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INSTITUTI I ARKEOLOGJISË TIRANË - Diocesi di Lezha

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<strong>INSTITUTI</strong> I <strong>ARKEOLOGJISË</strong> <strong>TIRANË</strong>.<br />

DEPARTAMENTI I ANTIKITETIT TË VONË DHE MESJETËS<br />

SHKOLLA E STUDIMEVE TË LARTA TË FILOZOFISË DHE TEOLOGJISË - SHKODËR<br />

GËZIM HOXHA LUAN PËRZHITA FLAVIO CAVALLINI<br />

MONUMENTI STORICI DI<br />

CULTO CRISTIANO DELLA<br />

DIOCESI DI LEZHA<br />

Lezhë, 2007


Recensore:<br />

Prof. Dr. Aleksandër MEKSI<br />

Traduzione dall’albanese in italiano:<br />

Flavio CAVALLINI<br />

Redazione linguistica:<br />

Stefan KOÇI<br />

Fotografie:<br />

Gli AUTORI<br />

Planimetrie:<br />

Pëllumb NAIPI<br />

© copyright<br />

Autori e <strong>Diocesi</strong> <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong><br />

ISBN 978-99956-617-0-0<br />

Botimet Françeskane, 2007


O SIGNORE<br />

RICORDATI<br />

DI COLORO CHE<br />

HANNO CONTRIBUITO<br />

E<br />

COLLABORATO<br />

ALLA COSTRUZIONE DI QUESTO TEMPIO<br />

A LODE DEL TUO NOME.<br />

TU SOLO<br />

CONOSCI<br />

I LORO NOMI.<br />

(Iscrizione sulla facciata della nuova Cattedrale <strong>di</strong> S. Nicola a <strong>Lezha</strong>)


Prefazione<br />

Nella vita <strong>di</strong> una chiesa locale la de<strong>di</strong>cazione della chiesa catedrale è un fatto solenne<br />

ed unico. La cattedrale, infatti, è la chiesa principale della <strong>di</strong>ocesi, è la chiesa del Vescovo,<br />

successore degli apostoli e sommo sacerdote del popolo a lui affidato, è un segno concreto<br />

della carità che unisce tutte le comunità parrocchiali e religiose sparse nel territorio<br />

<strong>di</strong>ocesano, è la chiesa <strong>di</strong> tutti! La Provvidenza <strong>di</strong>vina, in questa fase <strong>di</strong> rinascita dopo la<br />

persecuzione ateista, ha riservato a questa nostra generazione l’onore e la responsabilità <strong>di</strong><br />

preparare e vivere un tale evento storico che, per lungo tempo a venire, caratterizzerà il volto<br />

della nostra comunità ecclesiale.<br />

Tuttavia, il raggiungimento <strong>di</strong> questa significativa tappa fa posare il nostro sguardo su<br />

almeno quin<strong>di</strong>ci secoli <strong>di</strong> storia cristiana della città <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> 1 . Non si tratta semplicemente <strong>di</strong><br />

uno sguardo <strong>di</strong> compiacimento, ma della necessaria presa <strong>di</strong> coscienza delle proprie ra<strong>di</strong>ci,<br />

passaggio in<strong>di</strong>spensabile per il riconoscimento della propria identità. Lungo questa storia<br />

plurisecolare non priva <strong>di</strong> momenti gloriosi e tragici, la chiesa cattedrale, allora come oggi<br />

de<strong>di</strong>cata a S. Nicola, è stata testimone dell’epopea <strong>di</strong> Gjergj Kastriot e dei principi albanesi<br />

(1444), ha custo<strong>di</strong>to le ossa <strong>di</strong> colui che, con ammirazione, i suoi stessi nemici hanno<br />

chiamato “Skenderbeg” (1466), ha visto la decadenza del primo secolo <strong>di</strong> conquista ottomana<br />

quando la cattedrale si ridusse ... alla sacrestia (1575) 2 e, infine fu trasformata in moschea<br />

(1578 circa) 3 . Allora dalle antiche mura <strong>di</strong> Alexius, vescovo e cattedrale migrarono nei recessi<br />

<strong>di</strong> Vela prima, <strong>di</strong>scesero, poi, a Merçi per accogliere il celebre Concilio Albanese (1703) e si<br />

stabilirono, finalmente, tra i vigneti <strong>di</strong> Kallmet (1842) dove furono colti dall’inizio dell’inverno<br />

ateista (1967).<br />

Ora che, dopo quasi cinque secoli, vescovo e cattedrale sono stati restituiti alla città <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>,<br />

ci è sembrato che l’occasione fosse quanto mai adatta per raccogliere in una pubblicazione <strong>di</strong><br />

carattere scientifico tutte le preziose tracce delle antiche chiese dell’attuale <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>,<br />

in modo da trasmettere a questa generazione e a quelle che verranno la memoria delle<br />

comunità cristiane che le hanno precedute, prima che la rovina e l’oblio le cancellino del<br />

tutto. Questa ricerca sistematica sul territorio, iniziata nel settembre 2005, e la seguente<br />

rielaborazione dei dati raccolti, ha occupato circa un anno <strong>di</strong> lavoro ed è stata possibile<br />

unicamente grazie al sostegno economico offerto dalla nostra <strong>di</strong>ocesi. Un sincero<br />

riconoscimento va all’équipe archeologica che ha svolto il lavoro competente e appassionato<br />

raccolto in questo volume.<br />

Credo che la pubblicazione <strong>di</strong> questo libro non sia un fatto che tocchi solo la sfera religiosa,<br />

ma che costituisca anche una preziosa occasione culturale, atta ad intensificare il <strong>di</strong>alogo tra<br />

Chiesa Cattolica e società civile nella comune promozione <strong>di</strong> valori umani e spirituali che<br />

in<strong>di</strong>chino la via del bene comune.<br />

Desidero concludere, infine, de<strong>di</strong>cando questo volume a tutti coloro che in questo decennio<br />

con il loro impegno, la loro intelligenza e il loro sostegno economico hanno cooperato alla<br />

ricostruzione delle chiese della <strong>Diocesi</strong> <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> e della chiesa cattedrale <strong>di</strong> S. Nicola in<br />

particolare. A tutti comunque va la gratitu<strong>di</strong>ne mia e <strong>di</strong> tutti i fedeli <strong>di</strong> questa Chiesa locale.<br />

<strong>Lezha</strong>, 6 <strong>di</strong>cembre 2006<br />

Solennità <strong>di</strong> S. Nicola<br />

† Ottavio Vitale,<br />

Vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong><br />

1 Nell’anno 592, il papa Gregorio Magno in<strong>di</strong>rizza una lettera a Giovanni, vescovo <strong>di</strong> Lissus. Il fatto <strong>di</strong>chiara la già<br />

consolidata esistenza della <strong>di</strong>ocesi. Cf. A. Alb, I, nr. 40, p. 8.<br />

2 Cf. ZAMPUTI, 1990a, nr. 246, p. 326.<br />

3 Cf. ZAMPUTI, 1990b, nr. 194, p. 301; ZAMPUTI, 1963, nr. 31, p. 398.


Due parole<br />

Lo stu<strong>di</strong>o sul territorio dei monumenti <strong>di</strong> culto cristiani dell’o<strong>di</strong>erna <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> e<br />

la presentazione in questa e<strong>di</strong>zione scientifica, offre un contributo <strong>di</strong> grande valore, sia per la<br />

conoscenza del nostro patrimonio culturale, sia della storia della chiesa in questa zona, lungo<br />

i secoli. E’ merito degli autori <strong>di</strong> questo volume Gëzim Hoxha, Luan Përzita e Flavio Cavallini<br />

<strong>di</strong> aver esaminato sul terreno ogni traccia ancora conservata <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> culto cristiani, <strong>di</strong> cui<br />

è giunta notizia nella letteratura scientifica o nelle fonti storiche dei secoli passati. Alla base<br />

<strong>di</strong> questo lavoro, come argomento del capitolo iniziale, si trova la presentazione della<br />

situazione ecclesiastica e della <strong>di</strong>ffusione del cristianesimo nella <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, cosa che<br />

permette una migliore comprensione delle evidenze architettoniche e della influenza degli<br />

eventi storici lungo i secoli su questo genere <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici. Questo stu<strong>di</strong>o è ad un tempo anche un<br />

contributo alla storia della regione.<br />

Interessante per lo stu<strong>di</strong>o è la <strong>di</strong>stribuzione dei monumenti in quattro gruppi particolari a<br />

seconda <strong>di</strong> un’attribuzione cronologica <strong>di</strong> ciascun e<strong>di</strong>ficio, che ci sembra corretta e<br />

corrispondente al quadro storico del paese e della regione.<br />

Come si può ben comprendere, una parte considerevole dei monumenti stu<strong>di</strong>ati in questo<br />

libro non erano noti al pubblico e qui, a parte quanto detto sopra, sta il valore <strong>di</strong> questa<br />

pubblicazione. Più avanti, il loro confronto con i dati che abbiamo nelle fonti storiche<br />

(Relazioni degli inviati del Vaticano e quelle <strong>di</strong> prelati locali), ci permette <strong>di</strong> conoscere il<br />

numero degli e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> culto, che in questa <strong>di</strong>ocesi erano officiati nei secoli precedenti e<br />

seguenti la conquista ottomana. Di ancor maggior interesse in questa <strong>di</strong>rezione, cosa che<br />

potrà essere oggetto <strong>di</strong> uno stu<strong>di</strong>o successivo, sarebbe l’analisi della toponomastica e<br />

specialmente della micro-toponomastica, nella quale sono conservati molti nomi locali come<br />

“kisha – chiesa”, o nomi <strong>di</strong> santi, oppure forme nel tempo deformate <strong>di</strong> queste due categorie<br />

<strong>di</strong> nomi. Si tratta <strong>di</strong> un lavoro necessario tanto per lo stu<strong>di</strong>oso della la storia della <strong>di</strong>ocesi,<br />

quanto per orientare le future ricerche archeologiche. Comunque, in questa prospettiva, gli<br />

autori hanno fornito una lista <strong>di</strong> chiese conosciute dalle fonti storiche, ma per delle quali<br />

ancora non si sono trovate sufficenti tracce per l’identificazione, fatto che rimane come<br />

compito <strong>di</strong> un’ulteriore stu<strong>di</strong>o.<br />

Il volume ha anche un interessante capitolo scritto da Flavio Cavallini sulla presentazione<br />

parallela dei programmi iconografici <strong>di</strong> tre chiese <strong>di</strong> questa zona (Pllana, Rubik e Balldre).<br />

Questo stu<strong>di</strong>o rappresenta un valido contributo per l’analisi dell’iconografia delle pitture<br />

murali <strong>di</strong> queste chiese, che nonostante il parziale stato <strong>di</strong> conservazione, sono tra le poche<br />

rimaste nell’Albania settentrionale. Dobbiamo congratularci con l’autore sia per l’analisi e per<br />

valutazione artistica e storica, sia per la loro giusta datazione.<br />

I risultati <strong>di</strong> questo non piccolo lavoro sul terreno, lo stu<strong>di</strong>o e l’analisi dei monumenti,<br />

accanto alle ricerche nelle fonti e nella documentazione storica, sono presentati<br />

sinteticamente a livello scientifico nella Conclusione, dove vengono <strong>di</strong>visi, a seconda della<br />

datazione su base architettonica sia i perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> fioritura e<strong>di</strong>lizia, come quello della tarda<br />

antichità, sia le chiese dei secoli XII – XV, periodo che vede una crescita in numero e qualità.<br />

Di grande interesse è la segnalazione <strong>di</strong> tre<strong>di</strong>ci nuove chiese appartenenti al periodo<br />

successivo alla conquista ottomana situate nelle zone montane più interne. In questa parte<br />

abbiamo anche un analisi tipologica secondo le forme tra<strong>di</strong>zionali dell’architettura delle<br />

chiese me<strong>di</strong>oevali dell’Albania cattolica. Altrettanto importante è l’analisi dei nomi dei santi<br />

titolari delle chiese, che in questo aspetto ci testimoniano le tendenze locali. Ci<br />

complimentiamo per la pubblicazione <strong>di</strong> questo stu<strong>di</strong>o sulle chiese dell’attuale <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong><br />

<strong>Lezha</strong>, ma insieme ci auguriamo che un tale lavoro <strong>di</strong> ricerca sistematica possa essere<br />

completato con indagini in tutte le <strong>di</strong>rezioni tanto nella toponomastica e nelle tracce eventuali<br />

sul terreno, quanto nella documentazione e nelle fonti storiche, per essere un modello e una


prospettiva per quanti desiderino impegnarsi in questo campo. Tuttavia, giu<strong>di</strong>cando dai<br />

positivi risultati <strong>di</strong> questo inizio, ritengo che i sostenitori e i finanziatori debbano incoraggiare<br />

gli autori del libro e altri ancora <strong>di</strong> proseguire la ricerca anche nelle altre <strong>di</strong>ocesi cattoliche,<br />

per ottenere conclusioni ancor più preziose a livello nazionale per quanto concerne la chiesa<br />

albanese lungo i secoli e per contribuire alla rinascita della tra<strong>di</strong>zione cristiana nell’Albania<br />

settentrionale.<br />

Aleksandër Meksi<br />

Tirana, 16 <strong>di</strong>cembre 2006


I.<br />

Introduzione<br />

Una spe<strong>di</strong>zione archeologica con lo scopo <strong>di</strong> conoscere il territorio della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong><br />

<strong>Lezha</strong>, sostenuta da mons. Ottavio Vitale, si è messa alla ricerca dei resti delle antiche chiese<br />

<strong>di</strong> questa <strong>di</strong>ocesi. Questi sacri e<strong>di</strong>fici, oggi, o sono stati ricostruiti sulle vecchie fondamenta<br />

oppure sussistono come ruderi. In molti casi sono del tutto scomparsi e sopravvivono solo<br />

nel loro nome conservato dalla memoria degli abitanti o in qualche toponimo, come luogo o<br />

antica proprieta’ della chiesa.<br />

Questa investigazione sul terreno 1 é stata condotta intervistando gli abitanti della citta e<br />

dei villaggi della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, identificando i resti delle chiese con il loro titolo, creando<br />

una documentazione fotografica e rilevando la planimetria dei siti visitati. È necessario<br />

precisare che i dati raccolti nei vari sopralluoghi e presentati in questo lavoro riguardano il<br />

territorio entro gli attuali confini della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> . Questi hanno subito notevoli<br />

variazioni, con aggiunte o ri<strong>di</strong>mensionamenti a seconda dei vari perio<strong>di</strong> storici.<br />

La raccolta e la sistemazione <strong>di</strong> questo abbondante materiale, il confronto con le fonti e<br />

l’apporto degli altri dati storici hanno aperto la strada alla pubblicazione <strong>di</strong> un’intero volume<br />

riguardante gli e<strong>di</strong>fici sacri della <strong>di</strong>ocesi. Il fatto che una parte consistente dei monumenti sia<br />

gia’ scomparsa o rischi <strong>di</strong> esserlo in breve tempo, dà a questa pubblicazione avrà certamente<br />

un valore considerevole dal punto <strong>di</strong> vista storico, religioso e culturale tanto per la<br />

generazione presente, quanto, soprattutto, per le generazioni a venire.<br />

Nel nostro lavoro <strong>di</strong> ricerca sul terreno siamo stati assistiti dalla premura degli abitanti dei<br />

villaggi interessanti, che hanno offerto sia valide informazioni sia che la <strong>di</strong>sponibilità ad<br />

accompagnarci personalmente nei siti degli e<strong>di</strong>fici sacri, spesso lontani in zone <strong>di</strong>sabitate e<br />

<strong>di</strong>fficilmente rintracciabili. Ad essi va il nostro caloroso ringraziamento per questa attiva<br />

collaborazione. Inoltre, desideriamo ringraziare i sacerdoti e le suore che svolgono il servizio<br />

religioso nelle <strong>di</strong>verse zone e villaggi della <strong>di</strong>ocesi per l’aiuto che in vario modo ci hanno<br />

offerto. In particolare ricor<strong>di</strong>amo con simpatia l’accoglienza e il sostegno che abbiamo<br />

ricevuto nelle parrocchie <strong>di</strong> Shëngjin, Kallmet, Zejmen, Ungrej e Kalivaç.<br />

GLI AUTORI<br />

Verba volant, scripta manent.<br />

<strong>Lezha</strong>, Tirana, maggio 2006<br />

1 Questo sopralluogo é stato realizzato dagli archeologi dell’Istituto <strong>di</strong> Archeologia <strong>di</strong> Tirana Prof. ass. Dr. Gëzim Hoxha,<br />

Prof. ass. Dr. Luan Përzhita, coa<strong>di</strong>uvati dal topografo Pëllumb Naipi. Preziosa la collaborazione <strong>di</strong> Lic. teol. Flavio Cavallini,<br />

docente della Scuola Superiore <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Filosofici e Teologici <strong>di</strong> Scutari che ha preso parte ad alcune esplorazioni del<br />

territorio e ha aiutato notevolmente con le sue ricerche sulla letteratura e le fonti storiche. Egli, inoltre, ha preparato la<br />

parte riguardante la chiesa francescana della SS. Annunziata e il IV capitolo sugli affreschi <strong>di</strong> Balldren, Rrubik e Pllana.<br />

Inoltre, nel corso della ricerca sul territorio ha prestato un insostituibile aiuto logistico, assicurando i mezzi <strong>di</strong> trasporto e<br />

offrendo una generosa accoglienza presso il Convento francescano <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>.


II.<br />

Sguardo storico sulla <strong>di</strong>ffusione del<br />

cristianesimo e sulla situazione<br />

ecclesiastica della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong><br />

<strong>Lezha</strong><br />

La citta’ <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> affonda le sue ra<strong>di</strong>ci nell’antichita’ classica, quando, nel corso del IV<br />

sec. a. C., fu fondata come vero e proprio centro urbano. La vita e l’aspetto <strong>di</strong> questa citta’<br />

dalle antiche origini ha seguito in tutto la parabola degli avvenimenti storici successivi al<br />

dominio romano dalla Tarda Antichita’ fino a tutto il Me<strong>di</strong>oevo. Le notizie in nostro possesso<br />

su questi perio<strong>di</strong> sono basate tanto sulle fonti storiche 1 , che sui dati della ricerca<br />

archeologica 2 . Non è trascurabile il fatto che durante il dominio romano, fino a Cesare, le<br />

fonti letterarie ricor<strong>di</strong>no la nostra città con il titolo <strong>di</strong>”Conventus civium romanorum”, per<br />

riconoscerle, non molto tempo dopo, il più chiaro stato giuri<strong>di</strong>co <strong>di</strong> “Oppidum civium<br />

romanorum”. <strong>Lezha</strong> conserverà questo rango fino al tempo della riforma dell’imperatore<br />

Diocleziano (284-305), quando sara’ inquadrata nella provincia Praevalitana e sarà coinvolta<br />

nei processi storici <strong>di</strong> trasformazione tipici del periodo tardo-antico.<br />

L’itinerario stradale del III-IV sec., conosciuto come Tabula Poitingeriana, ricorda Lissus<br />

come importante nodo all’incrocio <strong>di</strong> due strade ben note: la via che univa Salona con<br />

Dyrrachium e la via Lissus-Naissus 3 , <strong>di</strong> cui tuttora esistono abbondanti tracce archeologiche 4 .<br />

Anche altre due fonti storiche del VI sec., Stefano Bizantino e Ieroclio, menzionano la citta’<br />

con il medesimo toponimo Lissos 5 .<br />

Uno dei processi storici più mportanti <strong>di</strong> questo periodo è la <strong>di</strong>ffusione della nuova<br />

religione cristiana. Questo fatto ha lasciato tracce tanto nelle fonti documentarie, quanto nei<br />

resti <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> culto paleocristiani riportati alla luce dalle recenti ricerche archeologiche.<br />

Per quanto riguarda la presenza del cristianesimo a <strong>Lezha</strong>, nonostante i dati archeologici<br />

ci suggeriscano un epoca più antica, le fonti letterarie ne parlano per la prima volta solo alla<br />

fine del VI sec. Il celebre epistolario <strong>di</strong> papa Gregorio Magno contiene una lettera dell’anno<br />

592, in<strong>di</strong>rizzata al vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> Giovanni 6 . Nella missiva il pontefice assegna al prelato <strong>di</strong><br />

<strong>Lezha</strong> una residenza provvisoria a Squillace in Calabria, a causa <strong>di</strong> un’occupazione<br />

temporanea della citta’ da parte <strong>di</strong> tribù slave 7 . Questa situazione è <strong>di</strong> nuovo confermata nel<br />

598 da una seconda lettera del pontefice, dalla quale si apprende che il vescovo Giovanni si<br />

trova ancora a Squillace 8 .<br />

E’ del tutto plausibile che l’allontanamento del vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, menzionato nelle due<br />

lettere, sia stato causato dai pericoli derivati dalle invasioni slave. Papa Gregorio, infatti, si<br />

rivolge <strong>di</strong>rettamente al vescovo della citta’ occupata senza passare attraverso il metropolita<br />

della provincia ecclesiastica che in quel periodo aveva sede a Scutari. Per quanto riguarda le<br />

importanti città <strong>di</strong> Scutari e Doclea, pare che ancora non fossero state toccate dagli invasori 9 .<br />

A fronte della scarsità <strong>di</strong> fonti letterarie, i dati archeologici offrono una preziosa<br />

testimonianza sul periodo paleocristiano <strong>di</strong> Lissus. Pur rilevando il fatto che la superfice<br />

urbana complessiva in questo tempo si sia alquanto ridotta. Tuttavia, i risultati degli scavi<br />

più recenti attestano che la città continua ad essere densamente popolata. Inoltre l’analisi<br />

stratigrafica, per periodo tardo-antico, rivela abbondanti testimonianze dell’artigianato locale,<br />

<strong>di</strong> prodotti d’importazione e cospicui ritrovamenti <strong>di</strong> monete coeve. Ne deriva l’immagine <strong>di</strong><br />

una importante città a impronta prevalentemente commerciale-artigianale 10 .<br />

Inoltre, gli scavi condotti ultimamente ci attestatano un’intensa attività costruttiva<br />

riconoscibile tanto dal rafforzamento della cinta muraria, quanto dai resti <strong>di</strong> alcuni e<strong>di</strong>fici, sia


pubblici che privati. La città presenta chiari segni <strong>di</strong> trasformazione anche dal punto <strong>di</strong> vista<br />

religioso, come rivela la scoperta dei resti <strong>di</strong> alcune costruzioni paleocristiane site extra et<br />

intra muros. Nella città bassa, qualche decina <strong>di</strong> metri fuori della porta meri<strong>di</strong>onale, è venuto<br />

alla luce un e<strong>di</strong>ficio termale romano, che porta i segni della trasformazione in ambiente <strong>di</strong><br />

culto cristiano, fatto avvenuto, probabilmente, all’inizio o alla meta del V sec. Sulla sponda<br />

opposta del Drin, sul Kodër Marlekaj, sono documentate le tracce <strong>di</strong> muri e frammenti<br />

architettonici risalenti alla seconda metà del V sec. e appartenenti alla chiesa basilicale <strong>di</strong> S.<br />

Giorgio. Sotto le fondamenta della chiesa <strong>di</strong> S. Nicola, che oggi custo<strong>di</strong>sce il cenotafio dell’eroe<br />

nazionale Gjergj Kastriot, detto Scanderbeg, sono stati scoperti resti <strong>di</strong> una basilica del primo<br />

periodo bizantino. Le indagini archeologiche, inoltre, hanno rilevato altre fasi costruttive<br />

risalenti fino al basso me<strong>di</strong>oevo 11 .<br />

Un’altra importante testimonianza del periodo paleocristiano è un’iscrizione latina nella<br />

quale è menzionato S. Mena martire 12 . Questo reperto epigrafico prende ancor più rilievo se si<br />

considera che lo stesso santo è raffigurato in rilievo su <strong>di</strong> un’ampolla del VI sec., oggi<br />

conservata nel Museo Storico <strong>di</strong> Scutari 13 . Questo oggetto documenta l’uso dei pellegrini <strong>di</strong><br />

portare dai loca sancta ricor<strong>di</strong> ed eulogiae. L’Itinerarium Bur<strong>di</strong>galense 14 , infatti, segna la<br />

celebre Via Egnatia come strada <strong>di</strong> ritorno dei pellegrini. Ci sembra, perciò, ragionevole<br />

supporre che i pellegrini <strong>di</strong>retti a nord, lungo la strada che percorreva la sponda orientale<br />

dell’Adriatico, nell’attraversare la provincia Praevalitana, abbiano potuto usare un itinerario<br />

alternativo che toccava Lissus e Scodra in <strong>di</strong>rezione della Dalmatia 15 .<br />

L’iscrizione <strong>di</strong> Lissus e l’ampolla <strong>di</strong> Scutari si aggiungono così alla carta dei luoghi in cui<br />

compaiono tracce <strong>di</strong> S. Mena 16 , segnando due altri punti nuovi nella Dalmatia meri<strong>di</strong>onale<br />

dove, già da tempo, sono state trovate un’altra iscrizione e un’altra ampolla de<strong>di</strong>cate a questo<br />

antico martire cristiano 17 .<br />

Alla fine del VII o all’inizio dell’VIII sec., periodo in cui le fonti letterarie sono molto scarse,<br />

l’Anonimo <strong>di</strong> Ravenna, nella sua opera intitolata “Cosmographia”, annota la citta’ <strong>di</strong> Lisson<br />

tra le città dell’Illirico, sulla costa adriatica, a nord <strong>di</strong> Dyrrachium (Durazzo) 18 . Solamente<br />

dopo quasi due secoli, una fonte ecclesiastica dei primi del X sec., menziona nuovamente<br />

<strong>Lezha</strong>. Si tratta della lista episcopale formulata al tempo dell’imperatore Leone VI (886-912)<br />

tra il 902 e il 907 19 .<br />

Non è, quin<strong>di</strong>, un caso strano che proprio una moneta <strong>di</strong> questo imperatore sia stata<br />

ritrovata durante i lavori <strong>di</strong> restauro della cinta muraria dell’acropoli <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>. In un’altra<br />

moneta dello stesso imperatore, trovata a Scutari, compaiono chiaramente simboli cristiani,<br />

quali il monogramma del nome <strong>di</strong> Cristo e una croce a tripode posta su tre gra<strong>di</strong>ni 20 .<br />

Per quanto riguarda secoli oscuri dell’alto-me<strong>di</strong>oevo, il proseguire della vita e lo sviluppo<br />

del cristianesimo sono testimoniati solamente grazie ai risultati degli scavi archeologici.<br />

Recentemente a Qafën e Kalasë sono stati portati alla luce i resti <strong>di</strong> una chiesa <strong>di</strong> questo<br />

periodo 21 . E’ interessante notare che l’e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto si trova all’interno <strong>di</strong> un cimitero altome<strong>di</strong>evale,<br />

già conosciuto, nel quale compaiono elementi <strong>di</strong> cultura cristiana 22 .<br />

Al principio dell’XI sec., la città <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> (Eilison) e il suo castello compaiono in un<br />

documento bizantino, che descrive un viaggio dell’imperatore Basilio II (976-1025) 23 .<br />

Alla fine <strong>di</strong> questo secolo, papa Clemente III (1089) pone i vescovi dell’Albania<br />

settentrionale: Antibari, Dulcigno, Shas, Scutari, Drivasto e Pulati, sotto l’autorità<br />

metropolitana dell’arcivescovo <strong>di</strong> Dioclea (Petro Dioclensis se<strong>di</strong>s archiepiscopo). In realtà il<br />

riferimento all’antica sede <strong>di</strong> Dioclea è solo formale dal momento che il suddetto Pietro de<br />

facto era vescovo <strong>di</strong> Antivari dove aveva già preso <strong>di</strong>mora 24 . Come ben si vede la <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong><br />

<strong>Lezha</strong> non è menzionata tra le suffraganee <strong>di</strong> Antivari, situazione che rimarrà stabile per<br />

quasi tutto il periodo del me<strong>di</strong>oevo pre-ottomano.<br />

Un secolo più tar<strong>di</strong>, al termine dell’XII sec. (1177), una lettera del prelato Gregorius<br />

Antibarensis rieccheggia ancora l’antica organizzazione ecclesiastica, che comprendeva i<br />

territori da Salona a <strong>Lezha</strong> 25 . E’ precisamente questo il tempo in cui, sotto la pressione degli<br />

attacchi congiunti <strong>di</strong> crociati e serbi, il potere centrale bizantino soffre una grave crisi. Il fatto<br />

ha come conseguenza imme<strong>di</strong>ata il cambiamento della carta politica del territorio albanese 26<br />

così come delle strutture ecclesiastiche della regione. Risale a questo periodo l’aspro conflitto<br />

tra la sede vescovile <strong>di</strong> Raguza e quella <strong>di</strong> Antibari per l’affermazione del primato<br />

giuri<strong>di</strong>stizionale sulle <strong>di</strong>ocesi del nord-Albania. Infine la contesa si risolse in favore <strong>di</strong><br />

Antibari 27 . A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> molte altre <strong>di</strong>ocesi della regione che in questa occasione entrarono<br />

a far parte della metropolia <strong>di</strong> Antivari, pare che la <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> abbia continuato a


imanere sotto la giuristizione metropolitana <strong>di</strong> Durazzo. Questa posizione della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong><br />

<strong>Lezha</strong> si riscontra ancora negli anni ‘30 del XIV sec., quando la metropoli <strong>di</strong> Antivari<br />

annoverava come proprie suffraganee le <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Dulcigno, Shas, Drivasto, Pulati, Sarda,<br />

Albania e Scutari 28 , mentre <strong>Lezha</strong>, insieme a Cruia, Stefania e Cunavia, unite a Roma, erano<br />

suffraganee <strong>di</strong> Durazzo.<br />

Un documento del giugno 1343, attestante i privilegi che lo zar serbo Stefan Dushani<br />

(1308-1355) concede al castello <strong>di</strong> Cruia, ricorda per la prima volta la chiesa <strong>di</strong> S. Eufemia <strong>di</strong><br />

Kallmet 29 , che, più tar<strong>di</strong> sarà un centro <strong>di</strong> rilievo nella struttura ecclesiastica della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong><br />

<strong>Lezha</strong>. Dopo la morte <strong>di</strong> Stefan Dushani, i monaci dei SS. Sergio e Bacco alla Buna si<br />

lamentano per l’aumento delle imposte riguardanti il loro monastero e alcune parrocchie<br />

vicino a <strong>Lezha</strong> 30 .<br />

Nell’anno 1370 papa Urbano V, oltre che alle nomine dei nuovi vescovi delle <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong><br />

Albania, Pulati, Sarda e Valona, provvede anche a quella del vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> (Alexius) nella<br />

persona <strong>di</strong> Giovanni Lourlis 31 . Da questo periodo in poi, le fonti documentarie confermano<br />

che il vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> (episcopus Lessiensis), che precedentemente <strong>di</strong>pendeva dai metropoliti<br />

<strong>di</strong> Durazzo, si trova ormai definitivamente in seno alla comunione romana 32 . A conferma <strong>di</strong><br />

questa collocazione viene un interessante documento del 17 luglio 1372, in cui papa Gregorio<br />

XI pone sotto la protezione <strong>di</strong> Dominicio, vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, il monastero benedettino <strong>di</strong> S.<br />

Giorgio alle Bocche <strong>di</strong> Cattaro 33 .<br />

Le <strong>di</strong>visioni feudali sorte alla metà del XIV sec. sottoposero <strong>Lezha</strong> alla signoria dei<br />

Dukagjin e la Zadrima a quella dei Zahariaj. L’influenza <strong>di</strong> queste gran<strong>di</strong> famiglie feudali si<br />

fece sentire anche in seno alla vita della chiesa. A <strong>Lezha</strong> e a Dagno si segnalano<br />

contemporaneamente due vescovi che esercitano la loro funzione parallelamente 34 . Tuttavia,<br />

già nella seconda metà del XIV sec. la struttura ecclesiastica si assesta definitivamente.<br />

Anche la serie episcopale <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, formulata in modo continuativo tra gli anni 1357 e<br />

1397 35 , sembra rispecchiare una situazione stabile della <strong>di</strong>ocesi. Accanto a ciò va notato che<br />

dalla <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> proviene un certo numero <strong>di</strong> preti cattolici che svolgono il loro<br />

ministero non solo nella loro regione, ma anche in altre zone più o meno lontane. Verso la<br />

fine del XIII sec., a Ragusa è registrata la presenza <strong>di</strong> un sacerdote <strong>di</strong> origine lezhana 36 ,<br />

mentre un secolo più tar<strong>di</strong>, nell’anno 1385, un ex-vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> si trova alla guida della<br />

parrocchia veneta <strong>di</strong> Treviso 37 .<br />

L’inquietante avvicinarsi del pericolo <strong>di</strong> un’invasione ottomana spinge la maggior parte dei<br />

principi feudali albanesi a rivolgersi a Venezia in cerca <strong>di</strong> protezione. Anche il casato dei<br />

Dukagjin segue questa politica, e, a cavallo tra XIV e XV sec. gradualmente la citta’ <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> è<br />

consegnata alla Repubblica <strong>di</strong> S. Marco 38 . Imme<strong>di</strong>ata è la ripercussione sulla <strong>di</strong>stribuzione<br />

delle cariche ecclesiastiche. Il 31 agosto 1402, il doge <strong>di</strong> Venezia e i suoi consiglieri danno il<br />

loro parere circa la nomina del vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> 39 . Due anni dopo, papa Innocenzo VII, con<br />

lettera inviata da Roma il 12 novembre 1404, concede al vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, Andrea, il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong><br />

godere delle ren<strong>di</strong>te della parrocchia <strong>di</strong> S. Eufemia in Kallmet 40 . Inoltre, nell’anno 1441<br />

l’abate del monastero <strong>di</strong> S. Alessandro (Sh’Lledri) viene elevato alla cattedra vescovile <strong>di</strong><br />

<strong>Lezha</strong> 41 . Nel corso del XV sec., quando ormai i turchi non erano più solo una minaccia<br />

all’orizzonte, ma avevano già intrappreso una serie <strong>di</strong> campagne belliche, emerge, come mai<br />

prima, la forza del popolo albanese, unificato sotto la guida del principe Gjergj Kastriot –<br />

Scanderbeg. Un’alleanza fu stipulata proprio nella città <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> dove il 2 marzo 1444 si<br />

radunò l’assemblea dei principi albanesi.<br />

Dopo la conquista turca, inevitabilmente, si verifica una serie <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>fiche nell’assetto e<br />

nel numero delle se<strong>di</strong> episcopali. Nei decenni successivi alcune <strong>di</strong> esse scompaiono<br />

definitivamente. Per quanto riguarda la nostra <strong>di</strong>ocesi nei primi anni del nuovo dominio si<br />

verifica l’allontanamento delle gerachie ecclesiastiche dalla città. Nell’anno 1478 il vescovo <strong>di</strong><br />

<strong>Lezha</strong> pone la sua residenza a Kallmet 42 . Il riflesso <strong>di</strong> questo indebolimento e del<br />

peggioramento della situazione generale risulta chiaro in un documento del 1492, quando la<br />

<strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> riceve la qualifica <strong>di</strong> “titularis ecclesia in partibus infidelium” 43 . Come esempio<br />

<strong>di</strong> una situazione <strong>di</strong>venuta assai precaria si può portare il caso <strong>di</strong> Giovanni de Stymai,<br />

natione albanensis, arciprete <strong>di</strong> Monte Milone, nominato vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, il quale mai potè<br />

recarsi in Mir<strong>di</strong>ta 44 . Tre anni più tar<strong>di</strong> (1518) i vescovi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> e <strong>di</strong> Sapa vengono esortati ad<br />

avvicinarsi maggiormente alle loro se<strong>di</strong>, dal momento che colà si trovano ancora molti<br />

sacerdoti e laici cristiani 45 . Alla fine del XV sec. e durante secolo successivo, in una<br />

situazione irta <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà, i vescovi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> sono scelti ancora tra i membri delle gran<strong>di</strong>


famiglie feudali locali come i Sumaj, i Dukagjini e i Jonimaj 46 . Proprio da queste famiglie<br />

aristocratiche albanesi legate a <strong>Lezha</strong>, tra la fine del XVI sec. e il principio del XVII, faranno<br />

la loro comparsa alcuni rampolli, come Tommaso Pelesa e Paolo Dukagjini, promotori delle<br />

sollevazioni della popolazione cristiana contro l’occupante turco. A loro fianco non<br />

mancavano esponenti della gerarchia ecclesiastica, tra cui anche il vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> 47 .<br />

Di alcune citta’ dell’Albania settentrionale, come per esempio Scutari (1251), Drivasto<br />

(1251 e 1397) e Dulcigno (1258) le fonti storiche del XIII e XIV sec. riferiscono dell’esistenza<br />

del palazzo episcopale (domus episcopalis, palatium episcopatus). Per quanto riguarda <strong>Lezha</strong><br />

le testimonianze <strong>di</strong> un tale e<strong>di</strong>ficio sono più tar<strong>di</strong>ve. All’inizio del XVII sec. Benedetto Orsini<br />

informa <strong>di</strong> aver comprato dai frati “una Casa per la residenza del Vescovo gia che quella che vi<br />

era prima era ... stata occupata da Turchi” 48 . Anche il Farlati (XIX sec.) ce ne conserva<br />

notizia 49 .<br />

La situazione generale delle <strong>di</strong>ocesi cattoliche durante la prima metà del XVII sec. ci è ben<br />

illustrata dalle relazioni che alcuni ecclesiastici inviano alla Santa Sede. Si tratta<br />

rispettivamente delle relazioni <strong>di</strong> Marino Bizzi, arcivescovo <strong>di</strong> Antivari (1610), d i Mariano<br />

Bolizza (1614), <strong>di</strong> Pietro Bu<strong>di</strong> (1621), <strong>di</strong> Domenico Andreassi (1623), <strong>di</strong> Benedetto Orsini,<br />

vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> (1629), <strong>di</strong> Mark Skura, vescovo <strong>di</strong> Albania (1636, 1637, 1641 e dopo il<br />

1644), <strong>di</strong> Frang Bardhi, vescovo <strong>di</strong> Sapa (febbraio e maggio 1637, 1641 ), <strong>di</strong> fra Cherubino,<br />

viceprefetto delle missioni francescane (1638) e <strong>di</strong> Giorgio Bardhi, arcivescovo <strong>di</strong> Antivari<br />

(1638). Di rilievo anche la relazione del Gaspari (1671).<br />

Per quanto concerne la situazione generale e lo stato degli e<strong>di</strong>fici ecclesiastici <strong>di</strong> questo<br />

periodo, riveste un valore del tutto particolare la relazione <strong>di</strong> Benedetto Orsini. Questo<br />

vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, oltre ad offrirci un panorama realistico del tempo, ci fornisce una lista<br />

dettagliata delle chiese della città e dei villaggi della <strong>di</strong>ocesi. La maggior parte <strong>di</strong> questi e<strong>di</strong>fici<br />

<strong>di</strong> culto è tuttora identificabile, mentre per alcuni ormai non rimangono in<strong>di</strong>zi sufficenti.<br />

“Questa <strong>Diocesi</strong> - scrive Orsini – che si <strong>di</strong>vide in due parti, cioè una soggetta à Turchi che è<br />

piana, et l’altra nemica de Turchi che è Montuosa ... et ho trovato in essa tutti li Christiani <strong>di</strong><br />

rito Romano...” 50<br />

Tra le molte informazioni trasmesse sono <strong>di</strong> un certo interesse anche quelle riguardanti i<br />

contrasti tra la <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Albania e quella <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> per l’appartenenza <strong>di</strong> alcune parrocchie <strong>di</strong><br />

confine. Pare che questa contesa fosse abbastanza antica, dal momento che compare nelle<br />

fonti fin dal 1407 51 , per poi proseguire a fasi alterne fino al 1435 52 , e riaccendersi due secoli<br />

più tar<strong>di</strong>, negli anni ’30 del XVII sec. Per quanto riguarda quest’ultima fase, che va dal 1636<br />

al 1637, siamo ben informati dalle lettere del vescovo <strong>di</strong> Albania, Marco Scura e<br />

dell’arcivescovo <strong>di</strong> Antivari Giorgio Bardhi 53 . Solo nel 1638 questo conflitto troverà una<br />

composizione definitiva 54 . Anche tra le <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> e Sapa non sono mancate<br />

controversie, sempre a causa dell’appartenenza <strong>di</strong> alcune parrocchie <strong>di</strong> confine. Sembra che<br />

anche questo contenzioso abbia trovato una soluzione nel 1638, quando il vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>,<br />

Benedetto Orsini e il vescovo <strong>di</strong> Sapa, Fran Bardhi, il 20 aprile, siglano un accordo in cui si<br />

definiscono chiaramente i confini tra le due <strong>di</strong>ocesi 55 .<br />

Tale, dunque, è la situazione ecclesiastica nei decenni che precedono il primo Concilio<br />

Regionale Albanese, che fu celebrato nella chiesa <strong>di</strong> Merçi il 14 gennaio 1703, sotto il<br />

pontificato <strong>di</strong> Clemente XI, papa <strong>di</strong> origine albanese, come anche la maggior parte dei vescovi<br />

convenuti 56 .<br />

Questo Concilio fu importante non solo per quanto riguarda i problemi <strong>di</strong> organizzazione<br />

ecclesiastica, ma anche per le importanti decisioni prese riguardo alla conservazione della<br />

lingua albanese e circa lo sviluppo dell’istruzione scolastica in Albania. Il documento finale<br />

del Concilio Albanese, e<strong>di</strong>to nel 1706 e ristampato nel 1872 in latino e in albanese, condensa<br />

in sè valori storici, linguistici, culturali ed etnografici <strong>di</strong> tutto rilievo.<br />

Il nostro breve sguardo storico sulla <strong>di</strong>ffusione del cristianesimo e sulla situazione<br />

ecclesiastica nella <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, richiede <strong>di</strong> essere completato, ora, con la documentazione<br />

riguardante la concreta situazione o<strong>di</strong>erna dei monumenti storici <strong>di</strong> culto. A questo proposito,<br />

dopo aver realizzato, tanto in città che nei villaggi, una impegnativa ricerca dei resti delle<br />

chiese, non possiamo che concordare pienamente con le parole <strong>di</strong> M. Shuflaj, puntiglioso<br />

investigatore delle fonti e dei documenti della storia d’Albania, il quale afferma che il<br />

panorama me<strong>di</strong>oevale albanese


“era pieno <strong>di</strong> chiese e monasteri. Questo non lo constatiamo solo dalle fonti, che filtrano con<br />

parsimonia dal Me<strong>di</strong>oevo, ma anche dai numerosi ruderi <strong>di</strong> chiese me<strong>di</strong>oevali, da documenti<br />

recenti, come pure dalla nomenclatura topografica” 57 .<br />

1 POLYB, II, 12,3; III, 16, 3; IV, 16, 6; VIII, 13, 1; XXVII, 8, 4; CAES, B.civ. III, 26, 3; 29, 1, 3; 40, 5; 42, 4; 78, 5; LIV. XLIII,<br />

20, 2; XLIV, 30, 6, 7; DIOD. XV, 13, 4; 14, 2; STRAB. VII, 316; PLIN. NH. III, 23; PTOLEM. II, 16, 3; APP. ILLYR. 7; TP MILLER<br />

IR COL. 462-471, 555-559, STEPH, sv Lissos; HIEROCL, XVII, 656, 6; ANON. RAV. IV, 15, V, 14.<br />

2 Letteratura archeologica fondamentale: HAHN, 1854, p. 92-93; HECQUARD, 1857. p. 51; DEGRAND, 1901, p. 176; IPPEN,<br />

Scutari... , p. 55; IPPEN, 1907, p. 31-32; PRASCHNIKER, SCHOBER, 1919, p. 14; NOVAK, 1940, p. 111-126; PRENDI, ZHEKU,<br />

1971a, p. 155-205; PRENDI, ZHEKU, 1971b, p. 7-23; ISLAMI, 1972, p. 378-408; PRENDI, 1975, p. 149-163; ZHEKU, 1975, p.<br />

159-164; PRENDI, 1979-80, p. 123-170; PRENDI,1981, p. 153-163; PRENDI, ZHEKU, 1983, p. 203-208; PRENDI, ZHEKU, 1986,<br />

p. 57-66; HOXHA, 2005, p. 19-28.<br />

3 TP MILLER IR. COL. 462-471, 555-559.<br />

4 PËRZHITA, 1999, p. 85-112.<br />

5 STEPH, sv Lissos; HIEROCL, XVII, 656, 6.<br />

6 A.ALB. I, 40; CCSL CXL A, Reg. Epist II, 31, 6.<br />

7 MEKSI, 1989, p. 114 ; MEKSI, 2004, p. 46-47.<br />

8 CCSL CXL A, Reg. Epist. VIII, 32.<br />

9 FRASHERI, 1988, p. 53-56; MEKSI, 1989, p. 114; MEKSI, 2004, p. 46.<br />

10 HOXHA, 2005, p. 19-23.<br />

11 PRENDI, 1969, p. 245-247; PRENDI, ZHEKU, 1983, p. 204; ZHEKU 1988, p. 88; MEKSI, 2004, p. 180. L’analisi delle fasi<br />

costruttive, della documentazione fotografica e delle planimetrie <strong>di</strong> questi tre e<strong>di</strong>fici che insistono su fondamenta<br />

paleocristiane sarà trattato nel terzo capitolo <strong>di</strong> questo lavoro.<br />

12 ANAMALI, 1986, p. 16 dhe 34. Per nostra sfortuna, <strong>di</strong> questa iscrizione <strong>di</strong>spersa non rimane che il ricordo, non essendo<br />

stato conservato nè un <strong>di</strong>segno, nè una fotografia.<br />

13 HOXHA, 2000, p. 84-85; Hoxha, 2003, p. 122-123.<br />

14 LAMBERT, DEMEGLIO, 1994, fig. 1. p. 210, p. 227.<br />

15 HOXHA, 2003, p. 123.<br />

16 LAMBERT, DEMEGLIO, 1994, p. 215, fig. 6, p. 219.<br />

17 ZEILLER, 1967, p. 92; CABROL, LECLERCQ, 1933, p. 380-397; CAMBI, ecc..., 1973, p. 42; LOPREATO, 1977, p. 419, 421-425,<br />

vol. 2, fig. 4 dhe 9.<br />

18 Anon. Rav. IV, 15, 8; V, 13, 14.<br />

19 MEKSI, 2004, p. 165; cf. Anche 12 p. 241, dove è citato H. Gelzer, Ungedrückte und ungenügend veröffentlichte Texte<br />

der Notitiae Episcopatum. d. I. K. 1. Akad Wiss. Bd. XXI, 1901, 557-558.<br />

20 SPAHIU, 1979-80, p. 387, Tab, V, 8 e analogamente alla moneta <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> esiste una moneta proveniente da Durazzo. Tab<br />

V, 9.<br />

21 Zona a est delle mura del castello. Cf. E. NALLBANI, Raportet e gërmimeve arkeologjike në varrezen mesjetare të Lezhës të<br />

viteve 2004 dhe 2005. Si conserva nell’Archivio dell’istituto Archeologico <strong>di</strong> Tirana.<br />

22 PRENDI, 1979-80, p. 132. Nella tomba nr 22 è stata trovata una fibula <strong>di</strong> tipo broshë a forma <strong>di</strong> croce <strong>di</strong> Malta. Tab, IX,<br />

v.22; Tab. XX. 4 dhe 11.<br />

23 CEDRENUS, Synopsis, p. 550. (Traduzione in albanese p. 29.)<br />

24 A.Alb, I, 68; SHUFLAY, 1916, p. 201-202.<br />

25 A.Alb, I, 100; SHUFLAY, 1916, p. 193.<br />

26 MEKSI, 2004, p. 67.<br />

27 A.Alb, I, 178-217; SHUFLAY, 1916, p. 207-209; MEKSI, 2004, p. 67.<br />

28 MEKSI, 2004, p. 68<br />

29 A.Al, I, p. 834.<br />

30 SHUFLAY, 1916, p. 232. Cf. anche la nota nr. 4.<br />

31 SHUFLAY, 1916, p. 244. Cf. anche la nota nr. 4. Il nome del vescovo Giovanni Lourlis è stato tratto dalla serie episcopale<br />

riportata in A.Alb. II, in<strong>di</strong>ce, p. 263-264.<br />

32 JIREÈEK, 1916, p. 123.<br />

33 A.Alb, II, p. 296.<br />

34 SHUFLAY, 1916, p. 246. Per questo problema ve<strong>di</strong> anche la lista della nota seguente.<br />

35 A.Alb II, in<strong>di</strong>ce, p. 263-264: Jacobus (1357); Burchardus (1358 -1369); Dionysius (+ ante 1369); et Johannes (+ ante<br />

1370); Dominicus Progoni (1369 -1372); et Johannes Lourlis, Niger alias Lursi (1370 -1372) intrusus et (?) Johannes<br />

Hueti de Cadomo (1370); Gregorius Laurenti (1373 -1385 ?); Martinus (?) (1392); Petrus (+ ante 1394); Franciscus Petri<br />

(1394-1395); Andreas Rhegino (?) (+ 1397).<br />

36 A.Alb, I, p. 658 nr. 3; SHUFLAY, 1916, p. 266.<br />

37 FARLATI, VII, p. 319; SHUFLAY, 1916, p. 219.<br />

38 A.Alb, II, p. 555 ( 8 giugno 1395); A.S.V.Del.Miste.Sen. XVL/ 66/ (67), Doc. 101 (Venezia, 8 prill 1401), p. 182-183.<br />

39 A.S.V. Del. Miste. Sen, XLVI / 41 (42), Doc. 250 (Venezia 31 agosto 1402) p. 330-331.<br />

40 A. Vat. Reg. Lat. nr. 122 A, p. 64 rv. (12 novembre 1404). Doc. nr. 468, pp. 528-530.<br />

41 SHUFLAY, 1916, p. 273 ( nota nr. 6).<br />

42 JIREÈEK, 1916, p. 124; SHUFLAY, 1916, p. 220; SHUFLAJ, 2002, p. 209.<br />

43 FARLATI, VII, p. 319; SHUFLAY, 1916, p. 220; SHUFLAJ, 2002, p. 209.<br />

44 SHUFLAY, 1916, p. 250.<br />

45 FARLATI, VII, pp. 247, 265, 280; SHUFLAY, 1916, p. 221; SHUFLAJ, 2002, p. 209.<br />

46 SHUFLAY, 1916, p. 249.<br />

47 SHUFLAJ, 2002, p. 65-68.<br />

48 ORSINI, 1629, 31, 166v, p. 401.<br />

49 A.Alb I, 200, Farlati VII, p. 386; SHUFLAY, 1916, p. 251.<br />

50 ORSINI, 1629, pp. 31, 166, 399.


51 SHUFLAY, 1916, p. 259.<br />

52 SHUFLAY, 1916, p. 274. Cf. anche le note nr. 3 dhe 4.<br />

53 SKURA, 1636, Doc, 2, p. 15; BARDHI, 1636, Doc. 3, p. 17; SKURA, 1637, Doc. 23, p. 69.<br />

54 FARLATI, VII, p. 203; SHUFLAY, 1916, p. 259.<br />

55 CORDIGNANO, I, 1933, p. 243.<br />

56 CORDIGNANO, II, 1934, p. 234.<br />

57 SHUFLAY, 1916, p. 256.


III.<br />

Monumenti ecclesiastici della<br />

<strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong><br />

III. A.<br />

Chiese paleocristiane<br />

(V-VI sec.)<br />

III. A. 1<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Giorgio<br />

(<strong>Lezha</strong> - quartiere Kodër Marlekaj)<br />

I resti della chiesa <strong>di</strong> S. Giorgio si trovano sulla riva destra del fiume Drin. Il vescovo <strong>di</strong><br />

<strong>Lezha</strong>, Benedetto Orsini, nella sua relazione dell’anno 1629 scrive che, tra le altre, <strong>Lezha</strong><br />

possedeva una chiesa de<strong>di</strong>cata a S. Giorgio “<strong>di</strong> mirabile artifitio” 1 . Nello stesso tempo l’Orsini<br />

attesta che nessuna <strong>di</strong> queste chiese è officiata, dal momento che alcune sono in rovina,<br />

mentre altre sono occupate dai dominatori turchi.<br />

Secondo F. Pren<strong>di</strong>, i resti della chiesa <strong>di</strong> S. Giorgio che si trovano”dall’altra parte del Drin<br />

non lontano dalla chiesa della SS. Annunziata” 2 , presentano le caratteristiche <strong>di</strong> una solida<br />

costruzione con decorazioni <strong>di</strong> tipo bizantino.<br />

Una descrizione più dettagliata del monumento, sempre basata sulle in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> F.<br />

Pren<strong>di</strong>, ci è trasmessa anche da A. Meksi 3 . La chiesa <strong>di</strong> S. Giorgio risulta costruita su <strong>di</strong> un<br />

terreno in pendenza. Le parti meglio conservate <strong>di</strong> questo e<strong>di</strong>ficio sono la linea dei muri nella<br />

parte ovest e l’abside. Partendo dalle tracce visibili in superfice, si arriva a precisarne le<br />

misure: circa 19,10 m <strong>di</strong> lunghezza complessiva e 20,20 m <strong>di</strong> larghezza.<br />

L’e<strong>di</strong>ficio è concepito seconda la classica tipologia basilicale a tre navate, come si può<br />

constatare dai resti del lato occidentale. Le parti più visibili della chiesa sono l’angolo sudovest,<br />

il muro occidentale e, nella navata sud, un pilastro e l’arcata meri<strong>di</strong>onale. Il lato<br />

settentrionale è riconoscibile solo in base all’angolo nord-ovest che misura 3,30 m. Su questo<br />

lato si ergeva un pilastro collocato nell’arcata nord. Il muro occidentale ha conservato<br />

un’altezza <strong>di</strong> 1,50 m. Una parte del muro è stata realizzata con la tecnica dell’opus incertum,<br />

cioè con pietre <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a grandezza legate con malta <strong>di</strong> calce. Nello stesso tempo, in qualche<br />

zona, si rileva l’impiego <strong>di</strong> pezzi <strong>di</strong> tegola, soprattutto nelle fughe. Sul lato ovest il muro era<br />

costruito in pietra alternata a fasce <strong>di</strong> mattoni, secondo la nota tecnica dell’opus mixtum. A<br />

est troviamo l’abside conservata fino all’altezza <strong>di</strong> 1.20 m.<br />

Sulla base delle tecniche costruttive impiegate, la chiesa <strong>di</strong> S. Giorgio può essere datata al<br />

V o VI sec. 4 Questa conclusione è ulteriormente avvalorata dal ritrovamento <strong>di</strong> un capitello<br />

attribuibile alla seconda metà del V sec., ora conservato nel museo citta<strong>di</strong>no.<br />

Accanto a questo rinvenimento va segnalato quello assai singolare <strong>di</strong> una statuetta <strong>di</strong><br />

marmo bianco artisticamente scolpita.<br />

Secondo K. Zheku 5 si tratta <strong>di</strong> un Eros dormiente, copia <strong>di</strong> epoca romana. La scultura è<br />

stata eseguita riproducendo un modello classico noto come “Eros <strong>di</strong> New York” 6 .<br />

Considerando la lavorazione e lo stile, il reperto può essere collocato nell’arco <strong>di</strong> tempo che va


dal I sec. a. C. al I sec. d. C. Con tutta probabilità la statuetta costituiva parte dell’ornamento<br />

<strong>di</strong> una fontana 7 . Tuttavia, il suo ritrovamento, insieme al capitello, accanto ai ruderi della<br />

chiesa, lascia pensare a un riutilizzo più tar<strong>di</strong>vo con <strong>di</strong>versa funzione e significato 8 .<br />

Le fonti storiche ci fanno intendere che la chiesa <strong>di</strong> S. Giorgio fu utilizzata fino al XVII sec.,<br />

continuando ad essere una delle principali chiese della città.<br />

Oggi, sfortunatamente, i resti della basilica sono stati cancellati dal cimitero sviluppatosi<br />

nell’ultimo decennio. Rimangono solo due basamenti <strong>di</strong> colonna, ora conservati nel vicino<br />

convento francescano.<br />

III. A. 2<br />

Chiesa paleocristiana sulle terme romane - Lezhë<br />

Un interessante esempio <strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficio sacro sta venendo progressivamente alla luce grazie<br />

agli scavi condotti negli ultimi anni nella parte bassa dell’antica <strong>Lezha</strong>. Si tratta <strong>di</strong> una<br />

costruzione pubblica del primo periodo imperiale romano con funzione <strong>di</strong> bagno termale. Allo<br />

stato attuale delle indagini archeologiche sembra <strong>di</strong> riconoscere nell’e<strong>di</strong>ficio chiari in<strong>di</strong>zi <strong>di</strong><br />

una successiva trasformazione in basilica paleocristiana. Gli scavi sono tuttora in corso e,<br />

quin<strong>di</strong>, si devono attendere ulteriori dati <strong>di</strong> conferma 9 .<br />

L’e<strong>di</strong>ficio sorge all’esterno del muro <strong>di</strong> cinta, assai vicino alla porta mer<strong>di</strong>onale della città<br />

bassa. Nell’insieme conserva le caratteristiche tipiche delle antiche terme, comprende, infatti,<br />

la consueta <strong>di</strong>visione in tre ambienti: frigidarium, tepidarium e calidarium. Il calidarium,<br />

dotato <strong>di</strong> praefurnium, è completato a sud da un’esedra rivestita all’esterno con la particolare<br />

tecnica dell’opus reticulatum. Le <strong>di</strong>mensioni dell’ambiente sono 17,93 m <strong>di</strong> lunghezza<br />

complessiva e 12,12 m <strong>di</strong> larghezza massima. L’e<strong>di</strong>ficio è stato costruito con una muratura <strong>di</strong><br />

mattoni alternati, talvolta, a pietre legate con malta.<br />

La datazione <strong>di</strong> queste thermae è abbastanza chiara sia dal punto <strong>di</strong> vista della tipologia,<br />

che da quello dei reperti archeologici associati. Il complesso, infatti, risale a II sec d. C. e<br />

mantenne la sua funzione originale almeno fino alla prima metà del V sec. A questo punto<br />

possiamo rilevare una serie <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>fiche praticate allo scopo <strong>di</strong> adattare l’e<strong>di</strong>ficio alla nuova<br />

<strong>di</strong> luogo <strong>di</strong> culto cristiano. Questi elementi innovativi sono:<br />

a) l’aggiunta <strong>di</strong> un abside sul lato est<br />

b) una nuova pavimentazione in cui si reimpiegano mattoni <strong>di</strong> una fase più antica della<br />

costruzione<br />

c) l’introduzione <strong>di</strong> una fila <strong>di</strong> colonne allo scopo d’innalzare l’e<strong>di</strong>ficio<br />

d) la trasformazione del frigidarium in nartece<br />

e) il nuovo orientamento dell’e<strong>di</strong>ficio sull’asse est-ovest<br />

f) l’utilizzo, in un tempo successivo, delle a<strong>di</strong>acenze dell’e<strong>di</strong>ficio come zona <strong>di</strong> sepoltura.<br />

In linea <strong>di</strong> massima si può concludere che le varie parti dell’e<strong>di</strong>ficio termale sono state<br />

adattate con cura, ottenendo un e<strong>di</strong>ficio a pianta approssimativamente cruciforme. Il<br />

frigidarium assume la funzione <strong>di</strong> nartece, il tepidarium si trasforma in navata, il calidarium<br />

funge da transetto absidato a sud. Tutti questi adattamenti del complesso sono attribuibili ad<br />

un periodo in cui la fede cristiana aveva un ormai un ruolo rilevante nella vita degli abitanti<br />

della città 10 , come appunto si verifica nel V sec., tempo in cui questo genere <strong>di</strong> trasformazioni<br />

è un fenomeno frequente anche in altre regioni 11 .<br />

III. B.<br />

Chiese dei secoli VII-IX<br />

III. B.1


Chiesa alto-me<strong>di</strong>oevale nei pressi del castello – <strong>Lezha</strong><br />

La ripresa, nell’ultimo anno, degli scavi archeologici sul versante meri<strong>di</strong>onale e su<br />

quello orientale dell’acropoli <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, ha portato alla luce una chiesa alto-me<strong>di</strong>oevale sita<br />

all’interno dell’ampiamento me<strong>di</strong>oevale della zona cimiteriale <strong>di</strong> epoca romana 12 . La chiesa<br />

presenta una semplice planimetria a unica navata orientata, completata da un’abside le cui<br />

fondamenta sono in gran parte scavata <strong>di</strong>rettamente nella roccia. Tra i vari ritrovamenti<br />

vanno ricordati in modo particolare alcuni elementi architettonici dell’interno per lo più<br />

appartenenti al presbiterio.<br />

La chiesa è costruita utilizzando, in parte, gran<strong>di</strong> conci <strong>di</strong> pietra <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi perio<strong>di</strong> (antico,<br />

ellenistico, romano), provenienti dalla cinta muraria. Insieme al già noto cimitero 13 , questo<br />

e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto costituisce un’ulteriore conferma del proseguimento della vita nella Lissus<br />

antica e me<strong>di</strong>oevale.<br />

III. B. 2<br />

Cattedrale <strong>di</strong> S. Nicola (Memoriale <strong>di</strong> Scanderbeg) – <strong>Lezha</strong><br />

La cattedrale <strong>di</strong> S. Nicola, oggi a<strong>di</strong>bita a memoriale contenente il cenotafio <strong>di</strong> Gjorgj<br />

Kastriot – Scanderbeg, si trova nella parte bassa dell’antica <strong>Lezha</strong>. Pur trattandosi <strong>di</strong> un<br />

e<strong>di</strong>ficio piuttosto antico, questa chiesa è ricordata soprattutto dalle fonti successive alla<br />

conquista turca. L’umanista scutarino del XV sec., Marin Barleti, ci ha trasmesso la notizia<br />

secondo cui il condottiero Gjorgj Kastriot – Scanderbeg “fu sepolto nella città <strong>di</strong> Alessio nella<br />

cattedrale <strong>di</strong> S. Nicola” 14 . Questa chiesa continua ad essere menzionata come cattedrale della<br />

città anche nelle relazioni ecclesiastiche della prima metà del XVII sec. 15 . Tra XIX e XX sec. è<br />

oggetto <strong>di</strong> grande interesse nella letteratura storico-archeologica 16 . Gli scavi archeologici<br />

condotti su questo monumento, infatti, hanno documentato le <strong>di</strong>verse fasi costruttive<br />

condotte lungo i secoli 17 .<br />

Attualmente la chiesa misura circa 18 m <strong>di</strong> lunghezza e 8 m <strong>di</strong> larghezza.<br />

La scoperta <strong>di</strong> alcuni strati cronologicamente collegati a <strong>di</strong>versi perio<strong>di</strong>, cominciando da<br />

quello imperiale romano, testimoniano un processo <strong>di</strong> trasformazione che ha una stretta<br />

connessione con i cambiamenti storici avvenuti durante il passaggio dall’antichità classica al<br />

me<strong>di</strong>oevo.<br />

Il primo strato, cronologicamente più antico, è rappresentato da alcune costruzioni che non<br />

hanno una relazione <strong>di</strong>retta con l’e<strong>di</strong>ficio sacro. Qui sono presenti materiali archeologici<br />

appartenenti al III sec. a. C. Con tutta probabilità si tratta e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> carattere pagano 18 , fatto<br />

che può spiegare la sovrae<strong>di</strong>ficazione successiva <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto cristiano.<br />

Il secondo strato, è rappresentato da un pavimento realizzato con malta <strong>di</strong> calce impastata<br />

con frammenti <strong>di</strong> mattone macinato. Questa seconda fase stratigrafica del monumento è<br />

attribuibile al periodo bizantino.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista architettonico, dunque, gli scavi hanno messo in luce l’esistenza <strong>di</strong> due<br />

chiese sovrapposte <strong>di</strong> periodo pre-ottomano. Naturalmente quella più antica risulta <strong>di</strong>strutta<br />

dalle fondamenta. L’unico reperto che, probabilmente, attesta questa seconda fase costruttiva<br />

è un frammento architettonico ad arco, attualmente visibile in facciata sopra la porta<br />

d’ingresso. Pregevole la sua decorazione scolpita a foglie <strong>di</strong> acanto.<br />

Meksi ritiene che questo frammento fosse in origine parte <strong>di</strong> una finestra circolare o <strong>di</strong> un<br />

ciborio. Come tale egli colloca il reperto a poco prima del XII sec 19 .<br />

Sembra che questo e<strong>di</strong>ficio ecclesiastico pre-ottomano sia rimasto in funzione fino a<br />

quando, a metà del sec XV, fu <strong>di</strong>strutto, per essere rie<strong>di</strong>ficato nell’anno 1459 20 . Questa nuova<br />

fase costruttiva è quella che ha accolto la sepoltura <strong>di</strong> Gjiergj Kastriot – Scanderbeg.<br />

Sulla parete a est, accanto all’abside, è ancora visibile un lacerto <strong>di</strong> affresco inquadrato<br />

entro una bordura ondulata. Esso raffigura un santo rivestito dei paramenti episcopali,<br />

caratteristiche iconografiche che rimandano a S. Nicola, a cui la chiesa era intitolata.<br />

In facciata, sulla parte esterna, si notano ancora resti d’intonaco affrescato, purtroppo<br />

illeggibili. Tuttavia, questo ci permette d’ipotizzare l’esistenza <strong>di</strong> un portico, totalmente<br />

cancellato dalle trasformazioni successive.


Il terzo strato chiarisce la situazione dopo la conquista turca, quando la chiesa me<strong>di</strong>oevale<br />

fu trasformata in moschea. Il fatto che le sepolture situate presso l’altare siano state trovate<br />

completamente svuotate corrisponde bene alle notizie fornite dalle fonti letterarie. M. Barleti<br />

scrive che “i turchi e i barbari, dopo aver sottomesso la citta <strong>di</strong> Alessio, spinti da gran<br />

desiderio, trovarono il corpo <strong>di</strong> Scanderbeg e lo <strong>di</strong>sseppellirono” 21 .<br />

Il sacro e<strong>di</strong>ficio, all’inizio del XVII, sec. cessò temporaneamente <strong>di</strong> essere usato dai<br />

mussulmani. Alla fine del XVIII sec., infine, fu ricostruito ancora una volta come moschea,<br />

detta Selimie e, come tale, restò in funzione fino agli anni ’60 del secolo scorso 22 . La<br />

trasformazione dell’e<strong>di</strong>ficio da chiesa in moschea ha comportato la chiusura dell’abside e<br />

l’eliminazione delle sepolture prelatizie qui presenti. Gli alvei tombali sono stati rinvenuti<br />

dagli archeologi pieni <strong>di</strong> frammenti architettonici gettativi dai turchi durante la <strong>di</strong>struzione<br />

della chiesa.<br />

III. C.<br />

Chiese dei secoli XII-XV<br />

III. C. 1<br />

Chiesa della SS. Annunziata 23 - Lezhë Kodër Marlekaj<br />

Importanti tra<strong>di</strong>zioni orali fissano l’origine della chiesa della SS. Annunziata all’anno<br />

1240 24 . Nel 1464 abbiamo il primo documento storico che attesta l’esistenza a <strong>Lezha</strong> <strong>di</strong> un<br />

convento dell’Or<strong>di</strong>ne dei Frati Minori 25 , appartenente alla Custo<strong>di</strong>a Cattarensis 26 , parte della<br />

vasta Provincia Dalmata 27 . In seguito questo convento, grazie alla sua favorevole posizione<br />

geografica al limite tra Albania settentrionale e centrale, rivestì a lungo un ruolo importante<br />

nella vita della Provincia francescana albanese, <strong>di</strong>venendo prima sede dei Ministri provinciali<br />

e successivamente dei Prefetti apostolici 28 .<br />

A testimonianza <strong>di</strong> una plurisecolare vitalità il nome della chiesa della SS. Annunziata,<br />

non è mai assente dagli elenchi degli e<strong>di</strong>fici sacri della città <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, come pure non lo è il<br />

convento dai documenti dell’Or<strong>di</strong>ne 29 . Tuttavia, non è <strong>di</strong>fficile comprendere che le costruzioni<br />

del complesso francescano abbiano subito più volte <strong>di</strong>struzioni e incen<strong>di</strong>, a cui sempre fecero<br />

seguito restauri e parziali ricostruzioni. L’asse<strong>di</strong>o che l’esercito <strong>di</strong> Muhamet II pone a <strong>Lezha</strong><br />

nel 1478 danneggia gravemente chiesa e convento, che però sono presto rie<strong>di</strong>ficati a spese<br />

dello stesso comandante turco Ibraim Pasha 30 . Gli eventi bellici della seconda metà del ‘500<br />

portano nuove rovine alla città <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> e anche chiesa e convento sono gravemente colpiti 31 .<br />

Nel 1591 la chiesa è <strong>di</strong> nuovo in funzione, mentre i frati si trasferiscono in città in un<br />

modesto ospizio con annessa cappella 32 . Troviamo il convento nuovamente abitato ai primi<br />

del ‘700, anche se descritto come fatiscente alla metà dell’800. La situazione è aggravata dagli<br />

impe<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> ogni tipo che i governanti turchi abitualmente mettono al restauro degli e<strong>di</strong>fici<br />

<strong>di</strong> culto cristiani 33 . Il 1897, invece, vede il completamento <strong>di</strong> un’imponente torre campanaria<br />

eretta presso lo spigolo nord-ovest della chiesa 34 . Alla fine del primo conflitto mon<strong>di</strong>ale, nel<br />

1918, dopo aver usato il convento come centro sanitario, l’esercito austriaco in ritirata vi<br />

appicca un devastante incen<strong>di</strong>o 35 . Il convento sarà ricostruito solo nel 1930, mentre la chiesa<br />

rimarrà ancora senza tetto per un decennio 36 . Con la proclamazione dell’ateismo <strong>di</strong> stato e la<br />

conseguente soppressione dei luoghi <strong>di</strong> culto, decretata nel 1967, la chiesa <strong>di</strong>venne in un<br />

primo tempo stalla e, successivamente, officina meccanica. Il campanile venne presto<br />

abbattuto e il portale sventrato per rendere possibile il passaggio degli autocarri. I lavori <strong>di</strong><br />

ristrutturazione, condotti principalmente tra il 1993 il 1997, oltre al restauro dell’ala<br />

principale (est) del convento 37 , hanno aggiunto due corpi <strong>di</strong> fabbrica a due piani che, a nord e<br />

a ovest completano il perimetro del chiostro e hanno restituito l’interno della chiesa a una<br />

sobria austerità che consente una completa lettura del tessuto murario.<br />

La chiesa presenta una pianta rettangolare, orientata, priva <strong>di</strong> abside. Le <strong>di</strong>mensioni,<br />

confrontate con quelle delle altre chiese della zona, sono insolitamente gran<strong>di</strong>: 27,8 m <strong>di</strong><br />

lunghezza e 9,5 m <strong>di</strong> larghezza, 8,5 nella zona del presbiterio. I muri perimetrali raggiungono<br />

lo spessore <strong>di</strong> circa un metro. La tecnica con cui sono costruiti è quella del “muro a sacco”,<br />

cioè un paramento esterno <strong>di</strong> pietre quadrangolari lavorate “a vista” e uno interno con pietre


appena squadrate da rivestire con intonaco. Lo spazio tra i due paramenti è riempito <strong>di</strong><br />

pietrame vario legato con malta <strong>di</strong> calce. A ovest, la facciata “a capanna” è composta da un<br />

fastigio a due spioventi, molto integrato, separato dalla parte bassa della facciata per mezzo<br />

<strong>di</strong> una modanatura lapidea. La parte in alto è impreziosita da una finestra circolare<br />

contornata da una spessa cornice strombata <strong>di</strong> tufo. Nella parte in basso, invece, si apre la<br />

porta maggiore, sormontata da un arco a semicerchio. Sull’architrave <strong>di</strong> tufo si legge<br />

un’iscrizione, mancante <strong>di</strong> alcuni frammenti:<br />

HOC TE[MPL]VM [FRATR]VM MINO[RUM] ÆDIFI[CATUM] EST ANNO DOMINI MC[C 40] 38 .<br />

I montanti della porta, realizzati in tempi relativamente recenti 39 , contengono materiali <strong>di</strong><br />

spoglio 40 . Il paramento murario esterno si presenta tutt’altro che omogeneo. Accanto a zone<br />

fatte <strong>di</strong> bei conci squadrati, <strong>di</strong>sposti in corsi regolari 41 , ve ne sono altre realizzate con<br />

pietrame rozzamente sbozzato. Anche l’uso più o meno abbondante <strong>di</strong> malta per le fugature,<br />

insieme all’inserzione <strong>di</strong> laterizi, è in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi e numerosi interventi <strong>di</strong> restauro o<br />

parziale ricostruzione 42 . Il lato est presenta una finestra strombata. Sul lato sud, rientrante<br />

nella zona del coro – presbiterio, si aprono quattro finestre strombate e la porta laterale.<br />

Elemento <strong>di</strong> grande importanza storica è l’architrave <strong>di</strong> questa porta su cui, in bei caratteri<br />

gotici, è scolpita un’iscrizione in lingua veneta, purtroppo mutila della parte inziale: [...]<br />

XXXXXVI . ADI . PRIMO . DI . SETENBRIO . SER .[...]. LEGRO . PARON . DEL . NAVILIO. La<br />

lingua usata e lo stile dei caratteri portano senz’altro a datare il reperto al 1456 e a<br />

considerarlo come proveniente da qualche e<strong>di</strong>ficio del vicino porto fluviale <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> 43 .<br />

Entrando in chiesa possiamo osservare che, <strong>di</strong>versamente dall’esterno, la muratura non<br />

offre segno alcuno <strong>di</strong> aggiunte o riparazioni. Il fatto induce a pensare a una sostanziale<br />

unitarietà strutturale dell’e<strong>di</strong>ficio giunto fino a noi. Ai quattro angoli del coro-presbiterio, a<br />

pianta quadrata, privo <strong>di</strong> abside, si vedono chiaramente le mensole d’appoggio e la partenza<br />

dei pennacchi che sostenevano una volta a crocera in muratura, che un tempo copriva<br />

questa parte della chiesa. Il passaggio tra il coro-presbiterio e la navata è marcato da due<br />

pilasti che terminano con l’accenno dell’arco trionfale a tutto sesto. Il crollo <strong>di</strong> questa parte<br />

della copertura, probabilmente, è stato causato dall’incen<strong>di</strong>o del 1918. Non è <strong>di</strong>fficile<br />

immaginare, quin<strong>di</strong>, l’aspetto originario dell’interno, scan<strong>di</strong>to da una copertura a due livelli,<br />

più bassa e a crocera sul coro-presbiterio incorniciato dal grande arco, più alta a capriate<br />

lignee sulla navata. In questo modo l’aula sacra doveva avere un aspetto ben più slanciato e<br />

maestoso dell’attuale. Questa particolare tipologia <strong>di</strong> chiesa a navata unica <strong>di</strong>visa in due<br />

zone, una riservata ai frati e una ai laici, è stata ampiamente adottata sia dai francescani che<br />

dai domenicani nei primi secoli della loro storia 44 . Oltre che alla <strong>di</strong>versa copertura, la<br />

<strong>di</strong>stinzione tra le due parti non <strong>di</strong> rado era sottolineata da una vera e propria transenna<br />

talvolta in muratura e <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni monumentali 45 . Anche nella nostra chiesa si possono<br />

tuttora osservare quattro fori praticati sulla faccia interna dei pilastri alla partenza dell’arco<br />

trionfale. Potrebbero essere spiegati con l’esistenza della pergula, cioè un trave orizzontale<br />

che spesso sorreggeva una grande croce e che permetteva l’appoggio dello schienale del coro<br />

dei frati. Quin<strong>di</strong> una transenna nella sua forma più semplice in legno. I lavori <strong>di</strong> ripristino<br />

della chiesa, condotti dopo il 1940, probabilmente con scarsi mezzi economici, hanno<br />

rinunciato all’impegnativa ricostruzione della volta a crociera e dell’arco trionfale, limitandosi<br />

alla sola cimatura delle mura perimetrali pochi corsi sopra le finestre allo scopo d’impostare<br />

una semplice copertura a capriate.<br />

Volendo tirare delle conclusioni, anche se non definitive, basate sulla semplice<br />

osservazione delle strutture esistenti, possiamo sintetizzare la storia architettonica della<br />

chiesa della B.V.M. Annunziata <strong>di</strong> Lezhë sostanzialmente in due fasi:<br />

- XIII sec. (1240): viene costruita una prima chiesa, alquanto più piccola dell’attuale, la cui<br />

fondazione non è attribuibile all’Or<strong>di</strong>ne francescano. A questo <strong>di</strong> riferisce l’iscrizione<br />

dell’architrave principale. Di questa fase non esiste alcun reperto visibile, dal momento<br />

che non sono mai stati condotti scavi archeologici al <strong>di</strong>sotto degli attuali pavimenti.<br />

- fine XIV sec., prima metà del XV sec.: l’Or<strong>di</strong>ne francescano, da più <strong>di</strong> cinquant’anni<br />

saldamente presente in tutti i maggiori centri della costa dalmata fino a Durazzo 46 ,<br />

e<strong>di</strong>fica a <strong>Lezha</strong> un complesso composto da chiesa e convento, compreso all’interno<br />

dell’area attualmente fabbricata 47 . Mentre il convento subisce, fino ad oggi, importanti<br />

ricostruzioni e mo<strong>di</strong>fiche dei volumi, la chiesa si mantiene sostanzialmente inalterata,<br />

fatta eccezione per le parti <strong>di</strong> copertura crollate, il rifacimento delle porte e i risarcimenti<br />

del paramento murario esterno 48 .


III. C. 2<br />

Chiesa parrocchiale <strong>di</strong> S. Nicola (ora San Giorgio) -<br />

Quartiere Scanderbeg - <strong>Lezha</strong><br />

L’attuale chiesa <strong>di</strong> S. Giorgio, ricostruita recentemente nel quartiere Scanderbeg <strong>di</strong><br />

<strong>Lezha</strong>, conserva al suo interno alcuni resti <strong>di</strong> una vecchia chiesa, registrata da Theodor Ippen<br />

come “chiesa parrocchiale <strong>di</strong> S. Nicola” 49 . Nelle sue vicinanze viene anche ricordata una sola<br />

moschea, che non può essere se non la moschea Selimie costruita sulle antiche fondamenta<br />

dell’ ex-cattedrale <strong>di</strong> S. Nicola 50 . Questa chiesa occupava una modesta superfice ed era<br />

coperta da una volta in muratura. La sua totale <strong>di</strong>struzione è stata causata dal terremoto del<br />

1979.<br />

Attualmente sotto il pavimento è conservata solo una linea muraria che segue una linea<br />

curva e che, a prima vista, dà l’impressione <strong>di</strong> tracciare un ambiente chiuso. Della parete<br />

nord si stacca un’altra linea muraria, che parte da un prolungamento verso sud. Poco più in<br />

là, il muro, con una curva, si <strong>di</strong>rige a ovest. Riteniamo che questa curva, oggi isolata e<br />

spezzata, sia stata parte della struttura della vecchia chiesa, probabilmente della facciata.<br />

I muri attualmente visibili, larghi 0, 55 – 0,56 m, sono ben costruiti e conservano tre corsi<br />

<strong>di</strong> pietre per un’altezza complessiva <strong>di</strong> 0, 31 m.<br />

Il muro è realizzato con pietre squadrate, legate con abbondante malta. In mezzo ad esse si<br />

trovano mescolate anche pietre quadrangolari ben tagliate. I resti conservati dell’antico<br />

e<strong>di</strong>ficio ricoprono una superficie <strong>di</strong> 1,13 m x 2,83. Sulla base della tecnica <strong>di</strong> costruzione dei<br />

muri, analoga a quella <strong>di</strong> altre chiese della <strong>di</strong>ocesi, pensiamo che i resti conservati<br />

nell’o<strong>di</strong>erna chiesa <strong>di</strong> S. Giorgio possano essere attribuiti al XIV sec.<br />

III. C. 3<br />

Chiesa nel castello <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong><br />

Nella parte superiore del castello <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, proprio all’interno della zona più munita, là<br />

dove anche nel periodo turco furono innalzate fortificazioni, si<br />

conservano alcune traccie <strong>di</strong> muri che, a prima vista, sembrano tracciare la planimetria <strong>di</strong><br />

una chiesa 51 .<br />

I resti in questione si trovano all’interno <strong>di</strong> un cortile fortificato alla quota più alta del<br />

castello. La costruzione ha un evidente allineamento est-ovest. I muri, <strong>di</strong> 0,70 m <strong>di</strong> largezza,<br />

sono e<strong>di</strong>ficati con pietre sbozzate, quadrangolari, <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a grandezza. Come legante è stata<br />

usata una malta <strong>di</strong> calce ben mescolata con sabbia grossa e persino con ghiaia. Talvolta, per<br />

regolarizzare i corsi delle pietre, nelle fugature sono inseriti frammenti <strong>di</strong> mattoni e tegole. I<br />

muri, in superfice, presentano un’altezza variabile da 0,10 m, 0,35 m, soprattutto nella parte<br />

centrale 52 .<br />

Dalle nostre osservazioni <strong>di</strong> superficie si può affermare che l’innalzamento delle cortine<br />

murarie che delimitano il cortile, avvenuto in epoca turca, è stato fatto sfruttando come<br />

fondamenta i muri sud e nord della costruzione più antica. La pulitura realizzata lungo tutto<br />

il tratto del muro sud ce lo conferma. E’ probabile che la tecnica opus incertum qui<br />

riscontrata sia la stessa impiegata in tutto l’e<strong>di</strong>ficio. Questo dato ci confermerebbe l’unità<br />

costruttiva <strong>di</strong> tutti i muri del complesso. Nel tratto <strong>di</strong> muro meri<strong>di</strong>onale è evidente<br />

l’introduzione <strong>di</strong> mattoni <strong>di</strong> 0,04 m <strong>di</strong> spessore. Nel tratto settentrionale sono presenti alcuni<br />

basamenti <strong>di</strong> colonna in pietra, che misurano 0,70 m x 0,90 m. Lo stesso avviene<br />

simmetricamente lungo questo tratto e nei due altri basamenti <strong>di</strong> uguale grandezza, <strong>di</strong>stanti<br />

l’uno dall’altro 2,70 m. Anche questa chiara simmetria verificabile nei muri nord e sud <strong>di</strong><br />

questo e<strong>di</strong>ficio, testimonianto in favore <strong>di</strong> un’unica fase costruttiva.<br />

La porta principale si trova nella parte occidentale, probabilmente al centro. Nella<br />

continuazione del lato sud emergono resti <strong>di</strong> un muro con <strong>di</strong>rezione nord - sud, che si


prolunga per 1,35 m, creando il varco per la porta che immette nell’ambiente centrale. Le<br />

<strong>di</strong>stanze delle due parti laterali, a sud e a nord, sono rispettivamente 3, 30 m e 3, 33 m.<br />

Inoltre, si notano altre due porte <strong>di</strong> grandezza minore che comunicano con i due ambienti<br />

laterali, sud e nord, della costruzione. Quella che dà l’accesso alla parte sud, la meglio<br />

conservata, è larga 1 m, mentre quella che immette nella parte nord è stata danneggiata dai<br />

lavori <strong>di</strong> epoca turca.<br />

Riteniamo che anche la parte orientale dell’e<strong>di</strong>ficio abbia un interesse particolare. Le<br />

ricerche fatte in questa zona rivelano tracce <strong>di</strong> una pavimentazione fatta in lastre <strong>di</strong> pietra<br />

levigate, impiegate anche come soglia delle porte dell’ambiente centrale. Sul lato est, il<br />

terreno roccioso degradante ha sicuramente influito sulla scomparsa degli elementi<br />

costruttivi dell’abside. Inoltre, è probabile che la realizzazione del selciato <strong>di</strong> una strada <strong>di</strong><br />

epoca turca abbia cancellato del tutto le strutture e<strong>di</strong>lizie anteriori.<br />

Ciò nonostante il pen<strong>di</strong>o roccioso a est, conserva un’orma curvilinea danneggiata, che<br />

suggerisce la forma <strong>di</strong> un’abside. Le traccie murarie attualmente esistenti consentono <strong>di</strong><br />

tracciare una planimetria <strong>di</strong> questa superfice in cui un semicerchio, impostato da nord a sud,<br />

si lega con le spalle rettilinee dei muri laterali.<br />

Basandoci unicamente su osservazioni <strong>di</strong> superfice, presentiamo ora alcune idee<br />

preliminari, che necessariamente dovranno essere meglio suffragate da uno scavo sistematico<br />

<strong>di</strong> questo sito. La planimetria generale <strong>di</strong> questo monumento suggerisce trattarsi <strong>di</strong> una<br />

chiesa che misura 12,60 m x 13,70 m. L’interno risulta <strong>di</strong>viso in tre navate, <strong>di</strong> cui le laterali<br />

sono simmetriche e misurano 13,70 m. X 3,30 m. Il lato est è completato da un’abside.<br />

Considerando la larghezza dei muri, si può pensare che in altezza abbiano raggiunto, come <strong>di</strong><br />

consueto, un livello più alto per la navata centrale e più basso per quelle laterali. La<br />

copertura del tetto era <strong>di</strong> tegole. Le navate laterali comprendevano arcate in pietra lavorata<br />

con arte ed erano in comunicazione con l’ambiente interno me<strong>di</strong>ante due porte che si<br />

conservano nella navata sud. Inoltre, siamo del parere che, ad una <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> circa 3,5 m<br />

dal lato ovest della chiesa, siano riconoscibili resti <strong>di</strong> un portico. Nell’insieme la<br />

pavimentazione della chiesa era fatta sia <strong>di</strong> lastre <strong>di</strong> pietra che <strong>di</strong> selciato, come si rileva nella<br />

navata centrale. L’unitarietà progettuale e gli spazi con arcate impostate su colonne,<br />

dovevano dare all’e<strong>di</strong>ficio un aspetto monumentale, accresciuto in imponenza dalla posizione<br />

dominante del sito. Tenendo conto della tecnica <strong>di</strong> costruzione, della planimetria e <strong>di</strong> alcuni<br />

elementi architettonici, pensiamo che questo monumento possa essere annoverato tra gli<br />

e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> culto dei secoli XIII-XIV, che frequentemente prevedono spazi separati da arcate e<br />

portici. Alcuni aspetti della tecnica muraria, la forma delle colonne e degli archi sono<br />

abbastanza somiglianti ad elementi rinvenuti nella chiesa <strong>di</strong> S. Stefano, sita all’interno del<br />

castello della vicina Scutari, costruzione e<strong>di</strong>ficata nello stesso periodo 53 . Secondo A. Meksi,<br />

questa tipologia <strong>di</strong> chiese dell’Albania settentrionale è frutto dell’”attività e<strong>di</strong>lizia della scuola<br />

costiera, nel cui ambito le maestranze albanesi ebbero un ruolo fondamentale” 54 .<br />

III. C. 4<br />

Chiesa del SS. Salvatore,<br />

Acrolissus – <strong>Lezha</strong><br />

Si tratta della chiesa che ha dato il nome al monte che sovrasta la collina del castello e<br />

la città <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>. Essa è ricordata da Benedetto Orsini nell’anno 1629 55 ed è una piccola<br />

cappella con una semplice planimetria rettangolare.<br />

Attualmente, fatta eccezione per il nome, della chiesa e della sua architettura originaria,<br />

non rimane nulla. Infatti, già in epoca ottomana è stata ricostruita come luogo <strong>di</strong> culto<br />

islamico (tyrbe), le cui mura oggi sono semi<strong>di</strong>strutte 56 .<br />

III. C. 5<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Giovanni – Shëngjin


Sul lato destro della strada che attraversa il centro abitato <strong>di</strong> Shëngjin, su un’altura <strong>di</strong><br />

fronte alla rada del porto, si trovano le rovine della chiesa <strong>di</strong> S.<br />

Giovanni. La chiesa è ricordata per la prima volta nell’anno 1610 57 . Tuttavia, cosiderando il<br />

toponimo Shëngjin-Shnjin, possiamo supporre l’esistenza <strong>di</strong> questa chiesa già nel 1336 58 , fatto<br />

confermato, poi, dal registro catastale degli anni 1416-1417 59 . Inoltre, compare anche in<br />

molte altre fonti storiche della prima metà del XVII sec. 60 . Th. Ippen, durante il suo viaggio<br />

attraverso la Zadrima fino ad Alessio scrive: “Il porto <strong>di</strong> Scutari è S. Giovanni <strong>di</strong> Medua o come<br />

lo chiama la gente del posto Shin Gjin, ... dove ancora esistono i ruderi della chiesa <strong>di</strong> S.<br />

Giovanni” 61 .Tutto sembra suggerire che questa chiesa abbia dato il nome <strong>di</strong> Shëngjini allo<br />

stesso porto, anticamente conosciuto con il nome <strong>di</strong> Nympheum 62 .<br />

I resti oggi ancora ben visibili della chiesa <strong>di</strong> S. Giovanni a Shengjin sono quelli dell’e<strong>di</strong>ficio<br />

ricostruito nel corso degli anni ’20 del secolo scorso da alcuni commercianti italiani, che in<br />

quel tempo erano in rapporto con la città <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>. Tuttavia pare che questa ricostruzione<br />

tar<strong>di</strong>va abbia ridotto alquanto la superfice del primitivo e<strong>di</strong>ficio. Sottolineamo questo fatto<br />

perchè nel corso delle ricerche da noi condotte sul posto abbiamo notato che i muri <strong>di</strong> una<br />

fase più antica si estendevano su un’area più vasta <strong>di</strong> quella delle rovine oggi visibili. Per<br />

quanto concerne la descrizione e la planimetria pubblicate da A. Meksi 63 , pensiamo che tenga<br />

conto solo dei resti della chiesa ricostruita negli anni ’20.<br />

La chiesa <strong>di</strong> S. Giovanni, oggi visibile, presenta una planimetria rettangolare con<br />

allineamento est-ovest e abside a oriente.<br />

La muratura della chiesa è realizzata con pietre abbastanza gran<strong>di</strong> legate con malta<br />

grossolana. Per regolarizzare i corsi sono stati usati frammenti <strong>di</strong> mattone e <strong>di</strong> tegole. I muri<br />

conservati abbastanza bene in superfice hanno un’altezza <strong>di</strong> circa 0,50 – 0,70 m. In<br />

particolare si trovano in buono stato la parete sud e l’abside. La porta principale è <strong>di</strong>strutta,<br />

ma i resti permettono <strong>di</strong> riconoscerne lo spazio <strong>di</strong> apertura. Oggi l’interno della chiesa è quasi<br />

del tutto <strong>di</strong>strutto, ma relazioni precedenti 64 ci danno notizia che un tempo vi si trovava un<br />

altare in pietra.<br />

I rilievi su questo monumento, come gia’ detto, rivelano l’esistenza <strong>di</strong> una fase più antica<br />

<strong>di</strong> quella pubblicata finora, che riteniamo possa essere ascritta al XIV sec., quando il sacro<br />

e<strong>di</strong>ficio comincia a comparire nei documenti del tempo. Questa prima costruzione ha<br />

certamente avuto <strong>di</strong>mensioni maggiori delle attuali sia sul lato nord che su quello sud.<br />

Inoltre, è possibile rintracciare i resti <strong>di</strong> un’abside, che, sebbene danneggiata dai lavori più<br />

recenti, mantiene ben riconoscibile la sua forma semicircolare. Su <strong>di</strong> essa, successivamente,<br />

è stata impostata l’abside ora visibile. Tutt’intorno si estende un cimitero, che ha invaso<br />

anche lo spazio dell’antica chiesa.<br />

Segnaliamo, infine, il ritrovamento nell’area della chiesa <strong>di</strong> materiale archeologico minuto<br />

costituito da frammenti ceramici e laterizi che siamo portati a datare al periodo tardo-antico.<br />

Tuttavia, solo opportuni scavi archeologici potranno chiarire, in futuro, se ci sia una<br />

relazione tra questo materiale e il monumento.<br />

III. C. 6<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Nicola – Kakarriq<br />

La chiesa <strong>di</strong> S. Nicola si trova sul lato destro della strada Karriq - Scutari 65 . I resti della<br />

chiesa sono abbastanza modesti, fatto che rende <strong>di</strong>fficile uno stu<strong>di</strong>o completo<br />

circa i cambiamenti che l’e<strong>di</strong>ficio ha subito nei secoli.<br />

In superfice si conservano alcuni tratti murari, totalmente rovinati sul lato nord e meglio<br />

conservati su quello sud. Lo scavo <strong>di</strong> alcune sepolture ha danneggiato l’area absidale senza,<br />

però, impe<strong>di</strong>rne il rilievo. Nel punto d’incontro tra abside e parete sud si conservano, assai<br />

danneggiate, tracce <strong>di</strong> un affresco ormai illeggibile. L’abside, a est, è semicircolare.<br />

La tecnica costruttiva della chiesa <strong>di</strong> Kakarriq comprende murature <strong>di</strong> pietre lavorate unite<br />

con malta <strong>di</strong> calce impastata con sabbia fina.<br />

Oltre a ciò abbiamo rilevato una lavorazione <strong>di</strong>versa, certamente più recente, soprattutto<br />

nella parte interna della facciata, vicino alla porta principale e in un’aggiunta fatta su lato<br />

sud, dove un tempo si ergeva il campanile.


Il muro nord, riparato successivamente nella parte superiore, mantiene un’altezza <strong>di</strong> circa<br />

1,30 m. Gli altri muri, invece, attualmente si conservano solo al livello del pavimento.<br />

Degni <strong>di</strong> nota sono tre pilastri che un tempo erano collegati con il lato meri<strong>di</strong>onale. E’<br />

possibile che siano da mettere in relazione con una ricostruzione comprendente<br />

l’innalzamento <strong>di</strong> un sistema <strong>di</strong> archi per la copertura a volta della chiesa. Questa modalità<br />

costruttiva è stata osservata anche in altre chiese della zona, tra le quali spicca la chiesa <strong>di</strong><br />

S. Stefano a Blinisht.<br />

Nella documentazione storica la chiesa <strong>di</strong> S. Nicola a Kakarriq compare tra XIII e XIV<br />

sec. 66 , cioè in corrispondenza con la sua prima fase costruttiva 67 . Una prima menzione nelle<br />

fonti documentarie è quella del registro catastale <strong>di</strong> Scutari degli anni 1416-1417 68 . Altre<br />

compaiono nel 1610 nella relazione dall’arcivescovo <strong>di</strong> Antivari, Marin Bizzi 69 e più tar<strong>di</strong>, nel<br />

1671, nella relazione del Gaspari 70 . Da Theodor Ippen appren<strong>di</strong>amo che i due villaggi<br />

confinanti, Kakarriq e Balldren, hanno chiese antiche che a suo giu<strong>di</strong>zio possono essere<br />

anteriori al 1300 71 . Altre ricostruzioni, in relazione col lato sud, appartengono all’anno 1802<br />

come attesta un frammento lapideo che riporta questa data. E. Armao registra un ulteriore<br />

restauro nell’anno 1841 72 .<br />

Anche questa chiesa è rimasta in pie<strong>di</strong> fino all’anno 1967.<br />

III. C. 7<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Veneranda – Balldren<br />

Il villaggio <strong>di</strong> Balldren si trova alla sinistra della strada <strong>Lezha</strong> - Scutari. Attualmente vi<br />

si trovano due chiese, una nuova, costruita qualche anno fa, e una antica,<br />

conosciuta dagli abitanti del luogo con il titolo <strong>di</strong> S. Veneranda 73 .<br />

Della chiesa si trova notizia fin dall’anno 1610 nella relazione dell’arcivescovo <strong>di</strong> Antivari,<br />

Marino Bizzi. Egli annota che questa chiesa “ha calici e paramenti decenti. Ha campanile<br />

quadro, ma senza campane” 74 . Ippen e Shuflay la consideravano una costruzione <strong>di</strong> stile<br />

romanico 75 . L’Ippen riporta anche la trascrizione <strong>di</strong> un’iscrizione datata 1462 76 e murata<br />

all’esterno dell’abside. La chiesa <strong>di</strong> S. Veneranda è costruita sulla collina all’ingresso del<br />

villaggio e si conserva interamente con tutti gli elementi architettonici e una planimetria<br />

rettangolare orientata 77 . Un’abside semicircolare completa il lato ad oriente.<br />

Un attento esame del monumento rivela la presenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse fasi costruttive. Questa<br />

situazione è rilevata anche da A. Meksi 78 , quando l’e<strong>di</strong>ficio era certamente in con<strong>di</strong>zioni<br />

migliori delle attuali. Di particolare rilievo sono le parti ricostruite del muro nord, il quale<br />

nelle fondamenta a lastre <strong>di</strong> pietra presenta una fascia muraria <strong>di</strong> tufo calcareo legata con<br />

malta <strong>di</strong> calce. Su questo basamento continua un muro fatto sempre <strong>di</strong> pietre calcaree legate<br />

con malta contenente sabbia fina. Visto nell’insieme, il tessuto murario della parete nord<br />

desta una certa perplessità dal momento che, situato sotto la muratura poc’anzi descritta,<br />

sembra esserci un muro più antico completato con pietre calcaree in una fase successiva.<br />

La continuazione della muratura antica si prolunga verso sud. Le tracce <strong>di</strong> un’antica<br />

abside sembrano attestare l’esistenza <strong>di</strong> una cappella unita alla chiesa 79 . Come ha notato<br />

anche A. Meksi, <strong>di</strong> questa cappella si conserva, sul lato ovest, un tratto <strong>di</strong> muro in conci <strong>di</strong><br />

tufo 80 .<br />

Nella parte alta del muro a nord si aprono due finestrelle ogivali. Inoltre, su questo lato, si<br />

trovano due porte <strong>di</strong> cui una ad arco, più antica, murata quando entrò in uso la seconda.<br />

Il lato est è stato sottoposto a una ricostruzione che chiarisce le fasi cronologiche <strong>di</strong> questa<br />

parte del monumento. Da un attento esame emerge che questo lato presenta l’utilizzo <strong>di</strong><br />

pietre tufacee a livello delle fondamenta, mentre più in alto abbiamo una seconda fase in cui<br />

si trovano pietre calcaree. Probabilmente a quest’ultima fase appartiene il lintello collocato<br />

sopra la finestralla dell’abside, recante l’iscrizione del latina:<br />

AN(N)O D(OMINI) M(C)CCCLXII / MEM(EN)TO D(OMI)NE FAMUL(ORUM) / TU(OR)U(M)<br />

PERLATARUM CUM / O(MN)IB(US) SUIS AM(ICIS) 81<br />

che tradotta significa:<br />

Anno del Signore 1462. Ricordati, Signore, dei tuoi servi Perlataj insieme a tutti i loro amici.


All’interno della chiesa si notano varie zone affrescate, che hanno non solo un valore<br />

artistico, ma offrono anche in<strong>di</strong>zi sullo sviluppo storico del monumento 82 .<br />

Complessivamente riteniamo che la chiesa <strong>di</strong> Balldren abbia un alto valore dal punto <strong>di</strong><br />

vista architettonico. In<strong>di</strong>pendentemente dai dati documentari ed epigrafici, il problema della<br />

sua datazione va rivisto tenendo conto principalmente dei resti del muro nord dove, a livello<br />

del suolo, emergono tracce <strong>di</strong> una seconda abside 83 .<br />

III. C. 8<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Eufemia – Kallmet<br />

La chiesa <strong>di</strong> S. Eufemia compare per la prima volta nell’anno 1343, in un documento in<br />

cui lo zar serbo Stefan Dushani la elenca insieme alle chiese<br />

appartenenti alla <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Albania (Kruja) 84 . Il 12 novembre 1404, Papa Innocenzo VII scrive<br />

al vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> Andrea, concedendogli il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> usufruire delle ren<strong>di</strong>te della chiesa<br />

parrocchiale <strong>di</strong> S. Eufemia a Kallmet 85 . Dopo la conquista turca, nell’anno 1478, veniamo a<br />

sapere che il vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> non risiede più in città, ma si è spostato a Kallmet 86 . Circa due<br />

secoli più tar<strong>di</strong> il vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, Benedetto Orsini, pone S. Eufemia <strong>di</strong> Kallmet nella lista<br />

delle chiese della propria <strong>di</strong>ocesi 87 . Nello stesso tempo la ricorda anche in una lettera dell’8<br />

febbraio 1637 <strong>di</strong>retta al vescovo <strong>di</strong> Sapa, Fran Bardhi 88 , dopo due mesi, in un’altra lettera del<br />

28 maggio 1637 89<br />

Gli abitanti della zona chiamano questa chiesa nella forma <strong>di</strong>alettale: “Kisha e Sh’Misë”.<br />

L’e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto si trova nel villaggio <strong>di</strong> Kallmet i Vogel ad un’altitu<strong>di</strong>ne considerevole, sulle<br />

pen<strong>di</strong>ci occidentali d’una parete rocciosa <strong>di</strong> formazione calcarea. Da questo sito si può<br />

ammirare tutta la pianura del Drin <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> fino a Mal e Zefjanës sopra Bushat, a Mal<br />

Tarabosh e al castello <strong>di</strong> Scutari.<br />

Presso la chiesa, filtrando dalla roccia sgorga un’abbondante sorgente d’acqua, che si<br />

riversa all’interno dell’aula sacra per uscire, poi, sul sagrato. I fedeli ritengono che si tratti <strong>di</strong><br />

un’acqua purificatrice e benedetta. La chiesa è priva <strong>di</strong> abside. Al suo posto è inclusa tra le<br />

mura la viva roccia 90 .<br />

Dell’antica chiesa oggi sono ancora visibili solamente una parte delle fondamenta e i<br />

montanti delle porte <strong>di</strong> pietra ben lavorata con croci in rilievo. Allo stato attuale delle cose è<br />

<strong>di</strong>fficile pronunciarsi sulle precedenti fasi <strong>di</strong> costruzione. Solo la relazione del vescovo<br />

Benedetto Orsini, dell’anno 1629, c’informa <strong>di</strong> alcuni importanti lavori da lui stesso avviati:<br />

“... l’ho riparata e ho costruito una casa per il prete...” 91 . Oggi la chiesa è stata del tutto<br />

ricostruita sulle vecchie fondamenta. Si tratta <strong>di</strong> una costruzione a navata unica, con un<br />

portico, che si sviluppa sul lato occidentale, sostenuto da due colonne.<br />

Il presbiterio della chiesa 92 , dopo i recenti interventi, ha guadagnato un’aspetto<br />

interessante dal punto <strong>di</strong> vista architettonico. Di particolare suggestione è l’acqua sorgiva che<br />

scaturisce da sotto l’altare.<br />

Essa riempie un canaletto che attraversa in lunghezza tutto l’asse me<strong>di</strong>ano della navata e<br />

che continua sotto le lastre <strong>di</strong> pietra del sagrato, per riversarsi scrosciante tra le querce che<br />

ricoprono il pen<strong>di</strong>o scosceso del monte.<br />

A utilità dei pellegrini, intorno alla chiesa è stato ricavato un cortile sfruttando alcune<br />

piccole cavità e il taglio della roccia calcarea. Il bel paesaggio invita al ritiro e al<br />

pellegrinaggio. Da questo punto <strong>di</strong> vista, per gli abitanti del luogo questa chiesa non è in<br />

nulla inferiore al più famoso santuario <strong>di</strong> S. Antonio a Laç-Sebaste.<br />

Non essedo più visibili i resti antichi dell’e<strong>di</strong>ficio, non ci resta che tener conto delle sole<br />

fonti letterarie e porre, dunque, l’origine della chiesa <strong>di</strong> S. Eufemia ai primi del XIV sec.<br />

III. C. 9.<br />

Chiesa <strong>di</strong> Kastejnoti – Contrada Kepsh <strong>di</strong> Kallmet


Tra<strong>di</strong>zioni orali e alcune rovine testimoniano la passata esistenza <strong>di</strong> una chiesa nei<br />

pressi della cima del monte chiamato Kastenjoti 93 , sul lato occidentale della contrada Kepsh.<br />

Il sito è costituito da un pianoro sul passo montuoso chiamato “Lugu i Kastenjotit”. Gli<br />

abitanti più anziani della contrada, oggi ridotti a poche persone, sono originari del villaggio<br />

montano <strong>di</strong> Vela e da sempre ricordano questa chiesa solo come rudere. Tuttavia, sul rilievo<br />

<strong>di</strong> fronte a Kastenjoti sono visibili i resti <strong>di</strong> una casa canonica e <strong>di</strong> alcune tombe anonime. Gli<br />

abitanti del posto chiamano questa chiesa con <strong>di</strong>versi nomi: Kisha e Kashtenjotit, Kisha e<br />

Shkjaut e Kisha e Gogëve, senza alcun titolo de<strong>di</strong>catorio a qualche santo. Gli abitanti, inoltre,<br />

c’informano <strong>di</strong> un altro fatto interessante. Al tempo in cui i loro padri scesero da Vela,<br />

accadde che, mentre scavano le fondamenta delle loro nuove case, oppure mentre aravano<br />

alcuni poderi, s’imbatterono in antiche costruzioni e in tombe con scheletri. Questi<br />

ritrovamenti avrebbero dato origine agli antichi toponimi <strong>di</strong>: “Ndërtime të Gogëve” oppure<br />

“Varret e Gogëve” 94 .<br />

Dall’osservazione del terreno risulta che ben poco delle antiche rovine <strong>di</strong> questa chiesa è<br />

giunto fino a noi 95 . La ricostruzione <strong>di</strong> uno schizzo planimetrico è possibile solo<br />

approssimativamente grazie alla presenza <strong>di</strong> alcuni contorni <strong>di</strong> fondamenta alte 0,10 m,<br />

conservati soprattutto sul lato nord, su quello sud e presso l’abside.<br />

Tenendo conto <strong>di</strong> questi pochi dati, si può <strong>di</strong>re che il sacro e<strong>di</strong>ficio era formato da una sola<br />

navata e che misurava all’incirca 7 m x 12 m. Sul lato nord si possono rilevare le tracce <strong>di</strong> un<br />

ingresso 96 . Questo tipo <strong>di</strong> planimetria ci sembra del tutto analogo a quello rilevato per la<br />

chiesa <strong>di</strong> S. Pietro <strong>di</strong> Rrenc.<br />

In superfice abbiamo raccolto alcuni frammenti <strong>di</strong> tegola appartenenti alla copertura della<br />

chiesa. Dal punto <strong>di</strong> vista tecnico le murature appaiono costruite con pietre <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a<br />

grandezza ben lavorate, legate con malta impastata con sabbia e calce <strong>di</strong> cattiva qualità.<br />

Il sito topografico della chiesa <strong>di</strong> Kastenjoti è posto quasi alla stessa altitu<strong>di</strong>ne della chiesa<br />

<strong>di</strong> S. Eufemia <strong>di</strong> Kallmet, più a nord-est e, <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> S. Giovanni Decollato che sorge più a<br />

sud, a Merçi. La tra<strong>di</strong>zione locale conserva anche la memoria <strong>di</strong> un sentiero che legava tra <strong>di</strong><br />

loro queste località.<br />

Colpisce il fatto che le fonti storiche, pur offrendo notizie per tutte le chiese circostanti,<br />

perfino per quelle delle zone montuose più interne, non <strong>di</strong>cano nulla della chiesa <strong>di</strong><br />

Kastenjot. Tuttavia, è evidente che gli attuali abitanti della contrada Kepsh, come pure quelli<br />

<strong>di</strong> Kallmet non mantengono alcun legame spirituale o sentimentale con questa chiesa,<br />

nemmeno il ricordo del titolo. Il fatto fa pensare che, in antico, la collina <strong>di</strong> Kastenjot sia<br />

stata occupata da abitanti <strong>di</strong> ceppo <strong>di</strong>verso.<br />

La mancanza <strong>di</strong> dati storici, i resti assai modesti, come pure la <strong>di</strong>versità degli interventi,<br />

rendono alquanto <strong>di</strong>fficile proporre una datazione esatta della costruzione. Tenendo conto dei<br />

dati sopra esposti e <strong>di</strong> quelli che ci parlano dell’esistenza <strong>di</strong> un centro abitato, probabilmente<br />

abbandonato dopo la conquista turca, ipotizziamo che la Kisha e Kastenjotit possa essere<br />

collocata in un periodo precedente al XV sec.<br />

III. C. 10<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Michele – Grykë Manati<br />

La chiesa <strong>di</strong> S. Michele si trova sulla sponda sinistra del torrente <strong>di</strong> Manati, a circa<br />

200-300 metri dalla vecchia strada per Tirana. In posizione dominante sul villaggio <strong>di</strong> Grykë-<br />

Manati, costituisce un elemento pittoresco del paesaggio.<br />

A est della chiesa si erge un ripido pen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> natura calcarea, da cui sgorga una copiosa fonte<br />

d’acqua, che rende ameno il sito su cui sorge questo e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto. La chiesa presenta una<br />

semplice planimetria a navata unica e misura 7,60 m <strong>di</strong> larghezza e 10,70 m <strong>di</strong> lunghezza. I<br />

muri della chiesa oggi si conservano pressapoco fino all’altezza del tetto. Sul lato est esiste<br />

ancora l’abside e su quello opposto si apre la porta d’ingresso <strong>di</strong> cui si conservano i montanti<br />

e l’arco in pietra.<br />

Sulla parte esterna della facciata, sopra la porta, sono visibili tracce del tetto <strong>di</strong> un portico,<br />

del quale, tuttavia, non è possibile precisare le misure. Si trattava, probabilmente, <strong>di</strong> una<br />

semplice tettoia presente solo su questo lato della chiesa.


La chiesa è pavimentata con lastre pietra conservate per la maggior parte della superfice<br />

interna. Ugualmente nel presbiterio si trovano ancora i i resti dell’altare. E’ interessante<br />

notare che nei muri non compaiono segni <strong>di</strong> finestre, il che ci fa pensare che il servizio<br />

liturgico si svolgesse al lume delle sole candele.<br />

Lo stato attuale della costruzione, con permette <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere facilmente le <strong>di</strong>verse fasi<br />

costruttive. Nonostante la campana conservata all’esterno della chiesa porti la data 1926, a<br />

nostro avviso, l’e<strong>di</strong>ficio oggi visibile potrebbe essere stato costruito ai primi del ‘900.<br />

La posizione geografica in una zona molto favorevole all’inse<strong>di</strong>amento e la concezione<br />

architettonica c’induce a supporre fasi costruttive precedenti da collocare tipologicamente in<br />

pieno me<strong>di</strong>oevo. Potrebbe essere interessante approfon<strong>di</strong>re l’eventuale identificazione della<br />

fase antica <strong>di</strong> questa chiesa con quella dei SS. Cosma e Damiano attribuita al villaggio <strong>di</strong><br />

Manati dall’Orsini, per la quale, essendo stata “rouinata dagli infedeli...si è domandata licenza<br />

a’ Turchi <strong>di</strong> preparare Cementi per restaurare” 97 . L’ipotesi potrebbe avere una qualche<br />

consistenza se si considera che in molti casi le chiese hanno mutato il titolo col cambiare dei<br />

tempi e delle popolazioni che, <strong>di</strong>scendendo dall’interno della Malsia e Lezhës, da villaggi come<br />

come Kashnjeti e Ungrej, si sono inse<strong>di</strong>ate in pianura. Cosi’ l’o<strong>di</strong>erno titolo <strong>di</strong> S. Michele può<br />

aver sostituito quello più antico.<br />

III. C. 11<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Biagio – Manati i Vjetër (località Solamunt)<br />

La chiesa si trova a ovest del villaggio <strong>di</strong> Manati i Vjetër, nella contrada oggi quasi del<br />

tutto abbandonata, che conserva il nome me<strong>di</strong>evale <strong>di</strong> Solamunt. Proprio in questa località,<br />

l’arcivescovo <strong>di</strong> Antivari, Marino Bizzi, nella relazione del 1610 in<strong>di</strong>rizzata a papa Paolo V,<br />

ricorda l’esitenza del sacro e<strong>di</strong>ficio. Tra l’altro egli sottolinea che: “La chiesa sudetta è assai<br />

buona ma in parte montuosa, e lontana” 98 . Così pure il vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, Benedetto Orsini,<br />

nella sua relazione del 1629, colloca la chiesa <strong>di</strong> S. Biagio <strong>di</strong> Solomun<strong>di</strong> nella lista delle chiese<br />

allora appartenenti alla <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> 99 .<br />

La chiesa sorge su un rilievo roccioso inserito in un paesaggio tipicamente carsico e<br />

ricoperto dalla macchia me<strong>di</strong>terranea. L’ambiente naturale, unito alla rilevante architettura<br />

della chiesa, crea un ambiente, che rallegra tanto l’occhio che lo spirito.<br />

L’e<strong>di</strong>ficio sacro, a navata unica, ha il consueto assetto est-ovest e misura 4,70 m x 14,75.<br />

La tecnica <strong>di</strong> costruzione, con impiego <strong>di</strong> pietre calcaree legate con malta <strong>di</strong> calce, in molte<br />

parti della muratura non si presenta uniforme. In facciata e nel muro absidale, in prossimità<br />

delle porte e delle finestre, si nota una gran cura nella lavorazione delle pietre e nella<br />

regolarità delle fugature. Qua e là, tra i ricorsi della muratura sono inseriti anche travetti <strong>di</strong><br />

legno allo scopo <strong>di</strong> legare meglio il muro e come precauzione antisismica.<br />

La Chiesa, in facciata, è completata da un portico quadrato, sorretto da quattro colonne.<br />

Misura 4,70 m x 3 m, similmente a molte altre chiese me<strong>di</strong>oevali <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>ocesi. Il lato est<br />

è formato dall’abside conservata fino al livello del catino.<br />

Questa parte è costruita con gran cura e si <strong>di</strong>stingue per la qualità del taglio dei conci e<br />

per la regolarità delle fughe. All’interno dell’abside, sulla linea <strong>di</strong> congiungimento con la<br />

navata, si trova il basamento in muratura dell’altare, che misura 2,20 x 1,5. Su <strong>di</strong> esso<br />

abbiamo trovato, appoggiata, un’acquasantiera <strong>di</strong> pietra. La porta principale della chiesa, sul<br />

lato ovest, presenta montanti in pietra dello spessore <strong>di</strong> 1 m.<br />

Sul lato sud-est si trova una piccola porta, che in origine era protetta da una semplice<br />

tettoia. Questa poggiava su <strong>di</strong> un basamento in muratura <strong>di</strong> 2,20 m x 1,50 m, mentre la<br />

copertura in legno era sorretta da due travi poste in verticale. Su questo stesso lato si trovano<br />

quattro piccole finestre a feritoria. Altrettanto avviene per i muri nord e nord-est. Particolare<br />

interesse suscita l’ingran<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> una finestra, ora <strong>di</strong>strutta, quasi al centro del muro, e<br />

riutilizzata come piccola porta.<br />

Al limite occidentale del muro nord, sono visibili le fondamenta della torre campanaria, la<br />

cui pianta misura 3. 60 m x 3 m. Il campanile comunicava con l’interno della chiesa per<br />

mezzo <strong>di</strong> una porta, ora <strong>di</strong>strutta dalle <strong>di</strong>mensioni non più rilevabili. Resti <strong>di</strong> travature in<br />

legno nella parte ovest della navata rivelano la passata esistenza <strong>di</strong> un soppalco destinato ad<br />

aumentare la capienza della chiesa. In conclusione possiamo affermare che la tecnica


costruttiva <strong>di</strong> questo e<strong>di</strong>ficio me<strong>di</strong>oevale rivela <strong>di</strong>verse fasi costruttive o vari restauri.<br />

All’esterno va notato tutt’intorno alla chiesa un cortile con un muro <strong>di</strong> recinzione fatto <strong>di</strong><br />

pietre comuni lavorate a secco.<br />

Questo spazio è stato a<strong>di</strong>bito a cimitero, soprattutto dalla parte ovest e sud. Colpisce la<br />

cura con cui sono realizzate le sepolture, specialmente per quanto riguarda le croci <strong>di</strong> pietra,<br />

<strong>di</strong> forma <strong>di</strong>versa e ornate in rilievo con soggetti guerreschi o <strong>di</strong> ispirazione orientale.<br />

Questa chiesa è stata officiata fino al 1967 100 , senza essere successivamente usata per altri<br />

scopi. Per questo motivo l’e<strong>di</strong>fico si è conservato relativamente bene. Il tetto deve essere<br />

caduto 10 o 15 anni fa. Presso questa chiesa la popolazione cattolica ha celebrato ogni anno<br />

la festa <strong>di</strong> S. Biagio (3 febbraio). La posizione topografica, lo stato <strong>di</strong> conservazione, la<br />

tipologia architettonica e altri elementi mantenuti fino ad oggi fanno della chiesa <strong>di</strong> S. Biagio<br />

<strong>di</strong> Solamunt uno dei più tipici esempi <strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficio sacro delle zone rurali della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>.<br />

Dai vecchi abitanti <strong>di</strong> Manati e Vjetër abbiamo raccolto l’informazione che oltre a questa<br />

chiesa, fino alla metà dello scorso secolo, ne è esistita un’altra de<strong>di</strong>cata a S. Giuseppe.<br />

Quest’ultima sorgeva su <strong>di</strong> una piccola terrazza, al <strong>di</strong> là del torrente, <strong>di</strong> fronte alla chiesa <strong>di</strong><br />

S. Biagio. Le rovine <strong>di</strong> questo e<strong>di</strong>ficio sacro sono completamente ricoperte dalla boscaglia. Per<br />

documentare più esattamente questa chiesa, ormai quasi del tutto <strong>di</strong>menticata, sarebbe<br />

necessario procedere a una ripulitura del sito.<br />

III. C. 12<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Demetrio – Tresh<br />

I resti dell’antica chiesa <strong>di</strong> S. Demetrio si trovano immersi tra boschi e cespugli a est<br />

dell’antica contrada <strong>di</strong> Dardha tra le alture al <strong>di</strong> sopra del villaggio <strong>di</strong> Manati i Vjetër. La<br />

tra<strong>di</strong>zione popolare ha deformato il nome originale S. Demetrio in Sh’Metri.<br />

L’arcivescovo <strong>di</strong> Antivari, Marino Bizzi, nella sua relazione del 1610 annota la visita <strong>di</strong> “un<br />

altro villaggio ancor più dentro fra i monti, chiamato Dardha <strong>di</strong> 30 case de Cristiani per<br />

ogn’una” servito da D. Nicolò Giunsi 101 . Il vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, Benedetto Orsini, nella sua<br />

relazione del 1629, ricorda molto esattamente la chiesa con il titolo <strong>di</strong> “S. Demetrio <strong>di</strong><br />

Dardha” 102 . Nel corso del XVII sec. il sacro e<strong>di</strong>ficio è ancora menzionata da altri due<br />

documenti del vescovo Mark Skura, rispettivamente del 20 <strong>di</strong>cembre 1641 103 e del 1644 104 .<br />

Di questa bella costruzione me<strong>di</strong>oevale sono ci sono giunti i muri quasi fino all’altezza del<br />

tetto. La folta vegetazione ha reso piuttosto <strong>di</strong>fficoltosa la realizzazione dei rilievi topografici,<br />

delle misure e della descrizione tecnica.<br />

La chiesa, in perfetto allineamento est-ovest, presenta una planimetria a una sola navata.<br />

L’abside, dalle misure relativamente gran<strong>di</strong>, è realizzata con maestria e conserva<br />

parzialmente il catino absidale.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista tecnico, i muri sono e<strong>di</strong>ficati con conci <strong>di</strong> pietra ben tagliati. Una<br />

lavorazione particolarmente curata è riservata alle porte, alle finestre dell’abside e alla<br />

facciata. La chiesa ha quattro finestre aperte rispettivamente due a settentrione e due a<br />

mezzogiorno. In facciata troviamo la porta principale e una porta secondaria sul lato nord.<br />

Dalle osservazioni fatte sul monumento si evidenziano due successive fasi costruttive. La<br />

fase principale riguarda l’insieme della costruzione, mentre la successiva, che si <strong>di</strong>stingue<br />

nettamente per il mutare della tecnica muraria, riguarda alcuni restauri abbastanza recenti.<br />

All’interno dell’abside della chiesa è posta una croce tombale che porta le date 1910 e 1928.<br />

III. C. 13<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Alessandro,<br />

Spiten<br />

Il nome <strong>di</strong> questa chiesa monastica compare per la prima volta in una bolla papale del<br />

1402 sotto il titolo <strong>di</strong> San Alexandro in Collematia 105 . Shuflai spiega l’etimologia del toponimo


Collamatia facendola derivare dall’albanese Colle-Matia, cioè Ciglio <strong>di</strong> Mati. Lo stu<strong>di</strong>oso ritiene<br />

che questo monastero possa essere stato utilizzato come residenza invernale dei conquistatori<br />

serbi, prima, e dei feudatari locali Balshaj, poi. Nel 1441 l’abate <strong>di</strong> questo famoso monastero<br />

fu elevato alla cattedra vescovile <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> 106 . Quasi due secoli più tar<strong>di</strong>, il vescovo Benedetto<br />

Orsini menziona la chiesa con la denominazione <strong>di</strong> S. Alessio de Caproli 107 , italianizzazione<br />

del nome evoluto in Koprol, Kopruell, Pruell 108 , toponimo <strong>di</strong> una contrada <strong>di</strong> Spiten. Infine, la<br />

relazione del vescovo Mark Skura (dopo il 1644) ricorda questa chiesa con il nome <strong>di</strong> S.<br />

Alessandro <strong>di</strong> Bojani (Shën Leka e Bojanit) 109 . Al presente, per la popolazione locale il<br />

monumento è noto con il nome <strong>di</strong>alettale <strong>di</strong> kisha e Sh’Lledrit.<br />

Il complesso ecclesiastico sorge in posizione panoramica spettacolare sul ciglio <strong>di</strong> una<br />

parete rocciosa a picco sugli attuali villaggi <strong>di</strong> Spiten e <strong>di</strong> Zejmen. Dall’alto lo sguardo si<br />

stende su tutto il golfo del Drin, da Kepi i Redonit fino a Rëra e Hedhur oltre Shëngjin. Si<br />

possono vedere anche molte altre chiese dei <strong>di</strong>ntorni. Nei pressi esiste ancora il cimitero del<br />

villaggio. Naturalmente un sito tanto favorevole spiega bene il carattere <strong>di</strong> meta <strong>di</strong><br />

pellegrinaggi rivestito da questa chiesa, come si ricorda nel 1402 110 . Riteniamo che questo<br />

complesso conservi ancora riconoscibili le parti tipiche <strong>di</strong> un vero e proprio monastero. Sono<br />

ben <strong>di</strong>stinguibili i muri <strong>di</strong> recinzione lavorati con cura, soprattutto nella parte in cui si<br />

congiungono all’ingresso principale.<br />

Il portale del monastero comprende un arco impostato su due pilastri <strong>di</strong> pietra scolpita. Il<br />

legante è un malta <strong>di</strong> buona qualità. Il resto dei muri <strong>di</strong> recinzione è costruito “a secco”.<br />

Differenze costruttive si notano solo in corrispondenza della porta principale e <strong>di</strong> una<br />

seconda porta che collega la chiesa con la parte abitativa. La chiesa <strong>di</strong> S. Alessandro<br />

<strong>di</strong>fferisce dalle altre soprattuto per la presenza <strong>di</strong> un portico abbastanza ampio collocato sul<br />

lato occidentale.<br />

Attualmente la chiesa si presenta allo stato <strong>di</strong> rudere. Solo la parte est con l’abside è<br />

ancora ben visibile sopra il livello del terreno. Un esame superficiale rivela che la chiesa ha<br />

conosciuto <strong>di</strong>verse fasi <strong>di</strong> sviluppo, tra cui quella forse più tar<strong>di</strong>va del portico. L’interno della<br />

chiesa è ingombro <strong>di</strong> macerie. Per lo più si tratta <strong>di</strong> scaglie <strong>di</strong> pietra, <strong>di</strong>sposte sul tetto a<br />

capriate lignee come copertura.<br />

Con la prima fase costruttiva possono essere messi in relazione molti materiali antichi, che<br />

ora appaiono riusati in parti più recenti. Così, per esempio, sopra la porta occidentale spicca<br />

una nicchia realizzata con l’impiego del profilo <strong>di</strong> una cornice, appartenuta alla fase<br />

costruttiva più antica. Anche la muratura rivela chiaramente due fasi <strong>di</strong> costruzione: la<br />

prima, nella parte inferiore, caratterizzata dall’impiego <strong>di</strong> grosse pietre legate con malta fatta<br />

<strong>di</strong> calce e sabbia fine, la seconda, nella parte superiore, evidenziata da pietre piccole,<br />

frettolosamente <strong>di</strong>sposte, legate con materiale scadente.<br />

La chiesa <strong>di</strong> S. Alessandro, allo stato attuale, ha una planimetria rettangolare con abside<br />

ad oriente e portico quadrato sul lato occidentale <strong>di</strong> facciata. L’unico ingresso che immette<br />

all’interno è la porta sul lato ovest. Qui si possono ancora vedere i resti dei battenti <strong>di</strong> legno<br />

della porta e la nicchia <strong>di</strong> cui abbiamo già parlato. La parete nord, meglio conservata rispetto<br />

alle altre, è danneggiata in corrispondenza dell’angolo <strong>di</strong> congiunzione con gli altri muri. Il<br />

materiale costruttivo qui impiegato è costituito da pietre calcaree lavorate. Al centro <strong>di</strong> questa<br />

parete, inoltre, è visibile una grande e profonda nicchia, realizzata con conci <strong>di</strong> tufo e<br />

completata da un archetto a tutto sesto. L’abside è stata e<strong>di</strong>ficata con grande cura e si<br />

<strong>di</strong>fferenzia da tutte le altre che abbiamo incontrato nella zona per la sua pianta semicircolare<br />

all’interno e pentagonale all’esterno. Inoltre, in questa parte sono impiegati bei conci <strong>di</strong><br />

pietra, legati con malta color ocra scuro. Questa modalità esecutiva è considerata da A. Meksi<br />

come una fase tarda <strong>di</strong> ricostruzione della zona absidale 111 .<br />

Per quanto riguarda la datazione della chiesa <strong>di</strong> S. Alessandro, non abbiamo dati certi,<br />

tuttavia le fonti storiche e la tipologia costruttiva possono orientarci nell’affermare che il<br />

sacro e<strong>di</strong>ficio deve essere stato costruito nell’intervallo tra i secoli XIII e XIV. A. Meksi ritiene<br />

che, in seguito, abbia avuto più <strong>di</strong> una ricostruzione. L’intervento più cospicuo sarebbe da<br />

attribuire al XIX sec. 112 .<br />

III. C. 14<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Nicola – Zejmen


Fu <strong>di</strong> un’altura rocciosa, sorge la chiesa <strong>di</strong> S. Nicola, appartenente al villaggio <strong>di</strong><br />

Zejmen 113 .<br />

Questo monumento è menzionato per la prima volta<br />

nell’anno 1610 da M. Bizzi, il quale annota che nel villaggio <strong>di</strong> Zojmen:”Ivi è la chiesa sotto il<br />

titolo <strong>di</strong> S. Nicolo non molto grande, ma in occasion d’alcuni pittori che passaron per tutta<br />

l’Albania, è stata assai ben adornata <strong>di</strong> pitture, e specialmente nel portico <strong>di</strong> fuori, capace <strong>di</strong><br />

200 persone ben fabbricato con i suoi se<strong>di</strong>li intorno. La pala dell’altare con l’imagine della<br />

beata Vergine. Ha un calice con la patena, et una croce <strong>di</strong> argento; una pianeta <strong>di</strong> damasco<br />

cremisino; una campana dentro alla chiesa per sonar alla messa” 114 .<br />

La chiesa <strong>di</strong> Zejmen risulta anche nell’elenco compilato nel 1629 dal vescovo B. Orsini 115 .<br />

Compare, inoltre, in successivi documenti storici e relazioni ecclesiastiche degli anni 1637 116 ,<br />

1641 117 e 1644 118 .<br />

Nel corso dei suoi viaggi, Th. Ippen 119 , segnala due chiese antiche, quella <strong>di</strong> Zejmen e<br />

quella <strong>di</strong> Pllana, le quali sorgono sulle pen<strong>di</strong>ci montuose <strong>di</strong> Bokjani e sono <strong>di</strong>vise tra <strong>di</strong> loro<br />

da una stretta valle. Nell’antica chiesa <strong>di</strong> Zejmen, secondo l’autore, sono visibili sul lato<br />

destro tracce <strong>di</strong> affreschi. In essi compare una Madonna in trono che regge in grembo il<br />

piccolo Gesù, realizzata “con colori molto freschi e <strong>di</strong> buona fattura”. Ippen, sulla base dello<br />

stile pittorico, attribuisce gli affreschi alla fine del XIV o all’inizio del XV sec. 120 .<br />

Aleksandër Meksi, alcuni anni fa, ha potuto osservare i resti architettonici che formano<br />

l’e<strong>di</strong>ficio sacro in con<strong>di</strong>zioni migliori <strong>di</strong> quelle attuali 121 . Oggi, purtroppo, molte parti del<br />

monumento esistono solo nelle sue annotazioni. Così la nostra descrizione sarà <strong>di</strong> volta in<br />

volta completata dai dati finora pubblicati.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista costruttivo, risultano evidenti numerose riparazione compiute in epoche<br />

<strong>di</strong>fferenti. Le nostre osservazioni mettono in luce cambiamenti <strong>di</strong> tecnica costruttiva dei muri<br />

e dei componenti della malta, soprattutto riguardo al pavimento, al portico e all’abside, dove<br />

si riscontrano gli interventi più antichi. Riteniamo che solo uno scavo archeologico sia in<br />

grado <strong>di</strong> chiarire dettagliatamente il processo delle trasformazioni architettoniche avvenute<br />

nel corso della storia <strong>di</strong> questa costruzione.<br />

Attualmente la chiesa <strong>di</strong> S. Nicola presenta una planimetria rettangolare con abside<br />

semicircolare a est. Alla costruzione appartiene, sul lato ovest, anche un portico, certamente<br />

più recente delle altre parti.<br />

La parte più antica dell’e<strong>di</strong>ficio sembra essere quella a nord. All’estremita est <strong>di</strong> questo<br />

muro spiccano due pilastri sui quali erano impostati tre archi. Questa tecnica costruttiva è la<br />

stessa impiegata anche nella chiesa me<strong>di</strong>oevale del castello <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> .<br />

Sul lato esterno del muro sono visibili alcune riparazioni la cui fugatura si <strong>di</strong>fferenzia dal<br />

resto. I resti <strong>di</strong> alcuni attacchi nella parte ovest e la partenza <strong>di</strong> un arco trasversale al muro è<br />

spiegato da A. Meksi con il fatto che, a suo avviso, i muri laterali della chiesa erano costituiti<br />

da pilastri e archi ciechi, mentre la copertura era a volta e con archi trasversali 122 .<br />

L’interno della chiesa, sul lato <strong>di</strong> facciata, era reso più capiente da un soppalco sorretto<br />

dal portico, mentre la decorazione pittorica è ancora testimoniata da lacerti <strong>di</strong> affresco a due<br />

strati sovrapposti. E’ probabile che il muro sud-est appartenga a una seconda fase più<br />

recente. Qui è inserita l’abside semicircolare realizzata con conci <strong>di</strong> tufo. Altri simili sono<br />

impiegati anche negli angoli della costruzione legati con malta rossastra. Nella parte sud si<br />

aprono due finestre con architrave. La pavimentazione è costituita da un lastricato <strong>di</strong> pietra,<br />

fatto comune ad altre chiese della <strong>di</strong>ocesi.<br />

Come già notato più sopra all’interno del lato ovest troviamo una sorta <strong>di</strong> loggia a cui si<br />

sale me<strong>di</strong>ante una scala <strong>di</strong> legno, similmente a quanto si riscontra nella chiesa <strong>di</strong> S. Barbara<br />

a Pllana 123 .<br />

Sulla base del confronto architettonico <strong>di</strong> questo monumento con quelli <strong>di</strong> Kakariq e <strong>di</strong><br />

Blinisht, A. Meksi conclude che la primitiva fase della chiesa <strong>di</strong> S. Nicola è da ascriversi al<br />

XIV sec., mentre i restauri successivi è possibile che siano stati realizzati in epoca<br />

ottomana 124 .<br />

III. C. 15<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Barbara – Pllanë (Shën Barbullës)


La chiesa <strong>di</strong> S. Barbara <strong>di</strong> trova sulla cima <strong>di</strong> un colle nella parte orientale del villaggio<br />

<strong>di</strong> Pllana. Dagli abitanti del posto è conosciuta nella forma <strong>di</strong>alettale <strong>di</strong> Kisha e Shën<br />

Barbullës.<br />

L’attestazione piu antica dell’esistenza della chiesa risale alla relazione dell’arcivescovo <strong>di</strong><br />

Antivari, Marin Bizzi, del 1610. Egli annota che durante la sua visita a Pedana ha trovato:<br />

“una buona chiesa capace <strong>di</strong> 500 persone sotto il titolo <strong>di</strong> Santa Barbara, con un bel portico<br />

grande innanzi” 125 . Piu tar<strong>di</strong>, nel 1629, B. Orsini mette questa chiesa nella lista <strong>di</strong> quelle<br />

appartenenti alla <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> e la descrive come fornita <strong>di</strong> campana, calice e paramenti<br />

126 . Anche il vescovo della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Albania, Mark Skuraj, nelle sue tre relazioni degli anni<br />

1637, 1641 e dopo il 1644 la considera come una chiesa della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, appartenuta<br />

in precedenza alla <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Kruja 127 .<br />

La planimetria della chiesa è semplice e comprende un corpo rettangolare con l’aggiunta <strong>di</strong><br />

un portico sul lato ovest. A est troviamo un’abside semicircolare in buono stato <strong>di</strong><br />

conservazione. Le murature sono realizzate con pietre calcaree alternate a qualche pietra<br />

tufacea. La malta <strong>di</strong> legamento impiegata ha la parvenza <strong>di</strong> un impasto grossolano, cosa che<br />

dà alla muratura un aspetto piuttosto rozzo.<br />

Come nelle altre chiese della zona, anche qui possiamo notare <strong>di</strong>verse fasi costruttive e<br />

interventi <strong>di</strong> ricostruzione, evidenti soprattutto nei muri nord e sud. In una fase successiva,<br />

alla parete nord è stato aggiunto un nuovo ambiente parallelo.<br />

A ovest troviamo l’ingresso principale protetto da un ambiente <strong>di</strong> cui fanno parte alcuni<br />

gra<strong>di</strong>ni che danno verso il portico. Qui, tanto sulla facciata esterna che su quella interna si<br />

possono ammirare alcune immagini <strong>di</strong> santi affrescati. Una porta secondaria si apre al centro<br />

del muro nord.<br />

Th. Ippen annota che gli affreschi sotto il portico esterno, a destra e sinistra della porta,<br />

hanno come soggetto S. Giorgio e S. Michele e ricoprono altri affreschi più antichi 128 . Lo stile<br />

pittorico può essere definito post-bizantino.<br />

Anche l’interno della chiesa, in controfacciata, è ornato con affreschi che A. Meksi<br />

considera proto-rinascimentali 129 .<br />

Negli ultimi anni la chiesa è stata sottoposta a lavori <strong>di</strong> restauro, che ne hanno conservato<br />

il carattere originale. Il tetto a capriate <strong>di</strong> legno è coperto con tegole. Una loggia, sostenuta<br />

dal portico si apre sul lato ovest per aumentare la capienza dell’aula liturgica.<br />

La chiesa <strong>di</strong> S. Barbara, secondo lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> A. Meksi, può essere datata nell’arco <strong>di</strong><br />

tempo che va dal XIII al XIV sec. 130 . Per quanto riguarda la parte costruita in mattoni rossi e<br />

sostenuta dalle colonne del portico, lo stu<strong>di</strong>oso ritiene che si tratti una ricostruzione<br />

abbastanza recente 131 dell’antico portico ricordato nel 1610 dal visitatore apostolico Marin<br />

Bizzi, arcivescovo <strong>di</strong> Antivari 132 .<br />

III. D<br />

Chiese dei secoli XVI –XVIII<br />

III. D. 1<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Pietro – Rrenc<br />

Lel villaggio <strong>di</strong> Mal Rrencit, contrada <strong>di</strong> Rrenc, sono visibili le rovine <strong>di</strong> una chiesa<br />

antica, chiamata dagli abitanti del luogo chiesa <strong>di</strong> S. Pietro 133 . La popolazione,<br />

stabilitasi qui a metà del me<strong>di</strong>oevo, ha trovato in questo pianoro <strong>di</strong> natura carsica un luogo<br />

adatto per la pastorizia e l’agricoltura. A questo va aggiunto il vantaggio della vicinanza del<br />

mare, con un luogo propizio come il Golfo <strong>di</strong> Shengjin. Di fatto gli abitanti del luogo hanno<br />

vissuto quasi isolati dal resto della pianura <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, uniti a Shengjin solo per mezzo <strong>di</strong> un<br />

sentiero. Riguardo a questo villaggio il registro catastale degli anni 1416-1417 annota 13<br />

case, che avevano la concessione <strong>di</strong> pesca nel golfo, dalla foce del Drin fino alla foce del<br />

Buna 134 .


I resti della chiesa <strong>di</strong> S. Pietro si trovano in un sito noto come: “Shkambi i Kishës”, nella<br />

parte nord-ovest della contrada soprannominata, un luogo molto protetto e mimetizzato<br />

nell’ambiente. Oggi i muri dell’e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto si conservano fino ad un’altezza <strong>di</strong> circa 1,10<br />

m.<br />

La chiesa, è a pianta rettangolare, misura 5,05 m x 9,90 m, con allineamento nord-est –<br />

sud-ovest. La tecnica <strong>di</strong> costruzione parla <strong>di</strong> una chiesa piuttosto povera. I muri sono spessi<br />

0,65 m, realizzati con pietre del posto ben scolpite, ma legate con una calce molto scadente. Il<br />

tetto doveva essere ricoperto <strong>di</strong> tegole, come suggerisce la presenza <strong>di</strong> numerosi frammenti <strong>di</strong><br />

questo materiale all’interno del perimetro. La chiesa è priva <strong>di</strong> abside. Al suo posto si trova<br />

un’incassatura nel muro sud-ovest. Non si osservano tracce <strong>di</strong> finestre. Nel muro nord-est si<br />

apre una porta larga 0,85 m. Singolare è il fatto che l’ingresso si trovasse dalla parte della<br />

parete roccosa, accessibile solo me<strong>di</strong>ante uno stretto corridoio incuneato tra chiesa e monte.<br />

Questa particolare <strong>di</strong>sposizione dell’e<strong>di</strong>ficio fa pensare che i cristiani del luogo abbiano<br />

frequentato la chiesa <strong>di</strong> nascosto, cosa che può essere avvenuta in alcuni perio<strong>di</strong> della<br />

dominazione turca, come lascia intendere la relazione scritta nel 1629 dal vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>,<br />

Benedetto Orsini: “... et questo ho fatto perchè l’altra Chiesa era lontana 4 miglia dalla villa<br />

oltre che era come una spelonca, et ricettacolo del Animali brutti” 135 . E’ molto probabile che<br />

Orsini intendesse proprio questa chiesa clandestina e che essa abbia perduto la sua funzione<br />

una volta costruita, su vecchie fondamenta, una nuova chiesa, ora chiamata <strong>di</strong> S. Nicola 136 .<br />

Riteniamo, dunque, che la chiesa <strong>di</strong> S. Pietro sia stata costruita nel <strong>di</strong>fficile periodo a meta’<br />

del XVI sec., quando la popolazione cristiana si ritirò nelle zone più impervie per mantenere e<br />

praticare al propria fede.<br />

III. D. 2<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Nicola – Mali i Rrencit<br />

Nella cornice montuosa <strong>di</strong> Mali i Rrencit, nel lugo oggi conosciuto con il nome <strong>di</strong> “Vorret<br />

e Shkreljave”, sorge la chiesa <strong>di</strong> S. Nicola.<br />

I muri, spessi 0,60 m, 0,65 m, sono conservati fino all’altezza <strong>di</strong> circa 2,50 m– 3 m dal<br />

suolo. La chiesa presenta una semplice pianta rettangolare <strong>di</strong> 5,8 m x 8,50 m con<br />

allineamento nord-sud. All’interno della parete est si trova l’altare, che misura 0,60 m x 1,70<br />

m x 0,80 m.<br />

In questo stesso muro sono ricavate tre nicchie profonde 0,40 m posizionate a tre quarti<br />

della sua altezza. Ciò che rende particolare questo e<strong>di</strong>ficio è il fatto che il lato ovest della<br />

chiesa è del tutto privo <strong>di</strong> parete <strong>di</strong> chiusura. Qui è presente solo un pilastro <strong>di</strong> muratura che<br />

sostiene il tetto.<br />

In tempi relativamente recenti la chiesa è stata completata con un campanile <strong>di</strong> buona<br />

fattura in cui trovano impiego pietre tagliate a cubo. Il campanile è a pianta quadrata e<br />

misura 2,5m x 2,5 m., <strong>di</strong>viso in due piani con cella campanaria nella parte più alta.<br />

Sul lato ovest del piano terra si trova l’ingresso. Sulla faccia esterna del massiccio<br />

architrave, tagliato ad arco da un’unica pietra, è scolpita la data 1936. Al primo piano, sui<br />

lati est, ovest, sud, si aprono le finestre della cella campanaria con arco a tutto sesto.<br />

In riferimento alla prima fase construttiva <strong>di</strong> questa chiesa possiamo rileggere le parole <strong>di</strong><br />

B. Orsini: “ho fatto a Rensi <strong>di</strong> nascosto li fondamenti della Chiesa <strong>di</strong> S. Mandalena, la quale<br />

poi con licenza de Turchi ho ridotta a perfetione cosa, che non haurei potuto fare se non avessi<br />

dato da intendere che cola era stata anticamente Chiesa” 137 . Per noi, oggi è impossibile<br />

verificare se in questo sito ci sia stata una chiesa prima dell’intervento dell’Orsini, ma le sue<br />

parole c’inducono a credere che prima dell’anno 1629 questo sia stato possibile.<br />

La chiesa è circondata da un sagrato ristretto che si estende per lo più a est, mentre nella<br />

parte opposta si trova il cimitero 138 . Colpiscono alcune tombe che sembrano risalire al XVIII,<br />

XIX e, forse, anche al principio del XX sec. Su <strong>di</strong> esse sono erette croci ottenute da lastre <strong>di</strong><br />

pietra, molto spesso sagomate in forme antropomorfiche, su cui sono scolpite rosette, simboli<br />

cosmologici, cinture, spade ecc... Questi motivi ricordano da vicino le tombe del cimitero<br />

presso la chiesa <strong>di</strong> S. Biagio a Manati i Vjetër (Solamund), e altre dei cimiteri della Malsinë e<br />

Shkrelit e quelle <strong>di</strong> Dinoshë e Vuksanlekaj poco lontano da Tuzi.


Benedetto Orsini riferisce che il nome della chiesa è S. Mandalena (= Maddalena). E’<br />

probabile che questo sia il nome antico, cambiato in seguito dai nuovi abitatori originari dalla<br />

Malsia e Shkrelit, che tra<strong>di</strong>zionalmente onoravano S. Nicola come patrono. Questo è un<br />

fenomento che altre volte abbiamo incontrato nella <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>.<br />

III. D. 3<br />

Cappella <strong>di</strong> S. Giorgio – Mal i Kakarriqit<br />

Ad occidente dell’attuale villaggio <strong>di</strong> Kakarriq, sulla dorsale del Mal i Kakarriqit, si<br />

estende un pianoro che anticamente ospitava un villaggio oggi del tutto<br />

abbandonato. Questo luogo è chiamato dagli abitanti del posto: Qabalash 139 . Qui e là<br />

affiorano nell’abbandono rovine <strong>di</strong> case 140 , come pure un cimitero noto con il nome <strong>di</strong> “Varret<br />

e Malcorëve”.<br />

Sul lato nord del campo santo si è conservata una cappella cimiteriale chiamata dagli<br />

abitanti del posto chiesa <strong>di</strong> S. Giorgio. Dall’esame da noi stessi compiuto risulta che le mura<br />

si sono conservate fino all’altezza del tetto 141 .<br />

Le mura della chiesetta hanno uno spessore <strong>di</strong> 0,65 m. La pianta è rettangolare e misura<br />

4,25 m x 5, 05 m con allineamento nord - sud. Sul lato est, all’interno <strong>di</strong> un’incassatura<br />

quadragolare, è inserito l’altare. Così pure sul lato ovest dell’altare si trova una nicchia<br />

simile.<br />

Il lato ovest della cappella è completamente aperto, probabilemente per permettere una più<br />

ampia partecipazione, soprattutto in occasione dei funerali. Questa planimetria è del tutto<br />

simile a quella della chiesa <strong>di</strong> S. Nicola a “Vorret e Shkrelajve” <strong>di</strong> Rrenc, fatta eccezione per le<br />

misure più ridotte e l’assenza <strong>di</strong> campanile. Si può ipotizzare che queste due chiese<br />

cimiteriali siano state costruite contemporaneamente sotto la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> uno stesso<br />

capomastro.<br />

Le più recenti sepolture presso la cappella risalgono all’ultimo decennio del XX sec. Oggi,<br />

sia la cappella che il cimitero non sono più utilizzati. Tuttavia, la venerazione degli abitanti<br />

per S. Giorgio fa sì che in questo luogo suggestivo si celebri ogni anno la memoria del santo.<br />

III. D. 4<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Giovanni – Kallmet i Vogël<br />

Nel villaggio <strong>di</strong> Kallmet i Vogël, vicino alla strada che conduce nella zona montuosa <strong>di</strong><br />

Ungrej, su <strong>di</strong> un colle ameno, sorge la chiesa <strong>di</strong> S. Giovanni Decollato.<br />

Una relazione <strong>di</strong> Fran Bardhi, datata 10 aprile 1641, menziona questa chiesa come<br />

cappella <strong>di</strong> Kallmet 142 .<br />

L’e<strong>di</strong>ficio è orientato, a pianta rettangolare e misura 11,65 m x 6,10 m.<br />

Dinnanzi alla porta principale si trova un portico sorretto da colonne, <strong>di</strong> 4,50 m x 6,10 m e<br />

un sagrato, attualmente a<strong>di</strong>bito a luogo <strong>di</strong> sepoltura. Le tombe sono segnate da croci scolpite<br />

in varie forme stilizzate, probabilmente <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi perio<strong>di</strong>.<br />

Due pietre con iscrizioni latine frammentarie sono inserite nella muratura come materiale<br />

<strong>di</strong> spolio. Una si trova nella nicchia ricavata dentro l’arco che sovrasta l’architrave della<br />

porta. L’altra, invece, è collocata sul lato sinistro, vicino al montante della porta, 1,50 m dal<br />

suolo. Sembra trattarsi del frammento <strong>di</strong> una pietra tombale che riporta la data 1836. Dal<br />

momento che in questo periodo assai raramente si trovano iscrizioni sulle tombe della gente<br />

comune, bisogna pensare che questa sia appartenuta alla sepoltura <strong>di</strong> qualche prelato o <strong>di</strong><br />

qualche altro notabile. Forse la lettura <strong>di</strong> questi reperti potrebbe fornire altre preziose<br />

informazioni su questa piccola chiesa <strong>di</strong> Kallmet.<br />

III. D. 5<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Giovanni Decollato – Merçi


La chiesa <strong>di</strong> S. Giovanni Decollato, compare nella lista delle chiese ricordate nella<br />

relazione <strong>di</strong> Benedetto Orsini del 1629 143 . Questo e<strong>di</strong>ficio sacro ha un’importanza del tutto<br />

particolare per la storia della <strong>Diocesi</strong> <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> e <strong>di</strong> tutta la Chiesa Cattolica albanese. Qui<br />

infatti, nel 1703, si è tenuto il celebre Kuven<strong>di</strong> i Arbrit, cioè un concilio regionale dei vescovi<br />

cattolici d’Albania, voluto da papa Clemente XI, anch’egli <strong>di</strong> origini albanesi.<br />

La chiesa è orientata esattamente, ha una pianta rettangolare e misura 9,10 m x 25,40.<br />

Davanti alla facciata si estende il sagrato, forse un tempo coperto da un portico <strong>di</strong> 9,10 m x<br />

4,5 m.<br />

Probabilmente l’e<strong>di</strong>fico sacro è stato ricostruito all’inizio del XX sec. con l’aiuto<br />

dell’Austria. L’aspetto attuale è dovuto al restauro compiuto nel 1996.<br />

Sul lato sud-ovest della costruzione una parte del muro è stata lasciata senza intonaco per<br />

poterne apprezzare l’antichità.<br />

L’e<strong>di</strong>ficio ha quattro finestre molto strette sui lati sud e nord. In facciata si aprono due<br />

porte gemelle ad arco ben lavorate in pietra. Una era riservata agli uomini l’altra alle donne.<br />

III. D. 6<br />

Chiesa del SS. Salvatore – Velë<br />

La chiesa del SS. Salvatore compare nella documentazione storica fin dal XVII sec. Il<br />

vescovo della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Albano, Mark Skuraj, menzionando i confini<br />

della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> nel 1636, <strong>di</strong>ce che la linea <strong>di</strong> confine passa “dalla rupe presso la città <strong>di</strong><br />

<strong>Lezha</strong> fino a S. Salvatore <strong>di</strong> Velja” 144 . In un’altra lettera del 1644, il medesimo vescovo<br />

pretende che la chiesa del SS. Salvatore <strong>di</strong> Vela appartenga al territorio <strong>di</strong> Kruja 145 .<br />

La chiesa ha subito una totale ricostruzione, pare, all’inizio del XX sec. con il contributo<br />

austriaco. Recenti lavori <strong>di</strong> ristrutturazione, pur conservando <strong>di</strong>mensioni e facciata hanno, <strong>di</strong><br />

fatto, cancellato ogni segno <strong>di</strong> antichità 146 .<br />

La pianta rettangolare della chiesa ha un allineamento sud-est – nord ovest e misura 9,20<br />

m x 20, 40 m.<br />

E’ evidente che questa chiesa ricalca il modello <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> Mërçi, anche per quanto<br />

riguarda le porte gemelle in facciata e l’uso conseguente.<br />

Due campane della chiesa, nascoste dopo 1967, sono state rimesse in uso con il ritorno<br />

della libertà religiosa, una si trova all’interno della chiesa e l’altra all’esterno, appesa a un<br />

albero. I due bronzi portano scritte de<strong>di</strong>catorie e la data <strong>di</strong> fusione: 1914. La prima campana<br />

reca un’interessante iscrizione per la storia nazionale:<br />

N’ SHPERBLIM PER GJÂAT’ SHEL / BUEMIT T’ VELËS MARUN N’VJETË / 1910, PREJ<br />

USHTRIES S’ TURKUT / U SHKRI ME ZELLË T’ D. NIKOLL / KIMEZËS N’ T’ DYTIN VJETË T’<br />

LIRIËS / 1914 147 .<br />

Traduzione:<br />

“In dono al SS. Salvatore <strong>di</strong> Vela. Presa (la campana) nell’anno 1910 dall ’esercito turco,<br />

venne fusa per lo zelo <strong>di</strong> Don Nicoll Kimeza nel secondo anno della libertà. 1914".<br />

La seconda campana riporta un’invocazione:<br />

ZOT PSHTONA MORTAJET / UJET E LUFTET / 1914.<br />

Traduzione: “O Signore, allontana le pestilenze, le carestie e le guerre. 1914”.<br />

III. D. 7<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Veneranda - Vela<br />

L’unica fonte storica che ricorda la chiesa <strong>di</strong> S. Veneranda <strong>di</strong> Vela è la relazione del<br />

vescovo Benedetto Orsini. Nell’anno 1629 egli scrive che questa chiesa aveva in beneficio:<br />

“<strong>di</strong>verse Vigne, possessioni et Molini” 148 .


I ruderi <strong>di</strong> questa chiesa si trovano in cima ad un colle al centro del villaggio <strong>di</strong> Vela, fatto<br />

che consente <strong>di</strong> godere un panorama completo della zona. La chiesa è orientata con una lieve<br />

deviazione dal sud. La planimetria è rettangolare con la presenza <strong>di</strong> un’abside nella parete<br />

est. Due contrafforti ne rafforzano i lati nord e sud.<br />

La chiesa ha le misure <strong>di</strong> una piccola cappella, 4,70 m x 6,40 m. I muri, spessi 0,60 m,<br />

0,70 m sono costruiti utilizzando pietre del posto e lastre <strong>di</strong> pietra legate con malta <strong>di</strong> calce <strong>di</strong><br />

bassa qualità. Il piccolo sagrato intorno all’e<strong>di</strong>ficio è stato usato come campo santo. Questa<br />

chiesa è stata officiata fino al 1967 e ora ne rimangono solo i resti <strong>di</strong> cui abbiamo parlato.<br />

Inoltre, abbiamo raccolto la notizia che nel villaggio <strong>di</strong> Vela sopravvive il ricordo <strong>di</strong> altre<br />

due chiese, sotto forma <strong>di</strong> toponimo:<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Alessandro (Sh’Llezri), che si trova in vetta al monte Vela. Si tratta <strong>di</strong> un<br />

luogo <strong>di</strong> pellegrinaggio visitato dagli abitanti una volta all’anno.<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Giovanni, che si trova nalla parte sud del villaggio su un colle noto con il<br />

nome <strong>di</strong> Malung.<br />

III. D. 8<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Nicola – Tresh<br />

La chiesa <strong>di</strong> S. Nicola si trova sulla cima <strong>di</strong> una roccia scoscesa, a nord-est dell’o<strong>di</strong>erno<br />

villaggio <strong>di</strong> Tresh. Grazie alla sua posizione la chiesa gode <strong>di</strong> una splen<strong>di</strong>da visuale su tutta<br />

la pianura costiera del golfo del Drin, da Shëngjin, verso <strong>Lezha</strong>, Mali i Shëlbumit, Manati,<br />

Spiten e Zejmen.<br />

Lo sguardo si spinge anche sulla chiesa <strong>di</strong> S. Alessandro <strong>di</strong> Spiten, entrambi, infatti, sono<br />

collocate sul margine della stessa parete rocciosa.<br />

La chiesa <strong>di</strong> S. Nicola ha una sola navata rettangolare <strong>di</strong> 6,70 m x 13,20 m ed è orientata<br />

con precisione. Collocata su <strong>di</strong> un pianoro ricavato da un ciglio rupestre, è collegata con la<br />

roccia dalla parte est. Per questo motivo la chiesa è priva <strong>di</strong> abside. Al suo posto troviamo<br />

un’incassatura nello spessore del muro completata con un arco <strong>di</strong> pietre lavorate con<br />

particolare cura.<br />

Ai lati <strong>di</strong> questa cavità troviamo due piccole nicchie, simili a due piccoli arma<strong>di</strong> a muro<br />

quadrati, dove i fedeli accendono candele. Nelle due pareti, nord e sud, si aprono<br />

rispettivamente due piccole finestre che assicurano una debole illuminazione all’interno.<br />

L’unica porta, larga 1 m, è collocata sul lato ovest e presenta semplici montanti <strong>di</strong> pietra.<br />

Finora non abbiamo trovato tracce <strong>di</strong> questa chiesa nella letteratura storico-archeologica.<br />

Tuttavia la sua posizione, in rifermento allo spostamento del villaggio nella sottostante<br />

pianura, ci fa pensare che sia stata costruita verso la fine del XVIII sec. In ogni caso la chiesa<br />

<strong>di</strong> S. Nicola rimane un interessante esempio <strong>di</strong> organizzazione architettonica e una valida<br />

testimonianza storica.<br />

III. D. 9<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Antonio – Pllana<br />

La chiesa <strong>di</strong> S. Antonio sorge su <strong>di</strong> un terrazzamento ricavato dal pen<strong>di</strong>o montuoso sul<br />

lato destro del torrente <strong>di</strong> Pllana, non troppo lontano dalla chiesa <strong>di</strong> S. Nicola<br />

<strong>di</strong> Zejmen e a nord-ovest della chiesa <strong>di</strong> S. Barbara <strong>di</strong> Pllana.<br />

Tanto la tra<strong>di</strong>zione scritta che orale considera questa chiesa e il vicino convento, <strong>di</strong> cui si<br />

vedono i ruderi, come una fondazione francescana risalente all’anno 1638 149 . Il terreno fu<br />

offerto ai frati da Muhtar Kalepi, un mussulmano del luogo che molto aiutò anche per la<br />

costruzione. Originariamente il titolo della chiesa era quello <strong>di</strong> “Madonna del Rosario”.<br />

Distrutta durante la persecuzione del 1648 fu ricostruita l’anno seguente con l’aiuto della<br />

vedova <strong>di</strong> Muhatar Kalepi. Nell’anno 1697 fu restaurata da p. Filippo da Locarno che mutò il<br />

primitivo titolo in quello attuale <strong>di</strong> S. Antonio <strong>di</strong> Padova. Presso il convento francescano a<br />

lungo fiorì una delle più antiche scuole del nord Albania.


La chiesa attuale, tuttavia è una ricostruzione recente sulle vecchie fondamenta senza che,<br />

tuttavia, nulla <strong>di</strong> antico appaia ancora evidente.<br />

La costruzione presenta una pianta rettangolare che misura 6,20 m x 11 m, con<br />

allineamento nord-sud. La chiesa ha due ingressi, uno principale sul lato sud e uno<br />

secondario sul lato est. Ugualmente si notano due piccole finestre su ciascuno dei lati.<br />

Si deve notare che la nuova chiesa non copre del tutto la planimetria della vecchia. Dalla<br />

parte sud-est sono visibili i resti <strong>di</strong> una costruzione annessa che misura 3,8 m x 6,2 m. Per<br />

quanto si può capire questa ha avuto una porta simile a quella principale della chiesa, la<br />

quale è stata restaurata fino al livello della zoccolatura.<br />

Sul margine del cortile, dalla parte sud-ovest della chiesa si trova un altare con tettoia <strong>di</strong><br />

recente costruzione per le celebrazioni sul sagrato. All’interno della chiesa non abbiamo<br />

notato nulla <strong>di</strong> particolare appartenente alla primitiva costruzione. Il muro nord, al posto<br />

dell’abside, ospita una nicchia ad arco, mentre nel presbiterio si trova un altare nuovo.<br />

Sulla parte interna del muro occidentale è murata una lapide con un epitaffio in lingua<br />

italiana:<br />

† / ALLA MEMORIA / DEL REV(ERENDO) PADRE / DARIO D’ALBIATE / LOMBARDO /<br />

(DELL’) ORD.(INE) (DI) S(AN) FRANC.(ESCO) MIN.(ORE) OSSERV.(ANTE) RIF.(ORMATO) /<br />

MISS.(IONARIO) APOST(OLICO) IN ALBANIA / RELIGIOSO ZELANTE / PASTORE FEDELE/<br />

PASSATO A VITA MIGLIORE / IL DI 17 GENNARO 1857 / [...] POSUIT.<br />

Si tratta <strong>di</strong> uno dei religiosi francescani vissuti nell’annesso convento.<br />

III. D. 10<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Nicola – Shënkoll<br />

La chiesa <strong>di</strong> S. Nicola si trova al centro del villaggio ononimo. La chiesa attuale sorge<br />

sui resti dell’antica. In antico da essa <strong>di</strong>pendeva tutta la zona del Mati. Durante il periodo<br />

ateista l’e<strong>di</strong>ficio subì una ra<strong>di</strong>cale trasformazione in “Palazzo della cultura”. L’abside fu<br />

eliminata, la navata fu adattata a sala da cinema, le finestre furono murate, al secondo piano<br />

fu relizzata una loggia, le porte d’ingresso furono allargate e la canonica <strong>di</strong>strutta.<br />

Prima delle suddette trasformazioni, la chiesa <strong>di</strong> S. Nicola era meno alta e occupava una<br />

superficie più ridotta rispetto a quella della chiesa attuale. Ora dobbiamo registrare<br />

l’aggiunta <strong>di</strong> un piano, quella <strong>di</strong> un balcone a nord e l’apertura sui due lati <strong>di</strong> tre finestre ad<br />

arco rifinite in pietra. Grazie a un lavoro attento condotto nel corso dei lavori <strong>di</strong><br />

ristrutturazione, sono stati conservati in vista alcuni elementi della vecchia chiesa. Questi<br />

permettono la formazione un’idea generale circa la planimetria e l’architettura della primitiva<br />

costruzione.<br />

Abbiamo verificato che il pavimento o<strong>di</strong>erno è 0,88 m più alto <strong>di</strong> quello originario.<br />

Un’attenta osservazione ha chiarito che al <strong>di</strong> sotto del pavimento della chiesa si conservano<br />

resti <strong>di</strong> una scalinata <strong>di</strong> pietra a semicerchio composta da tre scalini massicci. Il basamento<br />

della scala è conservato integralmente. Del primo scalino, invece, si conserva solo la traccia<br />

del posizionamento. Secondo questi dati, il pavimento della prima chiesa, rispetto a quello<br />

della chiesa nuova, si trova a circa 0,35 m più in basso.<br />

Nel lato sud della chiesa si trova una scalinata, spostata <strong>di</strong> circa 1,60 m dal muro. Essa<br />

misura 3,20 m <strong>di</strong> larghezza e ha forma <strong>di</strong> un semiarco. Le misure relativamente piccole della<br />

porta e <strong>di</strong> altri elementi suggeriscono che tutto il vecchio e<strong>di</strong>ficio doveva essere <strong>di</strong> modesta<br />

grandezza. Il lato sud della chiesa attuale mantiene, affiorante dal muro, una parte della<br />

facciata della vecchia chiesa. Se ne conserva una superficie <strong>di</strong> 1,30 m x 2,80 m., insieme a<br />

una colonna <strong>di</strong> pietra grossolanamente scolpita dello spessore <strong>di</strong> 0,40 m. Il muro è costruito<br />

con pietre <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a grandezza legate con una calce molto robusta. In alcune zone del muro<br />

l’allineamento delle fugature è aggiustato con l’utilizzo <strong>di</strong> scaglie <strong>di</strong> pietra e mattoni spessi. In<br />

alcuni punti compaiono ancora i fori <strong>di</strong> ancoraggio delle impalcature usate durante la<br />

costruzione.<br />

Inoltre, in questa muratura sono visibili frammenti architettonici tra cui un pezzo d’arco <strong>di</strong><br />

pietra ornato con rosette scopite con arte in altorilievo. In modo simmetrico, anche la parete


nord mostra un altra porzione del vecchio muro della chiesa largo 9,45 m e costruito con la<br />

medesima tecnica già descritta. Anche in questa parte si nota la presenza <strong>di</strong> frammenti<br />

architettonici tra cui un pezzo <strong>di</strong> arco realizzato con mattoni e calce. A lato dell’ingresso<br />

attuale, pochi resti <strong>di</strong> una linea muraria, sono l’unica testimonianza <strong>di</strong> quella che un tempo<br />

fu la canonica. Rimane solo un angolo <strong>di</strong> 0, 60m x 1, 30 m.<br />

L’analisi dei resti ci porta ad affermare che l’antica chiesa <strong>di</strong> S. Nicola doveva misurare<br />

pressapoco 21,5 m x 9,45 m.<br />

A giu<strong>di</strong>care dai resti conservatici dell’antica chiesa <strong>di</strong> S. Nicola, che all’incirca misurava<br />

21,5 m <strong>di</strong> lunghezza e 9,45 m si larghezza, riteniamo che essa possa essere annoverata tra le<br />

costruzioni del XVIII sec.<br />

III. D. 11<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Michele – Kashnjet<br />

La chiesa <strong>di</strong> S. Michele <strong>di</strong> Kashnjet è stata, forse, l’e<strong>di</strong>ficio sacro più noto della zona<br />

interna della Malësia e Lezhës, che comprende i villaggi <strong>di</strong> Ungrej, Kashnjet, Kalivaç. Essa<br />

sorgeva nel sito chiamato Kodra e Qelës, altura che offre una visione ampia del territorio<br />

circostante. Si nota, infatti, che da questa posizione dominante lo sguardo si estende dalle<br />

rive del fiume Gjadër fino al castello <strong>di</strong> Scutari.<br />

Tra le fonti d’archivio l’unica che ricorda la chiesa <strong>di</strong> Kashnjet è la relazione scritta dal<br />

vescovo Benedetto Orsini nel 1629. Egli annota <strong>di</strong> aver trovato alcune chiese parrocchiali<br />

nella parte <strong>di</strong> <strong>di</strong>ocesi non sottomessa ai Turchi, chiamata Dibra. Tuttavia, il loro stato sembra<br />

essere stato miserevole, dal momento che in questo tempo erano: “tutte rouinate da Turchi, et<br />

senza Campane che <strong>di</strong>cono essere per rispetto de Turchi state sotterrate, senza porte, altare,<br />

Calice, paramenti, et senza alcun Prete” 150 . Del tutto simile la situazione descritta per la<br />

chiesa parrocchiale <strong>di</strong> S. Michele <strong>di</strong> Kashnjet della quale <strong>di</strong>ce che: “in fine fabricai dalli<br />

fundamenti la Chiesa <strong>di</strong> S. Michele non ancora coperta per la povertà <strong>di</strong> quella gente” 151 .<br />

Questa chiesa è stata officiata ininterrottamente fino al 1967, anno in cui fu <strong>di</strong>strutta<br />

dall’onda della rivoluzione culturale ateista.<br />

Negli ultimi anni sulle stesse fondamenta dell’antica chiesa ne è sorta una totalmente<br />

nuova. Nella convinzione che il nuovo e<strong>di</strong>ficio sacro abbia rispettato la pianta dell’antico,<br />

possiamo presentare una planimetria atten<strong>di</strong>bile. Si tratta <strong>di</strong> una costruzione a navata unica<br />

<strong>di</strong> 9,90 m x 19,45 m con, a est, un’abside 5,45 m ampia. Colpisce il fatto che le due chiese <strong>di</strong><br />

Kashnjet e <strong>di</strong> Ungrej, entrambe de<strong>di</strong>cate a S. Michele, abbiano absi<strong>di</strong> abbastanza ampie in<br />

rapporto alla larghezza complessiva dell’e<strong>di</strong>ficio. Questo fatto potrebbe in<strong>di</strong>care una stessa<br />

concezione planimetrica.<br />

Nelle vicinanze della chiesa, 50 – 60 m a nord, si conserva ancora in pie<strong>di</strong> la casa<br />

canonica, usata come ufficio amministrativo e stazione <strong>di</strong> polizia durante la soppressione<br />

comunista. Da quanto ancor oggi rimane è evidente che si tratta <strong>di</strong> un bell’e<strong>di</strong>ficio costruito<br />

all’inizio del XX sec. nel tipico stile ampiamente testimoniato dalle architetture citta<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />

Scutari firmate dal noto pittore e architetto Kolë Idromeno.<br />

Nei pressi della chiesa affiorano altri ruderi, probabilmente appartenenti a una canonica<br />

più antica. Sul lato sud della chiesa si stende il cimitero, tutt’ora in uso, recintato a un muro<br />

alto 1 m in pietre e malta. Interessanti alcune pietre sepolcrali scopite in forma <strong>di</strong> croce<br />

antropomorfica.<br />

Le notizie dell’Orsini ci permettono <strong>di</strong> affermare che la chiesa <strong>di</strong> S. Michele <strong>di</strong> Kashnjet è<br />

stata costruita nel periodo imme<strong>di</strong>atamente seguente l’occupazione turca.<br />

III. D. 12<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Michele – Ungrej


Nel sito noto come Kodra e Geshtenjave è esistita, fino all’anno 1967, la chiesa <strong>di</strong> S.<br />

Michele. Secondo la descrizione degli abitanti anziani del luogo si trattava <strong>di</strong> una costruzione<br />

antica, con muri <strong>di</strong> pietra, a una navata e con un’abside <strong>di</strong> poco più bassa della parete est.<br />

All’interno della chiesa c’erano anche le sepolture <strong>di</strong> due sacerdoti 152 .<br />

Allo stato attuale i resti dell’e<strong>di</strong>ficio sono assai scarsi e quasi del tutto occupati dalle tombe<br />

del circostante cimitero del villaggio. Sulla base <strong>di</strong> alcune tracce delle fondamenta, dell’abside<br />

e dei muri abbiamo potuto compilare uno schizzo planimetrico dell’e<strong>di</strong>ficio, rimasto, ormai,<br />

solo nei ricor<strong>di</strong> degli abitanti anziani.<br />

Su <strong>di</strong> un colle <strong>di</strong> fronte, dalla parte sud, si conservano ancora oggi i muri della canonica,<br />

riusata come centro sanitario e centro per le ricerche geologiche. Gli abitanti del luogo<br />

in<strong>di</strong>cano, a nord-est, altre vecchie mura come appartenenti a una canonica precedente.<br />

E’ possibile che la chiesa <strong>di</strong> Ungrej, in un momento <strong>di</strong> crescita demografica, sia stata<br />

costruita un pò dopo <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> Kashnjet, ripetendone il titolo e la concezione architettonica.<br />

III. D. 13<br />

Chiesa <strong>di</strong> S. Giorgio – Rras<br />

Nel villaggio <strong>di</strong> Rras, tra Ungrej e Kalivaç, si trovava la chiesa <strong>di</strong> S. Giorgio. Secondo<br />

una tra<strong>di</strong>zione orale del luogo si <strong>di</strong>ce che la chiesa fu costruita <strong>di</strong> nascosto al tempo del<br />

dominio turco 153 , notizia che si accorda con la già citata situazione descritta da Benedetto<br />

Orsini. I paesani affermano che la chiesa era costruita con muri <strong>di</strong> pietra ed aveva un’abside.<br />

Ora in questo luogo non rimane che il cimitero vecchio e quello nuovo. Nessun’altra chiesa è<br />

più stata costruita.<br />

III. E<br />

Chiese non identificate<br />

Le nostre ricerche sul territorio dell’o<strong>di</strong>erna <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, la consultazione delle fonti<br />

e della letteratura storica e le interviste fatte agli abitanti hanno permesso<br />

<strong>di</strong> compilare una lista <strong>di</strong> 49 chiese. Di queste abbiamo potuto documentare i resti <strong>di</strong> 32. Nella<br />

maggior parte dei casi queste chiese sono menzionate nelle fonti documentarie.<br />

La fonte più importante per l’ubicazione e il titolo degli e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> culto è la relazione del<br />

vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, Benedetto Orsini, il quale fornisce dati su 28 chiese della città e della<br />

<strong>di</strong>ocesi. Dell’elenco dell’Orsini, allo stato attuale, abbiamo identificato 13 chiese, comprese<br />

negli o<strong>di</strong>erni confini della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>. Ancora un numero cosiderevole <strong>di</strong> chiese citate da<br />

Orsini e da altri relatori del sec. XVII rimane non identificato e costituisce il potenziale<br />

oggetto <strong>di</strong> ulteriori ricerche. L’impossibilità <strong>di</strong> giungere a una sicura identificazione è dovuta<br />

in genere ad qualcuna delle seguenti cause:<br />

a) Cambiamento del titolo della chiesa. Molte volte questo fenomeno è legato al<br />

cambiamento <strong>di</strong> popolazione. I nuovi arrivati sostituiscono le vecchie tra<strong>di</strong>zioni con<br />

nuove, tra cui anche i santi patroni. Gradualmente i titoli primitivi vengono <strong>di</strong>menticati.<br />

b) Mutamento dei confini della <strong>di</strong>ocesi dal tempo <strong>di</strong> Orsini fino ad oggi.<br />

c) Cambiamento dei toponimi nel corso del tempo. Molti nomi <strong>di</strong> villaggi o contrade oggi<br />

non possono essere riconosciuti (p. es. Ploxas, Seljencë, Barbajsor, Rejë, Gaib ecc...)<br />

d) Deformazione dei nomi dei santi o dei luoghi secondo le varie forme <strong>di</strong>alettali (p. es.<br />

Shën Barbara – Sh’Barbulla, Shën Aleksandri – Sh’Lledri, ecc...)


e) Ignoranza storica degli abitanti attuali dei villaggi. In molti casi essi sono giunti in tempi<br />

recenti e, quin<strong>di</strong>, non hanno nessun legame con la storia antica del luogo e nulla sanno<br />

degli antichi monumenti <strong>di</strong> culto della zona.<br />

f) Conseguenze della politica antireligiosa del passato regime ateista, che ha come frutto<br />

una generazione senza contatto con le istituzioni religiose e che non conserva memorie<br />

circa i monumenti <strong>di</strong> culto.<br />

Nella speranza <strong>di</strong> facilitare l’informazione e <strong>di</strong> favorire future ricerche, presentiamo la lista<br />

delle chiese non identificate dal nostro lavoro:<br />

1. Madonna della Neve <strong>Lezha</strong><br />

2. S. Sebastiano <strong>Lezha</strong><br />

3. S. Margherita <strong>Lezha</strong><br />

4. S. Giorgio Kukullës (?)<br />

5. S. Maria Dardha<br />

6. SS. Cosma e Damiano Manati<br />

7. Parrocchia <strong>di</strong> S. Martino Ploxas (?)<br />

8. Parrocchia della SS. Trinità Sejencë (?)<br />

9. S. M. Maddalena Barbaisor (?)<br />

10. S. Veneranda Rejë (?)<br />

11. S. Giorgio i Fikut (?)<br />

12. S. Alessandro Gaibit (?)<br />

13. S. Nicola Shëngjin<br />

1 ORSINI, 1629, p. 400.<br />

2 PRENDI, 1969, p. 246-247.<br />

3 MEKSI, 1985 p. 20-21; MEKSI, 2004, pp. 25- 26, 165.<br />

4 MEKSI, 1985, p. 20-21 Tab. IV, 1; MEKSI, 2004, p. 25-26; ZHEKU, 1988, p. 88-89.<br />

5 ZHEGU, 1988 p. 88.<br />

6 SOLDNER, 1986, p. 208-209.<br />

7 SOLDNER,1986, p.209, 295. Per un confronto cf. Nr. Cat. 35, v. 2, fig, nr. 19, dove è presentata una copia romana simile<br />

proveniente da Venezia.<br />

8 ZHEKU,1986, p. 89; HOXHA, 2000, p. 76-77; HOXHA, 2003, p. 113-114; HOXHA, 2005, p. 21-22.<br />

9 Per ulteriori dettagli e più approfon<strong>di</strong>te descrizioni della situazione archeologica cf. G. HOXHA, Raportet e germimeve<br />

arkeologjike në Lezhe në vitet 2003, 2004 dhe 2005, presso l’archivio dell’ Instituto Archeoligico <strong>di</strong> Tiranë.<br />

10 HOXHA, 2000, p.. 76-77; HOXHA, 2003, p. 113-114.<br />

11 VAES, 1986, p. 305-367 ; BOWDEN, PËRZHITA, 2004, p. 176-202 ; MITCHELL, GILKES, ÇONDI, 2005, p. 107-130; KORA, 2005,<br />

p. 140-141.<br />

12 Gli scavi archeologici sono stati condotti da Etleva Nallbani e non sono ancora pubblicati. Per maggiori dettagli ve<strong>di</strong> le<br />

relazioni sugli scavi archeologici nel Cimitero Me<strong>di</strong>oevale <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> degli anni 2004-2005, conservati nell’Archivio<br />

dell’Istituto Archeologico <strong>di</strong> Tirana. Si ringrazia l’autrice per le informazioni dateci per questo nostro lavoro.<br />

13 PRENDI, 1979-1980, p. 123-170.<br />

14 BARLETI, 1964, p. 490.<br />

15 ORSINI, 1629, p. 400-401; BARDHI, 1641a , p. 145.<br />

16 POUQUEVILLE,1826,p. 400; HAHN,1854, p. 92; IPPEN, 1907, p. 55; SEREMBE, 1927; SIRDANI,1932 p. 181; PRENDI, 1969, p.<br />

241-248; ZHEKU, 1988, p. 87.<br />

17 Per gli stu<strong>di</strong> stratigrafici <strong>di</strong> questi scavi e per le fasi costruttive della chiesa ci siamo basati sui dati presentati dai<br />

seguenti autori: PRENDI,1969, f .245; ZHEKU, 1988, p. 87, fig. 20.<br />

18 PRENDI, 1969, f .245; ZHEKU, 1988, p. 87 dhe fig. 20.<br />

19 MEKSI, 2004, p. 180.<br />

20 PRENDI, 1969, p. 244-247.<br />

21 BARLETI, 1964, f . 490.<br />

22 PRENDI, 1969. p. 245-246.<br />

23 CAVALLINI, 2006, p. 118-128.<br />

24 Tali tra<strong>di</strong>zioni hanno la loro fonte documentaria piu’ antica in un’iscrizione, probabilmente del XVII sec., scolpita<br />

sull’architrave della porta principale della chiesa e in un manoscritto originariamente appartenente al Convento<br />

francescano <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> e ora conservato a Tirana presso l’Archivio Centrale <strong>di</strong> Stato: Registro della Provincia Osservante<br />

d’Albania 1720 – In tempo del P. M. R. Lorenzo <strong>di</strong> S. Croce Ministro provinciale l’anno 1720.<br />

25 Nome ufficiale della famiglia religiosa fondata da S. Francesco <strong>di</strong> Assisi (1181 – 1226), da cui il nome popolare <strong>di</strong><br />

“Francescani”.<br />

26 “Custo<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Cattaro”, sede del Custode.<br />

27 WADDING, 1932, pp. 399 nr. 15-16. Cf. anche il ben documentato articolo <strong>di</strong> M. Sirdani, “Të venduemt e Françeskanvet<br />

neper vise të ndryshme të Shqypnís 1240 – 1940”, in a c. <strong>di</strong> A. N. Berisha, Françeskanët në Shqypní dhe shqyptarët<br />

katolikë në lamë t’atdhetarís, Prishtinë, 2002, p.11-39.<br />

28 Cf. AOFM, p 125.


29 Cf. ZAMPUTI, 1963, nr. 31, p. 400, REGISTRO,1720; FABIANICH, 1864, p. 339-340.<br />

30 Cf. AOFM, p. 125.<br />

31 Cf. BUDA, 1961, p. 167.<br />

32 Nel 1610, l’arcivescovo <strong>di</strong> Antivari, Marin Bizzi e nel 1629, il vescovo <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> Benedetto Orsini, registrano ancora questo<br />

stato <strong>di</strong> cose. Cf. BICI, 1610, dok. Nr. 2, p. 110; ORSINI, 1629, Dok. Nr. 31, p. 400.<br />

33 Cf. la colorita relazione <strong>di</strong> P. Amato da Lucca: “Al mio arrivo in Albania nel 1843 essendovi stato destinato in qualita’ <strong>di</strong><br />

Prefetto della Missione <strong>di</strong> Epiro, la mia residenza fu in Alessio, dove i Religiosi Francescani Minori Osservanti hanno una<br />

Chiesa capoluogo <strong>di</strong> quella Missione ... unica rimasta delle antiche Chiese, non senza aver sofferto guasti ... assai grande, e<br />

ben costrutta, quantunque or<strong>di</strong>naria: ma a che pro’, se vi pioveva entro come fuori ... ? Ancora nel suo interno vi era la<br />

predella dell’Altare maggiore con tre sottostanti gra<strong>di</strong>ni, tanto mal fatti, forse dopo essere stati alcune volte rovinati dai<br />

Turchi, che vi era il pericolo <strong>di</strong> rompersi il collo mentre vi si celebrava la S. Messa; eppure neppure questo mi era concesso <strong>di</strong><br />

riaccomodare, e con maggiore rigore mi veniva proibito <strong>di</strong> risarcire i guasti della contigua residenza, che ancora quivi<br />

pioveva a <strong>di</strong>rotto, e vi erano pezzi minaccianti rovina col pericolo <strong>di</strong> rimanervi come sorci sotto la schiaccia”. CRONACA 1861,<br />

pp. 167-168. Le cose non erano per nulla cambiate quarant’anni dopo se il Console francese definisce il convento “la<br />

plus vulgaire des bâtisses, sens style, misérable, tombant en ruines” e della chiesa <strong>di</strong>ce: “la chapelle est également<br />

banale”: DEGRAND, 1901, p. 178.<br />

34 Iniziato da p. Mariano Pizzocchini da Palmanova, il campanile è portato a termine da p. Leonardo Gojani. Cf. AOFM p.<br />

125; PRELAJ, 1966, p. 23, dattitoloscritto conservato nella Biblioteca Francescana “At Gj. Fishta” <strong>di</strong> Shkodër.<br />

35 Cf. SIRDANI, 2002, p. 15.<br />

36 “La chiesa è tutt’ora scoperta e la Messa viene celebrata sull’opposta riva del fiume, al bazar <strong>di</strong> Alessio, nella piccola<br />

chiesa <strong>di</strong> S. Nicola”: ARMAO, 1933, p. 132. Ancora piú tar<strong>di</strong> riferisce S. Bettini: “Presso Alessio vi è, in vero, il grande<br />

rudere <strong>di</strong> una chiesa che ha conservato in pie<strong>di</strong> quasi interamente i quattro muri perimetrali”, BETTINI, 1939, p. 118.<br />

Questa situazione e’ ben documentata anche in una fotografia del 1940. Cf. p. es. DUKA GJINI 1992 e MALAJ, 1999, p.<br />

217.<br />

37 Quest’ala, che sostituiva il vecchio e fatiscente convento, fu costruita ex novo, intorno al 1930, su progetto dell’architetto<br />

U. Piazzo e sotto la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> p. Bonaventura Gjeçaj. Cf. ARMAO 1933, p. 132; PRELAJ, 1966, I, p. 201 nota 2 e Ibidem,<br />

II, p. 469.<br />

38 “Questo tempio dei Frati Minori fu e<strong>di</strong>ficato nell’anno del Signore 1240". L’iscrizione è stata pubblicata e commentata<br />

anche da IPPEN, 2002, p. 155; BETTINI 1939, p. 118; POPA, 1998, nr. 912, p. 329. Numerosi in<strong>di</strong>zi portano a pensare che<br />

l’iscrizione sia stata realizzata verso il XVII sec. e menzioni la fondazione, molto probabilmente pre-francescana, della<br />

chiesa. Cf. CAVALLINI, 2005-2006.<br />

39 Cf. MIHAÇEVIQ, 2006, p. 73.<br />

40 Per esempio quello che ora e’, sul lato sud, l’architrave della porta laterale.<br />

41 Così è la parte originale della facciata, gran parte del lato sud, e, sorprendentemente, la parte alta del lato nord, in modo<br />

che materiale, forse del XIV sec., completa una muratura certamente più recente. Da notare, inoltre, dei conci sporgenti<br />

dal muro all’altezza <strong>di</strong> circa 3 m. Probabilmente si tratta <strong>di</strong> mensole d’appoggio per i travi che sorreggevano un portico.<br />

Inoltre esistono ancora le aperture <strong>di</strong> due porte laterali, forse precedenti a quella ora in funzione sul lato opposto.<br />

42 Così gran parte del lato nord e tutto il lato est. La parte terminale del lato sud sembra un risarcimento della muratura<br />

dovuto al crollo del paramento in pietre squadrate. Degna <strong>di</strong> nota anche la presenza lungo tutto il perimetro esterno del<br />

convento dei fori in cui venivano inserite le travi delle impalcature. Interessanti le note <strong>di</strong> Meksi sulla tecnica <strong>di</strong><br />

lavorazione dei muri in pietre squadrate tipiche del nord Albania tra XIII e XV sec. Cf. MEKSI, 2004, p.100-101 e 119.<br />

43 Cf. IPPEN, 2002, p. 258. L’epigrafe testimonia l’attività <strong>di</strong> navigazione commerciale lungo il fiume Drin, <strong>di</strong> cui <strong>Lezha</strong> era lo<br />

scalo più importante soprattutto per quanto riguarda il traffico del sale.<br />

44 Cf. MEKSI 2004, p. 119. Per una più ampia informazione su questa tipologia <strong>di</strong> chiesa ispirata ai collaudati modelli<br />

dell’architettura dell’Or<strong>di</strong>ne Cistercense, cf. SCHENKLUHN, 2003, p. 45-64.<br />

45 Cf. SCHENKLUHN, 2003, p. 81-84.<br />

46 Cf. MALAJ, 1999, p. 214. Cf. anche l’interessante cartina delle presenze francescane intorno al 1300, soprattutto per<br />

quanto riguarda la Provincia <strong>di</strong> Dalmazia, in SCHENKLUHN, 2003, p. 298. <strong>Lezha</strong> non vi compare ancora. Per giungere a<br />

una più sicura datazione <strong>di</strong> chiesa e convento, è necessaria una ulteriore ricerca che evidenzi i parallelismi tra questo e<br />

altri complessi conventuali francescani e domenicani della costa adriatica.<br />

47 Il fatto sembra sostenibile osservando le murature in pietre squadrate del tutto simili a quelle della chiesa visibili lungo<br />

tutto il lato ovest e quello nord del convento.<br />

48 Ippen e Meksi fanno altre valutazioni e considerano la chiesa attuale come frutto <strong>di</strong> ricostruzioni della fine del XVIII sec<br />

o della fine del XIX sec. Cf. IPPEN 2002, p. 155 e 257; MEKSI, 2004, p. 165.<br />

49 IPPEN, Scutari, 1907, p.149.<br />

50 Notiamo che in parecchi casi i titoli delle chiese sono cambiati nel tempo. Un fatto del genere, per esempio, riguarda<br />

anche la chiesa della SS. Annunziata, conosciuta come chiesa <strong>di</strong> S. Antonio. Cf. CAVALLINI, 2005 – 2006.<br />

51 Per meglio comprendere questo monumento abbiamo organizzato una pulitura della sua superfice.<br />

52 In alcuni altri tratti murari è <strong>di</strong>fficile fare una lettura esatta delle misure, a causa della vegetazione.<br />

53 MEKSI, 1983, p. 142-146; MEKSI, 2004, p. 182-184.<br />

54 MEKSI, 2004, p. 184.<br />

55 ORSINI,1629, p. 400-401.<br />

56 Pensiamo che la precisazione della planimetria della chiesa del SS. Salvatore possa costituire l’oggetto futuro <strong>di</strong> scavi<br />

archeologici <strong>di</strong> questa zona. Oltre al resto qui sono state rilevate tracce <strong>di</strong> un cimitero che potrebbe essere collegato<br />

cronologicamente con la nostra chiesa.<br />

57 BICI, 1610, doc. nr. 2, p. 90.<br />

58 ARMAO, 1933, p. 129 dhe 173.<br />

59 KADASTRI, fl 93/b, 94/ab, 95/a, 109/a, 111/b, 154/ab parla per Meda come zona che si trova tra Shëngjin e l’ o<strong>di</strong>erna<br />

Velipoja e non riferendosi alla chiesa <strong>di</strong> Shën Gjin come propone MEKSI, 2004. p. 175, 241.<br />

60 BICI, 1610, doc. nr. 2, 90, 148, 190, 191; BOLICA,1614, doc. nr. 3, p. 173; BUDI, 1621, doc. nr. 5, p. 92; ANDREAS, 1623,<br />

doc. nr.12, p. 130; BARDHI,1638, doc, nr. 35, p. 156.<br />

61 IPPEN, Scutari , 1907, p. 143. In seguito l’autore aggiunge: “Qui alcune povere case stanno <strong>di</strong> fronte al mare presso il golfo<br />

del Drin, ai pie<strong>di</strong> del povero Mal i Rencit”.<br />

62 Caes. B.civ, III, 26, 4; App. B.civ. II, 59.<br />

63 MEKSI, 2004 p. 175.<br />

64 MEKSI, 2004 p. 175 -176.<br />

65 Il sito è <strong>di</strong>ventato cimitero del villaggio dopo la soppressione operata nel 1967 dal regime comunista.


66 ARMAO, 1933, p. 136.<br />

67 MEKSI, 2004, p. 173.<br />

68 KADASTRI, 1416-17 fl 92/b, 93/a dhe 145/b.<br />

69 BICI, 1610 Doc. nr. 2, p. 87.<br />

70 GASPARI, 1931, p. 443.<br />

71 IPPEN, Scutari, p. 143,146.<br />

72 ARMAO, 1933, p. 136-137.<br />

73 MEKSI, 2004, p. 196; cf. anche la citazione <strong>di</strong> BARTL, 1975, p. 91.<br />

74 BICI, 1610, Doc. 2, 87, p. 111.<br />

75 IPPEN, 1903, p. 182; SHUFLAY, 1916, p. 259.<br />

76 IPPEN, Scutari ,1909, p. 62.<br />

77 Ultimamente sono stati condotti lavori <strong>di</strong> restauro, tuttora in corso, che riguardano la volta della chiesa e il portico a<br />

sud. I restauri toccano anche gli affreschi scoperti all’interno.<br />

78 MEKSI, 2004 p. 196.<br />

79 Nei recenti lavori, ancora in corso, i restauratori, sulle tracce delle antiche fondazioni, hanno scelto <strong>di</strong> ricostruire<br />

interamente questo portico chiuso absidato.<br />

80 MEKSI, 2004 p. 196.<br />

81 POPA, 1998, p. 331.<br />

82 Cf. il capitolo IV <strong>di</strong> questo lavoro.<br />

83 Sarebbe interessante condurre in questa zona scavi archeologici, che sicuramente chiarirebbero il carattere più antico<br />

della chiesa <strong>di</strong> Balldren.<br />

84 A.Alb, II, I, 834 (anno. 1343).<br />

85 A. Vat. Reg. Lat. 122 A. p. 64. rv, ( Ed. albanese 1987, Doc. Nr. 468. p. 528).<br />

86 SHUFLAY, 1916, p. 220; IPPEN, 1907, p. 147.<br />

87 ORSINI 1629, doc. nr. 31, 166.<br />

88 BARDHI, 1637a, doc, nr. 18, 211. p. 52-53.<br />

89 BARDHI, 1637a, doc, nr. 22, 205. p. 64-65.<br />

90 Lo scultore Tonin Pren<strong>di</strong> ha scolpito sulla roccia un’immagine <strong>di</strong> S. Eufemia.<br />

91 ORSINI 1629, doc. nr. 31, 166.<br />

92 Durante il regime comunista questa parte fu utilizzata come riserva d’acqua.<br />

93 Si pensa che il nome Kastenjot <strong>di</strong>penda dalla forma me<strong>di</strong>evale nome della tribù dei Kastriot.<br />

94 L’informazione è stata raccolta il 23 febbraio 2006 da Pjetër Zef Gega 67enne, abitante <strong>di</strong> Kepsh.<br />

95 Il danno maggiore è dovuto soprattutto dai lavori <strong>di</strong> riforestazione attuati nel periodo comunista.<br />

96 Questo fatto è sostenuto anche dal sig. Pjeter Zef Gega, il quale <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> ricordare tracce più evidenti <strong>di</strong> questo ingresso,<br />

quando le rovine erano più visibili <strong>di</strong> oggi.<br />

97 ORSINI,1629, doc. nr. 31, 166v, p. 400.<br />

98 BICI, 1610, doc. nr. 2, 97, p. 129-131.<br />

99 ORSINI,1629, doc. nr. 31, 166 v, p. 400.<br />

100 Informazione ricevuta dal sig. Dedë Frrok Zefi (72 anni), abitante del villaggio.<br />

101 BICI, 1610, Doc. 2, 97, p. 129-131.<br />

102 ORSINI, 1629, doc. nr. 31, 166 p. 400-401.<br />

103 SKURA, 1637, doc, nr. 36, 43.<br />

104 SKURA, 1637, doc, nr. 63, 9.<br />

105 SHUFLAY, 1916, p. 273 nota nr. 6.<br />

106 SHUFLAY, 1916, p. 273 nota nr. 6.<br />

107 ORSINI, doc. nr. 31, 166 p. 400-401.<br />

108 Queste notizie ci sono riferite dall’anziano abitante <strong>di</strong> Spiten, Kolë Mark Përjaku (69 anni), il quale ci ha accompagnato<br />

personalmente fino ai resti della chiesa.<br />

109 SKURA, 1644, Doc. 63, fl 9.<br />

110 MEKSI, 2004, p. 173-174.<br />

111 MEKSI, 2004, f. 173.<br />

112 MEKSI, 2004, f.174.<br />

113 Le osservazioni sul terreno rivelano che questa chiesa ha subito danni gravi nel periodo della <strong>di</strong>ttatura comunista.<br />

Ormai abbandonata e non più utilizzata è sottoposta a una massicia <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> tutte le sue parti architettoniche.<br />

114 BICI, 1610, doc. 2r. 2, 98, p. 130.<br />

115 ORSINI, 1629, doc. nr. 31, 166. p. 400-401.<br />

116 SKURA,1637, doc, nr. 23, 218.<br />

117 SKURA, 1637, doc, nr. 36, 43.<br />

118 SKURA, 1637, doc, nr. 36, 9.<br />

119 IPPEN, Scutari ,1907, p. 159.<br />

120 IPPEN, Scutari ,1907, p. 159.<br />

121 MEKSI, 2004, p. 169-170.<br />

122 MEKSI, 2004, p. 169-170.<br />

123 MEKSI, 2004, p.174 -175.<br />

124 MEKSI, 2004 p. 169-170.<br />

125 BICI, 1610, doc. nr. 2, 98, p. 130<br />

126 ORSINI, nr.31, 166, p. 400-401.<br />

127 Cf. rispettivamente: SKURA, 1636, doc, nr. 23, 218; SKURA, 1641, doc, nr. 36, 43; SKURA 1644, doc. nr. 63, 9.<br />

128 IPPEN, Scutari , 1907, p. 159.<br />

129 Su questo argomento ve<strong>di</strong> in modo più approfon<strong>di</strong>to il IV capitolo <strong>di</strong> questo lavoro. MEKSI, 2004, f. 174.<br />

130 MEKSI, 2004, p. 175. Erroneamente lo stu<strong>di</strong>oso chiama la chiesa con il titolo <strong>di</strong> S. Veneranda.<br />

131 MEKSI, 2004 p. 174.<br />

132 BICI, 1610, doc. nr. 2, 98.<br />

133 Secondo le tra<strong>di</strong>zioni locali a chiesa si chiamerebbe <strong>di</strong> S. Pietro perchè costruita sopra la roccia. Tuttavia, questa chiesa<br />

non è usata dagli o<strong>di</strong>erni abitanti, tutti originari dalla Malësia Sopra-Scutari. Come essi <strong>di</strong>cono, i loro antenati hanno<br />

usato la vicina chiesa <strong>di</strong> S. Nicola <strong>di</strong> Mal i Rrencit.<br />

134 KADASTRI, 1416-17, fl. 94/a p. 102.


135 ORSINI, 1629, Doc. 31, 167v, p. 402-404.<br />

136 Gjokë Nonaj, abitante del luogo, nato nel 1910, ci assicura <strong>di</strong> non ricordare che la chiesa sia mai stata usata, ma che<br />

solo per tra<strong>di</strong>zione la popolazione locale ha venerato il luogo come chiesa <strong>di</strong> S. Pietro.<br />

137 ORSINI, 1629, Doc. 31, 167v, p. 402-404.<br />

138 La tra<strong>di</strong>zione orale degli autoctoni chiama questo cimitero “Vorret e Shkrelajve”, nome che lo mette in relazione con i<br />

montanari scesi quaggiù dalla zona <strong>di</strong> Shkrelit in Malësisë së Madhe. Qui si trovano sepolture antiche e recenti fino ai<br />

nostri giorni.<br />

139 A quanto pare questo nome risulta dall’abbreviazione del toponimo”Qafa e Balashit”.<br />

140 Ndue Mirashi (77 anni), abitante del villaggio <strong>di</strong> Kakarriq, ci riferisce che la contrada Qabalashi era occupata da famiglie<br />

provenienti dalla Malësia e Madhe, scese gradualmente a Kakarriq, e oggi prevalenti nella zona rispetto alla popolazione<br />

in<strong>di</strong>gena della Zadrima. A suo parere, la pressione del dominio turco, le malattie, la peste e la malaria hanno <strong>di</strong> molto<br />

ridotto la popolazione locale. Più tar<strong>di</strong>, con il miglioramento delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita in pianura, la popolazione <strong>di</strong> origine<br />

montanara, giunta più recentemente, si stabilì definitivamente e in maggior numero a Kakarriq.<br />

141 Gli abitanti del luogo ci informano che l’ultimo restauro è stato fatto nel 1988.<br />

142 BARDHI, 1637a, doc. nr. 35, 166 v.<br />

143 ORSINI, 1629, doc. nr. 31, 166. p. 400-401.<br />

144 SKURA, 1636, doc. nr. 2.<br />

145 SKURA, 1636, doc. nr. 63.<br />

146 Durante il periodo comunista la chiesa ha svolto la funzione <strong>di</strong> deposito della locale cooperativa.<br />

147 Ci sembra molto interessante il contenuto dell’iscrizione che ricorda il 1914 come “secondo anno della liberazione”. Ciò<br />

ci fa capire come fu vissuto il momento storico dell’in<strong>di</strong>pendenza del paese dal plurisecolare dominio ottomano.<br />

148 ORSINI,1629, doc. nr. 31, 166v. p. 400-402.<br />

149 AOFM, p. 125.<br />

150 ORSINI, 1629, doc. nr. 31 fl. 167, p. 403.<br />

151 ORSINI, 1629, doc. nr. 31 fl. 167, p. 403.<br />

152 Informazioni raccolte il 31.03.2006 dalla viva voce <strong>di</strong> Pal Gjoni (70 anni).<br />

153 Informazione proveniente da Preng Ndue Zefi (63 anni), custode della chiesa <strong>di</strong> Kashnjet.


IV.<br />

Tre programmi<br />

iconografici a confronto:<br />

S. Veneranda-Balldren,<br />

SS. Salvatore - Rubik,<br />

S. Barbara – Pllana<br />

La <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> ha il privilegio <strong>di</strong> conservare in alcune sue antiche chiese le poche,<br />

ma preziose, reliquie <strong>di</strong> affreschi antichi del nord Albania, sopravvissute alle ingiurie del<br />

tempo e alla furia <strong>di</strong>struttiva delle ideologie ateiste del XX sec. In alcuni casi si tratta <strong>di</strong><br />

lacerti d’intonaco quasi illeggibili, che solo qualche anno fa si sarebbero potute salvare con<br />

una modesta operazione <strong>di</strong> “strappo”, come nel caso <strong>di</strong> S. Nicola <strong>di</strong> Zejmen, in altri si tratta <strong>di</strong><br />

superfici abbastanza ampie il cui restauro è tuttora in corso, come nel caso <strong>di</strong> S. Veneranda<br />

<strong>di</strong> Balldren, oppure <strong>di</strong> riquadri parzialmente restaurati negli ultimi anni, come nel caso <strong>di</strong> S.<br />

Barbara <strong>di</strong> Pllanë. In ogni modo la rarità <strong>di</strong> questi manufatti, unitamente alla varietà <strong>di</strong> stili e<br />

<strong>di</strong> soggetti ne fa opere d’arte sacra antica <strong>di</strong> primario interesse per documentare in forma<br />

completa l’intero panorama della storia dell’arte pittorica albanese.<br />

S. Veneranda – Balldren<br />

L’antica e suggestiva chiesa <strong>di</strong> S. Veneranda 1 al centro dell’antico villaggio <strong>di</strong> Balldren, è<br />

da qualche anno sottoposta a restauro da parte dell’Istituto dei Monumenti <strong>di</strong> Tirana 2 .<br />

Rimosso, nel corso dei lavori, lo strato <strong>di</strong> calce bianca, che da tempo ne ricopriva le pareti<br />

interne, sono riaffiorati numerosi resti <strong>di</strong> un ciclo pittorico in almeno due strati sovrapposti,<br />

che interessa principalmente l’interno della parete orientale e dell’abside.<br />

Il programma iconografico dell’affresco si <strong>di</strong>stende su due zone principali <strong>di</strong>stinte e <strong>di</strong>vise a<br />

loro volta in registri e riquadri delimitati da una cornice rosso mattone. Il tutto è unificato da<br />

un fondo a zone <strong>di</strong> blu, talvolta intenso e altre volte più attenuato, che immergono l’insieme<br />

delle scene in una atmosfera, che allude al mistero e che dà al fondo della chiesetta una<br />

fresca profon<strong>di</strong>tà capace <strong>di</strong> <strong>di</strong>latarne le reali <strong>di</strong>mensioni. Le parti meglio conservate ci<br />

permettono d’immaginare come, su questo sfondo mistico, le sacre immagini si stagliassero<br />

nitide nel loro vivace cromatismo.<br />

La prima zona <strong>di</strong> lettura iconografica è la parete esterna all’abside. Essa forma il<br />

cosiddetto “l’arco trionfale”, così chiamato sia perchè è la superfice più visibile dalla navata,<br />

sia perchè incornicia presbiterio e altare. Questa zona è composta da quattro registri<br />

sovrapposti. Di questi, quello più vicino al pavimento, è andato quasi del tutto perduto a<br />

causa della caduta dell’intonaco, danneggiato dall’umi<strong>di</strong>tà ascendente.<br />

Anche il registro più alto ha subito pesanti danni dovuti soprattutto alle infiltrazioni <strong>di</strong><br />

pioggia dal tetto. Ciò nonostante, pur ridotto a pochi brandelli, esso può ancora rivelarci il<br />

soggetto iconografico trattato. La cornice, pur limitata a pochi tratti, in<strong>di</strong>ca che l’affresco<br />

s’inscrive in forma <strong>di</strong> triangolo isoscele all’interno della parte alta della parete <strong>di</strong> fondo. In<br />

prossimità dei due angoli <strong>di</strong> base sono ancora visibili i volti <strong>di</strong> due angeli simmetricamente<br />

<strong>di</strong>sposti. In posizione ascendente, lungo il lato destro, scorgiamo il muso <strong>di</strong> un toro con


aureola, accompagnato dall’iscrizione: S. LVCAS. Poco al <strong>di</strong>sopra, ancor meglio visibile, si è<br />

conservata la testa aureolata <strong>di</strong> un’aquila in volo verso l’alto con l’iscrizione abbreviata: S.<br />

JO(ANNE)S.<br />

Il lato sinistro della composizione, purtroppo, è completamente scomparso. Tuttavia,<br />

questi pochi elementi sono sufficenti a farci capire che si tratta <strong>di</strong> due dei quattro “esseri<br />

viventi”, che rendono lode davanti al trono <strong>di</strong> Dio, secondo il classico repertorio<br />

dell’apocalittica biblica:<br />

“In mezzo al trono e intorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d’occhi davanti e <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>etro. Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l’aspetto <strong>di</strong> un<br />

vitello, il terzo vivente aveva l’aspetto d’uomo, il quarto vivente era simile a un’aquila mentre<br />

vola” 3 .<br />

Di conseguenza, nello spazio al <strong>di</strong> sopra dell’angelo <strong>di</strong> sinistra doveva essere <strong>di</strong>pinto<br />

l’angelo <strong>di</strong> S. Matteo e più in alto il leone <strong>di</strong> S. Marco. Nel vertice del triangolo doveva trovarsi<br />

un trono <strong>di</strong> tipo orientale, cioè un ampio seggio riccamente drappeggiato con stoffe preziose e<br />

dotato <strong>di</strong> un abbondante cuscino 4 . La tra<strong>di</strong>zione iconografica, solitamente, vi pone sopra<br />

l’“agnello immolato” oppure un evangeliario, entrambi simboli riferiti a Cristo, come<br />

“Redentore” o come “Verbo eterno”. Nei commentari biblici <strong>di</strong> Padri della chiesa come S.<br />

Ireneo <strong>di</strong> Lione (130 -200) si trova l’intepretazione allegorica, che vede nei quattro esseri<br />

viventi il simbolo dei quattro evangelisti 5 . L’iconografia me<strong>di</strong>evale, infine, accogliendo questa<br />

idea attribuisce rispettivamente l’angelo all’evangelista Matteo, il leone alato all’evangelista<br />

Marco, il vitello alato all’evangelista Luca e l’aquila all’evangelista Giovanni, come appunto<br />

avviene in questo affresco.<br />

La scena <strong>di</strong>pinta invita il popolo <strong>di</strong> Dio, radunato nella navata, ad unirsi all’adorazione che<br />

i quattro “esseri viventi”, rappresentanti la Parola <strong>di</strong> Dio trasmessa dai quattro Vangeli,<br />

offrono a “Cristo Parola eterna del Padre”, quale loro fonte. Questa Parola è l’alfa, che ha<br />

creato l’universo ed è l’omega, che giu<strong>di</strong>cherà il mondo alla fine dei tempi 6 . La preghiera del<br />

cristiano, dunque, è una preghiera che si nutre delle Sacre Scritture per sperimentare nel<br />

presente la via della salvezza in attesa dell’incontro definitivo con Cristo, rivelato come<br />

“Parola <strong>di</strong> giustizia” alla fine del cammino terreno d’ogni creatura.<br />

Scendendo, troviamo il secondo registro, de<strong>di</strong>cato all’episo<strong>di</strong>o evangelico dell’annuncio<br />

della nascita <strong>di</strong> Gesù Cristo da parte dall’arcangelo Gabriele alla Vergine Maria 7 . Adattandosi<br />

alla parete, la scena è <strong>di</strong>visa in due parti. A sinistra dell’abside, l’angelo annunziante, ad ali<br />

spiegate e con la verga del messaggero in mano, si rivolge alla Vergine Maria. A destra la<br />

Vergine Maria, appena riconoscibile, accoglie, turbata, l’invito a concepire il Figlio <strong>di</strong> Dio. Lo<br />

sfondo è arricchito <strong>di</strong> strutture architettoniche stilizzate che evocano la casa e il villaggio <strong>di</strong><br />

Nazaret. Agli occhi dei fedeli è presentato il momento in cui Figlio <strong>di</strong> Dio, dal trono eterno<br />

(ve<strong>di</strong> registro superiore) scende nel grembo della Vergine Maria, suo trono terrestre. La fede<br />

cristiana non è solo attesa <strong>di</strong> una salvezza futura, ma speranza certa, fondata sulla storicità<br />

dell’incarnazione del Figlio <strong>di</strong> Dio:<br />

“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” 8 .<br />

Il terzo registro, poco leggibile, risulta <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile interpretazione. Mi limito, quin<strong>di</strong>, alla sua<br />

descrizione. Anch’esso risulta <strong>di</strong>viso in due parti. La prima contiene due o forse tre figure,<br />

mentre la seconda altri due personaggi. Nel riquadro <strong>di</strong> sinistra dell’abside, si staglia,<br />

abbastanza riconoscibile, la figura <strong>di</strong> un vescovo, che indossa i caratteristici paramenti del<br />

rito bizantino. Il polystaurion 9 intessuto <strong>di</strong> croci bianche e nere, e l’omophorion 10 episcopale<br />

con le gran<strong>di</strong> croci rosse appena intuibili, fanno pensare alla più <strong>di</strong>ffusa delle<br />

rappresentazioni <strong>di</strong> S. Nicola <strong>di</strong> Myra, uno dei santi più venerati tanto nell’Oriente che<br />

nell’Occidente cristiano 11 . Al centro sembra <strong>di</strong> poter scorgere solo la sagoma <strong>di</strong> un’altra<br />

figura. A sinistra, insieme alle tracce <strong>di</strong> un panneggio, spicca il frammento <strong>di</strong> un bel viso<br />

tracciato in tono rossastri. Un’esame ravvicinato, però, rivela che si tratta <strong>di</strong> una figura<br />

appartenente allo strato sottostante <strong>di</strong> affreschi.<br />

Sull’altro lato dell’abside, in posizione simmetrica e in miglior stato, troviamo un riquadro<br />

nella cui parte interna fa bella mostra un Cristo ieraticamente seduto che nella mano sinistra<br />

stringe un rotolo <strong>di</strong> papiro, mentre tiene la destra alzata nel gesto <strong>di</strong> chi ammaestra. Il corpo<br />

è interamente avvolto in una tunica rosso porpora, su cui è drappeggiato un manto celeste.


Si tratta dei due colori canonici che simboleggiano rispettivamente la <strong>di</strong>vina regalità del<br />

Cristo e la natura umana che la ricopre 12 . Purtroppo la totale illegibilità della figura al suo<br />

fianco compromette la comprensibilità del messaggio iconografico.<br />

Sempre cominciando dall’alto, iniziamo la lettura degli affreschi interni all’abside. La<br />

semicupola, che forma il catino absidale, è sempre un luogo <strong>di</strong> alto valore simbolico. Infatti,<br />

in quanto parte <strong>di</strong> una sfera, rappresenta le realtà metafisiche. La zona, gravemente<br />

danneggiata dall’umi<strong>di</strong>tà e dall’aggiunta tar<strong>di</strong>va <strong>di</strong> una croce a stucco, conserva solo tracce<br />

dell’intera scena. Al centro, notiamo una mano, che regge un libro aperto 13 , e tratti <strong>di</strong><br />

panneggio color celeste. E’ quanto rimane <strong>di</strong> un Cristo intronizzato. A destra si percepisce la<br />

presenza <strong>di</strong> una figura leggermente inchinata verso il centro. A sinistra, una seconda figura,<br />

ugualmente rivolta verso il Cristo, regge con la mano un cartiglio srotolato. Questi frammenti<br />

sono sufficenti per farci ricostruire nell’insieme gli elementi dell’icona della Deesis 14 : Cristo<br />

Pantocrator in trono, affiancato dalla Vergine Maria e da S. Giovanni Battista che, nel nostro<br />

caso, regge un rotolo al modo dei profeti 15 . La Vergine Maria e S. Giovanni Battista vengono<br />

spesso rappresentati insieme al Cristo in quanto considerati suoi “precursori”, cioè<br />

gl’imme<strong>di</strong>ati preparatori della venuta nel mondo del Figlio <strong>di</strong> Dio: la Vergine me<strong>di</strong>ante<br />

l’accoglienza della maternità <strong>di</strong>vina, il Battista me<strong>di</strong>ante la pre<strong>di</strong>cazione profetica. In questo<br />

modo l’assemblea liturgica, riunita per celebrare i santi misteri, <strong>di</strong>viene partecipe della<br />

supplica dei due “precursori”, che invocano il ritorno glorioso del Cristo alla fine dei tempi:<br />

“Lo Spirito e la sposa <strong>di</strong>cono: - Vieni! -. E chi ascolta ripeta – Vieni! - ... Colui che attesta<br />

queste cose <strong>di</strong>ce: - Sì, verrò presto! - Amen. Vieni, Signore Gesù” 16 .<br />

Il registro centrale è separato dalla scena escatologica del catino absidale per mezzo <strong>di</strong> una<br />

cornice bicroma, assai bella, scan<strong>di</strong>ta da motivi floreali regolari. Questo riquadro, il meglio<br />

conservato <strong>di</strong> tutto il ciclo pittorico, è spartito in due da una finestrella centrale a feritoia. La<br />

funzione <strong>di</strong> quest’ultima non è principalmente quella <strong>di</strong> dar luce all’interno, ma piuttosto<br />

quella simbolica <strong>di</strong> far filtrare da oriente la prima luce del mattino, in modo da ricordare ai<br />

fedeli in preghiera che:<br />

“verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e<br />

nell’ombra della morte e <strong>di</strong>rigere i nostri passi sulla via della pace” 17 .<br />

La finestra stessa, dunque, è un’icona luminosa del Cristo, venuto e atteso.<br />

Il soggetto trattato in questo registro è il cuore <strong>di</strong> tutto il programma iconografico, si tratta,<br />

infatti, dell’ultima cena <strong>di</strong> Gesù con i suoi apostoli. La <strong>di</strong>sposizione dei personaggi è molto<br />

schematica. Tutti si trovano seduti a uno stesso lato della mensa e, <strong>di</strong> conseguenza, ritratti a<br />

mezzo busto. Sul tavolo, coperto da una tovaglia bianca ben drappeggiata e abbellita da<br />

ricami, sono <strong>di</strong>sposti tre calici, alcune verdure, alcuni panetti roton<strong>di</strong> e delle posate. A destra<br />

della finestrella, la prima figura, purtroppo rovinata, rappresenta Gesù Cristo mentre rivolge<br />

la parola a sei degli apostoli. La scena è animata da braccia e mani che si tendono, ora verso<br />

Gesù, ora in avanti sul tavolo. Gli occhi sono puntati su <strong>di</strong> lui, fatta eccezione per l’incrociarsi<br />

dello sguardo stupito degli ultimi due apostoli.<br />

In posizione simmetrica troviamo gli altri sei apostoli. Pur essendo anch’essi girati verso il<br />

Cristo, sorprendentemente, hanno lo sguardo puntato verso chi osserva il <strong>di</strong>pinto. L’ultimo<br />

personaggio a sinistra, senza barba, come anche quello all’altra estremità della mensa.<br />

Sebbene aureolato, ritengo che si tratti <strong>di</strong> Giuda, spesso collocato in fondo al tavolo a<br />

sinistra 18 .<br />

Gli altri cinque apostoli hanno tutti braccio e mani stese verso il tavolo nel gesto <strong>di</strong><br />

prendere un calice o qualcos’altro. Mi sembra chiaro che l’iconografo abbia voluto creare una<br />

sequenza d’immagini in movimento scenico. Il gruppo <strong>di</strong> sinistra con a capo S. Pietro 19 , si sta<br />

servendo delle vivande imban<strong>di</strong>te. A questo clima conviviale si oppone, in fondo alla fila, la<br />

presenza <strong>di</strong>ssonante <strong>di</strong> Giuda, già estraneo alla cena. Il gruppo <strong>di</strong> destra, invece, sta vivendo<br />

il momento in cui Gesù, annunciando il prossimo tra<strong>di</strong>mento da parte <strong>di</strong> uno dei Do<strong>di</strong>ci,<br />

semina stupore e interrogativi tra i commensali, <strong>di</strong> cui l’ultimo della fila senza barba potrebbe<br />

essere S. Giovanni 20 .<br />

Per comprendere in pieno la funzione iconografica <strong>di</strong> questo registro, dobbiamo pensare al<br />

fatto che esso era visibile poco al <strong>di</strong> sopra della mensa dell’altare, oggi mancante. Ancora una<br />

volta il messaggio non è soltanto storico, evocativo <strong>di</strong> un avvenimento ancorato nel passato,


ma attuale e partecipe del presente. Il programma iconografico nel suo insieme è concepito<br />

per accogliere nel microcosmo pittorico della piccola abside il sacerdote che celebra con il<br />

popolo <strong>di</strong> Dio la liturgica eucaristica. L’altare <strong>di</strong>venta il punto focale dove <strong>di</strong>venta visibile<br />

l’invisibile: pane e vino comunicano la reale presenza del Figlio <strong>di</strong> Dio e le icone affrescate<br />

rivelano la compartecipazione <strong>di</strong> coloro che vivono già nella gloria eterna. La Chiesa, infatti<br />

non è formata solo da coloro che fisicamente partecipano al culto, ma si estende alle<br />

generazioni dei padri, dei martiri e dei pastori, che, in pochi frammenti compaiono nell’ultimo<br />

registro, quasi a prolungare la capienza spirituale e fisica del piccolo tempio. I santi, infatti,<br />

non sono intesi primariamente come figure <strong>di</strong> un passato eroico, ma sono fratelli, modelli e<br />

intercessori, già arrivati laddove la liturgia non è più segno sacramentale nel tempo, ma<br />

comunione <strong>di</strong>retta ed eterna. L’immagine sacra, perciò, si fonde con la preghiera liturgica,<br />

proiettando l’assemblea in preghiera al <strong>di</strong> là della materialità dei segni e oltre i confini tra<br />

presente e passato e tra presente e futuro.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista stilistico, quanto rimane degli affreschi della chiesa <strong>di</strong> S. Veneranda <strong>di</strong><br />

Balldren, fa pensare a pittori <strong>di</strong>pendenti alla tra<strong>di</strong>zione iconografica bizantina, sia per lo<br />

schema compositivo dei soggeti trattati, ma, soprattutto, per quanto concerne la tecnica<br />

pittorica. A <strong>di</strong>stanza ravvicinata, infatti, si può osservare molto bene che le gradazioni <strong>di</strong><br />

colore sono ottenute partendo dalle tonalità scure per arrivare ad eleganti “colpi <strong>di</strong> luce” finali<br />

realizzati con la biacca. Accanto a questi elementi dobbiamo tener conto <strong>di</strong> influssi<br />

tipicamente occidentale, come l’uso della lingua latina, alcuni paramenti liturgici del rito<br />

romano e, forse, un certo gusto per lo stu<strong>di</strong>o psicologico dei personaggi, che emerge dal<br />

gruppo <strong>di</strong> apostoli a destra. A fronte <strong>di</strong> tecniche pittoriche e modelli iconografici tipici del<br />

periodo classico bizantino, colpiscono elementi che tra<strong>di</strong>scono una certa modernità quali la<br />

ricca tovaglia, i suoi ricami, e il suo morbido drappreggio, la presenza sulla mensa <strong>di</strong><br />

cucchiai 21 . La stessa scelta <strong>di</strong> rappresentare l’ultima cena come un banchetto, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong><br />

tutti gli altri programmi iconografici che finora ho potuto vedere in Albania, mi pare un fatto<br />

altamente singolare che rimanda a contesti culturali <strong>di</strong>versi.<br />

Un’ipotesi <strong>di</strong> datazione può essere formulata sulla base <strong>di</strong> alcuni dati a nostra<br />

<strong>di</strong>sposizione. In primo luogo va considerato che il ciclo pittorico esaminato è il secondo e,<br />

quin<strong>di</strong>, non corrispondente all’epoca <strong>di</strong> costruzione della chiesa che probabilmente rimonta<br />

alla fine del XII sec. In secondo luogo bisogna tener conto degli elementi <strong>di</strong> originalità e delle<br />

piccole innovazioni <strong>di</strong> cui abbiamo parlato. In terzo luogo va posto l’uso della lingua latina e<br />

la rappresentazione <strong>di</strong> santi con i paramenti in uso nella liturgia romana. E’ possibile che<br />

maestri affreschisti, probabilmente <strong>di</strong> provenienza dalmatina, abbiano lasciato, nella seconda<br />

metà del XIII sec. questa preziosa traccia della loro arte nel piccolo scrigno della chiesa <strong>di</strong> S.<br />

Veneranda.<br />

Un’ultima osservazione riguarda il fatto che, ad eccezione dei danni causati dall’umi<strong>di</strong>tà, i<br />

volti superstiti, in particore quelli degli apostoli, non presentano alcun danno fisico,<br />

<strong>di</strong>versamente da quanto è accaduto altrove, come vedremo. Questo particolare fa pensare che<br />

le pitture <strong>di</strong> Balldren siano state coperte con calce già in antico.<br />

SS. Salvatore – Rubik<br />

La chiesa del SS. Salvatore <strong>di</strong> Rubik oggi si trova all’interno dei confini della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong><br />

Rrëshen, <strong>di</strong> recente erezione. Storicamente, invece, essa ha sempre fatto parte della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong><br />

<strong>Lezha</strong> e per questo rientra a buon <strong>di</strong>ritto nel campo degli interessi <strong>di</strong> questo lavoro. Un<br />

secondo, ma importantissimo motivo è che gli affreschi in essa conservati costituiscono un<br />

interessante parallelo del ciclo pittorico <strong>di</strong> Balldren sia dal punto <strong>di</strong> vista stilistico che da<br />

quello del programma iconografico.<br />

I vari rifacimenti a cui la chiesa è andata soggetta fino alla prima metà del XX sec.,<br />

fortunatamente, hanno rispettato la piccola abside me<strong>di</strong>evale e la parete est in cui è<br />

inserita 22 . Se nella zona presbiteriale l’esistenza <strong>di</strong> affreschi si riduce a livide tracce <strong>di</strong> colore,<br />

l’interno dell’abside, seppure non in ottimo stato <strong>di</strong> conservazione 23 , ci consente una sicura<br />

lettura del programma iconografico.<br />

Nel caso <strong>di</strong> Rubik dobbiamo limitarci all’in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> tre registri narrativi. Tuttavia il<br />

confronto con il ciclo <strong>di</strong> Balldren suggerisce la possibilità che in antico sia esistito nello


spazio al <strong>di</strong> sopra dell’abside un timpano affrescato. Probabilmente esso fu coperto o demolito<br />

in occasione del primo ingran<strong>di</strong>mento della chiesa, corrispondente a poco più dell’attuale<br />

presbiterio e databile all’anno 1754, come attesta un’iscrizione 24 . Il confronto con Balldren,<br />

inoltre, ci restituisce in parte forme e <strong>di</strong>mensioni dell’affresco dell’Annunciazione 25 nella<br />

consueta posizione ai due lati esterni del catino absidale 26 .<br />

La semicupola dell’abside ospita l’icona della Deesis. Il Cristo Pantocrator al centro è una<br />

maestosa figura seduta su un trono dall’alto schienale. I pie<strong>di</strong> poggiano su un grande cuscino<br />

finemente decorato con un reticolo <strong>di</strong> foglie, che inquadrano gigli stilizzati 27 . Con la mano<br />

sinistra regge l’evangeliario aperto, mentre la destra è alzata nel gesto della parola. Ai lati<br />

compaiono, rispettivamente, a destra la Vergine Maria e a sinistra S. Giovanni Battista. Come<br />

nel resto dell’affresco, le figure emergono da un blu profondo.<br />

La vera novità <strong>di</strong> questo affresco è la presenza, ai pie<strong>di</strong> della Vergine, <strong>di</strong> un personaggio,<br />

rivestito dei paramenti pontificali e ritratto a <strong>di</strong>mensioni ridotte 28 . Un’iscrizione latina in<br />

caratteri gotici, riletta e pubblicata da Dhorka Dhamo con l’assistenza <strong>di</strong> p. Leon Kabashi ne<br />

chiarisce l’identità 29 :<br />

PROTEGE D(OMI)NE / [I]N[DIGN]VM /.FAMVL[UM] TE A / BATI INOCEN / TI CUM<br />

ON(IBUS) FRATR(I)B(US): ECLESIE. / ANI D(OMI)NI MCC./.LXXII<br />

Come spesso accade in epigrafia, l’iscrizione contiene evidenti errori ortografici e<br />

grammaticali 30 . Una possibile traduzione è la seguente:<br />

Proteggi, o Signore, l’indegno tuo servo abate Innocenzo con tutti i fratelli della chiesa. Anno<br />

del Signore 1272.<br />

Dunque, non si tratta <strong>di</strong> un vescovo, ma <strong>di</strong> un abate dell’Or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> S. Benedetto. Infatti, gli<br />

abati, sebbene non insigniti della <strong>di</strong>gnità episcopale, hanno la prerogativa <strong>di</strong> usare le insegne<br />

pontificali, cioè mitra e pastorale, come appunto appare nell’affresco. Le notizie ricavabili<br />

dall’iscrizione e dal ritratto sono molto preziose. In primo luogo compare l’anno <strong>di</strong> esecuzione<br />

dell’affresco, il 1272, fatto che pone l’opera tra i più antichi affreschi d’Albania 31 . La chiesa,<br />

poi, appare in relazione con una comunità monastica benedettina 32 . Inoltre, i paramenti<br />

indossati dall’abate sono chiaramente appartenenti al rito latino: mitra, pastorale, casula<br />

gotica, dalmatica, camice.<br />

Di grande interesse è anche il secondo registro, che ha come soggetto l’Ultima cena nella<br />

nota tipologia della “Comunione degli Apostoli”. Nonostante la corrispondenza tematica con il<br />

ciclo <strong>di</strong> Balldren, il soggetto è qui trattato in modo assai <strong>di</strong>verso tanto dal punto <strong>di</strong> vista<br />

formale che da quello iconografico. Innanzitutto va notato che l’abside <strong>di</strong> Rubik è scan<strong>di</strong>ta<br />

nella zona me<strong>di</strong>ana da tre finestrelle ad arco 33 . Un’attenzione particolare meritano le<br />

decorazioni ben conservate all’interno delle loro strombature. Si tratta <strong>di</strong> stilizzazioni floreali<br />

blu e rosse raffrontabili. Inoltre, a <strong>di</strong>fferenza delle altre fascie narrative, la riduzione <strong>di</strong><br />

superfice dovuta alle tre aperture ha determinato l’espansione del registro anche ai due lati<br />

esterni all’abside. Nell’insieme l’iconografo ha voluto fissare il momento dell’Ultima cena in<br />

cui Gesù Cristo <strong>di</strong>chiara la nuova natura del pane e del vino e invita gli apostoli a cibarsene<br />

in segno sacramentale <strong>di</strong> comunione 34 . La scena è composta da due sequenze narrative<br />

simmetriche. Nello spazio tra la finestra centrale e quella <strong>di</strong> sinistra Gesù Cristo in pie<strong>di</strong> si<br />

rivolge a sei apostoli <strong>di</strong>sposti processionalmente davanti a lui con le mani nude tese a<br />

riceverere il pane consacrato loro offerto. Nello spazio sopra le teste dei primi tre apostoli<br />

sono ben leggibili in caratteri gotici <strong>di</strong>pinti le parole che riccheggiano la formula <strong>di</strong><br />

consacrazione del pane secondo il rito romano:<br />

Accipite et manducate ex hoc omnes / Hoc est enim corpus meum<br />

cioè:<br />

Prendetene e mangiatene tutti. Questo, infatti, è il mio corpo<br />

In maniera speculare, nello spazio tra la finestra centrale e quella <strong>di</strong> destra, Gesù Cristo<br />

porge il calice del vino agli altri sei apostoli, che, per rispetto, tendono le mani ricoperte dai<br />

loro stessi mantelli. Anche qui in alto troviamo in forma sintetica le parole consacratorie del<br />

vino:


Accipite et bibite ex eo omnes / Hic est enim calix sanguinis mei<br />

cioè,<br />

Prendete e bevetene tutti. Questo, infatti, è il calice del mio sangue.<br />

Sebbene schematica la <strong>di</strong>sposizione degli apostoli, spazialmente <strong>di</strong>visi in gruppi da tre,<br />

rompe la monotonia della fila. Accanto ai nimbi, come <strong>di</strong> consueto, troviamo delle iscrizioni<br />

che permettono il riconoscimento <strong>di</strong> alcuni personaggi. Va notato che il gruppo <strong>di</strong> sinistra,<br />

come <strong>di</strong> consueto, è aperto da S. Pietro e che la figura seguente è accompagnata dalla scritta<br />

S. LVCA. Il fatto desta meraviglia perchè si tratta <strong>di</strong> un evangelista non appartenente al<br />

collegio dei do<strong>di</strong>ci apostoli. E’ evidente che questo nome è stato introdotto per sostituire<br />

Giuda, il tra<strong>di</strong>tore, e per mantenere inalterato il numero dei Do<strong>di</strong>ci. La figura reduplicata del<br />

Cristo è nascosta fino alla cintura non da una mensa, ma da un vero e proprio altare coperto<br />

da una ricca tovaglia rossa. Su quella <strong>di</strong> sinistra spiccano una patena e un calice, su quella<br />

<strong>di</strong> destra solo una patena. Le due scene sono incorniciate all’interno <strong>di</strong> una struttura<br />

architettonica stilizzata, composta da due esili colonne, che sorreggono un arco, a sua volta<br />

coronato da un tiburio. Senza dubbio si tratta del ciborio marmoreo che molto spesso veniva<br />

eretto sopra l’altare delle basiliche paleocristiane e romaniche 35 . Quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong>versamente da<br />

Balldren, l’ambientazione <strong>di</strong> quest’ultima cena non è quella conviviale consegnataci dalle<br />

narrazioni evangeliche, ma quella sacramentale già trasposta in ambiente liturgico.<br />

Il registro più basso contiene sette figure <strong>di</strong> santi assai sbia<strong>di</strong>te. I tre al centro, con mitra<br />

in capo, sono sicuramente vescovi. Accanto al nimbo del sesto da sinistra è leggibile il nome<br />

SCS ASTIVS 36 , a testimonianza del culto <strong>di</strong> un santo locale. S. Astio fu vescovo <strong>di</strong> Durazzo e<br />

subì il martirio intorno all’anno 100 durante la persecuzione <strong>di</strong> Traiano, sotto Agricola,<br />

Prefetto dell’Illirico 37 .<br />

Una semplice osservazione della zona tra muro absidale e pavimento rivela che l’attuale<br />

livello del presbiterio non è quello originale. Infatti, le figure dei santi, ora visibili solo fino alle<br />

ginocchia, in realtà sono intere e continuano sotto il pavimento. Nell’angolo <strong>di</strong> sinistra, la<br />

rimozione <strong>di</strong> alcune pietre permette <strong>di</strong> verificare che la parte inferiore degli affreschi si<br />

conserva molto bene con colori vivaci.<br />

Nei due lati esterni dell’abside sono presenti due nicchie, forse ricordo delle absi<strong>di</strong> minori<br />

delle basiliche a tre navate 38 . Il loro interno sicuramente ospita figure affrescate, ma lo strato<br />

<strong>di</strong> fumo <strong>di</strong> candele continuamente accese dai fedeli ne impe<strong>di</strong>sce la comprensione.<br />

Una valutazione complessiva del ciclio pittorico richiede <strong>di</strong> tenere conto due dati<br />

fondamentali: stile e data. Tentando una definizione descrittiva, parlerei <strong>di</strong> tipici modelli<br />

iconografici bizantini, ben conosciuti anche in occidente, trattati con gusto “romanico”. Tali<br />

mi sembrano essere il trono con schienale del Cristo, i panneggi movimentati degli apostoli e<br />

le belle decorazioni delle strombature delle finestrelle absidali. Anche in questo caso mi<br />

sembra valida l’osservazione che i dettagli secondari tra<strong>di</strong>scono una maggiore libertà. In<br />

questo senso parla la singolare decorazione a gigli del cuscino ai pie<strong>di</strong> del Pantocrator.<br />

La presenza, poi, <strong>di</strong> elementi <strong>di</strong> derivazione bizantina, come le tovaglie rosse dell’altare e la<br />

presenza mista <strong>di</strong> santi orientali 39 accanto a santi occidentali, fa pensare al lavoro <strong>di</strong> gruppi<br />

<strong>di</strong> pittori itineranti che, a seconda delle esigenze dei committenti, si adattavano anche alla<br />

maniera occidentale-latina. La cosa sembra trovare conferma anche dall’uso del latino, non<br />

solo nelle iscrizioni estese, ma anche nei nomi dei santi 40 .<br />

Un’ultima osservazione riguarda il fatto che nell’intero ciclo nessun viso si è conservato 41 .<br />

La superfice dei volti è, infatti, integrata con malta <strong>di</strong> calce, frutto, ritengo, <strong>di</strong> restauri<br />

condotti o da p. Fabian Barcata ai primi del ’900, o da p. Leon Kabashi verso la metà del<br />

secolo scorso.<br />

S. Barbara - Pllana<br />

Una macchia <strong>di</strong> olivi in cima a una collina, che domina la vecchia strada <strong>di</strong> accesso alla<br />

Mir<strong>di</strong>ta, cela la chiesa <strong>di</strong> S. Barbara <strong>di</strong> Pllana, custode <strong>di</strong> un prezioso patrimonio <strong>di</strong> affreschi.<br />

Questa volta la parte interessata non è più l’abside, ma la parte inferiore della facciata<br />

esterna e la controfacciata all’interno della chiesa. Questa, dal punto <strong>di</strong> vista dei programmi


iconografici, è una parte più liberamente concessa a motivi devozionali; vi troviamo, infatti,<br />

figure <strong>di</strong> santi.<br />

All’interno della chiesa, a sinistra della porta principale, due figure affiancate <strong>di</strong> santi<br />

ritratti per intero colpiscono per vivacità <strong>di</strong> stile e freschezza <strong>di</strong> colori. Lo stato <strong>di</strong><br />

conservazione è buono. La superfice affrescata misura 1,8 m <strong>di</strong> larghezza e 1,95 m <strong>di</strong> altezza.<br />

Una curiosa cornice <strong>di</strong>pinta, come <strong>di</strong> legno, ripartisce lo spazio in due campi, occupati nella<br />

metà superiore da uno sfondo <strong>di</strong> cielo blu cobalto e nella metà inferiore da una sorta <strong>di</strong><br />

terreno roccioso dai toni rosso-rosa. Sullo sfondo si stagliano, i due santi. A sinistra,<br />

riconoscibile dall’iscrizione e dai segnali iconografici della conchiglia, del bordone e della<br />

bisaccia da pellegrino, è <strong>di</strong>pinto <strong>di</strong> tre quarti, S. Giacomo apostolo. A sinistra, con la corona<br />

principesca, la ruota dentata e la palma del martirio, è ritratta frontalmente S. Caterina<br />

d’Alessandria 42 . Un abbondante panneggio ne esalta la maestosa raffigurazione.<br />

S. Giacomo è <strong>di</strong>pinto con gli attributi del pellegrino, legati al celeberrimo santuario <strong>di</strong> S.<br />

Giacomo <strong>di</strong> Compostela in Galizia, il luogo più occidentale della cristianità me<strong>di</strong>evale. I<br />

volumi creati dalle vesti, i chiaroscuri delle pieghe, la ricerca <strong>di</strong> una plasticità naturalistica<br />

dei corpi sono segni <strong>di</strong> una sensibilità artistica estranea alle forme ieratiche degli iconografi<br />

bizantini. I due santi stanno nelle loro cornici come sculture a tutto tondo. Il linguaggio<br />

pittorico è decisamente occidentale, anzi, <strong>di</strong>rei tardo-gotico. Le maestranze che hanno<br />

eseguito questi affreschi, quasi sicuramente, dovevano essere provenienti dal littorale<br />

dalmatino, se non dall’altra sponda dell’Adriatico 43 . Un confronto parallelo con altri cicli<br />

pittorici <strong>di</strong> queste regioni potrebbe dare preziose in<strong>di</strong>cazioni stilistiche e cronologiche 44 . Da<br />

parte mia, senza voler esprimere un parere definitivo, ritengo che l’opera sia da collocare negli<br />

anni precedenti la conquista turca.<br />

In origine, la mano che ha <strong>di</strong>pinto questi due santi, ha prodotto anche gli affreschi che<br />

simmetricamente si trovavano sul lato destro della porta. Ce lo attestano alcuni tasselli che<br />

saggiano la parete e mostrano tracce <strong>di</strong> colore sottostante. Inoltre, passando all’esterno, ci<br />

accorgiamo che alla base dell’affresco a destra della porta è ben visibile un sottostante strato<br />

affrescato. Insieme a quelle che sembrano estremità <strong>di</strong> lunghe vesti sono perfettamente<br />

riconoscibili due pie<strong>di</strong> calzati da scarpe rosse singolarmente appuntite: calzature occidentali,<br />

tipiche del basso me<strong>di</strong>oevo. E’, quin<strong>di</strong>, assai probabile, che gli stessi maestri “gotici” avessero<br />

decorato non solo l’interno, ma anche l’esterno.<br />

Lo strato <strong>di</strong> affresco ora visibile riporta un maestoso S. Michele Arcangelo nell’atto <strong>di</strong><br />

calpestare, trionfante, il <strong>di</strong>avolo ridotto all’impotenza. La superfice <strong>di</strong>pinta misura 1,17 m <strong>di</strong><br />

larghezza e 2,60 m <strong>di</strong> altezza. La composizione pittorica segue i canoni classici<br />

dell’iconografia e dell’estetica postbizantina. Lo sfodo è costituito da un terreno piatto dai toni<br />

rossicci e da un luminoso cielo azzurro chiaro punteggiato nella parte alta da stelle bianche e<br />

nere a forma <strong>di</strong> margherite 45 . La parte più bella dell’affresco è sicuramente il volto<br />

dell’arcangelo, incorniciato da capelli acconciati in modo assai elegante. Il pittore sembra aver<br />

voluto interpretare i migliori modelli dell’epoca d’oro dell’iconografia bizantina.<br />

L’abbigliamento dell’arcangelo è tipicamente militare e comprende: corazza che ricopre la<br />

clamide, calzoni fermati sotto il ginocchio da giarrettiere, alti calzari a stivaletto, corto<br />

mantello rosso con decorazioni gemmate gettato all’in<strong>di</strong>etro per lasciar libero il braccio<br />

destro. Nelle mani S. Michele stringe due dei suoi specifici attributi iconografici: la spada<br />

sguainata, <strong>di</strong> cui va notata l’elsa a croce con protezione per le <strong>di</strong>ta, e il globo a sfere<br />

concentriche con croce al centro, che rappresenta l’universo sotto il dominio della fede<br />

cristiana. Due ali dal piumaggio cangiante completano con leggerezza la figura angelica.<br />

Sul lato sinistro della porta, in un riquadro <strong>di</strong> 1,66 m <strong>di</strong> larghezza e 2,60 m <strong>di</strong> altezza, è<br />

affrescata la leggenda agiografica <strong>di</strong> S. Giorgio e della liberazione della principessa dal drago.<br />

In verità questo episo<strong>di</strong>o, frutto <strong>di</strong> fantasia popolare, è assai tar<strong>di</strong>vo e <strong>di</strong>ffuso soprattutto in<br />

Occidente e tra gli slavi 46 . Stile, sensibilità cromatica e dettagli, sopprattutto l’abbigliamento<br />

militare, <strong>di</strong>chiarano che anche questo riquadro è opera della stessa mano che ha <strong>di</strong>pinto S.<br />

Michele. Nella parte alta troviamo, inoltre, un cielo della stessa tonalità azzurra. Invece,<br />

cambia il suolo, reso con una fascia ocra su cui sono <strong>di</strong>pinti alberelli stilizzati <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni<br />

ridotte. E’ presente anche uno specchio <strong>di</strong> acqua blu scuro, in cui si trova immerso il<br />

dragone. In secondo piano si trova una torre merlata, ai cui parapetti si affacciano due figure<br />

danneggiate. Si tratta della principessa prigioniera, che chiede aiuto e del re malvagio, suo<br />

carceriere. Nella parte inferiore della torre si apre un’ampia porta dalla quale, finalmente<br />

liberata dall’atto eroico del santo, esce la principessa con le mani tese in avanti in segno <strong>di</strong><br />

ringraziamento. Fortunatamente è giunta fino a noi la metà inferiore <strong>di</strong> questa figura, avvolta


in un prezioso vestito. Anche in questo caso ci troviamo davanti a una reduplicazione<br />

scenica, che narra lo svolgersi della storia.<br />

Il primo piano è occupato dalla figura del santo cavaliere e del suo magnifico cavallo<br />

bianco, che, possente nel suo nobile incedere, calpesta il drago trafitto: un vero Bucefalo<br />

sacro! Un’elegante torsione del busto permette <strong>di</strong> presentarci S. Giorgio frontalmente nell’atto<br />

vibrare con forza il colpo mortale al mostro infernale. Non possiamo che rammaricarci della<br />

totale scomparsa del volto del cavaliere, che, vista l’abilità del nostro maestro, non doveva<br />

essere <strong>di</strong> bellezza inferiore a quello <strong>di</strong> S. Michele. Il movimento del cavallo, la spalla sinistra,<br />

che protende in avanti lo scudo e il mantello rosso, che garrisce il vento <strong>di</strong>etro la spalla<br />

destra danno a tutta la composizione un movimento eroico.<br />

Un’ultimo dettaglio iconografico è la mano che entra in scena nell’angolo in alto a destra<br />

sopra la torre. Sorprendentemente le <strong>di</strong>ta sono <strong>di</strong>sposte al modo latino, tre <strong>di</strong>stese e due<br />

ripiegate, e non in quello tipico della tra<strong>di</strong>zione bizantina presente, tanto a Balldren che a<br />

Rubik. Si tratta <strong>di</strong> una rappresentazione in<strong>di</strong>retta <strong>di</strong> Dio Padre, che guida la storia umana e<br />

infonde al santo la forza necessaria per sconfiggere il potere <strong>di</strong> Satana.<br />

La compresenza stratificata <strong>di</strong> affreschi più antichi <strong>di</strong> matrice occidentale e <strong>di</strong> altri più<br />

recenti d’ispirazione bizantina ci fa pensare che la chiesa <strong>di</strong> S. Barbara <strong>di</strong> Pllana, abbia<br />

accolto l’intervento <strong>di</strong> affreschisti itineranti d’impronta orientale, che operavano nella regione.<br />

A partire dalla scena <strong>di</strong> S. Giorgio Ylli Drishti trae alcune importanti conclusioni:<br />

“La raffigurazione <strong>di</strong> questa scena segue una tipologia caratteristica della pittura me<strong>di</strong>oevale<br />

macedone, dopo la comparsa dei pittori cretesi al Monte Santo (Athos). Il modello del S.<br />

Giorgio cavaliere che uccide il drago, noto nella pittura bizantina almeno dal X sec., si<br />

precisa ulteriormente nel periodo dei Paleologi. ... Questa scena è stata <strong>di</strong>pinta da pittori<br />

cretesi. Il modello iconografico cretese, arricchito dai dettagli narrativi della figlia del re, è<br />

stato usato dagli artisti post-bizantini della Macedonia...” 47<br />

Anche riguardo alla datazione mi sembrano valide le osservazioni dello stesso autore:<br />

“Tenedo conto del fatto che la scena <strong>di</strong> S. Giorgio che uccide il drago si <strong>di</strong>ffonde soprattutto<br />

tra XV e XVI sec., e dei graffiti fatti sui <strong>di</strong>pinti a partire dall’anno 1614, riteniamo che il<br />

secondo strato <strong>di</strong> affreschi del nartece appartenga al sec. XVI 48 .<br />

Il bilancio finale che possiamo formulare mettendo a confronto gli affreschi delle tre chiese<br />

<strong>di</strong> Balldren, <strong>di</strong> Rubik e <strong>di</strong> Pllana è quanto mai vario. Nelle prime due chiese troviamo la mano<br />

<strong>di</strong> artisti che eseguono, quasi contemporaneamente, opere da un repertorio consolidato dalla<br />

tra<strong>di</strong>zione in un singolare intreccio <strong>di</strong> novità e ripetizione.<br />

Balldren, verso la seconda metà del XIII sec., ci offre un esempio <strong>di</strong> originalità nella<br />

trattazione del tema centrale dell’Ultima cena, unito, però a un modo più bizantino <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>pingere. Rubik, quasi contemporaneamente ripropone lo stesso programma iconografico in<br />

forme più romaniche, rappresentando, però, l’Ultima Cena secondo un modello che si<br />

ripeterà ininterrottamente ancora per secoli nelle chiese ortodosse dell’Albania centromeri<strong>di</strong>onale<br />

49 . A Pllana troviamo la novità tardo-gotica o, se si considerano alcuni particolari,<br />

proto-rinascimentale 50 , tanto più sorprendente se si pensa che costituisce un unicum<br />

stilistico nella storia della pittura murale albanese.<br />

Un tale fenomeno si spiega solo con la presenza sul territorio <strong>di</strong> varie maestranze <strong>di</strong><br />

affreschisti <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa provenienza geografica.<br />

Infine, sempre a Pllana, abbiamo testimoniata l’abile mano <strong>di</strong> un maestro degno della<br />

migliore scuola post-bizantina, aperto alle variegate influenze tipiche della scuola venetocretese<br />

51 .<br />

Dunque, se le tre piccole chiese esaminate non raggiungono uno sviluppo pittorico ampio<br />

quanto quello <strong>di</strong> molti altri monumenti dell’Albania centro-meri<strong>di</strong>onale, tuttavia, hanno per<br />

molti aspetti un valore unico per quanto riguarda l’antichità (XIII sec.) 52 . Inoltre, va<br />

considerato che si tratta delle ultime reliquie superstiti <strong>di</strong> un ambiente religioso e artistico<br />

che manifesta influssi e caratteristiche <strong>di</strong>verse da quelle del resto dell’Albania.<br />

Ancora una volta ci viene confermata la peculiarità della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> che,<br />

geograficamente, si è trovata ad essere, lungo i secoli, margine meri<strong>di</strong>onale delle metropolie <strong>di</strong><br />

rito romano o avamposto settentrionale <strong>di</strong> quelle <strong>di</strong> rito bizantino, fatto che, storicamente, ne


fa una interessante zona d’incontro e <strong>di</strong> sovrapposizione delle due gran<strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zioni liturgiche<br />

e artistiche cristiane.<br />

1 S. Veneranda (Sh. Prendja) è la forma albanese <strong>di</strong> quella che nella tra<strong>di</strong>zione bizantina è S. Parasceve e S. Veneranda in<br />

quella latina. In comune c’è anche la memoria liturgica fissata al 26 luglio. Cf. JANIN, 1990, c. 328-330.<br />

2 Dal momento che i restauri sono tuttora in corso, i risultati delle ricerche non sono ancora stati pubblicati. Quin<strong>di</strong>, per<br />

questo lavoro mi sono avvalso delle mie osservazioni personali, sicuramente incomplete. Perciò, anche le deduzioni che<br />

sono qui proposte devono essere considerate provvisorie.<br />

3 Apocalisse 4, 6-7; Ezechiele 1, 5-21. 10,14.<br />

4 MELCZER, 1995, p. 49.<br />

5 La Bibbia <strong>di</strong> Gerusalemme, Bologna 1974, p. 2632 nota ad Apocalisse 4,6.<br />

6 Apocalisse 22,13.<br />

7 Luca 1, 26-38,<br />

8 Giovanni 1,14.<br />

9 Manto sacerdotale corrispondente alla casula latina, tutto ornato a motivi cruciformi bianche e neri.<br />

10 Corrispondente al palium latino.<br />

11 Cf. TARDIGO, 2004, p. 152-153.<br />

12 Cf. TARDIGO, 2004, p. 88.<br />

13 Sfortunatamente troppo poche per ricostruire il testo. L’ingran<strong>di</strong>mento fotografico del particolare, però, offre una bella<br />

sorpresa. Sullo strato sottostante all’evangeliario attualmente visibile ce n’è un’altro <strong>di</strong> cui si colgono alcune lettere<br />

maiuscole in tinte rossastre, il che ci fa supporre che nello strato più antico sia <strong>di</strong>pinti il medesimo soggetto.<br />

14 Icona della “Supplica” o dell’”Intercessione”.<br />

15 Secondo la mia lettura, il testo, scritto in caratteri onciali gotici, è il seguente: ***M** / SALVS [M]VN[D]I / QVI GV /<br />

BERNA / VI[T] C[Æ] / LUM ET / TERA(M).<br />

16 Apocalisse 22,17.20.<br />

17 Luca 1,78-79.<br />

18 A una prima osservazione risulta che il braccio destro e la mano che afferra una coppa rovesciata appartengono allo<br />

strato <strong>di</strong> affresco sottostante. Infatti, sono <strong>di</strong>pinti in una posizione anatomicamente impossibile. La coppa rovesciata,<br />

comunque, potrebbe essere interpretata come un segno del tra<strong>di</strong>mento.<br />

19 Lo <strong>di</strong>ce la posizione <strong>di</strong> primo alla destra del Cristo e il ritratto iconografico che lo rappresenta con barba e capelli<br />

bianchi.<br />

20 Matteo 26,17-29 e paralleli. Dal momento che vicino al nimbo degli apostoli non c’è la consueta iscrizione del nome, per<br />

il riconoscimento dobbiamo basarci solo su ricorrenti caratteristiche della loro raffigurazione.<br />

21 Non deve sorprendere il fatto che gli affreschisti, <strong>di</strong> solito rigidamente vincolati agli schemi iconografici canonici, si<br />

concedano delle licenze nei particolari <strong>di</strong> secondo piano. Questi, talvolta, lasciano meglio intendere ambiente ed epoca.<br />

22 Al contrario <strong>di</strong> quanto da più parti è stato impropriamente detto, i recenti restauri degli anni 1999-2000, hanno<br />

riguardato solamente il corpo della chiesa, cioè la parte progettata e costruita, si <strong>di</strong>ce, da p. Gjergj Fishta su modello<br />

della chiesa <strong>di</strong> S. Francesco – Gjuhadol <strong>di</strong> Scutari. Nulla della zona presbiteriale e tanto meno dell’interno dell’antica<br />

abside me<strong>di</strong>evale è stato manomesso. Unico improvvido intervento è l’intonacatura esterna della stessa abside.<br />

23 Oltre che hai consueti danni provocati dall’umi<strong>di</strong>tà e dagli uomini, gli affreschi hanno molto sofferto per l’aggressione<br />

chimica dei fumi sprigionati dagli impianti industriali operanti nelle vicinanze durante il periodo comunista.<br />

24 Cf. FABIANICH, 1864, II, p. 34. L’abside <strong>di</strong> Rubik e la larghezza della parete est sono sostanzialmente uguali a quelle <strong>di</strong><br />

Balldrenn. Questo fatto fa supporre che quest’ultima possa offrirci un esempio molto realistico <strong>di</strong> come dovevano essere<br />

l’aspetto antico e le <strong>di</strong>mensioni della chiesa del SS. Salvatore.<br />

25 Dhorka Dhamo, intorno al 1964, descrive la scena dell’Annunciazione come ancora ben visibile. Cf. DHAMO, 1964, p. 91.<br />

26 Questa zona conserva tracce si decorazioni pittoriche più tar<strong>di</strong>ve e uguali a quelle riscontrabili sulle pareti laterali del<br />

presbiterio. Si può supporre che appartengano alla decorazione della chiesa del XVII sec.<br />

27 La forma è quella dei “fiordalisi” o “gigli <strong>di</strong> Francia”, forse un motivo importato dagli Angioini.<br />

28 Si tratta <strong>di</strong> un espe<strong>di</strong>ente iconografico molto comune per rapprentare i committenti delle opere, spesso ancora in vita. Le<br />

piccole <strong>di</strong>mensioni stanno a significare la loro pochezza <strong>di</strong> fronte alla statura spirituale dei santi in mezzo ai quali si<br />

trovano.<br />

29 Cf. DHAMO 1964, p. 93. Purtroppo oggi non è più possibile sottoporre a verifica questa lettura.<br />

30 IPPEN, 2002, p. 270. Oltre che a svolgere le consuete abbreviazioni latine, ho tentato <strong>di</strong> completare l’iscrizione con alcune<br />

congetture poste fra parentesi quadre. P. F. Barcata ha anche lasciato uno schizzo a colori dell’intero ciclo <strong>di</strong> affreschi,<br />

che mi è stato <strong>di</strong> grande aiuto nell’interpretare particolari che un secolo fa erano molto meglio leggibili. Una fotografia <strong>di</strong><br />

questa riproduzione è conservata nella Biblioteca Provinciale “At’ Gjergj Fishta” presso il Convento francescano <strong>di</strong><br />

Scutari.<br />

31 La chiesa, comunque, risulta ancor più antica, come attesta un’iscrizione, oggi scomparsa, ma trascritta da B. Orsini:<br />

“Anno domini nostri Iesu Christi 1267…Captar Ban Cmibri id e. Andreas Vrana venies destruxit istam Ecclesiam”.<br />

CORDIGNANO 1934, pp. 244. La data ben si accorda con quella degli affreschi, 1272, eseguiti, quin<strong>di</strong>, cinque anni dopo la<br />

fine dei lavori della ricostruzione. Registriamo l’opinione <strong>di</strong>vergente <strong>di</strong> Theofan Popa, che porta la datazione degli affreschi<br />

al sec. XII. Lo stu<strong>di</strong>oso, infatti, ritiene che le iscrizioni latine e la figura vescovile siano dovuti a una seconda mano,<br />

intervenuta in occasione dei restauri seguiti alla <strong>di</strong>struzione del 1266. Cf. POPA 2006, pp. 125-134. Questa interessante<br />

interpretazione meriterebbe ulteriori verifiche, possibili solo nel caso <strong>di</strong> un restauro completo e scientifico.<br />

32 Del tutto infondate le affermazioni in proposito <strong>di</strong> Dhimitër S. Shuteriqi. Cf. SHUTERIQI, 1979, p. 66.<br />

33 La funzione simbolica delle finestrelle absidali in riferimento al sorgere del sole è quella che già conosciamo. In questo<br />

caso particolare, forse, si può pensare a una voluta allusione alla SS. Trinità.<br />

34 Cf. Matteo 26,26-27 e paralleli.<br />

35 Un esempio nella regione è il bel ciborio della cattedrale <strong>di</strong> Cattaro in Montenegro. Nel <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> p. F. Barcata si<br />

possono anche <strong>di</strong>stinguere le tende che venivano chiuse durante la consacrazione per sottolineare la sacralità del mistero<br />

celebrato.<br />

36 Ippen poteva leggere anche altri nomi: 1. S. Giovanni Crisostomo, 2. S. Basilio, 5. S. Agostino. IPPEN, 2002, p. 237.


37 KOREN, 1990, c. 512.<br />

38 Queste nicchie a fianco dell’altare compaiono molto spesso in molte chiese della <strong>di</strong>ocesi, anche <strong>di</strong> epoche recenti. Non<br />

avendo una funzione specifica nel rito latino, ritengo che siano un ricordo del pastophorion e del <strong>di</strong>akonikon <strong>di</strong> quello<br />

bizantino. Quin<strong>di</strong>, un elemento d’influsso orientale.<br />

39 In ogni caso si tratta <strong>di</strong> santi, come S. Basilio e S. Giovanni Crisostomo, ben conosciuti e venerati anche in Occidente.<br />

40 Fanno eccezione le sigle riguardanti il Cristo e la madre <strong>di</strong> Dio, tra<strong>di</strong>zionalmente in greco, anche in ambiente occidentale.<br />

Altri affreschi <strong>di</strong> chiese del nord Albania con queste caratteristiche sono segnalati da Th. Ippen. Cf. BUSHHAUSEN –<br />

CHOTZAKOGLOU, 2003, p. 101.<br />

41 Nella riproduzione a colori <strong>di</strong> p. F. Barcata, invece, compaiono anche i visi.<br />

42 Fondamentali e prezione le informazioni fornite sugli affreschi <strong>di</strong> questa chiesa da Ylli Drishti. Tuttavia la figura<br />

femminile non è S. Veneranda, ma, fuori <strong>di</strong> ogni dubbio, si tratta <strong>di</strong> S. Caterina d’Alessandria, come <strong>di</strong>chiarano gli<br />

attributi del martirio e il nome scritto in latino in caratteri gotici maiuscoli. Cf. DRISHTI, 1988, p. 133-139. Anche il titolo<br />

della chiesa non ha nulla a che vedere con S. Veneranda, ma piuttosto con S. Barbara.<br />

43 L’osservazione stilistica è confortata dai dati delle analisi chimiche. Cf. DRISHTI, 1988, p. 135-136.<br />

44 Per Dhorka Dhamo, rispetto al panorama generale della pittura murale in Albania anche gli affreschi della chiesa <strong>di</strong><br />

Zejmen costituiscono un’interessate gruppo particolare: “Fa eccezione il gruppo dei santi rappresentati in pie<strong>di</strong>, uno a uno,<br />

all’interno <strong>di</strong> archi a sesto acuto nella chiesa <strong>di</strong> Zejmen, non troppo lontano da Rubik. Tanto dal modo <strong>di</strong> trattare il<br />

panneggio a pieghe, che cade naturale, quanto dalla voluminosità delle figure, con spalle robuste, piene e le vesti<br />

tipicamente occidentali, le figure <strong>di</strong> Zejmen sembrano appartenere ad un in<strong>di</strong>rizzo totalmente <strong>di</strong>verso. Esse sono realizzate<br />

ispirandosi alla pittura proto-rinascimentale e costituiscono un fenomento a sè stante”. DHAMO 1974, p. 13. Purtroppo le<br />

cattive con<strong>di</strong>zioni degli affreschi <strong>di</strong> Zejmen non ci permettono oggi <strong>di</strong> compiere un interessante confronto con le pitture <strong>di</strong><br />

S. Barbara.<br />

45 Secondo Ylli Drishti si tratta <strong>di</strong> un viraggio del colore originariamente blu. DRISHTI, 1988, p. 137.<br />

46 TOSCHI, 1951, c. 441 - 445. Normalmente la figlia del re non compare nelle icone bizantine classiche. Questo dettaglio <strong>di</strong><br />

origine occidentale-slava porta la datazione oltre il sec. XV. Cf. DRISHTI, 1988, p. 137.<br />

47 DRISHTI, 1988, p. 137.<br />

48 DRISHTI, 1988, p. 138. Inoltre va considerato che proprio in questo periodo compaiono riprese stilistiche ispirate al<br />

periodo dei Paleologi, epoca classica dell’icona. Cf. BUSCHHAUSEN – CHOTZAKOGLOU, 2002, p. 36-37.<br />

49 Sarebbe interessante, a questo punto uno stu<strong>di</strong>o sistematico comparato sui programmi iconografici delle absi<strong>di</strong><br />

affrescate <strong>di</strong> tutta la regione. Per quanto ho potuto personalmente constatare il modello a tre registri si ritrova<br />

continuamente nelle chiese <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione bizantina <strong>di</strong> Berat (XVI sec.) e Voskopoja (XVIII sec.). Unica variante rispetto al<br />

nord Albania è il caratteristico stile delle scuole iconografiche bizantine e la sostituzione della Deesis con la Theotokos<br />

affiancata da due angeli nel catino absidale. La Cena è secondo il modello <strong>di</strong> Rubik, in due scene sdoppiate, in una<br />

cornice sempre più liturgica tanto da rivestire il Cristo con i paramenti sacerdotali o da fargli <strong>di</strong>stribuire la comunione<br />

con il cucchiaino.<br />

50 Cf. MEKSI, 2204, p. 174.<br />

51 Interessante la testimonianza scritta da Marino Bizzi nel 1610 che ci parla : “d’alcuni pittori che passaron per tutta<br />

l’Albania”. BICI, 1610, doc. nr. 2, 98, p. 130.<br />

52 Scrive Dhorka Dhamo: “Fino ad oggi tra le nostre pitture monumentali non si conosce alcuna altra opera <strong>di</strong> questo<br />

periodo”. DAMO, 1964, p. 94. L’affermazione va ora aggiornata con la scoperta degli affreschi <strong>di</strong> Balldren.


V.<br />

Conclusione<br />

La posizione geografica della città <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> e del suo territorio è stato un fattore <strong>di</strong><br />

rilievo nel processo <strong>di</strong> cristianizzazione della sua popolazione. Le fonti storiche documentano<br />

che questa zona, gradualmente, ha acquistito solide tra<strong>di</strong>zioni cristiane e durevoli istituzioni<br />

ecclestiastiche. Lo <strong>di</strong>mostrano chiaramente l’e<strong>di</strong>ficazione <strong>di</strong> vari monumenti religiosi e il loro<br />

uso prolungato nel tempo.<br />

Questa attività e<strong>di</strong>lizia e il conseguente sorgere <strong>di</strong> chiese nel territorio <strong>di</strong>ocesano, non ha<br />

avuto lungo i secoli un andamento uniforme, ma si è sviluppata in conformità alle con<strong>di</strong>zioni<br />

delle <strong>di</strong>verse epoche storiche. Il processo è rispecchiato dai risultati <strong>di</strong> questo lavoro<br />

riguardante e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> culto cristiani d’in<strong>di</strong>scutibile valore storico.<br />

Le nostre ricerche, svolte nel 2005 sul territorio della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, hanno preso in<br />

esame un numero considerevole <strong>di</strong> monumenti ecclesiastici, non ancora segnalati in<br />

precedenti pubblicazioni o informazioni 1 . Nella città <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> e nei villaggi <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>ocesi<br />

sono stati rintracciati più <strong>di</strong> trenta monumenti <strong>di</strong> culto appartenenti a un arco <strong>di</strong> tempo che<br />

va dal periodo paleocristiano al me<strong>di</strong>oevo. Ciò nonostante, anche se le nostre indagini<br />

segnano un innegabile progresso, non possiamo certo considerale come definitive.<br />

L’intrecciarsi dei dati provenienti dalla ricerca sulle fonti documentarie con quelli<br />

provenienti dalle nostre investigazioni sul campo, inoltre, creano la possibilità <strong>di</strong> seguire<br />

lungo i secoli lo svolgersi delle fasi storiche delle chiese <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>ocesi. Nello stesso tempo<br />

questa analisi offre dati utili, e talvolta unici, sul mutare delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita e sullo<br />

sviluppo storico della regione.<br />

I risultati <strong>di</strong> questo stu<strong>di</strong>o, a nostro avviso, offrono una panoramica sufficentemente<br />

ampia, che permette <strong>di</strong> trarre alcune conclusioni in rapporto alla cronologia e alla tipologia<br />

dei monumenti <strong>di</strong> culto. Uno stu<strong>di</strong>o più attento e più approfon<strong>di</strong>to <strong>di</strong> ciascun monumento e<br />

una simile ricerca estesa ai monumenti delle altre <strong>di</strong>ocesi confinanti potranno offrire una<br />

visione più vasta e precisa.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista cronologico notiamo che i resti delle chiese più antiche compaiono nel<br />

periodo paleocristiano. I monumenti <strong>di</strong> culto, in parte, sopravvivono fino a <strong>di</strong>ventare rari nei<br />

secoli oscuri dell’alto-me<strong>di</strong>oevo, per ricomparire con frequenza nelle epoche successive.<br />

Grazie agli scavi archeologici condotti negli ultimi tempi nella città antico-me<strong>di</strong>evale <strong>di</strong><br />

<strong>Lezha</strong>, sono tornati alla luce i resti del più antico monumento ecclesiastico della <strong>di</strong>ocesi. Si<br />

tratta una chiesa paleocristiana 2 , realizzata trasformando un e<strong>di</strong>ficio termale romano in luogo<br />

<strong>di</strong> culto cristiano, fatto abbastanza frequente, particolarmente nella prima metà del V sec. sia<br />

nell’Illyricum, che nelle altre provincie del tardo-impero 3 . Cinquant’anni piu tar<strong>di</strong>, sul Kodër<br />

Marlekaj, fuori delle mura citta<strong>di</strong>ne, registriamo la costruzione ex novo della chiesa basilicale<br />

<strong>di</strong> S. Giorgio secondo una tipica architettura e planimetria paleocristiane 4 .<br />

Le consuete nebbie storiche dell’alto-me<strong>di</strong>oevo non ci permettono <strong>di</strong> rintracciare nient’altro<br />

che un cimitero ricco <strong>di</strong> reperti, anche <strong>di</strong> provenienza cristiana. Solo verso la fine <strong>di</strong> questo<br />

periodo semisconosciuto fanno la loro comparsa altri due e<strong>di</strong>fici sacri: la chiesa <strong>di</strong> Qafë e<br />

Kalasë e quella corrispondente alla prima fase della chiesa <strong>di</strong> S. Nicola (Memoriale <strong>di</strong><br />

Skanderbeg). I dati archeologici attestano con sicurezza che essa fu costruita su una<br />

struttura più antica. Infatti, i muri conservano materiale <strong>di</strong> spolio proveniente da costruzioni<br />

precedenti 5 .<br />

L’intervallo tra il XII e XIII sec. vede un nuovo impulso all’e<strong>di</strong>lizia sacra cristiana.<br />

Testimonianza <strong>di</strong> questa ripresa sono la chiesa recentemente scoperta all’interno del castello<br />

<strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> e quella <strong>di</strong> S. Veneranda a Balldren. Più tar<strong>di</strong>, durante il XIV e XV sec., notiamo che<br />

il numero dei monumenti <strong>di</strong> culto segna un notevole incremento. A questi secoli possiamo<br />

attribuire, oggi, i resti <strong>di</strong> altre do<strong>di</strong>ci chiese. Una parte <strong>di</strong> esse colpisce per la qualità<br />

costruttiva, soluzioni architettoniche avanzate e interni con affreschi <strong>di</strong> particolare valore<br />

iconografico. Tra i monumenti più rappresentativi <strong>di</strong> questo lasso <strong>di</strong> tempo collochiamo la


chiesa della SS. Annunziata a <strong>Lezha</strong>, <strong>di</strong> S. Barbara a Pllana, <strong>di</strong> S. Nicola a Zejmen e <strong>di</strong> S.<br />

Eufemia a Kallmet.<br />

Nell’intervallo tra il XVI e il XVIII, abbiamo un’altra serie <strong>di</strong> nuove chiese, tre<strong>di</strong>ci delle quali<br />

sono analizzate e documentate in questo lavoro. Tuttavia, bisogna sottolineare che in questo<br />

periodo gli e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> culto sono eretti nella parte più impervia delle zone montuose, come, per<br />

esempio, Vela, Merçi, Mali i Rrencit, Ungrej, Kashnjet ecc..., dove si era maggiormente<br />

concentrata la popolazione cattolica. Nello stesso tempo in queste costruzioni notiamo un<br />

vistoso calo della qualità costruttiva. Il materiale impiegato è per lo più grossolano, si<br />

semplificano gli schemi planimetrici, manca qualsiasi sforzo <strong>di</strong> ricerca estetica tanto nella<br />

realizzazione dell’esterno, quanto nell’ornamento pittorico interno. Questo fatto si spiega con<br />

la pressione esercitata dal dominio turco su tutta la regione. Segni <strong>di</strong> questa situazione si<br />

notano anche in altre chiese, <strong>di</strong> volta in volta danneggiate e successivamente restaurate per<br />

rimanere in qualche modo al servizio dei fedeli.<br />

Confrontando le piu frequenti planimetrie delle chiese <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>ocesi, si possono<br />

<strong>di</strong>stinguere tre tipi principali <strong>di</strong> chiese:<br />

Chiese <strong>di</strong> tipo basilicale.<br />

Compaiono nella prima fase della <strong>di</strong>ffusione del cristianesimo nella regione. Il modello<br />

preferito è quello classico della basilica a tre navate, completate da una o tre absi<strong>di</strong>. In molti<br />

casi compare anche il nartece. Spesso gli e<strong>di</strong>fici sacri assumono una planimetria cruciforme,<br />

come appare particolarmente nella chiesa delle terme e in quella <strong>di</strong> Kodër Marlekaj. In queste<br />

due costruzioni è evidente la volontà <strong>di</strong> realizzare non solo e<strong>di</strong>fici funzionali, ma anche opere<br />

architettoniche <strong>di</strong> valore estetico. Lo rivela, per esempio, l’impiego dell’opus mixtum nella<br />

chiesa <strong>di</strong> S. Giorgio o la rivalutazione dell’opus reticulatum nella chiesa delle terme. L’eco<br />

della tipologia basilicale, poi, si prolunga fino al me<strong>di</strong>oevo, come appare nella chiesa<br />

recentemente scoperta nel castello <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>.<br />

Chiese a navata unica e portico.<br />

Questo modello <strong>di</strong> chiesa appartiene principalmente ai secoli XIII-XV. In generale questi<br />

e<strong>di</strong>fici presentano una pianta rettangolare, con abside nel lato est e portico all’esterno del lato<br />

ovest. Esempi significativi <strong>di</strong> questa tipologia ci sono offerti dalle chiese <strong>di</strong> S. Nicola a Zejmen,<br />

<strong>di</strong> S. Alessandro a Spiten, <strong>di</strong> S. Biagio a Manati e Vjetër (Solamunt), <strong>di</strong> S. Barbara a Pllana e,<br />

molto probabilmente, <strong>di</strong> S. Nicola a Kakarriq e <strong>di</strong> S. Nicola a <strong>Lezha</strong> (Memoriale). Se dal punto<br />

<strong>di</strong> vista planimetrico queste chiese sono sostanzialmente uguali, variano sensibilmente per<br />

quanto riguarda le misure e dettagli architettonici. Molte <strong>di</strong> esse, nonostante siano a navata<br />

unica, hanno <strong>di</strong>mensioni considerevoli. Inoltre, le più importanti sono circondate da un<br />

terreno con muri <strong>di</strong> cinta, occupato da e<strong>di</strong>fici monastici o a<strong>di</strong>bito a cimitero.<br />

Notiamo, inoltre, che accanto a molte <strong>di</strong> queste chiese, in una fase più tar<strong>di</strong>va, è stato<br />

costruito un campanile. Esempi sono riscontrabili nelle chiese <strong>di</strong> S. Biagio (Solamund), S.<br />

Nicola a Kakarriq ecc... L’aggiunta <strong>di</strong> questo elemento architettonico, soprattutto nell’Albania<br />

settentrionale, pare essere il risultato dell’influsso esercitato dall’architettura ecclesiastica<br />

occidentale, in particolare delle famose scuole dell’Italia meri<strong>di</strong>onale e della costa dalmatina 6 .<br />

Chiese a navata unica con abside<br />

Chiese <strong>di</strong> questo tipo formano un gruppo piuttosto numeroso. Per lo più si tratta <strong>di</strong><br />

costruzioni semplici, il cui unico elemento <strong>di</strong> rilievo è l’abside. Per tutto il resto coincidono<br />

con il modello presentato sopra, fatta eccezione per il portico. Tra queste ricor<strong>di</strong>amo le chiese<br />

<strong>di</strong> S. Demetrio a Trash, <strong>di</strong> S. Michele a Grykë Manati, <strong>di</strong> S. Giovanni a Shëngjin, <strong>di</strong> S.<br />

Veneranda a Vela ecc... Per quanto riguarda la datazione, questi e<strong>di</strong>fici sacri possono<br />

appartenere a un periodo variabile dall’alto me<strong>di</strong>oevo, come le chiese nei pressi del castello <strong>di</strong><br />

<strong>Lezha</strong>, fino al XVI – XVII sec., come le due chiese <strong>di</strong> S. Michele a Ungrej e Kashnjet.<br />

Chiese a navata unica, senza abside<br />

Le chiese a semplice pianta rettangolare sono le più <strong>di</strong>ffuse in <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>. L’altare è,<br />

come <strong>di</strong> consueto collocato sul lato est. In alcuni casi, al posto dell’abside, troviamo una<br />

sorta <strong>di</strong> incassatura a nicchia, ricavata nella parere orientale. In tutte le chiese <strong>di</strong> questo tipo<br />

l’altare è costruito in forma rettangolare. Abbiamo notato che alcune <strong>di</strong> esse sono state<br />

completate prima con il portico (S. Eufemia a Kallmet, S. Giovanni e Kallmet i Vogel, ecc...) e<br />

successivamente con il campanile. Due chiese <strong>di</strong> questo gruppo, S. Pietro a Mal i Rrencit e


quella a Kastenjot <strong>di</strong> Kallmet, hanno in comune il fatto che l’ingresso si trova sul lato nord e<br />

dà sul presbiterio.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista cronologico notiamo che questo tipo <strong>di</strong> monumento fa la sua comparsa<br />

nel XIII-XIV sec. Questo ci fa pensare che la costruzione <strong>di</strong> chiese senz’abside,<br />

contemporanee ad altri e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> culto absidati, sia dovuta principalmente a una tendenza<br />

architettonica tipica dell’Or<strong>di</strong>ne francescano. Questa tipologia, oltre che al fondo rettilineo, o<br />

a una nicchia ricavata sulla parete <strong>di</strong> fondo, prevede anche il presbiterio coperto a volta 7 .<br />

L’esempio più rappresentativo <strong>di</strong> questa tendenza in <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, ci sembra la chiesa<br />

della SS. Annunziata.<br />

Più tar<strong>di</strong>, nei secoli XVI-XVII, constatiamo che l’uso <strong>di</strong> questo schema planimetrico a<br />

navata unica senza abside, si fa più frequente, come testimoniano i resti <strong>di</strong> un considerevole<br />

numero <strong>di</strong> chiese. Naturalmente, tale processo <strong>di</strong> semplificazione planimetrica e<br />

architettonica, soprattutto degli esterni, ha evidenti ragioni storiche, legate alla situazione<br />

sfavorevole creatasi con la conquista turca e le limitazioni <strong>di</strong> esercizio del culto cristiano<br />

tipiche <strong>di</strong> questo periodo. E’ probabile che queste chiese siano volutamente poco appariscenti<br />

all’esterno, in modo da passare il più possibile inosservate agli occhi dei conquistatori turchi.<br />

Tale <strong>di</strong>fficile situazione è ben documentata dalle fonti storiche del tempo. Basta sfogliare<br />

con attenzione le relazioni del XVII sec., per trovare con abbondanza dati che testimoniano<br />

chiaramente innumerevoli abusi e angherie arbitrarie, perpretrati a danno delle chiese e delle<br />

comunità cristiane.<br />

Cappelle funerarie.<br />

L’ultimo gruppo è formato da due cappelle cimiteriali, una a Kakarriq, l’altra a Rrenc. Per<br />

quanto riguarda la pianta sono rettangolari, con il lato ovest completamente aperto o fornito<br />

<strong>di</strong> pilastro a sostegno del tetto. L’altare, ugualmente <strong>di</strong> forma rettangolare, è e<strong>di</strong>ficato contro<br />

l’interno della parete est. Questi monumenti si trovano all’interno <strong>di</strong> terreni a<strong>di</strong>biti a cimitero<br />

e circondati da muri a secco. Va notato che queste due cappelle funerarie sono accomunate<br />

tanto dalla concezione architettonica che dall’appartenenza storica al sec. XVII.<br />

Se da una parte non tutti i monumenti ecclesiastici della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>, che abbiamo<br />

passato in rassegna possono essere considerati dal punto <strong>di</strong> vista architettonico opere d’arte,<br />

tuttavia, va considerato che molti <strong>di</strong> essi hanno un particolare valore storico per quanto<br />

concerne l’ubicazione, il tempo <strong>di</strong> costruzione, la tipologia. Inoltre, bisogna tener conto del<br />

fatto che molti <strong>di</strong> questi e<strong>di</strong>fici sacri sono stati costruiti in tempi <strong>di</strong>fficili, quando i costruttori<br />

non erano certo preoccupati <strong>di</strong> esigenze estetiche.<br />

Un’altra interessante questione riguarda l’uso dei nomi dei santi nei titoli delle chiese <strong>di</strong><br />

questa <strong>di</strong>ocesi. Molto spesso questa scelta è stata determinata dai movimenti migratori della<br />

popolazione avvenuti in <strong>di</strong>verse epoche. I titoli usati storicamente nelle chiese del territorio<br />

<strong>di</strong>ocesano <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> sono: SS. Annunziata, Madonna della Neve, Madonna del Rosario, S.<br />

Nicola, S. Giorgio, S. Veneranda, S. Pietro, S. Alessandro, S. Eufemia, S. Giovanni, S. Barbara,<br />

S. Demetrio, SS. Salvatore, S. Michele, S. Biagio, S. Giuseppe, S. Antonio, S. Giovanni Decollato,<br />

S. Sebastiano, S. Margherita, SS. Cosma e Damiano, S. Martino, SS. Trinità, S. Maria<br />

Maddalena.<br />

Subito notiamo che il titolo più <strong>di</strong>ffuso è quello <strong>di</strong> S. Nicola (7 volte), seguito da S. Giorgio<br />

(6 volte). Viene, poi, S. Maria (5 volte), S. Alessandro, S. Veneranda, S. Giovanni e S. Michele<br />

(3 volte), SS. Salvatore (2 volte). Per quanto riguarda altre quattro chiese, invece, non<br />

conosciamo alcun titolo. Si tratta della chiesa sulle terme romane, <strong>di</strong> quella a est del castello<br />

e <strong>di</strong> quella sul Mal i Kastenjot a Kallmet (cf. tabella in appen<strong>di</strong>ce).<br />

Come abbiamo affermato più sopra, la posizione geografica della <strong>di</strong>ocesi sul confine<br />

tra<strong>di</strong>zionale, che segna il passaggio tra le due gran<strong>di</strong> culture orientale e occidentale, ha<br />

lasciato tracce sensibili anche nell’architettura dei monumenti <strong>di</strong> culto cristiani che abbiamo<br />

presentato. Gli esempi più evidenti <strong>di</strong> questo intreccio culturale sono gli affreschi murali <strong>di</strong> S.<br />

Barbara presentano uno strato più antico gotico-occidentale e uno più recente <strong>di</strong> gusto<br />

orientale post-bizantino. Molti elementi architettonici riflettono un legame <strong>di</strong>retto con<br />

l’occidente, con evidenti influssi stilistici romanico-gotici, compresa la presenza dei<br />

campanili. Si tratta <strong>di</strong> novità giunte dalle sponde d’Italia per mezzo dei maestri delle scuole<br />

della Dalmazia meri<strong>di</strong>onale. Ugualmente anche il repertorio dei titoli delle chiese testimonia<br />

questo intreccio.<br />

Nonostante che la presente ricerca riguar<strong>di</strong> un territorio relativamente ristretto, siamo<br />

ancor più convinti del legame che intercorre tra l’origine e dello sviluppo delle chiese in seno


alla <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong> e il corso generale degli avvenimenti storici della regione. Così la<br />

mancanza <strong>di</strong> costruzioni ecclesiastiche lungo i secoli VII-VIII, rispecchia un periodo molto<br />

travagliato, tanto nelle regioni balcaniche che nel resto dell’impero d’Oriente. Risulta<br />

evidente, infatti, che l’assenza <strong>di</strong> attività e<strong>di</strong>lizia è dovuta sia a cause esterne quali la<br />

veemenza delle invasioni slave sia a cause interne quali la crisi iconoclastica.<br />

Nonostante la grande importanza degli avvenimenti storici accaduti in seguito,<br />

constatiamo che la costruzione <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici cultuali segue una curva <strong>di</strong>scontinua: i secoli IX-XI<br />

sono caratterizzati dagli sforzi che precedono una rinascita, i secoli XII – XV segnano la<br />

ripresa, i secoli XVI-XVIII testimoniano il tentativo <strong>di</strong> sopravvivenza. Infine, è solo dopo la<br />

conclusione del XIX sec. che le chiese cominciano a innalzare liberamente i loro campanili.<br />

Non va taciuta, poi, l’ondata <strong>di</strong> persecuzione antireligiosa che si abbattè nella seconda<br />

metà del XX sec. sul popolo albanese. Essa raggiunse il punto culminante nell’anno 1967,<br />

quando, con la proclamazione dell’ateismo <strong>di</strong> stato, fu proibita ogni forma <strong>di</strong> vita religiosa.<br />

Questo fatto determinò una massiccia <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> culto appartenenti a tutte le<br />

comunità religiose.<br />

L’attuale organizzazione ecclesiastica, ripristinata dopo il 1990, accanto alle nuove<br />

strutture e<strong>di</strong>lizie ha conservato fedelmente la memoria degli antichi luoghi <strong>di</strong> culto,<br />

ricostruendo alcune chiese <strong>di</strong> particolare valore storico-architettonico.<br />

L’origine e lo sviluppo della religione cristiana e dei suoi monumenti nella <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong><br />

devono essere visti come il risultato <strong>di</strong> un processo storico, che nel suo intimo possiede una<br />

specificitá mai estinta, condensata nei vocaboli: rinascita e rinnovamento.<br />

Tirana, maggio 2006<br />

1 PRENDI, 1969, p. 241-248 prende in considerazione la chiesa <strong>di</strong> S. Nicola a <strong>Lezha</strong> e menziona alcune altre chiese della<br />

città. Abbiamo tenuto presente principalmente la pubblicazione <strong>di</strong> A. Meksi e la letteratura in essa citata. MEKSI, 2004, p.<br />

25-26, p. 169-170, p. 173-176, p. 195-197.<br />

2 HOXHA, 2005, p. 19-28; HOXHA, 2005b, p. 174 - 175.<br />

3 Cf. rispettivamente: BODEN, PËRZHITA, 2004, p. 176-202; MITCHELL, GILKES, ÇONDI, 2005, p. 107-130; KORA, 2005, p. 140-<br />

141; VAES, 1986, p. 305-367.<br />

4 MEKSI, 1985, p. 20-21 Tab. IV, 1; MEKSI, 2004, p. 25-26; ZHEKU, 1988, p. 88-89.<br />

5 PRENDI, 1969, p. 241-246; E. NALLBANI, Rapporti degli anni 2004-2005 riguardo al cimitero me<strong>di</strong>oevale <strong>di</strong> <strong>Lezha</strong>. Si<br />

custo<strong>di</strong>scono nell’Archivio dell’istituto Archeologico <strong>di</strong> Tirana.<br />

6 MEKSI, 2004, p. 113, 117-119.<br />

7 MEKSI, 2004, p. 114, 119.


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nga Injac Zamputi, Tirane, 1965.<br />

SKURA, 1641b Relacion i Mark Skurës, drejtue Kongregacionit të Prop. Fide, mbi viziten e kryeme<br />

nëpër <strong>di</strong>oçezat e Shqipnisë së Mesme. Relacione mbi gjendjen e Shqipërisë veriore<br />

dhe te mesme në shekullin e XVII, II, (1634 - 1650). Pergatitur nga Injac Zamputi,<br />

Tirane, 1965.<br />

SKURA, 1644 Relacion i Mark Skurës, drejtue Kongregacionit të Prop. Fide, mbi viziten e kryeme<br />

nëpër <strong>di</strong>oçezat e Shqipnisë së mesme. Relacione mbi gjendjen e Shqipërisë veriore<br />

dhe te mesme në shekullin e XVII, II, (1634 - 1650). Pergatitur nga Injac Zamputi,<br />

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