La bambola e il mostro - Aracne Editrice
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Enrico Tiozzo<br />
<strong>La</strong> <strong>bambola</strong><br />
e <strong>il</strong> <strong>mostro</strong><br />
Un’indagine tematica sull’opera<br />
della Contessa <strong>La</strong>ra<br />
ARACNE
Copyright © MMVIII<br />
ARACNE editrice S.r.l.<br />
www.aracneeditrice.it<br />
info@aracneeditrice.it<br />
via Raffaele Garofalo, 133 a/b<br />
00173 Roma<br />
(06) 93781065<br />
ISBN 978-88–548–xxxx–x<br />
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,<br />
di riproduzione e di adattamento anche parziale,<br />
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.<br />
Non sono assolutamente consentite le fotocopie<br />
senza <strong>il</strong> permesso scritto dell’Editore.<br />
I edizione: gennaio 2008
7 Prefazione<br />
Indice<br />
9 Capitolo I<br />
Identificazione di una tematica<br />
43 Capitolo II<br />
Implicazioni letterarie di una vicenda umana<br />
77 Capitolo III<br />
<strong>La</strong> <strong>bambola</strong> in versi<br />
111 Capitolo IV<br />
<strong>La</strong> <strong>bambola</strong> e <strong>il</strong> <strong>mostro</strong><br />
145 Capitolo V<br />
Riscontri tematici nelle novelle sparse<br />
191 Capitolo VI<br />
<strong>La</strong> <strong>bambola</strong> e i topi<br />
237 Conclusioni<br />
243 Bibliografia<br />
Indice dei nomi<br />
5
6<br />
Prefazione
Capitolo I<br />
Identificazione di una tematica<br />
Dobbiamo ad Antonia Arslan (oltre ad una quantità ormai vastissima<br />
d’<strong>il</strong>luminanti studi sulla letteratura italiana cosiddetta “minore” o<br />
“di consumo” tra Otto e Novecento) <strong>il</strong> merito di aver fatto chiarezza in<br />
modo inequivocab<strong>il</strong>e su alcuni problemi relativi all’annosa questione<br />
della “letteratura femmin<strong>il</strong>e” di quel periodo storico in Italia e della<br />
sua mancata collocazione nel canone storiografico ufficiale. Aprendo<br />
infatti, con un suo intervento, la pubblicazione degli Atti del Convegno<br />
sulla Marchesa Colombi, tenutosi a Novara nella primavera del<br />
2000, la Arslan respingeva finalmente con decisione l’etichetta ghettizzante<br />
di “femmin<strong>il</strong>e”, troppo a lungo inscindib<strong>il</strong>e da una produzione<br />
che in realtà non ha bisogno di ulteriori precisazioni di appartenenza<br />
per inserirsi di diritto nella nostra letteratura, indipendentemente dal<br />
sesso di chi la mise sulla carta 1 . Nello stesso tempo la Arslan rico-<br />
1 Cfr. Antonia Arslan, “L’opera della Marchesa Colombi nel panorama della narrativa italiana<br />
fra Otto e Novecento”, in: <strong>La</strong> Marchesa Colombi: una scrittrice e <strong>il</strong> suo tempo, Atti del<br />
convegno internazionale, Novara 26 maggio 2000, Novara 2001, p. 13: “Tuttavia nel momento<br />
in cui con S<strong>il</strong>via Benatti e Roberto Cicala, che ringrazio perché si deve alla loro dedizione<br />
appassionata la realizzazione di questo convegno, parlavamo del titolo, abbiamo volutamente<br />
deciso di togliere dal titolo del mio intervento l’aggettivo ‘femmin<strong>il</strong>e’. Perché ci è parso molto<br />
importante, ci è parso essere giunto infine <strong>il</strong> momento di essere non solo propositivi, ma anche<br />
audaci (come si dovrebbe essere sempre nello stagnante panorama culturale italiano!): la<br />
scrittura ‘femmin<strong>il</strong>e’ dell’Ottocento va ormai studiata insieme con la scrittura ‘masch<strong>il</strong>e’; va<br />
ricostruito <strong>il</strong> tessuto culturale dell’epoca come era, con i reciproci influssi, conoscenze, amici-<br />
9
10<br />
Capitolo I<br />
nosceva (coraggiosamente e con l’autoironia di chi si stava accingendo<br />
a scrivere un romanzo di ampio e meritato successo 2 ) che, nelle<br />
opere di mano femmin<strong>il</strong>e, <strong>il</strong> discorso scorre sempre ― e forse eccessivamente<br />
― fluente, nel segno di un’estrema fac<strong>il</strong>ità di parola che è<br />
sí gioia di raccontare ma che può anche essere interpretata come la<br />
mancanza di una piú severa autocoscienza critica 3 . Produzione letteraria<br />
dunque assai vasta, di qualità alterna 4 e appartenente senza discussioni<br />
di sorta alla buona letteratura italiana a cavallo tra due secoli<br />
senza bisogno di restrizioni che la limitino o la ghettizzino. Su questa<br />
caratterizzazione, che a noi appare incontrovertib<strong>il</strong>e, non sono però<br />
sempre d’accordo i molti studiosi che (ripetutamente e soprattutto negli<br />
ultimi decenni) hanno affrontato la questione. I toni ricorrenti sono<br />
per lo piú quelli dello sdegno per una grande letteratura ingiustamente<br />
(e ― spesso si aggiunge ― subdolamente) dimenticata ad opera di<br />
una congiura critico–storiografica masch<strong>il</strong>e 5 , tanto perfida almeno<br />
zie e inimicizie, frequentazioni di salotti e discussioni letterarie. Verga, Capuana, Neera, Contessa<br />
<strong>La</strong>ra e Marchesa Colombi, per esempio, frequentavano insieme <strong>il</strong> salotto della contessa<br />
Maffei a M<strong>il</strong>ano, leggevano Zola (rigorosamente in francese!), parlavano di realismo, elaboravano<br />
idee.”<br />
2 Cfr. Antonia Arslan, <strong>La</strong> masseria delle allodole, M<strong>il</strong>ano 2004.<br />
3 Cfr. Antonia Arslan, “L’opera della Marchesa Colombi nel panorama della narrativa italiana<br />
fra Otto e Novecento”, op. cit., p. 11: “Fra Dame, droga e galline, <strong>il</strong> libro sul romanzo<br />
popolare italiano fra Ottocento e Novecento, uscito in prima edizione nel 1977, e Dame, galline<br />
e regine, <strong>il</strong> mio recente volume sulla scrittura femmin<strong>il</strong>e italiana dello stesso periodo, corre<br />
un f<strong>il</strong>o di continuità […]. Nel titolo del secondo libro sono infatti le galline che restano, e<br />
diventano centrali, sia perché io sono del parere che, nell’occuparsi di scrittura femmin<strong>il</strong>e, un<br />
pizzico di autoironia è salutare e gustoso, sia perché questa autoironia non è priva di una punta<br />
di serietà. <strong>La</strong> gallina è animale ut<strong>il</strong>issimo, che simboleggia la chiacchiera e la parola fac<strong>il</strong>e:<br />
ma senza la chiacchiera femmin<strong>il</strong>e non ci sarebbe la scrittura femmin<strong>il</strong>e e <strong>il</strong> chiacchierare,<br />
cioè <strong>il</strong> parlare in casa, è uno degli elementi fondamentali della tipologia specifica della scrittura<br />
e dello st<strong>il</strong>e peculiare della scrittura femmin<strong>il</strong>e.”<br />
4 Ibid., p. 16: “Naturalmente, nessuna di queste scrittrici va rivalutata in blocco, perché di<br />
nessuna di loro, ma neppure di Verga, o di D’Annunzio, né di nessun altro degli scrittori del<br />
secondo Ottocento, si può dire che sia un capolavoro tutto quello che scrive. È vizio tutto italiano<br />
e tutto retorico quello di mettere sullo stesso livello di eccellenza tutto quello che scrive<br />
un autore affermato. C’è in verità negli scrittori dell’epoca molta dispersione, dovuta alla necessità<br />
di guadagnare, e di essere sempre presenti sul mercato. Qualche volta si scrive per i<br />
soldi, per dovere, per bisogno; qualche volta semplicemente non si indovina <strong>il</strong> timbro di quello<br />
che si voleva scrivere. Per uno scrittore del secondo Ottocento, essere ricordato per un libro<br />
o due è già un grande successo.”<br />
5 Cfr. Giuliana Morandini, “Introduzione” in: <strong>La</strong> voce che è in lei. Antologia della narrativa<br />
femmin<strong>il</strong>e italiana tra Ottocento e Novecento, M<strong>il</strong>ano 1980, p. 6: “I critici, anche quelli<br />
che più sollecitavano <strong>il</strong> loro esprimersi, ritenevano spesso opportuno relegare questa produ-
Identificazione di una tematica 11<br />
quanto era stata l’attitudine degli uomini che avevano reso insopportab<strong>il</strong>e<br />
la vita alle segregate ed um<strong>il</strong>iate scrittrici nell’Italia tra Otto e Novecento.<br />
Questo è infatti, a grandi linee, l’atteggiamento di Giuliana<br />
Morandini 6 , in un lavoro del 1980, ritenuto ormai classico e sempre<br />
ampiamente citato da chi affronta questo argomento. Nel lodevole intento<br />
di dare (o ridare) voce a chi ― secondo <strong>il</strong> suo giudizio ― non<br />
aveva avuto la possib<strong>il</strong>ità di farla risuonare, la Morandini ripercorre<br />
con attenzione le tappe della letteratura femmin<strong>il</strong>e dell’Ottocento, insistendo<br />
però (malauguratamente secondo noi) proprio sulla “femmin<strong>il</strong>ità”<br />
di questa produzione letteraria, nella quale ritiene di poter individuare<br />
<strong>il</strong> suo carattere distintivo 7 . Non condividiamo questa interpretazione<br />
che finisce sistematicamente per portare fuori strada la Morandini<br />
non appena la studiosa restringe la sua analisi ad un’opera specifica.<br />
È <strong>il</strong> caso proprio della Marchesa Colombi e del suo celebre In risaia,<br />
del quale la Morandini mette in risalto soprattutto l’aspetto dello<br />
sfruttamento della donna nell’Italia dell’ultimo quarto dell’Ottocento 8 .<br />
L’angolo visuale della Morandini ci sembra falsato e non è effettivamente<br />
supportato dalla lettura del testo della Marchesa Colombi. Non<br />
zione in una sfera minore, da valutarsi quasi come curiosità, e, quando l’interesse dei testi non<br />
consentiva tale angustia, erano pronti a scorgervi un superamento della condizione femmin<strong>il</strong>e.<br />
Riserve che sono divenuti luoghi comuni […].”<br />
6 Ibid., pp. 5–6: “Per un tempo lungo e oscuro le donne nella società occidentale sono state<br />
confinate nel s<strong>il</strong>enzio, e quasi con ironia lodate per questo forzato tacere. Hanno contato come<br />
oggetti nello scambio linguistico. […] Immagine priv<strong>il</strong>egiata della letteratura e di ogni<br />
produzione artistica, la donna non è, se non raramente e in modo occasionale, riuscita a diventarne<br />
soggetto. Anziché essere protagonista e autrice, costantemente è apparsa destinata,<br />
come altre figure subalterne, a essere oggetto di rappresentazione, a raccogliere le proiezioni e<br />
<strong>il</strong> disagio del corpo sociale senza avere voce. E quando qualche personalità ha conosciuto fortuna<br />
autonoma è stato soprattutto perché, al di là delle ragioni e delle idee, dava scandalo e<br />
rientrava in una certa economia di piacere potenziando la seduzione. L’età moderna ha indubbiamente<br />
inasprito la soggezione della donna, proclamandola inferiore per natura ma in verità<br />
valutandola secondo più decisivi criteri di partizione del lavoro e di efficientismo.”<br />
7 Ibid., p. 9: “Sono le scrittrici nate nel 1880–1890 che, al di là della soggezione e della<br />
polemica, arrivano a indagare lucidamente l’esistenza femmin<strong>il</strong>e, riconoscendovi una specificità<br />
inedita, drammatica.”<br />
8 Ibid., p. 14: “<strong>La</strong> vicenda narrata dalla Colombi riguarda <strong>il</strong> lavoro malsano delle risaie.<br />
Con le gambe nell’acqua putrida la Nanna cerca di guadagnarsi gli sp<strong>il</strong>loni d’argento delle<br />
nozze, si ritrova invece ammalata di malaria, con la vita sbarrata dopo <strong>il</strong> sogno. […] Le donne<br />
sentono che lo strutturarsi dell’ordine borghese, la sua maggiore intransigenza in rapporto al<br />
decollo industriale, preme contro di loro in modo elettivo e che i maschi, anche se innovatori<br />
e bohémiens, non risultano in tali frangenti alleati sicuri.”
12<br />
Capitolo I<br />
solo infatti In risaia, secondo noi, è tutto incentrato sull’ossessione<br />
amorosa della protagonista, Nanna, per lo spensierato seduttore Gaudenzio<br />
e, piú in generale, sull’idea fissa di trovare un marito bello e<br />
affascinante (dove l’episodio del duro lavoro in risaia è in realtà assai<br />
breve anche se molto importante), ma soprattutto è necessario sottolineare<br />
che lo sfruttamento innegab<strong>il</strong>e, che si legge in quelle pagine<br />
e di cui la Morandini vede solo <strong>il</strong> lato che affliggeva le donne, colpiva<br />
in realtà indistintamente uomini e donne, fianco a fianco in una vita<br />
contadina avara di piaceri e segnata per tutti da un pesante lavoro. Non<br />
si capisce insomma, seguendo <strong>il</strong> criterio analitico della Morandini, in<br />
quale modo <strong>il</strong> padre di Nanna (pronto a levarsi <strong>il</strong> pane di bocca per<br />
comprare gli argenti alla figlia 9 ) o <strong>il</strong> fratello della ragazza (disperato al<br />
punto di essere pronto al suicidio 10 ) sarebbero stati meno um<strong>il</strong>iati dalla<br />
vita o meno sfruttati dalla società, dell’egocentrica e narcisista protagonista<br />
del fortunato romanzo della Torelli–Viollier. L’unico e vero<br />
dramma di Nanna (che poi ― come vedremo ― è lo stesso dramma<br />
che ritorna nella maggior parte della produzione di cui si occupa la<br />
Morandini) è in realtà quello dell’amore infelice e del matrimonio<br />
mancato. È lei a decidere (insistendo contro <strong>il</strong> parere dei genitori 11 ) per<br />
andare a lavorare nella risaia allo scopo di impinguare la sua dote e<br />
accelerare l’acquisto degli argenti, oggetti legati unicamente all’amore<br />
e al matrimonio. E l’unica “tragedia” del romanzo (sulla quale molto,<br />
volendo, si potrebbe scrivere oggi sia per l’eccessivo tributo al narcisismo<br />
che per la gravosa datazione del testo) è quella della perdita dei<br />
capelli (e dunque di una delle componenti della bellezza estetica, su<br />
9 Cfr. <strong>La</strong> Marchesa Colombi, In risaia. Racconto di Natale (1878), a cura di S<strong>il</strong>via Benatti<br />
e Cesare Bermani, Novara 2001, p. 24: “Pover’uomo. Trenta lire! Trenta giornate di sudore,<br />
trenta gocce del suo sangue! Le dava, là, sulla tavola, per comperare degli sp<strong>il</strong>li; lui, che viveva<br />
di legumi e di cattivo pane di gran turco, e mangiava appena un po’ di carne nelle grandi<br />
solennità, e beveva acqua tutta la settimana, e lavorava da un capo dell’anno all’altro come un<br />
condannato!”<br />
10 Ibid., p. 103: “A quelle parole i nervi di Pietro, tanto lungamente eccitati, si allentarono;<br />
abbandonò <strong>il</strong> braccio della Nanna, ricadde a sedere, e gettando sulla tavola un coltello aff<strong>il</strong>ato<br />
che teneva nella tasca del farsetto, disse con voce cupa: ― Hai giocato un brutto gioco, guarda.<br />
Mi sarei ammazzato! E scoppiò in un pianto convulso.”<br />
11 Ibid., p. 37: “Intanto s’era ai primi di giugno, e la Nanna s’impazientiva di quella lunga<br />
assenza. Si provò a dire ai suoi vecchi: ― Vorrei andare a mondare i risi. ― <strong>La</strong>scia un po’<br />
stare per quest’anno, disse Martino. Ti sei già pigliate le febbri. ― Che male mi hanno fatto le<br />
febbri? Mi son fatta più grande e mangio più di prima.”
Identificazione di una tematica 13<br />
cui si esprime beffardamente la stessa Marchesa Colombi nelle vesti<br />
di narratrice 12 ) con la conseguenza, per Nanna, di non poter piú sposare<br />
Gaudenzio 13 . E non dimentichiamo che la Nanna tratteggiata dalla<br />
Marchesa Colombi era altrettanto preoccupata (prima della perdita dei<br />
capelli) per la scarsa abbondanza del suo seno, messa spesso in risalto<br />
dai grossolani commenti di Gaudenzio 14 . Insomma, un chirurgo estetico<br />
avrebbe reso felice Nanna (seno e capelli) e <strong>il</strong> “dramma” di In risaia<br />
non si sarebbe piú svolto. È proprio <strong>il</strong> caso allora di parlare del<br />
romanzo come di un luminoso esempio di quanto soffrissero e fossero<br />
sfruttate le povere donne del secondo Ottocento?<br />
Altrettanto discutib<strong>il</strong>e è la lettura che la Morandini fa dell’altro celebre<br />
romanzo della Marchesa Colombi, Un matrimonio in provincia,<br />
nel quale ritiene di vedere analizzato a fondo “lo squallore in cui la<br />
donna soffoca” 15 . Il romanzo è troppo conosciuto ed ha goduto di troppa<br />
fortuna critica per richiedere qui un’analisi approfondita ma, ancora<br />
una volta, ci sembra evidente che lo squallore, di cui a ragione parla la<br />
Morandini, non fosse riservato esclusivamente alla condizione femmin<strong>il</strong>e<br />
ma coinvolgesse anche quella masch<strong>il</strong>e 16 . Nella riedizione novare-<br />
12 Ibid., p. 53: “Secondo <strong>il</strong> suo modo di sentire, la Nanna credeva che tutta la famiglia avrebbe<br />
dovuto mettersi alla caccia d’un mezzo per riparare alla disgrazia toccata a lei; consultare<br />
medici e comperare medicine, che le restituissero la bellezza perduta. E nel caso che<br />
questo miracolo non fosse riescito, <strong>il</strong> meno che avrebbero potuto fare babbo, mamma, fratello,<br />
parenti ed amici, sarebbe stato di passare <strong>il</strong> resto dei loro giorni in querimonie su quell’unico<br />
argomento: ― Questa povera Nanna, che non ha più capelli! ― E dire che ne aveva tanti! ―<br />
E così belli! ― E chissà se potrà ancora trovar marito? Lo potrà? Non lo potrà? E sempre:<br />
Povera Nanna! ripetuto su tutti i toni e semitoni della meraviglia, del cruccio, della pietà. Ma<br />
quella poveraglia, che s’alzava all’alba tutti i disgraziati giorni che Dio manda sulla terra, e<br />
lavorava fin al tramonto per risolvere <strong>il</strong> miserab<strong>il</strong>e problema del pane quotidiano, aveva ben<br />
altro a fare, che almanaccare sulle trecce e le calvizie della Nanna.”<br />
13 Ibid., p. 60: “[…] e poi lei non aveva più diritto di fare la schizzinosa. Le bastava di potersi<br />
maritare come le altre. Senza dubbio avrebbe preferito Gaudenzio che aveva soltanto tre<br />
anni più di lei… e poi era Gaudenzio! Ma quello là non era più un partito per lei a quell’ora.”<br />
14 Ibid., p. 37: “Poi, coll’usata brutalità, aveva soggiunto, facendosi scorrere una mano sul<br />
petto, e guardando <strong>il</strong> povero seno piatto della Nanna: – Ma mi pare che qui vi sia passata la<br />
pialla di San Giuseppe. <strong>La</strong> Nanna s’era confusa, e, voltandogli le spalle, era fuggita in cucina.”<br />
15 Cfr. Giuliana Morandini, “Prefazione”, in: <strong>La</strong> voce che è in lei, op. cit., p. 16.<br />
16 Cfr. <strong>La</strong> Marchesa Colombi, Un matrimonio in provincia (1885), Novara 1993, pp. 22–23: “Il<br />
babbo si ammogliò con una vecchia signora, che conoscevamo da un pezzo, e che ci dava una gran<br />
suggezione. […] Noi credevamo che avesse cinquant’anni, era l’ultima espressione della vecchiaia:<br />
l’età della zia. Seppimo più tardi che ne aveva quarantatré. Ma per noi era lo stesso. Figurarsi che<br />
ridere, quando udimmo che <strong>il</strong> babbo la sposava! Egli ci disse: – Capirete, figliole, che lo faccio nel<br />
vostro interesse. Io ho un piccolo, piccolo patrimonio; lo studio non frutta molto; la dote di vostra
14<br />
Capitolo I<br />
se del 1993 è ancora la Morandini che, nella prefazione, insiste sui<br />
suoi tradizionali cavalli di battaglia a proposito della Marchesa Colombi:<br />
l’opera dimenticata 17 (affermazione poi subito parzialmente<br />
contraddetta 18 ), la sua eccellenza 19 , l’attenzione all’emarginazione della<br />
donna 20 , l’insistenza (che non è solo della Morandini e che troviamo<br />
esagerata) sulla straordinaria ironia dell’autrice 21 . In realtà Un matrimonio<br />
in provincia presenta molte analogie con In risaia e mette di<br />
nuovo ossessivamente al centro la fissazione, pressoché patologica 22 ,<br />
della protagonista sul proprio aspetto fisico 23 , sul grande amore che<br />
madre si riduce a diecim<strong>il</strong>a lire. Questa buona signora ha sessantam<strong>il</strong>a lire, che un giorno o l’altro<br />
toccheranno a voi, perché non ha parenti, e vuol bene a me… Inoltre si occuperà un poco di voi,<br />
che ora siete grandi, ed avete bisogno d’un’assistenza, che la zia non saprebbe prestarvi…”<br />
17 Giovanna Morandini, “Ritratto della Marchesa Colombi. Prefazione” in: Marchesa Colombi,<br />
Un matrimonio in provincia, op. cit., p. 7: “Come molte scrittrici del nostro Ottocento,<br />
anche la Marchesa Colombi, nota in vita e apprezzata dalla letteratura alta, persino da Benedetto<br />
Croce, è andata incontro a una totale dimenticanza.”<br />
18 Ibid., p. 7: “<strong>La</strong> riscoperta è avvenuta di recente, quando nel 1973 Italo Calvino ha scelto<br />
per la collana di Einaudi ‘Centopagine’, <strong>il</strong> romanzo Un matrimonio in provincia. Il racconto è<br />
piaciuto e ha avuto una sceneggiatura televisiva di buona fattura.”<br />
19 Ibid., pp. 7–8: “<strong>La</strong> protagonista, la Denza, con la sua educazione sentimentale incolore<br />
e <strong>il</strong> matrimonio senza storia è un personaggio di gran felicità. Ma più mi ha colpito, avvicinando<br />
la prosa della Colombi, <strong>il</strong> tratto arguto, la sott<strong>il</strong>e ironia e lo schietto umorismo, con effetti<br />
del tutto particolari. […] Da un lato una vena felicemente naturalista, con notevole capacità<br />
di registrare la società del tempo; dall’altro la verve da salotto, piena di brio e di intelligenza,<br />
con punte quasi alla Gadda e all’Arbasino, in una linea di schietta sensib<strong>il</strong>ità lombarda.”<br />
20 Ibid., p. 10: “Tre ritratti indimenticab<strong>il</strong>i, Nanna, Denza, e Amalia, nello spirito del gran<br />
naturalismo di Lombardia. […] Su queste giovani si posa un’attenzione commossa: sono emarginate,<br />
non tanto dagli eventi della storia (come lo è la manzoniana Lucia), bensì da una<br />
condizione quotidiana senza luce, neppure sfiorata dalla storia. Contadine povere, confinate in<br />
un orizzonte chiuso. E a loro si apparentano altre donne, forse meno immerse nella miseria ma<br />
egualmente colpite nei sentimenti, nella gioia di vivere.”<br />
21 Ibid., pp. 11–12: “Già la presentazione della poetica è un capolavoro d’ironia. […] <strong>La</strong><br />
storia vera è un pretesto per pezzi di bravura, dove la verve e la vivacità del tratto dominano<br />
in modo irresistib<strong>il</strong>e. Si veda come la Colombi sa intrattenersi sull’entusiasmo della virtù delle<br />
nob<strong>il</strong>donne m<strong>il</strong>anesi che ingannano la noia con la pratica della beneficienza; ne nasce un<br />
pezzo d’antologia […].”<br />
22 Cfr. <strong>La</strong> Marchesa Colombi, Un matrimonio in provincia, op. cit., p. 30: “L’avviso di<br />
non montarmi la testa colla bellezza, ottenne precisamente <strong>il</strong> risultato opposto. Mi montai la<br />
testa, non pensai più ad altro che al piacere d’esser bella. Che questo non mi rendesse né più<br />
buona, né più fortunata, né più amata, non me ne importava nulla. Era certo che mi rendeva<br />
ammirata, e questo mi lusingava”.<br />
23 Ibid., pp. 27–29: “Intanto avevo compiti i sedici anni. Ero cresciuta molto, ed anche mi<br />
ero sv<strong>il</strong>uppata in proporzione. Gli abiti mi scricchiolavano sulla vita, e spesso si aprivano nelle<br />
cuciture delle maniche e del dorso; e sul petto ne saltavano via i bottoni o si squarciavano<br />
gli occhielli, che era una disperazione. […] Molte volte avevo colte al volo certe parole di
Identificazione di una tematica 15<br />
deve arrivare e sul matrimonio che cambierà tutta la sua vita 24 . È un<br />
aspetto ossessivamente centrale (nella narrativa della Marchesa Colombi<br />
come in quelle di altre scrittrici del tempo), su cui la Morandini<br />
curiosamente sorvola e di cui non riesce a scorgere l’assoluta mancanza<br />
d’ironia 25 . Pur muovendosi in due ambienti profondamente diversi<br />
(la campagna e la città) Nanna e Denza, le due protagoniste di In<br />
risaia e Un matrimonio in provincia, sono personaggi molto sim<strong>il</strong>i e la<br />
storia delle loro allucinate <strong>il</strong>lusioni sull’amore si conclude, per entrambe,<br />
con un matrimonio cosiddetto di convenienza ma accettato serenamente,<br />
al punto di poter senz’altro parlare di lieto fine per tutti e<br />
due i romanzi. <strong>La</strong> tanto celebrata ironia della Marchesa Colombi (sulla<br />
quale è apparsa una raccolta di saggi nel 1998 26 a parziale smentita<br />
della leggenda, alimentata dalla Morandini e da altri, sull’oblio toccato<br />
alla Torelli–Viollier) è, secondo noi, legata soprattutto ad una visione<br />
caricaturale della realtà, che accentua e deforma, sfalsandoli, alcuni<br />
aspetti della società, degli ambienti e dei personaggi descritti dalla<br />
scrittrice. Questo meccanismo (applicato poi anche alle vicissitudini<br />
sentimentali della protagonista, interpretate però come una denuncia<br />
anziché come una farsa dalla Morandini) ci appare evidente già nella<br />
presentazione che Denza fa della sua casa che, pur essendo (come poi<br />
risulta dalla lettura delle pagine successive di Un matrimonio in provincia)<br />
la normale casa di una famiglia non povera della piccola borghesia<br />
nella Novara degli ultimi decenni dell’Ottocento, viene però<br />
raffigurata attraverso una studiata ridicolizzazione 27 che cerca a tutti i<br />
quei signori che mi guardavano in istrada… ‘Bel pezzo di giovane… Bella faccia… Begli occhioni…<br />
Fresca come una rosa…’.”<br />
24 Ibid., p. 32: “Allora, riservandomi di confessare poi tutto insieme e di farmi assolvere in<br />
blocco, m’abbandonai alla gioia colpevole di pensare che ero bella, e che, fra quei tanti che<br />
me lo dicevano passando e tiravano via, ce ne sarebbe uno che non tirerebbe via; che tornerebbe<br />
indietro, mi seguirebbe da lontano fino a casa, poi entrerebbe nello studio del babbo a<br />
domandarmi in isposa.”<br />
25 Ibid., p. 88: “I singhiozzi cominciavano a gonfiarmi <strong>il</strong> petto e stringermi la gola. Resistetti<br />
un minuto, poi m’abbandonai nelle sue braccia, piangendo disperatamente, ed esclamando<br />
che volevo morire, che volevo farmi monaca, che non volevo più stare a Novara neppure<br />
un giorno, e che non volevo più uscir di casa, e che tutti vedendomi avrebbero riso di me, e<br />
che sarei morta di vergogna.”<br />
26 Cfr. Clot<strong>il</strong>de Barbarulli e Luciana Brandi, L’arma di cristallo. Sui “discorsi trionfanti”,<br />
l’ironia della Marchesa Colombi, Ferrara 1998.<br />
27 Cfr. <strong>La</strong> Marchesa Colombi, Un matrimonio in provincia, op. cit., p. 15: “Avevamo una<br />
casa… Dio che casa! Un’anticamera, di grandezza naturale, ma chiara che abbagliava, e per-
16<br />
Capitolo I<br />
costi di essere divertente ma che, al fine di divertire, deforma e falsa<br />
volutamente la realtà che circonda l’io narrante. <strong>La</strong> dettagliatissima<br />
descrizione, che si prolunga per ben tre pagine in un romanzo che ne<br />
conta solo cento, appare prima di tutto sproporzionata alla pochezza<br />
della casa che ne è immeritatamente al centro. Se la casa era tanto<br />
brutta, spoglia ed insignificante c’era veramente bisogno di dedicare <strong>il</strong><br />
3% dello spazio del romanzo alla sua minuziosa descrizione? Ed è forse<br />
credib<strong>il</strong>e che, nella casa di Denza, non ci fossero tende alle finestre,<br />
non si innaffiassero le piante, si mangiassero vecchi avanzi e ci fosse<br />
chi era costretto a dormire dietro un paravento in cucina? Il capofamiglia<br />
era un notaio e le cifre in denaro che vengono nominate sul patrimonio<br />
della moglie si aggirano sulle settantam<strong>il</strong>a lire, pari a circa duecentom<strong>il</strong>a<br />
euro di oggi, vale a dire una grande ricchezza. Questa voluta<br />
deformazione della realtà, r<strong>il</strong>evata anche dalla Arslan 28 , (che è importante<br />
sottolineare perché toglie peso alla sedicente denuncia dello<br />
sfruttamento della donna, che la Morandini ed altri ritengono una delle<br />
componenti principali nell’opera della Marchesa Colombi) si riscontra<br />
anche nella descrizione che Denza ci fornisce dell’uomo di cui s’innamora,<br />
l’ambito e titubante pachiderma 29 . Ci sembra cosí, nel complesso,<br />
esagerato e non condivisib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> giudizio della Morandini che vede<br />
nella Denza di Un matrimonio in provincia e nella Nanna di In risaia<br />
dei “ritratti indimenticab<strong>il</strong>i […] nello spirito del gran naturalismo di<br />
fettamente vuota. Non c’era dove posare un cappello. Alcuni testi con un resto di terra arsiccia<br />
e dei mozziconi di piante, morte di siccità, perché nessuno si era mai curato di innaffiarle, la<br />
ingombravano qua e là, e servivano, quando occorreva, a tener aperto l’uscio che metteva in<br />
sala. <strong>La</strong> sala vasta, quadrata, chiara, troppo chiara, perché non c’erano né tende, né cortine, né<br />
trasparenti alle finestre […].”<br />
28 Cfr. Antonia Arslan, “L’opera della Marchesa Colombi nel panorama della narrativa tra<br />
Otto e Novecento”, op. cit., p. 16: “Ma la peculiare novità st<strong>il</strong>istica di Un matrimonio in provincia,<br />
non dimentichiamolo, è quella di essere un romanzo pervaso di surreale ironia, qualità<br />
questa rarissima in Italia […].”<br />
29 Cfr. <strong>La</strong> Marchesa Colombi, Un matrimonio in provincia, op. cit., p. 47: “Io guardai a<br />
tutt’occhi, vidi dei cappelli che si movevano, ed un gruppo di uomini fra i quali campeggiava<br />
in un lungo soprabito grigio, una specie di elefante. Mi si strinse <strong>il</strong> cuore, e domandai sbigottita:<br />
– Qual’è? – Il più grasso; ma non farti scorgere. Ero tutta turbata. Quella mole superava<br />
ogni mia immaginazione. Sì, lo avevano detto che era grasso, lo sapevo; ma avevo sempre<br />
cercato di attenuare la cosa, di conc<strong>il</strong>iare la pinguedine colla gioventù, colla sveltezza… Invece<br />
era un coso tutto d’un pezzo, colle spalle poderose, alte, quadrate, <strong>il</strong> petto sporgente, <strong>il</strong> collo<br />
corto ed una grossa testa coi capelli neri, lisci, lisci, e gli occhi neri, grossi, sporgenti. Mi<br />
parve un vecchio.”
Identificazione di una tematica 17<br />
Lombardia” 30 , né possiamo essere d’accordo con Cesare Bermani che<br />
definisce In risaia “un romanzo che sta al crocevia di alcuni tra i piú<br />
importanti f<strong>il</strong>oni culturali dell’Ottocento” 31 . Bermani insiste sull’aggancio<br />
alle “grandi questioni socio–economiche poste dalla produzione<br />
agricola” 32 , sulla “scoperta della multiformità della vita sociale” 33 ,<br />
su “una letteratura che denuncia la compresenza con lo sfruttamento<br />
della particolare condizione di squallore che soffoca la donna nei piú<br />
diversi ambiti sociali” 34 e vede in In risaia una sorta di meritoria “inchiesta<br />
sulla risaia novarese” 35 e “la prima ricerca approfondita sul<br />
folklore delle campagne novaresi” 36 e via di questo passo a proposito<br />
di “questo romanzo così crudo sulla vita dei contadini del basso Novarese”<br />
37 . Se ne ricava complessivamente l’immagine, forse interessante<br />
ma certamente non avallata dal testo della Marchesa Colombi, di<br />
un’opera incentrata sui drammi legati alla miseria dei contadini e soprattutto<br />
al duro lavoro delle mondine. In effetti però ― controllando<br />
<strong>il</strong> testo e non accettando per buona l’interpretazione in chiave sindacale<br />
del Bermani ― si può constatare che le pagine dedicate dalla Marchesa<br />
Colombi al lavoro di Nanna nella risaia sono solo una ventina<br />
sulle cento del romanzo. L’80% del racconto è invece la cronaca dettagliata<br />
di un’ossessione narcisistica e sentimentale che logora i nervi<br />
della protagonista nel disperato rimpianto della bellezza perduta e nel<br />
mai deposto sogno di un matrimonio radioso con un uomo giovane e<br />
bello 38 . Né la vita condotta da Nanna e dalla sua famiglia, quale appare<br />
30<br />
Cfr. Giuliana Morandini, “Ritratto della Marchesa Colombi. Prefazione”, op. cit., p. 10.<br />
31<br />
Cfr. Cesare Bermani, “Un romanzo al crocevia di importanti f<strong>il</strong>oni culturali dell’Ottocento”,<br />
in: <strong>La</strong> Marchesa Colombi, In risaia. Racconto di Natale, op. cit., p. 121.<br />
32<br />
Ibid., p. 121.<br />
33<br />
Ibid., p. 122.<br />
34<br />
Ibid., p. 122.<br />
35<br />
Ibid., p. 122.<br />
36<br />
Ibid., p. 122.<br />
37<br />
Ibid., p. 123.<br />
38<br />
Cfr. <strong>La</strong> Marchesa Colombi, In risaia. Racconto di Natale, op. cit., p. 70: “― Ebbene,<br />
Nanna? le disse. Hai voglia o no di maritarti? ― Oh, per me… disse la Nanna crollando le<br />
spalle e voltandogli <strong>il</strong> dorso in atto vergognoso; ma le br<strong>il</strong>lavano gli occhi, e si vedeva vagamente<br />
dinanzi un giovinotto dall’aria spavalda, con un garofano all’occhiello ed <strong>il</strong> cappello<br />
sull’orecchio. <strong>La</strong> ragione non basta ad imbrigliare la fantasia. ― Lo sposo ci sarebbe, soggiunse<br />
<strong>il</strong> babbo. <strong>La</strong> Nanna si appoggiò coll’immaginazione al braccio del giovinotto, dal lato<br />
opposto al cappello ed al garofano, e si ammirò nel suo vestito nuziale di lana e seta cangiante,<br />
e sorrise a quell’immagine.”
18<br />
Capitolo I<br />
nelle pagine del romanzo della Torelli–Viollier, si può definire miserab<strong>il</strong>e<br />
o disperata, come dimostrano ― fra le altre cose ― le parole<br />
del padre della protagonista che si oppone decisamente al fatto che la<br />
figlia possa andare a fare la serva in città 39 . Concludendo questa breve<br />
analisi dei due romanzi piú famosi della Marchesa Colombi (scrittrice<br />
che non è al centro del nostro studio anche se rappresenta un importante<br />
termine di paragone con la Contessa <strong>La</strong>ra), ci troviamo pienamente<br />
d’accordo con quanto lascia intuire, con la consueta acutezza,<br />
in chiave riassuntiva generale, Antonia Arslan, nella chiusura del suo<br />
intervento 40 in occasione del già citato Convegno di Novara: nessuna<br />
distinzione ghettizzante di merito tra letteratura “masch<strong>il</strong>e” e letteratura<br />
“femmin<strong>il</strong>e”, ma necessità invece di una serena visione critica che<br />
riconosca alle opere di autrici come <strong>La</strong> Marchesa Colombi ed altre,<br />
senza esagerarli e senza sminuirli, gli oggettivi meriti di una produzione<br />
che è parte integrante della letteratura italiana tra Otto e Novecento.<br />
Avvalendosi della oggettività delle date 41 la Arslan dimostra ef-<br />
39 Ibid., p. 72: “― Io non starò in casa. Andrò a fare la serva a Novara. ― Questo poi no,<br />
ribatté Martino con una energia tutta nuova in lui. Di casa mia, nessuno è mai andato a servire.<br />
Può darsi che tu trovi ancora da maritarti; e, se troverai, <strong>il</strong> letto si farà; quello che è giusto<br />
è giusto. Altrimenti lavorerai in casa e fuori; ma servire in città, dove ci sono servitori, soldati,<br />
bottegai, tutti sfaccendati che insidiano le ragazze, signora no; non si deve andare.”<br />
40 Cfr. Antonia Arslan, “L’opera della Marchesa Colombi nel panorama della narrativa tra<br />
Otto e Novecento”, op. cit., p. 21: “<strong>La</strong> grande modernità di queste scrittrici è l’um<strong>il</strong>tà con cui<br />
accettano di poter essere dimenticate, che non tutto quello che scrivono è degno di essere ricordato,<br />
con l’attitudine serena e consapevole di um<strong>il</strong>i artigiane della penna, tessitrici della<br />
parola, che raccontano per i loro ‘ventitré lettori’ storie, come altre donne ricamano arazzi. <strong>La</strong><br />
visione che di sé ha una donna appare in questo senso molto più completa e moderna di quella<br />
che ha invece di se stesso <strong>il</strong> grande poeta–vate che si sente investito in ogni pagina che scrive<br />
dal soffio di Zeus… Ma insomma: importante è l’uno, importante l’altra ― io non faccio graduatorie<br />
assolute ― ma devono interagire, essere messi a confronto, poiché è dalla loro complementarità,<br />
dallo studio delle loro voci insieme che si disegna una civ<strong>il</strong>tà ― letteraria e umana<br />
― completa.”<br />
41 Ibid., pp. 17–19: “Prendiamo in esame <strong>il</strong> decennio 1880–1890, un decennio chiave per<br />
la modernizzazione della scrittura italiana dell’epoca, un decennio rivoluzionario che però<br />
nelle nostre storie letterarie, nei nostri repertori, in tutto quello che noi vediamo, leggiamo,<br />
studiamo a scuola è amputato della parte femmin<strong>il</strong>e. È come se ci trovassimo di fronte a<br />
un’unità culturale dalla quale, nella storia letteraria del Novecento, la parte femmin<strong>il</strong>e è stata<br />
amputata o ― peggio ancora ― viene confinata in un capitoletto a parte intitolato ad esempio,<br />
come è realmente capitato, Le donne. È una scelta ridicola. Non è questione infatti di decidere<br />
se dare alla scrittura femmin<strong>il</strong>e cinque piuttosto che dieci pagine; facendo così, <strong>il</strong> critico fallisce<br />
nel suo primario compito istituzionale, che è quello di mettere le diverse voci a confronto,<br />
non importa se siano masch<strong>il</strong>i o femmin<strong>il</strong>i, come succede per esempio nella storia letteraria
Identificazione di una tematica 19<br />
ficacemente come la letteratura di mano masch<strong>il</strong>e e quella di mano<br />
femmin<strong>il</strong>e procedano di pari passo in anni cruciali dell’Ottocento, come<br />
scrittori e scrittrici si frequentassero e si stimassero ed infine ―<br />
elemento di grande importanza sul quale ritorneremo ― come le scrittrici<br />
fossero tutt’altro che donne relegate in casa ed escluse dall’ambiente<br />
letterario 42 . Per noi In risaia e ancora di piú Un matrimonio in<br />
provincia sono buoni prodotti letterari, di scorrevole lettura, limpidi<br />
nello st<strong>il</strong>e, lineari nella trama ed indubbiamente arricchiti (soprattutto<br />
Un matrimonio in provincia) da un uso accorto dell’ironia. Ad impedire<br />
però che si possa parlare di “capolavori” o anche di “opere–chiave”<br />
nella letteratura italiana dell’Ottocento, contribuiscono alcune carenze<br />
oggettive (su cui sorvolano le studiose che abbiamo citato) come<br />
la scarsità dell’azione (sempre statica o languente) e la ripetitività dell’ossessivo<br />
tema centrale (<strong>il</strong> desiderio di un matrimonio felice con un<br />
marito ideale) che fagocita la maggior parte delle pagine di questi due<br />
romanzi forse anche troppo fortunati a livello critico.<br />
inglese. […] Decennio 1880–1890. Nel 1879 esce Giacinta di Capuana, opera di base, manifesto<br />
del Verismo italiano. In quel periodo […] Capuana, Verga, Federico De Roberto, Neera,<br />
<strong>La</strong> Marchesa Colombi, Contessa <strong>La</strong>ra si conoscono tutti. A volte sentono amicizie, a volte rivalità,<br />
comunque sono tutti nello stesso ambiente […]. Nel 1881 dunque Verga pubblica I<br />
Malavoglia. Nelle storie letterarie, in quel decennio, c’è ancora lui, con Mastro Don Gesualdo<br />
(1888–1889), e <strong>il</strong> primo romanzo di D’Annunzio, Il Piacere (1889). Ma cosa c’è nel mezzo,<br />
negli anni dal 1882 al 1888? Nel mezzo ci sono – le date parlano – alcuni romanzi fondamentali<br />
di mano femmin<strong>il</strong>e: nel 1885 Un matrimonio in provincia (e già negli anni precedenti la<br />
Marchesa Colombi aveva pubblicato due opere importanti, significative ciascuna a suo modo,<br />
In risaia e <strong>La</strong> gente per bene); fra <strong>il</strong> 1886 e <strong>il</strong> 1889 la ‘tr<strong>il</strong>ogia della donna giovane’ di Neera<br />
(Teresa, 1886; Lydia, 1887; L’indomani, 1889). Nello stesso decennio Mat<strong>il</strong>de Serao fa uscire<br />
alcune delle sue opere più interessanti, come quel capolavoro che è <strong>La</strong> virtù di Checchina<br />
(1884) […]. Neera cioè in quegli anni (non è solo Verga a progettare un ciclo, <strong>il</strong> famoso ‘ciclo<br />
dei vinti’, anche Neera aveva letto Zola) concepisce e pubblica una tr<strong>il</strong>ogia di romanzi per<br />
tracciare un quadro della condizione femmin<strong>il</strong>e dell’epoca, indagando su vari aspetti della<br />
psicologia e della separetezza femmin<strong>il</strong>i.”<br />
42 Ibid., p. 14: […] i letterati italiani in quegli anni veramente si sentono italiani e non solo<br />
napoletani, piuttosto che lombardi, perché si stab<strong>il</strong>isce fra loro una fitta rete di contatti e di comunicazioni:<br />
si scambiano continuamente favori, nel senso di proposte di collaborazione, suggerimenti<br />
di pubblicare su un giornale piuttosto che su un altro, perché sono professionisti, uomini<br />
e donne, legati da stima e rispetto reciproci, che pubblicano sui giornali, pubblicano per le case<br />
editrici, fanno critica d’arte, scrivono appendici (come non solo la Invernizio, ma tanti altri): insomma,<br />
uomini e donne in carriera, che vivono del loro lavoro, se ne lamentano ma lo amano.<br />
Cancelliamo perciò l’immagine della donna che sta in casa, rinchiusa e sacrificata e che per sfogarsi<br />
scrive <strong>il</strong> diario. Ci sono diari, ci sono certo donne–vittime e donne che piangono, ma c’è un<br />
forte gruppo di professioniste affermate che non hanno paura di niente e di nessuno.”
20<br />
Capitolo I<br />
Uscito nel 1886, a un solo anno di distanza da Un matrimonio in<br />
provincia e otto anni dopo In risaia, <strong>il</strong> celebre Teresa di Neera, giudicato<br />
molto positivamente da Antonia Arslan 43 , presenta (sorprendentemente?)<br />
l’identico tema dei due romanzi della Marchesa Colombi, che<br />
abbiamo appena analizzato. Anche qui le duecento pagine del romanzo<br />
insistono ossessivamente sul sogno della protagonista di unirsi in<br />
matrimonio con l’uomo amato, al punto che diventa diffic<strong>il</strong>e per chi<br />
abbia letto di seguito Un matrimonio in provincia e Teresa riuscire a<br />
tenere distinti i due libri. Certamente <strong>il</strong> tono scelto da Neera è piú<br />
drammatico e scarseggiano o mancano del tutto i momenti d’ironia<br />
surreale cari alla Marchesa Colombi, eppure la lunga e tormentosa storia<br />
del consumarsi di Teresa nel sogno irrealizzab<strong>il</strong>e del matrimonio<br />
con l’affascinante e scapestrato Egidio Orlandi è una ripetizione quasi<br />
pedissequa delle pene di Nanna e di Denza. Identici i meccanismi:<br />
l’avvenenza della protagonista che si guarda allo specchio 44 , <strong>il</strong> soffocante<br />
clima famigliare, l’attrazione fatale per <strong>il</strong> consueto giovane affascinante<br />
che ricambia le sue attenzioni, la descrizione minuziosa di<br />
tutte le fasi esagitate, prima da estasi mistica 45 e poi via via sempre piú<br />
43 Cfr. Antonia Arslan, “Introduzione. R<strong>il</strong>eggendo Teresa, o l’immagine nello specchio”<br />
in: Neera, Teresa (1886), a cura di Antonia Arslan e Gian Luca Baio, Lecco 1995, p. 10: “Né<br />
crepuscolarismo né appendice, dunque; né mezzi–toni né grida: ma l’originalità di un’invenzione<br />
autentica, per raccontare con la forza che meritano le violente emozioni che squassano<br />
con maggior ferocia proprio i cuori più chiusi e retti, appoggiata a una forte capacità di suscitare<br />
nel lettore simpatia, riconoscimento, empatia. I personaggi sono studiati ab<strong>il</strong>mente e<br />
schizzati con energia, variati, persuasivi. Il testo è realizzato in toni nitidi e crudi, con colori<br />
netti e forti. L’evoluzione psicologica e fisica della protagonista si rivela altamente drammatica<br />
e con grande ab<strong>il</strong>ità narrativa Neera sa giocare di sorpresa e tenere avvinto <strong>il</strong> lettore.”<br />
44 Cfr. Neera, Teresa, op. cit., p. 65: “Decise allora di vestirsi e lo fece con una accuratezza<br />
insolita, stringendo <strong>il</strong> busto, osservando bene se i capelli si spartivano eguali da una parte<br />
come dall’altra. ― Incomincio a stimarmi anch’io!―Disse cosí, sorridendo a se stessa nello<br />
specchio […] e restò immob<strong>il</strong>e, colpita dallo scint<strong>il</strong>lio che vide davanti a sé su quelle labbra<br />
rosse, tumide, e su quei denti di una candidezza abbagliante.”<br />
45 Ibid., p. 131: “Teresina cadde in ginocchio nel corsello del letto, colla fronte contro <strong>il</strong><br />
guanciale, in un’estasi d’amore; con un bisogno immenso di elevare <strong>il</strong> cuore a Dio, di prenderlo<br />
a testimonio delle sue emozioni, di benedirle e purificarle nello slancio di una preghiera<br />
ardentissima. Il cielo, per lei, era <strong>il</strong> punto di partenza d’ogni cosa bella, ed al cielo<br />
mandava i suoi novi desideri, casta, fidente. Ringraziò Dio come di una grazia ricevuta,<br />
come di una felicità insperata. Si sentiva duplicare la vita; un altro essere palpitava in lei,<br />
dandole la sensazione strana di due pensieri in un pensiero. Era amata! Amava! Si spogliò<br />
rapidamente, dimentica di tutto e di tutti; del padre terrib<strong>il</strong>e, della sua buona mamma,<br />
dell’Ida che fra poche ore sarebbe desta, chiedendo le sue cure. L’assorbimento amoroso si<br />
manifestava con tutta la sua potenza. Dio e Orlandi. In letto, cogli occhi sbarrati, <strong>il</strong> corpo
Identificazione di una tematica 21<br />
deprimenti, dei sentimenti amorosi della protagonista fino allo squallido<br />
compromesso finale che rappresenta tuttavia una parziale consolazione.<br />
Identica perfino la descrizione, inut<strong>il</strong>mente minuziosa, dello<br />
squallido mob<strong>il</strong>io della casa della protagonista, che già avevamo trovato<br />
in Un matrimonio in provincia. Mentre né Denza né Nanna però<br />
vengono richieste in moglie dai potenziali mariti che sognavano, nel<br />
caso di Teresa <strong>il</strong> fascinoso Orlandi, che ne chiede la mano, viene respinto<br />
dal severo padre della ragazza che lo ritiene uno sconsiderato<br />
senza una professione, senza denaro e incapace di mantenere una moglie.<br />
Sembrerebbe un gesto crudele ma in realtà la decisione del padre<br />
è giusta perché Orlandi spreca la sua vita 46 in una serie di iniziative<br />
sbagliate, pensa solo a divertirsi e finisce in miseria 47 . Il vero dramma<br />
di Teresa è dunque, ancora una volta, quello di un sogno d’amore inappagato<br />
ed infranto (ed anche mal fondato), cui fa da sfondo una situazione<br />
famigliare ed economica certamente poco piacevole ma nemmeno<br />
del tutto negativa, come provano i comportamenti delle sorelle<br />
di Teresa che affrontano la vita allegramente, si sposano (le gemelle)<br />
senza troppe fisime o si dedicano (Ida) ad una professione in grado di<br />
garantire la sicurezza dello stipendio. L’infelicità dunque è dentro Teresa,<br />
nella sua esasperata sensib<strong>il</strong>ità, nella sua esagerata ed ingenua<br />
tendenza a fantasticare, e non nelle circostanze esteriori della sua vita<br />
per quanto esse potessero essere pesanti. Il vittimismo 48 che passa at-<br />
immob<strong>il</strong>e, colla lettera stretta sul seno, ella ripensò parola per parola, carezza per carezza,<br />
tutta la scena della sera. Ed era felice.”<br />
46 Ibid., p. 190: “Un lieve imbarazzo si dipinse sulla fronte di Orlandi. Circondandole col<br />
braccio la vita, se la tirò accanto, e: ― Ragioniamo. Posso io presentarmi a tuo padre? ―<br />
Sì… quando hai un impiego sicuro e conveniente. ― Ecco appunto quello che non ho. ― Ma<br />
mi avevi scritto… ― Il progetto non andò bene. Io vivo ora alla macchia, scrivendo per l’uno<br />
o per l’altro giornale. ― Ma perché ti sei dato al giornalismo? ― Chi lo sa! Una passione come<br />
un’altra, e che non esclude le altre… <strong>La</strong> strinse dolcemente, cercando di nuovo la sua bocca,<br />
con un sorriso d’uomo felice.”<br />
47 Ibid., p. 227: “Negli ultimi giorni dell’anno ricevette una lettera di Egidio. Egli era<br />
ammalato, povero, senza aiuto alcuno. Le scriveva come un figlio scriverebbe alla madre, con<br />
una fede <strong>il</strong>limitata.”<br />
48 Cfr. Antonia Arslan, “Introduzione. R<strong>il</strong>eggendo Teresa, o l’immagine nello specchio”,<br />
op. cit., p. 5: “Teresa è un romanzo speciale. Una storia coraggiosa, audace persino, tramata<br />
intorno a una protagonista innocente ma non ignara, che appare subito come la vittima designata<br />
di una concorde volontà e crudeltà fam<strong>il</strong>iare: la madre debole, <strong>il</strong> padre ottusamente autoritario,<br />
le sorelle capricciose ed egoiste, <strong>il</strong> fratello masch<strong>il</strong>mente sornione. Un ritratto ― e<br />
un ambiente ― tipici dell’oppressione femmin<strong>il</strong>e ottocentesca, che agisce più pesantemente
22<br />
Capitolo I<br />
traverso le pagine di Teresa come, con altre sfumature ma con la stessa<br />
insistenza, attraverso quelle dei romanzi della Marchesa Colombi,<br />
l’asserzione ― esplicita o implicita ― cioè che fosse soprattutto, o addirittura<br />
soltanto, la società degli uomini 49 a costringere le donne ad<br />
una vita di stenti, di miserie fisiche e morali, di continue um<strong>il</strong>iazioni<br />
che dovevano essere patite ed accettate in s<strong>il</strong>enzio, è in realtà ― secondo<br />
noi ― troppo spesso solo un comodo alibi. E non perché non<br />
fosse vero che la società del tempo (parliamo dell’ultimo quarto dell’Ottocento<br />
in un’Italia che aveva da poco raggiunto l’unità nazionale<br />
e si trovava ― com’è noto ― a fronteggiare tutta una serie di grandi<br />
problemi economici e sociali che non potevano non riflettersi nella vita<br />
famigliare) non fosse a suo modo spietata, ma per almeno altri due<br />
importanti motivi che non siamo riusciti a trovare nelle fitte pagine<br />
critiche di mano soprattutto femmin<strong>il</strong>e (ma anche masch<strong>il</strong>e), che analizzano<br />
queste opere lamentosamente e rigorosamente “dalla parte di<br />
lei”. Il primo è che, se la situazione della donna era di sofferenza e di<br />
sacrificio, non migliore né sostanzialmente piú felice era quella dell’uomo,<br />
come si evince non solo da un controllo, anche superficiale,<br />
nel materiale storico–sociologico a nostra disposizione sull’ultimo<br />
quarto dell’Ottocento, ma anche da una lettura non pregiudiziale della<br />
narrativa sia di mano masch<strong>il</strong>e (e dunque presumib<strong>il</strong>mente “di parte”)<br />
che di mano femmin<strong>il</strong>e, o addirittura dalla stessa produzione romanzesca<br />
delle scrittrici di cui ci stiamo occupando in queste pagine. Al di là<br />
di qualche figura forzata di vagheggino, come l’Egidio Orlandi di Teresa<br />
o <strong>il</strong> Gaudenzio di In risaia (destinati comunque anche loro a finir<br />
sulla donna retta ed ingenua, su quella che istintivamente non si presta a ‘giocare <strong>il</strong> gioco femmin<strong>il</strong>e’<br />
dell’astuzia, dell’ipocrisia e del sorriso ammaliatore. A questo tipo di eroine non va<br />
mai dritta, tranne ― dopo molte drammatiche peripezie ― nei romanzi di Carolina Invernizio,<br />
che sono, appunto, favole per adulti rimasti un poco bambini. Eppure la vittima qui riesce<br />
a resistere, e a capovolgere all’ultimo momento, dopo un lungo, sofferto percorso di pena<br />
che la invecchia e la intristisce, la pesante ipoteca di un destino segnato: nell’ultima pagina,<br />
sul limitare estremo del libro e della vicenda.”<br />
49 Cfr. Neera, Teresa, op. cit., p. 195: “Capiva le ragioni del padre: aveva troppo vissuto<br />
in quell’ambiente e in quello solo, per non essere persuasa che la sua condizione di donna le<br />
imponeva anzitutto la rassegnazione al suo destino, ― un destino ch’ella non era libera di dirigere<br />
― che doveva accettare cosí come le giungeva, mozzato dalle esigenze della famiglia,<br />
sottoposto ai bisogni e ai desideri degli altri. Sì, di tutto ciò era convinta, ma anche un cieco è<br />
convinto che non può pretendere di vedere, e tuttavia chiede al mondo dei veggenti, perché<br />
egli solo debba essere la vittima.”
Identificazione di una tematica 23<br />
male dopo una dura vita di lavoro 50 o dopo la vana ricerca di un successo<br />
mai ottenuto 51 ), le figure masch<strong>il</strong>i che popolano i romanzi della<br />
Marchesa Colombi e di Neera che abbiamo preso in esame, sono quelle<br />
dei padri o dei fratelli, dediti al lavoro, esacerbati da continui problemi<br />
economici, delusi nelle loro aspettative, mal tollerati da mogli e<br />
figli, sconfitti insomma irreparab<strong>il</strong>mente dalla vita 52 , oppure quelle dei<br />
pretendenti respinti: vecchi, deformi 53 , calvi, disgustosi, disprezzati 54 .<br />
50 Cfr. <strong>La</strong> Marchesa Colombi, In risaia. Racconto di Natale, op. cit., pp. 112–113: “<strong>La</strong><br />
famosa frusta di Gaudenzio, che altre volte schioccava nelle vaste risaie col suono gaio d’una<br />
salva di mortaletti e faceva battere <strong>il</strong> cuore a tutte le fanciulle del circondario, ora gli pendeva<br />
lenta dietro le spalle come una biscia morta, mentre lui camminava a fianco del carro adattandosi<br />
al passo capriccioso della mula; era lei che guidava <strong>il</strong> carrettiere. […] Ed ora poi aveva<br />
ben altro in mente che gli amori. Il pensiero della sua bestia lo crucciava giorno e notte; e<br />
quando i camerati lo compiangevano, che era giù di cera come se uscisse dall’ospedale, e gli<br />
domandavano con affettuosa premura se aveva poca volontà, rispondeva, togliendosi la pipa<br />
di bocca e sputandosi melanconicamente fra i piedi: ― <strong>La</strong> salute non va male, non va: ma<br />
quest’affare della mula mi fa paura. Il carrettiere e la sua mula, sapete, è tutt’uno; se la mula<br />
non cammina, <strong>il</strong> carrettiere non mangia.”<br />
51 Cfr. Neera, Teresa, op. cit., p. 205: “Nella vita febbr<strong>il</strong>e di Egidio, nelle lotte aspre, violente<br />
ch’egli doveva sostenere ogni giorno, in quella corsa affannosa dietro <strong>il</strong> successo, non<br />
mancavano le ore di scoraggiamento, di malinconia atroce. Si trovava a mezzo cammino, colla<br />
gioventú dietro le spalle, perduti i piú begli anni, svanite le forti <strong>il</strong>lusioni; non avendo ricavato<br />
nessun partito né dal suo ingegno, né dalla sua bellezza, né dalla sua salute. Gli amici dicevano<br />
fra loro: Come mai Orlandi non si è ancora creata una posizione? Uno che lo conosceva<br />
bene, lo definí con due parole: Orlandi non ha la costanza del lavoratore e non ha la furberia<br />
dello scroccone; è un uomo mancato.”<br />
52 Ibid., p. 225: “Nel salotto terreno nell’umido e buio gineceo, <strong>il</strong> signor Caccia terminava<br />
i suoi giorni, confinato sul divanuccio dove la signora Soave aveva trascorsa tanta parte della<br />
vita, lagnandosi dolcemente cogli occhi volti al cielo. Egli finiva, battuto, vinto nelle sue forze<br />
maggiori; ridotto cosí gramo da dover implorare l’altrui compassione, spoglio d’ogni potere,<br />
in balia dell’unica figlia che gli era rimasta accanto.”<br />
53 Cfr. <strong>La</strong> Marchesa Colombi, Un matrimonio in provincia, op. cit., p. 93: “― Senti, Denza.<br />
Ci sarebbe un partito per te; però non è br<strong>il</strong>lante. Il babbo era presente, ma leggeva un giornale<br />
per dimostrare che voleva rimanere estraneo a quella proposta. Io domandai molto agitata: ―<br />
Chi è? ― Un notaio di Vercelli, che viene a stab<strong>il</strong>irsi a Novara. Fin qui non c’era nulla di male;<br />
ma ci doveva essere. Domandai ancora: ― Vecchio? ― No… Quarant’anni – . Stavo per dire<br />
che mi pareva vecchio. Ma mi ricordai che ero matura, e dissi invece, cercando ancora <strong>il</strong> male<br />
che non stava nell’età: ― È molto povero? ― Tutt’altro, è agiato. E venendo qui entrerà come<br />
socio nello studio del notaio Ronchetti. Cosa poteva avere a suo svantaggio? <strong>La</strong> figura di certo.<br />
Domandai con molta trepidazione. ― Ma dunque è un <strong>mostro</strong>? ― Un <strong>mostro</strong> no… Ma ha un difetto…<br />
Stavo senza fiato. Non osavo interrogare. <strong>La</strong> matrigna lasciò che mi fossi fatta all’idea d’<br />
un difetto, magari d’una deformità, perché <strong>il</strong> colpo mi riescisse meno grave, poi continuò: ― Ha<br />
una verruca; sai, un porro, un po’ grosso, qui sulla tempia destra. Rimasi impressionata.”<br />
54 Cfr. Neera, Teresa, op. cit., p. 204: “Aveva tentato, per cortesia, di interessarsi a lui, alle<br />
buone qualità che tutti gli riconoscevano; ma i pregi morali sfuggivano all’attenzione di-
24<br />
Capitolo I<br />
Non si vede dunque in che modo o per quale motivo imperscrutab<strong>il</strong>e <strong>il</strong><br />
mondo degli uomini, in quell’Italia dell’ultimo Ottocento, sarebbe dovuto<br />
essere oggetto d’invidia, fermo restando che le condizioni di vita<br />
sarebbero potute essere diverse e migliori sia per gli uomini che per le<br />
donne. Ma <strong>il</strong> secondo motivo è ancora piú forte. Le figure sofferenti di<br />
Nanna, Denza e Teresa non si lamentano per la monotonia o l’estemporanea<br />
durezza del lavoro che devono compiere in casa o fuori, né in<br />
fondo si crucciano per <strong>il</strong> rapporto che hanno con i loro famigliari e<br />
nemmeno per le loro condizioni economiche. Un’altra, ed una sola, è<br />
la ragione del loro continuo cruccio, del loro tormento estenuante e<br />
dell’acuta sofferenza, che ― nelle intenzioni delle autrici ― avrebbero<br />
dovuto coinvolgere e commuovere <strong>il</strong> lettore: <strong>il</strong> fatto che non riescano<br />
a sposare quel marito ideale (bello, giovane, affascinante, innamorato<br />
e possib<strong>il</strong>mente ricco) del quale sognano l’arrivo o sul quale hanno<br />
addirittura posto gli occhi, e che rischino cosí di restare zitelle 55 . È,<br />
a ben vedere, una visione egocentrica e limitata del mondo e della vita<br />
che, di conseguenza, priorizza esageratamente l’aspetto fisico (essere<br />
“bella” è la cosa piú importante che ci sia) e stravolge tutti gli avvenimenti<br />
dell’esistenza ― fino a rovinarla per Denza, Nanna e Teresa<br />
― nella fissazione spasmodica su un elemento della vita senz’altro<br />
importante ma che non poteva (nemmeno nell’Italia dell’ultimo quarto<br />
dell’Ottocento) rappresentare tutta l’esistenza di una donna, come dimostrano<br />
infatti altre figure femmin<strong>il</strong>i degli stessi romanzi, pronte, se<br />
non addirittura a scegliere una professione (come Ida), almeno a spo-<br />
stratta di Teresina, e vedeva invece <strong>il</strong> cranio calvo del professore, la sua barba ispida, tozza,<br />
tagliata a guisa di una siepe di mortella.”<br />
55 Cfr. <strong>La</strong> Marchesa Colombi, Un matrimonio in provincia, op. cit., p. 91: “Quella sera,<br />
seduta sul letto, colle gambe penzoloni, livide pel freddo, rimasi lungamente assorta in quelle<br />
riflessioni profondamente tristi. Venticinque anni passati, quasi ventisei! Fra quattro anni ne<br />
avrei trenta! Mi ricordavo quanto s’era riso colle cugine e con mia sorella d’una certa signorina<br />
di ventotto anni, che si dava l’aria d’una giovinetta, e non osava uscir di casa sola. Una<br />
volta che aveva detto ‘quando sarò maritata’ ne avevamo avuto per un gran pezzo da burlarla.<br />
Ed un’altra volta che le era sfuggito, parlando con noi, di dire: ‘Fra noi ragazze’ oh! che scene<br />
avevamo fatte! Ci era sembrato <strong>il</strong> colmo del ridicolo. Ed ora ero nello stesso caso. Una zitellona!<br />
Non potevo più parlare di speranze future, di nozze; mi avrebbero burlata dietro le spalle.<br />
Le altre ragazze mi trovavano vecchia. E di certo! Le mie coetanee, la Maria più giovane<br />
di me, erano maritate, avevano dei figlioli che andavano alla scuola; erano donne. <strong>La</strong> mia vita<br />
era sciupata. Mi vedevo sorgere dinanzi minacciosamente <strong>il</strong> paravento della povera zia, e mi<br />
cadevano le lagrime s<strong>il</strong>enziose, sconsolate, giù per le guancie sulla camicia, e non<br />
m’accorgevo che mi gelavan le gambe, che mi assideravo tutta. Una zitellona!”
Identificazione di una tematica 25<br />
sarsi con un marito qualsiasi e ad apprezzare e godere la vita in modo<br />
meno egocentrico ed ossessivo 56 . Non vogliamo certo dirimere qui la<br />
spinosa questione del cosiddetto matrimonio di convenienza, nodo su<br />
cui comunque dovremo tornare piú di una volta nel corso di questo<br />
studio, ma possiamo intanto osservare che, nella formula generica di<br />
“matrimonio di convenienza”, le esagitate protagoniste dei romanzi<br />
che stiamo esaminando includevano in blocco (e, secondo noi, erroneamente)<br />
qualsiasi tipo di matrimonio che non fosse <strong>il</strong> risultato di una<br />
passione travolgente e di una romantica e sconvolgente storia d’amore<br />
con un principe azzurro bello, affascinante e dedito solo all’ammirazione<br />
estatica per l’avvenenza delle loro spose promesse. Sulla base di<br />
questo paradossale metro di giudizio erano (e sono ancora oggi, nel<br />
terzo m<strong>il</strong>lennio) da considerarsi “di convenienza” i tre quarti o forse<br />
piú di tutti i matrimoni che si celebrano in Italia e, probab<strong>il</strong>mente, nel<br />
mondo intero. Il sogno romantico del travolgente “matrimonio<br />
d’amore”, già di per sé assai diffic<strong>il</strong>mente realizzab<strong>il</strong>e, era (ed ancora<br />
è) poi molto spesso destinato a naufragare (e <strong>il</strong> romanzo dell’Ottocento<br />
e del primo Novecento se ne è ampiamente occupato!) già nei<br />
primi tempi della vita in comune, con la scoperta di aspetti della personalità<br />
dell’amatissimo coniuge, che non si erano scorti all’epoca<br />
della passione prematrimoniale e quindi con un retaggio tanto piú amaro<br />
e distruttivo di delusione e di frustrazione 57 .<br />
56 Cfr. Neera, Teresa, op. cit., p. 206: “Ma un avvenimento inaspettato si impose all’attenzione<br />
di tutta la famiglia. Luminelli maggiore chiese la mano dell’altra gemella, e, come cosa<br />
già intesa, ella acconsentí allegramente. I due matrimoni si dovevano fare nello stesso giorno.<br />
― Vedi? ― cosí la pretora a Teresina ― tua sorella ha otto anni meno di te, eppure si adatta a<br />
sposarlo. Teresina si strinse nelle spalle. Le gemelle per lei erano sempre state un enigma; ma<br />
davanti a quelle nozze senza amore, provò una vera repulsione. Quale infame ingiustizia pesa<br />
dunque ancora sulla nostra società, che si chiama inciv<strong>il</strong>ita, se una fanciulla deve scegliere tra<br />
<strong>il</strong> ridicolo della verginità e la vergogna del matrimonio di convenienza?”<br />
57 Cfr. Regina di Luanto, Un martirio, Torino (1894) 1900, p. 34: “A poco a poco ecco<br />
che viene fuori la confusa sensazione che io percepivo senza saperla precisare. Il segreto tormento,<br />
la costante e dolorosa preoccupazione che non riuscivo a spiegarmi, è la distanza che<br />
sento fra me e mio marito. Io stessa non capisco bene che cosa sia, né da che cosa dipenda;<br />
ma è innegab<strong>il</strong>e che ho la impressione che fra me e lui esiste qualche cosa della quale può dare<br />
un’idea approssimativa la sola parola: distanza. È un fatto inesplicab<strong>il</strong>e, considerando tutto<br />
<strong>il</strong> bene che ci vogliamo, perché certamente non posso rimproverare nulla a Corrado, ma pure,<br />
indiscutib<strong>il</strong>mente, noi siamo divisi. Lo sento tante volte, tante volte sorgere fra me e lui quest’ostacolo<br />
doloroso che non so vincere, che non conosco, ma che mi sgomenta come una minaccia<br />
di sventura… Ah! povera me, dove vado a finire con le mie fantasticherie!”
26<br />
Capitolo I<br />
Ci sentiamo quindi di poter sgombrare <strong>il</strong> campo da quella ricorrente<br />
prospettiva di lettura che interpreta In risaia, Un matrimonio in provincia<br />
o Teresa come l’oggettiva documentazione o, meglio, come <strong>il</strong><br />
grido di dolore proveniente da un mondo femmin<strong>il</strong>e ingiustamente<br />
vessato ed um<strong>il</strong>iato dalla società del tempo e soprattutto da insensib<strong>il</strong>i<br />
e prepotenti figure masch<strong>il</strong>i di spensierati gaudenti. Questa non è la<br />
nostra lettura. Riteniamo che sia da attribuirsi alle interpretazioni critiche<br />
(soprattutto di matrice femminista) della seconda parte del Novecento,<br />
l’immagine di questa narrativa vista essenzialmente come veicolo<br />
o strumento di denuncia, come documento effettivo di una situazione<br />
di prevaricazione e di violenza di cui la donna era vittima nell’Italia<br />
tra Otto e Novecento. Le autrici stesse ― riteniamo (e pensiamo<br />
per esempio alle note posizioni antifemministe di Neera) ― non avevano<br />
questa (o, almeno, non solo questa!) intenzione, nob<strong>il</strong>e, certamente,<br />
ma sicuramente anche riduttiva in un amplissimo spettro di romanzi<br />
che (com’è nei voti di ogni romanziere) ambivano certo a rappresentare<br />
la condizione umana al di fuori di una specifica polemica<br />
sociale e al di là dei limiti, forzatamente angusti, di una certa società e<br />
di un limitato periodo storico. All’abbaglio della denuncia a tutti i costi<br />
si debbono anche alcuni giudizi critici da ritenersi eccessivamente<br />
entusiastici, come quello di Luigi Baldacci 58 . Lo studioso infatti non si<br />
lascia convincere dall’accettazione delle regole della società borghese,<br />
che scaturisce dalla lettura de Il castigo (1881) di Neera, e ritiene di<br />
poter individuare dietro questa “morale […] um<strong>il</strong>e, dominata dal principio<br />
d’obbedienza” 59 una “celebrazione polemica” 60 legata al fatto che<br />
la situazione di partenza è quella delle donne costrette al matrimonio<br />
di convenienza “per avere uno stato sociale” 61 . Il discorso dunque ―<br />
secondo questo assioma ― è sempre lo stesso: l’unica cosa che conta<br />
per la donna è <strong>il</strong> matrimonio ed ogni matrimonio che non sia frutto di<br />
una travolgente passione d’amore è un matrimonio “di convenienza” e<br />
dunque una vergognosa soperchieria per la donna. Abbiamo già e-<br />
58<br />
Cfr. Luigi Baldacci, “Nota introduttiva” in: Neera, Teresa, Torino (1976) 1978, p. V:<br />
“Teresa di Neera […] è uno dei piú bei romanzi italiani dell’ultimo ventennio del secolo passato.”<br />
59<br />
Ibid., p. V.<br />
60<br />
Ibid., p. VI.<br />
61<br />
Ibid., p. VI.
Identificazione di una tematica 27<br />
spresso <strong>il</strong> nostro scetticismo nei confronti di questa interpretazione<br />
che ci appare troppo semplicistica, anche tenendo conto di una situazione<br />
storico–sociale destinata a durare in Italia almeno fino all’ultimo<br />
quarto del Novecento e forse ancora di piú. Proprio in Teresa, <strong>il</strong> romanzo<br />
che Baldacci introduce con questo ripetitivo discorso, c’è infatti<br />
la significativa figura di Ida 62 , la sorella minore di Teresa, bella ed<br />
intelligente, che sceglie di concentrarsi sugli studi, diventa insegnante,<br />
sceglie l’indipendenza e non si sente obbligata al matrimonio né di<br />
convenienza né di amore. Dunque la donna anche allora poteva scegliere.<br />
E non dimentichiamo le osservazioni di Mario Mariani che,<br />
dopo essersi polemicamente battuto in una lunga serie di opere contro<br />
una società che costringeva la donna a “vendersi” nel matrimonio di<br />
convenienza, era poi ― anni dopo ― costretto a constatare come molte<br />
donne preferissero <strong>il</strong> matrimonio di convenienza, cioè l’essere mantenute<br />
da un marito non amato, alla noia e alla fatica di dover lavorare<br />
otto ore al giorno per un modesto stipendio 63 . Il nocciolo della questione<br />
(che ritornerà nelle opere che analizzeremo in questo studio) è<br />
che le protagoniste dei romanzi, di cui ci siamo occupati, volevano<br />
nello stesso tempo sia la sicurezza di un matrimonio economicamente<br />
solido, che permettesse loro di vivere comodamente e possib<strong>il</strong>mente<br />
nel lusso senza dover lavorare, sia che <strong>il</strong> marito fosse l’incarnazione di<br />
tutte le loro esaltate fantasie d’amore. Ci sembra francamente un po’<br />
troppo, anche perché sim<strong>il</strong>i sogni, sempre legittimi, sono però assai<br />
diffic<strong>il</strong>mente realizzab<strong>il</strong>i e non solo in una società com’era quella<br />
dell’Italia tra Otto e Novecento, ma in ogni nazione e in tutta la storia<br />
dell’umanità. Su questo disperato ed egocentrico sogno s’impernia la<br />
maggior parte dei romanzi di mano femmin<strong>il</strong>e in cui certa critica del<br />
secondo Novecento (qui per esempio Baldacci) ha erroneamente creduto<br />
di poter riscontrare una documentata rappresentazione dello<br />
62 Cfr. Neera, Teresa, Lecco 1995, pp. 196–212: “Ida, in famiglia, produceva l’effetto di<br />
un raggio di sole, era l’idolo, <strong>il</strong> beniamino di tutti, aveva avuto, nascendo, <strong>il</strong> dono di piacere;<br />
ognuno era indulgente con lei. Studiava per fare la maestra […]. L’Ida studiava indefessamente,<br />
senza distrazioni e senza debolezze, coll’occhio fisso alla meta. Solamente verso sera, Ida<br />
lasciava i libri, Teresa si staccava dal letto della madre e le due sorelle ― la prima e l’ultima<br />
― uscivano a prendere una boccata d’aria, serie entrambe per motivi diversi, scambiandosi<br />
poche parole. […] l’Ida […] si trovava assicurato l’avvenire nella posizione di maestra.”<br />
63 Cfr. Enrico Tiozzo, Il poema di un’idea. Sovversivismo e critica della società borghese<br />
nell’opera di Mario Mariani, Roma 2007, p. 300.
28<br />
Capitolo I<br />
sfruttamento della donna nella società italiana nel passaggio dal XIX<br />
al XX secolo 64 . Ciò che colpisce nell’analisi di Baldacci è la sua determinazione<br />
a voler fare di Neera una femminista a tutti i costi ad onta<br />
delle ben note prese di posizione della scrittrice contro <strong>il</strong> femminismo<br />
65 . Ancora piú sorprendente è che, dopo aver esplicitamente affermato<br />
che le opere migliori di Neera si concentrano solo sul tema del<br />
matrimonio 66 (riconoscendo cosí quella che a noi appare come un’indiscutib<strong>il</strong>e<br />
limitazione d’orizzonti), Baldacci ritenga che <strong>il</strong> lettore abbia<br />
capito “meglio a questo punto perché […] Teresa è uno dei romanzi<br />
piú notevoli dell’ultimo ventennio del secolo scorso” 67 . L’analisi di<br />
Baldacci prosegue poi battendo sui tasti della non impersonalità da<br />
parte dell’autrice, del romanzo naturalista e di ambiente piccolo–borghese<br />
e provinciale, dell’“insolito rigore antispiritualista” 68 , attraverso<br />
rapidi confronti con opere come Malombra o Demetrio Pianelli. È un<br />
discorso che non ci sentiamo di seguire o di commentare perché si basa<br />
su una lettura (che riteniamo fuorviante) del testo, non priva di contraddizioni<br />
69 e inframmezzata da affermazioni apodittiche e sostanzialmente<br />
prive di riscontri 70 , fino alla sconcertante conclusione che ―<br />
64<br />
Cfr. Luigi Baldacci, op. cit., p. VII: “I suoi romanzi invece, e segnatamente Teresa, si<br />
rivelano come documenti essenziali dello spirito femminista, nella misura in cui la donna è<br />
sentita come classe (oppressa) e non come complemento dell’uomo.”<br />
65<br />
Ibid., p. VII: “Per esempio, nei suoi scritti saggistici Neera tende a presentarsi come antifemminista,<br />
e nelle Idee di una donna dimostra qualche intuizione non banale quando nel<br />
principio d’uguaglianza assunto dal femminismo vede <strong>il</strong> riflesso pratico dell’era industriale e<br />
dell’irreggimentazione della donna perseguita sotto <strong>il</strong> falso scopo dell’indipendenza economica;<br />
ma altrove <strong>il</strong> suo antifemminismo si richiama a motivazioni di mero gusto e di nessuna<br />
consistenza.”<br />
66<br />
Ibid., p. VI: “Quel che emerge è, almeno nei libri migliori, la disposizione naturalistica<br />
allo studio dei rapporti condizionati. Cosí nell’Indomani del 1890, cosí nell’Amuleto del 1897,<br />
cosí in Duello d’anime del 1911. L’indomani è la storia di un matrimonio fallito, riscattato solo<br />
dalla nascita di un figlio; L’amuleto è la storia di un matrimonio salvato; Duello d’anime ci<br />
presenta un matrimonio celebrato quando già tutto è compromesso: per mero opportunismo<br />
sociale.”<br />
67<br />
Ibid., p. VII.<br />
68<br />
Ibid., p. X.<br />
69<br />
Ibid., p. X: “L’ideale, per modo di dire, di Teresa è la fedeltà a un amore, che è poi una<br />
fedeltà senza merito, in quanto Egidio è stato l’unico uomo che le sia stato concesso d’incontrare:<br />
[…] e quando Teresa incontrerà un altro uomo, <strong>il</strong> giovane medico che cura i suoi disturbi<br />
nervosi, ella attribuisce alla visita clinica, all’auscultazione, tutta la traumatica importanza<br />
di un’esperienza fisica.”<br />
70<br />
Ibid., p. XI: “Teresa è dunque un’opera di tenuta eccezionale.”
Identificazione di una tematica 29<br />
dopo tante lodi sperticate ― si sofferma sul pessimo st<strong>il</strong>e della scrittrice<br />
71 . L’intervento di Baldacci, foriero di ulteriori giudizi fuorvianti<br />
passati poi nella storiografia 72 , dimostra quale confusione critica regni<br />
ancora in un campo pure sempre piú intensamente esplorato negli ultimi<br />
decenni. Lo studioso evita in sostanza di fornirci le coordinate del<br />
metro di giudizio ed i termini di paragone che gli permettono d’inserire<br />
Teresa tra i romanzi piú notevoli e piú belli dell’ultimo ventennio<br />
del Novecento, a meno che <strong>il</strong> confronto, cui egli allude, non debba<br />
essere fatto con I malavoglia 73 , <strong>il</strong> che ci sembra alquanto azzardato. Il<br />
singolare giudizio di Baldacci potrebbe invece essere forse inteso nel<br />
senso di una valutazione estremamente positiva di Teresa in confronto<br />
ad altre opere, considerate minori, nella produzione assai vasta di Neera<br />
74 . Il critico a tale scopo nomina esplicitamente Lydia, di cui si limita<br />
a mettere in r<strong>il</strong>ievo (implicitamente respingendola) la “scenografia<br />
dannunziana”, senza spendere altre parole sul romanzo che pure Neera<br />
aveva inserito, con Teresa, nel suo “ciclo della donna giovane”. In realtà<br />
Lydia, assai meno lodato dalla critica del secondo Novecento, è<br />
molto sim<strong>il</strong>e a Teresa, dal momento che ripropone lo schema del ro-<br />
71 Ibid., p. XI: “Anche Teresa è un libro scritto male. <strong>La</strong> lingua di Neera è neutra. Non ha<br />
neppure la patina regionale che ha per esempio quella del De Marchi. È la lingua del giornalismo<br />
rosa, tra la precisione notar<strong>il</strong>e e la goffa galanteria. Raramente, anche nei suoi dialoghi, si<br />
recupera l’eco della parola parlata. È una lingua imparata dai gazzettieri, dalle traduzioni dal<br />
francese e dall’inglese che sapevano di gazzetta, di resoconto mondano. Sia pur molto raramente,<br />
ci s’imbatte perfino in qualche vera e propria sgrammaticatura, qualcosa che va ben al<br />
di là delle mancanze di proprietà che <strong>il</strong> Capuana rimproverava anche a Neera […].”<br />
72 Cfr. Toni Iermano, “<strong>La</strong> letteratura della nuova Italia: tra naturalismo, classicismo e decadentismo”,<br />
in Storia della letteratura italiana, diretta da Enrico Malato, vol. VIII, Roma<br />
1999, p. 502: “Qualche anno piú tardi, nel 1886, ella pubblicò <strong>il</strong> romanzo Teresa ― definito<br />
‘uno dei piú bei romanzi italiani dell’ultimo ventennio del secolo passato’ ―, in cui propose <strong>il</strong><br />
tema a lei piú caro: quello della donna che, schiacciata da pesanti condizionamenti fam<strong>il</strong>iari e<br />
dai pregiudizi di una società provinciale piccolo–borghese, non riesce a trovare la propria realizzazione<br />
nell’amore, nel matrimonio e nella gioia della maternità. Con sicure capacità psicologiche,<br />
Neera presenta la storia di Teresa, che è appunto una donna sacrificata sull’altare degli<br />
interessi fam<strong>il</strong>iari, segnata dalla rinuncia, dalla solitudine, dalla malinconia.”<br />
73 Cfr. Luigi Baldacci, op. cit., p. V: “Ventennio ricchissimo, è inut<strong>il</strong>e ricordarlo: basti<br />
pensare che al suo inizio, nel 1881, escono I Malavoglia del Verga, Malombra del Fogazzaro,<br />
No dell’Oriani e Le memorie del presbiterio (postume) del Praga […].”<br />
74 Ibid., pp. X–XI: “In tal senso Teresa è un libro fortemente atipico nella produzione di<br />
Neera. […] Il che non vale certo per Lydia che indubbiamente c’interessa per la sua scenografia<br />
dannunziana, o predannunziana, o francese (è appena di un anno successiva a Teresa: dell’87,<br />
ma che tende a riportare Neera a un livello meramente documentario.”
30<br />
Capitolo I<br />
manzo di formazione 75 e, per essere ancora piú esatti, analizza a fondo<br />
gli esasperati moti dell’anima di una giovane donna, dall’adolescenza<br />
fino alla maturità, di fronte al problema per lei centrale dell’amore e<br />
del matrimonio. Nel caso di Lydia, tutti i malumori e <strong>il</strong> taedium vitae<br />
della protagonista, che per tre quarti del romanzo vengono riproposti<br />
al lettore in tutte le varianti possib<strong>il</strong>i (come del resto era avvenuto anche<br />
nel tanto apprezzato Teresa), dipendono, pur se adesso in un ambiente<br />
ricco e mondano, dalla mancanza dell’amore e del matrimonio<br />
76 . Il tema è ossessivo e, francamente, stucchevole, né migliora in<br />
Lydia in virtú delle descrizioni 77 degli abiti indossati dalla protagonista<br />
78 o delle sue vacanze nei luoghi riservati all’aristocrazia dell’ultimo<br />
quarto dell’Ottocento. Anche in questo romanzo, come in Teresa, non<br />
avviene sostanzialmente nulla 79 fino alla catastrofe finale e la maggior<br />
parte delle pagine si consuma nelle informazioni fornite al lettore sui<br />
vari stadi della depresssione 80 o dell’esaltazione 81 dell’egocentrica pro-<br />
75 Cfr. Antonia Arslan, “R<strong>il</strong>eggendo Teresa, o l’immagine nello specchio”, op. cit., p. 6:<br />
“Questo libro trae la sua originalità dall’essere un vero, e precoce, ‘romanzo di formazione’ al<br />
femmin<strong>il</strong>e di area italiana ottocentesca.”<br />
76 Cfr. Neera, Lydia (1887), a cura di Paola Azzolini e Gian Luca Baio, Lecco 1997, p.<br />
111: “Solamente nella sua smania di afferrare questo vero per trarne profitto, trascurò una osservazione<br />
principalissima: non tenne conto dell’immenso divario che corre fra la donna maritata<br />
e la zitella; tutto ciò che è permesso alla prima, tutto ciò che si vieta alla seconda.”<br />
77 Cfr. Paola Azzolini, “Introduzione” in: Neera, Lydia, op. cit., p. 12: “Neera abbonda in<br />
descrizioni minuziose, quasi liriche, di trine, nastri, sbuffi, colori, nuances e accordi tonali.”<br />
78 Cfr. Neera, Lydia, op. cit., p. 38: “Il vestito di crespo, del colore di una pallida rosa, appariva<br />
sbuffante e come gettato a caso intorno al suo corpicino; ma sotto, una corazza di raso<br />
la imprigionava strettamente, esagerando i contorni, lasciando libere appena le braccia e le<br />
spalle denudate fino alla clavicola, che una ghirlandina di rose copriva. I guanti, intonati nella<br />
gradazione precisa dell’abito, si confondevano colla pelle, così che sembrava tutta un bocciuolo<br />
di rosa.”<br />
79 Cfr. Paola Azzolini, op. cit., p. 10: “<strong>La</strong> vicenda del romanzo è es<strong>il</strong>e, un po’ statica, come<br />
spesso in Neera che ama addentrarsi nelle complessità della coscienza delle sue protagoniste,<br />
e si svolge in una serie di scene ricche di dialogo.”<br />
80 Cfr. Neera, Lydia, op. cit., p. 127: “Tutte le sere veniva per lei quel momento fatale della<br />
solitudine; quando, automa smontato, si lasciava cadere nella poltroncina, colle membra<br />
rotte e floscie, la faccia lunga, i muscoli del viso stirati, stanchi. L’ampio letto la chiamava inut<strong>il</strong>mente.<br />
Ella aspirava nell’aria chiusa, mista d’odor di fiori e di sigari, l’ultimo suono che<br />
aveva dato l’apparenza di vita alla sua triste vegetazione.”<br />
81 Ibid., pp. 114–115: “<strong>La</strong> coperta le fece sorgere l’idea di rifare da cima a fondo la sua<br />
camera, anzi di cambiarla addirittura, prendendo la camera che era stata di sua madre; una<br />
stanza d’angolo, ampia, quadrata, colle finestre che davano sopra un vecchio giardino caro alle<br />
rondini, le quali vi nidificavano da anni ed anni nella più assoluta tranqu<strong>il</strong>lità. […] Si pose<br />
all’opera febbr<strong>il</strong>mente, dimenticando in quei giorni le cure dell’abbigliamento; fermandosi,
Identificazione di una tematica 31<br />
tagonista 82 . Troppo poco ― riteniamo ― perché si possa parlare di<br />
capolavori. Né una lettura attenta di Lydia può in alcun modo incoraggiare<br />
un’interpretazione del romanzo nel senso attribuitogli forzatamente<br />
dalla critica d’ispirazione femminista 83 .<br />
<strong>La</strong> focalizzazione ossessiva sul matrimonio, atteso come la realizzazione<br />
del momento piú importante della vita, quello dell’arrivo del<br />
compagno atteso da sempre (bello, giovane, affascinante, romantico,<br />
appassionato, sperab<strong>il</strong>mente molto ricco), in tutte le sue varianti e con<br />
tutti i suoi sv<strong>il</strong>uppi (per lo piú negativi date le altissime aspettative<br />
delle protagoniste) rimane dunque <strong>il</strong> tema centrale della letteratura di<br />
mano femmin<strong>il</strong>e nell’Italia dell’ultimo quarto dell’Ottocento. In questo<br />
senso e solo in questo senso (quello di una pred<strong>il</strong>ezione tematica<br />
molto marcata anche se stranamente poco sottolineata da critica e storiografia)<br />
si potrebbe eventualmente parlare di una differenza tra scrittori<br />
e scrittrici di questo periodo. Gli autori nominati per confronto da<br />
Baldacci (Fogazzaro, De Marchi, Verga) o da Iermano (Butti, Cantoni,<br />
Rovetta, Bersezio, Giacosa, Calandra, Zena, ecc.) o quelli (di poco<br />
posteriori se non addirittura contemporanei come Zuccoli) che noi abbiamo<br />
incluso tra i principali rappresentanti del romanzo blu (da Verona,<br />
d’Ambra, Pitigr<strong>il</strong>li) o i maestri celebrati dalla storiografia (Sve-<br />
spettinata, in mezzo al caos delle stoffe e dei tappeti; sollevando appena la gonna per attraversare<br />
i pentolini delle vernici, posati a terra; e guardava tutto; si interessava a tutti i particolari,<br />
del cordone, della bulletta; dava ordini e contr’ordini.”<br />
82 Ibid., p. 93: “Aveva portato fino all’adorazione <strong>il</strong> culto di sè stessa, l’amore dell’eleganza<br />
e della bellezza; era satura di omaggi, non sapeva più che cosa chiedere a sè stessa ed<br />
agli altri.”<br />
83 Cfr. Paola Azzolini, op. cit., p. 14: “Ancora un’ultima domanda che circola nelle pagine<br />
di molta critica contemporanea su Neera: allora Lydia, come Teresa, come L’indomani, è un<br />
romanzo sostanzialmente femminista? Il termine non sarebbe piaciuto alla scrittrice. Le donne<br />
all’epoca del romanzo cominciavano appena a pensare alla futurib<strong>il</strong>e rivoluzione femmin<strong>il</strong>e<br />
che esploderà nel primo decennio del secolo successivo e Neera sarà sempre radicalmente<br />
contraria all’emancipazione femmin<strong>il</strong>e, al lavoro delle donne, all’eguaglianza. Per lei le donne<br />
hanno una missione fondamentale che è la procreazione; la figura della zitella compare nei<br />
suoi romanzi come una vittima, perché la società le nega questo fine supremo. Di conseguenza<br />
le donne non tanto devono coltivare l’intelligenza, quanto trasmetterla nel compito di educatrici<br />
che la natura assegna loro. Anche <strong>il</strong> ruolo della scrittura e quindi <strong>il</strong> suo stesso ruolo di<br />
madre, di moglie e di scrittrice resta fuori delle sue argomentazioni, come una connotazione<br />
sociale ininfluente, una qualifica che lei stessa non è in grado di integrare con le altre, se non<br />
rinnegandola, almeno in parte, con <strong>il</strong> suo s<strong>il</strong>enzio.”
32<br />
Capitolo I<br />
vo e Pirandello) non insistono, con pari monotonia, su quest’ossessivo<br />
e limitativo tema dominante, pur concedendo ampio spazio ai temi<br />
sentimentali e segnatamente ai problemi nel rapporto di coppia. <strong>La</strong><br />
narrativa italiana tardottocentesca di mano femmin<strong>il</strong>e sembra dunque<br />
incapace di staccarsi dall’ossessione del matrimonio. <strong>La</strong> ritroviamo<br />
anche nell’opera (per piú versi probab<strong>il</strong>mente la meno studiata 84 e tra<br />
le piú interessanti fra quante ci è stato possib<strong>il</strong>e analizzare) di Regina<br />
di Luanto (Guendalina Lipparini Roti), autrice di romanzi molto notevoli<br />
come quello dell’esordio (Salamandra, 1892), Un martirio (1894)<br />
e Le virtuose (1910). Non intendiamo approfondire qui l’analisi dell’opera<br />
di un’autrice che merita ben altro spazio 85 ma nei romanzi citati,<br />
che si situano cronologicamente nell’arco di un ventennio a cavallo<br />
tra Otto e Novecento, troviamo una conferma del discorso che abbiamo<br />
appena concluso. In Salamandra, ambientato a Firenze e visto<br />
completamente attraverso l’ottica del personaggio principale, l’affascinante<br />
Eva Perelli, protagonista mondana di una società aristocratica<br />
che ricorda molto da vicino quella dannunziana de Il piacere, troviamo,<br />
ad un primo livello di lettura, la storia di una donna sposata non<br />
infelicemente, che tuttavia ritiene di non aver mai provato nella sua vita<br />
coniugale quel piacere dei sensi su cui fortemente fantastica (forse,<br />
dunque, una frigida) ma, ad una lettura piú attenta, scopriamo che Eva<br />
sta cercando anche lei ― ovviamente senza trovarlo ― l’amore travolgente<br />
e passionale, l’uomo ideale che l’appaghi completamente, incarni<br />
tutti i suoi ideali e realizzi tutti i suoi sogni 86 . <strong>La</strong> forza del ro-<br />
84 Cfr. Ulla Åkerström, “Arte e scienza nei romanzi di Regina di Luanto”, Scorpione letterario<br />
4/5, 2006, p. 56: “<strong>La</strong> morale ambigua e l’ipocrisia nella società tra Otto e Novecento sono<br />
temi ricorrenti anche nell’opera di Regina di Luanto, che pubblicò i suoi libri in un arco di<br />
tempo che va dal 1890 al 1912, opere cariche di un forte spirito positivistico e ricche di idee<br />
moderne. Ricordata da Luigi Russo come scrittrice ‘audace’ nota per <strong>il</strong> suo ‘successo morboso’<br />
[…], Regina di Luanto oggi è pressoché dimenticata nelle storie della letteratura italiana.”<br />
85 Rimandiamo allo studio di Ulla Åkerström già citato e all’articolo di Emanuela Cortopassi,<br />
“Regina di Luanto alla ricerca della nuova Eva”, in Les femmes–écrivains en Italie<br />
(1870–1920): ordres et libertés, Université de la Sorbonne Nouvelle ― Paris, N°39/40 ―<br />
1994, pp. 255–269.<br />
86 Cfr. Regina di Luanto, Salamandra (1892), Torino 1900, p. 337: “― Così l’ho pensato<br />
― disse Eva con calma; poi lentamente seguitò sottovoce: – Vedete, perché io possa amare<br />
bisogna che mi trovi in faccia ad un sentimento più forte, più forte di quello… Deve imporsi a<br />
me per la sua grandezza, deve giungermi a traverso i sacrifizi e le rinunzie, perché io abbia la<br />
prova della sua verità; deve aver l’impeto del turbine, che tutto travolge dinanzi a sé e, arrivato<br />
fino a me, mi prenda, mi trascini seco come una preda. Voglio che mi domini; che soffochi
Identificazione di una tematica 33<br />
manzo (secondo noi <strong>il</strong> migliore della Roti in una produzione quasi tutta<br />
di alta qualità) sta tuttavia nel ritratto dell’ambigua protagonista ed<br />
in alcune scene molto efficaci come quella della seduzione mancata da<br />
parte di Gino di Campovelardo, vittima inopinata dell’impotenza di<br />
fronte alla freddezza della donna che pure gli si offre 87 . L’approccio<br />
scelto da Regina di Luanto s’impone comunque per la singolare capacità<br />
della scrittrice di variare <strong>il</strong> quadro che circonda <strong>il</strong> sempiterno tema<br />
ossessivo dell’attesa del grande amore. Vi contribuiscono in maniera<br />
decisiva anche la lunga e br<strong>il</strong>lante descrizione di una traversata in mare<br />
alla volta di Alessandria d’Egitto (non priva d’inattesi dettagli misuratamente<br />
realistici 88 ) e quella (dickensiana per battute di spirito, colore<br />
dei personaggi, susseguirsi di paesaggi attraversati), del viaggio<br />
in treno di un’allegra comitiva di aristocratici diretti al casinò di Montecarlo<br />
89 . Di Eva Perelli s’imprimono nella mente del lettore sia l’avvenenza<br />
90 , resa con ab<strong>il</strong>e discrezione da Regina di Luanto, sia la personalità<br />
tranqu<strong>il</strong>la e la prudente pigrizia con cui, al di là dei sogni di<br />
passione, evita, alla fine del romanzo, le insidie di un colpo di testa<br />
i miei ragionamenti e la mia smania d’analisi, che tutto demolisce; che m’inebrii di dolcezza;<br />
mi dia voluttà sconosciute, piaceri così intensi da farmi venir meno. Tale lo sogno io<br />
l’amore… tale lo aspetto ― conchiuse Eva pensosamente.”<br />
87 Ibid., p. 138: “Le si era avvicinata e furiosamente la copriva di baci sui capelli, sul viso,<br />
sul collo, nello sforzo disperato della sua volontà, che voleva sottrarsi alla influenza del gelo,<br />
che emanava da lei; ma <strong>il</strong> suo ardore fittizio cedeva al vano tentativo di lottare.”<br />
88 Ibid., p. 230: “Il mare ingrossava; giù le onde saltavano, si rincorrevano e di continuo<br />
s’alternavano alte e basse, <strong>il</strong> bastimento aveva un movimento forte di rullio. Eva sentiva <strong>il</strong> capo<br />
farsi grave e perdersi <strong>il</strong> f<strong>il</strong>o de’ suoi ragionamenti. Ancora non badava alla fascia dolorosa<br />
che man mano le accerchiava la fronte; restava ferma in una completa immob<strong>il</strong>ità. Il vapore<br />
piegò bruscamente su di un fianco e schizzando altissima un’onda bagnò fin sopra la coperta.<br />
Eva credette che tutto girasse in una ridda furiosa e cielo e mare e cordami e scale. Senza aver<br />
tempo di fermarsi, appena sollevata cominciò a vomitare. Le si accostò un signore: – Vuole<br />
che chiami qualcheduno?”<br />
89 Ibid., p. 36: “Le signore si erano levati i mantelli e si mostravano graziosissime nei loro<br />
vestiti da viaggio. Mat<strong>il</strong>de girava tra le poltroncine di velluto rosso, dirigendosi ora a questo,<br />
ora a quello, senza tacere un minuto: del resto tutti cedevano a quell’allegro eccitamento che<br />
accompagna le prime ore di una gita di piacere e ridevano e parlavano a voce alta.”<br />
90 Ibid., p. 9: “Eva nel subitaneo passaggio dal freddo al caldo era diventata rossa in viso:<br />
le labbra un po’ grosse si socchiudevano regolarmente nel respiro tranqu<strong>il</strong>lo. Sulla fronte le<br />
discendeva una ciocca di capelli castagni, che alla luce avevano riflessi rossastri, le sopracciglia<br />
ben disegnate si vedevano distintamente sugli occhi bruni. Con un gesto si toccò la bocca,<br />
poiché le labbra screpolate dal freddo le facevano male, vi passò sopra leggermente due o tre<br />
volte la lingua per inumidirle, poi si allungò sulla poltrona, scomparendo nell’ombra.”
34<br />
Capitolo I<br />
per scegliere di continuare nella sua vita di lusso e di noia 91 . In Eva<br />
Perelli, Regina di Luanto ha scelto di presentare la variante della donna<br />
che, con calcolata prudenza, sceglie di non rovinarsi la vita nella<br />
pericolosa ricerca di una passione impossib<strong>il</strong>e. In Un martirio invece<br />
la scrittrice porta alle estreme conseguenze una situazione, all’interno<br />
di un matrimonio inizialmente felice 92 , in cui la protagonista ― ossessionata<br />
dal sogno di una passione romantica ed assoluta 93 , che <strong>il</strong> marito<br />
non è in grado di darle pur cercando di fare del suo meglio 94 ― viene<br />
presa da un vortice sempre piú allucinante (di cui solo all’inizio si<br />
rende conto 95 ) che la porta prima all’innamoramento per <strong>il</strong> suo medico<br />
91 Ibid., pp. 354–355: “Non lo sentiva che gran bisogno di quiete, di riposo aveva? Come<br />
avrebbe potuto vivere in quel paese che Gino le aveva descritto? Sopportare gli ardori infocati<br />
di un sole bruciante, moversi nel labirinto intricato delle piante tropicali, <strong>il</strong> cui potente rigoglio<br />
esuberante di vita l’avrebbe um<strong>il</strong>iata, subire i trasporti violenti, importuni dell’amore,<br />
senza soccombere schiacciata dal loro peso?… Un brivido la scosse; si passò le mani sugli<br />
occhi per togliersi a quella visione che l’atterriva… Oh! fortunatamente tutto ciò era stato un<br />
sogno, dal quale si svegliava ora calma, serena, persuasa che non bisognava pretendere di<br />
modificare <strong>il</strong> modo di essere proprio. Finito <strong>il</strong> passato, morto…[…] Eppure si era impegnata.<br />
Ma che cosa importava? Nella gravità di quel momento, nel quale vedeva delinearsi la lunga<br />
strada diritta ed immutab<strong>il</strong>e che avrebbe percorso, la considerazione di una promessa non era<br />
certo tale da trattenerla. Gino la sera dopo l’avrebbe aspettata alla stazione e, non vedendola<br />
giungere, sarebbe tornato a casa, dove Paola l’attendeva e tutto si sarebbe accomodato.”<br />
92 Cfr. Regina di Luanto, Un martirio (1894), Torino 1900, p. 14: “Tante volte, mentre mi<br />
accarezza, mentre mi dice delle cose gent<strong>il</strong>i, io mi sento in cuore una tenerezza infinita e vorrei<br />
dirgliela, vorrei esprimergliela così soavemente come è in me; ma non riesco che a mormorare<br />
poche parole, che non vogliono dire punto ciò che provo io.”<br />
93 Ibid., p. 38: “Giacché mi sembra che l’abbandono del corpo dovrebbe essere una dolcissima<br />
sensazione, qualora avvenisse spontaneamente, inconsciamente, dopo un lungo colloquio<br />
amoroso, dove tante dolci parole avessero inebriati gli spiriti tanto da far sentire loro <strong>il</strong><br />
desiderio indefinito di una maggiore gioia, che verrebbe poi naturalmente da sé…”<br />
94 Ibid., p. 37: “Appena nei primi quindici giorni di matrimonio ha avuto per me qualche<br />
impeto di passione; dopo, forse perché io non gli ho bene corrisposto, si è fatto calmo, metodico,<br />
e nei suoi rapporti affettuosi con me, conserva la stessa regolarità con cui adempie i suoi<br />
doveri d’ufficio. Ebbene questo mi ripugna: quei baci periodici che mi dà ogni mattina allo<br />
svegliarmi, mentre la donna ci porta <strong>il</strong> caffè, poi al momento di uscire e quando ritorna a casa,<br />
hanno un non so che di forzato, di obbligatorio che mi pesa. Per di più, una sera sì, una sera<br />
no, quando andiamo a letto… anche quello fisso, regolato come un obbligo; e c’è di peggio,<br />
qualche volta, se ha lavorato molto, se è stanco, mi dice: ‘<strong>La</strong>uretta, domani sera, eh!… Ora<br />
proprio non mi sento…’. Pare che mi chieda scusa di non fare <strong>il</strong> suo dovere!… ma che forse<br />
io lo pretendo?”<br />
95 Ibid., pp. 34–35: “Ah! povera me, dove vado a finire con le mie fantasticherie! Se continuo<br />
ancora, verrò a concludere che sono la più infelice creatura della terra!… Via, siamo ragionevoli<br />
ed esaminiamo le cose con calma. Se non sono io che mi fabbrico delle chimere,<br />
quali sono le cause che mi suggeriscono tali idee? Perché saremmo lontani, divisi?… Perché
Identificazione di una tematica 35<br />
curante, poi al collasso nervoso ed infine all’uxoricidio. Il romanzo, in<br />
forma di diario, è particolarmente interessante non solo perché anticipa<br />
in modo evidente e di mezzo secolo un’opera molto conosciuta ed<br />
apprezzata di Alba de Céspedes 96 , che non può non aver tenuto conto<br />
(fin quasi ― vorremmo dire ― a copiarlo) del precedente luantiano,<br />
ma anche perché mette in primo piano la questione (centrale anche nei<br />
romanzi coevi di mano masch<strong>il</strong>e) del rapporto di coppia nel matrimonio<br />
e della sedicente violenza del marito oppressore e sfruttatore (o addirittura<br />
potenziale stupratore) della moglie 97 . Mentre <strong>il</strong> romanzo della<br />
de Céspedes è chiaramente “dalla parte di lei”, è diffic<strong>il</strong>e dire ― ad<br />
un’attenta lettura ― quale sia la prospettiva scelta da Regina di Luanto.<br />
Senza dubbio la protagonista è un’esaltata che, fin dalle prime pagine<br />
del romanzo, interpreta in chiave esageratamente negativa e quasi<br />
paranoica le normali manifestazioni d’affetto del marito e che, rifiutandoglisi<br />
sessualmente, lo spinge inevitab<strong>il</strong>mente tra le braccia di una<br />
serva compiacente, salvo poi considerarlo ― con una criticab<strong>il</strong>e manifestazione<br />
di classismo ― un essere disgustoso per essersi abbassato<br />
ad un rapporto sessuale con una donna di bassa estrazione sociale 98 . <strong>La</strong><br />
<strong>La</strong>ura di Un martirio, piú che come un’eroina della condizione femmin<strong>il</strong>e<br />
um<strong>il</strong>iata e offesa, si presenta come un’esaltata ai limiti della<br />
pazzia che infatti la porta a morire nel manicomio criminale. Troviamo<br />
in lei la riconferma di come <strong>il</strong> sogno mai soddisfatto di un amore<br />
travolgente fosse non solo in grado d’ispirare ― tra Otto e Novecento<br />
― quasi tutti i romanzi di mano femmin<strong>il</strong>e, ma forse anche di minare<br />
Corrado si mette le pantofole quando torna a casa? Sta’ a vedere che, se è stanco, dovrebbe far<br />
dei complimenti con sua moglie!”<br />
96 Cfr. Alba de Céspedes, Dalla parte di lei, M<strong>il</strong>ano 1949.<br />
97 Ibid., pp. 256–257: “Poi principiò a spogliarsi. Io lo fissavo esterrefatta; ma subitamente,<br />
facendomi coraggio, gli domandai: ― Ma quale è la mia camera, <strong>il</strong> mio letto? ― Oh! bella!<br />
Qui… questo ― rispose Corrado. ― Non c’è altro, ed è oramai tempo di ritornare alle nostre<br />
consuetudini… Ripresi in fretta la veste che mi ero levata e mi rivestii. Corrado mi osservava<br />
in s<strong>il</strong>enzio, un s<strong>il</strong>enzio carico di minaccie. ― Non vuoi venire a letto? ― mi chiese. Accennai<br />
di no col capo. ― Non ci sono altri letti ― ripeté, frenando a stento la collera che lo<br />
assaliva… ― Starò su una seggiola ― replicai a voce bassa. Allora egli non si contenne più:<br />
inveì contro di me, contro <strong>il</strong> dottore coprendoci di insulti.”<br />
98 Ibid., p. 195: “L’ignob<strong>il</strong>e, vergognosa cosa! Corrado, l’uomo austero, l’uomo che pareva<br />
quasi sdegnarmi per la mia inferiorità, trova però conveniente di mettersi al livello di una<br />
serva, della mia serva. Come è potuto arrivare fino a cotesto? E che cosa dirò io ora? Che cosa<br />
farò?”
36<br />
Capitolo I<br />
efficacemente dall’interno (pur nel s<strong>il</strong>enzio e senza colpi di testa) una<br />
gran parte dei matrimoni del tempo. Né <strong>il</strong> quadro del rapporto tra <strong>La</strong>ura<br />
e Corrado cambia tenendo conto dell’inserimento nella vicenda di<br />
una sorta di stregone che, con l’appoggio del marito, sottopone la povera<br />
donna ad esperimenti spiritici maltrattandola in vari modi. Questo<br />
elemento infatti viene inserito nel romanzo al solo ed evidente scopo<br />
di trasformare la figura ― prima rassicurante ― del marito in quella<br />
del solito ed esecrab<strong>il</strong>e <strong>mostro</strong>, che ritroveremo molto spesso anche<br />
nell’opera della Contessa <strong>La</strong>ra. L’ab<strong>il</strong>ità della Lipparini Roti e la sua<br />
attenzione al pubblico si avvertono anche nell’indugio da lei concesso<br />
alle situazioni scabrose (particolare che non sfuggí a Luigi Russo 99 )<br />
come appare molto evidente in Le virtuose, dove appaiono scene d’esibizionismo<br />
sessuale, di pedof<strong>il</strong>ia e di amori lesbici 100 . Il tema centrale<br />
è però, ancora una volta, quello del desiderio spasmodico di un amore<br />
travolgente da parte della protagonista 101 , l’affascinante vedova<br />
Rachele, costretta a vivere a carico della corrotta e sprezzante famiglia<br />
del marito. Il romanzo prende via via sempre piú la strada (che sarà<br />
poi battuta da Pitigr<strong>il</strong>li e da d’Ambra) della struttura aperta ai ragionamenti<br />
teorici ed al dibattito sulla vita in due, sull’amore, sulla passione,<br />
sul matrimonio di convenienza, ecc., con <strong>il</strong> risultato di appesantire<br />
notevolmente le pagine solitamente scorrevoli di Regina di Luanto. Si<br />
avverte poi una notevole stanchezza nell’autrice che appare evidentissima<br />
soprattutto nelle scadenti e melodrammatiche pagine finali con<br />
l’esplosione dell’amore (peraltro ancora una volta disperato e senza<br />
vie d’uscita) tra Rachele e don Valerio, <strong>il</strong> sacerdote amico della fami-<br />
99 Cfr. Luigi Russo, I narratori, Roma 1923, p. 122: “Autrice di vari romanzi audaci, che<br />
ebbero sul fine del secolo scorso un morboso successo.”<br />
100 Cfr. Regina di Luanto, Le virtuose, Torino (1910) 1911, p. 254: “[…] poi mentre Rachele<br />
con mano distratta si legava e slegava i cordoni della sottana, d’improvviso si sentì abbrancare<br />
alle spalle e rovesciare brutalmente. Una bocca avida si incollò sul suo collo dietro<br />
l’orecchio ed essa stordita, spaventata, prima di potersi render conto di quanto accadeva, col<br />
corpo di Gabriella avvinghiato al suo, andò a rotolare sulla pelle d’orso opportunamente preparata.”<br />
101 Ibid., pp. 198–199: “Immaginava quale incanto meraviglioso dovesse offrire <strong>il</strong> possesso<br />
di un essere puro, intatto; perché nell’amore le donne specialmente erano sempre condannate<br />
a gustare avanzi deteriorati, ad imprimere <strong>il</strong> proprio segno dove tanti altri si sovrapponevano?<br />
Oh! l’incanto incomparab<strong>il</strong>e di un amplesso fra due creature vergini, che per la prima<br />
volta bevono l’uno sulle labbra dell’altra <strong>il</strong> liquore di voluttà dist<strong>il</strong>lato dai loro corpi nuovi! E<br />
divenne quasi un’ossessione […].”
Identificazione di una tematica 37<br />
glia di cui è ospite 102 . Non condividiamo del tutto la pur eccellente lettura<br />
che del complesso dell’originale ed interessante narrativa luantiana<br />
ha dato Emanuela Cortopassi, che ripete, forse troppo pedissequamente,<br />
i luoghi comuni sull’“avv<strong>il</strong>imento per non essere trattata come<br />
una persona con opinioni e pensieri propri” 103 a proposito della protagonista<br />
di Un martirio, che a noi è sembrata piú un’esaltata che una<br />
vittima, ed insiste battendo ― per Regina di Luanto ― sul tasto dell’impegno<br />
personale della scrittrice nel “movimento emancipazionista<br />
schierato sul fronte del divorzio” 104 , nel quale, a suo giudizio, la Lipparini<br />
Roti si sarebbe spinta notevolmente piú lontano di Neera e di<br />
Mat<strong>il</strong>de Serao. Ritorna qui quella non condivisib<strong>il</strong>e tendenza a voler<br />
mescolare a tutti i costi narrativa di mano femmin<strong>il</strong>e ed impegno nella<br />
battaglia per i diritti delle donne (già presente nell’analisi di Baldacci<br />
su Neera), che ― pur se esistente ― non sempre è una felice ed esaustiva<br />
chiave di lettura. Piú che presentare quella che la Cortopassi<br />
chiama “la nuova Eva” 105 , vale a dire la donna “che rifiutando la condizione<br />
subordinante di una falsa innocenza, conquista <strong>il</strong> diritto a un<br />
ruolo piú partecipe e consapevole nella società” 106 , Regina di Luanto<br />
presenta invece ― secondo noi ― l’immagine (non nuova) della donna<br />
in crisi, vittima dei suoi orpelli, schiacciata dai suoi irrealizzab<strong>il</strong>i<br />
sogni d’amore, destinata alla frustrazione e all’autodistruzione.<br />
Abbiamo dunque individuato ― in molte di quelle che Antonia Arslan<br />
chiama le “stelle” 107 nel panorama ricchissimo della narrativa di<br />
102<br />
Ibid., p. 283: “Si chinò in avanti; piegò <strong>il</strong> busto con una mossa improvvisa, rompendo<br />
l’immob<strong>il</strong>ità conservata fino allora e con gli occhi d<strong>il</strong>atati la fissò a lungo, a lungo per scolpire<br />
bene nella memoria tutti i particolari del viso d<strong>il</strong>etto, che non avrebbe visto mai più. Quando<br />
un velo di lacrime scese ad annebbiargli la cara visione, con uno scatto volle alzarsi in piedi:<br />
ma ricadde seduto, perché con uno slancio inaspettato, Rachele gli si era buttata addosso e<br />
scivolata in ginocchio lo stringeva convulsamente, premendogli la testa sul petto, mentre dalla<br />
sua gola contratta usciva un breve rantolo d’agonia.”<br />
103<br />
Cfr. Emanuela Cortopassi, op. cit., p. 265.<br />
104<br />
Ibid., p. 266.<br />
105<br />
Ibid., p. 255.<br />
106<br />
Ibid., p. 268.<br />
107<br />
Cfr. Antonia Arslan, “L’opera della Marchesa Colombi nel panorama della narrativa<br />
italiana fra Otto e Novecento”, op. cit., p. 12: “Va anche detto che le scrittrici di oggi, le contemporanee,<br />
le quali sono conosciutissime, sanno farsi pubblicare e sono ben presenti sul<br />
mercato, volutamente spesso dimenticano di aver avuto delle nonne così importanti come la<br />
Marchesa Colombi, Neera, Vittoria Aganoor nel nord Italia, Emma Perodi toscana, Jolanda
38<br />
Capitolo I<br />
mano femmin<strong>il</strong>e di fine Ottocento ― un’evidente ed ossessiva centralità<br />
del tema del matrimonio ideale, visto (o meglio sognato) come<br />
l’unione con un principe azzurro bello ed affascinante, accompagnato<br />
di conseguenza da quello della delusione e della ripulsa nei confronti<br />
del marito reale, immancab<strong>il</strong>mente destinato a deludere e ad incarnare<br />
la monotona quotidianità o addirittura la disgustosa prepotenza 108 . Il<br />
tema (riproposto ― come abbiamo visto ― in molte possib<strong>il</strong>i varianti)<br />
torna anche nel celebre racconto lungo della Serao “<strong>La</strong> virtù di Checchina”<br />
del 1883. <strong>La</strong> storia del mancato tradimento di Checchina è<br />
troppo nota per aver bisogno qui di un riassunto, ma quella che ci preme<br />
sottolineare è, ancora una volta, l’immagine completamente negativa,<br />
che la Serao propone al lettore, del marito della protagonista, Toto<br />
Primicerio, (avaro, pedante, geloso, insensib<strong>il</strong>e e stupido 109 ) e quella<br />
em<strong>il</strong>iana, Contessa <strong>La</strong>ra tra fiorentina e romana, Mat<strong>il</strong>de Serao napoletana e tante altre. Questo<br />
per citare solo le ‘stelle’. Ma c’è in campo, all’epoca, una vastissima presenza femmin<strong>il</strong>e,<br />
non dimentichiamolo, anche come quantità.”<br />
108 Cfr. Carlo Alberto Madrignani, “Qualche parola di riep<strong>il</strong>ogo”, in: Les femmes–<br />
écrivains en Italie (1870–1920): ordres et libertés, op. cit., p. 349: “Alle donne–scrittrici rimane<br />
anche una seconda possib<strong>il</strong>ità di arricchire la loro narrativa: quella di mettere alla corda<br />
la figura dell’uomo–amante–sposo–padre in un confronto di ravvicinata impertinenza ideologico–st<strong>il</strong>istica.<br />
Così succede nell’orizzonte dell’Italia unita la cultura politica fortemente egemonizzata<br />
dal segno ideologico di un protagonismo masch<strong>il</strong>ista che assim<strong>il</strong>a tutte le forme del<br />
sapere e del potere all’interno di una strategia di omologazione in cui la donna–madre deve<br />
rimanere come centro della forma–famiglia tramandata da una tradizione autorevole e autoritaria.<br />
Solo le donne–scrittrici sono in grado di opporsi a questo disegno, sia che si tratti di<br />
un’operazione oggettiva sia che abbia la carica di una rivincita, direi di una vendetta con connotati<br />
ideologicamente sfumati e cangianti. L’uomo come altro dalla donna assume nell’ottica<br />
femmin<strong>il</strong>e <strong>il</strong> ruolo di chi si avvale di un potere di sopraffazione, che solo le donne possono disvelare<br />
e denunciare. All’uomo potente che fabbrica le sorti della nuova Italia si accompagna<br />
la sua ombra, quella dell’uomo ‘v<strong>il</strong>e’, aggressivamente e passivamente, che non sa riconoscere<br />
alla donna nessuna parità e autonomia. È l’uomo tiranno, l’uomo che fugge, che tradisce,<br />
meschino nel privato quanto si vuole e forte a livello pubblico. Nella narrativa femmin<strong>il</strong>e viene<br />
elaborato e diffuso questo ritratto dell’uomo in cui si sommano tutte le segrete caratteristiche<br />
della società italiana.”<br />
109 Cfr. Mat<strong>il</strong>de Serao, “<strong>La</strong> virtù di Checchina”, in: <strong>La</strong> virtù delle donne, con uno scritto di<br />
Pietro Pancrazi, nota critica e cura di Toni Iermano, Cava de’ Tirreni, 1999, pp. 31–32: “Toto<br />
Primicerio si lasciava vincere dall’irresistib<strong>il</strong>e sonno degli uomini adiposi, che hanno molto<br />
mangiato e molto bevuto. Ella rivolgeva a suo marito certe timide occhiate, quasi supplicandolo<br />
di non addormentarsi: Toto, come tutti gli uomini grassi, russava. Toto non capiva e, disteso<br />
sulla poltroncina, ogni tanto chiudeva gli occhi e abbassava la testa sul petto. Alla fine<br />
uno sguardo di Checchina lo svegliò, come una scossa elettrica: egli si levò, arrivò sino alla<br />
finestra, guardò nella strada per avere un’aria disinvolta, poi uscì dalla stanza, d’un tratto solo,<br />
senza voltarsi. Egli aveva bisogno di dormire un’oretta dopo <strong>il</strong> pranzo.”
Identificazione di una tematica 39<br />
tentatrice del marchese di Aragona 110 che in realtà, a ben riflettere, è<br />
solo un vuoto vagheggino interessato unicamente ad una fugace avventura<br />
con la protagonista. Se <strong>il</strong> tono di questo celebre racconto è<br />
umoristico 111 , la Serao insiste ― in altre opere ― in termini drammatici<br />
sul tema centrale del matrimonio di convenienza contrapposto al<br />
coronamento di una travolgente passione d’amore. È <strong>il</strong> caso di Cuore<br />
infermo, che fin dalle prime pagine introduce i consueti termini del<br />
problema 112 .<br />
Concludiamo questa panoramica, necessaria all’individuazione del<br />
tema del sogno dell’amore contrapposto al grigiore del matrimonio, e<br />
segnatamente dello svelamento del marito–<strong>mostro</strong> (che osserveremo<br />
con particolare attenzione nella Contessa <strong>La</strong>ra), con <strong>La</strong> fabbrica di<br />
Bruno Sperani, <strong>il</strong> potente romanzo che ― per ambientazione ed avvenimenti<br />
― piú si scosta da quelli che qui abbiamo perlustrato e che<br />
indubbiamente affronta e denuncia i gravi problemi sociali dell’ambiente<br />
operaio nella M<strong>il</strong>ano di fine Ottocento. Eppure, irresistib<strong>il</strong>e, anche<br />
qui ― insieme a un’esaltazione del vittimismo sottolineato dalla<br />
Nash–Marshall 113 e che tanto spazio avrà nell’opera della Contessa <strong>La</strong>-<br />
110 Ibid., p. 32: “Questo bel marchese di Aragona finse di non vedere l’uscita del marito.<br />
Disteso nella poltroncina con una gamba accavalcata sull’altra, egli mostrava <strong>il</strong> piede aristocratico,<br />
calzato dalla calza di seta rossa e dalla scarpa di copale: una mano arricciava, aff<strong>il</strong>ava<br />
i mustacchi biondi, e l’altra si appoggiava sul bracciuolo del divano, dove Checchina era seduta.”<br />
111 Cfr. Toni Iermano, “Nota critica”, op. cit., p. 185: “<strong>La</strong> virtù di Checchina, novella ricca<br />
di sotterranei, intimi orientamenti e distinzioni, dimostra quanto nella Serao fosse forte e<br />
consapevole <strong>il</strong> proposito di giocare in chiave lievemente umoristica […].”<br />
112 Cfr. Mat<strong>il</strong>de Serao, Cuore infermo, Sesto S. Giovanni 1913, pp. 8–10: “― Ti ama? ―<br />
chiese Amalia. ― Niente ― rispose Beatrice, sorridendo agli anelli della sua mano sinistra. –<br />
Tu lo ami? ― No, naturalmente. ― Lo sposerai? ― Certo. […] ― Un matrimonio senz’amore…<br />
― mormorò Amalia. ― Non è certo una cosa spaventosa. Poi, ci si stima. ― <strong>La</strong><br />
stima non basta: si è infelici con la sola stima. – Per me, sono felice sempre e dappertutto ―<br />
rispose Beatrice; ― ma ecco che divento anch’io drammatica.”<br />
113 Cfr. Siobhan Nash–Marshall, “Introduzione. Luisina, <strong>La</strong> fabbrica e la ciotola di c<strong>il</strong>iege”,<br />
in: Bruno Sperani, <strong>La</strong> fabbrica (1894), Lecco 1996, pp. 8–14: “Quella di Luisina è dunque<br />
la storia di una donna vittima di tutto ciò di cui la donna è sempre stata vittima: del suo<br />
cuore, del suo corpo, dell’uomo, di promesse vuote, di una società che sussurra e la guarda<br />
con occhi attentamente chiusi ai suoi bisogni. […]. Ciò che <strong>La</strong> fabbrica aggiunge a questa raffigurazione<br />
classica è una nuova forma di vittimizzazione. Luisina, abbiamo detto, è vittima<br />
di tutto ciò di cui una donna è sempre stata vittima: del suo cuore e del suo corpo, dell’uomo e<br />
della società. Questo è senz’altro vero, è <strong>il</strong> contrario, semmai, che non lo è. <strong>La</strong> donna, infatti,
40<br />
Capitolo I<br />
ra ― si fa strada <strong>il</strong> tema prepotente del matrimonio mancato tra Luisina<br />
e <strong>il</strong> vinaio Zibardi, che l’ha sedotta dandole un figlio e del matrimonio<br />
impedito dal destino tra Luisina e Francesco ucciso, con una<br />
morte bianca, sul luogo di lavoro per la corruzione di un losco costruttore<br />
e dunque con un anticipo di un secolo su situazioni e problemi<br />
ancora attualissimi oggi in Italia nello scorrere del terzo m<strong>il</strong>lennio. E<br />
che <strong>il</strong> dramma privato del matrimonio mancato riesca a prevalere su<br />
quello tanto piú vasto ed importante del grave malessere economico e<br />
sociale, è dimostrato dalla pagina finale in cui Luisina si vendica uccidendo<br />
<strong>il</strong> vinaio 114 . Non possiamo però concludere questa perlustrazione<br />
(nella quale abbiamo messo in risalto quello che a noi è apparso<br />
come <strong>il</strong> tema centrale della letteratura di mano femmin<strong>il</strong>e tra Otto e<br />
Novecento) senza affrontare un doppio luogo comune, sul quale spesso<br />
s’insiste, a vari livelli (popolari, critici, storiografici), senza mai<br />
darsi la pena di fare una semplice verifica, quella cioè della scarsa visib<strong>il</strong>ità<br />
(anche odierna) concessa alle opere scritte da donne e<br />
dell’oblio che (a differenza di quanto sarebbe avvenuto agli scrittori di<br />
sesso masch<strong>il</strong>e) sarebbe loro toccato nel canone letterario e nelle rivisitazioni<br />
editoriali e critiche del Novecento. L’argomento è stato affrontato<br />
molto di recente anche da un critico e storiografo esperto come<br />
Walter Pedullà, che ne ha messo in luce la sempre piú paradossale<br />
inconsistenza 115 . Inut<strong>il</strong>e eccedere nei riferimenti ad interventi critici<br />
non è sempre stata vittima di tutto ciò di cui è vittima Luisina. Il romanzo della Sperani introduce<br />
così alcuni elementi nuovi nel quadro tradizionale, elementi che, messi insieme, sembrano<br />
alludere proprio all’emergere della ‘donna moderna’, alla donna vittima del bisogno di sopravvivere<br />
in un mondo dove la sua femmin<strong>il</strong>ità sembra esserle d’intralcio e può essere negata.”<br />
114 Cfr. Bruno Sperani, <strong>La</strong> fabbrica, op. cit., pp. 166–167: “Fu una visione istantanea che<br />
le mostrò lo Zibardi boccheggiante ai suoi piedi. E senza riflettere, senza alcun atto determinante<br />
della volontà, portò una mano alla tasca e ne estrasse la rivoltella. […] Luisina aveva<br />
preso la rincorsa e appuntava l’arma quasi a bruciapelo contro la schiena larga e superbamente<br />
eretta del ricco vinaio. Il colpo partì e l’uomo cadde bocconi, la faccia sui ciottoli.”<br />
115 Cfr. Walter Pedullà, “Le ‘quote rosa’ della narrativa”, Il Messaggero, 16 giugno 2007:<br />
“Due donne su cinque finalisti al Premio Campiello e al Premio Strega fanno <strong>il</strong> 40%. È <strong>il</strong><br />
doppio della normale ‘quota rosa’ di dirigenti di un partito e più del doppio della percentuale<br />
di presenza femmin<strong>il</strong>e nel nostro governo. Il 40% è prossimo al mitico 50% delle donne ministro<br />
nel governo Zapatero. […] Giorno verrà dunque in cui saranno maggioranza, se non i ministri<br />
donna, le finaliste dei premi letterari, fermo restando che nei due premi sono state numerose<br />
le vincitrici. E presto saranno i maschi a lottare per le pari opportunità. Stiamo cantando<br />
<strong>il</strong> de profundis all’egemonia masch<strong>il</strong>e che da secoli si registra nella letteratura italiana? Bisogna<br />
rifare i calcoli: partendo dal passato, magari non da quello remoto, bensì dal secolo scor-
Identificazione di una tematica 41<br />
autorevoli (soprattutto, ma non solo, di provenienza femmin<strong>il</strong>e) che,<br />
con tono catastrofico, hanno insistito su questo antico argomento, dalla<br />
Morandini 116 alla Santoro 117 . Ma sono state veramente cosí dimenticate<br />
le scrittrici italiane che operarono tra Otto e Novecento? E dimenticate<br />
a confronto di quali scrittori favoriti invece dalla fortuna critica<br />
e storiografica? Abbiamo a suo tempo dimostrato, con abbondanza di<br />
riscontri, in un’opera dedicata agli scrittori veramente dimenticati del<br />
primo Novecento 118 , come gli un tempo molto popolari da Verona,<br />
Zuccoli, Pitigr<strong>il</strong>li e d’Ambra non siano piú stati ripubblicati (se non<br />
con rarissime eccezioni) né abbiano piú formato oggetto di convegni o<br />
di rivisitazioni critiche nel secondo Novecento. Al confronto <strong>il</strong> proliferare<br />
di convegni, riedizioni e studi critici (che qui abbiamo in parte citato)<br />
su Neera, Marchesa Colombi, Mat<strong>il</strong>de Serao, ecc. colpisce come<br />
<strong>il</strong> segno di un’attenzione ben viva e molto piú vig<strong>il</strong>e di quanto si voglia<br />
far credere. Nello stesso tempo anche gli studiosi e le studiose piú<br />
m<strong>il</strong>itanti riconoscono senza difficoltà che questo folto plotone di scrittrici<br />
non incontrò alcuna difficoltà ― di editoria o di pubblico ― spargendosi<br />
anzi a macchia d’olio tra Otto e Novecento, nella massima<br />
fioritura della sua produzione 119 . È tempo insomma di spazzare via<br />
so. Ebbene, nel Novecento su cinquanta romanzieri eccellenti non ci sono venti donne. Anzi<br />
non è fac<strong>il</strong>e arrivare a tante su cento narratori e prosatori. Dieci? Se si scende al 10% l’avvenire<br />
resta roseo ma per <strong>il</strong> passato prossimo vedo nero. O sono accecato da faziosità masch<strong>il</strong>e?<br />
Questo b<strong>il</strong>ancio forse conferma solo la dittatura degli uomini nella critica. Anche qui però si<br />
aprirà presto un nuovo fronte: ci sarà la rivolta delle donne–critico a favore delle scrittrici. In<br />
una commissione di laurea constatai: dieci su undici professori erano donne. Stanno cercando<br />
le grandi narratrici e le troveranno. Nella nostra epoca ‘relativista’ è all’ordine del giorno <strong>il</strong><br />
rovesciamento dialettico per cui <strong>il</strong> brutto diventerà bello e viceversa. Udite, uomini, e tremate.<br />
<strong>La</strong> narrativa del nuovo secolo sarà soprattutto femmin<strong>il</strong>e. Le donne hanno cominciato col diventare<br />
grande maggioranza come lettrici (ora vi raccontiamo noi cos’è l’amore), sono sempre<br />
di più le direttrici di collana (ci avete stancato con le interpretazioni prive di fatti), sono opere<br />
di donne quelle che piacciono di più anche agli uomini: che si sono scocciati di se stessi.”<br />
116<br />
Cfr. Giuliana Morandini, <strong>La</strong> voce che è in lei, op. cit., p. 6: “I critici, anche quelli che<br />
più sollecitavano <strong>il</strong> loro esprimersi, ritenevano spesso opportuno relegare questa produzione<br />
in una sfera minore, da valutarsi quasi come curiosità, e, quando l’interesse dei testi non consentiva<br />
tale angustia, erano pronti a scorgervi un superamento della condizione femmin<strong>il</strong>e.”<br />
117<br />
Cfr. Anna Santoro, Narratrici italiane dell’Ottocento, Napoli 1987, p. 6: “[…] perché<br />
nel nostro paese la produzione femmin<strong>il</strong>e è ancora non solo da dimostrare ma da reperire.”<br />
118<br />
Cfr. Enrico Tiozzo, Il romanzo blu. Temi, tempi e maestri della narrativa sentimentale<br />
italiana del primo Novecento, op. cit.<br />
119<br />
Cfr. Patrizia Zambon, “Introduzione”, in: Novelle d’autrice tra Otto e Novecento, a cura<br />
di Patrizia Zambon, Roma 1988, pp. 9–10: “Uno degli aspetti più nuovi tra quelli che carat-
42<br />
Capitolo I<br />
questi luoghi comuni e di stab<strong>il</strong>ire una volta per tutte che le scrittrici<br />
italiane, tra Otto e Novecento, pubblicarono come e quanto vollero in<br />
piena concorrenza con i colleghi di sesso masch<strong>il</strong>e, senza complessi<br />
d’inferiorità e con vasto ed innegab<strong>il</strong>e successo. È altresí importante<br />
stab<strong>il</strong>ire che, nel secondo Novecento, numerose scrittrici (Neera, W<strong>il</strong>li<br />
Dias, Paola Masino, Marchesa Colombi, Mat<strong>il</strong>de Serao, ecc.) sono state<br />
― giustamente ― oggetto di rivisitazioni critiche, riedizioni, convegni,<br />
ecc. con un riconoscimento di eccellenza che non è toccato a<br />
scrittori della stessa generazione o immediatamente successivi (da Verona,<br />
Zuccoli, d’Ambra, Pitigr<strong>il</strong>li, Mariani, Corra, Saponaro, Gotta,<br />
M<strong>il</strong>anesi, ecc.). Giustamente dunque Claudio Marabini riteneva di dover<br />
accomunare almeno sotto la stessa insegna scrittori e scrittrici dimenticati<br />
120 spazzando via cosí un vittimismo che, dalle vicende dei<br />
personaggi narrate nelle pagine dei romanzi di fine Ottocento, sembra<br />
essere passato direttamente nelle interpretazioni critiche del secondo<br />
Novecento.<br />
terizzano la storia letteraria italiana dell’ultimo Ottocento, del periodo postunitario, è la consistente<br />
presenza di scrittrici donne – e mi si passi l’uso dei due sostantivi, ché se è certo ridondante,<br />
permette però un rafforzamento semantico che mi pare necessario. […] L’esplosione<br />
dell’attività letteraria femmin<strong>il</strong>e in Italia coincide […] in questi anni anzi ne è proprio in relazione,<br />
con l’esplosione della stampa periodica.”<br />
120 Cfr. Claudio Marabini, “Scrittrici dimenticate”, in: <strong>La</strong> fama e <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio. Scrittrici dimenticate<br />
del primo Novecento, a cura di Francesco De Nicola e Pier Antonio Zannoni, Venezia<br />
2002, p. 7: “Scrittori e scrittrici dimenticati; come si possono lasciar cadere nomi e libri<br />
che hanno destato interesse e si sono affacciati alla Storia; come possa scendere <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio dove<br />
era stata vita e si erano accesi interesse e curiosità.”