta assicura una presa nei confronti di un male altrimenti<br />

<strong>in</strong>dicibile e funziona così da baluardo contro il silenzio e <strong>la</strong> <strong>morte</strong> psichica. In <strong>Poe</strong> lo spettro del<br />

nul<strong>la</strong>, del vuoto psichico, si profi<strong>la</strong> proprio lì, nel<strong>la</strong> f<strong>in</strong>e dei segni, quando non resta più nul<strong>la</strong> da<br />

scrivere. Nell’estate del 1849 egli pubblica Eureka, una lunga meditazione filosofica. Il 7 luglio<br />

dello stesso anno scrive a Maria Gerani, <strong>la</strong> madre adottiva: “Non ci resta che morire <strong>in</strong>sieme. Non<br />

serve a nul<strong>la</strong> discutere con me ora: devo morire. Da quando ho f<strong>in</strong>ito Eureka non ho più alcun<br />

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desiderio di vivere. Non riuscirei a portare a term<strong>in</strong>e nient’altro” (<strong>Poe</strong>, 1849). Egli muore tre mesi<br />

dopo, il 7 ottobre, <strong>in</strong> stato di delirio.<br />

Riassunto.<br />

L’autrice analizza quel<strong>la</strong> parte del<strong>la</strong> tematica letteraria di <strong>Poe</strong> che si sviluppa <strong>in</strong>torno ad una figura<br />

femm<strong>in</strong>ile e <strong>in</strong> cui, secondo il ripetersi di una vicenda sempre uguale, <strong>la</strong> donna amata si amma<strong>la</strong> e<br />

muore. Tale tematica viene messa <strong>in</strong> re<strong>la</strong>zione con alcuni possibili scenari <strong>in</strong>terni che, mentre hanno<br />

come sfondo <strong>la</strong> madre precocemente morta nell’<strong>in</strong>fanzia dello scrittore, offrono di questo evento e a<br />

partire da esso una complessa rie<strong>la</strong>borazione. Il dom<strong>in</strong>io nel mondo <strong>in</strong>terno di un oggetto<br />

devitalizzato, connesso all’oggetto d’amore primario, le operazioni distruttive che vengono<br />

compiute su di esso, l’<strong>in</strong>capacità di sottoporlo ad un processo di lutto, mantenendolo <strong>in</strong>vece <strong>in</strong> una<br />

condizione di oggetto sepolto-vivo, sono alcune delle direzioni partico<strong>la</strong>rmente esplorate.<br />

Summary,<br />

The Author analyses <strong>Poe</strong>’s works regard<strong>in</strong>g a female lover who falls ili and dies, and which ahvays<br />

follow the same plot. This theme is re<strong>la</strong>ted to several scenes of the <strong>in</strong>ner world which are the<br />

complex work<strong>in</strong>g through of the event of the premature death of the writer’s mother. Some of the<br />

aspects considered were the presence <strong>in</strong> the <strong>in</strong>ner world of a controll<strong>in</strong>g object, especialiy<br />

connected with the primary love object, the destructìve actions aga<strong>in</strong>st the object, the <strong>in</strong>ability to<br />

mourn and the ma<strong>in</strong>tenance of the re<strong>la</strong>tionsbip of a buried-alive object.<br />

Bibliografia<br />

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.<br />

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