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I <strong>maestri</strong><br />
<strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
di Massimo Ferretti<br />
Storia dell’arte Einaudi 1
Edizione di riferimento:<br />
in Storia dell’arte <strong>it</strong>aliana, III. S<strong>it</strong>uazioni momenti<br />
indagini, 11. Forme e modelli, a cura di Federico Zeri,<br />
Einaudi, Torino 1982<br />
Storia dell’arte Einaudi 2
Indice<br />
I. Problemi 4<br />
1. Maestri di <strong>prospettiva</strong> e di tarsia 8<br />
2. Legno, tecnica, figurazione 15<br />
3. Tarsia e p<strong>it</strong>tura 24<br />
4. Cori e studioli 31<br />
II. Sviluppi 35<br />
1. Tradizione senese ed esordio prospettico<br />
a Firenze 37<br />
2. I Lendinara lungo la via Emilia 44<br />
3. Sviluppi lendinareschi in area veneta 54<br />
4. La zona lombarda 59<br />
5. Espansione fiorentina 64<br />
6. Grottesche, intagli, prospettive in Umbria 75<br />
7. Antonio Barili: «coelo non penicillo» 79<br />
8. Giovanni da Verona e la rete dei<br />
conventi olivetani 83<br />
9. Persistenze e revisioni nella tarsia padana<br />
del Cinquecento 91<br />
10. L’ipotesi del Lotto a Bergamo 103<br />
11. Fra Damiano e l’es<strong>it</strong>o virtuosistico<br />
<strong>della</strong> tarsia 108<br />
III. Temi 116<br />
1. Immagini <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà 117<br />
2. L’esperienza dello spettacolo 126<br />
3. Temi d’illusione e di armonia 132<br />
4. Icone meccaniche 139<br />
Storia dell’arte Einaudi 3
Cap<strong>it</strong>olo primo<br />
Problemi<br />
Segnando quelle sue focosissime Considerazioni al<br />
Tasso su un esemplare appos<strong>it</strong>amente interfoliato <strong>della</strong><br />
Gerusalemme Liberata, il giovane Galilei trovò ripetute<br />
occasioni per un demol<strong>it</strong>orio confronto con il poema dell’Ariosto<br />
e per caratterizzazioni traslate dall’esperienza<br />
figurativa (fino al culmine del diretto dialogo col poeta:<br />
«Voi non sapete dipinger, Sig. Tasso, non sapete adoperare<br />
i colori, non i pennelli, non sapete disegnare, non<br />
sapete fare questo mestiero»). Attraverso quest’accostante<br />
e personalissima formula di «Ut pictura poësis»,<br />
la concatenazione di giudizi ed immagini tocca alcuni<br />
momenti cap<strong>it</strong>ali nel rifiuto dell’universo manierista.<br />
La «durezza» e la «suspension di mente» del Tasso vengono<br />
cosí accostate a quell’inutilmente applicato lusus<br />
dell’arte che è l’opera di tarsia. L’incip<strong>it</strong> del poema è<br />
accompagnato da questa postilla:<br />
Uno tra gli altri difetti è molto familiare al Tasso, nato<br />
da una grande strettezza di vena e povertà di concetti; ed<br />
è, che mancandogli ben spesso la materia, è costretto andar<br />
rappezzando insieme concetti spezzati e senza dependenza<br />
e connessione tra loro, onde la sua narrazione ne riesce<br />
piú presto una p<strong>it</strong>tura intarsiata, che color<strong>it</strong>a a olio: perché,<br />
essendo le tarsie un accozzamento di legnetti di diversi<br />
colori, con i quali non possono già mai accoppiarsi e unirsi<br />
cosí dolcemente che non restino i lor confini taglienti e<br />
Storia dell’arte Einaudi 4
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
dalla divers<strong>it</strong>à de’ colori crudamente distinti, rendono per<br />
necess<strong>it</strong>à le lor figure secche, crude, senza tondezza e rilievo;<br />
dove che nel color<strong>it</strong>o a olio, sfumandosi dolcemente i<br />
confini, si passa senza crudezza dall’una all’altra tinta,<br />
onde la p<strong>it</strong>tura riesce morbida, tonda, con forza e con<br />
rilievo. Sfuma e tondeggia l’Ariosto, come quelli che è<br />
abbondantissimo di parole, frasi, locuzioni e concetti; rottamente,<br />
seccamente e crudamente conduce le sue opere il<br />
Tasso, per la povertà di tutti i requis<strong>it</strong>i al ben oprare.<br />
Andiamo adunque esaminando con qualche riscontro particolare<br />
questa ver<strong>it</strong>à: e questo andare empiendo, per brev<strong>it</strong>à<br />
di parole, le stanze di concetti che non hanno una<br />
necessaria continuazione con le cose dette e da dirsi, l’addomanderemo<br />
intarsiare 1 .<br />
Galileo non pensava certo alla tarsia come a quanto,<br />
già piú un secolo innanzi, si era posto «all’incrocio di<br />
tutte le arti» 2 , organando emblematicamente intelligenza<br />
meccanica, istanze di figurazione, sapere «scientifico».<br />
Davanti, semmai, aveva l’immagine di un artificio<br />
tecnologico, separato e subalterno nei suoi virtuosismi<br />
d’irrealtà, pericolosamente vicino a quelle «acque stagnanti»,<br />
per quanto derivate dalla fonte principale <strong>della</strong><br />
p<strong>it</strong>tura, che Francisco de Hollanda aveva ricordato come<br />
«destrezze inutili» e che il Pino aveva bollato di «semplic<strong>it</strong>à<br />
e folle [fole] fratesche» 3 . All’inizio del Seicento,<br />
senza forzature teoriche, il Mancini considera la tarsia<br />
come un «modo di p<strong>it</strong>tura»; ma la specific<strong>it</strong>à materiale<br />
di quella lignea, cui fa caso Galileo, ormai gli sfugge<br />
(«saranno pietre, smalti, legni e gioie») 4 . Circa sessanta<br />
anni dopo, Daniello Bartoli, sarà singolarmente attento<br />
alle «pruove meravigliose» di un’arte «antica e oggi dí<br />
poco men che dimessa» 5 .<br />
Queste c<strong>it</strong>azioni non servono ad entrare nell’argomento<br />
<strong>della</strong> tarsia prospettica per la via, un po’ scolasticamente<br />
giustificativa, <strong>della</strong> sua fortuna cr<strong>it</strong>ica. Esse<br />
Storia dell’arte Einaudi 5
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
orientano invece su quel campo di connessioni incrociate,<br />
di pregiudizi cr<strong>it</strong>ici e di difficoltà reali che ancora<br />
oggi circonda un documento visivo di matrice complessa<br />
e precocemente trasformata. Se non vogliamo<br />
consentire il prevaricamento di una sensibil<strong>it</strong>à moderna,<br />
ieri pronta a spendere il fresco ricordo <strong>della</strong> metafisica<br />
novecentesca, oggi piú tesa a ricostruire il momento<br />
concettuale di quelle prospettive fuori dalle final<strong>it</strong>à di<br />
figurazione, sarà innanz<strong>it</strong>utto opportuno evidenziare le<br />
radici oggettive di tali difficoltà, appiattendo, in un<br />
primo momento, i motivi di sviluppo cronologico e geografico.<br />
Si tratta, intanto, di risalire oltre le ragioni<br />
ideologiche, sociali, figurative dell’età manieristica e<br />
neo-feudale.<br />
Galileo, difatti, poteva mettere Tasso ed Ariosto in<br />
parallelo con tarsia e p<strong>it</strong>tura perché, ai suoi occhi, di un<br />
confronto omogeneo si trattava, essendo scontata la<br />
dipendenza dell’una dall’altra. Vasari, parlando «Del<br />
musaico di legname cioè delle tarsie (una graduazione di<br />
lessico per niente neutrale) e dell’istorie che si fanno di<br />
legni tinti e commessi a guisa di p<strong>it</strong>tura», era stato esplic<strong>it</strong>o:<br />
E perché tale professione consiste solo ne’ disegni che<br />
siano atti a tale esercizio, pieni di casamenti e di cose che<br />
abbino i lineamenti quadrati e si possa per via di chiari e<br />
di scuri dare loro forza e rilievo, hannolo fatto sempre persone<br />
che hanno avuto piú pacenzia che disegno. E cosí s’è<br />
causato che molte opere vi si sono fatte e si sono in questa<br />
professione lavorate storie di figure, frutti et animali,<br />
che invero alcune cose sono vivissime; ma per essere cosa<br />
che tosto diventa nera e non contrafà se non la p<strong>it</strong>tura,<br />
essendo da meno di quella e poco durabile per i tarli e per<br />
il fuoco, è tenuto tempo buttato invano, ancorache e’ sia<br />
lodevole e maestrevole 6 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 6
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Anche argomenti come quello <strong>della</strong> durata fisica delle<br />
opere, o l’altro <strong>della</strong> facil<strong>it</strong>à/difficoltà esecutiva, ricorrenti<br />
nel paragone cinquecentesco fra le arti, riescono<br />
cosí sfavorevoli alla tarsia; che dunque è solo paziente<br />
estensione meccanica <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura, priva di diretti tram<strong>it</strong>i<br />
col Disegno («padre delle tre arti nostre»). Se Vincenzio<br />
Borghini poteva ironizzare sul parere di «un<br />
legnaiuolo» come Battista Tasso nell’inchiesta varchiana<br />
sul primato delle arti («maestro si chiama da sé da<br />
sé») 7 ,Vasari svolgeva concretamente la sostanza discriminatoria<br />
di quelle sue affermazioni nella concretezza<br />
narrativa delle biografie. Una regola sociale di ascesa<br />
viene sistematicamente sovrapposta alla polimorfa cultura<br />
tecnologica delle botteghe fiorentine dell’ultimo<br />
Quattrocento. Intaglio e tarsia s’identificano cosí troppo<br />
necessariamente con la fase giovanile di artisti destinati<br />
a piú alte responsabil<strong>it</strong>à 8 . L’abbandono <strong>della</strong> tarsia<br />
da parte di Benedetto da Maiano è la conseguenza traumatica<br />
di un’imbarazzante presentazione alla corte di<br />
Mattia Corvino, rovinata da «un paio di casse con difficile<br />
e bellissimo magisterio di legni commessi», poi<br />
staccati e scomposti per l’umid<strong>it</strong>à pat<strong>it</strong>a durante il viaggio<br />
(ma «la colpa era stata dell’esercizio che era basso,<br />
e non dell’ingegno suo che era alto e pellegrino») 9 .<br />
Al Vasari non sfuggiva certo che quest’arte d’intarsiare<br />
era cosa ormai trascorsa e vicina al puro esercizio<br />
prospettico. Ma la pratica autonoma <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
(dove il termine non corrispondesse a quella «divinissima»<br />
possibil<strong>it</strong>à di dispiegamento e di diletto visivo da<br />
lui indicata nella lettera al Varchi 10 ) era da lasciare ad<br />
artefici privi d’invenzione, senza disegno: lo aveva cap<strong>it</strong>o<br />
Aristotile da Sangallo quando rinunciò alla p<strong>it</strong>tura e<br />
«si risolvé di volere che il suo esercizio fusse l’arch<strong>it</strong>ettura<br />
e la <strong>prospettiva</strong>, facendo scene da commedie» 11 . E<br />
difatti chi su di esse avesse fatto considerazioni teoriche,<br />
come Daniele Barbaro, non avrebbe tardato a ricono-<br />
Storia dell’arte Einaudi 7
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
scere buoni esempi di Prospettiva pratica «nelle p<strong>it</strong>ture<br />
de gli antipassati» 12 . Ma le opere di tarsia erano da loro<br />
chiamate «perspectivae» e, nell’oscillazione fra «faber»,<br />
«magister a lignamine», «carpentarius» e simili, l’appellativo<br />
di maestro di <strong>prospettiva</strong> serví piú frequentemente<br />
a riconoscere l’intarsiatore 13 .<br />
i. Maestri di <strong>prospettiva</strong> e di tarsia.<br />
Le ragioni <strong>della</strong> crisi cinquecentesca <strong>della</strong> tarsia, con<br />
i relativi impacci ad intenderne le realizzazioni passate,<br />
convergono proprio su tale doppio registro lessicale,<br />
ormai scisso alla metà del secolo. Oppure, sull’accenno<br />
del Barbaro ad una <strong>prospettiva</strong> «pratica» già concretata<br />
nelle opere ma non ancora defin<strong>it</strong>a come sistema preliminare<br />
di norme (solo nel 1540 era stato stampato il<br />
De pictura albertiano, e nella redazione latina). A progredire<br />
fu dunque una nozione piú astratta di <strong>prospettiva</strong>,<br />
scientificizzante e in pieno assestamento trattatistico:<br />
che sempre piú spesso fu opera di matematici, culminando,<br />
giusto allo scadere del secolo, in Guidobaldo<br />
Del Monte e nella sua giustificazione concettuale del<br />
punto di fuga, dunque nelle premesse <strong>della</strong> geometria<br />
proiettiva di Desargues 14 . Anche la cultura figurativa,<br />
sullo sfondo <strong>della</strong> condanna zuccaresca delle matematiche,<br />
suggerisce un certo distacco e quasi un’incomprensione<br />
fra le due linee di competenza prospettica: quando<br />
arriva a descrivere come si tirano le prospettive,<br />
Vasari coerentemente sorvola 15 . Si comincia cosí a circoscrivere<br />
quello speciale settore deputato ad un magistero<br />
prospettico stupefacente, ma del tutto autonomo<br />
e specialistico, che avrà i suoi trionfi nell’età delle quadrature<br />
16 . La tarsia non poteva piú essere un’occasione<br />
di raccordo fra le diverse esperienze: il suo sviluppo,<br />
necessariamente, aveva avuto la stessa «brevissima dura-<br />
Storia dell’arte Einaudi 8
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
ta» di quel «periodo di transizione, che potremmo chiamare<br />
archimedeo» in cui scienza, tecnica, arte si erano<br />
incontrate in forme poi irripetibili 17 . Se durante tutto il<br />
Cinquecento esse trovarono sviluppi utilmente reciproci,<br />
non fu tanto in area <strong>it</strong>aliana. Solo per rimanere al<br />
caso nostro, le tavole di dimostrazione prospettica dei<br />
Kunstbüchlein tardo-cinquecenteschi fanno spesso<br />
tutt’uno con i modelli utilizzati dagli intarsiatori tedeschi<br />
del tempo; e cosí nel 1556 Leonard Digges, nel sottot<strong>it</strong>olo<br />
del suo A Booke Named Tectonicon può promettere,<br />
fra i tanti, anche agli intarsiatori, «cose piacevoli<br />
e necessarie, sommamente utili» 18 . Era dunque fatale<br />
che non fosse Bacone a fornire la c<strong>it</strong>azione d’avvio.<br />
Storicizzare l’evoluzione <strong>della</strong> cultura prospettica da<br />
Brunelleschi alla fine del Cinquecento non serve soltanto<br />
a motivare il «r<strong>it</strong>rarsi» <strong>della</strong> tarsia. È un’esigenza resa<br />
tanto piú opportuna dalla central<strong>it</strong>à del tema nell’esperienza<br />
storiografica del nostro secolo. Il celebre saggio<br />
giovanile di Erwin Panofsky, che dette coagulo ad una<br />
comprensione <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong> come convenzione culturale<br />
e che fissò una frattura radicale e, a suo modo, simbolica,<br />
con i presupposti dell’antiscientismo ottocentesco<br />
(da Selvatico a Ruskin), non è certo valso a sgombrare il<br />
campo da astratte ipotesi culturalistiche 19 . Specie da noi,<br />
dove la fortunata traduzione feltrinelliana ha fatto del<br />
vecchio saggio del 1927 una presenza non trascurabile,<br />
ma un po’ inavvert<strong>it</strong>amente attualizzata, nel campo <strong>della</strong><br />
cultura media e non specialistica, cosí come nell’armamentario<br />
teorico di cr<strong>it</strong>ici ed operatori visivi 20 . Nonostante<br />
l’attenzione all’effettiva pratica delle botteghe<br />
fatta già vent’anni fa da Klein, e nonostante i richiami<br />
ai concreti tram<strong>it</strong>i d’esperienza culturale che caratterizza<br />
i piú recenti interventi di Baxandall, per certi versi di<br />
Edgerton, di Veltman, Kemp ed altri, ancora oggi chi<br />
considera la stagione eroica <strong>della</strong> visualizzazione prospettica<br />
corre facilmente il rischio d’intellettualizzare<br />
Storia dell’arte Einaudi 9
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
eccessivamente gli specifici termini figurativi <strong>della</strong> questione,<br />
rovesciando idealisticamente in avanti un quadro<br />
culturale che si andrà definendo, invece, piú tardi, fra<br />
Cinque e Seicento 21 .<br />
Quegli arnesi che implicavano aggiustamenti ed interventi<br />
da parte di chi se ne servisse, quali erano le perdute<br />
tavolette prospettiche del Brunelleschi, richiamano<br />
sub<strong>it</strong>o un’esperienza concettuale fortemente embricata<br />
all’operativ<strong>it</strong>à meccanica, alla dimensione fabbrile<br />
del conoscere. Volendo dunque sottolineare che non è<br />
questo l’angolo dietro cui è già pronto a sbucare Vignola,<br />
potrà servire un parallelo riferimento a quello che fu,<br />
nella riflessione arch<strong>it</strong>ettonica, la mutata considerazione<br />
del modello fra i tempi di Alberti e quelli di Vasari.<br />
Alberti indica come disegno la partizione primaria e il<br />
proporzionamento dell’edificio, ma riconosce nel modello<br />
in assicelle o di altri materiali quanto di fatto corrisponde<br />
alla determinazione progettuale; mentre Vasari<br />
vi individua la semplice prosecuzione materiale di quanto<br />
è già composto «se non di linee» 22 .<br />
Tale richiamo si salda bene con lo schema evolutivo<br />
fissato da Vasari per i legnaioli arch<strong>it</strong>etti. Non c’è dubbio<br />
che di progressione tecnologica, e in ciò sociale,<br />
effettivamente si trattasse; ed è vero che il distacco<br />
vasariano da quella generazione passata individua bene<br />
una profonda trasformazione di propos<strong>it</strong>i costruttivi;<br />
ma sta di fatto che una professional<strong>it</strong>à dell’arch<strong>it</strong>etto<br />
autonoma nel suo cost<strong>it</strong>uirsi, per tutta l’età che corrisponde<br />
allo svolgimento <strong>della</strong> tarsia prospettica, non<br />
esiste. L’arch<strong>it</strong>etto esce dalle fila professionali degli<br />
orafi, degli scultori, dei legnaioli, dei p<strong>it</strong>tori 23 . Non si sta<br />
ora ad accennare come al prevalere di uno di questi<br />
canali di affluenza possa poi corrispondere un preciso<br />
andamento nella cultura arch<strong>it</strong>ettonica. Per comprendere<br />
la posizione di Vasari, basta solo ricordare che la<br />
figura del legnaiolo-arch<strong>it</strong>etto è ricorrente specie a<br />
Storia dell’arte Einaudi 10
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Firenze e nell’ultimo terzo del Quattrocento. Ma anche<br />
altrove è normale che i lavori d’intaglio e tarsia si alternino<br />
a macchine, ingegni, perizie e varie responsabil<strong>it</strong>à<br />
costruttive: si pensi al senese Barili, a Luchino Bianchino<br />
a Parma, a Giovanni da Verona, e a tanti altri.<br />
Siamo ancora troppo ab<strong>it</strong>uati, forse, a scomporre il complesso<br />
<strong>della</strong> produzione materiale per serie formali, figurative,<br />
tipologiche, ecc., trascurando la continu<strong>it</strong>à operativa,<br />
la compattezza biografica, e dunque la coerenza<br />
culturale di fatti che perfino nelle bibliografie riemergono<br />
sgranati. Le tarsie prospettiche sono anche (o solo)<br />
il segmento di una catena che si s<strong>it</strong>ua spesso ai piú alti<br />
livelli tecnologici del tempo. I legnaioli, gli intarsiatori<br />
vanno dunque riconosciuti fra gli «artigiani superiori»<br />
di cui parlò Zilsel.<br />
Dedicando a Guidobaldo duca di Urbino la Summa<br />
de Ar<strong>it</strong>hmetica («probabilmente il primo libro di un autore<br />
erud<strong>it</strong>o che nella prefazione insista sull’util<strong>it</strong>à pratica»,<br />
nota Zilsel), Luca Pacioli coglie il diretto rapporto<br />
fra la moderna arte <strong>della</strong> tarsia e quella regola armonica<br />
che è la <strong>prospettiva</strong> 24 . E ancora Vasari, da una visuale<br />
ormai diversa, farà immediatamente derivare la nuova<br />
pratica lignaria dalle sperimentazioni di Brunelleschi.<br />
[Brunelleschi stesso] né restò ancora di mostrare a quelli<br />
che lavorano le tarsie, che è un’arte di commettere legni<br />
di colori; e tanto li stimolò, che fu cagione di buono uso e<br />
molte cose utili che si fece di quel magisterio, ed allora e<br />
poi di molte cose eccellenti che hanno recato e fama e utile<br />
a Fiorenza per molti anni 25 .<br />
La virtuale ident<strong>it</strong>à dei due procedimenti è stata ricap<strong>it</strong>olata<br />
con efficacia:<br />
La semplice armatura delle ortogonali e delle linee di<br />
fuga convergenti, col gioco delle «intersezioni», determi-<br />
Storia dell’arte Einaudi 11
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
nava un reticolo geometrico; questo reticolo si risolveva in<br />
un gioco di figure elementari facilmente r<strong>it</strong>agliabili [...] ciò<br />
che si raccoglieva al termine <strong>della</strong> scomposizione dello spazio<br />
si costruiva sul quadro come un «puzzle», vale a dire<br />
come una tarsia 26 .<br />
È immediata l’associazione con quei potenziali «cartoni»<br />
per intarsiatori che sono i disegni prospettici di<br />
Paolo Uccello: un nome che richiama sub<strong>it</strong>o un altro<br />
passo vasariano dove il nesso <strong>prospettiva</strong>-tarsia è colto<br />
con piú accentuata subordinazione 27 .<br />
La <strong>prospettiva</strong> quattrocentesca si coniuga pertanto<br />
con lo sviluppo <strong>della</strong> tarsia lungo la linea idealmente brunelleschiana<br />
<strong>della</strong> sperimentazione e <strong>della</strong> concretazione<br />
meccanica. E la tarsia si muove spesso fra quelle<br />
occasioni e necess<strong>it</strong>à di specifica costruzione figurativa<br />
che nei fatti contraddicono l’immagine eterea di un’astratta<br />
<strong>prospettiva</strong> quattrocentesca. Ma, una volta riaffermato<br />
tale carattere fabbrile, il rapporto <strong>prospettiva</strong>-tarsia<br />
va considerato sotto un secondo aspetto, legato<br />
all’effettivo r<strong>it</strong>ardo temporale <strong>della</strong> nuova tecnica<br />
lignaria. È cosa recentissima, come poi vedremo, la contrazione<br />
di tale iato, ma rimane il fatto che di nessuna<br />
tarsia lignea e prospettica abbiamo notizia in tempi precedenti<br />
il De Pictura albertiano (1436, redazione volgare).<br />
Proprio avendo di vista il problema <strong>della</strong> tarsia, è<br />
stato molto ben caratterizzato questo momento-cardine:<br />
Fu l’Alberti, verso il 1435, a liberare la <strong>prospettiva</strong> dal<br />
suo legame con il difficile rilievo arch<strong>it</strong>ettonico e a radicarla<br />
stabilmente tra i p<strong>it</strong>tori. Il suo procedimento e gli<br />
strumenti grafici da lui sugger<strong>it</strong>i erano proposti in un linguaggio<br />
pienamente accessibile e l’autore non mancava<br />
mai di ricordare, a ogni piè sospinto, che «chi mira una pictura<br />
vede certa intersegazione d’una piramide» e che questa<br />
«intersegazione» è una superficie piana; era il metodo<br />
Storia dell’arte Einaudi 12
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
adatto a far cadere anche le ultime riserve di chi ricordava<br />
con disapprovazione il Battistero perforato da parte a<br />
parte, la veduta a bordi frastagliati di Brunelleschi [le due<br />
tavolette], i risucchi nelle pareti <strong>della</strong> Salomè di Donatello,<br />
la voragine arch<strong>it</strong>ettata dietro il Crocefisso di Masaccio<br />
(ancora al Vasari quel muro pareva bucato). Alberti predicava<br />
una soluzione semplificata, senza cabale ottiche, e<br />
insegnava non già a constatare e rilevare quello che esiste,<br />
bensí a creare uno spazio vuoto, popolabile a piacere, in<br />
piena libertà (o quasi) 28 .<br />
Certo, la diffusione fra gli artisti del testo albertiano<br />
non va estremizzata. Il rilievo prospettico continuò per<br />
molti di loro a corrispondere innanz<strong>it</strong>utto alla costruzione<br />
di singoli elementi volumetrici. Mentre la codificazione<br />
albertiana, nella coincidenza fra <strong>prospettiva</strong> e<br />
p<strong>it</strong>tura di storia, agí piuttosto attraverso il tram<strong>it</strong>e<br />
«moderato» del Ghiberti. Ma il defin<strong>it</strong>ivo ancoraggio<br />
del rilievo geometrico ad un campo di figurazione piana<br />
rimane la condizione necessaria per lo sviluppo <strong>della</strong><br />
tarsia. In un certo senso, con l’individuazione <strong>della</strong><br />
prima fase dei lavori nella sacrestia di Santa Maria del<br />
Fiore (dal 1436), si annullerebbe lo iato che nel 1953<br />
colpiva Chastel.<br />
Ma questo grande momento d’avvio <strong>della</strong> tarsia prospettica<br />
rimane isolato. Tanto piú occorre allora traguardare<br />
il trattatello albertiano anche da una visuale<br />
diversa da quella delle botteghe. Nella sua doppia redazione,<br />
ossia nel suo bilinguismo, esso cost<strong>it</strong>uisce una tipica<br />
proposta umanistica, quasi una guida alla lettura degli<br />
ideali testi figurativi, alle ragioni <strong>della</strong> loro geometrica<br />
armonia. Questo richiamo alla realtà del destinatario,<br />
alla recezione umanistica, p<strong>it</strong>agorica e neoplatonica,<br />
delle icone geometriche, suggerisce dunque la ragione<br />
per cui le tarsie prospettiche si addensano nella seconda<br />
metà del secolo, nell’ultimo trentennio, anzi. Questo<br />
Storia dell’arte Einaudi 13
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
dato quant<strong>it</strong>ativo, che a suo modo riesce indirettamente<br />
documentario, corrisponde ormai ad una norma prospettica<br />
grav<strong>it</strong>ata su di un’ab<strong>it</strong>udine contemplativa,<br />
raziocinante, autoriflessiva, appoggiata ad una casistica<br />
iconografica tanto intensamente efficace quanto prevedibile,<br />
alla figurazione di una misura spaziale che si fa<br />
veicolo intelligibile di se stessa, che punta a cost<strong>it</strong>uirsi<br />
come puro oggetto visivo.<br />
L’opinione confidata dal Brunelleschi all’ingegnere<br />
senese Taccola, cosí pessimisticamente ragionata e<br />
moderna, ma tuttavia connessa alla tradizione «gotica»<br />
del segreto professionale («non comunicare a molti<br />
le tue invenzioni ma solo ai pochi che intendono e<br />
apprezzano la scienza, perché mettere troppo in mostra<br />
le proprie invenzioni ed azioni significa soltanto sprecare<br />
il proprio ingegno» 29 ), non lascia ancora immaginare,<br />
per quelle prime sperimentazioni prospettiche, un vasto<br />
spazio di diffusione e di codificazione iconografica. Tale<br />
spazio coincide invece con la cultura umanistica matura,<br />
con l’ideale di v<strong>it</strong>a cortigiana: quando «far parere per<br />
arte di <strong>prospettiva</strong> quello che non è» 30 e compiacimento<br />
contemplativo s’identificano in un’altissima convenzione<br />
intellettuale. Ad essa è ancora nostalgicamente<br />
legato, a metà Cinquecento, Sabba Castiglione. Quando<br />
sottolinea il carattere el<strong>it</strong>ario delle<br />
opere di Pietro del Borgo o di Melozzo da Forlí, le quali<br />
forse per le lor prospettive e secreti dell’arte sono a gli<br />
intendenti piú grate che vaghe a gli occhi di coloro che<br />
meno intendono 31<br />
non si riferisce pertanto a quanti sono effettivamente<br />
partecipi di un’intelligenza operativa e progettuale,<br />
come in Brunelleschi, ma ad un’att<strong>it</strong>udine tutta «liberale»<br />
e socialmente coltivata. Quell’atteggiamento comprensivo<br />
verso la p<strong>it</strong>tura del secolo passato fa dunque<br />
Storia dell’arte Einaudi 14
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
corpo con le correlate, ed ormai trascorse, condizioni di<br />
apprezzamento. «Chi piú attende alla <strong>prospettiva</strong>» per<br />
Vasari «ne cava», invece, «la maniera secca e piena di<br />
profili» 32 .<br />
Un concreto indizio <strong>della</strong> fortuna toccata in amb<strong>it</strong>o<br />
umanistico e cortigiano alla tarsia prospettica sono,<br />
fra Quattro e Cinquecento, tutti quei tentativi per<br />
dare una veste lessicale classica, una moderna dign<strong>it</strong>à<br />
umanistica ad un termine accentuatamente medievale<br />
come «<strong>prospettiva</strong>», inteso però come tarsia: si adattano<br />
le forme di «emblema» 33 , «lepturgia» 34 , «xilostrata»<br />
35 ; se ne indica l’autore come «faber operis segmentatis<br />
clarus» 36 ; mentre si esalta negli stessi cori gli<br />
«aeserotica sedilia ipsi Zenodoro invidiosa», i «sedilia<br />
haec dedalea» 37 .<br />
2. Legno, tecnica, figurazione.<br />
Un remoto atteggiamento mentale ha spinto spesso a<br />
considerare nelle tarsie il rapporto fra impianto figurativo<br />
e realizzazione lignaria come un semplice procedimento<br />
di traduzione. Anche quando l’immagine di una<br />
subalternanza operativa non si presentasse come immediato<br />
riflesso di uno schema discriminatorio, ha resist<strong>it</strong>o<br />
a lungo un’ab<strong>it</strong>udine cr<strong>it</strong>ica spontaneamente portata<br />
ad ignorare l’autonomia formale <strong>della</strong> tarsia; vedendovi<br />
piuttosto qualcosa di simile all’ard<strong>it</strong>a ed ammirevolissima<br />
metafora materico-manuale di un’opera già virtualmente<br />
compiuta in fase di progettazione grafica. L’ansia<br />
attributiva dello storico dell’arte nel riconoscere la<br />
mano del p<strong>it</strong>tore che forní il cartone è forse il modo piú<br />
tipicamente moderno per negare all’intarsiatore tale<br />
autonomia espressiva. Liberandosi da certe cogenti<br />
affermazioni del maestro Longhi («i <strong>maestri</strong> lignarii, a<br />
parte la loro eccellenza come intagliatori, non furono,<br />
Storia dell’arte Einaudi 15
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
per quanto è <strong>della</strong> tarsia propriamente p<strong>it</strong>torica, che<br />
utilissimi esecutori d’invenzioni dovute ai p<strong>it</strong>tori veri e<br />
proprî» 38 ), l’esordiente Francesco Arcangeli fece in propos<strong>it</strong>o<br />
considerazioni ancora insost<strong>it</strong>uibili:<br />
Ammettiamo di buon grado che quasi tutte le grandi<br />
tarsie <strong>it</strong>aliane sono versioni in legno condotte su modelli<br />
perduti, probabilmente, per sempre. E con questo? Dovremo<br />
perciò, occupandoci di esse, consumare il tempo a rimpiangere<br />
gli archetipi irrest<strong>it</strong>uibili? Eppure il risultato che<br />
ci sta, leggibilmente, sotto gli occhi, è uno [...] stiamo<br />
dunque contenti al «quia», rendendo meno angosciosa la<br />
carenza dei modelli introvabili, col pensiero che essi furono<br />
opere autonome soltanto per un certo rispetto, in quanto<br />
nacquero proprio in vista di quella traduzione che ancora<br />
possediamo 39 .<br />
Ma quanto <strong>della</strong> forma lignaria è già inglobato nel<br />
cartone? Fino a che punto l’intarsiatore dipende dal<br />
p<strong>it</strong>tore, lo asseconda o lo elude? È un rapporto in continua<br />
oscillazione, da definire caso per caso, come per<br />
le vetrate. In entrambe le circostanze il progetto preliminare<br />
è prevalentemente lim<strong>it</strong>ato alla configurazione<br />
grafica e alle parti di figura. E tale rapporto non fissa,<br />
in forma un<strong>it</strong>aria e costante, uno schema di equilibri e<br />
reciproc<strong>it</strong>à. L’intersecazione delle tecniche, delle esperienze<br />
figurative, dei mer<strong>it</strong>i qual<strong>it</strong>ativi, e d’infin<strong>it</strong>e altre<br />
ragioni, propone un quadro di relativ<strong>it</strong>à che, almeno per<br />
le tarsie, tende a chiarirsi sulle coordinate geografiche e<br />
temporali 40 . Ma l’accostamento alle vetrate è solo provvisorio:<br />
esse si risolvono nel piú tipico manufatto cromatico,<br />
in trasparenze accese e distanti, in campi di<br />
colore necessariamente scand<strong>it</strong>i.<br />
La tarsia è invece destinata ad una percezione ravvicinata,<br />
anal<strong>it</strong>ica, spazialmente mutevole e, in ciò, ad<br />
effetti di cangianza luminosa. La sua qual<strong>it</strong>à cromatica,<br />
Storia dell’arte Einaudi 16
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
pur sempre contenuta nella gamma delle essenze lignee<br />
(e, in progresso di tempo, di pochi trattamenti artificiali)<br />
si rafforza piuttosto attraverso controllate relazioni<br />
tonali ed efficaci suggerimenti mimetici. Quella specifica<br />
trama formale, sintetica o piú frantumata, che deriva<br />
dai modi lineari di r<strong>it</strong>aglio e montaggio dei legni, è<br />
però una realtà figurativa incontrollabile per chi ha forn<strong>it</strong>o<br />
il cartone. L’autore di esso potrà anche vantare un<br />
reale privilegio figurativo ed essere segu<strong>it</strong>o dall’intarsiatore<br />
in maniera sostanzialmente aderente (e in questi<br />
casi, come per Lotto a Bergamo, funziona assai bene il<br />
termine traduzione), ma non influirà ovviamente su questa<br />
specifica determinazione strutturale. Una tavoletta<br />
di legno è anche, per sé, un fatto grafico, contiene una<br />
struttura lineare, una texture suscettibile di combinazioni<br />
diversissime col compos<strong>it</strong>o insieme vegetale. Non<br />
si tratta solo <strong>della</strong> diversa qual<strong>it</strong>à delle essenze, ma<br />
anche degli andamenti del taglio (parallelo, normale,<br />
trasversale rispetto alla sezione del tronco); <strong>della</strong> tramatura<br />
variatamente inf<strong>it</strong>t<strong>it</strong>a e configurata degli anelli<br />
annuali; delle individuali vicende organiche <strong>della</strong> pianta;<br />
del grado diversificato del trattamento artificiale<br />
(come già nel piú corrente caso del rovere «affogato»,<br />
ossia immerso in acqua per tempi sufficientemente lunghi<br />
ad ottenere una qual<strong>it</strong>à cromatica anner<strong>it</strong>a, adatta<br />
alle camp<strong>it</strong>ure dei fondi) 41 . E, come svela la caduta del<br />
commesso negli stalli del Duomo di Ferrara, l’intarsiatore<br />
è cosí consapevole di tali valori che, talvolta, si<br />
trova costretto a scavare nella tavola di supporto un<br />
incasso piú profondo per quelle tavolette la cui struttura<br />
lineare verrebbe ad essere modificata dall’altrimenti<br />
necessaria opera di rasiera. Questo tipo d’intervento,<br />
ossia di riduzione fisica e figurativa, talvolta ancora in<br />
tempi recenti si è identificato con la forma di restauro<br />
piú adatta ad un mobile, sia pure intarsiato. Ciò corrisponde,<br />
per un dipinto, alla programmatica eliminazio-<br />
Storia dell’arte Einaudi 17
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
ne delle velature. Sarebbe facile, del resto, verificare<br />
mentalmente tutto questo davanti ad una tarsia di Cristoforo<br />
da Lendinara, immaginando locali sost<strong>it</strong>uzioni di<br />
essenze, orientando in maniera sistematicamente mutata<br />
la successione degli anelli stagionali, facendo ruotare<br />
di novanta gradi i fondali di rovere, e cosí via: piú che<br />
«disturbato», il campo di figurazione riuscirebbe contraddetto.<br />
Non è però facile discostare le valenze d’immaginario<br />
allora ricavate dal legno («l’essenza legnosa,<br />
ad opera <strong>della</strong> tarsia, rappresenta un nuovo acquisto del<br />
colore nel Rinascimento», ha ben detto Puerari 42 ) da<br />
quell’intelligenza costruttiva che spesso caratterizza un<br />
altro aspetto del medesimo mestiere. La capac<strong>it</strong>à di figurazione<br />
fa corpo cosí con un’intelligenza operativa cresciuta<br />
alla cognizione organica di un materiale, il legno,<br />
che è quello stesso delle piú avanzate realizzazioni meccaniche.<br />
Non è per noi immediato ripensare a queste<br />
condizioni d’esperienza; ma ripassano alla memoria le<br />
parole di Leroi-Gourhan:<br />
Il fatto che si possa introdurre un pezzo di legno in una<br />
macchina senza preoccuparsi delle venature e dei nodi, e<br />
che ne esca un listello di pavimento standard impacchettato<br />
automaticamente, cost<strong>it</strong>uisce certo un vantaggio sociale<br />
molto importante, ma questo non lascia all’uomo altra<br />
scelta che rinunciare a rimanere sapiens per diventare forse<br />
qualcosa di meglio, ma comunque qualcosa di diverso 43 .<br />
La fase <strong>della</strong> selezione, taglio e messa in opera del<br />
materiale cost<strong>it</strong>uisce dunque, a tutti gli effetti, un processo<br />
di figurazione. Ma una volta superato il pregiudizio<br />
<strong>della</strong> prior<strong>it</strong>à formale del cartone, riconoscendo la<br />
compless<strong>it</strong>à e variabil<strong>it</strong>à formativa <strong>della</strong> tarsia p<strong>it</strong>torica,<br />
si può tranquillamente rivendicare l’opportun<strong>it</strong>à di un<br />
controllo filologico di quel rapporto mutevole, fino al<br />
tentativo attribuzionistico di riconoscere i modelli p<strong>it</strong>-<br />
Storia dell’arte Einaudi 18
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
torici: se consapevole delle sue incerte, specifiche e parziali<br />
condizioni. Il mutare di tali condizioni conosc<strong>it</strong>ive<br />
corrisponde agli svolgimenti concretamente storico-ambientali<br />
<strong>della</strong> tarsia quattro-cinquecentesca; la<br />
fenomenologia di rapporti con il modello p<strong>it</strong>torico è un<br />
aspetto ulteriore <strong>della</strong> sua autonomia espressiva, o <strong>della</strong><br />
sua crisi. Se in qualche occasione è del tutto agevole<br />
riconoscere il modello p<strong>it</strong>torico per via attributiva (è il<br />
caso del vescovo del «P<strong>it</strong>tore di Paolo Buonvisi» o dei<br />
due evangelisti di Zacchia il Vecchio nei diversi pannelli<br />
conflu<strong>it</strong>i al Museo di Villa Guinigi a Lucca) 44 ; in altre,<br />
solo un documento può accertare l’ident<strong>it</strong>à di chi forní<br />
il cartone (è il caso di Bartolomeo Ramenghi il Vecchio,<br />
i cui impasti sfaldati, ancora prossimi all’Aspertini, male<br />
si adattano alla cultura lignaria di fra Raffaele da Brescia<br />
45 ). All’opera di un medesimo p<strong>it</strong>tore possono corrispondere,<br />
in tarsia, es<strong>it</strong>i diversissimi: è il caso, per quanto<br />
non documentato e sfasato di cronologia, dei cartoni<br />
dello Zenale per le tarsie famose <strong>della</strong> Certosa di Pavia<br />
e per il coro giovanile di fra Damiano in San Bartolomeo<br />
di Bergamo 46 . Contro lo scrupolo precocemente<br />
ossequioso, anche se smorzato e banalizzante, che Agostino<br />
de’ Marchi dimostra verso i due cartoni forn<strong>it</strong>igli<br />
da Francesco del Cossa (Bologna, coro di San Petronio);<br />
ci sono s<strong>it</strong>uazioni come quella, eccezionale, delle tarsie<br />
di Antonio Barili a San Quirico d’Orcia: dove solo le<br />
molte coincidenze tipologiche e compos<strong>it</strong>ive, isolabili<br />
attraverso particolari fotografici, hanno potuto consentire<br />
l’indicazione di Luca Signorelli quale autore dei<br />
cartoni, presenza comunque «cancellata» nel mobilissimo<br />
p<strong>it</strong>toricismo e nella lustra dens<strong>it</strong>à di corpi fissata dall’intarsiatore<br />
47 .<br />
Il fatto che non ci siano pervenuti cartoni per tarsie<br />
è un’indicazione essenziale 48 . I frammenti superst<strong>it</strong>i dei<br />
modelli lotteschi per il coro bergamasco corrispondono<br />
infatti ad una s<strong>it</strong>uazione ormai del tutto evoluta. L’in-<br />
Storia dell’arte Einaudi 19
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
tarsiatore usava il cartone vero e proprio per scompartire<br />
le sagome, per verificarne il montaggio, per controllarne<br />
la giustezza. Il rispetto fisico verso il cartone<br />
tenderà, magari, a crescere in proporzione all’obbligo di<br />
subalternanza (verso il traguardo registrato poi da Vasari),<br />
ma rimane il fatto che esso fu inteso come necess<strong>it</strong>à<br />
strumentale. Quando non venne letteralmente consumato,<br />
fu lucidato, tenuto in serbo come ulteriore<br />
modello, predisposto al riutilizzo. L’insistenza di<br />
Lorenzo Lotto nel riottenere intatti i propri modelli s’identifica,<br />
di nuovo, col piú felice momento <strong>della</strong> crisi<br />
p<strong>it</strong>toricistica e <strong>della</strong> perd<strong>it</strong>a di autonomia espressiva<br />
<strong>della</strong> tecnica. E tuttavia anche questo caso estremo<br />
serve a smentire un nostro eventuale pregiudizio circa<br />
la coscienza che sull’autografia di questi manufatti poteva<br />
correre: a «firmare» non fu il Lotto, ma il Capoferri,<br />
com’era normale 49 .<br />
Non sarebbe stato normale, nella fase piú tipica <strong>della</strong><br />
tarsia prospettica, che a procurare i cartoni fossero,<br />
come poi a Bergamo, gli stessi comm<strong>it</strong>tenti. In quanto<br />
responsabile giuridico <strong>della</strong> commissione, sarebbe stato<br />
lo stesso maestro di tarsia a rivolgersi, eventualmente,<br />
al p<strong>it</strong>tore. Entro questa realtà di rapporti produttivi,<br />
vanno dunque riconosciuti i modi <strong>della</strong> loro collaborazione,<br />
come i lim<strong>it</strong>i e le regole dell’accertamento filologico.<br />
Soprattutto andrà sment<strong>it</strong>o un secondo inconveniente<br />
legato ad un piú moderno e totalizzante concetto<br />
di autografia: quello che spinge ad identificare l’intervento<br />
del p<strong>it</strong>tore con l’intero campo <strong>della</strong> figurazione<br />
intarsiata. Di entrambi gli aspetti può dar conto<br />
un’attenzione piú ravvicinata all’intervento di Giuliano<br />
da Maiano nella sacrestia di Santa Maria del Fiore. Da<br />
quelle scarne annotazioni di bottega che sono i Ricordi<br />
del p<strong>it</strong>tore Alesso Baldovinetti risulta in maniera inequivocabile:<br />
Storia dell’arte Einaudi 20
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
1) che è l’intarsiatore («conducente in suo nome proprio<br />
a fare la terza faccia dj sagrestia») 50 il comm<strong>it</strong>tente del<br />
p<strong>it</strong>tore, che dunque da lui solo attende i pagamenti;<br />
2) che mentre il cartone per una scena narrativa, priva<br />
di caratterizzazione arch<strong>it</strong>ettonica («una storia gli disengniai<br />
d’una Nativ<strong>it</strong>à») è interamente affidato al p<strong>it</strong>tore 51 ;<br />
3) nel caso di una composizione accentuatamente prospettica,<br />
il suo contributo è lim<strong>it</strong>ato alle sole figure, come<br />
indica la diversa forma descr<strong>it</strong>tiva («cinque teste» fra cui<br />
«una nostra Donna, uno angniolo», non un’Annunciazione)<br />
e il piú basso importo 52 ;<br />
4) che tali parti di figura possono corrispondere a due<br />
diversi livelli di progettazione: uno puramente grafico<br />
(«cinque figure di mano di Tommaso Finighuerri»), l’altro<br />
di parziale completamento p<strong>it</strong>torico, soltanto tonale con<br />
tutta probabil<strong>it</strong>à («cinque teste gli cholorii a cinque fighure»),<br />
riservata alle parti di maggiore compless<strong>it</strong>à luminosa,<br />
anal<strong>it</strong>ica e figurale, dunque di piú f<strong>it</strong>ta e complicata<br />
connessione lignaria.<br />
È, allora chiaro che sarebbe ridicolo riferire al Baldovinetti<br />
quella figurazione di spazi arch<strong>it</strong>ettonici, spiegata<br />
e prospetticamente un<strong>it</strong>aria, che è la parete aggiunta<br />
da Giuliano da Maiano nella sacrestia di Santa Maria<br />
del Fiore. Responsabile è solo il prospettico, ovvero<br />
l’intarsiatore.<br />
Non è detto che il caso considerato fissi una regola<br />
stabile. Ma non è detto neppure che il ruolo del p<strong>it</strong>tore-cartonista<br />
dovesse emergere meglio proprio in circostanze<br />
diverse da quelle <strong>della</strong> tarsia fiorentina, che anzi<br />
è la maggiormente segnata da preoccupazioni illusionistiche<br />
e di sottile analisi lignaria. Sicché, anche considerando<br />
la compless<strong>it</strong>à operativa di tali rapporti, si svela<br />
(per una volta) viziata di esteriore idealismo la supposizione<br />
di Roberto Longhi per cui a Lorenzo da Lendinara<br />
(e da lui a Cristoforo, che se ne sarebbe serv<strong>it</strong>o per<br />
Storia dell’arte Einaudi 21
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
gli Evangelisti modenesi) Piero <strong>della</strong> Francesca avrebbe<br />
«forn<strong>it</strong>o una serie-base di cartoni, abbandonandoglieli<br />
con dir<strong>it</strong>to di riproduzione illim<strong>it</strong>ata» 53 .<br />
Anche certi casi di «sl<strong>it</strong>tamento» fra figura ed alloggio<br />
prospettico fanno pensare che il maestro di tarsia,<br />
perlopiú, ricorresse al p<strong>it</strong>tore solo per ottenere figure di<br />
miglior disegno, ma scontornate e prive di quel riferimento<br />
spaziale che rimaneva di sua competenza. È il<br />
caso <strong>della</strong> porta intagliata dal Francione e da Giuliano<br />
da Maiano in Palazzo Vecchio. Le figure di Dante e<br />
Petrarca risalgono ad un p<strong>it</strong>tore d’eccezione (Botticelli,<br />
per Longhi ed Arcangeli); e anche in questo caso dovette<br />
trattarsi di cartoni dipinti, ricchi di sottili indicazioni<br />
luminose per tutta la loro estensione. Ma l’incertezza<br />
fisica con cui trovano pos<strong>it</strong>ura i piedi di Dante si spiega<br />
solo con una mal risolta operazione di montaggio fra<br />
figura e contesto spaziale. Non è infatti casuale che tale<br />
contesto sia il medesimo, in senso speculare, in cui si<br />
trova inser<strong>it</strong>o l’altro poeta.<br />
Finché la responsabil<strong>it</strong>à imprend<strong>it</strong>oriale grav<strong>it</strong>a sul<br />
maestro di <strong>prospettiva</strong> e non si considera la tarsia come<br />
una trasposizione <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura propriamente detta, è<br />
frequente che nelle opere usc<strong>it</strong>e da una stessa bottega,<br />
o dalle sue ramificazioni, siano riutilizzati gli stessi<br />
modelli: attraverso replica, ribaltamento, uso parziale,<br />
ampliato, modificato 54 . Forse proprio perché colp<strong>it</strong>o da<br />
questo carattere d’<strong>it</strong>erazione tematica o di replica non<br />
classicisticamente ossequiente, Burckhardt vide nella<br />
tarsia il «potere artistico che in tempi sani è diffuso in<br />
tutto il popolo» 55 . La replicata messa in opera dei<br />
medesimi modelli, che è cosa spontaneamente connessa<br />
alla stabil<strong>it</strong>à iconografica di cori, cassoni e spalliere,<br />
caratterizza specialmente la tarsia padana. Già nel<br />
1462, nel contratto per il perduto coro del Santo, i fratelli<br />
Canozzi<br />
Storia dell’arte Einaudi 22
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
... promiserunt variare dictas tarsias semper meliorando,<br />
non deteriorando, et diversificando ipsas tarsias et quod sint<br />
diversae et non similes et omnes habeant prospectivam 56 .<br />
Si è già detto che tale att<strong>it</strong>udine a replicare, variare,<br />
adattare, non deriva immediatamente dalla conservazione<br />
dei cartoni operativi; né la si può sempre spiegare<br />
con le ragioni di bottega di chi fu, vasarianamente,<br />
privo di disegno. Se i <strong>maestri</strong> di tarsia furono cosí propensi<br />
a riutilizzare e combinare modelli verosimilmente<br />
trasmessi attraverso «carte lucide» (come già insegnava<br />
Cennini), c’è una ragione piú sostanziale. E specialmente<br />
per la linea di tradizione lendinaresca, nell’area<br />
padana, dove ancora in pieno Cinquecento un p<strong>it</strong>tore<br />
come il Moroni rimane fedele alla pratica <strong>della</strong> conflation<br />
57 . Misura prospettica e cr<strong>it</strong>erio proporzionale, già<br />
nell’insegnamento di Piero <strong>della</strong> Francesca ma specificatamente<br />
nella fattual<strong>it</strong>à meccanica dell’intarsio, corrispondono<br />
ad una nuova capac<strong>it</strong>à di concatenare e seriare<br />
le forme, dove interi blocchi strutturali possono ricost<strong>it</strong>uirsi<br />
in una diversa relazione costruttiva, a conferma<br />
<strong>della</strong> regola che coordina e unifica lo spazio figurativo.<br />
Se ancora una volta servisse misurare il distacco del<br />
Vasari dalle condizioni di cultura che fondamentarono<br />
lo sviluppo <strong>della</strong> tarsia prospettica, basterebbe solo ricordare<br />
lo scrupolo con cui ci fa sapere di aver diversificato<br />
«i casamenti» nelle scene da lui affrescate in San<br />
Michele in Bosco 58 .<br />
Per quanto in tempi ormai inoltrati, la ripetuta edizione<br />
di cartoni da parte del converso domenicano fra<br />
Damiano da Bergamo e del suo segu<strong>it</strong>o cost<strong>it</strong>uisce un<br />
documento efficacissimo di una pratica sempre diffusa<br />
nelle botteghe di tarsia. Ma, nello stesso tempo, tale<br />
comportamento si specifica in quella risolutiva congiuntura.<br />
Nella Bologna del Parmigianino vengono<br />
riproposti i cartoni bramantineschi o parabramantine-<br />
Storia dell’arte Einaudi 23
schi già scarnamente usati per le tarsie bergamasche di<br />
Santo Stefano. Una pratica lignaria ricchissima riesce<br />
dunque a darsi una ragione di stile che, in un certo<br />
senso, sl<strong>it</strong>ta sull’attual<strong>it</strong>à e contestual<strong>it</strong>à figurativa dei<br />
modelli, delim<strong>it</strong>ando una zona di eccezione tecnica. La<br />
capac<strong>it</strong>à di complicazione figurale dei vecchi schemi va<br />
di pari passo con l’accresciuta preoccupazione virtuosistica<br />
nel taglio e combinazione <strong>della</strong> materia. Non si<br />
tratta d’intervenire all’interno delle regole proporzionali<br />
<strong>della</strong> costruzione visiva; il riuso dei cartoni è un problema<br />
di estensione del campo «p<strong>it</strong>torico». La figurazione<br />
arch<strong>it</strong>ettonica dei pannelli bergamaschi può essere<br />
prosegu<strong>it</strong>a, dilatata, complicata a piacere, lungo gli<br />
assi convergenti. Il medesimo prospetto arch<strong>it</strong>ettonico<br />
d’ascendenza bramantesca sarà letteralmente riproposto<br />
fin nel clima ormai tridentino in cui si chiude la carriera<br />
dell’intarsiatore 59 . Il cartone certamente vignolesco<br />
usato per il pannello ordinato da Francesco Guicciardini<br />
(1534) serví anche, riducendone lo sviluppo lungo gli<br />
assi prospettici, per una delle due scene maggiori <strong>della</strong><br />
porta di San Pietro, a Perugia 60 .<br />
3. Tarsia e p<strong>it</strong>tura.<br />
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Il cardinal Salviati avendo disiderio avere un quadro di<br />
legni tinti, cioè di tarsia, di mano di Fra Damiano da Bergamo,<br />
converso di San Domenico di Bologna, gli mandò<br />
un disegno, come volea che lo facesse, di mano di Francesco<br />
[il p<strong>it</strong>tore da lui protetto, che ne trasse il nome] fatto<br />
di lapis rosso: il quale disegno, che rappresentò il re Dav<strong>it</strong><br />
unto da Samuello, fu la miglior cosa e veramente rarissima<br />
che mai disegnasse Cecchino Salviati 61 .<br />
I «legni tinti», le minute incrostazioni polimateriche,<br />
fanno <strong>della</strong> tarsia di fra Damiano quell’azzardoso tra-<br />
Storia dell’arte Einaudi 24
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
slato <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura sul quale appoggeranno le loro riserve<br />
Vasari e Galileo. Questo distacco dalla originaria<br />
semplic<strong>it</strong>à e dalla naturalezza lignaria è stato considerato<br />
dalla maggior parte degli storici del tema (a partire<br />
dallo Scherer, che parlò di «errore fondamentale», e dal<br />
Brown, che vi vide distrutto l’«aspetto di sincer<strong>it</strong>à») 62<br />
come il momento di collasso storico e culturale. Sarà evidentemente<br />
opportuno inquadrare in maniera meno<br />
deterministica uno svolgimento che presenta istanze e<br />
condizioni cosí ampie da apparire scontato nell’orizzonte,<br />
non soltanto p<strong>it</strong>torico, del Cinquecento. Nella<br />
c<strong>it</strong>azione vasariana l’interazione fra p<strong>it</strong>tura e tarsia si<br />
precisa in una gerarchia concettuale che corrisponde a<br />
determinate ab<strong>it</strong>udini e funzioni artistiche. Ora, effettivamente,<br />
è l’autore del cartone che sembra programmare<br />
l’intero campo di figurazione. Rispetto ad un progetto<br />
grafico talmente prestabil<strong>it</strong>o dal p<strong>it</strong>tore e voluto<br />
dal comm<strong>it</strong>tente, il comp<strong>it</strong>o del virtuoso di tarsia è un<br />
po’ quello di un orefice chiamato a «legare» una pietra<br />
preziosa, che già sia pregiatissimo oggetto di collezione.<br />
La tarsia non è piú l’elemento figurato, per quanto emergente,<br />
di un mobile (come al tempo dei «lettucci» e dei<br />
cassoni); per riprendere le parole di Vasari, è «un quadro»<br />
essa stessa, destinato ad una parete e prospetticamente<br />
richiuso da una cornice 63 . I modi di percezione ed<br />
apprezzamento non sono diversi da quelli coltivati sui<br />
dipinti. Prende cosí corpo il topos <strong>della</strong> tarsia scambiata<br />
per p<strong>it</strong>tura. Sul classico luogo letterario degli uccelli<br />
che vanno a beccare l’uva dipinta da Zeusi, si rimo<strong>della</strong><br />
ed adegua l’episodio di Carlo V che scalfisce con lo<br />
stocco le prime tarsie bolognesi di fra Damiano per sincerarsi<br />
<strong>della</strong> loro natura 64 .<br />
Il confronto con la p<strong>it</strong>tura era già scivolato, in forma<br />
di elogio, nelle pagine di Matteo Colacio, di Giovanni<br />
Rucellai e di Vespasiano da Bisticci 65 . E un intarsiatore<br />
attento all’effetto cromatico dei legni come il senese<br />
Storia dell’arte Einaudi 25
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Antonio Barili aveva potuto firmare, nel 1502, il coro<br />
per la Cappella di San Giovanni vantandosi di aver fatto<br />
ricorso al «coelo [per caelo, sgorbia] non penicillo» 66 . E<br />
quando a Venezia, nello stesso giro di anni, i fratelli<br />
Paolo ed Antonio Mola sono detti «magistri artis pictorie<br />
que perspective dic<strong>it</strong>ur» (altrove si parla di «pictorum<br />
perspective») 67 , sembra ancora riproporsi la privilegiata<br />
associazione albertiana fra «p<strong>it</strong>tura» ed opera<br />
di disegno, intesa come forma piana di figurazione. Ma<br />
è in ambiente olivetano, poi, che l’inganno dei sensi e<br />
il paragone con la p<strong>it</strong>tura sembrano maturare come<br />
metro di giudizio: «cardules et id genius [fra Giovanni<br />
da Verona] aviculas adfabre adeo ligno adpingebat, ut<br />
sensum plerumque fallerent, nemine non coloratas esse<br />
credentes»; mentre si scrisse sulla lapide di fra Raffaele<br />
da Brescia, morto a Roma nel 1537, che «opere vermiculato<br />
ex ligneis segmentis proxime ad nobilissimos<br />
pictores accedebat» 68 . Su questa linea retorica di valutazione<br />
Leandro Alberti apprezzerà le tarsie di fra<br />
Damiano: «paiono tutte quelle figure [...] da ottimi p<strong>it</strong>tori<br />
con il pennello dipinte»; e, ancora, «paiono p<strong>it</strong>ture<br />
fatte col pennello» 69 .<br />
Già nel coro bergamasco di Santa Maria Maggiore,<br />
si era affermata la virtuale subordinazione del maestro<br />
di legname, Giovan Francesco Capoferri, a Lorenzo<br />
Lotto. Ma non era subordinazione di mestiere e neppure,<br />
in maniera rigorosa, di modelli percettivi. Va anzi<br />
accantonata la supposizione che il p<strong>it</strong>tore potesse aver<br />
determinato in qualche modo la scelta del Capoferri, a<br />
preferenza (se poi ce ne fu la ragione) di fra Damiano<br />
Zambelli. Primo atto dell’impresa fu l’assunzione del<br />
Capoferri. Il Lotto viene chiamato piú tardi, e (sarà<br />
bene ricordarlo) solo in segu<strong>it</strong>o alla morte di un p<strong>it</strong>tore<br />
che oggi è senza opere, Nicolino Cabrini. È allora che<br />
il Lotto afferma tutta la sua autor<strong>it</strong>à figurativa, la piú<br />
diretta responsabil<strong>it</strong>à di mediazione iconografica. Le<br />
Storia dell’arte Einaudi 26
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
lettere che inviò alla confratern<strong>it</strong>a bergamasca da Venezia<br />
(dove era rientrato alla fine del ’25) ci dànno<br />
un’informazione di prima mano sull’organizzazione<br />
triangolare, per cosí dire, dei lavori 70 . È dunque la fabbriceria<br />
<strong>della</strong> Misericordia a far da raccordo tra i due<br />
artisti. Per questo tram<strong>it</strong>e Lotto suggerisce quali ulteriori<br />
aggiustamenti possano essere manovrati sull’impianto<br />
figurativo dei suoi disegni:<br />
Item – fa sapere da Venezia il 18 luglio del 1526 –<br />
potrete dir a maestro Jo. Francesco che facendo el quadro<br />
grande advertischa che el Dav<strong>it</strong> che tira del franzino e<br />
Goliath sono molto propinqui per acomodarsi al tuto, ma<br />
che lo potrà aiutar retirarlo dove sono le armature, piú<br />
indietro anche, et le armature trasportarle dove è hora el<br />
Dav<strong>it</strong> et starà bene, perché el venirà a scoprir certe teste<br />
di vaselli che haverano piú gratia et si lui non saperà far,<br />
fate che li descignano in un trato o maestro Andrea [Prev<strong>it</strong>ali]<br />
over maestro Jacomino [de’ Scipioni] o el Boselo [un<br />
altro p<strong>it</strong>tore bergamasco, Andrea Boselli] et se Francesco<br />
nostro sia de lí serà bene 71 .<br />
Le competenze rispettive non potrebbero essere scand<strong>it</strong>e<br />
in forma piú esplic<strong>it</strong>a. Ed è il p<strong>it</strong>tore che, fino<br />
all’ultimo, predispone e sposta i pezzi di figura sulla<br />
tavola che l’«intaiator» sta per lavorare:<br />
Maestro Joan Francesco carissimo: – scrive in una<br />
postilla direttamente rivolta all’esecutore lignario – troverete<br />
in un disegno de questi dove che Absalon castiga et<br />
offende el padre Dav<strong>it</strong> el fulgore che li è sopra el capo el<br />
qual va mutato; pertanto voi mettereti in opere l’altro fulgore<br />
che è disegnato in margine Item un altro disegno di<br />
Jona: el suo brieve che è dopo le spale lo sgrandereti secondo<br />
che è disegnato a ciò che le lettere stagi tutte 72 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 27
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
La preoccupazione del Lotto nel riavere indietro, ed<br />
intatti, i propri modelli percorre tutto l’epistolario. L’intarsiatore<br />
dovette quindi ricorrere a fasi grafiche strumentalmente<br />
intermedie, servirsi di lucidi (questo il<br />
senso, credo, dell’espressione «profilare i disegni» 73 ),<br />
tenendo rispettosamente davanti i cartoni; non dico già<br />
con lo spir<strong>it</strong>o del copista da galleria, ma neppure piú al<br />
modo in cui Giuliano da Maiano doveva aver maneggiato<br />
i cartoni di Baldovinetti o Botticelli:<br />
Pregovi et comando – concludeva nella lettera del 2 settembre<br />
1524 – quanto porta mei interessi: questi disegni<br />
et altri che habiano li <strong>maestri</strong> in mano, li tenete in Misericordia<br />
et vogliate custodire acciò non si stroppiccino et<br />
non li lassati in mano loro se non a uno per uno, quanto<br />
si operano et sub<strong>it</strong>o retoglierli indrieto perché vedete la<br />
importancia 74 .<br />
Viveva ancora la tradizionale pratica di bottega volta<br />
a tesaurizzare modelli suscettibili di replica. Nel tardo<br />
Sacrificio di Melchidesech, a Loreto, Lotto riutilizzerà il<br />
vecchio disegno bergamasco; nel testamento del 1546<br />
raccomanda che<br />
tute le cose de l’arte, siano servate insema: desegni, rilevi<br />
de iesso et di cerra et quadri non fin<strong>it</strong>i, li quadri del testamento<br />
vechio, che furono modelli del Coro di tarsia de<br />
Bergamo et sono pezi n o . 30 in tutto, cioè 26 piccoli et pezi<br />
n o . 4 grandi. Etiam colori, penelli et altre bagaie assai et<br />
diverse da operar ne l’arte el tutto e tute sieno servate 75 .<br />
Ma quando quattro anni dopo fu costretto a mettere<br />
«al lotto e venture» diverse sue opere, innanzi a tutti<br />
gli altri, appuntò «quadri n o 30 del Testamento Vechio,<br />
zoè 26 piccoli et quattro grandi» 76 . Il loro significato di<br />
opera autonoma e fin<strong>it</strong>a poteva dunque essere condivi-<br />
Storia dell’arte Einaudi 28
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
so anche da quanti parteciparono a quella svend<strong>it</strong>a triste<br />
e malriusc<strong>it</strong>a.<br />
Le preoccupazioni del Lotto non nascevano solo dal<br />
grado di fin<strong>it</strong>ezza di quei cartoni. C’erano ragioni piú<br />
profonde e personali che lo legavano ai loro temi biblici.<br />
Di essi, comunque, poteva esserci bisogno in futuro<br />
(«se qualche cosa io possi per singular<strong>it</strong>à extrarne copia<br />
per valermene ne l’arte me sarà al propos<strong>it</strong>o») 77 . È il p<strong>it</strong>tore,<br />
ora, a prevederne il riutilizzo. Mentre dei temi prospettici<br />
che gli erano stati proposti per le tarsie di Santo<br />
Stefano, pochi anni avanti, da p<strong>it</strong>tori come Bramantino<br />
e Zenale, sarà fra Damiano a servirsene per tutta la carriera.<br />
Vedremo in segu<strong>it</strong>o che le scelte espressive del<br />
Lotto, nel caso specifico del coro di Bergamo, si accostano<br />
alla grafica seriale, ai modi dell’illustrazione libraria.<br />
Ed è forse appoggiandosi a questa piú moderna pratica<br />
di collaborazione che il p<strong>it</strong>tore insiste nel rivendicare<br />
l’appartenenza materiale ed intellettuale di quei<br />
disegni (si ricordi, ad esempio, il modo in cui s’impegnò<br />
con Bramante Bernardo Prevedari).<br />
Risalendo verso i momenti piú caratteristici e stabili<br />
<strong>della</strong> tarsia, sarebbe utile seguire da vicino come si diffusero,<br />
presso p<strong>it</strong>tori o incisori, le formule tipiche <strong>della</strong><br />
figurazione lignaria. Il caso piú appariscente è certo<br />
quello del «Monogrammista PP» 78 , con le sue figure stereometriche.<br />
Ma si tratta anche di tram<strong>it</strong>i meno sperimentali:<br />
in alcune cornicette di xilografie fiorentine e<br />
veneziane sono riprese forme semplificate di «toppo».<br />
In Lombardia si produssero carte stampate (e quindi<br />
colorate) da applicare su travi di soff<strong>it</strong>to, arredi, cassoni<br />
(come quello del Castello Sforzesco), in maniera da<br />
sost<strong>it</strong>uire le correnti decorazioni a commesso 79 . Non a<br />
caso si tratta di corrispondenze condizionate alle tipologie<br />
<strong>della</strong> decorazione. Cosí, quando in una tavola quattro-cinquecentesca<br />
s’intende dipingere una cornice,<br />
un’inquadratura, un’imbotte, insomma una qualsiasi<br />
Storia dell’arte Einaudi 29
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
schermatura prospettica che riesca illusivamente plausibile,<br />
ne esce spesso un effetto prossimo all’organizzazione<br />
formale di una tarsia 80 . Che tali effetti ricorrano<br />
in zona padana, non sorprende: i p<strong>it</strong>tori di età prospettica<br />
condividono la capac<strong>it</strong>à di ricomposizione modulare<br />
dei blocchi, il ricorso replicato e variato agli stessi cartoni,<br />
che sono propri degli intarsiatori. Si pensi soltanto<br />
alla continu<strong>it</strong>à di riusi figurali che si svolge nella bottega<br />
di Cima da Conegliano o del Montagna; o alla<br />
calettatura di precedenti modelli in un diverso contesto<br />
compos<strong>it</strong>ivo da parte del Bramantino. L’attrazione dei<br />
p<strong>it</strong>tori verso i topoi <strong>della</strong> tarsia incide maggiormente<br />
nelle aree di alta tradizione lignaria. Ad esempio, nell’Annunciazione<br />
del Bianchi Ferrari (Modena, Galleria<br />
Estense) o in quella, costesca, che fu <strong>della</strong> Collezione<br />
Cook (Venezia, Fondazione Cini), si spalancano stipi<br />
nascosti: lo spazio richiuso, le lamine ottiche che ne<br />
dànno struttura, la sparsa cadenza delle cose (libri, clessidra,<br />
ciliege nel dipinto veneziano), si accordano fin<br />
nella stessa lucidissima regola di proporzionamento verticale<br />
tipica delle tarsie dei cori 81 . E non ci si sofferma<br />
neppure sui dipinti che raffigurano mobili intarsiati (e<br />
che pure, nella loro puntual<strong>it</strong>à, potrebbero integrare la<br />
mappa delle diverse tradizioni decorative 82 .<br />
Ci sono tavole ed affreschi (come quelli di San Giovanni<br />
in Verdara, a Padova) di una caratterizzazione<br />
spaziale cosí spiccata da richiamare in modo spontaneo<br />
quanto generico l’amb<strong>it</strong>o <strong>della</strong> tarsia. Ma è partendo<br />
dalla loro funzione decorativa e seriale, dalla stessa collocazione<br />
anche, che si chiarisce meglio il rapporto con<br />
quei piú consueti moduli figurativi. La cosa riesce forse<br />
piú piana se si pensa che, quando cap<strong>it</strong>ò di dipingere gli<br />
spazi normalmente destinati all’opera di tarsia, se ne<br />
conservò intatti i temi e gli speciali modi di figurazione.<br />
Basti ricordare lo zoccolo figurato a finte tarsie nella<br />
Stanza <strong>della</strong> Segnatura 83 ; le aperture paesaggistiche di<br />
Storia dell’arte Einaudi 30
Giovan Francesco Caroto nelle spalliere di Santa Maria<br />
in Organo a Verona, con il peso verticale del cielo e la<br />
saldatura prospettica degli arconi in primo piano 84 ; il<br />
coro di San Girolamo a Biella (1523), dove gli stalli<br />
furono dipinti da Defendente Ferrari 85 ; il seggio dei<br />
magistrati nel Duomo di Gubbio (1557) decorato da<br />
Benedetto Nucci secondo il repertorio aniconico <strong>della</strong><br />
tarsia umbra 86 ; o, per uscire dall’Italia, la Cappella<br />
Smí∫ek a Kutná Hora 87 . Si fanno dipinti come tarsie,<br />
appunto, dove è naturale attendersi i consueti lavori di<br />
commesso. Sulla divers<strong>it</strong>à dei mezzi, sulla stessa evoluzione<br />
delle tecniche artistiche, prevalgono le regole del<br />
contesto e dell’attesa, ossia le ab<strong>it</strong>udini di chi osserva.<br />
4. Cori e studioli.<br />
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Tali ab<strong>it</strong>udini non si spiegano con la sola consuetudine<br />
iconografica. La loro tenacia va ricondotta anche a<br />
quell’organismo arch<strong>it</strong>ettonico e l<strong>it</strong>urgico che è il coro<br />
in età precedente il concilio di Trento. Salvo casi rarissimi,<br />
è mutata radicalmente la sua collocazione entro lo<br />
spazio arch<strong>it</strong>ettonico e funzionale <strong>della</strong> chiesa; cosí come<br />
è cambiato l’interno rapporto di spazial<strong>it</strong>à. La riorganizzazione<br />
tridentina del conten<strong>it</strong>ore chiesastico regolarizzò<br />
gli altari, eliminò i tramezzi, spostò i cori (e dunque<br />
tutti quei cori che interessano la storia <strong>della</strong> tarsia<br />
prospettica) lungo il perimetro absidale. In precedenza,<br />
al contrario, il coro r<strong>it</strong>aglia un’area di funzional<strong>it</strong>à l<strong>it</strong>urgica<br />
richiusa in se stessa. È il luogo proib<strong>it</strong>o ai laici, il<br />
luogo dei canti e <strong>della</strong> partecipazione collettiva dei chierici;<br />
ma anche il luogo dove il silenzio e la concentrazione<br />
med<strong>it</strong>ativa sono regole di v<strong>it</strong>a monastica 88 . Lo<br />
spostamento dei cori segu<strong>it</strong>o alla riforma tridentina equivale,<br />
quasi immancabilmente, ad una profonda alterazione<br />
materiale, a quel lacerato assetto documentario<br />
Storia dell’arte Einaudi 31
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
che spesso imbriglia piú fondate valutazioni sul carattere<br />
strutturale di tali complessi. Anche le specchiature<br />
intarsiate perdono cosí l’originaria cornice d’uso mentale.<br />
Essa derivava dal sentirsi posti dentro un misuratissimo<br />
guscio di spazio, dove anche il carattere non narrativo<br />
<strong>della</strong> figurazione, nel rigore muto delle sue sollec<strong>it</strong>azioni<br />
percettive, circoscriveva il luogo dell’appartatezza<br />
fisica ed intellettuale. In questo ideale di separatezza<br />
riflessiva, visivamente concretato in tante rappresentazioni<br />
quattrocentesche di san Girolamo, si riconosce<br />
anche lo studiolo umanistico: altro, per quanto eccezionale,<br />
luogo elettivo <strong>della</strong> tarsia e delle figurazioni<br />
geometriche 89 .<br />
In età quattro-cinquecentesca la struttura del coro<br />
subisce evoluzioni ed adattamenti in gran parte riferibili<br />
all’inserimento di pannelli prospettici, ma non capovolgimenti<br />
radicali. La stabil<strong>it</strong>à tipologica era già stata<br />
raggiunta in periodo gotico. Ma quel sistema spontaneamente<br />
modulare e quella scand<strong>it</strong>a successione di stalli<br />
offrono ora possibil<strong>it</strong>à espressive del tutto diverse. Lo<br />
specchio intarsiato è parte di una successione figurativa,<br />
ne è componente <strong>it</strong>erativa, scansione temporale<br />
variabilmente accentuata. Ma, al tempo medesimo, la<br />
sua intens<strong>it</strong>à prospettica è preordinata e condotta dalla<br />
struttura cellulare del complesso. Appare pertanto azzardato<br />
sganciare la singola tarsia dal proprio sistema seriale,<br />
cosí come distinguere fra opera in piano ed opera di<br />
rilievo.<br />
In diverse opere si potrà avere la sensazione di un<br />
effettivo scorporo dai relativi contesti materiali e figurativi.<br />
Solo in parte tale scorporo rimane obbligato alle<br />
piú recenti forme di studio di tali testimonianze, privilegiatamente<br />
intese come icone prospettiche. Allargare<br />
sistematicamente l’attenzione agli aspetti strutturali,<br />
modulari, al lavoro d’intaglio, e cosí via, equivarrebbe<br />
ad accantonare sub<strong>it</strong>o quel tentativo di larga ricap<strong>it</strong>olazione<br />
che trova, invece, in questo aspetto piú original-<br />
Storia dell’arte Einaudi 32
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
mente figurativo la maggiore rispondenza. Ma è chiaro<br />
che l’effettivo fronte di avanzamento cr<strong>it</strong>ico passa ancora<br />
attraverso la focale monografica, dove riesca effettivamente<br />
a controllare l’interazione delle diverse componenti<br />
figurative 90 . Rimanendo però insoddisfacente il<br />
piú largo quadro di valutazione e di giudizio (mancano<br />
rilevamenti, schede archeologiche, fotografie), una campionatura<br />
di pochissimi casi, valutati in forma piena e<br />
ravvicinata, avrebbe un senso ancora piú avventurato.<br />
Se è dunque giusto mettere sull’avviso contro ogni<br />
tentazione di guardare una tarsia come se fosse un quadro<br />
(e quando la coincidenza materiale si darà, con fra<br />
Damiano, saremo già all’epilogo di questa vicenda), è<br />
anche vero che essa ha ag<strong>it</strong>o, in tempi vicini, come una<br />
reale molla cr<strong>it</strong>ica. Del tutto diversa fu l’attenzione<br />
ottocentesca. Il cattaniano Michele Caffi s’interessò<br />
all’integrazione di tarsia ed intaglio, ma in un orizzonte<br />
di comprensione assai piú vasto di quello strettamente<br />
figurativo. A definirlo, prima ancora <strong>della</strong> grammatica<br />
degli stili, fu un’istanza di pos<strong>it</strong>iva maturazione<br />
antropologica fra operativ<strong>it</strong>à e materia. Chi raggiunge la<br />
massima caratterizzazione <strong>della</strong> tecnica d’intarsio è pertanto<br />
il virtuoso fra Damiano («niuno sorse maggiore»).<br />
Ma l’attenzione a quegli esempi storici rimane ancorata<br />
al destino presente dell’industria artistica:<br />
A richiamare il qual genio, mercé il potente impulso dell’emulazione<br />
e dell’esempio, sono dirette le nostre parole<br />
e, meglio, le notizie con pazienza di anni raccolte. Scrivendo<br />
di arte agl’Italiani non crediamo di muovere fredde<br />
ceneri, di ag<strong>it</strong>are polve o rovine 91 .<br />
E l’opera ricap<strong>it</strong>olatoria Della scultura e tarsia in legno<br />
del Finocchietti (che è persona strettamente legata ai<br />
difficoltosi problemi del Museo Industriale Italiano di<br />
Torino) va trionfalmente a parare sulla rinasc<strong>it</strong>a otto-<br />
Storia dell’arte Einaudi 33
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
centesca dell’intaglio 92 . Storico <strong>della</strong> tarsia fu ancora il<br />
direttore del Museo Artistico-Industriale di Roma, l’Erculei<br />
93 . A questo sfondo di operante attualizzazione<br />
fanno ancora riferimento le indagini archivistiche del<br />
secondo Ottocento, come quelle del Varni a Genova, del<br />
Ronchini a Parma, del Rossi in Umbria. Ad esso risalgono,<br />
per scelta di materiali e taglio informativo, le stesse<br />
riproduzioni fotografiche di cui spesso continuiamo<br />
a servirci. E fin dal 1855, in quella pagina già ricordata<br />
del Cicerone, Burckhardt aveva notato che<br />
i mobili di lusso dei nostri giorni im<strong>it</strong>ano – confessatamente<br />
o no – perlomeno in parte tali lavori, e per convincersene<br />
basta uno sguardo sui mobili prefer<strong>it</strong>i all’esposizione<br />
di Londra. Soltanto che non sempre si im<strong>it</strong>a, oltre<br />
ai particolari, anche il principio che li regge e fa sí che l’elemento<br />
arch<strong>it</strong>ettonico risulti separato con tanta sicurezza<br />
a quello decorativo 94 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 34
Cap<strong>it</strong>olo secondo<br />
Sviluppi<br />
Lo svolgimento <strong>della</strong> tarsia prospettica copre l’arco<br />
di un secolo circa; e la stagione <strong>della</strong> piú salda coerenza<br />
fra costruzione lignaria e struttura geometrica ha<br />
durata anche minore 95 . Se non si perdono di vista le<br />
naturali condizioni di una produzione lenta ed interpersonale,<br />
cosí come le alternanze o le viscos<strong>it</strong>à espressive<br />
dovute alla frequente pratica <strong>della</strong> replica, si comprende<br />
sub<strong>it</strong>o a quali difficoltà vada incontro il tentativo<br />
di fare una ricap<strong>it</strong>olazione dettagliata dell’intero<br />
fenomeno figurativo, o soltanto una sua cronistoria sufficientemente<br />
n<strong>it</strong>ida 96 . Nella circostanza presente, dove<br />
appunto si richiede di seguire il fenomeno nell’insieme,<br />
vengono evidenziate le dinamiche <strong>della</strong> sua diffusione<br />
geografica.<br />
Ma, anche a questo propos<strong>it</strong>o, occorrono alcune<br />
avvertenze. Solo in parte gli sviluppi <strong>della</strong> tarsia prospettica<br />
possono essere ricap<strong>it</strong>olati riferendosi ai consueti<br />
quadri ambientali <strong>della</strong> storia figurativa <strong>it</strong>aliana,<br />
con la sua trama f<strong>it</strong>tamente c<strong>it</strong>tadina. In ordine ad essa<br />
risaltano, anzi, gli elementi discontinui connessi a questa<br />
particolare tecnica. L’intarsiatore stesso, come figura<br />
professionale, non ha uno status costante, omogeneo<br />
almeno nella complessa combinazione di componenti<br />
operative. Cristoforo da Lendinara e Giuliano da Maiano<br />
hanno competenze variate e solo in parte coincidenti;<br />
ciò non può non contare anche per quel momen-<br />
Storia dell’arte Einaudi 35
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
to che piú spiccatamente, ai nostri occhi, fu di attiv<strong>it</strong>à<br />
comune.<br />
La struttura organizzativa <strong>della</strong> bottega fiorentina di<br />
Giuliano da Maiano (come già, probabilmente, del Francione)<br />
richiama quella dei p<strong>it</strong>tori, dove il rapporto di<br />
discepolato o di collaborazione si riflette in una qualche<br />
affin<strong>it</strong>à d’intenti stilistici. Ma in altri casi, fra gli intarsiatori,<br />
l’esperienza tecnica ed associativa non rimanda<br />
cosí direttamente ad un comune propos<strong>it</strong>o figurativo.<br />
Le complesse opere di tarsia non possono essere realizzate<br />
sempre nelle botteghe di origine (come lo studiolo<br />
di Urbino, certamente esegu<strong>it</strong>o a Firenze, o il coro dei<br />
cremonesi Cristoforo e Giuseppe de Venetiis per San<br />
Prospero a Reggio Emilia) 97 . L’eccezione materiale e<br />
tecnologica rappresentata da un grande coro poteva rendere<br />
facilmente necessaria l’allogagione ad un maestro<br />
di un’altra c<strong>it</strong>tà (o richiedere, come cap<strong>it</strong>ò al bergamasco<br />
Capoferri, di «cavalcare a qualche c<strong>it</strong>à de Lombardia<br />
per vedere simili opere per migliore istrutione») 98 .<br />
Per altro verso, si poteva rendere necessario un temporaneo<br />
allargamento delle maestranze attive in una stessa<br />
bottega. Ecco che allora certi spostamenti equivalgono<br />
a trapianti di esperienza: uno scultore in legno e terracotta<br />
come Masseo Civ<strong>it</strong>ali, ad esempio, apprese la<br />
tecnica <strong>della</strong> tarsia quando fu a Lucca Cristoforo da<br />
Lendinara 99 . Una o piú grosse commissioni potevano poi<br />
determinare veri e propri spostamenti di residenza:<br />
cap<strong>it</strong>ò, per diverse c<strong>it</strong>tà del Veneto, al modenese Pier<br />
Antonio degli Abati; mentre Bernardino da Lendinara<br />
divenne c<strong>it</strong>tadino di Modena, successivamente di<br />
Parma, e morí a Ferrara.<br />
In una fase piú inoltrata, la specializzazione tecnica<br />
dà v<strong>it</strong>a ad una particolare geografia culturale, dilatatissima<br />
e di fatto distaccata dai singoli contesti locali: la<br />
definiscono, lungo le tappe degli spostamenti conventuali,<br />
i monaci intarsiatori. Ma anche agli intarsiatori<br />
Storia dell’arte Einaudi 36
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
laici può cap<strong>it</strong>are di trovarsi ad operare in c<strong>it</strong>tà assai<br />
distanti, senza particolari connessioni di cultura, per il<br />
solo tram<strong>it</strong>e di un medesimo ordine monastico comm<strong>it</strong>tente.<br />
È il caso del cremonese Paolo Sacca, attivo nelle<br />
chiese dei canonici lateranensi di Vercelli e Bologna.<br />
Seguendo l’espansione geografica <strong>della</strong> tarsia prospettica<br />
potrà dunque cap<strong>it</strong>are d’incorrere in sovrapposizioni,<br />
r<strong>it</strong>orni, inversioni di tempo.<br />
1. Tradizione senese ed esordio prospettico a Firenze.<br />
All’inizio del 1408, Pierre le Fru<strong>it</strong>er, detto Salmon,<br />
segretario di Carlo VI, scrisse a Jean de Berry per avvertirlo<br />
che a Siena operava un intarsiatore eccezionalmente<br />
abile. Il duca di Berry fu sub<strong>it</strong>o interessato:<br />
Et avecques ce avez trouvé un ouvriez très solemnel de<br />
musayque et de faire ymaiges de merqueterie, auquel, pour<br />
ceque vous savez que nous prenons plaisir en choses estranges,<br />
vous traicteriez voulentiers qu’il venist devers nous [...] 100 .<br />
È possibile che l’ouvriez in questione fosse Domenico<br />
di Niccolò dei Cori. Non è invece casuale che si trattasse<br />
di un senese.<br />
Fin dal secondo quarto del Trecento gli intarsiatori<br />
senesi avevano realizzato l’equivalente lignario di superfici<br />
iconiche notevolmente complesse. Il coro del<br />
Duomo di Orvieto (i cui resti sono sciattamente conservati<br />
nel Museo dell’Opera) fu affidato a Vanni di<br />
Tura dell’Ammannato, capomastro, e ad una piccola<br />
squadra d’intarsiatori senesi, che utilizzarono cartoni di<br />
qual<strong>it</strong>à spiccata. Nella grande scena dell’Incoronazione<br />
di Maria, alle successioni di piani elegantemente cercate<br />
e alle profilature girate in senso volumetrico, sugger<strong>it</strong>e<br />
dall’impianto evidentemente assai dettagliato del<br />
Storia dell’arte Einaudi 37
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
cartone, gli intarsiatori sovrapposero una loro autonoma<br />
struttura cromatica e lineare, fatta di sagome chiuse,<br />
insulate, scand<strong>it</strong>e nell’accostamento dei legni. L’effetto<br />
è quello di una calcolatissima pezzatura di materiali<br />
preziosamente decorati e messi in opera; accostabile<br />
piú facilmente ad una vetrata o ad una tappezzeria<br />
tardo-gotica che non ad una tarsia dell’età prospettica.<br />
Ed è chiaro che questo corrisponde ad una forte e specifica<br />
istanza formale, libera da obblighi mimetici<br />
davanti alla pausata spazial<strong>it</strong>à e al flusso lineare del p<strong>it</strong>tore<br />
che forní i cartoni 101 .<br />
Da tali presupposti non si scostò sostanzialmente<br />
Domenico di Niccolò dei Cori, eseguendo fra il 1415 e<br />
il 1428 il coro per la cappella interna del Palazzo Pubblico<br />
di Siena. Piú diretto è il confronto con il linguaggio<br />
dei p<strong>it</strong>tori. Ma gli alloggiamenti arch<strong>it</strong>ettonici si serrano<br />
attorno alle scene narrative secondo un r<strong>it</strong>mo che<br />
va confrontato con le nostalgie neolorenzettiane di un<br />
Benedetto di Bindo; e non certo con la spazial<strong>it</strong>à moderna<br />
che il Sassetta riflette nella pre<strong>della</strong> dell’altare dell’Arte<br />
<strong>della</strong> Lana. Le fibre vegetali corrispondono alle<br />
fasciature grafiche, alle pieghe lineari, ma secondo valori<br />
di superficie e di r<strong>it</strong>mo 102 . Questa tendenza a risolvere<br />
in elegante sigla formale la pressione meccanica <strong>della</strong><br />
materia non è meno esplic<strong>it</strong>a nelle due tavolette superst<strong>it</strong>i<br />
di quello stretto derivato di Domenico che fu Matteo<br />
di Nanni, detto il Bernacchino 103 . Nel 1421 il Comune<br />
di Siena aveva incaricato Domenico d’insegnare l’arte<br />
dell’intaglio e dell’intarsio: il primato e la compattezza<br />
culturale senese non sorprendono. Un pannello<br />
con la Giustizia del Victoria and Albert Museum è probabilmente<br />
il documento piú significativo di questa tradizione:<br />
la struttura meccanica dei legni, che, piú che<br />
accostati, sembrano compressi e piegati, fissa una curva<br />
tutta mentale e «gotica». Non è dunque questa la strada<br />
che porta alla nuova tarsia quattrocentesca 104 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 38
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Occorre ripartire da Firenze: idealmente, da quella<br />
pagina del Vasari, già in parte trascr<strong>it</strong>ta, dove si conclude<br />
ricordando che Brunelleschi non «restò ancora di<br />
mostrare» le sue sperimentazioni prospettiche «a quelli<br />
che lavorano le tarsie». È un travaso di esperienza che<br />
potrà sembrare formulato e gerarchizzato secondo l’orizzonte<br />
ideologico del Vasari. Ma il biografo quattrocentesco<br />
del Brunelleschi, in quella Novella del Grasso<br />
che è «non a caso parte integrante, anzi prologo drammatico<br />
<strong>della</strong> biografia» 105 , e dove si potrebbe credere (ma<br />
improbabilmente) che la beffa giocata dall’arch<strong>it</strong>etto ad<br />
un maestro di legname cost<strong>it</strong>uisca un segno netto di<br />
superior<strong>it</strong>à sociale; il Manetti, dunque, lascia scivolare<br />
un preciso giudizio sulle capac<strong>it</strong>à operative del Grasso<br />
e, specialmente, sul decollo tecnologico compiuto dai<br />
<strong>maestri</strong> di legname nel corso del Quattrocento: infatti<br />
la v<strong>it</strong>tima del Brunelleschi «infra l’altre cose aveva fama<br />
di fare molto bene e colmi e tavole d’altari e simili cose,<br />
che non era per allora atto ogni legnaiolo» 106 . La costruzione<br />
prospettica brunelleschiana non cala, per cosí dire,<br />
su una realtà tecnologica già avanzata, ma in qualche<br />
modo partecipa a tale cresc<strong>it</strong>a di mestiere.<br />
Di qui la difficoltà pratica di trovare testimonianza<br />
di opere per una connessione che appare tanto virtualmente<br />
diretta come quella fra nuova costruzione spaziale<br />
e nuova tarsia; di farne collimare puntualmente le due<br />
curve evolutive 107 . Intanto, se nel 1451 un campione<br />
dell’intaglio gotico come il padano Arduino da Baiso<br />
poteva scrivere a Piero de’ Medici proponendo di eseguire<br />
gli armadi di San Lorenzo è segno che, anche a<br />
Firenze e fra i <strong>maestri</strong> di legname, lo svolgimento<br />
anti-gotico fu tanto meno assoluto di quanto si vorrebbe<br />
credere per schematizzata memoria scolastica 108 . In<br />
uno spazio brunelleschiano come la sacrestia di San<br />
Lorenzo, i lavori di tarsia mostrano i caratteri di una<br />
diversa regolar<strong>it</strong>à strutturale e di una qualche verifica<br />
Storia dell’arte Einaudi 39
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
ottica, ma non l’unificazione <strong>della</strong> visione prospettica.<br />
Píú vicino all’esperienza del Brunelleschi è l’intarsiatore<br />
del bancone centrale <strong>della</strong> sacrestia di Santa Croce,<br />
che può risalire agli anni di Masaccio, ma che dipende<br />
piuttosto da un certo r<strong>it</strong>orno programmatico alle sperimentazioni<br />
costruttive, ancora avanzate, dei p<strong>it</strong>tori di<br />
un secolo innanzi, come Taddeo Gaddi: i vasi decorativi<br />
al centro dei pannelli sono defin<strong>it</strong>i fra i piani paralleli<br />
di un’intercapedine spaziosa, ma su due orizzonti, e<br />
con piú di un punto di fuga.<br />
A non forzare il senso <strong>della</strong> pagina del Vasari, occorre<br />
tener presente che nella terminologia storica l’opera<br />
di tarsia non corrisponde necessariamente ad una figurazione<br />
complessa. Quando in un inventario si trova<br />
segnato un letto di tarsia, si allude alle bordature sottili,<br />
all’ornamento dei «toppi». In questo senso va sottolineata<br />
una pagina del Vasari che è già stata trascr<strong>it</strong>ta in<br />
una nota precedente. Nel dissentire da Paolo Uccello e<br />
dai suoi disegni prospettici (tutte quelle «bizzarie in<br />
che spendeva e consumava il tempo»), non è casuale che<br />
Donatello faccia un’osservazione precisa: «queste sono<br />
cose che non servono se non a questi che fanno le tarsie;<br />
perciocché empiono i fregi di brucioli, di chiocciole<br />
tonde e quadre, e d’altre cose simili» 109 . Dai fregi dunque,<br />
piú che dalle scene p<strong>it</strong>toriche (dove i senesi avevano<br />
già dato prove notevoli), occorre muovere per accostare<br />
geneticamente tarsia e <strong>prospettiva</strong>.<br />
In maniera piú esplic<strong>it</strong>a e precoce le nov<strong>it</strong>à <strong>della</strong><br />
costruzione prospettica sono riflesse dalle tarsie marmoree.<br />
Si tratta delle decorazioni illusive <strong>della</strong> nicchia<br />
dei Beccai, in Orsanmichele, e delle «finte lumiere appese<br />
a festa» lungo il frontone <strong>della</strong> Porta <strong>della</strong> Mandorla,<br />
a Santa Maria del Fiore: intorno al 1420, in circostanze<br />
connesse in maniera abbastanza diretta a Brunelleschi<br />
110 . Passerà una ventina di anni prima che si<br />
conoscano le prime tarsie lignee d’impostazione pro-<br />
Storia dell’arte Einaudi 40
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
spettica. Ma non credo che il punto risolutivo sia, evoluzionisticamente,<br />
il trapasso di tali impostazioni da un<br />
amb<strong>it</strong>o materiale ad un altro 111 . Occorre fare attenzione,<br />
innanz<strong>it</strong>utto, ad un momento piú avanzato <strong>della</strong><br />
consapevolezza prospettica.<br />
Le prime tarsie lignee e prospettiche, come solo<br />
recentissimamente è stato chiar<strong>it</strong>o, sono quelle degli<br />
armadi laterali <strong>della</strong> Sacrestia delle Messe in Santa<br />
Maria del Fiore. Furono affidate nel 1436 ad Antonio<br />
Manetti e ad Andrea di Lazzaro ed esegu<strong>it</strong>e nel corso<br />
degli anni successivi 112 . Sono dunque gli anni in cui<br />
Leon Battista Alberti è a Firenze, gli anni del De pictura,<br />
di Domenico Veneziano e, con lui, del giovane<br />
Piero <strong>della</strong> Francesca: appunto alla primissima attiv<strong>it</strong>à<br />
di Piero, sul ’40, risale la Madonna Contini Bonacossi<br />
sul cui verso è dipinto a monocromo «un vaso di legno<br />
commesso di doghe studiosamente ricurve», che è «un<br />
perfetto modello per un futuro intarsio «lendinaresco»»<br />
113 . Sarebbe difficile separare dal rinnovato dibatt<strong>it</strong>o<br />
prospettico di quel momento particolare queste tarsie<br />
primordiali (eppure già cosí mature, per tipologia,<br />
che per tanto tempo non sono state distinte da quelle<br />
esegu<strong>it</strong>e piú tardi, nella stessa sacrestia, da Giuliano da<br />
Maiano). Tuttavia esse sono direttamente radicate in<br />
quelle formulazioni piú sperimentali e complesse che<br />
<strong>della</strong> costruzione prospettica Brunelleschi aveva già da<br />
tempo avanzato. Il piú dotato di questi primissimi<br />
intarsiatori brunelleschiani raccorda tre pannelli intorno<br />
all’asse centrale di un candelabro, illusivamente<br />
rivolto nello spazio dell’osservatore. Questo elemento<br />
di raccordo orizzontale funziona quindi da cerniera fra<br />
spazio figurato e spazio reale, è un sensibilissimo incaglio<br />
ottico che sollec<strong>it</strong>a il controllo percettivo e ne conferma<br />
l’inganno. Questa specie di frizione ottica in primissimo<br />
piano (che anzi ne sembra sdoppiato) non corrisponde<br />
dunque all’«intersegazione» impercettibile<br />
Storia dell’arte Einaudi 41
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
<strong>della</strong> piramide visiva, all’apertura geometricamente incorporea<br />
<strong>della</strong> finestra albertiana (oltre la quale le cose<br />
si dispongono con copia e varietas), o alla seren<strong>it</strong>à spaziale<br />
e cromatica di Domenico Veneziano. I tagli asciutti<br />
e radenti <strong>della</strong> luce; la doppia fila di aperture e di borchie<br />
che incornicia i tre sportelli, variando a scatti regolari<br />
e continui la partizione di luce ed ombra; la trama<br />
tridimensionale delle losanghe, scombinata ed omologata<br />
dalla ruotazione degli sportelli, richiamano semmai<br />
gli es<strong>it</strong>i meno intellettualmente pacificanti che dalle<br />
regole prospettiche aveva ricavato Paolo Uccello: dove<br />
però la <strong>prospettiva</strong> è composizione geometrica dei<br />
campi di colore, astratta purezza <strong>della</strong> ricostruzione di<br />
un oggetto emergente, o di una serie replicata ed aggregata<br />
di forme semplici, piú che la sintassi di un piano<br />
continuo di figurazione. In coerenza con i congegni<br />
brunelleschiani d’implacabile, ambigua esattezza dell’inganno<br />
(nel senso <strong>della</strong> Novella del Grasso), si trova<br />
anche l’attestazione primissima e piú radicale di quello<br />
che sarà poi uno dei topoi caratteristici <strong>della</strong> tarsia rinascimentale:<br />
il legno che rappresenta il legno, la tarsia<br />
che finge gli sportelli intarsiati anche nella mutata inclinazione<br />
prospettica dello stesso «toppo», la doppia funzione<br />
espressiva <strong>della</strong> materia e il conseguente senso di<br />
percezione sdoppiata.<br />
Non conosciamo altre tarsie di questa levatura negli<br />
anni attorno alla metà del secolo. Sono andate perdute<br />
le decorazioni dello Studiolo di Piero de’ Medici, probabilmente<br />
esegu<strong>it</strong>e nei primi anni Cinquanta, e che<br />
conosciamo descr<strong>it</strong>te in maniera da far pensare già a<br />
quelle di Urbino e di Gubbio 114 . Altre saranno andate<br />
perdute, ma tarsie di questo impegno non potevano<br />
essere molto numerose. Una cosa era la produzione di<br />
mobili con «toppi» ed ornati prospettici, per cui Firenze<br />
consolidò una sua supremazia di mercato, altra l’impresa<br />
prospettica di eccezione, che richiedeva di essere<br />
Storia dell’arte Einaudi 42
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
organizzata nell’occasione concreta di uno specifico<br />
invaso spaziale.<br />
Quando nel 1463 Giuliano da Maiano fu chiamato a<br />
completare la sacrestia del Duomo, si richiese all’artista<br />
un preciso «modello et disegno» 115 . Probabilmente si<br />
trattò di qualcosa in piú di una generica indicazione<br />
contrattuale; esso presupponeva la programmatica compattezza<br />
prospettica dell’intervento decorativo. Quella<br />
finta decorazione arch<strong>it</strong>ettonica a spazial<strong>it</strong>à un<strong>it</strong>aria<br />
poteva competere soltanto a Giuliano da Maiano. E si<br />
è ricordato anche quanto circoscr<strong>it</strong>to dovette essere il<br />
ruolo dei p<strong>it</strong>tori cui l’intarsiatore («conducente in suo<br />
nome proprio») si rivolse per il disegno delle singole<br />
figure, o per dettagliare, su quei tracciati grafici, le parti<br />
di piú sottile svolgimento luminoso. Proprio «l’incertezza<br />
fra intavolazione spaziale e asprezza singolare di<br />
figure», viste da Arcangeli nel pannello <strong>della</strong> Circoncisione,<br />
corrispose operativamente all’incastro di due<br />
responsabil<strong>it</strong>à progettuali, distinte ma non par<strong>it</strong>etiche:<br />
dove è comunque il tracciato proposto dal p<strong>it</strong>tore (in<br />
questo caso non saprei trovare altra alternativa al nome<br />
di Baldovinetti che in quello del giovane Cosimo Rosselli)<br />
ad essere inglobato nella compaginazione fissata dal<br />
maestro di legname 116 . Lo sfondamento prospettico di<br />
un’intera parete è cosa nuova anche davanti agli inganni<br />
ottici degli intarsiatori brunelleschiani, del Manetti<br />
piú in particolare, con le loro finte aperture a portata di<br />
mano, dove emergono gli stessi oggetti cari all’empirismo<br />
spazioso dei p<strong>it</strong>tori del Trecento. Qui si tratta di<br />
una vera figurazione di arch<strong>it</strong>ettura, direttamente agganciata<br />
all’esperienza brunelleschiana e masaccesca <strong>della</strong><br />
Trin<strong>it</strong>à in Santa Maria Novella. E per questa via mediata,<br />
il nesso brunelleschiano fra <strong>prospettiva</strong> e struttura<br />
arch<strong>it</strong>ettonica conosce un edonizzato r<strong>it</strong>orno 117 .<br />
Negli svolgimenti lignari (dove ovviamente non<br />
manca qualche oscillazione di qual<strong>it</strong>à esecutiva) si fissa<br />
Storia dell’arte Einaudi 43
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
un altro carattere tipico <strong>della</strong> tarsia fiorentina: la tess<strong>it</strong>ura<br />
luminosa <strong>della</strong> superficie lignea è raggiunta con<br />
innesti minuti, f<strong>it</strong>ti, replicati, con effetti di articolazione<br />
grafica e di punteggiature luminose destinate a fondersi<br />
alla distanza, ma fissando bene la consistenza dei<br />
percorsi lineari.<br />
Con queste due indicazioni, si può lasciare lo sviluppo<br />
<strong>della</strong> tarsia fiorentina ad una fase ancora sostanzialmente<br />
precoce, passando ad un piú diretto confronto di<br />
caratteri con l’altra grande tradizione lignaria, quella<br />
padana dei Lendinara, avviata negli stessi anni in cui<br />
Giuliano da Maiano lavorava alla Sacrestia delle Messe.<br />
2. I Lendinara lungo la via Emilia.<br />
«Masaccio non lavorava per le corti, Piero <strong>della</strong> Francesca<br />
sí»: nell’incup<strong>it</strong>a considerazione di Giorgio<br />
Morandi, in quel suo vissuto riconoscimento dei destini<br />
generazionali, c’è il nocciolo profondo di una s<strong>it</strong>uazione<br />
storica mutata. Il riferimento alle corti impone di<br />
uscire dalla Toscana, di scavalcare l’Appennino. Nelle<br />
more di quei viaggi Piero lascia le commissioni di casa 118 .<br />
Intorno al 1450, o poco prima, forse su segnalazione di<br />
Alberti, era alla corte di Ferrara 119 . Lí si trovavano<br />
Lorenzo e Cristoforo «zoveni de Lendenara» (allora<br />
terra estense). Assieme ad un maestro d’intagli piú<br />
anziano e prestigioso, Arduino da Baiso, stavano lavorando<br />
al nuovo studiolo ducale: quello di Belfiore 120 .<br />
Risale a quel tempo, con tutta verosimiglianza, l’amicizia<br />
che sarà poi ricordata da Luca Pacioli, quando promise<br />
«di dare piena notizia de prospectiva mediante li<br />
documenti» di Piero e «del suo caro quanto fratello<br />
maestro Lorenzo Canozo da Lendenara» 121 .<br />
La presenza di Piero alle corti, rispetto all’irrinunciabile<br />
polemica antigotica dell’umanesimo civile dei<br />
Storia dell’arte Einaudi 44
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
tempi di Masaccio, significò anche una possibil<strong>it</strong>à di dialogo<br />
con quel campo stilistico che non si può fare a<br />
meno di chiamare gotico. Che non fu per niente, in<br />
Europa come nella gran parte d’Italia, un campo d’involuzione;<br />
e conobbe, anzi, trasformazioni radicali,<br />
fuori di ogni falsa cesura manualistica fra Medioevo e<br />
mondo figurativo moderno. Il precoce incontro dei Lendinara<br />
con Piero non va dunque immaginato come una<br />
sorta di conversione alla <strong>prospettiva</strong> fiorentina e, nella<br />
fattispecie, un allineamento risoluto alle tarsie brunelleschiane<br />
di un Manetti 122 . Il mestiere iniziale dei due<br />
polesani era quello suntuosissimo delle opere di traforo,<br />
dai pampini intagliati, delle decorazioni «a giorno»:<br />
quello che si riflette in una pagina del pisanelliano Codice<br />
Vallardi, ma che decora anche la porta sullo sfondo<br />
dell’Annunciazione di Piero ad Arezzo. E poi p<strong>it</strong>tura ed<br />
intaglio continuarono a stringersi nella fior<strong>it</strong>issima un<strong>it</strong>à<br />
degli altari, in maniera tale che ne rimaneva sacrificata<br />
quell’autonomia formale <strong>della</strong> superficie piana che è il<br />
presupposto necessario degli intarsiatori fiorentini.<br />
Basta soltanto pensare a due pol<strong>it</strong>tici dove la presenza<br />
di Piero si riflette nelle condizioni tipiche <strong>della</strong> tradizione<br />
padana: quello di Torchiara di Benedetto Bembo<br />
(1462, Milano, Castello Sforzesco), e quello dell’Ospedale<br />
<strong>della</strong> Morte, degli Erri (1462-66, Modena, Galleria<br />
Estense) 123 .<br />
L’esperienza prospettica dei Lendinara non poteva<br />
avere dunque che un avvio frenato e corrispondere ad<br />
un piú lento ricambio culturale. In questo senso potrà<br />
riuscire un po’ deludente, ma non inadeguata a tale<br />
dinamica, la prima opera che si può riconoscere ai due<br />
fratelli, le parti piú antiche del coro di San Prospero a<br />
Reggio, esegu<strong>it</strong>o verso il 1458 124 . La figurazione di una<br />
serie di scatole spaziali, nuova fra i <strong>maestri</strong> di legname<br />
padani, si combina ancora con la piú tradizionale e<br />
minuta «opera» di commesso. In modo blandamente<br />
Storia dell’arte Einaudi 45
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
prospettico, tali cellule serrate accolgono oggetti ed animali,<br />
temi esopeschi presto inusuali e quasi nel tono di<br />
un moderno bestiario di corte, con qualche rispondenza<br />
formale nelle pagine <strong>della</strong> Bibbia di Borso d’Este. È<br />
un’esperienza che va liev<strong>it</strong>ando rispetto a quanto lascerebbe<br />
immaginare quella «capsa d’arzimpresso in forma<br />
de oxelli» lavorata dai Lendinara per il «fiolo dell’Ill.mo<br />
Duca di Milano», ma che non sembra del tutto all’altezza<br />
di quel tono di referenza operativa che traspare dal<br />
cap<strong>it</strong>olato per il coro di Padova 125 .<br />
L’esecuzione pressoché contemporanea dei due cori<br />
di Modena (1461-65) e di Padova (1462-69) sembra<br />
aver messo capo ad una ramificazione fondamentale<br />
<strong>della</strong> bottega dei Lendinara. L’opera di Cristoforo (che<br />
fin dal 1463 ottiene, assieme al figlio, la c<strong>it</strong>tadinanza<br />
modenese) si radica lungo la via Emilia. Lorenzo finí<br />
invece per grav<strong>it</strong>are in area veneta. Il coro padovano, ad<br />
eccezione di due pannelli, andò distrutto nel Settecento,<br />
in un incendio. È dunque da quello di Modena, firmato<br />
da entrambi, che è possibile individuare il senso,<br />
ancora sostanzialmente un<strong>it</strong>ario, di quella comune esperienza<br />
pierfrancescana 126 .<br />
Non interessano qui gli intagli straordinari, dove si<br />
combinano le vibrazioni di epidermide e le sigle imprevedibili<br />
<strong>della</strong> migliore cultura tardo-gotica. Non è solo<br />
con essa, nelle parti lavorate a tarsia, che dialoga l’esperienza<br />
prospettica e pierfrancescana. Nei «toppi» e<br />
nelle grandi decorazioni che ne derivano, la nuova regola<br />
spaziale si accorda piuttosto ad una memoria di forme<br />
cromatiche sospese e di trame geometriche spontaneamente<br />
seriali, proprie <strong>della</strong> figurazione romanica. Ma<br />
anche nelle tarsie di figura si ripropone questo innesto<br />
fra lontane civiltà formali: dove l’opera di commesso<br />
ligneo, rispetto al referente o alla sua eventuale mediazione<br />
p<strong>it</strong>torica, è astrazione o, piuttosto, traslato geometrico;<br />
e al tempo stesso esibisce la propria pregnan-<br />
Storia dell’arte Einaudi 46
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
za di figura, l’immediatezza materica. Cosí, ad esempio,<br />
lo spessore sottile del cappuccio di san Girolamo trova<br />
nettezza di piano tridimensionale e, insieme, ident<strong>it</strong>à di<br />
oggetto; mentre i baffi si avv<strong>it</strong>ano a cavaturacciolo<br />
senza sottintendere esclusivi valori di perfezione metafisica;<br />
e i riflessi battenti sul calice sono scand<strong>it</strong>i con<br />
un’esattezza che è al tempo stesso convenzione figurale<br />
e consistenza fisica. Non c’è dunque necess<strong>it</strong>à, come<br />
in Giuliano da Maiano, di finti alloggiamenti arch<strong>it</strong>ettonici.<br />
L’apertura sui paesaggi urbani è una finestrella<br />
orizzontale, spazialmente incomoda, che sembra<br />
costringere ad una visione in punta di piedi, evidenziando<br />
la soggettiva temporal<strong>it</strong>à <strong>della</strong> percezione. E la<br />
certezza stereometrica delle cose non si fonda sulla concatenazione<br />
ambigua di due spazi, vero e figurato, né<br />
sullo sfondamento illusionistico <strong>della</strong> superficie. Gli<br />
oggetti, forme semplici e n<strong>it</strong>ide come i pozzi, valgono<br />
nel loro isolamento fisico e prospettico; immersi in uno<br />
spazio neutro e ricostru<strong>it</strong>i con esattezza bidimensionale<br />
sul piano: luogo geometrico sensibilissimo, ma non<br />
affollato né equivoco. Non siamo lontani dagli esercizi<br />
costruttivi proposti da Piero nel De prospectiva pingendi;<br />
ma si tratta di tutt’altra fisic<strong>it</strong>à figurativa. La<br />
«forma» di Piero, per adattare una celebre formula di<br />
Longhi, si sintetizza con un «colore» che è quello stesso<br />
<strong>della</strong> materia e <strong>della</strong> sua modificazione meccanica,<br />
delle sue diverse essenze, tagli, sagomature costruttive<br />
e messa in opera. L’intera barba di san Girolamo deriva<br />
dal montaggio di due tavolette di noce a taglio long<strong>it</strong>udinale,<br />
appena sfasate nell’andamento delle fibre.<br />
C’è dunque una diversificazione radicale rispetto alla<br />
tarsia fiorentina. Non si tratta soltanto di due diverse<br />
pratiche di tecnica lignaria.<br />
Il carattere <strong>della</strong> tarsia lendinaresca si rende anche<br />
piú esplic<strong>it</strong>o quando si allenta il rigore geometrico di<br />
questa matrice padana profonda, e ci si inoltra lungo la<br />
Storia dell’arte Einaudi 47
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
carriera del solo Cristoforo. Negli Evangelisti del<br />
Duomo di Modena, datati 1477, si precisa meglio una<br />
concezione costruttiva per cui non si può fare a meno<br />
di riadattare un’altra definizione che Longhi impiegò<br />
per Piero <strong>della</strong> Francesca: «il contorno non è linea ma<br />
curvata nettezza di lim<strong>it</strong>e prospettico» 127 . Proprio davanti<br />
alle tarsie fiorentine dei tempi di Baldovinetti, Pollaiolo,<br />
Botticelli, e ai loro diretti incroci formali con i<br />
valori grafici <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura contemporanea, Cristoforo da<br />
Lendinara rivela, nella stessa inconsistenza materiale<br />
<strong>della</strong> linea, la precisione euclidea dei profili, concretando<br />
nell’aggregazione dei legni la nozione matematica di<br />
disegno che fu sugger<strong>it</strong>a da Alberti e da Piero <strong>della</strong><br />
Francesca («[...] dico in questa circonscrizione molto<br />
doversi osservare ch’ella sia di linee sottilissime fatta,<br />
quasi tali che fuggano essere vedute»; «Desegno intendiamo<br />
essere profili et contorni che nella cosa se contene»)<br />
128 . La larga ed esatta profilatura del mento di San<br />
Giovanni risulta soltanto dall’accostamento di due pezzi<br />
<strong>della</strong> medesima essenza lignea, secondo il medesimo<br />
taglio, ma ruotati di direzione.<br />
Da tali considerazioni sull’autonomia espressiva delle<br />
tarsie di Cristoforo deriva un’ulteriore sment<strong>it</strong>a <strong>della</strong><br />
proposta longhiana, che peraltro ha avuto notevole fortuna,<br />
volta a riconoscere dietro le opere dell’intarsiatore,<br />
e in particolare dietro a questi Evangelisti, precisi<br />
modelli di Piero <strong>della</strong> Francesca 129 . Del resto l’ipotesi si<br />
completa e in un certo senso si richiude su se stessa<br />
quando Longhi osserva che a date «tarde come il ’77,<br />
l’86, l’88 le tarsie di Cristoforo non deflettono da uno<br />
stile che quadra al 1450». Ma di quale stile si tratta? Di<br />
quello <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura, non <strong>della</strong> tarsia. Alla dipendenza<br />
espressiva corrisponde coerentemente, in Longhi, l’impressione<br />
di uno scarto temporale.<br />
Non sembrerebbe difficile, tuttavia, risalire al vero<br />
autore di quei cartoni. Basta affiancare al San Giovan-<br />
Storia dell’arte Einaudi 48
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
ni del 1477 la Madonna che è al centro del finto tr<strong>it</strong>tico<br />
affrescato nell’altare del Giudizio, sempre nel<br />
Duomo di Modena; o vedere quanto puntualmente il<br />
San Martino <strong>della</strong> monumentale tarsia di Lucca corrisponda<br />
ai due santi vescovi del Palazzo Ducale di Mantova:<br />
tutte opere, dunque, da riportare a Cristoforo p<strong>it</strong>tore.<br />
Non sarà qui possibile orientare, neppure in nota,<br />
su un problema ancora complesso come quello di Cristoforo<br />
p<strong>it</strong>tore; anche se, a volerne definire il giusto<br />
potenziale, è necessario liberarsi da quella sorta di palla<br />
al piede che è la sua unica opera firmata 130 . Ma è necessario<br />
cercar di afferrare il senso di un’articolazione (che<br />
tendenzialmente fu anche di «qual<strong>it</strong>à») fra opere di<br />
tarsia ed opere di p<strong>it</strong>tura. Se il «colore» del legno riuscí<br />
spesso piú consentaneo a quella «forma» n<strong>it</strong>ida ed<br />
intera, scalata da una luce essenziale, ciò conferma il<br />
grado di autonomia espressiva che l’intarsio aveva raggiunto<br />
con Cristoforo.<br />
Una conferma di segno opposto è data invece dall’occasione,<br />
straordinaria ed imbarazzante, che cap<strong>it</strong>ò<br />
nel 1473 ad Agostino de’ Marchi da Crema davanti a<br />
due cartoni di Francesco del Cossa 131 . Nel coro di San<br />
Petronio a Bologna, il «maestro dell’arte sottile» non<br />
prese nessuna iniziativa formale che fosse necess<strong>it</strong>ata dai<br />
modi specifici <strong>della</strong> costruzione lignaria. Non si trattò,<br />
come poi nel ’500, di subalternanza defin<strong>it</strong>a su uno<br />
sfondo ideologico; e neppure di un vero caso di gerarchia<br />
fra una tecnica particolare ed un’arte guida; ma,<br />
semplicemente, <strong>della</strong> subordinazione operativa di un<br />
oggetto (che peraltro conserva una sua forte ident<strong>it</strong>à<br />
materiale) al suo modello grafico. Agostino procede pertanto<br />
senza reinvenzioni strutturanti e senza puntigli<br />
virtuosistici; cerca di rimanere entro i profili stabil<strong>it</strong>i sul<br />
cartone ricorrendo a vaste ombreggiature artificiali e a<br />
tratteggi pirografati. Un confronto fra le d<strong>it</strong>a che stringono<br />
il libro squadernato da sant’Ambrogio e il gesto<br />
Storia dell’arte Einaudi 49
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
similissimo del san Giovanni <strong>della</strong> Pala dei Mercanti del<br />
Cossa (Bologna, Pinacoteca Nazionale) basta a mostrare<br />
quanto, rispetto alle indicazioni del p<strong>it</strong>tore, l’intarsiatore<br />
volle essere puntuale e riuscisse inev<strong>it</strong>abilmente<br />
riduttivo. Non a caso i due santi s’inseriscono nell’organismo<br />
del mobile quasi come pannelli p<strong>it</strong>torici entro<br />
la cornice di un pol<strong>it</strong>tico di moderna forma prospettica.<br />
Conviene fermarci un momento a considerare, anche<br />
in ordine ai Lendinara, il rapporto che nel coro bolognese<br />
si definisce fra la compless<strong>it</strong>à del manufatto ligneo<br />
ed i singoli specchi intarsiati: che, a parte il caso dei due<br />
sugger<strong>it</strong>i dal Cossa, corrispondono a rappresentazioni di<br />
oggetti l<strong>it</strong>urgici, strumenti musicali, ecc. Se il ricorso al<br />
termine gotico può abbreviare l’intuizione dei fatti, il<br />
coro di Agostino de’ Marchi è certo meno gotico di<br />
quelli lendinareschi di Modena e di Parma: già il disegno<br />
di un singolo scranno, concordato inizialmente con<br />
i comm<strong>it</strong>tenti, è di forma piú moderna. Ma le assottigliate<br />
tarsie che campeggiano nel giro superiore degli<br />
stalli, non coincidendo con l’intero piano degli specchi,<br />
disinnestano ogni interrelazione funzionale fra struttura<br />
lignea e campi d’intarsio. Riportano ad una condizione<br />
di ornamento tanto piú tradizionale.<br />
Questa relazione fra struttura del mobile e campi<br />
intarsiati potrebbe far da guida agli svolgimenti <strong>della</strong><br />
bottega lendinaresca. Nel corso degli anni ’80 si presentò<br />
piú di un’occasione favorevole alla messa a punto<br />
di vaste impaginazioni prospettiche (come le tarsie lucchesi,<br />
che erano destinate ad un armadio da sacrestia) 132 .<br />
Ma anche quando, come a Pisa, cap<strong>it</strong>ò di operare su<br />
dimensioni piú ridotte, si scelse un campo di figurazione<br />
profondo; e, di conseguenza, dovette allentarsi (le<br />
tarsie pisane sono ridotte a frammenti) quel senso di<br />
finestra imminente che poteva corrispondere al taglio<br />
dell’immagine 133 . Non dovette trattarsi piú, insomma,<br />
Storia dell’arte Einaudi 50
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
di quella schermatura obbligante e selettiva, e in sé<br />
fisicamente avvert<strong>it</strong>a, che caratterizza il coro di Parma<br />
(1473).<br />
Nella Sacrestia dei Consorziali del Duomo di Parma<br />
(dal 1488) la regolar<strong>it</strong>à geometrica delle cornici scandisce<br />
vaste aperture prospettiche di luoghi urbani, ma<br />
non serve a sgranare illusivamente una scena dall’altra<br />
134 . Lungo l’unica linea di orizzonte (che durante le<br />
fasi di smontaggio richieste dall’ultimo restauro si è<br />
potuto rintracciare incisa sulle tavole di supporto delle<br />
tarsie), Cristoforo propone a chi guarda un’attenzione<br />
sintattica, capace di legare scena a scena. La stessa ruotazione<br />
delle ante aperte, nella sovrapposizione tautologica<br />
del legno, assume una maggiore dens<strong>it</strong>à di corpo,<br />
di fisic<strong>it</strong>à oltre che d’illusione prospettica; è la medesima<br />
fisic<strong>it</strong>à che percorre le tarsie disposte lungo la faccia<br />
inferiore delle panche, ma abbinata ad una metrica<br />
cadenzata, quanto visivamente imprevedibile. Una serie<br />
di corpi geometrici (impossibilmente fuori scala come<br />
decorazioni; improbabilmente illusivi, per mancata pertinenza<br />
ad un coerente contesto spaziale; perlopiú inclassificabili<br />
come oggetti d’uso, ma troppo concreti per<br />
richiamare l’astrazione geometrica) sono disposti a coppie,<br />
spart<strong>it</strong>e nell’esattezza speculare di un unico cartone<br />
impiegato nei due sensi, invert<strong>it</strong>e dall’incrocio <strong>della</strong><br />
luce e dell’ombra. È una delle altezze assolute dell’immaginario<br />
prospettico, dove però la fisic<strong>it</strong>à sembra avere<br />
estraniato la regola dimensionale. Mutando piú di un<br />
termine stilistico, non si saprebbe trovare altri riferimenti<br />
che non siano la ferocia formale di Ercole de’<br />
Roberti, in certe sue lucidissime sfasature di modulo<br />
(come nei vasi <strong>della</strong> Madonna Vendeghini Baldi), o l’insost<strong>it</strong>uibile<br />
accordo fra corpi murari e trasparenza tridimensionale<br />
che è proprio di Biagio Rossetti.<br />
Si comprende pertanto chi fu il responsabile vero,<br />
Storia dell’arte Einaudi 51
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
per l’ideazione almeno, dei congegni meccanici di Pisa<br />
(vere «macchine celibi» <strong>della</strong> civiltà prospettica), diventati<br />
familiari sotto nomi diversi da quello di Cristoforo,<br />
per i quali fu però avvert<strong>it</strong>o che «l’epica artigiana dei<br />
Lendinara cresce ancora di tono, fino a toccare i lim<strong>it</strong>i<br />
dello spropos<strong>it</strong>ato; ma senza varcarli» 135 .<br />
Sarebbe assai improbabile non considerare Bernardino<br />
da Lendinara partecipe attivo degli svolgimenti<br />
del padre. È comunque troppo schematico far corrispondere<br />
al suo nome quei momenti meno innovativi o<br />
sorvegliati di una produzione svolta all’interno di una<br />
stessa bottega. Anche le spalliere <strong>della</strong> sacrestia del<br />
Duomo di Modena, cui Bernardino lavorava nel 1474,<br />
non bastano a fondare articolazioni essenziali; piuttosto<br />
avviano la maturazione di quei piú vasti impianti prospettici<br />
<strong>della</strong> Sacrestia dei Consorziali. Bernardino potrà<br />
essere considerato autonomamente solo dopo la morte<br />
del padre, nel 1491.<br />
C’è un legame non propriamente subalterno fra la<br />
fascia inferiore <strong>della</strong> Sacrestia dei Consorziali e lo zoccolo<br />
dei due tronetti che Bernardino eseguí nel 1494 per<br />
il Battistero di Parma 136 . Nell’esattezza scarn<strong>it</strong>a e negli<br />
incroci luminosi di queste decorazioni geometriche a<br />
finto oggetto e a finto incavo, si ripropone al controllo<br />
percettivo l’esercizio mentale di una coincidenza volumetrica<br />
derivata dalla loro ideale ruotazione nello spazio.<br />
Nei due santi, dove non è meno spiccato che in Cristoforo<br />
l’intento di dare evidenza di struttura lineare alla<br />
trama degli incastri, l’es<strong>it</strong>o <strong>della</strong> figurazione non può piú<br />
essere di diretta matrice pierfrancescana, ma si colloca<br />
ad un punto di cultura simile a quello di certi p<strong>it</strong>tori<br />
veneteggianti di Padania (come il Caselli, che si trovava<br />
allora a Venezia). In quel Battistero imminente tra la<br />
trama regolare di una piazza idealizzata e l’Appennino<br />
che incombe, o in quella specie di utopia municipale del-<br />
Storia dell’arte Einaudi 52
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
l’edificio sul lato opposto, va riconosciuto un momento<br />
nuovo, certo non r<strong>it</strong>ardatario, rispetto al piú disteso<br />
ingranaggio di blocchi e di pause spaziali che Cristoforo<br />
aveva costru<strong>it</strong>o, ad esempio, a Lucca. Quella spianata<br />
continu<strong>it</strong>à <strong>della</strong> tavola di pero nell’edificio merlato<br />
non fa sentire neppure troppo distante l’immaginazione<br />
costruttiva, ciclopica e prospetticamente possibile,<br />
del Bramantino p<strong>it</strong>tore. Nell’altro tronetto questa tensione<br />
si è già allentata e non c’è troppo scarto dalle<br />
scene esegu<strong>it</strong>e anni avanti dal (e col) padre, specie quelle<br />
che furono montate in forma di armadio da Luchino<br />
Bianchino, evidente creato parmense di Cristoforo, e<br />
finirono presto rifuse nella Sacrestia dei Consorziali 137 .<br />
La carriera di Bernardino si concluse a Ferrara. All’inizio<br />
del secolo, assieme ad Angelo Discaccia da Cremona<br />
e a Pietro di Riccardo dalle Lanze, aveva assunto<br />
l’incarico di realizzare il nuovo coro <strong>della</strong> Cattedrale 138 .<br />
Pochi anni dopo morí, e ne occorsero ancora una ventina<br />
prima che il coro venisse terminato. Ma fu come se<br />
non fossero passati. La piú consistente manifestazione<br />
di fedeltà canoziana uscí proprio dalla c<strong>it</strong>tà in cui Lorenzo<br />
e Cristoforo avevano preso le mosse. Nell’assoluta<br />
persistenza degli stessi modelli (impiegati anche nel coro<br />
modenese di San Pietro) s’intravede una delle ragioni<br />
<strong>della</strong> crisi cinquecentesca <strong>della</strong> tarsia. Non è casuale che<br />
ciò avvenisse a Ferrara. Nel 1493 Pier Antonio degli<br />
Abati («Pero Antonio de Lendenara») aveva lavorato<br />
per Eleonora d’Este 139 . Nel 1492 venne chiamato da<br />
Modena Bartolomeo Spadari, «lignarie artis opifex per<strong>it</strong>issimus<br />
et precipue eorum operum que ornamentis tarsiensibus<br />
decorantur» 140 . Con lui si trovò a lavorare Pietro<br />
dalle Lanze, il collaboratore e continuatore di Bernardino<br />
nel coro del Duomo, di cui rimane a Ferrara un<br />
altro coro, quello di Sant’Andrea 141 nei suoi scorci urbani<br />
c’è un’ulteriore ricombinazione di temi lendinare-<br />
Storia dell’arte Einaudi 53
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
schi; la semplic<strong>it</strong>à di taglio e costruzione si avvicina particolarmente<br />
al bancone <strong>della</strong> Sacrestia dei Consorziali,<br />
mentre l’imminenza di certe strutture par risentire di<br />
Pier Antonio degli Abati. A Ferrara dunque i rami veneto<br />
ed emiliano dell’esperienza lendinaresca si riaccostarono.<br />
Ma su una linea, ormai, di tenace r<strong>it</strong>orno sui<br />
modelli consolidati.<br />
3. Sviluppi lendinareschi in area veneta.<br />
Tale ramificazione, come si è già detto, risaliva agli<br />
anni ’60, al momento in cui Cristoforo rimase a Modena,<br />
mentre il fratello si occupava del coro di Padova. Se<br />
la carriera di Cristoforo può essere ripercorsa in maniera<br />
sufficiente, ben poco rimane di quella di Lorenzo.<br />
Della sua attiv<strong>it</strong>à di p<strong>it</strong>tore possiamo intravedere solo<br />
qualche traccia o possibile riflesso. Immaginandolo, sulla<br />
scorta del ricordo di Luca Pacioli, come un diretto e precoce<br />
diffusore <strong>della</strong> cultura di Piero <strong>della</strong> Francesca in<br />
Veneto, l’attenzione si appunta su una Madonna del<br />
Museo Correr: un’opera di una consistenza cromatica<br />
smunta, quasi roca, ma di una concentratissima definizione<br />
luminosa dei piani. Che sia Lorenzo da Lendinara,<br />
è soltanto un sospetto, ma questa tavola è l’esempio<br />
piú tagliente di quella congiuntura culturale a<br />
cui dati biografici ed antiche testimonianze riconducono<br />
l’artista 142 .<br />
Un incendio ed un restauro ottocentesco hanno<br />
ridotto all’estremo anche l’immagine di Lorenzo come<br />
intarsiatore 143 . Non proprio al punto che faceva già dire<br />
al Lanzi «nulla ne avanza per giudicarne». Del grande<br />
coro del Santo (1462-69) rimangono due stalli, riadattati<br />
in forma di confessionali. Essi bastano ad indicare<br />
quanto la struttura e la tipologia decorativa fossero<br />
Storia dell’arte Einaudi 54
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
obbligate alla tradizione gotica degli intagli. L’occasione<br />
non fu cosí favorevole come a Modena al prevalere<br />
di campi destinati alla figurazione piana e alla percezione<br />
concatenata delle prospettive. Le due tarsie si accostano<br />
a quelle modenesi negli effetti di schermatura serrata<br />
delle aperture e nei tagli parziali. Ma altra è la<br />
varietà d’opera e la compless<strong>it</strong>à di legni in quello scorcio<br />
<strong>della</strong> Basilica intravista dal Chiostro delle Magnolia.<br />
Nell’altro pannello si aprono due ante a sbarre incrociate<br />
(elementi che Cristoforo non userà quasi mai): ne deriva<br />
una trama geometrica e cromatica inf<strong>it</strong>t<strong>it</strong>a, varia,<br />
coerente alla piú scand<strong>it</strong>a composizione lignaria dell’arcata<br />
sul fondo.<br />
Nessun controllo di stile può farsi sulle tarsie che<br />
Lorenzo realizzò nel 1474-76 per l’armadio delle reliquie,<br />
al Santo. I restauratori ottocenteschi salvarono<br />
dalla sost<strong>it</strong>uzione totale delle tessere lignee solo qualche<br />
pannello con nature morte, non le grandi figure di santi<br />
che campeggiano a scala naturale. Anche in questo caso<br />
il raffronto con l’opera di Cristoforo, e specificamente<br />
con il San Martino di Lucca, corrisponde ad una diversa<br />
direzione d’intenti. L’impianto larghissimo delle figure<br />
si accorda, a Padova, alla costruzione di un vasto alloggiamento<br />
prospettico, guidato dalla scacchiera di un<br />
pavimento a dimensione urbana. La struttura prospettica<br />
serví ad organizzare una compless<strong>it</strong>à di sagome e di<br />
tagli cromatici. Ma all’intavolatura geometrica sembra<br />
volersi legare una sollec<strong>it</strong>azione di memoria iconica: con<br />
un’intens<strong>it</strong>à d’immagine e di gesto che poteva suggerire<br />
qualcosa anche alla specifica condizione espressiva<br />
<strong>della</strong> xilografia, semplificativa e visualmente assertoria.<br />
Ed appare pertanto plausibile l’ipotesi che sia stato lo<br />
stesso Lorenzo (documentato anche come tipografo) a<br />
divulgare una derivazione a stampa del Sant’Antonio<br />
<strong>della</strong> sacrestia 144 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 55
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
A Padova, nel 1477, lo stesso anno in cui moriva<br />
Lorenzo da Lendinara, due intarsiatori emiliani, Domenico<br />
da Piacenza e Francesco da Parma, concludevano<br />
il coro vecchio di Santa Giustina 145 . Il riferimento a<br />
Lorenzo è determinante, anche se le prospettive sembrano<br />
talvolta aggregate per blocchi di volumi, quasi nel<br />
ricordo nelle vecchie figurazioni spaziose. Al coro<br />
distrutto del Santo risalgono i cr<strong>it</strong>eri fondamentali di<br />
queste vedute: che sono quello di una visione frontale<br />
incanalata dalla profond<strong>it</strong>à delle aperture, e l’altro di<br />
un’inquadratura parziale e spostata rispetto al centro<br />
<strong>della</strong> struttura arch<strong>it</strong>ettonica rappresentata. Si ripropongono<br />
quindi i valori <strong>della</strong> temporal<strong>it</strong>à e <strong>della</strong> consapevolezza<br />
percettiva.<br />
Diversa fu la reazione alla nuova tarsia prospettica<br />
a Venezia. Quando Marco Cozzi da Vicenza, ossia il<br />
maestro che domina la s<strong>it</strong>uazione lagunare fin verso la<br />
fine del secolo, inserisce una serie di prospettive nel coro<br />
dei Frari, lo fa combinandole ad incorniciature, aggetti,<br />
riquadri: in maniera da scoraggiare ogni attesa illusiva<br />
e da accrescere, invece, l’inesauribile varietà <strong>della</strong><br />
decorazione 146 . Di conseguenza l’incrocio, abnorme ed<br />
esib<strong>it</strong>o delle ortogonali serve a decorare le superfici<br />
messe a tarsia con una mobilissima trama geometrica.<br />
Viene da pensare a quell’accezione favolosamente narrativa<br />
che dello spazio geometrico aveva portato a Venezia<br />
Jacopo Bellini. O, in modo piú diretto, a quel San<br />
Gerolamo <strong>della</strong> Galleria dell’Accademia di Ravenna, che<br />
fu corrivamente rifer<strong>it</strong>o a Cristoforo da Lendinara: un<br />
dipinto in cui la minuzia degli sportelli aperti nello studiolo,<br />
dando quasi la sensazione di assistere allo scatto<br />
combinato di una serie di trappole o congegni ottici,<br />
richiama una costruzione prospettica paradossale; ma<br />
liberamente desunta e stravolta, piú che acerbamente<br />
tentata 147 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 56
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Nelle c<strong>it</strong>tà dell’entroterra veneto la cultura lendinaresca<br />
trovò diffusione piú stabile ad opera di Pier Antonio<br />
degli Abati. Nella prima metà del Cinquecento, il<br />
Michiel ricorda il coro del Santo sotto il nome dei Canozi,<br />
ma aggiunge: «parte, zoè le spalliere, de mano de<br />
Piero Antonio dell’Abà da Modena» 148 . È certo comunque<br />
che l’Abati sviluppa le premesse indicate da Lorenzo<br />
in quelle due uniche tarsie superst<strong>it</strong>i. La sua attiv<strong>it</strong>à<br />
pare concentrarsi nel penultimo decennio del secolo,<br />
quando lavora contemporaneamente al perduto coro di<br />
San Francesco a Treviso (1483-86) e a quello del Santuario<br />
del Monte Berico, a Vicenza (1484-87).<br />
Del secondo rimangono alcuni pannelli riadattati nei<br />
mobili <strong>della</strong> sacrestia 149 . È quanto basta a riconoscere<br />
presumibilmente a questo stesso complesso uno sparso<br />
pannello del Museo Horne 150 . Ma soprattutto a riferire<br />
all’Abati, o al suo raggio immediato, un altro coro vicentino,<br />
che questa volta è integro, quello di Santa Corona<br />
151 . Il campo stretto e verticale degli specchi fa dell’inquadratura<br />
un elemento di scatto ottico, l’orlo dinamico<br />
di un cannocchiale che si dirige su strutture disposte<br />
ad inciampo e a rapida quinta. Pier Antonio degli<br />
Abati ha un’estrema, semplicissima attenzione per i<br />
valori di texture delle diverse essenze; e impiega ombre<br />
artificiali, integrando con dosature di tono le successioni<br />
di spazio. In questo senso, l’intarsiatore (che nel 1473<br />
si trovava a Parma) dimostra di non avere perso contatto<br />
con il cognato Cristoforo da Lendinara.<br />
Un altro coro vicentino, quello che da San Bartolomeo<br />
venne trasportato al Monte Berico, cost<strong>it</strong>uisce una<br />
tappa ulteriore del medesimo Pier Antonio o una derivazione<br />
diretta (la sua bottega doveva essere sufficientemente<br />
larga da reggere il carico <strong>della</strong> comm<strong>it</strong>tenza<br />
affollata in quegli anni) 152 . Dichiara comunque un radicamento<br />
ancora piú esplic<strong>it</strong>o nell’ambiente figurativo<br />
Storia dell’arte Einaudi 57
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
vicentino, in un momento di notevole apertura. Qui la<br />
moltiplicazione degli effetti di «sabbiatura» non esclude<br />
l’innesto di rovere affogato in corrispondenza delle<br />
ombre; e certe costruzioni a scacchiera richiamano quella<br />
snodata modulazione di strutture geometriche, sfondamento<br />
ottico e mossa cromatica che Bartolomeo Montagna<br />
propone nella pre<strong>della</strong> <strong>della</strong> pala di San Bartolomeo<br />
(l’esempio non è dunque casuale). Non sembra neppure<br />
lontano quel modo di tener sulla corda la combinazione<br />
di profond<strong>it</strong>à geometrica e svariatezza cromatica<br />
che dovette essere dell’oggi larvale Decollazione di<br />
san Paolo, in San Lorenzo, opera presumibile del Buonconsiglio.<br />
Si sta sostenendo, insomma, che la linea veneta dei<br />
Lendinara, nel senso per cui anche l’Abati venne indicato<br />
con tale appellativo, non rimase in quest’area geografica<br />
come una presenza estranea o inerte. Tale integrazione<br />
è confermata dalle quattro grandi prospettive,<br />
oggi al Museo Antoniano, che Pier Antonio degli Abati<br />
eseguí attorno al 1490 153 . In maniera spaziosamente piú<br />
docile sono riprese le intavolature prospettiche dell’ultimo<br />
Lorenzo: non a caso, dunque, il contratto faceva<br />
riferimento agli armadi <strong>della</strong> sacrestia dei Frari, a Venezia,<br />
che Pacioli ricordò col nome del Canozi. L’arcone<br />
arch<strong>it</strong>ettonicamente descr<strong>it</strong>to e prospetticamente connesso<br />
alla scena non è piú il trampolino di un’accelerazione<br />
visiva; ma apre una pagina prospettica quietamente<br />
distesa. Il confronto con la piú radicale fedeltà<br />
pierfrancescana delle tarsie lucchesi di Cristoforo, àncora<br />
l’Abati alla sponda veneta del bacino prospettico<br />
padano.<br />
Questa linea discende anche verso Sud, nella fascia<br />
di costa. Si è già detto che l’Abati lavorò a Ferrara. Fra<br />
l’88 e il ’93 Giovanmarco da Lendinara, il figlio di<br />
Lorenzo, lavorava al perduto coro di Rovigo: «el degno<br />
Storia dell’arte Einaudi 58
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
coro in nostro convento», come ricorda il francescano<br />
fra Luca Pacioli. Questa diffusione lendinaresca e veneta<br />
credo che possa spiegare un caso problematico ed<br />
ancora poco noto come quello del coro riminese di San<br />
Marino, esegu<strong>it</strong>o a metà degli anni ’90 154 . Le inquadrature<br />
strettissime e profonde selezionano piú di un tema<br />
volumetrico abatiano, ma eliminandone le spezzature di<br />
colore. Un’edilizia conosciuta solo per spigoli e frammenti<br />
si posa nella fredda purezza <strong>della</strong> luce. Lo stesso<br />
taglio dei legni, largo ed elementare, apre facce prospettiche<br />
dense e lisce di colore che, fra i p<strong>it</strong>tori, possono<br />
richiamare soltanto certi veneti contemporanei,<br />
come Alvise Vivarini, il Bastiani o il Diana. Lo stile<br />
lignario, che deriva dunque dall’esperienza lendinaresca<br />
del Veneto, raggiunge momenti di solenne corsiv<strong>it</strong>à nelle<br />
tarsie del registro inferiore. Le profilature divaganti e la<br />
scelta luminosa delle essenze sciolgono le strutture geometriche<br />
di una spazial<strong>it</strong>à che affida ai piani di luce e ai<br />
lenti scambi di colore la propria trasparenza intellettuale.<br />
Si direbbe quasi che la linea veneta <strong>della</strong> tradizione<br />
lendinaresca trovi qui il corrispettivo di quell’«epica<br />
artigiana» riconosciuta da Arcangeli nelle «ruote» di<br />
Cristoforo a Pisa: ma centrata sul taglio luminoso e liberamente<br />
semplice del legno, piú che sulla potenza dell’immaginazione<br />
meccanica.<br />
4. La zona lombarda.<br />
Le piú rilevanti eccezioni al prevalente assetto lendinaresco<br />
<strong>della</strong> tarsia padana tardo-quattrocentesca<br />
ebbero luogo in Lombardia, a Cremona e a Pavia.<br />
Entrambe trovarono importanti sviluppi extraregionali:<br />
verso il Piemonte la prima, sulla costa ligure l’altra. Ma<br />
non furono tra loro omogenee. Mentre il caso pavese<br />
Storia dell’arte Einaudi 59
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
presupponeva intenti alternativi e indipendenti rispetto<br />
all’esperienza lendinaresca, quello cremonese ne cost<strong>it</strong>uí<br />
la piú profonda, per quanto diretta, trasformazione.<br />
Fu appunto alla piú famosa opera padovana dei Lendinara<br />
che si fece riferimento stipulando il contratto per<br />
il coro del Duomo di Cremona, nel 1483: «modo et<br />
forma» avrebbe dovuto tenerne conto Giovanni Maria<br />
Platina, intarsiatore mantovano 155 . Era un termine di<br />
confronto materiale molto impegnativo; e difficilmente<br />
ci si sarà voluti vincolare ad una tipologia arch<strong>it</strong>ettonica<br />
e decorativa già superata. Che ci si volesse invece riferire<br />
anche ad una particolare e moderna qual<strong>it</strong>à espressiva<br />
del commesso ligneo, pare confermato dalla resistenza<br />
che il cap<strong>it</strong>olo cremonese oppose al tentativo di<br />
far subentrare in quel lavoro operatori locali (Tomaso<br />
Sacca e Pantaleone de’ Marchi): e l’argomento fu che<br />
«opera dicti Magistri Johanis Marie valde ipsis dominis<br />
canonicis placebant» o che «excedunt in decoro opera<br />
dictorum magistrorum». L’intarsiatore mantovano era<br />
tutt’altro che sconosciuto al cap<strong>it</strong>olo cremonese: fra il<br />
1477 e l’80 aveva realizzato il grande armadio <strong>della</strong><br />
sacrestia del Duomo. Mentre la sua diretta discendenza<br />
lendinaresca fu attestata fin dal 1489 dal vicario del<br />
Duomo di Cremona 156 .<br />
Il sant’Imerio del coro, ad esempio, richiama tale origine<br />
nel modo in cui viene sfasata la combinazione di<br />
figura ed arco prospettico, come nei profili dell’incastro<br />
che scandiscono luce ed ombra con vigore articolatissimo.<br />
Sulla base di questa ident<strong>it</strong>à fra figurazione e meccanica<br />
credo che convenga, anche per il Platina, accantonare<br />
ogni tentativo di rinvenire il responsabile dei<br />
cartoni in persona diversa dall’intarsiatore 157 . Nelle scene<br />
di c<strong>it</strong>tà e di paesaggio il Platina alleggerisce l’accordo fra<br />
intavolatura lignea e serratezza spaziale che era propria<br />
dei Lendinara. Piú che alla struttura grafica del legno e<br />
Storia dell’arte Einaudi 60
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
alle sue valenze prospettiche, l’intarsiatore mantovano<br />
è attentissimo alle possibil<strong>it</strong>à cromatiche <strong>della</strong> materia.<br />
Usa legni boll<strong>it</strong>i nelle erbe o sbiancati con la cerussa, ma<br />
la straordinaria qual<strong>it</strong>à cromatica delle sue tarsie è legata<br />
ad un’intelligenza strep<strong>it</strong>osa delle diverse qual<strong>it</strong>à<br />
luminose dei legni, degli effetti di cangianza e di posizione.<br />
Di conseguenza il campo visivo si slontana, si<br />
allarga, favorisce strutture oblique e distanti, accogliendo<br />
una combinazione varia e sminuzzata delle<br />
essenze. Il telaio visivo dell’arcone acquista una leggibil<strong>it</strong>à<br />
lieve, fino a combinare e spartire paesaggi e nature<br />
morte; oppure l’inquadratura assume il senso descr<strong>it</strong>tivo<br />
di un parato murario. Comunque l’impennata prospettica<br />
dei Lendinara si allenta 158 .<br />
Il coro <strong>della</strong> Certosa di Pavia va considerato nel<br />
quadro di esperienze <strong>della</strong> corte milanese al tempo di<br />
Ludovico il Moro. Se ne potrà misurare l’eccezional<strong>it</strong>à<br />
rispetto a Pavia e ad una circolazione di cultura non cortigiana<br />
pensando che fu avviato non molto tempo dopo<br />
che i fratelli Donati avevano cominciato ad intagliare il<br />
coro di San Francesco: che è lontanissimo non solo per<br />
scelta tecnica e figurativa, quanto per l’iconografia correlata,<br />
che potrebbe sembrare quasi neo-medievale 159 .<br />
A Pantaleone de’ Marchi, «magister tarsiarum et<br />
perspective», si chiese di lavorare secondo i disegni che<br />
gli agenti ducali gli avrebbero procurato a nome <strong>della</strong><br />
Certosa. Figurazione e tecnica delle tarsie pavesi propongono<br />
infatti un riferimento privilegiato alla p<strong>it</strong>tura<br />
e, in maniera piú o meno diretta, al piú illustre p<strong>it</strong>tore<br />
<strong>della</strong> corte, Bernardo Zenale 160 .<br />
Questo strettissimo rapporto d’intese formali non<br />
significò subalternanza <strong>della</strong> tarsia, riduzione ai canoni<br />
percettivi <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura, nel senso che sarà proprio dell’età<br />
cinquecentesca di fra Damiano e di Vasari. La tarsia,<br />
come le vetrate, è parte coerente del complesso oriz-<br />
Storia dell’arte Einaudi 61
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
zonte materiale <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura lombarda; dove «l’estetica<br />
“de quinque corporibus regularibus” diventò, nelle mani<br />
dei lombardi, un’altra favola da narrare e adornare» 161 .<br />
Nel pol<strong>it</strong>tico di Treviglio, in cui Zenale lavorò con Butinone,<br />
i piani si succedono nell’intervallo lucidissimo<br />
degli spazi schiacciati, fra spioventi prospettici; ma il<br />
congegno visivo non può essere separato dallo stupore<br />
per le materie preziosissime, con la quant<strong>it</strong>à di ori che<br />
rarefanno il valore illusivo delle superfici pigmentate e,<br />
reciprocamente, con la presenza suntuaria del colore in<br />
mezzo all’oro. Questo stesso cr<strong>it</strong>erio polimaterico portò<br />
ad inserire nelle tarsie pavesi tavolette dipinte di oro; a<br />
fingere, con la p<strong>it</strong>tura invece che con il legno, metalli o<br />
sfere cristalline; a legare le essenze vegetali con stucchi<br />
colorati o dorati. Perfino quella perspicu<strong>it</strong>à d’occhio<br />
accordata ad un fasto impossibile che portò Zenale a<br />
distinguere nei capelli i filamenti serpentinati e battuti<br />
dal riflesso dell’oro trova qualche rispondenza nel commesso<br />
ligneo dei dossali pavesi. Il taglio e la profilatura<br />
dei legni non comportano invece valori di struttura prospettica.<br />
Si costruiscono interi campi di colore con legni<br />
boll<strong>it</strong>i nelle erbe o essenze tendenti al rosso e al bruno,<br />
commettendo forme irregolari e senza ragione strutturale.<br />
È l’effetto cromatico dell’intarsio che interessa.<br />
Questa tecnica potrebbe essere paragonata piú facilmente<br />
all’opera dei <strong>maestri</strong> vetrari del tempo che non<br />
alla tarsia praticata nelle botteghe dei Lendinara o di<br />
Giuliano da Maiano.<br />
È quindi naturale che la tarsia lombarda si offra<br />
facilmente alle aperture paesaggistiche, accantonando<br />
le ord<strong>it</strong>ure regolari <strong>della</strong> trama prospettica e mantenendo<br />
legami diretti con il linguaggio dei p<strong>it</strong>tori. I pannelli<br />
dipinti negli armadi <strong>della</strong> sacrestia di Santa Maria<br />
delle Grazie a Milano (dal 1498 si lavorò al lato di sinistra,<br />
nel 1503 fu avviato quello a destra) si sost<strong>it</strong>uisco-<br />
Storia dell’arte Einaudi 62
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
no di fatto a possibili lavori di commesso, ma con sufficiente<br />
libertà tematica 162 . Paesaggi che sarebbe impossibile<br />
immaginare in una regione diversa da quella di<br />
Foppa e Bergognone corrispondono ai pannelli píú sorprendenti<br />
del Coro dei Conversi di Pavia (oggi frammentario,<br />
alterato e disperso fra il Bode Museum e il Jacquemart-André)<br />
che Pantaleone de’ Marchi eseguí in<br />
apertura di secolo 163 ; o in uno splendido cassone nuziale<br />
che andrà rifer<strong>it</strong>o, quanto meno, alla sua bottega 164 .<br />
Questa bottega si ramificò. Nel coro <strong>della</strong> Cattedrale<br />
di Savona, commissionato nel 1500 ad Anselmo Fornari<br />
da Castelnuovo di Tortona e ad Elia Rocchi, concluso<br />
una quindicina di anni dopo, furono riadattati due<br />
cartoni che Pantaleone de’ Marchi aveva impiegato nel<br />
Coro dei Conversi 165 . È il segno di un preciso collegamento<br />
operativo. Ma agli esempi di tarsia lombarda<br />
dovevano guardare anche i fabbriceri <strong>della</strong> Cattedrale<br />
ligure. All’organizzazione figurativa del maggior coro<br />
pavese rimanda la scelta di occupare tutti quanti i dossali<br />
maggiori con figure di santi (e, ovviamente, il cardinale<br />
Giuliano Della Rovere, che poi venne rappresentato<br />
come papa Giulio), mentre ai temi prospettici<br />
delle nature morte sono destinati gli stalli del giro inferiore.<br />
Anche la tecnica, piú compattamente lignaria che<br />
a Pavia ed affidata maggiormente alle ombre ottenute<br />
con sabbia rovente, risale ai cr<strong>it</strong>eri del cantiere lombardo.<br />
Pertanto, prima di stare a distinguere le «mani»<br />
degli intarsiatori, in casi come questo, occorrerebbe<br />
cercar d’individuare i diversi p<strong>it</strong>tori che fornirono i<br />
cartoni: perché appunto ancora di una tarsia intesa come<br />
estensione <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura si tratta. È utile suggerire che il<br />
modello p<strong>it</strong>torico di diverse figure del coro savonese può<br />
risalire a Marco d’Oggiono, che nel 1501-1502 stava<br />
lavorando agli affreschi <strong>della</strong> distrutta Cattedrale del<br />
Priamar, da cui proviene il coro 166 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 63
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
5. Espansione fiorentina.<br />
Seguendo gli sviluppi <strong>della</strong> tarsia padana, ci siamo<br />
allontanati dai tempi in cui a Firenze Giuliano da Maiano<br />
portava a termine la sacrestia del Duomo. Nel 1468,<br />
al momento di liquidare gli ultimi lavori (ossia la ghirlanda<br />
sorretta dai putti), ci si consultò «cum pluribus<br />
magistris erud<strong>it</strong>is in dicta arte lignaminis et perspective»<br />
167 . Il numero e la capac<strong>it</strong>à dei legnaioli fiorentini colpirono<br />
altri testimoni, come Giovanni Rucellai o Benedetto<br />
Dei, per il quale «Florentie bella» nel 1472 contava<br />
«84 botteghe di lignainolo di tarsia» 168 .<br />
Ovviamente non tutte erano all’altezza di quella dei<br />
da Maiano. Né ad essa cap<strong>it</strong>avano soltanto occasioni del<br />
tipo <strong>della</strong> sacrestia. Il ventaglio <strong>della</strong> produzione era<br />
larghissimo. Si era formata una specializzazione fiorentina<br />
in grado di rispondere ad una richiesta assai varia<br />
e di diffondersi su di un’area geografica molto ampia.<br />
Diversi oggetti comportavano decorazioni prospettiche:<br />
dai lettucci e i cassoni (dove potevano essere inquadrate<br />
immagini del tipo <strong>della</strong> cosiddetta c<strong>it</strong>tà ideale di Urbino)<br />
ai mobili dove l’opera di tarsia era lim<strong>it</strong>ata alla decorazione<br />
a «toppo» 169 .<br />
Una produzione cosí larga apre la possibil<strong>it</strong>à di competenze<br />
operative differenziate, ma anche suscettibili<br />
d’integrazione. I «toppi», ad esempio, potevano essere<br />
prodotti in una bottega diversa da quella che li avrebbe<br />
poi messi in opera; e pertanto diventare merce di esportazione.<br />
Basterà ricordare «i dodici calzuoli di tarsia»<br />
che Giuliano da Maiano spedí bell’e pronti a Pisa<br />
per il Pontelli 170 ; o ai «3 ducati di tarsia di quella stretta,<br />
cioè bruciolo, vento, larnoctolo» che maestro Berto<br />
fiorentino mandava a chiedere in patria, addir<strong>it</strong>tura da<br />
Zagabria 171 .<br />
Insieme alle competenze, si scandisce una gerarchia<br />
Storia dell’arte Einaudi 64
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
dei prodotti. Le grandi occasioni <strong>della</strong> tarsia prospettica<br />
fiorentina, già nelle scelte figurative, mostrano una<br />
piú esplic<strong>it</strong>a connessione fra il mestiere del legnaiolo e<br />
quello di chi era in grado di organizzare maggiori problemi<br />
di costruzione, l’arch<strong>it</strong>etto appunto. «E in Toscana,<br />
massime», Federico da Montefeltro cercò chi potesse<br />
presiedere alla costruzione del palazzo di Urbino; in<br />
Toscana «dove è la fontana degli arch<strong>it</strong>ettori» 172 .<br />
Non sorprende che tali grosse occasioni venissero<br />
spesso sollec<strong>it</strong>ate da fuori Firenze. Nelle Marche incontriamo<br />
tarsie fiorentine a Loreto, a Montefiorentino, a<br />
Camerino 173 . Ma è ad Urbino che si trova l’esempio piú<br />
famoso <strong>della</strong> tarsia prospettica fiorentina: lo Studiolo di<br />
Federico da Montefeltro, esegu<strong>it</strong>o in una fascia di tempo<br />
che solo di poco potrà uscire dai lim<strong>it</strong>i del 1474 e del<br />
1476 174 .<br />
Una bibliografia ragionata sullo studiolo, percorsa da<br />
impacci e contraddizioni di giudizio, finirebbe per riproporre<br />
gran parte delle avvertenze che hanno cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o<br />
la prima parte di questo saggio. Se ora si preferisce insistere<br />
sul doppio problema attributivo del maestro di<br />
<strong>prospettiva</strong> e del p<strong>it</strong>tore che collaborò con lui, è perché<br />
lungo queste due traiettorie sarà possibile incontrare<br />
diversi episodi e problemi che caratterizzano la tarsia<br />
fiorentina nell’ultimo trentennio del Quattrocento.<br />
La questione <strong>della</strong> patern<strong>it</strong>à lignaria si è pigramente<br />
assestata sul nome presunto del fiorentino Baccio<br />
Pontelli (tanto che in un’indagine recente, che sembrerebbe<br />
un modello di scrupolosissima oggettiv<strong>it</strong>à<br />
documentaria, si riferisce il nome del Pontelli scivolando<br />
via con un immotivabile «senza dubbio») 175 .<br />
All’opposto, anche dopo che si è riconosciuto in Botticelli<br />
l’ideatore delle parti di figura 176 , davanti al problema<br />
dell’organizzazione complessiva dello studiolo, si<br />
tende talvolta a mettere quasi fra parentesi proprio<br />
Storia dell’arte Einaudi 65
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
l’ambiente figurativo di Firenze. L’organica integrazione<br />
di progetti avvenuta nelle due botteghe fiorentine,<br />
con l’ovvia grav<strong>it</strong>azione di responsabil<strong>it</strong>à sul maestro<br />
di legname, imporrebbe già di rinunciare a spiegazioni<br />
troppo complesse e contradd<strong>it</strong>torie. Come quando<br />
si cerca di dare un supremo ruolo progettuale al giovane<br />
Bramante (delle cui radici prospettiche questa è<br />
solo una componente, e neppure la piú diretta) 177 ; o a<br />
Francesco di Giorgio (che è cosa improbabile per registro<br />
cronologico come per ident<strong>it</strong>à figurativa, non<br />
potendo consentire il suo sperimentalismo una cosí edonizzante<br />
calibratura percettiva) 178 .<br />
In effetti quasi tutti i lavori di tarsia del palazzo di<br />
Urbino sono fiorentini 179 . Fanno eccezione alcune cose<br />
dove si potrà riconoscere le premesse di intarsiatori<br />
come l’Indivini o Antonio da Mercatello. La consistenza<br />
di queste imprese e il loro addensarsi intorno a quell’anno<br />
1474 che fu cap<strong>it</strong>ale nella fortuna di Federico da<br />
Montefeltro fanno immaginare facilmente una s<strong>it</strong>uazione<br />
che vide all’opera, ai livelli piú impegnativi, diversi<br />
fra i migliori intarsiatori di Firenze. Vale allora la pena<br />
di domandarsi se fu veramente il Pontelli l’autore dello<br />
studiolo.<br />
Nato nel 1450, il Pontelli percorse quella stessa carriera<br />
di legnaiolo-arch<strong>it</strong>etto che fu comune ad altri allievi<br />
del Francione, il piú anziano dei <strong>maestri</strong> di tarsia<br />
ricordati da Vasari 180 . L’immagine vasariana del Pontelli<br />
principale costruttore nella Roma di Sisto IV è svan<strong>it</strong>a<br />
in un alone d’incertezze. Può essere invece rintracciata<br />
la sua prima attiv<strong>it</strong>à di maestro di legname in una<br />
serie di documenti pisani degli anni ’70. Dopo una prima<br />
segnalazione che lo vede impegnato, giovanissimo ed in<br />
compagnia di un certo Pratese, a lavorare la sedia dove<br />
vennero inser<strong>it</strong>e le decorazioni inviate da Firenze da<br />
Giuliano da Maiano, il suo nome compare fra il ’75 e il<br />
Storia dell’arte Einaudi 66
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
’78 in relazione a consistenti lavori per la Cattedrale;<br />
tanto che nel ’75 a Pisa aff<strong>it</strong>tò una casa 181 . È lo stesso<br />
momento in cui a Firenze si stava lavorando lo Studiolo<br />
di Federico da Montefeltro.<br />
Considerazioni di stile (peraltro quasi dimenticate)<br />
hanno già connesso lo studiolo alla bottega dei da Maiano<br />
182 . La coincidenza cronologica con i lavori di Pisa<br />
esclude che vi potesse lavorare in maniera piú che occasionale<br />
il Pontelli. Un’ulteriore verifica stilistica ne dà<br />
conferma. Di Baccio Pontelli rimangono infatti nei<br />
magazzini dell’Opera del Duomo di Pisa tre pannelli di<br />
tarsia: consunti, frammentari e riadattati, provengono<br />
con certezza dalla sedia che nel 1475 il Pontelli presentò<br />
«per mostra» all’opera <strong>della</strong> Primaziale. Vi aveva lavorato<br />
assieme al fratello Piero 183 . Per la Car<strong>it</strong>à e la Fede<br />
potrebbe aver avuto a disposizione dei cartoni del Botticelli;<br />
il verrocchismo piú largo e abbreviato <strong>della</strong> Speranza<br />
fa invece pensare ad un Biagio di Antonio, o qualcosa<br />
di simile. Le tre tarsie pisane mostrano con chiarezza<br />
che il Pontelli fu intarsiatore diverso, e di rango<br />
certamente inferiore, rispetto a quello dello studiolo di<br />
Urbino. Ne condivideva però, sia pure in una forma piú<br />
asciutta <strong>della</strong> costruzione lignea, tecnica ed orientamenti<br />
figurativi. La distinzione è insomma di magistero tecnico,<br />
non di estrazione.<br />
Tutto questo non è un puntiglio attributivo. Né può<br />
essere trascurato che negli stessi anni, nella bottega dei<br />
da Maiano come in quella dei Pontelli, ci si rivolgesse<br />
verso una medesima linea p<strong>it</strong>torica, verso Sandro Botticelli.<br />
La compattezza sostanziale fra gli intarsiatori<br />
usc<strong>it</strong>i dalla bottega del Francione è un fatto su cui occorrerebbe<br />
essere informati meglio.<br />
Le tarsie di Pisa, se ci fossero giunte nelle originarie<br />
condizioni di estensione ed integr<strong>it</strong>à: in modo da<br />
associarsi con sicurezza ai dati di archivio, avrebbero<br />
Storia dell’arte Einaudi 67
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
certamente aiutato a distinguere quella compatta s<strong>it</strong>uazione<br />
di stili lignari. Ma riescono ancora utili per valutarne<br />
le comuni connessioni con la bottega del Botticelli.<br />
Spero che non riesca troppo azzardato riconoscere i preliminari<br />
grafici e luminosi del p<strong>it</strong>tore nei tre profeti provenienti<br />
dalla sedia dei celebranti, esegu<strong>it</strong>a da Giuliano<br />
da Maiano nel 1470 184 . Le nicchie scanalate sono le<br />
medesime che accolgono, nella sacrestia di Santa Maria<br />
del Fiore, san Zanobi e i due diaconi; ma è cambiato<br />
l’autore delle figure. A Pisa, le profilature sottilmente<br />
lucenti (di origine baldovinettiana) si combinano ai solchi<br />
grafici, profondi ed irregolari, di matrice verrocchiesca.<br />
La stessa risoluzione lignaria di ombre e tracciati<br />
corrisponde alla Fortezza botticelliana degli Uffizi.<br />
Ma consentiamo un po’ di cautela.<br />
Dove invece essa non sembra aver senso è per il diacono<br />
(san Lorenzo?) che ha gli stessi caratteri lignari<br />
dello studiolo di Urbino. In maniera ormai del tutto inequivocabile,<br />
vi compare una sagoma chiusa e centrata<br />
in quella frontal<strong>it</strong>à intensissima, r<strong>it</strong>micamente sbilanciata<br />
che Botticelli precisa verso la metà dell’ottavo<br />
decennio 185 .<br />
Una sedia del Duomo di Pisa fu commissionata a<br />
Francesco di Giovanni, detto il Francione. Non è sicura<br />
l’identificazione di quest’opera con la serie residua<br />
delle arti liberali 186 . Ad esse non corrisponde l’unica<br />
opera documentata che di lui ci rimane. Si tratta <strong>della</strong><br />
Porta dei Gigli che realizzò sul 1480 assieme a Giuliano<br />
da Maiano. Su una delle facce sono posti a fronte<br />
Dante e Petrarca. Distinzioni radicali di tecnica non<br />
sono consent<strong>it</strong>e. Ma se dall’immagine stilistica di Giuliano<br />
da Maiano, che in qualche modo conosciamo e che<br />
si r<strong>it</strong>rova particolarmente nella figura di Petrarca, è<br />
leg<strong>it</strong>timo «sottrarre» i dati esecutivi che caratterizzano<br />
il viso di Dante, potremmo orientarci nell’individua-<br />
Storia dell’arte Einaudi 68
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
zione del Francione. Quel modo scand<strong>it</strong>o e piú semplificativo<br />
degli innesti lo r<strong>it</strong>roveremo presto in un altro<br />
allievo del Francione, Baccio d’Agnolo. Il cartone dei<br />
due poeti uscí, ancora una volta, dalla bottega di Botticelli,<br />
o dalle mani del suo giovanissimo allievo Filippino<br />
Lippi, cui mi sembrerebbe corrispondere meglio la<br />
cadenza neobrancacciana del panneggio 187 .<br />
A Filippino Lippi Baccio d’Agnolo ricorse certamente<br />
per il San Giovanni Battista e il San Lorenzo del<br />
coro di Santa Maria Novella (1491-96) 188 . La trasposizione<br />
plastica e luminosa dei cartoni è segnata da fasce<br />
ondeggianti o ad anello, dove s’inf<strong>it</strong>tisce un tratteggio<br />
d’innesti minuti e ben scand<strong>it</strong>i. È una tecnica tipicamente<br />
fiorentina. Il Dante <strong>della</strong> porta di Palazzo Vecchio<br />
dava già un esempio di questo modo di addensare<br />
i tratti lignari con un effetto grafico, piuttosto che di<br />
regolato trapasso cromatico. Ma Baccio d’Agnolo sembra<br />
insistere, con un propos<strong>it</strong>o di piú marcata autonomia<br />
espressiva, verso la messa a punto di una tipic<strong>it</strong>à<br />
affidata all’identificazione percettiva di uno specifico<br />
medium figurativo. Non potevano sfuggire i paralleli<br />
sviluppi <strong>della</strong> xilografia.<br />
L’insistenza con cui nel corso di questo paragrafo si<br />
è cercato di evidenziare gli autori dei modelli p<strong>it</strong>torici<br />
(nel senso, ormai chiaro, che le parti di figura furono<br />
subordinate all’impaginazione stabil<strong>it</strong>a dal maestro di<br />
<strong>prospettiva</strong>) non contraddice la necess<strong>it</strong>à di considerare<br />
le tarsie in ordine all’autonomia del manufatto e dell’espressione<br />
figurativa. Ma tale espressione a Firenze<br />
non può essere scissa del tutto dal modo in cui interagirono<br />
cartone e figura lignaria. Di qui il senso di questi<br />
tentativi attributivi. Si può anzi cercare di ricavare<br />
qualche indicazione dai prevalenti riferimenti botticelliani<br />
<strong>della</strong> tarsia fiorentina negli anni dello studiolo di<br />
Urbino.<br />
Storia dell’arte Einaudi 69
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Studiando Botticelli, mer<strong>it</strong>erebbe di riflettere di piú<br />
su questa disponibil<strong>it</strong>à del p<strong>it</strong>tore a fornire progetti che<br />
avrebbero trovato concretezza materiale diversa dalla<br />
p<strong>it</strong>tura, e per mano di altri operatori. Ciò avviene non<br />
sulla base di un distinto statuto delle arti, come poi nel<br />
Cinquecento, ma secondo quella compless<strong>it</strong>à ed integrazione<br />
di esperienze tecniche che è tipica delle botteghe<br />
fiorentine del secondo Quattrocento. Questo modello<br />
di articolazione operativa dà un riferimento alla stessa<br />
produzione p<strong>it</strong>torica. Si possono cosí spiegare quelle<br />
opere botticelliane, fedelmente gelide, che si è spesso<br />
tentati di privare anche delle degradanti nomenclature<br />
di bottega, ecc., chiamandole piuttosto im<strong>it</strong>azioni quattrocentesche.<br />
Ma la nozione d’im<strong>it</strong>azione implic<strong>it</strong>a troppo<br />
le nostalgie storiche dell’Ottocento. Si tratterà invece<br />
di non andare in cerca, nell’atelier di Botticelli, di<br />
quel grado di concatenazione produttiva e di controllata<br />
oscillazione di manifattura che fu canonicamente fissato<br />
nella bottega di Giotto.<br />
La bottega di Botticelli divenne la forn<strong>it</strong>rice quasi<br />
esclusiva delle figure intarsiate da Giuliano da Maiano.<br />
Nello studiolo di Urbino non vengono piú aggregati cartoni<br />
di provenienza diversa, come al tempo <strong>della</strong> sacrestia<br />
del Duomo. Nello stabilirsi di questa continu<strong>it</strong>à di<br />
rapporti va probabilmente riconosciuto anche uno svolgimento<br />
<strong>della</strong> poetica lignaria dell’intarsiatore. La tecnica<br />
con cui venne esegu<strong>it</strong>o lo studiolo è la stessa <strong>della</strong><br />
sacrestia (lasciamo perdere le articolazioni di qual<strong>it</strong>à, in<br />
base alle quali si potrebbero riconoscere «mani» diverse:<br />
che è un passo praticabile, ma ancora azzardato).<br />
Nella sacrestia, il sistema degli innesti corrisponde ad<br />
una struttura f<strong>it</strong>ta di dettagli luminosi, sfaccettati con<br />
un cr<strong>it</strong>erio perspicuo e sostanzialmente regolare. Nella<br />
Car<strong>it</strong>à di Urbino o nel diacono di Pisa, invece, la costruzione<br />
cromatico-luminosa del commesso aderisce libe-<br />
Storia dell’arte Einaudi 70
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
ramente ad ogni piú riposta fibra del modello p<strong>it</strong>torico:<br />
non per un obbligo di traduzione, ma identificando i<br />
propri mezzi materiali con la sublime, astratta continu<strong>it</strong>à<br />
di movimento, con la dosatura lineare e le moltiplicazioni<br />
grafiche del cartone botticelliano.<br />
Le scene prospettiche dello studiolo allentano quella<br />
misura proporzionale stretta che è abbastanza consueta<br />
nelle tarsie; c’è una geometria piú lentamente<br />
squadernata in quei vani di larga vibrazione luminosa.<br />
Senza particolari imposizioni di metrica, una serie di<br />
armature scherma la profond<strong>it</strong>à di uno di questi vani. È<br />
un caso stupefacente di creativ<strong>it</strong>à lignaria: per rest<strong>it</strong>uire<br />
il lustro dei metalli, sono impiegati numerosi tagli e<br />
specie diverse di una medesima essenza, il noce. La luce<br />
avvolgente può ancora richiamare le fredde cubature di<br />
spazio del Botticelli, senza che se ne debba intravedere,<br />
anche per queste parti, una responsabil<strong>it</strong>à progettuale.<br />
Torniamo dunque al punto centrale dell’illusione<br />
ottica. Si è detto già che, ponendone il progetto nei termini<br />
di una regia necessariamente superiore a quella del<br />
maestro di legname, si continua talvolta a collocare lo<br />
studiolo fuori dall’ambiente fiorentino, o comunque ai<br />
suoi margini. Indirizzando la questione verso una cultura<br />
bramantesca ancora in fieri, o credendo di darne<br />
ragione con il comodo passe-partout melozzesco o «padovano»,<br />
si finisce ancora una volta per subordinare la tarsia<br />
ad una privilegiata idea di p<strong>it</strong>tura: lo studiolo viene<br />
infatti associato d’istinto ai dipinti di piú esib<strong>it</strong>a costruzione<br />
arch<strong>it</strong>ettonica; come tali, almeno alle apparenze,<br />
meno frequenti a Firenze che altrove. Pur sempre a<br />
date che precedono il fenomeno storico <strong>della</strong> quadratura,<br />
si tratta invece di tener presente la distinzione fondamentale<br />
fra p<strong>it</strong>tura intesa come rappresentazione prospettica<br />
di storia, che è codificata dall’Alberti, e figu-<br />
Storia dell’arte Einaudi 71
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
razione piana di puri luoghi arch<strong>it</strong>ettonici, esemplificata<br />
da Masaccio (e Brunelleschi) con la Trin<strong>it</strong>à di Santa<br />
Maria Novella.<br />
Di qui allo studiolo il passaggio è piú diretto che non<br />
partendo dall’immediato precedente cronologico <strong>della</strong><br />
Camera degli Sposi. A Mantova come ad Urbino si entra<br />
in spazi di continua figurazione illusiva. Nella Camera<br />
degli Sposi si svolge l’illusione di una fastosa memoria<br />
cerimoniale, piena di persone e quasi sospesa nel tempo,<br />
ma legata alle sue misure. Mentre ad Urbino anche la<br />
presenza delle tre virtú e del duca nella boiserie (in alto<br />
stavano i dipinti con i r<strong>it</strong>ratti degli uomini esemplari) è<br />
bloccata nelle stesse nicchie che sarebbero toccate a<br />
sculture.<br />
Un piú utile termine di confronto può essere la<br />
parete che Giuliano da Maiano intarsiò nella sacrestia<br />
del Duomo, dove finse di sfondare il muro verso spazi<br />
di differenziata caratterizzazione arch<strong>it</strong>ettonica.<br />
Rispetto a questa versione spettacolare e gradevole <strong>della</strong><br />
Trin<strong>it</strong>à, lo studiolo recupera i valori piú ambigui <strong>della</strong><br />
cognizione prospettica. Non si tratta piú di fingere<br />
un’apertura; gli oggetti avanzano verso chi li osserva.<br />
Siamo al punto in cui la <strong>prospettiva</strong> sfiora l’inganno<br />
ottico. Una lacuna rettangolare nella parete esterna<br />
dello studiolo corrisponde allo spazio che doveva essere<br />
occupato da un quadretto. Con perizia incredibile<br />
furono realizzati a tarsia il chiodo destinato a sorreggerlo,<br />
la cordicella, le loro ombre portate, l’ombra sottostante<br />
di una cornice che manca. Ma l’immagine perduta<br />
sarà stata im<strong>it</strong>ata a tarsia o si sarà trattato di un<br />
quadretto vero e proprio, un oggetto reale: in modo da<br />
spingere all’estremo lo scambio fra illusione e realtà?<br />
Ambigu<strong>it</strong>à, inganno, illusione non sono, tuttavia, categorie<br />
storiche o termini formali autosufficienti. Qui la<br />
<strong>prospettiva</strong>, in primo luogo, «intende a costruire sog-<br />
Storia dell’arte Einaudi 72
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
gettivamente l’osservatore, a edificarlo nell’ordine <strong>della</strong><br />
pura razional<strong>it</strong>à» 189 .<br />
Ogni elemento è intarsiato nell’assoluta continu<strong>it</strong>à<br />
<strong>della</strong> superficie piana; non ci sono aggetti, né argini visivi.<br />
È una condizione capovolta rispetto all’idea albertiana<br />
di «finestra» prospettica e alle consapevolezze<br />
relative. Mentre Cristoforo da Lendinara, anche nelle<br />
occasioni di massimo sviluppo prospettico, delim<strong>it</strong>a i<br />
campi di apertura visiva, proponendo semmai una loro<br />
concatenazione temporale, a conferma di una consapevole<br />
alter<strong>it</strong>à di spazi, ad Urbino luogo reale e luogo<br />
illusivo convergono 190 . Se questo non riporta alle tensioni<br />
conosc<strong>it</strong>ive del Brunelleschi e del primo umanesimo,<br />
cosí come non può anticipare l’empirica avvertenza<br />
dei sensi che sarà propria dell’illusionismo barocco,<br />
è anche in forza di certe scelte propriamente stilistiche<br />
compiute nello studiolo, del modo in cui vennero<br />
intervallati e disposti gli oggetti: elementi carichi di<br />
allusione simbolica, ma anche presenze familiari nel<br />
luogo idealmente quotidiano dell’otium e <strong>della</strong> riflessione<br />
morale.<br />
Lo studiolo che Federico da Montefeltro fece successivamente<br />
eseguire per il palazzo di Gubbio (oggi è<br />
al Metropol<strong>it</strong>an Museum di New York) ne cost<strong>it</strong>uisce<br />
una radicalizzazione conseguente 191 . Il presupposto di<br />
una figurazione non di storia, ma di puri corpi inanimati<br />
e di spazi vuoti, è sviluppato con coerenza estrema. A<br />
concretare la percezione prospettica sono esclusivamente<br />
strumenti musicali e di scienza, insegne, libri, strutture<br />
lignee, legati dal tema geometricamente quasi ossessivo<br />
delle losanghe variamente combinate negli sportelli.<br />
L’esecuzione lignaria è meno concentrata che ad<br />
Urbino, non concede tanto alle possibil<strong>it</strong>à mimetiche; la<br />
luce taglia piú schematicamente. Ma l’ombra portata da<br />
un leggio semplicissimo, che va a scomporsi nettissima<br />
Storia dell’arte Einaudi 73
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
sulla finta articolazione degli aggetti, è un «tour de<br />
force» <strong>della</strong> cognizione spaziale, la dimostrazione del<br />
suo «a priori» geometrico, non un caso di semplice virtú<br />
tecnica proposta allo stupore empirico. In questa maggiore<br />
asciuttezza di stile risalta l’estraniazione prospettica<br />
delle cose alla loro fisica immediatezza. Per quanto<br />
possa essere stata realizzata alla corte dei Montefeltro<br />
(negli stessi anni in cui era presente il Pontelli, che non<br />
potrebbe essere del tutto estraneo alla sua esecuzione),<br />
anche questa impresa ha le sue radici a Firenze, nelle<br />
botteghe dei legnaioli-arch<strong>it</strong>etti.<br />
Su scala minore e ribaltato di direzione, il medesimo<br />
problema strutturale degli studiosi di Urbino e Gubbio<br />
si ripropone nel leggio che un altro legnaiolo-arch<strong>it</strong>etto,<br />
Bernardo di Marco Renzi (allievo di Francesco<br />
d’Angelo detto la Cecca, da cui derivò il soprannome)<br />
eseguí nel 1498 per San Miniato al Monte (Firenze,<br />
Museo del Bargello) 192 . Qui infatti il raccordo fra superfici<br />
prospettiche distinte, che negli studioli sono aggregate<br />
dall’un<strong>it</strong>à di luogo, si ripropone all’inverso, come<br />
continu<strong>it</strong>à degli effetti illusivi durante l’aggiramento<br />
spaziale del mobile. La tensione percettiva è resa piú<br />
acuta dall’esatto urto visivo degli sportelli, traforati da<br />
straordinarie combinazioni geometriche. Ma questo<br />
mobile non è meno straordinario per la qual<strong>it</strong>à degli<br />
intagli. Vedremo sub<strong>it</strong>o cosa significherà questo doppio<br />
registro di lavorazione – tarsia ed intaglio – per gli sviluppi<br />
dell’opera di legname a Firenze ed altrove. Anche<br />
se in una storia come questa, legata ad un aspetto particolare<br />
<strong>della</strong> figurazione del legno, gli intagli entrano<br />
troppo di sfugg<strong>it</strong>a; e sembra quasi perduta una buona<br />
occasione per ricordare la grandezza di Domenico del<br />
Tasso 193 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 74
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
6. Grottesche, intagli, prospettive in Umbria.<br />
Sul fondo <strong>della</strong> stanza in cui il Ghirlandaio ambientò<br />
la Nasc<strong>it</strong>a <strong>della</strong> Vergine, nel ciclo di Santa Maria Novella,<br />
c’è una spalliera a specchiature intarsiate con disegni<br />
di grottesche, desunti dall’antico 194 . Si tratta di una possibile<br />
prefigurazione di un mobile moderno, naturalmente<br />
fastoso; ma non di un elemento di sorpresa.<br />
Accanto alle eccezionali imprese «illusionistiche», come<br />
quelle degli studioli, si era stabilizzato a Firenze un<br />
repertorio decorativo che non corrispondeva necessariamente<br />
alla composizione di «toppi», alle sagome geometriche,<br />
alle piú semplici costruzioni prospettiche.<br />
Anche le forme semplificate con simmetria, ma non<br />
mimetiche, dei vasi con fiori, o altri temi vegetali, avevano<br />
conosciuto una loro moderna evoluzione.<br />
Tali temi si accordano bene agli sviluppi che l’opera<br />
d’intaglio ha verso la fine del secolo e agli inizi del<br />
Cinquecento. Tendono a diventare un equivalente bidimensionale,<br />
una proiezione sul piano, appena scand<strong>it</strong>a<br />
da due toni di legno, di un repertorio decorativo non<br />
troppo diverso da quello degli intagli; comunque ad esso<br />
ben integrato. La diffusione degli intagli e delle semplici<br />
tarsie che vanno trasformandosi nelle forme delle<br />
grottesche non è cosa che riguarda Firenze soltanto, ma<br />
è tipico di un po’ tutta l’Italia centrale. Vale dunque la<br />
pena di estendere il raggio geografico di queste considerazioni,<br />
localizzandole semmai in quell’area umbra<br />
dove la presenza di <strong>maestri</strong> fiorentini fu sempre consistente<br />
e diretta 195 .<br />
Appunto negli stessi anni in cui Ghirlandaio concludeva<br />
gli affreschi di Santa Maria Novella, a Perugia<br />
il fiorentino Domenico del Tasso portava a termine<br />
(1491) il coro del Duomo, avviato dieci anni avanti da<br />
Giuliano da Maiano 196 . I tre pannelli centrali, i soli con<br />
Storia dell’arte Einaudi 75
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
tarsie prospettiche, sono raccordati nell’illusione di un<br />
unico vano spaziale, squadrato e scand<strong>it</strong>o in maniera da<br />
accogliere tre figure di santi. Al di sopra, la tarsia ripropone<br />
illusivamente i trafori a girali di un’arte del legno<br />
ormai trascorsa. In tutti gli altri stalli, invece, campeggiano<br />
grandi vasi fior<strong>it</strong>i, variatissimi pur nella regola<br />
semplificativa <strong>della</strong> loro simmetria e dell’accostamento<br />
di due sole qual<strong>it</strong>à di legno, noce ed acero. Non si tratta<br />
di decorazioni classicizzanti, come quelle sugger<strong>it</strong>e da<br />
Ghirlandaio (e che neppure Baccio d’Agnolo, nel coro<br />
sottostante di Santa Maria Novella, mise in opera). La<br />
loro combinazione strutturale avrebbe potuto consentire<br />
l’emergenza di temi decorativi come le grottesche. Si<br />
spiega pertanto la rapida (e già matura) presenza di tali<br />
decorazioni nelle spalliere del Collegio del Cambio, compiute<br />
da Antonio Bencivenni da Mercatello nel 1508. E,<br />
di conseguenza, la loro diffusione nei mobili umbri del<br />
primo Cinquecento.<br />
Il consolidarsi delle grottesche, nelle tarsie come<br />
negli intagli, scandí il nuovo prestigio dell’opera «di<br />
rilievo» rispetto a quella «piana». Non si può dimenticare,<br />
in Umbria, che il coro <strong>della</strong> Basilica Inferiore di<br />
Assisi (1471), con le sue specchiature intagliate a trame<br />
ancora «gotiche», è lontano piú per ragioni ideali che di<br />
tempo. Ma ora rilievo e grottesche calibrano il rettangolo<br />
dei postergali, hanno il privilegio assiale dell’attenzione<br />
prospettica. Nella lunga fase dei lavori per il<br />
coro di Sant’Agostino a Perugia (1502-32), si arrivò a<br />
riproporre alternamente, in pannelli intagliati e in pannelli<br />
a tarsia, il medesimo tema decorativo delle grottesche<br />
197 . Ma esse finirono sempre piú spesso per identificarsi<br />
con l’opera di rilievo.<br />
L’organismo strutturale e la coerenza arch<strong>it</strong>ettonica<br />
dell’insieme, in queste condizioni, acquistano un nuovo<br />
peso. Siamo al polo opposto, scontatamente, di quella<br />
Storia dell’arte Einaudi 76
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
sintassi di campi figurati ed elementi di partizione che<br />
Cristoforo da Lendinara aveva maturato a favore delle<br />
aperture prospettiche. Non si stenta ad ambientare a<br />
Perugia un contratto come quello sottoscr<strong>it</strong>to nel 1524<br />
da Bernardino di Luca per il coro di San Pietro, dove<br />
vennero descr<strong>it</strong>ti con molta puntual<strong>it</strong>à le diverse componenti<br />
morfologiche di una coerente arch<strong>it</strong>ettura di<br />
legname, ma non le decorazioni 198 .<br />
La prevalenza dei lavori d’intaglio e, con essi, delle<br />
grottesche condizionò gli sviluppi <strong>della</strong> tarsia prospettica.<br />
La sua crisi, in Umbria, si manifesta attraverso un<br />
sostanziale trasferimento di attenzioni figurative. In<br />
apertura di secolo, la s<strong>it</strong>uazione è rappresentata molto<br />
bene dalla porta che Antonio Bencivenni da Mercatello<br />
realizzò per il Collegio del Cambio (1501). La grande<br />
<strong>prospettiva</strong> che si compone ad ante chiuse richiama<br />
motivi diffusi da p<strong>it</strong>tori ed intarsiatori fiorentini a fine<br />
Quattrocento. Anche l’incorniciatura, a rombi regolari<br />
e f<strong>it</strong>ti, può ricordare esempi fiorentini. Ma il modo in<br />
cui l’immagine si spezza, perdendo l’ideale central<strong>it</strong>à<br />
visiva, per accordarsi alle partizioni decorative, elude<br />
qualcosa <strong>della</strong> tensione ottica di quei modelli. Vengono<br />
a mente altre porte, nel palazzo di Urbino. L’intarsiatore<br />
marchigiano (Mercatello non è lontano da Urbino)<br />
doveva essere cresciuto in una s<strong>it</strong>uazione locale di riflessi<br />
e derivazioni fiorentine, formatasi attorno al cantiere<br />
di Federico da Montefeltro 199 .<br />
Con un passaggio troppo brusco, rispetto alla successione<br />
dei fatti, si può considerare il coro <strong>della</strong> Cattedrale<br />
di Todi, che lo stesso intarsiatore, ormai trapiantato<br />
in Umbria, prese a lavorare molti anni dopo.<br />
Collaborò con lui il figlio Sebastiano, che lo concluse nel<br />
1530, due anni dopo la morte del padre. Al figlio, probabilmente,<br />
spettano le responsabil<strong>it</strong>à maggiori in queste<br />
tarsie, anche troppo note. La linea di crisi che, rispet-<br />
Storia dell’arte Einaudi 77
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
to alla porta di Perugia, è qui decifrabile non corrisponde<br />
a rinunce radicali, a mutazioni di orizzonte; ma<br />
non passa neppure attraverso la replica rigorosa degli<br />
impianti già collaudati, come in Padania. Comprenderemo<br />
meglio queste visioni di una vacillante convergenza<br />
prospettica e di una precaria tenuta volumetrica alla<br />
luce, peraltro indiretta, di Giovanni da Verona e di<br />
tutte quelle soluzioni, piú svelte o p<strong>it</strong>toresche, che si<br />
erano diffuse in Italia centrale nel primo quarto del<br />
secolo. Piuttosto, quanto viene accentuato, quasi per un<br />
eccesso d’ident<strong>it</strong>à tematica, è un repertorio di casi specifici,<br />
un’ostensione di piazze ed arch<strong>it</strong>etture, ancorata<br />
piú alle ragioni di una piacevole iconografia che non ad<br />
una salda fiducia costruttiva. Tanto che all’interno di un<br />
medesimo pannello si combinano, senza urto e senza<br />
accordo, i temi originariamente distinti delle nature<br />
morte e delle prospettive 200 .<br />
La tendenza ad identificare la tarsia prospettica con<br />
i moduli <strong>della</strong> sua tradizione può giustificare l’attiv<strong>it</strong>à in<br />
Umbria di un intarsiatore padano. È il modenese<br />
Andrea Campani, autore nel 1534 del coro di San<br />
Lorenzo a Spello 201 . Legato alle matrici lendinaresche del<br />
suo mestiere, non raggiunge però quel grado di consapevolezza<br />
che spinse altri suoi contemporanei e conterranei<br />
ad accentuarne la codificazione. Accenna agli es<strong>it</strong>i<br />
lendinareschi cautamente rinnovati di un Bianchino,<br />
quando riproduce, con una tensione centrata ed asettica,<br />
il monumentale ciborio che era stato innalzato a<br />
Spello stessa, in Santa Maria Maggiore, da Rocco da<br />
Vicenza. Piú spesso questo canone di central<strong>it</strong>à serve a<br />
dilatare in superficie la vecchia regola geometrica <strong>della</strong><br />
tarsia padana. Ad ambientare il Campani in Umbria (in<br />
condizioni che, anche per ragioni di geografia, cost<strong>it</strong>uiscono<br />
un segno chiaro delle difficoltà che si stringevano<br />
attorno a questa tecnica), è opportuno ricordare il<br />
Storia dell’arte Einaudi 78
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
seggio vescovile che, all’inizio degli anni Venti, Ciancio<br />
di Pierfrancesco eseguí per il Duomo di Perugia, toccando<br />
un coerente, per niente banale equilibrio fra la<br />
tradizione prospettica «urbinate» e quella lendinaresca.<br />
Cerchiamo di riprendere una piú ordinata successione<br />
di tempi. Risaliamo alla fine del Quattrocento,<br />
quando Domenico Indivini da San Severino, assieme ad<br />
altri intarsiatori <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà, lavorava al coro <strong>della</strong> Basilica<br />
Superiore di Assisi (1491-1501) 202 . Negli stalli inferiori<br />
incontriamo i consueti temi di natura morta, cosí<br />
come nel leggio si avvertono le premesse di quel tipo di<br />
decorazione che si svolgerà nel senso <strong>della</strong> grottesca. Gli<br />
arcistalli sono invece sormontati da nicchie e cuspidi,<br />
spart<strong>it</strong>e da pinnacoli: un organismo complesso, inusuale<br />
a queste date, di possibile origine adriatica. Nelle<br />
specchiature si succede una memorabile galleria di santi<br />
francescani, affacciati sulla soglia prospettica di un’arcatella<br />
ed atteggiati secondo l’inesauribile lessico gestuale<br />
<strong>della</strong> predicazione. Si può intravedere, in un caso di<br />
rilevanza esemplare come quello <strong>della</strong> maggior basilica<br />
umbra, un’altra ragione del mancato consolidamento<br />
<strong>della</strong> tarsia prospettica nella regione. La figurativ<strong>it</strong>à<br />
<strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura è qui condizione normativa, non per l’espressione<br />
stilistica, ma per qual<strong>it</strong>à iconica. Ancora nel<br />
1530, all’intarsiatore del seggio di San Lorenzo a Spello,<br />
s’impose la chiarezza plastica delle tre figure bibliche<br />
tracciate da un p<strong>it</strong>tore non troppo diverso dallo<br />
Spagna.<br />
7. Antonio Barili: «coelo non penicillo».<br />
Il cruciale confronto con la p<strong>it</strong>tura si ripropone per<br />
un’altra serie di tarsie compiute nei primissimi anni del<br />
Cinquecento: quelle che furono nella Cappella di San<br />
Storia dell’arte Einaudi 79
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Giovanni, nel Duomo di Siena. Ne rimangono sette<br />
nella Collegiata di San Quirico d’Orcia, mentre un’altra,<br />
che si trovava a Vienna (Österreichisches Museum<br />
für Kunst und Industrie), andò distrutta con la guerra<br />
ultima. Il fatto che, di queste otto immagini, una sola<br />
corrisponda a quelle figurazioni prospettiche che in origine<br />
si alternavano con le tarsie di figura, può far riflettere<br />
sulle naturali condizioni selettive del momento cr<strong>it</strong>ico<br />
che ne consentí la sopravvivenza. Ma l’intens<strong>it</strong>à dell’accampatura<br />
fisica, in queste tarsie, è cosa che trova<br />
piú facilmente confronto nella p<strong>it</strong>tura. Paragonando il<br />
lavoro condotto con la sgorbia (coelo) agli effetti propri<br />
<strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura, Antonio Barili intese indicare un preciso<br />
fattore percettivo, sottolineando una scelta di stile lignario<br />
tanto alta e singolare che si stenta a s<strong>it</strong>uarla in un’accertata<br />
trama di momenti e di relazioni 203 .<br />
Intanto, i tempi di esecuzione si dilatarono piú del<br />
consueto. Nel 1482 si fece il contratto, ma solo sette<br />
anni dopo si cominciò a procurare i legnami necessari 204 .<br />
Su uno dei pannelli risulterà la data 1502, mentre nel<br />
1504 Giovanni da Verona fu chiamato per la perizia<br />
finale. Il frate si trovava a Monte Oliveto da un paio di<br />
anni: i tempi sono troppo stretti per consentire uno<br />
scambio fra i due artisti in questa particolare occasione.<br />
Nella vasta opera dell’intarsiatore veneto non incontreremo<br />
mai tarsie dove la figura umana centri con tanta<br />
pienezza il campo dell’immagine, con un ingombro che<br />
riesce un po’ assente al racconto. La stessa figura dell’artista<br />
chino sull’opera è piú l’equivalente narrativo<br />
<strong>della</strong> consueta rappresentazione degli strumenti di lavoro<br />
che non un autor<strong>it</strong>ratto propriamente atteggiato.<br />
Questa considerazione tocca sub<strong>it</strong>o il problema dell’autore<br />
dei cartoni. Per Longhi gli «insuperabili intarsi»<br />
di San Quirico denunciavano «i modelli di un qualche<br />
grande p<strong>it</strong>tore toscano» 205 . Per il primo ed<strong>it</strong>ore delle<br />
Storia dell’arte Einaudi 80
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
tarsie, il Carli, il responsabile di quei modelli non poteva<br />
essere che il Barili stesso. Ora che tutta una serie di<br />
particolari sono stati isolati e messi a riscontro fotografico<br />
con altrettanti segmenti morelliani dell’opera di<br />
Signorelli la questione dei cartoni è probabilmente risolta<br />
206 . Ma fino a quale punto? La misura spaziale di queste<br />
tarsie è troppo legata al caso specifico per trovare<br />
confronti con il p<strong>it</strong>tore. Sulle sue asciuttissime cubature,<br />
prevale la cesura lineare di una piú inquieta cultura<br />
prospettica (quella di un Bartolomeo <strong>della</strong> Gatta, forse<br />
di un Giovanni Orioli). La costruzione spaziale si smorza<br />
in grandi partizioni di colore; di un colore che anche<br />
nel legno trova effetti di instabil<strong>it</strong>à e quasi di macchia.<br />
La tess<strong>it</strong>ura irregolare del commesso ligneo riassorbe<br />
quanto potrebbe esserci di prevedibile in un tracciato<br />
signorelliano. L’intarsiatore si è insomma sovrapposto al<br />
p<strong>it</strong>tore; spiazzandolo attraverso gli stessi istinti p<strong>it</strong>torici<br />
del proprio mezzo.<br />
Barili usa accostare tessere anche grandi. Con una<br />
stessa essenza, replicata secondo i diversi orientamenti<br />
<strong>della</strong> fibra, forma interi campi di superficie. Ma poi<br />
estende i trattamenti artificiali del legno, «vela» con<br />
ombre «sabbiate», in coesione n<strong>it</strong>idissima con le giunture<br />
volumetriche. C’è in questo un effettivo parallelo<br />
di poetica con il maturo Bartolomeo <strong>della</strong> Gatta. Altri<br />
aspetti dell’opera dell’intarsiatore si accordano a tali<br />
propos<strong>it</strong>i: come l’assoluta semplic<strong>it</strong>à dei toppi; o le larghe<br />
superfici di legni conglomerati, destinate ad allentare,<br />
con il loro effetto di marmorizzazione, il taglio<br />
troppo serrato delle quinte prospettiche.<br />
La grande fortuna cr<strong>it</strong>ica toccata nel secondo Ottocento<br />
ad Antonio Barili lo riguardò invece come maestro<br />
d’intagli: in questo campo la sua attiv<strong>it</strong>à è documentata<br />
a sufficienza. La sua formazione d’intagliatore è stata<br />
recentemente valutata in rapporto al cantiere di Urbi-<br />
Storia dell’arte Einaudi 81
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
no, alla scultura in pietra 207 . Non c’è dubbio che gli intagli<br />
di Antonio Barili rappresentano una delle prove piú<br />
rilevanti di quel protoclassicismo che fa capo anche agli<br />
spostamenti nell’Italia centrale di Ambrogio Barocci, e<br />
che ha in Siena uno dei poli di riferimento piú bisognosi<br />
d’indagine.<br />
All’immagine stilistica del Barili intagliatore corrisponde<br />
abbastanza bene, quasi come una premessa<br />
necessaria, il coro di Santa Maria Nuova a Fano. Il<br />
Barili vi lavorò tra il 1484 e il 1489, assieme al fratello<br />
Andrea. Si fa molta fatica, invece, a collegare le tarsie<br />
del coro marchigiano a quelle fin<strong>it</strong>e a San Quirico d’Orcia.<br />
Se lo scarto fosse solo di qual<strong>it</strong>à, si potrebbe immaginare<br />
tranquillamente che ad esse avesse atteso il fratello<br />
piú anziano. Non se ne può invece spingere le contraddizioni<br />
di cultura fino al punto di privilegiare, nei<br />
pannelli di Fano, un riflesso lendinaresco 208 . I nostri<br />
vuoti d’informazione sulla tarsia senese del secondo<br />
Quattrocento sono evidenti. Le tarsie di Fano sembrano<br />
corrispondere già ad un eclettico incontro di esperienze<br />
lignarie: dove pesa anche la diffusione <strong>della</strong> tarsia<br />
fiorentina in zona marchigiana, con effetti del genere<br />
dell’Indivini.<br />
Non è casuale la presenza dei fratelli Barili lungo la<br />
costa dell’Adriatico. A Pesaro, nelle tarsie del coro di<br />
Sant’Agostino, incontriamo un episodio senza dubbio<br />
minore rispetto a quello di San Quirico d’Orcia; ma le<br />
soluzioni vivacemente cromatiche <strong>della</strong> tecnica d’intarsio<br />
richiamano in qualche maniera il Barili 209 . L’inquadratura<br />
piccola, a sviluppo orizzontale si accorda bene<br />
ad una specie di bozzettismo lignario, libero dal rigore<br />
delle cadenze prospettiche, o pronto a sgangherarle felicemente.<br />
La virtú lignaria degli incastri sottili, dei legni<br />
boll<strong>it</strong>i nelle erbe, e di tono fortemente scand<strong>it</strong>o, evidenzia<br />
un cromatismo mosso, per tocchi veloci. L’ubi-<br />
Storia dell’arte Einaudi 82
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
cazione adriatica di queste tarsie non contraddice quel<br />
caso altissimo di sommarietà lignaria che i lendinareschi<br />
del Veneto diffusero lungo la costa: il coro dei Santi<br />
Marino e Bartolomeo a Rimini. Ma è un riferimento soltanto<br />
parziale.<br />
In ordine agli effetti «macchiati» delle tarsie del<br />
Barili, conta di piú seguire la linea che da Pesaro riporta<br />
verso l’interno. La prevalenza di effetti luminosi,<br />
tanto sommari da allentare l’armatura prospettica, riconduce<br />
a quelle spazial<strong>it</strong>à da pre<strong>della</strong> che sono tipiche del<br />
coro di Sansepolcro: dove la sigla di un loggiato o le scacchiere<br />
larghe dei pavimenti possono accostare il ricordo<br />
di qualche tema signorellesco in formato ridotto 210 . Simili<br />
effetti di piccolo armamentario prospettico, arrischiato<br />
come un castello di carte, ma ricco di colore, troviamo<br />
nel leggio di San Domenico a Gubbio. È stato attribu<strong>it</strong>o<br />
a Paolo Sensi detto il Tersuolo, da Gubbio, ad una<br />
data oscillante fra il 1492 e il ’97 211 .<br />
8. Giovanni da Verona e la rete dei conventi olivetani.<br />
Una delle tarsie di San Quirico d’Orcia rappresenta<br />
gli strumenti del maestro di legname. La loro diradata<br />
inclinazione nello spazio si accorda alle quattro losanghe<br />
vuote degli sportelli semichiusi. Il pannello è di una<br />
semplic<strong>it</strong>à vertiginosa. Solo gli effetti misuratissimi <strong>della</strong><br />
luce e il batt<strong>it</strong>o caldo delle parti in ombra bilanciano uno<br />
squadro stereometrico troppo avvert<strong>it</strong>o. Non è dunque<br />
soltanto per la qual<strong>it</strong>à intensamente policroma, prevalente<br />
nelle tarsie di figura, che Antonio Barili può essere<br />
confrontato con Giovanni da Verona 212 . Nel pieno del<br />
classicismo cinquecentesco, il frate olivetano sostenne<br />
un ideale prospettico affilatissimo, teso oltre la sembianza<br />
materiale delle cose. La sua presenza si avverte<br />
Storia dell’arte Einaudi 83
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
dietro altri episodi di cui si è parlato nei due ultimi paragrafi.<br />
Giovanni da Verona era giunto a Monte Oliveto,<br />
vicino a Siena, nel 1502. Non era piú agli esordi, aveva<br />
passato i quarant’anni. La prima opera che di lui conosciamo<br />
precede solo di qualche anno. Rimane dunque<br />
sconosciuta la sua prima fase. Ma le notizie forn<strong>it</strong>e sui<br />
suoi spostamenti dalle Familiarum tabulae degli Olivetani<br />
possono suggerire qualche ragione <strong>della</strong> sua precoce<br />
affin<strong>it</strong>à con gli intarsiatori <strong>della</strong> Toscana meridionale,<br />
dell’Umbria, delle Marche. A Monte Oliveto si era già<br />
trovato, forse, nel 1474; di certo due anni dopo, al<br />
momento <strong>della</strong> professione monastica. Fra l’80 e l’84 è a<br />
Perugia, dove lavora come maestro d’intaglio 213 . Ad intarsiare<br />
si vuole invece che imparasse da un confratello piú<br />
anziano, Sebastiano da Rovigno («Schiavone», quindi).<br />
Il che significa far rimbalzare queste induzioni su<br />
altre induzioni biografiche: dello Schiavone infatti non<br />
abbiamo opere 214 . I due olivetani s’incontrarono certamente<br />
nel convento di San Giorgio a Ferrara, fra il<br />
1477 e il ’79. È possibile che la formazione di fra Sebastiano<br />
avesse risent<strong>it</strong>o del clima lendinaresco <strong>della</strong> Padania.<br />
Certo è che nel coro di San Giorgio a Ferrara si trovano<br />
due tarsie (le uniche: cfr. nota 125) di evidente origine<br />
canoziana. Quella a quinte urbane sottili e sfuggenti,<br />
specialmente, potrebbe anche essere un fragile<br />
indizio in favore del piú anziano degli intarsiatori olivetani.<br />
È comunque uno spiraglio concreto, per quanto<br />
minimo, per individuare, assieme al luogo, le condizioni<br />
culturali dell’incontro avvenuto nell’officina monastica.<br />
Lo Schiavone era al corrente di esperienze lignarie<br />
diverse da quella dei Lendinara, dominante a Ferrara.<br />
Si era trovato nella Firenze maianesca del 1470-74;<br />
e prima ancora a Monte Oliveto, in quell’area senese<br />
dove i lavori di tarsia avevano tradizioni lontane.<br />
Storia dell’arte Einaudi 84
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Attraverso Sebastiano da Rovigno, fra Giovanni<br />
potrebbe aver già intravisto una linea diversa da quelle<br />
che, fino ad allora, avevano caratterizzato la tarsia prospettica.<br />
Non inconsapevole, tuttavia. Al di là di un’effettiva,<br />
e forse mai cosí rilevante lacuna di opere, c’è da<br />
chiedersi se quanto a noi può sembrare uno sfuggente<br />
radicamento culturale non sia invece il frutto di una<br />
maturazione svolta in condizioni materiali diverse dal<br />
consueto, da quella propria delle botteghe laiche: con i<br />
loro tram<strong>it</strong>i continui, la stabil<strong>it</strong>à delle attese locali, con<br />
gli spostamenti tanto meno imprevedibili. Questo estremo<br />
policentrismo <strong>della</strong> tarsia olivetana (che è diramatissimo<br />
agli effetti geografici, ma fa poi capo ad un referente<br />
un<strong>it</strong>ario, quello dell’ordine religioso), può inquadrare<br />
l’omogene<strong>it</strong>à sostanziale del percorso di fra Giovanni<br />
e la compattezza stilistica con i suoi derivati<br />
monastici.<br />
Questa omogene<strong>it</strong>à sembra già assestata al momento<br />
in cui Giovanni da Verona, nella c<strong>it</strong>tà natale, sta lavorando<br />
al coro di Santa Maria in Organo (1494-99). In<br />
zona padana, l’intarsiatore cui riesce meno improprio<br />
accostarlo è il Platina tardo del coro cremonese: specialmente<br />
quello delle tarsie paesaggistiche, dove prevale<br />
una selezione di essenze preziosamente leggere, piú che<br />
subordinate alle ragioni sintetiche <strong>della</strong> costruzione spaziale.<br />
Un profilo arch<strong>it</strong>ettonico compiuto, appoggiato su<br />
un regolare parato di mattoni, come quello che a Cremona<br />
inquadra la scena del pescatore 215 , è però un’utile<br />
premessa alle piú tipiche inquadrature di fra Giovanni:<br />
connotate arch<strong>it</strong>ettonicamente, esse sono ormai lontane<br />
dalle arcate lendinaresche (che avevano scarso ingombro<br />
fisico ma, per il taglio spaziale, un’alta capac<strong>it</strong>à dinamica).<br />
Un altro fattore per cui fra Giovanni risulta sganciato<br />
anche dal Platina è il ruolo notevolissimo degli<br />
intagli: che è significativo in se stesso, come moderna<br />
Storia dell’arte Einaudi 85
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
grammatica decorativa, ma anche in funzione delle specchiature<br />
intarsiate. Non a caso, nel liber professorum et<br />
mortuorum, Giovanni è annotato come «sculptor».<br />
Ma il punto di piú segnata nov<strong>it</strong>à corrisponde alle<br />
figurazioni arch<strong>it</strong>ettoniche ed urbane. L’arco che fa da<br />
inquadratura visiva è appoggiato su una semplice tavoletta,<br />
che potrebbe sembrare un primo avvio allo svolgimento<br />
spaziale. Per l’occhio, si è stabil<strong>it</strong>a una s<strong>it</strong>uazione<br />
ambigua. Da una parte l’arco, che è inscr<strong>it</strong>to nella<br />
cornice intagliata, fa da elemento decorativo, posto sulla<br />
stessa scala visiva di chi osserva (solo nella tarsia con i<br />
due monaci può essere riassorb<strong>it</strong>o come primo elemento<br />
<strong>della</strong> navata). Dall’altra, connettendosi direttamente<br />
al campo di figurazione prospettica, sembra condividerne<br />
la convenzionale riduzione di scala. Accentua questo<br />
secondo valore il carattere poco illusionistico delle<br />
scene, l’edilizia gracile e un po’ immaginosa, sprofondata<br />
a cannocchiale e smateriata da una tensione sovracuta<br />
<strong>della</strong> luce. Si potrebbe adattare, in questi casi, una formula<br />
panofskiana, parlando di «c<strong>it</strong>tà di bambola». E<br />
alcune volte, nei tempi successivi, fra Giovanni da Verona<br />
si spingerà deliberatamente in tal senso. In altre<br />
(come nelle tarsie del Duomo di Siena) ev<strong>it</strong>erà tale effetto<br />
inclinando notevolmente il piano prospettico <strong>della</strong><br />
scena urbana, con un es<strong>it</strong>o di netto inerpicamento. È<br />
chiaro però, per quanto ci si voglia servire <strong>della</strong> riadattata<br />
definizione di Panofsky, che questi non sono gli<br />
aggiustamenti costruttivi di una cultura pre-prospettica.<br />
Il discorso va esteso, piú in generale, alla strumentazione<br />
spaziale di Giovanni da Verona. Per quanto si parli<br />
spesso di lucid<strong>it</strong>à, rigore, ecc., non si può dimenticare<br />
che i suoi impianti sono spesso sommari, vacillano in<br />
qualche tratto. A queste date e in questo contesto figurativo,<br />
è una contraddizione solo apparente. La costruzione<br />
prospettica non è tanto il cr<strong>it</strong>erio che organizza il<br />
Storia dell’arte Einaudi 86
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
commesso ligneo, né l’oggetto riflessivo di una misura<br />
proporzionale. È innanz<strong>it</strong>utto oggetto iconico in se stessa,<br />
evocazione di un’immagine già costru<strong>it</strong>a nell’attesa<br />
mentale, piú che suo vettore compos<strong>it</strong>ivo. Non a caso<br />
nelle tarsie di fra Giovanni si troveranno in segu<strong>it</strong>o, e<br />
assai spesso, i corpi geometrici «pieni e vacui» che,<br />
attraverso i disegni leonardeschi, erano stati divulgati da<br />
Luca Pacioli. È lo stesso Pacioli che consiglia d’inserirli<br />
nell’«opifizio» perché «a li dotti e sapienti daranno da<br />
speculare», ma anche perché «lo renderanno adorno» 216 .<br />
Senza questo valore <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong>, come «decorazione»<br />
(nel senso che fu di Berenson), Giovanni da<br />
Verona non avrebbe potuto sfrenare la sua «immaginazione<br />
freddamente e furiosamente dimostrativa»<br />
(Arcangeli).<br />
Nelle tarsie esegu<strong>it</strong>e a Monte Oliveto nel 1502-505<br />
(poi riadattate nel piú antico coro del Duomo di Siena)<br />
217 , fra Giovanni accantona le scacchiere f<strong>it</strong>te e cromatiche<br />
che, a Verona, avevano cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o un possibile<br />
incrocio con la p<strong>it</strong>tura del retroterra veneto di fine secolo.<br />
Il difficoltoso incastro spaziale del primo piano è<br />
occupato, in alcuni casi, da un uccello: occasione di virtuosismi<br />
estremi; in altri si snoda sull’alzato di un proscenio.<br />
La morfologia arch<strong>it</strong>ettonica acquista qualche<br />
ragione di ricercatezza, piacevolmente improbabile. È<br />
questo un tema che avrà sviluppo, anche se con un po’<br />
di fretta esecutiva, nelle tarsie napoletane di Sant’Anna<br />
dei Lombardi (dal 1506 al 1510 fra Giovanni visse<br />
fra Napoli e Fondi). Una rappresentazione piú dolcemente<br />
intensiva ed astraente degli oggetti arch<strong>it</strong>ettonici<br />
consentí, ad esempio, di trascrivere il tempietto di San<br />
Pietro in Montorio 218 .<br />
A Roma fu poi chiamato a lavorare alle spalliere<br />
<strong>della</strong> Stanza <strong>della</strong> Segnatura 219 . Vennero rimosse assai<br />
presto, già al tempo di Paolo III. Per quanto se ne debba<br />
Storia dell’arte Einaudi 87
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
tarare i naturali caratteri raffaelleschi, un’idea di esse filtra<br />
dallo zoccolo <strong>della</strong> parete Nord, originariamente<br />
dipinto in forma di finte tarsie. Se, come è probabile,<br />
fra Giovanni eseguí anche la porta fra la Stanza <strong>della</strong><br />
Segnatura e quella di Eliodoro, l’accostamento al cantiere<br />
raffaellesco stimolò in lui un modo piú rarefatto nel<br />
dar corpo fisico alle cose, ma meno crudamente formale<br />
quanto all’astrazione prospettica. Cosa abbia significato<br />
per il veronese quel soggiorno romano, quando<br />
attorno a Bramante si stringevano le riflessioni su una<br />
nuova figurazione dello spazio, si può constatare nelle<br />
tarsie che eseguí, di r<strong>it</strong>orno da Roma, per la chiesa senese<br />
di San Benedetto fuori Porta Tifi, fin<strong>it</strong>e poi nel luogo<br />
fatale <strong>della</strong> cultura olivetana, a Monte Oliveto. L’incontro,<br />
con gli intervalli spaziali del classicismo romano<br />
determinò, probabilmente, quelle soluzioni piú dolcemente<br />
spiegate, degradanti, delle «c<strong>it</strong>tà di bambola»:<br />
dove l’arcone si trovò a posare su un palco visivamente<br />
strutturato, o fu impostato su un piú largo appoggio del<br />
proscenio. La scena urbana si dilata come un’immagine<br />
da guardare a lungo, piacevolmente, sollec<strong>it</strong>ati dalla<br />
memoria di luoghi canonici <strong>della</strong> tradizione classica,<br />
come il Colosseo. Anche nelle figurazioni di oggetti,<br />
con trame spiccatamente simboliche, prevale una larga<br />
norma sintattica: non sono proposte questioni d’illusiv<strong>it</strong>à<br />
o di tensione ottica, ma di metrica e di reciproca collocazione<br />
delle cose. Una valutazione classicista di Giovanni<br />
da Verona traspare, assieme al canonico confronto<br />
con la p<strong>it</strong>tura, dalle parole stesse di un bellissimo elogio<br />
steso nel 1517, quando veniva ricercato dai confratelli<br />
di Lodi:<br />
... de lignorum versicoloribus filis ac festucis quosqunque<br />
voluisses tam animalium quam hominum vultus<br />
exacte et examussim [con regolar<strong>it</strong>à] compaginabat et<br />
Storia dell’arte Einaudi 88
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
componebat aculea ut acu depicta crederes divino ingenio<br />
praed<strong>it</strong>a, non sine omnium admiratione concinne<br />
admodum variabat 220 .<br />
Giovanni da Verona segnò dunque l’avvento del «grande<br />
stile <strong>della</strong> tarsia» (Chastel), connettendosi al momento<br />
classico dell’arte centro-<strong>it</strong>aliana. Ma entro il raggio<br />
ben circoscr<strong>it</strong>to di uno specifico campo operativo, contrassegnato<br />
da una particolare vocazione astrattiva.<br />
R<strong>it</strong>ornato al Nord raggiunse nelle tarsie di Lodi e<br />
<strong>della</strong> sacrestia di Santa Maria in Organo livelli altissimi<br />
di varietà cromatica del legno: con ombre profonde,<br />
trasparenze di materia, riflessi luminosi. In questo<br />
senso, identificando la tarsia con una variante squis<strong>it</strong>amente<br />
tecnica <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura, non aveva torto Vasari a<br />
privilegiare le opere esegu<strong>it</strong>e, quasi per ultimo, nella<br />
c<strong>it</strong>tà natale.<br />
La produzione, spesso rapida e sempre omogenea, di<br />
Giovanni da Verona va ricondotta al cr<strong>it</strong>erio organizzativo<br />
degli intarsiatori olivetani, ormai numerosi nel<br />
Cinquecento. Non si tratta di una bottega nel senso<br />
tradizionale, con i suoi naturali svolgimenti gerarchici.<br />
È piuttosto una struttura circolante e diffusa. Il maestro<br />
forma allievi che poi andranno ad operare altrove, o che<br />
si troveranno a collaborare con lui in tempi e luoghi<br />
diversi. Dopo aver collaborato al coro di Monte Oliveto,<br />
il converso Raffaele da Brescia si trovò nuovamente<br />
a lavorare accanto al maestro nel convento di Napoli. Da<br />
ciò una stabil<strong>it</strong>à di modelli figurativi diffusi per tutta<br />
Italia. È evidentissima, ad esempio, nei pannelli del<br />
Louvre provenienti dal coro di San Benedetto Novello<br />
a Padova (1520-23), l’appartenenza all’ordine olivetano<br />
di fra Vincenzo dalle Vacche: solo il topos <strong>della</strong> ruotazione<br />
degli sportelli traforati e semiaperti si complica per<br />
una geometria ancora piú allucinata che in fra Giovan-<br />
Storia dell’arte Einaudi 89
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
ni, ma coerente alla grem<strong>it</strong>a vibrazione luminosa e simbolica<br />
degli oggetti appoggiati sui ripiani 221 .<br />
In maniera píú indipendente si sviluppò l’attiv<strong>it</strong>à di<br />
fra Raffaele da Brescia 222 . Giunto a Bologna nel 1513,<br />
nel 1521 vi concluse il coro di San Michele in Bosco,<br />
che solo in parte si è salvato. Ne rimane quanto basta<br />
per rivelare un mondo di arch<strong>it</strong>etture praticabili solo<br />
all’occhio e all’immaginazione, fuori di ogni scala,<br />
apparecchiate per una fiss<strong>it</strong>à scenica. Gli schemi<br />
costruttivi sono gli stessi di fra Giovanni da Verona,<br />
ma senza quella loro mentalissima sovraecc<strong>it</strong>azione ottica.<br />
Nell’altro tipo fondamentale di figura lignaria, la<br />
natura morta, gli oggetti non sono piú misurati con la<br />
lucidissima regola compos<strong>it</strong>iva del maestro. La tecnica<br />
stessa, ad ombreggiature addensate lungo il profilo<br />
delle tessere, fa intravedere qualche connessione con gli<br />
intarsiatori lombardi, nel raggio di Pantaleone de’ Marchi.<br />
Sono indicative del radicamento di fra Raffaele in<br />
tale area figurativa anche due tarsie di collezione privata,<br />
dove si aprono senza direttrici prospettiche semplici<br />
paesaggi (con uccelli, un gatto, un coniglio, un<br />
cagnolino) 223 . Quando invece gli cap<strong>it</strong>ò di lavorare in<br />
una proporzione diversa da quella canonicamente verticale<br />
dei postergali, come nei leggii di Monte Oliveto<br />
(1520) e dell’abbazia di Rodengo (1533-37, ora al<br />
Museo Cristiano di Brescia), fra Raffaele dispose gli<br />
oggetti entro uno spazio pieno di tensione luminosa, e<br />
con il calore formalistico di un postleonardesco lombardo.<br />
Nel secondo leggio si trovò addir<strong>it</strong>tura a mettere<br />
in opera un cartone di Romanino, dove par quasi<br />
adattata alla v<strong>it</strong>a conventuale una di quelle scene di brigata<br />
cortese che sono tipiche <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura padana del<br />
Cinquecento 224 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 90
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
9. Persistenze e revisioni nella tarsia padana del<br />
Cinquecento.<br />
Dileggiando in rima la p<strong>it</strong>tura del Carpaccio, il poeta<br />
Andrea Michieli, detto lo Strazzola, non doveva essere<br />
morso da particolari risentimenti privati. La cr<strong>it</strong>ica faceva<br />
segu<strong>it</strong>o, infatti, ad un amichevole suggerimento di<br />
poetica: «Dovendomi r<strong>it</strong>rar, Vettor Scarpazzo [...] fa<br />
che non mi abbi del Gentil Bellino ı perch’altramente<br />
ti teria da pazzo». Nel dissenso da tale indirizzo figurativo<br />
si concatenò coerentemente la condanna del Carpaccio<br />
(«ben par discepol di Gentil Bellini», al quale si<br />
opponeva «la sublime ed eccellente mano di | Gioan suo<br />
fratel»). Ed è interessante che il verseggiatore trovasse<br />
il modo d’infilzare nella sua condanna anche il nome<br />
oggi misterioso dell’Ombrone: artista evidentemente<br />
interessato alla rappresentazione prospettica di corpi<br />
geometrici, «che depinse alla fin due peponesse, | credendo<br />
far un arch<strong>it</strong>etto, il pazzo» 225 .<br />
I nomi di Gentile Bellini (non Jacopo) e di Carpaccio<br />
bastano a tracciare una coerente linea prospettica.<br />
Essa prese slancio negli stessi anni in cui si stampavano<br />
a Venezia le opere del pierfrancescano Luca Pacioli. Su<br />
questa traiettoria si s<strong>it</strong>ua anche un episodio di grosso<br />
rilievo nella storia <strong>della</strong> tarsia: la sacrestia di San Marco,<br />
opera firmata dai fratelli mantovani Antonio e Paolo<br />
Mola, compiuta fra gli anni estremi del Quattrocento e<br />
il 1505-506 226 . Il nome del Carpaccio e stato collegato da<br />
tempo a queste tarsie, ma nei termini un po’ gerarchici<br />
di una forn<strong>it</strong>ura di cartoni 227 : cosa sempre improbabile,<br />
e queste date, quando si tratta di figurazioni di arch<strong>it</strong>ettura.<br />
Tanto piú che dei Mola si parla nei documenti<br />
come di «pictorum perspective».<br />
È necessario richiamare due tappe trascurate <strong>della</strong><br />
carriera dei Mola. La prima notizia ricorda quanto fosse<br />
Storia dell’arte Einaudi 91
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
vasto il cantiere prospettico padano, specie se lo osserviamo<br />
da un particolare angolo di competenza materiale.<br />
Nel 1489 i Mola erano a Pavia. Collaboravano con<br />
Bartolomeo de’ Polli (modenese che è detto anche ab<strong>it</strong>ante<br />
a Mantova) al coro <strong>della</strong> Certosa. Ebbero con lui<br />
una l<strong>it</strong>e giudiziaria, in segu<strong>it</strong>o alla quale vennero compensati<br />
per i lavori compiuti 228 . È virtualmente impossibile<br />
riconoscere, in un’opera già cosí problematica, le<br />
parti spettanti ai Mola. Ma, se è vero che Bartolomeo<br />
de’ Polli eseguí in sostanza la parte inferiore del coro e<br />
che egli è ricordato solo come maestro d’intagli, vale la<br />
pena di fare attenzione all’unico pannello di tarsia prospettica<br />
(un libro schermato da due sportelli) che si<br />
trova nel parapetto. Ha carattere lendinaresco, anzi platiniano.<br />
Potrebbe essere una traccia per l’inizio dei<br />
Mola.<br />
La loro radice culturale non poteva essere comunque<br />
troppo diversa. Le mosse successive in direzione veneta<br />
dovettero comportare una conoscenza di Pier Antonio<br />
degli Abati, che proprio attorno al ’90 combinava<br />
con maggiore determinazione l’ord<strong>it</strong>ura prospettica dell’intarsio<br />
con una trama geometricamente piú scand<strong>it</strong>a<br />
delle alternanze cromatiche del legno.<br />
L’altra notizia documentaria giustifica il radicamento<br />
dei Mola nella cultura veneziana. Fra il 1496 e il 1500<br />
lavorarono nel convento di San Giovanni e Paolo. È<br />
allora che vengono detti «magistri artis pictorie que perspective<br />
dic<strong>it</strong>ur» 229 .<br />
Certamente, di p<strong>it</strong>tura nel senso albertiano di figurazione<br />
piana si tratta; ma la suggestione del mezzo cromatico<br />
si adegua, sintomaticamente, all’ident<strong>it</strong>à stilistica<br />
delle tarsie dei Mola. Che furono p<strong>it</strong>toriche,<br />
secondo l’esempio del Platina, negli sportelli inferiori<br />
<strong>della</strong> sacrestia marciana: occupati dalle consuete immagini<br />
di oggetti l<strong>it</strong>urgici, libri, ecc.; e p<strong>it</strong>toriche nel senso<br />
Storia dell’arte Einaudi 92
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
dei teleri di Carpaccio (dove il senso prospettico è in<br />
funzione delle quant<strong>it</strong>à cromatiche) possono dirsi le<br />
tarsie con le Storie di san Marco, nella parte superiore<br />
dei banchi. Molti riquadri richiamano direttamente<br />
Carpaccio, quel suo spiegatissimo ordine spaziale dove<br />
nulla sembra costru<strong>it</strong>o, ma ordinato già dalla naturalissima<br />
compless<strong>it</strong>à <strong>della</strong> geometria 230 . Come nelle Storie di<br />
sant’Orsola, i Mola dipanano il racconto spaziale attraverso<br />
una disposizione seriale di corpi elementari ed<br />
identici (torri, merlature, gradini) o nella sequenza/alternanza<br />
di diedri, spigoli, piani. Non sempre i<br />
frustoli di legno possono star dietro ad un modello prospettico<br />
che presuppone una solar<strong>it</strong>à quasi assoluta (non<br />
astratta, però), appena misurata da ombre sottili e lunghissime.<br />
Il fatto è che i Mola non «traducono», non<br />
dipendono passivamente da Carpaccio, ma ne condividono<br />
le premesse ed alcuni momenti collaterali. In qualche<br />
tarsia l’ingombro degli oggetti e la pressione delle<br />
quinte tappezzate richiama piuttosto il Mansueti. In<br />
altre la plausibil<strong>it</strong>à progettuale delle arch<strong>it</strong>etture corrisponde<br />
alla trasparenza luminosa che Codussi conserva<br />
ai piani prospettici anche quando sono concretati dalla<br />
materia muraria. Alla loro plausibil<strong>it</strong>à corrispondono le<br />
naturali opzioni di una moderna cultura arch<strong>it</strong>ettonica:<br />
vengono dunque inser<strong>it</strong>e le fresche memorie monumentali<br />
<strong>della</strong> scala del Palazzo Contarini o <strong>della</strong> facciata<br />
di San Zaccaria. È l’avviso di un coerente processo<br />
d’interscambio formale fra la figurazione piana ed una<br />
realtà arch<strong>it</strong>ettonica intesa secondo superfici prospettiche<br />
e campi cromatici.<br />
Non è ora possibile soffermarci sui lavori esegu<strong>it</strong>i dai<br />
Mola per lo Studiolo d’Isabella d’Este, dopo il 1506 231 .<br />
Le tarsie mantovane confermano le dipendenze veneziane<br />
degli intarsiatori, ma aprono in una direzione<br />
appena piú fantastica nella scomposizione minuta delle<br />
Storia dell’arte Einaudi 93
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
strutture geometriche, e piú rarefatta nell’affacciarsi<br />
degli oggetti. Consentono comunque di osservare meglio<br />
lo stile lignario dei Mola, sempre attentissimi a scegliere<br />
e trattare i legni secondo valori di raffinata texture:<br />
uno stile che non può essere sganciato da una maturazione<br />
piú largamente padana.<br />
È nel cuore stesso di quest’area che un nuovo, effettivo<br />
p<strong>it</strong>toricismo, fatalmente autoannientante per l’dent<strong>it</strong>à<br />
rinascimentale di tarsia e <strong>prospettiva</strong>, si affianca alla<br />
persistenza dei modelli di origine lendinaresca; come<br />
quello, forse il piú fortunato fra Quattro e Cinquecento,<br />
che fa capo al Platina. Per tensione dialettica e forza<br />
di consuetudine, questi modelli tornano piú strettamente<br />
su se stessi, muovendo dunque in una direzione<br />
ben diversa da quella p<strong>it</strong>toricistica, ma ugualmente<br />
emarginante. Gli intarsiatori parmensi fra il primo e il<br />
quarto decennio del Cinquecento forniscono la migliore<br />
traccia per ricap<strong>it</strong>olare tale svolgimento incrociato.<br />
Fra il 1506 e il 1510, Luchino Bianchino compiva il<br />
coro di San Paolo (poi trasfer<strong>it</strong>o, parzialmente, in Santa<br />
Teresa del Bambin Gesú, l’ex Oratorio dei Rossi),<br />
tenendosi ancora fedele alla sua educazione lendinaresca:<br />
riconoscibile, ad esempio, nei cieli alti e fiammeggianti,<br />
di elementare composizione lignaria, o nel canonico<br />
nesso spaziale fra arcone e quinte urbane. Ma tali<br />
quinte si affrontano con regolar<strong>it</strong>à geometrica, scorrono<br />
lungo binari ottici ev<strong>it</strong>ando ogni articolazione plastica.<br />
È dunque una spazial<strong>it</strong>à tanto piú scarnificata ed<br />
astratta rispetto ai modelli lendinareschi, come potrebbe<br />
essere in un Giovanni da Verona purista. Si pensi a<br />
quella tarsia dove il dodecaedro pendente in primo piano<br />
impone una regola armonica di stremante semplic<strong>it</strong>à<br />
intellettuale, fissando ogni equilibrio su una struttura<br />
arch<strong>it</strong>ettonica di forme primarie, ma impraticabile, puramente<br />
visiva 232 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 94
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Un altro segno di crisi dell’iconografia prospettica<br />
lendinaresca può essere riconosciuto nell’atto di stipula<br />
del coro di San Ulderico, nel 1505. A Giangiacomo<br />
Baruffi s’indicò come modello il perduto coro di San<br />
Francesco, «excepto che le prospettive»:<br />
in loco de le quali elo debbia fare gruppi de tarsie varii et<br />
diversi cum boni et perfecti dissegni, tali che empiano il<br />
loco dove andariano le prospettive 233 .<br />
I profili geometrici messi a tarsia negli stalli di San<br />
Ulderico sono la prima rilevante ed autonoma comparsa<br />
a Parma di un tema decorativo che, d’ora in avanti,<br />
comparirà sempre piú spesso, anche in combinazione di<br />
pannelli prospettici. Dilatando l’estensione e la qual<strong>it</strong>à<br />
grafica <strong>della</strong> cornice, contribuiranno non poco a svuotare<br />
la serratezza prospettica dell’ered<strong>it</strong>à lendinaresca.<br />
Il crocevia fondamentale delle diverse tensioni figurative<br />
presenti nella zona è il coro di San Sisto a Piacenza<br />
(1514-28 circa): ne furono responsabili Giampietro Pambianchi<br />
da Colorno, in prossim<strong>it</strong>à di Parma, e Bartolomeo<br />
Spinelli di Busseto (ma poi ricordato fra i <strong>maestri</strong><br />
attivi a Parma) 234 . Questi intarsiatori non guardano piú<br />
alla s<strong>it</strong>uazione parmense di fine Quattrocento, all’asciutta<br />
sintesi lignaria di Bernardino da Lendinara, né<br />
all’assorta concentrazione costruttiva del Bianchino, ma<br />
alle aperture luminose meno vincolate dalla misura proporzionale<br />
del coro cremonese del Platina. Per quanto<br />
possa variare la qual<strong>it</strong>à, non serve fare distinzioni di<br />
autografia (la tecnica si fonda sempre sull’uso caldo e<br />
largo delle ombre artificiali). Ad alternarsi, nel giro superiore<br />
degli stalli, sono piuttosto modelli prospettici di<br />
diversa origine e direzione storica. In parte si tratta di<br />
schemi di persistenza: profonda, ancora lendinaresca,<br />
quando la cubatura delle case prende campo ravvicinato<br />
Storia dell’arte Einaudi 95
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
ed obliquo; legata invece all’esempio recente del Platina,<br />
dove s’inf<strong>it</strong>tiscono le morfologie edilizie o si aprono piú<br />
frantumate immagini extraurbane. In molti casi, alle<br />
vibrazioni individuate del colore, al trapestio geometrico<br />
dei legni, corrisponde bene la figura compiuta di una<br />
struttura arch<strong>it</strong>ettonica moderna, progettabile, posata<br />
come un modello nello spazio bidimensionale <strong>della</strong> tarsia;<br />
o si presentano luoghi urbani altrettanto inconsueti<br />
quanto possibili (loggiati, cortili, piazze a scacchiera e<br />
torri). Sull’esempio diretto del classicismo lombardo<br />
(Cesariano), si stringono i nessi con l’arch<strong>it</strong>ettura postbramantesca,<br />
legata a valori di chiarezza p<strong>it</strong>torica e di<br />
fior<strong>it</strong>ura prospettica. Nel caso specifico, il rapporto con<br />
il grande arch<strong>it</strong>etto di San Sisto, Alessio Tramello, non<br />
si risolve in offerte di cartoni o in dipendenze univoche,<br />
ma in una piú libera e contestualizzante motivazione di<br />
cultura. Anche negli intarsiatori di San Sisto, le apparenti<br />
incertezze e le alternanze di schemi prospettici corrispondono<br />
alla combinazione di memorie romaniche e<br />
di spazial<strong>it</strong>à bramantesca che caratterizza Tramello ed<br />
altri costruttori lombardi.<br />
Dove la moltiplicazione perspicuamente minuta dei<br />
giunti prospettici corrisponde meglio alla progettual<strong>it</strong>à<br />
potenziale dei corpi arch<strong>it</strong>ettonici e al montaggio sottile<br />
delle essenze lignee, il coro piacentino spiana la strada<br />
a quello di San Giovanni Evangelista a Parma, che<br />
fu il momento piú alto nel cap<strong>it</strong>olo finale <strong>della</strong> tarsia<br />
emiliana. Per tempi ed autografia, il caso è tutt’altro che<br />
chiaro. Il coro di San Giovanni venne affidato a Marco<br />
Antonio Zucchi nel 1512. Venti anni dopo, alla sua<br />
morte, mancavano ancora sei stalli. Dell’esecuzione vennero<br />
incaricati Gianfrancesco e Pasquale Testa, che nel<br />
1538 portarono a termine il lavoro 235 . Quali siano questi<br />
stalli, non è assolutamente possibile capire. D’interi<br />
stalli si trattava; quindi non c’è da immaginare un’arti-<br />
Storia dell’arte Einaudi 96
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
colazione fra lavori d’intaglio e lavori di tarsia (e, poi,<br />
fin dal 1512 si era chiesto allo Zucchi di «mutare le fantasie<br />
de li quadri de perspectiva», oltre che «de li<br />
taglii»). D’altra parte la consistenza dei pagamenti versati<br />
ai Testa, potrebbe anche far sospettare una grav<strong>it</strong>azione<br />
sostanziale dei lavori ad una data successiva al<br />
1532. Anche i pochi riferimenti possibili con opere dello<br />
Zucchi o dei Testa non bastano a sciogliere il problema.<br />
Uno dei Testa, Gian Francesco, a partire dal 1538<br />
cominciò a lavorare alla struttura (non alle tarsie) del<br />
coro di San Pietro a Modena 236 : che è cosa tanto piú semplice,<br />
ma anche per la mutata concezione decorativa.<br />
Dello Zucchi si conosce a Parma un altro coro, in San<br />
Quintino. Ne assunse l’incarico lo stesso anno in cui<br />
s’impegnò per il coro di San Giovanni. Degli elementi<br />
che lo componevano, ce ne sono giunti la metà: un solo<br />
stallo è decorato con una «<strong>prospettiva</strong>» arch<strong>it</strong>ettonica,<br />
cui corrisponde, nel giro inferiore, un pannello con<br />
oggetti l<strong>it</strong>urgici. Se questo fu lo stallo esegu<strong>it</strong>o «per<br />
mostra», disponiamo di un riferimento cronologico<br />
abbastanza preciso, coerente al carattere ancora blandamente<br />
lendinaresco <strong>della</strong> tarsia: che si tiene stretta a<br />
quella radice perlomeno nel topos del ponticello in primo<br />
piano, risolto nella collaudata metafora geometrica di<br />
una doga spessa e breve. Se poi lo Zucchi arrivò, da queste<br />
premesse, fino ai complicatissimi ingranaggi visivi di<br />
San Giovanni, questo non può essere avvenuto che negli<br />
anni piú vicini al 1532. Cerniera naturale di quello svolgimento<br />
sarebbe comunque la s<strong>it</strong>uazione che abbiamo<br />
visto maturare nel coro di Piacenza. Le «prospettive» di<br />
San Giovanni si legano invece direttamente ad un piccolo<br />
nucleo di tarsie parmensi, che una non remota tradizione<br />
guidistica locale, recentemente ripresa ed argomentata,<br />
assegna impossibilmente all’ormai anziano<br />
ingegnere <strong>della</strong> Comun<strong>it</strong>à, Luchino Bianchino 237 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 97
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Proprio rispetto al polo <strong>della</strong> tradizione lendinaresca<br />
(cui il Bianchino si legò con riflessiv<strong>it</strong>à «pacioliana») si<br />
può chiarire quanto di nuovo caratterizza i postergali di<br />
San Giovanni. In breve, ne rappresentano un ribaltamento<br />
assoluto, ma non perché siano andati perduti,<br />
come in fra Damiano, i valori dell’autonomia formale<br />
<strong>della</strong> tarsia. La sintesi canoziana fra costruzione spaziale<br />
e materia lignaria è cosa lontana; e non ha piú peso la<br />
funzione strutturale, propriamente prospettica che era<br />
affidata alla varietà dei tagli e <strong>della</strong> messa in opera di<br />
essenze diverse. Ma la presa ottica <strong>della</strong> fattual<strong>it</strong>à del<br />
commesso, le proprietà figurative degli incastri e degli<br />
accostamenti cromatici del legno sono di nuovo altissimi.<br />
La loro aggregazione regolata e diminutiva, e come<br />
tale intensamente esib<strong>it</strong>a, combina spazi grem<strong>it</strong>i e festosi,<br />
da sgranare con gli occhi. La tautologia del legno si<br />
ripropone con un nuovo significato, che intende dare<br />
diletto visivo più che illusione: come nel ponte dove<br />
sono miniaturizzate le travi con cui è costru<strong>it</strong>o: il controllo<br />
lenticolare, compiaciuto, accerta l’ident<strong>it</strong>à dell’immagine<br />
con la struttura lignea (a scala diversa), quanto<br />
quella con la materia. Su tale base, come già a Piacenza,<br />
la tarsia trova spontaneamente l’occasione per<br />
descrivere arch<strong>it</strong>etture compiute in contesti plausibili.<br />
Salvo che, a Parma, accanto ai temi postbramanteschi di<br />
fonte lombarda, s’imbastiscono eleganti c<strong>it</strong>azioni di luoghi<br />
e regole classiche, in maniera da riflettere ed auspicare<br />
un piú diramato codice arch<strong>it</strong>ettonico. Le tarsie con<br />
oggetti si tengono ovviamente fedeli agli impianti canonici;<br />
ma, ad esempio, la sfera armillare richiude una docile<br />
central<strong>it</strong>à di spazio, di natura piú moderna e classica.<br />
A quelle inser<strong>it</strong>e nelle lunette in alto (una nov<strong>it</strong>à strutturale<br />
da non trascurare), e quindi avvistate da un angolo<br />
inconsueto agli intarsiatori, corrisponde un valore particolarmente<br />
luminoso e naturale dell’esecuzione.<br />
Storia dell’arte Einaudi 98
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
A questo punto, a Parma, si è già toccato il punto<br />
risolutivo <strong>della</strong> tarsia prospettica. Occorre fare ora qualche<br />
passo indietro, recuperando una direttrice fondamentale<br />
negli sviluppi padani <strong>della</strong> tecnica. Non si è sottolineato<br />
abbastanza, forse, quanto la s<strong>it</strong>uazione maturata<br />
dal Platina pesò nel coro di Piacenza, e quindi nei<br />
suoi sviluppi parmensi. In modo particolare, la tarsia cremonese<br />
agí in direzione occidentale, verso il Piemonte,<br />
verso l’area che Martino Spanzotti aveva conquistato<br />
alla coscienza prospettica <strong>della</strong> Padania.<br />
Nel settembre del 1510 l’abate di Sant’Andrea a<br />
Vercelli andava fino a Cremona per pattuire con Paolo<br />
Sacca i lavori per il coro dell’abbazia 238 . La bottega dei<br />
Sacca era già nota in Piemonte. Nel 1497, assieme al<br />
padre Tommaso e al fratello Imerio, Paolo Sacca aveva<br />
realizzato il coro <strong>della</strong> Certosa di Asti, andato perduto,<br />
ma che dovette rappresentare un momento di netta<br />
cesura nell’evoluzione tipologica dei cori piemontesi.<br />
Da essi, per tutto il Quattrocento, era rimasta esclusa<br />
la tarsia prospettica. In area alpina, il repertorio biblico<br />
e morale dell’iconografia dei cori s’identificava spontaneamente<br />
con l’opera di scultura, di traforo, d’intaglio<br />
grosso e figurato. Né il taglio fu netto, se nel piú tardo<br />
coro di Staffarda (Torino, Museo Civico) le tarsie prospettiche<br />
vengono meticciate con la tradizionale figurazione<br />
scolp<strong>it</strong>a 239 .<br />
Anche da un punto di osservazione collocato in Lombardia,<br />
il coro di Asti rappresenta un anello mancante.<br />
Si sa che Tommaso Sacca si vide opposto al Platina per<br />
ragioni che furono anche di ordine figurativo. Piú tardi<br />
subí uno scacco analogo a Parma, quando si trovò di<br />
fronte a Cristoforo e Bernardino da Lendinara. In ordine<br />
a questi fatti, sarebbe stato interessante sapere se ad<br />
Asti, quando era ancora lui a tenere le redini <strong>della</strong> bottega,<br />
si fosse già assestata quell’indub<strong>it</strong>abile adesione al<br />
Storia dell’arte Einaudi 99
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Platina che caratterizza le tarsie di Vercelli. Tanto piú<br />
che l’espansione in Piemonte di questa cultura che ha<br />
centro a Cremona non è circoscr<strong>it</strong>ta ai soli Sacca. Nel<br />
coro di San Lorenzo ad Alba (1512-17), Bernardino<br />
Cidonio da Codogno (un altro lombardo, che a Casale<br />
si trovò a lavorare con Spanzotti) si rivela altrettanto<br />
fedele alle formule del Platina: al punto che in alcuni<br />
stalli utilizzò i medesimi cartoni di cui si era serv<strong>it</strong>o il<br />
Sacca a Vercelli (o desunse da uno stesso archetipo) 240 .<br />
Occorre tener presenti certi impianti liberamente<br />
squadernati (specie nelle frequenti immagini paesaggistiche)<br />
e le toppe cromatiche piene di oscillazioni di<br />
queste tarsie, per collocare meglio il coro che Paolo<br />
Sacca eseguí poi assieme al nipote Giovanni Antonio in<br />
San Giovanni in Monte di Bologna 241 . Fu compiuto fra<br />
il 1518 e il ’23. A metà di questo periodo, Raffaele da<br />
Brescia concludeva il coro di San Michele in Bosco<br />
secondo tutt’altri propos<strong>it</strong>i di stile e di referenza prospettica.<br />
Da tempo, anche a Bologna, nelle spalliere<br />
<strong>della</strong> Cappella Vaselli in San Petronio (Giacomo de’<br />
Marchi, 1495), erano state riproposte le possibil<strong>it</strong>à e le<br />
valenze iconografiche di una decorazione diversa da<br />
quella prospettica. Si spiega cosí, con la consapevolezza<br />
di una s<strong>it</strong>uazione che va mutando, perché alcuni stalli<br />
di San Giovanni in Monte segnino un chiaro r<strong>it</strong>orno agli<br />
exempla spaziali di Cristoforo da Lendinara. Misuratamente<br />
spaziosa, assieme alla semplicissima tipologia del<br />
coro, è la funzione <strong>della</strong> cornice in rilievo che inquadra<br />
i singoli pannelli. Nelle descrizioni edilizie delle tarsie,<br />
si accostano inavvert<strong>it</strong>e memorie urbane e moderni suggerimenti<br />
morfologici. Soprattutto si ev<strong>it</strong>a l’organico<br />
r<strong>it</strong>aglio spaziale dei nuclei edilizi, la loro preventiva trascrizione<br />
in immagine p<strong>it</strong>torica, come cap<strong>it</strong>ava contemporaneamente,<br />
e su meno dirette basi platiniane, nel<br />
coro di Piacenza. Furono esposti con molta attenzione<br />
Storia dell’arte Einaudi 100
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
alcuni casi arch<strong>it</strong>ettonici (di un «inzigneriis et arch<strong>it</strong>ecti<br />
per<strong>it</strong>issimi» si trattava), ma per scorci e frammenti,<br />
su fondali imprevisti; privilegiando insomma, nonostante<br />
la tagliente caratterizzazione cromatica delle<br />
direttrici prospettiche, la forma canoziana <strong>della</strong> memoria<br />
urbanistica sulla piú moderna icona progettuale.<br />
Questo fenomeno di resistenza e di rifiuto delle ipoteche<br />
p<strong>it</strong>toriche sulla tecnica (che nel caso del Sacca<br />
matura per esperienza dialettica) non si giustifica soltanto<br />
sul versante <strong>della</strong> produzione, <strong>della</strong> consuetudine<br />
di riutilizzare gli stessi cartoni. Quando il Sacca, assieme<br />
a Cristoforo de’ Venetiis, nel 1531 sottoscrisse il<br />
contratto per il coro di San Francesco a Cremona, s’impegnò<br />
a sottoporre legni «grezzi» ai comm<strong>it</strong>tenti, che<br />
probabilmente diffidavano <strong>della</strong> nuova tecnica cinquecentesca<br />
dell’intarsio 242 . E non dovettero essere ragioni<br />
di economia a suggerire ai «pingui e grassi» benedettini<br />
di San Pietro a Modena di riassorbire nel coro nuovo<br />
le specchiature che erano state intarsiate da Bernardino<br />
da Lendinara. In maniera simile, a Reggio, nel 1544, si<br />
prescrisse al de’ Venetiis, il vecchio socio del Sacca, di<br />
mettere in opera i pannelli protolendinareschi del precedente<br />
coro, per quanto la loro iconografia dovesse<br />
riuscire un po’ arcaica. Per la parte di loro competenza,<br />
Cristoforo e il figlio Giuseppe de’ Venetiis portarono<br />
all’estremo la disarticolazione prospettica e la divagazione<br />
episodica <strong>della</strong> tarsia cremonese, originata dal Platina<br />
243 .<br />
Un’altra traiettoria <strong>della</strong> tarsia lombarda, come<br />
abbiamo visto, conduceva in Liguria. La sua stretta affin<strong>it</strong>à<br />
con la p<strong>it</strong>tura non era dovuta a motivi di subalternanza<br />
o di paragone percettivo. Nella tecnica degli intarsiatori<br />
lombardi, i toni raggiunti con la sabbia rovente<br />
hanno la stessa central<strong>it</strong>à formale che ha il molatissimo<br />
insinuarsi di luce e di ombra in un p<strong>it</strong>tore come Andrea<br />
Storia dell’arte Einaudi 101
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Solario. È un fatto, questo, che abbiamo già visto riflesso<br />
nei cori di Piacenza e di San Giovanni a Parma. Un<br />
raccordo stretto fra tarsia e p<strong>it</strong>tura si constata, ad esempio,<br />
nel leggio <strong>della</strong> Cattedrale di Savona (1517), dove<br />
mi pare evidente che Gian Michele de’ Pantaleone si sia<br />
serv<strong>it</strong>o di un cartone preparato da Albertino Piazza da<br />
Lodi 244 . Il cartone non subisce nessun traslato strutturale,<br />
nelle connessure come nella texture; è invece il<br />
modello p<strong>it</strong>torico a guidare le profilature meccaniche<br />
come quelle tonali. I valori luminosi <strong>della</strong> tarsia nascono<br />
da sfumature continue, che schermano le fibre del<br />
legno: trasparente sostanza materiale dell’immagine, elemento<br />
di figurazione né autonomo, né espropriato da<br />
metafore p<strong>it</strong>toriche.<br />
Prosecuzione naturale di questa traiettoria geografica<br />
ed operativa fu il coro di San Lorenzo a Genova 245 .<br />
In fasi diverse e discontinue, vi lavorarono gli stessi<br />
intarsiatori di Savona: all’inizio, nel 1514, il Fornari, poi<br />
il Rocchi, infine il Pantaleoni. Se non fosse stato reso<br />
indecifrabile dai rifacimenti, con la successione delle<br />
sue fasi, il coro di Genova avrebbe rappresentato un<br />
riferimento esemplare sulle tappe <strong>della</strong> trasformazione<br />
cinquecentesca <strong>della</strong> tarsia. La natura classicista dei<br />
modelli p<strong>it</strong>torici (come quelli di Girolamo da Treviso il<br />
Giovane, riconoscibili in alcuni pannelli del Pantaleoni)<br />
impose agli intarsiatori un diverso calibro di spazio e<br />
narrazione. Nelle fasi piú inoltrate vi fu impegnato Giovanni<br />
Francesco Zambelli e, quindi, in maniera piú o<br />
meno diretta, si riflette anche qui la poetica lignaria<br />
dello zio e maestro, fra Damiano. In un paio di casi, lo<br />
Zambelli non si serví però di cartoni appos<strong>it</strong>amente preparati,<br />
ma mise in opera stampe notissime di Marcantonio<br />
Raimondi e del Bandinelli. Per capire il senso di<br />
queste scelte occorre fare un passo indietro, risalendo<br />
alla s<strong>it</strong>uazione bergamasca da cui si era distaccato fra<br />
Storia dell’arte Einaudi 102
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Damiano al momento in cui si trasferí nel convento<br />
domenicano di Bologna.<br />
10. L’ipotesi del Lotto a Bergamo.<br />
... se il Lotto fosse stato incisore e avesse diffuso questi<br />
cartoni come stampe, invece di sperperarli per il coro di<br />
una c<strong>it</strong>tà di provincia, il suo nome sarebbe probabilmente<br />
giunto fino a noi come quello di un non spregevole interprete<br />
<strong>della</strong> Bibbia 246 .<br />
La vecchia osservazione di Bernard Berenson sulle tarsie<br />
di Santa Maria Maggiore a Bergamo (opera di Giovan<br />
Francesco Capoferri, «ma li disegni furono de man de<br />
Lorenzo Lotto» appunta il Michiel) 247 non è centrata soltanto<br />
sulla sfortuna storica dell’artista. Berenson tocca<br />
punti essenziali ancora oggi che la grandezza di Lotto è<br />
tanto piú solida e storicamente obiettive appaiono le<br />
ragioni <strong>della</strong> sua emarginazione cr<strong>it</strong>ica. Le tarsie di Bergamo<br />
non sono assimilabili agli schemi di narrazione semplificata<br />
e all’evidenza prospettica che erano tradizionali<br />
nelle tarsie; al contrario, quelle forme narrativamente<br />
distese nello spazio, oppure simbolicamente rarefatte,<br />
corrispondono ad una diversa possibil<strong>it</strong>à di percezione<br />
intensiva e replicata, nel senso, appunto, <strong>della</strong> moderna<br />
illustrazione libraria e delle stampe düreriane. In secondo<br />
luogo, facendo riferimento all’«interpretazione» biblica,<br />
Berenson evidenziò l’assoluta assenza di routine iconografica<br />
che rivelano queste immagini scr<strong>it</strong>turali. Le lettere<br />
recentemente r<strong>it</strong>rovate non lasciano dubbi sulla<br />
responsabil<strong>it</strong>à personale e le difficoltà cui andò incontro<br />
l’artista veneziano. Non a caso alle tarsie di Bergamo si<br />
è immediatamente appoggiato chi ha rest<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o al Lotto il<br />
frontespizio <strong>della</strong> Bibbia tradotta da Antonio Brucioli 248 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 103
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
La frase di Berenson rischia di mettere fuori strada,<br />
come è ovvio, dove accenna a Bergamo come c<strong>it</strong>tà di<br />
provincia. Piú in particolare l’immagine <strong>della</strong> provincia<br />
(cosí ottocentesca) potrebbe suggerire una subalternanza<br />
veneziana. Ed è invece il radicamento a Bergamo<br />
<strong>della</strong> cultura prospettica lombarda, bramantesca (apertamente<br />
omaggiata da Lotto stesso nella pala di San<br />
Bartolomeo) che consente di vedere, nel coro di Santa<br />
Maria Maggiore, un piú deliberato rifiuto delle tipologie<br />
decorative consuete in queste circostanze. È necessario<br />
insistere sul fatto che non si trattava di un coro<br />
monastico. Per quanto rimanesse l<strong>it</strong>urgicamente riservato,<br />
quello spazio faceva parte di un edificio di culto i<br />
cui caratteri erano largamente civili.<br />
Ma la possibil<strong>it</strong>à di quell’ined<strong>it</strong>a lettura biblica è<br />
condizionata, soprattutto, da una decisione presa nel<br />
corso dei lavori. Si volle che le tarsie preziosamente<br />
lavorate rimanessero protette e venissero scoperte solo<br />
in occasioni festive. Le immagini dei «coperti» (tarsie<br />
di semplice realizzazione lignaria) dovevano alludere<br />
sinteticamente al racconto biblico piú diffusamente<br />
esposto nella tarsia sottostante. Sarebbe ingenuo<br />
ridurre questa decisione ad un semplice scrupolo<br />
di salvaguardia materiale. Occorre invece riconoscere<br />
il piú stretto legame fra queste tarsie e l’organizzazione<br />
l<strong>it</strong>urgica. Si configurano due sequenze visive<br />
profondamente differenziate, alternative per codice e<br />
tempi di lettura. Ad ogni stallo, ad ogni evento, viene<br />
perciò a corrispondere un doppio registro di memoria<br />
scr<strong>it</strong>turale, un suggerimento esegetico d’implic<strong>it</strong>azione/esplicazione.<br />
Si riconosce in questo un tratto tipico<br />
dell’esperienza religiosa <strong>della</strong> matura stagione umanistica<br />
249 . Ma le particolari condizioni di comm<strong>it</strong>tenza<br />
e di lavoro esegu<strong>it</strong>o a distanza consentono al p<strong>it</strong>-<br />
Storia dell’arte Einaudi 104
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
tore margini d’iniziativa non trascurabili, per quanto<br />
non pacifici:<br />
Ho rassetato li doi desegni con grande impaccio – scriveva<br />
il 10 febbraio del ’28. [...] Se ’l par errore el mio, non<br />
è, per rispeto del acomodarmi, etiam per la libertà datami.<br />
Ma chi vedesse el texto de la Bibia con le inventione date<br />
da maestro Hieronymo, trovaria magior li soi, perché io<br />
l’ho veduti con farli vedere de qui ad homini da ben,<br />
valenti theologi et predicatori 250 .<br />
L’insistenza con cui il Lotto seguí e consigliò il Capoferri<br />
dimostra che non gli sfuggiva la natura particolare<br />
<strong>della</strong> tecnica che avrebbe dato corpo a quelle immagini.<br />
Lotto ebbe anzi presente, fin dal primo momento, la<br />
condizione cromatica, piú semplice e scand<strong>it</strong>a, <strong>della</strong> tarsia,<br />
il particolare gusto del Capoferri per i dettagli disegnativi<br />
e le trame grafiche. È bene confrontare le tarsie<br />
derivate dai disegni lotteschi con quella Annunciazione<br />
che il Capoferri aveva esegu<strong>it</strong>o «per mostra». Il p<strong>it</strong>tore<br />
seppe farsi capire dall’intarsiatore appunto perché fu<br />
cosciente che non si trattava di trasferire nel legno un<br />
assetto p<strong>it</strong>torico in formato di pre<strong>della</strong>, ma di far corrispondere<br />
a quelle condizioni formali e alla correlata<br />
disposizione percettiva una piú fertile semplic<strong>it</strong>à d’immagine.<br />
A Bergamo venne dunque ipotizzato un nuovo,<br />
eventuale sviluppo <strong>della</strong> tarsia postprospettica. Le sue<br />
probabil<strong>it</strong>à di successo avevano davanti gli stessi orizzonti<br />
storici che si aprivano a quella libertà di riflessione<br />
e discussione in cui si ag<strong>it</strong>ava la «mente turbata» di<br />
Lorenzo Lotto.<br />
Il livello espressivo con cui Lotto identificò le scene<br />
narrative fa riferimento ad una memoria visiva molto<br />
ampia, «popolare». Sono frequenti quinte e cubature<br />
prospettiche, ma come se nascessero dalla scioltezza<br />
improvvisa del racconto; hanno lo stesso ingombro lieve<br />
Storia dell’arte Einaudi 105
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
e convenzionalmente fuori scala <strong>della</strong> cappella di un<br />
sacro monte. Nella storia di David le fasi diverse <strong>della</strong><br />
narrazione si snodano attorno a «quel mirabile teatrino<br />
di luci e penombre che è la corte di David» (Arcangeli).<br />
Il racconto simultaneo del Lotto riprende dunque<br />
la plural<strong>it</strong>à di luoghi, di azioni del teatro medievale.<br />
Dove l’occasione figurativa corrisponde ad una sequenza<br />
d’immagini, nell’oratorio di Trescore come nel coro<br />
di Bergamo, Lotto moltiplica e raccorda i luoghi dell’azione<br />
lungo il filo di un’unificante emozione simbolica:<br />
appunto come nel Sacro Monte gaudenziano 251 . La<br />
struttura prospettica, la sua rigorosa atemporal<strong>it</strong>à sono<br />
capovolte. Ma la simbolic<strong>it</strong>à «teatrale», che Lotto<br />
imprime a quella semplicissima scatola spaziale che è al<br />
centro delle storie di David cresce anche su un ricordo<br />
prospettico.<br />
Le figurazioni dei «coperti», che sono insist<strong>it</strong>e su un<br />
materiale immaginario di incredibile rarefazione intellettuale,<br />
portano immediatamente lontano dalle consuetudini<br />
formali ed iconografiche <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura. In direzione<br />
dell’illustrazione libraria le riconduce spontaneamente<br />
un’osservazione di Longhi: «sono le invenzioni<br />
simboliche piú squis<strong>it</strong>e che l’arte veneziana ci abbia<br />
offerto dopo le illustrazioni del “Polifilo”» 252 . Ma le<br />
parole dirette, memorabili del Lotto chiariscono anche<br />
quanto fossero lontani gli equilibri dell’avventura<br />
psico-lessicale di Francesco Colonna, i tempi di Aldo e<br />
del tranquillo oltranzismo classicista dei Lombardo:<br />
Circha li disegni de li coperti, sapiate – scriveva ai<br />
comm<strong>it</strong>tenti – che son cose che non essendo scr<strong>it</strong>te, bisogna<br />
che la imaginatione le porti a luce: perciò mai me sono<br />
venute di vena pur una, et non me meraviglio de niente<br />
perché mal son careciato da voi, anci svil<strong>it</strong>o et v<strong>it</strong>uperato<br />
et menaciato in le vostre lettere 253 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 106
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
In un momento di piú pacifica intesa con i fabbriceri<br />
bergamaschi, quasi tre anni dopo, Lotto autorizza<br />
una valutazione saturnina di se stesso e del proprio<br />
lavoro:<br />
Ho per la v.ra lettera sent<strong>it</strong>o gran consolation, de<br />
maniera che tute le inventione de le tavolete ho trovato in<br />
doi zorni che in un uno anno mai ho possuto cavar dal mio<br />
cervelazo una minima cosa a tal bisogno 254 .<br />
In qualche caso Lotto indica i «coperti» come<br />
«imprese». Ma è evidente che la loro elaborazione corrisponde<br />
tanto piú direttamente all’interesse umanistico<br />
per i geroglifici di Orapollo, per le ver<strong>it</strong>à profonde e<br />
nascoste nel linguaggio dei sacerdoti egizi, che non alle<br />
imprese cinquecentesche codificate dall’Alciati e dal<br />
Giovio 255 . Nelle tarsie bergamasche non c’è la sigla logico-grafica<br />
di un soggettivo propos<strong>it</strong>o morale. In maniera<br />
tanto piú difficoltosa quanto maggiormente vincolante<br />
alla riflessione, si ripropongono piú universali condizioni<br />
di esistenza religiosa. Le lettere dell’artista testimoniano<br />
tutta la sua partecipazione affettiva nel trovare<br />
un trans<strong>it</strong>o espressivo fra logico e visibile, fra verbo<br />
ed immagine. I due termini coincidono, funzione simbolica<br />
e funzione rappresentativa si sovrappongono nella<br />
tangibilissima consistenza del simbolo 256 . La sua potenza<br />
visiva non è piú quella platonica del numero, <strong>della</strong><br />
proporzione, dei corpi regolari, ma spesso ha un’immediatezza<br />
fisica imprevedibilmente corporale, una v<strong>it</strong>al<strong>it</strong>à<br />
di forme e di luce che non potrà piú toccare a Blake.<br />
Qualcosa di simile ad una vera «impresa», per quanto<br />
mal decifrabile, è fra le tarsie di Pisa. Non sono però<br />
queste occasioni tematiche a segnare gli sviluppi conclusivi<br />
<strong>della</strong> tarsia rinascimentale. La linea innovativa<br />
del Cinquecento agisce piuttosto sulle qual<strong>it</strong>à sensibili<br />
dell’artificio operativo, sull’impreziosimento di una<br />
Storia dell’arte Einaudi 107
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
materia che vede quasi contraddetta la sua naturalezza<br />
meccanica. La pazienza del fare e l’epos intellettualistico<br />
che esalta e rende incerti i sensi ci riportano in amb<strong>it</strong>o<br />
conventuale, ma ormai lontani dal problema religioso<br />
di uomini come Lorenzo Lotto.<br />
11. Fra Damiano e l’es<strong>it</strong>o virtuosistico <strong>della</strong> tarsia.<br />
Nel 1521, poco prima che venisse assunto per il coro<br />
di Santa Maria <strong>della</strong> Misericordia, il Capoferri si<br />
accordò con fra Damiano Zambelli: avrebbe trascorso<br />
un anno con il converso domenicano ad imparare l’arte<br />
<strong>della</strong> tarsia 257 . Non si tratta di un vero discepolato, quanto<br />
piuttosto di una specie di perfezionamento. Ciò non<br />
toglie che fra i due intarsiatori esista un tram<strong>it</strong>e di cultura;<br />
e che esso risalga ad un indirizzo già da tempo operante<br />
in Lombardia: su campi di figurazione assai<br />
profondi, senza la sintesi meccanico-prospettica del<br />
Quattrocento, ma aprendo alla descrizione arch<strong>it</strong>ettonica<br />
e paesistica, si faceva un uso piú elaborato e «p<strong>it</strong>torico»<br />
del legno. Sorprende, pertanto, la notizia di un<br />
osservatore contemporaneo ed attento come il Michiel,<br />
a propos<strong>it</strong>o <strong>della</strong> prima grande opera di fra Damiano,<br />
esegu<strong>it</strong>a per il convento cui era aggregato.<br />
In la Cappella maggiore li banchi di tarsia sono de man<br />
de Fra Damian Bergamasco Converso in S. Domenego, che<br />
fu discepolo de Fra... Schiavon in Venezia. Li disegni de<br />
d<strong>it</strong>te tarsie furono de mano de Trozo da Monza e de Bernardo<br />
da Trevi, del Bramantino, e altri, e sono istorie del<br />
Testamento Vecchio e prospettive 258 .<br />
L’olivetano Sebastiano da Rovigno era morto a Venezia<br />
nel 1505. Ed è tanto piú difficile che fra Damiano<br />
fosse stato suo allievo se già attorno a tale data si fanno<br />
Storia dell’arte Einaudi 108
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
risalire (come è stato sugger<strong>it</strong>o) i primi cartoni per le tarsie<br />
bergamasche. Oltre allo stile lignario, scarta da una<br />
traiettoria che dovette s<strong>it</strong>uarsi tra i Lendinara e Giovanni<br />
da Verona, il fatto che, per tarsie di «<strong>prospettiva</strong>»,<br />
ci si rivolgesse a p<strong>it</strong>tori-arch<strong>it</strong>etti.<br />
Le prime tarsie di fra Damiano anticipano il coro del<br />
Capoferri nella scelta dei temi narrativi (quindi non<br />
strettamente prospettici) e nelle occasioni di scambio<br />
con l’illustrazione libraria. Per una tavola del suo V<strong>it</strong>ruvio<br />
volgare (1521), il Cesariano adattò infatti lo stesso<br />
disegno di una tarsia bergamasca. Visto lo stretto giro<br />
di date, c’è da pensare che egli sia fra gli «altri» autori<br />
sottaciuti dal Michiel. Non è il caso di entrare nel campo<br />
di queste identificazioni, per quanto il dilettante veneziano<br />
possa dare stimolo ed indirizzi alla nostra curios<strong>it</strong>à.<br />
Gli accertamenti sulle tarsie non sono meno difficoltosi<br />
del consueto. Alcuni dei pannelli che si usava<br />
riferire al Bramantino sono stati spostati, con migliore<br />
possibil<strong>it</strong>à, allo Zenale 259 . Non ci sono comunque alternative<br />
radicali. Fra Damiano fece riferimento ad un’esperienza<br />
prospettica sostanzialmente omogenea. Si<br />
direbbe però che l’indirizzo «p<strong>it</strong>torico» dell’arch<strong>it</strong>ettura<br />
lombarda a partire da Bramante; le perdute trattazioni<br />
prospettiche dei p<strong>it</strong>tori; la stessa immagine professionale<br />
di p<strong>it</strong>tori-arch<strong>it</strong>etti come Zenale o Bramantino,<br />
abbiano aiutato a scalzare il ruolo di progettazione<br />
dei <strong>maestri</strong> di tarsia. E, come è già stato ripetuto, è interessante<br />
che fra Damiano continuasse a servirsi di quei<br />
modelli anche dopo il suo trasferimento a Bologna<br />
(1526). Non c’è piú bisogno di sottolineare che proprio<br />
il r<strong>it</strong>orno di questi temi prospettici fin verso la metà del<br />
secolo, in contesti tanto mutati, stia ad indicare come<br />
la tarsia avesse ormai scavato una sua area di peculiar<strong>it</strong>à<br />
figurativa. È ora opportuno vedere come si determinò<br />
tale adattamento, che corrisponde alla consacrazione<br />
vasariana di fra Damiano.<br />
Storia dell’arte Einaudi 109
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Un indice molto esplic<strong>it</strong>o è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o proprio dalle<br />
modifiche fatte sui due cartoni lombardi ripresi per i<br />
pannelli del dossale del presb<strong>it</strong>erio (1528-30), a San<br />
Domenico. In basso furono aggiunti alcuni gradini; in<br />
alto, alcune strutture arch<strong>it</strong>ettoniche di chiusura, protese<br />
in avanti, hanno lo stesso valore di mediazione proporzionale.<br />
La narrazione arch<strong>it</strong>ettonica bramantesca e<br />
lombarda trova cosí un inf<strong>it</strong>timento retorico degli argomenti.<br />
Si innesta sugli sviluppi postbramanteschi e<br />
romani che andavano quasi configurando un’identificazione<br />
elettiva fra figurazione prospettica e nuova scena<br />
teatrale. Da Bologna era già passato il Peruzzi, che di<br />
quello svolgimento è il cardine: il cartone Bentivoglio<br />
poteva interessare come modello di scena affollatissima<br />
e diminu<strong>it</strong>a in funzione dell’arch<strong>it</strong>ettura. Le tarsie bolognesi<br />
di Raffaele da Brescia, per quanto diversamente<br />
orientate, dovevano certo attirare dove fingevano soluzioni<br />
di proporzionamento in scala con l’osservatore.<br />
Per i disegni delle prospettive di fra Damiano, la tradizione<br />
mette avanti due nomi: il Vignola e il Serlio. Se<br />
il ricordo di Vasari è giusto, il Vignola va riconosciuto<br />
nell’Annunciazione esegu<strong>it</strong>a per Francesco Guicciardini,<br />
al tempo in cui fu governatore a Bologna. Alle accentuazioni<br />
«sceniche» delle tarsie bolognesi di fra Damiano<br />
sembra corrispondere piú spontaneamente il nome<br />
del Serlio, che si potrebbe riconoscere nei caratteri quasi<br />
da «scena di commedia» di alcuni fondali edilizi nella<br />
spalliera <strong>della</strong> Cappella dell’Arca (1530-35), trasformata<br />
poi nei banchi <strong>della</strong> sacrestia 260 . Ma per lui, come per<br />
tutto quanto accenna ad un apprezzamento in senso<br />
«teatrale», bisogna controllare con molta attenzione il<br />
registro cronologico. Non occorre, comunque, sopravvalutare<br />
la questione dell’autografia dei cartoni. Nel<br />
reimpiego, almeno in parte, è l’intarsiatore a spostare i<br />
pezzi del gioco prospettico.<br />
In un senso diverso, opposto anzi, a quello lendina-<br />
Storia dell’arte Einaudi 110
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
resco, la qual<strong>it</strong>à prospettica <strong>della</strong> figurazione non potrà<br />
essere separata dai modi <strong>della</strong> sua definizione nella tarsia.<br />
Tra Bergamo e Bologna è maturata un’ulteriore evoluzione<br />
«p<strong>it</strong>torica» e, in ordine a tale istanza, anche un<br />
deciso salto qual<strong>it</strong>ativo. L’ord<strong>it</strong>o spiegatissimo degli<br />
spazi non conosce la scomposizione/ricomposizione<br />
lignaria e cromatica delle tarsie parmensi (che fra Damiano<br />
certamente vide) 261 , ma s’incorpora nella fior<strong>it</strong>issima<br />
varietà <strong>della</strong> superficie. Al trattamento artificiale dei<br />
legni, secondo la tradizione lombarda, si accosta ora<br />
una puntigliosa ricerca dei valori grafici del legno: tanto<br />
sorprendenti in se stessi, quanto sganciati da una possibil<strong>it</strong>à<br />
sintattica di strutturazione visiva; momenti di<br />
autonoma, minuta camp<strong>it</strong>ura, destinati a scandire l’artificio<br />
operativo. Servono a tali valori grafici i difficoltosissimi<br />
tagli derulati (con l’effetto di ondeggiature<br />
parallele), l’inclinazione a 45 gradi di trame regolari, i<br />
frequentissimi innesti di legni conglomerati, le radiche.<br />
Ad evidenziare l’operazione tutta mentale con cui s’intese<br />
quasi nascondere l’immediatezza fisica delle essenze,<br />
ricavandone effetti figurativi a sorpresa o sovrapponendo<br />
una f<strong>it</strong>tissima trama pirografata, fra Damiano<br />
inserí materie diverse dal legno: peltro e madreperla.<br />
Anche piú conseguentemente, per tale carattere polimaterico,<br />
l’opera di tarsia acquista un’autonoma ident<strong>it</strong>à<br />
di oggetto, indipendente da qualsiasi struttura lignea<br />
che non sia una cornice: appunto come nei «quadri» che<br />
fra Damiano eseguí per il cardinal Salviati, per il Guicciardini,<br />
nella Crocifissione donata a Carlo V (che, per<br />
soggetto almeno, corrisponde ad un pannello del Museo<br />
Davia Bargellini) 262 . L’eccezional<strong>it</strong>à <strong>della</strong> tecnica riscatta<br />
la dipendenza dal disegno (secondo la gerarchia vasariana),<br />
riassorbendo anche l’eventuale, diversa origine<br />
dei presupposti p<strong>it</strong>torici (come nel caso delle vecchie<br />
prospettive lombarde del primo Cinquecento).<br />
Ma l’apprezzamento <strong>della</strong> tarsia p<strong>it</strong>torica di fra<br />
Storia dell’arte Einaudi 111
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Damiano poteva scorrere anche su un parametro diverso<br />
da quello vasariano. Contro la nozione sostanzialmente<br />
strumentale che <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong> ha lo scr<strong>it</strong>tore<br />
toscano, la pagina dedicata all’intarsiatore da un vecchio<br />
gentiluomo come Sabba Castiglione prende avvio dalla<br />
considerazione che le immagini prospettiche «sono a gli<br />
intelligenti piú grate che vaghe a gli occhi di coloro che<br />
meno intendono». Partendo dai modelli prebramanteschi,<br />
il Castiglione (lombardo e verosimilmente coetaneo<br />
dell’intarsiatore) si rende conto che la distinzione fra<br />
figurazione di arch<strong>it</strong>ettura e figurazione di storia è cosa<br />
passata e afferra la nuova perspicu<strong>it</strong>à espressiva del lavoro<br />
di commesso. Parlando degli «ornamenti <strong>della</strong> casa»,<br />
il frate cavaliere rimo<strong>della</strong> sul proprio studiolo di Faenza<br />
una ideale fenomenologia delle scelte possibili. Fra<br />
queste c’è<br />
chi le adorna [le camere e gli studii] di commesso di mano<br />
di fra Giovanni da Monte Oliveto, o di fra Rafaello da Brescia,<br />
o delli Legnaghi [evidentemente i Lendinara, scambiando<br />
la c<strong>it</strong>tà di origine con la vicina Legnago], <strong>maestri</strong><br />
eccellentissimi in simil essercizii, massimamente nelle prospettive.<br />
Ma sopra tutto chi le puote avere le appara et<br />
adorna con le opere piú tosto divine che umane del mio<br />
padre fra Damiano de Bergamo dell’ordine de’ predicatori,<br />
il quale non solo nelle prospettive, come quest’altri<br />
buoni <strong>maestri</strong>, ma nelli paesi, nelli casamenti, nelli lontani<br />
e, ch’è piú, nelle figure, fa con il legno quello che a pena<br />
farebbe il grand’Appelle con il pennello, anzi a me pare che<br />
li colori di quei legni siano piú vivi, piú accesi e piú vaghi<br />
di quelli che usano li p<strong>it</strong>tori, di sorte che questi dignissimi<br />
lavori si possono dire essere una nuova p<strong>it</strong>tura eccellentemente<br />
color<strong>it</strong>a senza colori; cosa molto ammiranda,<br />
ancor che non manco di maraviglia sia che, essendo le<br />
opere di commesso, l’occhio, quanto piú si affatica, tanto<br />
manco si comprendono le commissure: che non è senza stupore<br />
de’ risguardanti 263 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 112
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Il paragone con la p<strong>it</strong>tura (svolto da Vasari in senso<br />
sfavorevole alla tarsia) è un riferimento pos<strong>it</strong>ivo. L’autonomia<br />
espressiva <strong>della</strong> tecnica non ne esce contraddetta.<br />
Il Castiglione si era formato in tempi in cui potevano<br />
sembrare meno totalizzanti le capac<strong>it</strong>à mimetiche<br />
<strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura.<br />
A questo propos<strong>it</strong>o, occorre però fare attenzione; e<br />
non confondere le evocazioni un po’ nostalgiche del collezionista<br />
con l’aria che tira in tutto il suo libretto. Non<br />
si tratta, come dice Schlosser, di «un’amabile autobiografia»;<br />
i suoi Ricordi non «appartengono ancora interamente<br />
al tempo prima del Vasari». L’elogio di fra<br />
Damiano non per caso culmina dichiarando l’«onestà<br />
<strong>della</strong> sua religiosa e santa v<strong>it</strong>a»: che è un giudizio idealmente<br />
contrapposto a quello del Lotto. Per quanto<br />
Sabba Castiglione potesse sentirsi legato, se si trattava<br />
di studioli, al tempo in cui il suo illustre parente aveva<br />
ambientato il Cortegiano, per quanto i Ricordi si aprano<br />
e richiudano smuovendo una questione ormai lontana<br />
come quella <strong>della</strong> lingua, tutto il libretto (almeno nella<br />
prima edizione, di cui non faceva parte il brano c<strong>it</strong>ato)<br />
affonda nella s<strong>it</strong>uazione tridentina, è ossessivamente<br />
rivolto alla «mortale e sozza lebbra luterana» 264 . Le sue<br />
venticinque ristampe antiche ne sono la conferma.<br />
Non è ora il caso di cercare una piú sotterranea ragione<br />
contestuale per quegli squarci nostalgici rivolti ad una<br />
diversa stagione del costume intellettuale. Ma entro<br />
questa oscillazione in senso controriformato si può afferrare<br />
meglio il tono piú castigato dell’ultimo fra Damiano:<br />
non tanto nel coro di San Domenico (che per l’emergenza<br />
degli aiuti, segu<strong>it</strong>a alla morte dell’intarsiatore,<br />
non «si potrà int<strong>it</strong>olare», come invece si auspicava<br />
il Castiglione, «l’ottavo spettacolo del mondo»), ma nei<br />
lavori esegu<strong>it</strong>i fra il ’47 e il ’49 per la Cappella <strong>della</strong><br />
Bastia d’Urfé (oggi al Metropol<strong>it</strong>an Museum) 265 . In uno<br />
spazio ristretto, moralmente arginato dalla decorazione<br />
Storia dell’arte Einaudi 113
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
come uno studiolo umanistico spinto fino all’età tridentina,<br />
le tarsie di fra Damiano si saldarono ad una<br />
serie d’immagini di un classicismo quasi espiato, da settimana<br />
di passione, dipinte dal Siciolante da Sermoneta.<br />
Esse dovevano corrispondere bene alle esigenze<br />
med<strong>it</strong>ative di un gentiluomo passato dalla frequentazione<br />
(possibile) del circolo di Margher<strong>it</strong>a di Navarra alle<br />
sessioni del concilio. Nel consueto riuso dei cartoni, fra<br />
Damiano destinò ad una visione centrata e piú intensiva<br />
alcuni temi che nel coro bolognese trovano collocazioni<br />
meno privilegiate: cubi vuoti a sportelli, di costruzione<br />
semplicissima ma di complicazione spaziale quasi<br />
ossessiva, posati su scacchiere deformate dalla loro stessa<br />
imminenza. Può darsi che questo r<strong>it</strong>orno prospettico<br />
possa avere anche un significato in direzione del simbolismo<br />
mistico e matematico del secondo Cinquecento<br />
francese. Ma in un’altra visuale, questa spoglia tensione<br />
geometrica ricorda come le attenzioni prospettiche<br />
andassero trovando una loro tipic<strong>it</strong>à da convento. In tal<br />
senso sembra già muoversi il francescano Domenico de’<br />
Fossi cost<strong>it</strong>uendo il suo repertorio di temi decorativi,<br />
che deve qualcosa anche al lessico degli intarsiatori. Una<br />
disciplina <strong>della</strong> pazienza e dell’astrazione prevale sull’eventuale<br />
ragione operativa di quei modelli.<br />
La cultura di fra Damiano non fu in contraddizione<br />
con gli sviluppi p<strong>it</strong>torici <strong>della</strong> tarsia «laica» a Bologna 266 ;<br />
ma è naturale che la sua diffusione fosse dovuta alla diaspora<br />
di una bottega reclutata fra familiari e confratelli.<br />
Nel coro di Genova, il pannello con Mosè salvato<br />
dalle acque è replica fedele di quello nella spalliera di San<br />
Domenico; ma a firmarlo fu Giovanni Francesco Zambelli<br />
267 . Frate Antonio da Lunigiana, per una porta del<br />
convento domenicano di Lucca, San Romano, riprese<br />
quella stessa Nativ<strong>it</strong>à (forse memore <strong>della</strong> nota stampa<br />
di Nicoletto da Modena) che compare nel coro bolognese,<br />
cui aveva collaborato. In coerenza con gli es<strong>it</strong>i<br />
Storia dell’arte Einaudi 114
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
ultimi di fra Damiano, nelle parti non narrative, r<strong>it</strong>orna<br />
sui temi prospettici con astrazione piú incup<strong>it</strong>a 268 .<br />
Le tarsie che Benedetto e Battista Virchi eseguirono<br />
per San Francesco di Brescia, piú che col rientro in<br />
Lombardia di Giovanni Francesco Zambelli, si spiegano<br />
con lo sviluppo delle premesse lombarde di fra<br />
Damiano 269 . Al successo <strong>della</strong> formula del converso<br />
domenicano rimandano ancora i pannelli che dopo il<br />
1570 Paolo Gaza intarsiò per il coro di Santa Maria<br />
sopra San Celso. Ma la tarsia è nuovamente e rigorosamente<br />
subordinata alla struttura decorativa del complesso:<br />
sicché è leg<strong>it</strong>timo l’orgoglio di Galeazzo Alessi<br />
quando, a propos<strong>it</strong>o del coro milanese, parla di «un<br />
disegno molto nobile e ricco da me fatto» 270 .<br />
Le incorniciature marcanti, ad intaglio profondo o<br />
figurate in piano, che scandiscono e raccordano i quadri<br />
di tarsia già come sulle pareti di una galleria, caratterizzano<br />
l’ultimo, sorprendente episodio cinquecentesco:<br />
la decorazione <strong>della</strong> sacrestia di San Martino a<br />
Napoli (terminata nel 1600). I colonnati a distesa, le<br />
volte altissime, le strutture sterminate e senza corpo<br />
potrebbero definire la fantasia tardomanieristica di una<br />
stazione ferroviaria dell’Ottocento; sembrano appoggiate,<br />
con tettonica incastonatissima ed inesistente, da<br />
un pasticciere di classe incredibile. Direttamente legate<br />
alla cultura nordica di un incisore come il De Vries, queste<br />
tarsie capovolgono l’immagine prospettica in una<br />
festosissima «van<strong>it</strong>as van<strong>it</strong>atum», nella piú spettacolare<br />
negazione di ogni possibile costruzione intellettuale.<br />
Storia dell’arte Einaudi 115
Cap<strong>it</strong>olo terzo<br />
Temi<br />
La compattezza tematica delle tarsie dipende dalla<br />
loro particolare condizione decorativa, dal trovarsi quasi<br />
sempre in luoghi destinati ad una percezione particolarmente<br />
riflessiva e in fasce d’intensa calam<strong>it</strong>azione<br />
ottica. A tali requis<strong>it</strong>i visivi debbono corrispondere<br />
immagini già virtualmente organizzate nella disposizione<br />
di chi osserva. La stabil<strong>it</strong>à dei temi, prima di essere<br />
inconsapevole ered<strong>it</strong>à di mestiere o vincolante ab<strong>it</strong>udine<br />
ornamentale, è esigenza d’uso astrattivo. Pertanto, a<br />
chiusura del suo canonico saggio del 1953, André Chastel<br />
ricordò i soggetti che compaiono in sacrestie e cori<br />
secondo questa semplicissima suddivisione di tipologie:<br />
1) il falso armadio che scopre una «natura morta» l<strong>it</strong>urgica;<br />
2) la finestra illusoria che inquadra un’apertura prospettica;<br />
3) la finta nicchia che scherma la statua di un<br />
santo o una figura allegorica. Chastel richiamò le origini<br />
trecentesche di tali tipologie, notando come esse si<br />
fossero poi estese alla circostanza laica dello studiolo di<br />
Urbino.<br />
Nei primi due paragrafi di questo cap<strong>it</strong>olo ci si occuperà<br />
<strong>della</strong> «finestra illusoria». Nei due conclusivi, <strong>della</strong><br />
prima tipologia. La terza, nella formulazione di Chastel,<br />
implica cr<strong>it</strong>eri illusivi piú spinti, quindi meno consueti.<br />
Conosciamo ormai gli amb<strong>it</strong>i e, soprattutto, le fasi ultime<br />
in cui gli intarsiatori vollero tentar l’illusione non di<br />
un corpo volumetrico, ma di una superficie p<strong>it</strong>torica.<br />
Storia dell’arte Einaudi 116
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Quando emergono le tarsie di «storia», si è ormai derogato<br />
da quell’identificazione conosc<strong>it</strong>iva su cui si fondò<br />
il nesso quattrocentesco fra incastro ligneo e pura immagine<br />
geometrica; di fatto, un tipo di osservatore ha cessato<br />
di esistere. Nei cori padani, in maniera particolare,<br />
si era imposto un cr<strong>it</strong>erio di alternanza fra «prospettive»<br />
e «nature morte». Esso si fondava sul regolare intervallo<br />
cromatico del rovere «affogato», inser<strong>it</strong>o nel fondo<br />
scuro delle «nature morte». Tale cr<strong>it</strong>erio di organizzazione<br />
metrica fu ered<strong>it</strong>ato e diffuso da Giovanni da<br />
Verona. Esso sembra riflettersi, fra l’altro, anche in<br />
altre circostanze decorative: ad esempio, nella Cappella<br />
Piccolomini, il Pinturicchio riuscí a distribuire le gesta<br />
papali avvicendando (salvo un’unica interruzione)<br />
ambientazioni prospettiche e piú liberi sfondi naturali.<br />
Questo cap<strong>it</strong>olo non cost<strong>it</strong>uisce tuttavia un tentativo<br />
di quella storia delle varianti tipologiche e <strong>della</strong> loro<br />
combinazione allora auspicata da Chastel. Una storia<br />
effettiva di quei temi non si costruisce attraverso i separati<br />
accumuli di un’iconologia generica, ma individuando<br />
precisi organismi iconografici. Se perciò ci si azzarderà<br />
ad enunciare alcune valenze simboliche, è solo per<br />
cercar di fornire a chi ha segu<strong>it</strong>o gli sviluppi del secondo<br />
cap<strong>it</strong>olo una mappa di primo orientamento, da decifrare<br />
autonomamente nella concretezza dei diversi<br />
momenti storici ed ambientali. Le pagine dedicate al<br />
tema <strong>della</strong> «finestra illusoria» insistono invece sulle<br />
«regole» con cui sembra corretto affrontare tali documenti<br />
figurativi.<br />
1. Immagini <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà.<br />
Negli studi di taglio monografico, dove talvolta l’avvicinamento<br />
al tema delle tarsie coincide con una sensibile<br />
attenzione al passato locale, accade spesso che ven-<br />
Storia dell’arte Einaudi 117
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
gano riconosciute precise allusioni ad edifici ed ambienti<br />
urbani, superst<strong>it</strong>i o meno. In effetti il tema <strong>della</strong> referenza<br />
ad un luogo reale percorre in maniera estesa e<br />
caratterizzante gli sviluppi di quest’arte: a partire dai<br />
cori padovani del Santo (per quel poco che ne rimane)<br />
e di Santa Giustina. Questo tema non interessa gli intarsiatori<br />
fiorentini (non se ne stanno a ripetere le ragioni;<br />
mentre altro è il senso delle prospettive urbane quando<br />
riappaiono nel taglio largo ed orizzontale dei cassoni);<br />
ma è comunque diffuso a Sud degli Appennini: lungo la<br />
costa adriatica (coro di Pesaro), come su quella tirrenica<br />
(a Pisa, come sub<strong>it</strong>o si vedrà; negli stalli lucchesi di<br />
Ambrogio e Nicolao Pucci; fino a quelli napoletani <strong>della</strong><br />
Certosa di San Martino).<br />
Lasciamo perdere le osservazioni troppo ingenuamente<br />
coperte dall’ombra del natio campanile. Fra quanti<br />
si sono occupati da vicino delle tarsie, chi ha cercato<br />
di valorizzarne sistematicamente le potenzial<strong>it</strong>à documentarie<br />
in ordine alla storia urbanistica è stato Arturo<br />
Carlo Quintavalle 271 . «Nelle tarsie <strong>della</strong> scuola lendinarese»,<br />
egli è giunto a riconoscere, «a Parma come a<br />
Modena come a Padova, vedute reali <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà, vedute<br />
dei punti chiave, dei punti determinanti del tessuto<br />
arch<strong>it</strong>ettonico urbano». Piú in particolare, nel caso studiato<br />
da Quintavalle, che è il coro <strong>della</strong> Cattedrale di<br />
Ferrara, Bernardino da Lendinara avrebbe dato «una<br />
veduta tanto interessante e nuova, quanto preziosa per<br />
rest<strong>it</strong>uirci nel suo significato plastico-volumetrico la portata<br />
e il peso <strong>della</strong> riforma rossettiana» 272 . Senonché,<br />
come è già cap<strong>it</strong>ato di ricordare, otto delle tarsie in cui<br />
si dovrebbe riconoscere il «panorama realistico» <strong>della</strong><br />
nuova Ferrara si r<strong>it</strong>rovano tali e quali in San Pietro a<br />
Modena, riutilizzate da Gian Francesco Testa nel nuovo<br />
coro cinquecentesco.<br />
Accantoniamo pure il caso di Ferrara. C’è tuttavia<br />
una testimonianza d’archivio che sembrerebbe incorag-<br />
Storia dell’arte Einaudi 118
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
giare un uso obiettivamente documentario delle tarsie.<br />
I pannelli per cui il 6 ottobre del 1490, a Pisa, venne<br />
pagato Guido di Filippo da Seravallino furono indicati<br />
con inequivocabili riferimenti descr<strong>it</strong>tivi. «Il dilungharno<br />
cholla chiesa di San Matteo» e il «ponte a la<br />
Spina» sono ancora riconoscibili fra le tarsie pisane 273 .<br />
Ma si tratta anche di nomenclature utili in una circostanza<br />
amministrativa; dove comunque la specificazione<br />
di luogo si abbina a richiami generici («un’archo<br />
d’una porta», «cierti casamenti»). Ma queste tarsie<br />
erano poi effettivamente guardate come immagini realistiche<br />
<strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà? Il Colacio descrisse con gran cura il<br />
coro del Santo («Aedes, templa, cum campanis turres,<br />
fornicum fenestrarumque umbris, testudibus, surgentibus<br />
<strong>it</strong>em gradibus cum etiam inclinatis foribus»); ma in<br />
quel giudizio tutto percorso sul parametro <strong>della</strong> stupefazione<br />
illusiva («Elevo hic inhians supercilia, fio hic<br />
nimia admiratione», ecc.), nulla accenna a quella puntuale<br />
allusione topografica che caratterizza, quanto<br />
meno, una delle due sole tarsie superst<strong>it</strong>i 274 . E, proprio<br />
a riguardo del coro ferrarese, il duca Ercole I indicò Bernardino<br />
da Lendinara come l’«intagliator [...] deputato<br />
a fare li quadri cum li casamenti seu prospective che<br />
vano e che hano ad andare in dicto coro» 275 . Venivano<br />
dunque legati ad una generica memoria prospettica, e<br />
non ad una specificamente locale. L’interscambiabil<strong>it</strong>à<br />
di cartoni fra Ferrara e Modena, del resto, parla chiaro.<br />
Ma, al di là di ogni altra considerazione, un caso<br />
almeno delle tarsie ferraresi cost<strong>it</strong>uisce un inequivocabile<br />
e rilevante riferimento alla nuova organizzazione<br />
monumentale <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà: quella dove è riprodotto lo<br />
scalone coperto di Pietro Benvenuti. Si tratta allora di<br />
precisare, in queste immagini di c<strong>it</strong>tà, il rapporto fra<br />
momenti generici e momenti riconoscibili. La presenza<br />
di elementi reali, in una tarsia singola come nell’intera<br />
sequenza degli stalli, ha la funzione precipua di solleci-<br />
Storia dell’arte Einaudi 119
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
tare la verosimiglianza prospettica, di riflettere tale plausibil<strong>it</strong>à<br />
sul campo intero <strong>della</strong> figurazione urbanistica.<br />
«Non si rappresenta mai lo spazio, ma le cose consuete<br />
in date s<strong>it</strong>uazioni». E ancora Gombrich ricorda che «la<br />
<strong>prospettiva</strong> crea le sue illusioni piú efficaci quando può<br />
contare su certe inveterate attese e assunzioni da parte<br />
dell’osservatore» 276 . Gli stessi elementi reali, nelle tarsie,<br />
svolgono un ruolo di cerniera, di sigillo rispetto alle<br />
final<strong>it</strong>à illusive, sono i cardini mnemonici <strong>della</strong> trama<br />
prospettica. In tal senso, ma capovolto verso l’occhio di<br />
chi guarda, ha ragione Quintavalle ad insistere sui<br />
«punti chiave» e «determinanti» <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà.<br />
Non è dunque il caso di parlare di «veduta». La<br />
veduta, quale maturò fra Sei e Settecento, presuppone<br />
una mutata cognizione percettiva e fenomenica. Nasce<br />
sulle ceneri ormai spente <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong> rinascimentale.<br />
Potrà richiedere aggiustamenti compos<strong>it</strong>ivi, come<br />
cap<strong>it</strong>a anche a Canaletto, ma è cosa del tutto svincolata<br />
dalle vecchie ragioni di proporzional<strong>it</strong>à, sintesi, astrazione.<br />
Che, a farne la storia, possa tornare utile il preliminare<br />
quattrocentesco <strong>della</strong> geometrizzazione dello<br />
spazio sarà giusto, ma non fino al punto di riconoscere<br />
in quelle macchine (per aggregare il visibile) che furono<br />
le tavolette brunelleschiane l’effettivo atto di nasc<strong>it</strong>a. La<br />
veduta è «paesaggio storicamente obbiettivo» 277 , temporalizzato<br />
quindi, al contrario di qualsiasi «<strong>prospettiva</strong>»<br />
intarsiata. Con questo non si nega lo scarto profondo<br />
fra le opere dei Lendinara e quel notevole gruppo di<br />
tarsie che si collega al coro di San Giovanni Evangelista<br />
a Parma. Appunto: solo verso la metà del Cinquecento<br />
s’incontrano tarsie libere da una formalizzazione<br />
geometrica astrattiva, dilatate anzi in minute notazioni<br />
descr<strong>it</strong>tive.<br />
Solo tarando gli specifici condizionamenti di cultura<br />
figurativa, come del resto accade sempre a queste date,<br />
sarà possibile ricavare dalle tarsie qualche dato utile<br />
Storia dell’arte Einaudi 120
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
sulle morfologie edilizie del passato. Della c<strong>it</strong>tà rinascimentale,<br />
innanz<strong>it</strong>utto, esse rest<strong>it</strong>uiscono riflessi ideologizzati,<br />
progetti latenti, «immagine». Non si avrà ora la<br />
pretesa di entrare nel campo dei problemi <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà<br />
rinascimentale (neppure con richiami bibliografici). Si<br />
potrà solo richiamare, in rapporto alle tarsie, qualche<br />
elemento di differenziazione.<br />
A propos<strong>it</strong>o dell’armadio cremonese del Platina, ad<br />
esempio, è stato notato che gli elementi del paesaggio c<strong>it</strong>tadino<br />
sono «immediate riprese dei luoghi reali <strong>della</strong><br />
v<strong>it</strong>a collettiva, tipici <strong>della</strong> memoria [...] diversamente<br />
dai piú chiusi luoghi medievali delle tarsie dei Lendinara,<br />
resi episodici dal rapporto con la cornice illusionistica»<br />
278 . Abbiamo già visto che tale contrapposizione non<br />
vale in ordine a Lorenzo, quanto piuttosto a Cristoforo<br />
e Bernardino da Lendinara. Occorre però sottolineare<br />
che quelle loro prospettive urbane, non bloccate nella<br />
memoria e trascorrenti all’occhio, equivalgono ad un’immagine<br />
perfettibile <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà reale: non si tratta <strong>della</strong><br />
«c<strong>it</strong>tà ideale» dei principi e degli ingegneri quattrocenteschi,<br />
ma dell’ideale visualizzazione <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà esistente,<br />
<strong>della</strong> sua facies medievale. La sua concretezza è pertanto<br />
generica, non segnata da precise emergenze: cosí<br />
come è continuo e compatto l’organismo urbanistico<br />
medievale quando si prescinda dai grandi connotati simbolici<br />
dell’individual<strong>it</strong>à municipale (palazzo pubblico,<br />
cattedrale, ecc.). Del resto Cristoforo figurò chiese tradizionalmente<br />
romaniche. Cosí come alle soglie del Cinquecento,<br />
nella concreta realizzazione edilizia, furono<br />
ancora «romanici» gli arch<strong>it</strong>etti <strong>della</strong> via Emilia, dagli<br />
Zaccagni al Tramello. La c<strong>it</strong>tà anonimamente concreta,<br />
ma razionalizzata, di Cristoforo si accosta in qualche<br />
modo alla «coscienza c<strong>it</strong>tadina», ai valori ben vivi dell’ideologia<br />
comunale; è assai piú vicina all’umanesimo<br />
civile del tempo di Brunelleschi di quanto non sia, ad<br />
esempio, la fiorentinissima <strong>prospettiva</strong> di Urbino 279 . Men-<br />
Storia dell’arte Einaudi 121
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
tre, nella stessa linea lendinaresca, il coro riminese di San<br />
Marino conferma la sua eccezional<strong>it</strong>à, negando ogni possibile<br />
memoria come ogni ipotetico modello percettivo<br />
del paesaggio edilizio; che è tema, invece, di puro formalismo<br />
prospettico. Occorre stare attenti, tuttavia, a<br />
non forzare eccessivamente l’immagine <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà,<br />
medievale e modernamente razionalizzata, che è tipica di<br />
Cristoforo da Lendinara. Non si può assimilare in fretta<br />
le sue tarsie al ricordo (che so) di certe strade modenesi<br />
attorno a San Pietro. C’è invece da chiedersi quanto<br />
abbia influ<strong>it</strong>o sul sostrato urbanistico medievale quel<br />
tipo di normalizzazione ottica formulata in età prospettica<br />
ed esemplificato appunto in tante tarsie padane.<br />
Sulla scena modenese de Gl’Ingannati si poteva riconoscere<br />
la vecchia Ghirlandina come «il piú solenne<br />
campanile che sia in tuta la machina mondiale» (III, 2);<br />
mentre nei versi del Berni la Verona medievale veniva<br />
inesorabilmente a contraddire le leggi <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
(«Appresso ha anche drento, | come hanno l’altre terre,<br />
piazze e vie, | stalle, stufe, spedali et hosterie, || fatte in<br />
geometrie, | da fare ad Euclide et Archimede | passar gli<br />
arch<strong>it</strong>ettori con uno spiede», Sonetto a messer Francesco<br />
Sansovino, vv. 16-23). Anche le tarsie avevano contribu<strong>it</strong>o<br />
a definire questa c<strong>it</strong>tà dell’ideale prospettico, contrapposta<br />
a quella storica.<br />
Davanti alle «c<strong>it</strong>tà ideali» che compaiono sulle porte<br />
di Urbino come anche al centro dei cassoni, non è il caso<br />
di parlare di utopia. Anche l’elaborazione che del tema<br />
<strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà passò attraverso tanti scr<strong>it</strong>ti e trattati del<br />
Quattrocento, non è utopica 280 . La c<strong>it</strong>tà ideale fu piuttosto<br />
il campo di altissime riflessioni tecniche: sia nel<br />
senso del sapere meccanico degli ingegneri che in quello,<br />
altrettanto pratico, dell’astrologia. Ma non conosce<br />
la necess<strong>it</strong>ante strutturazione pol<strong>it</strong>ica delle utopie cinque-seicentesche.<br />
Le c<strong>it</strong>tà immaginate da p<strong>it</strong>tori e intarsiatori<br />
non possono neppure prefigurare in alzato l’as-<br />
Storia dell’arte Einaudi 122
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
solutezza di forme geometriche con cui s’impianterà poi<br />
la nuovissima arch<strong>it</strong>ettura mil<strong>it</strong>are: la loro giustezza proporzionale<br />
è tutta in quel piano di proiezione che è la<br />
superficie p<strong>it</strong>torica. A parte quanto verrà detto nel paragrafo<br />
successivo, vorrei ricordare almeno due fattori<br />
che contribuirono a fare di queste immagini dipinte ed<br />
intarsiate la semplice allusione (per quanto in sé prestigiosa)<br />
ad una norma arch<strong>it</strong>ettonica ed urbanistica: il<br />
primo si riferisce all’arch<strong>it</strong>ettura come metafora del reggimento<br />
pol<strong>it</strong>ico; l’altro ad una percezione fortemente<br />
p<strong>it</strong>torica degli organismi edilizi. Sono due punti che<br />
all’inizio del Cinquecento tendono a convergere in una<br />
specie di codice cortigiano dell’arch<strong>it</strong>ettura 281 .<br />
Il ruolo dell’arch<strong>it</strong>etto albertiano, su cui Garin ha<br />
fatto osservazioni risolutive («arch<strong>it</strong>etto diventa […]<br />
sinonimo di regolatore e coordinatore di tutte le attiv<strong>it</strong>à<br />
c<strong>it</strong>tadine»; [...] l’arch<strong>it</strong>etto è uomo universale, o, se si<br />
preferisce, il regg<strong>it</strong>ore si fa arch<strong>it</strong>etto, e il pol<strong>it</strong>ico teorico<br />
dell’arch<strong>it</strong>ettura) 282 è pol<strong>it</strong>ico natural<strong>it</strong>er. Nella celebre<br />
pagina sull’ubicazione e caratteri convenienti alla<br />
dimora del re o a quella del tiranno, è la stessa imago<br />
urbis, nel mutare <strong>della</strong> connessione fra luoghi e forme<br />
edilizie, a dichiarare il tipo di governo. Sulla linea delle<br />
ist<strong>it</strong>uzioni c<strong>it</strong>tadino-repubblicane, l’immagine pol<strong>it</strong>ica<br />
dell’arch<strong>it</strong>etto (che in Alberti è piú che una metafora,<br />
se l’uomo è costruttore per natura) si esemplificherà<br />
fino a Donato Giannotti 283 . Ma è in rapporto al «signore»<br />
che essa acquista particolare concretezza. In una<br />
pagina del Cortegiano, poco dopo un accostamento ancora<br />
metaforico («deve il principe non solamente esser<br />
bono, ma ancor far boni gli altri; come quel squadro che<br />
adoprano gli arch<strong>it</strong>etti, che non solamente in sé è dr<strong>it</strong>to<br />
è giusto, ma ancor indrizza e fa giuste tutte le cose a<br />
che viene accostato»), si riconosce nella pratica del<br />
«murare» un aspetto caratteristico del principe ideale (è<br />
questo l’oggetto <strong>della</strong> discussione).<br />
Storia dell’arte Einaudi 123
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Cercherei ancor d’indurlo a far magni edifici, e per<br />
onor vivendo e per dar di sé memoria ai posteri; come fece<br />
il duca Federico in questo nobil palazzo, ed or fa papa lulio<br />
nel tempio di san Pietro, e quella strada che va da Palazzo<br />
al diporto di Belvedere e molti altri edifici, come faceano<br />
ancora gli antichi Romani [...]. Cosí ancor fece Alessandro<br />
Magno [...] 284 .<br />
Entro questa cornice attende di essere considerata a<br />
fondo, in maniera sistematica e comparata, la figura del<br />
principe consigliere dell’arch<strong>it</strong>etto, mediatamente o piú<br />
direttamente responsabile del «murare», e, in alcuni<br />
casi accertati, vero e proprio dilettante di arch<strong>it</strong>ettura.<br />
In tal senso si precisa anche il richiamo del Castiglione<br />
a Federico da Montefeltro. Vicino al quale, lasciando i<br />
casi cronologici distanti di Cosimo il Vecchio e di Vespasiano<br />
Gonzaga, vengono sub<strong>it</strong>o a mente Lorenzo il<br />
Magnifico ed Ercole I d’Este («Sua Signoria molto se<br />
deleta de fabricare e fare disegni») 285 . Attorno a questo<br />
ruolo personale, simbolico e pol<strong>it</strong>ico si chiariscono i programmi<br />
urbanistici partecipati e finalizzati da un milieu<br />
cortigiano 286 . La figura del principe-costruttore si associa<br />
dunque in un noto saggio di Francastel ad uno dei<br />
tratti originali <strong>della</strong> cultura arch<strong>it</strong>ettonica del Quattrocento,<br />
quello che ci consente di leggerne le estensioni<br />
progettuali in tanti dipinti e fondali di affresco:<br />
La projection des villes futures apparaît ainsi, pendant<br />
tout le Quattrocento, comme une de tâches du fondateur<br />
de principat. [...] La société dirigeante v<strong>it</strong> dans un monde<br />
«à construire», différent du monde réel qui l’entoure, et<br />
elle demande aux peintres d’anticiper sur les arch<strong>it</strong>ettes 287 .<br />
Ridotta in termini causali, tale anticipazione riesce<br />
unilaterale; ma l’incontro fra arch<strong>it</strong>ettura e p<strong>it</strong>tura (in<br />
senso lato) individua un aspetto originale del periodo fra<br />
Storia dell’arte Einaudi 124
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
la fine del Quattro e il primo Cinquecento: ossia il cost<strong>it</strong>uirsi<br />
<strong>della</strong> spazial<strong>it</strong>à arch<strong>it</strong>ettonica (nell’«esterno» <strong>della</strong><br />
piazza di Pienza come, ad esempio, nell’«interno» <strong>della</strong><br />
cripta orvietana di San Domenico) in funzione di una<br />
soggettiv<strong>it</strong>à prospettica preordinata, intensissima e contemplante.<br />
Lo spazio si blocca dolcemente come se fosse<br />
l’icona di se stesso, «l’arch<strong>it</strong>ettura diventa immagine<br />
visiva, prima che “costruzione”; sempre piú riducibile<br />
quindi ai termini di p<strong>it</strong>tura e scultura» 288 . Esiste dunque<br />
una linea di sviluppo arch<strong>it</strong>ettonico che va spontaneamente<br />
incontro alla p<strong>it</strong>tura, alla tarsia, come poi alla<br />
scena.<br />
Nel coro di Piacenza come in quello di San Giovanni<br />
Evangelista a Parma, la figurazione piana è una verifica<br />
<strong>della</strong> dimensione monumentalmente oggettuale dell’arch<strong>it</strong>ettura<br />
postbramantesca e del suo librarsi assoluto<br />
nello spazio prospettico. Modello percettivo e memoria<br />
esemplare s’incontrano: come per il Giovanni da<br />
Verona del momento centro-<strong>it</strong>aliano, il ricordo degli<br />
edifici antichi di Roma viene tradotto in quella stessa<br />
forma di oggetto edilizio, piú che di simbolo 289 . Con Raffaele<br />
da Brescia tale oggetto si ferma ancora piú intensivamente<br />
in immagine, nell’ipotesi estrema di arch<strong>it</strong>ettura<br />
che sia immobile contenuto prospettico. Dietro<br />
a queste varie figure di arch<strong>it</strong>ettura, piú o meno a distanza,<br />
si riconoscono gli effetti <strong>della</strong> svolta bramantesca. Di<br />
queste tarsie si sarà poi dato, probabilmente, un giudizio<br />
non troppo differente da quello che toccherà nel Seicento<br />
a Bramante. Mentre un arch<strong>it</strong>etto come l’urbinate<br />
Muzio Oddi, sarà pronto a ricordare Santa Maria<br />
delle Grazie «tutta chiara e luminosa», apprezzando le<br />
qual<strong>it</strong>à p<strong>it</strong>toriche delle sue fabbriche («poiché non studia<br />
in altro che in farle piú allegre e vaghe che sarà possibile,<br />
con stucchi, p<strong>it</strong>ture, oro e cose simili»); proprio<br />
in Lombardia si r<strong>it</strong>errà che «per quei tempi Bramante<br />
fu celebre, ma fu p<strong>it</strong>tore arch<strong>it</strong>etto» 290 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 125
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
2. L’esperienza dello spettacolo.<br />
Torniamo per un attimo alle modeste tarsie di Guido<br />
di Filippo da Seravallino: i luoghi di Pisa, puntualmente<br />
indicati nei pagamenti, campeggiano oltre grandi<br />
archi, in sé poco consistenti, ma cosí dilatati visivamente<br />
da ripresentare in forma inconsueta quanto ancora<br />
oggi si associa immediatamente ad una memoria ab<strong>it</strong>udinaria<br />
di quegli spazi urbani. Negli stessi anni, nel<br />
coro di Cremona, il Platina impianta con maggior ricchezza<br />
descr<strong>it</strong>tiva proprio le incorniciature che corrispondono<br />
a temi prospettici «deboli», come le scene di<br />
campagna. Con Giovanni da Verona, poi, questi arconi<br />
acquistano sempre maggiore connotazione arch<strong>it</strong>ettonica<br />
proprio in rapporto alle immagini di c<strong>it</strong>tà, mettendosi<br />
cosí in bilico fra la percezione cosciente e i contenuti<br />
rappresentativi <strong>della</strong> tarsia.<br />
Questi elementi d’inquadramento (ben piú che la<br />
semplice «finestra illusoria») svolgono la stessa funzione<br />
di mise en scène cerimoniale degli archi trionfali, degli<br />
apparati effimeri che venivano innalzati specialmente in<br />
occasione degli ingressi solenni. Prescindendo dalla loro<br />
piú complessa articolazione formale e dai programmi<br />
allegorici di cui diventavano supporto, neppure questi<br />
archi trionfali cost<strong>it</strong>uivano oggetti autosufficienti. Essi<br />
attivavano nello spazio urbano un dinamismo percettivo<br />
piacevolmente condizionato, ne riorganizzavano la<br />
trama attraverso nuovi canali prospettici, in una funzione<br />
un<strong>it</strong>aria di evidenziamento inusuale e d’immaginoso<br />
spaesamento. Anche nelle tarsie napoletane di Giovanni<br />
Francesco d’Arezzo, ad esempio, l’arco figurato<br />
all’interno <strong>della</strong> tarsia stabilisce con la finestra prospettica<br />
quello stesso traguardo assiale che è tipico di questi<br />
apparati 291 .<br />
Si batte dunque una strada del tutto diversa da quella<br />
lendinaresca; non si tratta di una dialettica raziona-<br />
Storia dell’arte Einaudi 126
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
lizzatrice con i luoghi familiari <strong>della</strong> percezione spaziale.<br />
Lungo la linea <strong>della</strong> spettacolar<strong>it</strong>à urbana è invece<br />
possibile ricordare altri temi prediletti dagli intarsiatori<br />
cinquecenteschi: le logge aeree, i cortili, tutto quanto<br />
(come le scacchiere che pavimentano le piazze) va<br />
verso una caratterizzazione «cerimoniale» <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà. Il<br />
nuovo filone iconografico <strong>della</strong> tarsia va confrontato<br />
infatti con questa nozione di festa piú vasta e storicamente<br />
certa. La scena prospettica all’<strong>it</strong>aliana non sarà<br />
che un aspetto di questa piú larga capac<strong>it</strong>à di scambio<br />
ed integrazione fra l’immagine <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà e la festa 292 .<br />
Non si tratta dunque di stabilire trapassi causali con la<br />
tarsia.<br />
Piú di una volta, infatti, le tarsie sono state messe in<br />
rapporto con la nuova scena prospettica rinascimentale<br />
293 . È bene aver presenti, a tale propos<strong>it</strong>o, le avvertenze<br />
di Chastel contro la tentazione di trovare riflessi o final<strong>it</strong>à<br />
teatrali in qualsiasi dipinto quattro-cinquecentesco<br />
a carattere spiccatamente o esclusivamente arch<strong>it</strong>ettonico;<br />
e, piú in particolare, gli argomenti avanzati contro<br />
la proposta (fatta da Krautheimer) di riconoscere nei<br />
notissimi pannelli prospettici di Baltimora ed Urbino l’esumazione<br />
umanistica <strong>della</strong> scena «tragica» e <strong>della</strong> scena<br />
«comica» di V<strong>it</strong>ruvio. Essi hanno invece la stessa funzione<br />
decorativa che è propria delle tarsie prospettiche<br />
sia in tanti cori, sacrestie, studioli, che in «lettucci» e<br />
«spalliere» (cui erano destinati con ogni probabil<strong>it</strong>à quei<br />
dipinti) 294 . Mentre queste immagini di c<strong>it</strong>tà trovano una<br />
facile ambientazione fra i materiali <strong>della</strong> storia figurativa<br />
tardo-quattrocentesca, sta il fatto che, per la storiografia<br />
teatrale, di scena prospettica non è corretto parlare<br />
prima del secondo decennio del Cinquecento; neppure<br />
nel 1508, quando con la rappresentazione ferrarese<br />
<strong>della</strong> Cassaria ariostesca e con Pellegrino da San<br />
Daniele si vorrebbe far «partire la cronaca ufficiale <strong>della</strong><br />
scenografia prospettica all’<strong>it</strong>aliana» 295 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 127
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Non si tratta d’invertire la marcia, schematizzando<br />
l’impostazione di un libro straordinariamente ricco ed<br />
intelligente come quello che Kernodle dedicò alla traiettoria<br />
From Art to Theatre. Vale invece la pena di entrare<br />
intimamente nelle ragioni di quella catena lessicale<br />
che, distendendosi fino a poco oltre la metà del Cinquecento,<br />
connette le «prospettive» (nel senso consueto<br />
di tarsie) alla «<strong>prospettiva</strong> o vero scena a una commedia»<br />
296 , fino all’equivoco fatalmente necessario con la<br />
v<strong>it</strong>ruviana scaenographia 297 . Non si tratta allora d’insistere<br />
sulla persistenza di determinati schemi figurativi,<br />
quanto sulla maturazione consapevole, codificante, di<br />
un’att<strong>it</strong>udine contemplativa, centrata su un’immagine<br />
«cortigiana» <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà.<br />
In questo senso può riuscire equivoco il paradosso<br />
cronologico rilevato da Kernodle, quando nota che si<br />
dovrà attendere fino all’inizio del Cinquecento per<br />
veder realizzate scene con quelle stesse strade e case in<br />
<strong>prospettiva</strong> che sono già diffuse in tanta p<strong>it</strong>tura del<br />
Quattrocento 298 . È questione del tutto simile a quella del<br />
sostanziale «r<strong>it</strong>ardo» <strong>della</strong> tarsia rispetto alle prime<br />
applicazioni prospettiche; solo l’intervallo temporale è<br />
cresciuto. Ancora una volta è alla fase <strong>della</strong> ricezione<br />
figurativa che occorre riferirsi. Non si può guardare soltanto<br />
alle capac<strong>it</strong>à operative degli artisti, alla messa a<br />
punto, nelle botteghe, di un formidabile strumento di<br />
organizzazione visiva. Se poi questo strumento cost<strong>it</strong>uí<br />
il piú solido ponte di trans<strong>it</strong>o verso la condizione «liberale»<br />
dell’artista, non fu per uno spostamento di campo<br />
nel sistema sublime delle dottrine, ma per la crescente<br />
concretezza sociale di un consumo figurativo d’él<strong>it</strong>e. E<br />
pertanto solo in ordine alla peculiar<strong>it</strong>à delle attese e<br />
delle competenze figurative maturate nello scorcio del<br />
Quattrocento e nella stagione del classicismo si giustifica<br />
l’apparire <strong>della</strong> nuova scena prospettica. Non si stenta<br />
a comprendere le ragioni per cui le testimonianze<br />
Storia dell’arte Einaudi 128
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
contemporanee non consentono d’immaginarne l’avvento<br />
nei termini cronologicamente progressivi <strong>della</strong><br />
scoperta di una legge fisica. È naturale che essa sfugga<br />
ad un’esatta determinazione di tempi; come «è significativo<br />
che un portavoce degli spettatori», assistendo<br />
alla Cassaria ferrarese del 1508, «apprezzi particolarmente<br />
la parte visiva <strong>della</strong> commedia» 299 . «Il discoprirsi<br />
lo apparato di una scena», per usare le parole del Serlio,<br />
verrà «riconosciuto fra l’altre cose fatte per mano de<br />
gli uomini che si possono riguardare con gran contentezza<br />
d’occhio e satisfation d’animo» 300 . Ho messo in<br />
corsivo fra: infatti la scena non è una componente del<br />
tutto risolta nella circolar<strong>it</strong>à dell’accadimento teatrale,<br />
ma un momento articolato, da apprezzare secondo ab<strong>it</strong>udini<br />
già assestate nella piú coltivata consuetudine dell’arte<br />
301 .<br />
A tale consuetudine le tarsie avevano dato un contributo<br />
molto esteso e specifico. Non tanto come anticipazione<br />
o causa <strong>della</strong> scena prospettica; ma nell’orizzonte<br />
evolutivo di una convenzione culturale del guardare,<br />
capace di autoriflettersi nello spessore delle proprie<br />
sicurezze intellettuali e di stabilire un codice, quasi,<br />
del comportamento visivo. L’edonizzazione manieristica<br />
<strong>della</strong> vista indicata da Serlio (la gran contentezza d’occhio)<br />
non contraddice il piacevole controllo intellettuale<br />
che l’inganno prospettico suggerí al maggior Castiglione,<br />
o lo stupore v<strong>it</strong>torioso sull’affaticarsi dell’occhio<br />
che il cavaliere Sabba riconoscerà nei commessi di fra<br />
Damiano. Se dunque si crede di reintegrare l’esperienza<br />
visiva di chi si trovò davanti alla nuova scena cinquecentesca<br />
rifacendosi monol<strong>it</strong>icamente al sistema prospettico<br />
rivelato da Brunelleschi, anche il ruolo delle tarsie<br />
finirà per dissolversi nel generico o nello scontato.<br />
Non sarà comunque il caso di puntare l’attenzione sui<br />
modelli lendinareschi, cosí vincolati alla dinamica e alla<br />
serial<strong>it</strong>à percettiva. L’occhio destinato alla meraviglia<br />
Storia dell’arte Einaudi 129
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
<strong>della</strong> scena prospettica fu educato, piuttosto, da quel<br />
tipo di tarsia che va piú spontaneamente in direzione di<br />
una p<strong>it</strong>toric<strong>it</strong>à dell’arch<strong>it</strong>ettura. Nel trapasso dall’arte al<br />
teatro il punto risolutivo è questo. È vero che la <strong>prospettiva</strong><br />
è sistema proporzionale; ma non è facile prescindere<br />
dall’ent<strong>it</strong>à materiale dell’oggetto figurativo. Il<br />
piú diretto tram<strong>it</strong>e con la scena all’<strong>it</strong>aliana non sarà allora<br />
la minima «finestra» <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura o <strong>della</strong> tarsia, ma<br />
una <strong>prospettiva</strong> a scala naturale, che traduca la misura<br />
dei corpi e degli spazi in immagine. Detto concretamente,<br />
questo tram<strong>it</strong>e è Bramante.<br />
Solo seguendo l’opportuna curva di fatti e di tempi<br />
si possono rintracciare elementi utili ad un diretto confronto<br />
fra tarsia e spettacolo. In effetti, se ricominciamo<br />
a leggere quella pagina del Serlio ricordata in precedenza,<br />
riconosceremo un ideale prospettico che, certo,<br />
non potrà essere quello pierfrancescano, ma non corrisponde<br />
neppure piú alla regola classicista di Bramante.<br />
L’«arte <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong>» rivela<br />
superbi palazzi, amplissimi templii, diversi casamenti, e da<br />
presso e di lontano spaziose piazze ornate di varii edificii,<br />
dr<strong>it</strong>tissime e lunghe strade incrociate da altre vie, archi<br />
trionfali, altissime colonne, piramide, obelischi e mille<br />
altre cose belle, ornate d’infin<strong>it</strong>i lumi, grandi, mezzani e<br />
piccoli, secondo che l’arte lo comporta, li quali sono cosí<br />
artificiosamente ordinati, che rappresentano tante gioie<br />
lucidissime, come saria diamanti, rubini, zafiri, smeraldi e<br />
cose simili 302 .<br />
La costruzione prospettica è la regola dell’artificio, il<br />
sistema d’incastonatura di una realtà frantumata, che il<br />
prisma ottico rest<strong>it</strong>uisce per particelle preziose. Non<br />
siamo dunque lontani da quella linea d’intarsiatori che<br />
ha il suo campione in fra Damiano da Bergamo.<br />
Anche nella sua fase piú inoltrata, la tematica pro-<br />
Storia dell’arte Einaudi 130
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
spettica delle tarsie non consente di riconoscere influenze<br />
dirette, di specie pos<strong>it</strong>iva, che derivino dalla visualizzazione<br />
scenica. L’unica tarsia di chiara ascendenza<br />
teatrale è quella bergamasca dove la storia di David e<br />
Golia è <strong>it</strong>erata secondo la molteplic<strong>it</strong>à topologica <strong>della</strong><br />
scena medievale. Solo due momenti isolati del sistema<br />
prospettico <strong>della</strong> scena trovano riscontri esplic<strong>it</strong>i nella<br />
storia <strong>della</strong> tarsia: uno potrebbe suggerire anche l’eventual<strong>it</strong>à<br />
di un effettivo incrocio di esperienze; l’altro<br />
cost<strong>it</strong>uisce il piú specifico contributo <strong>della</strong> tarsia nel<br />
trapasso dell’organizzazione visiva dall’arte al teatro.<br />
Il primo punto riguarda un elemento che sembrerebbe<br />
essere stato introdotto nelle tarsie da Giovanni da<br />
Verona, a Napoli: una breve e piccola scala che mette in<br />
comunicazione la base in primissimo piano con il<br />
«palco» su cui è appoggiata la <strong>prospettiva</strong>. R<strong>it</strong>roviamo<br />
tali gradini, impiegati nella medesima accezione illusiva<br />
e mediatrice di spazi, nelle tarsie bolognesi di fra Raffaele<br />
da Brescia. In forma appena diversa, vennero aggiunti da<br />
fra Damiano in un cartone portato da Bergamo, replicato<br />
nel dossale del presb<strong>it</strong>erio. I tempi oscillano dunque<br />
abbastanza comodamente prima e dopo quel 1520 che è<br />
segnato su un pannello di Casa Strozzi, considerato spesso<br />
come modello scenico, e dove appunto figura una<br />
scala di questo tipo. La presenza, vera o illusiva, di tale<br />
elemento è tema ancora abbastanza complesso per la storiografia<br />
dello spettacolo; ma rimane una delle cerniere<br />
su cui si snodò l’articolazione fra lo spazio dell’osservatore<br />
e quello <strong>della</strong> scena. Non è escluso, a tali date, che<br />
possano essere intercorsi scambi fra i due amb<strong>it</strong>i di competenza<br />
prospettica. Ma il fondamento scenico-proporzionale<br />
di questa struttura di raccordo rimangono le soluzioni<br />
che, sul modello classico, erano state trovate da<br />
Bramante per il Cortile del Belvedere: che, nella storia<br />
dell’evoluzione dallo spazio arch<strong>it</strong>ettonico alla scena prospettica,<br />
è il vero anello cap<strong>it</strong>ale 303 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 131
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
L’altro elemento scenico che può essere utilmente<br />
considerato in rapporto alla figurazione lignaria è l’arco<br />
di proscenio. La sua genesi presenta, certo, specifiche<br />
compless<strong>it</strong>à filologiche e strutturali, ma la sua funzione<br />
mediana fra i due poli dello spazio teatrale può essere ben<br />
sintetizzata con le parole di Klein e Zerner: «l’arco<br />
accentua, ma nello stesso tempo neutralizza, la profond<strong>it</strong>à,<br />
r<strong>it</strong>rasformandola in immagine» 304 . Kernodle ha<br />
dedicato un cap<strong>it</strong>olo intero ai molti precedenti figurativi<br />
di tale momento scenico. Ma se c’è un amb<strong>it</strong>o artistico<br />
in cui la sua funzione divenne costante strutturale, è<br />
la tarsia; specie quando, con fra Giovanni da Verona, allo<br />
stacco ottico dell’arcata figurata in piano, venne di nuovo<br />
a correlarsi l’aggetto dell’opera d’intaglio.<br />
3. Temi d’illusione e di armonia.<br />
Matteo Colacio definí il suo stupore davanti al coro<br />
padovano del Lendinara attraverso il meno imprevedibile<br />
dei topoi: «non possum credere ficta esse; accedo<br />
propius, duco per omnia manum». Sub<strong>it</strong>o dopo, «intuens<br />
diligentissime omnia», cominciò a descriverne i<br />
soggetti dai libri: «ut a re magis nota quottidieque incipiam»<br />
305 . Due condizioni, in particolare, sorreggono le<br />
possibil<strong>it</strong>à illusive <strong>della</strong> tarsia prospettica. La prima<br />
(richiamata dalle parole di Colacio messe in corsivo) è<br />
che si rappresentino oggetti pertinenti al contesto spaziale,<br />
cose consuete, ossia esattamente quanto ci si aspetta<br />
di trovare in quel determinato luogo. La seconda è<br />
che vengano mostrati mobili ed oggetti di legno, in<br />
modo da suggerire l’ambigua coincidenza fra «cosa significata<br />
e materia significante» 306 . A propos<strong>it</strong>o delle immagini<br />
di c<strong>it</strong>tà, ci si è già rifer<strong>it</strong>i a questa prima condizione,<br />
o a qualcosa di assai vicino. Integrandosi alla funzione<br />
tautologica del legno, essa caratterizza soprattut-<br />
Storia dell’arte Einaudi 132
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
to quei soggetti per cui si usa riconoscere nella tarsia un<br />
cap<strong>it</strong>olo essenziale nella preistoria <strong>della</strong> moderna natura<br />
morta 307 .<br />
Nel tracciare una linea troppo dr<strong>it</strong>ta verso la natura<br />
morta del Seicento, c’è il rischio di dimenticare la serial<strong>it</strong>à<br />
e il radicamento spaziale che definirono le tarsie<br />
quattro-cinquecentesche; di fare la storia non dei manufatti<br />
ma delle loro riproduzioni fotografiche. Ancora<br />
piú che sulle tipologie compos<strong>it</strong>ive e sui repertori simbolici,<br />
il discorso andrebbe legato all’ered<strong>it</strong>à storica di<br />
quello «strutturarsi matematico dello sguardo» 308 , cui i<br />
<strong>maestri</strong> di legname avevano dato un contributo massiccio.<br />
Per quanto qui preme, basta non perdere di vista<br />
che quelle figurazioni di oggetti l<strong>it</strong>urgici, musicali, scientifici,<br />
e cosí via, erano parte di una concatenazione decorativa.<br />
A parlare di decorazione, c’è sempre la paura di<br />
suggerire un abbassamento di rango; ma non è cosí. La<br />
destinazione decorativa spiega invece l’apparizione di<br />
quei temi, cosí precocemente matura, nelle prime tarsie<br />
fiorentine; come la loro viscos<strong>it</strong>à successiva. La «natura<br />
morta» degli intarsiatori non presupponeva necessariamente<br />
i modelli dell’Antich<strong>it</strong>à, ma si venne a trovare<br />
sul medesimo asse di funzional<strong>it</strong>à visiva, occupò luoghi<br />
ed altezze d’occhio tali da giustificare immagini<br />
ingannevoli, virtualmente coerenti con lo spazio reale 309 .<br />
La questione va dunque impostata partendo dalla coincidenza<br />
fra ambiente arch<strong>it</strong>ettonico e nuova decorazione<br />
giottesca. Già nel Trecento le fasce inferiori delle<br />
pareti decorate (quelle piú diminu<strong>it</strong>e o alterate nei tempi<br />
successivi) furono dipinte a finti marmi, con rilievi f<strong>it</strong>tizi,<br />
panche; poi, con nicchie ingombre di oggetti l<strong>it</strong>urgici.<br />
Perfino una figura come il diacono intarsiato a Pisa<br />
da Cristoforo da Lendinara deve avere avuto un ruolo<br />
non troppo diverso da quello che tocca ad un simile assistente<br />
l<strong>it</strong>urgico nella cappellina di Palazzo Trinci a Foligno,<br />
nello zoccolo presso l’altare.<br />
Storia dell’arte Einaudi 133
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Il ruolo decorativo delle tarsie non comporta una<br />
subalternanza rispetto alla p<strong>it</strong>tura di storia, ma una differenziazione<br />
percettiva. Colacio non si lim<strong>it</strong>ò ad osservare<br />
che i libri intarsiati apparivano «veris veriores».<br />
Apprezzò anche la «varietas» <strong>della</strong> loro disposizione; e<br />
fu colp<strong>it</strong>o dall’«incompos<strong>it</strong>o ordine» delle candele. L’illusione<br />
prospettica non fa che confermare la regolar<strong>it</strong>à<br />
concettuale delle forme geometriche: «lignea vascula in<br />
plana superficie rotunda sphericaque forma videris».<br />
Ogni nostra considerazione iconografica non può prescindere<br />
da questa estetica matematica, dall’immagine<br />
fisica di una regola proporzionale, numericamente intelligibile.<br />
Non è soltanto un’esigenza illusiva a determinare<br />
la stabil<strong>it</strong>à tematica delle tarsie. Essa corrisponde<br />
anche alla semplic<strong>it</strong>à geometrica, ad uno sguardo quanto<br />
piú possibile predeterminato. La presenza degli oggetti<br />
consueti, riproposti entro la struttura proporzionale<br />
<strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong>, fuori dalle incerte misure del racconto,<br />
risponde all’oggettiva destinazione dei luoghi <strong>della</strong><br />
riflessione, del silenzio. La figura decorativa è allora<br />
l’immagine che riflette soltanto se stessa, in maniera<br />
immediata ed assoluta, nell’evidenza intellettuale dei<br />
rapporti matematici.<br />
Si è tornati su un punto essenziale, già toccato alla<br />
fine del primo cap<strong>it</strong>olo: i luoghi chiesastici piú riservati<br />
(il coro, la sacrestia) si accostano all’ideale umanistico<br />
dello studiolo; forse contribuiscono anche a definirlo,<br />
se si considera il registro documentario <strong>della</strong> tarsia.<br />
Nel coro padovano, l’umanista Colacio r<strong>it</strong>rovava oggetti<br />
familiari. Ma poi accade che nei cori siano intarsiati<br />
oggetti privi di ogni connessione l<strong>it</strong>urgica, tipici, invece,<br />
delle raccolte umanistiche, del collezionismo di corte,<br />
dei luoghi di studio in cui vennero dipinti, nel Quattrocento,<br />
tanti san Gerolamo. Si tratta di sfere armillari,<br />
orologi, macchine, strumenti musicali che, per la loro<br />
ridotta sonor<strong>it</strong>à, non potevano avere impiego in chiesa.<br />
Storia dell’arte Einaudi 134
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Furono anche messi a tarsia quei fiori la cui immagine<br />
fu altissima prerogativa delle corti (Borso d’Este allivellò<br />
una casa al Maccagnino in cambio, una volta all’anno,<br />
di un fiore dipinto) 310 . L’inerzia tematica spiega solo<br />
fino ad un certo punto l’apparizione nei cori, fuori di<br />
ogni motivo contestuale e senza apparente ragione simbolica,<br />
di una scacchiera da gioco. Oggetti di cosí evidente<br />
determinazione prospettica vanno considerati alla<br />
luce di un’estetica del numero e <strong>della</strong> proporzione.<br />
L’«illusionismo» non è la ragione prevalente delle tarsie;<br />
tantomeno la curva di ascesa. È anzi cosa del tutto<br />
diversa dal trompe-l’œil barocco o sensista: inganno<br />
degli occhi, simbolic<strong>it</strong>à delle cose, armonia matematica,<br />
sono circolarmente connessi e sottoposti ad un<br />
astratto soggetto intellettuale.<br />
Ciò non significa che si debba rinunciare a riconoscere<br />
un’iconografia delle tarsie 311 . Il puro formalismo<br />
prospettico coincide, invece, con una simbolic<strong>it</strong>à totalizzante.<br />
È chiaro che nello stato di alterazione o diminuzione<br />
materiale di tanti complessi non sarà facile circoscrivere<br />
programmi iconografici defin<strong>it</strong>i 312 . Ma altro è<br />
il discorso se si considerano le ragioni di un’iconografia<br />
«fredda», non generica, ma sostanzialmente stabile e<br />
compatta per predeterminazione strutturale. Tanto piú<br />
in questo senso, non interessa il valore degli oggetti singoli,<br />
ma la loro reciproc<strong>it</strong>à.<br />
I libri intarsiati illusivamente sono per se stessi una<br />
presenza significante. Come in una biblioteca vera, i<br />
libri si allineano con lo stesso significato dei r<strong>it</strong>ratti<br />
degli uomini illustri: exempla, oltre che strumenti intellettuali.<br />
Libri ed armi non si contraddicono dunque<br />
negli studioli di Urbino e di Gubbio, non si riferiscono<br />
a incomunicanti sfere <strong>della</strong> volontà morale, ma ad un<br />
unico, altissimo e consapevole, destino mondano. Ancora<br />
Sabba Castiglione metterà al centro <strong>della</strong> sua mappa<br />
collezionistica questa coppia privilegiata:<br />
Storia dell’arte Einaudi 135
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Se per aventura voi mi domandarete quali ornamenti<br />
piú di tutti li altri desiderarei in casa mia, vi risponderò<br />
senza molto pensarci «Armi e libri» 313 .<br />
Il senso iconografico delle tarsie monfeltrine non è<br />
dunque diverso da quello che in genere presiede alla<br />
strutturazione simbolica delle raccolte. In queste prevarrà<br />
l’oggettual<strong>it</strong>à evocativa, l’emozione laica davanti<br />
alle reliquie del passato. Gli oggetti intarsiati richiamano<br />
in maniera diretta e circolare lo speculum conosc<strong>it</strong>ivo,<br />
morale del principe umanista. L’indicazione dell’arte<br />
<strong>della</strong> guerra all’interno dello studiolo può rimandare<br />
a quella Machinatio che fu distribu<strong>it</strong>a in settantadue<br />
bassorilievi all’esterno del palazzo di Urbino. La macchina,<br />
nella tradizione v<strong>it</strong>ruviana, è come un edificio.<br />
Anche piú esplic<strong>it</strong>amente, dunque, le macchine belliche<br />
suggeriscono l’immagine del principe come supremo<br />
regolatore.<br />
«La meccanica è il paradiso delle scienzie matematiche,<br />
perché con quelle si viene al frutto matematico» 314 .<br />
Le parole famose di Leonardo possono aiutarci a capire<br />
perché tanti oggetti meccanici siano stati intarsiati non<br />
solo nello studiolo di un principe (è nota la diffusione<br />
d’interessi per la meccanica e la matematica nelle corti<br />
quattrocentesche), ma anche nei cori monastici. Libri e<br />
strumenti meccanici, per l’Alberti, erano i piú naturali<br />
ornamenti delle biblioteche 315 . Quadranti solari, astrolabi,<br />
sfere armillari figuravano negli studioli, veri o figurati,<br />
come strumenti del sapere, ma specialmente come<br />
metafora dell’ordine cosmico, come segni dell’harmonia<br />
mundi. Quando si tratta di enumerare gli strumenti <strong>della</strong><br />
matematica, Sabba Castiglione si riferisce immediatamente<br />
a «spere solide, palli et astrolabii e specchi» 316 . La<br />
scienza visualizzata nelle tarsie con questi oggetti è dunque<br />
quella p<strong>it</strong>agorica, platonica, mistica.<br />
Con naturalissima continu<strong>it</strong>à di significati si può allo-<br />
Storia dell’arte Einaudi 136
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
ra ricordare che gli strumenti musicali furono figurazione<br />
tipica dei <strong>maestri</strong> di <strong>prospettiva</strong>. Può ancora servire<br />
un passo del Castiglione, dove, sempre a propos<strong>it</strong>o<br />
di «camere» e «studi», si ricorda che<br />
alcun le adorna d’instrumenti musici, come organi, claocimbali,<br />
monocordi, salteri, arpe, dolcimele, baldose et<br />
altri simili, e chi di liuti, viole, violoni, lire, flauti, cornetti,<br />
tibie, cornamuse, dianoni, tromboni et altri tali; i quali<br />
ornamenti io certo commendo assai, perché questi tali<br />
instrumenti dilettano molto all’orecchie e ricreano molto<br />
gli animi, i quali, come diceva Platone, si ricordano dell’armonia,<br />
la quali nasce dali moti delli circoli celesti; ancora<br />
piacciono assai all’occhio [...] 317 .<br />
In ordine ad una concezione che sta al centro dell’estetica<br />
e <strong>della</strong> scienza rinascimentali, queste parole<br />
potranno forse sembrare un po’ troppo blande, nella loro<br />
convenzionale certezza. Attestano bene, tuttavia, come<br />
la sola presenza fisica degli strumenti potesse suggerire<br />
l’idea di una musica astratta, ma capace d’innestare gli<br />
affetti individuali nell’ordine del cosmo. Non occorre<br />
ora stare a ricordare come essa fosse una cosa sola con<br />
i quadri platonici <strong>della</strong> scienza rinascimentale, o rammentarne<br />
gli sviluppi ermetici. Gli strumenti, come gli<br />
uccelli in gabbia (espressione <strong>della</strong> musica naturale) 318 ,<br />
hanno nelle tarsie lo stesso senso dei compassi o degli<br />
astrolabi: simboli dell’armonia cosmica e delle sue commensurabili<br />
relazioni.<br />
L’esattezza con cui gli intarsiatori riprodussero gli<br />
strumenti ha ovviamente colp<strong>it</strong>o gli storici <strong>della</strong> cultura<br />
musicale 319 . Ma è chiaro che tale esattezza non va<br />
separata dal potenziale simbolico di tali oggetti: nel<br />
senso stesso che guidò la lunga ed attenta nomenclatura<br />
del Castiglione. Il liuto, ad esempio, non sarà solo il<br />
luogo comune delle eserc<strong>it</strong>azioni prospettiche, come nel-<br />
Storia dell’arte Einaudi 137
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
l’illustrazione di Dürer. Nell’immagine prospettica dello<br />
strumento coincidono due diverse definizioni di armonia.<br />
Il liuto sarà una delle minime tracce «realistiche»<br />
nelle vignette con cui Giordano Bruno volle decorare<br />
(personalmente, a detta dell’ed<strong>it</strong>ore) gli Articuli<br />
adversus mathematicos: dove si rivendicava l’assolutezza<br />
di una mathesis decisamente orientata in senso mistico 320 .<br />
Il riferimento è estremo, potrebbe accentuare la sommarietà<br />
di questi richiami; ma serve a tornare al momento<br />
<strong>della</strong> crisi storica <strong>della</strong> tarsia. Perché, dopo aver accumulato<br />
un’iconografia cosí compatta e specifica, essa<br />
non si sviluppò fino all’età di Campanella, quando l’ideale<br />
dello studiolo si r<strong>it</strong>rasformò utopicamente a scala<br />
urbana, nel programma decorativo delle mura che richiudevano<br />
la C<strong>it</strong>tà del Sole? Perché l’iconografia prospettica<br />
non accompagnò l’intero corso <strong>della</strong> fede platonica,<br />
compresa quella di Keplero (che è indubbia, per quanto<br />
sia stata ammessa «spesso a malincuore» 321 )? A parte<br />
ogni altra ovvia considerazione storico-sociale o figurativa,<br />
vedremo nel prossimo paragrafo come quell’iconografia<br />
e questa tecnica avessero espresso una condizione<br />
di equilibrio con una componente «archimedea» che,<br />
fra Cinque e Seicento, non era piú immaginabile. Ma<br />
non sarà male avere a mente che la terza legge di Keplero<br />
fu impostata, di fatto, sui cinque corpi regolari <strong>della</strong><br />
tradizione platonica 322 . In questa tradizione si riconosce<br />
anche l’icosaedro intarsiato dai Mola a Venezia, o il<br />
poliedro semiregolare, a settantadue facce e «vacuo»,<br />
che per il tram<strong>it</strong>e <strong>della</strong> divulgazione pacioliana e leonardesca<br />
passò nei pannelli di Giovanni da Verona.<br />
Certo, nel corso del Rinascimento, l’attenzione si<br />
sposta sempre piú dalla teoria musicale alla pratica. La<br />
diffusione a stampa <strong>della</strong> notazione scr<strong>it</strong>ta esprime<br />
emblematicamente questo trapasso. I referenti sociali<br />
<strong>della</strong> pratica musicale corrispondono, idealmente, ai cori<br />
e agli studioli, alle grandi chiese e alle corti. Il fatto che<br />
Storia dell’arte Einaudi 138
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
nelle tarsie siano figurate pagine di scr<strong>it</strong>tura musicale 323 ,<br />
significa qualcosa in piú di un semplice tour de force artigianale.<br />
Il medium densissimo opera una sorta d’iconizzazione<br />
dei valori musicali, fissa nella forma del visibile<br />
il carattere nel tempo trans<strong>it</strong>orio dei suoni. È un problema<br />
su cui, paragonando le arti, si era trovato a riflettere<br />
anche Leonardo, il musico Leonardo.<br />
Ma, attraverso la figura retorica <strong>della</strong> corda rotta, gli<br />
strumenti musicali diventano anche i simboli <strong>della</strong><br />
morte. Come i teschi o i rod<strong>it</strong>ori (che compaiono ad<br />
Urbino e a Venezia). Come gli strumenti di misura del<br />
tempo: clessidre e orologi. È noto che essi non contraddicono<br />
la nuova coscienza laica del Rinascimento.<br />
Ne sono anzi un segno originale (e come tali figurano<br />
nello studiolo di Urbino). Ma essi si affollano soprattutto<br />
nelle tarsie olivetane, decisamente contrapposti ai<br />
segni <strong>della</strong> gloria terrena (come nei pannelli parigini di<br />
fra Vincenzo delle Vacche); grav<strong>it</strong>ano dunque in una<br />
s<strong>it</strong>uazione ormai cinquecentesca, piú vicina al lessico<br />
<strong>della</strong> «van<strong>it</strong>as» barocca 324 . Nei cori si manifesta allora un<br />
nuovo spir<strong>it</strong>o religioso. In quello <strong>della</strong> Certosa di Bologna<br />
entra in crisi l’assolutezza visiva <strong>della</strong> tradizione<br />
prospettica: s’inseriscono scr<strong>it</strong>te come responsoria agli<br />
oggetti raffigurati (per l’orologio, ad esempio: Hora est<br />
de summo sorgere). L’ironia evangelica, «erasmiana»,<br />
delle scr<strong>it</strong>te inser<strong>it</strong>e nel coro di Todi prima del fatale<br />
1530 riuscí cosí imbarazzante per la coscienza postridentina<br />
da farle r<strong>it</strong>enere «tanquam scandalosa et quodam<br />
modo derisoria». Pertanto furono cancellate 325 .<br />
4. Icone meccaniche.<br />
In apertura <strong>della</strong> Summa de Ar<strong>it</strong>hmetica Geometria<br />
Proportioni et Proportional<strong>it</strong>à (è il caso di ricordarne il<br />
t<strong>it</strong>olo per intero), Luca Pacioli richiamò distintamente<br />
Storia dell’arte Einaudi 139
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
i diversi amb<strong>it</strong>i operativi che si fondano sulla matematica.<br />
Elencò dunque, nell’ordine: l’astrologia, l’arch<strong>it</strong>ettura,<br />
la <strong>prospettiva</strong>, la musica, la cosmografia, le «arti<br />
tutte meccaniche» (a propos<strong>it</strong>o delle quali corre il ricordo<br />
delle tarsie urbinati), «l’arte negoziatoria <strong>della</strong> mercanzia<br />
(in cui oggi Baxandall ha riconosciuto una ragione<br />
essenziale dell’«occhio del Quattrocento»), quella<br />
mil<strong>it</strong>are, «tutte le altre arti liberali» 326 . Sub<strong>it</strong>o prima<br />
aveva parlato dell’«immensa dolcezza e grandissima util<strong>it</strong>à<br />
che nelle scienze e discipline matematiche si consegue».<br />
Il paragrafo che precede avrebbe quindi potuto<br />
int<strong>it</strong>olarsi all’immensa dolcezza, questo alla grandissima<br />
util<strong>it</strong>à. Volendo fissare un quadro virtuale dei rapporti<br />
fra le «due culture», Giulio Preti osservò con semplicissima<br />
efficacia che «in una civiltà prevalentemente<br />
letteraria come quella del Rinascimento», la scienza era<br />
destinata ad oscillare «fra atteggiamenti iperutil<strong>it</strong>aristici»,<br />
da una parte, e «purezza formale, teoretica», dall’altra<br />
327 . Ma in tale oscillazione fra dolcezza e util<strong>it</strong>à, non<br />
ci sono fratture necessarie. Né fu senza portata, per lo<br />
sviluppo delle tecniche, questa calam<strong>it</strong>azione verso<br />
campi astrattivi.<br />
Gli strumenti musicali e scientifici vennero rappresentati<br />
dai <strong>maestri</strong> di legname con una puntual<strong>it</strong>à che<br />
molto spesso oltrepassa le ragioni dell’allusione simbolica<br />
o <strong>della</strong> figura geometrica. Per le figurazioni meccaniche,<br />
le tarsie sono un campo eccezionalmente fecondo,<br />
non sfruttato a sufficienza negli studi. Non c’è da<br />
stupirsi: la <strong>prospettiva</strong> fu lo «spir<strong>it</strong>o nuovo» che gli<br />
ingegneri <strong>it</strong>aliani del Rinascimento portarono nel sapere<br />
tecnico <strong>della</strong> tradizione 328 . «Illusionismo» e significato<br />
morale non possono riassorbire del tutto il senso di<br />
eccezional<strong>it</strong>à materiale degli strumenti che compaiono<br />
nelle tarsie. Alcune di esse raffigurano gli aspetti piú<br />
avanzati <strong>della</strong> tecnologia del tempo. Uno di questi, per<br />
quanto sia eccezionale nella tarsia, è il mulino. Di muli-<br />
Storia dell’arte Einaudi 140
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
ni si trovò a far cenno anche Vasari. Il fiorentino Chimenti<br />
Camicia andò «su per il Danubio a dar disegni di<br />
mulina», seguendo lo stesso <strong>it</strong>inerario <strong>della</strong> diffusione<br />
europea <strong>della</strong> tarsia prospettica 329 . Leonardo «fece disegni<br />
di mulini, gualchiere, ed ordigni che potessero andare<br />
per forza d’acqua». Ma il modo brusco con cui lo storico<br />
gira sub<strong>it</strong>o la frase («e perché la professione sua<br />
volle che fusse la p<strong>it</strong>tura») la dice lunga sulle radici lontane<br />
per cui gli storici dell’arte si trovano di frequente<br />
«impreparati» davanti a Leonardo e ai problemi che<br />
traversano la sua opera 330 . Si torna insomma al problema<br />
dell’ident<strong>it</strong>à culturale dei <strong>maestri</strong> di <strong>prospettiva</strong>, alla<br />
realtà di testimonianze che esprimono un<strong>it</strong>ariamente<br />
cognizioni ingegneristiche e figurative. Lo svegliatoio<br />
monastico di Urbino mostra un’intelligenza interna <strong>della</strong><br />
struttura meccanica. Il maestro di tarsia avrebbe potuto<br />
esserne, nella realtà, il costruttore stesso. È appena<br />
il caso di ricordare, specie dopo le aggiunte portate dalla<br />
scoperta dei Codici di Madrid, le ricerche di Leonardo<br />
sulla misurazione meccanica del tempo. O che Brunelleschi<br />
costruí «alcuno oriolo e destatoio, dove sono varie<br />
e diverse generazioni di mole e da varie molt<strong>it</strong>udini<br />
d’ingegni multipricate». A conferma di quel ruolo esemplare<br />
che l’orologio ha per tutta la pratica costruttiva del<br />
Quattro e Cinquecento, esse «gli dettero grandissimo<br />
aiuto al potere immaginare diverse macchine e da portare<br />
e da levare e da tirare» 331 .<br />
Nessun dubbio, quindi, che l’esattezza rappresentativa<br />
di un meccanismo come quello di Urbino non rientrasse<br />
nel campo di esperienza di Giuliano da Maiano,<br />
come di tanti altri <strong>maestri</strong> di legname, o ingegneri. Ma<br />
essa non sarebbe mai giunta a definirsi nelle tarsie se a<br />
quello stesso ordine di esattezza non fossero stati interessati<br />
anche i destinatari. Nelle parole del Pacioli (che<br />
r<strong>it</strong>orneranno poi puntualmente nella dedica del Divina<br />
proportione: «cum in his disciplinis quas Graeci Mathe-<br />
Storia dell’arte Einaudi 141
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
maticas appellant non minus util<strong>it</strong>ati quam voluptatis<br />
ins<strong>it</strong>»), sono già chiar<strong>it</strong>e a sufficienza le ragioni per cui<br />
una meccanica cosí intesa non è soltanto all’origine<br />
materiale delle tarsie, ma vi si riflette con tanta consapevolezza<br />
da contribuire alla loro strutturazione iconografica.<br />
In questo senso, non è opportuno contrapporre il<br />
mondo delle «botteghe» (caro a Leonardo Olschki,<br />
Edgar Zilsel, Paolo Rossi) a quello delle corti e dei conventi,<br />
ossia ai luoghi tipici degli studioli e dei cori intarsiati.<br />
Quel modello di macchina, di fabbrica, che è il<br />
mulino era legato tradizionalmente al mondo monastico,<br />
ai benedettino in particolare: sia come patrimonio<br />
tecnologico che come concreto cesp<strong>it</strong>e economico 332 . Un<br />
mulino come quello intarsiato a Piacenza potrebbe non<br />
essere riusc<strong>it</strong>o troppo generico in una topografia nota ai<br />
benedettini di San Sisto (anche se è evidentemente legato,<br />
per riflesso o comune modello, all’illustrazione che<br />
compare a c. clxxv del V<strong>it</strong>ruvio di Cesariano, stampato<br />
nel 1521). La misura del tempo, gli svegliatoi sono<br />
necessari alla v<strong>it</strong>a monastica. Nel lessico conventuale<br />
horologium è parola che copre varie specificazioni materiali<br />
<strong>della</strong> misura del tempo 333 . Nei cori (come negli studioli),<br />
non si batte certo il «tempo del mercante». Con<br />
l’astrolabio e la sfera armillare, l’orologio richiama, piuttosto,<br />
la scansione astronomica del tempo. È dunque il<br />
segno <strong>della</strong> saggezza, di un’operos<strong>it</strong>à morale che oltrepassa<br />
la sfera terrena <strong>della</strong> v<strong>it</strong>a. Il tempo degli orologi<br />
intarsiati nei cori (prima di scoprirsi come diretta immagine<br />
<strong>della</strong> morte) è l’esatto contrario del temps flottant,<br />
esistenzialmente istintivo, di cui parlò Febvre.<br />
D’altra parte l’orologio, la grande macchina del Trecento,<br />
figura negli inventari di corte come oggetto prezioso:<br />
dai tempi di Jean de Berry a quelli di Lorenzo il<br />
Magnifico o Ludovico il Moro, ed oltre 334 . Entra perfino<br />
nelle maglie lessicali del grammatico Grapaldo 335 . Per<br />
Storia dell’arte Einaudi 142
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
piú versi, dunque, la sua raffigurazione nelle tarsie di<br />
uno studiolo è prevedibile. Ma una volta ricordato l’interesse<br />
per i congegni meccanici che circola sia negli<br />
ambienti di corte che in quelli chiesastici, e dopo averne<br />
intravisto le molteplici motivazioni, occorre considerare<br />
meno genericamente, nel caso specifico <strong>della</strong><br />
tarsia, il rapporto che lega cognizione tecnica e forma<br />
visiva.<br />
La ricorrente tautologia del legno non è soltanto un<br />
espediente illusivo, proprio <strong>della</strong> tarsia. Non possiamo<br />
dimenticare che nel Quattrocento, come per molto<br />
tempo ancora nella civiltà preindustriale, è il legno a<br />
consentire la maggior parte delle realizzazioni tecnologiche,<br />
fino ai gradi piú elevati 336 . In legno si costruirono<br />
anche orologi. Senza legno non ci sarebbero macchine.<br />
La definizione varroniana di macchina si riferisce,<br />
di fatto, ad un’aggregazione di legni: il legname per<br />
costruzione, in latino, è materia.<br />
Alla luce di questa considerazione semplicissima (ma,<br />
io credo, imprescindibile) si stringe piú internamente il<br />
rapporto fra «macchina» e commesso ligneo: specialmente<br />
quando l’opera dell’intarsiatore nasconde il meno<br />
possibile i modi dell’aggregazione meccanica, la fisic<strong>it</strong>à<br />
<strong>della</strong> costruzione spaziale; ma li traspone in trasparente<br />
oggetto visivo. La meccanic<strong>it</strong>à fattuale, e non mimetica,<br />
<strong>della</strong> tarsia padana giunge fino all’invenzione delle<br />
«ruote» pisane. Attraverso la tarsia, la tecnica del legno<br />
iconizza se stessa. Tutto questo non contraddice il carattere<br />
statico, precipuamente visivo che caratterizza la<br />
«macchina» del Rinascimento 337 .<br />
L’indicazione piú esplic<strong>it</strong>a di tale iconic<strong>it</strong>à del sapere<br />
tecnico è data dal topos frequentissimo degli strumenti<br />
dell’intarsiatore. A voler spiegare questo tema<br />
tipico <strong>della</strong> tarsia non basta certo la tradizione monastica,<br />
il senso <strong>della</strong> colpa originaria che veniva espiata<br />
col lavoro delle mani (oltretutto il tema compare anche<br />
Storia dell’arte Einaudi 143
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
in chiese secolari). Né all’immagine di questi strumenti<br />
(che talvolta troviamo accuratamente nominati negli<br />
inventari di bottega) 338 poteva essere affidata l’affermazione<br />
di un nuovo status sociale degli artisti. Attraverso<br />
tali immagini, invece, la tautologia <strong>della</strong> materia si concettualizza<br />
ulteriormente: vengono rappresentati oggetti<br />
parzialmente cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i di legno, ma indispensabili per<br />
la sua metamorfosi meccanica; sono figurati gli strumenti<br />
stessi di quell’aggregazione del legno che è l’immagine<br />
intarsiata. In essa, piú che una generica estetizzazione<br />
<strong>della</strong> meccanica, si conferma quella continu<strong>it</strong>à<br />
fra arte e tecnica che caratterizzò solo quel breve periodo<br />
quattrocentesco, quando la superior<strong>it</strong>à del patrimonio<br />
tecnologico dell’Europa divenne nettissima 339 .<br />
S<strong>it</strong>uazioni e persone cui va rifer<strong>it</strong>o questo giudizio,<br />
sono ormai note. Quando invece si vedrà nel legno solo<br />
l’inerte materiale di un’immagine o di una minuta perizia<br />
tecnica, sarà defin<strong>it</strong>ivamente mutato quel rapporto<br />
fra arte e tecnica. Non esiste (va ripetuto in conclusione)<br />
un problema <strong>della</strong> «decadenza» <strong>della</strong> tarsia, ma va<br />
constatata la disarticolazione storica dei presupposti culturali<br />
che avevano dato sviluppi irripetibili a tale tecnica.<br />
Lo specificarsi <strong>della</strong> sfera artistica impose un nuovo<br />
modello di percezione anche per le strutture meccaniche;<br />
ci si spostò verso la spettacolar<strong>it</strong>à dei «teatri di macchine»,<br />
verso la particolare piacevolezza visiva con cui<br />
furono illustrate Le diverse e artificiose machine del Cap<strong>it</strong>ano<br />
Agostino Ramelli. Allo scorcio del Cinquecento,<br />
anche la specializzazione meccanica va distanziandosi<br />
dalla scienza. Queste pagine si erano aperte sull’incomprensione<br />
<strong>della</strong> tarsia da parte di Galileo. A lui si può<br />
tornare in chiusura, ripetendo le parole con cui Bertrand<br />
Gille ha emblematicamente defin<strong>it</strong>o la nuova relazione<br />
fra tecnica e scienza: «Galileo, se fu un meccanico, non<br />
fu mai un arch<strong>it</strong>etto» 340 .<br />
Storia dell’arte Einaudi 144
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
1 2 g. galilei, Scr<strong>it</strong>ti letterari, a cura di A. Chiari, Firenze 1970 , pp.<br />
493-94. Per i brani precedentemente c<strong>it</strong>ati, cfr. pp. 626 e 508. Cfr.<br />
inoltre p. 593 (dove il poema del Tasso è di nuovo messo in rapporto<br />
alla tarsia) e pp. 604-5 (dove, invece, si richiama l’anamorfosi). La<br />
vicenda cr<strong>it</strong>ica e letteraria delle Considerazioni può essere ripercorsa<br />
attraverso le ampie referenze di t. wlassics, Il Tasso del Galilei, in<br />
«Studi seicenteschi», xiii, 1972, pp. 119-62. Sul versante figurativo,<br />
oltre a e. panofsky, Galileo as a Cr<strong>it</strong>ic of the Arts, The Hague 1954,<br />
cfr. j. s. ackerman, Science and Visual Art, in Seventeenth Century<br />
Science and the Arts, Princeton 1961, pp. 79-81; e. battisti, Per un<br />
ampliamento del concetto di Manierismo, in «Annali dell’Ist<strong>it</strong>uto storico<br />
<strong>it</strong>alo-germanico in Trento», iii, 1977, pp. 402-12; w. tatarkiewicz,<br />
Storia dell’estetica, III, L’estetica moderna, Torino 1980, pp. 381-84.<br />
2 a. chastel, I centri del Rinascimento, Milano 1965, p. 245.<br />
3 Sull’«artificio tecnologico», f. bologna, Dalle arti minori all’industrial<br />
design, Bari 1972, p. 107; per Francisco de Hollanda e Pino,<br />
c<strong>it</strong>o, rispettivamente, da I dialoghi michelangioleschi, a cura di A. M.<br />
Bessone Aurelj, Roma 19534 , p. 94, e dal Dialogo di p<strong>it</strong>tura, in Trattati<br />
d’arte del Cinquecento fra Manierismo e Controriforma, a cura di P.<br />
Barocchi, I, Bari 1960, p. 121.<br />
4 g. mancini, Considerazioni sulla p<strong>it</strong>tura, a cura di A. Marucchi,<br />
Roma 1956, I, p. 18.<br />
5 d. bartoli, De’ Simboli trasportati al morale, Venezia 1677, p. a6:<br />
«Io in piú luoghi ho veduti lavori e pruove maravigliose dell’antica e<br />
oggi dí poco men che dismessa arte dell’intarsiare. [...] Tutto è magistero<br />
dell’ingegno e <strong>della</strong> mano, adoperantesi, l’uno a discernere e l’altra<br />
ad unire quelle diverse croste di legno aventi un tal color<strong>it</strong>o, una<br />
tal vena, una tal macchia, e cosí lumeggiate e chiare, e cosí ombreggiate<br />
e fosche che incastrandone l’una a lato dell’altra, ne provenga di tutt’esse<br />
organizzato e composto ciò che si volle: ma con un passar dall’una<br />
foglia nell’altra, con tanta union di colori, ch’egli non sembri un adunamento<br />
di molte scaglie di varj alberi e di varj legni accozzati per arte,<br />
ma opera nata intera in un tronco e tutto a caso compar<strong>it</strong>a nel fenderlo<br />
[...]. In queste opere intarsiate, si vuol far parere che la natura abbia<br />
fatto da arte, facendo che in esse l’arte non si possa distinguere dalla<br />
natura. L’ammirabile dunque, e perciò il dilettevole in un tal genere<br />
di lavori, non è egli nel vedere applicata una cosa ad esprimerne un<br />
altra?» L’analogia è dunque con gli emblemi (cfr. infatti il brano nel<br />
contesto <strong>della</strong> c<strong>it</strong>azione che ne fa m. praz, Studies in Seventeenth-Century<br />
Imagery, London 1964, p. 19).<br />
Un altro singolare fenomeno di attenzione per la tarsia quattrocentesca<br />
è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o da un intensissimo quadro giovanile di Carlo<br />
Maratta, la Croce e il libro dipinto nel 1646 per il viaggiatore inglese<br />
John Evelyn. s. rudolph, La prima opera pubblica del Maratti, in «Para-<br />
Storia dell’arte Einaudi 145
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
gone», xxviii, 1977, n. 329, pp. 51-52, ne ha dato una lettura molto<br />
attenta alla forte personal<strong>it</strong>à del comm<strong>it</strong>tente e alla particolare congiuntura<br />
storica, rilevandone bene il carattere di cifra esoterica; non<br />
ha però richiamato il modello storico <strong>della</strong> tarsia prospettica. Il precedente<br />
sembra tanto piú consapevole se si ricorda che Evelyn nel 1645<br />
vis<strong>it</strong>ò il convento bolognese di San Michele in Bosco, riportando sul<br />
suo diario un’impressione assai acuta delle tarsie che vi aveva visto<br />
(«But the Carvings in Wood of the Sacristie [intendendo il coro] is stupendious;<br />
here is admirable inlay’d work about the Chapell that even<br />
emulates the best of paintings the Work is don so delicatly & tender»,<br />
The Diary of John Evelyn, a cura di E. S. de Beer, II, Oxford 1955, p.<br />
423). La croce appoggiata ed inclinata, nel dipinto di Maratta, trova<br />
un confronto quasi letterale con quella di una delle tarsie superst<strong>it</strong>i del<br />
coro bolognese, fin<strong>it</strong>a al Victoria and Albert Museum (è riprodotta da<br />
m. j. thornton, Three unrecorded panels by Fra Raffaele da Brescia, in<br />
«The Connoisseur», aprile 1978, fig. 9).<br />
Fra gli altri, non molti, episodi di fortuna cr<strong>it</strong>ica delle tarsie nel<br />
corso del Sei e Settecento si può ricordare le preoccupazioni accalorate<br />
di Alfonso Landi per il coro senese di Antonio Barili (c<strong>it</strong>ate da<br />
c. sisi, Le tarsie per il coro <strong>della</strong> cappella di San Giovanni: Antonio Barili<br />
e gli interventi senesi di Luca Signorelli, in «Antich<strong>it</strong>à Viva», xvii,<br />
1978, n. 2, p. 33), e un’usc<strong>it</strong>a, al consueto un po’ snobistica, del Presidente<br />
de Brosses a Genova (Viaggio in Italia. Lettere familiari, Bari<br />
1973, p. 37: «[in San Lorenzo] non vi ho trovato nulla che mi piacesse,<br />
a parte i seggi dei canonici fatti di legno intarsiato»). Tanto<br />
piú sorprendente riesce la breve panoramica tracciata da l. lanzi, Storia<br />
p<strong>it</strong>torica <strong>della</strong> Italia (ed. defin. 1809), II, a cura di M. Capucci,<br />
Firenze 1970, pp. 42-43.<br />
6 g. vasari, Le opere, a cura di G. Milanesi, I, Firenze 1878, p. 203.<br />
7 v. borghini, Selva di notizie, ed<strong>it</strong>a da P. Barocchi (Una «Selva di<br />
notizie» di Vincenzo Borghini), in Un augurio a Raffaele Mattioli, Firenze<br />
1970, p. 105, poi in Scr<strong>it</strong>ti d’arte del Cinquecento, a cura di P. Barocchi,<br />
III, P<strong>it</strong>tura e scultura, Torino 1978, p. 617.<br />
8 Cfr. l’inizio <strong>della</strong> v<strong>it</strong>a di Baccio d’Agnolo: «Sommo piacere mi<br />
piglio alcuna volta nel vedere i principii degli artefici nostri, per veder<br />
salire molti talora di basso in alto; e specialmente nell’arch<strong>it</strong>ettura; la<br />
scienza <strong>della</strong> quale non è stata eserc<strong>it</strong>ata, da parecchi anni addietro, se<br />
non da intagliatori o da persone sofistiche, che facevano professione,<br />
senza saperne pure i termini e i primi principii, d’intendere la <strong>prospettiva</strong>»<br />
(vasari, Opere c<strong>it</strong>., V, p. 349); e ancora, ad esempio, «il Cecca fu<br />
nella sua giovanezza legnaiuolo buonissimo» (ibid., III, p. 196).<br />
9 Ibid., p. 335.<br />
10 Cfr. Trattati d’arte del Cinquecento c<strong>it</strong>., I, p. 61 (o Scr<strong>it</strong>ti d’arte<br />
c<strong>it</strong>., p. 496).<br />
Storia dell’arte Einaudi 146
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
11 vasari, Opere c<strong>it</strong>., VI, p. 437.<br />
12 I Dieci Libri dell’Arch<strong>it</strong>ettura di M. V<strong>it</strong>ruvio tradutti e commentati<br />
da Monsignor Barbaro (1556). C<strong>it</strong>o da f. marotti, Lo spettacolo dall’Umanesimo<br />
al Manierismo, Milano 1974, p. 160 (a p. 205 una considerazione<br />
di tono simile, tratta da La pratica <strong>della</strong> Prospettiva, 1559).<br />
13 Ancora al momento di crisi <strong>della</strong> tarsia prospettica, fra Damiano<br />
da Bergamo, è chiamato «artis carpentariae et perspectivae artificem»<br />
(v. alce, Il coro di San Domenico in Bologna, Bologna 1969,<br />
p. 13).<br />
14 È utilmente orientato in funzione cronologica il saggio di l.<br />
vagnetti, Il processo di maturazione di una scienza dell’arte, in La <strong>prospettiva</strong><br />
rinascimentale. Codificazioni e trasgressioni, a cura di M. Dalai<br />
Emiliani, Firenze 1980, pp. 427-74, che riprende da id., De naturali et<br />
artificiali perspectiva, Firenze 1979 («Studi e documenti di arch<strong>it</strong>ettura»,<br />
n. 9-10), pp. 281-307 (l’inv<strong>it</strong>o rivolto ad uno studio piú approfond<strong>it</strong>o<br />
dell’opera di Guidobaldo Del Monte non sembra al corrente del<br />
saggio di l. spezzaferro, La cultura del cardinal Del Monte e il primo<br />
tempo del Caravaggio, in «Storia dell’arte», 1971, n. 9-10, pp. 57-90,<br />
ma in particolare pp. 82 sgg.).<br />
15 Opere c<strong>it</strong>., I, p. 176: «Ma del modo di tirarle, perché ella è cosa<br />
fastidiosa e difficile a darsi ad intendere, non voglio io parlare altrimenti.<br />
Basta che le prospettive son belle tanto, quanto elle si mostrano<br />
giuste alla loro veduta e sfuggendo si allontano dall’occhio, e quando<br />
elle son composte con variato e bello ordine di casamenti».<br />
16 f. negri arnoldi, Prospettici e quadraturisti, in Enciclopedia universale<br />
dell’arte, Roma-Venezia 1963, XI, coll. 99-116.<br />
17 b. gille, Leonardo e gli ingegneri del Rinascimento (1964), Milano<br />
1972, p. 9.<br />
18 L’intero, bellissimo sottot<strong>it</strong>olo, è c<strong>it</strong>ato da m. boas, Il Rinascimento<br />
scientifico, 1450-1630 (1962), Milano 1973, pp. 168-69.<br />
19 Sulla cornice teoretica del saggio di Panofsky (Die Perspektive als<br />
symbolische Form), cfr. k. veltman, Panofsky’s Perspective: a half Century<br />
later, in La <strong>prospettiva</strong> rinascimentale c<strong>it</strong>., pp. 565-84.<br />
20 L’esempio piú significativo di tale rilettura del saggio di Panofsky,<br />
non particolarmente preoccupata dell’oggettivo campo storicotematico<br />
come <strong>della</strong> sua visuale interpretativa, è forse nelle pagine di<br />
r. barilli, Culturologia e fenomenologia degli stili, Bologna 1982, pp.<br />
14-15, già proposte (fatto doppiamente indicativo) sia in occasione di<br />
spiazzamenti disciplinari che in circostanza accademica.<br />
21 r. klein, La forma e l’intelligibile, Torino 1975, pp. 251-97; m.<br />
baxandall, P<strong>it</strong>tura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento<br />
(1972), Torino 1978, pp. 41-103; s. y. edgerton jr, The Renaissance<br />
Rediscovery of Linear Perspective, New York 1975; k. veltman, recensione<br />
ad Edgerton, in «Art Bulletin», lix, 1977, n. 2, pp. 281-82 e Pto-<br />
Storia dell’arte Einaudi 147
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
lomey and the origins of linear perspective, in La <strong>prospettiva</strong> rinascimentale<br />
c<strong>it</strong>., pp. 403-7; m. kemp, Science, non science and non sense: the Interpretation<br />
of Brunelleschi’s Perspective, in «Art History», i, 1978, n. 2,<br />
pp. 134-61.<br />
22 E prosegue: «il che non è altro, quanto all’arch<strong>it</strong>ettore, ch’il principio<br />
e fine di quell’arte, perché il restante, mediante i modelli di legname<br />
tratti dalle dette linee, non è altro che opera di scarpellini e muratori»<br />
(vasari, Opere c<strong>it</strong>., I, p. 170). Per Alberti cfr., invece, nell’edizione<br />
dell’Arch<strong>it</strong>ettura, testo latino e traduzione di G. Orlandi, introduzione<br />
e note di P. Portoghesi, Milano 1966, pp. 96-97 e 852-53. Sul<br />
problema del modello arch<strong>it</strong>ettonico, oltre l’excursus di m. s. briggs,<br />
Arch<strong>it</strong>ectural Models, «The Burlington Magazine», 1929, pp. 174-83,<br />
245-52, le osservazioni di j. s. ackerman, Arch<strong>it</strong>ectural Practice in the<br />
Italian Renaissance, in «The Journal of the Society of Arch<strong>it</strong>ectural<br />
Historians», xiii, 1954, poi in Renaissance Art, a cura di C. Gilbert,<br />
New York 1973, p. 162; id., L’arch<strong>it</strong>ettura di Michelangelo (1961),<br />
Torino 1968, p. 17; e di i. hyman, Towards rescuing the lost reputation<br />
of Antonio di Manetto Ciaccheri, in aa.vv., Essays presented to Myron P.<br />
Gilmore, II, Firenze 1978, p. 268.<br />
23 Cfr. il saggio di Ackerman c<strong>it</strong>ato alla nota precedente (e sulla sua<br />
scia l’indagine <strong>della</strong> Hyman). Il lettore <strong>della</strong> Storia dell’arte Einaudi può<br />
rivedere le osservazioni di A. Conti, II, pp. 188-90.<br />
24 l. pacioli, Summa de Ar<strong>it</strong>hmetica, Geometria, Proportioni e Proportional<strong>it</strong>à,<br />
Venezia 1494, c. 2v. Per il giudizio di Zilsel, cfr. La genesi<br />
del concetto di progresso scientifico, in p. p. wiener e a. noland, Le<br />
radici dei pensiero scientifico, Milano 1971, p. 278, nota 33. Nel De Divina<br />
proportione (Venezia 1509, c. 23r) Pacioli prometteva «piena notizia<br />
di <strong>prospettiva</strong>» sulla scorta di Piero <strong>della</strong> Francesca e di Lorenzo<br />
Canozi da Lendinara, «caro» al p<strong>it</strong>tore «quanto fratello» e che «in<br />
dicta facultà fu a li tempi suoi supremo».<br />
25 vasari, Opere c<strong>it</strong>., II, p. 333.<br />
26 a. chastel, Marqueterie et perspective au xv e siècle, in «La Revue<br />
des Arts», 1953, pp. 141-54, ma c<strong>it</strong>. da pp. 144-45, ora ripubblicato<br />
in id., Formes, Fables, Figures, Paris 1978, pp. 317-32, con una premessa<br />
che vale eventualmente a correggere la falsa impressione che si potrebbe<br />
ricavare dalle poche righe stralciate («Ignorando il successo in pieno<br />
Rinascimento delle tre tecniche p<strong>it</strong>toriche [tarsie, vetrate, mosaico]<br />
dove l’invenzione è cosí chiaramente legata all’intelligenza del materiale<br />
e dunque alla pratica artigianale, gli storici si sono lasciati sfuggire<br />
l’occasione migliore per correggere e lim<strong>it</strong>are l’immagine troppo<br />
intellettualizzata che in genere ci si fa dell’epoca»).<br />
27 «[Paolo Uccello] ridusse a perfezione il modo di tirare le prospettive<br />
dalle piante de’ casamenti e da’ profili degli edifizj, condotti<br />
insino alle cime delle cornici e de’ tetti, per via dell’intersecare le<br />
Storia dell’arte Einaudi 148
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
linee, facendo che elle scortassino e diminuissino al centro [...]. Ed<br />
avvengaché queste fussino cose difficili e belle, s’egli avesse speso quel<br />
tempo nello studio delle figure, ancorché le facesse con assai buon disegno,<br />
l’avrebbe condotte del tutto perfettissime; ma consumando il<br />
tempo in questi ghiribizzi, si trovò, mentre che visse, piú povero che<br />
famoso. Onde Donatello scultore, suo amicissimo, gli disse molte volte,<br />
mostrandogli Paulo mazzocchi a punte a quadri tirati in <strong>prospettiva</strong> per<br />
diverse vedute, e palle a settantadue facce a punte di diamanti, e in ogni<br />
faccia brucioli avvolti su per e bastoni, e altre bizzarrie, in che spendeva<br />
e consumava il tempo: Eh! Paulo, questa tua <strong>prospettiva</strong> ti fa<br />
lasciare il certo per l’incerto: queste sono cose che non servono se non<br />
a questi che fanno le tarsie: perciocché empiono i fregi di brucioli, di<br />
chiocciole tonde e quadre, e d’altre cose simili» (vasari, Opere c<strong>it</strong>., II,<br />
pp. 204-6).<br />
28 g. romano, Il coro di San Lorenzo, Alba 1969, p. 11.<br />
29 Se ne veda il testo completo in e. battisti, Filippo Brunelleschi,<br />
Milano 1976, p. 20 (sua è la traduzione del testo latino). L’«intervista»<br />
del Taccola è stata ripresa da e. garin, Brunelleschi e la cultura fiorentina<br />
del Rinascimento, in «Nuova Antologia», cii, 1977, n. 2118-20,<br />
pp. 18-19, con un propos<strong>it</strong>o di scansione temporale cui fanno riferimento<br />
le osservazioni qui immediatamente successive.<br />
30 b. castiglione, Il libro del Cortegiano con una scelta delle opere<br />
minori, a cura di B. Maier, Torino 1964, p. 71. Ma, su questo punto,<br />
cfr. c. ossola, Il libro del Cortegiano: esemplar<strong>it</strong>à e difform<strong>it</strong>à, in La corte<br />
e il «cortegiano», I, La scena del testo, Roma 1980, p. 59.<br />
31 Ricordi, overo ammaestramenti, in Scr<strong>it</strong>ti d’arte del Cinquecento c<strong>it</strong>.,<br />
III, p. 2924. Nella contrapposizione dei giudizi è evidente la ripresa<br />
del passo su Giotto del Boccaccio (Decamerone, VI, 5).<br />
32 vasari, Opere c<strong>it</strong>., II, p. 203.<br />
33 L’adattamento di emblema, ossia mosaico, che par rimanere alla<br />
base di considerazioni come quella del Bartoli (cfr. nota 5), si trova<br />
nella scr<strong>it</strong>ta posta sul possibile sepolcro degli intagliatori mantovani<br />
Mola: «Artis emblematariae et perspectivae per<strong>it</strong>issimi» (a. bertolotti,<br />
Figuli, fond<strong>it</strong>ori e scultori in relazione con la corte di Mantova nei<br />
secoli XV, XVI, XVII, Milano 1890, p. 73); ricorre in f. m. grapaldo,<br />
De partibus aedium, Parma, fine xv secolo, c. 60r («Emblemata [...]<br />
quae in lignis decenter videmus»); pacioli, Summa c<strong>it</strong>., c. 3v («ligneo<br />
emblemate»); e in una testimonianza su fra Giovanni da Verona (ms<br />
in Liber cronicalis Monasterii Novi S. Mariae Annunciatae Montis Oliveti<br />
Laudensis civ<strong>it</strong>atis, all’Archivio Storico Milano, Fondo di religione,<br />
P. A. 5008) c<strong>it</strong>. da g. brizzi, Un armadio intarsiato <strong>della</strong> scuola di Fra<br />
Giovanni da Verona nel Metropol<strong>it</strong>an Museum of Art di New York, in<br />
«Benedictina», xvi, 1969, n. 2, p. 297.<br />
34 Cfr. [f. colonna], Hypnerotomachia Poliphili, c<strong>it</strong>. in Scr<strong>it</strong>ti<br />
Storia dell’arte Einaudi 149
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
rinascimentali di arch<strong>it</strong>ettura, a cura di A. Bruschi, Milano 1978, p.<br />
209.<br />
35 p. crin<strong>it</strong>o, De honesta disciplina [1504], a cura di C. Angeleri,<br />
Roma 1955, p. 423.<br />
36 È quanto si dice nei registri dell’ordine olivetano di fra Paolo da<br />
Recco (c<strong>it</strong>. in p. lugano, Di fra Giovanni da Verona maestro d’intaglio<br />
e di tarsia e <strong>della</strong> sua scuola, in «Bullettino Senese di Storia Patria», xii,<br />
1905, n. 2, p. 161), figura mediocre, se va rifer<strong>it</strong>o a lui il coro di Santa<br />
Maria delle Grazie, a Lerici.<br />
37 C<strong>it</strong>. da a. sartori, I cori antichi <strong>della</strong> chiesa del santo e i Canozi-dell’Abate,<br />
in «Il Santo», i, 1961, n. 2, pp. 59-60.<br />
38 r. longhi, Officina ferrarese (1934), Firenze 1956, p. 21.<br />
39 f. arcangeli, Tarsie, Roma 1942, p. 4.<br />
40 Sulle vetrate e i loro cartoni, tenendo d’occhio la s<strong>it</strong>uazione di<br />
svolgimento in Italia fra ’300 e ’400, scand<strong>it</strong>a dalla rivendicazione di<br />
competenza di Cennino Cennini («vero è che questa tale arte poco si<br />
pratica per l’arte nostra, e praticasi piú per quelli che lavorano di ciò;<br />
e comunemente quelli <strong>maestri</strong> che lavorano hanno piú pratica che disegno,<br />
e per mezza forza e per la guida del disegno pervengono a chi ha<br />
l’arte compiuta», cap. clxxi), sono fondamentali le considerazioni di<br />
e. castelnuovo, Vetrate <strong>it</strong>aliane, in «Paragone», ix, 1958, n. 103, pp.<br />
3-24, che prende spunto da g. marchini, Le vetrate <strong>it</strong>aliane, Milano<br />
1956 (dove, a p. 9 e p. 217, nota 4, sono svolte considerazioni sul rapporto<br />
variabile fra p<strong>it</strong>tori e <strong>maestri</strong> di vetro). Cfr., inoltre, id., prefazione<br />
a s. pezzella, Il trattato di Antonio da Pisa sulla fabbricazione delle<br />
vetrate artistiche, Perugia 1976, p. 11; a. conti, Le vetrate e il problema<br />
di Giovanni di Bonino, in Il Maestro di Figline, Firenze 1980, p. 23.<br />
41 Sulla tecnica <strong>della</strong> tarsia, in rapporto alle specifiche qual<strong>it</strong>à di figurazione,<br />
c. scherer, Technik und Geschichte der Intarsia, Leipzig 1891,<br />
pp. 6-12; m. tinti, Il mobilio fiorentino, Milano-Roma s. d., pp. 17-25;<br />
ma, piú in particolare, a. puerari, Le tarsie del Platina, Cremona 1967,<br />
pp. 115-30 (cap<strong>it</strong>olo reso piú accessibile dalla ristampa in «Paragone»,<br />
xviii, 1967, n. 205, pp. 3-43). Al convegno milanese sulla <strong>prospettiva</strong><br />
rinascimentale, nel 1977, Marisa Dalai Emiliani presentò un ined<strong>it</strong>o<br />
trattato cinquecentesco per l’esecuzione di tarsie lignee, ma non ne è<br />
poi segu<strong>it</strong>a la pubblicazione negli atti (si tratta del codice dell’Ambrosiana<br />
ricordato e parzialmente riprodotto da m. rosci, Baschenis, Bettera<br />
& Co, Milano 1971, pp. 34-35).<br />
42 puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 122.<br />
43 a. leroi-gourhan, Il gesto e la parola (1965), Torino 1977, p. 299.<br />
44 In un caso come questo non ha molto senso cercar di distinguere<br />
il «P<strong>it</strong>tore di Paolo Buonvisi» da quel suo strettissimo (ma piú<br />
distratto) parallelo che fu il «Maestro dell’Immacolata Concezione».<br />
Indico il primo nome, tuttavia, perché la tarsia manca di quelle sem-<br />
Storia dell’arte Einaudi 150
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
plificazioni corsive cui tende sempre piú, verso la fine <strong>della</strong> carriera,<br />
l’altro anonimo lucchese. Ma, per la considerazione che qui interessa,<br />
il problema è del tutto irrilevante. La distinzione tra i due p<strong>it</strong>tori, da<br />
me proposta qualche anno fa, è stata ultimamente accolta e rifin<strong>it</strong>a da<br />
m. natale, Note sulla p<strong>it</strong>tura lucchese alla fine del Quattrocento, in<br />
«The Paul Getty Museum Journal», viii, 1980, pp. 49-50. La data<br />
implic<strong>it</strong>a al riconoscimento dell’autore del cartone corrisponde bene a<br />
quella che è già stata desunta per la tarsia, identificandola con un<br />
frammento del coro minore del duomo, commesso nel 1494 a Jacopo<br />
da Villa e a Masseo Civ<strong>it</strong>ali. Pone invece dei problemi lo stile che è proprio<br />
del lavoro di legname. Infatti sappiamo che nel 1485 Jacopo da<br />
Villa avrebbe dovuto collaborare con Cristoforo da Lendinara al coro<br />
di Pisa. Mentre l’altro intarsiatore, secondo la testimonianza del figlio<br />
(cfr. nota 99), imparò ad intarsiare dal maestro padano. La tarsia, al<br />
contrario, non ha nessunissimo carattere lendinaresco: nella bordatura<br />
decorativa, nell’accenno illusivo del pastorale che vi si sovrappone,<br />
ma, soprattutto nella tecnica d’intarsio, rivela origini del tutto diverse,<br />
certamente toscane. La compressione f<strong>it</strong>tissima ed elastica dei legni<br />
che costruiscono il viso rimanda, ancora piú che a Firenze, a Siena.<br />
(Jacopo da Villa doveva comunque conoscere l’ambiente fiorentino:<br />
quando nel 1461 si stabilí il contratto per gli stalli intagliati <strong>della</strong> Certosa<br />
di Calci, si fecero tanti e tali riferimenti al coro <strong>della</strong> Certosa del<br />
Galluzzo da doverne concludere che, se anche quello non fu opera sua,<br />
gli era direttamente noto). c. baracchini e a. caleca, Il Duomo di<br />
Lucca, Lucca 1973, pp. 152-53, privilegiando il riferimento a Masseo<br />
Civ<strong>it</strong>ali, non vorrebbero escludere «una derivazione da idee o disegni<br />
di Matteo Civ<strong>it</strong>ali», lo scultore in pietra. Quanto alle figure che r<strong>it</strong>engo<br />
essere state disegnate da Zacchia il Vecchio, si tratta degli evangelisti<br />
Luca e Giovanni degli stalli che furono nella Cappella degli Anziani.<br />
Vennero compiuti nel 1529 da Ambrogio e Nicolao Pucci. Per le<br />
tarsie del museo lucchese, cfr. l. bertolini campetti, Museo Nazionale<br />
di Villa Guinigi, Lucca, Lucca 1968, pp. 124-25 e 127-28.<br />
45 La documentazione ripresa in g. zucchini, San Michele in Bosco<br />
di Bologna, in «L’Archiginnasio», xxxviii, 1943, p. 35, riferisce al 1517<br />
la forn<strong>it</strong>ura del San Gregorio e del San Petronio da parte del Ramenghi;<br />
le corrispondenti tarsie sono superst<strong>it</strong>i fra quelle che da San Michele<br />
in Bosco pervennero nella Cappella Malvezzi Campeggi in San Petronio.<br />
La notizia, sfugg<strong>it</strong>a a chi si è occupato del p<strong>it</strong>tore, aiuta a definire<br />
un utile passaggio verso la conoscenza del suo momento piú antico.<br />
46 Cfr. infra, nota 160 e nota 259.<br />
47 Per l’attribuzione a Signorelli dei cartoni usati dal Barili, c. sisi,<br />
Le tarsie per il coro c<strong>it</strong>., 1978, e infra, p. 80.<br />
48 Ma, in senso opposto, cfr. m. j. thornton, Tarsie: design und designers,<br />
in «Journal of the Warburg and Courtauld Inst<strong>it</strong>utes», xxxvi,<br />
Storia dell’arte Einaudi 151
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
1973, pp. 377-82. Proprio il fatto che nel disegno di Windsor Castle,<br />
rifer<strong>it</strong>o ad uno sconosciuto artista <strong>it</strong>aliano, si notino tracciati che possono<br />
corrispondere alla connessione dei legni e tratteggi tali da suggerire<br />
la direzione delle venature indica non già una destinazione antecedente<br />
alla realizzazione lignaria (meno che mai riferibile a persona<br />
diversa dall’intarsiatore), ma piuttosto quella di un d’après. Aderisce<br />
invece alla proposta m. righetti, Le tarsie di Todi, Milano 1978 (p. 6<br />
dell’introduzione, non numerata). Possibili d’après o repertori di bottega<br />
(sul tipo dei disegni riprodotti da f. gibbons, Catalogue of Italian<br />
Drawings in the Art Museum, Princeton Univers<strong>it</strong>y, Princeton 1977, nn.<br />
719, 720; da b. berenson, The Drawings of the Florentine Painters, Chicago<br />
1938, fig. 48; l. collobi ragghianti, Il libro di Disegni del Vasari,<br />
Firenze 1974, fig. 435) potranno essere rinvenuti, cosí come «modelli»<br />
destinati a visualizzare al comm<strong>it</strong>tente l’effetto del mobile intarsiato<br />
(o di una sua parte), esegu<strong>it</strong>i in fase di pattuizione; ma il vero e proprio<br />
disegno operativo era destinato al sacrificio. Rimandano poi a quella<br />
tipica figurazione da intarsiatori che è il «toppo» (ottenuto dalla preparazione<br />
di un tronco, il «toppo» appunto, composto da legni diversi,<br />
tagliati e disposti in modo da far risultare, al taglio normale dell’insieme<br />
di tali assicelle, un disegno prospetticamente coerente ed<br />
adatto alla ricomposizione modulare in fasce decorative da estendere<br />
secondo la necess<strong>it</strong>à) due disegni dub<strong>it</strong>ativamente rifer<strong>it</strong>i a Leonardo<br />
in j. byam shaw, Drawings by Old Masters at Christ Church, Oxford<br />
1977, nn. 21-22.<br />
49 Basti pensare ad Alessandro Leopardi che avendo fuso e rinettato<br />
quel monumento Colleoni, che ogni memoria scolastica pone sotto<br />
il nome del Verrocchio (peraltro nel frattempo defunto), provvide<br />
anche a firmarlo; o alla serie degli arazzi Trivulzio, per noi cosí ovviamente<br />
«del Bramantino», e che portano tuttavia la firma del tess<strong>it</strong>ore,<br />
Benedetto da Milano («hoc opus», in effetti, «fec<strong>it</strong>»).<br />
50 Cosí nel documento del 20 giugno 1463 riportato da c. von<br />
fabriczy, Giuliano da Maiano, in «Jahrbuch der Königlich Preussischen<br />
Kunstsammlungen», xxiv, 1903, p. 161.<br />
51 «[Giuliano di Nardo da Maiano] E de’ dare addí 23 di Settenbre<br />
1463 fiorini tre larghi, e’ qua’ danari sono per una storia gli disengniai<br />
d’una Nativ<strong>it</strong>à di santa Liperata [Santa Reparata, cioè Santa Maria del<br />
Fiore] e cholor<strong>it</strong>o el banbino ella testa di nostra donna e Giuseppo, fior.<br />
3» (a. baldovinetti, I ricordi, a cura di G. Poggi, Firenze 1909, p. 8).<br />
52 «Giuliano di Nardo da Majano de’ dare addí 21 di Febraio<br />
1463-64, lire 3, e’ qua’ danari sono per cinque teste gli cholorii a cinque<br />
fighure disengniate di mano di Tommaso Finighuerri, cioè una<br />
nostra Donna, uno angniolo, uno santo Zanobi chon duo diachani<br />
dallato, le quali fighure sono nella sagrestia di Santa Liperata» (ibid.,<br />
pp. 8-9).<br />
Storia dell’arte Einaudi 152
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
53 longhi, Officina c<strong>it</strong>., 1956, p. 22 (con l’abate Lanzi, «io prego il<br />
Lettore a non paragonar nome a nome, come il volgo usa, ma ragione<br />
a ragione»).<br />
54 Un significativo esempio di ripetizione all’interno di una medesima<br />
opera è nelle tarsie <strong>della</strong> Certosa di San Martino, a Napoli, dove<br />
cinque cartoni sono ripetuti con fedeltà quasi assoluta (cfr. r. causa,<br />
Giovan Francesco d’Arezzo e Prospero <strong>maestri</strong> di commesso e <strong>prospettiva</strong>.<br />
Le tarsie del coro dei conversi nella certosa di S. Martino, in «Napoli<br />
nobilissima», n. s., i, 1961, n. 4, p. 132, nota 19). Una relazione<br />
speculare, ma poi variata, è fra due pannelli dei fratelli Mola a Mantova.<br />
Un caso di adattamento di cartone figurato è nell’armadio di<br />
Mariotto di Paolo nel Duomo di Perugia: lo stesso modello, di generica<br />
impronta peruginesca, che serve per san Pietro, una volta eliminato<br />
l’attributo iconografico delle chiavi e sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o con la spada, è<br />
usato per san Paolo; la diversa composizione di essenze lignee allenta<br />
l’effetto di duplicazione (g. cantelli, Il mobile umbro, Milano 1973,<br />
p. 57, fig. 28).<br />
A questo propos<strong>it</strong>o, e in vista <strong>della</strong> contigu<strong>it</strong>à con l’amb<strong>it</strong>o dell’illustrazione<br />
libraria, Gianni Romano mi ricorda il parallelo uso di elementi<br />
mobili da parte degli xilografi.<br />
55 j. burckhardt, Il Cicerone (1855), Firenze 1952, pp. 284-85.<br />
56 a. sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>., p. 25. Nell’inventario di oggetti<br />
fatto da Lorenzo da Lendinara nel 1469, in occasione di un suo allontanamento<br />
da Padova, è registrato anche «uno bancho grando da leto,<br />
de piè cercha octo, de dui canti, cum lavoreri de tarsia de piú cosse<br />
dentro e cum carte da desegni, in l’altro canto diverse cosse e designi»<br />
(ibid., p. 48).<br />
57 m. gregori, Introduzione al Moroni, in Giovanni Battista Moroni,<br />
catalogo <strong>della</strong> mostra, Bergamo 1979, passim, dove il riuso combinatorio<br />
di precedenti modelli è riportato alla specifica problematica dei<br />
tempi. Uno spaccato esemplare, eccezionalmente sistematico, dei modi<br />
di accumulo e riutilizzo dei cartoni all’interno di una lunga e coerente<br />
traiettoria operativa è stato dato nel catalogo <strong>della</strong> mostra, a cura di g.<br />
romano, Gaudenzio Ferrari e la sua scuola. I cartoni cinquecenteschi dell’Accademia<br />
Albertina, Torino 1982.<br />
58 vasari, Opere c<strong>it</strong>., VII, p. 665.<br />
59 o. raggio, Vignole, Fra Damiano et Girolamo Siciolante à la chapelle<br />
de la Bastie d’Urfé, in «Revue de l’art», 1972, n. 15, pp. 39-40.<br />
Lo stesso inequivocabile prospetto a tre aperture e timpano sormontato<br />
da tamburo e cupola, che compare nelle tarsie di Bergamo, del dossale<br />
e del coro bolognesi, e di Urfé, fa da sfondo ad una tarsia che, pur<br />
trovandosi al Museo del Bargello, sembra essere passata inosservata: si<br />
tratta del pannello con la Probatica piscina inser<strong>it</strong>o nel piú antico coro<br />
di Niccolò e Bartolomeo da Colle, proveniente da Monte Oliveto: per<br />
Storia dell’arte Einaudi 153
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
quanto di qual<strong>it</strong>à stentata, mi pare che possa corrispondere, piú che ad<br />
un seguace, a fra Damiano stesso, in una fase non troppo lontana dai<br />
primi lavori bergamaschi. Il riutilizzo dei cartoni da parte dell’intarsiatore<br />
fu già considerato da v. alce, L’arch<strong>it</strong>ettura nelle tarsie di Fra<br />
Damiano Zambelli, in «Atti dell’Ateneo di scienze lettere ed arti in Bergamo»,<br />
xxix, 1955-56, pp. 13-14, 23-26.<br />
60 j. goldsm<strong>it</strong>h phillips, A new Vignola, in «Bulletin of the Metropol<strong>it</strong>an<br />
Museum of Art», xxxv, 1941, n. 5, pp. 116-22.<br />
61 vasari, Opere c<strong>it</strong>., VII, p. 16. Una copia del progetto salviatesco<br />
è stata segnalata da m. hirst, Francesco Salviati’s «Vis<strong>it</strong>ation», in «The<br />
Burlington Magazine», ciii, giugno 1961, p. 240, fig. 60. Cfr. inoltre<br />
i. hofmeister cheney, Francesco Salviati (1510-1563) (Ph. Diss., New<br />
York Univ., 1963), Ann Arbor 1975, II, pp. 442-43.<br />
62 scherer, Technik c<strong>it</strong>., 1891, pp. 79-80; g. b. brown, Vasari on<br />
technique, London 1907, p. 307.<br />
63 Si veda il San Giorgio che libera la principessa del Museo Horne<br />
di Firenze, ancora nell’amb<strong>it</strong>o di fra Damiano (cfr. a. conti, in Palazzo<br />
Vecchio: comm<strong>it</strong>tenza e collezionismo medicei, catalogo <strong>della</strong> mostra,<br />
a cura di P. Barocchi, Firenze 1980, pp. 213-14).<br />
64 g. giordani, Della venuta e dimora in Bologna del Sommo Pontefice<br />
Clemente VII per la coronazione di Carlo V imperatore (celebrata l’anno<br />
MDXXX, cronaca), Bologna 1842, pp. 163-64.<br />
65 Il testo di Colacio è riprodotto in sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>., p.<br />
43 («Quod vix pingi colore potest vos ligno finxistis»); Giovanni Rucellai<br />
ed il suo zibaldone, I, «Il zibaldone quaresimale», a cura di A. Perosa,<br />
London 1970, p. 61 («di tanta arte di <strong>prospettiva</strong> che con pennello<br />
non si farebbe meglio»); v. da bisticci, V<strong>it</strong>e di uomini illustri del secolo<br />
XV, a cura di P. D’Ancona e E. Aeschlimann, Milano 1951, p. 209<br />
(«In fra l’altre [cose, Federico da Montefeltro] fece fare lavori sí degni<br />
a tutti gli usci delle camere sua, in modo che di pennello le figure che<br />
v’erano non si sarebbero fatte piú degne di quelle; ed evvi uno istudio<br />
lavorato con tanto mirabile artificio, che sendo fatto col pennello, o d’ariento,<br />
o di rilievo, non sarebbe possibile che si pareggiasse a quello»:<br />
considerazione, quest’ultima, sostanzialmente piú ampia rispetto al<br />
semplice paragone illusionistico con la p<strong>it</strong>tura).<br />
66 La scr<strong>it</strong>ta Hoc ego Antonius Barilij opus coelo non penicillo exussi<br />
A. D. MDII non autorizza certo ad immaginare (c. sisi, Le tarsie per il<br />
coro c<strong>it</strong>., p. 35) un vanto di sapore polemico verso gli intarsiatori che<br />
già operavano con legni trattati artificialmente, come Giovanni da<br />
Verona. Oltretutto una simile protesta di poetica non si addice ad un<br />
intarsiatore che, come il Barili, punta ad effetti di varietà cromatica.<br />
67 C<strong>it</strong>. in e. menegazzo, Per la biografia di Francesco Colonna, in<br />
«Italia medievale e umanistica», v, 1962, pp. 246 e nota 1.<br />
68 La lapide sepolcrale di Raffaele da Brescia è c<strong>it</strong>ata in r. erculei,<br />
Storia dell’arte Einaudi 154
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Catalogo delle opere antiche c<strong>it</strong>., 1885, p. 42. L’elogio di fra Giovanni<br />
da Verona fa parte di una lunga ed importante testimonianza contenuta<br />
nel Liber cronicalis Monasterii Novi S. Mariae Annunciatae Montis<br />
Oliveti Laudensis civ<strong>it</strong>atis (Archivio Storico Milano, Fondo di religione<br />
P. A. 5008) trascr<strong>it</strong>ta da brizzi, Un armadio intarsiato c<strong>it</strong>., pp. 297-98,<br />
nota 24.<br />
69 l. alberti, Historie di Bologna, libro I <strong>della</strong> Deca I, Bologna 1541,<br />
pp. n. n.; Descr<strong>it</strong>tione di tutta Italia (1550), Venezia 1596, p. 402v.<br />
70 Si tratta di una delle piú immediate e profonde testimonianze<br />
lasciate da un artista antico. Furono pubblicate in Lettere ined<strong>it</strong>e di<br />
Lorenzo Lotto su le tarsie di S. Maria Maggiore in Bergamo, a cura di L.<br />
Chiodi, Bergamo 1962 (una seconda edizione, corretta, è usc<strong>it</strong>a come<br />
annata 1968 di «Bergomum»); id., Quattro lettere ined<strong>it</strong>e di Lorenzo<br />
Lotto, in «Bergomum», lxxxi, 1977, n. 1-2, pp. 17-36. La prima serie<br />
è ristampata in l. lotto, Libro di spese diverse (1538-1556), a cura di<br />
P. Zampetti, Venezia-Roma 1969, pp. 261-96.<br />
È a propos<strong>it</strong>o del giudizio su fra Damiano («ignorante e di poca religione<br />
de Cristo»), dato nella lettera del 18 luglio 1526, che chiodi, Lettere<br />
c<strong>it</strong>., p. 17, ha sospettato che l’intarsiatore concorresse o sperasse<br />
di essere inv<strong>it</strong>ato all’esecuzione del coro. L’ipotesi r<strong>it</strong>orna successivamente,<br />
con progressiva perd<strong>it</strong>a di tale connotato, in alce, Il coro di San<br />
Domenico c<strong>it</strong>., p. 60; h. a. van den bergnoë, Lorenzo Lotto e la decorazione<br />
del coro ligneo di S. Maria Maggiore in Bergamo, in «Mededelingen<br />
van het Nederlands Inst<strong>it</strong>uut te Rome», n. s., i, 1974, p. 150; p.<br />
zampetti, Una v<strong>it</strong>a errabonda, in «Notizie da palazzo Albani», ix,<br />
1980, n. 1-2, p. 17 (dove risulta addir<strong>it</strong>tura che fra Damiano «era in<br />
l<strong>it</strong>e con l’artista, evidentemente perché aveva scelto il Capoferri come<br />
esecutore delle tarsie dei suoi disegni»). Dall’indagine, ancora indispensabile<br />
per quanto integrata dai nuovi r<strong>it</strong>rovamenti, di a. pinetti,<br />
Il coro ligneo di Gianfrancesco Capoferri e i disegni di Lorenzo Lotto per<br />
le tarsie, in «Bergomum», xii, 1928, n. 9, pp. 129-53, risulta la presenza<br />
del p<strong>it</strong>tore nella prima fase, poi diversamente orientata, dei lavori (p.<br />
151), ma il Capoferri fu assunto fino dal 28 settembre del 1522 (p.<br />
130), mentre la chiamata del Lotto risale al marzo del ’24, dopo la<br />
morte del Cabrini (pp. 143-44).<br />
71 chiodi, Lettere c<strong>it</strong>., p. 37 (oppure: lotto, Libro c<strong>it</strong>., p. 266).<br />
Entrambi trascrivono «Dav<strong>it</strong> che tira del Franzino a Goliath». Seguendo<br />
il senso <strong>della</strong> frase, pur senza averne fatto verifica sul manoscr<strong>it</strong>to,<br />
mi è parso opportuno congetturare una e.<br />
72 chiodi, Lettere c<strong>it</strong>., p. 41 (lettera del 18febbraio 1527); lotto,<br />
Libro c<strong>it</strong>., p. 270.<br />
73 Nel glossario redatto da I. Chiappini di Sorio al termine di lotto,<br />
Libro c<strong>it</strong>., p. 388, risulta che «profilare i quadri» equivarrebbe a<br />
«riportare i contorni del disegno nel fondo dei pannelli sui quali<br />
Storia dell’arte Einaudi 155
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
dovranno poi essere applicati i frammenti lignei per la composizione<br />
dell’intarsio». In effetti una spiegazione del genere contrasta con affermazioni<br />
come quella che il Lotto fa nella lettera del 4 settembre 1527<br />
(ibid., p. 278): «et sapete che mai ho promesso di profilarveli [...] dissi<br />
di profilarveli essendo al tempo in loco comodo, fu d<strong>it</strong>o di mandarmeli<br />
a Venetia». Il senso del termine era colto assai meglio da pinetti, Il<br />
coro ligneo c<strong>it</strong>., pp. 140-41, nota 5.<br />
Entro questo arco di funzioni dell’officina del coro va valutata la<br />
diversa configurazione e qual<strong>it</strong>à dei due disegni per le tarsie bergamasche<br />
resi noti da p. pouncey, Lotto disegnatore, Vicenza 1965, pp.<br />
18-21; come il carattere freddamente copistico di un disegno per la tarsia<br />
dei Sette fratelli Maccabei pubblicato da l. ragghianti collobi e c.<br />
l. ragghianti, Disegni dell’Accademia Carrara di Bergamo, Venezia<br />
1962, nota 84 (e quindi da f. rossi, in Bergamo per Lorenzo Lotto, Bergamo<br />
1980, pp. 89-90). Ma si vedano ora le osservazioni di w. r. rearick,<br />
Lorenzo Lotto: The Drawings, 1500-1525, in p. zampetti e v.<br />
sgarbi, Lorenzo Lotto (Atti del convegno internazionale di studi, Asolo,<br />
18-21 settembre 1980), Treviso 1981, pp. 30-31.<br />
74 chiodi, Lettere c<strong>it</strong>., p. 31 (lotto, Libro c<strong>it</strong>., p. 261). Il Lotto<br />
accenna alla questione in almeno una decina di occasioni. In questo<br />
senso sono molto importanti anche le quattro lettere ultimamente rese<br />
note da Chiodi.<br />
75 lotto, Libro c<strong>it</strong>., p. 304.<br />
76 Ibid., p. 128.<br />
77 In chiodi, Quattro lettere c<strong>it</strong>., p. 35.<br />
78 g. romano, Appunti sul monogrammista PP, in «Quaderni del<br />
conosc<strong>it</strong>ore di stampe», i, 1970, n. 1, pp. 12-18.<br />
79 Ne dà riproduzione c. alberici, Il mobile lombardo, Milano 1969,<br />
p. 38; cfr., inoltre, f. malaguzzi valeri, La corte di Ludovico il Moro,<br />
Milano 1917, III, pp. 267 sgg.<br />
80 Ricordo solo il caso del Beato Lorenzo Giustiniani dell’Accademia<br />
Carrara di Bergamo perché indusse a. venturi, Un quadretto supposto<br />
di Lorenzo da Lendinara, in «L’Arte», xxvi, 1923, pp. 18-19 ad avanzare,<br />
con cautela, il nome dell’intarsiatore (e, ancora, id., La p<strong>it</strong>tura del<br />
Quattrocento nell’Emilia, Bologna 1931, p. 30, con cautela apparentemente<br />
minore). Sull’opera, cfr., per ultimo, f. rossi, Accademia Carrara,<br />
Bergamo, Bergamo 1979, p. 44.<br />
81 Nell’Annunciazione <strong>della</strong> Fondazione Cini, in effetti, la natura<br />
morta corrisponde ad una porzione di superficie che sembra innestata<br />
nel corpo <strong>della</strong> tavola: potrebbe trattarsi di lavoro affidato ad un p<strong>it</strong>tore<br />
diverso; ma l’accertamento è ostacolato dalle condizioni di usura<br />
e di ridipintura di larghi tratti dell’opera.<br />
82 Per fare qualche esempio: Cima da Conegliano, Annunciazione<br />
(Leningrado, Erm<strong>it</strong>age); Alvise Vivarini, Annunciata (Venezia, Galle-<br />
Storia dell’arte Einaudi 156
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
rie dell’Accademia); Filippo Mazzola, Madonna col Bambino e i santi<br />
Battista e Gerolamo (Parma, Pinacoteca); Filippo Lippi, Annunciazione<br />
(Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica).<br />
83 j. shearman, The Vatican Stanze: Fictions and Decoration, in «Proceedings<br />
of the Br<strong>it</strong>ish Academy», lvii, 1971, n. 97, pp. 15, 49 nota 97.<br />
84 a. avena, Sei paesaggi da rivendicare a Giovan Francesco Caroto, in<br />
«Madonna Verona», 1915, pp. 133-35; m. t. franco fioro, Appunti<br />
su Giovan Francesco Caroto, in «Arte Lombarda», xi, 1966, n. 1, pp.<br />
40-42 e nota 19.<br />
85 v. viale, in Gotico e Rinascimento in Piemonte, catalogo <strong>della</strong><br />
mostra, Torino 1939, pp. 214-221 (e tavv. 78-81). Per un aggiornamento,<br />
g. c. sciolla, Il Biellese dal Medioevo all’Ottocento, Torino<br />
1980, pp. 122-48, 164-66, 168, cui è utile aggiungere, specie in ordine<br />
al contesto di valutazione, c. sterling, La Nature Morte de l’antiqu<strong>it</strong>é<br />
a nos jours, Paris 1962, p. 128, nota 57.<br />
86 g. cantelli, Il mobile umbro c<strong>it</strong>., fig. 70. A propos<strong>it</strong>o di dipinti<br />
che ripetono strettamente temi prospettici da tarsia, è singolare la<br />
tavola resa nota da c. volpe, in Mostra di opere restaurate, secoli XIV-XIX,<br />
catalogo <strong>della</strong> mostra, Modena 1980, p. 8.<br />
87 j. vacková, Reflets de l’<strong>it</strong>alianisme dans la peinture en Bohême vers<br />
1500, in Evolution générale et développements régionaux en histoire de<br />
l’art (Atti del XXII congresso C.I.H.A.), Budapest 1972, I, pp. 645-48,<br />
III, tav. 201.<br />
88 Sulla tipologia e funzional<strong>it</strong>à del coro, le voci dell’Enciclopedia <strong>it</strong>aliana,<br />
XI, pp. 441-46, e di h. leclercq, in Dictionaire d’archéologie chrétienne<br />
et de l<strong>it</strong>urgie, III, Paris 1948, coll. 1406-13. Sull’eliminazione dei<br />
tramezzi e la riorganizzazione post-tridentina, è esemplare lo studio di<br />
m. b. hall, Renovation and Counter-Reformation. Vasari and Duke Cosimo<br />
in Sta Maria Novella and Sta Croce 1565-1577, Oxford 1979.<br />
89 w. liebenwein, Studiolo. Die Entstehung eines Raumtyps und seine<br />
Entwicklung bis um 1600, Berlin 1977.<br />
90 Rimane infatti esemplare, pur nella divers<strong>it</strong>à di mole di impianto,<br />
il contributo dato su tutto quanto il problema <strong>della</strong> tarsia, da puerari,<br />
Le tarsie c<strong>it</strong>., e da romano, Il coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>.<br />
91 m. caffi, Sulla scultura in legno in Italia, dal Risorgimento dell’arte,<br />
in «Il Pol<strong>it</strong>ecnico», 1861, n. 60, p. 652. Sulle iniziative del Caffi,<br />
cfr. a. ronchini, Intorno alla scoltura in legno. Notizie storico-patrie, in<br />
«Atti e memorie delle Regie deputazioni di Storia Patria per le provincie<br />
modenesi e parmensi», vii, 1876, pp. 297-98.<br />
92 d. c. finocchietti, Della scultura e tarsia in legno dagli antichi<br />
tempi ad oggi. Notizie storico monografiche, Firenze 1873. È redazione<br />
ampliata <strong>della</strong> terza parte di Sull’industrie relative alle ab<strong>it</strong>azioni umane,<br />
Firenze 1869, e fa parte degli «Annali del ministero di agricoltura,<br />
industria e commercio».<br />
Storia dell’arte Einaudi 157
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
93 r. erculei, Catalogo delle opere antiche d’intaglio e intarsio in legno<br />
esposte nel 1885 a Roma, preceduto da brevi cenni sulla storia di quelle<br />
due arti in Italia dal XIII al XVI secolo, Roma 1885. Sul punto di vista<br />
dell’Erculei può essere orientativa un’affermazione come quella a p. 33:<br />
«Noi viviamo oggi un’epoca di democrazia, noi siamo idolatri dell’antico,<br />
ma ancora non riusciamo a persuaderci che l’arte e l’industria sono<br />
sorelle e che è tempo di combattere l’aristocrazia degli arch<strong>it</strong>etti, dei<br />
p<strong>it</strong>tori, degli scultori, che ha distrutto nel xvii secolo l’arte <strong>it</strong>aliana».<br />
94 burckhardt, Il Cicerone c<strong>it</strong>., p. 284.<br />
95 Cfr. arcangeli, Tarsie c<strong>it</strong>., p. 5 («Sarà da tenere per fermo che<br />
la vera età aurea delle imprese lignarie resta la seconda metà del secolo<br />
decimoquinto»); chastel, I centri c<strong>it</strong>., p. 246 («La grande epoca<br />
degli intarsi va dunque dal 1460 al 1510»). Tali indicazioni vanno<br />
comunque anticipate alla luce di quanto sta per essere pubblicato da<br />
M. Haines, di cui si darà sinteticamente notizia al paragrafo seguente.<br />
96 La piú suggestiva panoramica storica <strong>della</strong> tarsia rinascimentale<br />
rimane il libretto giovanile di arcangeli, Tarsie c<strong>it</strong>., per quanto si trattasse<br />
di un’antologia subordinata ai materiali fotografici che, sul tema,<br />
erano allora disponibili (dopo tanti anni, Arcangeli si dispiaceva di non<br />
aver trovato riproduzioni del Barili di San Quirico d’Orcia). Un orientamento<br />
fondamentale dà chastel, I centri c<strong>it</strong>., pp. 245-63 (autore<br />
anche <strong>della</strong> voce Intarsio dell’Enciclopedia Universale dell’Arte, VII,<br />
Roma 1958, pp. 577-78). Assai utili, per quanto sintetici, gli inquadramenti<br />
generali di r. causa, Tarsie cinquecentesche nella Certosa di San<br />
Martino a Napoli, Milano 1962 (pagine introduttive, non numerate);<br />
romano, Il coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>., pp. 14-18; id., Tarsia, in Enciclopedia<br />
Europea, XI, Milano 1981, pp. 55-58.<br />
97 Per i caratteri schiettamente fiorentini dello studiolo di Urbino,<br />
cfr. infra, ma si ricorda intanto che la dimostrazione che a Firenze fu<br />
lavorato e quindi trasportato ad Urbino è data dal taglio di una parete,<br />
impostosi al momento <strong>della</strong> messa in opera. Sul coro di Reggio, cfr.<br />
i documenti raccolti da e. monducci, Il coro ligneo <strong>della</strong> basilica di San<br />
Prospero in Reggio Emilia, in «Bollettino storico cremonese», xxiii,<br />
1961-64, pp. 237-77.<br />
98 Cfr. a. pinetti, Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore, V, Il coro<br />
ligneo di Gianfrancesco Capoferri c<strong>it</strong>., p. 131 (ma cfr. ancora p. 133).<br />
99 La notizia è rifer<strong>it</strong>a dal figlio stesso dell’intarsiatore, il cronista<br />
Giuseppe Civ<strong>it</strong>ali (cfr. in e. ridolfi, L’arte in Lucca studiata nella sua<br />
cattedrale, Lucca 1882, pp. 268-69). Masseo è persona diversa dallo<br />
scultore Matteo Civ<strong>it</strong>ali (come invece potrebbe equivocamente intendersi<br />
da g. fiocco, Lorenzo Canozio e la sua scuola, in «Il Santo», i,<br />
1961, p. 17).<br />
100 Cfr. a. de champeaux, Les relations du duc Jean de Berry avec l’art<br />
<strong>it</strong>alien, in «Gazette des Beaux-Arts», xxxviii, 1888, ii, pp. 409-15 (la<br />
Storia dell’arte Einaudi 158
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
c<strong>it</strong>azione è da p. 411); cui risale l’identificazione dell’intarsiatore con<br />
Domenico di Niccolò dei Cori. Dal piú recente intervento sull’artista,<br />
che è quello di g. prev<strong>it</strong>ali, Domenico «dei cori» e Lorenzo Vecchietta:<br />
necess<strong>it</strong>à di una revisione, in «Storia dell’arte», 1980, n. 38-48, pp.<br />
41-44, e nota 1, si ricavano anche le relative notizie bibliografiche (cfr.<br />
anche a. bagnoli, in Il Gotico a Siena, catalogo <strong>della</strong> mostra, Firenze<br />
1982, pp. 353-55). Per altri casi di prestigio extrac<strong>it</strong>tadino degli intarsiatori<br />
senesi, cfr. p. toesca, Il Trecento, Torino 1951, p. 934.<br />
101 Cfr. l. fumi, Il Duomo di Orvieto e i suoi restauri, Roma 1891,<br />
pp. 271-307; toesca, Il Trecento c<strong>it</strong>., p. 936 (la «grande cuspide intarsiata<br />
con l’Incoronazione <strong>della</strong> Vergine» è «la prima e piú grande che<br />
rimanga di composizione p<strong>it</strong>torica in tal genere di lavoro squis<strong>it</strong>amente<br />
<strong>it</strong>aliano»); a garzelli, Orvieto. Museo dell’Opera del Duomo, Bologna<br />
1972, pp. 47-54 e 98, raccoglie un buon numero di riproduzioni.<br />
Cfr. inoltre p. torr<strong>it</strong>i, Il coro del Duomo di Orvieto e le sue sculture, in<br />
«Commentari», i, 1950, n. 3, pp. 143-45; g. coor, Neroccio de’ Landi,<br />
1447-1500, Princeton 1961, pp. 203-4.<br />
102 e. carli, La scultura lignea senese, Milano-Firenze 1951, pp.<br />
41-45 e 116-17; id., La scultura lignea <strong>it</strong>aliana, Milano 1960, p. 71. Per<br />
l’iconografia del Credo rappresentata nel coro, h. w. van os, Vecchietta<br />
and the Sacristy of the Siena Hosp<strong>it</strong>al. A Study in Renaissance Symbolism,<br />
’s Gravenhage 1974, pp. 63-64.<br />
103 p. bacci, Due preziose «tarsie» del senese Matteo di Nanni detto il<br />
Bernacchino, in «La Balzana», n. s. i, luglio-agosto 1927, pp. 180-83;<br />
carli, La scultura lignea senese c<strong>it</strong>., pp. 50, 127.<br />
104 chastel, Marqueterie et perspective c<strong>it</strong>., pp. 150-51, richiama le<br />
tarsie senesi come dimostrazione e contrario dell’ident<strong>it</strong>à tarsia-<strong>prospettiva</strong><br />
nel Rinascimento. Sta di fatto che la tradizione senese, per<br />
quanto ne sappiamo, s’interruppe proprio nella fase cruciale, alla metà<br />
del Quattrocento.<br />
105 garin, Brunelleschi e la cultura fiorentina c<strong>it</strong>., p. 14.<br />
106 a. manetti, V<strong>it</strong>a di Filippo Brunelleschi, ed. cr<strong>it</strong>ica di D. de<br />
Robertis, introd. e note di G. Tanturli, Milano 1976, p. 4. Piú ampia<br />
caratterizzazione <strong>della</strong> Novella il lettore di questa Storia dell’arte troverà<br />
nel saggio di C. Mutini, vol. X, pp. 304-5. Manetti presenta il<br />
Grasso legnaiolo come maestro di tarsia («conosceresti voi uno che ha<br />
nome el Grasso, che sta in su la piazza di San Giovanni, colà di dietro,<br />
che fa le tarsie?», p. 12), che, una volta fugg<strong>it</strong>o in Ungheria, è<br />
destinato a fare fortuna come «maestro ingegneri» (p. 42). Un’altra rilevante<br />
attestazione del progresso quattrocentesco <strong>della</strong> tecnologia del<br />
legno, e quindi <strong>della</strong> tarsia, a Firenze, venne data da Giovanni Rucellai<br />
(cfr. Giovanni Rucellai c<strong>it</strong>., p. 61: «Et dal tempo de’ Gientili in qua<br />
non ci sono stati simili <strong>maestri</strong> di legname, di tarsie e commessi, di<br />
tanta arte di <strong>prospettiva</strong> che con pennello non si farebbe meglio»).<br />
Storia dell’arte Einaudi 159
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
107 puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 93, osserva che «la conquista <strong>della</strong><br />
nuova p<strong>it</strong>tura lignea, da parte dei <strong>maestri</strong> lignari, avvenne lentamente,<br />
per gradi e tram<strong>it</strong>e il contenuto dei cartoni dei p<strong>it</strong>tori». Non c’è da<br />
dissentire tanto sulla gradual<strong>it</strong>à, che pure andrà accelerata, quanto<br />
sulla necess<strong>it</strong>à di questa mediazione: dopo quanto si è osservato sulla<br />
dimensione fabbrile <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong> e sullo status culturale degli intarsiatori,<br />
essa risulta sostanzialmente contradd<strong>it</strong>toria.<br />
108 a. ghidiglia quintavalle, Baiso, Arduino, in Dizionario biografico<br />
degli <strong>it</strong>aliani, V, Roma 1963, p. 301.<br />
109 vasari, Le opere c<strong>it</strong>., II, pp. 205-6 (e qui nota 27).<br />
110 La data <strong>della</strong> decorazione <strong>della</strong> nicchia dei Beccai sl<strong>it</strong>ta lungo il<br />
secondo e terzo decennio del Quattrocento a seconda dell’opinione<br />
attributiva espressa sulla statua di San Pietro che vi è collocata. Cfr. h.<br />
w. janson, The Sculpture of Donatello, Princeton (1957), 1979, p. 224<br />
(anche per la specifica attenzione alle decorazioni prospettiche); successivamente,<br />
fra gli altri, g. castelfranco, Sui rapporti fra Brunelleschi e<br />
Donatello, in «Arte antica e moderna», 1966, n. 34-36, pp. 109-22 (ma,<br />
in particolare, pp. 115-16), e l. medri pecchioli, in Lorenzo Ghiberti,<br />
materia e ragionamenti, catalogo <strong>della</strong> mostra, Firenze 1978, p. 196 (con<br />
riproduzioni dettagliate). La grav<strong>it</strong>azione brunelleschiana <strong>della</strong> decorazione,<br />
già indicata da Vasari, è stata contraddetta soltanto da m. salmi,<br />
P. Uccello, A. del Castagno, D. Veneziano, Milano 1938 2 , p. 11, che preferisce<br />
vedervi idee del Ghiberti. Sulla Porta <strong>della</strong> Mandorla: la frase<br />
c<strong>it</strong>ata è di toesca, Il Trecento c<strong>it</strong>., p. 942; il riferimento brunelleschiano<br />
è stato recentemente sostenuto da c. del bravo, La dolcezza <strong>della</strong><br />
immaginazione, in «Annali <strong>della</strong> Scuola Normale Superiore di Pisa», classe<br />
di lettere e filosofia, serie iii, vii, 1977, n. 2, pp. 767-68; mentre m.<br />
salmi, Per Paolo Uccello, in Studies in Late Medieval and Renaissance Painting<br />
in Honour of Millard Meiss, a cura di I. Lavin e J. Plumer, New York<br />
1977, p. 373, nota 1, s’indirizza verso Paolo Uccello.<br />
111 Piú di recente ha sostenuto la derivazione <strong>della</strong> tarsia lignea da<br />
quella marmorea e prospettica m. salmi, Commento al coro <strong>della</strong> chiesa<br />
di San Francesco a Sansepolcro, in «Commentari», xxiii, 1972, n. 4,<br />
pp. 351-65 (ma in particolare pp. 360-61). Fu anche l’opinione di<br />
lanzi, Storia p<strong>it</strong>torica c<strong>it</strong>., II, p. 42.<br />
112 Per quanto da molto tempo fosse stata indicata la notizia sulla<br />
data d’avvio dei lavori <strong>della</strong> sacrestia e sull’attiv<strong>it</strong>à di Antonio Manetti<br />
ed Andrea di Lazzaro (c. von fabriczy, Filippo Brunelleschi. La v<strong>it</strong>a<br />
e le opere (1892), Firenze 1979, p. 112; h. semper, Donatello, seine Ze<strong>it</strong><br />
und seine Schule, Wien 1875, pp. 152-53, dove si osserva anche, a propos<strong>it</strong>o<br />
del Manetti: «Möglicherweise war er das Vehikel, durch welches<br />
Brunellesco’s Erfindung sich auf die Intarsienkunst ausbre<strong>it</strong>ete»; m.<br />
wackernagel, Der Lebensraum des Künstlers in der florentinischen<br />
Renaissance: Aufgaben und Auftraggeber, Werkstatt und Kunstmarkt,<br />
Storia dell’arte Einaudi 160
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Leipzig 1938 (trad. inglese, Princeton 1981, p. 23), chastel, Marqueterie<br />
et perspective c<strong>it</strong>., p. 149) non si era mai concretamente isolata la<br />
parte piú arcaica delle tarsie fiorentine. Tale distinzione, integrata<br />
dalla lettura sistematica dei documenti, è emersa con il restauro compiuto<br />
da Otello Caprara e le parallele ricerche archivistiche di Margaret<br />
Haines. Gli es<strong>it</strong>i di tale indagine sono già stati tempestivamente<br />
comunicati in varie conferenze e, piú sinteticamente, nel pieghevole e<br />
negli articoli comparsi in occasione dell’inaugurazione del restauro<br />
(giugno 1982). E pertanto se ne segnala già qualche riflesso bibliografico<br />
in del bravo, La dolcezza c<strong>it</strong>., p. 766; id., Il Brunelleschi e la speranza,<br />
in «Artibus et historiae», ii, 1981, n. 3, p. 70; l. bellosi, in Storia<br />
dell’arte <strong>it</strong>aliana Einaudi, IV, Ricerche spaziali e tecnologie, pp. 28-29.<br />
La documentazione estensiva dell’indagine è ancora in corso di pubblicazione,<br />
a cura di G. Marchini e <strong>della</strong> stessa Haines. Per tale ragione<br />
ho lim<strong>it</strong>ato all’essenziale le mie indicazioni. In bozze, mi accorgo<br />
che G. Marchini, nelle dispense univers<strong>it</strong>arie su Giuliano da Maiano,<br />
Firenze 1959, p. 28, aveva indicato nella parete destra, entrando, la<br />
fase piú antica <strong>della</strong> sacrestia.<br />
113 Pubblicata da r. longhi, Piero <strong>della</strong> Francesca (aggiunte all’edizione<br />
1942), Firenze 1963, p. 219. Cfr. inoltre: romano, Il coro di San<br />
Lorenzo c<strong>it</strong>., p. 16; salmi, Commento c<strong>it</strong>., pp. 358-59; id., La p<strong>it</strong>tura<br />
di Piero <strong>della</strong> Francesca, Novara 1979, pp. 14, 21 e nota 15.<br />
114 Cfr. r. hatfield, Some Unknown Descriptions of the Medici Palace<br />
in 1459, in «The Art Bulletin», lii, 1970, n. 3, pp. 231-49, ma in<br />
particolare p. 248. Cfr. inoltre d. heikamp, in Il tesoro di Lorenzo dei<br />
Medici, II, I vasi, catalogo <strong>della</strong> mostra (Firenze 1972), Firenze 1974,<br />
pp. 47-51; liebenwein, Studiolo c<strong>it</strong>., pp. 70-83.<br />
115 I documenti sono trascr<strong>it</strong>ti da fabriczy, Giuliano da Maiano c<strong>it</strong>.,<br />
pp. 161-63. Il 20 giugno 1463 s’incaricò Giuliano di «fare la terza faccia<br />
dj sacrestia», mentre allo stesso intarsiatore e a Giovanni da Gaiole<br />
si affida «elsedere disotto a detta faccia colla spalliera e con tutti sua<br />
ornamenti», da eseguire «secondo el modello et disegno fatto per detto<br />
gioliano». Ancora nel 1465 si fa riferimento al modello di Giuliano<br />
«appresso agli operaj». Dai documenti non risultano altri nomi. Non<br />
si affronta qui il problema dell’articolazione interna delle persone attive<br />
nella bottega di Giuliano da Maiano: l. becherucci, in l. becherucci<br />
e g. brunetti, Il museo dell’Opera del Duomo a Firenze, Milano<br />
s. d. [ma 1969-70], pp. 267-69, ha sugger<strong>it</strong>o di riconoscere la presenza<br />
di Benedetto da Maiano nel pannello con san Zanobi fra i due diaconi,<br />
ora ricollocato nella sacrestia.<br />
116 arcangeli, Tarsie c<strong>it</strong>., p. 6.<br />
117 Riunisco sinteticamente le notizie documentarie e le opinioni<br />
moderne sui p<strong>it</strong>tori che collaborarono con Giuliano da Maiano nella<br />
sacrestia del Duomo.<br />
Storia dell’arte Einaudi 161
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Sono documentate le parti seguenti: la Nativ<strong>it</strong>à (cartone dell’intera<br />
storia forn<strong>it</strong>o da A. Baldovinetti); le figure dell’annunciata, dell’angelo,<br />
di san Zanobi, dei due diaconi (disegni di M. Finiguerra di<br />
cui Baldovinetti colorí le sole teste). Per tali figure, il fraintendimento<br />
dei processi produttivi propri di una grande impresa lignaria e la<br />
dub<strong>it</strong>osa vicenda cr<strong>it</strong>ica del Finiguerra hanno fin<strong>it</strong>o per confondere<br />
un’attestazione documentaria in sé chiarissima, sopravvalutando il<br />
ruolo del Baldovinetti (indicativa in questo senso, sulla scia di Berenson,<br />
r. w. kennedy, Alesso Baldovinetti. A Cr<strong>it</strong>ical and Historical Study,<br />
New Haven 1938, pp. 113-20). Per il dibatt<strong>it</strong>o sull’argomento, svolto<br />
anche in tempi recenti, si rimanda alle annotazioni di r. gilli, Proposte<br />
per Maso Finiguerra: le tarsie <strong>della</strong> sacrestia delle messe in Santa Maria<br />
del Fiore a Firenze, in «Antich<strong>it</strong>à Viva», xix, 1980, n. 6, pp. 32-40,<br />
dove le note baldovinettiane sono correttamente intese.<br />
Non sono documentate e cost<strong>it</strong>uiscono pertanto questione attributiva<br />
le parti seguenti: 1) i profeti Amos ed Isaia (dopo una vicenda cr<strong>it</strong>ica<br />
impaniata nella fraintesa lettura dei Ricordi del Baldovinetti, furono<br />
sensatamente rifer<strong>it</strong>e, sia pure con qualche dubbio e con la collaborazione<br />
del fratello Piero, ad Antonio del Pollaiolo, da parte di s.<br />
ortolani, Il Pollaiuolo, Milano 1948, pp. 193-94: riferimento accettato<br />
in forma piú esplic<strong>it</strong>a da a. busignani, Pollaiolo, Firenze 1969, pp.<br />
xl-xliii, e, in maniera allusiva, da m. haines, Documenti intorno al reliquiario<br />
per San Pancrazio di Antonio del Pollaiolo e Piero Soli, in Scr<strong>it</strong>ti<br />
in onore di Ugo Procacci, Milano 1977, II, p. 265; a l. ettlinger, Antonio<br />
and Piero del Pollaiolo, Oxford 1978, p. 171, pare sfugg<strong>it</strong>a la s<strong>it</strong>uazione<br />
documentaria del complesso intarsiato; incongrua con le figure<br />
attestate, sembra invece la proposta in favore del Finiguerra di nuovo<br />
avanzata da gilli, Proposte c<strong>it</strong>., pp. 36-37); 2) la Circoncisione (recuperata<br />
con qualche dubbio da Arcangeli fra le troppo estensive annessioni<br />
baldovinettiane di Berenson, rimane sostanzialmente a questo<br />
artista anche per Oberhuber, Heydenreich, ecc.; l’alternativa sugger<strong>it</strong>a<br />
nel testo in favore di Cosimo Rosselli non sposta la sostanza delle<br />
cose, ma può avere qualche miglior ragione nelle figure interne alle<br />
colonne, mentre il san Giuseppe all’esterno risponde assai bene ad un<br />
cartone di dettagliata fattura grafica e cromatica del Baldovinetti;<br />
gilli, Proposte c<strong>it</strong>., p. 36, scivola sulla questione parlando di «un autore<br />
non identificato»).<br />
Infine, trovo indicato che a. rosenauer, Zum Stil der frühen Werke<br />
Domenico Ghirlandaio, in «Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte»,<br />
xxii, 1969, studia i rapporti fra le tarsie di Santa Maria del Fiore e il<br />
giovane Ghirlandaio; ma non mi è stato possibile trovare la rivista.<br />
118 La frase di Morandi veniva rifer<strong>it</strong>a a noi studenti bolognesi da<br />
f. arcangeli, Dal Romanticismo all’Informale (lezioni dell’anno accademico<br />
1970-71), Bologna 1976, pp. 4-5. Sulla «portata peninsulare» di<br />
Storia dell’arte Einaudi 162
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Piero <strong>della</strong> Francesca, che invece «trovò sostanzialmente refrattaria<br />
proprio l’area fiorentina», sono illuminanti le osservazioni di f. bologna,<br />
La coscienza storica dell’arte d’Italia. Introduzione alla «Storia dell’arte<br />
in Italia», Torino 1982, p. 40.<br />
119 e. battisti, Piero <strong>della</strong> Francesca, Milano 1971, pp. 44-53, pp.<br />
464-65, n. 53; c. ginzburg, Indagini su Piero, Torino 1981, p. 21 (con<br />
ulteriori rimandi).<br />
120 Cfr. g. fiocco, Lorenzo e Cristoforo da Lendinara e la loro scuola,<br />
in «L’Arte», xvi, 1913, n. 5, pp. 337-38 (documenti dal 1449 al<br />
1552 che sembrano indicare una rapida cresc<strong>it</strong>a di autonomia professionale<br />
nei riguardi di Arduino). Per inquadrare questa congiuntura culturale,<br />
cfr. longhi, Officina c<strong>it</strong>., pp. 17-19, che basta ampiamente a far<br />
intuire il carattere non prospettico che dovevano avere quelle decorazioni.<br />
Risulta pertanto incredibile la faciloneria astorica con cui w. zannini,<br />
Opere che grav<strong>it</strong>ano intorno allo studio di Belfiore, in «Musei ferraresi»,<br />
1975-76, n. 5-6, p. 17, crede che tale decorazione si sviluppasse<br />
«verso il trompe-l’oeil dello studiolo di Urbino» (che sarebbe come<br />
immaginare la Primavera del Tura, se non ci fosse pervenuta, secondo<br />
suggestioni botticelliane).<br />
121 l. pacioli, De Divina Proportione, Wien 1889, pp. 123-24.<br />
122 Mi discosto fermamente dall’ipotesi di un soggiorno fiorentino<br />
dei Lendinara che è stata postulata da del bravo, La dolcezza c<strong>it</strong>., p.<br />
766, per il quale gli Evangelisti di Modena andrebbero confrontati con<br />
Andrea del Castagno (p. 779). La medesima derivazione fu proposta,<br />
in polemica con Longhi, da W. Arslan nella recensione all’Officina ferrarese,<br />
in «Ze<strong>it</strong>schrift für Kunstgeschichte», 1936, p. 176.<br />
123 Sulle origini piú ferraresi che padovane di Benedetto Bembo, r.<br />
longhi, Aspetti dell’antica arte lombarda (1958), in Lavori in Valpadana,<br />
Firenze 1973, pp. 242-43. Tali origini si rendono anche piú esplic<strong>it</strong>e se<br />
si accoglie l’ascrizione al p<strong>it</strong>tore <strong>della</strong> Madonna che longhi, Officina c<strong>it</strong>.,<br />
pp. 177-78, ill. 397-402, propose al Maccagnino: come ha acutamente<br />
sugger<strong>it</strong>o Carlo Volpe (in m. boskov<strong>it</strong>s, Ferrarese Painting about 1450:<br />
some new Arguments, in «The Burlington Magazine», cxx, giugno 1978,<br />
p. 377, nota 25). Quanto al pol<strong>it</strong>tico modenese, mi sembra tipico di una<br />
nostra moderna e deformata considerazione, che esso passi esclusivamente<br />
sotto il nome dei p<strong>it</strong>tori e non si ricordi mai il notevole autore<br />
<strong>della</strong> cornice, che fu Andrea <strong>della</strong> Polla (cfr. a. venturi, L’Oratorio dell’Ospedale<br />
<strong>della</strong> Morte. Contributo alla storia artistica modenese, in «Atti<br />
e memorie delle Regie deputazioni di Storia Patria per le provincie<br />
modenesi e parmensi», serie iii, iii, 1885, p. 263).<br />
124 L’individuazione di queste piú antiche tarsie, fortemente indiziata<br />
da un’attenta lettura documentaria, si deve a e. monducci, Il coro<br />
ligneo <strong>della</strong> basilica di S. Prospero in Reggio Emilia, in «Bollettino storico<br />
cremonese», xxii, 1961-64, pp. 237-77.<br />
Storia dell’arte Einaudi 163
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
125 fiocco, Lorenzo e Cristoforo c<strong>it</strong>., p. 338 (notizia del 1457). Non<br />
mi è stato possibile rintracciare nei depos<strong>it</strong>i <strong>della</strong> Cattedrale di Ferrara<br />
quei frammenti protolendinareschi di cui parla a c. quintavalle,<br />
Tarsie ed urbanistica, in «Cr<strong>it</strong>ica d’arte», n. s., xi, 1964, n. 67-68, p.<br />
36. Se le notizie su questo piú antico coro ferrarese dei Lendinara sono<br />
solo quelle date da l. n. c<strong>it</strong>ta<strong>della</strong>, Notizie amministrative, storiche,<br />
artistiche relative a Ferrara, Ferrara 1868, pp. 57-60, non mi pare che<br />
l’esistenza di quest’opera dei Canozi possa darsi per scontata. In ogni<br />
caso non si tratta di date che lascino immaginare coerenti soluzioni prospettiche.<br />
Nel coro di San Giorgio a Ferrara, ci sono invece due pannelli<br />
prospettici che mer<strong>it</strong>erebbero un’indagine piú ravvicinata. Il coro,<br />
per tipologia e gusto degli intagli, appartiene ad una fase arcaica:<br />
potrebbe trattarsi di un momento ancora precoce e diretto <strong>della</strong> cultura<br />
dei Lendinara; come può darsi che si tratti di due pannelli riutilizzati<br />
in un contesto non originario (ma è problema di restauro; e si<br />
veda piú oltre, p. 354). Ne accenna fiocco, Lorenzo e Cristoforo c<strong>it</strong>.,<br />
p. 284.<br />
126 Per notizie documentarie e bibliografiche sul coro di Modena,<br />
mi lim<strong>it</strong>o a richiamare: puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., pp. 147-48, n. 235; a.<br />
mezzetti, Il coro del duomo di Modena restaurato (con una relazione tecnica<br />
di O. Caprara), Modena 1972; b. ciati, Cultura e società nel secondo<br />
Quattrocento attraverso l’opera ad intarsio di Lorenzo e Cristoforo da<br />
Lendinara, in La <strong>prospettiva</strong> rinascimentale c<strong>it</strong>., pp. 201-14. Ricordo che<br />
la notizia del restauro del 1540, compiuto dal vecchio allievo Angelo<br />
da Piacenza, può essere letta direttamente in t. de bianchi detto de’<br />
Lancellotti, Cronaca modenese, in «Monumenti di Storia Patria per le<br />
provincie modenesi. Serie delle cronache», VI, Parma 1868, p. 397,<br />
che è pagina abbastanza interessante per la fortuna cr<strong>it</strong>ica e la storia<br />
<strong>della</strong> conservazione delle tarsie.<br />
127 r. longhi, Piero dei Franceschi e lo sviluppo <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura veneziana<br />
(1914), in Scr<strong>it</strong>ti giovanili, Firenze 1961, p. 79.<br />
128 l. b. alberti, De pictura, a cura di C. Grayson, Roma-Bari 1975,<br />
p. 54; p. <strong>della</strong> francesca, De prospectiva pingendi, a cura di G. Nicco<br />
Fasola, Firenze 1942, p. 63.<br />
129 L’opinione fu espressa nel 1934 da longhi, Officina c<strong>it</strong>., p. 22,<br />
venne quindi argomentata e ripresa da arcangeli, Tarsie c<strong>it</strong>., pp.<br />
14-15, ed è passata in maniera prevalentemente pos<strong>it</strong>iva negli studi successivi:<br />
cfr., ad esempio, k. clark, Piero <strong>della</strong> Francesca (1951, 1966),<br />
Venezia 1970, pp. 28-29; a. m. chiodi, Bartolomeo degli Erri e i pol<strong>it</strong>tici<br />
domenicani, in «Commentari», ii, 1951, n. 1, pp. 22-23; puerari,<br />
Le tarsie c<strong>it</strong>., pp. 117-19; mezzetti, Il coro c<strong>it</strong>., pp. 8-9; romano, Il<br />
coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>., p. 15. Vengono invece riportati a Cristoforo,<br />
ad esempio, da a. c. quintavalle, Cristoforo da Lendinara, Parma<br />
1959, pp. 61-63; g. fiocco, Le tarsie di Pietro Antonio degli Abati c<strong>it</strong>.,<br />
Storia dell’arte Einaudi 164
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
pp. 240-41; id., Lorenzo Canozio e la sua scuola, in «Il Santo», i, 1961,<br />
n. 2, p. 14. La matrice pierfrancescana dei Lendinara, che prima del<br />
vecchio e fondamentale studio di fiocco, Lorenzo e Cristoforo c<strong>it</strong>., veniva<br />
indicata con decisione solo da Adolfo Venturi, è cosa invece piú<br />
scontata. Non per il monografista di Cristoforo, che in una successiva<br />
occasione giunge a dire che «solo sulla base di una cultura diversa da<br />
quella pierfrancescana si potranno capire le tarsie lendinaresi» (a. c.<br />
quintavalle, Prospettiva e ideologia, Parma 1967, p. 174).<br />
130 Se non si dà peso eccessivo alla Madonna <strong>della</strong> Galleria Estense<br />
(opportunamente romano, Il coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>., p. 17, ha consigliato<br />
di lasciarla «ad un allievo solo fortunato: ebbe infatti la ventura<br />
di lavorare su un cartone di Cristoforo e di vedersi poi certificare<br />
con una firma a piene lettere il suo elaborato, neppure troppo corretto»;<br />
ma non credo che si tratti dello stesso autore del Sant’Antonio de<br />
Bal e di altre opere pugliesi, sulle quali cfr. m. s. calò, La p<strong>it</strong>tura del<br />
Cinquecento e del primo Seicento in terra di Puglia, Bari 1969, pp.<br />
138-39), il punto di partenza per individuare l’attiv<strong>it</strong>à p<strong>it</strong>torica di Cristoforo<br />
è dato dalle tarsie firmate. Ed è punto delicato. Sulla complessa<br />
vicenda attributiva dell’altare del Giudizio del Duomo di Modena, che<br />
almeno in parte va rifer<strong>it</strong>o a Cristoforo per la piena coincidenza con le<br />
tarsie del 1477, cfr. a. ghidiglia quintavalle, in Arte in Emilia, III,<br />
Modena-Milano 1967, pp. 45-49 (che riporta un’opinione di Longhi<br />
favorevole a Bartolomeo degli Erri), integrato da: e. ruhmer, Bartolomeo<br />
Bonascia. Ein Nachfolger des Piero <strong>della</strong> Francesca, in «Müncher<br />
Jahrbuch der Bildenden Kunst», vi, 1954, pp. 96-99 (quindi nella voce<br />
del Dizionario biografico degli <strong>it</strong>aliani, XI, Roma 1969, pp. 589-90); c.<br />
volpe, Tre vetrate ferraresi e il Rinascimento a Bologna, in «Arte antica<br />
e moderna», i, 1958, n. 1, p. 35, nota 11 (Bonascia nella lunetta; B.<br />
Erri nell’Annunciazione); romano, Il coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>., pp.<br />
29-30, nota 23 (Bonascia, ma con una significativa differenziazione dall’immagine<br />
dell’artista data dal Ruhmer); c. volpe, Un’opera r<strong>it</strong>rovata<br />
di Cristoforo da Lendinara, in «Banca popolare di Modena. Notiziario<br />
trimestrale», vi, 1979, n. 20, p. 23 (Erri nell’Annunciazione, ma prevalentemente<br />
Cristoforo).<br />
I due santi vescovi del Palazzo Ducale di Mantova furono rifer<strong>it</strong>i<br />
a Bartolomeo Erri da longhi, Officina, pp. 170-85 (cfr. inoltre m.<br />
salmi, Nota su Bonifacio Bembo, in «Commentari», iv, 1953, p. 11;<br />
puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 24, che le vede «nel solco lombardo dei<br />
Bembo», ma risentendo del Foppa; c. perina, in Mantova. Le arti, II,<br />
Mantova 1961, pp. 334-35, come anonimo). Richiamano invece il San<br />
Martino di Lucca intarsiato da Cristoforo nel 1487. Anche per la cronologia<br />
appaiono cose mature, non lontane dall’altarolo acquistato<br />
dalla Banca popolare di Modena, reso noto ultimamente da C. Volpe.<br />
Questi ingombranti appunti bibliografici possono almeno suggerire<br />
Storia dell’arte Einaudi 165
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
due fatti: 1) che Cristoforo, in parte corrisponde, all’immagine longhiana<br />
di B. Erri; 2) e che la sua ricostruzione non può essere ancora<br />
sganciata da quella del grandissimo Bonascia, suo evidente derivato. È<br />
impossibile ora intervenire su alcune opere che Ruhmer e Romano<br />
hanno richiamato in rapporto a Bonascia. Prima di affrettarsi a sforbiciare<br />
le diverse personal<strong>it</strong>à, sarebbe comunque opportuno cercar di<br />
dare maggiore consistenza al nucleo del pierfrancescanesimo modenese.<br />
Non mi risulta, ad esempio, che sia mai stata presa in considerazione<br />
una Deposizione che fu <strong>della</strong> Collezione Cernuschi di Parigi, e che<br />
mi è stata fatta conoscere da Gianni Romano attraverso due fotografie<br />
del Gabinetto Fotografico Nazionale (E 35123 ed E 35124). Un<br />
accostamento all’affresco di Nonantola, o a quelle parti dell’altare del<br />
Giudizio che non corrispondono al diretto confronto con Cristoforo da<br />
Lendinara, ne consente una probabile ambientazione a Modena. Vi<br />
compaiono però elementi pierfrancescani cosí esplic<strong>it</strong>i, per tipologia e<br />
s<strong>it</strong>uazione narrativa, da far sospettare che essa echeggi qualche tratto<br />
sconosciuto dell’attiv<strong>it</strong>à estense del p<strong>it</strong>tore toscano. Su questo nodo di<br />
problemi intendo tornare piú diffusamente quanto prima.<br />
Avverto intanto che, in ordine di tempi, nell’area estense, il primo<br />
esempio di questo modo particolare d’intendere Piero mi pare rappresentato<br />
dalla Deposizione <strong>della</strong> Pinacoteca di Ferrara, per la quale Longhi<br />
tentò un riferimento al Pelosio, ma senza effettive possibil<strong>it</strong>à (cfr.<br />
f. zeri, Diari di lavoro, 2, Torino 1976, p. 57). Fra il ’50 e il ’60, essa<br />
potrebbe indicare un probabile avvio di Cristoforo da Lendinara.<br />
Non credo infine che si possa fare molto assegnamento sulle proposte<br />
di ricostruzione di un’attiv<strong>it</strong>à di Cristoforo come miniatore (il<br />
punto sulla questione in g. mariani canova, La miniatura veneta, Venezia<br />
1969, pp. 113-16).<br />
131 Cfr. m. verga bandirali, Una famiglia cremasca di <strong>maestri</strong> del<br />
legno: i de Marchi da Crema, in «Arte Lombarda», x, 1965, n. 2, pp.<br />
53-66 (ma in particolare 53-60). Per i cartoni del Cossa (il pagamento<br />
del 27 settembre 1473 si riferisce al solo San Petronio), cfr. la scheda<br />
di e. ruhmer, Francesco del Cossa, München 1959, pp. 88-89, e le considerazioni<br />
specifiche sul rapporto tecnica-figurazione fatte da puerari,<br />
Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 25. Si veda anche la valutazione di romano, Il coro<br />
di San Lorenzo c<strong>it</strong>., p. 20. Al raggio di Agostino, e non a quello di Cristoforo<br />
(come suggerisce invece a. c. quintavalle, Due testi <strong>della</strong> bottega<br />
lendinarese, in «Cr<strong>it</strong>ica d’arte», xii, 1965, n. 73, pp. 54-55), va<br />
ricondotto il mobile da sacrestia dell’abazia di Monteveglio.<br />
132 Riassumono notizie e dati relativi alle cinque tarsie di Lucca: l.<br />
bertolini campetti, in Museo di Villa Guinigi, Lucca 1968, pp.<br />
132-34; baracchini e caleca, Il Duomo di Lucca c<strong>it</strong>., p. 152. C’è da<br />
chiedersi se, per caso, l’arrivo a Lucca di Cristoforo (risulta avervi<br />
dipinto anche due altari) non sia da collegare all’<strong>it</strong>inerario di Niccolao<br />
Storia dell’arte Einaudi 166
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Sandonnini, vescovo di Modena che nel 1479 fu trasfer<strong>it</strong>o nella c<strong>it</strong>tà<br />
natale.<br />
133 Per le notizie su Lendinara a Pisa, cfr. l. tanfani centofanti,<br />
Notizie d’artisti tratte da documenti pisani, Pisa 1898, pp. 131, 334, oltre<br />
a i. b. supino, I Maestri d’intaglio e di tarsia in legno nella primaziale pisana,<br />
in «Archivio storico dell’arte», vi, 1893, p. 160; fiocco, Lorenzo<br />
e Cristoforo c<strong>it</strong>., pp. 324-25, ma le tarsie qui riprodotte non risultano<br />
ancora rifer<strong>it</strong>e a Cristoforo o alla sua scuola. L’intera s<strong>it</strong>uazione documentaria<br />
delle tarsie pisane viene ora accuratamente riconsiderata da<br />
Roberto Novello, che sta preparando una tesi sull’argomento all’univers<strong>it</strong>à<br />
di Pisa (relatore L. Tongiorgi Tomasi).<br />
134 quintavalle, Cristoforo c<strong>it</strong>., pp. 66-68, 89-90, ebbe il mer<strong>it</strong>o di<br />
riproporre l’importanza <strong>della</strong> sacrestia di Parma. In occasione dell’ultimo<br />
restauro è stato pubblicato dalla Soprintendenza di Parma un pieghevole<br />
che comprende anche una relazione tecnica di O. Caprara. Cfr.<br />
inoltre ciati, Cultura e società c<strong>it</strong>., pp. 206-11. Sul problema cr<strong>it</strong>ico dell’equivocata<br />
autografia di queste tarsie, cfr. infra, nota 137.<br />
135 arcangeli, Tarsie c<strong>it</strong>., p. 20, che le riproduce dub<strong>it</strong>ativamente<br />
come Guido Seravallino (nome sotto cui sono state studiate da j.<br />
wh<strong>it</strong>e, Nasc<strong>it</strong>a e rinasc<strong>it</strong>a dello spazio p<strong>it</strong>torico [1957], Milano 1971, pp.<br />
249-52). Come opera di altri intarsiatori che risultano attivi a Pisa,<br />
Michele e Giovanni Spagnolo, uno di questi pannelli è riprodotto da<br />
e. gombrich, The Her<strong>it</strong>age of Apelle. Studies in the Art of the Renaissance,<br />
London 1976, p. 28. Il giusto riferimento a Cristoforo è comunicazione<br />
orale di Otello Caprara. marchini, Giuliano da Maiano c<strong>it</strong>., p. 28, ne<br />
tentò un azzardoso riferimento al fiorentino Francione.<br />
136 Sui due tronetti, dopo il restauro, la scheda di l. fornari schianchi,<br />
nell’opuscolo Restauri <strong>della</strong> Soprintendenza ai beni artistici e storici<br />
di Parma e Piacenza, Parma s. d. [1981].<br />
137 La figura di questo intarsiatore, cosí come è stata proposta da a.<br />
c. quintavalle, Luchino Bianchino, in «Cr<strong>it</strong>ica d’arte», 1962, n. 50,<br />
pp. 36-53, verrà discussa successivamente. Il ruolo del Bianchino nella<br />
sacrestia fu esagerato in passato, non essendosi afferrato il senso <strong>della</strong><br />
scr<strong>it</strong>ta Luchinus Bianchinus Parm. | gratus Crist. Lend. cultor | forulum<br />
hunc prothopeperis | perfec<strong>it</strong> mcdlxli. Da cui risulta chiaro, perlomeno,<br />
che egli si lim<strong>it</strong>ò a terminare (perfec<strong>it</strong>) un armadio (forulum).<br />
Cosa che si è resa meglio comprensibile in segu<strong>it</strong>o all’ultimo restauro.<br />
Smontando le tarsie in corrispondenza <strong>della</strong> scr<strong>it</strong>ta si è potuto riconoscere<br />
che tre pannelli formarono appunto un armadio (che si è poi voluto<br />
ricostruire). Ciò non esclude che il Bianchino non abbia potuto prendere<br />
parte ai lavori dell’intero complesso e, piú in particolare, alle paraste<br />
intarsiate. Ma la responsabil<strong>it</strong>à operativa rimane indubbiamente a<br />
Cristoforo, cosí fervidamente omaggiato nella scr<strong>it</strong>ta dal Bianchino.<br />
138 Sul coro di Ferrara, quintavalle, Tarsie e urbanistica c<strong>it</strong>., con i<br />
Storia dell’arte Einaudi 167
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
riferimenti ulteriori e con la necessaria correzione dell’opinione precedentemente<br />
espressa per cui il coro attuale non sarebbe che proseguimento<br />
di quello del 1456 (ma cfr. nota 125). Aggiungo in bozze f.<br />
frisoni, Il coro ligneo <strong>della</strong> cattedrale di Ferrara, in La Cattedrale di Ferrara<br />
(atti del convegno, 11-13 maggio 1979), Ferrara 1982, pp. 539-58.<br />
139 Cfr. a. venturi, L’arte dell’intaglio e <strong>della</strong> tarsia a Ferrara nella<br />
fine del Quattrocento, in «L’Arte», xix, 1916, n. 2, p. 56.<br />
140 Ibid., p. 55. Forse in questo intarsiatore, piú che in Bartolomeo<br />
<strong>della</strong> Polla, può essere identificato il Bartolomeo che aiutò Lorenzo da<br />
Lendinara nei lavori del coro padovano (cfr. sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>.,<br />
p. 55). Un Bartolomeo da Ferrara partecipò anche alle prime fasi del<br />
coro modenese (fiocco, Lorenzo e Cristoforo c<strong>it</strong>., p. 338). Potrebbe<br />
essere una stessa persona con quel Bartolomeo da Lendinara che nel<br />
’74 intagliava un banco ed un tavolo per il Palazzo del cap<strong>it</strong>ano di Reggio<br />
(f. malaguzzi valeri, Lavori d’intaglio e tarsia nei secoli XV e XVI<br />
a Reggio Emilia, in «Archivio storico dell’arte», v, 1892, pp. 320-21).<br />
L’indicazione (come in altri casi) non corrisponde ad un rapporto di<br />
parentela o di origine, ma di bottega. In rapporto all’eventuale presenza<br />
lendinaresca dello Spadari, potrebbero essere considerati episodi<br />
come il coro di Sant’Antonio di Polesine (su cui quintavalle, Due<br />
testi c<strong>it</strong>.).<br />
141 Sul coro di Sant’Andrea [r. varese], in Donazioni e restauri, catalogo<br />
<strong>della</strong> mostra, Ferrara 1979, pp. 24-25: la notizia settecentesca dello<br />
Scalabrini che sia «opera di certo Pietro dalle Lanze» è sacrificata all’indicazione,<br />
giusta ma piú generica, di «scuola dei Lendinara».<br />
142 fiocco, Lorenzo Canozio c<strong>it</strong>., p. 18, ricorda gli inconsistenti tentativi<br />
di ricostruire l’attiv<strong>it</strong>à p<strong>it</strong>torica di Lorenzo da Lendinara (ad essi<br />
va aggiunto quello di m. salmi, P<strong>it</strong>tura e miniatura a Ferrara nel primo<br />
Rinascimento, Milano 1961, p. 31, relativo all’arch<strong>it</strong>ettura dipinta sulla<br />
parete meridionale <strong>della</strong> sala di Schifanoia). In questa occasione Fiocco<br />
non ricordò una propria opinione orale, con la quale aveva indirizzato<br />
verso Lorenzo la Madonna adorante il Bambino del Museo Correr<br />
(cfr. in g. mariacher, Il Museo Correr di Venezia. Dipinti dal XIV al XVI<br />
secolo, Venezia 1957, pp. 177-79). Quest’opera fu studiata in particolare<br />
da r. longhi, Calepino veneziano (1947), ora in Ricerche sulla p<strong>it</strong>tura<br />
veneta, Firenze 1978, pp. 70-73, che per un attimo suggerí il nome<br />
dei Lendinara, ma preferendo poi ripiegare nel «limbo degli anonimi»<br />
(occorre tener di conto che Longhi aveva in mente una diversa spiegazione<br />
di Lorenzo p<strong>it</strong>tore). l. puppi, Bartolomeo Montagna, Venezia<br />
1962, p. 33, nota 7, ha invece incoraggiato il riferimento a Lorenzo.<br />
La Madonna Correr fu ried<strong>it</strong>a quattro volte a partire dallo stesso cartone<br />
e da mani non identiche: una pratica corrente nelle botteghe di<br />
tarsia. Ma tutto quanto il problema, che da Venezia sposta in zona<br />
veronese, andrebbe riconsiderato, integrando ad esso opere problema-<br />
Storia dell’arte Einaudi 168
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
tiche, ma di chiara referenza lendinaresca, come il San Lorenzo e il Santo<br />
Stefano di Verona (p. brugnoli, Codici miniati <strong>della</strong> biblioteca cap<strong>it</strong>olare<br />
e dipinti del museo canonicale di Verona, catalogo <strong>della</strong> mostra, Verona<br />
1977, nn. 1-2).<br />
143 Sull’attiv<strong>it</strong>à di Lorenzo da Lendinara rimane fondamentale la raccolta<br />
di documenti di sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>. (o id., Documenti per<br />
la storia dell’arte a Padova, a cura di C. Fillarini, Vicenza 1976, pp.<br />
65-68).<br />
144 g. schizzerotto, Le incisioni quattrocentesche <strong>della</strong> Classense,<br />
Ravenna 1971, pp. 114-20. Cfr. inoltre, per l’attiv<strong>it</strong>à tipografica di<br />
Lorenzo, r. ridolfi, Nuovi contributi alla storia <strong>della</strong> stampa nel secolo<br />
XV, I, Lo «Stampatore del Messia» e l’introduzione <strong>della</strong> stampa a Firenze,<br />
in «La Bibliofilia», lvi, 1954, n. 1, pp. 1-20.<br />
145 La scr<strong>it</strong>ta con le firme e la data del coro di Santa Giustina è tornata<br />
leggibile a segu<strong>it</strong>o di una recente pul<strong>it</strong>ura: a. m. spiazzi, in I Benedettini<br />
a Padova e nel terr<strong>it</strong>orio padovano attraverso i secoli, catalogo <strong>della</strong><br />
mostra, Padova 1980, pp. 311-13. Una descrizione dettagliata del coro<br />
dette m. tonzing, La basilica romanico-gotica di Santa Giustina in Padova,<br />
in «Bollettino del Museo Civico di Padova», 1929, pp. 231-53. I<br />
rapporti con il coro del Santo osservati da n. ivanoff, in aa.vv., La<br />
basilica di Santa Giustina. Arte e storia, Castelfranco Veneto 1970, p.<br />
172, si alternano ad affermazioni incredibili come quella che mette in<br />
connessione le nature morte padovane con lo studiolo di Urbino. Di<br />
Domenico da Piacenza esiste un leggio ed un coro firmato e datato<br />
(1488) a Bobbio (m. tosi, Bobbio, Bobbio 1978, pp. 46-47).<br />
146 Sull’attiv<strong>it</strong>à di Marco Cozzi a Venezia, c. alberici, Il Mobile<br />
Veneto, Milano 1980, pp. 10-13. Cfr. inoltre g. mariacher, I cori lignei<br />
di S. Maria gloriosa dei Frari e del Duomo di Spilimbergo, in «Ateneo<br />
Veneto», cxxx, 1939, n. 1-2, pp. 69-70; a. rizzi, Profilo di storia dell’arte<br />
in Friuli, II, Udine 1979, pp. 33-34 (ma non si capisce su che cosa<br />
fondi l’opinione che le sue tarsie siano «desunte da cartoni di Lorenzo<br />
Canozi»).<br />
147 a. martini, La Galleria dell’Accademia di Ravenna, Venezia<br />
1959, pp. 62-65.<br />
148 Notizia d’opere di disegno, a cura di J. Morelli e G. Frizzoni, Bologna<br />
1884, p. 3. A Padova è documentato per la prima volta nel 1468<br />
(sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>., p. 58). Su di lui, in generale, e. rigoni, Pietro<br />
Antonio degli Abati da Modena e Lorenzo, ingegneri arch<strong>it</strong>etti del XV<br />
secolo (1933-34), ora in id., L’arte rinascimentale in Padova, Padova<br />
1970, p. 161; fiocco, Le tarsie di Pietro Antonio c<strong>it</strong>.; a. ghidiglia<br />
quintavalle, Abbati, Pietro Antonio, in Dizionario biografico degli <strong>it</strong>aliani,<br />
I, Roma 1960, pp. 26-27; sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>., pp. 57-63<br />
(id., Documenti c<strong>it</strong>., pp. 82-87). e. menegazzo, Per la datazione <strong>della</strong><br />
morte di Pierantonio degli Abati, in «Atti e memorie dell’Accademia<br />
Storia dell’arte Einaudi 169
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Patavina di scienze, lettere ed arti», lxxvii, 1964-65, pp. 508-9, ne ha<br />
spostato la data di morte alla fine del 1504.<br />
149 Sui frammenti del coro di Monte Berico, riassume ogni informazione<br />
a. dani, Tarsie lignee di Pier Antonio dell’Abate da Modena per<br />
la chiesa di S. Maria di Monte Berico, Vicenza 1965. Al contrario di quanto<br />
intese g. zorzi, Contributo alla storia dell’arte vicentina nei secoli XV<br />
e XVI, Venezia 1916, pp. 165-66, Bartolomeo Montagna non forní i<br />
disegni per il coro, ma indicò alcune modifiche sul disegno cui si fece<br />
riferimento per la stesura del contratto.<br />
150 È indicato genericamente come «arte <strong>it</strong>aliana del secolo xv» da<br />
c. gamba, Il museo Horne a Firenze, Firenze 1961, p. 42, nota 33, e da<br />
f. rossi, Il museo Horne a Firenze, Milano 1967, p. 160. Le misure corrispondono<br />
nella larghezza, mentre le tarsie vicentine sono state tagliate<br />
nell’altezza.<br />
151 Sul coro di Santa Corona, e. arslan, Catalogo delle cose d’arte e<br />
di antich<strong>it</strong>à d’Italia: Vicenza, I, Le chiese, Roma 1956, pp. 69-70, che<br />
richiama le vecchie testimonianze in favore dell’Abati e un impegno del<br />
1482 per la costruzione del coro. g. lorenzoni, Lorenzo da Bologna,<br />
Venezia 1963, p. 36, non r<strong>it</strong>iene invece accettabile l’attribuzione.<br />
152 Per questo coro, offuscato dall’addensamento rossastro degli olii<br />
e percorso da fend<strong>it</strong>ure, arslan, Catalogo c<strong>it</strong>., pp. 184-85; f. barbieri,<br />
r. cevese e l. magagnato, Guida di Vicenza, Vicenza 1956 2 , p. 378,<br />
che ne riconoscono l’alta qual<strong>it</strong>à ma lo mantengono nell’anonimato.<br />
153 È stato sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>., pp. 61-62, a identificare nella<br />
decorazione degli armadi commessi all’Abati nell’aprile del 1489 questi<br />
grandi pannelli che avevano avuto una recente fortuna cr<strong>it</strong>ica sotto<br />
il nome di Lorenzo. Cfr. inoltre m. lucco, in Sant’Antonio 1231-1981.<br />
Il suo tempo, il suo culto e la sua c<strong>it</strong>tà, catalogo <strong>della</strong> mostra, Padova<br />
1981, pp. 28-32. Queste tarsie hanno sub<strong>it</strong>o raschiature e rifacimenti.<br />
Ancora piú grave è la condizione dei due pannelli (Madonna col Bambino<br />
e sant’Antonio da Padova) che il Sartori r<strong>it</strong>iene provenienti dallo<br />
stesso mobile ed opera dell’Abati. A parte le diverse dimensioni e la<br />
mancata corrispondenza con il programma iconografico concordato<br />
(che prevedeva un’Annunciata e non una Madonna col Bambino), e tralasciando<br />
anche gli scarti dallo stile lignario dell’Abati, come i tagli spaziali<br />
troppo serrati, si fa fatica a riportare sul 1490 figure che ancora<br />
conservano evidenti tracce dello Squarcione.<br />
m. lucco, Riflessi lombardi nel Veneto (un abbozzo di ricerca sui precedenti<br />
culturali del Lotto), in Lorenzo Lotto a Treviso. Ricerche e restauri,<br />
a cura di G. Dillon, Treviso 1980, pp. 36-38, ha già provveduto a<br />
respingere il riferimento all’Abati degli affreschi dell’ex biblioteca di<br />
San Giovanni in Verdara a Padova, che fu avanzato da fiocco, Le tarsie<br />
di Pietro Antonio c<strong>it</strong>., incontrando poi consensi (anche, in un primo<br />
momento, dello stesso Lucco: in «Paragone», xxviii, 1977, n. 323, p.<br />
Storia dell’arte Einaudi 170
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
121). Ma mi pare che nella valutazione del caso, che personalmente<br />
ridurrei ai suoi giusti lim<strong>it</strong>i qual<strong>it</strong>ativi, vada tenuto di conto che quell’esibizione<br />
prospettica ha una necess<strong>it</strong>à strutturale connessa al luogo<br />
(la biblioteca) e alle specifiche convenzioni d’immagine: quelle, appunto,<br />
che possono dare la suggestione di tarsia in p<strong>it</strong>tura. È comunque<br />
difficile credere che un «magister perspectivae» si adattasse a costruire<br />
lo spazio in maniera tanto empirica, conducendo ogni linea fino al<br />
punto di fuga e prescindendo da ogni intuizione <strong>della</strong> distanza, cosicché,<br />
ad esempio, il banco di studio sprofonda dal primo piano all’infin<strong>it</strong>o.<br />
154 Il coro dei Santi Marino e Bartolomeo a Rimini, rivelato dal<br />
recente restauro di Otello Caprara, è sostanzialmente privo di letteratura<br />
(tanto piú sorprende l’attenzione del settecentesco erud<strong>it</strong>o bolognese<br />
Oretti: cfr. in appendice a c. f. marcheselli, P<strong>it</strong>ture di Rimini,<br />
a cura di P. G. Pasini, Bologna 1972, p. 249). Il restauro ha consent<strong>it</strong>o<br />
di leggere, sul retro di un pannello, le date 1494 e 1496, scr<strong>it</strong>te a<br />
carboncino.<br />
155 Sul Platina e l’ambiente figurativo a Cremona, l’impegnatissima<br />
indagine di puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>. Importanti considerazioni fa romano,<br />
Il coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>., pp. 18, 30-31. Una sintetica ma attenta<br />
collocazione dell’intarsiatore in m. l. ferrari, L’arte a Cremona, in<br />
id., Studi di storia dell’arte, Firenze 1979, p. 337.<br />
156 Giampiero Sforzosi, vicario del Duomo di Cremona, scrivendo<br />
nel maggio del 1489, quando il coro stava per essere terminato, affermò<br />
che, fra quanti avevano già veduto l’opera, «tutti hano judicato che el<br />
nostro non sarà simile né equale al choro del Sancto de Padua facto per<br />
lo vero Maestro dell’arte Maestro Cristoforo da Lendinara Maestro che<br />
fu del nostro Maestro Joanne Maria» (in puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 146,<br />
nota 206). I rapporti con Cristoforo sono confermati dal fatto che, per<br />
il san Girolamo dell’armadio cremonese, il Platina riadattò il sant’Ilario<br />
che compare nel coro lendinaresco di Parma. Tuttavia credo che i<br />
modi lignari e le part<strong>it</strong>ure prospettiche dell’armadio del Platina si spieghino<br />
meglio in rapporto a quel poco che sappiamo delle tarsie padovane<br />
di Lorenzo e con gli echi che esse trovarono nel coro di Santa Giustina.<br />
Del resto la testimonianza insiste su Padova. La presenza di un<br />
modello di Cristoforo in mano al Platina, qualora si preferisca farne un<br />
derivato padovano di Lorenzo, non sorprende: al tempo del coro di<br />
Parma, l’Abati aveva fatto spola fra la bottega emiliana e quella di<br />
Padova.<br />
157 L’unico vero lim<strong>it</strong>e <strong>della</strong> monografia del puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>.,<br />
consiste nei tentativi d’identificare gli autori dei cartoni: tentativi gracili<br />
in sé, quanto improbabili sul piano dell’organizzazione del lavoro.<br />
Su questo punto si è soffermato Romano, individuando le referenze<br />
culturali delle tarsie di figura in direzione ferrarese-bolognese. Perso-<br />
Storia dell’arte Einaudi 171
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
nalmente preferirei integrare la seconda fase del Platina con una piú<br />
diretta attenzione verso Venezia. Non va dimenticato che lo Sforzosi<br />
elogiava il Platina «per le sue infin<strong>it</strong>e virtudi et incredibili disegni». L’estrazione<br />
lendinaresca rimanda a botteghe di intarsiatori-p<strong>it</strong>tori. Pertanto<br />
è assai piú probabile che l’autore dei cartoni cremonesi sia il Platina<br />
stesso.<br />
158 Vedremo in segu<strong>it</strong>o quale fu la portata e il raggio di diffusione<br />
delle tarsie del Platina. Ricordo ora, come caso piú prossimo geograficamente,<br />
quello di Filippo da Soresina e dei suoi dossali del 1511 nella<br />
sacrestia di San Francesco di Brescia (cfr. a. morassi, Catalogo delle<br />
cose d’arte e di antich<strong>it</strong>à d’Italia. Brescia, Roma 1939, pp. 265-66; g.<br />
panazza, in Storia di Brescia, III, Brescia 1964, pp. 694-95). Nello stesso<br />
ambiente si conservano armadi intarsiati del 1483, che cost<strong>it</strong>uiscono<br />
un interessante caso di convivenza fra opera alla certosina, con innesti<br />
di madreperla, e forme decorative non estranee alla diffusione lendinaresca.<br />
159 Il contratto per il coro di San Francesco venne sottoscr<strong>it</strong>to nel<br />
1484 da Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio Donati, intagliatori<br />
milanesi. Gli specchi sono intagliati e figurati con vasi, grandi piante<br />
dilatate, animali e scene morali: il coro risulta ancora prossimo a quello<br />
milanese di Sant’Ambrogio, realizzato a partire dal 1469 da Lorenzo<br />
di Odrisio, Giacorno de’ Tori e Giacomo del Mayno, e che, appunto<br />
per la particolare combinazione arcaica di scelte esecutive ed iconografiche,<br />
poté essere scambiato per cosa assai piú antica. Una bibliografia<br />
aggiornata sul coro di San Francesco a Pavia e sui problemi ad<br />
esso connessi dà d. vicini, in Pavia, Pinacoteca Malaspina, Pavia 1981,<br />
pp. 183-84.<br />
160 Sul coro <strong>della</strong> Certosa di Pavia non esiste uno studio adeguato.<br />
Ciò non sorprende se, soltanto dei quarantadue stalli maggiori, manca<br />
una campagna fotografica completa. Si comprende quindi, in parte,<br />
come le varie notizie di archivio non riescano ancora del tutto coerenti,<br />
e come non esista neppure uno specchio bibliografico esauriente.<br />
Tale non risulta neppure il piú recente intervento di f. r. pesenti, La<br />
p<strong>it</strong>tura, in aa.vv., La Certosa di Pavia, Milano 1968, pp. 90-91, che raccoglie<br />
comunque il miglior materiale illustrativo. E tale non potrà<br />
ovviamente riuscire questa nota.<br />
Si ricorda, schematicamente, che le responsabil<strong>it</strong>à di Bartolomeo<br />
de’ Polli, modenese ma poi trapiantato a Mantova e documentato in<br />
rapporto al coro fin dal 1486, debbono essersi lim<strong>it</strong>ate alle parti d’intaglio<br />
e di tarsia non figurata. Egli non doveva essere usc<strong>it</strong>o dalla bottega<br />
lendinaresca, come spesso si è ripetuto, ma da quella del padre,<br />
eccellente intagliatore (note 123 e 140). Nei documenti pavesi Bartolomeo<br />
risulta costantemente solo come «magister a lignamine».<br />
Come «magister tarsiarum et perspectivae» fu invece ricordato il<br />
Storia dell’arte Einaudi 172
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
cremasco Pantaleone de’ Marchi (r. majocchi, Codice diplomatico artistico<br />
di Pavia, Pavia 1949, doc. n. 1611), che dunque, verosimilmente,<br />
fu il responsabile delle specchiature intarsiate e figurate. Sembrano<br />
darne conferma, per quanto esegu<strong>it</strong>i su altri modelli grafici e piú<br />
affrettatamente, gli stalli del Coro dei Conversi <strong>della</strong> stessa Certosa<br />
(cfr. nota 163).<br />
Si indica talvolta Pietro da Vailate come il responsabile di questi<br />
pannelli o come un collaboratore emergente nella bottega di Pantaleone<br />
de’ Marchi (rispettivamente, ad esempio, da parte di a. morassi,<br />
La Certosa di Pavia, Roma 1950, p. 16, e di l. beltrami, La Certosa di<br />
Pavia, Milano 1907, p. 93). Ma negli atti pavesi egli è sempre indicato<br />
come p<strong>it</strong>tore. E come p<strong>it</strong>tore di vetrate è ancora documentato attorno<br />
al 1520, quando lavorò per il Duomo di Milano. Quest’ultima circostanza<br />
non giustifica un’attiv<strong>it</strong>à lignaria; mentre è noto che le vetrate<br />
milanesi furono affidate a p<strong>it</strong>tori veri e propri, per quanto tendenzialmente<br />
specializzati.<br />
Se sto cercando di ovattare d’incertezza il riferimento dei cartoni<br />
pavesi a Pietro da Vailate, non è in ordine alle proposte d’identificazione<br />
fatte per le piú tarde e sostanzialmente inconfrontabili vetrate<br />
milanesi da c. gilli perina, The Sixteenth-Century Windows in the rear<br />
Choir of the Duomo in Milan and Dürer’s Engraving, in «The Burlington<br />
Magazine», cxiv, luglio 1972, pp. 452-58, ma perché il loro modello<br />
p<strong>it</strong>torico, per ragioni di stile, sembra risalire prevalentemente a Bernardo<br />
Zenale. Le corrispondenze fra le tarsie pavesi e le parti zenaliane<br />
del tr<strong>it</strong>tico di Treviglio, o i pannelli Contini Bonacossi non possono<br />
essere trascurate con troppa leggerezza. Già arcangeli, Tarsie c<strong>it</strong>.,<br />
p. 20, rifiutò di convenire con la moderna tradizione cr<strong>it</strong>ica che vuole<br />
Bergognone responsabile dei cartoni pavesi; e romano, Il coro di San<br />
Lorenzo c<strong>it</strong>., p. 17, per primo ha prefer<strong>it</strong>o a tale indicazione quella dello<br />
Zenale. Non discute queste opinioni il Pesenti, che s’impegna invece<br />
a suddividere in gruppi le tarsie e a riportarne i modelli in parte al Bergognone<br />
e in parte al fratello Bernardino. Personalmente non vedo<br />
alternative fra un prevalente riferimento allo Zenale o la possibil<strong>it</strong>à di<br />
fondare su queste tarsie la ricostruzione di un maestro di stretta osservanza<br />
zenaliana, Pietro da Vailate.<br />
L’accostamento <strong>della</strong> Madonna Borromeo del Bergognone, con il<br />
suo trono intarsiato, ad uno dei pannelli nel parapetto del coro di Pavia<br />
non vuole dunque indicare nel p<strong>it</strong>tore il responsabile di un tema decorativo<br />
che rimaneva, comunque, di sostanziale spettanza dei <strong>maestri</strong> di<br />
legname. Indica piuttosto una precisa concatenazione di gusto e di<br />
tempi: infatti difficilmente l’assetto <strong>della</strong> parte inferiore del coro potrà<br />
precedere il 1491 (quando Ludovico il Moro fece «ruinare» il lavoro<br />
di Bartolomeo de’ Polli, «designando come aveva a stare»: c. magenta,<br />
La Certosa di Pavia, Milano 1897, p. 384); mentre la tavola di Ber-<br />
Storia dell’arte Einaudi 173
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
gognone fece parte di un pol<strong>it</strong>tico <strong>della</strong> Certosa, dipinto negli anni<br />
1492-94 (secondo la ricostruzione fatta da f. mazzini, in Arte lombarda<br />
dai Visconti agli Sforza, catalogo <strong>della</strong> mostra, Milano 1958, p. 124,<br />
e tav. cxlii).<br />
161 longhi, Aspetti c<strong>it</strong>., in Lavori in Valpadana c<strong>it</strong>., p. 246.<br />
162 Su questo complesso in particolare, a. gonzález-palacios, Il<br />
mobile lombardo. 1, in «Arte illustrata», ii, 1969, n. 17-19, pp. 17-19<br />
e 38-39. Piú in generale, su questo ed altri complessi dell’area milanese,<br />
l. beltrami e v. forcella, La tarsia nelle sedie corali e negli armadi<br />
di alcune chiese di Milano e <strong>della</strong> Lombardia, Milano 1906; f. malaguzzi<br />
valeri, La corte di Ludovico il Moro, III, Milano 1917, pp.<br />
228-67.<br />
163 La serie di pannelli subí un riadattamento antiquario. Sul nucleo<br />
berlinese, che è firmato «Hoc est de Marchis Pantaleonis opus», w.<br />
bode, Das Chorgestühl des Pantaleone de Marchi, Berlin 1884; f.<br />
schottmüller, Das Chorgestühle des Pantaleone de Marchi in Kaiser<br />
Friedrich Museum in Berlin, in «Jahrbuch der K. Preussischen Kunstsammlungen»,<br />
1915, p. 175; id., Il mobilio nell’ab<strong>it</strong>azione del rinascimento<br />
in Italia, Milano 1921, figg. 154-55; p. torr<strong>it</strong>i, Tarsie del coro<br />
del duomo di Savona, in «Commentari», iii, 1952, n. 3, pp. 184-93, in<br />
particolare p. 189. Anche nel caso del Coro dei Conversi la documentazione<br />
risulta abbastanza complessa (ne dà la sintesi beltrami, La Certosa<br />
c<strong>it</strong>., pp. 93-95).<br />
164 p. schubring, Cassoni, Leipzig 1927, n. 900 (Italia del Nord, fine<br />
Quattrocento; si trovava presso Boehler di Monaco).<br />
165 Il coro di Savona è stato studiato da torr<strong>it</strong>i, Tarsie del coro c<strong>it</strong>.,<br />
che ha notato il collegamento con i due pannelli del disperso Coro dei<br />
Conversi a Pavia. Lo stesso studioso ne pubblicò il contratto del 1500<br />
(I «<strong>maestri</strong>» del coro del Duomo di Savona, in «Bollettino ligustico», iii,<br />
1951, n. 4, pp. 108-9).<br />
Altre notizie sull’attiv<strong>it</strong>à del Fornari a Savona sono state rese note<br />
da c. varaldo, Ricerche per un’opera ined<strong>it</strong>a a Minorca: il pol<strong>it</strong>tico di<br />
Ludovico Brea ed Anselmo de Fornari, in «Rivista ingauna e intemelia»,<br />
1973-75, pp. 46-52.<br />
166 Sulla collocazione del coro nella Cattedrale vecchia, g. fusconi,<br />
Il coro dell’antica cattedrale di Savona come replica del coro <strong>della</strong> Certosa,<br />
in Studi di storia dell’arte (Univers<strong>it</strong>à di Genova), Genova 1977,<br />
pp. 91-92. Per la presenza a Savona di Marco d’Oggiono fra il 1501<br />
e il 1504, c. varaldo, Un’opera leonardesca nella Liguria di Ponente.<br />
Il pol<strong>it</strong>tico di Marco d’Oggiono per S. Giovanni d’Andora, in «Rivista<br />
ingauna e intemelia», n. s., xxxi-xxxiii, 1976-78, n. 1-4, pp. 164-71.<br />
Per oggettivi lim<strong>it</strong>i di documentazione fotografica, non mi azzardo a<br />
ricavare dai miei appunti l’indicazione puntuale delle tarsie i cui cartoni<br />
possono spettare a Marco d’Oggiono. Ma una conferma <strong>della</strong> sua<br />
Storia dell’arte Einaudi 174
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
presenza nel coro savonese mi è stata accennata da Mauro Natale. La<br />
divisione di mani proposta da Torr<strong>it</strong>i punta invece sullo stile lignario<br />
e su una piú diretta e completa responsabil<strong>it</strong>à figurativa dei <strong>maestri</strong><br />
di tarsia. Per le tarsie del leggio <strong>della</strong> Cattedrale di Savona, cfr. infra,<br />
nota 244.<br />
167 fabriczy, Giuliano da Maiano c<strong>it</strong>., p. 163.<br />
168 Per il Rucellai, nota 106; per il Dei, in chastel, Marqueterie et<br />
perspective c<strong>it</strong>., p. 149, nota 16.<br />
169 Sui mobili fiorentini del Quattrocento rimangono ancora necessari<br />
a. schiaparelli, La casa fiorentina e i suoi arredi, Firenze 1908;<br />
tinti, Il mobilio fiorentino c<strong>it</strong>. Rientrano nei casi di rapporto fra figurazione<br />
prospettica ed arredo i contributi recenti di j. shearman, The<br />
Collections of the Younger Branch of the Medici, in «The Burlington<br />
Magazine», cxvii, gennaio 1975, pp. 12-27, e m. trionfi honorati,<br />
A propos<strong>it</strong>o del «lettuccio», in «Antich<strong>it</strong>à viva», xx, 1981, n. 3, pp.<br />
39-47 (con ricap<strong>it</strong>olazione bibliografica).<br />
170 tanfani centofanti, Notizie di artisti c<strong>it</strong>., p. 65.<br />
171 La lettera, che è del 1501, è stata pubblicata da a. conti, Tre<br />
documenti per le arti minori, in Itinerari, II, Firenze 1980, pp. 41-43.<br />
La presenza del p<strong>it</strong>tore-legnaiolo fiorentino in Europa orientale, non<br />
lontano dall’Ungheria, non sorprende. Verso l’Ungheria non conduce<br />
soltanto il precoce ricordo del Grasso <strong>della</strong> novella, o l’abiura tecnica<br />
compiuta in faccia a Mattia Corvino da Benedetto da Maiano, secondo<br />
il racconto di Vasari. Di una presenza di opere di tarsia o d’intagliatori<br />
<strong>it</strong>aliani in Ungheria dànno conferma i documenti rifer<strong>it</strong>i da venturi,<br />
L’arte dell’intaglio e <strong>della</strong> tarsia a Ferrara c<strong>it</strong>., p. 57, e da g. milanesi,<br />
Nuovi documenti per la storia dell’arte toscana dal XII al XV secolo,<br />
Firenze 1901, pp. 127-28. Le opere sono invece discusse e riprodotte<br />
da p. vo<strong>it</strong>, Una bottega in via dei Servi, in «Acta Historiae Artium»,<br />
vi, 1901, n. 3-4, pp. 187-228 (articolo zeppo d’inesattezze); m. zlinszky-sternegg,<br />
Marqueterie Renaissance dans l’ancienne Hongrie, Budapest<br />
1966; j. BIAŁOSTOCKY, The Art of the Renaissance in Eastern Europe,<br />
London 1976, pp. 61-62, figg. 221-25. Si stenta a credere, tuttavia,<br />
all’esistenza di un intarsiatore di origine <strong>it</strong>aliana che avrebbe posto<br />
la propria firma (F. Marone) sul taglio di un libro raffigurato in uno<br />
dei pannelli di Nyírbátor. Pasticciata in qualche maniera, la scr<strong>it</strong>ta starà<br />
piuttosto ad indicare un testo di Virgilio.<br />
172 È la celebre espressione <strong>della</strong> cosiddetta patente a Luciano Laurana<br />
(1468), ultimamente ripubblicata, nella trascrizione di D. De<br />
Robertis, in Scr<strong>it</strong>ti rinascimentali di arch<strong>it</strong>ettura c<strong>it</strong>., p. 20. Sul senso di<br />
tale affermazione, la nota introduttiva di Bruschi, p. 17.<br />
173 Le tarsie <strong>della</strong> Sagrestia di San Giovanni a Loreto sono state indicate<br />
come prodotto <strong>della</strong> bottega dei da Maiano da haines, Documenti<br />
c<strong>it</strong>., p. 265; il carattere fiorentino dei due banchi dei conti Oliva nella<br />
Storia dell’arte Einaudi 175
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
chiesa di Montefiorentino è stato sottolineato in senso maianesco da<br />
r. papini, Francesco di Giorgio arch<strong>it</strong>etto, Firenze 1946, p. 247, nota<br />
232; gli stalli di Luca da Firenze nella chiesa di Santa Maria a Piè la<br />
Piaggia, Camerino, sono riprodotti e discussi da l. serra, L’arte nelle<br />
Marche. Il periodo del Rinascimento, Roma 1934, p. 469.<br />
174 La data 1476 termina l’iscrizione intagliata nel soff<strong>it</strong>to dello studiolo.<br />
Essa dovrebbe coincidere con la fase di messa in opera <strong>della</strong> boiserie,<br />
del soff<strong>it</strong>to stesso, delle immagini degli uomini illustri dipinte da<br />
Pedro Berruguete e da Giusto di Gand, o anticiparla di pochissimo. Gli<br />
esami radiografici di cui dà conto j. lavalleye, Le palais ducal d’Urbin<br />
(«Corpus de la peinture des anciens Pays-Bas Méridionaux au<br />
Quinzième siècle», n. 7), Bruxelles 1964, p. 69, hanno invece rivelato<br />
che i dipinti <strong>della</strong> fascia superiore dello studiolo erano già stati avviati<br />
prima dell’agosto del 1474. Il progetto potrà dunque risalire ad un<br />
paio di anni avanti circa. La data 1476 venne invece considerata come<br />
riferimento di avvio da l. venturi, Studi sul palazzo ducale di Urbino,<br />
in «L’Arte», xvii, 1914, p. 455; segu<strong>it</strong>o poi, fra gli altri, da serra, L’arte<br />
nelle Marche c<strong>it</strong>., p. 472.<br />
Una bibliografia accurata sullo studiolo fu data da c. gnudi, in<br />
Mostra di Melozzo e del Quattrocento romagnolo, Forlí 1938, pp. 25-29.<br />
Successivamente vanno ricordati almeno gli interventi di p. rotondi,<br />
Il palazzo ducale di Urbino, Urbino 1950, I, pp. 332-56; id., Ancora sullo<br />
studiolo di Federico da Montefeltro nel palazzo ducale di Urbino, in<br />
Restauri nelle Marche. Testimonianze, acquisti, recuperi, catalogo <strong>della</strong><br />
mostra, Urbino 1973, pp. 561-602 (segu<strong>it</strong>o alle pp. 603-4 dalla relazione<br />
sul restauro di O. Caprara), ripubblicato in Studi bramanteschi<br />
(atti del congresso, 1970), Roma 1974, pp. 555-65. Ad inquadrare il<br />
problema ricordo, sia per il rilievo cr<strong>it</strong>ico che per la strumentazione<br />
bibliografica, i piú recenti interventi di a. chastel, Arte e umanesimo<br />
a Firenze (1959), Torino 1964, pp. 367-80; l. h. heydenreich, Federico<br />
da Montefeltro as Building Patron. Some Remarks on the Ducal Palace<br />
of Urbino, in Studies in Renaissance and Baroque Art presented to<br />
Anthony Blunt, London - New York 1967, pp. 1-6; a. bruschi, Bramante<br />
arch<strong>it</strong>etto, Bari 1969, pp. 75-99; a. parronchi, Prima traccia dell’attiv<strong>it</strong>à<br />
del Pollaiolo per Urbino, in «Studi Urbinati», xlv, 1971, n.<br />
1-2, pp. 1186-87 in particolare (aldilà dell’impostazione del problema<br />
dei cartoni); a. conti, Le prospettive urbinate: tentativo di un bilancio ed<br />
abbozzo di una bibliografia, in «Annali <strong>della</strong> Scuola Normale Superiore<br />
di Pisa» (classe di lettere e filosofia), serie iii, vi, 1976, n. 4, pp.<br />
1193-1234; liebenwein, Studiolo c<strong>it</strong>., pp. 83-96. Si veda inoltre m.<br />
calvesi, V<strong>it</strong>a e morte nello studiolo di Federico da Montefeltro, in «Corriere<br />
<strong>della</strong> Sera», 8 luglio 1973. Notevole per il contesto, il richiamo<br />
fatto da w. p. d. wightman, Science in a Renaissance Society, London<br />
1972, p. 48.<br />
Storia dell’arte Einaudi 176
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
175 lavalleye, Le palais ducal c<strong>it</strong>., p. 70 («réalisé sans doute par Baccio<br />
Pontelli»). Il collegamento fra la presenza ad Urbino del Pontelli<br />
negli anni 1479-82 e le varie opere di tarsia del palazzo, già accennato<br />
da Milanesi, in vasari, Opere c<strong>it</strong>., II, p. 661, venne poi precisato<br />
nella direzione specifica dello studiolo (Budinich, Schmarsow, L. Venturi),<br />
poi correntemente ripetuto (ad es., da Longhi, Arcangeli, Chastel).<br />
Opportunamente è stato notato da m. trionfi honorati, Il mobile<br />
marchigiano, Milano 1971, p. 7, che «la cr<strong>it</strong>ica si è lim<strong>it</strong>ata finora a<br />
ripetere il nome di Baccio Pontelli». Ma cfr. infra, nota 182.<br />
176 L’indicazione di longhi, Piero <strong>della</strong> Francesca c<strong>it</strong>., p. 70 fu argomentata<br />
e defin<strong>it</strong>a da arcangeli, Tarsie c<strong>it</strong>., pp. 7-10. Sulla fortuna cr<strong>it</strong>ica<br />
del riferimento, cfr. m. salmi, Piero <strong>della</strong> Francesca e il palazzo<br />
ducale d’Urbino, Firenze 1945, pp. 114-15; r. salvini, Botticelli, Milano<br />
1958, I, pp. 71-72; g. mandel, Botticelli, Milano 1967, pp. 116-17;<br />
r. lightbown, Botticelli, II, London 1978, pp. 213-14 (ma, incredibilmente,<br />
le scheda nel settore delle «Works wrongly attributed to Botticelli»<br />
e preferisce pensare a Francesco di Giorgio). c. h. clough, Piero<br />
<strong>della</strong> Francesca. Some Problems of his Art and Chronology, in «Apollo»,<br />
xci, aprile 1970, pp. 284-85, vincola impropriamente la possibil<strong>it</strong>à che<br />
i cartoni siano stati forn<strong>it</strong>i da Botticelli ad una sua presenza ad Urbino.<br />
Articolazioni di responsabil<strong>it</strong>à sono invece indicate da Rotondi e<br />
Conti (c<strong>it</strong>ati alla nota 174). parronchi, Prima traccia c<strong>it</strong>., vede invece<br />
una piú generale responsabil<strong>it</strong>à di Antonio del Pollaiolo nella progettazione<br />
p<strong>it</strong>torica dello studiolo come di altre tarsie di Urbino.<br />
177 In particolare rotondi, Ancora sullo studiolo c<strong>it</strong>.<br />
178 Per il riferimento dei cartoni dello studiolo a Francesco di Giorgio,<br />
venturi, Studi c<strong>it</strong>., pp. 452-53; serra, L’arte nelle Marche c<strong>it</strong>., p.<br />
472. Non furono d’accordo a. s. weller, Francesco di Giorgio Martini,<br />
1439-1501, Chicago 1943 (che riconobbe l’artista senese in altre tarsie<br />
del palazzo), e papini, Francesco di Giorgio c<strong>it</strong>., pp. 136-37 (che lo<br />
indicò invece nella porta maggiore, con Apollo e Minerva). Francesco<br />
di Giorgio non rimane del tutto tagliato fuori dallo studiolo nell’impostazione<br />
che del problema ha dato il rotondi, Francesco di Giorgio<br />
nel Palazzo Ducale di Urbino, Novilara 1970, pp. 36 e 105. Dopo che<br />
in precedenza si era espresso sostanzialmente a favore del Botticelli,<br />
salmi, Piero <strong>della</strong> Francesca c<strong>it</strong>., p. 196, nota 9, torna ad accennare a<br />
Francesco di Giorgio a propos<strong>it</strong>o dello studiolo.<br />
179 Nelle porte di Urbino, il nome di Federico compare accompagnato<br />
talvolta dal t<strong>it</strong>olo di conte, in altri casi da quello di duca: ciò<br />
significa che furono esegu<strong>it</strong>e a cavallo del 1474, nello stesso periodo<br />
dello studiolo. Un tentativo di rendiconto bibliografico sulle porte<br />
risulterebbe ancora piú intricato di quello che può risultare, in queste<br />
annotazioni schematiche, per lo studiolo. Esso potrà essere ripercorso<br />
attraverso gli stessi strumenti bibliografici (Serra, Rotondi, Salmi)<br />
Storia dell’arte Einaudi 177
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
già indicati sopra. I termini del dibatt<strong>it</strong>o, per quanto variamente combinati,<br />
rimangono nella sostanza i medesimi, legandosi ai nomi di<br />
Botticelli, Francesco di Giorgio, Baccio Pontelli, Giuliano da Maiano,<br />
Pollaiolo.<br />
Accenno soltanto al problema <strong>della</strong> porta di maggior rilievo figurativo,<br />
quella con Apollo e Minerva. Non mi convince il riferimento<br />
alla bottega di Giuliano da Maiano (Papini) né a Pontelli (Puerari, ad<br />
esempio), se per essa si vuole indicare quella stessa che lavorò lo studiolo.<br />
Per quanto sostanzialmente sia fiorentina, questa porta ha caratteri<br />
inusuali: mi riferisco in particolare all’abbreviata soluzione lignaria<br />
del viso di Minerva. Anche per il cartone non riesco a sottoscrivere<br />
il riferimento ormai prevalente (dopo Arcangeli) a Botticelli. Non<br />
certo per riprendere riferimenti martiniani; e neppure per aderire alla<br />
proposta di Parronchi a favore di Antonio Pollaiolo. Incuriosisce semmai<br />
la prima idea di Arcangeli, a favore di Piero del Pollaiolo, che è il<br />
nome che piú si accosta alla mia impressione personale: a me quelle pieghe<br />
cannullate e frantumate <strong>della</strong> Minerva fanno venire a mente Bartolomeo<br />
<strong>della</strong> Gatta. Come è ovvio in questi casi, non può essere che<br />
un riferimento orientativo. Tanto piú che tocca una congiuntura che<br />
andrebbe precisata a partire da documenti figurativi meno aleatori di<br />
questo. Ma questa suggestione può almeno spiegare perché stento a sottoscrivere<br />
i riferimenti precedentemente espressi.<br />
180 Sul Pontelli arch<strong>it</strong>etto non aiuta molto de fiore, Baccio Pontelli<br />
c<strong>it</strong>.; piú sinteticamente, cfr. la voce di o. rossi, in Dizionario di Arch<strong>it</strong>ettura<br />
e Urbanistica, IV, Roma 1967, pp. 493-94; m. g. aurigemma,<br />
La rocca è un labirinto, in s. danesi squarzina e g. borghini, Il borgo<br />
di Ostia da Sisto IV a Giulio II, Roma 1980, pp. 73-74. r. salvini, The<br />
Sistine Chapel. Ideology and Arch<strong>it</strong>ecture, in «Art History», iii, 1980,<br />
n. 2, p. 155, ha piú recentemente difeso l’attribuzione vasariana al Pontelli<br />
<strong>della</strong> Cappella Sistina.<br />
181 tanfani centofanti, Notizie di artisti c<strong>it</strong>., pp. 65-67; supino, I<br />
<strong>maestri</strong> d’intaglio c<strong>it</strong>., pp. 163-65.<br />
182 papini, Francesco di Giorgio c<strong>it</strong>., pp. 135-36, argomenta con<br />
molta vivac<strong>it</strong>à che lo studiolo non può essere usc<strong>it</strong>o che dalla bottega<br />
dei fratelli da Maiano e che non c’è necess<strong>it</strong>à di ricorrere al Pontelli,<br />
giunto piú tardi ad Urbino. Non si comprende bene come certe vecchie<br />
opinioni siano sopravvissute a quelle pagine. L’esecuzione dello<br />
studiolo è rifer<strong>it</strong>a alla bottega dei da Maiano da marchini, Giuliano<br />
da Maiano c<strong>it</strong>., p. 44, e da parronchi, Prima traccia c<strong>it</strong>., p. 1188. Un<br />
riferimento abbastanza esplic<strong>it</strong>o ad essa fa bruschi, introduzione a<br />
Scr<strong>it</strong>ti rinascimentali di arch<strong>it</strong>ettura c<strong>it</strong>., p. lv. Il restauratore dello studiolo,<br />
Caprara, ne ha sostenuto la piena coincidenza con la tecnica<br />
lignaria <strong>della</strong> bottega dei da Maiano in occasione di varie conferenze.<br />
183 tanfani centofanti, Notizie di artisti c<strong>it</strong>., p. 65; «v’è su tre<br />
Storia dell’arte Einaudi 178
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
fighure di <strong>prospettiva</strong>, cioè fede, speranza, char<strong>it</strong>à». Su queste tarsie,<br />
che fino ad una cinquantina di anni fa si trovavano montate in una<br />
panca cruciforme, attorno ad un pilastro del Duomo, supino, I <strong>maestri</strong><br />
d’intaglio c<strong>it</strong>., p. 174; venturi, Studi c<strong>it</strong>., p. 45; r. papini, Pisa<br />
(«Catalogo delle cose d’arte e di antich<strong>it</strong>à d’Italia»), I, Roma 1912,<br />
pp. 163-65.<br />
184 Della sedia, che fu ricordata anche da Vasari, sopravvivono le<br />
tre figure di profeti, scontornate ed inser<strong>it</strong>e nella panca addossata alla<br />
fiancata sud del Duomo. Cfr. supino, I <strong>maestri</strong> d’intaglio c<strong>it</strong>., pp. 154,<br />
173-74; papini, Pisa c<strong>it</strong>., pp. 159-61; l. cendali, Giuliano e Benedetto<br />
da Maiano, Sancasciano s. d., pp. 40-41. Anche a marchini, Giuliano<br />
da Maiano c<strong>it</strong>., p. 34, «il disegno, di elevata qual<strong>it</strong>à, sembra che debba<br />
risalire a Sandro Botticelli».<br />
185 Il San Lorenzo venne invece rifer<strong>it</strong>o al Pontelli da supino, I <strong>maestri</strong><br />
d’intaglio c<strong>it</strong>., p. 176. Cfr. inoltre papini, Pisa c<strong>it</strong>., p. 162.<br />
186 La deduzione del Supino (ibid., p. 175) che la serie delle arti liberali<br />
dovesse provenire dalla sedia dei Priori non sembra fondata. Se,<br />
per contratto, questa sedia «de’ esser lavorata per qual modo parrà a<br />
d<strong>it</strong>to m. o Francesco [il Francione] lavorata bene quanto sarà possibile»,<br />
piú facilmente vorrà dire che non erano previste decorazioni complesse<br />
e programmi iconografici.<br />
187 La porta fu di fatto esegu<strong>it</strong>a solo nel 1480. Dai documenti pubblicati<br />
da g. poggi, Le sculture di Benedetto da Maiano per la porta dell’Udienza<br />
in Palazzo Vecchio, in «Rivista d’Arte», vi, 1909, pp. 158-59,<br />
risulta che nell’aprile di quell’anno gli intarsiatori vennero minacciati<br />
<strong>della</strong> remissione dell’incarico se non avessero consegnato la porta entro<br />
quattro giorni avanti la festa di san Giovanni. In quell’anno conclusero<br />
il lavoro: vennero infatti retribu<strong>it</strong>i nel dicembre successivo, entrambi<br />
assieme ai «socii legnaiuoli». La cronologia rimane comunque abbastanza<br />
serrata per poter pensare ad un cartone di Filippino (ad un’altezza<br />
di stile che si troverebbe a precedere immediatamente la tavola<br />
lucchese). arcangeli, Tarsie c<strong>it</strong>., pp. 12-13, dice di essere stato persuaso<br />
da Longhi a riferire a Botticelli tale cartone, dopo una sua iniziale<br />
sensazione a favore del Ghirlandaio.<br />
188 L’osservazione risale a fiocco, Lorenzo e Cristoforo c<strong>it</strong>., p. 275.<br />
Non ne ricordo traccia nelle monografie sul p<strong>it</strong>tore di K. B. Neilson e<br />
A. Scharf. vasari, Opere c<strong>it</strong>., III, p. 350 richiama i santi come «bellissimi»,<br />
senza ulteriori riferimenti. Su Bartolomeo (Baccio) d’Agnolo<br />
Baglioni, la voce di l. berti, in Dizionario biografico degli <strong>it</strong>aliani, V,<br />
Roma 1963, pp. 202-5.<br />
189 parronchi, Prima traccia c<strong>it</strong>., p. 1187.<br />
190 Il senso <strong>della</strong> scelta illusionistica fiorentina, in alternativa alle tarsie<br />
lendinaresche, è stata efficacemente sottolineata da conti, Le prospettive<br />
urbinati c<strong>it</strong>., p. 1212.<br />
Storia dell’arte Einaudi 179
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
191 p. remington, The Private Study of Federico da Montefeltro, in<br />
«Bulletin of the Metropol<strong>it</strong>an Museum of Art», xxxvi, 1941, n. 1<br />
(sezione seconda), pp. 3-13 (non rintracciato); e. wintern<strong>it</strong>z, Quattrocento<br />
Science in the Gubbio Study, ivi, n. s., i, 1942-43, pp. 104-16;<br />
papini, Francesco di Giorgio c<strong>it</strong>., pp. 137-39 (che opportunamente rifiuta<br />
il riferimento a Francesco di Giorgio). La bibliografia successiva ha<br />
segu<strong>it</strong>o percorsi paralleli a quella sullo studiolo urbinate. Nel confronto<br />
fra i due, chastel, Arte e umanesimo, p. 378, ha r<strong>it</strong>enuto piú raffinata<br />
la tecnica dello studiolo di Gubbio; un’opinione inversa dichiara,<br />
ad esempio, trionfi honorati, Il mobile marchigiano c<strong>it</strong>., p. 7; m.<br />
davies, Early Netherlandish School («National Gallery Catalogues»),<br />
London 1955, p. 56, ha proposto di riconnettere all’originale assetto<br />
dello studiolo di Gubbio il noto complesso delle Arti liberali diviso fra<br />
Londra e Berlino (già). Su questa ipotesi procede c. h. clough, Federico<br />
da Montefeltro’s Private Study in his ducal palace of Gubbio, in<br />
«Apollo», lxxxvi, ottobre 1967, pp. 278-87, che poi in Piero <strong>della</strong> Francesca<br />
c<strong>it</strong>. azzarda riferimenti pierfrancescani per il progetto grafico dello<br />
studiolo. Cfr. inoltre, liebenwein, Studiolo c<strong>it</strong>., pp. 96-99.<br />
192 u. rossi, Catalogo del R. Museo Nazionale di Firenze, Firenze<br />
1898, p. 345.<br />
193 Su Domenico e sugli altri membri <strong>della</strong> famiglia Tasso, si vedano<br />
le voci di u. middeldorf nel Thieme Becker, XXXII, pp. 45-46.<br />
194 n. dacos, La découverte de la Domus Aurea et la formation des grotesques<br />
à la Renaissance, London-Leiden 1969, p. 62, con l’accostamento<br />
ad una pagina del Codex Escurialensis.<br />
195 Per le numerose presenze toscane, la silloge documentaria di a.<br />
rossi, Maestri e lavori di legname in Perugia nei secoli XV e XVI, pubblicata<br />
in varie puntate, da febbraio a dicembre, nel «Giornale di erudizione<br />
artistica», i, 1872; e cantelli, Il mobile umbro c<strong>it</strong>. Questo libro,<br />
con i suoi riferimenti bibliografici e le sue illustrazioni, servirà ad<br />
abbreviare le mie annotazioni. È utile accompagnarne la lettura con le<br />
recensioni di m. trionfi honorati, in «Antich<strong>it</strong>à viva», xiii, 1974, n.<br />
3, pp. 74-76, e di f. santi, in «Bollettino <strong>della</strong> deputazione di Storia<br />
Patria per l’Umbria», lxxi, n. 2, pp. 127-28.<br />
196 rossi, Maestri e lavori c<strong>it</strong>., p. 155. Per le valutazioni che vengono<br />
successivamente avanzate, può essere utile ricordare che «le 34 sedie<br />
messe ad ornamenti» furono stimate «fiorini 36 l’una, e fiorini 60 l’una<br />
le tre a figure».<br />
197 Fu affidato nel 1502 a Baccio d’Agnolo di Lorenzo, da Firenze.<br />
Il rossi, ibid., p. 121-23, ne esclude l’ident<strong>it</strong>à con il Baccio d’Agnolo<br />
vasariano. In polemica con Cantelli, la distinzione è stata ripresa dal<br />
Santi (recensione c<strong>it</strong>. a nota 195). Il coro venne concluso nel 1532.<br />
198 rossi, ibid., pp. 159-61.<br />
199 Su Antonio (e Sebastiano) Bencivenni, la voce di s. nessi, in<br />
Storia dell’arte Einaudi 180
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Dizionario biografico degli <strong>it</strong>aliani, VIII, Roma 1966, pp. 216-18. Le<br />
radici urbinate dell’intarsiatore vennero richiamate da salmi, Piero<br />
<strong>della</strong> Francesca e il palazzo di Urbino c<strong>it</strong>., p. 115. Sul bancone di C<strong>it</strong>tà<br />
di Castello, id., Commento al coro c<strong>it</strong>., p. 364.<br />
200 Sul coro di Todi, illustrato da e. cecchi, Tarsie <strong>della</strong> Cattedrale<br />
di Todi, in «Civiltà», ii, 1941, n. 5, pp. 71-79 (ripreso in id., Piaceri<br />
<strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura, Venezia 1960, pp. 243-46), e giudicato da Arcangeli<br />
«costola di Giovanni da Verona», m. righetti, Le tarsie di Todi c<strong>it</strong>. Ma,<br />
per questa breve monografia, vanno considerate le osservazioni di m.<br />
trionfi honorati, in «Antich<strong>it</strong>à viva», xvii, 1979, n. 6, pp. 65-66 (che<br />
opportunamente mette in risalto il significato strutturale del coro).<br />
201 g. urbini, Le opere d’arte di Spello, «Archivio storico dell’arte»,<br />
iii, 1897, n. 1, p. 28; cantelli, Il mobile c<strong>it</strong>., p. 11 (con riproduzione).<br />
«Andrea Campani ecc. te M. ro d’intagli» è fra i <strong>maestri</strong> di legname<br />
noti a Modena fino alla metà del Cinquecento (a. venturi, Fonte<br />
dimenticata di storia artistica. Il catalogo di Tomasino Lancillotto, in<br />
«L’Arte», xxvi, 1922, p. 32). La data 1534, indicata in uno degli specchi<br />
del giro inferiore degli stalli, andrà rifer<strong>it</strong>a al momento conclusivo<br />
dei lavori.<br />
202 Indicazioni bibliografiche sul coro di Assisi si ricavano da e.<br />
zocca, Assisi («Catalogo delle cose d’arte e di antich<strong>it</strong>à d’Italia»),<br />
Roma 1936, pp. 84-86; cantelli, Il mobile c<strong>it</strong>., p. 23, nota 27. Con<br />
Domenico Antonio Indivini collaborarono il fratello Nicola, Pietro<br />
Antonio e Francesco Acciaccaferri, Giovanni di Pier Jacopo, tutti<br />
quanti di San Severino. Sui due Acciaccaferri, cfr. le voci di g. fabiani,<br />
in Dizionario biografico degli <strong>it</strong>aliani, I, Roma 1960, p. 74. Per gli<br />
altri lavori marchigiani dell’Indivini, in particolare, serra, L’arte nelle<br />
Marche c<strong>it</strong>., pp. 475-83. Per il coro di San Severino, o. rossi pinelli,<br />
vol. VIII, p. 189 di questa Storia dell’arte. Meglio che nel coro di Assisi,<br />
si chiarisce qui quanto l’Indivini debba alla diffusione <strong>della</strong> tarsia<br />
fiorentina in zona marchigiana, soprattutto attraverso Urbino.<br />
203 e. carli, Le tarsie di San Quirico d’Orcia, in «Cr<strong>it</strong>ica d’arte», viii,<br />
1950, n. 33, pp. 473-76 (ripreso in id., Scultura lignea senese c<strong>it</strong>., pp.<br />
93-99); m. lenzini moriondo, voce, in Dizionario biografico degli <strong>it</strong>aliani,<br />
VI, Roma 1964, pp. 367-69; j. thornton, Antonio di Neri Barili<br />
and the chapel of St. John Baptist in Siena Cathedral, in «Apollo», xcix,<br />
aprile 1974, pp. 232-39; m. trionfi honorati, Antonio e Andrea Barili<br />
a Fano, in «Antich<strong>it</strong>à Viva», xiv, 1975, n. 6, pp. 35-42; sisi, Le tarsie<br />
c<strong>it</strong>., pp. 33-42; e. carli, Il duomo di Siena, Genova 1979, p. 97; f.<br />
zeri, Lo Spettacolo Intarsiato, in «fmr», settembre 1982, pp. 37-52.<br />
204 Il patto d’allogazione (pubblicato da g. milanesi, Documenti per<br />
l’arte senese, II, Siena 1854, pp. 387-89) non accenna a specchiature<br />
intarsiate. La trasformazione del progetto può spiegare il prolungamento<br />
dei lavori. Non è possibile sospettare che Barili si sia lim<strong>it</strong>ato<br />
Storia dell’arte Einaudi 181
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
ad eseguire la struttura lignea e gli intarsi del coro. Il suo nome compare<br />
sotto il pannello già a Vienna, con il r<strong>it</strong>ratto dell’esecutore dell’opera<br />
e con la scr<strong>it</strong>ta che, nel richiamo <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura, evidenzia proprio<br />
l’opera di tarsia.<br />
205 longhi, Officina c<strong>it</strong>., p. 21 (ma si veda anche Genio degli anonimi:<br />
Giovanni di Piamonte [1940], in ‘Fatti di Masolino e di Masaccio’ e<br />
altri studi sul Quattrocento, Firenze 1975, pp. 136-37, nota 3).<br />
206 sisi, Le tarsie c<strong>it</strong>. I confronti signorelliani si riferiscono prevalentemente<br />
alla Cappella di San Brizio ad Orvieto.<br />
207 Cfr. gli interventi <strong>della</strong> Trionfi Honorati e di Sisi c<strong>it</strong>ati alla<br />
nota 203.<br />
208 È questa l’impressione di thornton, Antonio di Neri c<strong>it</strong>., p. 238.<br />
209 L’accostamento del coro di Pesaro al Barili fu spinto addir<strong>it</strong>tura<br />
all’attribuzione da r. sabbatini, L’arte nella chiesa di S. Agostino in<br />
Pesaro, Bologna 1954, pp. 10-33, che ne dette la prima mer<strong>it</strong>evole illustrazione.<br />
Piú di recente è stato oggetto di una monografia, l. michelini<br />
tocci, Pesaro sforzesca nelle tarsie del Coro di S. Agostino, Pesaro<br />
1971 (con ottimo apparato d’illustrazioni). Ma si veda anche la recensione<br />
di m. trionfi honorati, in «Antich<strong>it</strong>à Viva», xi, 1972, n. 2, pp.<br />
61-62. Il coro non è un<strong>it</strong>ario. Il termine utile per s<strong>it</strong>uare le tarsie è il<br />
1487; esse non oltrepassano il 1499, comunque.<br />
210 Il coro di Sansepolcro è stato studiato da salmi, Commento c<strong>it</strong>.,<br />
che ha anche segnalato i rapporti con quello di Pesaro.<br />
211 cantelli, Il mobile c<strong>it</strong>., p. 10, e ill. 32.<br />
212 Le notizie su Giovanni da Verona sono raccolte nel fondamentale<br />
lavoro di lugano, Di fra Giovanni da Verona c<strong>it</strong>. Ricordo alcuni<br />
piú recenti interventi, relativi alle singole opere. Per il coro di Verona<br />
(e per la piú tarda sacrestia): l. rognini, Le tarsie di S. Maria in Organo,<br />
Verona 1978 (che contiene una bibliografia aggiornata), recens<strong>it</strong>o<br />
da m. trionfi honorati, in «Antich<strong>it</strong>à Viva», xvii, 1976, n. 6, pp.<br />
63-65. Per il coro di Siena: carli, Il duomo c<strong>it</strong>., pp. 96-97. Per quello<br />
di Monte Oliveto: e. carli, L’abbazia di Monteoliveto, Milano 1961,<br />
pp. 47-52; a. boschetto, Monte Oliveto e le tarsie del coro, in Arte e<br />
civiltà del monachesimo <strong>it</strong>aliano («L’illustrazione <strong>it</strong>aliana», i, 1974, n.<br />
4), pp. 49-66. Sulle tarsie napoletane: oltre agli accenni di r. causa,<br />
Giovanni Francesco di Arezzo e Prospero <strong>maestri</strong> di commesso e <strong>prospettiva</strong>.<br />
Le tarsie del coro dei conversi nella certosa di S. Martino, in «Napoli<br />
Nobilissima», n. s., i, 1961, n. 4, pp. 123-34, r. pane, Il Rinascimento<br />
nell’Italia meridionale, I, Milano 1975, pp. 89-90. Sulle tarsie di Lodi<br />
(esegu<strong>it</strong>e nel 1523-25 per il convento di Villanova Sillaro e ultimamente<br />
fin<strong>it</strong>e, dopo vari passaggi, nell’orrenda sistemazione del Duomo di<br />
Lodi): a. caretta, a. degani e a. novasconi, La cattedrale di Lodi, Lodi<br />
1966, pp. 154-57. Cfr. inoltre, brizzi, Un armadio intarsiato c<strong>it</strong>. (questo<br />
armadio, entrato al Metropol<strong>it</strong>an Museum nel 1963 è il medesimo<br />
Storia dell’arte Einaudi 182
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
che comparve nel 1961 alla mostra-mercato dell’antiquariato di Palazzo<br />
Strozzi, nello stand <strong>della</strong> Galleria Bellini di Firenze; le sette tarsie<br />
replicano cartoni di fra Giovanni: conoscendole solo indirettamente,<br />
non so giudicare <strong>della</strong> loro antich<strong>it</strong>à). Per la valutazione cr<strong>it</strong>ica di fra<br />
Giovanni, rimangono fondamentali le osservazioni di arcangeli, Tarsie<br />
c<strong>it</strong>., p. 22. Nel testo si farà riferimento anche a chastel, I centri<br />
c<strong>it</strong>., p. 246.<br />
213 I documenti in rossi, Maestri e lavori c<strong>it</strong>., pp. 69-70. lugano, Di<br />
fra Giovanni c<strong>it</strong>., pp. 14-15, sciolse le incertezze sull’identificazione.<br />
214 Il coro di Sant’Elena a Venezia, una delle opere di tarsia piú celebrate<br />
in antico, esegu<strong>it</strong>o da Sebastiano da Rovigno attorno al 1480,<br />
venne svenduto nel 1807, a segu<strong>it</strong>o <strong>della</strong> demanializzazione dei beni<br />
<strong>della</strong> chiesa (r. gallo, La chiesa di S. Elena, in «Rivista mensile <strong>della</strong><br />
c<strong>it</strong>tà di Venezia», v, 1926, nn. 10-11, pp. 423-520, ma in particolare<br />
pp. 481, 518). La notizia data da monografista ottocentesco dell’intarsiatore<br />
(p. tedeschi, Fra Sebastiano Schiavone da Rovigno, in «Archivio<br />
storico per Trieste, l’Istria e il Trentino», iii, 1883, pp. 32-43), per<br />
cui le tarsie di Sant’Elena sarebbero state trasfer<strong>it</strong>e nella sacrestia di<br />
San Marco, nacque evidentemente da una lettura fraintesa <strong>della</strong> guida<br />
del Moschini ed è contraddetta dal fatto che tali tarsie sono opera dei<br />
fratelli Mola. La notizia fu però ripresa da lugano, Di fra Giovanni c<strong>it</strong>.,<br />
pp. 27-31, ed è quindi rimbalzata negli studi successivi, perfino in circostanze<br />
di larga ed autorevole efficacia informativa.<br />
215 Se ne veda la riproduzione in puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., tav. xxxii.<br />
216 C<strong>it</strong>ato e inquadrato da bruschi, in Scr<strong>it</strong>ti rinascimentali c<strong>it</strong>., p. 41.<br />
217 Risulta che in segu<strong>it</strong>o alle soppressioni di età napoleonica, trentanove<br />
specchi del coro di Monte Oliveto furono trasfer<strong>it</strong>i nella piú<br />
antica struttura di quello nel Duomo di Siena, mentre nove rimasero<br />
nel complesso originario: dove poi furono ricollocate le tarsie provenienti<br />
da San Benedetto fuori porta Tifi. Partendo dall’impossibil<strong>it</strong>à<br />
di distinguere i due diversi nuclei delle tarsie ora a Monte Oliveto,<br />
boschetto, Monte Oliveto c<strong>it</strong>., p. 54, si è dimostrato perplesso sulla<br />
veridic<strong>it</strong>à <strong>della</strong> notizia. A favore di essa, tuttavia, gioca il carattere piú<br />
inoltrato e l’iconografia ricca di ricordi romani delle tarsie provenienti<br />
da San Benedetto (certamente esegu<strong>it</strong>e dopo i soggiorni a Napoli e<br />
Roma).<br />
218 Come segnala il Summonte (ried<strong>it</strong>o in pane, Il Rinascimento<br />
c<strong>it</strong>., I, p. 69), a Napoli Giovanni da Verona fu assist<strong>it</strong>o «da uno maestro<br />
Geminiano toscano di Colle seu fiorentino e da un maestro Imperiale<br />
di Napoli». Notizia che sembra quasi suggerire una circostanza<br />
d’importazione tecnologica, dal momento che «li quali doi, ancorché<br />
abbino lavorato ed adiutato in quest’opera piana, ipsi per proprio exercizio<br />
son <strong>maestri</strong> di rilievo» (ossia intagliatori, anche se l’espressione<br />
è stata assurdamente scambiata per un apprezzamento di mer<strong>it</strong>o). In<br />
Storia dell’arte Einaudi 183
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
effetti il panorama <strong>della</strong> tarsia meridionale non sembra troppo ampio<br />
(e stanno andando in segatura anche cose come il coro di Sant’Anna<br />
dei Lombardi).<br />
Prima dell’arrivo di fra Giovanni a Napoli possono essere richiamati<br />
solo alcuni episodi sporadici e di difficile valutazione materiale.<br />
Alcune tarsie, piú antiche, del coro di San Pietro a Maiella e quelle dei<br />
banconi di sacrestia di Sant’Angelo a Nilo equivalgono al trasferimento<br />
grafico di un cartone secondo cr<strong>it</strong>eri paragonabili alla tecnica incisoria.<br />
In San Pietro a Maiella, alcune scene, come la Circoncisione possono<br />
ricordare il Riccardo Quartararo dei tempi di Napoli (tr<strong>it</strong>tico di<br />
Gaeta), mentre altre, come la Santa Caterina, sembrano toccate da un<br />
classicismo acerbo. Le tarsie di Sant’Angelo a Nilo possono invece essere<br />
orientate stilisticamente da alcune opere che Ferdinando Bologna ha<br />
raccolto sotto il nome di Francesco Pagano. Dipendono invece dalla<br />
presenza a Napoli di Giovanni da Verona le tarsie esegu<strong>it</strong>e a Napoli<br />
da Giovan Francesco d’Arezzo: nel coro di Sant’Anna dei Lombardi<br />
(dove lavorò assieme a maestro Prospero) i grandi tralci decorativi racchiudono<br />
qualche memoria toscana; in quello <strong>della</strong> Certosa di San<br />
Martino le prospettive tradiscono qualche altro ricordo centro-<strong>it</strong>aliano<br />
(causa, Giovanni Francesco c<strong>it</strong>.; id., Tarsie cinquecentesche c<strong>it</strong>.). Il coro<br />
<strong>della</strong> Certosa di Padula riflette una piú complessa s<strong>it</strong>uazione di persistenze<br />
tecniche e d’incroci figurativi. Fra le tarsie meridionali (non<br />
molte: a Teano, ma anche a Malta) ricordo il coro <strong>della</strong> Cattedrale di<br />
Siracusa, opera di Nardo Mirteto, con una scr<strong>it</strong>ta che lo riferisce al<br />
1489 (f. campagna cicala, Per la scultura lignea del Quattrocento in Sicilia,<br />
in Le arti decorative del Quattrocento in Sicilia, a cura di G. Cantelli,<br />
catalogo <strong>della</strong> mostra [Messina], Roma 1981, p. 101).<br />
219 shearman, The Vatican Stanze c<strong>it</strong>., pp. 15, 21, 48 nota 95; 54<br />
nota 127, contraddice l’indicazione vasariana per cui fra Giovanni<br />
avrebbe lavorato le spalliere al tempo stesso degli affreschi, durante il<br />
pontificato di Giulio II. La porta fra le Stanze <strong>della</strong> Segnatura e di Eliodoro<br />
mostra le insegne di Leone X. Considerando che al tempo di questo<br />
pontefice l’intarsiatore non risulta a Roma, lugano, Di Fra Giovanni<br />
c<strong>it</strong>., r<strong>it</strong>enne invece che essa fosse opera dell’intagliatore senese<br />
Giovanni Barili (segu<strong>it</strong>o in questa opinione da dacos, La découverte c<strong>it</strong>.,<br />
p. 112 nota 4, e da conti, Le prospettive urbinati c<strong>it</strong>., p. 1217, nota 23,<br />
entrambi con illustrazioni). Riprendendo un documento già ed<strong>it</strong>o dal<br />
Mercati, da cui risulta che nel giugno del 1513 Giovanni da Verona<br />
veniva pagato per le tarsie che stava eseguendo in Vaticano, Shearman<br />
ha riproposto il nome di Giovanni da Verona. Rimane il fatto che la<br />
porta è mal giudicabile per i rifacimenti. D’altra parte questi restauri<br />
cost<strong>it</strong>uiscono un interessante episodio <strong>della</strong> storia cr<strong>it</strong>ica <strong>della</strong> tarsia,<br />
risalendo all’iniziativa del Maratta (le cui attenzioni per la vecchia<br />
espressione prospettica sono state ricordate in questo volume a p. 460,<br />
Storia dell’arte Einaudi 184
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
nota 3). Questa porta ha richiamato l’interesse di e. wintern<strong>it</strong>z, The<br />
Importance of «Quattrocento» Intarsias for the History of Musical Instruments,<br />
in Bericht über den siebenten internationalen musikwissenschaftlichen<br />
Kongress (Köln 1958), Kassel 1958, poi in id., Musical Instruments<br />
and Their Symbolism in Western Art, New Haven - London<br />
1979 2 , p. 119.<br />
220 In brizzi, Un armadio c<strong>it</strong>., pp. 296-97, nota 24.<br />
221 Su Vincenzo dalle Vacche, v. callegari, Le tarsie di un artista<br />
veronese al museo del Louvre, in «Bollettino <strong>della</strong> Società letteraria di<br />
Verona», vii, 1932, n. 2, pp. 57-59; j. baltru\a<strong>it</strong>is, Anamorphoses,<br />
Paris 1969, pp. 95-96 (ed. <strong>it</strong>. Milano 1978, pp. 103-4).<br />
222 La bibliografia su Raffaele da Brescia è stata ricap<strong>it</strong>olata da<br />
panazza, in Storia di Brescia c<strong>it</strong>., pp. 696-99. Sul coro di San Michele<br />
in Bosco, cfr. i precedenti riferimenti alla nota 45 e alla nota 5.<br />
223 Sono state rese note da thornton, Three unrecorded c<strong>it</strong>., assieme<br />
ad un terzo pannello con liuto e frutta, tutti r<strong>it</strong>enuti provenire dal<br />
coro di San Michele in Bosco. Si pone allo stesso punto di stile e di<br />
combinazioni tematiche un’altra dispersa tarsia di fra Raffaele: vi figura<br />
un’anatra campeggiante in un paesaggio, che si apre oltre quattro scalini<br />
di «proscenio». La conosco soltanto da una fotografia conservata<br />
all’Ist<strong>it</strong>uto Germanico di Firenze, con riferimento ad artista umbrotoscano<br />
del primo Cinquecento (ubicazione ignota). È meno larga dei<br />
pannelli pubblicati dalla Thornton, ma i consistenti frammenti del<br />
coro bolognese che sono fin<strong>it</strong>i nella Cappella Malvezzi, a San Petronio,<br />
confermano questa varietà di proporzioni.<br />
224 thornton, ibid., p. 243, riferisce il leggio di Brescia al 1509-13,<br />
seguendo l’indicazione ottocentesca di m. caffi, Raffaello da Brescia,<br />
in «Archivio storico lombardo», ix, 1882, p. 7 (dell’estratto), che è<br />
sment<strong>it</strong>a dall’evidente cronologia del cartone romaniano. La datazione<br />
tarda risulta invece da g. panazza, Mostra di Girolamo Romanino,<br />
catalogo, Brescia 1965, p. 96, fig. 99; m. l. ferrari, Il Romanino, Milano<br />
1961, scheda a tav. 73; panazza, in Storia di Brescia c<strong>it</strong>., p. 699.<br />
225 Le rime vennero pubblicate da v. rossi, Il canzoniere ined<strong>it</strong>o di<br />
Andrea Michieli detto lo Strarzòla o Strazzòla, in «Giornale storico <strong>della</strong><br />
Letteratura <strong>it</strong>aliana», xxvi, 1895, pp. 1-91 (ma in particolare pp.<br />
48-53). Il Rossi, a propos<strong>it</strong>o <strong>della</strong> condanna di Gentile Bellini, escludeva<br />
ogni motivazione propriamente estetica. Le rime relative a Carpaccio<br />
sono state ried<strong>it</strong>e piú recentemente da m. muraro, Carpaccio,<br />
Firenze 1966, pp. 71-72.<br />
Il Rossi raccolse anche le interessantissime notizie poetiche sull’Ombrone,<br />
p<strong>it</strong>tore <strong>it</strong>inerante, giunto a Venezia dalla corte di Ludovico<br />
il Moro, e dunque tram<strong>it</strong>e verosimile in quella circolazione dalla<br />
Lombardia alla laguna che è stata fatta oggetto, di recente, di piú f<strong>it</strong>te<br />
attenzioni. In senso bramantinesco sembra di poter leggere il sonetto<br />
Storia dell’arte Einaudi 185
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
che gli dedicò lo Strazzola (pubblicato dal Rossi, a pp. 53-54), e che<br />
sarà bene trascrivere, essendo la seconda quartina un passo memorabile<br />
nella storia del dibatt<strong>it</strong>o sulla <strong>prospettiva</strong>, e chiudendosi con una<br />
nuova, partecipata individuazione dell’umanesimo cristiano di Giovanni<br />
Bellini: «Io son un Cristo che rinega Idio, | avendo forma d’omo<br />
indiavolato; | Ombrone ignoranton qui m’ha p<strong>it</strong>tato | in modo che non<br />
posso esser piú pio. || La <strong>prospettiva</strong> il volto mi fa rio, | essendo male<br />
inteso in ogni lato, | il punto falsamente ha misurato, | talché non trovo<br />
membro che sia mio. || Che chi mi guarda ride e non mi adora | sprezzando<br />
la mia effigie mal formata | che fa perder il vulgo ogni fervore.<br />
|| Per strazio che di me fa la brigata, | farò costui che l’arte vera ignora,<br />
“Miserere, dirà, di me, Signore || ch’io persi il tempo e l’ore | in<br />
dir e non in far”; don che il Bellino | mi farà assai piú umano e piú<br />
divino».<br />
226 Intorno a queste tarsie (che si trovano in condizioni mediocri<br />
anche per diversi restauri di rifacimento o che sono tenute assieme con<br />
nastro adesivo) si coagulò un’informazione cr<strong>it</strong>ica incerta, complessa e<br />
f<strong>it</strong>ta di nomi fin dai tempi <strong>della</strong> Venezia c<strong>it</strong>tà nobilissima del Sansovino<br />
e dalla ristampa che ne fece lo Stringa nel 1604. Su di essa è cresciuto<br />
l’ulteriore equivoco di cui si è parlato alla nota 214. Ha cercato<br />
efficacemente di mettere ordine a questa confusione di notizie Umberto<br />
Daniele nella sua tesi di laurea su Antonio e Paolo Mola intarsiatori<br />
(Univers<strong>it</strong>à di Bologna, 1980-81, relatore M. Ferretti), che è una compiuta<br />
monografia sui due artisti. Cosí come oggi si presenta, la decorazione<br />
lignea <strong>della</strong> sacrestia non rivela fratture di stile e corrisponde<br />
dunque alla firma di Antonio e Paolo Mola che vi compare inscr<strong>it</strong>ta (in<br />
altro pannello risulta una data 1500). In precedenza erano state connesse<br />
al Carpaccio le piú tarde tarsie mantovane dei Mola da parte di<br />
a. luzio, Isabella d’Este e Giulio II, in «Rivista d’Italia», xii, dicembre<br />
1909, p. 865.<br />
227 Il riferimento si deve a m. muraro, Guida di Venezia e delle sue<br />
isole, Firenze 1953, p. 74. Con l’eccezione di un troppo brusco rifiuto<br />
da parte di g. fiocco, Carpaccio, Novara 1958, p. 12, ha trovato<br />
attenzioni favorevoli (j. lauts, Carpaccio, London 1962, p. 256; muraro,<br />
Carpaccio c<strong>it</strong>., pp. 21-22; id., I disegni di V<strong>it</strong>tore Carpaccio, Firenze<br />
1977, p. 14; m. daly davis, Carpaccio and the perspective of regular<br />
bodies, in La <strong>prospettiva</strong> c<strong>it</strong>., p. 198, nota 38, anche per ulteriori riferimenti).<br />
Lo studio piú dettagliato di m. muraro, Carpaccio, lezioni per<br />
il corso A.351 dello Sm<strong>it</strong>h College di Northampton, Venezia 1963, pp.<br />
12-14, 98-118, riesce però generico per quanto riguarda la specific<strong>it</strong>à<br />
<strong>della</strong> tarsia e i Mola in particolare.<br />
228 majocchi, Codice diplomatico c<strong>it</strong>., nn. 1423, 1431, 1433, 1437,<br />
1446. La notizia è ripresa da pesenti, in La Certosa c<strong>it</strong>., p. 91, senza<br />
però identificare con il Mola quel «Magister Antonius de Mantoa f.q.<br />
Storia dell’arte Einaudi 186
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Magistri Vincentii» che è impegnato nella vertenza «suo nomine et<br />
nomine Pauli de Mantova eius fratri»: fatto, quest’ultimo, da cui si<br />
ricava che Paolo era ancora in «pupillari aetate». L’indicazione del<br />
patronimico non collima invece con quel maestro Paolo di Pietro da<br />
Venezia, presente a Reggio nel 1484, che malaguzzi valeri, Lavori<br />
d’Intaglio c<strong>it</strong>., pp. 326-27, sospettò identico a Paolo Mola.<br />
229 e. menegazzo, Per la biografia di Francesco Colonna c<strong>it</strong>., pp.<br />
246-47.<br />
230 La <strong>prospettiva</strong> di Carpaccio è stata analizzata da l. magagnato,<br />
A propos<strong>it</strong>o delle arch<strong>it</strong>etture di Carpaccio, in «Comun<strong>it</strong>à», xviii,<br />
1963, n. 111, pp. 70-81; e, piú direttamente, da daly davis, Carpaccio<br />
c<strong>it</strong>., dove l’esperienza delle tarsie viene ad occupare un ruolo<br />
estremamente significativo. I riferimenti <strong>della</strong> studiosa, orientati a<br />
definire le mediazioni che snodano il percorso da Piero a Carpaccio,<br />
sono molto larghi, e non insistono particolarmente sul caso <strong>della</strong><br />
sacrestia marciana.<br />
231 Oltre ad a. bertolotti, Le arti minori alla corte di Mantova nei<br />
secoli XV, XVI e XVII, Milano 1889, p. 171, per l’attiv<strong>it</strong>à dei Mola a<br />
Mantova, almeno i dati richiamati da perina, Mantova, Le arti c<strong>it</strong>., II,<br />
Mantova 1961, p. 580; g. paccagnini, Il palazzo ducale di Mantova,<br />
Torino 1969, passim (ad indice); s. beguin, Lo studiolo d’Isabella d’Este,<br />
catalogo <strong>della</strong> mostra, Paris 1975, pp. 27-29; g. romano, Verso la<br />
maniera moderna: da Mantegna a Raffaello, nel volume V di questa Storia<br />
dell’arte Einaudi.<br />
232 Sul Luchino Bonati, o Bianchino, quintavalle, Luchino Bianchino<br />
c<strong>it</strong>.; la voce anonima nel Dizionario biografico degli <strong>it</strong>aliani, XI,<br />
Roma 1969, pp. 597-98; bandera, Il mobile emiliano c<strong>it</strong>., p. 8. La questione<br />
<strong>della</strong> data non è pacifica (quintavalle, Luchino Bianchino c<strong>it</strong>.,<br />
pp. 47-48). Ma contro tutte le incertezze, vale la notizia <strong>della</strong> cronaca<br />
di Leone Smagliati, che al 25 gennaio 1510 dà il coro per compiuto.<br />
Per ulteriori notizie sulle vicende di conservazione, e. bezzi, La confratern<strong>it</strong>a<br />
<strong>della</strong> SS. Trin<strong>it</strong>à e la sua chiesa «Oratorio de’ Rossi», in «Parma<br />
per l’Arte», x, 1978, n. 1, pp. 105-18. Il leggio, invece, come si dirà<br />
piú oltre, è cosa diversa.<br />
233 a. ronchini, Intorno alla scoltura in legno c<strong>it</strong>., p. 314.<br />
234 Il documento reso noto da e. nasalli rocca, Gli autori del coro<br />
di S. Sisto, in «Ars Nova», III, 1924, giugno, p. 260, tagliò corto con<br />
una discussione attributiva fra le piú sventate. Riassume le notizie e<br />
fornisce qualche riproduzione, piú di recente, r. arisi, La chiesa e il<br />
monastero di San Sisto a Piacenza, Piacenza 1977, pp. 98-102. Sullo Spinelli<br />
a Parma, annoverato fra gli intarsiatori <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà, nel 1537, ronchini,<br />
Intorno alla scoltura c<strong>it</strong>., p. 319.<br />
235 Documenti e notizie sul coro di San Giovanni sono stati recentemente<br />
ripresi ed illustrati da l. fornari schianchi, in aa.vv., L’ab-<br />
Storia dell’arte Einaudi 187
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
bazia benedettina di san Giovanni Evangelista a Parma, Milano 1979, pp.<br />
162-71. L’unico elemento non omogeneo al coro è il pannello centrale,<br />
chiaramente corrispondente alla fase tardo-cinquecentesca di ricollocazione<br />
dell’abside. È qui adattata, con qualche sacrificio nella scr<strong>it</strong>ta,<br />
la tavoletta con la data 1538 (ed una figura che par sugger<strong>it</strong>a dall’Anselmi),<br />
che doveva trovarsi in origine sopra l’apertura d’ingresso.<br />
236 Sul coro di Modena, cfr. a. ghidiglia quintavalle, San Pietro<br />
in Modena, Modena 1966 2 pp. 13, 56, 71. I suoi pannelli figurati corrispondono<br />
in tutto e per tutto ad analoghe tarsie del coro <strong>della</strong> Cattedrale<br />
di Ferrara, opera di Bernardino da Lendinara e soci. La cosa è<br />
registrata anche dalla ghidiglia quintavalle, ibid., che r<strong>it</strong>iene però che<br />
il Testa dovesse avere avuto a disposizione i cartoni di Bernardino. Per<br />
quanto il numero non corrisponda con esattezza (i pannelli intarsiati<br />
sono nove), sarà bene ricordare che nelle pattuizioni contrattuali si chiese<br />
al Testa di lasciar vuoti otto riquadri superiori (g. campori, Artisti<br />
<strong>it</strong>aliani e stranieri negli stati estensi, Modena 1855, p. 458): evidentemente,<br />
in un secondo momento, si decise d’inserire anche il pannello<br />
di «natura morta». Che esistesse in San Pietro un precedente coro, è<br />
confermato dalle parole del cronista lancillotti, Cronaca Modenese<br />
c<strong>it</strong>., VI, pp. 7, 419, quando annota per due volte che il coro viene fatto<br />
«de novo».<br />
237 Si tratta del leggio dell’Oratorio dei Rossi (da San Paolo), <strong>della</strong><br />
spalliera nella Sacrestia dei Canonici e del mobile ora scomposto nella<br />
fabbriceria del Duomo: gli ultimi due furono già collegati al Bianchino<br />
da ronchini, Intorno alla scoltura in legno c<strong>it</strong>.; fra le guide che<br />
divulgano il riferimento, cfr. n. pelicelli, Guida storico artistica e<br />
monumentale <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà di Parma, Parma 1906, p. 5; cfr. inoltre [a. santangelo],<br />
Provincia di Parma («Inventario degli oggetti d’arte d’Italia»),<br />
p. 28. Lo studioso che ha piú esplic<strong>it</strong>amente sostenuto questa<br />
ricostruzione sotto il nome di Luchino Bianchino è quintavalle,<br />
Luchino Bianchino c<strong>it</strong>. Essa è stata confermata da bandera, Il mobile<br />
emiliano c<strong>it</strong>., p. 8; fornari schianchi, in L’abbazia c<strong>it</strong>. Fra l’altro,<br />
ricordo che nel coro di San Giovanni ricompare l’inequivocabile combinazione<br />
di aspersorio, secchiello, oggetto conchigliforme che si trova<br />
in una tarsia dell’armadio <strong>della</strong> fabbriceria.<br />
238 In generale, sul Sacca, c. bonetti, Intarsiatori cremonesi: Paolo<br />
del Sacha (1468-1573), Cremona 1919; l. bandera, Paolo e Giuseppe<br />
Sacca, in «Kalòs», i, 1970, n. 2, pp. 13-20, ii, 1971, n. 3, pp. 17-24.<br />
239 Sulla s<strong>it</strong>uazione piemontese, romano, Il coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>.,<br />
p. 32, nota 35. Per il coro di Staffarda, l. mallè, Le sculture del museo<br />
d’arte antica. Museo Civico di Torino, Torino 1965, pp. 183-92.<br />
240 Sul coro di Vercelli (solo in parte conservato, con riadattamenti<br />
nella struttura ed estesi restauri nelle tarsie), r. pasté e f. arborio<br />
mella, L’Abbazia di S. Andrea di Vercelli, Vercelli 1907, pp. 245-46,<br />
Storia dell’arte Einaudi 188
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
507; a. m. brizio, Vercelli («Catalogo delle cose d’arte e di antich<strong>it</strong>à<br />
d’Italia»), Roma 1935, pp. 24-26; g. chierici, L’Abbazia di S. Andrea<br />
in Vercelli, Vercelli 1968, p. 21. L’identificazione dei cartoni comuni<br />
al coro di Vercelli e a quello di Alba è a p. 33, nota 36 <strong>della</strong> monografia<br />
dedicata al secondo da romano, Il coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>.<br />
241 m. r. fabbri, Il coro intarsiato di San Giovanni in Monte, in «Il<br />
Carrobbio», ii, 1977, pp. 145-56; e la tesi di laurea di M. Tamassia<br />
(Univers<strong>it</strong>à di Bologna, 1976-77, relatore G. Romano).<br />
242 bonetti, Intarsiatori c<strong>it</strong>., p. 117.<br />
243 monducci, Il coro ligneo c<strong>it</strong>., p. 258. Il coro reggiano è stato malamente<br />
presentato e riprodotto da a. spaggiari, Le tarsie lignee <strong>della</strong> basilica<br />
di San Prospero in Reggio Emilia, Reggio Emilia 1960. Un cartone<br />
almeno (quello con la facciata di una chiesa) risale a Paolo Sacca. A Cristoforo<br />
de’ Venetiis fu affidato anche il riadattamento cinquecentesco<br />
del coro del Platina a Cremona (puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 82).<br />
244 Albertino Piazza si trovava a Savona proprio in quello stesso<br />
anno 1517. Il punto stilistico del cartone utilizzato da Gian Michele<br />
Pantaleoni corrisponde bene alla distinzione fra Albertino e il fratello<br />
recentemente chiar<strong>it</strong>a da f. zeri, Una scheda per Albertino e Martino<br />
Piazza, in «Antologia di belle arti», iii, 1979, n. 9-12, pp. 58-61. L’indicazione<br />
mi par che faccia grav<strong>it</strong>are completamente su Albertino il<br />
gonfalone dell’Incoronazione <strong>della</strong> Vergine all’Incoronata di Lodi (1519),<br />
nonostante la documentazione relativa ad entrambi i fratelli resa nota<br />
da a. m. romanini, Note sui fratelli Albertino e Martino Piazza da Lodi,<br />
in «Bollettino d’arte», 1950, pp. 123-30, che ha portato alla troppo<br />
equa spartizione fatta da a. novasconi, I Piazza, Lodi 1971, p. 62. Infine<br />
questo riferimento savonese, alla data 1517, conferma l’esclusione<br />
dell’ipotesi che Albertino possa aver dipinto l’affascinante tavola <strong>della</strong><br />
Cattedrale di Savona (come propose p. rotondi, Contributo ad Albertino<br />
Piazza, in «Arte Lombarda», v, 1960, pp. 68-74). Ma sulla questione<br />
si veda b. barbero, Albertino Piazza e alcuni aspetti del protoclassicismo<br />
a Savona, ivi, n. s., 1977, n. 47-48, p. 194. Il cartone del<br />
leggio ha spinto invece torr<strong>it</strong>i, Tarsie del coro c<strong>it</strong>., p. 192, a pensare<br />
a fatti liguri tra Mazone, Baudo, Fasolo; mentre barbero, Albertino<br />
Piazza c<strong>it</strong>., pp. 86-87, nota 20, parla di fra Girolamo da Brescia. Per<br />
e. parma armani, A propos<strong>it</strong>o delle tarsie del Duomo di Savona e <strong>della</strong><br />
Cattedrale di San Lorenzo a Genova, ivi, xvi, 1971, p. 239, l’Adorazione<br />
dei Magi rivela la conoscenza di opere raffaellesche.<br />
245 s. varni, Tarsi ed intagli del coro e presb<strong>it</strong>erio di S. Lorenzo in<br />
Genova, Genova 1878; p. torr<strong>it</strong>i, Le tarsie del coro di san Lorenzo in<br />
Genova, in «Bollettino ligustico», vii, 1955, n. 1-4, pp. 70-103; parma<br />
armani, A propos<strong>it</strong>o c<strong>it</strong>.<br />
246 b. berenson, Lotto, Milano 1955, p. 89 (London 1901 2 , p. 162).<br />
247 [m. michiel], Notizia d’opere c<strong>it</strong>., p. 129. Le fonti dirette per lo<br />
Storia dell’arte Einaudi 189
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
studio del coro sono state ricordate nella nota 70. Riassume le informazioni<br />
documentarie g. mariani canova, Lotto («Classici dell’arte<br />
Rizzoli», n. 79), Milano 1975, pp. 101-7. Altri riferimenti cr<strong>it</strong>ici nelle<br />
opere ricordate nelle note seguenti.<br />
248 g. romano, La Bibbia di Lotto, in «Paragone», xxvii, 1976, n.<br />
317-19, pp. 82-91. L’articolo ha riaperto la discussione sugli orientamenti<br />
riformati <strong>della</strong> religios<strong>it</strong>à dell’artista. Ma un primo utilizzo in tal<br />
senso delle sue lettere è nelle obiezioni fatte al Chiodi da parte di r.<br />
longhi, Lettere ined<strong>it</strong>e di Lorenzo Lotto su le tarsie di Santa Maria Maggiore<br />
in Bergamo, ivi, xv, 1964, n. 173, p. 59 («l’insistenza con cui il<br />
Lotto afferma la sua stretta osservanza religiosa potrebbe sospettarsi<br />
di “excusatio non pet<strong>it</strong>a”»). Sull’argomento si è aperta una discussione<br />
che sarebbe eufemistico definire vivace. Gli interventi di m. calí,<br />
La «religione» di Lorenzo Lotto, e di r. fontana, «Solo, senza fidel governo<br />
et molto inquieto de la mente», in zampetti e sgarbi, Lorenzo Lotto<br />
c<strong>it</strong>., pp. 243-78 e 279-98, a me pare che abbiano largamente chiar<strong>it</strong>o<br />
e confermato le grav<strong>it</strong>azioni «riformiste» del p<strong>it</strong>tore. Mentre f. cortesi<br />
bosco, A propos<strong>it</strong>o del frontespizio di Lorenzo Lotto per la Bibbia<br />
di Antonio Brucioli, in «Bergomum», 1976, nn. 1-2, pp. 27-42, capovolge<br />
il discorso di Romano sulla religios<strong>it</strong>à di Lotto ma dà conferma<br />
dell’attribuzione che lo aveva originato, p. zampetti, Un p<strong>it</strong>tore<br />
«inquieto de mente», in «Notizie da Palazzo Albani», ix, 1980, n. 1-2,<br />
p. 65, esplic<strong>it</strong>amente respinge il riferimento.<br />
249 s. settis, La «Tempesta» interpretata, Torino 1978 (pp. 117 sgg.,<br />
e le considerazioni sui Tre Filosofi, che, in questo senso, non mi pare<br />
che lascino margini di dubbio).<br />
250 lotto, Libro c<strong>it</strong>., p. 286 (chiodi, Lettere ined<strong>it</strong>e c<strong>it</strong>., pp. 56-57).<br />
251 Sull’argomento si veda le pagine, molto belle, di a. m. brizio, Il<br />
Sacro Monte di Varallo: Gaudenzio e Lotto, in «Bollettino <strong>della</strong> società<br />
piemontese di archeologia e di belle arti», n. s., xix, 1965, pp. 35-42,<br />
e il paragrafo dedicato a Lorenzo Lotto e il teatro in p<strong>it</strong>tura dell’intervento<br />
di m. muraro in zampetti e sgarbi, Lorenzo Lotto c<strong>it</strong>., pp.<br />
304-8. Mentre mi sembra che f. cortesi bosco, Gli affreschi dell’Oratorio<br />
Suardi. Lorenzo Lotto nella crisi <strong>della</strong> Riforma, Bergamo 1980, pp.<br />
85-89, tenda a sovrapporre equivocamente il senso l<strong>it</strong>urgico del teatro<br />
medievale con la visual<strong>it</strong>à prospettica <strong>della</strong> scena moderna.<br />
252 longhi, Lettere ined<strong>it</strong>e c<strong>it</strong>., p. 61.<br />
253 lotto, Libro c<strong>it</strong>., p. 286 (chiodi, Lettere ined<strong>it</strong>e c<strong>it</strong>., p. 57).<br />
254 In chiodi, Quattro lettere c<strong>it</strong>., p. 31.<br />
255 Sull’interpretazione dei «coperti», che è cosa sorprendentemente<br />
recente, van den berg-noë, Lorenzo Lotto c<strong>it</strong>.; d. galis, Concealed<br />
Wisdom: Renaissance Hieroglyphic and Lorenzo Lotto’s Bergamo Intarsie,<br />
in «Art Bulletin», lxii, 1980, n. 3, pp. 363-75 (<strong>della</strong> stessa studiosa<br />
una tesi di dottorato, nel 1977, al Bryn Mawr College); cortesi bosco,<br />
Storia dell’arte Einaudi 190
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
Gli affreschi dell’Oratorio c<strong>it</strong>., pp. 135-41; id., Riforma religios<strong>it</strong>à arte<br />
alchimia negli affreschi di Lorenzo Lotto dell’Oratorio Suardi di Trescore,<br />
in «Notizie da Palazzo Albani», ix, 1980, n. 1-2, p. 38; c. albani<br />
liberali, Lorenzo Lotto e il «Nosce te ipsum» nelle tarsie di Bergamo: ipotesi<br />
di ricerca, in zampetti e sgarbi, Lorenzo Lotto c<strong>it</strong>., pp. 425-32; i.<br />
reho, La cultura vetero-testamentaria di Lorenzo Lotto: da Trescore alle<br />
tarsie di Bergamo, ibid., pp. 433-42; c. albani liberali, Una tarsia del<br />
coro di S. Maria Maggiore a Bergamo: il tema <strong>della</strong> fortuna e Lorenzo Lotto,<br />
in «Artibus et historiae», 1981, n. 3, pp. 77-83. Per una distinzione<br />
terminologica all’interno del vasto campo <strong>della</strong> figurazione simbolica<br />
del Cinquecento, ricordo le pagine lucidissime di g. pozzi, Il «Polifilo»<br />
nella storia del libro illustrato veneziano, in Giorgione e l’umanesimo<br />
veneziano, a cura di R. Pallucchini, Firenze 1981, pp. 91-99.<br />
256 Uso i termini di e. h. gombrich, Immagini simboliche. Studi sull’arte<br />
del Rinascimento (1972), Torino 1978, e, piú in particolare, mi<br />
riferisco alle pp. 223-28, 242-46.<br />
257 Il patto, del 4 marzo 1521, è stato reso noto da alce, Il coro di<br />
San Domenico c<strong>it</strong>., p. 59.<br />
258 [michiel], Notizia c<strong>it</strong>., p. 133. Bernardo da Trevi[glio] è lo<br />
Zenale. Trozo da Monza è noto come arch<strong>it</strong>etto, ma senza opere. I pannelli<br />
di Santo Stefano e Domenico vennero trasfer<strong>it</strong>i fin dal Cinquecento<br />
in San Bartolomeo, subendo alterazioni e perd<strong>it</strong>e. L’opera complessiva<br />
sull’intarsiatore, alce, Il coro di San Domenico c<strong>it</strong>., non esclude<br />
il ricorso ai diversi contributi dello stesso studioso. Successivamente<br />
a tale pubblicazione (recens<strong>it</strong>a da L. Spezzaferro, in «Storia dell’arte»,<br />
ii, 1970, n. 7-8, pp. 359-60), dopo l’articolo di raggio, Vignole,<br />
Fra Damiano c<strong>it</strong>., v. alce, L’intervento del Comune di Bologna per il<br />
coro di San Domenico, in «Il Carrobbio», iii, 1977, pp. 3-7. Cfr. inoltre<br />
la nota 59.<br />
259 Per il riferimento a Bramantino e per il riutilizzo da parte del Cesariano<br />
del cartone dell’Età dell’Oro, w. suida, Bramante p<strong>it</strong>tore e il Bramantino,<br />
Milano 1953, pp. 82-83. L’intervento di m. l. ferrari (R<strong>it</strong>orno<br />
a Zenale, in «Paragone», xiv, 1963, n. 157, pp. 14-29), si legge ora<br />
in Studi c<strong>it</strong>., pp. 88-92. Altre indicazioni bibliografiche in alce, Il Coro<br />
di San Domenico c<strong>it</strong>., pp. 335-36, e g. mulazzani, Bramantino e Bramante<br />
p<strong>it</strong>tore («Classici dell’arte Rizzoli», n. 95), Milano 1978, pp. 95-96.<br />
260 Per il Vignola, nota 60, e bandera, Il mobile c<strong>it</strong>., figg. 37-38.<br />
La presenza del Vignola nelle tarsie di fra Damiano è stata poi troppo<br />
congetturalmente argomentata da m. walcher casotti, Il Vignola,<br />
Trieste 1960, I, pp. 8-19. raggio, Vignole c<strong>it</strong>., p. 41 sostiene che intervenisse<br />
a distanza di una ventina di anni per adattare un cartone da<br />
lui stesso preparato ai tempi del dossale. Le ascrizioni al Serlio sono<br />
state fatte a piú riprese da v. alce (per ultimo in Il coro di San Domenico<br />
c<strong>it</strong>., pp. 129-30, 134).<br />
Storia dell’arte Einaudi 191
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
261 Dopo la morte dello Zucchi, fu chiamato a giudicare sul valore<br />
dei lavori da lui compiuti per il coro di San Giovanni Evangelista (ronchini,<br />
Intorno alla scoltura c<strong>it</strong>., p. 316; alce, Il coro di San Domenico<br />
c<strong>it</strong>., p. 132). Si è già detto in precedenza sulla difficoltà di stabilire a<br />
che punto fossero arrivate a quella data le tarsie di Parma; ma si ricordi<br />
anche che esse fanno comunque parte di una serie stilistica certamente<br />
già avviata al momento in cui fu chiamato fra Damiano.<br />
262 Il pannello Davia Bargellini corrisponde, a sua volta, alla Crocefissione<br />
del coro di San Domenico, che porta una data 1542. Un altro<br />
pannello del coro bolognese fu replicato nella bottega di fra Damiano<br />
per servire come quadro di legname: è l’Adorazione nell’orto che nella<br />
Pinacoteca di Forlí si conserva ancora sotto il nome (ricco di suggestioni<br />
ai tempi del movimento artistico-industriale) del senese Antonio Barili<br />
(e. calzini e g. mazzatinti, Guida di Forlí, Forlí 1893, p. 75). Di<br />
altri due quadri di tarsia di fra Damiano siamo informati attraverso un<br />
documento che ne rest<strong>it</strong>uisce bene le condizioni percettive (m. gualandi,<br />
Memorie originali riguardanti le belle arti, serie quinta, Bologna<br />
1844, pp. 42-45).<br />
263 Ricordi c<strong>it</strong>., cc. 51-55 (ricordo CIX), ma c<strong>it</strong>o da Scr<strong>it</strong>ti d’arte c<strong>it</strong>.,<br />
III, pp. 2924-26. La nota al testo <strong>della</strong> Barocchi, a p. 3553-54, integra<br />
la bibliografia forn<strong>it</strong>a da j. schlosser, La letteratura artistica,<br />
Firenze 1964, p. 223. Ad essa si è aggiunto poi liebenwein, Studiolo<br />
c<strong>it</strong>., pp. 141-42; ma può essere utile ricordare g. zama, I «Ricordi» di<br />
Sabba Castiglione (note per un’edizione cr<strong>it</strong>ica), in «Studi romagnoli»,<br />
vi, 1955, pp. 359-71. Il Castiglione aveva adornato il suo studiolo<br />
«con un quadretto di tavola e con due quadri di due teste, una di<br />
Santo Paolo e l’altra di Santo Giovanni Battista, di mano del mio reverendissimo<br />
padre frate Damiano da Bergamo, opere tutte tre eccellentissime;<br />
ma pure a me pare che nella testa di Santo Giovanni il buon<br />
padre, avanzando se medesimo, mostrasse lo estremo e ultimo di<br />
quanto egli sapeva» (p. 2930). Delle due teste si perde notizia a fine<br />
Settecento (g. m. valgimigli, Frate Sabba da Castiglione, Faenza 1870,<br />
p. 17).<br />
264 Sono esplic<strong>it</strong>i, in questo senso, i richiami al Castiglione fatti da<br />
f. lanzoni, La controriforma nella c<strong>it</strong>tà e nella diocesi di Faenza, Faenza<br />
1925 (pp. 11-14, con ulteriore bibliografia).<br />
265 raggio, Vignole c<strong>it</strong>., dà in propos<strong>it</strong>o un’informazione molto<br />
puntuale.<br />
266 Nel 1513, lo stesso anno in cui l’achillini, Viridiario, p. 189,<br />
dedica alcuni versi ai figli di Agostino Marchi («Altri ci son c’han spirto<br />
pellegrino | in legno cose fanno da stupire | Giacobo e i suoi fratei,<br />
que’ d’Augustino | figure e <strong>prospettiva</strong> io non so dire | che vivo et vero<br />
eccedon»), nel coro <strong>della</strong> Cattedrale di Faenza due intarsiatori bolognesi,<br />
Biagio e Taddeo, firmano due tarsie con le teste dei santi Pie-<br />
Storia dell’arte Einaudi 192
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
tro e Paolo: si tratta di un significativo caso d’intesa col p<strong>it</strong>tore che<br />
aveva dato i cartoni (anche nell’esteso ricorso pirografico). Non è<br />
immediato controllare se questo Biagio sia lo stesso Biagio de’ Marchi<br />
che tre decenni dopo lavorò alle tarsie <strong>della</strong> Certosa di Bologna. Nella<br />
loro esecuzione, assieme ad elementi organizzativi derivati dal coro<br />
bolognese del Sacca, entrano ormai veri e propri interventi p<strong>it</strong>torici.<br />
Un repertorio decorativo che ricorda ancora i temi «pompeiani» che<br />
l’Aspertini aveva diffuso nelle Ore Albani, caratterizza invece la parte<br />
intarsiata da Battista Bolognese nel leggio di San Pietro a Perugia, nel<br />
1535-37 (riprodotto da cantelli, Il mobile c<strong>it</strong>., fig. 52).<br />
267 alce, Il coro di San Domenico c<strong>it</strong>., p. 141 (ma già in un precedente<br />
intervento) preferisce riferire direttamente a fra Damiano il pannello;<br />
opinione a cui sostanzialmente si accosta torr<strong>it</strong>i, I «<strong>maestri</strong>» c<strong>it</strong>.,<br />
pp. 89-91. A parte la piú scadente condotta esecutiva, viene da pensare<br />
che a quella data, nel 1540, fra Damiano avrebbe prefer<strong>it</strong>o impiegare<br />
il cartone vignolesco usato per il «quadro» Guicciardini e successivamente,<br />
nel 1536, nella porta di San Pietro a Perugia.<br />
268 L’Annunciazione del coro di San Domenico è riprodotta da alce,<br />
Il Coro di San Domenico c<strong>it</strong>., p. 255. Per la porta di fra Antonio da<br />
Lunigiana ora al Museo di Villa Guinigi si veda Il museo nazionale c<strong>it</strong>.,<br />
fig. 85 (alle pp. 182-83 e 193, le schede di S. Meloni Trkulja). Non mi<br />
è stato possibile rintracciare r. de arimatis, Frate Antonio da Lunigiana<br />
«faber lignarius», Parma 1937.<br />
269 morassi, Brescia c<strong>it</strong>., pp. 257-60; id., Storia di Brescia c<strong>it</strong>., pp.<br />
699-700.<br />
270 g. rosa, Le arti minori dalla metà del sec. XV al 1630, in Storia di<br />
Milano, X, Milano 1957, pp. 830-32; Galeazzo Alessi, catalogo <strong>della</strong><br />
mostra, Genova 1974, pp. 42-43.<br />
271 Cristoforo c<strong>it</strong>., passim; ma rispetto ad affermazioni calibrate come<br />
quella a p. 68, l’impostazione del problema è stata estremizzata in due<br />
successivi interventi: Luchino Bianchino c<strong>it</strong>., e Tarsie e urbanistica c<strong>it</strong>.<br />
272 quintavalle, Tarsie e urbanistica c<strong>it</strong>., pp. 40-46. Nella prima<br />
c<strong>it</strong>azione ho aggiunto il corsivo.<br />
273 supino, I <strong>maestri</strong> d’intaglio c<strong>it</strong>., p. 157. Alcune tarsie di Guido<br />
da Seravallino sono state richiamate in un contesto di storia urbana<br />
nella seconda edizione di e. tolaini, Forma Pisarum, Pisa 1979, p.<br />
198, nota 122.<br />
274 Ripreso in sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>., pp. 42-43.<br />
275 m. caffi, Dei lavori d’intaglio in legname e di tarsia p<strong>it</strong>torica nel<br />
coro <strong>della</strong> Cattedrale di Ferrara (lettera a Giuseppe Campori), in «Indicatore<br />
modenese», 1851, n. 11-12, pp. 4-5 (dell’estratto).<br />
276 Arte e illusione (1960), Torino 1965, pp. 289 e 314, rimandando<br />
comunque a tutta l’impostazione gombrichiana del problema dell’illusione.<br />
Storia dell’arte Einaudi 193
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
277 a. martini, Notizia su Pietro Antoniani, milanese a Napoli, in<br />
«Paragone», xvi, 1965, n. 181, p. 81.<br />
278 puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 59.<br />
279 «Una delle piú alte lezioni dell’Umanesimo brunelleschiano»,<br />
come osserva Tafuri (Teorie e storie dell’arch<strong>it</strong>ettura, Bari 1968, p. 25),<br />
è la «nuova considerazione <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà preesistente come struttura labile<br />
e disponibile [...] pronta a mutare il suo significato globale una volta<br />
alterato l’equilibrio <strong>della</strong> «narrazione continua» romanico-gotica con<br />
l’introduzione di compatti oggetti arch<strong>it</strong>ettonici». Sulla c<strong>it</strong>tà ideale<br />
come razionalizzazione <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà concreta, come nuovo modello perfettibile,<br />
si è ovviamente avuto presente il saggio di e. garin, in Scienza<br />
e v<strong>it</strong>a civile nel Rinascimento <strong>it</strong>aliano, Bari 1972 2 , pp. 33-56.<br />
280 a. tenenti, L’utopia nel Rinascimento (1450-1550), in «Studi<br />
Storici», vii, 1966, n. 4, pp. 689-707, poi in id., Credenze, ideologie,<br />
libertinismi tra Medioevo ed Età moderna, Bologna 1978, pp. 239-60 (in<br />
particolare le affermazioni alle pp. 244 e 252-53). Su questa linea, si<br />
vedano anche le opportune e piú dirette distinzioni che fa g. arbore,<br />
I teorici dell’arch<strong>it</strong>ettura del Quattrocento e il problema <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà, in<br />
«Revue romaine d’histoire de l’art», xv, 1978, pp. 53-76; ma anche g.<br />
simoncini, C<strong>it</strong>tà e società nel Rinascimento, Torino 1974, I, p. 243.<br />
281 A propos<strong>it</strong>o del «compiacimento formalistico sul tema <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà<br />
che viene visualizzata in immagini di assoluta astrazione calligrafica» e<br />
sullo spostamento del m<strong>it</strong>o <strong>della</strong> «c<strong>it</strong>tà ideale», si vedano le pagine finali<br />
dell’intervento di L. Puppi, in Dalla c<strong>it</strong>tà preindustriale alla c<strong>it</strong>tà del<br />
cap<strong>it</strong>alismo, a cura di A. Caracciolo, Bologna 1975, pp. 67-79.<br />
282 garin, Scienza e v<strong>it</strong>a civile c<strong>it</strong>., pp. 49-50.<br />
283 h. baron, La crisi del primo Rinascimento <strong>it</strong>aliano (1966 2 ), Firen-<br />
ze 1970, p. 226.<br />
284 castiglione, Il libro del cortegiano c<strong>it</strong>., pp. 492-93 (il paragone<br />
c<strong>it</strong>ato in precedenza è a p. 475).<br />
285 C<strong>it</strong>ato in f. w. kent, «Piú superba de quella de Lorenzo»: Courtly<br />
and Family Interest in the Building of Filippo Strozzi’s Palace, in<br />
«Renaissance Quarterly», xxx, 1977, n. 3, p. 317, nota 26. A p. 318,<br />
nota 27, sono raccolte alcune indicazioni bibliografiche sul problema<br />
del dilettantismo arch<strong>it</strong>ettonico dei principi. Ma sullo sfondo rimane<br />
il problema <strong>della</strong> comm<strong>it</strong>tenza, cosí come era avvert<strong>it</strong>o fra Quattro e<br />
Cinquecento (e per cui è indicativo m. baxandall, Rudolph Agricola<br />
on patrons efficient and patrons final: a Renaissance discrimination, in<br />
«The Burlington Magazine», luglio 1982, pp. 424-25).<br />
286 c. m. rosemberg, L’addizione erculea di Ferrara, in La strenna<br />
<strong>della</strong> Ferrariae Decus, 1980-1981, pp. 161-74. Per un caso molto esemplificativo<br />
del rapporto fra iniziativa signorile e riconoscimento cortigiano,<br />
in ordine alla c<strong>it</strong>tà, c. baroni, L’arch<strong>it</strong>ettura lombarda da Bramante<br />
al Richini, Milano 1941, pp. 90-95.<br />
Storia dell’arte Einaudi 194
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
287 p. francastel, Imagination et réal<strong>it</strong>é dans l’arch<strong>it</strong>ecture civile du<br />
Quattrocento, in Eventail de l’histoire vivant (Hommage a Lucien Febvre),<br />
Paris 1953, II, p. 198 (il saggio è stato poi ripubblicato nel secondo<br />
volume delle opere di francastel, La réal<strong>it</strong>é figurative, Paris 1965, pp.<br />
269-81).<br />
288 Adatto le parole che Bruschi impiega in riferimento ad un processo<br />
storico di piú lungo periodo, ma che ha accelerazione dopo l’Alberti<br />
e la massima intens<strong>it</strong>à nel momento cronologico detto (Scr<strong>it</strong>ti rinascimentali<br />
c<strong>it</strong>., p. xxvii). Sul tema <strong>della</strong> figurazione p<strong>it</strong>torica dell’arch<strong>it</strong>ettura,<br />
si veda almeno le osservazioni di r. longhi (1916), ora in<br />
Scr<strong>it</strong>ti giovanili, Firenze 1961, pp. 296-97, e di w<strong>it</strong>tkower, Brunelleschi<br />
and Proportion c<strong>it</strong>., pp. 289-91; piú direttamente, in rapporto alle<br />
tarsie, gli interventi di Chastel richiamati nel paragrafo seguente, e<br />
romano, Il coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>., pp. 21-22.<br />
289 Sul caso di Piacenza e Parma, nel quadro particolare delle rappresentazioni<br />
di arch<strong>it</strong>ettura, ha insist<strong>it</strong>o anche j. ganz, Arch<strong>it</strong>ekturdarstellungen<br />
aus Intarsien der Renaissance südlich und nördich des Alpes,<br />
in «Österreiches Grenzmarker», ii, 1969, pp. 156-62.<br />
290 Per Muzio Oddi, c<strong>it</strong>o dal suo «parere» sulla cattedrale di Lucca<br />
(che è testo notevole nella storia del restauro arch<strong>it</strong>ettonico), pubblicato<br />
da ridolfi, L’arte a Lucca c<strong>it</strong>., p. 372. Per l’altra c<strong>it</strong>azione, il testo<br />
del 1645 ripreso da baroni, L’arch<strong>it</strong>ettura lombarda c<strong>it</strong>., p. 18.<br />
291 Per il tema dell’arco trionfale, g. r. kernodle, From Art to<br />
Theatre, Chicago-London (1944) 1970, passim (e ad indice) e pp. 226-38<br />
(per le entrate); l. zorzi, Il teatro e la c<strong>it</strong>tà, Torino 1977, pp. 90,<br />
190-91 (nota bibliografica); m. fagiolo, L’Effimero di Stato. Strutture<br />
e archetipi di una c<strong>it</strong>tà d’illusione, in La c<strong>it</strong>tà effimera e l’universo<br />
artificiale del giardino, a cura di M. Fagiolo, Roma 1980, pp. 15-19;<br />
a. m. petrioli tofani, in Il potere e lo spazio. La scena del principe,<br />
catalogo <strong>della</strong> mostra (sezione di Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa<br />
del Cinquecento), Firenze 1980, pp. 343 sgg. Sul tema delle<br />
entrate, si veda inoltre e. konigson, L’espace théâtral médiéval, Paris<br />
1975, pp. 247-64; b. m<strong>it</strong>chell, Italian civic pageantry in the high<br />
Renaissance. A descriptive bibliography of triumphal entries and selected<br />
other festivals for the State occasions, Firenze 1979.<br />
292 Mi lim<strong>it</strong>o a ricordare zorzi, Il teatro c<strong>it</strong>., e f. cruciani, Il teatro<br />
del Campidoglio e le feste romane del 1513, Milano 1969; Vision et organisation<br />
de l’espace dans les fêtes romaines, in j. jacquot e e. konigson,<br />
Les Fêtes de la Renaissance, Paris 1975, III, pp. 219-29 (in versione <strong>it</strong>aliana<br />
in «Biblioteca teatrale», 1972, n. 5, pp. 1-16); Prospettive <strong>della</strong><br />
scena: «Le Bacchidi» del 1513, ivi, 1976, n. 15-16, pp. 57-66.<br />
293 Cfr. v. mariani, Storia <strong>della</strong> scenografia <strong>it</strong>aliana, Firenze 1930,<br />
p. 32; le piú esplic<strong>it</strong>e attenzioni di l. magagnato, Teatri <strong>it</strong>aliani del Cinquecento,<br />
Venezia 1954, p. 38; e l. zorzi, in un saggio del 1964, ripre-<br />
Storia dell’arte Einaudi 195
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
so in appendice a Il teatro c<strong>it</strong>., pp. 309-10 (ma si veda anche a p. 77);<br />
e. povoledo, Origini ed aspetti <strong>della</strong> scenografia in Italia. Dalla fine del<br />
Quattrocento agli intermezzi fiorentini del 1589, in n. pirrotta, Li due<br />
Orfei (1969), Torino 1975, p. 399, nota 21.<br />
294 a. chastel, La grande officina (1965), Milano 1966, pp. 9-23; id.,<br />
Les «vues urbaines» peintes et le théâtre, in «Bollettino del centro internazionale<br />
di studi di arch<strong>it</strong>ettura «Andrea Palladio»», xvi, 1974, pp.<br />
141-42, poi in id., Formes c<strong>it</strong>., pp. 497-503; Les apories de la perspective<br />
c<strong>it</strong>., pp. 59-60. L’articolo di r. krautheimer, The Tragic and Comic<br />
Scene of the Renaissance: the Baltimore and Urbino Panels, in «Gazette<br />
des Beaux-Arts», xxxiii, 1948, pp. 327-48, è ristampato in id., Studies<br />
in early Christian, Medieval, and Renaissance Art, London - New York<br />
1969, pp. 345-59 (con un breve postscr<strong>it</strong>to di risposta alle confutazioni,<br />
ma anche di presa di distanza dalle radicalizzazioni <strong>della</strong> sua proposta).<br />
Per gli sviluppi <strong>della</strong> discussione si veda la bibliografia ragionata<br />
di Conti, Le prospettive c<strong>it</strong>. e l’appos<strong>it</strong>a nota di zorzi, Il teatro c<strong>it</strong>.,<br />
pp. 168-71. In favore <strong>della</strong> proposta di Krautheimer si è ancora di<br />
recente espresso M. Tafuri, in bruschi, Scr<strong>it</strong>ti rinascimentali c<strong>it</strong>., p.<br />
379, nota 1. Sull’argomento, si veda anche a. corboz, Marqueterie,<br />
théâtre et urbanisme dans l’Italie du xv e siècle, in «Arch<strong>it</strong>ectures, Formes,<br />
Fonctions», xi, 1964-65, pp. 93-98.<br />
295 e. povoledo, La sala teatrale a Ferrara: da Pellegrino Prisciani a<br />
Ludovico Ariosto, in «Bollettino del centro internazionale di studi di<br />
arch<strong>it</strong>ettura «Andrea Palladio»», xvi, 1974, p. 121, che è opinione già<br />
precedentemente sostenuta dalla stessa autrice in piú di un’occasione.<br />
Essa è stata messa in discussione da k. neiiendam, Le théâtre de la<br />
Renaissance à Rome, in «Analecta Romana Inst<strong>it</strong>uti Danici», v, 1969,<br />
p. 140; conti, Le prospettive c<strong>it</strong>., pp. 1206-7, nota 14; m. baratto, La<br />
fondazione di un genere (per un’analisi drammaturgica <strong>della</strong> commedia del<br />
Cinquecento), in Il teatro <strong>it</strong>aliano del Rinascimento, a cura di M. de<br />
Panizza Lorch, Milano 1980, pp. 8-9; piú esplic<strong>it</strong>amente è stata respinta<br />
da zorzi, Il teatro c<strong>it</strong>., p. 27, e da cruciani, Prospettive <strong>della</strong> scena<br />
c<strong>it</strong>., p. 60, nota 10.<br />
Zorzi ha giustamente messo in dubbio che il termine <strong>prospettiva</strong><br />
usato da Bernardino Prosperi per descrivere l’apparato ferrarese del<br />
1508 «si riferisca ad un impianto realizzato effettivamente secondo i<br />
canoni <strong>della</strong> regola prospettica» e si è chiesto se non serva piuttosto ad<br />
indicare la «scena di teatro», secondo il lessico divulgato dalle traduzioni<br />
di V<strong>it</strong>ruvio. Personalmente preferirei dare al termine un senso piú<br />
piano, adatto all’occasione non teorica <strong>della</strong> testimonianza: quello di rappresentazione<br />
«p<strong>it</strong>torica» di arch<strong>it</strong>etture (si veda infra: «quadri cum li<br />
casamenti seu prospettive»). Sul p<strong>it</strong>tore responsabile <strong>della</strong> scena, e per<br />
un’ulteriore informazione sull’argomento, a. tempestini, Martino da<br />
Udine detto Pellegrino da San Daniele, Udine 1979, pp. 38-40 e 131-32.<br />
Storia dell’arte Einaudi 196
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
296 vasari, Opere c<strong>it</strong>., IV, p. 596, ma l’uso è del tutto corrente.<br />
297 Su questo punto, che è toccato da un po’ tutta la letteratura sullo<br />
spettacolo rinascimentale, ricordo e. battisti, La visualizzazione <strong>della</strong><br />
scena classica nella commedia Umanistica, in id., Rinascimento e Barocco,<br />
Torino 1960, pp. 98 e 105; c. molinari, Il teatro nella tradizione<br />
v<strong>it</strong>ruviana: da Leon Battista Alberti a Daniele Barbaro, in «Biblioteca teatrale»,<br />
1971, n. 1, pp. 32 e 46; a. pinelli, I teatri, Firenze 1973, p. 6.<br />
298 kernodle, From Art c<strong>it</strong>., p. 176 («Since the perspective street<br />
scene of rows of houses going into a deep center had already been developed<br />
in fifteenth century painting, <strong>it</strong> is surprising that apparently non<br />
perspective scenery was built until the first decade of the sixtheenth<br />
century» [facendo dunque riferimento alla rappresentazione ferrarese<br />
del 1508]).<br />
299 baratto, La fondazione c<strong>it</strong>., p. 9.<br />
300 C<strong>it</strong>o dall’antologia di marotti, Lo spettacolo c<strong>it</strong>., p. 196.<br />
301 Su questo punto mi sembrano molto esplic<strong>it</strong>e le osservazioni di<br />
cruciani, Vision et organisation c<strong>it</strong>., p. 229, e di g. ferroni, Il testo e<br />
la scena. Saggi sul teatro del Cinquecento, Roma 1980, p. 9.<br />
302 marotti, Lo spettacolo c<strong>it</strong>., p. 196.<br />
303 c. molinari, Les rapports entre la scène et les spectateurs dans le<br />
théâtre <strong>it</strong>alien du XVI e siècle, in Le lieu théâtral à la Renaissance, a cura<br />
di J. Jacquot, Paris 1964, pp. 67-68; a. chastel, Cortile et théâtre, ibid.,<br />
p. 44; id., Palladio et l’escalier à double mouvement inversé, in «Bollettino<br />
del centro internazionale di studi di arch<strong>it</strong>ettura «Andrea Palladio»»,<br />
vii, 1965, pp. 18-22, ora raccolto, assieme agli altri interventi<br />
di storia del teatro, in id., Formes c<strong>it</strong>.<br />
304 r. klein e h. zerner, V<strong>it</strong>ruve et le théâtre de la Renaissance, in<br />
Le Lieu c<strong>it</strong>., ora in klein, La forma c<strong>it</strong>., pp. 333-35 (da p. 334 la c<strong>it</strong>azione);<br />
kernodle, From Art c<strong>it</strong>., pp. 188-200 (e ad indice). Per un<br />
accenno esplic<strong>it</strong>o in rapporto alla tarsia, zorzi, Il teatro c<strong>it</strong>., p. 309 (fra<br />
Giovanni da Verona non va però confuso con fra Giovanni Giocondo,<br />
il traduttore di V<strong>it</strong>ruvio).<br />
305 sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>., p. 42.<br />
306 puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 118.<br />
307 sterling, La nature morte c<strong>it</strong>., pp. 30-35; m. rosci, Baschenis Bettera<br />
c<strong>it</strong>., pp. 32-36.<br />
308 Uso un’espressione di e. raimondi, Il romanzo senza idillio, Torino<br />
1974, p. 25, ma volendo riferirmi al senso complessivo <strong>della</strong> sua analisi.<br />
309 Sul ruolo dell’antico ha insist<strong>it</strong>o particolarmente Sterling (ne ha<br />
chiesto invece una zona di deroga per la tarsia lendinaresca puerari,<br />
Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 67). L’impostazione qui segu<strong>it</strong>a deriva, ovviamente, da<br />
Gombrich, in maniera piú particolare dalla recensione al libro di Sterling,<br />
in A cavallo di un manico di scopa (1963), Torino 1971, p. 157.<br />
Un richiamo simile fa wh<strong>it</strong>e, Nasc<strong>it</strong>a e rinasc<strong>it</strong>a c<strong>it</strong>., p. 254. Non mi<br />
Storia dell’arte Einaudi 197
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
pare aver considerato queste motivazioni contestuali j. baudrillard,<br />
Il «trompe-l’œil», in «Rivista d’estetica», 1979, n. 3, pp. 1-7, quando<br />
richiama la qual<strong>it</strong>à banale degli oggetti che caratterizzano questo tipo<br />
di figurazione (assolutizzata al punto da includere de plano lo studiolo<br />
di Urbino).<br />
310 g. gruyer, L’Art ferrarais à l’époque des princes d’Este, Paris<br />
1897, II, p. 35. A propos<strong>it</strong>o dei fiori e dei frutti che occupano le bellissime<br />
paraste <strong>della</strong> Sacrestia dei Consorziali, Gianni Romano mi<br />
ricorda la fama di Antonio Lionelli da Crevalcore nel dipingere frutti<br />
(si veda a. venturi, Quadri di Lorenzo di Credi, di Antonio da Crevalcore<br />
e di un discepolo del Francia, in «Archivio storico dell’arte», i,<br />
1888, p. 278, e gombrich, A cavallo c<strong>it</strong>., p. 156).<br />
311 Al del bravo, La dolcezza c<strong>it</strong>., p. 780, «non sembra», invece,<br />
«che in genere i cori intarsiati permettano letture iconogiche. Vi compaiono<br />
infatti oggetti la cui presenza è ammissibile in un luogo sacro<br />
solo per una forte astrazione dai contenuti, come per esempio le scacchiere».<br />
312 Tuttavia, per lo studiolo di Gubbio, si veda il saggio di wintern<strong>it</strong>z,<br />
«Quattrocento». Science c<strong>it</strong>., ried<strong>it</strong>o in id., Musical Instruments<br />
c<strong>it</strong>., pp. 116-19.<br />
313 In Scr<strong>it</strong>ti d’arte c<strong>it</strong>., p. 2931. E sub<strong>it</strong>o dopo, a propos<strong>it</strong>o delle<br />
armi, fa una considerazione che sembra da ricondurre ad una mutata<br />
ideologia nobiliare: «ma ben vorrei che fossero conservate limpide, forb<strong>it</strong>e,<br />
lustri e nette come devono essere le armi d’un gentil cavaliero, e<br />
non rugginose come quelle d’un sbirro».<br />
314 In Scr<strong>it</strong>ti scelti, a cura di A. M. Brizio, Torino 1966 2 , p. 364.<br />
315 De re aedificatoria c<strong>it</strong>., p. 766.<br />
316 In Scr<strong>it</strong>ti d’arte c<strong>it</strong>., p. 2932.<br />
317 Ibid., p. 2919.<br />
318 l. sp<strong>it</strong>zer, L’armonia del mondo (1963), Bologna 1967, pp. 67,<br />
73-76.<br />
319 wintern<strong>it</strong>z, The Importance c<strong>it</strong>. Ma si veda anche il saggio introduttivo<br />
<strong>della</strong> raccolta in cui è ripubblicato: Musical Instruments c<strong>it</strong>., pp.<br />
31 e 39.<br />
320 f. yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica (1964),<br />
Bari-Roma 1981 2 , pp. 334-52, e fig. 13d.<br />
321 p. o. kristeller, La tradizione classica nel pensiero del Rinascimento<br />
(1955), Firenze 1965, p. 82.<br />
322 Sono esplic<strong>it</strong>e, in questo senso, le considerazioni di a. g. debus,<br />
L’uomo e la natura nel Rinascimento (1978), Milano 1982, pp. 88-89.<br />
Piú specificamente (fra i tanti suoi interventi sui rapporti fra musica e<br />
cultura <strong>della</strong> prima età moderna), d. p. walker, Kleper’s Celestian<br />
Music, in «Journal of the Warburg and Courtauld Inst<strong>it</strong>utes», xxx,<br />
1977, pp. 228-50.<br />
Storia dell’arte Einaudi 198
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
323 g. reese, Musical Compos<strong>it</strong>ions in Renaissance Intarsia, in Medieval<br />
and Renaissance Studies, a cura di J. L. Lievsay, II, Durham 1966,<br />
pp. 74-97; b. disertori, Prime versioni a tre voci <strong>della</strong> canzone «J’ay prius<br />
amours» [studiolo di Urbino], «Rivista studi trentini di scienze storiche»,<br />
1958, poi in id., La musica nei quadri antichi, Calliano (Trento)<br />
1978, p. 44; j. van benthem, Einige Musikintarsien des Frühen 16.<br />
Jahrhunderts in Piacenza und Josquins Proportionskanon «Agnus Dei», in<br />
«Tijdschrift van de Vereniging voor Nederlandes Muziekgeschedenis»,<br />
xxiv, 1974, pp. 97-98.<br />
324 È significativa, nel suo contesto, la c<strong>it</strong>azione di un pannello del<br />
coro di Monte Oliveto fatta da a. tenenti, Il senso <strong>della</strong> morte e l’amore<br />
<strong>della</strong> v<strong>it</strong>a nel Rinascimento, Torino 1957, p. 462.<br />
325 Le scr<strong>it</strong>te cancellate nel 1571 «apparebant sculpta, sive in ligno<br />
incisa super tribus vasculis in ligno incisis infrascripta verba videlicet.<br />
In primo ex dictis vasculis. De Umbra Asini Domini Nostri. In secundo.<br />
De pedibus ascensionis Beatae Virginis. In tertio de reliquiis Sanctissimae<br />
Trin<strong>it</strong>atis» (rossi, Maestri e lavori c<strong>it</strong>., pp. 356-57). La ragione<br />
di queste scr<strong>it</strong>te andrà sicuramente motivata meglio, e piú da vicino.<br />
Ma, certo, non saranno dovute all’iniziativa personale di Sebastiano<br />
Bencivenni («spir<strong>it</strong>o bizzarro e burlesco», vorrebbe dedurne nessi, Bencivenni<br />
c<strong>it</strong>., p. 218).<br />
326 pacioli, Summa c<strong>it</strong>., cc. 2r e 2v.<br />
327 g. preti, Retorica e logica, Torino 1968, p. 146.<br />
328 «Spir<strong>it</strong>o nuovo» è espressione usata da gille, Leonardo c<strong>it</strong>., p.<br />
120, in una pagina dove si osserva anche che «le macchine <strong>it</strong>aliane [...]<br />
sembrano nell’insieme meglio concep<strong>it</strong>e, forse sono soltanto meglio<br />
disegnate, in un’epoca e in un paese in cui le questioni di <strong>prospettiva</strong><br />
acquistano una singolare importanza».<br />
329 vasari, Opere c<strong>it</strong>., II, p. 652. Sulla sua attiv<strong>it</strong>à danubiana, j.<br />
balogh, Mattia Corvino e il primo Rinascimento ungherese, in Evolution<br />
générale c<strong>it</strong>., pp. 615, 619.<br />
330 vasari, Opere c<strong>it</strong>., IV, p. 20. Il riferimento agli storici dell’arte<br />
«impreparati» davanti all’opera di Leonardo è tolto da romano, Studi<br />
c<strong>it</strong>., p. 49.<br />
331 Per Leonardo, s. a. bedini e l. reti, Leonardo e l’orologeria, in<br />
Leonardo, a cura di L. Reti, Milano 1974, pp. 240-63. Per Brunelleschi,<br />
manetti, V<strong>it</strong>a c<strong>it</strong>., p. 66: seguendo il testo stabil<strong>it</strong>o da De Robertis,<br />
si legge «mole»; ma si tenga presente che la lettura alternativa –<br />
«molle» – provoca tutt’altra valutazione per quanto riguarda la storia<br />
<strong>della</strong> tecnologia (f. d. prager, Brunelleschi’s Clock?, in «Phisis», x,<br />
1968, pp. 203-16; bedini e reti, Leonardo c<strong>it</strong>., p. 252).<br />
332 Sul rapporto fra «macchinismo» medievale e amb<strong>it</strong>o monastico,<br />
j. le goff, in Tempo <strong>della</strong> Chiesa e tempo del mercante, Torino 1977,<br />
p. 84 (sullo sfondo m. bloch, Lavoro e tecnica nel Medioevo, Roma-Bari<br />
Storia dell’arte Einaudi 199
Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />
1969 2 , pp. 73-110). Per i contributi tecnologici degli ordini monastici,<br />
si veda, ad esempio, j. gimpel, La révolution industrielle du Moyen Âge,<br />
Paris 1975, pp. 42, 66, 220. Sui mulini in particolare, si veda, fra gli<br />
altri, l. mumford, Tecnica e cultura (1934), Milano 1961, pp. 134 e<br />
158; a. c. crombie, Da Sant’Agostino a Galileo (1952), Milano 1970,<br />
pp. 171-72; f. braudel, Cap<strong>it</strong>alismo e civiltà materiale (secoli<br />
XV-XVIII), pp. 266-69. Di un mulino parla V<strong>it</strong>ruvio (libro X): ciò comportò,<br />
nelle edizioni cinquecentesche, interessanti incontri fra visualizzazione<br />
moderna e meccanica classica (l. wh<strong>it</strong>e jr, Tecnica e società<br />
nel Medioevo (1962), Milano 1967, p. 147: «Il mulino di V<strong>it</strong>ruvio è<br />
la prima grande conquista nella progettazione di un meccanismo ad<br />
alimentazione continua»).<br />
333 Su questa difficoltà terminologica, h. alan lloyd, Antichi orologi<br />
(1964), Firenze 1969, p. 24. Del medesimo autore si veda il cap<strong>it</strong>olo<br />
Misuratori meccanici del tempo, in c. singer, e. j. holmyard, a. r.<br />
hall e t. i. williams, Storia <strong>della</strong> tecnologia, III, Torino 1963, pp.<br />
655-82. Sullo sfondo <strong>della</strong> v<strong>it</strong>a economica, l’avvento tecnologico dell’orologio<br />
è stato studiato da c. m. cipolla, Le macchine del tempo<br />
(1967), Bologna 1981. Cfr. inoltre a. simoni, Orologi <strong>it</strong>aliani, Milano<br />
1956.<br />
334 Per Jean de Berry, j. von schlosser, Tesori d’arte e di meraviglie<br />
(1908), Firenze 1974, p. 47 (ma si veda anche a p. 68, per Ferdinando<br />
del Tirolo). Per Lorenzo de’ Medici, e. müntz, Les collections des<br />
Médicis au XV e siècle, Paris-London 1888, p. 75. Per l’ambiente milanese,<br />
f. malaguzzi valeri, Arte gaia, Bologna 1926, pp. 70-71. Sugli<br />
orologi privati («fiunt etiam ex aere parvula sed privata», ricorda Grapaldo),<br />
cipolla, Le macchine c<strong>it</strong>., pp. 30-35.<br />
335 grapaldo, De partibus aedium c<strong>it</strong>., c. 100r.<br />
336 Su questo fatto sono molto esplic<strong>it</strong>e le pagine di mumford, Tecnica<br />
c<strong>it</strong>., pp. 95-98, 138-40, e di braudel, Cap<strong>it</strong>alismo c<strong>it</strong>., pp. 273-75.<br />
337 m. brusatin, La macchina come soggetto d’arte, in Storia d’Italia<br />
Einaudi. Annali 3, Torino 1980, pp. 31-77.<br />
338 Si veda, ad esempio, l’elenco degli attrezzi che nel 1496, a Perugia,<br />
furono acquistati da Bernardino di Lazzero (rossi, Maestri e lavori<br />
c<strong>it</strong>., pp. 103-4).<br />
339 a. r. hall e m. boas hall, Storia <strong>della</strong> scienza (1964), Bologna<br />
1979, p. 103 («Nel xv secolo l’Europa era tecnologicamente superiore<br />
a tutte le altre regioni del globo, salvo che in certe arti, come quella<br />
<strong>della</strong> porcellana»); in termini simili, si esprime wh<strong>it</strong>e, Tecnica c<strong>it</strong>.,<br />
p. 187.<br />
340 gille, Leonardo c<strong>it</strong>., p. 147. La crisi del rapporto arte-scienza<br />
nella coscienza cinquecentesca è uno dei temi che percorrono il libro<br />
di m. tafuri, L’arch<strong>it</strong>ettura del Manierismo nel Cinquecento europeo,<br />
Roma 1966.<br />
Storia dell’arte Einaudi 200