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I maestri della prospettiva - Artleo.it

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I <strong>maestri</strong><br />

<strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

di Massimo Ferretti<br />

Storia dell’arte Einaudi 1


Edizione di riferimento:<br />

in Storia dell’arte <strong>it</strong>aliana, III. S<strong>it</strong>uazioni momenti<br />

indagini, 11. Forme e modelli, a cura di Federico Zeri,<br />

Einaudi, Torino 1982<br />

Storia dell’arte Einaudi 2


Indice<br />

I. Problemi 4<br />

1. Maestri di <strong>prospettiva</strong> e di tarsia 8<br />

2. Legno, tecnica, figurazione 15<br />

3. Tarsia e p<strong>it</strong>tura 24<br />

4. Cori e studioli 31<br />

II. Sviluppi 35<br />

1. Tradizione senese ed esordio prospettico<br />

a Firenze 37<br />

2. I Lendinara lungo la via Emilia 44<br />

3. Sviluppi lendinareschi in area veneta 54<br />

4. La zona lombarda 59<br />

5. Espansione fiorentina 64<br />

6. Grottesche, intagli, prospettive in Umbria 75<br />

7. Antonio Barili: «coelo non penicillo» 79<br />

8. Giovanni da Verona e la rete dei<br />

conventi olivetani 83<br />

9. Persistenze e revisioni nella tarsia padana<br />

del Cinquecento 91<br />

10. L’ipotesi del Lotto a Bergamo 103<br />

11. Fra Damiano e l’es<strong>it</strong>o virtuosistico<br />

<strong>della</strong> tarsia 108<br />

III. Temi 116<br />

1. Immagini <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà 117<br />

2. L’esperienza dello spettacolo 126<br />

3. Temi d’illusione e di armonia 132<br />

4. Icone meccaniche 139<br />

Storia dell’arte Einaudi 3


Cap<strong>it</strong>olo primo<br />

Problemi<br />

Segnando quelle sue focosissime Considerazioni al<br />

Tasso su un esemplare appos<strong>it</strong>amente interfoliato <strong>della</strong><br />

Gerusalemme Liberata, il giovane Galilei trovò ripetute<br />

occasioni per un demol<strong>it</strong>orio confronto con il poema dell’Ariosto<br />

e per caratterizzazioni traslate dall’esperienza<br />

figurativa (fino al culmine del diretto dialogo col poeta:<br />

«Voi non sapete dipinger, Sig. Tasso, non sapete adoperare<br />

i colori, non i pennelli, non sapete disegnare, non<br />

sapete fare questo mestiero»). Attraverso quest’accostante<br />

e personalissima formula di «Ut pictura poësis»,<br />

la concatenazione di giudizi ed immagini tocca alcuni<br />

momenti cap<strong>it</strong>ali nel rifiuto dell’universo manierista.<br />

La «durezza» e la «suspension di mente» del Tasso vengono<br />

cosí accostate a quell’inutilmente applicato lusus<br />

dell’arte che è l’opera di tarsia. L’incip<strong>it</strong> del poema è<br />

accompagnato da questa postilla:<br />

Uno tra gli altri difetti è molto familiare al Tasso, nato<br />

da una grande strettezza di vena e povertà di concetti; ed<br />

è, che mancandogli ben spesso la materia, è costretto andar<br />

rappezzando insieme concetti spezzati e senza dependenza<br />

e connessione tra loro, onde la sua narrazione ne riesce<br />

piú presto una p<strong>it</strong>tura intarsiata, che color<strong>it</strong>a a olio: perché,<br />

essendo le tarsie un accozzamento di legnetti di diversi<br />

colori, con i quali non possono già mai accoppiarsi e unirsi<br />

cosí dolcemente che non restino i lor confini taglienti e<br />

Storia dell’arte Einaudi 4


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

dalla divers<strong>it</strong>à de’ colori crudamente distinti, rendono per<br />

necess<strong>it</strong>à le lor figure secche, crude, senza tondezza e rilievo;<br />

dove che nel color<strong>it</strong>o a olio, sfumandosi dolcemente i<br />

confini, si passa senza crudezza dall’una all’altra tinta,<br />

onde la p<strong>it</strong>tura riesce morbida, tonda, con forza e con<br />

rilievo. Sfuma e tondeggia l’Ariosto, come quelli che è<br />

abbondantissimo di parole, frasi, locuzioni e concetti; rottamente,<br />

seccamente e crudamente conduce le sue opere il<br />

Tasso, per la povertà di tutti i requis<strong>it</strong>i al ben oprare.<br />

Andiamo adunque esaminando con qualche riscontro particolare<br />

questa ver<strong>it</strong>à: e questo andare empiendo, per brev<strong>it</strong>à<br />

di parole, le stanze di concetti che non hanno una<br />

necessaria continuazione con le cose dette e da dirsi, l’addomanderemo<br />

intarsiare 1 .<br />

Galileo non pensava certo alla tarsia come a quanto,<br />

già piú un secolo innanzi, si era posto «all’incrocio di<br />

tutte le arti» 2 , organando emblematicamente intelligenza<br />

meccanica, istanze di figurazione, sapere «scientifico».<br />

Davanti, semmai, aveva l’immagine di un artificio<br />

tecnologico, separato e subalterno nei suoi virtuosismi<br />

d’irrealtà, pericolosamente vicino a quelle «acque stagnanti»,<br />

per quanto derivate dalla fonte principale <strong>della</strong><br />

p<strong>it</strong>tura, che Francisco de Hollanda aveva ricordato come<br />

«destrezze inutili» e che il Pino aveva bollato di «semplic<strong>it</strong>à<br />

e folle [fole] fratesche» 3 . All’inizio del Seicento,<br />

senza forzature teoriche, il Mancini considera la tarsia<br />

come un «modo di p<strong>it</strong>tura»; ma la specific<strong>it</strong>à materiale<br />

di quella lignea, cui fa caso Galileo, ormai gli sfugge<br />

(«saranno pietre, smalti, legni e gioie») 4 . Circa sessanta<br />

anni dopo, Daniello Bartoli, sarà singolarmente attento<br />

alle «pruove meravigliose» di un’arte «antica e oggi dí<br />

poco men che dimessa» 5 .<br />

Queste c<strong>it</strong>azioni non servono ad entrare nell’argomento<br />

<strong>della</strong> tarsia prospettica per la via, un po’ scolasticamente<br />

giustificativa, <strong>della</strong> sua fortuna cr<strong>it</strong>ica. Esse<br />

Storia dell’arte Einaudi 5


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

orientano invece su quel campo di connessioni incrociate,<br />

di pregiudizi cr<strong>it</strong>ici e di difficoltà reali che ancora<br />

oggi circonda un documento visivo di matrice complessa<br />

e precocemente trasformata. Se non vogliamo<br />

consentire il prevaricamento di una sensibil<strong>it</strong>à moderna,<br />

ieri pronta a spendere il fresco ricordo <strong>della</strong> metafisica<br />

novecentesca, oggi piú tesa a ricostruire il momento<br />

concettuale di quelle prospettive fuori dalle final<strong>it</strong>à di<br />

figurazione, sarà innanz<strong>it</strong>utto opportuno evidenziare le<br />

radici oggettive di tali difficoltà, appiattendo, in un<br />

primo momento, i motivi di sviluppo cronologico e geografico.<br />

Si tratta, intanto, di risalire oltre le ragioni<br />

ideologiche, sociali, figurative dell’età manieristica e<br />

neo-feudale.<br />

Galileo, difatti, poteva mettere Tasso ed Ariosto in<br />

parallelo con tarsia e p<strong>it</strong>tura perché, ai suoi occhi, di un<br />

confronto omogeneo si trattava, essendo scontata la<br />

dipendenza dell’una dall’altra. Vasari, parlando «Del<br />

musaico di legname cioè delle tarsie (una graduazione di<br />

lessico per niente neutrale) e dell’istorie che si fanno di<br />

legni tinti e commessi a guisa di p<strong>it</strong>tura», era stato esplic<strong>it</strong>o:<br />

E perché tale professione consiste solo ne’ disegni che<br />

siano atti a tale esercizio, pieni di casamenti e di cose che<br />

abbino i lineamenti quadrati e si possa per via di chiari e<br />

di scuri dare loro forza e rilievo, hannolo fatto sempre persone<br />

che hanno avuto piú pacenzia che disegno. E cosí s’è<br />

causato che molte opere vi si sono fatte e si sono in questa<br />

professione lavorate storie di figure, frutti et animali,<br />

che invero alcune cose sono vivissime; ma per essere cosa<br />

che tosto diventa nera e non contrafà se non la p<strong>it</strong>tura,<br />

essendo da meno di quella e poco durabile per i tarli e per<br />

il fuoco, è tenuto tempo buttato invano, ancorache e’ sia<br />

lodevole e maestrevole 6 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 6


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Anche argomenti come quello <strong>della</strong> durata fisica delle<br />

opere, o l’altro <strong>della</strong> facil<strong>it</strong>à/difficoltà esecutiva, ricorrenti<br />

nel paragone cinquecentesco fra le arti, riescono<br />

cosí sfavorevoli alla tarsia; che dunque è solo paziente<br />

estensione meccanica <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura, priva di diretti tram<strong>it</strong>i<br />

col Disegno («padre delle tre arti nostre»). Se Vincenzio<br />

Borghini poteva ironizzare sul parere di «un<br />

legnaiuolo» come Battista Tasso nell’inchiesta varchiana<br />

sul primato delle arti («maestro si chiama da sé da<br />

sé») 7 ,Vasari svolgeva concretamente la sostanza discriminatoria<br />

di quelle sue affermazioni nella concretezza<br />

narrativa delle biografie. Una regola sociale di ascesa<br />

viene sistematicamente sovrapposta alla polimorfa cultura<br />

tecnologica delle botteghe fiorentine dell’ultimo<br />

Quattrocento. Intaglio e tarsia s’identificano cosí troppo<br />

necessariamente con la fase giovanile di artisti destinati<br />

a piú alte responsabil<strong>it</strong>à 8 . L’abbandono <strong>della</strong> tarsia<br />

da parte di Benedetto da Maiano è la conseguenza traumatica<br />

di un’imbarazzante presentazione alla corte di<br />

Mattia Corvino, rovinata da «un paio di casse con difficile<br />

e bellissimo magisterio di legni commessi», poi<br />

staccati e scomposti per l’umid<strong>it</strong>à pat<strong>it</strong>a durante il viaggio<br />

(ma «la colpa era stata dell’esercizio che era basso,<br />

e non dell’ingegno suo che era alto e pellegrino») 9 .<br />

Al Vasari non sfuggiva certo che quest’arte d’intarsiare<br />

era cosa ormai trascorsa e vicina al puro esercizio<br />

prospettico. Ma la pratica autonoma <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

(dove il termine non corrispondesse a quella «divinissima»<br />

possibil<strong>it</strong>à di dispiegamento e di diletto visivo da<br />

lui indicata nella lettera al Varchi 10 ) era da lasciare ad<br />

artefici privi d’invenzione, senza disegno: lo aveva cap<strong>it</strong>o<br />

Aristotile da Sangallo quando rinunciò alla p<strong>it</strong>tura e<br />

«si risolvé di volere che il suo esercizio fusse l’arch<strong>it</strong>ettura<br />

e la <strong>prospettiva</strong>, facendo scene da commedie» 11 . E<br />

difatti chi su di esse avesse fatto considerazioni teoriche,<br />

come Daniele Barbaro, non avrebbe tardato a ricono-<br />

Storia dell’arte Einaudi 7


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

scere buoni esempi di Prospettiva pratica «nelle p<strong>it</strong>ture<br />

de gli antipassati» 12 . Ma le opere di tarsia erano da loro<br />

chiamate «perspectivae» e, nell’oscillazione fra «faber»,<br />

«magister a lignamine», «carpentarius» e simili, l’appellativo<br />

di maestro di <strong>prospettiva</strong> serví piú frequentemente<br />

a riconoscere l’intarsiatore 13 .<br />

i. Maestri di <strong>prospettiva</strong> e di tarsia.<br />

Le ragioni <strong>della</strong> crisi cinquecentesca <strong>della</strong> tarsia, con<br />

i relativi impacci ad intenderne le realizzazioni passate,<br />

convergono proprio su tale doppio registro lessicale,<br />

ormai scisso alla metà del secolo. Oppure, sull’accenno<br />

del Barbaro ad una <strong>prospettiva</strong> «pratica» già concretata<br />

nelle opere ma non ancora defin<strong>it</strong>a come sistema preliminare<br />

di norme (solo nel 1540 era stato stampato il<br />

De pictura albertiano, e nella redazione latina). A progredire<br />

fu dunque una nozione piú astratta di <strong>prospettiva</strong>,<br />

scientificizzante e in pieno assestamento trattatistico:<br />

che sempre piú spesso fu opera di matematici, culminando,<br />

giusto allo scadere del secolo, in Guidobaldo<br />

Del Monte e nella sua giustificazione concettuale del<br />

punto di fuga, dunque nelle premesse <strong>della</strong> geometria<br />

proiettiva di Desargues 14 . Anche la cultura figurativa,<br />

sullo sfondo <strong>della</strong> condanna zuccaresca delle matematiche,<br />

suggerisce un certo distacco e quasi un’incomprensione<br />

fra le due linee di competenza prospettica: quando<br />

arriva a descrivere come si tirano le prospettive,<br />

Vasari coerentemente sorvola 15 . Si comincia cosí a circoscrivere<br />

quello speciale settore deputato ad un magistero<br />

prospettico stupefacente, ma del tutto autonomo<br />

e specialistico, che avrà i suoi trionfi nell’età delle quadrature<br />

16 . La tarsia non poteva piú essere un’occasione<br />

di raccordo fra le diverse esperienze: il suo sviluppo,<br />

necessariamente, aveva avuto la stessa «brevissima dura-<br />

Storia dell’arte Einaudi 8


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

ta» di quel «periodo di transizione, che potremmo chiamare<br />

archimedeo» in cui scienza, tecnica, arte si erano<br />

incontrate in forme poi irripetibili 17 . Se durante tutto il<br />

Cinquecento esse trovarono sviluppi utilmente reciproci,<br />

non fu tanto in area <strong>it</strong>aliana. Solo per rimanere al<br />

caso nostro, le tavole di dimostrazione prospettica dei<br />

Kunstbüchlein tardo-cinquecenteschi fanno spesso<br />

tutt’uno con i modelli utilizzati dagli intarsiatori tedeschi<br />

del tempo; e cosí nel 1556 Leonard Digges, nel sottot<strong>it</strong>olo<br />

del suo A Booke Named Tectonicon può promettere,<br />

fra i tanti, anche agli intarsiatori, «cose piacevoli<br />

e necessarie, sommamente utili» 18 . Era dunque fatale<br />

che non fosse Bacone a fornire la c<strong>it</strong>azione d’avvio.<br />

Storicizzare l’evoluzione <strong>della</strong> cultura prospettica da<br />

Brunelleschi alla fine del Cinquecento non serve soltanto<br />

a motivare il «r<strong>it</strong>rarsi» <strong>della</strong> tarsia. È un’esigenza resa<br />

tanto piú opportuna dalla central<strong>it</strong>à del tema nell’esperienza<br />

storiografica del nostro secolo. Il celebre saggio<br />

giovanile di Erwin Panofsky, che dette coagulo ad una<br />

comprensione <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong> come convenzione culturale<br />

e che fissò una frattura radicale e, a suo modo, simbolica,<br />

con i presupposti dell’antiscientismo ottocentesco<br />

(da Selvatico a Ruskin), non è certo valso a sgombrare il<br />

campo da astratte ipotesi culturalistiche 19 . Specie da noi,<br />

dove la fortunata traduzione feltrinelliana ha fatto del<br />

vecchio saggio del 1927 una presenza non trascurabile,<br />

ma un po’ inavvert<strong>it</strong>amente attualizzata, nel campo <strong>della</strong><br />

cultura media e non specialistica, cosí come nell’armamentario<br />

teorico di cr<strong>it</strong>ici ed operatori visivi 20 . Nonostante<br />

l’attenzione all’effettiva pratica delle botteghe<br />

fatta già vent’anni fa da Klein, e nonostante i richiami<br />

ai concreti tram<strong>it</strong>i d’esperienza culturale che caratterizza<br />

i piú recenti interventi di Baxandall, per certi versi di<br />

Edgerton, di Veltman, Kemp ed altri, ancora oggi chi<br />

considera la stagione eroica <strong>della</strong> visualizzazione prospettica<br />

corre facilmente il rischio d’intellettualizzare<br />

Storia dell’arte Einaudi 9


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

eccessivamente gli specifici termini figurativi <strong>della</strong> questione,<br />

rovesciando idealisticamente in avanti un quadro<br />

culturale che si andrà definendo, invece, piú tardi, fra<br />

Cinque e Seicento 21 .<br />

Quegli arnesi che implicavano aggiustamenti ed interventi<br />

da parte di chi se ne servisse, quali erano le perdute<br />

tavolette prospettiche del Brunelleschi, richiamano<br />

sub<strong>it</strong>o un’esperienza concettuale fortemente embricata<br />

all’operativ<strong>it</strong>à meccanica, alla dimensione fabbrile<br />

del conoscere. Volendo dunque sottolineare che non è<br />

questo l’angolo dietro cui è già pronto a sbucare Vignola,<br />

potrà servire un parallelo riferimento a quello che fu,<br />

nella riflessione arch<strong>it</strong>ettonica, la mutata considerazione<br />

del modello fra i tempi di Alberti e quelli di Vasari.<br />

Alberti indica come disegno la partizione primaria e il<br />

proporzionamento dell’edificio, ma riconosce nel modello<br />

in assicelle o di altri materiali quanto di fatto corrisponde<br />

alla determinazione progettuale; mentre Vasari<br />

vi individua la semplice prosecuzione materiale di quanto<br />

è già composto «se non di linee» 22 .<br />

Tale richiamo si salda bene con lo schema evolutivo<br />

fissato da Vasari per i legnaioli arch<strong>it</strong>etti. Non c’è dubbio<br />

che di progressione tecnologica, e in ciò sociale,<br />

effettivamente si trattasse; ed è vero che il distacco<br />

vasariano da quella generazione passata individua bene<br />

una profonda trasformazione di propos<strong>it</strong>i costruttivi;<br />

ma sta di fatto che una professional<strong>it</strong>à dell’arch<strong>it</strong>etto<br />

autonoma nel suo cost<strong>it</strong>uirsi, per tutta l’età che corrisponde<br />

allo svolgimento <strong>della</strong> tarsia prospettica, non<br />

esiste. L’arch<strong>it</strong>etto esce dalle fila professionali degli<br />

orafi, degli scultori, dei legnaioli, dei p<strong>it</strong>tori 23 . Non si sta<br />

ora ad accennare come al prevalere di uno di questi<br />

canali di affluenza possa poi corrispondere un preciso<br />

andamento nella cultura arch<strong>it</strong>ettonica. Per comprendere<br />

la posizione di Vasari, basta solo ricordare che la<br />

figura del legnaiolo-arch<strong>it</strong>etto è ricorrente specie a<br />

Storia dell’arte Einaudi 10


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Firenze e nell’ultimo terzo del Quattrocento. Ma anche<br />

altrove è normale che i lavori d’intaglio e tarsia si alternino<br />

a macchine, ingegni, perizie e varie responsabil<strong>it</strong>à<br />

costruttive: si pensi al senese Barili, a Luchino Bianchino<br />

a Parma, a Giovanni da Verona, e a tanti altri.<br />

Siamo ancora troppo ab<strong>it</strong>uati, forse, a scomporre il complesso<br />

<strong>della</strong> produzione materiale per serie formali, figurative,<br />

tipologiche, ecc., trascurando la continu<strong>it</strong>à operativa,<br />

la compattezza biografica, e dunque la coerenza<br />

culturale di fatti che perfino nelle bibliografie riemergono<br />

sgranati. Le tarsie prospettiche sono anche (o solo)<br />

il segmento di una catena che si s<strong>it</strong>ua spesso ai piú alti<br />

livelli tecnologici del tempo. I legnaioli, gli intarsiatori<br />

vanno dunque riconosciuti fra gli «artigiani superiori»<br />

di cui parlò Zilsel.<br />

Dedicando a Guidobaldo duca di Urbino la Summa<br />

de Ar<strong>it</strong>hmetica («probabilmente il primo libro di un autore<br />

erud<strong>it</strong>o che nella prefazione insista sull’util<strong>it</strong>à pratica»,<br />

nota Zilsel), Luca Pacioli coglie il diretto rapporto<br />

fra la moderna arte <strong>della</strong> tarsia e quella regola armonica<br />

che è la <strong>prospettiva</strong> 24 . E ancora Vasari, da una visuale<br />

ormai diversa, farà immediatamente derivare la nuova<br />

pratica lignaria dalle sperimentazioni di Brunelleschi.<br />

[Brunelleschi stesso] né restò ancora di mostrare a quelli<br />

che lavorano le tarsie, che è un’arte di commettere legni<br />

di colori; e tanto li stimolò, che fu cagione di buono uso e<br />

molte cose utili che si fece di quel magisterio, ed allora e<br />

poi di molte cose eccellenti che hanno recato e fama e utile<br />

a Fiorenza per molti anni 25 .<br />

La virtuale ident<strong>it</strong>à dei due procedimenti è stata ricap<strong>it</strong>olata<br />

con efficacia:<br />

La semplice armatura delle ortogonali e delle linee di<br />

fuga convergenti, col gioco delle «intersezioni», determi-<br />

Storia dell’arte Einaudi 11


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

nava un reticolo geometrico; questo reticolo si risolveva in<br />

un gioco di figure elementari facilmente r<strong>it</strong>agliabili [...] ciò<br />

che si raccoglieva al termine <strong>della</strong> scomposizione dello spazio<br />

si costruiva sul quadro come un «puzzle», vale a dire<br />

come una tarsia 26 .<br />

È immediata l’associazione con quei potenziali «cartoni»<br />

per intarsiatori che sono i disegni prospettici di<br />

Paolo Uccello: un nome che richiama sub<strong>it</strong>o un altro<br />

passo vasariano dove il nesso <strong>prospettiva</strong>-tarsia è colto<br />

con piú accentuata subordinazione 27 .<br />

La <strong>prospettiva</strong> quattrocentesca si coniuga pertanto<br />

con lo sviluppo <strong>della</strong> tarsia lungo la linea idealmente brunelleschiana<br />

<strong>della</strong> sperimentazione e <strong>della</strong> concretazione<br />

meccanica. E la tarsia si muove spesso fra quelle<br />

occasioni e necess<strong>it</strong>à di specifica costruzione figurativa<br />

che nei fatti contraddicono l’immagine eterea di un’astratta<br />

<strong>prospettiva</strong> quattrocentesca. Ma, una volta riaffermato<br />

tale carattere fabbrile, il rapporto <strong>prospettiva</strong>-tarsia<br />

va considerato sotto un secondo aspetto, legato<br />

all’effettivo r<strong>it</strong>ardo temporale <strong>della</strong> nuova tecnica<br />

lignaria. È cosa recentissima, come poi vedremo, la contrazione<br />

di tale iato, ma rimane il fatto che di nessuna<br />

tarsia lignea e prospettica abbiamo notizia in tempi precedenti<br />

il De Pictura albertiano (1436, redazione volgare).<br />

Proprio avendo di vista il problema <strong>della</strong> tarsia, è<br />

stato molto ben caratterizzato questo momento-cardine:<br />

Fu l’Alberti, verso il 1435, a liberare la <strong>prospettiva</strong> dal<br />

suo legame con il difficile rilievo arch<strong>it</strong>ettonico e a radicarla<br />

stabilmente tra i p<strong>it</strong>tori. Il suo procedimento e gli<br />

strumenti grafici da lui sugger<strong>it</strong>i erano proposti in un linguaggio<br />

pienamente accessibile e l’autore non mancava<br />

mai di ricordare, a ogni piè sospinto, che «chi mira una pictura<br />

vede certa intersegazione d’una piramide» e che questa<br />

«intersegazione» è una superficie piana; era il metodo<br />

Storia dell’arte Einaudi 12


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

adatto a far cadere anche le ultime riserve di chi ricordava<br />

con disapprovazione il Battistero perforato da parte a<br />

parte, la veduta a bordi frastagliati di Brunelleschi [le due<br />

tavolette], i risucchi nelle pareti <strong>della</strong> Salomè di Donatello,<br />

la voragine arch<strong>it</strong>ettata dietro il Crocefisso di Masaccio<br />

(ancora al Vasari quel muro pareva bucato). Alberti predicava<br />

una soluzione semplificata, senza cabale ottiche, e<br />

insegnava non già a constatare e rilevare quello che esiste,<br />

bensí a creare uno spazio vuoto, popolabile a piacere, in<br />

piena libertà (o quasi) 28 .<br />

Certo, la diffusione fra gli artisti del testo albertiano<br />

non va estremizzata. Il rilievo prospettico continuò per<br />

molti di loro a corrispondere innanz<strong>it</strong>utto alla costruzione<br />

di singoli elementi volumetrici. Mentre la codificazione<br />

albertiana, nella coincidenza fra <strong>prospettiva</strong> e<br />

p<strong>it</strong>tura di storia, agí piuttosto attraverso il tram<strong>it</strong>e<br />

«moderato» del Ghiberti. Ma il defin<strong>it</strong>ivo ancoraggio<br />

del rilievo geometrico ad un campo di figurazione piana<br />

rimane la condizione necessaria per lo sviluppo <strong>della</strong><br />

tarsia. In un certo senso, con l’individuazione <strong>della</strong><br />

prima fase dei lavori nella sacrestia di Santa Maria del<br />

Fiore (dal 1436), si annullerebbe lo iato che nel 1953<br />

colpiva Chastel.<br />

Ma questo grande momento d’avvio <strong>della</strong> tarsia prospettica<br />

rimane isolato. Tanto piú occorre allora traguardare<br />

il trattatello albertiano anche da una visuale<br />

diversa da quella delle botteghe. Nella sua doppia redazione,<br />

ossia nel suo bilinguismo, esso cost<strong>it</strong>uisce una tipica<br />

proposta umanistica, quasi una guida alla lettura degli<br />

ideali testi figurativi, alle ragioni <strong>della</strong> loro geometrica<br />

armonia. Questo richiamo alla realtà del destinatario,<br />

alla recezione umanistica, p<strong>it</strong>agorica e neoplatonica,<br />

delle icone geometriche, suggerisce dunque la ragione<br />

per cui le tarsie prospettiche si addensano nella seconda<br />

metà del secolo, nell’ultimo trentennio, anzi. Questo<br />

Storia dell’arte Einaudi 13


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

dato quant<strong>it</strong>ativo, che a suo modo riesce indirettamente<br />

documentario, corrisponde ormai ad una norma prospettica<br />

grav<strong>it</strong>ata su di un’ab<strong>it</strong>udine contemplativa,<br />

raziocinante, autoriflessiva, appoggiata ad una casistica<br />

iconografica tanto intensamente efficace quanto prevedibile,<br />

alla figurazione di una misura spaziale che si fa<br />

veicolo intelligibile di se stessa, che punta a cost<strong>it</strong>uirsi<br />

come puro oggetto visivo.<br />

L’opinione confidata dal Brunelleschi all’ingegnere<br />

senese Taccola, cosí pessimisticamente ragionata e<br />

moderna, ma tuttavia connessa alla tradizione «gotica»<br />

del segreto professionale («non comunicare a molti<br />

le tue invenzioni ma solo ai pochi che intendono e<br />

apprezzano la scienza, perché mettere troppo in mostra<br />

le proprie invenzioni ed azioni significa soltanto sprecare<br />

il proprio ingegno» 29 ), non lascia ancora immaginare,<br />

per quelle prime sperimentazioni prospettiche, un vasto<br />

spazio di diffusione e di codificazione iconografica. Tale<br />

spazio coincide invece con la cultura umanistica matura,<br />

con l’ideale di v<strong>it</strong>a cortigiana: quando «far parere per<br />

arte di <strong>prospettiva</strong> quello che non è» 30 e compiacimento<br />

contemplativo s’identificano in un’altissima convenzione<br />

intellettuale. Ad essa è ancora nostalgicamente<br />

legato, a metà Cinquecento, Sabba Castiglione. Quando<br />

sottolinea il carattere el<strong>it</strong>ario delle<br />

opere di Pietro del Borgo o di Melozzo da Forlí, le quali<br />

forse per le lor prospettive e secreti dell’arte sono a gli<br />

intendenti piú grate che vaghe a gli occhi di coloro che<br />

meno intendono 31<br />

non si riferisce pertanto a quanti sono effettivamente<br />

partecipi di un’intelligenza operativa e progettuale,<br />

come in Brunelleschi, ma ad un’att<strong>it</strong>udine tutta «liberale»<br />

e socialmente coltivata. Quell’atteggiamento comprensivo<br />

verso la p<strong>it</strong>tura del secolo passato fa dunque<br />

Storia dell’arte Einaudi 14


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

corpo con le correlate, ed ormai trascorse, condizioni di<br />

apprezzamento. «Chi piú attende alla <strong>prospettiva</strong>» per<br />

Vasari «ne cava», invece, «la maniera secca e piena di<br />

profili» 32 .<br />

Un concreto indizio <strong>della</strong> fortuna toccata in amb<strong>it</strong>o<br />

umanistico e cortigiano alla tarsia prospettica sono,<br />

fra Quattro e Cinquecento, tutti quei tentativi per<br />

dare una veste lessicale classica, una moderna dign<strong>it</strong>à<br />

umanistica ad un termine accentuatamente medievale<br />

come «<strong>prospettiva</strong>», inteso però come tarsia: si adattano<br />

le forme di «emblema» 33 , «lepturgia» 34 , «xilostrata»<br />

35 ; se ne indica l’autore come «faber operis segmentatis<br />

clarus» 36 ; mentre si esalta negli stessi cori gli<br />

«aeserotica sedilia ipsi Zenodoro invidiosa», i «sedilia<br />

haec dedalea» 37 .<br />

2. Legno, tecnica, figurazione.<br />

Un remoto atteggiamento mentale ha spinto spesso a<br />

considerare nelle tarsie il rapporto fra impianto figurativo<br />

e realizzazione lignaria come un semplice procedimento<br />

di traduzione. Anche quando l’immagine di una<br />

subalternanza operativa non si presentasse come immediato<br />

riflesso di uno schema discriminatorio, ha resist<strong>it</strong>o<br />

a lungo un’ab<strong>it</strong>udine cr<strong>it</strong>ica spontaneamente portata<br />

ad ignorare l’autonomia formale <strong>della</strong> tarsia; vedendovi<br />

piuttosto qualcosa di simile all’ard<strong>it</strong>a ed ammirevolissima<br />

metafora materico-manuale di un’opera già virtualmente<br />

compiuta in fase di progettazione grafica. L’ansia<br />

attributiva dello storico dell’arte nel riconoscere la<br />

mano del p<strong>it</strong>tore che forní il cartone è forse il modo piú<br />

tipicamente moderno per negare all’intarsiatore tale<br />

autonomia espressiva. Liberandosi da certe cogenti<br />

affermazioni del maestro Longhi («i <strong>maestri</strong> lignarii, a<br />

parte la loro eccellenza come intagliatori, non furono,<br />

Storia dell’arte Einaudi 15


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

per quanto è <strong>della</strong> tarsia propriamente p<strong>it</strong>torica, che<br />

utilissimi esecutori d’invenzioni dovute ai p<strong>it</strong>tori veri e<br />

proprî» 38 ), l’esordiente Francesco Arcangeli fece in propos<strong>it</strong>o<br />

considerazioni ancora insost<strong>it</strong>uibili:<br />

Ammettiamo di buon grado che quasi tutte le grandi<br />

tarsie <strong>it</strong>aliane sono versioni in legno condotte su modelli<br />

perduti, probabilmente, per sempre. E con questo? Dovremo<br />

perciò, occupandoci di esse, consumare il tempo a rimpiangere<br />

gli archetipi irrest<strong>it</strong>uibili? Eppure il risultato che<br />

ci sta, leggibilmente, sotto gli occhi, è uno [...] stiamo<br />

dunque contenti al «quia», rendendo meno angosciosa la<br />

carenza dei modelli introvabili, col pensiero che essi furono<br />

opere autonome soltanto per un certo rispetto, in quanto<br />

nacquero proprio in vista di quella traduzione che ancora<br />

possediamo 39 .<br />

Ma quanto <strong>della</strong> forma lignaria è già inglobato nel<br />

cartone? Fino a che punto l’intarsiatore dipende dal<br />

p<strong>it</strong>tore, lo asseconda o lo elude? È un rapporto in continua<br />

oscillazione, da definire caso per caso, come per<br />

le vetrate. In entrambe le circostanze il progetto preliminare<br />

è prevalentemente lim<strong>it</strong>ato alla configurazione<br />

grafica e alle parti di figura. E tale rapporto non fissa,<br />

in forma un<strong>it</strong>aria e costante, uno schema di equilibri e<br />

reciproc<strong>it</strong>à. L’intersecazione delle tecniche, delle esperienze<br />

figurative, dei mer<strong>it</strong>i qual<strong>it</strong>ativi, e d’infin<strong>it</strong>e altre<br />

ragioni, propone un quadro di relativ<strong>it</strong>à che, almeno per<br />

le tarsie, tende a chiarirsi sulle coordinate geografiche e<br />

temporali 40 . Ma l’accostamento alle vetrate è solo provvisorio:<br />

esse si risolvono nel piú tipico manufatto cromatico,<br />

in trasparenze accese e distanti, in campi di<br />

colore necessariamente scand<strong>it</strong>i.<br />

La tarsia è invece destinata ad una percezione ravvicinata,<br />

anal<strong>it</strong>ica, spazialmente mutevole e, in ciò, ad<br />

effetti di cangianza luminosa. La sua qual<strong>it</strong>à cromatica,<br />

Storia dell’arte Einaudi 16


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

pur sempre contenuta nella gamma delle essenze lignee<br />

(e, in progresso di tempo, di pochi trattamenti artificiali)<br />

si rafforza piuttosto attraverso controllate relazioni<br />

tonali ed efficaci suggerimenti mimetici. Quella specifica<br />

trama formale, sintetica o piú frantumata, che deriva<br />

dai modi lineari di r<strong>it</strong>aglio e montaggio dei legni, è<br />

però una realtà figurativa incontrollabile per chi ha forn<strong>it</strong>o<br />

il cartone. L’autore di esso potrà anche vantare un<br />

reale privilegio figurativo ed essere segu<strong>it</strong>o dall’intarsiatore<br />

in maniera sostanzialmente aderente (e in questi<br />

casi, come per Lotto a Bergamo, funziona assai bene il<br />

termine traduzione), ma non influirà ovviamente su questa<br />

specifica determinazione strutturale. Una tavoletta<br />

di legno è anche, per sé, un fatto grafico, contiene una<br />

struttura lineare, una texture suscettibile di combinazioni<br />

diversissime col compos<strong>it</strong>o insieme vegetale. Non<br />

si tratta solo <strong>della</strong> diversa qual<strong>it</strong>à delle essenze, ma<br />

anche degli andamenti del taglio (parallelo, normale,<br />

trasversale rispetto alla sezione del tronco); <strong>della</strong> tramatura<br />

variatamente inf<strong>it</strong>t<strong>it</strong>a e configurata degli anelli<br />

annuali; delle individuali vicende organiche <strong>della</strong> pianta;<br />

del grado diversificato del trattamento artificiale<br />

(come già nel piú corrente caso del rovere «affogato»,<br />

ossia immerso in acqua per tempi sufficientemente lunghi<br />

ad ottenere una qual<strong>it</strong>à cromatica anner<strong>it</strong>a, adatta<br />

alle camp<strong>it</strong>ure dei fondi) 41 . E, come svela la caduta del<br />

commesso negli stalli del Duomo di Ferrara, l’intarsiatore<br />

è cosí consapevole di tali valori che, talvolta, si<br />

trova costretto a scavare nella tavola di supporto un<br />

incasso piú profondo per quelle tavolette la cui struttura<br />

lineare verrebbe ad essere modificata dall’altrimenti<br />

necessaria opera di rasiera. Questo tipo d’intervento,<br />

ossia di riduzione fisica e figurativa, talvolta ancora in<br />

tempi recenti si è identificato con la forma di restauro<br />

piú adatta ad un mobile, sia pure intarsiato. Ciò corrisponde,<br />

per un dipinto, alla programmatica eliminazio-<br />

Storia dell’arte Einaudi 17


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

ne delle velature. Sarebbe facile, del resto, verificare<br />

mentalmente tutto questo davanti ad una tarsia di Cristoforo<br />

da Lendinara, immaginando locali sost<strong>it</strong>uzioni di<br />

essenze, orientando in maniera sistematicamente mutata<br />

la successione degli anelli stagionali, facendo ruotare<br />

di novanta gradi i fondali di rovere, e cosí via: piú che<br />

«disturbato», il campo di figurazione riuscirebbe contraddetto.<br />

Non è però facile discostare le valenze d’immaginario<br />

allora ricavate dal legno («l’essenza legnosa,<br />

ad opera <strong>della</strong> tarsia, rappresenta un nuovo acquisto del<br />

colore nel Rinascimento», ha ben detto Puerari 42 ) da<br />

quell’intelligenza costruttiva che spesso caratterizza un<br />

altro aspetto del medesimo mestiere. La capac<strong>it</strong>à di figurazione<br />

fa corpo cosí con un’intelligenza operativa cresciuta<br />

alla cognizione organica di un materiale, il legno,<br />

che è quello stesso delle piú avanzate realizzazioni meccaniche.<br />

Non è per noi immediato ripensare a queste<br />

condizioni d’esperienza; ma ripassano alla memoria le<br />

parole di Leroi-Gourhan:<br />

Il fatto che si possa introdurre un pezzo di legno in una<br />

macchina senza preoccuparsi delle venature e dei nodi, e<br />

che ne esca un listello di pavimento standard impacchettato<br />

automaticamente, cost<strong>it</strong>uisce certo un vantaggio sociale<br />

molto importante, ma questo non lascia all’uomo altra<br />

scelta che rinunciare a rimanere sapiens per diventare forse<br />

qualcosa di meglio, ma comunque qualcosa di diverso 43 .<br />

La fase <strong>della</strong> selezione, taglio e messa in opera del<br />

materiale cost<strong>it</strong>uisce dunque, a tutti gli effetti, un processo<br />

di figurazione. Ma una volta superato il pregiudizio<br />

<strong>della</strong> prior<strong>it</strong>à formale del cartone, riconoscendo la<br />

compless<strong>it</strong>à e variabil<strong>it</strong>à formativa <strong>della</strong> tarsia p<strong>it</strong>torica,<br />

si può tranquillamente rivendicare l’opportun<strong>it</strong>à di un<br />

controllo filologico di quel rapporto mutevole, fino al<br />

tentativo attribuzionistico di riconoscere i modelli p<strong>it</strong>-<br />

Storia dell’arte Einaudi 18


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

torici: se consapevole delle sue incerte, specifiche e parziali<br />

condizioni. Il mutare di tali condizioni conosc<strong>it</strong>ive<br />

corrisponde agli svolgimenti concretamente storico-ambientali<br />

<strong>della</strong> tarsia quattro-cinquecentesca; la<br />

fenomenologia di rapporti con il modello p<strong>it</strong>torico è un<br />

aspetto ulteriore <strong>della</strong> sua autonomia espressiva, o <strong>della</strong><br />

sua crisi. Se in qualche occasione è del tutto agevole<br />

riconoscere il modello p<strong>it</strong>torico per via attributiva (è il<br />

caso del vescovo del «P<strong>it</strong>tore di Paolo Buonvisi» o dei<br />

due evangelisti di Zacchia il Vecchio nei diversi pannelli<br />

conflu<strong>it</strong>i al Museo di Villa Guinigi a Lucca) 44 ; in altre,<br />

solo un documento può accertare l’ident<strong>it</strong>à di chi forní<br />

il cartone (è il caso di Bartolomeo Ramenghi il Vecchio,<br />

i cui impasti sfaldati, ancora prossimi all’Aspertini, male<br />

si adattano alla cultura lignaria di fra Raffaele da Brescia<br />

45 ). All’opera di un medesimo p<strong>it</strong>tore possono corrispondere,<br />

in tarsia, es<strong>it</strong>i diversissimi: è il caso, per quanto<br />

non documentato e sfasato di cronologia, dei cartoni<br />

dello Zenale per le tarsie famose <strong>della</strong> Certosa di Pavia<br />

e per il coro giovanile di fra Damiano in San Bartolomeo<br />

di Bergamo 46 . Contro lo scrupolo precocemente<br />

ossequioso, anche se smorzato e banalizzante, che Agostino<br />

de’ Marchi dimostra verso i due cartoni forn<strong>it</strong>igli<br />

da Francesco del Cossa (Bologna, coro di San Petronio);<br />

ci sono s<strong>it</strong>uazioni come quella, eccezionale, delle tarsie<br />

di Antonio Barili a San Quirico d’Orcia: dove solo le<br />

molte coincidenze tipologiche e compos<strong>it</strong>ive, isolabili<br />

attraverso particolari fotografici, hanno potuto consentire<br />

l’indicazione di Luca Signorelli quale autore dei<br />

cartoni, presenza comunque «cancellata» nel mobilissimo<br />

p<strong>it</strong>toricismo e nella lustra dens<strong>it</strong>à di corpi fissata dall’intarsiatore<br />

47 .<br />

Il fatto che non ci siano pervenuti cartoni per tarsie<br />

è un’indicazione essenziale 48 . I frammenti superst<strong>it</strong>i dei<br />

modelli lotteschi per il coro bergamasco corrispondono<br />

infatti ad una s<strong>it</strong>uazione ormai del tutto evoluta. L’in-<br />

Storia dell’arte Einaudi 19


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

tarsiatore usava il cartone vero e proprio per scompartire<br />

le sagome, per verificarne il montaggio, per controllarne<br />

la giustezza. Il rispetto fisico verso il cartone<br />

tenderà, magari, a crescere in proporzione all’obbligo di<br />

subalternanza (verso il traguardo registrato poi da Vasari),<br />

ma rimane il fatto che esso fu inteso come necess<strong>it</strong>à<br />

strumentale. Quando non venne letteralmente consumato,<br />

fu lucidato, tenuto in serbo come ulteriore<br />

modello, predisposto al riutilizzo. L’insistenza di<br />

Lorenzo Lotto nel riottenere intatti i propri modelli s’identifica,<br />

di nuovo, col piú felice momento <strong>della</strong> crisi<br />

p<strong>it</strong>toricistica e <strong>della</strong> perd<strong>it</strong>a di autonomia espressiva<br />

<strong>della</strong> tecnica. E tuttavia anche questo caso estremo<br />

serve a smentire un nostro eventuale pregiudizio circa<br />

la coscienza che sull’autografia di questi manufatti poteva<br />

correre: a «firmare» non fu il Lotto, ma il Capoferri,<br />

com’era normale 49 .<br />

Non sarebbe stato normale, nella fase piú tipica <strong>della</strong><br />

tarsia prospettica, che a procurare i cartoni fossero,<br />

come poi a Bergamo, gli stessi comm<strong>it</strong>tenti. In quanto<br />

responsabile giuridico <strong>della</strong> commissione, sarebbe stato<br />

lo stesso maestro di tarsia a rivolgersi, eventualmente,<br />

al p<strong>it</strong>tore. Entro questa realtà di rapporti produttivi,<br />

vanno dunque riconosciuti i modi <strong>della</strong> loro collaborazione,<br />

come i lim<strong>it</strong>i e le regole dell’accertamento filologico.<br />

Soprattutto andrà sment<strong>it</strong>o un secondo inconveniente<br />

legato ad un piú moderno e totalizzante concetto<br />

di autografia: quello che spinge ad identificare l’intervento<br />

del p<strong>it</strong>tore con l’intero campo <strong>della</strong> figurazione<br />

intarsiata. Di entrambi gli aspetti può dar conto<br />

un’attenzione piú ravvicinata all’intervento di Giuliano<br />

da Maiano nella sacrestia di Santa Maria del Fiore. Da<br />

quelle scarne annotazioni di bottega che sono i Ricordi<br />

del p<strong>it</strong>tore Alesso Baldovinetti risulta in maniera inequivocabile:<br />

Storia dell’arte Einaudi 20


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

1) che è l’intarsiatore («conducente in suo nome proprio<br />

a fare la terza faccia dj sagrestia») 50 il comm<strong>it</strong>tente del<br />

p<strong>it</strong>tore, che dunque da lui solo attende i pagamenti;<br />

2) che mentre il cartone per una scena narrativa, priva<br />

di caratterizzazione arch<strong>it</strong>ettonica («una storia gli disengniai<br />

d’una Nativ<strong>it</strong>à») è interamente affidato al p<strong>it</strong>tore 51 ;<br />

3) nel caso di una composizione accentuatamente prospettica,<br />

il suo contributo è lim<strong>it</strong>ato alle sole figure, come<br />

indica la diversa forma descr<strong>it</strong>tiva («cinque teste» fra cui<br />

«una nostra Donna, uno angniolo», non un’Annunciazione)<br />

e il piú basso importo 52 ;<br />

4) che tali parti di figura possono corrispondere a due<br />

diversi livelli di progettazione: uno puramente grafico<br />

(«cinque figure di mano di Tommaso Finighuerri»), l’altro<br />

di parziale completamento p<strong>it</strong>torico, soltanto tonale con<br />

tutta probabil<strong>it</strong>à («cinque teste gli cholorii a cinque fighure»),<br />

riservata alle parti di maggiore compless<strong>it</strong>à luminosa,<br />

anal<strong>it</strong>ica e figurale, dunque di piú f<strong>it</strong>ta e complicata<br />

connessione lignaria.<br />

È, allora chiaro che sarebbe ridicolo riferire al Baldovinetti<br />

quella figurazione di spazi arch<strong>it</strong>ettonici, spiegata<br />

e prospetticamente un<strong>it</strong>aria, che è la parete aggiunta<br />

da Giuliano da Maiano nella sacrestia di Santa Maria<br />

del Fiore. Responsabile è solo il prospettico, ovvero<br />

l’intarsiatore.<br />

Non è detto che il caso considerato fissi una regola<br />

stabile. Ma non è detto neppure che il ruolo del p<strong>it</strong>tore-cartonista<br />

dovesse emergere meglio proprio in circostanze<br />

diverse da quelle <strong>della</strong> tarsia fiorentina, che anzi<br />

è la maggiormente segnata da preoccupazioni illusionistiche<br />

e di sottile analisi lignaria. Sicché, anche considerando<br />

la compless<strong>it</strong>à operativa di tali rapporti, si svela<br />

(per una volta) viziata di esteriore idealismo la supposizione<br />

di Roberto Longhi per cui a Lorenzo da Lendinara<br />

(e da lui a Cristoforo, che se ne sarebbe serv<strong>it</strong>o per<br />

Storia dell’arte Einaudi 21


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

gli Evangelisti modenesi) Piero <strong>della</strong> Francesca avrebbe<br />

«forn<strong>it</strong>o una serie-base di cartoni, abbandonandoglieli<br />

con dir<strong>it</strong>to di riproduzione illim<strong>it</strong>ata» 53 .<br />

Anche certi casi di «sl<strong>it</strong>tamento» fra figura ed alloggio<br />

prospettico fanno pensare che il maestro di tarsia,<br />

perlopiú, ricorresse al p<strong>it</strong>tore solo per ottenere figure di<br />

miglior disegno, ma scontornate e prive di quel riferimento<br />

spaziale che rimaneva di sua competenza. È il<br />

caso <strong>della</strong> porta intagliata dal Francione e da Giuliano<br />

da Maiano in Palazzo Vecchio. Le figure di Dante e<br />

Petrarca risalgono ad un p<strong>it</strong>tore d’eccezione (Botticelli,<br />

per Longhi ed Arcangeli); e anche in questo caso dovette<br />

trattarsi di cartoni dipinti, ricchi di sottili indicazioni<br />

luminose per tutta la loro estensione. Ma l’incertezza<br />

fisica con cui trovano pos<strong>it</strong>ura i piedi di Dante si spiega<br />

solo con una mal risolta operazione di montaggio fra<br />

figura e contesto spaziale. Non è infatti casuale che tale<br />

contesto sia il medesimo, in senso speculare, in cui si<br />

trova inser<strong>it</strong>o l’altro poeta.<br />

Finché la responsabil<strong>it</strong>à imprend<strong>it</strong>oriale grav<strong>it</strong>a sul<br />

maestro di <strong>prospettiva</strong> e non si considera la tarsia come<br />

una trasposizione <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura propriamente detta, è<br />

frequente che nelle opere usc<strong>it</strong>e da una stessa bottega,<br />

o dalle sue ramificazioni, siano riutilizzati gli stessi<br />

modelli: attraverso replica, ribaltamento, uso parziale,<br />

ampliato, modificato 54 . Forse proprio perché colp<strong>it</strong>o da<br />

questo carattere d’<strong>it</strong>erazione tematica o di replica non<br />

classicisticamente ossequiente, Burckhardt vide nella<br />

tarsia il «potere artistico che in tempi sani è diffuso in<br />

tutto il popolo» 55 . La replicata messa in opera dei<br />

medesimi modelli, che è cosa spontaneamente connessa<br />

alla stabil<strong>it</strong>à iconografica di cori, cassoni e spalliere,<br />

caratterizza specialmente la tarsia padana. Già nel<br />

1462, nel contratto per il perduto coro del Santo, i fratelli<br />

Canozzi<br />

Storia dell’arte Einaudi 22


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

... promiserunt variare dictas tarsias semper meliorando,<br />

non deteriorando, et diversificando ipsas tarsias et quod sint<br />

diversae et non similes et omnes habeant prospectivam 56 .<br />

Si è già detto che tale att<strong>it</strong>udine a replicare, variare,<br />

adattare, non deriva immediatamente dalla conservazione<br />

dei cartoni operativi; né la si può sempre spiegare<br />

con le ragioni di bottega di chi fu, vasarianamente,<br />

privo di disegno. Se i <strong>maestri</strong> di tarsia furono cosí propensi<br />

a riutilizzare e combinare modelli verosimilmente<br />

trasmessi attraverso «carte lucide» (come già insegnava<br />

Cennini), c’è una ragione piú sostanziale. E specialmente<br />

per la linea di tradizione lendinaresca, nell’area<br />

padana, dove ancora in pieno Cinquecento un p<strong>it</strong>tore<br />

come il Moroni rimane fedele alla pratica <strong>della</strong> conflation<br />

57 . Misura prospettica e cr<strong>it</strong>erio proporzionale, già<br />

nell’insegnamento di Piero <strong>della</strong> Francesca ma specificatamente<br />

nella fattual<strong>it</strong>à meccanica dell’intarsio, corrispondono<br />

ad una nuova capac<strong>it</strong>à di concatenare e seriare<br />

le forme, dove interi blocchi strutturali possono ricost<strong>it</strong>uirsi<br />

in una diversa relazione costruttiva, a conferma<br />

<strong>della</strong> regola che coordina e unifica lo spazio figurativo.<br />

Se ancora una volta servisse misurare il distacco del<br />

Vasari dalle condizioni di cultura che fondamentarono<br />

lo sviluppo <strong>della</strong> tarsia prospettica, basterebbe solo ricordare<br />

lo scrupolo con cui ci fa sapere di aver diversificato<br />

«i casamenti» nelle scene da lui affrescate in San<br />

Michele in Bosco 58 .<br />

Per quanto in tempi ormai inoltrati, la ripetuta edizione<br />

di cartoni da parte del converso domenicano fra<br />

Damiano da Bergamo e del suo segu<strong>it</strong>o cost<strong>it</strong>uisce un<br />

documento efficacissimo di una pratica sempre diffusa<br />

nelle botteghe di tarsia. Ma, nello stesso tempo, tale<br />

comportamento si specifica in quella risolutiva congiuntura.<br />

Nella Bologna del Parmigianino vengono<br />

riproposti i cartoni bramantineschi o parabramantine-<br />

Storia dell’arte Einaudi 23


schi già scarnamente usati per le tarsie bergamasche di<br />

Santo Stefano. Una pratica lignaria ricchissima riesce<br />

dunque a darsi una ragione di stile che, in un certo<br />

senso, sl<strong>it</strong>ta sull’attual<strong>it</strong>à e contestual<strong>it</strong>à figurativa dei<br />

modelli, delim<strong>it</strong>ando una zona di eccezione tecnica. La<br />

capac<strong>it</strong>à di complicazione figurale dei vecchi schemi va<br />

di pari passo con l’accresciuta preoccupazione virtuosistica<br />

nel taglio e combinazione <strong>della</strong> materia. Non si<br />

tratta d’intervenire all’interno delle regole proporzionali<br />

<strong>della</strong> costruzione visiva; il riuso dei cartoni è un problema<br />

di estensione del campo «p<strong>it</strong>torico». La figurazione<br />

arch<strong>it</strong>ettonica dei pannelli bergamaschi può essere<br />

prosegu<strong>it</strong>a, dilatata, complicata a piacere, lungo gli<br />

assi convergenti. Il medesimo prospetto arch<strong>it</strong>ettonico<br />

d’ascendenza bramantesca sarà letteralmente riproposto<br />

fin nel clima ormai tridentino in cui si chiude la carriera<br />

dell’intarsiatore 59 . Il cartone certamente vignolesco<br />

usato per il pannello ordinato da Francesco Guicciardini<br />

(1534) serví anche, riducendone lo sviluppo lungo gli<br />

assi prospettici, per una delle due scene maggiori <strong>della</strong><br />

porta di San Pietro, a Perugia 60 .<br />

3. Tarsia e p<strong>it</strong>tura.<br />

Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Il cardinal Salviati avendo disiderio avere un quadro di<br />

legni tinti, cioè di tarsia, di mano di Fra Damiano da Bergamo,<br />

converso di San Domenico di Bologna, gli mandò<br />

un disegno, come volea che lo facesse, di mano di Francesco<br />

[il p<strong>it</strong>tore da lui protetto, che ne trasse il nome] fatto<br />

di lapis rosso: il quale disegno, che rappresentò il re Dav<strong>it</strong><br />

unto da Samuello, fu la miglior cosa e veramente rarissima<br />

che mai disegnasse Cecchino Salviati 61 .<br />

I «legni tinti», le minute incrostazioni polimateriche,<br />

fanno <strong>della</strong> tarsia di fra Damiano quell’azzardoso tra-<br />

Storia dell’arte Einaudi 24


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

slato <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura sul quale appoggeranno le loro riserve<br />

Vasari e Galileo. Questo distacco dalla originaria<br />

semplic<strong>it</strong>à e dalla naturalezza lignaria è stato considerato<br />

dalla maggior parte degli storici del tema (a partire<br />

dallo Scherer, che parlò di «errore fondamentale», e dal<br />

Brown, che vi vide distrutto l’«aspetto di sincer<strong>it</strong>à») 62<br />

come il momento di collasso storico e culturale. Sarà evidentemente<br />

opportuno inquadrare in maniera meno<br />

deterministica uno svolgimento che presenta istanze e<br />

condizioni cosí ampie da apparire scontato nell’orizzonte,<br />

non soltanto p<strong>it</strong>torico, del Cinquecento. Nella<br />

c<strong>it</strong>azione vasariana l’interazione fra p<strong>it</strong>tura e tarsia si<br />

precisa in una gerarchia concettuale che corrisponde a<br />

determinate ab<strong>it</strong>udini e funzioni artistiche. Ora, effettivamente,<br />

è l’autore del cartone che sembra programmare<br />

l’intero campo di figurazione. Rispetto ad un progetto<br />

grafico talmente prestabil<strong>it</strong>o dal p<strong>it</strong>tore e voluto<br />

dal comm<strong>it</strong>tente, il comp<strong>it</strong>o del virtuoso di tarsia è un<br />

po’ quello di un orefice chiamato a «legare» una pietra<br />

preziosa, che già sia pregiatissimo oggetto di collezione.<br />

La tarsia non è piú l’elemento figurato, per quanto emergente,<br />

di un mobile (come al tempo dei «lettucci» e dei<br />

cassoni); per riprendere le parole di Vasari, è «un quadro»<br />

essa stessa, destinato ad una parete e prospetticamente<br />

richiuso da una cornice 63 . I modi di percezione ed<br />

apprezzamento non sono diversi da quelli coltivati sui<br />

dipinti. Prende cosí corpo il topos <strong>della</strong> tarsia scambiata<br />

per p<strong>it</strong>tura. Sul classico luogo letterario degli uccelli<br />

che vanno a beccare l’uva dipinta da Zeusi, si rimo<strong>della</strong><br />

ed adegua l’episodio di Carlo V che scalfisce con lo<br />

stocco le prime tarsie bolognesi di fra Damiano per sincerarsi<br />

<strong>della</strong> loro natura 64 .<br />

Il confronto con la p<strong>it</strong>tura era già scivolato, in forma<br />

di elogio, nelle pagine di Matteo Colacio, di Giovanni<br />

Rucellai e di Vespasiano da Bisticci 65 . E un intarsiatore<br />

attento all’effetto cromatico dei legni come il senese<br />

Storia dell’arte Einaudi 25


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Antonio Barili aveva potuto firmare, nel 1502, il coro<br />

per la Cappella di San Giovanni vantandosi di aver fatto<br />

ricorso al «coelo [per caelo, sgorbia] non penicillo» 66 . E<br />

quando a Venezia, nello stesso giro di anni, i fratelli<br />

Paolo ed Antonio Mola sono detti «magistri artis pictorie<br />

que perspective dic<strong>it</strong>ur» (altrove si parla di «pictorum<br />

perspective») 67 , sembra ancora riproporsi la privilegiata<br />

associazione albertiana fra «p<strong>it</strong>tura» ed opera<br />

di disegno, intesa come forma piana di figurazione. Ma<br />

è in ambiente olivetano, poi, che l’inganno dei sensi e<br />

il paragone con la p<strong>it</strong>tura sembrano maturare come<br />

metro di giudizio: «cardules et id genius [fra Giovanni<br />

da Verona] aviculas adfabre adeo ligno adpingebat, ut<br />

sensum plerumque fallerent, nemine non coloratas esse<br />

credentes»; mentre si scrisse sulla lapide di fra Raffaele<br />

da Brescia, morto a Roma nel 1537, che «opere vermiculato<br />

ex ligneis segmentis proxime ad nobilissimos<br />

pictores accedebat» 68 . Su questa linea retorica di valutazione<br />

Leandro Alberti apprezzerà le tarsie di fra<br />

Damiano: «paiono tutte quelle figure [...] da ottimi p<strong>it</strong>tori<br />

con il pennello dipinte»; e, ancora, «paiono p<strong>it</strong>ture<br />

fatte col pennello» 69 .<br />

Già nel coro bergamasco di Santa Maria Maggiore,<br />

si era affermata la virtuale subordinazione del maestro<br />

di legname, Giovan Francesco Capoferri, a Lorenzo<br />

Lotto. Ma non era subordinazione di mestiere e neppure,<br />

in maniera rigorosa, di modelli percettivi. Va anzi<br />

accantonata la supposizione che il p<strong>it</strong>tore potesse aver<br />

determinato in qualche modo la scelta del Capoferri, a<br />

preferenza (se poi ce ne fu la ragione) di fra Damiano<br />

Zambelli. Primo atto dell’impresa fu l’assunzione del<br />

Capoferri. Il Lotto viene chiamato piú tardi, e (sarà<br />

bene ricordarlo) solo in segu<strong>it</strong>o alla morte di un p<strong>it</strong>tore<br />

che oggi è senza opere, Nicolino Cabrini. È allora che<br />

il Lotto afferma tutta la sua autor<strong>it</strong>à figurativa, la piú<br />

diretta responsabil<strong>it</strong>à di mediazione iconografica. Le<br />

Storia dell’arte Einaudi 26


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

lettere che inviò alla confratern<strong>it</strong>a bergamasca da Venezia<br />

(dove era rientrato alla fine del ’25) ci dànno<br />

un’informazione di prima mano sull’organizzazione<br />

triangolare, per cosí dire, dei lavori 70 . È dunque la fabbriceria<br />

<strong>della</strong> Misericordia a far da raccordo tra i due<br />

artisti. Per questo tram<strong>it</strong>e Lotto suggerisce quali ulteriori<br />

aggiustamenti possano essere manovrati sull’impianto<br />

figurativo dei suoi disegni:<br />

Item – fa sapere da Venezia il 18 luglio del 1526 –<br />

potrete dir a maestro Jo. Francesco che facendo el quadro<br />

grande advertischa che el Dav<strong>it</strong> che tira del franzino e<br />

Goliath sono molto propinqui per acomodarsi al tuto, ma<br />

che lo potrà aiutar retirarlo dove sono le armature, piú<br />

indietro anche, et le armature trasportarle dove è hora el<br />

Dav<strong>it</strong> et starà bene, perché el venirà a scoprir certe teste<br />

di vaselli che haverano piú gratia et si lui non saperà far,<br />

fate che li descignano in un trato o maestro Andrea [Prev<strong>it</strong>ali]<br />

over maestro Jacomino [de’ Scipioni] o el Boselo [un<br />

altro p<strong>it</strong>tore bergamasco, Andrea Boselli] et se Francesco<br />

nostro sia de lí serà bene 71 .<br />

Le competenze rispettive non potrebbero essere scand<strong>it</strong>e<br />

in forma piú esplic<strong>it</strong>a. Ed è il p<strong>it</strong>tore che, fino<br />

all’ultimo, predispone e sposta i pezzi di figura sulla<br />

tavola che l’«intaiator» sta per lavorare:<br />

Maestro Joan Francesco carissimo: – scrive in una<br />

postilla direttamente rivolta all’esecutore lignario – troverete<br />

in un disegno de questi dove che Absalon castiga et<br />

offende el padre Dav<strong>it</strong> el fulgore che li è sopra el capo el<br />

qual va mutato; pertanto voi mettereti in opere l’altro fulgore<br />

che è disegnato in margine Item un altro disegno di<br />

Jona: el suo brieve che è dopo le spale lo sgrandereti secondo<br />

che è disegnato a ciò che le lettere stagi tutte 72 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 27


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

La preoccupazione del Lotto nel riavere indietro, ed<br />

intatti, i propri modelli percorre tutto l’epistolario. L’intarsiatore<br />

dovette quindi ricorrere a fasi grafiche strumentalmente<br />

intermedie, servirsi di lucidi (questo il<br />

senso, credo, dell’espressione «profilare i disegni» 73 ),<br />

tenendo rispettosamente davanti i cartoni; non dico già<br />

con lo spir<strong>it</strong>o del copista da galleria, ma neppure piú al<br />

modo in cui Giuliano da Maiano doveva aver maneggiato<br />

i cartoni di Baldovinetti o Botticelli:<br />

Pregovi et comando – concludeva nella lettera del 2 settembre<br />

1524 – quanto porta mei interessi: questi disegni<br />

et altri che habiano li <strong>maestri</strong> in mano, li tenete in Misericordia<br />

et vogliate custodire acciò non si stroppiccino et<br />

non li lassati in mano loro se non a uno per uno, quanto<br />

si operano et sub<strong>it</strong>o retoglierli indrieto perché vedete la<br />

importancia 74 .<br />

Viveva ancora la tradizionale pratica di bottega volta<br />

a tesaurizzare modelli suscettibili di replica. Nel tardo<br />

Sacrificio di Melchidesech, a Loreto, Lotto riutilizzerà il<br />

vecchio disegno bergamasco; nel testamento del 1546<br />

raccomanda che<br />

tute le cose de l’arte, siano servate insema: desegni, rilevi<br />

de iesso et di cerra et quadri non fin<strong>it</strong>i, li quadri del testamento<br />

vechio, che furono modelli del Coro di tarsia de<br />

Bergamo et sono pezi n o . 30 in tutto, cioè 26 piccoli et pezi<br />

n o . 4 grandi. Etiam colori, penelli et altre bagaie assai et<br />

diverse da operar ne l’arte el tutto e tute sieno servate 75 .<br />

Ma quando quattro anni dopo fu costretto a mettere<br />

«al lotto e venture» diverse sue opere, innanzi a tutti<br />

gli altri, appuntò «quadri n o 30 del Testamento Vechio,<br />

zoè 26 piccoli et quattro grandi» 76 . Il loro significato di<br />

opera autonoma e fin<strong>it</strong>a poteva dunque essere condivi-<br />

Storia dell’arte Einaudi 28


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

so anche da quanti parteciparono a quella svend<strong>it</strong>a triste<br />

e malriusc<strong>it</strong>a.<br />

Le preoccupazioni del Lotto non nascevano solo dal<br />

grado di fin<strong>it</strong>ezza di quei cartoni. C’erano ragioni piú<br />

profonde e personali che lo legavano ai loro temi biblici.<br />

Di essi, comunque, poteva esserci bisogno in futuro<br />

(«se qualche cosa io possi per singular<strong>it</strong>à extrarne copia<br />

per valermene ne l’arte me sarà al propos<strong>it</strong>o») 77 . È il p<strong>it</strong>tore,<br />

ora, a prevederne il riutilizzo. Mentre dei temi prospettici<br />

che gli erano stati proposti per le tarsie di Santo<br />

Stefano, pochi anni avanti, da p<strong>it</strong>tori come Bramantino<br />

e Zenale, sarà fra Damiano a servirsene per tutta la carriera.<br />

Vedremo in segu<strong>it</strong>o che le scelte espressive del<br />

Lotto, nel caso specifico del coro di Bergamo, si accostano<br />

alla grafica seriale, ai modi dell’illustrazione libraria.<br />

Ed è forse appoggiandosi a questa piú moderna pratica<br />

di collaborazione che il p<strong>it</strong>tore insiste nel rivendicare<br />

l’appartenenza materiale ed intellettuale di quei<br />

disegni (si ricordi, ad esempio, il modo in cui s’impegnò<br />

con Bramante Bernardo Prevedari).<br />

Risalendo verso i momenti piú caratteristici e stabili<br />

<strong>della</strong> tarsia, sarebbe utile seguire da vicino come si diffusero,<br />

presso p<strong>it</strong>tori o incisori, le formule tipiche <strong>della</strong><br />

figurazione lignaria. Il caso piú appariscente è certo<br />

quello del «Monogrammista PP» 78 , con le sue figure stereometriche.<br />

Ma si tratta anche di tram<strong>it</strong>i meno sperimentali:<br />

in alcune cornicette di xilografie fiorentine e<br />

veneziane sono riprese forme semplificate di «toppo».<br />

In Lombardia si produssero carte stampate (e quindi<br />

colorate) da applicare su travi di soff<strong>it</strong>to, arredi, cassoni<br />

(come quello del Castello Sforzesco), in maniera da<br />

sost<strong>it</strong>uire le correnti decorazioni a commesso 79 . Non a<br />

caso si tratta di corrispondenze condizionate alle tipologie<br />

<strong>della</strong> decorazione. Cosí, quando in una tavola quattro-cinquecentesca<br />

s’intende dipingere una cornice,<br />

un’inquadratura, un’imbotte, insomma una qualsiasi<br />

Storia dell’arte Einaudi 29


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

schermatura prospettica che riesca illusivamente plausibile,<br />

ne esce spesso un effetto prossimo all’organizzazione<br />

formale di una tarsia 80 . Che tali effetti ricorrano<br />

in zona padana, non sorprende: i p<strong>it</strong>tori di età prospettica<br />

condividono la capac<strong>it</strong>à di ricomposizione modulare<br />

dei blocchi, il ricorso replicato e variato agli stessi cartoni,<br />

che sono propri degli intarsiatori. Si pensi soltanto<br />

alla continu<strong>it</strong>à di riusi figurali che si svolge nella bottega<br />

di Cima da Conegliano o del Montagna; o alla<br />

calettatura di precedenti modelli in un diverso contesto<br />

compos<strong>it</strong>ivo da parte del Bramantino. L’attrazione dei<br />

p<strong>it</strong>tori verso i topoi <strong>della</strong> tarsia incide maggiormente<br />

nelle aree di alta tradizione lignaria. Ad esempio, nell’Annunciazione<br />

del Bianchi Ferrari (Modena, Galleria<br />

Estense) o in quella, costesca, che fu <strong>della</strong> Collezione<br />

Cook (Venezia, Fondazione Cini), si spalancano stipi<br />

nascosti: lo spazio richiuso, le lamine ottiche che ne<br />

dànno struttura, la sparsa cadenza delle cose (libri, clessidra,<br />

ciliege nel dipinto veneziano), si accordano fin<br />

nella stessa lucidissima regola di proporzionamento verticale<br />

tipica delle tarsie dei cori 81 . E non ci si sofferma<br />

neppure sui dipinti che raffigurano mobili intarsiati (e<br />

che pure, nella loro puntual<strong>it</strong>à, potrebbero integrare la<br />

mappa delle diverse tradizioni decorative 82 .<br />

Ci sono tavole ed affreschi (come quelli di San Giovanni<br />

in Verdara, a Padova) di una caratterizzazione<br />

spaziale cosí spiccata da richiamare in modo spontaneo<br />

quanto generico l’amb<strong>it</strong>o <strong>della</strong> tarsia. Ma è partendo<br />

dalla loro funzione decorativa e seriale, dalla stessa collocazione<br />

anche, che si chiarisce meglio il rapporto con<br />

quei piú consueti moduli figurativi. La cosa riesce forse<br />

piú piana se si pensa che, quando cap<strong>it</strong>ò di dipingere gli<br />

spazi normalmente destinati all’opera di tarsia, se ne<br />

conservò intatti i temi e gli speciali modi di figurazione.<br />

Basti ricordare lo zoccolo figurato a finte tarsie nella<br />

Stanza <strong>della</strong> Segnatura 83 ; le aperture paesaggistiche di<br />

Storia dell’arte Einaudi 30


Giovan Francesco Caroto nelle spalliere di Santa Maria<br />

in Organo a Verona, con il peso verticale del cielo e la<br />

saldatura prospettica degli arconi in primo piano 84 ; il<br />

coro di San Girolamo a Biella (1523), dove gli stalli<br />

furono dipinti da Defendente Ferrari 85 ; il seggio dei<br />

magistrati nel Duomo di Gubbio (1557) decorato da<br />

Benedetto Nucci secondo il repertorio aniconico <strong>della</strong><br />

tarsia umbra 86 ; o, per uscire dall’Italia, la Cappella<br />

Smí∫ek a Kutná Hora 87 . Si fanno dipinti come tarsie,<br />

appunto, dove è naturale attendersi i consueti lavori di<br />

commesso. Sulla divers<strong>it</strong>à dei mezzi, sulla stessa evoluzione<br />

delle tecniche artistiche, prevalgono le regole del<br />

contesto e dell’attesa, ossia le ab<strong>it</strong>udini di chi osserva.<br />

4. Cori e studioli.<br />

Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Tali ab<strong>it</strong>udini non si spiegano con la sola consuetudine<br />

iconografica. La loro tenacia va ricondotta anche a<br />

quell’organismo arch<strong>it</strong>ettonico e l<strong>it</strong>urgico che è il coro<br />

in età precedente il concilio di Trento. Salvo casi rarissimi,<br />

è mutata radicalmente la sua collocazione entro lo<br />

spazio arch<strong>it</strong>ettonico e funzionale <strong>della</strong> chiesa; cosí come<br />

è cambiato l’interno rapporto di spazial<strong>it</strong>à. La riorganizzazione<br />

tridentina del conten<strong>it</strong>ore chiesastico regolarizzò<br />

gli altari, eliminò i tramezzi, spostò i cori (e dunque<br />

tutti quei cori che interessano la storia <strong>della</strong> tarsia<br />

prospettica) lungo il perimetro absidale. In precedenza,<br />

al contrario, il coro r<strong>it</strong>aglia un’area di funzional<strong>it</strong>à l<strong>it</strong>urgica<br />

richiusa in se stessa. È il luogo proib<strong>it</strong>o ai laici, il<br />

luogo dei canti e <strong>della</strong> partecipazione collettiva dei chierici;<br />

ma anche il luogo dove il silenzio e la concentrazione<br />

med<strong>it</strong>ativa sono regole di v<strong>it</strong>a monastica 88 . Lo<br />

spostamento dei cori segu<strong>it</strong>o alla riforma tridentina equivale,<br />

quasi immancabilmente, ad una profonda alterazione<br />

materiale, a quel lacerato assetto documentario<br />

Storia dell’arte Einaudi 31


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

che spesso imbriglia piú fondate valutazioni sul carattere<br />

strutturale di tali complessi. Anche le specchiature<br />

intarsiate perdono cosí l’originaria cornice d’uso mentale.<br />

Essa derivava dal sentirsi posti dentro un misuratissimo<br />

guscio di spazio, dove anche il carattere non narrativo<br />

<strong>della</strong> figurazione, nel rigore muto delle sue sollec<strong>it</strong>azioni<br />

percettive, circoscriveva il luogo dell’appartatezza<br />

fisica ed intellettuale. In questo ideale di separatezza<br />

riflessiva, visivamente concretato in tante rappresentazioni<br />

quattrocentesche di san Girolamo, si riconosce<br />

anche lo studiolo umanistico: altro, per quanto eccezionale,<br />

luogo elettivo <strong>della</strong> tarsia e delle figurazioni<br />

geometriche 89 .<br />

In età quattro-cinquecentesca la struttura del coro<br />

subisce evoluzioni ed adattamenti in gran parte riferibili<br />

all’inserimento di pannelli prospettici, ma non capovolgimenti<br />

radicali. La stabil<strong>it</strong>à tipologica era già stata<br />

raggiunta in periodo gotico. Ma quel sistema spontaneamente<br />

modulare e quella scand<strong>it</strong>a successione di stalli<br />

offrono ora possibil<strong>it</strong>à espressive del tutto diverse. Lo<br />

specchio intarsiato è parte di una successione figurativa,<br />

ne è componente <strong>it</strong>erativa, scansione temporale<br />

variabilmente accentuata. Ma, al tempo medesimo, la<br />

sua intens<strong>it</strong>à prospettica è preordinata e condotta dalla<br />

struttura cellulare del complesso. Appare pertanto azzardato<br />

sganciare la singola tarsia dal proprio sistema seriale,<br />

cosí come distinguere fra opera in piano ed opera di<br />

rilievo.<br />

In diverse opere si potrà avere la sensazione di un<br />

effettivo scorporo dai relativi contesti materiali e figurativi.<br />

Solo in parte tale scorporo rimane obbligato alle<br />

piú recenti forme di studio di tali testimonianze, privilegiatamente<br />

intese come icone prospettiche. Allargare<br />

sistematicamente l’attenzione agli aspetti strutturali,<br />

modulari, al lavoro d’intaglio, e cosí via, equivarrebbe<br />

ad accantonare sub<strong>it</strong>o quel tentativo di larga ricap<strong>it</strong>olazione<br />

che trova, invece, in questo aspetto piú original-<br />

Storia dell’arte Einaudi 32


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

mente figurativo la maggiore rispondenza. Ma è chiaro<br />

che l’effettivo fronte di avanzamento cr<strong>it</strong>ico passa ancora<br />

attraverso la focale monografica, dove riesca effettivamente<br />

a controllare l’interazione delle diverse componenti<br />

figurative 90 . Rimanendo però insoddisfacente il<br />

piú largo quadro di valutazione e di giudizio (mancano<br />

rilevamenti, schede archeologiche, fotografie), una campionatura<br />

di pochissimi casi, valutati in forma piena e<br />

ravvicinata, avrebbe un senso ancora piú avventurato.<br />

Se è dunque giusto mettere sull’avviso contro ogni<br />

tentazione di guardare una tarsia come se fosse un quadro<br />

(e quando la coincidenza materiale si darà, con fra<br />

Damiano, saremo già all’epilogo di questa vicenda), è<br />

anche vero che essa ha ag<strong>it</strong>o, in tempi vicini, come una<br />

reale molla cr<strong>it</strong>ica. Del tutto diversa fu l’attenzione<br />

ottocentesca. Il cattaniano Michele Caffi s’interessò<br />

all’integrazione di tarsia ed intaglio, ma in un orizzonte<br />

di comprensione assai piú vasto di quello strettamente<br />

figurativo. A definirlo, prima ancora <strong>della</strong> grammatica<br />

degli stili, fu un’istanza di pos<strong>it</strong>iva maturazione<br />

antropologica fra operativ<strong>it</strong>à e materia. Chi raggiunge la<br />

massima caratterizzazione <strong>della</strong> tecnica d’intarsio è pertanto<br />

il virtuoso fra Damiano («niuno sorse maggiore»).<br />

Ma l’attenzione a quegli esempi storici rimane ancorata<br />

al destino presente dell’industria artistica:<br />

A richiamare il qual genio, mercé il potente impulso dell’emulazione<br />

e dell’esempio, sono dirette le nostre parole<br />

e, meglio, le notizie con pazienza di anni raccolte. Scrivendo<br />

di arte agl’Italiani non crediamo di muovere fredde<br />

ceneri, di ag<strong>it</strong>are polve o rovine 91 .<br />

E l’opera ricap<strong>it</strong>olatoria Della scultura e tarsia in legno<br />

del Finocchietti (che è persona strettamente legata ai<br />

difficoltosi problemi del Museo Industriale Italiano di<br />

Torino) va trionfalmente a parare sulla rinasc<strong>it</strong>a otto-<br />

Storia dell’arte Einaudi 33


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

centesca dell’intaglio 92 . Storico <strong>della</strong> tarsia fu ancora il<br />

direttore del Museo Artistico-Industriale di Roma, l’Erculei<br />

93 . A questo sfondo di operante attualizzazione<br />

fanno ancora riferimento le indagini archivistiche del<br />

secondo Ottocento, come quelle del Varni a Genova, del<br />

Ronchini a Parma, del Rossi in Umbria. Ad esso risalgono,<br />

per scelta di materiali e taglio informativo, le stesse<br />

riproduzioni fotografiche di cui spesso continuiamo<br />

a servirci. E fin dal 1855, in quella pagina già ricordata<br />

del Cicerone, Burckhardt aveva notato che<br />

i mobili di lusso dei nostri giorni im<strong>it</strong>ano – confessatamente<br />

o no – perlomeno in parte tali lavori, e per convincersene<br />

basta uno sguardo sui mobili prefer<strong>it</strong>i all’esposizione<br />

di Londra. Soltanto che non sempre si im<strong>it</strong>a, oltre<br />

ai particolari, anche il principio che li regge e fa sí che l’elemento<br />

arch<strong>it</strong>ettonico risulti separato con tanta sicurezza<br />

a quello decorativo 94 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 34


Cap<strong>it</strong>olo secondo<br />

Sviluppi<br />

Lo svolgimento <strong>della</strong> tarsia prospettica copre l’arco<br />

di un secolo circa; e la stagione <strong>della</strong> piú salda coerenza<br />

fra costruzione lignaria e struttura geometrica ha<br />

durata anche minore 95 . Se non si perdono di vista le<br />

naturali condizioni di una produzione lenta ed interpersonale,<br />

cosí come le alternanze o le viscos<strong>it</strong>à espressive<br />

dovute alla frequente pratica <strong>della</strong> replica, si comprende<br />

sub<strong>it</strong>o a quali difficoltà vada incontro il tentativo<br />

di fare una ricap<strong>it</strong>olazione dettagliata dell’intero<br />

fenomeno figurativo, o soltanto una sua cronistoria sufficientemente<br />

n<strong>it</strong>ida 96 . Nella circostanza presente, dove<br />

appunto si richiede di seguire il fenomeno nell’insieme,<br />

vengono evidenziate le dinamiche <strong>della</strong> sua diffusione<br />

geografica.<br />

Ma, anche a questo propos<strong>it</strong>o, occorrono alcune<br />

avvertenze. Solo in parte gli sviluppi <strong>della</strong> tarsia prospettica<br />

possono essere ricap<strong>it</strong>olati riferendosi ai consueti<br />

quadri ambientali <strong>della</strong> storia figurativa <strong>it</strong>aliana,<br />

con la sua trama f<strong>it</strong>tamente c<strong>it</strong>tadina. In ordine ad essa<br />

risaltano, anzi, gli elementi discontinui connessi a questa<br />

particolare tecnica. L’intarsiatore stesso, come figura<br />

professionale, non ha uno status costante, omogeneo<br />

almeno nella complessa combinazione di componenti<br />

operative. Cristoforo da Lendinara e Giuliano da Maiano<br />

hanno competenze variate e solo in parte coincidenti;<br />

ciò non può non contare anche per quel momen-<br />

Storia dell’arte Einaudi 35


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

to che piú spiccatamente, ai nostri occhi, fu di attiv<strong>it</strong>à<br />

comune.<br />

La struttura organizzativa <strong>della</strong> bottega fiorentina di<br />

Giuliano da Maiano (come già, probabilmente, del Francione)<br />

richiama quella dei p<strong>it</strong>tori, dove il rapporto di<br />

discepolato o di collaborazione si riflette in una qualche<br />

affin<strong>it</strong>à d’intenti stilistici. Ma in altri casi, fra gli intarsiatori,<br />

l’esperienza tecnica ed associativa non rimanda<br />

cosí direttamente ad un comune propos<strong>it</strong>o figurativo.<br />

Le complesse opere di tarsia non possono essere realizzate<br />

sempre nelle botteghe di origine (come lo studiolo<br />

di Urbino, certamente esegu<strong>it</strong>o a Firenze, o il coro dei<br />

cremonesi Cristoforo e Giuseppe de Venetiis per San<br />

Prospero a Reggio Emilia) 97 . L’eccezione materiale e<br />

tecnologica rappresentata da un grande coro poteva rendere<br />

facilmente necessaria l’allogagione ad un maestro<br />

di un’altra c<strong>it</strong>tà (o richiedere, come cap<strong>it</strong>ò al bergamasco<br />

Capoferri, di «cavalcare a qualche c<strong>it</strong>à de Lombardia<br />

per vedere simili opere per migliore istrutione») 98 .<br />

Per altro verso, si poteva rendere necessario un temporaneo<br />

allargamento delle maestranze attive in una stessa<br />

bottega. Ecco che allora certi spostamenti equivalgono<br />

a trapianti di esperienza: uno scultore in legno e terracotta<br />

come Masseo Civ<strong>it</strong>ali, ad esempio, apprese la<br />

tecnica <strong>della</strong> tarsia quando fu a Lucca Cristoforo da<br />

Lendinara 99 . Una o piú grosse commissioni potevano poi<br />

determinare veri e propri spostamenti di residenza:<br />

cap<strong>it</strong>ò, per diverse c<strong>it</strong>tà del Veneto, al modenese Pier<br />

Antonio degli Abati; mentre Bernardino da Lendinara<br />

divenne c<strong>it</strong>tadino di Modena, successivamente di<br />

Parma, e morí a Ferrara.<br />

In una fase piú inoltrata, la specializzazione tecnica<br />

dà v<strong>it</strong>a ad una particolare geografia culturale, dilatatissima<br />

e di fatto distaccata dai singoli contesti locali: la<br />

definiscono, lungo le tappe degli spostamenti conventuali,<br />

i monaci intarsiatori. Ma anche agli intarsiatori<br />

Storia dell’arte Einaudi 36


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

laici può cap<strong>it</strong>are di trovarsi ad operare in c<strong>it</strong>tà assai<br />

distanti, senza particolari connessioni di cultura, per il<br />

solo tram<strong>it</strong>e di un medesimo ordine monastico comm<strong>it</strong>tente.<br />

È il caso del cremonese Paolo Sacca, attivo nelle<br />

chiese dei canonici lateranensi di Vercelli e Bologna.<br />

Seguendo l’espansione geografica <strong>della</strong> tarsia prospettica<br />

potrà dunque cap<strong>it</strong>are d’incorrere in sovrapposizioni,<br />

r<strong>it</strong>orni, inversioni di tempo.<br />

1. Tradizione senese ed esordio prospettico a Firenze.<br />

All’inizio del 1408, Pierre le Fru<strong>it</strong>er, detto Salmon,<br />

segretario di Carlo VI, scrisse a Jean de Berry per avvertirlo<br />

che a Siena operava un intarsiatore eccezionalmente<br />

abile. Il duca di Berry fu sub<strong>it</strong>o interessato:<br />

Et avecques ce avez trouvé un ouvriez très solemnel de<br />

musayque et de faire ymaiges de merqueterie, auquel, pour<br />

ceque vous savez que nous prenons plaisir en choses estranges,<br />

vous traicteriez voulentiers qu’il venist devers nous [...] 100 .<br />

È possibile che l’ouvriez in questione fosse Domenico<br />

di Niccolò dei Cori. Non è invece casuale che si trattasse<br />

di un senese.<br />

Fin dal secondo quarto del Trecento gli intarsiatori<br />

senesi avevano realizzato l’equivalente lignario di superfici<br />

iconiche notevolmente complesse. Il coro del<br />

Duomo di Orvieto (i cui resti sono sciattamente conservati<br />

nel Museo dell’Opera) fu affidato a Vanni di<br />

Tura dell’Ammannato, capomastro, e ad una piccola<br />

squadra d’intarsiatori senesi, che utilizzarono cartoni di<br />

qual<strong>it</strong>à spiccata. Nella grande scena dell’Incoronazione<br />

di Maria, alle successioni di piani elegantemente cercate<br />

e alle profilature girate in senso volumetrico, sugger<strong>it</strong>e<br />

dall’impianto evidentemente assai dettagliato del<br />

Storia dell’arte Einaudi 37


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

cartone, gli intarsiatori sovrapposero una loro autonoma<br />

struttura cromatica e lineare, fatta di sagome chiuse,<br />

insulate, scand<strong>it</strong>e nell’accostamento dei legni. L’effetto<br />

è quello di una calcolatissima pezzatura di materiali<br />

preziosamente decorati e messi in opera; accostabile<br />

piú facilmente ad una vetrata o ad una tappezzeria<br />

tardo-gotica che non ad una tarsia dell’età prospettica.<br />

Ed è chiaro che questo corrisponde ad una forte e specifica<br />

istanza formale, libera da obblighi mimetici<br />

davanti alla pausata spazial<strong>it</strong>à e al flusso lineare del p<strong>it</strong>tore<br />

che forní i cartoni 101 .<br />

Da tali presupposti non si scostò sostanzialmente<br />

Domenico di Niccolò dei Cori, eseguendo fra il 1415 e<br />

il 1428 il coro per la cappella interna del Palazzo Pubblico<br />

di Siena. Piú diretto è il confronto con il linguaggio<br />

dei p<strong>it</strong>tori. Ma gli alloggiamenti arch<strong>it</strong>ettonici si serrano<br />

attorno alle scene narrative secondo un r<strong>it</strong>mo che<br />

va confrontato con le nostalgie neolorenzettiane di un<br />

Benedetto di Bindo; e non certo con la spazial<strong>it</strong>à moderna<br />

che il Sassetta riflette nella pre<strong>della</strong> dell’altare dell’Arte<br />

<strong>della</strong> Lana. Le fibre vegetali corrispondono alle<br />

fasciature grafiche, alle pieghe lineari, ma secondo valori<br />

di superficie e di r<strong>it</strong>mo 102 . Questa tendenza a risolvere<br />

in elegante sigla formale la pressione meccanica <strong>della</strong><br />

materia non è meno esplic<strong>it</strong>a nelle due tavolette superst<strong>it</strong>i<br />

di quello stretto derivato di Domenico che fu Matteo<br />

di Nanni, detto il Bernacchino 103 . Nel 1421 il Comune<br />

di Siena aveva incaricato Domenico d’insegnare l’arte<br />

dell’intaglio e dell’intarsio: il primato e la compattezza<br />

culturale senese non sorprendono. Un pannello<br />

con la Giustizia del Victoria and Albert Museum è probabilmente<br />

il documento piú significativo di questa tradizione:<br />

la struttura meccanica dei legni, che, piú che<br />

accostati, sembrano compressi e piegati, fissa una curva<br />

tutta mentale e «gotica». Non è dunque questa la strada<br />

che porta alla nuova tarsia quattrocentesca 104 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 38


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Occorre ripartire da Firenze: idealmente, da quella<br />

pagina del Vasari, già in parte trascr<strong>it</strong>ta, dove si conclude<br />

ricordando che Brunelleschi non «restò ancora di<br />

mostrare» le sue sperimentazioni prospettiche «a quelli<br />

che lavorano le tarsie». È un travaso di esperienza che<br />

potrà sembrare formulato e gerarchizzato secondo l’orizzonte<br />

ideologico del Vasari. Ma il biografo quattrocentesco<br />

del Brunelleschi, in quella Novella del Grasso<br />

che è «non a caso parte integrante, anzi prologo drammatico<br />

<strong>della</strong> biografia» 105 , e dove si potrebbe credere (ma<br />

improbabilmente) che la beffa giocata dall’arch<strong>it</strong>etto ad<br />

un maestro di legname cost<strong>it</strong>uisca un segno netto di<br />

superior<strong>it</strong>à sociale; il Manetti, dunque, lascia scivolare<br />

un preciso giudizio sulle capac<strong>it</strong>à operative del Grasso<br />

e, specialmente, sul decollo tecnologico compiuto dai<br />

<strong>maestri</strong> di legname nel corso del Quattrocento: infatti<br />

la v<strong>it</strong>tima del Brunelleschi «infra l’altre cose aveva fama<br />

di fare molto bene e colmi e tavole d’altari e simili cose,<br />

che non era per allora atto ogni legnaiolo» 106 . La costruzione<br />

prospettica brunelleschiana non cala, per cosí dire,<br />

su una realtà tecnologica già avanzata, ma in qualche<br />

modo partecipa a tale cresc<strong>it</strong>a di mestiere.<br />

Di qui la difficoltà pratica di trovare testimonianza<br />

di opere per una connessione che appare tanto virtualmente<br />

diretta come quella fra nuova costruzione spaziale<br />

e nuova tarsia; di farne collimare puntualmente le due<br />

curve evolutive 107 . Intanto, se nel 1451 un campione<br />

dell’intaglio gotico come il padano Arduino da Baiso<br />

poteva scrivere a Piero de’ Medici proponendo di eseguire<br />

gli armadi di San Lorenzo è segno che, anche a<br />

Firenze e fra i <strong>maestri</strong> di legname, lo svolgimento<br />

anti-gotico fu tanto meno assoluto di quanto si vorrebbe<br />

credere per schematizzata memoria scolastica 108 . In<br />

uno spazio brunelleschiano come la sacrestia di San<br />

Lorenzo, i lavori di tarsia mostrano i caratteri di una<br />

diversa regolar<strong>it</strong>à strutturale e di una qualche verifica<br />

Storia dell’arte Einaudi 39


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

ottica, ma non l’unificazione <strong>della</strong> visione prospettica.<br />

Píú vicino all’esperienza del Brunelleschi è l’intarsiatore<br />

del bancone centrale <strong>della</strong> sacrestia di Santa Croce,<br />

che può risalire agli anni di Masaccio, ma che dipende<br />

piuttosto da un certo r<strong>it</strong>orno programmatico alle sperimentazioni<br />

costruttive, ancora avanzate, dei p<strong>it</strong>tori di<br />

un secolo innanzi, come Taddeo Gaddi: i vasi decorativi<br />

al centro dei pannelli sono defin<strong>it</strong>i fra i piani paralleli<br />

di un’intercapedine spaziosa, ma su due orizzonti, e<br />

con piú di un punto di fuga.<br />

A non forzare il senso <strong>della</strong> pagina del Vasari, occorre<br />

tener presente che nella terminologia storica l’opera<br />

di tarsia non corrisponde necessariamente ad una figurazione<br />

complessa. Quando in un inventario si trova<br />

segnato un letto di tarsia, si allude alle bordature sottili,<br />

all’ornamento dei «toppi». In questo senso va sottolineata<br />

una pagina del Vasari che è già stata trascr<strong>it</strong>ta in<br />

una nota precedente. Nel dissentire da Paolo Uccello e<br />

dai suoi disegni prospettici (tutte quelle «bizzarie in<br />

che spendeva e consumava il tempo»), non è casuale che<br />

Donatello faccia un’osservazione precisa: «queste sono<br />

cose che non servono se non a questi che fanno le tarsie;<br />

perciocché empiono i fregi di brucioli, di chiocciole<br />

tonde e quadre, e d’altre cose simili» 109 . Dai fregi dunque,<br />

piú che dalle scene p<strong>it</strong>toriche (dove i senesi avevano<br />

già dato prove notevoli), occorre muovere per accostare<br />

geneticamente tarsia e <strong>prospettiva</strong>.<br />

In maniera piú esplic<strong>it</strong>a e precoce le nov<strong>it</strong>à <strong>della</strong><br />

costruzione prospettica sono riflesse dalle tarsie marmoree.<br />

Si tratta delle decorazioni illusive <strong>della</strong> nicchia<br />

dei Beccai, in Orsanmichele, e delle «finte lumiere appese<br />

a festa» lungo il frontone <strong>della</strong> Porta <strong>della</strong> Mandorla,<br />

a Santa Maria del Fiore: intorno al 1420, in circostanze<br />

connesse in maniera abbastanza diretta a Brunelleschi<br />

110 . Passerà una ventina di anni prima che si<br />

conoscano le prime tarsie lignee d’impostazione pro-<br />

Storia dell’arte Einaudi 40


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

spettica. Ma non credo che il punto risolutivo sia, evoluzionisticamente,<br />

il trapasso di tali impostazioni da un<br />

amb<strong>it</strong>o materiale ad un altro 111 . Occorre fare attenzione,<br />

innanz<strong>it</strong>utto, ad un momento piú avanzato <strong>della</strong><br />

consapevolezza prospettica.<br />

Le prime tarsie lignee e prospettiche, come solo<br />

recentissimamente è stato chiar<strong>it</strong>o, sono quelle degli<br />

armadi laterali <strong>della</strong> Sacrestia delle Messe in Santa<br />

Maria del Fiore. Furono affidate nel 1436 ad Antonio<br />

Manetti e ad Andrea di Lazzaro ed esegu<strong>it</strong>e nel corso<br />

degli anni successivi 112 . Sono dunque gli anni in cui<br />

Leon Battista Alberti è a Firenze, gli anni del De pictura,<br />

di Domenico Veneziano e, con lui, del giovane<br />

Piero <strong>della</strong> Francesca: appunto alla primissima attiv<strong>it</strong>à<br />

di Piero, sul ’40, risale la Madonna Contini Bonacossi<br />

sul cui verso è dipinto a monocromo «un vaso di legno<br />

commesso di doghe studiosamente ricurve», che è «un<br />

perfetto modello per un futuro intarsio «lendinaresco»»<br />

113 . Sarebbe difficile separare dal rinnovato dibatt<strong>it</strong>o<br />

prospettico di quel momento particolare queste tarsie<br />

primordiali (eppure già cosí mature, per tipologia,<br />

che per tanto tempo non sono state distinte da quelle<br />

esegu<strong>it</strong>e piú tardi, nella stessa sacrestia, da Giuliano da<br />

Maiano). Tuttavia esse sono direttamente radicate in<br />

quelle formulazioni piú sperimentali e complesse che<br />

<strong>della</strong> costruzione prospettica Brunelleschi aveva già da<br />

tempo avanzato. Il piú dotato di questi primissimi<br />

intarsiatori brunelleschiani raccorda tre pannelli intorno<br />

all’asse centrale di un candelabro, illusivamente<br />

rivolto nello spazio dell’osservatore. Questo elemento<br />

di raccordo orizzontale funziona quindi da cerniera fra<br />

spazio figurato e spazio reale, è un sensibilissimo incaglio<br />

ottico che sollec<strong>it</strong>a il controllo percettivo e ne conferma<br />

l’inganno. Questa specie di frizione ottica in primissimo<br />

piano (che anzi ne sembra sdoppiato) non corrisponde<br />

dunque all’«intersegazione» impercettibile<br />

Storia dell’arte Einaudi 41


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

<strong>della</strong> piramide visiva, all’apertura geometricamente incorporea<br />

<strong>della</strong> finestra albertiana (oltre la quale le cose<br />

si dispongono con copia e varietas), o alla seren<strong>it</strong>à spaziale<br />

e cromatica di Domenico Veneziano. I tagli asciutti<br />

e radenti <strong>della</strong> luce; la doppia fila di aperture e di borchie<br />

che incornicia i tre sportelli, variando a scatti regolari<br />

e continui la partizione di luce ed ombra; la trama<br />

tridimensionale delle losanghe, scombinata ed omologata<br />

dalla ruotazione degli sportelli, richiamano semmai<br />

gli es<strong>it</strong>i meno intellettualmente pacificanti che dalle<br />

regole prospettiche aveva ricavato Paolo Uccello: dove<br />

però la <strong>prospettiva</strong> è composizione geometrica dei<br />

campi di colore, astratta purezza <strong>della</strong> ricostruzione di<br />

un oggetto emergente, o di una serie replicata ed aggregata<br />

di forme semplici, piú che la sintassi di un piano<br />

continuo di figurazione. In coerenza con i congegni<br />

brunelleschiani d’implacabile, ambigua esattezza dell’inganno<br />

(nel senso <strong>della</strong> Novella del Grasso), si trova<br />

anche l’attestazione primissima e piú radicale di quello<br />

che sarà poi uno dei topoi caratteristici <strong>della</strong> tarsia rinascimentale:<br />

il legno che rappresenta il legno, la tarsia<br />

che finge gli sportelli intarsiati anche nella mutata inclinazione<br />

prospettica dello stesso «toppo», la doppia funzione<br />

espressiva <strong>della</strong> materia e il conseguente senso di<br />

percezione sdoppiata.<br />

Non conosciamo altre tarsie di questa levatura negli<br />

anni attorno alla metà del secolo. Sono andate perdute<br />

le decorazioni dello Studiolo di Piero de’ Medici, probabilmente<br />

esegu<strong>it</strong>e nei primi anni Cinquanta, e che<br />

conosciamo descr<strong>it</strong>te in maniera da far pensare già a<br />

quelle di Urbino e di Gubbio 114 . Altre saranno andate<br />

perdute, ma tarsie di questo impegno non potevano<br />

essere molto numerose. Una cosa era la produzione di<br />

mobili con «toppi» ed ornati prospettici, per cui Firenze<br />

consolidò una sua supremazia di mercato, altra l’impresa<br />

prospettica di eccezione, che richiedeva di essere<br />

Storia dell’arte Einaudi 42


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

organizzata nell’occasione concreta di uno specifico<br />

invaso spaziale.<br />

Quando nel 1463 Giuliano da Maiano fu chiamato a<br />

completare la sacrestia del Duomo, si richiese all’artista<br />

un preciso «modello et disegno» 115 . Probabilmente si<br />

trattò di qualcosa in piú di una generica indicazione<br />

contrattuale; esso presupponeva la programmatica compattezza<br />

prospettica dell’intervento decorativo. Quella<br />

finta decorazione arch<strong>it</strong>ettonica a spazial<strong>it</strong>à un<strong>it</strong>aria<br />

poteva competere soltanto a Giuliano da Maiano. E si<br />

è ricordato anche quanto circoscr<strong>it</strong>to dovette essere il<br />

ruolo dei p<strong>it</strong>tori cui l’intarsiatore («conducente in suo<br />

nome proprio») si rivolse per il disegno delle singole<br />

figure, o per dettagliare, su quei tracciati grafici, le parti<br />

di piú sottile svolgimento luminoso. Proprio «l’incertezza<br />

fra intavolazione spaziale e asprezza singolare di<br />

figure», viste da Arcangeli nel pannello <strong>della</strong> Circoncisione,<br />

corrispose operativamente all’incastro di due<br />

responsabil<strong>it</strong>à progettuali, distinte ma non par<strong>it</strong>etiche:<br />

dove è comunque il tracciato proposto dal p<strong>it</strong>tore (in<br />

questo caso non saprei trovare altra alternativa al nome<br />

di Baldovinetti che in quello del giovane Cosimo Rosselli)<br />

ad essere inglobato nella compaginazione fissata dal<br />

maestro di legname 116 . Lo sfondamento prospettico di<br />

un’intera parete è cosa nuova anche davanti agli inganni<br />

ottici degli intarsiatori brunelleschiani, del Manetti<br />

piú in particolare, con le loro finte aperture a portata di<br />

mano, dove emergono gli stessi oggetti cari all’empirismo<br />

spazioso dei p<strong>it</strong>tori del Trecento. Qui si tratta di<br />

una vera figurazione di arch<strong>it</strong>ettura, direttamente agganciata<br />

all’esperienza brunelleschiana e masaccesca <strong>della</strong><br />

Trin<strong>it</strong>à in Santa Maria Novella. E per questa via mediata,<br />

il nesso brunelleschiano fra <strong>prospettiva</strong> e struttura<br />

arch<strong>it</strong>ettonica conosce un edonizzato r<strong>it</strong>orno 117 .<br />

Negli svolgimenti lignari (dove ovviamente non<br />

manca qualche oscillazione di qual<strong>it</strong>à esecutiva) si fissa<br />

Storia dell’arte Einaudi 43


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

un altro carattere tipico <strong>della</strong> tarsia fiorentina: la tess<strong>it</strong>ura<br />

luminosa <strong>della</strong> superficie lignea è raggiunta con<br />

innesti minuti, f<strong>it</strong>ti, replicati, con effetti di articolazione<br />

grafica e di punteggiature luminose destinate a fondersi<br />

alla distanza, ma fissando bene la consistenza dei<br />

percorsi lineari.<br />

Con queste due indicazioni, si può lasciare lo sviluppo<br />

<strong>della</strong> tarsia fiorentina ad una fase ancora sostanzialmente<br />

precoce, passando ad un piú diretto confronto di<br />

caratteri con l’altra grande tradizione lignaria, quella<br />

padana dei Lendinara, avviata negli stessi anni in cui<br />

Giuliano da Maiano lavorava alla Sacrestia delle Messe.<br />

2. I Lendinara lungo la via Emilia.<br />

«Masaccio non lavorava per le corti, Piero <strong>della</strong> Francesca<br />

sí»: nell’incup<strong>it</strong>a considerazione di Giorgio<br />

Morandi, in quel suo vissuto riconoscimento dei destini<br />

generazionali, c’è il nocciolo profondo di una s<strong>it</strong>uazione<br />

storica mutata. Il riferimento alle corti impone di<br />

uscire dalla Toscana, di scavalcare l’Appennino. Nelle<br />

more di quei viaggi Piero lascia le commissioni di casa 118 .<br />

Intorno al 1450, o poco prima, forse su segnalazione di<br />

Alberti, era alla corte di Ferrara 119 . Lí si trovavano<br />

Lorenzo e Cristoforo «zoveni de Lendenara» (allora<br />

terra estense). Assieme ad un maestro d’intagli piú<br />

anziano e prestigioso, Arduino da Baiso, stavano lavorando<br />

al nuovo studiolo ducale: quello di Belfiore 120 .<br />

Risale a quel tempo, con tutta verosimiglianza, l’amicizia<br />

che sarà poi ricordata da Luca Pacioli, quando promise<br />

«di dare piena notizia de prospectiva mediante li<br />

documenti» di Piero e «del suo caro quanto fratello<br />

maestro Lorenzo Canozo da Lendenara» 121 .<br />

La presenza di Piero alle corti, rispetto all’irrinunciabile<br />

polemica antigotica dell’umanesimo civile dei<br />

Storia dell’arte Einaudi 44


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

tempi di Masaccio, significò anche una possibil<strong>it</strong>à di dialogo<br />

con quel campo stilistico che non si può fare a<br />

meno di chiamare gotico. Che non fu per niente, in<br />

Europa come nella gran parte d’Italia, un campo d’involuzione;<br />

e conobbe, anzi, trasformazioni radicali,<br />

fuori di ogni falsa cesura manualistica fra Medioevo e<br />

mondo figurativo moderno. Il precoce incontro dei Lendinara<br />

con Piero non va dunque immaginato come una<br />

sorta di conversione alla <strong>prospettiva</strong> fiorentina e, nella<br />

fattispecie, un allineamento risoluto alle tarsie brunelleschiane<br />

di un Manetti 122 . Il mestiere iniziale dei due<br />

polesani era quello suntuosissimo delle opere di traforo,<br />

dai pampini intagliati, delle decorazioni «a giorno»:<br />

quello che si riflette in una pagina del pisanelliano Codice<br />

Vallardi, ma che decora anche la porta sullo sfondo<br />

dell’Annunciazione di Piero ad Arezzo. E poi p<strong>it</strong>tura ed<br />

intaglio continuarono a stringersi nella fior<strong>it</strong>issima un<strong>it</strong>à<br />

degli altari, in maniera tale che ne rimaneva sacrificata<br />

quell’autonomia formale <strong>della</strong> superficie piana che è il<br />

presupposto necessario degli intarsiatori fiorentini.<br />

Basta soltanto pensare a due pol<strong>it</strong>tici dove la presenza<br />

di Piero si riflette nelle condizioni tipiche <strong>della</strong> tradizione<br />

padana: quello di Torchiara di Benedetto Bembo<br />

(1462, Milano, Castello Sforzesco), e quello dell’Ospedale<br />

<strong>della</strong> Morte, degli Erri (1462-66, Modena, Galleria<br />

Estense) 123 .<br />

L’esperienza prospettica dei Lendinara non poteva<br />

avere dunque che un avvio frenato e corrispondere ad<br />

un piú lento ricambio culturale. In questo senso potrà<br />

riuscire un po’ deludente, ma non inadeguata a tale<br />

dinamica, la prima opera che si può riconoscere ai due<br />

fratelli, le parti piú antiche del coro di San Prospero a<br />

Reggio, esegu<strong>it</strong>o verso il 1458 124 . La figurazione di una<br />

serie di scatole spaziali, nuova fra i <strong>maestri</strong> di legname<br />

padani, si combina ancora con la piú tradizionale e<br />

minuta «opera» di commesso. In modo blandamente<br />

Storia dell’arte Einaudi 45


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

prospettico, tali cellule serrate accolgono oggetti ed animali,<br />

temi esopeschi presto inusuali e quasi nel tono di<br />

un moderno bestiario di corte, con qualche rispondenza<br />

formale nelle pagine <strong>della</strong> Bibbia di Borso d’Este. È<br />

un’esperienza che va liev<strong>it</strong>ando rispetto a quanto lascerebbe<br />

immaginare quella «capsa d’arzimpresso in forma<br />

de oxelli» lavorata dai Lendinara per il «fiolo dell’Ill.mo<br />

Duca di Milano», ma che non sembra del tutto all’altezza<br />

di quel tono di referenza operativa che traspare dal<br />

cap<strong>it</strong>olato per il coro di Padova 125 .<br />

L’esecuzione pressoché contemporanea dei due cori<br />

di Modena (1461-65) e di Padova (1462-69) sembra<br />

aver messo capo ad una ramificazione fondamentale<br />

<strong>della</strong> bottega dei Lendinara. L’opera di Cristoforo (che<br />

fin dal 1463 ottiene, assieme al figlio, la c<strong>it</strong>tadinanza<br />

modenese) si radica lungo la via Emilia. Lorenzo finí<br />

invece per grav<strong>it</strong>are in area veneta. Il coro padovano, ad<br />

eccezione di due pannelli, andò distrutto nel Settecento,<br />

in un incendio. È dunque da quello di Modena, firmato<br />

da entrambi, che è possibile individuare il senso,<br />

ancora sostanzialmente un<strong>it</strong>ario, di quella comune esperienza<br />

pierfrancescana 126 .<br />

Non interessano qui gli intagli straordinari, dove si<br />

combinano le vibrazioni di epidermide e le sigle imprevedibili<br />

<strong>della</strong> migliore cultura tardo-gotica. Non è solo<br />

con essa, nelle parti lavorate a tarsia, che dialoga l’esperienza<br />

prospettica e pierfrancescana. Nei «toppi» e<br />

nelle grandi decorazioni che ne derivano, la nuova regola<br />

spaziale si accorda piuttosto ad una memoria di forme<br />

cromatiche sospese e di trame geometriche spontaneamente<br />

seriali, proprie <strong>della</strong> figurazione romanica. Ma<br />

anche nelle tarsie di figura si ripropone questo innesto<br />

fra lontane civiltà formali: dove l’opera di commesso<br />

ligneo, rispetto al referente o alla sua eventuale mediazione<br />

p<strong>it</strong>torica, è astrazione o, piuttosto, traslato geometrico;<br />

e al tempo stesso esibisce la propria pregnan-<br />

Storia dell’arte Einaudi 46


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

za di figura, l’immediatezza materica. Cosí, ad esempio,<br />

lo spessore sottile del cappuccio di san Girolamo trova<br />

nettezza di piano tridimensionale e, insieme, ident<strong>it</strong>à di<br />

oggetto; mentre i baffi si avv<strong>it</strong>ano a cavaturacciolo<br />

senza sottintendere esclusivi valori di perfezione metafisica;<br />

e i riflessi battenti sul calice sono scand<strong>it</strong>i con<br />

un’esattezza che è al tempo stesso convenzione figurale<br />

e consistenza fisica. Non c’è dunque necess<strong>it</strong>à, come<br />

in Giuliano da Maiano, di finti alloggiamenti arch<strong>it</strong>ettonici.<br />

L’apertura sui paesaggi urbani è una finestrella<br />

orizzontale, spazialmente incomoda, che sembra<br />

costringere ad una visione in punta di piedi, evidenziando<br />

la soggettiva temporal<strong>it</strong>à <strong>della</strong> percezione. E la<br />

certezza stereometrica delle cose non si fonda sulla concatenazione<br />

ambigua di due spazi, vero e figurato, né<br />

sullo sfondamento illusionistico <strong>della</strong> superficie. Gli<br />

oggetti, forme semplici e n<strong>it</strong>ide come i pozzi, valgono<br />

nel loro isolamento fisico e prospettico; immersi in uno<br />

spazio neutro e ricostru<strong>it</strong>i con esattezza bidimensionale<br />

sul piano: luogo geometrico sensibilissimo, ma non<br />

affollato né equivoco. Non siamo lontani dagli esercizi<br />

costruttivi proposti da Piero nel De prospectiva pingendi;<br />

ma si tratta di tutt’altra fisic<strong>it</strong>à figurativa. La<br />

«forma» di Piero, per adattare una celebre formula di<br />

Longhi, si sintetizza con un «colore» che è quello stesso<br />

<strong>della</strong> materia e <strong>della</strong> sua modificazione meccanica,<br />

delle sue diverse essenze, tagli, sagomature costruttive<br />

e messa in opera. L’intera barba di san Girolamo deriva<br />

dal montaggio di due tavolette di noce a taglio long<strong>it</strong>udinale,<br />

appena sfasate nell’andamento delle fibre.<br />

C’è dunque una diversificazione radicale rispetto alla<br />

tarsia fiorentina. Non si tratta soltanto di due diverse<br />

pratiche di tecnica lignaria.<br />

Il carattere <strong>della</strong> tarsia lendinaresca si rende anche<br />

piú esplic<strong>it</strong>o quando si allenta il rigore geometrico di<br />

questa matrice padana profonda, e ci si inoltra lungo la<br />

Storia dell’arte Einaudi 47


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

carriera del solo Cristoforo. Negli Evangelisti del<br />

Duomo di Modena, datati 1477, si precisa meglio una<br />

concezione costruttiva per cui non si può fare a meno<br />

di riadattare un’altra definizione che Longhi impiegò<br />

per Piero <strong>della</strong> Francesca: «il contorno non è linea ma<br />

curvata nettezza di lim<strong>it</strong>e prospettico» 127 . Proprio davanti<br />

alle tarsie fiorentine dei tempi di Baldovinetti, Pollaiolo,<br />

Botticelli, e ai loro diretti incroci formali con i<br />

valori grafici <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura contemporanea, Cristoforo da<br />

Lendinara rivela, nella stessa inconsistenza materiale<br />

<strong>della</strong> linea, la precisione euclidea dei profili, concretando<br />

nell’aggregazione dei legni la nozione matematica di<br />

disegno che fu sugger<strong>it</strong>a da Alberti e da Piero <strong>della</strong><br />

Francesca («[...] dico in questa circonscrizione molto<br />

doversi osservare ch’ella sia di linee sottilissime fatta,<br />

quasi tali che fuggano essere vedute»; «Desegno intendiamo<br />

essere profili et contorni che nella cosa se contene»)<br />

128 . La larga ed esatta profilatura del mento di San<br />

Giovanni risulta soltanto dall’accostamento di due pezzi<br />

<strong>della</strong> medesima essenza lignea, secondo il medesimo<br />

taglio, ma ruotati di direzione.<br />

Da tali considerazioni sull’autonomia espressiva delle<br />

tarsie di Cristoforo deriva un’ulteriore sment<strong>it</strong>a <strong>della</strong><br />

proposta longhiana, che peraltro ha avuto notevole fortuna,<br />

volta a riconoscere dietro le opere dell’intarsiatore,<br />

e in particolare dietro a questi Evangelisti, precisi<br />

modelli di Piero <strong>della</strong> Francesca 129 . Del resto l’ipotesi si<br />

completa e in un certo senso si richiude su se stessa<br />

quando Longhi osserva che a date «tarde come il ’77,<br />

l’86, l’88 le tarsie di Cristoforo non deflettono da uno<br />

stile che quadra al 1450». Ma di quale stile si tratta? Di<br />

quello <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura, non <strong>della</strong> tarsia. Alla dipendenza<br />

espressiva corrisponde coerentemente, in Longhi, l’impressione<br />

di uno scarto temporale.<br />

Non sembrerebbe difficile, tuttavia, risalire al vero<br />

autore di quei cartoni. Basta affiancare al San Giovan-<br />

Storia dell’arte Einaudi 48


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

ni del 1477 la Madonna che è al centro del finto tr<strong>it</strong>tico<br />

affrescato nell’altare del Giudizio, sempre nel<br />

Duomo di Modena; o vedere quanto puntualmente il<br />

San Martino <strong>della</strong> monumentale tarsia di Lucca corrisponda<br />

ai due santi vescovi del Palazzo Ducale di Mantova:<br />

tutte opere, dunque, da riportare a Cristoforo p<strong>it</strong>tore.<br />

Non sarà qui possibile orientare, neppure in nota,<br />

su un problema ancora complesso come quello di Cristoforo<br />

p<strong>it</strong>tore; anche se, a volerne definire il giusto<br />

potenziale, è necessario liberarsi da quella sorta di palla<br />

al piede che è la sua unica opera firmata 130 . Ma è necessario<br />

cercar di afferrare il senso di un’articolazione (che<br />

tendenzialmente fu anche di «qual<strong>it</strong>à») fra opere di<br />

tarsia ed opere di p<strong>it</strong>tura. Se il «colore» del legno riuscí<br />

spesso piú consentaneo a quella «forma» n<strong>it</strong>ida ed<br />

intera, scalata da una luce essenziale, ciò conferma il<br />

grado di autonomia espressiva che l’intarsio aveva raggiunto<br />

con Cristoforo.<br />

Una conferma di segno opposto è data invece dall’occasione,<br />

straordinaria ed imbarazzante, che cap<strong>it</strong>ò<br />

nel 1473 ad Agostino de’ Marchi da Crema davanti a<br />

due cartoni di Francesco del Cossa 131 . Nel coro di San<br />

Petronio a Bologna, il «maestro dell’arte sottile» non<br />

prese nessuna iniziativa formale che fosse necess<strong>it</strong>ata dai<br />

modi specifici <strong>della</strong> costruzione lignaria. Non si trattò,<br />

come poi nel ’500, di subalternanza defin<strong>it</strong>a su uno<br />

sfondo ideologico; e neppure di un vero caso di gerarchia<br />

fra una tecnica particolare ed un’arte guida; ma,<br />

semplicemente, <strong>della</strong> subordinazione operativa di un<br />

oggetto (che peraltro conserva una sua forte ident<strong>it</strong>à<br />

materiale) al suo modello grafico. Agostino procede pertanto<br />

senza reinvenzioni strutturanti e senza puntigli<br />

virtuosistici; cerca di rimanere entro i profili stabil<strong>it</strong>i sul<br />

cartone ricorrendo a vaste ombreggiature artificiali e a<br />

tratteggi pirografati. Un confronto fra le d<strong>it</strong>a che stringono<br />

il libro squadernato da sant’Ambrogio e il gesto<br />

Storia dell’arte Einaudi 49


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

similissimo del san Giovanni <strong>della</strong> Pala dei Mercanti del<br />

Cossa (Bologna, Pinacoteca Nazionale) basta a mostrare<br />

quanto, rispetto alle indicazioni del p<strong>it</strong>tore, l’intarsiatore<br />

volle essere puntuale e riuscisse inev<strong>it</strong>abilmente<br />

riduttivo. Non a caso i due santi s’inseriscono nell’organismo<br />

del mobile quasi come pannelli p<strong>it</strong>torici entro<br />

la cornice di un pol<strong>it</strong>tico di moderna forma prospettica.<br />

Conviene fermarci un momento a considerare, anche<br />

in ordine ai Lendinara, il rapporto che nel coro bolognese<br />

si definisce fra la compless<strong>it</strong>à del manufatto ligneo<br />

ed i singoli specchi intarsiati: che, a parte il caso dei due<br />

sugger<strong>it</strong>i dal Cossa, corrispondono a rappresentazioni di<br />

oggetti l<strong>it</strong>urgici, strumenti musicali, ecc. Se il ricorso al<br />

termine gotico può abbreviare l’intuizione dei fatti, il<br />

coro di Agostino de’ Marchi è certo meno gotico di<br />

quelli lendinareschi di Modena e di Parma: già il disegno<br />

di un singolo scranno, concordato inizialmente con<br />

i comm<strong>it</strong>tenti, è di forma piú moderna. Ma le assottigliate<br />

tarsie che campeggiano nel giro superiore degli<br />

stalli, non coincidendo con l’intero piano degli specchi,<br />

disinnestano ogni interrelazione funzionale fra struttura<br />

lignea e campi d’intarsio. Riportano ad una condizione<br />

di ornamento tanto piú tradizionale.<br />

Questa relazione fra struttura del mobile e campi<br />

intarsiati potrebbe far da guida agli svolgimenti <strong>della</strong><br />

bottega lendinaresca. Nel corso degli anni ’80 si presentò<br />

piú di un’occasione favorevole alla messa a punto<br />

di vaste impaginazioni prospettiche (come le tarsie lucchesi,<br />

che erano destinate ad un armadio da sacrestia) 132 .<br />

Ma anche quando, come a Pisa, cap<strong>it</strong>ò di operare su<br />

dimensioni piú ridotte, si scelse un campo di figurazione<br />

profondo; e, di conseguenza, dovette allentarsi (le<br />

tarsie pisane sono ridotte a frammenti) quel senso di<br />

finestra imminente che poteva corrispondere al taglio<br />

dell’immagine 133 . Non dovette trattarsi piú, insomma,<br />

Storia dell’arte Einaudi 50


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

di quella schermatura obbligante e selettiva, e in sé<br />

fisicamente avvert<strong>it</strong>a, che caratterizza il coro di Parma<br />

(1473).<br />

Nella Sacrestia dei Consorziali del Duomo di Parma<br />

(dal 1488) la regolar<strong>it</strong>à geometrica delle cornici scandisce<br />

vaste aperture prospettiche di luoghi urbani, ma<br />

non serve a sgranare illusivamente una scena dall’altra<br />

134 . Lungo l’unica linea di orizzonte (che durante le<br />

fasi di smontaggio richieste dall’ultimo restauro si è<br />

potuto rintracciare incisa sulle tavole di supporto delle<br />

tarsie), Cristoforo propone a chi guarda un’attenzione<br />

sintattica, capace di legare scena a scena. La stessa ruotazione<br />

delle ante aperte, nella sovrapposizione tautologica<br />

del legno, assume una maggiore dens<strong>it</strong>à di corpo,<br />

di fisic<strong>it</strong>à oltre che d’illusione prospettica; è la medesima<br />

fisic<strong>it</strong>à che percorre le tarsie disposte lungo la faccia<br />

inferiore delle panche, ma abbinata ad una metrica<br />

cadenzata, quanto visivamente imprevedibile. Una serie<br />

di corpi geometrici (impossibilmente fuori scala come<br />

decorazioni; improbabilmente illusivi, per mancata pertinenza<br />

ad un coerente contesto spaziale; perlopiú inclassificabili<br />

come oggetti d’uso, ma troppo concreti per<br />

richiamare l’astrazione geometrica) sono disposti a coppie,<br />

spart<strong>it</strong>e nell’esattezza speculare di un unico cartone<br />

impiegato nei due sensi, invert<strong>it</strong>e dall’incrocio <strong>della</strong><br />

luce e dell’ombra. È una delle altezze assolute dell’immaginario<br />

prospettico, dove però la fisic<strong>it</strong>à sembra avere<br />

estraniato la regola dimensionale. Mutando piú di un<br />

termine stilistico, non si saprebbe trovare altri riferimenti<br />

che non siano la ferocia formale di Ercole de’<br />

Roberti, in certe sue lucidissime sfasature di modulo<br />

(come nei vasi <strong>della</strong> Madonna Vendeghini Baldi), o l’insost<strong>it</strong>uibile<br />

accordo fra corpi murari e trasparenza tridimensionale<br />

che è proprio di Biagio Rossetti.<br />

Si comprende pertanto chi fu il responsabile vero,<br />

Storia dell’arte Einaudi 51


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

per l’ideazione almeno, dei congegni meccanici di Pisa<br />

(vere «macchine celibi» <strong>della</strong> civiltà prospettica), diventati<br />

familiari sotto nomi diversi da quello di Cristoforo,<br />

per i quali fu però avvert<strong>it</strong>o che «l’epica artigiana dei<br />

Lendinara cresce ancora di tono, fino a toccare i lim<strong>it</strong>i<br />

dello spropos<strong>it</strong>ato; ma senza varcarli» 135 .<br />

Sarebbe assai improbabile non considerare Bernardino<br />

da Lendinara partecipe attivo degli svolgimenti<br />

del padre. È comunque troppo schematico far corrispondere<br />

al suo nome quei momenti meno innovativi o<br />

sorvegliati di una produzione svolta all’interno di una<br />

stessa bottega. Anche le spalliere <strong>della</strong> sacrestia del<br />

Duomo di Modena, cui Bernardino lavorava nel 1474,<br />

non bastano a fondare articolazioni essenziali; piuttosto<br />

avviano la maturazione di quei piú vasti impianti prospettici<br />

<strong>della</strong> Sacrestia dei Consorziali. Bernardino potrà<br />

essere considerato autonomamente solo dopo la morte<br />

del padre, nel 1491.<br />

C’è un legame non propriamente subalterno fra la<br />

fascia inferiore <strong>della</strong> Sacrestia dei Consorziali e lo zoccolo<br />

dei due tronetti che Bernardino eseguí nel 1494 per<br />

il Battistero di Parma 136 . Nell’esattezza scarn<strong>it</strong>a e negli<br />

incroci luminosi di queste decorazioni geometriche a<br />

finto oggetto e a finto incavo, si ripropone al controllo<br />

percettivo l’esercizio mentale di una coincidenza volumetrica<br />

derivata dalla loro ideale ruotazione nello spazio.<br />

Nei due santi, dove non è meno spiccato che in Cristoforo<br />

l’intento di dare evidenza di struttura lineare alla<br />

trama degli incastri, l’es<strong>it</strong>o <strong>della</strong> figurazione non può piú<br />

essere di diretta matrice pierfrancescana, ma si colloca<br />

ad un punto di cultura simile a quello di certi p<strong>it</strong>tori<br />

veneteggianti di Padania (come il Caselli, che si trovava<br />

allora a Venezia). In quel Battistero imminente tra la<br />

trama regolare di una piazza idealizzata e l’Appennino<br />

che incombe, o in quella specie di utopia municipale del-<br />

Storia dell’arte Einaudi 52


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

l’edificio sul lato opposto, va riconosciuto un momento<br />

nuovo, certo non r<strong>it</strong>ardatario, rispetto al piú disteso<br />

ingranaggio di blocchi e di pause spaziali che Cristoforo<br />

aveva costru<strong>it</strong>o, ad esempio, a Lucca. Quella spianata<br />

continu<strong>it</strong>à <strong>della</strong> tavola di pero nell’edificio merlato<br />

non fa sentire neppure troppo distante l’immaginazione<br />

costruttiva, ciclopica e prospetticamente possibile,<br />

del Bramantino p<strong>it</strong>tore. Nell’altro tronetto questa tensione<br />

si è già allentata e non c’è troppo scarto dalle<br />

scene esegu<strong>it</strong>e anni avanti dal (e col) padre, specie quelle<br />

che furono montate in forma di armadio da Luchino<br />

Bianchino, evidente creato parmense di Cristoforo, e<br />

finirono presto rifuse nella Sacrestia dei Consorziali 137 .<br />

La carriera di Bernardino si concluse a Ferrara. All’inizio<br />

del secolo, assieme ad Angelo Discaccia da Cremona<br />

e a Pietro di Riccardo dalle Lanze, aveva assunto<br />

l’incarico di realizzare il nuovo coro <strong>della</strong> Cattedrale 138 .<br />

Pochi anni dopo morí, e ne occorsero ancora una ventina<br />

prima che il coro venisse terminato. Ma fu come se<br />

non fossero passati. La piú consistente manifestazione<br />

di fedeltà canoziana uscí proprio dalla c<strong>it</strong>tà in cui Lorenzo<br />

e Cristoforo avevano preso le mosse. Nell’assoluta<br />

persistenza degli stessi modelli (impiegati anche nel coro<br />

modenese di San Pietro) s’intravede una delle ragioni<br />

<strong>della</strong> crisi cinquecentesca <strong>della</strong> tarsia. Non è casuale che<br />

ciò avvenisse a Ferrara. Nel 1493 Pier Antonio degli<br />

Abati («Pero Antonio de Lendenara») aveva lavorato<br />

per Eleonora d’Este 139 . Nel 1492 venne chiamato da<br />

Modena Bartolomeo Spadari, «lignarie artis opifex per<strong>it</strong>issimus<br />

et precipue eorum operum que ornamentis tarsiensibus<br />

decorantur» 140 . Con lui si trovò a lavorare Pietro<br />

dalle Lanze, il collaboratore e continuatore di Bernardino<br />

nel coro del Duomo, di cui rimane a Ferrara un<br />

altro coro, quello di Sant’Andrea 141 nei suoi scorci urbani<br />

c’è un’ulteriore ricombinazione di temi lendinare-<br />

Storia dell’arte Einaudi 53


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

schi; la semplic<strong>it</strong>à di taglio e costruzione si avvicina particolarmente<br />

al bancone <strong>della</strong> Sacrestia dei Consorziali,<br />

mentre l’imminenza di certe strutture par risentire di<br />

Pier Antonio degli Abati. A Ferrara dunque i rami veneto<br />

ed emiliano dell’esperienza lendinaresca si riaccostarono.<br />

Ma su una linea, ormai, di tenace r<strong>it</strong>orno sui<br />

modelli consolidati.<br />

3. Sviluppi lendinareschi in area veneta.<br />

Tale ramificazione, come si è già detto, risaliva agli<br />

anni ’60, al momento in cui Cristoforo rimase a Modena,<br />

mentre il fratello si occupava del coro di Padova. Se<br />

la carriera di Cristoforo può essere ripercorsa in maniera<br />

sufficiente, ben poco rimane di quella di Lorenzo.<br />

Della sua attiv<strong>it</strong>à di p<strong>it</strong>tore possiamo intravedere solo<br />

qualche traccia o possibile riflesso. Immaginandolo, sulla<br />

scorta del ricordo di Luca Pacioli, come un diretto e precoce<br />

diffusore <strong>della</strong> cultura di Piero <strong>della</strong> Francesca in<br />

Veneto, l’attenzione si appunta su una Madonna del<br />

Museo Correr: un’opera di una consistenza cromatica<br />

smunta, quasi roca, ma di una concentratissima definizione<br />

luminosa dei piani. Che sia Lorenzo da Lendinara,<br />

è soltanto un sospetto, ma questa tavola è l’esempio<br />

piú tagliente di quella congiuntura culturale a<br />

cui dati biografici ed antiche testimonianze riconducono<br />

l’artista 142 .<br />

Un incendio ed un restauro ottocentesco hanno<br />

ridotto all’estremo anche l’immagine di Lorenzo come<br />

intarsiatore 143 . Non proprio al punto che faceva già dire<br />

al Lanzi «nulla ne avanza per giudicarne». Del grande<br />

coro del Santo (1462-69) rimangono due stalli, riadattati<br />

in forma di confessionali. Essi bastano ad indicare<br />

quanto la struttura e la tipologia decorativa fossero<br />

Storia dell’arte Einaudi 54


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

obbligate alla tradizione gotica degli intagli. L’occasione<br />

non fu cosí favorevole come a Modena al prevalere<br />

di campi destinati alla figurazione piana e alla percezione<br />

concatenata delle prospettive. Le due tarsie si accostano<br />

a quelle modenesi negli effetti di schermatura serrata<br />

delle aperture e nei tagli parziali. Ma altra è la<br />

varietà d’opera e la compless<strong>it</strong>à di legni in quello scorcio<br />

<strong>della</strong> Basilica intravista dal Chiostro delle Magnolia.<br />

Nell’altro pannello si aprono due ante a sbarre incrociate<br />

(elementi che Cristoforo non userà quasi mai): ne deriva<br />

una trama geometrica e cromatica inf<strong>it</strong>t<strong>it</strong>a, varia,<br />

coerente alla piú scand<strong>it</strong>a composizione lignaria dell’arcata<br />

sul fondo.<br />

Nessun controllo di stile può farsi sulle tarsie che<br />

Lorenzo realizzò nel 1474-76 per l’armadio delle reliquie,<br />

al Santo. I restauratori ottocenteschi salvarono<br />

dalla sost<strong>it</strong>uzione totale delle tessere lignee solo qualche<br />

pannello con nature morte, non le grandi figure di santi<br />

che campeggiano a scala naturale. Anche in questo caso<br />

il raffronto con l’opera di Cristoforo, e specificamente<br />

con il San Martino di Lucca, corrisponde ad una diversa<br />

direzione d’intenti. L’impianto larghissimo delle figure<br />

si accorda, a Padova, alla costruzione di un vasto alloggiamento<br />

prospettico, guidato dalla scacchiera di un<br />

pavimento a dimensione urbana. La struttura prospettica<br />

serví ad organizzare una compless<strong>it</strong>à di sagome e di<br />

tagli cromatici. Ma all’intavolatura geometrica sembra<br />

volersi legare una sollec<strong>it</strong>azione di memoria iconica: con<br />

un’intens<strong>it</strong>à d’immagine e di gesto che poteva suggerire<br />

qualcosa anche alla specifica condizione espressiva<br />

<strong>della</strong> xilografia, semplificativa e visualmente assertoria.<br />

Ed appare pertanto plausibile l’ipotesi che sia stato lo<br />

stesso Lorenzo (documentato anche come tipografo) a<br />

divulgare una derivazione a stampa del Sant’Antonio<br />

<strong>della</strong> sacrestia 144 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 55


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

A Padova, nel 1477, lo stesso anno in cui moriva<br />

Lorenzo da Lendinara, due intarsiatori emiliani, Domenico<br />

da Piacenza e Francesco da Parma, concludevano<br />

il coro vecchio di Santa Giustina 145 . Il riferimento a<br />

Lorenzo è determinante, anche se le prospettive sembrano<br />

talvolta aggregate per blocchi di volumi, quasi nel<br />

ricordo nelle vecchie figurazioni spaziose. Al coro<br />

distrutto del Santo risalgono i cr<strong>it</strong>eri fondamentali di<br />

queste vedute: che sono quello di una visione frontale<br />

incanalata dalla profond<strong>it</strong>à delle aperture, e l’altro di<br />

un’inquadratura parziale e spostata rispetto al centro<br />

<strong>della</strong> struttura arch<strong>it</strong>ettonica rappresentata. Si ripropongono<br />

quindi i valori <strong>della</strong> temporal<strong>it</strong>à e <strong>della</strong> consapevolezza<br />

percettiva.<br />

Diversa fu la reazione alla nuova tarsia prospettica<br />

a Venezia. Quando Marco Cozzi da Vicenza, ossia il<br />

maestro che domina la s<strong>it</strong>uazione lagunare fin verso la<br />

fine del secolo, inserisce una serie di prospettive nel coro<br />

dei Frari, lo fa combinandole ad incorniciature, aggetti,<br />

riquadri: in maniera da scoraggiare ogni attesa illusiva<br />

e da accrescere, invece, l’inesauribile varietà <strong>della</strong><br />

decorazione 146 . Di conseguenza l’incrocio, abnorme ed<br />

esib<strong>it</strong>o delle ortogonali serve a decorare le superfici<br />

messe a tarsia con una mobilissima trama geometrica.<br />

Viene da pensare a quell’accezione favolosamente narrativa<br />

che dello spazio geometrico aveva portato a Venezia<br />

Jacopo Bellini. O, in modo piú diretto, a quel San<br />

Gerolamo <strong>della</strong> Galleria dell’Accademia di Ravenna, che<br />

fu corrivamente rifer<strong>it</strong>o a Cristoforo da Lendinara: un<br />

dipinto in cui la minuzia degli sportelli aperti nello studiolo,<br />

dando quasi la sensazione di assistere allo scatto<br />

combinato di una serie di trappole o congegni ottici,<br />

richiama una costruzione prospettica paradossale; ma<br />

liberamente desunta e stravolta, piú che acerbamente<br />

tentata 147 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 56


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Nelle c<strong>it</strong>tà dell’entroterra veneto la cultura lendinaresca<br />

trovò diffusione piú stabile ad opera di Pier Antonio<br />

degli Abati. Nella prima metà del Cinquecento, il<br />

Michiel ricorda il coro del Santo sotto il nome dei Canozi,<br />

ma aggiunge: «parte, zoè le spalliere, de mano de<br />

Piero Antonio dell’Abà da Modena» 148 . È certo comunque<br />

che l’Abati sviluppa le premesse indicate da Lorenzo<br />

in quelle due uniche tarsie superst<strong>it</strong>i. La sua attiv<strong>it</strong>à<br />

pare concentrarsi nel penultimo decennio del secolo,<br />

quando lavora contemporaneamente al perduto coro di<br />

San Francesco a Treviso (1483-86) e a quello del Santuario<br />

del Monte Berico, a Vicenza (1484-87).<br />

Del secondo rimangono alcuni pannelli riadattati nei<br />

mobili <strong>della</strong> sacrestia 149 . È quanto basta a riconoscere<br />

presumibilmente a questo stesso complesso uno sparso<br />

pannello del Museo Horne 150 . Ma soprattutto a riferire<br />

all’Abati, o al suo raggio immediato, un altro coro vicentino,<br />

che questa volta è integro, quello di Santa Corona<br />

151 . Il campo stretto e verticale degli specchi fa dell’inquadratura<br />

un elemento di scatto ottico, l’orlo dinamico<br />

di un cannocchiale che si dirige su strutture disposte<br />

ad inciampo e a rapida quinta. Pier Antonio degli<br />

Abati ha un’estrema, semplicissima attenzione per i<br />

valori di texture delle diverse essenze; e impiega ombre<br />

artificiali, integrando con dosature di tono le successioni<br />

di spazio. In questo senso, l’intarsiatore (che nel 1473<br />

si trovava a Parma) dimostra di non avere perso contatto<br />

con il cognato Cristoforo da Lendinara.<br />

Un altro coro vicentino, quello che da San Bartolomeo<br />

venne trasportato al Monte Berico, cost<strong>it</strong>uisce una<br />

tappa ulteriore del medesimo Pier Antonio o una derivazione<br />

diretta (la sua bottega doveva essere sufficientemente<br />

larga da reggere il carico <strong>della</strong> comm<strong>it</strong>tenza<br />

affollata in quegli anni) 152 . Dichiara comunque un radicamento<br />

ancora piú esplic<strong>it</strong>o nell’ambiente figurativo<br />

Storia dell’arte Einaudi 57


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

vicentino, in un momento di notevole apertura. Qui la<br />

moltiplicazione degli effetti di «sabbiatura» non esclude<br />

l’innesto di rovere affogato in corrispondenza delle<br />

ombre; e certe costruzioni a scacchiera richiamano quella<br />

snodata modulazione di strutture geometriche, sfondamento<br />

ottico e mossa cromatica che Bartolomeo Montagna<br />

propone nella pre<strong>della</strong> <strong>della</strong> pala di San Bartolomeo<br />

(l’esempio non è dunque casuale). Non sembra neppure<br />

lontano quel modo di tener sulla corda la combinazione<br />

di profond<strong>it</strong>à geometrica e svariatezza cromatica<br />

che dovette essere dell’oggi larvale Decollazione di<br />

san Paolo, in San Lorenzo, opera presumibile del Buonconsiglio.<br />

Si sta sostenendo, insomma, che la linea veneta dei<br />

Lendinara, nel senso per cui anche l’Abati venne indicato<br />

con tale appellativo, non rimase in quest’area geografica<br />

come una presenza estranea o inerte. Tale integrazione<br />

è confermata dalle quattro grandi prospettive,<br />

oggi al Museo Antoniano, che Pier Antonio degli Abati<br />

eseguí attorno al 1490 153 . In maniera spaziosamente piú<br />

docile sono riprese le intavolature prospettiche dell’ultimo<br />

Lorenzo: non a caso, dunque, il contratto faceva<br />

riferimento agli armadi <strong>della</strong> sacrestia dei Frari, a Venezia,<br />

che Pacioli ricordò col nome del Canozi. L’arcone<br />

arch<strong>it</strong>ettonicamente descr<strong>it</strong>to e prospetticamente connesso<br />

alla scena non è piú il trampolino di un’accelerazione<br />

visiva; ma apre una pagina prospettica quietamente<br />

distesa. Il confronto con la piú radicale fedeltà<br />

pierfrancescana delle tarsie lucchesi di Cristoforo, àncora<br />

l’Abati alla sponda veneta del bacino prospettico<br />

padano.<br />

Questa linea discende anche verso Sud, nella fascia<br />

di costa. Si è già detto che l’Abati lavorò a Ferrara. Fra<br />

l’88 e il ’93 Giovanmarco da Lendinara, il figlio di<br />

Lorenzo, lavorava al perduto coro di Rovigo: «el degno<br />

Storia dell’arte Einaudi 58


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

coro in nostro convento», come ricorda il francescano<br />

fra Luca Pacioli. Questa diffusione lendinaresca e veneta<br />

credo che possa spiegare un caso problematico ed<br />

ancora poco noto come quello del coro riminese di San<br />

Marino, esegu<strong>it</strong>o a metà degli anni ’90 154 . Le inquadrature<br />

strettissime e profonde selezionano piú di un tema<br />

volumetrico abatiano, ma eliminandone le spezzature di<br />

colore. Un’edilizia conosciuta solo per spigoli e frammenti<br />

si posa nella fredda purezza <strong>della</strong> luce. Lo stesso<br />

taglio dei legni, largo ed elementare, apre facce prospettiche<br />

dense e lisce di colore che, fra i p<strong>it</strong>tori, possono<br />

richiamare soltanto certi veneti contemporanei,<br />

come Alvise Vivarini, il Bastiani o il Diana. Lo stile<br />

lignario, che deriva dunque dall’esperienza lendinaresca<br />

del Veneto, raggiunge momenti di solenne corsiv<strong>it</strong>à nelle<br />

tarsie del registro inferiore. Le profilature divaganti e la<br />

scelta luminosa delle essenze sciolgono le strutture geometriche<br />

di una spazial<strong>it</strong>à che affida ai piani di luce e ai<br />

lenti scambi di colore la propria trasparenza intellettuale.<br />

Si direbbe quasi che la linea veneta <strong>della</strong> tradizione<br />

lendinaresca trovi qui il corrispettivo di quell’«epica<br />

artigiana» riconosciuta da Arcangeli nelle «ruote» di<br />

Cristoforo a Pisa: ma centrata sul taglio luminoso e liberamente<br />

semplice del legno, piú che sulla potenza dell’immaginazione<br />

meccanica.<br />

4. La zona lombarda.<br />

Le piú rilevanti eccezioni al prevalente assetto lendinaresco<br />

<strong>della</strong> tarsia padana tardo-quattrocentesca<br />

ebbero luogo in Lombardia, a Cremona e a Pavia.<br />

Entrambe trovarono importanti sviluppi extraregionali:<br />

verso il Piemonte la prima, sulla costa ligure l’altra. Ma<br />

non furono tra loro omogenee. Mentre il caso pavese<br />

Storia dell’arte Einaudi 59


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

presupponeva intenti alternativi e indipendenti rispetto<br />

all’esperienza lendinaresca, quello cremonese ne cost<strong>it</strong>uí<br />

la piú profonda, per quanto diretta, trasformazione.<br />

Fu appunto alla piú famosa opera padovana dei Lendinara<br />

che si fece riferimento stipulando il contratto per<br />

il coro del Duomo di Cremona, nel 1483: «modo et<br />

forma» avrebbe dovuto tenerne conto Giovanni Maria<br />

Platina, intarsiatore mantovano 155 . Era un termine di<br />

confronto materiale molto impegnativo; e difficilmente<br />

ci si sarà voluti vincolare ad una tipologia arch<strong>it</strong>ettonica<br />

e decorativa già superata. Che ci si volesse invece riferire<br />

anche ad una particolare e moderna qual<strong>it</strong>à espressiva<br />

del commesso ligneo, pare confermato dalla resistenza<br />

che il cap<strong>it</strong>olo cremonese oppose al tentativo di<br />

far subentrare in quel lavoro operatori locali (Tomaso<br />

Sacca e Pantaleone de’ Marchi): e l’argomento fu che<br />

«opera dicti Magistri Johanis Marie valde ipsis dominis<br />

canonicis placebant» o che «excedunt in decoro opera<br />

dictorum magistrorum». L’intarsiatore mantovano era<br />

tutt’altro che sconosciuto al cap<strong>it</strong>olo cremonese: fra il<br />

1477 e l’80 aveva realizzato il grande armadio <strong>della</strong><br />

sacrestia del Duomo. Mentre la sua diretta discendenza<br />

lendinaresca fu attestata fin dal 1489 dal vicario del<br />

Duomo di Cremona 156 .<br />

Il sant’Imerio del coro, ad esempio, richiama tale origine<br />

nel modo in cui viene sfasata la combinazione di<br />

figura ed arco prospettico, come nei profili dell’incastro<br />

che scandiscono luce ed ombra con vigore articolatissimo.<br />

Sulla base di questa ident<strong>it</strong>à fra figurazione e meccanica<br />

credo che convenga, anche per il Platina, accantonare<br />

ogni tentativo di rinvenire il responsabile dei<br />

cartoni in persona diversa dall’intarsiatore 157 . Nelle scene<br />

di c<strong>it</strong>tà e di paesaggio il Platina alleggerisce l’accordo fra<br />

intavolatura lignea e serratezza spaziale che era propria<br />

dei Lendinara. Piú che alla struttura grafica del legno e<br />

Storia dell’arte Einaudi 60


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

alle sue valenze prospettiche, l’intarsiatore mantovano<br />

è attentissimo alle possibil<strong>it</strong>à cromatiche <strong>della</strong> materia.<br />

Usa legni boll<strong>it</strong>i nelle erbe o sbiancati con la cerussa, ma<br />

la straordinaria qual<strong>it</strong>à cromatica delle sue tarsie è legata<br />

ad un’intelligenza strep<strong>it</strong>osa delle diverse qual<strong>it</strong>à<br />

luminose dei legni, degli effetti di cangianza e di posizione.<br />

Di conseguenza il campo visivo si slontana, si<br />

allarga, favorisce strutture oblique e distanti, accogliendo<br />

una combinazione varia e sminuzzata delle<br />

essenze. Il telaio visivo dell’arcone acquista una leggibil<strong>it</strong>à<br />

lieve, fino a combinare e spartire paesaggi e nature<br />

morte; oppure l’inquadratura assume il senso descr<strong>it</strong>tivo<br />

di un parato murario. Comunque l’impennata prospettica<br />

dei Lendinara si allenta 158 .<br />

Il coro <strong>della</strong> Certosa di Pavia va considerato nel<br />

quadro di esperienze <strong>della</strong> corte milanese al tempo di<br />

Ludovico il Moro. Se ne potrà misurare l’eccezional<strong>it</strong>à<br />

rispetto a Pavia e ad una circolazione di cultura non cortigiana<br />

pensando che fu avviato non molto tempo dopo<br />

che i fratelli Donati avevano cominciato ad intagliare il<br />

coro di San Francesco: che è lontanissimo non solo per<br />

scelta tecnica e figurativa, quanto per l’iconografia correlata,<br />

che potrebbe sembrare quasi neo-medievale 159 .<br />

A Pantaleone de’ Marchi, «magister tarsiarum et<br />

perspective», si chiese di lavorare secondo i disegni che<br />

gli agenti ducali gli avrebbero procurato a nome <strong>della</strong><br />

Certosa. Figurazione e tecnica delle tarsie pavesi propongono<br />

infatti un riferimento privilegiato alla p<strong>it</strong>tura<br />

e, in maniera piú o meno diretta, al piú illustre p<strong>it</strong>tore<br />

<strong>della</strong> corte, Bernardo Zenale 160 .<br />

Questo strettissimo rapporto d’intese formali non<br />

significò subalternanza <strong>della</strong> tarsia, riduzione ai canoni<br />

percettivi <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura, nel senso che sarà proprio dell’età<br />

cinquecentesca di fra Damiano e di Vasari. La tarsia,<br />

come le vetrate, è parte coerente del complesso oriz-<br />

Storia dell’arte Einaudi 61


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

zonte materiale <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura lombarda; dove «l’estetica<br />

“de quinque corporibus regularibus” diventò, nelle mani<br />

dei lombardi, un’altra favola da narrare e adornare» 161 .<br />

Nel pol<strong>it</strong>tico di Treviglio, in cui Zenale lavorò con Butinone,<br />

i piani si succedono nell’intervallo lucidissimo<br />

degli spazi schiacciati, fra spioventi prospettici; ma il<br />

congegno visivo non può essere separato dallo stupore<br />

per le materie preziosissime, con la quant<strong>it</strong>à di ori che<br />

rarefanno il valore illusivo delle superfici pigmentate e,<br />

reciprocamente, con la presenza suntuaria del colore in<br />

mezzo all’oro. Questo stesso cr<strong>it</strong>erio polimaterico portò<br />

ad inserire nelle tarsie pavesi tavolette dipinte di oro; a<br />

fingere, con la p<strong>it</strong>tura invece che con il legno, metalli o<br />

sfere cristalline; a legare le essenze vegetali con stucchi<br />

colorati o dorati. Perfino quella perspicu<strong>it</strong>à d’occhio<br />

accordata ad un fasto impossibile che portò Zenale a<br />

distinguere nei capelli i filamenti serpentinati e battuti<br />

dal riflesso dell’oro trova qualche rispondenza nel commesso<br />

ligneo dei dossali pavesi. Il taglio e la profilatura<br />

dei legni non comportano invece valori di struttura prospettica.<br />

Si costruiscono interi campi di colore con legni<br />

boll<strong>it</strong>i nelle erbe o essenze tendenti al rosso e al bruno,<br />

commettendo forme irregolari e senza ragione strutturale.<br />

È l’effetto cromatico dell’intarsio che interessa.<br />

Questa tecnica potrebbe essere paragonata piú facilmente<br />

all’opera dei <strong>maestri</strong> vetrari del tempo che non<br />

alla tarsia praticata nelle botteghe dei Lendinara o di<br />

Giuliano da Maiano.<br />

È quindi naturale che la tarsia lombarda si offra<br />

facilmente alle aperture paesaggistiche, accantonando<br />

le ord<strong>it</strong>ure regolari <strong>della</strong> trama prospettica e mantenendo<br />

legami diretti con il linguaggio dei p<strong>it</strong>tori. I pannelli<br />

dipinti negli armadi <strong>della</strong> sacrestia di Santa Maria<br />

delle Grazie a Milano (dal 1498 si lavorò al lato di sinistra,<br />

nel 1503 fu avviato quello a destra) si sost<strong>it</strong>uisco-<br />

Storia dell’arte Einaudi 62


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

no di fatto a possibili lavori di commesso, ma con sufficiente<br />

libertà tematica 162 . Paesaggi che sarebbe impossibile<br />

immaginare in una regione diversa da quella di<br />

Foppa e Bergognone corrispondono ai pannelli píú sorprendenti<br />

del Coro dei Conversi di Pavia (oggi frammentario,<br />

alterato e disperso fra il Bode Museum e il Jacquemart-André)<br />

che Pantaleone de’ Marchi eseguí in<br />

apertura di secolo 163 ; o in uno splendido cassone nuziale<br />

che andrà rifer<strong>it</strong>o, quanto meno, alla sua bottega 164 .<br />

Questa bottega si ramificò. Nel coro <strong>della</strong> Cattedrale<br />

di Savona, commissionato nel 1500 ad Anselmo Fornari<br />

da Castelnuovo di Tortona e ad Elia Rocchi, concluso<br />

una quindicina di anni dopo, furono riadattati due<br />

cartoni che Pantaleone de’ Marchi aveva impiegato nel<br />

Coro dei Conversi 165 . È il segno di un preciso collegamento<br />

operativo. Ma agli esempi di tarsia lombarda<br />

dovevano guardare anche i fabbriceri <strong>della</strong> Cattedrale<br />

ligure. All’organizzazione figurativa del maggior coro<br />

pavese rimanda la scelta di occupare tutti quanti i dossali<br />

maggiori con figure di santi (e, ovviamente, il cardinale<br />

Giuliano Della Rovere, che poi venne rappresentato<br />

come papa Giulio), mentre ai temi prospettici<br />

delle nature morte sono destinati gli stalli del giro inferiore.<br />

Anche la tecnica, piú compattamente lignaria che<br />

a Pavia ed affidata maggiormente alle ombre ottenute<br />

con sabbia rovente, risale ai cr<strong>it</strong>eri del cantiere lombardo.<br />

Pertanto, prima di stare a distinguere le «mani»<br />

degli intarsiatori, in casi come questo, occorrerebbe<br />

cercar d’individuare i diversi p<strong>it</strong>tori che fornirono i<br />

cartoni: perché appunto ancora di una tarsia intesa come<br />

estensione <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura si tratta. È utile suggerire che il<br />

modello p<strong>it</strong>torico di diverse figure del coro savonese può<br />

risalire a Marco d’Oggiono, che nel 1501-1502 stava<br />

lavorando agli affreschi <strong>della</strong> distrutta Cattedrale del<br />

Priamar, da cui proviene il coro 166 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 63


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

5. Espansione fiorentina.<br />

Seguendo gli sviluppi <strong>della</strong> tarsia padana, ci siamo<br />

allontanati dai tempi in cui a Firenze Giuliano da Maiano<br />

portava a termine la sacrestia del Duomo. Nel 1468,<br />

al momento di liquidare gli ultimi lavori (ossia la ghirlanda<br />

sorretta dai putti), ci si consultò «cum pluribus<br />

magistris erud<strong>it</strong>is in dicta arte lignaminis et perspective»<br />

167 . Il numero e la capac<strong>it</strong>à dei legnaioli fiorentini colpirono<br />

altri testimoni, come Giovanni Rucellai o Benedetto<br />

Dei, per il quale «Florentie bella» nel 1472 contava<br />

«84 botteghe di lignainolo di tarsia» 168 .<br />

Ovviamente non tutte erano all’altezza di quella dei<br />

da Maiano. Né ad essa cap<strong>it</strong>avano soltanto occasioni del<br />

tipo <strong>della</strong> sacrestia. Il ventaglio <strong>della</strong> produzione era<br />

larghissimo. Si era formata una specializzazione fiorentina<br />

in grado di rispondere ad una richiesta assai varia<br />

e di diffondersi su di un’area geografica molto ampia.<br />

Diversi oggetti comportavano decorazioni prospettiche:<br />

dai lettucci e i cassoni (dove potevano essere inquadrate<br />

immagini del tipo <strong>della</strong> cosiddetta c<strong>it</strong>tà ideale di Urbino)<br />

ai mobili dove l’opera di tarsia era lim<strong>it</strong>ata alla decorazione<br />

a «toppo» 169 .<br />

Una produzione cosí larga apre la possibil<strong>it</strong>à di competenze<br />

operative differenziate, ma anche suscettibili<br />

d’integrazione. I «toppi», ad esempio, potevano essere<br />

prodotti in una bottega diversa da quella che li avrebbe<br />

poi messi in opera; e pertanto diventare merce di esportazione.<br />

Basterà ricordare «i dodici calzuoli di tarsia»<br />

che Giuliano da Maiano spedí bell’e pronti a Pisa<br />

per il Pontelli 170 ; o ai «3 ducati di tarsia di quella stretta,<br />

cioè bruciolo, vento, larnoctolo» che maestro Berto<br />

fiorentino mandava a chiedere in patria, addir<strong>it</strong>tura da<br />

Zagabria 171 .<br />

Insieme alle competenze, si scandisce una gerarchia<br />

Storia dell’arte Einaudi 64


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

dei prodotti. Le grandi occasioni <strong>della</strong> tarsia prospettica<br />

fiorentina, già nelle scelte figurative, mostrano una<br />

piú esplic<strong>it</strong>a connessione fra il mestiere del legnaiolo e<br />

quello di chi era in grado di organizzare maggiori problemi<br />

di costruzione, l’arch<strong>it</strong>etto appunto. «E in Toscana,<br />

massime», Federico da Montefeltro cercò chi potesse<br />

presiedere alla costruzione del palazzo di Urbino; in<br />

Toscana «dove è la fontana degli arch<strong>it</strong>ettori» 172 .<br />

Non sorprende che tali grosse occasioni venissero<br />

spesso sollec<strong>it</strong>ate da fuori Firenze. Nelle Marche incontriamo<br />

tarsie fiorentine a Loreto, a Montefiorentino, a<br />

Camerino 173 . Ma è ad Urbino che si trova l’esempio piú<br />

famoso <strong>della</strong> tarsia prospettica fiorentina: lo Studiolo di<br />

Federico da Montefeltro, esegu<strong>it</strong>o in una fascia di tempo<br />

che solo di poco potrà uscire dai lim<strong>it</strong>i del 1474 e del<br />

1476 174 .<br />

Una bibliografia ragionata sullo studiolo, percorsa da<br />

impacci e contraddizioni di giudizio, finirebbe per riproporre<br />

gran parte delle avvertenze che hanno cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o<br />

la prima parte di questo saggio. Se ora si preferisce insistere<br />

sul doppio problema attributivo del maestro di<br />

<strong>prospettiva</strong> e del p<strong>it</strong>tore che collaborò con lui, è perché<br />

lungo queste due traiettorie sarà possibile incontrare<br />

diversi episodi e problemi che caratterizzano la tarsia<br />

fiorentina nell’ultimo trentennio del Quattrocento.<br />

La questione <strong>della</strong> patern<strong>it</strong>à lignaria si è pigramente<br />

assestata sul nome presunto del fiorentino Baccio<br />

Pontelli (tanto che in un’indagine recente, che sembrerebbe<br />

un modello di scrupolosissima oggettiv<strong>it</strong>à<br />

documentaria, si riferisce il nome del Pontelli scivolando<br />

via con un immotivabile «senza dubbio») 175 .<br />

All’opposto, anche dopo che si è riconosciuto in Botticelli<br />

l’ideatore delle parti di figura 176 , davanti al problema<br />

dell’organizzazione complessiva dello studiolo, si<br />

tende talvolta a mettere quasi fra parentesi proprio<br />

Storia dell’arte Einaudi 65


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

l’ambiente figurativo di Firenze. L’organica integrazione<br />

di progetti avvenuta nelle due botteghe fiorentine,<br />

con l’ovvia grav<strong>it</strong>azione di responsabil<strong>it</strong>à sul maestro<br />

di legname, imporrebbe già di rinunciare a spiegazioni<br />

troppo complesse e contradd<strong>it</strong>torie. Come quando<br />

si cerca di dare un supremo ruolo progettuale al giovane<br />

Bramante (delle cui radici prospettiche questa è<br />

solo una componente, e neppure la piú diretta) 177 ; o a<br />

Francesco di Giorgio (che è cosa improbabile per registro<br />

cronologico come per ident<strong>it</strong>à figurativa, non<br />

potendo consentire il suo sperimentalismo una cosí edonizzante<br />

calibratura percettiva) 178 .<br />

In effetti quasi tutti i lavori di tarsia del palazzo di<br />

Urbino sono fiorentini 179 . Fanno eccezione alcune cose<br />

dove si potrà riconoscere le premesse di intarsiatori<br />

come l’Indivini o Antonio da Mercatello. La consistenza<br />

di queste imprese e il loro addensarsi intorno a quell’anno<br />

1474 che fu cap<strong>it</strong>ale nella fortuna di Federico da<br />

Montefeltro fanno immaginare facilmente una s<strong>it</strong>uazione<br />

che vide all’opera, ai livelli piú impegnativi, diversi<br />

fra i migliori intarsiatori di Firenze. Vale allora la pena<br />

di domandarsi se fu veramente il Pontelli l’autore dello<br />

studiolo.<br />

Nato nel 1450, il Pontelli percorse quella stessa carriera<br />

di legnaiolo-arch<strong>it</strong>etto che fu comune ad altri allievi<br />

del Francione, il piú anziano dei <strong>maestri</strong> di tarsia<br />

ricordati da Vasari 180 . L’immagine vasariana del Pontelli<br />

principale costruttore nella Roma di Sisto IV è svan<strong>it</strong>a<br />

in un alone d’incertezze. Può essere invece rintracciata<br />

la sua prima attiv<strong>it</strong>à di maestro di legname in una<br />

serie di documenti pisani degli anni ’70. Dopo una prima<br />

segnalazione che lo vede impegnato, giovanissimo ed in<br />

compagnia di un certo Pratese, a lavorare la sedia dove<br />

vennero inser<strong>it</strong>e le decorazioni inviate da Firenze da<br />

Giuliano da Maiano, il suo nome compare fra il ’75 e il<br />

Storia dell’arte Einaudi 66


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

’78 in relazione a consistenti lavori per la Cattedrale;<br />

tanto che nel ’75 a Pisa aff<strong>it</strong>tò una casa 181 . È lo stesso<br />

momento in cui a Firenze si stava lavorando lo Studiolo<br />

di Federico da Montefeltro.<br />

Considerazioni di stile (peraltro quasi dimenticate)<br />

hanno già connesso lo studiolo alla bottega dei da Maiano<br />

182 . La coincidenza cronologica con i lavori di Pisa<br />

esclude che vi potesse lavorare in maniera piú che occasionale<br />

il Pontelli. Un’ulteriore verifica stilistica ne dà<br />

conferma. Di Baccio Pontelli rimangono infatti nei<br />

magazzini dell’Opera del Duomo di Pisa tre pannelli di<br />

tarsia: consunti, frammentari e riadattati, provengono<br />

con certezza dalla sedia che nel 1475 il Pontelli presentò<br />

«per mostra» all’opera <strong>della</strong> Primaziale. Vi aveva lavorato<br />

assieme al fratello Piero 183 . Per la Car<strong>it</strong>à e la Fede<br />

potrebbe aver avuto a disposizione dei cartoni del Botticelli;<br />

il verrocchismo piú largo e abbreviato <strong>della</strong> Speranza<br />

fa invece pensare ad un Biagio di Antonio, o qualcosa<br />

di simile. Le tre tarsie pisane mostrano con chiarezza<br />

che il Pontelli fu intarsiatore diverso, e di rango<br />

certamente inferiore, rispetto a quello dello studiolo di<br />

Urbino. Ne condivideva però, sia pure in una forma piú<br />

asciutta <strong>della</strong> costruzione lignea, tecnica ed orientamenti<br />

figurativi. La distinzione è insomma di magistero tecnico,<br />

non di estrazione.<br />

Tutto questo non è un puntiglio attributivo. Né può<br />

essere trascurato che negli stessi anni, nella bottega dei<br />

da Maiano come in quella dei Pontelli, ci si rivolgesse<br />

verso una medesima linea p<strong>it</strong>torica, verso Sandro Botticelli.<br />

La compattezza sostanziale fra gli intarsiatori<br />

usc<strong>it</strong>i dalla bottega del Francione è un fatto su cui occorrerebbe<br />

essere informati meglio.<br />

Le tarsie di Pisa, se ci fossero giunte nelle originarie<br />

condizioni di estensione ed integr<strong>it</strong>à: in modo da<br />

associarsi con sicurezza ai dati di archivio, avrebbero<br />

Storia dell’arte Einaudi 67


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

certamente aiutato a distinguere quella compatta s<strong>it</strong>uazione<br />

di stili lignari. Ma riescono ancora utili per valutarne<br />

le comuni connessioni con la bottega del Botticelli.<br />

Spero che non riesca troppo azzardato riconoscere i preliminari<br />

grafici e luminosi del p<strong>it</strong>tore nei tre profeti provenienti<br />

dalla sedia dei celebranti, esegu<strong>it</strong>a da Giuliano<br />

da Maiano nel 1470 184 . Le nicchie scanalate sono le<br />

medesime che accolgono, nella sacrestia di Santa Maria<br />

del Fiore, san Zanobi e i due diaconi; ma è cambiato<br />

l’autore delle figure. A Pisa, le profilature sottilmente<br />

lucenti (di origine baldovinettiana) si combinano ai solchi<br />

grafici, profondi ed irregolari, di matrice verrocchiesca.<br />

La stessa risoluzione lignaria di ombre e tracciati<br />

corrisponde alla Fortezza botticelliana degli Uffizi.<br />

Ma consentiamo un po’ di cautela.<br />

Dove invece essa non sembra aver senso è per il diacono<br />

(san Lorenzo?) che ha gli stessi caratteri lignari<br />

dello studiolo di Urbino. In maniera ormai del tutto inequivocabile,<br />

vi compare una sagoma chiusa e centrata<br />

in quella frontal<strong>it</strong>à intensissima, r<strong>it</strong>micamente sbilanciata<br />

che Botticelli precisa verso la metà dell’ottavo<br />

decennio 185 .<br />

Una sedia del Duomo di Pisa fu commissionata a<br />

Francesco di Giovanni, detto il Francione. Non è sicura<br />

l’identificazione di quest’opera con la serie residua<br />

delle arti liberali 186 . Ad esse non corrisponde l’unica<br />

opera documentata che di lui ci rimane. Si tratta <strong>della</strong><br />

Porta dei Gigli che realizzò sul 1480 assieme a Giuliano<br />

da Maiano. Su una delle facce sono posti a fronte<br />

Dante e Petrarca. Distinzioni radicali di tecnica non<br />

sono consent<strong>it</strong>e. Ma se dall’immagine stilistica di Giuliano<br />

da Maiano, che in qualche modo conosciamo e che<br />

si r<strong>it</strong>rova particolarmente nella figura di Petrarca, è<br />

leg<strong>it</strong>timo «sottrarre» i dati esecutivi che caratterizzano<br />

il viso di Dante, potremmo orientarci nell’individua-<br />

Storia dell’arte Einaudi 68


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

zione del Francione. Quel modo scand<strong>it</strong>o e piú semplificativo<br />

degli innesti lo r<strong>it</strong>roveremo presto in un altro<br />

allievo del Francione, Baccio d’Agnolo. Il cartone dei<br />

due poeti uscí, ancora una volta, dalla bottega di Botticelli,<br />

o dalle mani del suo giovanissimo allievo Filippino<br />

Lippi, cui mi sembrerebbe corrispondere meglio la<br />

cadenza neobrancacciana del panneggio 187 .<br />

A Filippino Lippi Baccio d’Agnolo ricorse certamente<br />

per il San Giovanni Battista e il San Lorenzo del<br />

coro di Santa Maria Novella (1491-96) 188 . La trasposizione<br />

plastica e luminosa dei cartoni è segnata da fasce<br />

ondeggianti o ad anello, dove s’inf<strong>it</strong>tisce un tratteggio<br />

d’innesti minuti e ben scand<strong>it</strong>i. È una tecnica tipicamente<br />

fiorentina. Il Dante <strong>della</strong> porta di Palazzo Vecchio<br />

dava già un esempio di questo modo di addensare<br />

i tratti lignari con un effetto grafico, piuttosto che di<br />

regolato trapasso cromatico. Ma Baccio d’Agnolo sembra<br />

insistere, con un propos<strong>it</strong>o di piú marcata autonomia<br />

espressiva, verso la messa a punto di una tipic<strong>it</strong>à<br />

affidata all’identificazione percettiva di uno specifico<br />

medium figurativo. Non potevano sfuggire i paralleli<br />

sviluppi <strong>della</strong> xilografia.<br />

L’insistenza con cui nel corso di questo paragrafo si<br />

è cercato di evidenziare gli autori dei modelli p<strong>it</strong>torici<br />

(nel senso, ormai chiaro, che le parti di figura furono<br />

subordinate all’impaginazione stabil<strong>it</strong>a dal maestro di<br />

<strong>prospettiva</strong>) non contraddice la necess<strong>it</strong>à di considerare<br />

le tarsie in ordine all’autonomia del manufatto e dell’espressione<br />

figurativa. Ma tale espressione a Firenze<br />

non può essere scissa del tutto dal modo in cui interagirono<br />

cartone e figura lignaria. Di qui il senso di questi<br />

tentativi attributivi. Si può anzi cercare di ricavare<br />

qualche indicazione dai prevalenti riferimenti botticelliani<br />

<strong>della</strong> tarsia fiorentina negli anni dello studiolo di<br />

Urbino.<br />

Storia dell’arte Einaudi 69


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Studiando Botticelli, mer<strong>it</strong>erebbe di riflettere di piú<br />

su questa disponibil<strong>it</strong>à del p<strong>it</strong>tore a fornire progetti che<br />

avrebbero trovato concretezza materiale diversa dalla<br />

p<strong>it</strong>tura, e per mano di altri operatori. Ciò avviene non<br />

sulla base di un distinto statuto delle arti, come poi nel<br />

Cinquecento, ma secondo quella compless<strong>it</strong>à ed integrazione<br />

di esperienze tecniche che è tipica delle botteghe<br />

fiorentine del secondo Quattrocento. Questo modello<br />

di articolazione operativa dà un riferimento alla stessa<br />

produzione p<strong>it</strong>torica. Si possono cosí spiegare quelle<br />

opere botticelliane, fedelmente gelide, che si è spesso<br />

tentati di privare anche delle degradanti nomenclature<br />

di bottega, ecc., chiamandole piuttosto im<strong>it</strong>azioni quattrocentesche.<br />

Ma la nozione d’im<strong>it</strong>azione implic<strong>it</strong>a troppo<br />

le nostalgie storiche dell’Ottocento. Si tratterà invece<br />

di non andare in cerca, nell’atelier di Botticelli, di<br />

quel grado di concatenazione produttiva e di controllata<br />

oscillazione di manifattura che fu canonicamente fissato<br />

nella bottega di Giotto.<br />

La bottega di Botticelli divenne la forn<strong>it</strong>rice quasi<br />

esclusiva delle figure intarsiate da Giuliano da Maiano.<br />

Nello studiolo di Urbino non vengono piú aggregati cartoni<br />

di provenienza diversa, come al tempo <strong>della</strong> sacrestia<br />

del Duomo. Nello stabilirsi di questa continu<strong>it</strong>à di<br />

rapporti va probabilmente riconosciuto anche uno svolgimento<br />

<strong>della</strong> poetica lignaria dell’intarsiatore. La tecnica<br />

con cui venne esegu<strong>it</strong>o lo studiolo è la stessa <strong>della</strong><br />

sacrestia (lasciamo perdere le articolazioni di qual<strong>it</strong>à, in<br />

base alle quali si potrebbero riconoscere «mani» diverse:<br />

che è un passo praticabile, ma ancora azzardato).<br />

Nella sacrestia, il sistema degli innesti corrisponde ad<br />

una struttura f<strong>it</strong>ta di dettagli luminosi, sfaccettati con<br />

un cr<strong>it</strong>erio perspicuo e sostanzialmente regolare. Nella<br />

Car<strong>it</strong>à di Urbino o nel diacono di Pisa, invece, la costruzione<br />

cromatico-luminosa del commesso aderisce libe-<br />

Storia dell’arte Einaudi 70


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

ramente ad ogni piú riposta fibra del modello p<strong>it</strong>torico:<br />

non per un obbligo di traduzione, ma identificando i<br />

propri mezzi materiali con la sublime, astratta continu<strong>it</strong>à<br />

di movimento, con la dosatura lineare e le moltiplicazioni<br />

grafiche del cartone botticelliano.<br />

Le scene prospettiche dello studiolo allentano quella<br />

misura proporzionale stretta che è abbastanza consueta<br />

nelle tarsie; c’è una geometria piú lentamente<br />

squadernata in quei vani di larga vibrazione luminosa.<br />

Senza particolari imposizioni di metrica, una serie di<br />

armature scherma la profond<strong>it</strong>à di uno di questi vani. È<br />

un caso stupefacente di creativ<strong>it</strong>à lignaria: per rest<strong>it</strong>uire<br />

il lustro dei metalli, sono impiegati numerosi tagli e<br />

specie diverse di una medesima essenza, il noce. La luce<br />

avvolgente può ancora richiamare le fredde cubature di<br />

spazio del Botticelli, senza che se ne debba intravedere,<br />

anche per queste parti, una responsabil<strong>it</strong>à progettuale.<br />

Torniamo dunque al punto centrale dell’illusione<br />

ottica. Si è detto già che, ponendone il progetto nei termini<br />

di una regia necessariamente superiore a quella del<br />

maestro di legname, si continua talvolta a collocare lo<br />

studiolo fuori dall’ambiente fiorentino, o comunque ai<br />

suoi margini. Indirizzando la questione verso una cultura<br />

bramantesca ancora in fieri, o credendo di darne<br />

ragione con il comodo passe-partout melozzesco o «padovano»,<br />

si finisce ancora una volta per subordinare la tarsia<br />

ad una privilegiata idea di p<strong>it</strong>tura: lo studiolo viene<br />

infatti associato d’istinto ai dipinti di piú esib<strong>it</strong>a costruzione<br />

arch<strong>it</strong>ettonica; come tali, almeno alle apparenze,<br />

meno frequenti a Firenze che altrove. Pur sempre a<br />

date che precedono il fenomeno storico <strong>della</strong> quadratura,<br />

si tratta invece di tener presente la distinzione fondamentale<br />

fra p<strong>it</strong>tura intesa come rappresentazione prospettica<br />

di storia, che è codificata dall’Alberti, e figu-<br />

Storia dell’arte Einaudi 71


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

razione piana di puri luoghi arch<strong>it</strong>ettonici, esemplificata<br />

da Masaccio (e Brunelleschi) con la Trin<strong>it</strong>à di Santa<br />

Maria Novella.<br />

Di qui allo studiolo il passaggio è piú diretto che non<br />

partendo dall’immediato precedente cronologico <strong>della</strong><br />

Camera degli Sposi. A Mantova come ad Urbino si entra<br />

in spazi di continua figurazione illusiva. Nella Camera<br />

degli Sposi si svolge l’illusione di una fastosa memoria<br />

cerimoniale, piena di persone e quasi sospesa nel tempo,<br />

ma legata alle sue misure. Mentre ad Urbino anche la<br />

presenza delle tre virtú e del duca nella boiserie (in alto<br />

stavano i dipinti con i r<strong>it</strong>ratti degli uomini esemplari) è<br />

bloccata nelle stesse nicchie che sarebbero toccate a<br />

sculture.<br />

Un piú utile termine di confronto può essere la<br />

parete che Giuliano da Maiano intarsiò nella sacrestia<br />

del Duomo, dove finse di sfondare il muro verso spazi<br />

di differenziata caratterizzazione arch<strong>it</strong>ettonica.<br />

Rispetto a questa versione spettacolare e gradevole <strong>della</strong><br />

Trin<strong>it</strong>à, lo studiolo recupera i valori piú ambigui <strong>della</strong><br />

cognizione prospettica. Non si tratta piú di fingere<br />

un’apertura; gli oggetti avanzano verso chi li osserva.<br />

Siamo al punto in cui la <strong>prospettiva</strong> sfiora l’inganno<br />

ottico. Una lacuna rettangolare nella parete esterna<br />

dello studiolo corrisponde allo spazio che doveva essere<br />

occupato da un quadretto. Con perizia incredibile<br />

furono realizzati a tarsia il chiodo destinato a sorreggerlo,<br />

la cordicella, le loro ombre portate, l’ombra sottostante<br />

di una cornice che manca. Ma l’immagine perduta<br />

sarà stata im<strong>it</strong>ata a tarsia o si sarà trattato di un<br />

quadretto vero e proprio, un oggetto reale: in modo da<br />

spingere all’estremo lo scambio fra illusione e realtà?<br />

Ambigu<strong>it</strong>à, inganno, illusione non sono, tuttavia, categorie<br />

storiche o termini formali autosufficienti. Qui la<br />

<strong>prospettiva</strong>, in primo luogo, «intende a costruire sog-<br />

Storia dell’arte Einaudi 72


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

gettivamente l’osservatore, a edificarlo nell’ordine <strong>della</strong><br />

pura razional<strong>it</strong>à» 189 .<br />

Ogni elemento è intarsiato nell’assoluta continu<strong>it</strong>à<br />

<strong>della</strong> superficie piana; non ci sono aggetti, né argini visivi.<br />

È una condizione capovolta rispetto all’idea albertiana<br />

di «finestra» prospettica e alle consapevolezze<br />

relative. Mentre Cristoforo da Lendinara, anche nelle<br />

occasioni di massimo sviluppo prospettico, delim<strong>it</strong>a i<br />

campi di apertura visiva, proponendo semmai una loro<br />

concatenazione temporale, a conferma di una consapevole<br />

alter<strong>it</strong>à di spazi, ad Urbino luogo reale e luogo<br />

illusivo convergono 190 . Se questo non riporta alle tensioni<br />

conosc<strong>it</strong>ive del Brunelleschi e del primo umanesimo,<br />

cosí come non può anticipare l’empirica avvertenza<br />

dei sensi che sarà propria dell’illusionismo barocco,<br />

è anche in forza di certe scelte propriamente stilistiche<br />

compiute nello studiolo, del modo in cui vennero<br />

intervallati e disposti gli oggetti: elementi carichi di<br />

allusione simbolica, ma anche presenze familiari nel<br />

luogo idealmente quotidiano dell’otium e <strong>della</strong> riflessione<br />

morale.<br />

Lo studiolo che Federico da Montefeltro fece successivamente<br />

eseguire per il palazzo di Gubbio (oggi è<br />

al Metropol<strong>it</strong>an Museum di New York) ne cost<strong>it</strong>uisce<br />

una radicalizzazione conseguente 191 . Il presupposto di<br />

una figurazione non di storia, ma di puri corpi inanimati<br />

e di spazi vuoti, è sviluppato con coerenza estrema. A<br />

concretare la percezione prospettica sono esclusivamente<br />

strumenti musicali e di scienza, insegne, libri, strutture<br />

lignee, legati dal tema geometricamente quasi ossessivo<br />

delle losanghe variamente combinate negli sportelli.<br />

L’esecuzione lignaria è meno concentrata che ad<br />

Urbino, non concede tanto alle possibil<strong>it</strong>à mimetiche; la<br />

luce taglia piú schematicamente. Ma l’ombra portata da<br />

un leggio semplicissimo, che va a scomporsi nettissima<br />

Storia dell’arte Einaudi 73


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

sulla finta articolazione degli aggetti, è un «tour de<br />

force» <strong>della</strong> cognizione spaziale, la dimostrazione del<br />

suo «a priori» geometrico, non un caso di semplice virtú<br />

tecnica proposta allo stupore empirico. In questa maggiore<br />

asciuttezza di stile risalta l’estraniazione prospettica<br />

delle cose alla loro fisica immediatezza. Per quanto<br />

possa essere stata realizzata alla corte dei Montefeltro<br />

(negli stessi anni in cui era presente il Pontelli, che non<br />

potrebbe essere del tutto estraneo alla sua esecuzione),<br />

anche questa impresa ha le sue radici a Firenze, nelle<br />

botteghe dei legnaioli-arch<strong>it</strong>etti.<br />

Su scala minore e ribaltato di direzione, il medesimo<br />

problema strutturale degli studiosi di Urbino e Gubbio<br />

si ripropone nel leggio che un altro legnaiolo-arch<strong>it</strong>etto,<br />

Bernardo di Marco Renzi (allievo di Francesco<br />

d’Angelo detto la Cecca, da cui derivò il soprannome)<br />

eseguí nel 1498 per San Miniato al Monte (Firenze,<br />

Museo del Bargello) 192 . Qui infatti il raccordo fra superfici<br />

prospettiche distinte, che negli studioli sono aggregate<br />

dall’un<strong>it</strong>à di luogo, si ripropone all’inverso, come<br />

continu<strong>it</strong>à degli effetti illusivi durante l’aggiramento<br />

spaziale del mobile. La tensione percettiva è resa piú<br />

acuta dall’esatto urto visivo degli sportelli, traforati da<br />

straordinarie combinazioni geometriche. Ma questo<br />

mobile non è meno straordinario per la qual<strong>it</strong>à degli<br />

intagli. Vedremo sub<strong>it</strong>o cosa significherà questo doppio<br />

registro di lavorazione – tarsia ed intaglio – per gli sviluppi<br />

dell’opera di legname a Firenze ed altrove. Anche<br />

se in una storia come questa, legata ad un aspetto particolare<br />

<strong>della</strong> figurazione del legno, gli intagli entrano<br />

troppo di sfugg<strong>it</strong>a; e sembra quasi perduta una buona<br />

occasione per ricordare la grandezza di Domenico del<br />

Tasso 193 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 74


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

6. Grottesche, intagli, prospettive in Umbria.<br />

Sul fondo <strong>della</strong> stanza in cui il Ghirlandaio ambientò<br />

la Nasc<strong>it</strong>a <strong>della</strong> Vergine, nel ciclo di Santa Maria Novella,<br />

c’è una spalliera a specchiature intarsiate con disegni<br />

di grottesche, desunti dall’antico 194 . Si tratta di una possibile<br />

prefigurazione di un mobile moderno, naturalmente<br />

fastoso; ma non di un elemento di sorpresa.<br />

Accanto alle eccezionali imprese «illusionistiche», come<br />

quelle degli studioli, si era stabilizzato a Firenze un<br />

repertorio decorativo che non corrispondeva necessariamente<br />

alla composizione di «toppi», alle sagome geometriche,<br />

alle piú semplici costruzioni prospettiche.<br />

Anche le forme semplificate con simmetria, ma non<br />

mimetiche, dei vasi con fiori, o altri temi vegetali, avevano<br />

conosciuto una loro moderna evoluzione.<br />

Tali temi si accordano bene agli sviluppi che l’opera<br />

d’intaglio ha verso la fine del secolo e agli inizi del<br />

Cinquecento. Tendono a diventare un equivalente bidimensionale,<br />

una proiezione sul piano, appena scand<strong>it</strong>a<br />

da due toni di legno, di un repertorio decorativo non<br />

troppo diverso da quello degli intagli; comunque ad esso<br />

ben integrato. La diffusione degli intagli e delle semplici<br />

tarsie che vanno trasformandosi nelle forme delle<br />

grottesche non è cosa che riguarda Firenze soltanto, ma<br />

è tipico di un po’ tutta l’Italia centrale. Vale dunque la<br />

pena di estendere il raggio geografico di queste considerazioni,<br />

localizzandole semmai in quell’area umbra<br />

dove la presenza di <strong>maestri</strong> fiorentini fu sempre consistente<br />

e diretta 195 .<br />

Appunto negli stessi anni in cui Ghirlandaio concludeva<br />

gli affreschi di Santa Maria Novella, a Perugia<br />

il fiorentino Domenico del Tasso portava a termine<br />

(1491) il coro del Duomo, avviato dieci anni avanti da<br />

Giuliano da Maiano 196 . I tre pannelli centrali, i soli con<br />

Storia dell’arte Einaudi 75


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

tarsie prospettiche, sono raccordati nell’illusione di un<br />

unico vano spaziale, squadrato e scand<strong>it</strong>o in maniera da<br />

accogliere tre figure di santi. Al di sopra, la tarsia ripropone<br />

illusivamente i trafori a girali di un’arte del legno<br />

ormai trascorsa. In tutti gli altri stalli, invece, campeggiano<br />

grandi vasi fior<strong>it</strong>i, variatissimi pur nella regola<br />

semplificativa <strong>della</strong> loro simmetria e dell’accostamento<br />

di due sole qual<strong>it</strong>à di legno, noce ed acero. Non si tratta<br />

di decorazioni classicizzanti, come quelle sugger<strong>it</strong>e da<br />

Ghirlandaio (e che neppure Baccio d’Agnolo, nel coro<br />

sottostante di Santa Maria Novella, mise in opera). La<br />

loro combinazione strutturale avrebbe potuto consentire<br />

l’emergenza di temi decorativi come le grottesche. Si<br />

spiega pertanto la rapida (e già matura) presenza di tali<br />

decorazioni nelle spalliere del Collegio del Cambio, compiute<br />

da Antonio Bencivenni da Mercatello nel 1508. E,<br />

di conseguenza, la loro diffusione nei mobili umbri del<br />

primo Cinquecento.<br />

Il consolidarsi delle grottesche, nelle tarsie come<br />

negli intagli, scandí il nuovo prestigio dell’opera «di<br />

rilievo» rispetto a quella «piana». Non si può dimenticare,<br />

in Umbria, che il coro <strong>della</strong> Basilica Inferiore di<br />

Assisi (1471), con le sue specchiature intagliate a trame<br />

ancora «gotiche», è lontano piú per ragioni ideali che di<br />

tempo. Ma ora rilievo e grottesche calibrano il rettangolo<br />

dei postergali, hanno il privilegio assiale dell’attenzione<br />

prospettica. Nella lunga fase dei lavori per il<br />

coro di Sant’Agostino a Perugia (1502-32), si arrivò a<br />

riproporre alternamente, in pannelli intagliati e in pannelli<br />

a tarsia, il medesimo tema decorativo delle grottesche<br />

197 . Ma esse finirono sempre piú spesso per identificarsi<br />

con l’opera di rilievo.<br />

L’organismo strutturale e la coerenza arch<strong>it</strong>ettonica<br />

dell’insieme, in queste condizioni, acquistano un nuovo<br />

peso. Siamo al polo opposto, scontatamente, di quella<br />

Storia dell’arte Einaudi 76


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

sintassi di campi figurati ed elementi di partizione che<br />

Cristoforo da Lendinara aveva maturato a favore delle<br />

aperture prospettiche. Non si stenta ad ambientare a<br />

Perugia un contratto come quello sottoscr<strong>it</strong>to nel 1524<br />

da Bernardino di Luca per il coro di San Pietro, dove<br />

vennero descr<strong>it</strong>ti con molta puntual<strong>it</strong>à le diverse componenti<br />

morfologiche di una coerente arch<strong>it</strong>ettura di<br />

legname, ma non le decorazioni 198 .<br />

La prevalenza dei lavori d’intaglio e, con essi, delle<br />

grottesche condizionò gli sviluppi <strong>della</strong> tarsia prospettica.<br />

La sua crisi, in Umbria, si manifesta attraverso un<br />

sostanziale trasferimento di attenzioni figurative. In<br />

apertura di secolo, la s<strong>it</strong>uazione è rappresentata molto<br />

bene dalla porta che Antonio Bencivenni da Mercatello<br />

realizzò per il Collegio del Cambio (1501). La grande<br />

<strong>prospettiva</strong> che si compone ad ante chiuse richiama<br />

motivi diffusi da p<strong>it</strong>tori ed intarsiatori fiorentini a fine<br />

Quattrocento. Anche l’incorniciatura, a rombi regolari<br />

e f<strong>it</strong>ti, può ricordare esempi fiorentini. Ma il modo in<br />

cui l’immagine si spezza, perdendo l’ideale central<strong>it</strong>à<br />

visiva, per accordarsi alle partizioni decorative, elude<br />

qualcosa <strong>della</strong> tensione ottica di quei modelli. Vengono<br />

a mente altre porte, nel palazzo di Urbino. L’intarsiatore<br />

marchigiano (Mercatello non è lontano da Urbino)<br />

doveva essere cresciuto in una s<strong>it</strong>uazione locale di riflessi<br />

e derivazioni fiorentine, formatasi attorno al cantiere<br />

di Federico da Montefeltro 199 .<br />

Con un passaggio troppo brusco, rispetto alla successione<br />

dei fatti, si può considerare il coro <strong>della</strong> Cattedrale<br />

di Todi, che lo stesso intarsiatore, ormai trapiantato<br />

in Umbria, prese a lavorare molti anni dopo.<br />

Collaborò con lui il figlio Sebastiano, che lo concluse nel<br />

1530, due anni dopo la morte del padre. Al figlio, probabilmente,<br />

spettano le responsabil<strong>it</strong>à maggiori in queste<br />

tarsie, anche troppo note. La linea di crisi che, rispet-<br />

Storia dell’arte Einaudi 77


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

to alla porta di Perugia, è qui decifrabile non corrisponde<br />

a rinunce radicali, a mutazioni di orizzonte; ma<br />

non passa neppure attraverso la replica rigorosa degli<br />

impianti già collaudati, come in Padania. Comprenderemo<br />

meglio queste visioni di una vacillante convergenza<br />

prospettica e di una precaria tenuta volumetrica alla<br />

luce, peraltro indiretta, di Giovanni da Verona e di<br />

tutte quelle soluzioni, piú svelte o p<strong>it</strong>toresche, che si<br />

erano diffuse in Italia centrale nel primo quarto del<br />

secolo. Piuttosto, quanto viene accentuato, quasi per un<br />

eccesso d’ident<strong>it</strong>à tematica, è un repertorio di casi specifici,<br />

un’ostensione di piazze ed arch<strong>it</strong>etture, ancorata<br />

piú alle ragioni di una piacevole iconografia che non ad<br />

una salda fiducia costruttiva. Tanto che all’interno di un<br />

medesimo pannello si combinano, senza urto e senza<br />

accordo, i temi originariamente distinti delle nature<br />

morte e delle prospettive 200 .<br />

La tendenza ad identificare la tarsia prospettica con<br />

i moduli <strong>della</strong> sua tradizione può giustificare l’attiv<strong>it</strong>à in<br />

Umbria di un intarsiatore padano. È il modenese<br />

Andrea Campani, autore nel 1534 del coro di San<br />

Lorenzo a Spello 201 . Legato alle matrici lendinaresche del<br />

suo mestiere, non raggiunge però quel grado di consapevolezza<br />

che spinse altri suoi contemporanei e conterranei<br />

ad accentuarne la codificazione. Accenna agli es<strong>it</strong>i<br />

lendinareschi cautamente rinnovati di un Bianchino,<br />

quando riproduce, con una tensione centrata ed asettica,<br />

il monumentale ciborio che era stato innalzato a<br />

Spello stessa, in Santa Maria Maggiore, da Rocco da<br />

Vicenza. Piú spesso questo canone di central<strong>it</strong>à serve a<br />

dilatare in superficie la vecchia regola geometrica <strong>della</strong><br />

tarsia padana. Ad ambientare il Campani in Umbria (in<br />

condizioni che, anche per ragioni di geografia, cost<strong>it</strong>uiscono<br />

un segno chiaro delle difficoltà che si stringevano<br />

attorno a questa tecnica), è opportuno ricordare il<br />

Storia dell’arte Einaudi 78


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

seggio vescovile che, all’inizio degli anni Venti, Ciancio<br />

di Pierfrancesco eseguí per il Duomo di Perugia, toccando<br />

un coerente, per niente banale equilibrio fra la<br />

tradizione prospettica «urbinate» e quella lendinaresca.<br />

Cerchiamo di riprendere una piú ordinata successione<br />

di tempi. Risaliamo alla fine del Quattrocento,<br />

quando Domenico Indivini da San Severino, assieme ad<br />

altri intarsiatori <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà, lavorava al coro <strong>della</strong> Basilica<br />

Superiore di Assisi (1491-1501) 202 . Negli stalli inferiori<br />

incontriamo i consueti temi di natura morta, cosí<br />

come nel leggio si avvertono le premesse di quel tipo di<br />

decorazione che si svolgerà nel senso <strong>della</strong> grottesca. Gli<br />

arcistalli sono invece sormontati da nicchie e cuspidi,<br />

spart<strong>it</strong>e da pinnacoli: un organismo complesso, inusuale<br />

a queste date, di possibile origine adriatica. Nelle<br />

specchiature si succede una memorabile galleria di santi<br />

francescani, affacciati sulla soglia prospettica di un’arcatella<br />

ed atteggiati secondo l’inesauribile lessico gestuale<br />

<strong>della</strong> predicazione. Si può intravedere, in un caso di<br />

rilevanza esemplare come quello <strong>della</strong> maggior basilica<br />

umbra, un’altra ragione del mancato consolidamento<br />

<strong>della</strong> tarsia prospettica nella regione. La figurativ<strong>it</strong>à<br />

<strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura è qui condizione normativa, non per l’espressione<br />

stilistica, ma per qual<strong>it</strong>à iconica. Ancora nel<br />

1530, all’intarsiatore del seggio di San Lorenzo a Spello,<br />

s’impose la chiarezza plastica delle tre figure bibliche<br />

tracciate da un p<strong>it</strong>tore non troppo diverso dallo<br />

Spagna.<br />

7. Antonio Barili: «coelo non penicillo».<br />

Il cruciale confronto con la p<strong>it</strong>tura si ripropone per<br />

un’altra serie di tarsie compiute nei primissimi anni del<br />

Cinquecento: quelle che furono nella Cappella di San<br />

Storia dell’arte Einaudi 79


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Giovanni, nel Duomo di Siena. Ne rimangono sette<br />

nella Collegiata di San Quirico d’Orcia, mentre un’altra,<br />

che si trovava a Vienna (Österreichisches Museum<br />

für Kunst und Industrie), andò distrutta con la guerra<br />

ultima. Il fatto che, di queste otto immagini, una sola<br />

corrisponda a quelle figurazioni prospettiche che in origine<br />

si alternavano con le tarsie di figura, può far riflettere<br />

sulle naturali condizioni selettive del momento cr<strong>it</strong>ico<br />

che ne consentí la sopravvivenza. Ma l’intens<strong>it</strong>à dell’accampatura<br />

fisica, in queste tarsie, è cosa che trova<br />

piú facilmente confronto nella p<strong>it</strong>tura. Paragonando il<br />

lavoro condotto con la sgorbia (coelo) agli effetti propri<br />

<strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura, Antonio Barili intese indicare un preciso<br />

fattore percettivo, sottolineando una scelta di stile lignario<br />

tanto alta e singolare che si stenta a s<strong>it</strong>uarla in un’accertata<br />

trama di momenti e di relazioni 203 .<br />

Intanto, i tempi di esecuzione si dilatarono piú del<br />

consueto. Nel 1482 si fece il contratto, ma solo sette<br />

anni dopo si cominciò a procurare i legnami necessari 204 .<br />

Su uno dei pannelli risulterà la data 1502, mentre nel<br />

1504 Giovanni da Verona fu chiamato per la perizia<br />

finale. Il frate si trovava a Monte Oliveto da un paio di<br />

anni: i tempi sono troppo stretti per consentire uno<br />

scambio fra i due artisti in questa particolare occasione.<br />

Nella vasta opera dell’intarsiatore veneto non incontreremo<br />

mai tarsie dove la figura umana centri con tanta<br />

pienezza il campo dell’immagine, con un ingombro che<br />

riesce un po’ assente al racconto. La stessa figura dell’artista<br />

chino sull’opera è piú l’equivalente narrativo<br />

<strong>della</strong> consueta rappresentazione degli strumenti di lavoro<br />

che non un autor<strong>it</strong>ratto propriamente atteggiato.<br />

Questa considerazione tocca sub<strong>it</strong>o il problema dell’autore<br />

dei cartoni. Per Longhi gli «insuperabili intarsi»<br />

di San Quirico denunciavano «i modelli di un qualche<br />

grande p<strong>it</strong>tore toscano» 205 . Per il primo ed<strong>it</strong>ore delle<br />

Storia dell’arte Einaudi 80


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

tarsie, il Carli, il responsabile di quei modelli non poteva<br />

essere che il Barili stesso. Ora che tutta una serie di<br />

particolari sono stati isolati e messi a riscontro fotografico<br />

con altrettanti segmenti morelliani dell’opera di<br />

Signorelli la questione dei cartoni è probabilmente risolta<br />

206 . Ma fino a quale punto? La misura spaziale di queste<br />

tarsie è troppo legata al caso specifico per trovare<br />

confronti con il p<strong>it</strong>tore. Sulle sue asciuttissime cubature,<br />

prevale la cesura lineare di una piú inquieta cultura<br />

prospettica (quella di un Bartolomeo <strong>della</strong> Gatta, forse<br />

di un Giovanni Orioli). La costruzione spaziale si smorza<br />

in grandi partizioni di colore; di un colore che anche<br />

nel legno trova effetti di instabil<strong>it</strong>à e quasi di macchia.<br />

La tess<strong>it</strong>ura irregolare del commesso ligneo riassorbe<br />

quanto potrebbe esserci di prevedibile in un tracciato<br />

signorelliano. L’intarsiatore si è insomma sovrapposto al<br />

p<strong>it</strong>tore; spiazzandolo attraverso gli stessi istinti p<strong>it</strong>torici<br />

del proprio mezzo.<br />

Barili usa accostare tessere anche grandi. Con una<br />

stessa essenza, replicata secondo i diversi orientamenti<br />

<strong>della</strong> fibra, forma interi campi di superficie. Ma poi<br />

estende i trattamenti artificiali del legno, «vela» con<br />

ombre «sabbiate», in coesione n<strong>it</strong>idissima con le giunture<br />

volumetriche. C’è in questo un effettivo parallelo<br />

di poetica con il maturo Bartolomeo <strong>della</strong> Gatta. Altri<br />

aspetti dell’opera dell’intarsiatore si accordano a tali<br />

propos<strong>it</strong>i: come l’assoluta semplic<strong>it</strong>à dei toppi; o le larghe<br />

superfici di legni conglomerati, destinate ad allentare,<br />

con il loro effetto di marmorizzazione, il taglio<br />

troppo serrato delle quinte prospettiche.<br />

La grande fortuna cr<strong>it</strong>ica toccata nel secondo Ottocento<br />

ad Antonio Barili lo riguardò invece come maestro<br />

d’intagli: in questo campo la sua attiv<strong>it</strong>à è documentata<br />

a sufficienza. La sua formazione d’intagliatore è stata<br />

recentemente valutata in rapporto al cantiere di Urbi-<br />

Storia dell’arte Einaudi 81


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

no, alla scultura in pietra 207 . Non c’è dubbio che gli intagli<br />

di Antonio Barili rappresentano una delle prove piú<br />

rilevanti di quel protoclassicismo che fa capo anche agli<br />

spostamenti nell’Italia centrale di Ambrogio Barocci, e<br />

che ha in Siena uno dei poli di riferimento piú bisognosi<br />

d’indagine.<br />

All’immagine stilistica del Barili intagliatore corrisponde<br />

abbastanza bene, quasi come una premessa<br />

necessaria, il coro di Santa Maria Nuova a Fano. Il<br />

Barili vi lavorò tra il 1484 e il 1489, assieme al fratello<br />

Andrea. Si fa molta fatica, invece, a collegare le tarsie<br />

del coro marchigiano a quelle fin<strong>it</strong>e a San Quirico d’Orcia.<br />

Se lo scarto fosse solo di qual<strong>it</strong>à, si potrebbe immaginare<br />

tranquillamente che ad esse avesse atteso il fratello<br />

piú anziano. Non se ne può invece spingere le contraddizioni<br />

di cultura fino al punto di privilegiare, nei<br />

pannelli di Fano, un riflesso lendinaresco 208 . I nostri<br />

vuoti d’informazione sulla tarsia senese del secondo<br />

Quattrocento sono evidenti. Le tarsie di Fano sembrano<br />

corrispondere già ad un eclettico incontro di esperienze<br />

lignarie: dove pesa anche la diffusione <strong>della</strong> tarsia<br />

fiorentina in zona marchigiana, con effetti del genere<br />

dell’Indivini.<br />

Non è casuale la presenza dei fratelli Barili lungo la<br />

costa dell’Adriatico. A Pesaro, nelle tarsie del coro di<br />

Sant’Agostino, incontriamo un episodio senza dubbio<br />

minore rispetto a quello di San Quirico d’Orcia; ma le<br />

soluzioni vivacemente cromatiche <strong>della</strong> tecnica d’intarsio<br />

richiamano in qualche maniera il Barili 209 . L’inquadratura<br />

piccola, a sviluppo orizzontale si accorda bene<br />

ad una specie di bozzettismo lignario, libero dal rigore<br />

delle cadenze prospettiche, o pronto a sgangherarle felicemente.<br />

La virtú lignaria degli incastri sottili, dei legni<br />

boll<strong>it</strong>i nelle erbe, e di tono fortemente scand<strong>it</strong>o, evidenzia<br />

un cromatismo mosso, per tocchi veloci. L’ubi-<br />

Storia dell’arte Einaudi 82


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

cazione adriatica di queste tarsie non contraddice quel<br />

caso altissimo di sommarietà lignaria che i lendinareschi<br />

del Veneto diffusero lungo la costa: il coro dei Santi<br />

Marino e Bartolomeo a Rimini. Ma è un riferimento soltanto<br />

parziale.<br />

In ordine agli effetti «macchiati» delle tarsie del<br />

Barili, conta di piú seguire la linea che da Pesaro riporta<br />

verso l’interno. La prevalenza di effetti luminosi,<br />

tanto sommari da allentare l’armatura prospettica, riconduce<br />

a quelle spazial<strong>it</strong>à da pre<strong>della</strong> che sono tipiche del<br />

coro di Sansepolcro: dove la sigla di un loggiato o le scacchiere<br />

larghe dei pavimenti possono accostare il ricordo<br />

di qualche tema signorellesco in formato ridotto 210 . Simili<br />

effetti di piccolo armamentario prospettico, arrischiato<br />

come un castello di carte, ma ricco di colore, troviamo<br />

nel leggio di San Domenico a Gubbio. È stato attribu<strong>it</strong>o<br />

a Paolo Sensi detto il Tersuolo, da Gubbio, ad una<br />

data oscillante fra il 1492 e il ’97 211 .<br />

8. Giovanni da Verona e la rete dei conventi olivetani.<br />

Una delle tarsie di San Quirico d’Orcia rappresenta<br />

gli strumenti del maestro di legname. La loro diradata<br />

inclinazione nello spazio si accorda alle quattro losanghe<br />

vuote degli sportelli semichiusi. Il pannello è di una<br />

semplic<strong>it</strong>à vertiginosa. Solo gli effetti misuratissimi <strong>della</strong><br />

luce e il batt<strong>it</strong>o caldo delle parti in ombra bilanciano uno<br />

squadro stereometrico troppo avvert<strong>it</strong>o. Non è dunque<br />

soltanto per la qual<strong>it</strong>à intensamente policroma, prevalente<br />

nelle tarsie di figura, che Antonio Barili può essere<br />

confrontato con Giovanni da Verona 212 . Nel pieno del<br />

classicismo cinquecentesco, il frate olivetano sostenne<br />

un ideale prospettico affilatissimo, teso oltre la sembianza<br />

materiale delle cose. La sua presenza si avverte<br />

Storia dell’arte Einaudi 83


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

dietro altri episodi di cui si è parlato nei due ultimi paragrafi.<br />

Giovanni da Verona era giunto a Monte Oliveto,<br />

vicino a Siena, nel 1502. Non era piú agli esordi, aveva<br />

passato i quarant’anni. La prima opera che di lui conosciamo<br />

precede solo di qualche anno. Rimane dunque<br />

sconosciuta la sua prima fase. Ma le notizie forn<strong>it</strong>e sui<br />

suoi spostamenti dalle Familiarum tabulae degli Olivetani<br />

possono suggerire qualche ragione <strong>della</strong> sua precoce<br />

affin<strong>it</strong>à con gli intarsiatori <strong>della</strong> Toscana meridionale,<br />

dell’Umbria, delle Marche. A Monte Oliveto si era già<br />

trovato, forse, nel 1474; di certo due anni dopo, al<br />

momento <strong>della</strong> professione monastica. Fra l’80 e l’84 è a<br />

Perugia, dove lavora come maestro d’intaglio 213 . Ad intarsiare<br />

si vuole invece che imparasse da un confratello piú<br />

anziano, Sebastiano da Rovigno («Schiavone», quindi).<br />

Il che significa far rimbalzare queste induzioni su<br />

altre induzioni biografiche: dello Schiavone infatti non<br />

abbiamo opere 214 . I due olivetani s’incontrarono certamente<br />

nel convento di San Giorgio a Ferrara, fra il<br />

1477 e il ’79. È possibile che la formazione di fra Sebastiano<br />

avesse risent<strong>it</strong>o del clima lendinaresco <strong>della</strong> Padania.<br />

Certo è che nel coro di San Giorgio a Ferrara si trovano<br />

due tarsie (le uniche: cfr. nota 125) di evidente origine<br />

canoziana. Quella a quinte urbane sottili e sfuggenti,<br />

specialmente, potrebbe anche essere un fragile<br />

indizio in favore del piú anziano degli intarsiatori olivetani.<br />

È comunque uno spiraglio concreto, per quanto<br />

minimo, per individuare, assieme al luogo, le condizioni<br />

culturali dell’incontro avvenuto nell’officina monastica.<br />

Lo Schiavone era al corrente di esperienze lignarie<br />

diverse da quella dei Lendinara, dominante a Ferrara.<br />

Si era trovato nella Firenze maianesca del 1470-74;<br />

e prima ancora a Monte Oliveto, in quell’area senese<br />

dove i lavori di tarsia avevano tradizioni lontane.<br />

Storia dell’arte Einaudi 84


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Attraverso Sebastiano da Rovigno, fra Giovanni<br />

potrebbe aver già intravisto una linea diversa da quelle<br />

che, fino ad allora, avevano caratterizzato la tarsia prospettica.<br />

Non inconsapevole, tuttavia. Al di là di un’effettiva,<br />

e forse mai cosí rilevante lacuna di opere, c’è da<br />

chiedersi se quanto a noi può sembrare uno sfuggente<br />

radicamento culturale non sia invece il frutto di una<br />

maturazione svolta in condizioni materiali diverse dal<br />

consueto, da quella propria delle botteghe laiche: con i<br />

loro tram<strong>it</strong>i continui, la stabil<strong>it</strong>à delle attese locali, con<br />

gli spostamenti tanto meno imprevedibili. Questo estremo<br />

policentrismo <strong>della</strong> tarsia olivetana (che è diramatissimo<br />

agli effetti geografici, ma fa poi capo ad un referente<br />

un<strong>it</strong>ario, quello dell’ordine religioso), può inquadrare<br />

l’omogene<strong>it</strong>à sostanziale del percorso di fra Giovanni<br />

e la compattezza stilistica con i suoi derivati<br />

monastici.<br />

Questa omogene<strong>it</strong>à sembra già assestata al momento<br />

in cui Giovanni da Verona, nella c<strong>it</strong>tà natale, sta lavorando<br />

al coro di Santa Maria in Organo (1494-99). In<br />

zona padana, l’intarsiatore cui riesce meno improprio<br />

accostarlo è il Platina tardo del coro cremonese: specialmente<br />

quello delle tarsie paesaggistiche, dove prevale<br />

una selezione di essenze preziosamente leggere, piú che<br />

subordinate alle ragioni sintetiche <strong>della</strong> costruzione spaziale.<br />

Un profilo arch<strong>it</strong>ettonico compiuto, appoggiato su<br />

un regolare parato di mattoni, come quello che a Cremona<br />

inquadra la scena del pescatore 215 , è però un’utile<br />

premessa alle piú tipiche inquadrature di fra Giovanni:<br />

connotate arch<strong>it</strong>ettonicamente, esse sono ormai lontane<br />

dalle arcate lendinaresche (che avevano scarso ingombro<br />

fisico ma, per il taglio spaziale, un’alta capac<strong>it</strong>à dinamica).<br />

Un altro fattore per cui fra Giovanni risulta sganciato<br />

anche dal Platina è il ruolo notevolissimo degli<br />

intagli: che è significativo in se stesso, come moderna<br />

Storia dell’arte Einaudi 85


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

grammatica decorativa, ma anche in funzione delle specchiature<br />

intarsiate. Non a caso, nel liber professorum et<br />

mortuorum, Giovanni è annotato come «sculptor».<br />

Ma il punto di piú segnata nov<strong>it</strong>à corrisponde alle<br />

figurazioni arch<strong>it</strong>ettoniche ed urbane. L’arco che fa da<br />

inquadratura visiva è appoggiato su una semplice tavoletta,<br />

che potrebbe sembrare un primo avvio allo svolgimento<br />

spaziale. Per l’occhio, si è stabil<strong>it</strong>a una s<strong>it</strong>uazione<br />

ambigua. Da una parte l’arco, che è inscr<strong>it</strong>to nella<br />

cornice intagliata, fa da elemento decorativo, posto sulla<br />

stessa scala visiva di chi osserva (solo nella tarsia con i<br />

due monaci può essere riassorb<strong>it</strong>o come primo elemento<br />

<strong>della</strong> navata). Dall’altra, connettendosi direttamente<br />

al campo di figurazione prospettica, sembra condividerne<br />

la convenzionale riduzione di scala. Accentua questo<br />

secondo valore il carattere poco illusionistico delle<br />

scene, l’edilizia gracile e un po’ immaginosa, sprofondata<br />

a cannocchiale e smateriata da una tensione sovracuta<br />

<strong>della</strong> luce. Si potrebbe adattare, in questi casi, una formula<br />

panofskiana, parlando di «c<strong>it</strong>tà di bambola». E<br />

alcune volte, nei tempi successivi, fra Giovanni da Verona<br />

si spingerà deliberatamente in tal senso. In altre<br />

(come nelle tarsie del Duomo di Siena) ev<strong>it</strong>erà tale effetto<br />

inclinando notevolmente il piano prospettico <strong>della</strong><br />

scena urbana, con un es<strong>it</strong>o di netto inerpicamento. È<br />

chiaro però, per quanto ci si voglia servire <strong>della</strong> riadattata<br />

definizione di Panofsky, che questi non sono gli<br />

aggiustamenti costruttivi di una cultura pre-prospettica.<br />

Il discorso va esteso, piú in generale, alla strumentazione<br />

spaziale di Giovanni da Verona. Per quanto si parli<br />

spesso di lucid<strong>it</strong>à, rigore, ecc., non si può dimenticare<br />

che i suoi impianti sono spesso sommari, vacillano in<br />

qualche tratto. A queste date e in questo contesto figurativo,<br />

è una contraddizione solo apparente. La costruzione<br />

prospettica non è tanto il cr<strong>it</strong>erio che organizza il<br />

Storia dell’arte Einaudi 86


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

commesso ligneo, né l’oggetto riflessivo di una misura<br />

proporzionale. È innanz<strong>it</strong>utto oggetto iconico in se stessa,<br />

evocazione di un’immagine già costru<strong>it</strong>a nell’attesa<br />

mentale, piú che suo vettore compos<strong>it</strong>ivo. Non a caso<br />

nelle tarsie di fra Giovanni si troveranno in segu<strong>it</strong>o, e<br />

assai spesso, i corpi geometrici «pieni e vacui» che,<br />

attraverso i disegni leonardeschi, erano stati divulgati da<br />

Luca Pacioli. È lo stesso Pacioli che consiglia d’inserirli<br />

nell’«opifizio» perché «a li dotti e sapienti daranno da<br />

speculare», ma anche perché «lo renderanno adorno» 216 .<br />

Senza questo valore <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong>, come «decorazione»<br />

(nel senso che fu di Berenson), Giovanni da<br />

Verona non avrebbe potuto sfrenare la sua «immaginazione<br />

freddamente e furiosamente dimostrativa»<br />

(Arcangeli).<br />

Nelle tarsie esegu<strong>it</strong>e a Monte Oliveto nel 1502-505<br />

(poi riadattate nel piú antico coro del Duomo di Siena)<br />

217 , fra Giovanni accantona le scacchiere f<strong>it</strong>te e cromatiche<br />

che, a Verona, avevano cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o un possibile<br />

incrocio con la p<strong>it</strong>tura del retroterra veneto di fine secolo.<br />

Il difficoltoso incastro spaziale del primo piano è<br />

occupato, in alcuni casi, da un uccello: occasione di virtuosismi<br />

estremi; in altri si snoda sull’alzato di un proscenio.<br />

La morfologia arch<strong>it</strong>ettonica acquista qualche<br />

ragione di ricercatezza, piacevolmente improbabile. È<br />

questo un tema che avrà sviluppo, anche se con un po’<br />

di fretta esecutiva, nelle tarsie napoletane di Sant’Anna<br />

dei Lombardi (dal 1506 al 1510 fra Giovanni visse<br />

fra Napoli e Fondi). Una rappresentazione piú dolcemente<br />

intensiva ed astraente degli oggetti arch<strong>it</strong>ettonici<br />

consentí, ad esempio, di trascrivere il tempietto di San<br />

Pietro in Montorio 218 .<br />

A Roma fu poi chiamato a lavorare alle spalliere<br />

<strong>della</strong> Stanza <strong>della</strong> Segnatura 219 . Vennero rimosse assai<br />

presto, già al tempo di Paolo III. Per quanto se ne debba<br />

Storia dell’arte Einaudi 87


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

tarare i naturali caratteri raffaelleschi, un’idea di esse filtra<br />

dallo zoccolo <strong>della</strong> parete Nord, originariamente<br />

dipinto in forma di finte tarsie. Se, come è probabile,<br />

fra Giovanni eseguí anche la porta fra la Stanza <strong>della</strong><br />

Segnatura e quella di Eliodoro, l’accostamento al cantiere<br />

raffaellesco stimolò in lui un modo piú rarefatto nel<br />

dar corpo fisico alle cose, ma meno crudamente formale<br />

quanto all’astrazione prospettica. Cosa abbia significato<br />

per il veronese quel soggiorno romano, quando<br />

attorno a Bramante si stringevano le riflessioni su una<br />

nuova figurazione dello spazio, si può constatare nelle<br />

tarsie che eseguí, di r<strong>it</strong>orno da Roma, per la chiesa senese<br />

di San Benedetto fuori Porta Tifi, fin<strong>it</strong>e poi nel luogo<br />

fatale <strong>della</strong> cultura olivetana, a Monte Oliveto. L’incontro,<br />

con gli intervalli spaziali del classicismo romano<br />

determinò, probabilmente, quelle soluzioni piú dolcemente<br />

spiegate, degradanti, delle «c<strong>it</strong>tà di bambola»:<br />

dove l’arcone si trovò a posare su un palco visivamente<br />

strutturato, o fu impostato su un piú largo appoggio del<br />

proscenio. La scena urbana si dilata come un’immagine<br />

da guardare a lungo, piacevolmente, sollec<strong>it</strong>ati dalla<br />

memoria di luoghi canonici <strong>della</strong> tradizione classica,<br />

come il Colosseo. Anche nelle figurazioni di oggetti,<br />

con trame spiccatamente simboliche, prevale una larga<br />

norma sintattica: non sono proposte questioni d’illusiv<strong>it</strong>à<br />

o di tensione ottica, ma di metrica e di reciproca collocazione<br />

delle cose. Una valutazione classicista di Giovanni<br />

da Verona traspare, assieme al canonico confronto<br />

con la p<strong>it</strong>tura, dalle parole stesse di un bellissimo elogio<br />

steso nel 1517, quando veniva ricercato dai confratelli<br />

di Lodi:<br />

... de lignorum versicoloribus filis ac festucis quosqunque<br />

voluisses tam animalium quam hominum vultus<br />

exacte et examussim [con regolar<strong>it</strong>à] compaginabat et<br />

Storia dell’arte Einaudi 88


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

componebat aculea ut acu depicta crederes divino ingenio<br />

praed<strong>it</strong>a, non sine omnium admiratione concinne<br />

admodum variabat 220 .<br />

Giovanni da Verona segnò dunque l’avvento del «grande<br />

stile <strong>della</strong> tarsia» (Chastel), connettendosi al momento<br />

classico dell’arte centro-<strong>it</strong>aliana. Ma entro il raggio<br />

ben circoscr<strong>it</strong>to di uno specifico campo operativo, contrassegnato<br />

da una particolare vocazione astrattiva.<br />

R<strong>it</strong>ornato al Nord raggiunse nelle tarsie di Lodi e<br />

<strong>della</strong> sacrestia di Santa Maria in Organo livelli altissimi<br />

di varietà cromatica del legno: con ombre profonde,<br />

trasparenze di materia, riflessi luminosi. In questo<br />

senso, identificando la tarsia con una variante squis<strong>it</strong>amente<br />

tecnica <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura, non aveva torto Vasari a<br />

privilegiare le opere esegu<strong>it</strong>e, quasi per ultimo, nella<br />

c<strong>it</strong>tà natale.<br />

La produzione, spesso rapida e sempre omogenea, di<br />

Giovanni da Verona va ricondotta al cr<strong>it</strong>erio organizzativo<br />

degli intarsiatori olivetani, ormai numerosi nel<br />

Cinquecento. Non si tratta di una bottega nel senso<br />

tradizionale, con i suoi naturali svolgimenti gerarchici.<br />

È piuttosto una struttura circolante e diffusa. Il maestro<br />

forma allievi che poi andranno ad operare altrove, o che<br />

si troveranno a collaborare con lui in tempi e luoghi<br />

diversi. Dopo aver collaborato al coro di Monte Oliveto,<br />

il converso Raffaele da Brescia si trovò nuovamente<br />

a lavorare accanto al maestro nel convento di Napoli. Da<br />

ciò una stabil<strong>it</strong>à di modelli figurativi diffusi per tutta<br />

Italia. È evidentissima, ad esempio, nei pannelli del<br />

Louvre provenienti dal coro di San Benedetto Novello<br />

a Padova (1520-23), l’appartenenza all’ordine olivetano<br />

di fra Vincenzo dalle Vacche: solo il topos <strong>della</strong> ruotazione<br />

degli sportelli traforati e semiaperti si complica per<br />

una geometria ancora piú allucinata che in fra Giovan-<br />

Storia dell’arte Einaudi 89


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

ni, ma coerente alla grem<strong>it</strong>a vibrazione luminosa e simbolica<br />

degli oggetti appoggiati sui ripiani 221 .<br />

In maniera píú indipendente si sviluppò l’attiv<strong>it</strong>à di<br />

fra Raffaele da Brescia 222 . Giunto a Bologna nel 1513,<br />

nel 1521 vi concluse il coro di San Michele in Bosco,<br />

che solo in parte si è salvato. Ne rimane quanto basta<br />

per rivelare un mondo di arch<strong>it</strong>etture praticabili solo<br />

all’occhio e all’immaginazione, fuori di ogni scala,<br />

apparecchiate per una fiss<strong>it</strong>à scenica. Gli schemi<br />

costruttivi sono gli stessi di fra Giovanni da Verona,<br />

ma senza quella loro mentalissima sovraecc<strong>it</strong>azione ottica.<br />

Nell’altro tipo fondamentale di figura lignaria, la<br />

natura morta, gli oggetti non sono piú misurati con la<br />

lucidissima regola compos<strong>it</strong>iva del maestro. La tecnica<br />

stessa, ad ombreggiature addensate lungo il profilo<br />

delle tessere, fa intravedere qualche connessione con gli<br />

intarsiatori lombardi, nel raggio di Pantaleone de’ Marchi.<br />

Sono indicative del radicamento di fra Raffaele in<br />

tale area figurativa anche due tarsie di collezione privata,<br />

dove si aprono senza direttrici prospettiche semplici<br />

paesaggi (con uccelli, un gatto, un coniglio, un<br />

cagnolino) 223 . Quando invece gli cap<strong>it</strong>ò di lavorare in<br />

una proporzione diversa da quella canonicamente verticale<br />

dei postergali, come nei leggii di Monte Oliveto<br />

(1520) e dell’abbazia di Rodengo (1533-37, ora al<br />

Museo Cristiano di Brescia), fra Raffaele dispose gli<br />

oggetti entro uno spazio pieno di tensione luminosa, e<br />

con il calore formalistico di un postleonardesco lombardo.<br />

Nel secondo leggio si trovò addir<strong>it</strong>tura a mettere<br />

in opera un cartone di Romanino, dove par quasi<br />

adattata alla v<strong>it</strong>a conventuale una di quelle scene di brigata<br />

cortese che sono tipiche <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura padana del<br />

Cinquecento 224 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 90


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

9. Persistenze e revisioni nella tarsia padana del<br />

Cinquecento.<br />

Dileggiando in rima la p<strong>it</strong>tura del Carpaccio, il poeta<br />

Andrea Michieli, detto lo Strazzola, non doveva essere<br />

morso da particolari risentimenti privati. La cr<strong>it</strong>ica faceva<br />

segu<strong>it</strong>o, infatti, ad un amichevole suggerimento di<br />

poetica: «Dovendomi r<strong>it</strong>rar, Vettor Scarpazzo [...] fa<br />

che non mi abbi del Gentil Bellino ı perch’altramente<br />

ti teria da pazzo». Nel dissenso da tale indirizzo figurativo<br />

si concatenò coerentemente la condanna del Carpaccio<br />

(«ben par discepol di Gentil Bellini», al quale si<br />

opponeva «la sublime ed eccellente mano di | Gioan suo<br />

fratel»). Ed è interessante che il verseggiatore trovasse<br />

il modo d’infilzare nella sua condanna anche il nome<br />

oggi misterioso dell’Ombrone: artista evidentemente<br />

interessato alla rappresentazione prospettica di corpi<br />

geometrici, «che depinse alla fin due peponesse, | credendo<br />

far un arch<strong>it</strong>etto, il pazzo» 225 .<br />

I nomi di Gentile Bellini (non Jacopo) e di Carpaccio<br />

bastano a tracciare una coerente linea prospettica.<br />

Essa prese slancio negli stessi anni in cui si stampavano<br />

a Venezia le opere del pierfrancescano Luca Pacioli. Su<br />

questa traiettoria si s<strong>it</strong>ua anche un episodio di grosso<br />

rilievo nella storia <strong>della</strong> tarsia: la sacrestia di San Marco,<br />

opera firmata dai fratelli mantovani Antonio e Paolo<br />

Mola, compiuta fra gli anni estremi del Quattrocento e<br />

il 1505-506 226 . Il nome del Carpaccio e stato collegato da<br />

tempo a queste tarsie, ma nei termini un po’ gerarchici<br />

di una forn<strong>it</strong>ura di cartoni 227 : cosa sempre improbabile,<br />

e queste date, quando si tratta di figurazioni di arch<strong>it</strong>ettura.<br />

Tanto piú che dei Mola si parla nei documenti<br />

come di «pictorum perspective».<br />

È necessario richiamare due tappe trascurate <strong>della</strong><br />

carriera dei Mola. La prima notizia ricorda quanto fosse<br />

Storia dell’arte Einaudi 91


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

vasto il cantiere prospettico padano, specie se lo osserviamo<br />

da un particolare angolo di competenza materiale.<br />

Nel 1489 i Mola erano a Pavia. Collaboravano con<br />

Bartolomeo de’ Polli (modenese che è detto anche ab<strong>it</strong>ante<br />

a Mantova) al coro <strong>della</strong> Certosa. Ebbero con lui<br />

una l<strong>it</strong>e giudiziaria, in segu<strong>it</strong>o alla quale vennero compensati<br />

per i lavori compiuti 228 . È virtualmente impossibile<br />

riconoscere, in un’opera già cosí problematica, le<br />

parti spettanti ai Mola. Ma, se è vero che Bartolomeo<br />

de’ Polli eseguí in sostanza la parte inferiore del coro e<br />

che egli è ricordato solo come maestro d’intagli, vale la<br />

pena di fare attenzione all’unico pannello di tarsia prospettica<br />

(un libro schermato da due sportelli) che si<br />

trova nel parapetto. Ha carattere lendinaresco, anzi platiniano.<br />

Potrebbe essere una traccia per l’inizio dei<br />

Mola.<br />

La loro radice culturale non poteva essere comunque<br />

troppo diversa. Le mosse successive in direzione veneta<br />

dovettero comportare una conoscenza di Pier Antonio<br />

degli Abati, che proprio attorno al ’90 combinava<br />

con maggiore determinazione l’ord<strong>it</strong>ura prospettica dell’intarsio<br />

con una trama geometricamente piú scand<strong>it</strong>a<br />

delle alternanze cromatiche del legno.<br />

L’altra notizia documentaria giustifica il radicamento<br />

dei Mola nella cultura veneziana. Fra il 1496 e il 1500<br />

lavorarono nel convento di San Giovanni e Paolo. È<br />

allora che vengono detti «magistri artis pictorie que perspective<br />

dic<strong>it</strong>ur» 229 .<br />

Certamente, di p<strong>it</strong>tura nel senso albertiano di figurazione<br />

piana si tratta; ma la suggestione del mezzo cromatico<br />

si adegua, sintomaticamente, all’ident<strong>it</strong>à stilistica<br />

delle tarsie dei Mola. Che furono p<strong>it</strong>toriche,<br />

secondo l’esempio del Platina, negli sportelli inferiori<br />

<strong>della</strong> sacrestia marciana: occupati dalle consuete immagini<br />

di oggetti l<strong>it</strong>urgici, libri, ecc.; e p<strong>it</strong>toriche nel senso<br />

Storia dell’arte Einaudi 92


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

dei teleri di Carpaccio (dove il senso prospettico è in<br />

funzione delle quant<strong>it</strong>à cromatiche) possono dirsi le<br />

tarsie con le Storie di san Marco, nella parte superiore<br />

dei banchi. Molti riquadri richiamano direttamente<br />

Carpaccio, quel suo spiegatissimo ordine spaziale dove<br />

nulla sembra costru<strong>it</strong>o, ma ordinato già dalla naturalissima<br />

compless<strong>it</strong>à <strong>della</strong> geometria 230 . Come nelle Storie di<br />

sant’Orsola, i Mola dipanano il racconto spaziale attraverso<br />

una disposizione seriale di corpi elementari ed<br />

identici (torri, merlature, gradini) o nella sequenza/alternanza<br />

di diedri, spigoli, piani. Non sempre i<br />

frustoli di legno possono star dietro ad un modello prospettico<br />

che presuppone una solar<strong>it</strong>à quasi assoluta (non<br />

astratta, però), appena misurata da ombre sottili e lunghissime.<br />

Il fatto è che i Mola non «traducono», non<br />

dipendono passivamente da Carpaccio, ma ne condividono<br />

le premesse ed alcuni momenti collaterali. In qualche<br />

tarsia l’ingombro degli oggetti e la pressione delle<br />

quinte tappezzate richiama piuttosto il Mansueti. In<br />

altre la plausibil<strong>it</strong>à progettuale delle arch<strong>it</strong>etture corrisponde<br />

alla trasparenza luminosa che Codussi conserva<br />

ai piani prospettici anche quando sono concretati dalla<br />

materia muraria. Alla loro plausibil<strong>it</strong>à corrispondono le<br />

naturali opzioni di una moderna cultura arch<strong>it</strong>ettonica:<br />

vengono dunque inser<strong>it</strong>e le fresche memorie monumentali<br />

<strong>della</strong> scala del Palazzo Contarini o <strong>della</strong> facciata<br />

di San Zaccaria. È l’avviso di un coerente processo<br />

d’interscambio formale fra la figurazione piana ed una<br />

realtà arch<strong>it</strong>ettonica intesa secondo superfici prospettiche<br />

e campi cromatici.<br />

Non è ora possibile soffermarci sui lavori esegu<strong>it</strong>i dai<br />

Mola per lo Studiolo d’Isabella d’Este, dopo il 1506 231 .<br />

Le tarsie mantovane confermano le dipendenze veneziane<br />

degli intarsiatori, ma aprono in una direzione<br />

appena piú fantastica nella scomposizione minuta delle<br />

Storia dell’arte Einaudi 93


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

strutture geometriche, e piú rarefatta nell’affacciarsi<br />

degli oggetti. Consentono comunque di osservare meglio<br />

lo stile lignario dei Mola, sempre attentissimi a scegliere<br />

e trattare i legni secondo valori di raffinata texture:<br />

uno stile che non può essere sganciato da una maturazione<br />

piú largamente padana.<br />

È nel cuore stesso di quest’area che un nuovo, effettivo<br />

p<strong>it</strong>toricismo, fatalmente autoannientante per l’dent<strong>it</strong>à<br />

rinascimentale di tarsia e <strong>prospettiva</strong>, si affianca alla<br />

persistenza dei modelli di origine lendinaresca; come<br />

quello, forse il piú fortunato fra Quattro e Cinquecento,<br />

che fa capo al Platina. Per tensione dialettica e forza<br />

di consuetudine, questi modelli tornano piú strettamente<br />

su se stessi, muovendo dunque in una direzione<br />

ben diversa da quella p<strong>it</strong>toricistica, ma ugualmente<br />

emarginante. Gli intarsiatori parmensi fra il primo e il<br />

quarto decennio del Cinquecento forniscono la migliore<br />

traccia per ricap<strong>it</strong>olare tale svolgimento incrociato.<br />

Fra il 1506 e il 1510, Luchino Bianchino compiva il<br />

coro di San Paolo (poi trasfer<strong>it</strong>o, parzialmente, in Santa<br />

Teresa del Bambin Gesú, l’ex Oratorio dei Rossi),<br />

tenendosi ancora fedele alla sua educazione lendinaresca:<br />

riconoscibile, ad esempio, nei cieli alti e fiammeggianti,<br />

di elementare composizione lignaria, o nel canonico<br />

nesso spaziale fra arcone e quinte urbane. Ma tali<br />

quinte si affrontano con regolar<strong>it</strong>à geometrica, scorrono<br />

lungo binari ottici ev<strong>it</strong>ando ogni articolazione plastica.<br />

È dunque una spazial<strong>it</strong>à tanto piú scarnificata ed<br />

astratta rispetto ai modelli lendinareschi, come potrebbe<br />

essere in un Giovanni da Verona purista. Si pensi a<br />

quella tarsia dove il dodecaedro pendente in primo piano<br />

impone una regola armonica di stremante semplic<strong>it</strong>à<br />

intellettuale, fissando ogni equilibrio su una struttura<br />

arch<strong>it</strong>ettonica di forme primarie, ma impraticabile, puramente<br />

visiva 232 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 94


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Un altro segno di crisi dell’iconografia prospettica<br />

lendinaresca può essere riconosciuto nell’atto di stipula<br />

del coro di San Ulderico, nel 1505. A Giangiacomo<br />

Baruffi s’indicò come modello il perduto coro di San<br />

Francesco, «excepto che le prospettive»:<br />

in loco de le quali elo debbia fare gruppi de tarsie varii et<br />

diversi cum boni et perfecti dissegni, tali che empiano il<br />

loco dove andariano le prospettive 233 .<br />

I profili geometrici messi a tarsia negli stalli di San<br />

Ulderico sono la prima rilevante ed autonoma comparsa<br />

a Parma di un tema decorativo che, d’ora in avanti,<br />

comparirà sempre piú spesso, anche in combinazione di<br />

pannelli prospettici. Dilatando l’estensione e la qual<strong>it</strong>à<br />

grafica <strong>della</strong> cornice, contribuiranno non poco a svuotare<br />

la serratezza prospettica dell’ered<strong>it</strong>à lendinaresca.<br />

Il crocevia fondamentale delle diverse tensioni figurative<br />

presenti nella zona è il coro di San Sisto a Piacenza<br />

(1514-28 circa): ne furono responsabili Giampietro Pambianchi<br />

da Colorno, in prossim<strong>it</strong>à di Parma, e Bartolomeo<br />

Spinelli di Busseto (ma poi ricordato fra i <strong>maestri</strong><br />

attivi a Parma) 234 . Questi intarsiatori non guardano piú<br />

alla s<strong>it</strong>uazione parmense di fine Quattrocento, all’asciutta<br />

sintesi lignaria di Bernardino da Lendinara, né<br />

all’assorta concentrazione costruttiva del Bianchino, ma<br />

alle aperture luminose meno vincolate dalla misura proporzionale<br />

del coro cremonese del Platina. Per quanto<br />

possa variare la qual<strong>it</strong>à, non serve fare distinzioni di<br />

autografia (la tecnica si fonda sempre sull’uso caldo e<br />

largo delle ombre artificiali). Ad alternarsi, nel giro superiore<br />

degli stalli, sono piuttosto modelli prospettici di<br />

diversa origine e direzione storica. In parte si tratta di<br />

schemi di persistenza: profonda, ancora lendinaresca,<br />

quando la cubatura delle case prende campo ravvicinato<br />

Storia dell’arte Einaudi 95


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

ed obliquo; legata invece all’esempio recente del Platina,<br />

dove s’inf<strong>it</strong>tiscono le morfologie edilizie o si aprono piú<br />

frantumate immagini extraurbane. In molti casi, alle<br />

vibrazioni individuate del colore, al trapestio geometrico<br />

dei legni, corrisponde bene la figura compiuta di una<br />

struttura arch<strong>it</strong>ettonica moderna, progettabile, posata<br />

come un modello nello spazio bidimensionale <strong>della</strong> tarsia;<br />

o si presentano luoghi urbani altrettanto inconsueti<br />

quanto possibili (loggiati, cortili, piazze a scacchiera e<br />

torri). Sull’esempio diretto del classicismo lombardo<br />

(Cesariano), si stringono i nessi con l’arch<strong>it</strong>ettura postbramantesca,<br />

legata a valori di chiarezza p<strong>it</strong>torica e di<br />

fior<strong>it</strong>ura prospettica. Nel caso specifico, il rapporto con<br />

il grande arch<strong>it</strong>etto di San Sisto, Alessio Tramello, non<br />

si risolve in offerte di cartoni o in dipendenze univoche,<br />

ma in una piú libera e contestualizzante motivazione di<br />

cultura. Anche negli intarsiatori di San Sisto, le apparenti<br />

incertezze e le alternanze di schemi prospettici corrispondono<br />

alla combinazione di memorie romaniche e<br />

di spazial<strong>it</strong>à bramantesca che caratterizza Tramello ed<br />

altri costruttori lombardi.<br />

Dove la moltiplicazione perspicuamente minuta dei<br />

giunti prospettici corrisponde meglio alla progettual<strong>it</strong>à<br />

potenziale dei corpi arch<strong>it</strong>ettonici e al montaggio sottile<br />

delle essenze lignee, il coro piacentino spiana la strada<br />

a quello di San Giovanni Evangelista a Parma, che<br />

fu il momento piú alto nel cap<strong>it</strong>olo finale <strong>della</strong> tarsia<br />

emiliana. Per tempi ed autografia, il caso è tutt’altro che<br />

chiaro. Il coro di San Giovanni venne affidato a Marco<br />

Antonio Zucchi nel 1512. Venti anni dopo, alla sua<br />

morte, mancavano ancora sei stalli. Dell’esecuzione vennero<br />

incaricati Gianfrancesco e Pasquale Testa, che nel<br />

1538 portarono a termine il lavoro 235 . Quali siano questi<br />

stalli, non è assolutamente possibile capire. D’interi<br />

stalli si trattava; quindi non c’è da immaginare un’arti-<br />

Storia dell’arte Einaudi 96


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

colazione fra lavori d’intaglio e lavori di tarsia (e, poi,<br />

fin dal 1512 si era chiesto allo Zucchi di «mutare le fantasie<br />

de li quadri de perspectiva», oltre che «de li<br />

taglii»). D’altra parte la consistenza dei pagamenti versati<br />

ai Testa, potrebbe anche far sospettare una grav<strong>it</strong>azione<br />

sostanziale dei lavori ad una data successiva al<br />

1532. Anche i pochi riferimenti possibili con opere dello<br />

Zucchi o dei Testa non bastano a sciogliere il problema.<br />

Uno dei Testa, Gian Francesco, a partire dal 1538<br />

cominciò a lavorare alla struttura (non alle tarsie) del<br />

coro di San Pietro a Modena 236 : che è cosa tanto piú semplice,<br />

ma anche per la mutata concezione decorativa.<br />

Dello Zucchi si conosce a Parma un altro coro, in San<br />

Quintino. Ne assunse l’incarico lo stesso anno in cui<br />

s’impegnò per il coro di San Giovanni. Degli elementi<br />

che lo componevano, ce ne sono giunti la metà: un solo<br />

stallo è decorato con una «<strong>prospettiva</strong>» arch<strong>it</strong>ettonica,<br />

cui corrisponde, nel giro inferiore, un pannello con<br />

oggetti l<strong>it</strong>urgici. Se questo fu lo stallo esegu<strong>it</strong>o «per<br />

mostra», disponiamo di un riferimento cronologico<br />

abbastanza preciso, coerente al carattere ancora blandamente<br />

lendinaresco <strong>della</strong> tarsia: che si tiene stretta a<br />

quella radice perlomeno nel topos del ponticello in primo<br />

piano, risolto nella collaudata metafora geometrica di<br />

una doga spessa e breve. Se poi lo Zucchi arrivò, da queste<br />

premesse, fino ai complicatissimi ingranaggi visivi di<br />

San Giovanni, questo non può essere avvenuto che negli<br />

anni piú vicini al 1532. Cerniera naturale di quello svolgimento<br />

sarebbe comunque la s<strong>it</strong>uazione che abbiamo<br />

visto maturare nel coro di Piacenza. Le «prospettive» di<br />

San Giovanni si legano invece direttamente ad un piccolo<br />

nucleo di tarsie parmensi, che una non remota tradizione<br />

guidistica locale, recentemente ripresa ed argomentata,<br />

assegna impossibilmente all’ormai anziano<br />

ingegnere <strong>della</strong> Comun<strong>it</strong>à, Luchino Bianchino 237 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 97


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Proprio rispetto al polo <strong>della</strong> tradizione lendinaresca<br />

(cui il Bianchino si legò con riflessiv<strong>it</strong>à «pacioliana») si<br />

può chiarire quanto di nuovo caratterizza i postergali di<br />

San Giovanni. In breve, ne rappresentano un ribaltamento<br />

assoluto, ma non perché siano andati perduti,<br />

come in fra Damiano, i valori dell’autonomia formale<br />

<strong>della</strong> tarsia. La sintesi canoziana fra costruzione spaziale<br />

e materia lignaria è cosa lontana; e non ha piú peso la<br />

funzione strutturale, propriamente prospettica che era<br />

affidata alla varietà dei tagli e <strong>della</strong> messa in opera di<br />

essenze diverse. Ma la presa ottica <strong>della</strong> fattual<strong>it</strong>à del<br />

commesso, le proprietà figurative degli incastri e degli<br />

accostamenti cromatici del legno sono di nuovo altissimi.<br />

La loro aggregazione regolata e diminutiva, e come<br />

tale intensamente esib<strong>it</strong>a, combina spazi grem<strong>it</strong>i e festosi,<br />

da sgranare con gli occhi. La tautologia del legno si<br />

ripropone con un nuovo significato, che intende dare<br />

diletto visivo più che illusione: come nel ponte dove<br />

sono miniaturizzate le travi con cui è costru<strong>it</strong>o: il controllo<br />

lenticolare, compiaciuto, accerta l’ident<strong>it</strong>à dell’immagine<br />

con la struttura lignea (a scala diversa), quanto<br />

quella con la materia. Su tale base, come già a Piacenza,<br />

la tarsia trova spontaneamente l’occasione per<br />

descrivere arch<strong>it</strong>etture compiute in contesti plausibili.<br />

Salvo che, a Parma, accanto ai temi postbramanteschi di<br />

fonte lombarda, s’imbastiscono eleganti c<strong>it</strong>azioni di luoghi<br />

e regole classiche, in maniera da riflettere ed auspicare<br />

un piú diramato codice arch<strong>it</strong>ettonico. Le tarsie con<br />

oggetti si tengono ovviamente fedeli agli impianti canonici;<br />

ma, ad esempio, la sfera armillare richiude una docile<br />

central<strong>it</strong>à di spazio, di natura piú moderna e classica.<br />

A quelle inser<strong>it</strong>e nelle lunette in alto (una nov<strong>it</strong>à strutturale<br />

da non trascurare), e quindi avvistate da un angolo<br />

inconsueto agli intarsiatori, corrisponde un valore particolarmente<br />

luminoso e naturale dell’esecuzione.<br />

Storia dell’arte Einaudi 98


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

A questo punto, a Parma, si è già toccato il punto<br />

risolutivo <strong>della</strong> tarsia prospettica. Occorre fare ora qualche<br />

passo indietro, recuperando una direttrice fondamentale<br />

negli sviluppi padani <strong>della</strong> tecnica. Non si è sottolineato<br />

abbastanza, forse, quanto la s<strong>it</strong>uazione maturata<br />

dal Platina pesò nel coro di Piacenza, e quindi nei<br />

suoi sviluppi parmensi. In modo particolare, la tarsia cremonese<br />

agí in direzione occidentale, verso il Piemonte,<br />

verso l’area che Martino Spanzotti aveva conquistato<br />

alla coscienza prospettica <strong>della</strong> Padania.<br />

Nel settembre del 1510 l’abate di Sant’Andrea a<br />

Vercelli andava fino a Cremona per pattuire con Paolo<br />

Sacca i lavori per il coro dell’abbazia 238 . La bottega dei<br />

Sacca era già nota in Piemonte. Nel 1497, assieme al<br />

padre Tommaso e al fratello Imerio, Paolo Sacca aveva<br />

realizzato il coro <strong>della</strong> Certosa di Asti, andato perduto,<br />

ma che dovette rappresentare un momento di netta<br />

cesura nell’evoluzione tipologica dei cori piemontesi.<br />

Da essi, per tutto il Quattrocento, era rimasta esclusa<br />

la tarsia prospettica. In area alpina, il repertorio biblico<br />

e morale dell’iconografia dei cori s’identificava spontaneamente<br />

con l’opera di scultura, di traforo, d’intaglio<br />

grosso e figurato. Né il taglio fu netto, se nel piú tardo<br />

coro di Staffarda (Torino, Museo Civico) le tarsie prospettiche<br />

vengono meticciate con la tradizionale figurazione<br />

scolp<strong>it</strong>a 239 .<br />

Anche da un punto di osservazione collocato in Lombardia,<br />

il coro di Asti rappresenta un anello mancante.<br />

Si sa che Tommaso Sacca si vide opposto al Platina per<br />

ragioni che furono anche di ordine figurativo. Piú tardi<br />

subí uno scacco analogo a Parma, quando si trovò di<br />

fronte a Cristoforo e Bernardino da Lendinara. In ordine<br />

a questi fatti, sarebbe stato interessante sapere se ad<br />

Asti, quando era ancora lui a tenere le redini <strong>della</strong> bottega,<br />

si fosse già assestata quell’indub<strong>it</strong>abile adesione al<br />

Storia dell’arte Einaudi 99


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Platina che caratterizza le tarsie di Vercelli. Tanto piú<br />

che l’espansione in Piemonte di questa cultura che ha<br />

centro a Cremona non è circoscr<strong>it</strong>ta ai soli Sacca. Nel<br />

coro di San Lorenzo ad Alba (1512-17), Bernardino<br />

Cidonio da Codogno (un altro lombardo, che a Casale<br />

si trovò a lavorare con Spanzotti) si rivela altrettanto<br />

fedele alle formule del Platina: al punto che in alcuni<br />

stalli utilizzò i medesimi cartoni di cui si era serv<strong>it</strong>o il<br />

Sacca a Vercelli (o desunse da uno stesso archetipo) 240 .<br />

Occorre tener presenti certi impianti liberamente<br />

squadernati (specie nelle frequenti immagini paesaggistiche)<br />

e le toppe cromatiche piene di oscillazioni di<br />

queste tarsie, per collocare meglio il coro che Paolo<br />

Sacca eseguí poi assieme al nipote Giovanni Antonio in<br />

San Giovanni in Monte di Bologna 241 . Fu compiuto fra<br />

il 1518 e il ’23. A metà di questo periodo, Raffaele da<br />

Brescia concludeva il coro di San Michele in Bosco<br />

secondo tutt’altri propos<strong>it</strong>i di stile e di referenza prospettica.<br />

Da tempo, anche a Bologna, nelle spalliere<br />

<strong>della</strong> Cappella Vaselli in San Petronio (Giacomo de’<br />

Marchi, 1495), erano state riproposte le possibil<strong>it</strong>à e le<br />

valenze iconografiche di una decorazione diversa da<br />

quella prospettica. Si spiega cosí, con la consapevolezza<br />

di una s<strong>it</strong>uazione che va mutando, perché alcuni stalli<br />

di San Giovanni in Monte segnino un chiaro r<strong>it</strong>orno agli<br />

exempla spaziali di Cristoforo da Lendinara. Misuratamente<br />

spaziosa, assieme alla semplicissima tipologia del<br />

coro, è la funzione <strong>della</strong> cornice in rilievo che inquadra<br />

i singoli pannelli. Nelle descrizioni edilizie delle tarsie,<br />

si accostano inavvert<strong>it</strong>e memorie urbane e moderni suggerimenti<br />

morfologici. Soprattutto si ev<strong>it</strong>a l’organico<br />

r<strong>it</strong>aglio spaziale dei nuclei edilizi, la loro preventiva trascrizione<br />

in immagine p<strong>it</strong>torica, come cap<strong>it</strong>ava contemporaneamente,<br />

e su meno dirette basi platiniane, nel<br />

coro di Piacenza. Furono esposti con molta attenzione<br />

Storia dell’arte Einaudi 100


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

alcuni casi arch<strong>it</strong>ettonici (di un «inzigneriis et arch<strong>it</strong>ecti<br />

per<strong>it</strong>issimi» si trattava), ma per scorci e frammenti,<br />

su fondali imprevisti; privilegiando insomma, nonostante<br />

la tagliente caratterizzazione cromatica delle<br />

direttrici prospettiche, la forma canoziana <strong>della</strong> memoria<br />

urbanistica sulla piú moderna icona progettuale.<br />

Questo fenomeno di resistenza e di rifiuto delle ipoteche<br />

p<strong>it</strong>toriche sulla tecnica (che nel caso del Sacca<br />

matura per esperienza dialettica) non si giustifica soltanto<br />

sul versante <strong>della</strong> produzione, <strong>della</strong> consuetudine<br />

di riutilizzare gli stessi cartoni. Quando il Sacca, assieme<br />

a Cristoforo de’ Venetiis, nel 1531 sottoscrisse il<br />

contratto per il coro di San Francesco a Cremona, s’impegnò<br />

a sottoporre legni «grezzi» ai comm<strong>it</strong>tenti, che<br />

probabilmente diffidavano <strong>della</strong> nuova tecnica cinquecentesca<br />

dell’intarsio 242 . E non dovettero essere ragioni<br />

di economia a suggerire ai «pingui e grassi» benedettini<br />

di San Pietro a Modena di riassorbire nel coro nuovo<br />

le specchiature che erano state intarsiate da Bernardino<br />

da Lendinara. In maniera simile, a Reggio, nel 1544, si<br />

prescrisse al de’ Venetiis, il vecchio socio del Sacca, di<br />

mettere in opera i pannelli protolendinareschi del precedente<br />

coro, per quanto la loro iconografia dovesse<br />

riuscire un po’ arcaica. Per la parte di loro competenza,<br />

Cristoforo e il figlio Giuseppe de’ Venetiis portarono<br />

all’estremo la disarticolazione prospettica e la divagazione<br />

episodica <strong>della</strong> tarsia cremonese, originata dal Platina<br />

243 .<br />

Un’altra traiettoria <strong>della</strong> tarsia lombarda, come<br />

abbiamo visto, conduceva in Liguria. La sua stretta affin<strong>it</strong>à<br />

con la p<strong>it</strong>tura non era dovuta a motivi di subalternanza<br />

o di paragone percettivo. Nella tecnica degli intarsiatori<br />

lombardi, i toni raggiunti con la sabbia rovente<br />

hanno la stessa central<strong>it</strong>à formale che ha il molatissimo<br />

insinuarsi di luce e di ombra in un p<strong>it</strong>tore come Andrea<br />

Storia dell’arte Einaudi 101


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Solario. È un fatto, questo, che abbiamo già visto riflesso<br />

nei cori di Piacenza e di San Giovanni a Parma. Un<br />

raccordo stretto fra tarsia e p<strong>it</strong>tura si constata, ad esempio,<br />

nel leggio <strong>della</strong> Cattedrale di Savona (1517), dove<br />

mi pare evidente che Gian Michele de’ Pantaleone si sia<br />

serv<strong>it</strong>o di un cartone preparato da Albertino Piazza da<br />

Lodi 244 . Il cartone non subisce nessun traslato strutturale,<br />

nelle connessure come nella texture; è invece il<br />

modello p<strong>it</strong>torico a guidare le profilature meccaniche<br />

come quelle tonali. I valori luminosi <strong>della</strong> tarsia nascono<br />

da sfumature continue, che schermano le fibre del<br />

legno: trasparente sostanza materiale dell’immagine, elemento<br />

di figurazione né autonomo, né espropriato da<br />

metafore p<strong>it</strong>toriche.<br />

Prosecuzione naturale di questa traiettoria geografica<br />

ed operativa fu il coro di San Lorenzo a Genova 245 .<br />

In fasi diverse e discontinue, vi lavorarono gli stessi<br />

intarsiatori di Savona: all’inizio, nel 1514, il Fornari, poi<br />

il Rocchi, infine il Pantaleoni. Se non fosse stato reso<br />

indecifrabile dai rifacimenti, con la successione delle<br />

sue fasi, il coro di Genova avrebbe rappresentato un<br />

riferimento esemplare sulle tappe <strong>della</strong> trasformazione<br />

cinquecentesca <strong>della</strong> tarsia. La natura classicista dei<br />

modelli p<strong>it</strong>torici (come quelli di Girolamo da Treviso il<br />

Giovane, riconoscibili in alcuni pannelli del Pantaleoni)<br />

impose agli intarsiatori un diverso calibro di spazio e<br />

narrazione. Nelle fasi piú inoltrate vi fu impegnato Giovanni<br />

Francesco Zambelli e, quindi, in maniera piú o<br />

meno diretta, si riflette anche qui la poetica lignaria<br />

dello zio e maestro, fra Damiano. In un paio di casi, lo<br />

Zambelli non si serví però di cartoni appos<strong>it</strong>amente preparati,<br />

ma mise in opera stampe notissime di Marcantonio<br />

Raimondi e del Bandinelli. Per capire il senso di<br />

queste scelte occorre fare un passo indietro, risalendo<br />

alla s<strong>it</strong>uazione bergamasca da cui si era distaccato fra<br />

Storia dell’arte Einaudi 102


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Damiano al momento in cui si trasferí nel convento<br />

domenicano di Bologna.<br />

10. L’ipotesi del Lotto a Bergamo.<br />

... se il Lotto fosse stato incisore e avesse diffuso questi<br />

cartoni come stampe, invece di sperperarli per il coro di<br />

una c<strong>it</strong>tà di provincia, il suo nome sarebbe probabilmente<br />

giunto fino a noi come quello di un non spregevole interprete<br />

<strong>della</strong> Bibbia 246 .<br />

La vecchia osservazione di Bernard Berenson sulle tarsie<br />

di Santa Maria Maggiore a Bergamo (opera di Giovan<br />

Francesco Capoferri, «ma li disegni furono de man de<br />

Lorenzo Lotto» appunta il Michiel) 247 non è centrata soltanto<br />

sulla sfortuna storica dell’artista. Berenson tocca<br />

punti essenziali ancora oggi che la grandezza di Lotto è<br />

tanto piú solida e storicamente obiettive appaiono le<br />

ragioni <strong>della</strong> sua emarginazione cr<strong>it</strong>ica. Le tarsie di Bergamo<br />

non sono assimilabili agli schemi di narrazione semplificata<br />

e all’evidenza prospettica che erano tradizionali<br />

nelle tarsie; al contrario, quelle forme narrativamente<br />

distese nello spazio, oppure simbolicamente rarefatte,<br />

corrispondono ad una diversa possibil<strong>it</strong>à di percezione<br />

intensiva e replicata, nel senso, appunto, <strong>della</strong> moderna<br />

illustrazione libraria e delle stampe düreriane. In secondo<br />

luogo, facendo riferimento all’«interpretazione» biblica,<br />

Berenson evidenziò l’assoluta assenza di routine iconografica<br />

che rivelano queste immagini scr<strong>it</strong>turali. Le lettere<br />

recentemente r<strong>it</strong>rovate non lasciano dubbi sulla<br />

responsabil<strong>it</strong>à personale e le difficoltà cui andò incontro<br />

l’artista veneziano. Non a caso alle tarsie di Bergamo si<br />

è immediatamente appoggiato chi ha rest<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o al Lotto il<br />

frontespizio <strong>della</strong> Bibbia tradotta da Antonio Brucioli 248 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 103


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

La frase di Berenson rischia di mettere fuori strada,<br />

come è ovvio, dove accenna a Bergamo come c<strong>it</strong>tà di<br />

provincia. Piú in particolare l’immagine <strong>della</strong> provincia<br />

(cosí ottocentesca) potrebbe suggerire una subalternanza<br />

veneziana. Ed è invece il radicamento a Bergamo<br />

<strong>della</strong> cultura prospettica lombarda, bramantesca (apertamente<br />

omaggiata da Lotto stesso nella pala di San<br />

Bartolomeo) che consente di vedere, nel coro di Santa<br />

Maria Maggiore, un piú deliberato rifiuto delle tipologie<br />

decorative consuete in queste circostanze. È necessario<br />

insistere sul fatto che non si trattava di un coro<br />

monastico. Per quanto rimanesse l<strong>it</strong>urgicamente riservato,<br />

quello spazio faceva parte di un edificio di culto i<br />

cui caratteri erano largamente civili.<br />

Ma la possibil<strong>it</strong>à di quell’ined<strong>it</strong>a lettura biblica è<br />

condizionata, soprattutto, da una decisione presa nel<br />

corso dei lavori. Si volle che le tarsie preziosamente<br />

lavorate rimanessero protette e venissero scoperte solo<br />

in occasioni festive. Le immagini dei «coperti» (tarsie<br />

di semplice realizzazione lignaria) dovevano alludere<br />

sinteticamente al racconto biblico piú diffusamente<br />

esposto nella tarsia sottostante. Sarebbe ingenuo<br />

ridurre questa decisione ad un semplice scrupolo<br />

di salvaguardia materiale. Occorre invece riconoscere<br />

il piú stretto legame fra queste tarsie e l’organizzazione<br />

l<strong>it</strong>urgica. Si configurano due sequenze visive<br />

profondamente differenziate, alternative per codice e<br />

tempi di lettura. Ad ogni stallo, ad ogni evento, viene<br />

perciò a corrispondere un doppio registro di memoria<br />

scr<strong>it</strong>turale, un suggerimento esegetico d’implic<strong>it</strong>azione/esplicazione.<br />

Si riconosce in questo un tratto tipico<br />

dell’esperienza religiosa <strong>della</strong> matura stagione umanistica<br />

249 . Ma le particolari condizioni di comm<strong>it</strong>tenza<br />

e di lavoro esegu<strong>it</strong>o a distanza consentono al p<strong>it</strong>-<br />

Storia dell’arte Einaudi 104


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

tore margini d’iniziativa non trascurabili, per quanto<br />

non pacifici:<br />

Ho rassetato li doi desegni con grande impaccio – scriveva<br />

il 10 febbraio del ’28. [...] Se ’l par errore el mio, non<br />

è, per rispeto del acomodarmi, etiam per la libertà datami.<br />

Ma chi vedesse el texto de la Bibia con le inventione date<br />

da maestro Hieronymo, trovaria magior li soi, perché io<br />

l’ho veduti con farli vedere de qui ad homini da ben,<br />

valenti theologi et predicatori 250 .<br />

L’insistenza con cui il Lotto seguí e consigliò il Capoferri<br />

dimostra che non gli sfuggiva la natura particolare<br />

<strong>della</strong> tecnica che avrebbe dato corpo a quelle immagini.<br />

Lotto ebbe anzi presente, fin dal primo momento, la<br />

condizione cromatica, piú semplice e scand<strong>it</strong>a, <strong>della</strong> tarsia,<br />

il particolare gusto del Capoferri per i dettagli disegnativi<br />

e le trame grafiche. È bene confrontare le tarsie<br />

derivate dai disegni lotteschi con quella Annunciazione<br />

che il Capoferri aveva esegu<strong>it</strong>o «per mostra». Il p<strong>it</strong>tore<br />

seppe farsi capire dall’intarsiatore appunto perché fu<br />

cosciente che non si trattava di trasferire nel legno un<br />

assetto p<strong>it</strong>torico in formato di pre<strong>della</strong>, ma di far corrispondere<br />

a quelle condizioni formali e alla correlata<br />

disposizione percettiva una piú fertile semplic<strong>it</strong>à d’immagine.<br />

A Bergamo venne dunque ipotizzato un nuovo,<br />

eventuale sviluppo <strong>della</strong> tarsia postprospettica. Le sue<br />

probabil<strong>it</strong>à di successo avevano davanti gli stessi orizzonti<br />

storici che si aprivano a quella libertà di riflessione<br />

e discussione in cui si ag<strong>it</strong>ava la «mente turbata» di<br />

Lorenzo Lotto.<br />

Il livello espressivo con cui Lotto identificò le scene<br />

narrative fa riferimento ad una memoria visiva molto<br />

ampia, «popolare». Sono frequenti quinte e cubature<br />

prospettiche, ma come se nascessero dalla scioltezza<br />

improvvisa del racconto; hanno lo stesso ingombro lieve<br />

Storia dell’arte Einaudi 105


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

e convenzionalmente fuori scala <strong>della</strong> cappella di un<br />

sacro monte. Nella storia di David le fasi diverse <strong>della</strong><br />

narrazione si snodano attorno a «quel mirabile teatrino<br />

di luci e penombre che è la corte di David» (Arcangeli).<br />

Il racconto simultaneo del Lotto riprende dunque<br />

la plural<strong>it</strong>à di luoghi, di azioni del teatro medievale.<br />

Dove l’occasione figurativa corrisponde ad una sequenza<br />

d’immagini, nell’oratorio di Trescore come nel coro<br />

di Bergamo, Lotto moltiplica e raccorda i luoghi dell’azione<br />

lungo il filo di un’unificante emozione simbolica:<br />

appunto come nel Sacro Monte gaudenziano 251 . La<br />

struttura prospettica, la sua rigorosa atemporal<strong>it</strong>à sono<br />

capovolte. Ma la simbolic<strong>it</strong>à «teatrale», che Lotto<br />

imprime a quella semplicissima scatola spaziale che è al<br />

centro delle storie di David cresce anche su un ricordo<br />

prospettico.<br />

Le figurazioni dei «coperti», che sono insist<strong>it</strong>e su un<br />

materiale immaginario di incredibile rarefazione intellettuale,<br />

portano immediatamente lontano dalle consuetudini<br />

formali ed iconografiche <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura. In direzione<br />

dell’illustrazione libraria le riconduce spontaneamente<br />

un’osservazione di Longhi: «sono le invenzioni<br />

simboliche piú squis<strong>it</strong>e che l’arte veneziana ci abbia<br />

offerto dopo le illustrazioni del “Polifilo”» 252 . Ma le<br />

parole dirette, memorabili del Lotto chiariscono anche<br />

quanto fossero lontani gli equilibri dell’avventura<br />

psico-lessicale di Francesco Colonna, i tempi di Aldo e<br />

del tranquillo oltranzismo classicista dei Lombardo:<br />

Circha li disegni de li coperti, sapiate – scriveva ai<br />

comm<strong>it</strong>tenti – che son cose che non essendo scr<strong>it</strong>te, bisogna<br />

che la imaginatione le porti a luce: perciò mai me sono<br />

venute di vena pur una, et non me meraviglio de niente<br />

perché mal son careciato da voi, anci svil<strong>it</strong>o et v<strong>it</strong>uperato<br />

et menaciato in le vostre lettere 253 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 106


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

In un momento di piú pacifica intesa con i fabbriceri<br />

bergamaschi, quasi tre anni dopo, Lotto autorizza<br />

una valutazione saturnina di se stesso e del proprio<br />

lavoro:<br />

Ho per la v.ra lettera sent<strong>it</strong>o gran consolation, de<br />

maniera che tute le inventione de le tavolete ho trovato in<br />

doi zorni che in un uno anno mai ho possuto cavar dal mio<br />

cervelazo una minima cosa a tal bisogno 254 .<br />

In qualche caso Lotto indica i «coperti» come<br />

«imprese». Ma è evidente che la loro elaborazione corrisponde<br />

tanto piú direttamente all’interesse umanistico<br />

per i geroglifici di Orapollo, per le ver<strong>it</strong>à profonde e<br />

nascoste nel linguaggio dei sacerdoti egizi, che non alle<br />

imprese cinquecentesche codificate dall’Alciati e dal<br />

Giovio 255 . Nelle tarsie bergamasche non c’è la sigla logico-grafica<br />

di un soggettivo propos<strong>it</strong>o morale. In maniera<br />

tanto piú difficoltosa quanto maggiormente vincolante<br />

alla riflessione, si ripropongono piú universali condizioni<br />

di esistenza religiosa. Le lettere dell’artista testimoniano<br />

tutta la sua partecipazione affettiva nel trovare<br />

un trans<strong>it</strong>o espressivo fra logico e visibile, fra verbo<br />

ed immagine. I due termini coincidono, funzione simbolica<br />

e funzione rappresentativa si sovrappongono nella<br />

tangibilissima consistenza del simbolo 256 . La sua potenza<br />

visiva non è piú quella platonica del numero, <strong>della</strong><br />

proporzione, dei corpi regolari, ma spesso ha un’immediatezza<br />

fisica imprevedibilmente corporale, una v<strong>it</strong>al<strong>it</strong>à<br />

di forme e di luce che non potrà piú toccare a Blake.<br />

Qualcosa di simile ad una vera «impresa», per quanto<br />

mal decifrabile, è fra le tarsie di Pisa. Non sono però<br />

queste occasioni tematiche a segnare gli sviluppi conclusivi<br />

<strong>della</strong> tarsia rinascimentale. La linea innovativa<br />

del Cinquecento agisce piuttosto sulle qual<strong>it</strong>à sensibili<br />

dell’artificio operativo, sull’impreziosimento di una<br />

Storia dell’arte Einaudi 107


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

materia che vede quasi contraddetta la sua naturalezza<br />

meccanica. La pazienza del fare e l’epos intellettualistico<br />

che esalta e rende incerti i sensi ci riportano in amb<strong>it</strong>o<br />

conventuale, ma ormai lontani dal problema religioso<br />

di uomini come Lorenzo Lotto.<br />

11. Fra Damiano e l’es<strong>it</strong>o virtuosistico <strong>della</strong> tarsia.<br />

Nel 1521, poco prima che venisse assunto per il coro<br />

di Santa Maria <strong>della</strong> Misericordia, il Capoferri si<br />

accordò con fra Damiano Zambelli: avrebbe trascorso<br />

un anno con il converso domenicano ad imparare l’arte<br />

<strong>della</strong> tarsia 257 . Non si tratta di un vero discepolato, quanto<br />

piuttosto di una specie di perfezionamento. Ciò non<br />

toglie che fra i due intarsiatori esista un tram<strong>it</strong>e di cultura;<br />

e che esso risalga ad un indirizzo già da tempo operante<br />

in Lombardia: su campi di figurazione assai<br />

profondi, senza la sintesi meccanico-prospettica del<br />

Quattrocento, ma aprendo alla descrizione arch<strong>it</strong>ettonica<br />

e paesistica, si faceva un uso piú elaborato e «p<strong>it</strong>torico»<br />

del legno. Sorprende, pertanto, la notizia di un<br />

osservatore contemporaneo ed attento come il Michiel,<br />

a propos<strong>it</strong>o <strong>della</strong> prima grande opera di fra Damiano,<br />

esegu<strong>it</strong>a per il convento cui era aggregato.<br />

In la Cappella maggiore li banchi di tarsia sono de man<br />

de Fra Damian Bergamasco Converso in S. Domenego, che<br />

fu discepolo de Fra... Schiavon in Venezia. Li disegni de<br />

d<strong>it</strong>te tarsie furono de mano de Trozo da Monza e de Bernardo<br />

da Trevi, del Bramantino, e altri, e sono istorie del<br />

Testamento Vecchio e prospettive 258 .<br />

L’olivetano Sebastiano da Rovigno era morto a Venezia<br />

nel 1505. Ed è tanto piú difficile che fra Damiano<br />

fosse stato suo allievo se già attorno a tale data si fanno<br />

Storia dell’arte Einaudi 108


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

risalire (come è stato sugger<strong>it</strong>o) i primi cartoni per le tarsie<br />

bergamasche. Oltre allo stile lignario, scarta da una<br />

traiettoria che dovette s<strong>it</strong>uarsi tra i Lendinara e Giovanni<br />

da Verona, il fatto che, per tarsie di «<strong>prospettiva</strong>»,<br />

ci si rivolgesse a p<strong>it</strong>tori-arch<strong>it</strong>etti.<br />

Le prime tarsie di fra Damiano anticipano il coro del<br />

Capoferri nella scelta dei temi narrativi (quindi non<br />

strettamente prospettici) e nelle occasioni di scambio<br />

con l’illustrazione libraria. Per una tavola del suo V<strong>it</strong>ruvio<br />

volgare (1521), il Cesariano adattò infatti lo stesso<br />

disegno di una tarsia bergamasca. Visto lo stretto giro<br />

di date, c’è da pensare che egli sia fra gli «altri» autori<br />

sottaciuti dal Michiel. Non è il caso di entrare nel campo<br />

di queste identificazioni, per quanto il dilettante veneziano<br />

possa dare stimolo ed indirizzi alla nostra curios<strong>it</strong>à.<br />

Gli accertamenti sulle tarsie non sono meno difficoltosi<br />

del consueto. Alcuni dei pannelli che si usava<br />

riferire al Bramantino sono stati spostati, con migliore<br />

possibil<strong>it</strong>à, allo Zenale 259 . Non ci sono comunque alternative<br />

radicali. Fra Damiano fece riferimento ad un’esperienza<br />

prospettica sostanzialmente omogenea. Si<br />

direbbe però che l’indirizzo «p<strong>it</strong>torico» dell’arch<strong>it</strong>ettura<br />

lombarda a partire da Bramante; le perdute trattazioni<br />

prospettiche dei p<strong>it</strong>tori; la stessa immagine professionale<br />

di p<strong>it</strong>tori-arch<strong>it</strong>etti come Zenale o Bramantino,<br />

abbiano aiutato a scalzare il ruolo di progettazione<br />

dei <strong>maestri</strong> di tarsia. E, come è già stato ripetuto, è interessante<br />

che fra Damiano continuasse a servirsi di quei<br />

modelli anche dopo il suo trasferimento a Bologna<br />

(1526). Non c’è piú bisogno di sottolineare che proprio<br />

il r<strong>it</strong>orno di questi temi prospettici fin verso la metà del<br />

secolo, in contesti tanto mutati, stia ad indicare come<br />

la tarsia avesse ormai scavato una sua area di peculiar<strong>it</strong>à<br />

figurativa. È ora opportuno vedere come si determinò<br />

tale adattamento, che corrisponde alla consacrazione<br />

vasariana di fra Damiano.<br />

Storia dell’arte Einaudi 109


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Un indice molto esplic<strong>it</strong>o è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o proprio dalle<br />

modifiche fatte sui due cartoni lombardi ripresi per i<br />

pannelli del dossale del presb<strong>it</strong>erio (1528-30), a San<br />

Domenico. In basso furono aggiunti alcuni gradini; in<br />

alto, alcune strutture arch<strong>it</strong>ettoniche di chiusura, protese<br />

in avanti, hanno lo stesso valore di mediazione proporzionale.<br />

La narrazione arch<strong>it</strong>ettonica bramantesca e<br />

lombarda trova cosí un inf<strong>it</strong>timento retorico degli argomenti.<br />

Si innesta sugli sviluppi postbramanteschi e<br />

romani che andavano quasi configurando un’identificazione<br />

elettiva fra figurazione prospettica e nuova scena<br />

teatrale. Da Bologna era già passato il Peruzzi, che di<br />

quello svolgimento è il cardine: il cartone Bentivoglio<br />

poteva interessare come modello di scena affollatissima<br />

e diminu<strong>it</strong>a in funzione dell’arch<strong>it</strong>ettura. Le tarsie bolognesi<br />

di Raffaele da Brescia, per quanto diversamente<br />

orientate, dovevano certo attirare dove fingevano soluzioni<br />

di proporzionamento in scala con l’osservatore.<br />

Per i disegni delle prospettive di fra Damiano, la tradizione<br />

mette avanti due nomi: il Vignola e il Serlio. Se<br />

il ricordo di Vasari è giusto, il Vignola va riconosciuto<br />

nell’Annunciazione esegu<strong>it</strong>a per Francesco Guicciardini,<br />

al tempo in cui fu governatore a Bologna. Alle accentuazioni<br />

«sceniche» delle tarsie bolognesi di fra Damiano<br />

sembra corrispondere piú spontaneamente il nome<br />

del Serlio, che si potrebbe riconoscere nei caratteri quasi<br />

da «scena di commedia» di alcuni fondali edilizi nella<br />

spalliera <strong>della</strong> Cappella dell’Arca (1530-35), trasformata<br />

poi nei banchi <strong>della</strong> sacrestia 260 . Ma per lui, come per<br />

tutto quanto accenna ad un apprezzamento in senso<br />

«teatrale», bisogna controllare con molta attenzione il<br />

registro cronologico. Non occorre, comunque, sopravvalutare<br />

la questione dell’autografia dei cartoni. Nel<br />

reimpiego, almeno in parte, è l’intarsiatore a spostare i<br />

pezzi del gioco prospettico.<br />

In un senso diverso, opposto anzi, a quello lendina-<br />

Storia dell’arte Einaudi 110


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

resco, la qual<strong>it</strong>à prospettica <strong>della</strong> figurazione non potrà<br />

essere separata dai modi <strong>della</strong> sua definizione nella tarsia.<br />

Tra Bergamo e Bologna è maturata un’ulteriore evoluzione<br />

«p<strong>it</strong>torica» e, in ordine a tale istanza, anche un<br />

deciso salto qual<strong>it</strong>ativo. L’ord<strong>it</strong>o spiegatissimo degli<br />

spazi non conosce la scomposizione/ricomposizione<br />

lignaria e cromatica delle tarsie parmensi (che fra Damiano<br />

certamente vide) 261 , ma s’incorpora nella fior<strong>it</strong>issima<br />

varietà <strong>della</strong> superficie. Al trattamento artificiale dei<br />

legni, secondo la tradizione lombarda, si accosta ora<br />

una puntigliosa ricerca dei valori grafici del legno: tanto<br />

sorprendenti in se stessi, quanto sganciati da una possibil<strong>it</strong>à<br />

sintattica di strutturazione visiva; momenti di<br />

autonoma, minuta camp<strong>it</strong>ura, destinati a scandire l’artificio<br />

operativo. Servono a tali valori grafici i difficoltosissimi<br />

tagli derulati (con l’effetto di ondeggiature<br />

parallele), l’inclinazione a 45 gradi di trame regolari, i<br />

frequentissimi innesti di legni conglomerati, le radiche.<br />

Ad evidenziare l’operazione tutta mentale con cui s’intese<br />

quasi nascondere l’immediatezza fisica delle essenze,<br />

ricavandone effetti figurativi a sorpresa o sovrapponendo<br />

una f<strong>it</strong>tissima trama pirografata, fra Damiano<br />

inserí materie diverse dal legno: peltro e madreperla.<br />

Anche piú conseguentemente, per tale carattere polimaterico,<br />

l’opera di tarsia acquista un’autonoma ident<strong>it</strong>à<br />

di oggetto, indipendente da qualsiasi struttura lignea<br />

che non sia una cornice: appunto come nei «quadri» che<br />

fra Damiano eseguí per il cardinal Salviati, per il Guicciardini,<br />

nella Crocifissione donata a Carlo V (che, per<br />

soggetto almeno, corrisponde ad un pannello del Museo<br />

Davia Bargellini) 262 . L’eccezional<strong>it</strong>à <strong>della</strong> tecnica riscatta<br />

la dipendenza dal disegno (secondo la gerarchia vasariana),<br />

riassorbendo anche l’eventuale, diversa origine<br />

dei presupposti p<strong>it</strong>torici (come nel caso delle vecchie<br />

prospettive lombarde del primo Cinquecento).<br />

Ma l’apprezzamento <strong>della</strong> tarsia p<strong>it</strong>torica di fra<br />

Storia dell’arte Einaudi 111


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Damiano poteva scorrere anche su un parametro diverso<br />

da quello vasariano. Contro la nozione sostanzialmente<br />

strumentale che <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong> ha lo scr<strong>it</strong>tore<br />

toscano, la pagina dedicata all’intarsiatore da un vecchio<br />

gentiluomo come Sabba Castiglione prende avvio dalla<br />

considerazione che le immagini prospettiche «sono a gli<br />

intelligenti piú grate che vaghe a gli occhi di coloro che<br />

meno intendono». Partendo dai modelli prebramanteschi,<br />

il Castiglione (lombardo e verosimilmente coetaneo<br />

dell’intarsiatore) si rende conto che la distinzione fra<br />

figurazione di arch<strong>it</strong>ettura e figurazione di storia è cosa<br />

passata e afferra la nuova perspicu<strong>it</strong>à espressiva del lavoro<br />

di commesso. Parlando degli «ornamenti <strong>della</strong> casa»,<br />

il frate cavaliere rimo<strong>della</strong> sul proprio studiolo di Faenza<br />

una ideale fenomenologia delle scelte possibili. Fra<br />

queste c’è<br />

chi le adorna [le camere e gli studii] di commesso di mano<br />

di fra Giovanni da Monte Oliveto, o di fra Rafaello da Brescia,<br />

o delli Legnaghi [evidentemente i Lendinara, scambiando<br />

la c<strong>it</strong>tà di origine con la vicina Legnago], <strong>maestri</strong><br />

eccellentissimi in simil essercizii, massimamente nelle prospettive.<br />

Ma sopra tutto chi le puote avere le appara et<br />

adorna con le opere piú tosto divine che umane del mio<br />

padre fra Damiano de Bergamo dell’ordine de’ predicatori,<br />

il quale non solo nelle prospettive, come quest’altri<br />

buoni <strong>maestri</strong>, ma nelli paesi, nelli casamenti, nelli lontani<br />

e, ch’è piú, nelle figure, fa con il legno quello che a pena<br />

farebbe il grand’Appelle con il pennello, anzi a me pare che<br />

li colori di quei legni siano piú vivi, piú accesi e piú vaghi<br />

di quelli che usano li p<strong>it</strong>tori, di sorte che questi dignissimi<br />

lavori si possono dire essere una nuova p<strong>it</strong>tura eccellentemente<br />

color<strong>it</strong>a senza colori; cosa molto ammiranda,<br />

ancor che non manco di maraviglia sia che, essendo le<br />

opere di commesso, l’occhio, quanto piú si affatica, tanto<br />

manco si comprendono le commissure: che non è senza stupore<br />

de’ risguardanti 263 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 112


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Il paragone con la p<strong>it</strong>tura (svolto da Vasari in senso<br />

sfavorevole alla tarsia) è un riferimento pos<strong>it</strong>ivo. L’autonomia<br />

espressiva <strong>della</strong> tecnica non ne esce contraddetta.<br />

Il Castiglione si era formato in tempi in cui potevano<br />

sembrare meno totalizzanti le capac<strong>it</strong>à mimetiche<br />

<strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura.<br />

A questo propos<strong>it</strong>o, occorre però fare attenzione; e<br />

non confondere le evocazioni un po’ nostalgiche del collezionista<br />

con l’aria che tira in tutto il suo libretto. Non<br />

si tratta, come dice Schlosser, di «un’amabile autobiografia»;<br />

i suoi Ricordi non «appartengono ancora interamente<br />

al tempo prima del Vasari». L’elogio di fra<br />

Damiano non per caso culmina dichiarando l’«onestà<br />

<strong>della</strong> sua religiosa e santa v<strong>it</strong>a»: che è un giudizio idealmente<br />

contrapposto a quello del Lotto. Per quanto<br />

Sabba Castiglione potesse sentirsi legato, se si trattava<br />

di studioli, al tempo in cui il suo illustre parente aveva<br />

ambientato il Cortegiano, per quanto i Ricordi si aprano<br />

e richiudano smuovendo una questione ormai lontana<br />

come quella <strong>della</strong> lingua, tutto il libretto (almeno nella<br />

prima edizione, di cui non faceva parte il brano c<strong>it</strong>ato)<br />

affonda nella s<strong>it</strong>uazione tridentina, è ossessivamente<br />

rivolto alla «mortale e sozza lebbra luterana» 264 . Le sue<br />

venticinque ristampe antiche ne sono la conferma.<br />

Non è ora il caso di cercare una piú sotterranea ragione<br />

contestuale per quegli squarci nostalgici rivolti ad una<br />

diversa stagione del costume intellettuale. Ma entro<br />

questa oscillazione in senso controriformato si può afferrare<br />

meglio il tono piú castigato dell’ultimo fra Damiano:<br />

non tanto nel coro di San Domenico (che per l’emergenza<br />

degli aiuti, segu<strong>it</strong>a alla morte dell’intarsiatore,<br />

non «si potrà int<strong>it</strong>olare», come invece si auspicava<br />

il Castiglione, «l’ottavo spettacolo del mondo»), ma nei<br />

lavori esegu<strong>it</strong>i fra il ’47 e il ’49 per la Cappella <strong>della</strong><br />

Bastia d’Urfé (oggi al Metropol<strong>it</strong>an Museum) 265 . In uno<br />

spazio ristretto, moralmente arginato dalla decorazione<br />

Storia dell’arte Einaudi 113


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

come uno studiolo umanistico spinto fino all’età tridentina,<br />

le tarsie di fra Damiano si saldarono ad una<br />

serie d’immagini di un classicismo quasi espiato, da settimana<br />

di passione, dipinte dal Siciolante da Sermoneta.<br />

Esse dovevano corrispondere bene alle esigenze<br />

med<strong>it</strong>ative di un gentiluomo passato dalla frequentazione<br />

(possibile) del circolo di Margher<strong>it</strong>a di Navarra alle<br />

sessioni del concilio. Nel consueto riuso dei cartoni, fra<br />

Damiano destinò ad una visione centrata e piú intensiva<br />

alcuni temi che nel coro bolognese trovano collocazioni<br />

meno privilegiate: cubi vuoti a sportelli, di costruzione<br />

semplicissima ma di complicazione spaziale quasi<br />

ossessiva, posati su scacchiere deformate dalla loro stessa<br />

imminenza. Può darsi che questo r<strong>it</strong>orno prospettico<br />

possa avere anche un significato in direzione del simbolismo<br />

mistico e matematico del secondo Cinquecento<br />

francese. Ma in un’altra visuale, questa spoglia tensione<br />

geometrica ricorda come le attenzioni prospettiche<br />

andassero trovando una loro tipic<strong>it</strong>à da convento. In tal<br />

senso sembra già muoversi il francescano Domenico de’<br />

Fossi cost<strong>it</strong>uendo il suo repertorio di temi decorativi,<br />

che deve qualcosa anche al lessico degli intarsiatori. Una<br />

disciplina <strong>della</strong> pazienza e dell’astrazione prevale sull’eventuale<br />

ragione operativa di quei modelli.<br />

La cultura di fra Damiano non fu in contraddizione<br />

con gli sviluppi p<strong>it</strong>torici <strong>della</strong> tarsia «laica» a Bologna 266 ;<br />

ma è naturale che la sua diffusione fosse dovuta alla diaspora<br />

di una bottega reclutata fra familiari e confratelli.<br />

Nel coro di Genova, il pannello con Mosè salvato<br />

dalle acque è replica fedele di quello nella spalliera di San<br />

Domenico; ma a firmarlo fu Giovanni Francesco Zambelli<br />

267 . Frate Antonio da Lunigiana, per una porta del<br />

convento domenicano di Lucca, San Romano, riprese<br />

quella stessa Nativ<strong>it</strong>à (forse memore <strong>della</strong> nota stampa<br />

di Nicoletto da Modena) che compare nel coro bolognese,<br />

cui aveva collaborato. In coerenza con gli es<strong>it</strong>i<br />

Storia dell’arte Einaudi 114


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

ultimi di fra Damiano, nelle parti non narrative, r<strong>it</strong>orna<br />

sui temi prospettici con astrazione piú incup<strong>it</strong>a 268 .<br />

Le tarsie che Benedetto e Battista Virchi eseguirono<br />

per San Francesco di Brescia, piú che col rientro in<br />

Lombardia di Giovanni Francesco Zambelli, si spiegano<br />

con lo sviluppo delle premesse lombarde di fra<br />

Damiano 269 . Al successo <strong>della</strong> formula del converso<br />

domenicano rimandano ancora i pannelli che dopo il<br />

1570 Paolo Gaza intarsiò per il coro di Santa Maria<br />

sopra San Celso. Ma la tarsia è nuovamente e rigorosamente<br />

subordinata alla struttura decorativa del complesso:<br />

sicché è leg<strong>it</strong>timo l’orgoglio di Galeazzo Alessi<br />

quando, a propos<strong>it</strong>o del coro milanese, parla di «un<br />

disegno molto nobile e ricco da me fatto» 270 .<br />

Le incorniciature marcanti, ad intaglio profondo o<br />

figurate in piano, che scandiscono e raccordano i quadri<br />

di tarsia già come sulle pareti di una galleria, caratterizzano<br />

l’ultimo, sorprendente episodio cinquecentesco:<br />

la decorazione <strong>della</strong> sacrestia di San Martino a<br />

Napoli (terminata nel 1600). I colonnati a distesa, le<br />

volte altissime, le strutture sterminate e senza corpo<br />

potrebbero definire la fantasia tardomanieristica di una<br />

stazione ferroviaria dell’Ottocento; sembrano appoggiate,<br />

con tettonica incastonatissima ed inesistente, da<br />

un pasticciere di classe incredibile. Direttamente legate<br />

alla cultura nordica di un incisore come il De Vries, queste<br />

tarsie capovolgono l’immagine prospettica in una<br />

festosissima «van<strong>it</strong>as van<strong>it</strong>atum», nella piú spettacolare<br />

negazione di ogni possibile costruzione intellettuale.<br />

Storia dell’arte Einaudi 115


Cap<strong>it</strong>olo terzo<br />

Temi<br />

La compattezza tematica delle tarsie dipende dalla<br />

loro particolare condizione decorativa, dal trovarsi quasi<br />

sempre in luoghi destinati ad una percezione particolarmente<br />

riflessiva e in fasce d’intensa calam<strong>it</strong>azione<br />

ottica. A tali requis<strong>it</strong>i visivi debbono corrispondere<br />

immagini già virtualmente organizzate nella disposizione<br />

di chi osserva. La stabil<strong>it</strong>à dei temi, prima di essere<br />

inconsapevole ered<strong>it</strong>à di mestiere o vincolante ab<strong>it</strong>udine<br />

ornamentale, è esigenza d’uso astrattivo. Pertanto, a<br />

chiusura del suo canonico saggio del 1953, André Chastel<br />

ricordò i soggetti che compaiono in sacrestie e cori<br />

secondo questa semplicissima suddivisione di tipologie:<br />

1) il falso armadio che scopre una «natura morta» l<strong>it</strong>urgica;<br />

2) la finestra illusoria che inquadra un’apertura prospettica;<br />

3) la finta nicchia che scherma la statua di un<br />

santo o una figura allegorica. Chastel richiamò le origini<br />

trecentesche di tali tipologie, notando come esse si<br />

fossero poi estese alla circostanza laica dello studiolo di<br />

Urbino.<br />

Nei primi due paragrafi di questo cap<strong>it</strong>olo ci si occuperà<br />

<strong>della</strong> «finestra illusoria». Nei due conclusivi, <strong>della</strong><br />

prima tipologia. La terza, nella formulazione di Chastel,<br />

implica cr<strong>it</strong>eri illusivi piú spinti, quindi meno consueti.<br />

Conosciamo ormai gli amb<strong>it</strong>i e, soprattutto, le fasi ultime<br />

in cui gli intarsiatori vollero tentar l’illusione non di<br />

un corpo volumetrico, ma di una superficie p<strong>it</strong>torica.<br />

Storia dell’arte Einaudi 116


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Quando emergono le tarsie di «storia», si è ormai derogato<br />

da quell’identificazione conosc<strong>it</strong>iva su cui si fondò<br />

il nesso quattrocentesco fra incastro ligneo e pura immagine<br />

geometrica; di fatto, un tipo di osservatore ha cessato<br />

di esistere. Nei cori padani, in maniera particolare,<br />

si era imposto un cr<strong>it</strong>erio di alternanza fra «prospettive»<br />

e «nature morte». Esso si fondava sul regolare intervallo<br />

cromatico del rovere «affogato», inser<strong>it</strong>o nel fondo<br />

scuro delle «nature morte». Tale cr<strong>it</strong>erio di organizzazione<br />

metrica fu ered<strong>it</strong>ato e diffuso da Giovanni da<br />

Verona. Esso sembra riflettersi, fra l’altro, anche in<br />

altre circostanze decorative: ad esempio, nella Cappella<br />

Piccolomini, il Pinturicchio riuscí a distribuire le gesta<br />

papali avvicendando (salvo un’unica interruzione)<br />

ambientazioni prospettiche e piú liberi sfondi naturali.<br />

Questo cap<strong>it</strong>olo non cost<strong>it</strong>uisce tuttavia un tentativo<br />

di quella storia delle varianti tipologiche e <strong>della</strong> loro<br />

combinazione allora auspicata da Chastel. Una storia<br />

effettiva di quei temi non si costruisce attraverso i separati<br />

accumuli di un’iconologia generica, ma individuando<br />

precisi organismi iconografici. Se perciò ci si azzarderà<br />

ad enunciare alcune valenze simboliche, è solo per<br />

cercar di fornire a chi ha segu<strong>it</strong>o gli sviluppi del secondo<br />

cap<strong>it</strong>olo una mappa di primo orientamento, da decifrare<br />

autonomamente nella concretezza dei diversi<br />

momenti storici ed ambientali. Le pagine dedicate al<br />

tema <strong>della</strong> «finestra illusoria» insistono invece sulle<br />

«regole» con cui sembra corretto affrontare tali documenti<br />

figurativi.<br />

1. Immagini <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà.<br />

Negli studi di taglio monografico, dove talvolta l’avvicinamento<br />

al tema delle tarsie coincide con una sensibile<br />

attenzione al passato locale, accade spesso che ven-<br />

Storia dell’arte Einaudi 117


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

gano riconosciute precise allusioni ad edifici ed ambienti<br />

urbani, superst<strong>it</strong>i o meno. In effetti il tema <strong>della</strong> referenza<br />

ad un luogo reale percorre in maniera estesa e<br />

caratterizzante gli sviluppi di quest’arte: a partire dai<br />

cori padovani del Santo (per quel poco che ne rimane)<br />

e di Santa Giustina. Questo tema non interessa gli intarsiatori<br />

fiorentini (non se ne stanno a ripetere le ragioni;<br />

mentre altro è il senso delle prospettive urbane quando<br />

riappaiono nel taglio largo ed orizzontale dei cassoni);<br />

ma è comunque diffuso a Sud degli Appennini: lungo la<br />

costa adriatica (coro di Pesaro), come su quella tirrenica<br />

(a Pisa, come sub<strong>it</strong>o si vedrà; negli stalli lucchesi di<br />

Ambrogio e Nicolao Pucci; fino a quelli napoletani <strong>della</strong><br />

Certosa di San Martino).<br />

Lasciamo perdere le osservazioni troppo ingenuamente<br />

coperte dall’ombra del natio campanile. Fra quanti<br />

si sono occupati da vicino delle tarsie, chi ha cercato<br />

di valorizzarne sistematicamente le potenzial<strong>it</strong>à documentarie<br />

in ordine alla storia urbanistica è stato Arturo<br />

Carlo Quintavalle 271 . «Nelle tarsie <strong>della</strong> scuola lendinarese»,<br />

egli è giunto a riconoscere, «a Parma come a<br />

Modena come a Padova, vedute reali <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà, vedute<br />

dei punti chiave, dei punti determinanti del tessuto<br />

arch<strong>it</strong>ettonico urbano». Piú in particolare, nel caso studiato<br />

da Quintavalle, che è il coro <strong>della</strong> Cattedrale di<br />

Ferrara, Bernardino da Lendinara avrebbe dato «una<br />

veduta tanto interessante e nuova, quanto preziosa per<br />

rest<strong>it</strong>uirci nel suo significato plastico-volumetrico la portata<br />

e il peso <strong>della</strong> riforma rossettiana» 272 . Senonché,<br />

come è già cap<strong>it</strong>ato di ricordare, otto delle tarsie in cui<br />

si dovrebbe riconoscere il «panorama realistico» <strong>della</strong><br />

nuova Ferrara si r<strong>it</strong>rovano tali e quali in San Pietro a<br />

Modena, riutilizzate da Gian Francesco Testa nel nuovo<br />

coro cinquecentesco.<br />

Accantoniamo pure il caso di Ferrara. C’è tuttavia<br />

una testimonianza d’archivio che sembrerebbe incorag-<br />

Storia dell’arte Einaudi 118


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

giare un uso obiettivamente documentario delle tarsie.<br />

I pannelli per cui il 6 ottobre del 1490, a Pisa, venne<br />

pagato Guido di Filippo da Seravallino furono indicati<br />

con inequivocabili riferimenti descr<strong>it</strong>tivi. «Il dilungharno<br />

cholla chiesa di San Matteo» e il «ponte a la<br />

Spina» sono ancora riconoscibili fra le tarsie pisane 273 .<br />

Ma si tratta anche di nomenclature utili in una circostanza<br />

amministrativa; dove comunque la specificazione<br />

di luogo si abbina a richiami generici («un’archo<br />

d’una porta», «cierti casamenti»). Ma queste tarsie<br />

erano poi effettivamente guardate come immagini realistiche<br />

<strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà? Il Colacio descrisse con gran cura il<br />

coro del Santo («Aedes, templa, cum campanis turres,<br />

fornicum fenestrarumque umbris, testudibus, surgentibus<br />

<strong>it</strong>em gradibus cum etiam inclinatis foribus»); ma in<br />

quel giudizio tutto percorso sul parametro <strong>della</strong> stupefazione<br />

illusiva («Elevo hic inhians supercilia, fio hic<br />

nimia admiratione», ecc.), nulla accenna a quella puntuale<br />

allusione topografica che caratterizza, quanto<br />

meno, una delle due sole tarsie superst<strong>it</strong>i 274 . E, proprio<br />

a riguardo del coro ferrarese, il duca Ercole I indicò Bernardino<br />

da Lendinara come l’«intagliator [...] deputato<br />

a fare li quadri cum li casamenti seu prospective che<br />

vano e che hano ad andare in dicto coro» 275 . Venivano<br />

dunque legati ad una generica memoria prospettica, e<br />

non ad una specificamente locale. L’interscambiabil<strong>it</strong>à<br />

di cartoni fra Ferrara e Modena, del resto, parla chiaro.<br />

Ma, al di là di ogni altra considerazione, un caso<br />

almeno delle tarsie ferraresi cost<strong>it</strong>uisce un inequivocabile<br />

e rilevante riferimento alla nuova organizzazione<br />

monumentale <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà: quella dove è riprodotto lo<br />

scalone coperto di Pietro Benvenuti. Si tratta allora di<br />

precisare, in queste immagini di c<strong>it</strong>tà, il rapporto fra<br />

momenti generici e momenti riconoscibili. La presenza<br />

di elementi reali, in una tarsia singola come nell’intera<br />

sequenza degli stalli, ha la funzione precipua di solleci-<br />

Storia dell’arte Einaudi 119


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

tare la verosimiglianza prospettica, di riflettere tale plausibil<strong>it</strong>à<br />

sul campo intero <strong>della</strong> figurazione urbanistica.<br />

«Non si rappresenta mai lo spazio, ma le cose consuete<br />

in date s<strong>it</strong>uazioni». E ancora Gombrich ricorda che «la<br />

<strong>prospettiva</strong> crea le sue illusioni piú efficaci quando può<br />

contare su certe inveterate attese e assunzioni da parte<br />

dell’osservatore» 276 . Gli stessi elementi reali, nelle tarsie,<br />

svolgono un ruolo di cerniera, di sigillo rispetto alle<br />

final<strong>it</strong>à illusive, sono i cardini mnemonici <strong>della</strong> trama<br />

prospettica. In tal senso, ma capovolto verso l’occhio di<br />

chi guarda, ha ragione Quintavalle ad insistere sui<br />

«punti chiave» e «determinanti» <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà.<br />

Non è dunque il caso di parlare di «veduta». La<br />

veduta, quale maturò fra Sei e Settecento, presuppone<br />

una mutata cognizione percettiva e fenomenica. Nasce<br />

sulle ceneri ormai spente <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong> rinascimentale.<br />

Potrà richiedere aggiustamenti compos<strong>it</strong>ivi, come<br />

cap<strong>it</strong>a anche a Canaletto, ma è cosa del tutto svincolata<br />

dalle vecchie ragioni di proporzional<strong>it</strong>à, sintesi, astrazione.<br />

Che, a farne la storia, possa tornare utile il preliminare<br />

quattrocentesco <strong>della</strong> geometrizzazione dello<br />

spazio sarà giusto, ma non fino al punto di riconoscere<br />

in quelle macchine (per aggregare il visibile) che furono<br />

le tavolette brunelleschiane l’effettivo atto di nasc<strong>it</strong>a. La<br />

veduta è «paesaggio storicamente obbiettivo» 277 , temporalizzato<br />

quindi, al contrario di qualsiasi «<strong>prospettiva</strong>»<br />

intarsiata. Con questo non si nega lo scarto profondo<br />

fra le opere dei Lendinara e quel notevole gruppo di<br />

tarsie che si collega al coro di San Giovanni Evangelista<br />

a Parma. Appunto: solo verso la metà del Cinquecento<br />

s’incontrano tarsie libere da una formalizzazione<br />

geometrica astrattiva, dilatate anzi in minute notazioni<br />

descr<strong>it</strong>tive.<br />

Solo tarando gli specifici condizionamenti di cultura<br />

figurativa, come del resto accade sempre a queste date,<br />

sarà possibile ricavare dalle tarsie qualche dato utile<br />

Storia dell’arte Einaudi 120


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

sulle morfologie edilizie del passato. Della c<strong>it</strong>tà rinascimentale,<br />

innanz<strong>it</strong>utto, esse rest<strong>it</strong>uiscono riflessi ideologizzati,<br />

progetti latenti, «immagine». Non si avrà ora la<br />

pretesa di entrare nel campo dei problemi <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà<br />

rinascimentale (neppure con richiami bibliografici). Si<br />

potrà solo richiamare, in rapporto alle tarsie, qualche<br />

elemento di differenziazione.<br />

A propos<strong>it</strong>o dell’armadio cremonese del Platina, ad<br />

esempio, è stato notato che gli elementi del paesaggio c<strong>it</strong>tadino<br />

sono «immediate riprese dei luoghi reali <strong>della</strong><br />

v<strong>it</strong>a collettiva, tipici <strong>della</strong> memoria [...] diversamente<br />

dai piú chiusi luoghi medievali delle tarsie dei Lendinara,<br />

resi episodici dal rapporto con la cornice illusionistica»<br />

278 . Abbiamo già visto che tale contrapposizione non<br />

vale in ordine a Lorenzo, quanto piuttosto a Cristoforo<br />

e Bernardino da Lendinara. Occorre però sottolineare<br />

che quelle loro prospettive urbane, non bloccate nella<br />

memoria e trascorrenti all’occhio, equivalgono ad un’immagine<br />

perfettibile <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà reale: non si tratta <strong>della</strong><br />

«c<strong>it</strong>tà ideale» dei principi e degli ingegneri quattrocenteschi,<br />

ma dell’ideale visualizzazione <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà esistente,<br />

<strong>della</strong> sua facies medievale. La sua concretezza è pertanto<br />

generica, non segnata da precise emergenze: cosí<br />

come è continuo e compatto l’organismo urbanistico<br />

medievale quando si prescinda dai grandi connotati simbolici<br />

dell’individual<strong>it</strong>à municipale (palazzo pubblico,<br />

cattedrale, ecc.). Del resto Cristoforo figurò chiese tradizionalmente<br />

romaniche. Cosí come alle soglie del Cinquecento,<br />

nella concreta realizzazione edilizia, furono<br />

ancora «romanici» gli arch<strong>it</strong>etti <strong>della</strong> via Emilia, dagli<br />

Zaccagni al Tramello. La c<strong>it</strong>tà anonimamente concreta,<br />

ma razionalizzata, di Cristoforo si accosta in qualche<br />

modo alla «coscienza c<strong>it</strong>tadina», ai valori ben vivi dell’ideologia<br />

comunale; è assai piú vicina all’umanesimo<br />

civile del tempo di Brunelleschi di quanto non sia, ad<br />

esempio, la fiorentinissima <strong>prospettiva</strong> di Urbino 279 . Men-<br />

Storia dell’arte Einaudi 121


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

tre, nella stessa linea lendinaresca, il coro riminese di San<br />

Marino conferma la sua eccezional<strong>it</strong>à, negando ogni possibile<br />

memoria come ogni ipotetico modello percettivo<br />

del paesaggio edilizio; che è tema, invece, di puro formalismo<br />

prospettico. Occorre stare attenti, tuttavia, a<br />

non forzare eccessivamente l’immagine <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà,<br />

medievale e modernamente razionalizzata, che è tipica di<br />

Cristoforo da Lendinara. Non si può assimilare in fretta<br />

le sue tarsie al ricordo (che so) di certe strade modenesi<br />

attorno a San Pietro. C’è invece da chiedersi quanto<br />

abbia influ<strong>it</strong>o sul sostrato urbanistico medievale quel<br />

tipo di normalizzazione ottica formulata in età prospettica<br />

ed esemplificato appunto in tante tarsie padane.<br />

Sulla scena modenese de Gl’Ingannati si poteva riconoscere<br />

la vecchia Ghirlandina come «il piú solenne<br />

campanile che sia in tuta la machina mondiale» (III, 2);<br />

mentre nei versi del Berni la Verona medievale veniva<br />

inesorabilmente a contraddire le leggi <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

(«Appresso ha anche drento, | come hanno l’altre terre,<br />

piazze e vie, | stalle, stufe, spedali et hosterie, || fatte in<br />

geometrie, | da fare ad Euclide et Archimede | passar gli<br />

arch<strong>it</strong>ettori con uno spiede», Sonetto a messer Francesco<br />

Sansovino, vv. 16-23). Anche le tarsie avevano contribu<strong>it</strong>o<br />

a definire questa c<strong>it</strong>tà dell’ideale prospettico, contrapposta<br />

a quella storica.<br />

Davanti alle «c<strong>it</strong>tà ideali» che compaiono sulle porte<br />

di Urbino come anche al centro dei cassoni, non è il caso<br />

di parlare di utopia. Anche l’elaborazione che del tema<br />

<strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà passò attraverso tanti scr<strong>it</strong>ti e trattati del<br />

Quattrocento, non è utopica 280 . La c<strong>it</strong>tà ideale fu piuttosto<br />

il campo di altissime riflessioni tecniche: sia nel<br />

senso del sapere meccanico degli ingegneri che in quello,<br />

altrettanto pratico, dell’astrologia. Ma non conosce<br />

la necess<strong>it</strong>ante strutturazione pol<strong>it</strong>ica delle utopie cinque-seicentesche.<br />

Le c<strong>it</strong>tà immaginate da p<strong>it</strong>tori e intarsiatori<br />

non possono neppure prefigurare in alzato l’as-<br />

Storia dell’arte Einaudi 122


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

solutezza di forme geometriche con cui s’impianterà poi<br />

la nuovissima arch<strong>it</strong>ettura mil<strong>it</strong>are: la loro giustezza proporzionale<br />

è tutta in quel piano di proiezione che è la<br />

superficie p<strong>it</strong>torica. A parte quanto verrà detto nel paragrafo<br />

successivo, vorrei ricordare almeno due fattori<br />

che contribuirono a fare di queste immagini dipinte ed<br />

intarsiate la semplice allusione (per quanto in sé prestigiosa)<br />

ad una norma arch<strong>it</strong>ettonica ed urbanistica: il<br />

primo si riferisce all’arch<strong>it</strong>ettura come metafora del reggimento<br />

pol<strong>it</strong>ico; l’altro ad una percezione fortemente<br />

p<strong>it</strong>torica degli organismi edilizi. Sono due punti che<br />

all’inizio del Cinquecento tendono a convergere in una<br />

specie di codice cortigiano dell’arch<strong>it</strong>ettura 281 .<br />

Il ruolo dell’arch<strong>it</strong>etto albertiano, su cui Garin ha<br />

fatto osservazioni risolutive («arch<strong>it</strong>etto diventa […]<br />

sinonimo di regolatore e coordinatore di tutte le attiv<strong>it</strong>à<br />

c<strong>it</strong>tadine»; [...] l’arch<strong>it</strong>etto è uomo universale, o, se si<br />

preferisce, il regg<strong>it</strong>ore si fa arch<strong>it</strong>etto, e il pol<strong>it</strong>ico teorico<br />

dell’arch<strong>it</strong>ettura) 282 è pol<strong>it</strong>ico natural<strong>it</strong>er. Nella celebre<br />

pagina sull’ubicazione e caratteri convenienti alla<br />

dimora del re o a quella del tiranno, è la stessa imago<br />

urbis, nel mutare <strong>della</strong> connessione fra luoghi e forme<br />

edilizie, a dichiarare il tipo di governo. Sulla linea delle<br />

ist<strong>it</strong>uzioni c<strong>it</strong>tadino-repubblicane, l’immagine pol<strong>it</strong>ica<br />

dell’arch<strong>it</strong>etto (che in Alberti è piú che una metafora,<br />

se l’uomo è costruttore per natura) si esemplificherà<br />

fino a Donato Giannotti 283 . Ma è in rapporto al «signore»<br />

che essa acquista particolare concretezza. In una<br />

pagina del Cortegiano, poco dopo un accostamento ancora<br />

metaforico («deve il principe non solamente esser<br />

bono, ma ancor far boni gli altri; come quel squadro che<br />

adoprano gli arch<strong>it</strong>etti, che non solamente in sé è dr<strong>it</strong>to<br />

è giusto, ma ancor indrizza e fa giuste tutte le cose a<br />

che viene accostato»), si riconosce nella pratica del<br />

«murare» un aspetto caratteristico del principe ideale (è<br />

questo l’oggetto <strong>della</strong> discussione).<br />

Storia dell’arte Einaudi 123


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Cercherei ancor d’indurlo a far magni edifici, e per<br />

onor vivendo e per dar di sé memoria ai posteri; come fece<br />

il duca Federico in questo nobil palazzo, ed or fa papa lulio<br />

nel tempio di san Pietro, e quella strada che va da Palazzo<br />

al diporto di Belvedere e molti altri edifici, come faceano<br />

ancora gli antichi Romani [...]. Cosí ancor fece Alessandro<br />

Magno [...] 284 .<br />

Entro questa cornice attende di essere considerata a<br />

fondo, in maniera sistematica e comparata, la figura del<br />

principe consigliere dell’arch<strong>it</strong>etto, mediatamente o piú<br />

direttamente responsabile del «murare», e, in alcuni<br />

casi accertati, vero e proprio dilettante di arch<strong>it</strong>ettura.<br />

In tal senso si precisa anche il richiamo del Castiglione<br />

a Federico da Montefeltro. Vicino al quale, lasciando i<br />

casi cronologici distanti di Cosimo il Vecchio e di Vespasiano<br />

Gonzaga, vengono sub<strong>it</strong>o a mente Lorenzo il<br />

Magnifico ed Ercole I d’Este («Sua Signoria molto se<br />

deleta de fabricare e fare disegni») 285 . Attorno a questo<br />

ruolo personale, simbolico e pol<strong>it</strong>ico si chiariscono i programmi<br />

urbanistici partecipati e finalizzati da un milieu<br />

cortigiano 286 . La figura del principe-costruttore si associa<br />

dunque in un noto saggio di Francastel ad uno dei<br />

tratti originali <strong>della</strong> cultura arch<strong>it</strong>ettonica del Quattrocento,<br />

quello che ci consente di leggerne le estensioni<br />

progettuali in tanti dipinti e fondali di affresco:<br />

La projection des villes futures apparaît ainsi, pendant<br />

tout le Quattrocento, comme une de tâches du fondateur<br />

de principat. [...] La société dirigeante v<strong>it</strong> dans un monde<br />

«à construire», différent du monde réel qui l’entoure, et<br />

elle demande aux peintres d’anticiper sur les arch<strong>it</strong>ettes 287 .<br />

Ridotta in termini causali, tale anticipazione riesce<br />

unilaterale; ma l’incontro fra arch<strong>it</strong>ettura e p<strong>it</strong>tura (in<br />

senso lato) individua un aspetto originale del periodo fra<br />

Storia dell’arte Einaudi 124


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

la fine del Quattro e il primo Cinquecento: ossia il cost<strong>it</strong>uirsi<br />

<strong>della</strong> spazial<strong>it</strong>à arch<strong>it</strong>ettonica (nell’«esterno» <strong>della</strong><br />

piazza di Pienza come, ad esempio, nell’«interno» <strong>della</strong><br />

cripta orvietana di San Domenico) in funzione di una<br />

soggettiv<strong>it</strong>à prospettica preordinata, intensissima e contemplante.<br />

Lo spazio si blocca dolcemente come se fosse<br />

l’icona di se stesso, «l’arch<strong>it</strong>ettura diventa immagine<br />

visiva, prima che “costruzione”; sempre piú riducibile<br />

quindi ai termini di p<strong>it</strong>tura e scultura» 288 . Esiste dunque<br />

una linea di sviluppo arch<strong>it</strong>ettonico che va spontaneamente<br />

incontro alla p<strong>it</strong>tura, alla tarsia, come poi alla<br />

scena.<br />

Nel coro di Piacenza come in quello di San Giovanni<br />

Evangelista a Parma, la figurazione piana è una verifica<br />

<strong>della</strong> dimensione monumentalmente oggettuale dell’arch<strong>it</strong>ettura<br />

postbramantesca e del suo librarsi assoluto<br />

nello spazio prospettico. Modello percettivo e memoria<br />

esemplare s’incontrano: come per il Giovanni da<br />

Verona del momento centro-<strong>it</strong>aliano, il ricordo degli<br />

edifici antichi di Roma viene tradotto in quella stessa<br />

forma di oggetto edilizio, piú che di simbolo 289 . Con Raffaele<br />

da Brescia tale oggetto si ferma ancora piú intensivamente<br />

in immagine, nell’ipotesi estrema di arch<strong>it</strong>ettura<br />

che sia immobile contenuto prospettico. Dietro<br />

a queste varie figure di arch<strong>it</strong>ettura, piú o meno a distanza,<br />

si riconoscono gli effetti <strong>della</strong> svolta bramantesca. Di<br />

queste tarsie si sarà poi dato, probabilmente, un giudizio<br />

non troppo differente da quello che toccherà nel Seicento<br />

a Bramante. Mentre un arch<strong>it</strong>etto come l’urbinate<br />

Muzio Oddi, sarà pronto a ricordare Santa Maria<br />

delle Grazie «tutta chiara e luminosa», apprezzando le<br />

qual<strong>it</strong>à p<strong>it</strong>toriche delle sue fabbriche («poiché non studia<br />

in altro che in farle piú allegre e vaghe che sarà possibile,<br />

con stucchi, p<strong>it</strong>ture, oro e cose simili»); proprio<br />

in Lombardia si r<strong>it</strong>errà che «per quei tempi Bramante<br />

fu celebre, ma fu p<strong>it</strong>tore arch<strong>it</strong>etto» 290 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 125


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

2. L’esperienza dello spettacolo.<br />

Torniamo per un attimo alle modeste tarsie di Guido<br />

di Filippo da Seravallino: i luoghi di Pisa, puntualmente<br />

indicati nei pagamenti, campeggiano oltre grandi<br />

archi, in sé poco consistenti, ma cosí dilatati visivamente<br />

da ripresentare in forma inconsueta quanto ancora<br />

oggi si associa immediatamente ad una memoria ab<strong>it</strong>udinaria<br />

di quegli spazi urbani. Negli stessi anni, nel<br />

coro di Cremona, il Platina impianta con maggior ricchezza<br />

descr<strong>it</strong>tiva proprio le incorniciature che corrispondono<br />

a temi prospettici «deboli», come le scene di<br />

campagna. Con Giovanni da Verona, poi, questi arconi<br />

acquistano sempre maggiore connotazione arch<strong>it</strong>ettonica<br />

proprio in rapporto alle immagini di c<strong>it</strong>tà, mettendosi<br />

cosí in bilico fra la percezione cosciente e i contenuti<br />

rappresentativi <strong>della</strong> tarsia.<br />

Questi elementi d’inquadramento (ben piú che la<br />

semplice «finestra illusoria») svolgono la stessa funzione<br />

di mise en scène cerimoniale degli archi trionfali, degli<br />

apparati effimeri che venivano innalzati specialmente in<br />

occasione degli ingressi solenni. Prescindendo dalla loro<br />

piú complessa articolazione formale e dai programmi<br />

allegorici di cui diventavano supporto, neppure questi<br />

archi trionfali cost<strong>it</strong>uivano oggetti autosufficienti. Essi<br />

attivavano nello spazio urbano un dinamismo percettivo<br />

piacevolmente condizionato, ne riorganizzavano la<br />

trama attraverso nuovi canali prospettici, in una funzione<br />

un<strong>it</strong>aria di evidenziamento inusuale e d’immaginoso<br />

spaesamento. Anche nelle tarsie napoletane di Giovanni<br />

Francesco d’Arezzo, ad esempio, l’arco figurato<br />

all’interno <strong>della</strong> tarsia stabilisce con la finestra prospettica<br />

quello stesso traguardo assiale che è tipico di questi<br />

apparati 291 .<br />

Si batte dunque una strada del tutto diversa da quella<br />

lendinaresca; non si tratta di una dialettica raziona-<br />

Storia dell’arte Einaudi 126


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

lizzatrice con i luoghi familiari <strong>della</strong> percezione spaziale.<br />

Lungo la linea <strong>della</strong> spettacolar<strong>it</strong>à urbana è invece<br />

possibile ricordare altri temi prediletti dagli intarsiatori<br />

cinquecenteschi: le logge aeree, i cortili, tutto quanto<br />

(come le scacchiere che pavimentano le piazze) va<br />

verso una caratterizzazione «cerimoniale» <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà. Il<br />

nuovo filone iconografico <strong>della</strong> tarsia va confrontato<br />

infatti con questa nozione di festa piú vasta e storicamente<br />

certa. La scena prospettica all’<strong>it</strong>aliana non sarà<br />

che un aspetto di questa piú larga capac<strong>it</strong>à di scambio<br />

ed integrazione fra l’immagine <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà e la festa 292 .<br />

Non si tratta dunque di stabilire trapassi causali con la<br />

tarsia.<br />

Piú di una volta, infatti, le tarsie sono state messe in<br />

rapporto con la nuova scena prospettica rinascimentale<br />

293 . È bene aver presenti, a tale propos<strong>it</strong>o, le avvertenze<br />

di Chastel contro la tentazione di trovare riflessi o final<strong>it</strong>à<br />

teatrali in qualsiasi dipinto quattro-cinquecentesco<br />

a carattere spiccatamente o esclusivamente arch<strong>it</strong>ettonico;<br />

e, piú in particolare, gli argomenti avanzati contro<br />

la proposta (fatta da Krautheimer) di riconoscere nei<br />

notissimi pannelli prospettici di Baltimora ed Urbino l’esumazione<br />

umanistica <strong>della</strong> scena «tragica» e <strong>della</strong> scena<br />

«comica» di V<strong>it</strong>ruvio. Essi hanno invece la stessa funzione<br />

decorativa che è propria delle tarsie prospettiche<br />

sia in tanti cori, sacrestie, studioli, che in «lettucci» e<br />

«spalliere» (cui erano destinati con ogni probabil<strong>it</strong>à quei<br />

dipinti) 294 . Mentre queste immagini di c<strong>it</strong>tà trovano una<br />

facile ambientazione fra i materiali <strong>della</strong> storia figurativa<br />

tardo-quattrocentesca, sta il fatto che, per la storiografia<br />

teatrale, di scena prospettica non è corretto parlare<br />

prima del secondo decennio del Cinquecento; neppure<br />

nel 1508, quando con la rappresentazione ferrarese<br />

<strong>della</strong> Cassaria ariostesca e con Pellegrino da San<br />

Daniele si vorrebbe far «partire la cronaca ufficiale <strong>della</strong><br />

scenografia prospettica all’<strong>it</strong>aliana» 295 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 127


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Non si tratta d’invertire la marcia, schematizzando<br />

l’impostazione di un libro straordinariamente ricco ed<br />

intelligente come quello che Kernodle dedicò alla traiettoria<br />

From Art to Theatre. Vale invece la pena di entrare<br />

intimamente nelle ragioni di quella catena lessicale<br />

che, distendendosi fino a poco oltre la metà del Cinquecento,<br />

connette le «prospettive» (nel senso consueto<br />

di tarsie) alla «<strong>prospettiva</strong> o vero scena a una commedia»<br />

296 , fino all’equivoco fatalmente necessario con la<br />

v<strong>it</strong>ruviana scaenographia 297 . Non si tratta allora d’insistere<br />

sulla persistenza di determinati schemi figurativi,<br />

quanto sulla maturazione consapevole, codificante, di<br />

un’att<strong>it</strong>udine contemplativa, centrata su un’immagine<br />

«cortigiana» <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà.<br />

In questo senso può riuscire equivoco il paradosso<br />

cronologico rilevato da Kernodle, quando nota che si<br />

dovrà attendere fino all’inizio del Cinquecento per<br />

veder realizzate scene con quelle stesse strade e case in<br />

<strong>prospettiva</strong> che sono già diffuse in tanta p<strong>it</strong>tura del<br />

Quattrocento 298 . È questione del tutto simile a quella del<br />

sostanziale «r<strong>it</strong>ardo» <strong>della</strong> tarsia rispetto alle prime<br />

applicazioni prospettiche; solo l’intervallo temporale è<br />

cresciuto. Ancora una volta è alla fase <strong>della</strong> ricezione<br />

figurativa che occorre riferirsi. Non si può guardare soltanto<br />

alle capac<strong>it</strong>à operative degli artisti, alla messa a<br />

punto, nelle botteghe, di un formidabile strumento di<br />

organizzazione visiva. Se poi questo strumento cost<strong>it</strong>uí<br />

il piú solido ponte di trans<strong>it</strong>o verso la condizione «liberale»<br />

dell’artista, non fu per uno spostamento di campo<br />

nel sistema sublime delle dottrine, ma per la crescente<br />

concretezza sociale di un consumo figurativo d’él<strong>it</strong>e. E<br />

pertanto solo in ordine alla peculiar<strong>it</strong>à delle attese e<br />

delle competenze figurative maturate nello scorcio del<br />

Quattrocento e nella stagione del classicismo si giustifica<br />

l’apparire <strong>della</strong> nuova scena prospettica. Non si stenta<br />

a comprendere le ragioni per cui le testimonianze<br />

Storia dell’arte Einaudi 128


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

contemporanee non consentono d’immaginarne l’avvento<br />

nei termini cronologicamente progressivi <strong>della</strong><br />

scoperta di una legge fisica. È naturale che essa sfugga<br />

ad un’esatta determinazione di tempi; come «è significativo<br />

che un portavoce degli spettatori», assistendo<br />

alla Cassaria ferrarese del 1508, «apprezzi particolarmente<br />

la parte visiva <strong>della</strong> commedia» 299 . «Il discoprirsi<br />

lo apparato di una scena», per usare le parole del Serlio,<br />

verrà «riconosciuto fra l’altre cose fatte per mano de<br />

gli uomini che si possono riguardare con gran contentezza<br />

d’occhio e satisfation d’animo» 300 . Ho messo in<br />

corsivo fra: infatti la scena non è una componente del<br />

tutto risolta nella circolar<strong>it</strong>à dell’accadimento teatrale,<br />

ma un momento articolato, da apprezzare secondo ab<strong>it</strong>udini<br />

già assestate nella piú coltivata consuetudine dell’arte<br />

301 .<br />

A tale consuetudine le tarsie avevano dato un contributo<br />

molto esteso e specifico. Non tanto come anticipazione<br />

o causa <strong>della</strong> scena prospettica; ma nell’orizzonte<br />

evolutivo di una convenzione culturale del guardare,<br />

capace di autoriflettersi nello spessore delle proprie<br />

sicurezze intellettuali e di stabilire un codice, quasi,<br />

del comportamento visivo. L’edonizzazione manieristica<br />

<strong>della</strong> vista indicata da Serlio (la gran contentezza d’occhio)<br />

non contraddice il piacevole controllo intellettuale<br />

che l’inganno prospettico suggerí al maggior Castiglione,<br />

o lo stupore v<strong>it</strong>torioso sull’affaticarsi dell’occhio<br />

che il cavaliere Sabba riconoscerà nei commessi di fra<br />

Damiano. Se dunque si crede di reintegrare l’esperienza<br />

visiva di chi si trovò davanti alla nuova scena cinquecentesca<br />

rifacendosi monol<strong>it</strong>icamente al sistema prospettico<br />

rivelato da Brunelleschi, anche il ruolo delle tarsie<br />

finirà per dissolversi nel generico o nello scontato.<br />

Non sarà comunque il caso di puntare l’attenzione sui<br />

modelli lendinareschi, cosí vincolati alla dinamica e alla<br />

serial<strong>it</strong>à percettiva. L’occhio destinato alla meraviglia<br />

Storia dell’arte Einaudi 129


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

<strong>della</strong> scena prospettica fu educato, piuttosto, da quel<br />

tipo di tarsia che va piú spontaneamente in direzione di<br />

una p<strong>it</strong>toric<strong>it</strong>à dell’arch<strong>it</strong>ettura. Nel trapasso dall’arte al<br />

teatro il punto risolutivo è questo. È vero che la <strong>prospettiva</strong><br />

è sistema proporzionale; ma non è facile prescindere<br />

dall’ent<strong>it</strong>à materiale dell’oggetto figurativo. Il<br />

piú diretto tram<strong>it</strong>e con la scena all’<strong>it</strong>aliana non sarà allora<br />

la minima «finestra» <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura o <strong>della</strong> tarsia, ma<br />

una <strong>prospettiva</strong> a scala naturale, che traduca la misura<br />

dei corpi e degli spazi in immagine. Detto concretamente,<br />

questo tram<strong>it</strong>e è Bramante.<br />

Solo seguendo l’opportuna curva di fatti e di tempi<br />

si possono rintracciare elementi utili ad un diretto confronto<br />

fra tarsia e spettacolo. In effetti, se ricominciamo<br />

a leggere quella pagina del Serlio ricordata in precedenza,<br />

riconosceremo un ideale prospettico che, certo,<br />

non potrà essere quello pierfrancescano, ma non corrisponde<br />

neppure piú alla regola classicista di Bramante.<br />

L’«arte <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong>» rivela<br />

superbi palazzi, amplissimi templii, diversi casamenti, e da<br />

presso e di lontano spaziose piazze ornate di varii edificii,<br />

dr<strong>it</strong>tissime e lunghe strade incrociate da altre vie, archi<br />

trionfali, altissime colonne, piramide, obelischi e mille<br />

altre cose belle, ornate d’infin<strong>it</strong>i lumi, grandi, mezzani e<br />

piccoli, secondo che l’arte lo comporta, li quali sono cosí<br />

artificiosamente ordinati, che rappresentano tante gioie<br />

lucidissime, come saria diamanti, rubini, zafiri, smeraldi e<br />

cose simili 302 .<br />

La costruzione prospettica è la regola dell’artificio, il<br />

sistema d’incastonatura di una realtà frantumata, che il<br />

prisma ottico rest<strong>it</strong>uisce per particelle preziose. Non<br />

siamo dunque lontani da quella linea d’intarsiatori che<br />

ha il suo campione in fra Damiano da Bergamo.<br />

Anche nella sua fase piú inoltrata, la tematica pro-<br />

Storia dell’arte Einaudi 130


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

spettica delle tarsie non consente di riconoscere influenze<br />

dirette, di specie pos<strong>it</strong>iva, che derivino dalla visualizzazione<br />

scenica. L’unica tarsia di chiara ascendenza<br />

teatrale è quella bergamasca dove la storia di David e<br />

Golia è <strong>it</strong>erata secondo la molteplic<strong>it</strong>à topologica <strong>della</strong><br />

scena medievale. Solo due momenti isolati del sistema<br />

prospettico <strong>della</strong> scena trovano riscontri esplic<strong>it</strong>i nella<br />

storia <strong>della</strong> tarsia: uno potrebbe suggerire anche l’eventual<strong>it</strong>à<br />

di un effettivo incrocio di esperienze; l’altro<br />

cost<strong>it</strong>uisce il piú specifico contributo <strong>della</strong> tarsia nel<br />

trapasso dell’organizzazione visiva dall’arte al teatro.<br />

Il primo punto riguarda un elemento che sembrerebbe<br />

essere stato introdotto nelle tarsie da Giovanni da<br />

Verona, a Napoli: una breve e piccola scala che mette in<br />

comunicazione la base in primissimo piano con il<br />

«palco» su cui è appoggiata la <strong>prospettiva</strong>. R<strong>it</strong>roviamo<br />

tali gradini, impiegati nella medesima accezione illusiva<br />

e mediatrice di spazi, nelle tarsie bolognesi di fra Raffaele<br />

da Brescia. In forma appena diversa, vennero aggiunti da<br />

fra Damiano in un cartone portato da Bergamo, replicato<br />

nel dossale del presb<strong>it</strong>erio. I tempi oscillano dunque<br />

abbastanza comodamente prima e dopo quel 1520 che è<br />

segnato su un pannello di Casa Strozzi, considerato spesso<br />

come modello scenico, e dove appunto figura una<br />

scala di questo tipo. La presenza, vera o illusiva, di tale<br />

elemento è tema ancora abbastanza complesso per la storiografia<br />

dello spettacolo; ma rimane una delle cerniere<br />

su cui si snodò l’articolazione fra lo spazio dell’osservatore<br />

e quello <strong>della</strong> scena. Non è escluso, a tali date, che<br />

possano essere intercorsi scambi fra i due amb<strong>it</strong>i di competenza<br />

prospettica. Ma il fondamento scenico-proporzionale<br />

di questa struttura di raccordo rimangono le soluzioni<br />

che, sul modello classico, erano state trovate da<br />

Bramante per il Cortile del Belvedere: che, nella storia<br />

dell’evoluzione dallo spazio arch<strong>it</strong>ettonico alla scena prospettica,<br />

è il vero anello cap<strong>it</strong>ale 303 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 131


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

L’altro elemento scenico che può essere utilmente<br />

considerato in rapporto alla figurazione lignaria è l’arco<br />

di proscenio. La sua genesi presenta, certo, specifiche<br />

compless<strong>it</strong>à filologiche e strutturali, ma la sua funzione<br />

mediana fra i due poli dello spazio teatrale può essere ben<br />

sintetizzata con le parole di Klein e Zerner: «l’arco<br />

accentua, ma nello stesso tempo neutralizza, la profond<strong>it</strong>à,<br />

r<strong>it</strong>rasformandola in immagine» 304 . Kernodle ha<br />

dedicato un cap<strong>it</strong>olo intero ai molti precedenti figurativi<br />

di tale momento scenico. Ma se c’è un amb<strong>it</strong>o artistico<br />

in cui la sua funzione divenne costante strutturale, è<br />

la tarsia; specie quando, con fra Giovanni da Verona, allo<br />

stacco ottico dell’arcata figurata in piano, venne di nuovo<br />

a correlarsi l’aggetto dell’opera d’intaglio.<br />

3. Temi d’illusione e di armonia.<br />

Matteo Colacio definí il suo stupore davanti al coro<br />

padovano del Lendinara attraverso il meno imprevedibile<br />

dei topoi: «non possum credere ficta esse; accedo<br />

propius, duco per omnia manum». Sub<strong>it</strong>o dopo, «intuens<br />

diligentissime omnia», cominciò a descriverne i<br />

soggetti dai libri: «ut a re magis nota quottidieque incipiam»<br />

305 . Due condizioni, in particolare, sorreggono le<br />

possibil<strong>it</strong>à illusive <strong>della</strong> tarsia prospettica. La prima<br />

(richiamata dalle parole di Colacio messe in corsivo) è<br />

che si rappresentino oggetti pertinenti al contesto spaziale,<br />

cose consuete, ossia esattamente quanto ci si aspetta<br />

di trovare in quel determinato luogo. La seconda è<br />

che vengano mostrati mobili ed oggetti di legno, in<br />

modo da suggerire l’ambigua coincidenza fra «cosa significata<br />

e materia significante» 306 . A propos<strong>it</strong>o delle immagini<br />

di c<strong>it</strong>tà, ci si è già rifer<strong>it</strong>i a questa prima condizione,<br />

o a qualcosa di assai vicino. Integrandosi alla funzione<br />

tautologica del legno, essa caratterizza soprattut-<br />

Storia dell’arte Einaudi 132


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

to quei soggetti per cui si usa riconoscere nella tarsia un<br />

cap<strong>it</strong>olo essenziale nella preistoria <strong>della</strong> moderna natura<br />

morta 307 .<br />

Nel tracciare una linea troppo dr<strong>it</strong>ta verso la natura<br />

morta del Seicento, c’è il rischio di dimenticare la serial<strong>it</strong>à<br />

e il radicamento spaziale che definirono le tarsie<br />

quattro-cinquecentesche; di fare la storia non dei manufatti<br />

ma delle loro riproduzioni fotografiche. Ancora<br />

piú che sulle tipologie compos<strong>it</strong>ive e sui repertori simbolici,<br />

il discorso andrebbe legato all’ered<strong>it</strong>à storica di<br />

quello «strutturarsi matematico dello sguardo» 308 , cui i<br />

<strong>maestri</strong> di legname avevano dato un contributo massiccio.<br />

Per quanto qui preme, basta non perdere di vista<br />

che quelle figurazioni di oggetti l<strong>it</strong>urgici, musicali, scientifici,<br />

e cosí via, erano parte di una concatenazione decorativa.<br />

A parlare di decorazione, c’è sempre la paura di<br />

suggerire un abbassamento di rango; ma non è cosí. La<br />

destinazione decorativa spiega invece l’apparizione di<br />

quei temi, cosí precocemente matura, nelle prime tarsie<br />

fiorentine; come la loro viscos<strong>it</strong>à successiva. La «natura<br />

morta» degli intarsiatori non presupponeva necessariamente<br />

i modelli dell’Antich<strong>it</strong>à, ma si venne a trovare<br />

sul medesimo asse di funzional<strong>it</strong>à visiva, occupò luoghi<br />

ed altezze d’occhio tali da giustificare immagini<br />

ingannevoli, virtualmente coerenti con lo spazio reale 309 .<br />

La questione va dunque impostata partendo dalla coincidenza<br />

fra ambiente arch<strong>it</strong>ettonico e nuova decorazione<br />

giottesca. Già nel Trecento le fasce inferiori delle<br />

pareti decorate (quelle piú diminu<strong>it</strong>e o alterate nei tempi<br />

successivi) furono dipinte a finti marmi, con rilievi f<strong>it</strong>tizi,<br />

panche; poi, con nicchie ingombre di oggetti l<strong>it</strong>urgici.<br />

Perfino una figura come il diacono intarsiato a Pisa<br />

da Cristoforo da Lendinara deve avere avuto un ruolo<br />

non troppo diverso da quello che tocca ad un simile assistente<br />

l<strong>it</strong>urgico nella cappellina di Palazzo Trinci a Foligno,<br />

nello zoccolo presso l’altare.<br />

Storia dell’arte Einaudi 133


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Il ruolo decorativo delle tarsie non comporta una<br />

subalternanza rispetto alla p<strong>it</strong>tura di storia, ma una differenziazione<br />

percettiva. Colacio non si lim<strong>it</strong>ò ad osservare<br />

che i libri intarsiati apparivano «veris veriores».<br />

Apprezzò anche la «varietas» <strong>della</strong> loro disposizione; e<br />

fu colp<strong>it</strong>o dall’«incompos<strong>it</strong>o ordine» delle candele. L’illusione<br />

prospettica non fa che confermare la regolar<strong>it</strong>à<br />

concettuale delle forme geometriche: «lignea vascula in<br />

plana superficie rotunda sphericaque forma videris».<br />

Ogni nostra considerazione iconografica non può prescindere<br />

da questa estetica matematica, dall’immagine<br />

fisica di una regola proporzionale, numericamente intelligibile.<br />

Non è soltanto un’esigenza illusiva a determinare<br />

la stabil<strong>it</strong>à tematica delle tarsie. Essa corrisponde<br />

anche alla semplic<strong>it</strong>à geometrica, ad uno sguardo quanto<br />

piú possibile predeterminato. La presenza degli oggetti<br />

consueti, riproposti entro la struttura proporzionale<br />

<strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong>, fuori dalle incerte misure del racconto,<br />

risponde all’oggettiva destinazione dei luoghi <strong>della</strong><br />

riflessione, del silenzio. La figura decorativa è allora<br />

l’immagine che riflette soltanto se stessa, in maniera<br />

immediata ed assoluta, nell’evidenza intellettuale dei<br />

rapporti matematici.<br />

Si è tornati su un punto essenziale, già toccato alla<br />

fine del primo cap<strong>it</strong>olo: i luoghi chiesastici piú riservati<br />

(il coro, la sacrestia) si accostano all’ideale umanistico<br />

dello studiolo; forse contribuiscono anche a definirlo,<br />

se si considera il registro documentario <strong>della</strong> tarsia.<br />

Nel coro padovano, l’umanista Colacio r<strong>it</strong>rovava oggetti<br />

familiari. Ma poi accade che nei cori siano intarsiati<br />

oggetti privi di ogni connessione l<strong>it</strong>urgica, tipici, invece,<br />

delle raccolte umanistiche, del collezionismo di corte,<br />

dei luoghi di studio in cui vennero dipinti, nel Quattrocento,<br />

tanti san Gerolamo. Si tratta di sfere armillari,<br />

orologi, macchine, strumenti musicali che, per la loro<br />

ridotta sonor<strong>it</strong>à, non potevano avere impiego in chiesa.<br />

Storia dell’arte Einaudi 134


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Furono anche messi a tarsia quei fiori la cui immagine<br />

fu altissima prerogativa delle corti (Borso d’Este allivellò<br />

una casa al Maccagnino in cambio, una volta all’anno,<br />

di un fiore dipinto) 310 . L’inerzia tematica spiega solo<br />

fino ad un certo punto l’apparizione nei cori, fuori di<br />

ogni motivo contestuale e senza apparente ragione simbolica,<br />

di una scacchiera da gioco. Oggetti di cosí evidente<br />

determinazione prospettica vanno considerati alla<br />

luce di un’estetica del numero e <strong>della</strong> proporzione.<br />

L’«illusionismo» non è la ragione prevalente delle tarsie;<br />

tantomeno la curva di ascesa. È anzi cosa del tutto<br />

diversa dal trompe-l’œil barocco o sensista: inganno<br />

degli occhi, simbolic<strong>it</strong>à delle cose, armonia matematica,<br />

sono circolarmente connessi e sottoposti ad un<br />

astratto soggetto intellettuale.<br />

Ciò non significa che si debba rinunciare a riconoscere<br />

un’iconografia delle tarsie 311 . Il puro formalismo<br />

prospettico coincide, invece, con una simbolic<strong>it</strong>à totalizzante.<br />

È chiaro che nello stato di alterazione o diminuzione<br />

materiale di tanti complessi non sarà facile circoscrivere<br />

programmi iconografici defin<strong>it</strong>i 312 . Ma altro è<br />

il discorso se si considerano le ragioni di un’iconografia<br />

«fredda», non generica, ma sostanzialmente stabile e<br />

compatta per predeterminazione strutturale. Tanto piú<br />

in questo senso, non interessa il valore degli oggetti singoli,<br />

ma la loro reciproc<strong>it</strong>à.<br />

I libri intarsiati illusivamente sono per se stessi una<br />

presenza significante. Come in una biblioteca vera, i<br />

libri si allineano con lo stesso significato dei r<strong>it</strong>ratti<br />

degli uomini illustri: exempla, oltre che strumenti intellettuali.<br />

Libri ed armi non si contraddicono dunque<br />

negli studioli di Urbino e di Gubbio, non si riferiscono<br />

a incomunicanti sfere <strong>della</strong> volontà morale, ma ad un<br />

unico, altissimo e consapevole, destino mondano. Ancora<br />

Sabba Castiglione metterà al centro <strong>della</strong> sua mappa<br />

collezionistica questa coppia privilegiata:<br />

Storia dell’arte Einaudi 135


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Se per aventura voi mi domandarete quali ornamenti<br />

piú di tutti li altri desiderarei in casa mia, vi risponderò<br />

senza molto pensarci «Armi e libri» 313 .<br />

Il senso iconografico delle tarsie monfeltrine non è<br />

dunque diverso da quello che in genere presiede alla<br />

strutturazione simbolica delle raccolte. In queste prevarrà<br />

l’oggettual<strong>it</strong>à evocativa, l’emozione laica davanti<br />

alle reliquie del passato. Gli oggetti intarsiati richiamano<br />

in maniera diretta e circolare lo speculum conosc<strong>it</strong>ivo,<br />

morale del principe umanista. L’indicazione dell’arte<br />

<strong>della</strong> guerra all’interno dello studiolo può rimandare<br />

a quella Machinatio che fu distribu<strong>it</strong>a in settantadue<br />

bassorilievi all’esterno del palazzo di Urbino. La macchina,<br />

nella tradizione v<strong>it</strong>ruviana, è come un edificio.<br />

Anche piú esplic<strong>it</strong>amente, dunque, le macchine belliche<br />

suggeriscono l’immagine del principe come supremo<br />

regolatore.<br />

«La meccanica è il paradiso delle scienzie matematiche,<br />

perché con quelle si viene al frutto matematico» 314 .<br />

Le parole famose di Leonardo possono aiutarci a capire<br />

perché tanti oggetti meccanici siano stati intarsiati non<br />

solo nello studiolo di un principe (è nota la diffusione<br />

d’interessi per la meccanica e la matematica nelle corti<br />

quattrocentesche), ma anche nei cori monastici. Libri e<br />

strumenti meccanici, per l’Alberti, erano i piú naturali<br />

ornamenti delle biblioteche 315 . Quadranti solari, astrolabi,<br />

sfere armillari figuravano negli studioli, veri o figurati,<br />

come strumenti del sapere, ma specialmente come<br />

metafora dell’ordine cosmico, come segni dell’harmonia<br />

mundi. Quando si tratta di enumerare gli strumenti <strong>della</strong><br />

matematica, Sabba Castiglione si riferisce immediatamente<br />

a «spere solide, palli et astrolabii e specchi» 316 . La<br />

scienza visualizzata nelle tarsie con questi oggetti è dunque<br />

quella p<strong>it</strong>agorica, platonica, mistica.<br />

Con naturalissima continu<strong>it</strong>à di significati si può allo-<br />

Storia dell’arte Einaudi 136


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

ra ricordare che gli strumenti musicali furono figurazione<br />

tipica dei <strong>maestri</strong> di <strong>prospettiva</strong>. Può ancora servire<br />

un passo del Castiglione, dove, sempre a propos<strong>it</strong>o<br />

di «camere» e «studi», si ricorda che<br />

alcun le adorna d’instrumenti musici, come organi, claocimbali,<br />

monocordi, salteri, arpe, dolcimele, baldose et<br />

altri simili, e chi di liuti, viole, violoni, lire, flauti, cornetti,<br />

tibie, cornamuse, dianoni, tromboni et altri tali; i quali<br />

ornamenti io certo commendo assai, perché questi tali<br />

instrumenti dilettano molto all’orecchie e ricreano molto<br />

gli animi, i quali, come diceva Platone, si ricordano dell’armonia,<br />

la quali nasce dali moti delli circoli celesti; ancora<br />

piacciono assai all’occhio [...] 317 .<br />

In ordine ad una concezione che sta al centro dell’estetica<br />

e <strong>della</strong> scienza rinascimentali, queste parole<br />

potranno forse sembrare un po’ troppo blande, nella loro<br />

convenzionale certezza. Attestano bene, tuttavia, come<br />

la sola presenza fisica degli strumenti potesse suggerire<br />

l’idea di una musica astratta, ma capace d’innestare gli<br />

affetti individuali nell’ordine del cosmo. Non occorre<br />

ora stare a ricordare come essa fosse una cosa sola con<br />

i quadri platonici <strong>della</strong> scienza rinascimentale, o rammentarne<br />

gli sviluppi ermetici. Gli strumenti, come gli<br />

uccelli in gabbia (espressione <strong>della</strong> musica naturale) 318 ,<br />

hanno nelle tarsie lo stesso senso dei compassi o degli<br />

astrolabi: simboli dell’armonia cosmica e delle sue commensurabili<br />

relazioni.<br />

L’esattezza con cui gli intarsiatori riprodussero gli<br />

strumenti ha ovviamente colp<strong>it</strong>o gli storici <strong>della</strong> cultura<br />

musicale 319 . Ma è chiaro che tale esattezza non va<br />

separata dal potenziale simbolico di tali oggetti: nel<br />

senso stesso che guidò la lunga ed attenta nomenclatura<br />

del Castiglione. Il liuto, ad esempio, non sarà solo il<br />

luogo comune delle eserc<strong>it</strong>azioni prospettiche, come nel-<br />

Storia dell’arte Einaudi 137


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

l’illustrazione di Dürer. Nell’immagine prospettica dello<br />

strumento coincidono due diverse definizioni di armonia.<br />

Il liuto sarà una delle minime tracce «realistiche»<br />

nelle vignette con cui Giordano Bruno volle decorare<br />

(personalmente, a detta dell’ed<strong>it</strong>ore) gli Articuli<br />

adversus mathematicos: dove si rivendicava l’assolutezza<br />

di una mathesis decisamente orientata in senso mistico 320 .<br />

Il riferimento è estremo, potrebbe accentuare la sommarietà<br />

di questi richiami; ma serve a tornare al momento<br />

<strong>della</strong> crisi storica <strong>della</strong> tarsia. Perché, dopo aver accumulato<br />

un’iconografia cosí compatta e specifica, essa<br />

non si sviluppò fino all’età di Campanella, quando l’ideale<br />

dello studiolo si r<strong>it</strong>rasformò utopicamente a scala<br />

urbana, nel programma decorativo delle mura che richiudevano<br />

la C<strong>it</strong>tà del Sole? Perché l’iconografia prospettica<br />

non accompagnò l’intero corso <strong>della</strong> fede platonica,<br />

compresa quella di Keplero (che è indubbia, per quanto<br />

sia stata ammessa «spesso a malincuore» 321 )? A parte<br />

ogni altra ovvia considerazione storico-sociale o figurativa,<br />

vedremo nel prossimo paragrafo come quell’iconografia<br />

e questa tecnica avessero espresso una condizione<br />

di equilibrio con una componente «archimedea» che,<br />

fra Cinque e Seicento, non era piú immaginabile. Ma<br />

non sarà male avere a mente che la terza legge di Keplero<br />

fu impostata, di fatto, sui cinque corpi regolari <strong>della</strong><br />

tradizione platonica 322 . In questa tradizione si riconosce<br />

anche l’icosaedro intarsiato dai Mola a Venezia, o il<br />

poliedro semiregolare, a settantadue facce e «vacuo»,<br />

che per il tram<strong>it</strong>e <strong>della</strong> divulgazione pacioliana e leonardesca<br />

passò nei pannelli di Giovanni da Verona.<br />

Certo, nel corso del Rinascimento, l’attenzione si<br />

sposta sempre piú dalla teoria musicale alla pratica. La<br />

diffusione a stampa <strong>della</strong> notazione scr<strong>it</strong>ta esprime<br />

emblematicamente questo trapasso. I referenti sociali<br />

<strong>della</strong> pratica musicale corrispondono, idealmente, ai cori<br />

e agli studioli, alle grandi chiese e alle corti. Il fatto che<br />

Storia dell’arte Einaudi 138


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

nelle tarsie siano figurate pagine di scr<strong>it</strong>tura musicale 323 ,<br />

significa qualcosa in piú di un semplice tour de force artigianale.<br />

Il medium densissimo opera una sorta d’iconizzazione<br />

dei valori musicali, fissa nella forma del visibile<br />

il carattere nel tempo trans<strong>it</strong>orio dei suoni. È un problema<br />

su cui, paragonando le arti, si era trovato a riflettere<br />

anche Leonardo, il musico Leonardo.<br />

Ma, attraverso la figura retorica <strong>della</strong> corda rotta, gli<br />

strumenti musicali diventano anche i simboli <strong>della</strong><br />

morte. Come i teschi o i rod<strong>it</strong>ori (che compaiono ad<br />

Urbino e a Venezia). Come gli strumenti di misura del<br />

tempo: clessidre e orologi. È noto che essi non contraddicono<br />

la nuova coscienza laica del Rinascimento.<br />

Ne sono anzi un segno originale (e come tali figurano<br />

nello studiolo di Urbino). Ma essi si affollano soprattutto<br />

nelle tarsie olivetane, decisamente contrapposti ai<br />

segni <strong>della</strong> gloria terrena (come nei pannelli parigini di<br />

fra Vincenzo delle Vacche); grav<strong>it</strong>ano dunque in una<br />

s<strong>it</strong>uazione ormai cinquecentesca, piú vicina al lessico<br />

<strong>della</strong> «van<strong>it</strong>as» barocca 324 . Nei cori si manifesta allora un<br />

nuovo spir<strong>it</strong>o religioso. In quello <strong>della</strong> Certosa di Bologna<br />

entra in crisi l’assolutezza visiva <strong>della</strong> tradizione<br />

prospettica: s’inseriscono scr<strong>it</strong>te come responsoria agli<br />

oggetti raffigurati (per l’orologio, ad esempio: Hora est<br />

de summo sorgere). L’ironia evangelica, «erasmiana»,<br />

delle scr<strong>it</strong>te inser<strong>it</strong>e nel coro di Todi prima del fatale<br />

1530 riuscí cosí imbarazzante per la coscienza postridentina<br />

da farle r<strong>it</strong>enere «tanquam scandalosa et quodam<br />

modo derisoria». Pertanto furono cancellate 325 .<br />

4. Icone meccaniche.<br />

In apertura <strong>della</strong> Summa de Ar<strong>it</strong>hmetica Geometria<br />

Proportioni et Proportional<strong>it</strong>à (è il caso di ricordarne il<br />

t<strong>it</strong>olo per intero), Luca Pacioli richiamò distintamente<br />

Storia dell’arte Einaudi 139


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

i diversi amb<strong>it</strong>i operativi che si fondano sulla matematica.<br />

Elencò dunque, nell’ordine: l’astrologia, l’arch<strong>it</strong>ettura,<br />

la <strong>prospettiva</strong>, la musica, la cosmografia, le «arti<br />

tutte meccaniche» (a propos<strong>it</strong>o delle quali corre il ricordo<br />

delle tarsie urbinati), «l’arte negoziatoria <strong>della</strong> mercanzia<br />

(in cui oggi Baxandall ha riconosciuto una ragione<br />

essenziale dell’«occhio del Quattrocento»), quella<br />

mil<strong>it</strong>are, «tutte le altre arti liberali» 326 . Sub<strong>it</strong>o prima<br />

aveva parlato dell’«immensa dolcezza e grandissima util<strong>it</strong>à<br />

che nelle scienze e discipline matematiche si consegue».<br />

Il paragrafo che precede avrebbe quindi potuto<br />

int<strong>it</strong>olarsi all’immensa dolcezza, questo alla grandissima<br />

util<strong>it</strong>à. Volendo fissare un quadro virtuale dei rapporti<br />

fra le «due culture», Giulio Preti osservò con semplicissima<br />

efficacia che «in una civiltà prevalentemente<br />

letteraria come quella del Rinascimento», la scienza era<br />

destinata ad oscillare «fra atteggiamenti iperutil<strong>it</strong>aristici»,<br />

da una parte, e «purezza formale, teoretica», dall’altra<br />

327 . Ma in tale oscillazione fra dolcezza e util<strong>it</strong>à, non<br />

ci sono fratture necessarie. Né fu senza portata, per lo<br />

sviluppo delle tecniche, questa calam<strong>it</strong>azione verso<br />

campi astrattivi.<br />

Gli strumenti musicali e scientifici vennero rappresentati<br />

dai <strong>maestri</strong> di legname con una puntual<strong>it</strong>à che<br />

molto spesso oltrepassa le ragioni dell’allusione simbolica<br />

o <strong>della</strong> figura geometrica. Per le figurazioni meccaniche,<br />

le tarsie sono un campo eccezionalmente fecondo,<br />

non sfruttato a sufficienza negli studi. Non c’è da<br />

stupirsi: la <strong>prospettiva</strong> fu lo «spir<strong>it</strong>o nuovo» che gli<br />

ingegneri <strong>it</strong>aliani del Rinascimento portarono nel sapere<br />

tecnico <strong>della</strong> tradizione 328 . «Illusionismo» e significato<br />

morale non possono riassorbire del tutto il senso di<br />

eccezional<strong>it</strong>à materiale degli strumenti che compaiono<br />

nelle tarsie. Alcune di esse raffigurano gli aspetti piú<br />

avanzati <strong>della</strong> tecnologia del tempo. Uno di questi, per<br />

quanto sia eccezionale nella tarsia, è il mulino. Di muli-<br />

Storia dell’arte Einaudi 140


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

ni si trovò a far cenno anche Vasari. Il fiorentino Chimenti<br />

Camicia andò «su per il Danubio a dar disegni di<br />

mulina», seguendo lo stesso <strong>it</strong>inerario <strong>della</strong> diffusione<br />

europea <strong>della</strong> tarsia prospettica 329 . Leonardo «fece disegni<br />

di mulini, gualchiere, ed ordigni che potessero andare<br />

per forza d’acqua». Ma il modo brusco con cui lo storico<br />

gira sub<strong>it</strong>o la frase («e perché la professione sua<br />

volle che fusse la p<strong>it</strong>tura») la dice lunga sulle radici lontane<br />

per cui gli storici dell’arte si trovano di frequente<br />

«impreparati» davanti a Leonardo e ai problemi che<br />

traversano la sua opera 330 . Si torna insomma al problema<br />

dell’ident<strong>it</strong>à culturale dei <strong>maestri</strong> di <strong>prospettiva</strong>, alla<br />

realtà di testimonianze che esprimono un<strong>it</strong>ariamente<br />

cognizioni ingegneristiche e figurative. Lo svegliatoio<br />

monastico di Urbino mostra un’intelligenza interna <strong>della</strong><br />

struttura meccanica. Il maestro di tarsia avrebbe potuto<br />

esserne, nella realtà, il costruttore stesso. È appena<br />

il caso di ricordare, specie dopo le aggiunte portate dalla<br />

scoperta dei Codici di Madrid, le ricerche di Leonardo<br />

sulla misurazione meccanica del tempo. O che Brunelleschi<br />

costruí «alcuno oriolo e destatoio, dove sono varie<br />

e diverse generazioni di mole e da varie molt<strong>it</strong>udini<br />

d’ingegni multipricate». A conferma di quel ruolo esemplare<br />

che l’orologio ha per tutta la pratica costruttiva del<br />

Quattro e Cinquecento, esse «gli dettero grandissimo<br />

aiuto al potere immaginare diverse macchine e da portare<br />

e da levare e da tirare» 331 .<br />

Nessun dubbio, quindi, che l’esattezza rappresentativa<br />

di un meccanismo come quello di Urbino non rientrasse<br />

nel campo di esperienza di Giuliano da Maiano,<br />

come di tanti altri <strong>maestri</strong> di legname, o ingegneri. Ma<br />

essa non sarebbe mai giunta a definirsi nelle tarsie se a<br />

quello stesso ordine di esattezza non fossero stati interessati<br />

anche i destinatari. Nelle parole del Pacioli (che<br />

r<strong>it</strong>orneranno poi puntualmente nella dedica del Divina<br />

proportione: «cum in his disciplinis quas Graeci Mathe-<br />

Storia dell’arte Einaudi 141


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

maticas appellant non minus util<strong>it</strong>ati quam voluptatis<br />

ins<strong>it</strong>»), sono già chiar<strong>it</strong>e a sufficienza le ragioni per cui<br />

una meccanica cosí intesa non è soltanto all’origine<br />

materiale delle tarsie, ma vi si riflette con tanta consapevolezza<br />

da contribuire alla loro strutturazione iconografica.<br />

In questo senso, non è opportuno contrapporre il<br />

mondo delle «botteghe» (caro a Leonardo Olschki,<br />

Edgar Zilsel, Paolo Rossi) a quello delle corti e dei conventi,<br />

ossia ai luoghi tipici degli studioli e dei cori intarsiati.<br />

Quel modello di macchina, di fabbrica, che è il<br />

mulino era legato tradizionalmente al mondo monastico,<br />

ai benedettino in particolare: sia come patrimonio<br />

tecnologico che come concreto cesp<strong>it</strong>e economico 332 . Un<br />

mulino come quello intarsiato a Piacenza potrebbe non<br />

essere riusc<strong>it</strong>o troppo generico in una topografia nota ai<br />

benedettini di San Sisto (anche se è evidentemente legato,<br />

per riflesso o comune modello, all’illustrazione che<br />

compare a c. clxxv del V<strong>it</strong>ruvio di Cesariano, stampato<br />

nel 1521). La misura del tempo, gli svegliatoi sono<br />

necessari alla v<strong>it</strong>a monastica. Nel lessico conventuale<br />

horologium è parola che copre varie specificazioni materiali<br />

<strong>della</strong> misura del tempo 333 . Nei cori (come negli studioli),<br />

non si batte certo il «tempo del mercante». Con<br />

l’astrolabio e la sfera armillare, l’orologio richiama, piuttosto,<br />

la scansione astronomica del tempo. È dunque il<br />

segno <strong>della</strong> saggezza, di un’operos<strong>it</strong>à morale che oltrepassa<br />

la sfera terrena <strong>della</strong> v<strong>it</strong>a. Il tempo degli orologi<br />

intarsiati nei cori (prima di scoprirsi come diretta immagine<br />

<strong>della</strong> morte) è l’esatto contrario del temps flottant,<br />

esistenzialmente istintivo, di cui parlò Febvre.<br />

D’altra parte l’orologio, la grande macchina del Trecento,<br />

figura negli inventari di corte come oggetto prezioso:<br />

dai tempi di Jean de Berry a quelli di Lorenzo il<br />

Magnifico o Ludovico il Moro, ed oltre 334 . Entra perfino<br />

nelle maglie lessicali del grammatico Grapaldo 335 . Per<br />

Storia dell’arte Einaudi 142


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

piú versi, dunque, la sua raffigurazione nelle tarsie di<br />

uno studiolo è prevedibile. Ma una volta ricordato l’interesse<br />

per i congegni meccanici che circola sia negli<br />

ambienti di corte che in quelli chiesastici, e dopo averne<br />

intravisto le molteplici motivazioni, occorre considerare<br />

meno genericamente, nel caso specifico <strong>della</strong><br />

tarsia, il rapporto che lega cognizione tecnica e forma<br />

visiva.<br />

La ricorrente tautologia del legno non è soltanto un<br />

espediente illusivo, proprio <strong>della</strong> tarsia. Non possiamo<br />

dimenticare che nel Quattrocento, come per molto<br />

tempo ancora nella civiltà preindustriale, è il legno a<br />

consentire la maggior parte delle realizzazioni tecnologiche,<br />

fino ai gradi piú elevati 336 . In legno si costruirono<br />

anche orologi. Senza legno non ci sarebbero macchine.<br />

La definizione varroniana di macchina si riferisce,<br />

di fatto, ad un’aggregazione di legni: il legname per<br />

costruzione, in latino, è materia.<br />

Alla luce di questa considerazione semplicissima (ma,<br />

io credo, imprescindibile) si stringe piú internamente il<br />

rapporto fra «macchina» e commesso ligneo: specialmente<br />

quando l’opera dell’intarsiatore nasconde il meno<br />

possibile i modi dell’aggregazione meccanica, la fisic<strong>it</strong>à<br />

<strong>della</strong> costruzione spaziale; ma li traspone in trasparente<br />

oggetto visivo. La meccanic<strong>it</strong>à fattuale, e non mimetica,<br />

<strong>della</strong> tarsia padana giunge fino all’invenzione delle<br />

«ruote» pisane. Attraverso la tarsia, la tecnica del legno<br />

iconizza se stessa. Tutto questo non contraddice il carattere<br />

statico, precipuamente visivo che caratterizza la<br />

«macchina» del Rinascimento 337 .<br />

L’indicazione piú esplic<strong>it</strong>a di tale iconic<strong>it</strong>à del sapere<br />

tecnico è data dal topos frequentissimo degli strumenti<br />

dell’intarsiatore. A voler spiegare questo tema<br />

tipico <strong>della</strong> tarsia non basta certo la tradizione monastica,<br />

il senso <strong>della</strong> colpa originaria che veniva espiata<br />

col lavoro delle mani (oltretutto il tema compare anche<br />

Storia dell’arte Einaudi 143


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

in chiese secolari). Né all’immagine di questi strumenti<br />

(che talvolta troviamo accuratamente nominati negli<br />

inventari di bottega) 338 poteva essere affidata l’affermazione<br />

di un nuovo status sociale degli artisti. Attraverso<br />

tali immagini, invece, la tautologia <strong>della</strong> materia si concettualizza<br />

ulteriormente: vengono rappresentati oggetti<br />

parzialmente cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i di legno, ma indispensabili per<br />

la sua metamorfosi meccanica; sono figurati gli strumenti<br />

stessi di quell’aggregazione del legno che è l’immagine<br />

intarsiata. In essa, piú che una generica estetizzazione<br />

<strong>della</strong> meccanica, si conferma quella continu<strong>it</strong>à<br />

fra arte e tecnica che caratterizzò solo quel breve periodo<br />

quattrocentesco, quando la superior<strong>it</strong>à del patrimonio<br />

tecnologico dell’Europa divenne nettissima 339 .<br />

S<strong>it</strong>uazioni e persone cui va rifer<strong>it</strong>o questo giudizio,<br />

sono ormai note. Quando invece si vedrà nel legno solo<br />

l’inerte materiale di un’immagine o di una minuta perizia<br />

tecnica, sarà defin<strong>it</strong>ivamente mutato quel rapporto<br />

fra arte e tecnica. Non esiste (va ripetuto in conclusione)<br />

un problema <strong>della</strong> «decadenza» <strong>della</strong> tarsia, ma va<br />

constatata la disarticolazione storica dei presupposti culturali<br />

che avevano dato sviluppi irripetibili a tale tecnica.<br />

Lo specificarsi <strong>della</strong> sfera artistica impose un nuovo<br />

modello di percezione anche per le strutture meccaniche;<br />

ci si spostò verso la spettacolar<strong>it</strong>à dei «teatri di macchine»,<br />

verso la particolare piacevolezza visiva con cui<br />

furono illustrate Le diverse e artificiose machine del Cap<strong>it</strong>ano<br />

Agostino Ramelli. Allo scorcio del Cinquecento,<br />

anche la specializzazione meccanica va distanziandosi<br />

dalla scienza. Queste pagine si erano aperte sull’incomprensione<br />

<strong>della</strong> tarsia da parte di Galileo. A lui si può<br />

tornare in chiusura, ripetendo le parole con cui Bertrand<br />

Gille ha emblematicamente defin<strong>it</strong>o la nuova relazione<br />

fra tecnica e scienza: «Galileo, se fu un meccanico, non<br />

fu mai un arch<strong>it</strong>etto» 340 .<br />

Storia dell’arte Einaudi 144


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

1 2 g. galilei, Scr<strong>it</strong>ti letterari, a cura di A. Chiari, Firenze 1970 , pp.<br />

493-94. Per i brani precedentemente c<strong>it</strong>ati, cfr. pp. 626 e 508. Cfr.<br />

inoltre p. 593 (dove il poema del Tasso è di nuovo messo in rapporto<br />

alla tarsia) e pp. 604-5 (dove, invece, si richiama l’anamorfosi). La<br />

vicenda cr<strong>it</strong>ica e letteraria delle Considerazioni può essere ripercorsa<br />

attraverso le ampie referenze di t. wlassics, Il Tasso del Galilei, in<br />

«Studi seicenteschi», xiii, 1972, pp. 119-62. Sul versante figurativo,<br />

oltre a e. panofsky, Galileo as a Cr<strong>it</strong>ic of the Arts, The Hague 1954,<br />

cfr. j. s. ackerman, Science and Visual Art, in Seventeenth Century<br />

Science and the Arts, Princeton 1961, pp. 79-81; e. battisti, Per un<br />

ampliamento del concetto di Manierismo, in «Annali dell’Ist<strong>it</strong>uto storico<br />

<strong>it</strong>alo-germanico in Trento», iii, 1977, pp. 402-12; w. tatarkiewicz,<br />

Storia dell’estetica, III, L’estetica moderna, Torino 1980, pp. 381-84.<br />

2 a. chastel, I centri del Rinascimento, Milano 1965, p. 245.<br />

3 Sull’«artificio tecnologico», f. bologna, Dalle arti minori all’industrial<br />

design, Bari 1972, p. 107; per Francisco de Hollanda e Pino,<br />

c<strong>it</strong>o, rispettivamente, da I dialoghi michelangioleschi, a cura di A. M.<br />

Bessone Aurelj, Roma 19534 , p. 94, e dal Dialogo di p<strong>it</strong>tura, in Trattati<br />

d’arte del Cinquecento fra Manierismo e Controriforma, a cura di P.<br />

Barocchi, I, Bari 1960, p. 121.<br />

4 g. mancini, Considerazioni sulla p<strong>it</strong>tura, a cura di A. Marucchi,<br />

Roma 1956, I, p. 18.<br />

5 d. bartoli, De’ Simboli trasportati al morale, Venezia 1677, p. a6:<br />

«Io in piú luoghi ho veduti lavori e pruove maravigliose dell’antica e<br />

oggi dí poco men che dismessa arte dell’intarsiare. [...] Tutto è magistero<br />

dell’ingegno e <strong>della</strong> mano, adoperantesi, l’uno a discernere e l’altra<br />

ad unire quelle diverse croste di legno aventi un tal color<strong>it</strong>o, una<br />

tal vena, una tal macchia, e cosí lumeggiate e chiare, e cosí ombreggiate<br />

e fosche che incastrandone l’una a lato dell’altra, ne provenga di tutt’esse<br />

organizzato e composto ciò che si volle: ma con un passar dall’una<br />

foglia nell’altra, con tanta union di colori, ch’egli non sembri un adunamento<br />

di molte scaglie di varj alberi e di varj legni accozzati per arte,<br />

ma opera nata intera in un tronco e tutto a caso compar<strong>it</strong>a nel fenderlo<br />

[...]. In queste opere intarsiate, si vuol far parere che la natura abbia<br />

fatto da arte, facendo che in esse l’arte non si possa distinguere dalla<br />

natura. L’ammirabile dunque, e perciò il dilettevole in un tal genere<br />

di lavori, non è egli nel vedere applicata una cosa ad esprimerne un<br />

altra?» L’analogia è dunque con gli emblemi (cfr. infatti il brano nel<br />

contesto <strong>della</strong> c<strong>it</strong>azione che ne fa m. praz, Studies in Seventeenth-Century<br />

Imagery, London 1964, p. 19).<br />

Un altro singolare fenomeno di attenzione per la tarsia quattrocentesca<br />

è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o da un intensissimo quadro giovanile di Carlo<br />

Maratta, la Croce e il libro dipinto nel 1646 per il viaggiatore inglese<br />

John Evelyn. s. rudolph, La prima opera pubblica del Maratti, in «Para-<br />

Storia dell’arte Einaudi 145


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

gone», xxviii, 1977, n. 329, pp. 51-52, ne ha dato una lettura molto<br />

attenta alla forte personal<strong>it</strong>à del comm<strong>it</strong>tente e alla particolare congiuntura<br />

storica, rilevandone bene il carattere di cifra esoterica; non<br />

ha però richiamato il modello storico <strong>della</strong> tarsia prospettica. Il precedente<br />

sembra tanto piú consapevole se si ricorda che Evelyn nel 1645<br />

vis<strong>it</strong>ò il convento bolognese di San Michele in Bosco, riportando sul<br />

suo diario un’impressione assai acuta delle tarsie che vi aveva visto<br />

(«But the Carvings in Wood of the Sacristie [intendendo il coro] is stupendious;<br />

here is admirable inlay’d work about the Chapell that even<br />

emulates the best of paintings the Work is don so delicatly & tender»,<br />

The Diary of John Evelyn, a cura di E. S. de Beer, II, Oxford 1955, p.<br />

423). La croce appoggiata ed inclinata, nel dipinto di Maratta, trova<br />

un confronto quasi letterale con quella di una delle tarsie superst<strong>it</strong>i del<br />

coro bolognese, fin<strong>it</strong>a al Victoria and Albert Museum (è riprodotta da<br />

m. j. thornton, Three unrecorded panels by Fra Raffaele da Brescia, in<br />

«The Connoisseur», aprile 1978, fig. 9).<br />

Fra gli altri, non molti, episodi di fortuna cr<strong>it</strong>ica delle tarsie nel<br />

corso del Sei e Settecento si può ricordare le preoccupazioni accalorate<br />

di Alfonso Landi per il coro senese di Antonio Barili (c<strong>it</strong>ate da<br />

c. sisi, Le tarsie per il coro <strong>della</strong> cappella di San Giovanni: Antonio Barili<br />

e gli interventi senesi di Luca Signorelli, in «Antich<strong>it</strong>à Viva», xvii,<br />

1978, n. 2, p. 33), e un’usc<strong>it</strong>a, al consueto un po’ snobistica, del Presidente<br />

de Brosses a Genova (Viaggio in Italia. Lettere familiari, Bari<br />

1973, p. 37: «[in San Lorenzo] non vi ho trovato nulla che mi piacesse,<br />

a parte i seggi dei canonici fatti di legno intarsiato»). Tanto<br />

piú sorprendente riesce la breve panoramica tracciata da l. lanzi, Storia<br />

p<strong>it</strong>torica <strong>della</strong> Italia (ed. defin. 1809), II, a cura di M. Capucci,<br />

Firenze 1970, pp. 42-43.<br />

6 g. vasari, Le opere, a cura di G. Milanesi, I, Firenze 1878, p. 203.<br />

7 v. borghini, Selva di notizie, ed<strong>it</strong>a da P. Barocchi (Una «Selva di<br />

notizie» di Vincenzo Borghini), in Un augurio a Raffaele Mattioli, Firenze<br />

1970, p. 105, poi in Scr<strong>it</strong>ti d’arte del Cinquecento, a cura di P. Barocchi,<br />

III, P<strong>it</strong>tura e scultura, Torino 1978, p. 617.<br />

8 Cfr. l’inizio <strong>della</strong> v<strong>it</strong>a di Baccio d’Agnolo: «Sommo piacere mi<br />

piglio alcuna volta nel vedere i principii degli artefici nostri, per veder<br />

salire molti talora di basso in alto; e specialmente nell’arch<strong>it</strong>ettura; la<br />

scienza <strong>della</strong> quale non è stata eserc<strong>it</strong>ata, da parecchi anni addietro, se<br />

non da intagliatori o da persone sofistiche, che facevano professione,<br />

senza saperne pure i termini e i primi principii, d’intendere la <strong>prospettiva</strong>»<br />

(vasari, Opere c<strong>it</strong>., V, p. 349); e ancora, ad esempio, «il Cecca fu<br />

nella sua giovanezza legnaiuolo buonissimo» (ibid., III, p. 196).<br />

9 Ibid., p. 335.<br />

10 Cfr. Trattati d’arte del Cinquecento c<strong>it</strong>., I, p. 61 (o Scr<strong>it</strong>ti d’arte<br />

c<strong>it</strong>., p. 496).<br />

Storia dell’arte Einaudi 146


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

11 vasari, Opere c<strong>it</strong>., VI, p. 437.<br />

12 I Dieci Libri dell’Arch<strong>it</strong>ettura di M. V<strong>it</strong>ruvio tradutti e commentati<br />

da Monsignor Barbaro (1556). C<strong>it</strong>o da f. marotti, Lo spettacolo dall’Umanesimo<br />

al Manierismo, Milano 1974, p. 160 (a p. 205 una considerazione<br />

di tono simile, tratta da La pratica <strong>della</strong> Prospettiva, 1559).<br />

13 Ancora al momento di crisi <strong>della</strong> tarsia prospettica, fra Damiano<br />

da Bergamo, è chiamato «artis carpentariae et perspectivae artificem»<br />

(v. alce, Il coro di San Domenico in Bologna, Bologna 1969,<br />

p. 13).<br />

14 È utilmente orientato in funzione cronologica il saggio di l.<br />

vagnetti, Il processo di maturazione di una scienza dell’arte, in La <strong>prospettiva</strong><br />

rinascimentale. Codificazioni e trasgressioni, a cura di M. Dalai<br />

Emiliani, Firenze 1980, pp. 427-74, che riprende da id., De naturali et<br />

artificiali perspectiva, Firenze 1979 («Studi e documenti di arch<strong>it</strong>ettura»,<br />

n. 9-10), pp. 281-307 (l’inv<strong>it</strong>o rivolto ad uno studio piú approfond<strong>it</strong>o<br />

dell’opera di Guidobaldo Del Monte non sembra al corrente del<br />

saggio di l. spezzaferro, La cultura del cardinal Del Monte e il primo<br />

tempo del Caravaggio, in «Storia dell’arte», 1971, n. 9-10, pp. 57-90,<br />

ma in particolare pp. 82 sgg.).<br />

15 Opere c<strong>it</strong>., I, p. 176: «Ma del modo di tirarle, perché ella è cosa<br />

fastidiosa e difficile a darsi ad intendere, non voglio io parlare altrimenti.<br />

Basta che le prospettive son belle tanto, quanto elle si mostrano<br />

giuste alla loro veduta e sfuggendo si allontano dall’occhio, e quando<br />

elle son composte con variato e bello ordine di casamenti».<br />

16 f. negri arnoldi, Prospettici e quadraturisti, in Enciclopedia universale<br />

dell’arte, Roma-Venezia 1963, XI, coll. 99-116.<br />

17 b. gille, Leonardo e gli ingegneri del Rinascimento (1964), Milano<br />

1972, p. 9.<br />

18 L’intero, bellissimo sottot<strong>it</strong>olo, è c<strong>it</strong>ato da m. boas, Il Rinascimento<br />

scientifico, 1450-1630 (1962), Milano 1973, pp. 168-69.<br />

19 Sulla cornice teoretica del saggio di Panofsky (Die Perspektive als<br />

symbolische Form), cfr. k. veltman, Panofsky’s Perspective: a half Century<br />

later, in La <strong>prospettiva</strong> rinascimentale c<strong>it</strong>., pp. 565-84.<br />

20 L’esempio piú significativo di tale rilettura del saggio di Panofsky,<br />

non particolarmente preoccupata dell’oggettivo campo storicotematico<br />

come <strong>della</strong> sua visuale interpretativa, è forse nelle pagine di<br />

r. barilli, Culturologia e fenomenologia degli stili, Bologna 1982, pp.<br />

14-15, già proposte (fatto doppiamente indicativo) sia in occasione di<br />

spiazzamenti disciplinari che in circostanza accademica.<br />

21 r. klein, La forma e l’intelligibile, Torino 1975, pp. 251-97; m.<br />

baxandall, P<strong>it</strong>tura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento<br />

(1972), Torino 1978, pp. 41-103; s. y. edgerton jr, The Renaissance<br />

Rediscovery of Linear Perspective, New York 1975; k. veltman, recensione<br />

ad Edgerton, in «Art Bulletin», lix, 1977, n. 2, pp. 281-82 e Pto-<br />

Storia dell’arte Einaudi 147


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

lomey and the origins of linear perspective, in La <strong>prospettiva</strong> rinascimentale<br />

c<strong>it</strong>., pp. 403-7; m. kemp, Science, non science and non sense: the Interpretation<br />

of Brunelleschi’s Perspective, in «Art History», i, 1978, n. 2,<br />

pp. 134-61.<br />

22 E prosegue: «il che non è altro, quanto all’arch<strong>it</strong>ettore, ch’il principio<br />

e fine di quell’arte, perché il restante, mediante i modelli di legname<br />

tratti dalle dette linee, non è altro che opera di scarpellini e muratori»<br />

(vasari, Opere c<strong>it</strong>., I, p. 170). Per Alberti cfr., invece, nell’edizione<br />

dell’Arch<strong>it</strong>ettura, testo latino e traduzione di G. Orlandi, introduzione<br />

e note di P. Portoghesi, Milano 1966, pp. 96-97 e 852-53. Sul<br />

problema del modello arch<strong>it</strong>ettonico, oltre l’excursus di m. s. briggs,<br />

Arch<strong>it</strong>ectural Models, «The Burlington Magazine», 1929, pp. 174-83,<br />

245-52, le osservazioni di j. s. ackerman, Arch<strong>it</strong>ectural Practice in the<br />

Italian Renaissance, in «The Journal of the Society of Arch<strong>it</strong>ectural<br />

Historians», xiii, 1954, poi in Renaissance Art, a cura di C. Gilbert,<br />

New York 1973, p. 162; id., L’arch<strong>it</strong>ettura di Michelangelo (1961),<br />

Torino 1968, p. 17; e di i. hyman, Towards rescuing the lost reputation<br />

of Antonio di Manetto Ciaccheri, in aa.vv., Essays presented to Myron P.<br />

Gilmore, II, Firenze 1978, p. 268.<br />

23 Cfr. il saggio di Ackerman c<strong>it</strong>ato alla nota precedente (e sulla sua<br />

scia l’indagine <strong>della</strong> Hyman). Il lettore <strong>della</strong> Storia dell’arte Einaudi può<br />

rivedere le osservazioni di A. Conti, II, pp. 188-90.<br />

24 l. pacioli, Summa de Ar<strong>it</strong>hmetica, Geometria, Proportioni e Proportional<strong>it</strong>à,<br />

Venezia 1494, c. 2v. Per il giudizio di Zilsel, cfr. La genesi<br />

del concetto di progresso scientifico, in p. p. wiener e a. noland, Le<br />

radici dei pensiero scientifico, Milano 1971, p. 278, nota 33. Nel De Divina<br />

proportione (Venezia 1509, c. 23r) Pacioli prometteva «piena notizia<br />

di <strong>prospettiva</strong>» sulla scorta di Piero <strong>della</strong> Francesca e di Lorenzo<br />

Canozi da Lendinara, «caro» al p<strong>it</strong>tore «quanto fratello» e che «in<br />

dicta facultà fu a li tempi suoi supremo».<br />

25 vasari, Opere c<strong>it</strong>., II, p. 333.<br />

26 a. chastel, Marqueterie et perspective au xv e siècle, in «La Revue<br />

des Arts», 1953, pp. 141-54, ma c<strong>it</strong>. da pp. 144-45, ora ripubblicato<br />

in id., Formes, Fables, Figures, Paris 1978, pp. 317-32, con una premessa<br />

che vale eventualmente a correggere la falsa impressione che si potrebbe<br />

ricavare dalle poche righe stralciate («Ignorando il successo in pieno<br />

Rinascimento delle tre tecniche p<strong>it</strong>toriche [tarsie, vetrate, mosaico]<br />

dove l’invenzione è cosí chiaramente legata all’intelligenza del materiale<br />

e dunque alla pratica artigianale, gli storici si sono lasciati sfuggire<br />

l’occasione migliore per correggere e lim<strong>it</strong>are l’immagine troppo<br />

intellettualizzata che in genere ci si fa dell’epoca»).<br />

27 «[Paolo Uccello] ridusse a perfezione il modo di tirare le prospettive<br />

dalle piante de’ casamenti e da’ profili degli edifizj, condotti<br />

insino alle cime delle cornici e de’ tetti, per via dell’intersecare le<br />

Storia dell’arte Einaudi 148


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

linee, facendo che elle scortassino e diminuissino al centro [...]. Ed<br />

avvengaché queste fussino cose difficili e belle, s’egli avesse speso quel<br />

tempo nello studio delle figure, ancorché le facesse con assai buon disegno,<br />

l’avrebbe condotte del tutto perfettissime; ma consumando il<br />

tempo in questi ghiribizzi, si trovò, mentre che visse, piú povero che<br />

famoso. Onde Donatello scultore, suo amicissimo, gli disse molte volte,<br />

mostrandogli Paulo mazzocchi a punte a quadri tirati in <strong>prospettiva</strong> per<br />

diverse vedute, e palle a settantadue facce a punte di diamanti, e in ogni<br />

faccia brucioli avvolti su per e bastoni, e altre bizzarrie, in che spendeva<br />

e consumava il tempo: Eh! Paulo, questa tua <strong>prospettiva</strong> ti fa<br />

lasciare il certo per l’incerto: queste sono cose che non servono se non<br />

a questi che fanno le tarsie: perciocché empiono i fregi di brucioli, di<br />

chiocciole tonde e quadre, e d’altre cose simili» (vasari, Opere c<strong>it</strong>., II,<br />

pp. 204-6).<br />

28 g. romano, Il coro di San Lorenzo, Alba 1969, p. 11.<br />

29 Se ne veda il testo completo in e. battisti, Filippo Brunelleschi,<br />

Milano 1976, p. 20 (sua è la traduzione del testo latino). L’«intervista»<br />

del Taccola è stata ripresa da e. garin, Brunelleschi e la cultura fiorentina<br />

del Rinascimento, in «Nuova Antologia», cii, 1977, n. 2118-20,<br />

pp. 18-19, con un propos<strong>it</strong>o di scansione temporale cui fanno riferimento<br />

le osservazioni qui immediatamente successive.<br />

30 b. castiglione, Il libro del Cortegiano con una scelta delle opere<br />

minori, a cura di B. Maier, Torino 1964, p. 71. Ma, su questo punto,<br />

cfr. c. ossola, Il libro del Cortegiano: esemplar<strong>it</strong>à e difform<strong>it</strong>à, in La corte<br />

e il «cortegiano», I, La scena del testo, Roma 1980, p. 59.<br />

31 Ricordi, overo ammaestramenti, in Scr<strong>it</strong>ti d’arte del Cinquecento c<strong>it</strong>.,<br />

III, p. 2924. Nella contrapposizione dei giudizi è evidente la ripresa<br />

del passo su Giotto del Boccaccio (Decamerone, VI, 5).<br />

32 vasari, Opere c<strong>it</strong>., II, p. 203.<br />

33 L’adattamento di emblema, ossia mosaico, che par rimanere alla<br />

base di considerazioni come quella del Bartoli (cfr. nota 5), si trova<br />

nella scr<strong>it</strong>ta posta sul possibile sepolcro degli intagliatori mantovani<br />

Mola: «Artis emblematariae et perspectivae per<strong>it</strong>issimi» (a. bertolotti,<br />

Figuli, fond<strong>it</strong>ori e scultori in relazione con la corte di Mantova nei<br />

secoli XV, XVI, XVII, Milano 1890, p. 73); ricorre in f. m. grapaldo,<br />

De partibus aedium, Parma, fine xv secolo, c. 60r («Emblemata [...]<br />

quae in lignis decenter videmus»); pacioli, Summa c<strong>it</strong>., c. 3v («ligneo<br />

emblemate»); e in una testimonianza su fra Giovanni da Verona (ms<br />

in Liber cronicalis Monasterii Novi S. Mariae Annunciatae Montis Oliveti<br />

Laudensis civ<strong>it</strong>atis, all’Archivio Storico Milano, Fondo di religione,<br />

P. A. 5008) c<strong>it</strong>. da g. brizzi, Un armadio intarsiato <strong>della</strong> scuola di Fra<br />

Giovanni da Verona nel Metropol<strong>it</strong>an Museum of Art di New York, in<br />

«Benedictina», xvi, 1969, n. 2, p. 297.<br />

34 Cfr. [f. colonna], Hypnerotomachia Poliphili, c<strong>it</strong>. in Scr<strong>it</strong>ti<br />

Storia dell’arte Einaudi 149


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

rinascimentali di arch<strong>it</strong>ettura, a cura di A. Bruschi, Milano 1978, p.<br />

209.<br />

35 p. crin<strong>it</strong>o, De honesta disciplina [1504], a cura di C. Angeleri,<br />

Roma 1955, p. 423.<br />

36 È quanto si dice nei registri dell’ordine olivetano di fra Paolo da<br />

Recco (c<strong>it</strong>. in p. lugano, Di fra Giovanni da Verona maestro d’intaglio<br />

e di tarsia e <strong>della</strong> sua scuola, in «Bullettino Senese di Storia Patria», xii,<br />

1905, n. 2, p. 161), figura mediocre, se va rifer<strong>it</strong>o a lui il coro di Santa<br />

Maria delle Grazie, a Lerici.<br />

37 C<strong>it</strong>. da a. sartori, I cori antichi <strong>della</strong> chiesa del santo e i Canozi-dell’Abate,<br />

in «Il Santo», i, 1961, n. 2, pp. 59-60.<br />

38 r. longhi, Officina ferrarese (1934), Firenze 1956, p. 21.<br />

39 f. arcangeli, Tarsie, Roma 1942, p. 4.<br />

40 Sulle vetrate e i loro cartoni, tenendo d’occhio la s<strong>it</strong>uazione di<br />

svolgimento in Italia fra ’300 e ’400, scand<strong>it</strong>a dalla rivendicazione di<br />

competenza di Cennino Cennini («vero è che questa tale arte poco si<br />

pratica per l’arte nostra, e praticasi piú per quelli che lavorano di ciò;<br />

e comunemente quelli <strong>maestri</strong> che lavorano hanno piú pratica che disegno,<br />

e per mezza forza e per la guida del disegno pervengono a chi ha<br />

l’arte compiuta», cap. clxxi), sono fondamentali le considerazioni di<br />

e. castelnuovo, Vetrate <strong>it</strong>aliane, in «Paragone», ix, 1958, n. 103, pp.<br />

3-24, che prende spunto da g. marchini, Le vetrate <strong>it</strong>aliane, Milano<br />

1956 (dove, a p. 9 e p. 217, nota 4, sono svolte considerazioni sul rapporto<br />

variabile fra p<strong>it</strong>tori e <strong>maestri</strong> di vetro). Cfr., inoltre, id., prefazione<br />

a s. pezzella, Il trattato di Antonio da Pisa sulla fabbricazione delle<br />

vetrate artistiche, Perugia 1976, p. 11; a. conti, Le vetrate e il problema<br />

di Giovanni di Bonino, in Il Maestro di Figline, Firenze 1980, p. 23.<br />

41 Sulla tecnica <strong>della</strong> tarsia, in rapporto alle specifiche qual<strong>it</strong>à di figurazione,<br />

c. scherer, Technik und Geschichte der Intarsia, Leipzig 1891,<br />

pp. 6-12; m. tinti, Il mobilio fiorentino, Milano-Roma s. d., pp. 17-25;<br />

ma, piú in particolare, a. puerari, Le tarsie del Platina, Cremona 1967,<br />

pp. 115-30 (cap<strong>it</strong>olo reso piú accessibile dalla ristampa in «Paragone»,<br />

xviii, 1967, n. 205, pp. 3-43). Al convegno milanese sulla <strong>prospettiva</strong><br />

rinascimentale, nel 1977, Marisa Dalai Emiliani presentò un ined<strong>it</strong>o<br />

trattato cinquecentesco per l’esecuzione di tarsie lignee, ma non ne è<br />

poi segu<strong>it</strong>a la pubblicazione negli atti (si tratta del codice dell’Ambrosiana<br />

ricordato e parzialmente riprodotto da m. rosci, Baschenis, Bettera<br />

& Co, Milano 1971, pp. 34-35).<br />

42 puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 122.<br />

43 a. leroi-gourhan, Il gesto e la parola (1965), Torino 1977, p. 299.<br />

44 In un caso come questo non ha molto senso cercar di distinguere<br />

il «P<strong>it</strong>tore di Paolo Buonvisi» da quel suo strettissimo (ma piú<br />

distratto) parallelo che fu il «Maestro dell’Immacolata Concezione».<br />

Indico il primo nome, tuttavia, perché la tarsia manca di quelle sem-<br />

Storia dell’arte Einaudi 150


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

plificazioni corsive cui tende sempre piú, verso la fine <strong>della</strong> carriera,<br />

l’altro anonimo lucchese. Ma, per la considerazione che qui interessa,<br />

il problema è del tutto irrilevante. La distinzione tra i due p<strong>it</strong>tori, da<br />

me proposta qualche anno fa, è stata ultimamente accolta e rifin<strong>it</strong>a da<br />

m. natale, Note sulla p<strong>it</strong>tura lucchese alla fine del Quattrocento, in<br />

«The Paul Getty Museum Journal», viii, 1980, pp. 49-50. La data<br />

implic<strong>it</strong>a al riconoscimento dell’autore del cartone corrisponde bene a<br />

quella che è già stata desunta per la tarsia, identificandola con un<br />

frammento del coro minore del duomo, commesso nel 1494 a Jacopo<br />

da Villa e a Masseo Civ<strong>it</strong>ali. Pone invece dei problemi lo stile che è proprio<br />

del lavoro di legname. Infatti sappiamo che nel 1485 Jacopo da<br />

Villa avrebbe dovuto collaborare con Cristoforo da Lendinara al coro<br />

di Pisa. Mentre l’altro intarsiatore, secondo la testimonianza del figlio<br />

(cfr. nota 99), imparò ad intarsiare dal maestro padano. La tarsia, al<br />

contrario, non ha nessunissimo carattere lendinaresco: nella bordatura<br />

decorativa, nell’accenno illusivo del pastorale che vi si sovrappone,<br />

ma, soprattutto nella tecnica d’intarsio, rivela origini del tutto diverse,<br />

certamente toscane. La compressione f<strong>it</strong>tissima ed elastica dei legni<br />

che costruiscono il viso rimanda, ancora piú che a Firenze, a Siena.<br />

(Jacopo da Villa doveva comunque conoscere l’ambiente fiorentino:<br />

quando nel 1461 si stabilí il contratto per gli stalli intagliati <strong>della</strong> Certosa<br />

di Calci, si fecero tanti e tali riferimenti al coro <strong>della</strong> Certosa del<br />

Galluzzo da doverne concludere che, se anche quello non fu opera sua,<br />

gli era direttamente noto). c. baracchini e a. caleca, Il Duomo di<br />

Lucca, Lucca 1973, pp. 152-53, privilegiando il riferimento a Masseo<br />

Civ<strong>it</strong>ali, non vorrebbero escludere «una derivazione da idee o disegni<br />

di Matteo Civ<strong>it</strong>ali», lo scultore in pietra. Quanto alle figure che r<strong>it</strong>engo<br />

essere state disegnate da Zacchia il Vecchio, si tratta degli evangelisti<br />

Luca e Giovanni degli stalli che furono nella Cappella degli Anziani.<br />

Vennero compiuti nel 1529 da Ambrogio e Nicolao Pucci. Per le<br />

tarsie del museo lucchese, cfr. l. bertolini campetti, Museo Nazionale<br />

di Villa Guinigi, Lucca, Lucca 1968, pp. 124-25 e 127-28.<br />

45 La documentazione ripresa in g. zucchini, San Michele in Bosco<br />

di Bologna, in «L’Archiginnasio», xxxviii, 1943, p. 35, riferisce al 1517<br />

la forn<strong>it</strong>ura del San Gregorio e del San Petronio da parte del Ramenghi;<br />

le corrispondenti tarsie sono superst<strong>it</strong>i fra quelle che da San Michele<br />

in Bosco pervennero nella Cappella Malvezzi Campeggi in San Petronio.<br />

La notizia, sfugg<strong>it</strong>a a chi si è occupato del p<strong>it</strong>tore, aiuta a definire<br />

un utile passaggio verso la conoscenza del suo momento piú antico.<br />

46 Cfr. infra, nota 160 e nota 259.<br />

47 Per l’attribuzione a Signorelli dei cartoni usati dal Barili, c. sisi,<br />

Le tarsie per il coro c<strong>it</strong>., 1978, e infra, p. 80.<br />

48 Ma, in senso opposto, cfr. m. j. thornton, Tarsie: design und designers,<br />

in «Journal of the Warburg and Courtauld Inst<strong>it</strong>utes», xxxvi,<br />

Storia dell’arte Einaudi 151


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

1973, pp. 377-82. Proprio il fatto che nel disegno di Windsor Castle,<br />

rifer<strong>it</strong>o ad uno sconosciuto artista <strong>it</strong>aliano, si notino tracciati che possono<br />

corrispondere alla connessione dei legni e tratteggi tali da suggerire<br />

la direzione delle venature indica non già una destinazione antecedente<br />

alla realizzazione lignaria (meno che mai riferibile a persona<br />

diversa dall’intarsiatore), ma piuttosto quella di un d’après. Aderisce<br />

invece alla proposta m. righetti, Le tarsie di Todi, Milano 1978 (p. 6<br />

dell’introduzione, non numerata). Possibili d’après o repertori di bottega<br />

(sul tipo dei disegni riprodotti da f. gibbons, Catalogue of Italian<br />

Drawings in the Art Museum, Princeton Univers<strong>it</strong>y, Princeton 1977, nn.<br />

719, 720; da b. berenson, The Drawings of the Florentine Painters, Chicago<br />

1938, fig. 48; l. collobi ragghianti, Il libro di Disegni del Vasari,<br />

Firenze 1974, fig. 435) potranno essere rinvenuti, cosí come «modelli»<br />

destinati a visualizzare al comm<strong>it</strong>tente l’effetto del mobile intarsiato<br />

(o di una sua parte), esegu<strong>it</strong>i in fase di pattuizione; ma il vero e proprio<br />

disegno operativo era destinato al sacrificio. Rimandano poi a quella<br />

tipica figurazione da intarsiatori che è il «toppo» (ottenuto dalla preparazione<br />

di un tronco, il «toppo» appunto, composto da legni diversi,<br />

tagliati e disposti in modo da far risultare, al taglio normale dell’insieme<br />

di tali assicelle, un disegno prospetticamente coerente ed<br />

adatto alla ricomposizione modulare in fasce decorative da estendere<br />

secondo la necess<strong>it</strong>à) due disegni dub<strong>it</strong>ativamente rifer<strong>it</strong>i a Leonardo<br />

in j. byam shaw, Drawings by Old Masters at Christ Church, Oxford<br />

1977, nn. 21-22.<br />

49 Basti pensare ad Alessandro Leopardi che avendo fuso e rinettato<br />

quel monumento Colleoni, che ogni memoria scolastica pone sotto<br />

il nome del Verrocchio (peraltro nel frattempo defunto), provvide<br />

anche a firmarlo; o alla serie degli arazzi Trivulzio, per noi cosí ovviamente<br />

«del Bramantino», e che portano tuttavia la firma del tess<strong>it</strong>ore,<br />

Benedetto da Milano («hoc opus», in effetti, «fec<strong>it</strong>»).<br />

50 Cosí nel documento del 20 giugno 1463 riportato da c. von<br />

fabriczy, Giuliano da Maiano, in «Jahrbuch der Königlich Preussischen<br />

Kunstsammlungen», xxiv, 1903, p. 161.<br />

51 «[Giuliano di Nardo da Maiano] E de’ dare addí 23 di Settenbre<br />

1463 fiorini tre larghi, e’ qua’ danari sono per una storia gli disengniai<br />

d’una Nativ<strong>it</strong>à di santa Liperata [Santa Reparata, cioè Santa Maria del<br />

Fiore] e cholor<strong>it</strong>o el banbino ella testa di nostra donna e Giuseppo, fior.<br />

3» (a. baldovinetti, I ricordi, a cura di G. Poggi, Firenze 1909, p. 8).<br />

52 «Giuliano di Nardo da Majano de’ dare addí 21 di Febraio<br />

1463-64, lire 3, e’ qua’ danari sono per cinque teste gli cholorii a cinque<br />

fighure disengniate di mano di Tommaso Finighuerri, cioè una<br />

nostra Donna, uno angniolo, uno santo Zanobi chon duo diachani<br />

dallato, le quali fighure sono nella sagrestia di Santa Liperata» (ibid.,<br />

pp. 8-9).<br />

Storia dell’arte Einaudi 152


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

53 longhi, Officina c<strong>it</strong>., 1956, p. 22 (con l’abate Lanzi, «io prego il<br />

Lettore a non paragonar nome a nome, come il volgo usa, ma ragione<br />

a ragione»).<br />

54 Un significativo esempio di ripetizione all’interno di una medesima<br />

opera è nelle tarsie <strong>della</strong> Certosa di San Martino, a Napoli, dove<br />

cinque cartoni sono ripetuti con fedeltà quasi assoluta (cfr. r. causa,<br />

Giovan Francesco d’Arezzo e Prospero <strong>maestri</strong> di commesso e <strong>prospettiva</strong>.<br />

Le tarsie del coro dei conversi nella certosa di S. Martino, in «Napoli<br />

nobilissima», n. s., i, 1961, n. 4, p. 132, nota 19). Una relazione<br />

speculare, ma poi variata, è fra due pannelli dei fratelli Mola a Mantova.<br />

Un caso di adattamento di cartone figurato è nell’armadio di<br />

Mariotto di Paolo nel Duomo di Perugia: lo stesso modello, di generica<br />

impronta peruginesca, che serve per san Pietro, una volta eliminato<br />

l’attributo iconografico delle chiavi e sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o con la spada, è<br />

usato per san Paolo; la diversa composizione di essenze lignee allenta<br />

l’effetto di duplicazione (g. cantelli, Il mobile umbro, Milano 1973,<br />

p. 57, fig. 28).<br />

A questo propos<strong>it</strong>o, e in vista <strong>della</strong> contigu<strong>it</strong>à con l’amb<strong>it</strong>o dell’illustrazione<br />

libraria, Gianni Romano mi ricorda il parallelo uso di elementi<br />

mobili da parte degli xilografi.<br />

55 j. burckhardt, Il Cicerone (1855), Firenze 1952, pp. 284-85.<br />

56 a. sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>., p. 25. Nell’inventario di oggetti<br />

fatto da Lorenzo da Lendinara nel 1469, in occasione di un suo allontanamento<br />

da Padova, è registrato anche «uno bancho grando da leto,<br />

de piè cercha octo, de dui canti, cum lavoreri de tarsia de piú cosse<br />

dentro e cum carte da desegni, in l’altro canto diverse cosse e designi»<br />

(ibid., p. 48).<br />

57 m. gregori, Introduzione al Moroni, in Giovanni Battista Moroni,<br />

catalogo <strong>della</strong> mostra, Bergamo 1979, passim, dove il riuso combinatorio<br />

di precedenti modelli è riportato alla specifica problematica dei<br />

tempi. Uno spaccato esemplare, eccezionalmente sistematico, dei modi<br />

di accumulo e riutilizzo dei cartoni all’interno di una lunga e coerente<br />

traiettoria operativa è stato dato nel catalogo <strong>della</strong> mostra, a cura di g.<br />

romano, Gaudenzio Ferrari e la sua scuola. I cartoni cinquecenteschi dell’Accademia<br />

Albertina, Torino 1982.<br />

58 vasari, Opere c<strong>it</strong>., VII, p. 665.<br />

59 o. raggio, Vignole, Fra Damiano et Girolamo Siciolante à la chapelle<br />

de la Bastie d’Urfé, in «Revue de l’art», 1972, n. 15, pp. 39-40.<br />

Lo stesso inequivocabile prospetto a tre aperture e timpano sormontato<br />

da tamburo e cupola, che compare nelle tarsie di Bergamo, del dossale<br />

e del coro bolognesi, e di Urfé, fa da sfondo ad una tarsia che, pur<br />

trovandosi al Museo del Bargello, sembra essere passata inosservata: si<br />

tratta del pannello con la Probatica piscina inser<strong>it</strong>o nel piú antico coro<br />

di Niccolò e Bartolomeo da Colle, proveniente da Monte Oliveto: per<br />

Storia dell’arte Einaudi 153


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

quanto di qual<strong>it</strong>à stentata, mi pare che possa corrispondere, piú che ad<br />

un seguace, a fra Damiano stesso, in una fase non troppo lontana dai<br />

primi lavori bergamaschi. Il riutilizzo dei cartoni da parte dell’intarsiatore<br />

fu già considerato da v. alce, L’arch<strong>it</strong>ettura nelle tarsie di Fra<br />

Damiano Zambelli, in «Atti dell’Ateneo di scienze lettere ed arti in Bergamo»,<br />

xxix, 1955-56, pp. 13-14, 23-26.<br />

60 j. goldsm<strong>it</strong>h phillips, A new Vignola, in «Bulletin of the Metropol<strong>it</strong>an<br />

Museum of Art», xxxv, 1941, n. 5, pp. 116-22.<br />

61 vasari, Opere c<strong>it</strong>., VII, p. 16. Una copia del progetto salviatesco<br />

è stata segnalata da m. hirst, Francesco Salviati’s «Vis<strong>it</strong>ation», in «The<br />

Burlington Magazine», ciii, giugno 1961, p. 240, fig. 60. Cfr. inoltre<br />

i. hofmeister cheney, Francesco Salviati (1510-1563) (Ph. Diss., New<br />

York Univ., 1963), Ann Arbor 1975, II, pp. 442-43.<br />

62 scherer, Technik c<strong>it</strong>., 1891, pp. 79-80; g. b. brown, Vasari on<br />

technique, London 1907, p. 307.<br />

63 Si veda il San Giorgio che libera la principessa del Museo Horne<br />

di Firenze, ancora nell’amb<strong>it</strong>o di fra Damiano (cfr. a. conti, in Palazzo<br />

Vecchio: comm<strong>it</strong>tenza e collezionismo medicei, catalogo <strong>della</strong> mostra,<br />

a cura di P. Barocchi, Firenze 1980, pp. 213-14).<br />

64 g. giordani, Della venuta e dimora in Bologna del Sommo Pontefice<br />

Clemente VII per la coronazione di Carlo V imperatore (celebrata l’anno<br />

MDXXX, cronaca), Bologna 1842, pp. 163-64.<br />

65 Il testo di Colacio è riprodotto in sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>., p.<br />

43 («Quod vix pingi colore potest vos ligno finxistis»); Giovanni Rucellai<br />

ed il suo zibaldone, I, «Il zibaldone quaresimale», a cura di A. Perosa,<br />

London 1970, p. 61 («di tanta arte di <strong>prospettiva</strong> che con pennello<br />

non si farebbe meglio»); v. da bisticci, V<strong>it</strong>e di uomini illustri del secolo<br />

XV, a cura di P. D’Ancona e E. Aeschlimann, Milano 1951, p. 209<br />

(«In fra l’altre [cose, Federico da Montefeltro] fece fare lavori sí degni<br />

a tutti gli usci delle camere sua, in modo che di pennello le figure che<br />

v’erano non si sarebbero fatte piú degne di quelle; ed evvi uno istudio<br />

lavorato con tanto mirabile artificio, che sendo fatto col pennello, o d’ariento,<br />

o di rilievo, non sarebbe possibile che si pareggiasse a quello»:<br />

considerazione, quest’ultima, sostanzialmente piú ampia rispetto al<br />

semplice paragone illusionistico con la p<strong>it</strong>tura).<br />

66 La scr<strong>it</strong>ta Hoc ego Antonius Barilij opus coelo non penicillo exussi<br />

A. D. MDII non autorizza certo ad immaginare (c. sisi, Le tarsie per il<br />

coro c<strong>it</strong>., p. 35) un vanto di sapore polemico verso gli intarsiatori che<br />

già operavano con legni trattati artificialmente, come Giovanni da<br />

Verona. Oltretutto una simile protesta di poetica non si addice ad un<br />

intarsiatore che, come il Barili, punta ad effetti di varietà cromatica.<br />

67 C<strong>it</strong>. in e. menegazzo, Per la biografia di Francesco Colonna, in<br />

«Italia medievale e umanistica», v, 1962, pp. 246 e nota 1.<br />

68 La lapide sepolcrale di Raffaele da Brescia è c<strong>it</strong>ata in r. erculei,<br />

Storia dell’arte Einaudi 154


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Catalogo delle opere antiche c<strong>it</strong>., 1885, p. 42. L’elogio di fra Giovanni<br />

da Verona fa parte di una lunga ed importante testimonianza contenuta<br />

nel Liber cronicalis Monasterii Novi S. Mariae Annunciatae Montis<br />

Oliveti Laudensis civ<strong>it</strong>atis (Archivio Storico Milano, Fondo di religione<br />

P. A. 5008) trascr<strong>it</strong>ta da brizzi, Un armadio intarsiato c<strong>it</strong>., pp. 297-98,<br />

nota 24.<br />

69 l. alberti, Historie di Bologna, libro I <strong>della</strong> Deca I, Bologna 1541,<br />

pp. n. n.; Descr<strong>it</strong>tione di tutta Italia (1550), Venezia 1596, p. 402v.<br />

70 Si tratta di una delle piú immediate e profonde testimonianze<br />

lasciate da un artista antico. Furono pubblicate in Lettere ined<strong>it</strong>e di<br />

Lorenzo Lotto su le tarsie di S. Maria Maggiore in Bergamo, a cura di L.<br />

Chiodi, Bergamo 1962 (una seconda edizione, corretta, è usc<strong>it</strong>a come<br />

annata 1968 di «Bergomum»); id., Quattro lettere ined<strong>it</strong>e di Lorenzo<br />

Lotto, in «Bergomum», lxxxi, 1977, n. 1-2, pp. 17-36. La prima serie<br />

è ristampata in l. lotto, Libro di spese diverse (1538-1556), a cura di<br />

P. Zampetti, Venezia-Roma 1969, pp. 261-96.<br />

È a propos<strong>it</strong>o del giudizio su fra Damiano («ignorante e di poca religione<br />

de Cristo»), dato nella lettera del 18 luglio 1526, che chiodi, Lettere<br />

c<strong>it</strong>., p. 17, ha sospettato che l’intarsiatore concorresse o sperasse<br />

di essere inv<strong>it</strong>ato all’esecuzione del coro. L’ipotesi r<strong>it</strong>orna successivamente,<br />

con progressiva perd<strong>it</strong>a di tale connotato, in alce, Il coro di San<br />

Domenico c<strong>it</strong>., p. 60; h. a. van den bergnoë, Lorenzo Lotto e la decorazione<br />

del coro ligneo di S. Maria Maggiore in Bergamo, in «Mededelingen<br />

van het Nederlands Inst<strong>it</strong>uut te Rome», n. s., i, 1974, p. 150; p.<br />

zampetti, Una v<strong>it</strong>a errabonda, in «Notizie da palazzo Albani», ix,<br />

1980, n. 1-2, p. 17 (dove risulta addir<strong>it</strong>tura che fra Damiano «era in<br />

l<strong>it</strong>e con l’artista, evidentemente perché aveva scelto il Capoferri come<br />

esecutore delle tarsie dei suoi disegni»). Dall’indagine, ancora indispensabile<br />

per quanto integrata dai nuovi r<strong>it</strong>rovamenti, di a. pinetti,<br />

Il coro ligneo di Gianfrancesco Capoferri e i disegni di Lorenzo Lotto per<br />

le tarsie, in «Bergomum», xii, 1928, n. 9, pp. 129-53, risulta la presenza<br />

del p<strong>it</strong>tore nella prima fase, poi diversamente orientata, dei lavori (p.<br />

151), ma il Capoferri fu assunto fino dal 28 settembre del 1522 (p.<br />

130), mentre la chiamata del Lotto risale al marzo del ’24, dopo la<br />

morte del Cabrini (pp. 143-44).<br />

71 chiodi, Lettere c<strong>it</strong>., p. 37 (oppure: lotto, Libro c<strong>it</strong>., p. 266).<br />

Entrambi trascrivono «Dav<strong>it</strong> che tira del Franzino a Goliath». Seguendo<br />

il senso <strong>della</strong> frase, pur senza averne fatto verifica sul manoscr<strong>it</strong>to,<br />

mi è parso opportuno congetturare una e.<br />

72 chiodi, Lettere c<strong>it</strong>., p. 41 (lettera del 18febbraio 1527); lotto,<br />

Libro c<strong>it</strong>., p. 270.<br />

73 Nel glossario redatto da I. Chiappini di Sorio al termine di lotto,<br />

Libro c<strong>it</strong>., p. 388, risulta che «profilare i quadri» equivarrebbe a<br />

«riportare i contorni del disegno nel fondo dei pannelli sui quali<br />

Storia dell’arte Einaudi 155


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

dovranno poi essere applicati i frammenti lignei per la composizione<br />

dell’intarsio». In effetti una spiegazione del genere contrasta con affermazioni<br />

come quella che il Lotto fa nella lettera del 4 settembre 1527<br />

(ibid., p. 278): «et sapete che mai ho promesso di profilarveli [...] dissi<br />

di profilarveli essendo al tempo in loco comodo, fu d<strong>it</strong>o di mandarmeli<br />

a Venetia». Il senso del termine era colto assai meglio da pinetti, Il<br />

coro ligneo c<strong>it</strong>., pp. 140-41, nota 5.<br />

Entro questo arco di funzioni dell’officina del coro va valutata la<br />

diversa configurazione e qual<strong>it</strong>à dei due disegni per le tarsie bergamasche<br />

resi noti da p. pouncey, Lotto disegnatore, Vicenza 1965, pp.<br />

18-21; come il carattere freddamente copistico di un disegno per la tarsia<br />

dei Sette fratelli Maccabei pubblicato da l. ragghianti collobi e c.<br />

l. ragghianti, Disegni dell’Accademia Carrara di Bergamo, Venezia<br />

1962, nota 84 (e quindi da f. rossi, in Bergamo per Lorenzo Lotto, Bergamo<br />

1980, pp. 89-90). Ma si vedano ora le osservazioni di w. r. rearick,<br />

Lorenzo Lotto: The Drawings, 1500-1525, in p. zampetti e v.<br />

sgarbi, Lorenzo Lotto (Atti del convegno internazionale di studi, Asolo,<br />

18-21 settembre 1980), Treviso 1981, pp. 30-31.<br />

74 chiodi, Lettere c<strong>it</strong>., p. 31 (lotto, Libro c<strong>it</strong>., p. 261). Il Lotto<br />

accenna alla questione in almeno una decina di occasioni. In questo<br />

senso sono molto importanti anche le quattro lettere ultimamente rese<br />

note da Chiodi.<br />

75 lotto, Libro c<strong>it</strong>., p. 304.<br />

76 Ibid., p. 128.<br />

77 In chiodi, Quattro lettere c<strong>it</strong>., p. 35.<br />

78 g. romano, Appunti sul monogrammista PP, in «Quaderni del<br />

conosc<strong>it</strong>ore di stampe», i, 1970, n. 1, pp. 12-18.<br />

79 Ne dà riproduzione c. alberici, Il mobile lombardo, Milano 1969,<br />

p. 38; cfr., inoltre, f. malaguzzi valeri, La corte di Ludovico il Moro,<br />

Milano 1917, III, pp. 267 sgg.<br />

80 Ricordo solo il caso del Beato Lorenzo Giustiniani dell’Accademia<br />

Carrara di Bergamo perché indusse a. venturi, Un quadretto supposto<br />

di Lorenzo da Lendinara, in «L’Arte», xxvi, 1923, pp. 18-19 ad avanzare,<br />

con cautela, il nome dell’intarsiatore (e, ancora, id., La p<strong>it</strong>tura del<br />

Quattrocento nell’Emilia, Bologna 1931, p. 30, con cautela apparentemente<br />

minore). Sull’opera, cfr., per ultimo, f. rossi, Accademia Carrara,<br />

Bergamo, Bergamo 1979, p. 44.<br />

81 Nell’Annunciazione <strong>della</strong> Fondazione Cini, in effetti, la natura<br />

morta corrisponde ad una porzione di superficie che sembra innestata<br />

nel corpo <strong>della</strong> tavola: potrebbe trattarsi di lavoro affidato ad un p<strong>it</strong>tore<br />

diverso; ma l’accertamento è ostacolato dalle condizioni di usura<br />

e di ridipintura di larghi tratti dell’opera.<br />

82 Per fare qualche esempio: Cima da Conegliano, Annunciazione<br />

(Leningrado, Erm<strong>it</strong>age); Alvise Vivarini, Annunciata (Venezia, Galle-<br />

Storia dell’arte Einaudi 156


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

rie dell’Accademia); Filippo Mazzola, Madonna col Bambino e i santi<br />

Battista e Gerolamo (Parma, Pinacoteca); Filippo Lippi, Annunciazione<br />

(Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica).<br />

83 j. shearman, The Vatican Stanze: Fictions and Decoration, in «Proceedings<br />

of the Br<strong>it</strong>ish Academy», lvii, 1971, n. 97, pp. 15, 49 nota 97.<br />

84 a. avena, Sei paesaggi da rivendicare a Giovan Francesco Caroto, in<br />

«Madonna Verona», 1915, pp. 133-35; m. t. franco fioro, Appunti<br />

su Giovan Francesco Caroto, in «Arte Lombarda», xi, 1966, n. 1, pp.<br />

40-42 e nota 19.<br />

85 v. viale, in Gotico e Rinascimento in Piemonte, catalogo <strong>della</strong><br />

mostra, Torino 1939, pp. 214-221 (e tavv. 78-81). Per un aggiornamento,<br />

g. c. sciolla, Il Biellese dal Medioevo all’Ottocento, Torino<br />

1980, pp. 122-48, 164-66, 168, cui è utile aggiungere, specie in ordine<br />

al contesto di valutazione, c. sterling, La Nature Morte de l’antiqu<strong>it</strong>é<br />

a nos jours, Paris 1962, p. 128, nota 57.<br />

86 g. cantelli, Il mobile umbro c<strong>it</strong>., fig. 70. A propos<strong>it</strong>o di dipinti<br />

che ripetono strettamente temi prospettici da tarsia, è singolare la<br />

tavola resa nota da c. volpe, in Mostra di opere restaurate, secoli XIV-XIX,<br />

catalogo <strong>della</strong> mostra, Modena 1980, p. 8.<br />

87 j. vacková, Reflets de l’<strong>it</strong>alianisme dans la peinture en Bohême vers<br />

1500, in Evolution générale et développements régionaux en histoire de<br />

l’art (Atti del XXII congresso C.I.H.A.), Budapest 1972, I, pp. 645-48,<br />

III, tav. 201.<br />

88 Sulla tipologia e funzional<strong>it</strong>à del coro, le voci dell’Enciclopedia <strong>it</strong>aliana,<br />

XI, pp. 441-46, e di h. leclercq, in Dictionaire d’archéologie chrétienne<br />

et de l<strong>it</strong>urgie, III, Paris 1948, coll. 1406-13. Sull’eliminazione dei<br />

tramezzi e la riorganizzazione post-tridentina, è esemplare lo studio di<br />

m. b. hall, Renovation and Counter-Reformation. Vasari and Duke Cosimo<br />

in Sta Maria Novella and Sta Croce 1565-1577, Oxford 1979.<br />

89 w. liebenwein, Studiolo. Die Entstehung eines Raumtyps und seine<br />

Entwicklung bis um 1600, Berlin 1977.<br />

90 Rimane infatti esemplare, pur nella divers<strong>it</strong>à di mole di impianto,<br />

il contributo dato su tutto quanto il problema <strong>della</strong> tarsia, da puerari,<br />

Le tarsie c<strong>it</strong>., e da romano, Il coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>.<br />

91 m. caffi, Sulla scultura in legno in Italia, dal Risorgimento dell’arte,<br />

in «Il Pol<strong>it</strong>ecnico», 1861, n. 60, p. 652. Sulle iniziative del Caffi,<br />

cfr. a. ronchini, Intorno alla scoltura in legno. Notizie storico-patrie, in<br />

«Atti e memorie delle Regie deputazioni di Storia Patria per le provincie<br />

modenesi e parmensi», vii, 1876, pp. 297-98.<br />

92 d. c. finocchietti, Della scultura e tarsia in legno dagli antichi<br />

tempi ad oggi. Notizie storico monografiche, Firenze 1873. È redazione<br />

ampliata <strong>della</strong> terza parte di Sull’industrie relative alle ab<strong>it</strong>azioni umane,<br />

Firenze 1869, e fa parte degli «Annali del ministero di agricoltura,<br />

industria e commercio».<br />

Storia dell’arte Einaudi 157


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

93 r. erculei, Catalogo delle opere antiche d’intaglio e intarsio in legno<br />

esposte nel 1885 a Roma, preceduto da brevi cenni sulla storia di quelle<br />

due arti in Italia dal XIII al XVI secolo, Roma 1885. Sul punto di vista<br />

dell’Erculei può essere orientativa un’affermazione come quella a p. 33:<br />

«Noi viviamo oggi un’epoca di democrazia, noi siamo idolatri dell’antico,<br />

ma ancora non riusciamo a persuaderci che l’arte e l’industria sono<br />

sorelle e che è tempo di combattere l’aristocrazia degli arch<strong>it</strong>etti, dei<br />

p<strong>it</strong>tori, degli scultori, che ha distrutto nel xvii secolo l’arte <strong>it</strong>aliana».<br />

94 burckhardt, Il Cicerone c<strong>it</strong>., p. 284.<br />

95 Cfr. arcangeli, Tarsie c<strong>it</strong>., p. 5 («Sarà da tenere per fermo che<br />

la vera età aurea delle imprese lignarie resta la seconda metà del secolo<br />

decimoquinto»); chastel, I centri c<strong>it</strong>., p. 246 («La grande epoca<br />

degli intarsi va dunque dal 1460 al 1510»). Tali indicazioni vanno<br />

comunque anticipate alla luce di quanto sta per essere pubblicato da<br />

M. Haines, di cui si darà sinteticamente notizia al paragrafo seguente.<br />

96 La piú suggestiva panoramica storica <strong>della</strong> tarsia rinascimentale<br />

rimane il libretto giovanile di arcangeli, Tarsie c<strong>it</strong>., per quanto si trattasse<br />

di un’antologia subordinata ai materiali fotografici che, sul tema,<br />

erano allora disponibili (dopo tanti anni, Arcangeli si dispiaceva di non<br />

aver trovato riproduzioni del Barili di San Quirico d’Orcia). Un orientamento<br />

fondamentale dà chastel, I centri c<strong>it</strong>., pp. 245-63 (autore<br />

anche <strong>della</strong> voce Intarsio dell’Enciclopedia Universale dell’Arte, VII,<br />

Roma 1958, pp. 577-78). Assai utili, per quanto sintetici, gli inquadramenti<br />

generali di r. causa, Tarsie cinquecentesche nella Certosa di San<br />

Martino a Napoli, Milano 1962 (pagine introduttive, non numerate);<br />

romano, Il coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>., pp. 14-18; id., Tarsia, in Enciclopedia<br />

Europea, XI, Milano 1981, pp. 55-58.<br />

97 Per i caratteri schiettamente fiorentini dello studiolo di Urbino,<br />

cfr. infra, ma si ricorda intanto che la dimostrazione che a Firenze fu<br />

lavorato e quindi trasportato ad Urbino è data dal taglio di una parete,<br />

impostosi al momento <strong>della</strong> messa in opera. Sul coro di Reggio, cfr.<br />

i documenti raccolti da e. monducci, Il coro ligneo <strong>della</strong> basilica di San<br />

Prospero in Reggio Emilia, in «Bollettino storico cremonese», xxiii,<br />

1961-64, pp. 237-77.<br />

98 Cfr. a. pinetti, Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore, V, Il coro<br />

ligneo di Gianfrancesco Capoferri c<strong>it</strong>., p. 131 (ma cfr. ancora p. 133).<br />

99 La notizia è rifer<strong>it</strong>a dal figlio stesso dell’intarsiatore, il cronista<br />

Giuseppe Civ<strong>it</strong>ali (cfr. in e. ridolfi, L’arte in Lucca studiata nella sua<br />

cattedrale, Lucca 1882, pp. 268-69). Masseo è persona diversa dallo<br />

scultore Matteo Civ<strong>it</strong>ali (come invece potrebbe equivocamente intendersi<br />

da g. fiocco, Lorenzo Canozio e la sua scuola, in «Il Santo», i,<br />

1961, p. 17).<br />

100 Cfr. a. de champeaux, Les relations du duc Jean de Berry avec l’art<br />

<strong>it</strong>alien, in «Gazette des Beaux-Arts», xxxviii, 1888, ii, pp. 409-15 (la<br />

Storia dell’arte Einaudi 158


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

c<strong>it</strong>azione è da p. 411); cui risale l’identificazione dell’intarsiatore con<br />

Domenico di Niccolò dei Cori. Dal piú recente intervento sull’artista,<br />

che è quello di g. prev<strong>it</strong>ali, Domenico «dei cori» e Lorenzo Vecchietta:<br />

necess<strong>it</strong>à di una revisione, in «Storia dell’arte», 1980, n. 38-48, pp.<br />

41-44, e nota 1, si ricavano anche le relative notizie bibliografiche (cfr.<br />

anche a. bagnoli, in Il Gotico a Siena, catalogo <strong>della</strong> mostra, Firenze<br />

1982, pp. 353-55). Per altri casi di prestigio extrac<strong>it</strong>tadino degli intarsiatori<br />

senesi, cfr. p. toesca, Il Trecento, Torino 1951, p. 934.<br />

101 Cfr. l. fumi, Il Duomo di Orvieto e i suoi restauri, Roma 1891,<br />

pp. 271-307; toesca, Il Trecento c<strong>it</strong>., p. 936 (la «grande cuspide intarsiata<br />

con l’Incoronazione <strong>della</strong> Vergine» è «la prima e piú grande che<br />

rimanga di composizione p<strong>it</strong>torica in tal genere di lavoro squis<strong>it</strong>amente<br />

<strong>it</strong>aliano»); a garzelli, Orvieto. Museo dell’Opera del Duomo, Bologna<br />

1972, pp. 47-54 e 98, raccoglie un buon numero di riproduzioni.<br />

Cfr. inoltre p. torr<strong>it</strong>i, Il coro del Duomo di Orvieto e le sue sculture, in<br />

«Commentari», i, 1950, n. 3, pp. 143-45; g. coor, Neroccio de’ Landi,<br />

1447-1500, Princeton 1961, pp. 203-4.<br />

102 e. carli, La scultura lignea senese, Milano-Firenze 1951, pp.<br />

41-45 e 116-17; id., La scultura lignea <strong>it</strong>aliana, Milano 1960, p. 71. Per<br />

l’iconografia del Credo rappresentata nel coro, h. w. van os, Vecchietta<br />

and the Sacristy of the Siena Hosp<strong>it</strong>al. A Study in Renaissance Symbolism,<br />

’s Gravenhage 1974, pp. 63-64.<br />

103 p. bacci, Due preziose «tarsie» del senese Matteo di Nanni detto il<br />

Bernacchino, in «La Balzana», n. s. i, luglio-agosto 1927, pp. 180-83;<br />

carli, La scultura lignea senese c<strong>it</strong>., pp. 50, 127.<br />

104 chastel, Marqueterie et perspective c<strong>it</strong>., pp. 150-51, richiama le<br />

tarsie senesi come dimostrazione e contrario dell’ident<strong>it</strong>à tarsia-<strong>prospettiva</strong><br />

nel Rinascimento. Sta di fatto che la tradizione senese, per<br />

quanto ne sappiamo, s’interruppe proprio nella fase cruciale, alla metà<br />

del Quattrocento.<br />

105 garin, Brunelleschi e la cultura fiorentina c<strong>it</strong>., p. 14.<br />

106 a. manetti, V<strong>it</strong>a di Filippo Brunelleschi, ed. cr<strong>it</strong>ica di D. de<br />

Robertis, introd. e note di G. Tanturli, Milano 1976, p. 4. Piú ampia<br />

caratterizzazione <strong>della</strong> Novella il lettore di questa Storia dell’arte troverà<br />

nel saggio di C. Mutini, vol. X, pp. 304-5. Manetti presenta il<br />

Grasso legnaiolo come maestro di tarsia («conosceresti voi uno che ha<br />

nome el Grasso, che sta in su la piazza di San Giovanni, colà di dietro,<br />

che fa le tarsie?», p. 12), che, una volta fugg<strong>it</strong>o in Ungheria, è<br />

destinato a fare fortuna come «maestro ingegneri» (p. 42). Un’altra rilevante<br />

attestazione del progresso quattrocentesco <strong>della</strong> tecnologia del<br />

legno, e quindi <strong>della</strong> tarsia, a Firenze, venne data da Giovanni Rucellai<br />

(cfr. Giovanni Rucellai c<strong>it</strong>., p. 61: «Et dal tempo de’ Gientili in qua<br />

non ci sono stati simili <strong>maestri</strong> di legname, di tarsie e commessi, di<br />

tanta arte di <strong>prospettiva</strong> che con pennello non si farebbe meglio»).<br />

Storia dell’arte Einaudi 159


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

107 puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 93, osserva che «la conquista <strong>della</strong><br />

nuova p<strong>it</strong>tura lignea, da parte dei <strong>maestri</strong> lignari, avvenne lentamente,<br />

per gradi e tram<strong>it</strong>e il contenuto dei cartoni dei p<strong>it</strong>tori». Non c’è da<br />

dissentire tanto sulla gradual<strong>it</strong>à, che pure andrà accelerata, quanto<br />

sulla necess<strong>it</strong>à di questa mediazione: dopo quanto si è osservato sulla<br />

dimensione fabbrile <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong> e sullo status culturale degli intarsiatori,<br />

essa risulta sostanzialmente contradd<strong>it</strong>toria.<br />

108 a. ghidiglia quintavalle, Baiso, Arduino, in Dizionario biografico<br />

degli <strong>it</strong>aliani, V, Roma 1963, p. 301.<br />

109 vasari, Le opere c<strong>it</strong>., II, pp. 205-6 (e qui nota 27).<br />

110 La data <strong>della</strong> decorazione <strong>della</strong> nicchia dei Beccai sl<strong>it</strong>ta lungo il<br />

secondo e terzo decennio del Quattrocento a seconda dell’opinione<br />

attributiva espressa sulla statua di San Pietro che vi è collocata. Cfr. h.<br />

w. janson, The Sculpture of Donatello, Princeton (1957), 1979, p. 224<br />

(anche per la specifica attenzione alle decorazioni prospettiche); successivamente,<br />

fra gli altri, g. castelfranco, Sui rapporti fra Brunelleschi e<br />

Donatello, in «Arte antica e moderna», 1966, n. 34-36, pp. 109-22 (ma,<br />

in particolare, pp. 115-16), e l. medri pecchioli, in Lorenzo Ghiberti,<br />

materia e ragionamenti, catalogo <strong>della</strong> mostra, Firenze 1978, p. 196 (con<br />

riproduzioni dettagliate). La grav<strong>it</strong>azione brunelleschiana <strong>della</strong> decorazione,<br />

già indicata da Vasari, è stata contraddetta soltanto da m. salmi,<br />

P. Uccello, A. del Castagno, D. Veneziano, Milano 1938 2 , p. 11, che preferisce<br />

vedervi idee del Ghiberti. Sulla Porta <strong>della</strong> Mandorla: la frase<br />

c<strong>it</strong>ata è di toesca, Il Trecento c<strong>it</strong>., p. 942; il riferimento brunelleschiano<br />

è stato recentemente sostenuto da c. del bravo, La dolcezza <strong>della</strong><br />

immaginazione, in «Annali <strong>della</strong> Scuola Normale Superiore di Pisa», classe<br />

di lettere e filosofia, serie iii, vii, 1977, n. 2, pp. 767-68; mentre m.<br />

salmi, Per Paolo Uccello, in Studies in Late Medieval and Renaissance Painting<br />

in Honour of Millard Meiss, a cura di I. Lavin e J. Plumer, New York<br />

1977, p. 373, nota 1, s’indirizza verso Paolo Uccello.<br />

111 Piú di recente ha sostenuto la derivazione <strong>della</strong> tarsia lignea da<br />

quella marmorea e prospettica m. salmi, Commento al coro <strong>della</strong> chiesa<br />

di San Francesco a Sansepolcro, in «Commentari», xxiii, 1972, n. 4,<br />

pp. 351-65 (ma in particolare pp. 360-61). Fu anche l’opinione di<br />

lanzi, Storia p<strong>it</strong>torica c<strong>it</strong>., II, p. 42.<br />

112 Per quanto da molto tempo fosse stata indicata la notizia sulla<br />

data d’avvio dei lavori <strong>della</strong> sacrestia e sull’attiv<strong>it</strong>à di Antonio Manetti<br />

ed Andrea di Lazzaro (c. von fabriczy, Filippo Brunelleschi. La v<strong>it</strong>a<br />

e le opere (1892), Firenze 1979, p. 112; h. semper, Donatello, seine Ze<strong>it</strong><br />

und seine Schule, Wien 1875, pp. 152-53, dove si osserva anche, a propos<strong>it</strong>o<br />

del Manetti: «Möglicherweise war er das Vehikel, durch welches<br />

Brunellesco’s Erfindung sich auf die Intarsienkunst ausbre<strong>it</strong>ete»; m.<br />

wackernagel, Der Lebensraum des Künstlers in der florentinischen<br />

Renaissance: Aufgaben und Auftraggeber, Werkstatt und Kunstmarkt,<br />

Storia dell’arte Einaudi 160


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Leipzig 1938 (trad. inglese, Princeton 1981, p. 23), chastel, Marqueterie<br />

et perspective c<strong>it</strong>., p. 149) non si era mai concretamente isolata la<br />

parte piú arcaica delle tarsie fiorentine. Tale distinzione, integrata<br />

dalla lettura sistematica dei documenti, è emersa con il restauro compiuto<br />

da Otello Caprara e le parallele ricerche archivistiche di Margaret<br />

Haines. Gli es<strong>it</strong>i di tale indagine sono già stati tempestivamente<br />

comunicati in varie conferenze e, piú sinteticamente, nel pieghevole e<br />

negli articoli comparsi in occasione dell’inaugurazione del restauro<br />

(giugno 1982). E pertanto se ne segnala già qualche riflesso bibliografico<br />

in del bravo, La dolcezza c<strong>it</strong>., p. 766; id., Il Brunelleschi e la speranza,<br />

in «Artibus et historiae», ii, 1981, n. 3, p. 70; l. bellosi, in Storia<br />

dell’arte <strong>it</strong>aliana Einaudi, IV, Ricerche spaziali e tecnologie, pp. 28-29.<br />

La documentazione estensiva dell’indagine è ancora in corso di pubblicazione,<br />

a cura di G. Marchini e <strong>della</strong> stessa Haines. Per tale ragione<br />

ho lim<strong>it</strong>ato all’essenziale le mie indicazioni. In bozze, mi accorgo<br />

che G. Marchini, nelle dispense univers<strong>it</strong>arie su Giuliano da Maiano,<br />

Firenze 1959, p. 28, aveva indicato nella parete destra, entrando, la<br />

fase piú antica <strong>della</strong> sacrestia.<br />

113 Pubblicata da r. longhi, Piero <strong>della</strong> Francesca (aggiunte all’edizione<br />

1942), Firenze 1963, p. 219. Cfr. inoltre: romano, Il coro di San<br />

Lorenzo c<strong>it</strong>., p. 16; salmi, Commento c<strong>it</strong>., pp. 358-59; id., La p<strong>it</strong>tura<br />

di Piero <strong>della</strong> Francesca, Novara 1979, pp. 14, 21 e nota 15.<br />

114 Cfr. r. hatfield, Some Unknown Descriptions of the Medici Palace<br />

in 1459, in «The Art Bulletin», lii, 1970, n. 3, pp. 231-49, ma in<br />

particolare p. 248. Cfr. inoltre d. heikamp, in Il tesoro di Lorenzo dei<br />

Medici, II, I vasi, catalogo <strong>della</strong> mostra (Firenze 1972), Firenze 1974,<br />

pp. 47-51; liebenwein, Studiolo c<strong>it</strong>., pp. 70-83.<br />

115 I documenti sono trascr<strong>it</strong>ti da fabriczy, Giuliano da Maiano c<strong>it</strong>.,<br />

pp. 161-63. Il 20 giugno 1463 s’incaricò Giuliano di «fare la terza faccia<br />

dj sacrestia», mentre allo stesso intarsiatore e a Giovanni da Gaiole<br />

si affida «elsedere disotto a detta faccia colla spalliera e con tutti sua<br />

ornamenti», da eseguire «secondo el modello et disegno fatto per detto<br />

gioliano». Ancora nel 1465 si fa riferimento al modello di Giuliano<br />

«appresso agli operaj». Dai documenti non risultano altri nomi. Non<br />

si affronta qui il problema dell’articolazione interna delle persone attive<br />

nella bottega di Giuliano da Maiano: l. becherucci, in l. becherucci<br />

e g. brunetti, Il museo dell’Opera del Duomo a Firenze, Milano<br />

s. d. [ma 1969-70], pp. 267-69, ha sugger<strong>it</strong>o di riconoscere la presenza<br />

di Benedetto da Maiano nel pannello con san Zanobi fra i due diaconi,<br />

ora ricollocato nella sacrestia.<br />

116 arcangeli, Tarsie c<strong>it</strong>., p. 6.<br />

117 Riunisco sinteticamente le notizie documentarie e le opinioni<br />

moderne sui p<strong>it</strong>tori che collaborarono con Giuliano da Maiano nella<br />

sacrestia del Duomo.<br />

Storia dell’arte Einaudi 161


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Sono documentate le parti seguenti: la Nativ<strong>it</strong>à (cartone dell’intera<br />

storia forn<strong>it</strong>o da A. Baldovinetti); le figure dell’annunciata, dell’angelo,<br />

di san Zanobi, dei due diaconi (disegni di M. Finiguerra di<br />

cui Baldovinetti colorí le sole teste). Per tali figure, il fraintendimento<br />

dei processi produttivi propri di una grande impresa lignaria e la<br />

dub<strong>it</strong>osa vicenda cr<strong>it</strong>ica del Finiguerra hanno fin<strong>it</strong>o per confondere<br />

un’attestazione documentaria in sé chiarissima, sopravvalutando il<br />

ruolo del Baldovinetti (indicativa in questo senso, sulla scia di Berenson,<br />

r. w. kennedy, Alesso Baldovinetti. A Cr<strong>it</strong>ical and Historical Study,<br />

New Haven 1938, pp. 113-20). Per il dibatt<strong>it</strong>o sull’argomento, svolto<br />

anche in tempi recenti, si rimanda alle annotazioni di r. gilli, Proposte<br />

per Maso Finiguerra: le tarsie <strong>della</strong> sacrestia delle messe in Santa Maria<br />

del Fiore a Firenze, in «Antich<strong>it</strong>à Viva», xix, 1980, n. 6, pp. 32-40,<br />

dove le note baldovinettiane sono correttamente intese.<br />

Non sono documentate e cost<strong>it</strong>uiscono pertanto questione attributiva<br />

le parti seguenti: 1) i profeti Amos ed Isaia (dopo una vicenda cr<strong>it</strong>ica<br />

impaniata nella fraintesa lettura dei Ricordi del Baldovinetti, furono<br />

sensatamente rifer<strong>it</strong>e, sia pure con qualche dubbio e con la collaborazione<br />

del fratello Piero, ad Antonio del Pollaiolo, da parte di s.<br />

ortolani, Il Pollaiuolo, Milano 1948, pp. 193-94: riferimento accettato<br />

in forma piú esplic<strong>it</strong>a da a. busignani, Pollaiolo, Firenze 1969, pp.<br />

xl-xliii, e, in maniera allusiva, da m. haines, Documenti intorno al reliquiario<br />

per San Pancrazio di Antonio del Pollaiolo e Piero Soli, in Scr<strong>it</strong>ti<br />

in onore di Ugo Procacci, Milano 1977, II, p. 265; a l. ettlinger, Antonio<br />

and Piero del Pollaiolo, Oxford 1978, p. 171, pare sfugg<strong>it</strong>a la s<strong>it</strong>uazione<br />

documentaria del complesso intarsiato; incongrua con le figure<br />

attestate, sembra invece la proposta in favore del Finiguerra di nuovo<br />

avanzata da gilli, Proposte c<strong>it</strong>., pp. 36-37); 2) la Circoncisione (recuperata<br />

con qualche dubbio da Arcangeli fra le troppo estensive annessioni<br />

baldovinettiane di Berenson, rimane sostanzialmente a questo<br />

artista anche per Oberhuber, Heydenreich, ecc.; l’alternativa sugger<strong>it</strong>a<br />

nel testo in favore di Cosimo Rosselli non sposta la sostanza delle<br />

cose, ma può avere qualche miglior ragione nelle figure interne alle<br />

colonne, mentre il san Giuseppe all’esterno risponde assai bene ad un<br />

cartone di dettagliata fattura grafica e cromatica del Baldovinetti;<br />

gilli, Proposte c<strong>it</strong>., p. 36, scivola sulla questione parlando di «un autore<br />

non identificato»).<br />

Infine, trovo indicato che a. rosenauer, Zum Stil der frühen Werke<br />

Domenico Ghirlandaio, in «Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte»,<br />

xxii, 1969, studia i rapporti fra le tarsie di Santa Maria del Fiore e il<br />

giovane Ghirlandaio; ma non mi è stato possibile trovare la rivista.<br />

118 La frase di Morandi veniva rifer<strong>it</strong>a a noi studenti bolognesi da<br />

f. arcangeli, Dal Romanticismo all’Informale (lezioni dell’anno accademico<br />

1970-71), Bologna 1976, pp. 4-5. Sulla «portata peninsulare» di<br />

Storia dell’arte Einaudi 162


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Piero <strong>della</strong> Francesca, che invece «trovò sostanzialmente refrattaria<br />

proprio l’area fiorentina», sono illuminanti le osservazioni di f. bologna,<br />

La coscienza storica dell’arte d’Italia. Introduzione alla «Storia dell’arte<br />

in Italia», Torino 1982, p. 40.<br />

119 e. battisti, Piero <strong>della</strong> Francesca, Milano 1971, pp. 44-53, pp.<br />

464-65, n. 53; c. ginzburg, Indagini su Piero, Torino 1981, p. 21 (con<br />

ulteriori rimandi).<br />

120 Cfr. g. fiocco, Lorenzo e Cristoforo da Lendinara e la loro scuola,<br />

in «L’Arte», xvi, 1913, n. 5, pp. 337-38 (documenti dal 1449 al<br />

1552 che sembrano indicare una rapida cresc<strong>it</strong>a di autonomia professionale<br />

nei riguardi di Arduino). Per inquadrare questa congiuntura culturale,<br />

cfr. longhi, Officina c<strong>it</strong>., pp. 17-19, che basta ampiamente a far<br />

intuire il carattere non prospettico che dovevano avere quelle decorazioni.<br />

Risulta pertanto incredibile la faciloneria astorica con cui w. zannini,<br />

Opere che grav<strong>it</strong>ano intorno allo studio di Belfiore, in «Musei ferraresi»,<br />

1975-76, n. 5-6, p. 17, crede che tale decorazione si sviluppasse<br />

«verso il trompe-l’oeil dello studiolo di Urbino» (che sarebbe come<br />

immaginare la Primavera del Tura, se non ci fosse pervenuta, secondo<br />

suggestioni botticelliane).<br />

121 l. pacioli, De Divina Proportione, Wien 1889, pp. 123-24.<br />

122 Mi discosto fermamente dall’ipotesi di un soggiorno fiorentino<br />

dei Lendinara che è stata postulata da del bravo, La dolcezza c<strong>it</strong>., p.<br />

766, per il quale gli Evangelisti di Modena andrebbero confrontati con<br />

Andrea del Castagno (p. 779). La medesima derivazione fu proposta,<br />

in polemica con Longhi, da W. Arslan nella recensione all’Officina ferrarese,<br />

in «Ze<strong>it</strong>schrift für Kunstgeschichte», 1936, p. 176.<br />

123 Sulle origini piú ferraresi che padovane di Benedetto Bembo, r.<br />

longhi, Aspetti dell’antica arte lombarda (1958), in Lavori in Valpadana,<br />

Firenze 1973, pp. 242-43. Tali origini si rendono anche piú esplic<strong>it</strong>e se<br />

si accoglie l’ascrizione al p<strong>it</strong>tore <strong>della</strong> Madonna che longhi, Officina c<strong>it</strong>.,<br />

pp. 177-78, ill. 397-402, propose al Maccagnino: come ha acutamente<br />

sugger<strong>it</strong>o Carlo Volpe (in m. boskov<strong>it</strong>s, Ferrarese Painting about 1450:<br />

some new Arguments, in «The Burlington Magazine», cxx, giugno 1978,<br />

p. 377, nota 25). Quanto al pol<strong>it</strong>tico modenese, mi sembra tipico di una<br />

nostra moderna e deformata considerazione, che esso passi esclusivamente<br />

sotto il nome dei p<strong>it</strong>tori e non si ricordi mai il notevole autore<br />

<strong>della</strong> cornice, che fu Andrea <strong>della</strong> Polla (cfr. a. venturi, L’Oratorio dell’Ospedale<br />

<strong>della</strong> Morte. Contributo alla storia artistica modenese, in «Atti<br />

e memorie delle Regie deputazioni di Storia Patria per le provincie<br />

modenesi e parmensi», serie iii, iii, 1885, p. 263).<br />

124 L’individuazione di queste piú antiche tarsie, fortemente indiziata<br />

da un’attenta lettura documentaria, si deve a e. monducci, Il coro<br />

ligneo <strong>della</strong> basilica di S. Prospero in Reggio Emilia, in «Bollettino storico<br />

cremonese», xxii, 1961-64, pp. 237-77.<br />

Storia dell’arte Einaudi 163


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

125 fiocco, Lorenzo e Cristoforo c<strong>it</strong>., p. 338 (notizia del 1457). Non<br />

mi è stato possibile rintracciare nei depos<strong>it</strong>i <strong>della</strong> Cattedrale di Ferrara<br />

quei frammenti protolendinareschi di cui parla a c. quintavalle,<br />

Tarsie ed urbanistica, in «Cr<strong>it</strong>ica d’arte», n. s., xi, 1964, n. 67-68, p.<br />

36. Se le notizie su questo piú antico coro ferrarese dei Lendinara sono<br />

solo quelle date da l. n. c<strong>it</strong>ta<strong>della</strong>, Notizie amministrative, storiche,<br />

artistiche relative a Ferrara, Ferrara 1868, pp. 57-60, non mi pare che<br />

l’esistenza di quest’opera dei Canozi possa darsi per scontata. In ogni<br />

caso non si tratta di date che lascino immaginare coerenti soluzioni prospettiche.<br />

Nel coro di San Giorgio a Ferrara, ci sono invece due pannelli<br />

prospettici che mer<strong>it</strong>erebbero un’indagine piú ravvicinata. Il coro,<br />

per tipologia e gusto degli intagli, appartiene ad una fase arcaica:<br />

potrebbe trattarsi di un momento ancora precoce e diretto <strong>della</strong> cultura<br />

dei Lendinara; come può darsi che si tratti di due pannelli riutilizzati<br />

in un contesto non originario (ma è problema di restauro; e si<br />

veda piú oltre, p. 354). Ne accenna fiocco, Lorenzo e Cristoforo c<strong>it</strong>.,<br />

p. 284.<br />

126 Per notizie documentarie e bibliografiche sul coro di Modena,<br />

mi lim<strong>it</strong>o a richiamare: puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., pp. 147-48, n. 235; a.<br />

mezzetti, Il coro del duomo di Modena restaurato (con una relazione tecnica<br />

di O. Caprara), Modena 1972; b. ciati, Cultura e società nel secondo<br />

Quattrocento attraverso l’opera ad intarsio di Lorenzo e Cristoforo da<br />

Lendinara, in La <strong>prospettiva</strong> rinascimentale c<strong>it</strong>., pp. 201-14. Ricordo che<br />

la notizia del restauro del 1540, compiuto dal vecchio allievo Angelo<br />

da Piacenza, può essere letta direttamente in t. de bianchi detto de’<br />

Lancellotti, Cronaca modenese, in «Monumenti di Storia Patria per le<br />

provincie modenesi. Serie delle cronache», VI, Parma 1868, p. 397,<br />

che è pagina abbastanza interessante per la fortuna cr<strong>it</strong>ica e la storia<br />

<strong>della</strong> conservazione delle tarsie.<br />

127 r. longhi, Piero dei Franceschi e lo sviluppo <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura veneziana<br />

(1914), in Scr<strong>it</strong>ti giovanili, Firenze 1961, p. 79.<br />

128 l. b. alberti, De pictura, a cura di C. Grayson, Roma-Bari 1975,<br />

p. 54; p. <strong>della</strong> francesca, De prospectiva pingendi, a cura di G. Nicco<br />

Fasola, Firenze 1942, p. 63.<br />

129 L’opinione fu espressa nel 1934 da longhi, Officina c<strong>it</strong>., p. 22,<br />

venne quindi argomentata e ripresa da arcangeli, Tarsie c<strong>it</strong>., pp.<br />

14-15, ed è passata in maniera prevalentemente pos<strong>it</strong>iva negli studi successivi:<br />

cfr., ad esempio, k. clark, Piero <strong>della</strong> Francesca (1951, 1966),<br />

Venezia 1970, pp. 28-29; a. m. chiodi, Bartolomeo degli Erri e i pol<strong>it</strong>tici<br />

domenicani, in «Commentari», ii, 1951, n. 1, pp. 22-23; puerari,<br />

Le tarsie c<strong>it</strong>., pp. 117-19; mezzetti, Il coro c<strong>it</strong>., pp. 8-9; romano, Il<br />

coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>., p. 15. Vengono invece riportati a Cristoforo,<br />

ad esempio, da a. c. quintavalle, Cristoforo da Lendinara, Parma<br />

1959, pp. 61-63; g. fiocco, Le tarsie di Pietro Antonio degli Abati c<strong>it</strong>.,<br />

Storia dell’arte Einaudi 164


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

pp. 240-41; id., Lorenzo Canozio e la sua scuola, in «Il Santo», i, 1961,<br />

n. 2, p. 14. La matrice pierfrancescana dei Lendinara, che prima del<br />

vecchio e fondamentale studio di fiocco, Lorenzo e Cristoforo c<strong>it</strong>., veniva<br />

indicata con decisione solo da Adolfo Venturi, è cosa invece piú<br />

scontata. Non per il monografista di Cristoforo, che in una successiva<br />

occasione giunge a dire che «solo sulla base di una cultura diversa da<br />

quella pierfrancescana si potranno capire le tarsie lendinaresi» (a. c.<br />

quintavalle, Prospettiva e ideologia, Parma 1967, p. 174).<br />

130 Se non si dà peso eccessivo alla Madonna <strong>della</strong> Galleria Estense<br />

(opportunamente romano, Il coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>., p. 17, ha consigliato<br />

di lasciarla «ad un allievo solo fortunato: ebbe infatti la ventura<br />

di lavorare su un cartone di Cristoforo e di vedersi poi certificare<br />

con una firma a piene lettere il suo elaborato, neppure troppo corretto»;<br />

ma non credo che si tratti dello stesso autore del Sant’Antonio de<br />

Bal e di altre opere pugliesi, sulle quali cfr. m. s. calò, La p<strong>it</strong>tura del<br />

Cinquecento e del primo Seicento in terra di Puglia, Bari 1969, pp.<br />

138-39), il punto di partenza per individuare l’attiv<strong>it</strong>à p<strong>it</strong>torica di Cristoforo<br />

è dato dalle tarsie firmate. Ed è punto delicato. Sulla complessa<br />

vicenda attributiva dell’altare del Giudizio del Duomo di Modena, che<br />

almeno in parte va rifer<strong>it</strong>o a Cristoforo per la piena coincidenza con le<br />

tarsie del 1477, cfr. a. ghidiglia quintavalle, in Arte in Emilia, III,<br />

Modena-Milano 1967, pp. 45-49 (che riporta un’opinione di Longhi<br />

favorevole a Bartolomeo degli Erri), integrato da: e. ruhmer, Bartolomeo<br />

Bonascia. Ein Nachfolger des Piero <strong>della</strong> Francesca, in «Müncher<br />

Jahrbuch der Bildenden Kunst», vi, 1954, pp. 96-99 (quindi nella voce<br />

del Dizionario biografico degli <strong>it</strong>aliani, XI, Roma 1969, pp. 589-90); c.<br />

volpe, Tre vetrate ferraresi e il Rinascimento a Bologna, in «Arte antica<br />

e moderna», i, 1958, n. 1, p. 35, nota 11 (Bonascia nella lunetta; B.<br />

Erri nell’Annunciazione); romano, Il coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>., pp.<br />

29-30, nota 23 (Bonascia, ma con una significativa differenziazione dall’immagine<br />

dell’artista data dal Ruhmer); c. volpe, Un’opera r<strong>it</strong>rovata<br />

di Cristoforo da Lendinara, in «Banca popolare di Modena. Notiziario<br />

trimestrale», vi, 1979, n. 20, p. 23 (Erri nell’Annunciazione, ma prevalentemente<br />

Cristoforo).<br />

I due santi vescovi del Palazzo Ducale di Mantova furono rifer<strong>it</strong>i<br />

a Bartolomeo Erri da longhi, Officina, pp. 170-85 (cfr. inoltre m.<br />

salmi, Nota su Bonifacio Bembo, in «Commentari», iv, 1953, p. 11;<br />

puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 24, che le vede «nel solco lombardo dei<br />

Bembo», ma risentendo del Foppa; c. perina, in Mantova. Le arti, II,<br />

Mantova 1961, pp. 334-35, come anonimo). Richiamano invece il San<br />

Martino di Lucca intarsiato da Cristoforo nel 1487. Anche per la cronologia<br />

appaiono cose mature, non lontane dall’altarolo acquistato<br />

dalla Banca popolare di Modena, reso noto ultimamente da C. Volpe.<br />

Questi ingombranti appunti bibliografici possono almeno suggerire<br />

Storia dell’arte Einaudi 165


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

due fatti: 1) che Cristoforo, in parte corrisponde, all’immagine longhiana<br />

di B. Erri; 2) e che la sua ricostruzione non può essere ancora<br />

sganciata da quella del grandissimo Bonascia, suo evidente derivato. È<br />

impossibile ora intervenire su alcune opere che Ruhmer e Romano<br />

hanno richiamato in rapporto a Bonascia. Prima di affrettarsi a sforbiciare<br />

le diverse personal<strong>it</strong>à, sarebbe comunque opportuno cercar di<br />

dare maggiore consistenza al nucleo del pierfrancescanesimo modenese.<br />

Non mi risulta, ad esempio, che sia mai stata presa in considerazione<br />

una Deposizione che fu <strong>della</strong> Collezione Cernuschi di Parigi, e che<br />

mi è stata fatta conoscere da Gianni Romano attraverso due fotografie<br />

del Gabinetto Fotografico Nazionale (E 35123 ed E 35124). Un<br />

accostamento all’affresco di Nonantola, o a quelle parti dell’altare del<br />

Giudizio che non corrispondono al diretto confronto con Cristoforo da<br />

Lendinara, ne consente una probabile ambientazione a Modena. Vi<br />

compaiono però elementi pierfrancescani cosí esplic<strong>it</strong>i, per tipologia e<br />

s<strong>it</strong>uazione narrativa, da far sospettare che essa echeggi qualche tratto<br />

sconosciuto dell’attiv<strong>it</strong>à estense del p<strong>it</strong>tore toscano. Su questo nodo di<br />

problemi intendo tornare piú diffusamente quanto prima.<br />

Avverto intanto che, in ordine di tempi, nell’area estense, il primo<br />

esempio di questo modo particolare d’intendere Piero mi pare rappresentato<br />

dalla Deposizione <strong>della</strong> Pinacoteca di Ferrara, per la quale Longhi<br />

tentò un riferimento al Pelosio, ma senza effettive possibil<strong>it</strong>à (cfr.<br />

f. zeri, Diari di lavoro, 2, Torino 1976, p. 57). Fra il ’50 e il ’60, essa<br />

potrebbe indicare un probabile avvio di Cristoforo da Lendinara.<br />

Non credo infine che si possa fare molto assegnamento sulle proposte<br />

di ricostruzione di un’attiv<strong>it</strong>à di Cristoforo come miniatore (il<br />

punto sulla questione in g. mariani canova, La miniatura veneta, Venezia<br />

1969, pp. 113-16).<br />

131 Cfr. m. verga bandirali, Una famiglia cremasca di <strong>maestri</strong> del<br />

legno: i de Marchi da Crema, in «Arte Lombarda», x, 1965, n. 2, pp.<br />

53-66 (ma in particolare 53-60). Per i cartoni del Cossa (il pagamento<br />

del 27 settembre 1473 si riferisce al solo San Petronio), cfr. la scheda<br />

di e. ruhmer, Francesco del Cossa, München 1959, pp. 88-89, e le considerazioni<br />

specifiche sul rapporto tecnica-figurazione fatte da puerari,<br />

Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 25. Si veda anche la valutazione di romano, Il coro<br />

di San Lorenzo c<strong>it</strong>., p. 20. Al raggio di Agostino, e non a quello di Cristoforo<br />

(come suggerisce invece a. c. quintavalle, Due testi <strong>della</strong> bottega<br />

lendinarese, in «Cr<strong>it</strong>ica d’arte», xii, 1965, n. 73, pp. 54-55), va<br />

ricondotto il mobile da sacrestia dell’abazia di Monteveglio.<br />

132 Riassumono notizie e dati relativi alle cinque tarsie di Lucca: l.<br />

bertolini campetti, in Museo di Villa Guinigi, Lucca 1968, pp.<br />

132-34; baracchini e caleca, Il Duomo di Lucca c<strong>it</strong>., p. 152. C’è da<br />

chiedersi se, per caso, l’arrivo a Lucca di Cristoforo (risulta avervi<br />

dipinto anche due altari) non sia da collegare all’<strong>it</strong>inerario di Niccolao<br />

Storia dell’arte Einaudi 166


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Sandonnini, vescovo di Modena che nel 1479 fu trasfer<strong>it</strong>o nella c<strong>it</strong>tà<br />

natale.<br />

133 Per le notizie su Lendinara a Pisa, cfr. l. tanfani centofanti,<br />

Notizie d’artisti tratte da documenti pisani, Pisa 1898, pp. 131, 334, oltre<br />

a i. b. supino, I Maestri d’intaglio e di tarsia in legno nella primaziale pisana,<br />

in «Archivio storico dell’arte», vi, 1893, p. 160; fiocco, Lorenzo<br />

e Cristoforo c<strong>it</strong>., pp. 324-25, ma le tarsie qui riprodotte non risultano<br />

ancora rifer<strong>it</strong>e a Cristoforo o alla sua scuola. L’intera s<strong>it</strong>uazione documentaria<br />

delle tarsie pisane viene ora accuratamente riconsiderata da<br />

Roberto Novello, che sta preparando una tesi sull’argomento all’univers<strong>it</strong>à<br />

di Pisa (relatore L. Tongiorgi Tomasi).<br />

134 quintavalle, Cristoforo c<strong>it</strong>., pp. 66-68, 89-90, ebbe il mer<strong>it</strong>o di<br />

riproporre l’importanza <strong>della</strong> sacrestia di Parma. In occasione dell’ultimo<br />

restauro è stato pubblicato dalla Soprintendenza di Parma un pieghevole<br />

che comprende anche una relazione tecnica di O. Caprara. Cfr.<br />

inoltre ciati, Cultura e società c<strong>it</strong>., pp. 206-11. Sul problema cr<strong>it</strong>ico dell’equivocata<br />

autografia di queste tarsie, cfr. infra, nota 137.<br />

135 arcangeli, Tarsie c<strong>it</strong>., p. 20, che le riproduce dub<strong>it</strong>ativamente<br />

come Guido Seravallino (nome sotto cui sono state studiate da j.<br />

wh<strong>it</strong>e, Nasc<strong>it</strong>a e rinasc<strong>it</strong>a dello spazio p<strong>it</strong>torico [1957], Milano 1971, pp.<br />

249-52). Come opera di altri intarsiatori che risultano attivi a Pisa,<br />

Michele e Giovanni Spagnolo, uno di questi pannelli è riprodotto da<br />

e. gombrich, The Her<strong>it</strong>age of Apelle. Studies in the Art of the Renaissance,<br />

London 1976, p. 28. Il giusto riferimento a Cristoforo è comunicazione<br />

orale di Otello Caprara. marchini, Giuliano da Maiano c<strong>it</strong>., p. 28, ne<br />

tentò un azzardoso riferimento al fiorentino Francione.<br />

136 Sui due tronetti, dopo il restauro, la scheda di l. fornari schianchi,<br />

nell’opuscolo Restauri <strong>della</strong> Soprintendenza ai beni artistici e storici<br />

di Parma e Piacenza, Parma s. d. [1981].<br />

137 La figura di questo intarsiatore, cosí come è stata proposta da a.<br />

c. quintavalle, Luchino Bianchino, in «Cr<strong>it</strong>ica d’arte», 1962, n. 50,<br />

pp. 36-53, verrà discussa successivamente. Il ruolo del Bianchino nella<br />

sacrestia fu esagerato in passato, non essendosi afferrato il senso <strong>della</strong><br />

scr<strong>it</strong>ta Luchinus Bianchinus Parm. | gratus Crist. Lend. cultor | forulum<br />

hunc prothopeperis | perfec<strong>it</strong> mcdlxli. Da cui risulta chiaro, perlomeno,<br />

che egli si lim<strong>it</strong>ò a terminare (perfec<strong>it</strong>) un armadio (forulum).<br />

Cosa che si è resa meglio comprensibile in segu<strong>it</strong>o all’ultimo restauro.<br />

Smontando le tarsie in corrispondenza <strong>della</strong> scr<strong>it</strong>ta si è potuto riconoscere<br />

che tre pannelli formarono appunto un armadio (che si è poi voluto<br />

ricostruire). Ciò non esclude che il Bianchino non abbia potuto prendere<br />

parte ai lavori dell’intero complesso e, piú in particolare, alle paraste<br />

intarsiate. Ma la responsabil<strong>it</strong>à operativa rimane indubbiamente a<br />

Cristoforo, cosí fervidamente omaggiato nella scr<strong>it</strong>ta dal Bianchino.<br />

138 Sul coro di Ferrara, quintavalle, Tarsie e urbanistica c<strong>it</strong>., con i<br />

Storia dell’arte Einaudi 167


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

riferimenti ulteriori e con la necessaria correzione dell’opinione precedentemente<br />

espressa per cui il coro attuale non sarebbe che proseguimento<br />

di quello del 1456 (ma cfr. nota 125). Aggiungo in bozze f.<br />

frisoni, Il coro ligneo <strong>della</strong> cattedrale di Ferrara, in La Cattedrale di Ferrara<br />

(atti del convegno, 11-13 maggio 1979), Ferrara 1982, pp. 539-58.<br />

139 Cfr. a. venturi, L’arte dell’intaglio e <strong>della</strong> tarsia a Ferrara nella<br />

fine del Quattrocento, in «L’Arte», xix, 1916, n. 2, p. 56.<br />

140 Ibid., p. 55. Forse in questo intarsiatore, piú che in Bartolomeo<br />

<strong>della</strong> Polla, può essere identificato il Bartolomeo che aiutò Lorenzo da<br />

Lendinara nei lavori del coro padovano (cfr. sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>.,<br />

p. 55). Un Bartolomeo da Ferrara partecipò anche alle prime fasi del<br />

coro modenese (fiocco, Lorenzo e Cristoforo c<strong>it</strong>., p. 338). Potrebbe<br />

essere una stessa persona con quel Bartolomeo da Lendinara che nel<br />

’74 intagliava un banco ed un tavolo per il Palazzo del cap<strong>it</strong>ano di Reggio<br />

(f. malaguzzi valeri, Lavori d’intaglio e tarsia nei secoli XV e XVI<br />

a Reggio Emilia, in «Archivio storico dell’arte», v, 1892, pp. 320-21).<br />

L’indicazione (come in altri casi) non corrisponde ad un rapporto di<br />

parentela o di origine, ma di bottega. In rapporto all’eventuale presenza<br />

lendinaresca dello Spadari, potrebbero essere considerati episodi<br />

come il coro di Sant’Antonio di Polesine (su cui quintavalle, Due<br />

testi c<strong>it</strong>.).<br />

141 Sul coro di Sant’Andrea [r. varese], in Donazioni e restauri, catalogo<br />

<strong>della</strong> mostra, Ferrara 1979, pp. 24-25: la notizia settecentesca dello<br />

Scalabrini che sia «opera di certo Pietro dalle Lanze» è sacrificata all’indicazione,<br />

giusta ma piú generica, di «scuola dei Lendinara».<br />

142 fiocco, Lorenzo Canozio c<strong>it</strong>., p. 18, ricorda gli inconsistenti tentativi<br />

di ricostruire l’attiv<strong>it</strong>à p<strong>it</strong>torica di Lorenzo da Lendinara (ad essi<br />

va aggiunto quello di m. salmi, P<strong>it</strong>tura e miniatura a Ferrara nel primo<br />

Rinascimento, Milano 1961, p. 31, relativo all’arch<strong>it</strong>ettura dipinta sulla<br />

parete meridionale <strong>della</strong> sala di Schifanoia). In questa occasione Fiocco<br />

non ricordò una propria opinione orale, con la quale aveva indirizzato<br />

verso Lorenzo la Madonna adorante il Bambino del Museo Correr<br />

(cfr. in g. mariacher, Il Museo Correr di Venezia. Dipinti dal XIV al XVI<br />

secolo, Venezia 1957, pp. 177-79). Quest’opera fu studiata in particolare<br />

da r. longhi, Calepino veneziano (1947), ora in Ricerche sulla p<strong>it</strong>tura<br />

veneta, Firenze 1978, pp. 70-73, che per un attimo suggerí il nome<br />

dei Lendinara, ma preferendo poi ripiegare nel «limbo degli anonimi»<br />

(occorre tener di conto che Longhi aveva in mente una diversa spiegazione<br />

di Lorenzo p<strong>it</strong>tore). l. puppi, Bartolomeo Montagna, Venezia<br />

1962, p. 33, nota 7, ha invece incoraggiato il riferimento a Lorenzo.<br />

La Madonna Correr fu ried<strong>it</strong>a quattro volte a partire dallo stesso cartone<br />

e da mani non identiche: una pratica corrente nelle botteghe di<br />

tarsia. Ma tutto quanto il problema, che da Venezia sposta in zona<br />

veronese, andrebbe riconsiderato, integrando ad esso opere problema-<br />

Storia dell’arte Einaudi 168


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

tiche, ma di chiara referenza lendinaresca, come il San Lorenzo e il Santo<br />

Stefano di Verona (p. brugnoli, Codici miniati <strong>della</strong> biblioteca cap<strong>it</strong>olare<br />

e dipinti del museo canonicale di Verona, catalogo <strong>della</strong> mostra, Verona<br />

1977, nn. 1-2).<br />

143 Sull’attiv<strong>it</strong>à di Lorenzo da Lendinara rimane fondamentale la raccolta<br />

di documenti di sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>. (o id., Documenti per<br />

la storia dell’arte a Padova, a cura di C. Fillarini, Vicenza 1976, pp.<br />

65-68).<br />

144 g. schizzerotto, Le incisioni quattrocentesche <strong>della</strong> Classense,<br />

Ravenna 1971, pp. 114-20. Cfr. inoltre, per l’attiv<strong>it</strong>à tipografica di<br />

Lorenzo, r. ridolfi, Nuovi contributi alla storia <strong>della</strong> stampa nel secolo<br />

XV, I, Lo «Stampatore del Messia» e l’introduzione <strong>della</strong> stampa a Firenze,<br />

in «La Bibliofilia», lvi, 1954, n. 1, pp. 1-20.<br />

145 La scr<strong>it</strong>ta con le firme e la data del coro di Santa Giustina è tornata<br />

leggibile a segu<strong>it</strong>o di una recente pul<strong>it</strong>ura: a. m. spiazzi, in I Benedettini<br />

a Padova e nel terr<strong>it</strong>orio padovano attraverso i secoli, catalogo <strong>della</strong><br />

mostra, Padova 1980, pp. 311-13. Una descrizione dettagliata del coro<br />

dette m. tonzing, La basilica romanico-gotica di Santa Giustina in Padova,<br />

in «Bollettino del Museo Civico di Padova», 1929, pp. 231-53. I<br />

rapporti con il coro del Santo osservati da n. ivanoff, in aa.vv., La<br />

basilica di Santa Giustina. Arte e storia, Castelfranco Veneto 1970, p.<br />

172, si alternano ad affermazioni incredibili come quella che mette in<br />

connessione le nature morte padovane con lo studiolo di Urbino. Di<br />

Domenico da Piacenza esiste un leggio ed un coro firmato e datato<br />

(1488) a Bobbio (m. tosi, Bobbio, Bobbio 1978, pp. 46-47).<br />

146 Sull’attiv<strong>it</strong>à di Marco Cozzi a Venezia, c. alberici, Il Mobile<br />

Veneto, Milano 1980, pp. 10-13. Cfr. inoltre g. mariacher, I cori lignei<br />

di S. Maria gloriosa dei Frari e del Duomo di Spilimbergo, in «Ateneo<br />

Veneto», cxxx, 1939, n. 1-2, pp. 69-70; a. rizzi, Profilo di storia dell’arte<br />

in Friuli, II, Udine 1979, pp. 33-34 (ma non si capisce su che cosa<br />

fondi l’opinione che le sue tarsie siano «desunte da cartoni di Lorenzo<br />

Canozi»).<br />

147 a. martini, La Galleria dell’Accademia di Ravenna, Venezia<br />

1959, pp. 62-65.<br />

148 Notizia d’opere di disegno, a cura di J. Morelli e G. Frizzoni, Bologna<br />

1884, p. 3. A Padova è documentato per la prima volta nel 1468<br />

(sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>., p. 58). Su di lui, in generale, e. rigoni, Pietro<br />

Antonio degli Abati da Modena e Lorenzo, ingegneri arch<strong>it</strong>etti del XV<br />

secolo (1933-34), ora in id., L’arte rinascimentale in Padova, Padova<br />

1970, p. 161; fiocco, Le tarsie di Pietro Antonio c<strong>it</strong>.; a. ghidiglia<br />

quintavalle, Abbati, Pietro Antonio, in Dizionario biografico degli <strong>it</strong>aliani,<br />

I, Roma 1960, pp. 26-27; sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>., pp. 57-63<br />

(id., Documenti c<strong>it</strong>., pp. 82-87). e. menegazzo, Per la datazione <strong>della</strong><br />

morte di Pierantonio degli Abati, in «Atti e memorie dell’Accademia<br />

Storia dell’arte Einaudi 169


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Patavina di scienze, lettere ed arti», lxxvii, 1964-65, pp. 508-9, ne ha<br />

spostato la data di morte alla fine del 1504.<br />

149 Sui frammenti del coro di Monte Berico, riassume ogni informazione<br />

a. dani, Tarsie lignee di Pier Antonio dell’Abate da Modena per<br />

la chiesa di S. Maria di Monte Berico, Vicenza 1965. Al contrario di quanto<br />

intese g. zorzi, Contributo alla storia dell’arte vicentina nei secoli XV<br />

e XVI, Venezia 1916, pp. 165-66, Bartolomeo Montagna non forní i<br />

disegni per il coro, ma indicò alcune modifiche sul disegno cui si fece<br />

riferimento per la stesura del contratto.<br />

150 È indicato genericamente come «arte <strong>it</strong>aliana del secolo xv» da<br />

c. gamba, Il museo Horne a Firenze, Firenze 1961, p. 42, nota 33, e da<br />

f. rossi, Il museo Horne a Firenze, Milano 1967, p. 160. Le misure corrispondono<br />

nella larghezza, mentre le tarsie vicentine sono state tagliate<br />

nell’altezza.<br />

151 Sul coro di Santa Corona, e. arslan, Catalogo delle cose d’arte e<br />

di antich<strong>it</strong>à d’Italia: Vicenza, I, Le chiese, Roma 1956, pp. 69-70, che<br />

richiama le vecchie testimonianze in favore dell’Abati e un impegno del<br />

1482 per la costruzione del coro. g. lorenzoni, Lorenzo da Bologna,<br />

Venezia 1963, p. 36, non r<strong>it</strong>iene invece accettabile l’attribuzione.<br />

152 Per questo coro, offuscato dall’addensamento rossastro degli olii<br />

e percorso da fend<strong>it</strong>ure, arslan, Catalogo c<strong>it</strong>., pp. 184-85; f. barbieri,<br />

r. cevese e l. magagnato, Guida di Vicenza, Vicenza 1956 2 , p. 378,<br />

che ne riconoscono l’alta qual<strong>it</strong>à ma lo mantengono nell’anonimato.<br />

153 È stato sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>., pp. 61-62, a identificare nella<br />

decorazione degli armadi commessi all’Abati nell’aprile del 1489 questi<br />

grandi pannelli che avevano avuto una recente fortuna cr<strong>it</strong>ica sotto<br />

il nome di Lorenzo. Cfr. inoltre m. lucco, in Sant’Antonio 1231-1981.<br />

Il suo tempo, il suo culto e la sua c<strong>it</strong>tà, catalogo <strong>della</strong> mostra, Padova<br />

1981, pp. 28-32. Queste tarsie hanno sub<strong>it</strong>o raschiature e rifacimenti.<br />

Ancora piú grave è la condizione dei due pannelli (Madonna col Bambino<br />

e sant’Antonio da Padova) che il Sartori r<strong>it</strong>iene provenienti dallo<br />

stesso mobile ed opera dell’Abati. A parte le diverse dimensioni e la<br />

mancata corrispondenza con il programma iconografico concordato<br />

(che prevedeva un’Annunciata e non una Madonna col Bambino), e tralasciando<br />

anche gli scarti dallo stile lignario dell’Abati, come i tagli spaziali<br />

troppo serrati, si fa fatica a riportare sul 1490 figure che ancora<br />

conservano evidenti tracce dello Squarcione.<br />

m. lucco, Riflessi lombardi nel Veneto (un abbozzo di ricerca sui precedenti<br />

culturali del Lotto), in Lorenzo Lotto a Treviso. Ricerche e restauri,<br />

a cura di G. Dillon, Treviso 1980, pp. 36-38, ha già provveduto a<br />

respingere il riferimento all’Abati degli affreschi dell’ex biblioteca di<br />

San Giovanni in Verdara a Padova, che fu avanzato da fiocco, Le tarsie<br />

di Pietro Antonio c<strong>it</strong>., incontrando poi consensi (anche, in un primo<br />

momento, dello stesso Lucco: in «Paragone», xxviii, 1977, n. 323, p.<br />

Storia dell’arte Einaudi 170


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

121). Ma mi pare che nella valutazione del caso, che personalmente<br />

ridurrei ai suoi giusti lim<strong>it</strong>i qual<strong>it</strong>ativi, vada tenuto di conto che quell’esibizione<br />

prospettica ha una necess<strong>it</strong>à strutturale connessa al luogo<br />

(la biblioteca) e alle specifiche convenzioni d’immagine: quelle, appunto,<br />

che possono dare la suggestione di tarsia in p<strong>it</strong>tura. È comunque<br />

difficile credere che un «magister perspectivae» si adattasse a costruire<br />

lo spazio in maniera tanto empirica, conducendo ogni linea fino al<br />

punto di fuga e prescindendo da ogni intuizione <strong>della</strong> distanza, cosicché,<br />

ad esempio, il banco di studio sprofonda dal primo piano all’infin<strong>it</strong>o.<br />

154 Il coro dei Santi Marino e Bartolomeo a Rimini, rivelato dal<br />

recente restauro di Otello Caprara, è sostanzialmente privo di letteratura<br />

(tanto piú sorprende l’attenzione del settecentesco erud<strong>it</strong>o bolognese<br />

Oretti: cfr. in appendice a c. f. marcheselli, P<strong>it</strong>ture di Rimini,<br />

a cura di P. G. Pasini, Bologna 1972, p. 249). Il restauro ha consent<strong>it</strong>o<br />

di leggere, sul retro di un pannello, le date 1494 e 1496, scr<strong>it</strong>te a<br />

carboncino.<br />

155 Sul Platina e l’ambiente figurativo a Cremona, l’impegnatissima<br />

indagine di puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>. Importanti considerazioni fa romano,<br />

Il coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>., pp. 18, 30-31. Una sintetica ma attenta<br />

collocazione dell’intarsiatore in m. l. ferrari, L’arte a Cremona, in<br />

id., Studi di storia dell’arte, Firenze 1979, p. 337.<br />

156 Giampiero Sforzosi, vicario del Duomo di Cremona, scrivendo<br />

nel maggio del 1489, quando il coro stava per essere terminato, affermò<br />

che, fra quanti avevano già veduto l’opera, «tutti hano judicato che el<br />

nostro non sarà simile né equale al choro del Sancto de Padua facto per<br />

lo vero Maestro dell’arte Maestro Cristoforo da Lendinara Maestro che<br />

fu del nostro Maestro Joanne Maria» (in puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 146,<br />

nota 206). I rapporti con Cristoforo sono confermati dal fatto che, per<br />

il san Girolamo dell’armadio cremonese, il Platina riadattò il sant’Ilario<br />

che compare nel coro lendinaresco di Parma. Tuttavia credo che i<br />

modi lignari e le part<strong>it</strong>ure prospettiche dell’armadio del Platina si spieghino<br />

meglio in rapporto a quel poco che sappiamo delle tarsie padovane<br />

di Lorenzo e con gli echi che esse trovarono nel coro di Santa Giustina.<br />

Del resto la testimonianza insiste su Padova. La presenza di un<br />

modello di Cristoforo in mano al Platina, qualora si preferisca farne un<br />

derivato padovano di Lorenzo, non sorprende: al tempo del coro di<br />

Parma, l’Abati aveva fatto spola fra la bottega emiliana e quella di<br />

Padova.<br />

157 L’unico vero lim<strong>it</strong>e <strong>della</strong> monografia del puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>.,<br />

consiste nei tentativi d’identificare gli autori dei cartoni: tentativi gracili<br />

in sé, quanto improbabili sul piano dell’organizzazione del lavoro.<br />

Su questo punto si è soffermato Romano, individuando le referenze<br />

culturali delle tarsie di figura in direzione ferrarese-bolognese. Perso-<br />

Storia dell’arte Einaudi 171


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

nalmente preferirei integrare la seconda fase del Platina con una piú<br />

diretta attenzione verso Venezia. Non va dimenticato che lo Sforzosi<br />

elogiava il Platina «per le sue infin<strong>it</strong>e virtudi et incredibili disegni». L’estrazione<br />

lendinaresca rimanda a botteghe di intarsiatori-p<strong>it</strong>tori. Pertanto<br />

è assai piú probabile che l’autore dei cartoni cremonesi sia il Platina<br />

stesso.<br />

158 Vedremo in segu<strong>it</strong>o quale fu la portata e il raggio di diffusione<br />

delle tarsie del Platina. Ricordo ora, come caso piú prossimo geograficamente,<br />

quello di Filippo da Soresina e dei suoi dossali del 1511 nella<br />

sacrestia di San Francesco di Brescia (cfr. a. morassi, Catalogo delle<br />

cose d’arte e di antich<strong>it</strong>à d’Italia. Brescia, Roma 1939, pp. 265-66; g.<br />

panazza, in Storia di Brescia, III, Brescia 1964, pp. 694-95). Nello stesso<br />

ambiente si conservano armadi intarsiati del 1483, che cost<strong>it</strong>uiscono<br />

un interessante caso di convivenza fra opera alla certosina, con innesti<br />

di madreperla, e forme decorative non estranee alla diffusione lendinaresca.<br />

159 Il contratto per il coro di San Francesco venne sottoscr<strong>it</strong>to nel<br />

1484 da Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio Donati, intagliatori<br />

milanesi. Gli specchi sono intagliati e figurati con vasi, grandi piante<br />

dilatate, animali e scene morali: il coro risulta ancora prossimo a quello<br />

milanese di Sant’Ambrogio, realizzato a partire dal 1469 da Lorenzo<br />

di Odrisio, Giacorno de’ Tori e Giacomo del Mayno, e che, appunto<br />

per la particolare combinazione arcaica di scelte esecutive ed iconografiche,<br />

poté essere scambiato per cosa assai piú antica. Una bibliografia<br />

aggiornata sul coro di San Francesco a Pavia e sui problemi ad<br />

esso connessi dà d. vicini, in Pavia, Pinacoteca Malaspina, Pavia 1981,<br />

pp. 183-84.<br />

160 Sul coro <strong>della</strong> Certosa di Pavia non esiste uno studio adeguato.<br />

Ciò non sorprende se, soltanto dei quarantadue stalli maggiori, manca<br />

una campagna fotografica completa. Si comprende quindi, in parte,<br />

come le varie notizie di archivio non riescano ancora del tutto coerenti,<br />

e come non esista neppure uno specchio bibliografico esauriente.<br />

Tale non risulta neppure il piú recente intervento di f. r. pesenti, La<br />

p<strong>it</strong>tura, in aa.vv., La Certosa di Pavia, Milano 1968, pp. 90-91, che raccoglie<br />

comunque il miglior materiale illustrativo. E tale non potrà<br />

ovviamente riuscire questa nota.<br />

Si ricorda, schematicamente, che le responsabil<strong>it</strong>à di Bartolomeo<br />

de’ Polli, modenese ma poi trapiantato a Mantova e documentato in<br />

rapporto al coro fin dal 1486, debbono essersi lim<strong>it</strong>ate alle parti d’intaglio<br />

e di tarsia non figurata. Egli non doveva essere usc<strong>it</strong>o dalla bottega<br />

lendinaresca, come spesso si è ripetuto, ma da quella del padre,<br />

eccellente intagliatore (note 123 e 140). Nei documenti pavesi Bartolomeo<br />

risulta costantemente solo come «magister a lignamine».<br />

Come «magister tarsiarum et perspectivae» fu invece ricordato il<br />

Storia dell’arte Einaudi 172


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

cremasco Pantaleone de’ Marchi (r. majocchi, Codice diplomatico artistico<br />

di Pavia, Pavia 1949, doc. n. 1611), che dunque, verosimilmente,<br />

fu il responsabile delle specchiature intarsiate e figurate. Sembrano<br />

darne conferma, per quanto esegu<strong>it</strong>i su altri modelli grafici e piú<br />

affrettatamente, gli stalli del Coro dei Conversi <strong>della</strong> stessa Certosa<br />

(cfr. nota 163).<br />

Si indica talvolta Pietro da Vailate come il responsabile di questi<br />

pannelli o come un collaboratore emergente nella bottega di Pantaleone<br />

de’ Marchi (rispettivamente, ad esempio, da parte di a. morassi,<br />

La Certosa di Pavia, Roma 1950, p. 16, e di l. beltrami, La Certosa di<br />

Pavia, Milano 1907, p. 93). Ma negli atti pavesi egli è sempre indicato<br />

come p<strong>it</strong>tore. E come p<strong>it</strong>tore di vetrate è ancora documentato attorno<br />

al 1520, quando lavorò per il Duomo di Milano. Quest’ultima circostanza<br />

non giustifica un’attiv<strong>it</strong>à lignaria; mentre è noto che le vetrate<br />

milanesi furono affidate a p<strong>it</strong>tori veri e propri, per quanto tendenzialmente<br />

specializzati.<br />

Se sto cercando di ovattare d’incertezza il riferimento dei cartoni<br />

pavesi a Pietro da Vailate, non è in ordine alle proposte d’identificazione<br />

fatte per le piú tarde e sostanzialmente inconfrontabili vetrate<br />

milanesi da c. gilli perina, The Sixteenth-Century Windows in the rear<br />

Choir of the Duomo in Milan and Dürer’s Engraving, in «The Burlington<br />

Magazine», cxiv, luglio 1972, pp. 452-58, ma perché il loro modello<br />

p<strong>it</strong>torico, per ragioni di stile, sembra risalire prevalentemente a Bernardo<br />

Zenale. Le corrispondenze fra le tarsie pavesi e le parti zenaliane<br />

del tr<strong>it</strong>tico di Treviglio, o i pannelli Contini Bonacossi non possono<br />

essere trascurate con troppa leggerezza. Già arcangeli, Tarsie c<strong>it</strong>.,<br />

p. 20, rifiutò di convenire con la moderna tradizione cr<strong>it</strong>ica che vuole<br />

Bergognone responsabile dei cartoni pavesi; e romano, Il coro di San<br />

Lorenzo c<strong>it</strong>., p. 17, per primo ha prefer<strong>it</strong>o a tale indicazione quella dello<br />

Zenale. Non discute queste opinioni il Pesenti, che s’impegna invece<br />

a suddividere in gruppi le tarsie e a riportarne i modelli in parte al Bergognone<br />

e in parte al fratello Bernardino. Personalmente non vedo<br />

alternative fra un prevalente riferimento allo Zenale o la possibil<strong>it</strong>à di<br />

fondare su queste tarsie la ricostruzione di un maestro di stretta osservanza<br />

zenaliana, Pietro da Vailate.<br />

L’accostamento <strong>della</strong> Madonna Borromeo del Bergognone, con il<br />

suo trono intarsiato, ad uno dei pannelli nel parapetto del coro di Pavia<br />

non vuole dunque indicare nel p<strong>it</strong>tore il responsabile di un tema decorativo<br />

che rimaneva, comunque, di sostanziale spettanza dei <strong>maestri</strong> di<br />

legname. Indica piuttosto una precisa concatenazione di gusto e di<br />

tempi: infatti difficilmente l’assetto <strong>della</strong> parte inferiore del coro potrà<br />

precedere il 1491 (quando Ludovico il Moro fece «ruinare» il lavoro<br />

di Bartolomeo de’ Polli, «designando come aveva a stare»: c. magenta,<br />

La Certosa di Pavia, Milano 1897, p. 384); mentre la tavola di Ber-<br />

Storia dell’arte Einaudi 173


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

gognone fece parte di un pol<strong>it</strong>tico <strong>della</strong> Certosa, dipinto negli anni<br />

1492-94 (secondo la ricostruzione fatta da f. mazzini, in Arte lombarda<br />

dai Visconti agli Sforza, catalogo <strong>della</strong> mostra, Milano 1958, p. 124,<br />

e tav. cxlii).<br />

161 longhi, Aspetti c<strong>it</strong>., in Lavori in Valpadana c<strong>it</strong>., p. 246.<br />

162 Su questo complesso in particolare, a. gonzález-palacios, Il<br />

mobile lombardo. 1, in «Arte illustrata», ii, 1969, n. 17-19, pp. 17-19<br />

e 38-39. Piú in generale, su questo ed altri complessi dell’area milanese,<br />

l. beltrami e v. forcella, La tarsia nelle sedie corali e negli armadi<br />

di alcune chiese di Milano e <strong>della</strong> Lombardia, Milano 1906; f. malaguzzi<br />

valeri, La corte di Ludovico il Moro, III, Milano 1917, pp.<br />

228-67.<br />

163 La serie di pannelli subí un riadattamento antiquario. Sul nucleo<br />

berlinese, che è firmato «Hoc est de Marchis Pantaleonis opus», w.<br />

bode, Das Chorgestühl des Pantaleone de Marchi, Berlin 1884; f.<br />

schottmüller, Das Chorgestühle des Pantaleone de Marchi in Kaiser<br />

Friedrich Museum in Berlin, in «Jahrbuch der K. Preussischen Kunstsammlungen»,<br />

1915, p. 175; id., Il mobilio nell’ab<strong>it</strong>azione del rinascimento<br />

in Italia, Milano 1921, figg. 154-55; p. torr<strong>it</strong>i, Tarsie del coro<br />

del duomo di Savona, in «Commentari», iii, 1952, n. 3, pp. 184-93, in<br />

particolare p. 189. Anche nel caso del Coro dei Conversi la documentazione<br />

risulta abbastanza complessa (ne dà la sintesi beltrami, La Certosa<br />

c<strong>it</strong>., pp. 93-95).<br />

164 p. schubring, Cassoni, Leipzig 1927, n. 900 (Italia del Nord, fine<br />

Quattrocento; si trovava presso Boehler di Monaco).<br />

165 Il coro di Savona è stato studiato da torr<strong>it</strong>i, Tarsie del coro c<strong>it</strong>.,<br />

che ha notato il collegamento con i due pannelli del disperso Coro dei<br />

Conversi a Pavia. Lo stesso studioso ne pubblicò il contratto del 1500<br />

(I «<strong>maestri</strong>» del coro del Duomo di Savona, in «Bollettino ligustico», iii,<br />

1951, n. 4, pp. 108-9).<br />

Altre notizie sull’attiv<strong>it</strong>à del Fornari a Savona sono state rese note<br />

da c. varaldo, Ricerche per un’opera ined<strong>it</strong>a a Minorca: il pol<strong>it</strong>tico di<br />

Ludovico Brea ed Anselmo de Fornari, in «Rivista ingauna e intemelia»,<br />

1973-75, pp. 46-52.<br />

166 Sulla collocazione del coro nella Cattedrale vecchia, g. fusconi,<br />

Il coro dell’antica cattedrale di Savona come replica del coro <strong>della</strong> Certosa,<br />

in Studi di storia dell’arte (Univers<strong>it</strong>à di Genova), Genova 1977,<br />

pp. 91-92. Per la presenza a Savona di Marco d’Oggiono fra il 1501<br />

e il 1504, c. varaldo, Un’opera leonardesca nella Liguria di Ponente.<br />

Il pol<strong>it</strong>tico di Marco d’Oggiono per S. Giovanni d’Andora, in «Rivista<br />

ingauna e intemelia», n. s., xxxi-xxxiii, 1976-78, n. 1-4, pp. 164-71.<br />

Per oggettivi lim<strong>it</strong>i di documentazione fotografica, non mi azzardo a<br />

ricavare dai miei appunti l’indicazione puntuale delle tarsie i cui cartoni<br />

possono spettare a Marco d’Oggiono. Ma una conferma <strong>della</strong> sua<br />

Storia dell’arte Einaudi 174


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

presenza nel coro savonese mi è stata accennata da Mauro Natale. La<br />

divisione di mani proposta da Torr<strong>it</strong>i punta invece sullo stile lignario<br />

e su una piú diretta e completa responsabil<strong>it</strong>à figurativa dei <strong>maestri</strong><br />

di tarsia. Per le tarsie del leggio <strong>della</strong> Cattedrale di Savona, cfr. infra,<br />

nota 244.<br />

167 fabriczy, Giuliano da Maiano c<strong>it</strong>., p. 163.<br />

168 Per il Rucellai, nota 106; per il Dei, in chastel, Marqueterie et<br />

perspective c<strong>it</strong>., p. 149, nota 16.<br />

169 Sui mobili fiorentini del Quattrocento rimangono ancora necessari<br />

a. schiaparelli, La casa fiorentina e i suoi arredi, Firenze 1908;<br />

tinti, Il mobilio fiorentino c<strong>it</strong>. Rientrano nei casi di rapporto fra figurazione<br />

prospettica ed arredo i contributi recenti di j. shearman, The<br />

Collections of the Younger Branch of the Medici, in «The Burlington<br />

Magazine», cxvii, gennaio 1975, pp. 12-27, e m. trionfi honorati,<br />

A propos<strong>it</strong>o del «lettuccio», in «Antich<strong>it</strong>à viva», xx, 1981, n. 3, pp.<br />

39-47 (con ricap<strong>it</strong>olazione bibliografica).<br />

170 tanfani centofanti, Notizie di artisti c<strong>it</strong>., p. 65.<br />

171 La lettera, che è del 1501, è stata pubblicata da a. conti, Tre<br />

documenti per le arti minori, in Itinerari, II, Firenze 1980, pp. 41-43.<br />

La presenza del p<strong>it</strong>tore-legnaiolo fiorentino in Europa orientale, non<br />

lontano dall’Ungheria, non sorprende. Verso l’Ungheria non conduce<br />

soltanto il precoce ricordo del Grasso <strong>della</strong> novella, o l’abiura tecnica<br />

compiuta in faccia a Mattia Corvino da Benedetto da Maiano, secondo<br />

il racconto di Vasari. Di una presenza di opere di tarsia o d’intagliatori<br />

<strong>it</strong>aliani in Ungheria dànno conferma i documenti rifer<strong>it</strong>i da venturi,<br />

L’arte dell’intaglio e <strong>della</strong> tarsia a Ferrara c<strong>it</strong>., p. 57, e da g. milanesi,<br />

Nuovi documenti per la storia dell’arte toscana dal XII al XV secolo,<br />

Firenze 1901, pp. 127-28. Le opere sono invece discusse e riprodotte<br />

da p. vo<strong>it</strong>, Una bottega in via dei Servi, in «Acta Historiae Artium»,<br />

vi, 1901, n. 3-4, pp. 187-228 (articolo zeppo d’inesattezze); m. zlinszky-sternegg,<br />

Marqueterie Renaissance dans l’ancienne Hongrie, Budapest<br />

1966; j. BIAŁOSTOCKY, The Art of the Renaissance in Eastern Europe,<br />

London 1976, pp. 61-62, figg. 221-25. Si stenta a credere, tuttavia,<br />

all’esistenza di un intarsiatore di origine <strong>it</strong>aliana che avrebbe posto<br />

la propria firma (F. Marone) sul taglio di un libro raffigurato in uno<br />

dei pannelli di Nyírbátor. Pasticciata in qualche maniera, la scr<strong>it</strong>ta starà<br />

piuttosto ad indicare un testo di Virgilio.<br />

172 È la celebre espressione <strong>della</strong> cosiddetta patente a Luciano Laurana<br />

(1468), ultimamente ripubblicata, nella trascrizione di D. De<br />

Robertis, in Scr<strong>it</strong>ti rinascimentali di arch<strong>it</strong>ettura c<strong>it</strong>., p. 20. Sul senso di<br />

tale affermazione, la nota introduttiva di Bruschi, p. 17.<br />

173 Le tarsie <strong>della</strong> Sagrestia di San Giovanni a Loreto sono state indicate<br />

come prodotto <strong>della</strong> bottega dei da Maiano da haines, Documenti<br />

c<strong>it</strong>., p. 265; il carattere fiorentino dei due banchi dei conti Oliva nella<br />

Storia dell’arte Einaudi 175


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

chiesa di Montefiorentino è stato sottolineato in senso maianesco da<br />

r. papini, Francesco di Giorgio arch<strong>it</strong>etto, Firenze 1946, p. 247, nota<br />

232; gli stalli di Luca da Firenze nella chiesa di Santa Maria a Piè la<br />

Piaggia, Camerino, sono riprodotti e discussi da l. serra, L’arte nelle<br />

Marche. Il periodo del Rinascimento, Roma 1934, p. 469.<br />

174 La data 1476 termina l’iscrizione intagliata nel soff<strong>it</strong>to dello studiolo.<br />

Essa dovrebbe coincidere con la fase di messa in opera <strong>della</strong> boiserie,<br />

del soff<strong>it</strong>to stesso, delle immagini degli uomini illustri dipinte da<br />

Pedro Berruguete e da Giusto di Gand, o anticiparla di pochissimo. Gli<br />

esami radiografici di cui dà conto j. lavalleye, Le palais ducal d’Urbin<br />

(«Corpus de la peinture des anciens Pays-Bas Méridionaux au<br />

Quinzième siècle», n. 7), Bruxelles 1964, p. 69, hanno invece rivelato<br />

che i dipinti <strong>della</strong> fascia superiore dello studiolo erano già stati avviati<br />

prima dell’agosto del 1474. Il progetto potrà dunque risalire ad un<br />

paio di anni avanti circa. La data 1476 venne invece considerata come<br />

riferimento di avvio da l. venturi, Studi sul palazzo ducale di Urbino,<br />

in «L’Arte», xvii, 1914, p. 455; segu<strong>it</strong>o poi, fra gli altri, da serra, L’arte<br />

nelle Marche c<strong>it</strong>., p. 472.<br />

Una bibliografia accurata sullo studiolo fu data da c. gnudi, in<br />

Mostra di Melozzo e del Quattrocento romagnolo, Forlí 1938, pp. 25-29.<br />

Successivamente vanno ricordati almeno gli interventi di p. rotondi,<br />

Il palazzo ducale di Urbino, Urbino 1950, I, pp. 332-56; id., Ancora sullo<br />

studiolo di Federico da Montefeltro nel palazzo ducale di Urbino, in<br />

Restauri nelle Marche. Testimonianze, acquisti, recuperi, catalogo <strong>della</strong><br />

mostra, Urbino 1973, pp. 561-602 (segu<strong>it</strong>o alle pp. 603-4 dalla relazione<br />

sul restauro di O. Caprara), ripubblicato in Studi bramanteschi<br />

(atti del congresso, 1970), Roma 1974, pp. 555-65. Ad inquadrare il<br />

problema ricordo, sia per il rilievo cr<strong>it</strong>ico che per la strumentazione<br />

bibliografica, i piú recenti interventi di a. chastel, Arte e umanesimo<br />

a Firenze (1959), Torino 1964, pp. 367-80; l. h. heydenreich, Federico<br />

da Montefeltro as Building Patron. Some Remarks on the Ducal Palace<br />

of Urbino, in Studies in Renaissance and Baroque Art presented to<br />

Anthony Blunt, London - New York 1967, pp. 1-6; a. bruschi, Bramante<br />

arch<strong>it</strong>etto, Bari 1969, pp. 75-99; a. parronchi, Prima traccia dell’attiv<strong>it</strong>à<br />

del Pollaiolo per Urbino, in «Studi Urbinati», xlv, 1971, n.<br />

1-2, pp. 1186-87 in particolare (aldilà dell’impostazione del problema<br />

dei cartoni); a. conti, Le prospettive urbinate: tentativo di un bilancio ed<br />

abbozzo di una bibliografia, in «Annali <strong>della</strong> Scuola Normale Superiore<br />

di Pisa» (classe di lettere e filosofia), serie iii, vi, 1976, n. 4, pp.<br />

1193-1234; liebenwein, Studiolo c<strong>it</strong>., pp. 83-96. Si veda inoltre m.<br />

calvesi, V<strong>it</strong>a e morte nello studiolo di Federico da Montefeltro, in «Corriere<br />

<strong>della</strong> Sera», 8 luglio 1973. Notevole per il contesto, il richiamo<br />

fatto da w. p. d. wightman, Science in a Renaissance Society, London<br />

1972, p. 48.<br />

Storia dell’arte Einaudi 176


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

175 lavalleye, Le palais ducal c<strong>it</strong>., p. 70 («réalisé sans doute par Baccio<br />

Pontelli»). Il collegamento fra la presenza ad Urbino del Pontelli<br />

negli anni 1479-82 e le varie opere di tarsia del palazzo, già accennato<br />

da Milanesi, in vasari, Opere c<strong>it</strong>., II, p. 661, venne poi precisato<br />

nella direzione specifica dello studiolo (Budinich, Schmarsow, L. Venturi),<br />

poi correntemente ripetuto (ad es., da Longhi, Arcangeli, Chastel).<br />

Opportunamente è stato notato da m. trionfi honorati, Il mobile<br />

marchigiano, Milano 1971, p. 7, che «la cr<strong>it</strong>ica si è lim<strong>it</strong>ata finora a<br />

ripetere il nome di Baccio Pontelli». Ma cfr. infra, nota 182.<br />

176 L’indicazione di longhi, Piero <strong>della</strong> Francesca c<strong>it</strong>., p. 70 fu argomentata<br />

e defin<strong>it</strong>a da arcangeli, Tarsie c<strong>it</strong>., pp. 7-10. Sulla fortuna cr<strong>it</strong>ica<br />

del riferimento, cfr. m. salmi, Piero <strong>della</strong> Francesca e il palazzo<br />

ducale d’Urbino, Firenze 1945, pp. 114-15; r. salvini, Botticelli, Milano<br />

1958, I, pp. 71-72; g. mandel, Botticelli, Milano 1967, pp. 116-17;<br />

r. lightbown, Botticelli, II, London 1978, pp. 213-14 (ma, incredibilmente,<br />

le scheda nel settore delle «Works wrongly attributed to Botticelli»<br />

e preferisce pensare a Francesco di Giorgio). c. h. clough, Piero<br />

<strong>della</strong> Francesca. Some Problems of his Art and Chronology, in «Apollo»,<br />

xci, aprile 1970, pp. 284-85, vincola impropriamente la possibil<strong>it</strong>à che<br />

i cartoni siano stati forn<strong>it</strong>i da Botticelli ad una sua presenza ad Urbino.<br />

Articolazioni di responsabil<strong>it</strong>à sono invece indicate da Rotondi e<br />

Conti (c<strong>it</strong>ati alla nota 174). parronchi, Prima traccia c<strong>it</strong>., vede invece<br />

una piú generale responsabil<strong>it</strong>à di Antonio del Pollaiolo nella progettazione<br />

p<strong>it</strong>torica dello studiolo come di altre tarsie di Urbino.<br />

177 In particolare rotondi, Ancora sullo studiolo c<strong>it</strong>.<br />

178 Per il riferimento dei cartoni dello studiolo a Francesco di Giorgio,<br />

venturi, Studi c<strong>it</strong>., pp. 452-53; serra, L’arte nelle Marche c<strong>it</strong>., p.<br />

472. Non furono d’accordo a. s. weller, Francesco di Giorgio Martini,<br />

1439-1501, Chicago 1943 (che riconobbe l’artista senese in altre tarsie<br />

del palazzo), e papini, Francesco di Giorgio c<strong>it</strong>., pp. 136-37 (che lo<br />

indicò invece nella porta maggiore, con Apollo e Minerva). Francesco<br />

di Giorgio non rimane del tutto tagliato fuori dallo studiolo nell’impostazione<br />

che del problema ha dato il rotondi, Francesco di Giorgio<br />

nel Palazzo Ducale di Urbino, Novilara 1970, pp. 36 e 105. Dopo che<br />

in precedenza si era espresso sostanzialmente a favore del Botticelli,<br />

salmi, Piero <strong>della</strong> Francesca c<strong>it</strong>., p. 196, nota 9, torna ad accennare a<br />

Francesco di Giorgio a propos<strong>it</strong>o dello studiolo.<br />

179 Nelle porte di Urbino, il nome di Federico compare accompagnato<br />

talvolta dal t<strong>it</strong>olo di conte, in altri casi da quello di duca: ciò<br />

significa che furono esegu<strong>it</strong>e a cavallo del 1474, nello stesso periodo<br />

dello studiolo. Un tentativo di rendiconto bibliografico sulle porte<br />

risulterebbe ancora piú intricato di quello che può risultare, in queste<br />

annotazioni schematiche, per lo studiolo. Esso potrà essere ripercorso<br />

attraverso gli stessi strumenti bibliografici (Serra, Rotondi, Salmi)<br />

Storia dell’arte Einaudi 177


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

già indicati sopra. I termini del dibatt<strong>it</strong>o, per quanto variamente combinati,<br />

rimangono nella sostanza i medesimi, legandosi ai nomi di<br />

Botticelli, Francesco di Giorgio, Baccio Pontelli, Giuliano da Maiano,<br />

Pollaiolo.<br />

Accenno soltanto al problema <strong>della</strong> porta di maggior rilievo figurativo,<br />

quella con Apollo e Minerva. Non mi convince il riferimento<br />

alla bottega di Giuliano da Maiano (Papini) né a Pontelli (Puerari, ad<br />

esempio), se per essa si vuole indicare quella stessa che lavorò lo studiolo.<br />

Per quanto sostanzialmente sia fiorentina, questa porta ha caratteri<br />

inusuali: mi riferisco in particolare all’abbreviata soluzione lignaria<br />

del viso di Minerva. Anche per il cartone non riesco a sottoscrivere<br />

il riferimento ormai prevalente (dopo Arcangeli) a Botticelli. Non<br />

certo per riprendere riferimenti martiniani; e neppure per aderire alla<br />

proposta di Parronchi a favore di Antonio Pollaiolo. Incuriosisce semmai<br />

la prima idea di Arcangeli, a favore di Piero del Pollaiolo, che è il<br />

nome che piú si accosta alla mia impressione personale: a me quelle pieghe<br />

cannullate e frantumate <strong>della</strong> Minerva fanno venire a mente Bartolomeo<br />

<strong>della</strong> Gatta. Come è ovvio in questi casi, non può essere che<br />

un riferimento orientativo. Tanto piú che tocca una congiuntura che<br />

andrebbe precisata a partire da documenti figurativi meno aleatori di<br />

questo. Ma questa suggestione può almeno spiegare perché stento a sottoscrivere<br />

i riferimenti precedentemente espressi.<br />

180 Sul Pontelli arch<strong>it</strong>etto non aiuta molto de fiore, Baccio Pontelli<br />

c<strong>it</strong>.; piú sinteticamente, cfr. la voce di o. rossi, in Dizionario di Arch<strong>it</strong>ettura<br />

e Urbanistica, IV, Roma 1967, pp. 493-94; m. g. aurigemma,<br />

La rocca è un labirinto, in s. danesi squarzina e g. borghini, Il borgo<br />

di Ostia da Sisto IV a Giulio II, Roma 1980, pp. 73-74. r. salvini, The<br />

Sistine Chapel. Ideology and Arch<strong>it</strong>ecture, in «Art History», iii, 1980,<br />

n. 2, p. 155, ha piú recentemente difeso l’attribuzione vasariana al Pontelli<br />

<strong>della</strong> Cappella Sistina.<br />

181 tanfani centofanti, Notizie di artisti c<strong>it</strong>., pp. 65-67; supino, I<br />

<strong>maestri</strong> d’intaglio c<strong>it</strong>., pp. 163-65.<br />

182 papini, Francesco di Giorgio c<strong>it</strong>., pp. 135-36, argomenta con<br />

molta vivac<strong>it</strong>à che lo studiolo non può essere usc<strong>it</strong>o che dalla bottega<br />

dei fratelli da Maiano e che non c’è necess<strong>it</strong>à di ricorrere al Pontelli,<br />

giunto piú tardi ad Urbino. Non si comprende bene come certe vecchie<br />

opinioni siano sopravvissute a quelle pagine. L’esecuzione dello<br />

studiolo è rifer<strong>it</strong>a alla bottega dei da Maiano da marchini, Giuliano<br />

da Maiano c<strong>it</strong>., p. 44, e da parronchi, Prima traccia c<strong>it</strong>., p. 1188. Un<br />

riferimento abbastanza esplic<strong>it</strong>o ad essa fa bruschi, introduzione a<br />

Scr<strong>it</strong>ti rinascimentali di arch<strong>it</strong>ettura c<strong>it</strong>., p. lv. Il restauratore dello studiolo,<br />

Caprara, ne ha sostenuto la piena coincidenza con la tecnica<br />

lignaria <strong>della</strong> bottega dei da Maiano in occasione di varie conferenze.<br />

183 tanfani centofanti, Notizie di artisti c<strong>it</strong>., p. 65; «v’è su tre<br />

Storia dell’arte Einaudi 178


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

fighure di <strong>prospettiva</strong>, cioè fede, speranza, char<strong>it</strong>à». Su queste tarsie,<br />

che fino ad una cinquantina di anni fa si trovavano montate in una<br />

panca cruciforme, attorno ad un pilastro del Duomo, supino, I <strong>maestri</strong><br />

d’intaglio c<strong>it</strong>., p. 174; venturi, Studi c<strong>it</strong>., p. 45; r. papini, Pisa<br />

(«Catalogo delle cose d’arte e di antich<strong>it</strong>à d’Italia»), I, Roma 1912,<br />

pp. 163-65.<br />

184 Della sedia, che fu ricordata anche da Vasari, sopravvivono le<br />

tre figure di profeti, scontornate ed inser<strong>it</strong>e nella panca addossata alla<br />

fiancata sud del Duomo. Cfr. supino, I <strong>maestri</strong> d’intaglio c<strong>it</strong>., pp. 154,<br />

173-74; papini, Pisa c<strong>it</strong>., pp. 159-61; l. cendali, Giuliano e Benedetto<br />

da Maiano, Sancasciano s. d., pp. 40-41. Anche a marchini, Giuliano<br />

da Maiano c<strong>it</strong>., p. 34, «il disegno, di elevata qual<strong>it</strong>à, sembra che debba<br />

risalire a Sandro Botticelli».<br />

185 Il San Lorenzo venne invece rifer<strong>it</strong>o al Pontelli da supino, I <strong>maestri</strong><br />

d’intaglio c<strong>it</strong>., p. 176. Cfr. inoltre papini, Pisa c<strong>it</strong>., p. 162.<br />

186 La deduzione del Supino (ibid., p. 175) che la serie delle arti liberali<br />

dovesse provenire dalla sedia dei Priori non sembra fondata. Se,<br />

per contratto, questa sedia «de’ esser lavorata per qual modo parrà a<br />

d<strong>it</strong>to m. o Francesco [il Francione] lavorata bene quanto sarà possibile»,<br />

piú facilmente vorrà dire che non erano previste decorazioni complesse<br />

e programmi iconografici.<br />

187 La porta fu di fatto esegu<strong>it</strong>a solo nel 1480. Dai documenti pubblicati<br />

da g. poggi, Le sculture di Benedetto da Maiano per la porta dell’Udienza<br />

in Palazzo Vecchio, in «Rivista d’Arte», vi, 1909, pp. 158-59,<br />

risulta che nell’aprile di quell’anno gli intarsiatori vennero minacciati<br />

<strong>della</strong> remissione dell’incarico se non avessero consegnato la porta entro<br />

quattro giorni avanti la festa di san Giovanni. In quell’anno conclusero<br />

il lavoro: vennero infatti retribu<strong>it</strong>i nel dicembre successivo, entrambi<br />

assieme ai «socii legnaiuoli». La cronologia rimane comunque abbastanza<br />

serrata per poter pensare ad un cartone di Filippino (ad un’altezza<br />

di stile che si troverebbe a precedere immediatamente la tavola<br />

lucchese). arcangeli, Tarsie c<strong>it</strong>., pp. 12-13, dice di essere stato persuaso<br />

da Longhi a riferire a Botticelli tale cartone, dopo una sua iniziale<br />

sensazione a favore del Ghirlandaio.<br />

188 L’osservazione risale a fiocco, Lorenzo e Cristoforo c<strong>it</strong>., p. 275.<br />

Non ne ricordo traccia nelle monografie sul p<strong>it</strong>tore di K. B. Neilson e<br />

A. Scharf. vasari, Opere c<strong>it</strong>., III, p. 350 richiama i santi come «bellissimi»,<br />

senza ulteriori riferimenti. Su Bartolomeo (Baccio) d’Agnolo<br />

Baglioni, la voce di l. berti, in Dizionario biografico degli <strong>it</strong>aliani, V,<br />

Roma 1963, pp. 202-5.<br />

189 parronchi, Prima traccia c<strong>it</strong>., p. 1187.<br />

190 Il senso <strong>della</strong> scelta illusionistica fiorentina, in alternativa alle tarsie<br />

lendinaresche, è stata efficacemente sottolineata da conti, Le prospettive<br />

urbinati c<strong>it</strong>., p. 1212.<br />

Storia dell’arte Einaudi 179


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

191 p. remington, The Private Study of Federico da Montefeltro, in<br />

«Bulletin of the Metropol<strong>it</strong>an Museum of Art», xxxvi, 1941, n. 1<br />

(sezione seconda), pp. 3-13 (non rintracciato); e. wintern<strong>it</strong>z, Quattrocento<br />

Science in the Gubbio Study, ivi, n. s., i, 1942-43, pp. 104-16;<br />

papini, Francesco di Giorgio c<strong>it</strong>., pp. 137-39 (che opportunamente rifiuta<br />

il riferimento a Francesco di Giorgio). La bibliografia successiva ha<br />

segu<strong>it</strong>o percorsi paralleli a quella sullo studiolo urbinate. Nel confronto<br />

fra i due, chastel, Arte e umanesimo, p. 378, ha r<strong>it</strong>enuto piú raffinata<br />

la tecnica dello studiolo di Gubbio; un’opinione inversa dichiara,<br />

ad esempio, trionfi honorati, Il mobile marchigiano c<strong>it</strong>., p. 7; m.<br />

davies, Early Netherlandish School («National Gallery Catalogues»),<br />

London 1955, p. 56, ha proposto di riconnettere all’originale assetto<br />

dello studiolo di Gubbio il noto complesso delle Arti liberali diviso fra<br />

Londra e Berlino (già). Su questa ipotesi procede c. h. clough, Federico<br />

da Montefeltro’s Private Study in his ducal palace of Gubbio, in<br />

«Apollo», lxxxvi, ottobre 1967, pp. 278-87, che poi in Piero <strong>della</strong> Francesca<br />

c<strong>it</strong>. azzarda riferimenti pierfrancescani per il progetto grafico dello<br />

studiolo. Cfr. inoltre, liebenwein, Studiolo c<strong>it</strong>., pp. 96-99.<br />

192 u. rossi, Catalogo del R. Museo Nazionale di Firenze, Firenze<br />

1898, p. 345.<br />

193 Su Domenico e sugli altri membri <strong>della</strong> famiglia Tasso, si vedano<br />

le voci di u. middeldorf nel Thieme Becker, XXXII, pp. 45-46.<br />

194 n. dacos, La découverte de la Domus Aurea et la formation des grotesques<br />

à la Renaissance, London-Leiden 1969, p. 62, con l’accostamento<br />

ad una pagina del Codex Escurialensis.<br />

195 Per le numerose presenze toscane, la silloge documentaria di a.<br />

rossi, Maestri e lavori di legname in Perugia nei secoli XV e XVI, pubblicata<br />

in varie puntate, da febbraio a dicembre, nel «Giornale di erudizione<br />

artistica», i, 1872; e cantelli, Il mobile umbro c<strong>it</strong>. Questo libro,<br />

con i suoi riferimenti bibliografici e le sue illustrazioni, servirà ad<br />

abbreviare le mie annotazioni. È utile accompagnarne la lettura con le<br />

recensioni di m. trionfi honorati, in «Antich<strong>it</strong>à viva», xiii, 1974, n.<br />

3, pp. 74-76, e di f. santi, in «Bollettino <strong>della</strong> deputazione di Storia<br />

Patria per l’Umbria», lxxi, n. 2, pp. 127-28.<br />

196 rossi, Maestri e lavori c<strong>it</strong>., p. 155. Per le valutazioni che vengono<br />

successivamente avanzate, può essere utile ricordare che «le 34 sedie<br />

messe ad ornamenti» furono stimate «fiorini 36 l’una, e fiorini 60 l’una<br />

le tre a figure».<br />

197 Fu affidato nel 1502 a Baccio d’Agnolo di Lorenzo, da Firenze.<br />

Il rossi, ibid., p. 121-23, ne esclude l’ident<strong>it</strong>à con il Baccio d’Agnolo<br />

vasariano. In polemica con Cantelli, la distinzione è stata ripresa dal<br />

Santi (recensione c<strong>it</strong>. a nota 195). Il coro venne concluso nel 1532.<br />

198 rossi, ibid., pp. 159-61.<br />

199 Su Antonio (e Sebastiano) Bencivenni, la voce di s. nessi, in<br />

Storia dell’arte Einaudi 180


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Dizionario biografico degli <strong>it</strong>aliani, VIII, Roma 1966, pp. 216-18. Le<br />

radici urbinate dell’intarsiatore vennero richiamate da salmi, Piero<br />

<strong>della</strong> Francesca e il palazzo di Urbino c<strong>it</strong>., p. 115. Sul bancone di C<strong>it</strong>tà<br />

di Castello, id., Commento al coro c<strong>it</strong>., p. 364.<br />

200 Sul coro di Todi, illustrato da e. cecchi, Tarsie <strong>della</strong> Cattedrale<br />

di Todi, in «Civiltà», ii, 1941, n. 5, pp. 71-79 (ripreso in id., Piaceri<br />

<strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura, Venezia 1960, pp. 243-46), e giudicato da Arcangeli<br />

«costola di Giovanni da Verona», m. righetti, Le tarsie di Todi c<strong>it</strong>. Ma,<br />

per questa breve monografia, vanno considerate le osservazioni di m.<br />

trionfi honorati, in «Antich<strong>it</strong>à viva», xvii, 1979, n. 6, pp. 65-66 (che<br />

opportunamente mette in risalto il significato strutturale del coro).<br />

201 g. urbini, Le opere d’arte di Spello, «Archivio storico dell’arte»,<br />

iii, 1897, n. 1, p. 28; cantelli, Il mobile c<strong>it</strong>., p. 11 (con riproduzione).<br />

«Andrea Campani ecc. te M. ro d’intagli» è fra i <strong>maestri</strong> di legname<br />

noti a Modena fino alla metà del Cinquecento (a. venturi, Fonte<br />

dimenticata di storia artistica. Il catalogo di Tomasino Lancillotto, in<br />

«L’Arte», xxvi, 1922, p. 32). La data 1534, indicata in uno degli specchi<br />

del giro inferiore degli stalli, andrà rifer<strong>it</strong>a al momento conclusivo<br />

dei lavori.<br />

202 Indicazioni bibliografiche sul coro di Assisi si ricavano da e.<br />

zocca, Assisi («Catalogo delle cose d’arte e di antich<strong>it</strong>à d’Italia»),<br />

Roma 1936, pp. 84-86; cantelli, Il mobile c<strong>it</strong>., p. 23, nota 27. Con<br />

Domenico Antonio Indivini collaborarono il fratello Nicola, Pietro<br />

Antonio e Francesco Acciaccaferri, Giovanni di Pier Jacopo, tutti<br />

quanti di San Severino. Sui due Acciaccaferri, cfr. le voci di g. fabiani,<br />

in Dizionario biografico degli <strong>it</strong>aliani, I, Roma 1960, p. 74. Per gli<br />

altri lavori marchigiani dell’Indivini, in particolare, serra, L’arte nelle<br />

Marche c<strong>it</strong>., pp. 475-83. Per il coro di San Severino, o. rossi pinelli,<br />

vol. VIII, p. 189 di questa Storia dell’arte. Meglio che nel coro di Assisi,<br />

si chiarisce qui quanto l’Indivini debba alla diffusione <strong>della</strong> tarsia<br />

fiorentina in zona marchigiana, soprattutto attraverso Urbino.<br />

203 e. carli, Le tarsie di San Quirico d’Orcia, in «Cr<strong>it</strong>ica d’arte», viii,<br />

1950, n. 33, pp. 473-76 (ripreso in id., Scultura lignea senese c<strong>it</strong>., pp.<br />

93-99); m. lenzini moriondo, voce, in Dizionario biografico degli <strong>it</strong>aliani,<br />

VI, Roma 1964, pp. 367-69; j. thornton, Antonio di Neri Barili<br />

and the chapel of St. John Baptist in Siena Cathedral, in «Apollo», xcix,<br />

aprile 1974, pp. 232-39; m. trionfi honorati, Antonio e Andrea Barili<br />

a Fano, in «Antich<strong>it</strong>à Viva», xiv, 1975, n. 6, pp. 35-42; sisi, Le tarsie<br />

c<strong>it</strong>., pp. 33-42; e. carli, Il duomo di Siena, Genova 1979, p. 97; f.<br />

zeri, Lo Spettacolo Intarsiato, in «fmr», settembre 1982, pp. 37-52.<br />

204 Il patto d’allogazione (pubblicato da g. milanesi, Documenti per<br />

l’arte senese, II, Siena 1854, pp. 387-89) non accenna a specchiature<br />

intarsiate. La trasformazione del progetto può spiegare il prolungamento<br />

dei lavori. Non è possibile sospettare che Barili si sia lim<strong>it</strong>ato<br />

Storia dell’arte Einaudi 181


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

ad eseguire la struttura lignea e gli intarsi del coro. Il suo nome compare<br />

sotto il pannello già a Vienna, con il r<strong>it</strong>ratto dell’esecutore dell’opera<br />

e con la scr<strong>it</strong>ta che, nel richiamo <strong>della</strong> p<strong>it</strong>tura, evidenzia proprio<br />

l’opera di tarsia.<br />

205 longhi, Officina c<strong>it</strong>., p. 21 (ma si veda anche Genio degli anonimi:<br />

Giovanni di Piamonte [1940], in ‘Fatti di Masolino e di Masaccio’ e<br />

altri studi sul Quattrocento, Firenze 1975, pp. 136-37, nota 3).<br />

206 sisi, Le tarsie c<strong>it</strong>. I confronti signorelliani si riferiscono prevalentemente<br />

alla Cappella di San Brizio ad Orvieto.<br />

207 Cfr. gli interventi <strong>della</strong> Trionfi Honorati e di Sisi c<strong>it</strong>ati alla<br />

nota 203.<br />

208 È questa l’impressione di thornton, Antonio di Neri c<strong>it</strong>., p. 238.<br />

209 L’accostamento del coro di Pesaro al Barili fu spinto addir<strong>it</strong>tura<br />

all’attribuzione da r. sabbatini, L’arte nella chiesa di S. Agostino in<br />

Pesaro, Bologna 1954, pp. 10-33, che ne dette la prima mer<strong>it</strong>evole illustrazione.<br />

Piú di recente è stato oggetto di una monografia, l. michelini<br />

tocci, Pesaro sforzesca nelle tarsie del Coro di S. Agostino, Pesaro<br />

1971 (con ottimo apparato d’illustrazioni). Ma si veda anche la recensione<br />

di m. trionfi honorati, in «Antich<strong>it</strong>à Viva», xi, 1972, n. 2, pp.<br />

61-62. Il coro non è un<strong>it</strong>ario. Il termine utile per s<strong>it</strong>uare le tarsie è il<br />

1487; esse non oltrepassano il 1499, comunque.<br />

210 Il coro di Sansepolcro è stato studiato da salmi, Commento c<strong>it</strong>.,<br />

che ha anche segnalato i rapporti con quello di Pesaro.<br />

211 cantelli, Il mobile c<strong>it</strong>., p. 10, e ill. 32.<br />

212 Le notizie su Giovanni da Verona sono raccolte nel fondamentale<br />

lavoro di lugano, Di fra Giovanni da Verona c<strong>it</strong>. Ricordo alcuni<br />

piú recenti interventi, relativi alle singole opere. Per il coro di Verona<br />

(e per la piú tarda sacrestia): l. rognini, Le tarsie di S. Maria in Organo,<br />

Verona 1978 (che contiene una bibliografia aggiornata), recens<strong>it</strong>o<br />

da m. trionfi honorati, in «Antich<strong>it</strong>à Viva», xvii, 1976, n. 6, pp.<br />

63-65. Per il coro di Siena: carli, Il duomo c<strong>it</strong>., pp. 96-97. Per quello<br />

di Monte Oliveto: e. carli, L’abbazia di Monteoliveto, Milano 1961,<br />

pp. 47-52; a. boschetto, Monte Oliveto e le tarsie del coro, in Arte e<br />

civiltà del monachesimo <strong>it</strong>aliano («L’illustrazione <strong>it</strong>aliana», i, 1974, n.<br />

4), pp. 49-66. Sulle tarsie napoletane: oltre agli accenni di r. causa,<br />

Giovanni Francesco di Arezzo e Prospero <strong>maestri</strong> di commesso e <strong>prospettiva</strong>.<br />

Le tarsie del coro dei conversi nella certosa di S. Martino, in «Napoli<br />

Nobilissima», n. s., i, 1961, n. 4, pp. 123-34, r. pane, Il Rinascimento<br />

nell’Italia meridionale, I, Milano 1975, pp. 89-90. Sulle tarsie di Lodi<br />

(esegu<strong>it</strong>e nel 1523-25 per il convento di Villanova Sillaro e ultimamente<br />

fin<strong>it</strong>e, dopo vari passaggi, nell’orrenda sistemazione del Duomo di<br />

Lodi): a. caretta, a. degani e a. novasconi, La cattedrale di Lodi, Lodi<br />

1966, pp. 154-57. Cfr. inoltre, brizzi, Un armadio intarsiato c<strong>it</strong>. (questo<br />

armadio, entrato al Metropol<strong>it</strong>an Museum nel 1963 è il medesimo<br />

Storia dell’arte Einaudi 182


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

che comparve nel 1961 alla mostra-mercato dell’antiquariato di Palazzo<br />

Strozzi, nello stand <strong>della</strong> Galleria Bellini di Firenze; le sette tarsie<br />

replicano cartoni di fra Giovanni: conoscendole solo indirettamente,<br />

non so giudicare <strong>della</strong> loro antich<strong>it</strong>à). Per la valutazione cr<strong>it</strong>ica di fra<br />

Giovanni, rimangono fondamentali le osservazioni di arcangeli, Tarsie<br />

c<strong>it</strong>., p. 22. Nel testo si farà riferimento anche a chastel, I centri<br />

c<strong>it</strong>., p. 246.<br />

213 I documenti in rossi, Maestri e lavori c<strong>it</strong>., pp. 69-70. lugano, Di<br />

fra Giovanni c<strong>it</strong>., pp. 14-15, sciolse le incertezze sull’identificazione.<br />

214 Il coro di Sant’Elena a Venezia, una delle opere di tarsia piú celebrate<br />

in antico, esegu<strong>it</strong>o da Sebastiano da Rovigno attorno al 1480,<br />

venne svenduto nel 1807, a segu<strong>it</strong>o <strong>della</strong> demanializzazione dei beni<br />

<strong>della</strong> chiesa (r. gallo, La chiesa di S. Elena, in «Rivista mensile <strong>della</strong><br />

c<strong>it</strong>tà di Venezia», v, 1926, nn. 10-11, pp. 423-520, ma in particolare<br />

pp. 481, 518). La notizia data da monografista ottocentesco dell’intarsiatore<br />

(p. tedeschi, Fra Sebastiano Schiavone da Rovigno, in «Archivio<br />

storico per Trieste, l’Istria e il Trentino», iii, 1883, pp. 32-43), per<br />

cui le tarsie di Sant’Elena sarebbero state trasfer<strong>it</strong>e nella sacrestia di<br />

San Marco, nacque evidentemente da una lettura fraintesa <strong>della</strong> guida<br />

del Moschini ed è contraddetta dal fatto che tali tarsie sono opera dei<br />

fratelli Mola. La notizia fu però ripresa da lugano, Di fra Giovanni c<strong>it</strong>.,<br />

pp. 27-31, ed è quindi rimbalzata negli studi successivi, perfino in circostanze<br />

di larga ed autorevole efficacia informativa.<br />

215 Se ne veda la riproduzione in puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., tav. xxxii.<br />

216 C<strong>it</strong>ato e inquadrato da bruschi, in Scr<strong>it</strong>ti rinascimentali c<strong>it</strong>., p. 41.<br />

217 Risulta che in segu<strong>it</strong>o alle soppressioni di età napoleonica, trentanove<br />

specchi del coro di Monte Oliveto furono trasfer<strong>it</strong>i nella piú<br />

antica struttura di quello nel Duomo di Siena, mentre nove rimasero<br />

nel complesso originario: dove poi furono ricollocate le tarsie provenienti<br />

da San Benedetto fuori porta Tifi. Partendo dall’impossibil<strong>it</strong>à<br />

di distinguere i due diversi nuclei delle tarsie ora a Monte Oliveto,<br />

boschetto, Monte Oliveto c<strong>it</strong>., p. 54, si è dimostrato perplesso sulla<br />

veridic<strong>it</strong>à <strong>della</strong> notizia. A favore di essa, tuttavia, gioca il carattere piú<br />

inoltrato e l’iconografia ricca di ricordi romani delle tarsie provenienti<br />

da San Benedetto (certamente esegu<strong>it</strong>e dopo i soggiorni a Napoli e<br />

Roma).<br />

218 Come segnala il Summonte (ried<strong>it</strong>o in pane, Il Rinascimento<br />

c<strong>it</strong>., I, p. 69), a Napoli Giovanni da Verona fu assist<strong>it</strong>o «da uno maestro<br />

Geminiano toscano di Colle seu fiorentino e da un maestro Imperiale<br />

di Napoli». Notizia che sembra quasi suggerire una circostanza<br />

d’importazione tecnologica, dal momento che «li quali doi, ancorché<br />

abbino lavorato ed adiutato in quest’opera piana, ipsi per proprio exercizio<br />

son <strong>maestri</strong> di rilievo» (ossia intagliatori, anche se l’espressione<br />

è stata assurdamente scambiata per un apprezzamento di mer<strong>it</strong>o). In<br />

Storia dell’arte Einaudi 183


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

effetti il panorama <strong>della</strong> tarsia meridionale non sembra troppo ampio<br />

(e stanno andando in segatura anche cose come il coro di Sant’Anna<br />

dei Lombardi).<br />

Prima dell’arrivo di fra Giovanni a Napoli possono essere richiamati<br />

solo alcuni episodi sporadici e di difficile valutazione materiale.<br />

Alcune tarsie, piú antiche, del coro di San Pietro a Maiella e quelle dei<br />

banconi di sacrestia di Sant’Angelo a Nilo equivalgono al trasferimento<br />

grafico di un cartone secondo cr<strong>it</strong>eri paragonabili alla tecnica incisoria.<br />

In San Pietro a Maiella, alcune scene, come la Circoncisione possono<br />

ricordare il Riccardo Quartararo dei tempi di Napoli (tr<strong>it</strong>tico di<br />

Gaeta), mentre altre, come la Santa Caterina, sembrano toccate da un<br />

classicismo acerbo. Le tarsie di Sant’Angelo a Nilo possono invece essere<br />

orientate stilisticamente da alcune opere che Ferdinando Bologna ha<br />

raccolto sotto il nome di Francesco Pagano. Dipendono invece dalla<br />

presenza a Napoli di Giovanni da Verona le tarsie esegu<strong>it</strong>e a Napoli<br />

da Giovan Francesco d’Arezzo: nel coro di Sant’Anna dei Lombardi<br />

(dove lavorò assieme a maestro Prospero) i grandi tralci decorativi racchiudono<br />

qualche memoria toscana; in quello <strong>della</strong> Certosa di San<br />

Martino le prospettive tradiscono qualche altro ricordo centro-<strong>it</strong>aliano<br />

(causa, Giovanni Francesco c<strong>it</strong>.; id., Tarsie cinquecentesche c<strong>it</strong>.). Il coro<br />

<strong>della</strong> Certosa di Padula riflette una piú complessa s<strong>it</strong>uazione di persistenze<br />

tecniche e d’incroci figurativi. Fra le tarsie meridionali (non<br />

molte: a Teano, ma anche a Malta) ricordo il coro <strong>della</strong> Cattedrale di<br />

Siracusa, opera di Nardo Mirteto, con una scr<strong>it</strong>ta che lo riferisce al<br />

1489 (f. campagna cicala, Per la scultura lignea del Quattrocento in Sicilia,<br />

in Le arti decorative del Quattrocento in Sicilia, a cura di G. Cantelli,<br />

catalogo <strong>della</strong> mostra [Messina], Roma 1981, p. 101).<br />

219 shearman, The Vatican Stanze c<strong>it</strong>., pp. 15, 21, 48 nota 95; 54<br />

nota 127, contraddice l’indicazione vasariana per cui fra Giovanni<br />

avrebbe lavorato le spalliere al tempo stesso degli affreschi, durante il<br />

pontificato di Giulio II. La porta fra le Stanze <strong>della</strong> Segnatura e di Eliodoro<br />

mostra le insegne di Leone X. Considerando che al tempo di questo<br />

pontefice l’intarsiatore non risulta a Roma, lugano, Di Fra Giovanni<br />

c<strong>it</strong>., r<strong>it</strong>enne invece che essa fosse opera dell’intagliatore senese<br />

Giovanni Barili (segu<strong>it</strong>o in questa opinione da dacos, La découverte c<strong>it</strong>.,<br />

p. 112 nota 4, e da conti, Le prospettive urbinati c<strong>it</strong>., p. 1217, nota 23,<br />

entrambi con illustrazioni). Riprendendo un documento già ed<strong>it</strong>o dal<br />

Mercati, da cui risulta che nel giugno del 1513 Giovanni da Verona<br />

veniva pagato per le tarsie che stava eseguendo in Vaticano, Shearman<br />

ha riproposto il nome di Giovanni da Verona. Rimane il fatto che la<br />

porta è mal giudicabile per i rifacimenti. D’altra parte questi restauri<br />

cost<strong>it</strong>uiscono un interessante episodio <strong>della</strong> storia cr<strong>it</strong>ica <strong>della</strong> tarsia,<br />

risalendo all’iniziativa del Maratta (le cui attenzioni per la vecchia<br />

espressione prospettica sono state ricordate in questo volume a p. 460,<br />

Storia dell’arte Einaudi 184


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

nota 3). Questa porta ha richiamato l’interesse di e. wintern<strong>it</strong>z, The<br />

Importance of «Quattrocento» Intarsias for the History of Musical Instruments,<br />

in Bericht über den siebenten internationalen musikwissenschaftlichen<br />

Kongress (Köln 1958), Kassel 1958, poi in id., Musical Instruments<br />

and Their Symbolism in Western Art, New Haven - London<br />

1979 2 , p. 119.<br />

220 In brizzi, Un armadio c<strong>it</strong>., pp. 296-97, nota 24.<br />

221 Su Vincenzo dalle Vacche, v. callegari, Le tarsie di un artista<br />

veronese al museo del Louvre, in «Bollettino <strong>della</strong> Società letteraria di<br />

Verona», vii, 1932, n. 2, pp. 57-59; j. baltru\a<strong>it</strong>is, Anamorphoses,<br />

Paris 1969, pp. 95-96 (ed. <strong>it</strong>. Milano 1978, pp. 103-4).<br />

222 La bibliografia su Raffaele da Brescia è stata ricap<strong>it</strong>olata da<br />

panazza, in Storia di Brescia c<strong>it</strong>., pp. 696-99. Sul coro di San Michele<br />

in Bosco, cfr. i precedenti riferimenti alla nota 45 e alla nota 5.<br />

223 Sono state rese note da thornton, Three unrecorded c<strong>it</strong>., assieme<br />

ad un terzo pannello con liuto e frutta, tutti r<strong>it</strong>enuti provenire dal<br />

coro di San Michele in Bosco. Si pone allo stesso punto di stile e di<br />

combinazioni tematiche un’altra dispersa tarsia di fra Raffaele: vi figura<br />

un’anatra campeggiante in un paesaggio, che si apre oltre quattro scalini<br />

di «proscenio». La conosco soltanto da una fotografia conservata<br />

all’Ist<strong>it</strong>uto Germanico di Firenze, con riferimento ad artista umbrotoscano<br />

del primo Cinquecento (ubicazione ignota). È meno larga dei<br />

pannelli pubblicati dalla Thornton, ma i consistenti frammenti del<br />

coro bolognese che sono fin<strong>it</strong>i nella Cappella Malvezzi, a San Petronio,<br />

confermano questa varietà di proporzioni.<br />

224 thornton, ibid., p. 243, riferisce il leggio di Brescia al 1509-13,<br />

seguendo l’indicazione ottocentesca di m. caffi, Raffaello da Brescia,<br />

in «Archivio storico lombardo», ix, 1882, p. 7 (dell’estratto), che è<br />

sment<strong>it</strong>a dall’evidente cronologia del cartone romaniano. La datazione<br />

tarda risulta invece da g. panazza, Mostra di Girolamo Romanino,<br />

catalogo, Brescia 1965, p. 96, fig. 99; m. l. ferrari, Il Romanino, Milano<br />

1961, scheda a tav. 73; panazza, in Storia di Brescia c<strong>it</strong>., p. 699.<br />

225 Le rime vennero pubblicate da v. rossi, Il canzoniere ined<strong>it</strong>o di<br />

Andrea Michieli detto lo Strarzòla o Strazzòla, in «Giornale storico <strong>della</strong><br />

Letteratura <strong>it</strong>aliana», xxvi, 1895, pp. 1-91 (ma in particolare pp.<br />

48-53). Il Rossi, a propos<strong>it</strong>o <strong>della</strong> condanna di Gentile Bellini, escludeva<br />

ogni motivazione propriamente estetica. Le rime relative a Carpaccio<br />

sono state ried<strong>it</strong>e piú recentemente da m. muraro, Carpaccio,<br />

Firenze 1966, pp. 71-72.<br />

Il Rossi raccolse anche le interessantissime notizie poetiche sull’Ombrone,<br />

p<strong>it</strong>tore <strong>it</strong>inerante, giunto a Venezia dalla corte di Ludovico<br />

il Moro, e dunque tram<strong>it</strong>e verosimile in quella circolazione dalla<br />

Lombardia alla laguna che è stata fatta oggetto, di recente, di piú f<strong>it</strong>te<br />

attenzioni. In senso bramantinesco sembra di poter leggere il sonetto<br />

Storia dell’arte Einaudi 185


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

che gli dedicò lo Strazzola (pubblicato dal Rossi, a pp. 53-54), e che<br />

sarà bene trascrivere, essendo la seconda quartina un passo memorabile<br />

nella storia del dibatt<strong>it</strong>o sulla <strong>prospettiva</strong>, e chiudendosi con una<br />

nuova, partecipata individuazione dell’umanesimo cristiano di Giovanni<br />

Bellini: «Io son un Cristo che rinega Idio, | avendo forma d’omo<br />

indiavolato; | Ombrone ignoranton qui m’ha p<strong>it</strong>tato | in modo che non<br />

posso esser piú pio. || La <strong>prospettiva</strong> il volto mi fa rio, | essendo male<br />

inteso in ogni lato, | il punto falsamente ha misurato, | talché non trovo<br />

membro che sia mio. || Che chi mi guarda ride e non mi adora | sprezzando<br />

la mia effigie mal formata | che fa perder il vulgo ogni fervore.<br />

|| Per strazio che di me fa la brigata, | farò costui che l’arte vera ignora,<br />

“Miserere, dirà, di me, Signore || ch’io persi il tempo e l’ore | in<br />

dir e non in far”; don che il Bellino | mi farà assai piú umano e piú<br />

divino».<br />

226 Intorno a queste tarsie (che si trovano in condizioni mediocri<br />

anche per diversi restauri di rifacimento o che sono tenute assieme con<br />

nastro adesivo) si coagulò un’informazione cr<strong>it</strong>ica incerta, complessa e<br />

f<strong>it</strong>ta di nomi fin dai tempi <strong>della</strong> Venezia c<strong>it</strong>tà nobilissima del Sansovino<br />

e dalla ristampa che ne fece lo Stringa nel 1604. Su di essa è cresciuto<br />

l’ulteriore equivoco di cui si è parlato alla nota 214. Ha cercato<br />

efficacemente di mettere ordine a questa confusione di notizie Umberto<br />

Daniele nella sua tesi di laurea su Antonio e Paolo Mola intarsiatori<br />

(Univers<strong>it</strong>à di Bologna, 1980-81, relatore M. Ferretti), che è una compiuta<br />

monografia sui due artisti. Cosí come oggi si presenta, la decorazione<br />

lignea <strong>della</strong> sacrestia non rivela fratture di stile e corrisponde<br />

dunque alla firma di Antonio e Paolo Mola che vi compare inscr<strong>it</strong>ta (in<br />

altro pannello risulta una data 1500). In precedenza erano state connesse<br />

al Carpaccio le piú tarde tarsie mantovane dei Mola da parte di<br />

a. luzio, Isabella d’Este e Giulio II, in «Rivista d’Italia», xii, dicembre<br />

1909, p. 865.<br />

227 Il riferimento si deve a m. muraro, Guida di Venezia e delle sue<br />

isole, Firenze 1953, p. 74. Con l’eccezione di un troppo brusco rifiuto<br />

da parte di g. fiocco, Carpaccio, Novara 1958, p. 12, ha trovato<br />

attenzioni favorevoli (j. lauts, Carpaccio, London 1962, p. 256; muraro,<br />

Carpaccio c<strong>it</strong>., pp. 21-22; id., I disegni di V<strong>it</strong>tore Carpaccio, Firenze<br />

1977, p. 14; m. daly davis, Carpaccio and the perspective of regular<br />

bodies, in La <strong>prospettiva</strong> c<strong>it</strong>., p. 198, nota 38, anche per ulteriori riferimenti).<br />

Lo studio piú dettagliato di m. muraro, Carpaccio, lezioni per<br />

il corso A.351 dello Sm<strong>it</strong>h College di Northampton, Venezia 1963, pp.<br />

12-14, 98-118, riesce però generico per quanto riguarda la specific<strong>it</strong>à<br />

<strong>della</strong> tarsia e i Mola in particolare.<br />

228 majocchi, Codice diplomatico c<strong>it</strong>., nn. 1423, 1431, 1433, 1437,<br />

1446. La notizia è ripresa da pesenti, in La Certosa c<strong>it</strong>., p. 91, senza<br />

però identificare con il Mola quel «Magister Antonius de Mantoa f.q.<br />

Storia dell’arte Einaudi 186


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Magistri Vincentii» che è impegnato nella vertenza «suo nomine et<br />

nomine Pauli de Mantova eius fratri»: fatto, quest’ultimo, da cui si<br />

ricava che Paolo era ancora in «pupillari aetate». L’indicazione del<br />

patronimico non collima invece con quel maestro Paolo di Pietro da<br />

Venezia, presente a Reggio nel 1484, che malaguzzi valeri, Lavori<br />

d’Intaglio c<strong>it</strong>., pp. 326-27, sospettò identico a Paolo Mola.<br />

229 e. menegazzo, Per la biografia di Francesco Colonna c<strong>it</strong>., pp.<br />

246-47.<br />

230 La <strong>prospettiva</strong> di Carpaccio è stata analizzata da l. magagnato,<br />

A propos<strong>it</strong>o delle arch<strong>it</strong>etture di Carpaccio, in «Comun<strong>it</strong>à», xviii,<br />

1963, n. 111, pp. 70-81; e, piú direttamente, da daly davis, Carpaccio<br />

c<strong>it</strong>., dove l’esperienza delle tarsie viene ad occupare un ruolo<br />

estremamente significativo. I riferimenti <strong>della</strong> studiosa, orientati a<br />

definire le mediazioni che snodano il percorso da Piero a Carpaccio,<br />

sono molto larghi, e non insistono particolarmente sul caso <strong>della</strong><br />

sacrestia marciana.<br />

231 Oltre ad a. bertolotti, Le arti minori alla corte di Mantova nei<br />

secoli XV, XVI e XVII, Milano 1889, p. 171, per l’attiv<strong>it</strong>à dei Mola a<br />

Mantova, almeno i dati richiamati da perina, Mantova, Le arti c<strong>it</strong>., II,<br />

Mantova 1961, p. 580; g. paccagnini, Il palazzo ducale di Mantova,<br />

Torino 1969, passim (ad indice); s. beguin, Lo studiolo d’Isabella d’Este,<br />

catalogo <strong>della</strong> mostra, Paris 1975, pp. 27-29; g. romano, Verso la<br />

maniera moderna: da Mantegna a Raffaello, nel volume V di questa Storia<br />

dell’arte Einaudi.<br />

232 Sul Luchino Bonati, o Bianchino, quintavalle, Luchino Bianchino<br />

c<strong>it</strong>.; la voce anonima nel Dizionario biografico degli <strong>it</strong>aliani, XI,<br />

Roma 1969, pp. 597-98; bandera, Il mobile emiliano c<strong>it</strong>., p. 8. La questione<br />

<strong>della</strong> data non è pacifica (quintavalle, Luchino Bianchino c<strong>it</strong>.,<br />

pp. 47-48). Ma contro tutte le incertezze, vale la notizia <strong>della</strong> cronaca<br />

di Leone Smagliati, che al 25 gennaio 1510 dà il coro per compiuto.<br />

Per ulteriori notizie sulle vicende di conservazione, e. bezzi, La confratern<strong>it</strong>a<br />

<strong>della</strong> SS. Trin<strong>it</strong>à e la sua chiesa «Oratorio de’ Rossi», in «Parma<br />

per l’Arte», x, 1978, n. 1, pp. 105-18. Il leggio, invece, come si dirà<br />

piú oltre, è cosa diversa.<br />

233 a. ronchini, Intorno alla scoltura in legno c<strong>it</strong>., p. 314.<br />

234 Il documento reso noto da e. nasalli rocca, Gli autori del coro<br />

di S. Sisto, in «Ars Nova», III, 1924, giugno, p. 260, tagliò corto con<br />

una discussione attributiva fra le piú sventate. Riassume le notizie e<br />

fornisce qualche riproduzione, piú di recente, r. arisi, La chiesa e il<br />

monastero di San Sisto a Piacenza, Piacenza 1977, pp. 98-102. Sullo Spinelli<br />

a Parma, annoverato fra gli intarsiatori <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà, nel 1537, ronchini,<br />

Intorno alla scoltura c<strong>it</strong>., p. 319.<br />

235 Documenti e notizie sul coro di San Giovanni sono stati recentemente<br />

ripresi ed illustrati da l. fornari schianchi, in aa.vv., L’ab-<br />

Storia dell’arte Einaudi 187


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

bazia benedettina di san Giovanni Evangelista a Parma, Milano 1979, pp.<br />

162-71. L’unico elemento non omogeneo al coro è il pannello centrale,<br />

chiaramente corrispondente alla fase tardo-cinquecentesca di ricollocazione<br />

dell’abside. È qui adattata, con qualche sacrificio nella scr<strong>it</strong>ta,<br />

la tavoletta con la data 1538 (ed una figura che par sugger<strong>it</strong>a dall’Anselmi),<br />

che doveva trovarsi in origine sopra l’apertura d’ingresso.<br />

236 Sul coro di Modena, cfr. a. ghidiglia quintavalle, San Pietro<br />

in Modena, Modena 1966 2 pp. 13, 56, 71. I suoi pannelli figurati corrispondono<br />

in tutto e per tutto ad analoghe tarsie del coro <strong>della</strong> Cattedrale<br />

di Ferrara, opera di Bernardino da Lendinara e soci. La cosa è<br />

registrata anche dalla ghidiglia quintavalle, ibid., che r<strong>it</strong>iene però che<br />

il Testa dovesse avere avuto a disposizione i cartoni di Bernardino. Per<br />

quanto il numero non corrisponda con esattezza (i pannelli intarsiati<br />

sono nove), sarà bene ricordare che nelle pattuizioni contrattuali si chiese<br />

al Testa di lasciar vuoti otto riquadri superiori (g. campori, Artisti<br />

<strong>it</strong>aliani e stranieri negli stati estensi, Modena 1855, p. 458): evidentemente,<br />

in un secondo momento, si decise d’inserire anche il pannello<br />

di «natura morta». Che esistesse in San Pietro un precedente coro, è<br />

confermato dalle parole del cronista lancillotti, Cronaca Modenese<br />

c<strong>it</strong>., VI, pp. 7, 419, quando annota per due volte che il coro viene fatto<br />

«de novo».<br />

237 Si tratta del leggio dell’Oratorio dei Rossi (da San Paolo), <strong>della</strong><br />

spalliera nella Sacrestia dei Canonici e del mobile ora scomposto nella<br />

fabbriceria del Duomo: gli ultimi due furono già collegati al Bianchino<br />

da ronchini, Intorno alla scoltura in legno c<strong>it</strong>.; fra le guide che<br />

divulgano il riferimento, cfr. n. pelicelli, Guida storico artistica e<br />

monumentale <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà di Parma, Parma 1906, p. 5; cfr. inoltre [a. santangelo],<br />

Provincia di Parma («Inventario degli oggetti d’arte d’Italia»),<br />

p. 28. Lo studioso che ha piú esplic<strong>it</strong>amente sostenuto questa<br />

ricostruzione sotto il nome di Luchino Bianchino è quintavalle,<br />

Luchino Bianchino c<strong>it</strong>. Essa è stata confermata da bandera, Il mobile<br />

emiliano c<strong>it</strong>., p. 8; fornari schianchi, in L’abbazia c<strong>it</strong>. Fra l’altro,<br />

ricordo che nel coro di San Giovanni ricompare l’inequivocabile combinazione<br />

di aspersorio, secchiello, oggetto conchigliforme che si trova<br />

in una tarsia dell’armadio <strong>della</strong> fabbriceria.<br />

238 In generale, sul Sacca, c. bonetti, Intarsiatori cremonesi: Paolo<br />

del Sacha (1468-1573), Cremona 1919; l. bandera, Paolo e Giuseppe<br />

Sacca, in «Kalòs», i, 1970, n. 2, pp. 13-20, ii, 1971, n. 3, pp. 17-24.<br />

239 Sulla s<strong>it</strong>uazione piemontese, romano, Il coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>.,<br />

p. 32, nota 35. Per il coro di Staffarda, l. mallè, Le sculture del museo<br />

d’arte antica. Museo Civico di Torino, Torino 1965, pp. 183-92.<br />

240 Sul coro di Vercelli (solo in parte conservato, con riadattamenti<br />

nella struttura ed estesi restauri nelle tarsie), r. pasté e f. arborio<br />

mella, L’Abbazia di S. Andrea di Vercelli, Vercelli 1907, pp. 245-46,<br />

Storia dell’arte Einaudi 188


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

507; a. m. brizio, Vercelli («Catalogo delle cose d’arte e di antich<strong>it</strong>à<br />

d’Italia»), Roma 1935, pp. 24-26; g. chierici, L’Abbazia di S. Andrea<br />

in Vercelli, Vercelli 1968, p. 21. L’identificazione dei cartoni comuni<br />

al coro di Vercelli e a quello di Alba è a p. 33, nota 36 <strong>della</strong> monografia<br />

dedicata al secondo da romano, Il coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>.<br />

241 m. r. fabbri, Il coro intarsiato di San Giovanni in Monte, in «Il<br />

Carrobbio», ii, 1977, pp. 145-56; e la tesi di laurea di M. Tamassia<br />

(Univers<strong>it</strong>à di Bologna, 1976-77, relatore G. Romano).<br />

242 bonetti, Intarsiatori c<strong>it</strong>., p. 117.<br />

243 monducci, Il coro ligneo c<strong>it</strong>., p. 258. Il coro reggiano è stato malamente<br />

presentato e riprodotto da a. spaggiari, Le tarsie lignee <strong>della</strong> basilica<br />

di San Prospero in Reggio Emilia, Reggio Emilia 1960. Un cartone<br />

almeno (quello con la facciata di una chiesa) risale a Paolo Sacca. A Cristoforo<br />

de’ Venetiis fu affidato anche il riadattamento cinquecentesco<br />

del coro del Platina a Cremona (puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 82).<br />

244 Albertino Piazza si trovava a Savona proprio in quello stesso<br />

anno 1517. Il punto stilistico del cartone utilizzato da Gian Michele<br />

Pantaleoni corrisponde bene alla distinzione fra Albertino e il fratello<br />

recentemente chiar<strong>it</strong>a da f. zeri, Una scheda per Albertino e Martino<br />

Piazza, in «Antologia di belle arti», iii, 1979, n. 9-12, pp. 58-61. L’indicazione<br />

mi par che faccia grav<strong>it</strong>are completamente su Albertino il<br />

gonfalone dell’Incoronazione <strong>della</strong> Vergine all’Incoronata di Lodi (1519),<br />

nonostante la documentazione relativa ad entrambi i fratelli resa nota<br />

da a. m. romanini, Note sui fratelli Albertino e Martino Piazza da Lodi,<br />

in «Bollettino d’arte», 1950, pp. 123-30, che ha portato alla troppo<br />

equa spartizione fatta da a. novasconi, I Piazza, Lodi 1971, p. 62. Infine<br />

questo riferimento savonese, alla data 1517, conferma l’esclusione<br />

dell’ipotesi che Albertino possa aver dipinto l’affascinante tavola <strong>della</strong><br />

Cattedrale di Savona (come propose p. rotondi, Contributo ad Albertino<br />

Piazza, in «Arte Lombarda», v, 1960, pp. 68-74). Ma sulla questione<br />

si veda b. barbero, Albertino Piazza e alcuni aspetti del protoclassicismo<br />

a Savona, ivi, n. s., 1977, n. 47-48, p. 194. Il cartone del<br />

leggio ha spinto invece torr<strong>it</strong>i, Tarsie del coro c<strong>it</strong>., p. 192, a pensare<br />

a fatti liguri tra Mazone, Baudo, Fasolo; mentre barbero, Albertino<br />

Piazza c<strong>it</strong>., pp. 86-87, nota 20, parla di fra Girolamo da Brescia. Per<br />

e. parma armani, A propos<strong>it</strong>o delle tarsie del Duomo di Savona e <strong>della</strong><br />

Cattedrale di San Lorenzo a Genova, ivi, xvi, 1971, p. 239, l’Adorazione<br />

dei Magi rivela la conoscenza di opere raffaellesche.<br />

245 s. varni, Tarsi ed intagli del coro e presb<strong>it</strong>erio di S. Lorenzo in<br />

Genova, Genova 1878; p. torr<strong>it</strong>i, Le tarsie del coro di san Lorenzo in<br />

Genova, in «Bollettino ligustico», vii, 1955, n. 1-4, pp. 70-103; parma<br />

armani, A propos<strong>it</strong>o c<strong>it</strong>.<br />

246 b. berenson, Lotto, Milano 1955, p. 89 (London 1901 2 , p. 162).<br />

247 [m. michiel], Notizia d’opere c<strong>it</strong>., p. 129. Le fonti dirette per lo<br />

Storia dell’arte Einaudi 189


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

studio del coro sono state ricordate nella nota 70. Riassume le informazioni<br />

documentarie g. mariani canova, Lotto («Classici dell’arte<br />

Rizzoli», n. 79), Milano 1975, pp. 101-7. Altri riferimenti cr<strong>it</strong>ici nelle<br />

opere ricordate nelle note seguenti.<br />

248 g. romano, La Bibbia di Lotto, in «Paragone», xxvii, 1976, n.<br />

317-19, pp. 82-91. L’articolo ha riaperto la discussione sugli orientamenti<br />

riformati <strong>della</strong> religios<strong>it</strong>à dell’artista. Ma un primo utilizzo in tal<br />

senso delle sue lettere è nelle obiezioni fatte al Chiodi da parte di r.<br />

longhi, Lettere ined<strong>it</strong>e di Lorenzo Lotto su le tarsie di Santa Maria Maggiore<br />

in Bergamo, ivi, xv, 1964, n. 173, p. 59 («l’insistenza con cui il<br />

Lotto afferma la sua stretta osservanza religiosa potrebbe sospettarsi<br />

di “excusatio non pet<strong>it</strong>a”»). Sull’argomento si è aperta una discussione<br />

che sarebbe eufemistico definire vivace. Gli interventi di m. calí,<br />

La «religione» di Lorenzo Lotto, e di r. fontana, «Solo, senza fidel governo<br />

et molto inquieto de la mente», in zampetti e sgarbi, Lorenzo Lotto<br />

c<strong>it</strong>., pp. 243-78 e 279-98, a me pare che abbiano largamente chiar<strong>it</strong>o<br />

e confermato le grav<strong>it</strong>azioni «riformiste» del p<strong>it</strong>tore. Mentre f. cortesi<br />

bosco, A propos<strong>it</strong>o del frontespizio di Lorenzo Lotto per la Bibbia<br />

di Antonio Brucioli, in «Bergomum», 1976, nn. 1-2, pp. 27-42, capovolge<br />

il discorso di Romano sulla religios<strong>it</strong>à di Lotto ma dà conferma<br />

dell’attribuzione che lo aveva originato, p. zampetti, Un p<strong>it</strong>tore<br />

«inquieto de mente», in «Notizie da Palazzo Albani», ix, 1980, n. 1-2,<br />

p. 65, esplic<strong>it</strong>amente respinge il riferimento.<br />

249 s. settis, La «Tempesta» interpretata, Torino 1978 (pp. 117 sgg.,<br />

e le considerazioni sui Tre Filosofi, che, in questo senso, non mi pare<br />

che lascino margini di dubbio).<br />

250 lotto, Libro c<strong>it</strong>., p. 286 (chiodi, Lettere ined<strong>it</strong>e c<strong>it</strong>., pp. 56-57).<br />

251 Sull’argomento si veda le pagine, molto belle, di a. m. brizio, Il<br />

Sacro Monte di Varallo: Gaudenzio e Lotto, in «Bollettino <strong>della</strong> società<br />

piemontese di archeologia e di belle arti», n. s., xix, 1965, pp. 35-42,<br />

e il paragrafo dedicato a Lorenzo Lotto e il teatro in p<strong>it</strong>tura dell’intervento<br />

di m. muraro in zampetti e sgarbi, Lorenzo Lotto c<strong>it</strong>., pp.<br />

304-8. Mentre mi sembra che f. cortesi bosco, Gli affreschi dell’Oratorio<br />

Suardi. Lorenzo Lotto nella crisi <strong>della</strong> Riforma, Bergamo 1980, pp.<br />

85-89, tenda a sovrapporre equivocamente il senso l<strong>it</strong>urgico del teatro<br />

medievale con la visual<strong>it</strong>à prospettica <strong>della</strong> scena moderna.<br />

252 longhi, Lettere ined<strong>it</strong>e c<strong>it</strong>., p. 61.<br />

253 lotto, Libro c<strong>it</strong>., p. 286 (chiodi, Lettere ined<strong>it</strong>e c<strong>it</strong>., p. 57).<br />

254 In chiodi, Quattro lettere c<strong>it</strong>., p. 31.<br />

255 Sull’interpretazione dei «coperti», che è cosa sorprendentemente<br />

recente, van den berg-noë, Lorenzo Lotto c<strong>it</strong>.; d. galis, Concealed<br />

Wisdom: Renaissance Hieroglyphic and Lorenzo Lotto’s Bergamo Intarsie,<br />

in «Art Bulletin», lxii, 1980, n. 3, pp. 363-75 (<strong>della</strong> stessa studiosa<br />

una tesi di dottorato, nel 1977, al Bryn Mawr College); cortesi bosco,<br />

Storia dell’arte Einaudi 190


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

Gli affreschi dell’Oratorio c<strong>it</strong>., pp. 135-41; id., Riforma religios<strong>it</strong>à arte<br />

alchimia negli affreschi di Lorenzo Lotto dell’Oratorio Suardi di Trescore,<br />

in «Notizie da Palazzo Albani», ix, 1980, n. 1-2, p. 38; c. albani<br />

liberali, Lorenzo Lotto e il «Nosce te ipsum» nelle tarsie di Bergamo: ipotesi<br />

di ricerca, in zampetti e sgarbi, Lorenzo Lotto c<strong>it</strong>., pp. 425-32; i.<br />

reho, La cultura vetero-testamentaria di Lorenzo Lotto: da Trescore alle<br />

tarsie di Bergamo, ibid., pp. 433-42; c. albani liberali, Una tarsia del<br />

coro di S. Maria Maggiore a Bergamo: il tema <strong>della</strong> fortuna e Lorenzo Lotto,<br />

in «Artibus et historiae», 1981, n. 3, pp. 77-83. Per una distinzione<br />

terminologica all’interno del vasto campo <strong>della</strong> figurazione simbolica<br />

del Cinquecento, ricordo le pagine lucidissime di g. pozzi, Il «Polifilo»<br />

nella storia del libro illustrato veneziano, in Giorgione e l’umanesimo<br />

veneziano, a cura di R. Pallucchini, Firenze 1981, pp. 91-99.<br />

256 Uso i termini di e. h. gombrich, Immagini simboliche. Studi sull’arte<br />

del Rinascimento (1972), Torino 1978, e, piú in particolare, mi<br />

riferisco alle pp. 223-28, 242-46.<br />

257 Il patto, del 4 marzo 1521, è stato reso noto da alce, Il coro di<br />

San Domenico c<strong>it</strong>., p. 59.<br />

258 [michiel], Notizia c<strong>it</strong>., p. 133. Bernardo da Trevi[glio] è lo<br />

Zenale. Trozo da Monza è noto come arch<strong>it</strong>etto, ma senza opere. I pannelli<br />

di Santo Stefano e Domenico vennero trasfer<strong>it</strong>i fin dal Cinquecento<br />

in San Bartolomeo, subendo alterazioni e perd<strong>it</strong>e. L’opera complessiva<br />

sull’intarsiatore, alce, Il coro di San Domenico c<strong>it</strong>., non esclude<br />

il ricorso ai diversi contributi dello stesso studioso. Successivamente<br />

a tale pubblicazione (recens<strong>it</strong>a da L. Spezzaferro, in «Storia dell’arte»,<br />

ii, 1970, n. 7-8, pp. 359-60), dopo l’articolo di raggio, Vignole,<br />

Fra Damiano c<strong>it</strong>., v. alce, L’intervento del Comune di Bologna per il<br />

coro di San Domenico, in «Il Carrobbio», iii, 1977, pp. 3-7. Cfr. inoltre<br />

la nota 59.<br />

259 Per il riferimento a Bramantino e per il riutilizzo da parte del Cesariano<br />

del cartone dell’Età dell’Oro, w. suida, Bramante p<strong>it</strong>tore e il Bramantino,<br />

Milano 1953, pp. 82-83. L’intervento di m. l. ferrari (R<strong>it</strong>orno<br />

a Zenale, in «Paragone», xiv, 1963, n. 157, pp. 14-29), si legge ora<br />

in Studi c<strong>it</strong>., pp. 88-92. Altre indicazioni bibliografiche in alce, Il Coro<br />

di San Domenico c<strong>it</strong>., pp. 335-36, e g. mulazzani, Bramantino e Bramante<br />

p<strong>it</strong>tore («Classici dell’arte Rizzoli», n. 95), Milano 1978, pp. 95-96.<br />

260 Per il Vignola, nota 60, e bandera, Il mobile c<strong>it</strong>., figg. 37-38.<br />

La presenza del Vignola nelle tarsie di fra Damiano è stata poi troppo<br />

congetturalmente argomentata da m. walcher casotti, Il Vignola,<br />

Trieste 1960, I, pp. 8-19. raggio, Vignole c<strong>it</strong>., p. 41 sostiene che intervenisse<br />

a distanza di una ventina di anni per adattare un cartone da<br />

lui stesso preparato ai tempi del dossale. Le ascrizioni al Serlio sono<br />

state fatte a piú riprese da v. alce (per ultimo in Il coro di San Domenico<br />

c<strong>it</strong>., pp. 129-30, 134).<br />

Storia dell’arte Einaudi 191


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

261 Dopo la morte dello Zucchi, fu chiamato a giudicare sul valore<br />

dei lavori da lui compiuti per il coro di San Giovanni Evangelista (ronchini,<br />

Intorno alla scoltura c<strong>it</strong>., p. 316; alce, Il coro di San Domenico<br />

c<strong>it</strong>., p. 132). Si è già detto in precedenza sulla difficoltà di stabilire a<br />

che punto fossero arrivate a quella data le tarsie di Parma; ma si ricordi<br />

anche che esse fanno comunque parte di una serie stilistica certamente<br />

già avviata al momento in cui fu chiamato fra Damiano.<br />

262 Il pannello Davia Bargellini corrisponde, a sua volta, alla Crocefissione<br />

del coro di San Domenico, che porta una data 1542. Un altro<br />

pannello del coro bolognese fu replicato nella bottega di fra Damiano<br />

per servire come quadro di legname: è l’Adorazione nell’orto che nella<br />

Pinacoteca di Forlí si conserva ancora sotto il nome (ricco di suggestioni<br />

ai tempi del movimento artistico-industriale) del senese Antonio Barili<br />

(e. calzini e g. mazzatinti, Guida di Forlí, Forlí 1893, p. 75). Di<br />

altri due quadri di tarsia di fra Damiano siamo informati attraverso un<br />

documento che ne rest<strong>it</strong>uisce bene le condizioni percettive (m. gualandi,<br />

Memorie originali riguardanti le belle arti, serie quinta, Bologna<br />

1844, pp. 42-45).<br />

263 Ricordi c<strong>it</strong>., cc. 51-55 (ricordo CIX), ma c<strong>it</strong>o da Scr<strong>it</strong>ti d’arte c<strong>it</strong>.,<br />

III, pp. 2924-26. La nota al testo <strong>della</strong> Barocchi, a p. 3553-54, integra<br />

la bibliografia forn<strong>it</strong>a da j. schlosser, La letteratura artistica,<br />

Firenze 1964, p. 223. Ad essa si è aggiunto poi liebenwein, Studiolo<br />

c<strong>it</strong>., pp. 141-42; ma può essere utile ricordare g. zama, I «Ricordi» di<br />

Sabba Castiglione (note per un’edizione cr<strong>it</strong>ica), in «Studi romagnoli»,<br />

vi, 1955, pp. 359-71. Il Castiglione aveva adornato il suo studiolo<br />

«con un quadretto di tavola e con due quadri di due teste, una di<br />

Santo Paolo e l’altra di Santo Giovanni Battista, di mano del mio reverendissimo<br />

padre frate Damiano da Bergamo, opere tutte tre eccellentissime;<br />

ma pure a me pare che nella testa di Santo Giovanni il buon<br />

padre, avanzando se medesimo, mostrasse lo estremo e ultimo di<br />

quanto egli sapeva» (p. 2930). Delle due teste si perde notizia a fine<br />

Settecento (g. m. valgimigli, Frate Sabba da Castiglione, Faenza 1870,<br />

p. 17).<br />

264 Sono esplic<strong>it</strong>i, in questo senso, i richiami al Castiglione fatti da<br />

f. lanzoni, La controriforma nella c<strong>it</strong>tà e nella diocesi di Faenza, Faenza<br />

1925 (pp. 11-14, con ulteriore bibliografia).<br />

265 raggio, Vignole c<strong>it</strong>., dà in propos<strong>it</strong>o un’informazione molto<br />

puntuale.<br />

266 Nel 1513, lo stesso anno in cui l’achillini, Viridiario, p. 189,<br />

dedica alcuni versi ai figli di Agostino Marchi («Altri ci son c’han spirto<br />

pellegrino | in legno cose fanno da stupire | Giacobo e i suoi fratei,<br />

que’ d’Augustino | figure e <strong>prospettiva</strong> io non so dire | che vivo et vero<br />

eccedon»), nel coro <strong>della</strong> Cattedrale di Faenza due intarsiatori bolognesi,<br />

Biagio e Taddeo, firmano due tarsie con le teste dei santi Pie-<br />

Storia dell’arte Einaudi 192


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

tro e Paolo: si tratta di un significativo caso d’intesa col p<strong>it</strong>tore che<br />

aveva dato i cartoni (anche nell’esteso ricorso pirografico). Non è<br />

immediato controllare se questo Biagio sia lo stesso Biagio de’ Marchi<br />

che tre decenni dopo lavorò alle tarsie <strong>della</strong> Certosa di Bologna. Nella<br />

loro esecuzione, assieme ad elementi organizzativi derivati dal coro<br />

bolognese del Sacca, entrano ormai veri e propri interventi p<strong>it</strong>torici.<br />

Un repertorio decorativo che ricorda ancora i temi «pompeiani» che<br />

l’Aspertini aveva diffuso nelle Ore Albani, caratterizza invece la parte<br />

intarsiata da Battista Bolognese nel leggio di San Pietro a Perugia, nel<br />

1535-37 (riprodotto da cantelli, Il mobile c<strong>it</strong>., fig. 52).<br />

267 alce, Il coro di San Domenico c<strong>it</strong>., p. 141 (ma già in un precedente<br />

intervento) preferisce riferire direttamente a fra Damiano il pannello;<br />

opinione a cui sostanzialmente si accosta torr<strong>it</strong>i, I «<strong>maestri</strong>» c<strong>it</strong>.,<br />

pp. 89-91. A parte la piú scadente condotta esecutiva, viene da pensare<br />

che a quella data, nel 1540, fra Damiano avrebbe prefer<strong>it</strong>o impiegare<br />

il cartone vignolesco usato per il «quadro» Guicciardini e successivamente,<br />

nel 1536, nella porta di San Pietro a Perugia.<br />

268 L’Annunciazione del coro di San Domenico è riprodotta da alce,<br />

Il Coro di San Domenico c<strong>it</strong>., p. 255. Per la porta di fra Antonio da<br />

Lunigiana ora al Museo di Villa Guinigi si veda Il museo nazionale c<strong>it</strong>.,<br />

fig. 85 (alle pp. 182-83 e 193, le schede di S. Meloni Trkulja). Non mi<br />

è stato possibile rintracciare r. de arimatis, Frate Antonio da Lunigiana<br />

«faber lignarius», Parma 1937.<br />

269 morassi, Brescia c<strong>it</strong>., pp. 257-60; id., Storia di Brescia c<strong>it</strong>., pp.<br />

699-700.<br />

270 g. rosa, Le arti minori dalla metà del sec. XV al 1630, in Storia di<br />

Milano, X, Milano 1957, pp. 830-32; Galeazzo Alessi, catalogo <strong>della</strong><br />

mostra, Genova 1974, pp. 42-43.<br />

271 Cristoforo c<strong>it</strong>., passim; ma rispetto ad affermazioni calibrate come<br />

quella a p. 68, l’impostazione del problema è stata estremizzata in due<br />

successivi interventi: Luchino Bianchino c<strong>it</strong>., e Tarsie e urbanistica c<strong>it</strong>.<br />

272 quintavalle, Tarsie e urbanistica c<strong>it</strong>., pp. 40-46. Nella prima<br />

c<strong>it</strong>azione ho aggiunto il corsivo.<br />

273 supino, I <strong>maestri</strong> d’intaglio c<strong>it</strong>., p. 157. Alcune tarsie di Guido<br />

da Seravallino sono state richiamate in un contesto di storia urbana<br />

nella seconda edizione di e. tolaini, Forma Pisarum, Pisa 1979, p.<br />

198, nota 122.<br />

274 Ripreso in sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>., pp. 42-43.<br />

275 m. caffi, Dei lavori d’intaglio in legname e di tarsia p<strong>it</strong>torica nel<br />

coro <strong>della</strong> Cattedrale di Ferrara (lettera a Giuseppe Campori), in «Indicatore<br />

modenese», 1851, n. 11-12, pp. 4-5 (dell’estratto).<br />

276 Arte e illusione (1960), Torino 1965, pp. 289 e 314, rimandando<br />

comunque a tutta l’impostazione gombrichiana del problema dell’illusione.<br />

Storia dell’arte Einaudi 193


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

277 a. martini, Notizia su Pietro Antoniani, milanese a Napoli, in<br />

«Paragone», xvi, 1965, n. 181, p. 81.<br />

278 puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 59.<br />

279 «Una delle piú alte lezioni dell’Umanesimo brunelleschiano»,<br />

come osserva Tafuri (Teorie e storie dell’arch<strong>it</strong>ettura, Bari 1968, p. 25),<br />

è la «nuova considerazione <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà preesistente come struttura labile<br />

e disponibile [...] pronta a mutare il suo significato globale una volta<br />

alterato l’equilibrio <strong>della</strong> «narrazione continua» romanico-gotica con<br />

l’introduzione di compatti oggetti arch<strong>it</strong>ettonici». Sulla c<strong>it</strong>tà ideale<br />

come razionalizzazione <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà concreta, come nuovo modello perfettibile,<br />

si è ovviamente avuto presente il saggio di e. garin, in Scienza<br />

e v<strong>it</strong>a civile nel Rinascimento <strong>it</strong>aliano, Bari 1972 2 , pp. 33-56.<br />

280 a. tenenti, L’utopia nel Rinascimento (1450-1550), in «Studi<br />

Storici», vii, 1966, n. 4, pp. 689-707, poi in id., Credenze, ideologie,<br />

libertinismi tra Medioevo ed Età moderna, Bologna 1978, pp. 239-60 (in<br />

particolare le affermazioni alle pp. 244 e 252-53). Su questa linea, si<br />

vedano anche le opportune e piú dirette distinzioni che fa g. arbore,<br />

I teorici dell’arch<strong>it</strong>ettura del Quattrocento e il problema <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà, in<br />

«Revue romaine d’histoire de l’art», xv, 1978, pp. 53-76; ma anche g.<br />

simoncini, C<strong>it</strong>tà e società nel Rinascimento, Torino 1974, I, p. 243.<br />

281 A propos<strong>it</strong>o del «compiacimento formalistico sul tema <strong>della</strong> c<strong>it</strong>tà<br />

che viene visualizzata in immagini di assoluta astrazione calligrafica» e<br />

sullo spostamento del m<strong>it</strong>o <strong>della</strong> «c<strong>it</strong>tà ideale», si vedano le pagine finali<br />

dell’intervento di L. Puppi, in Dalla c<strong>it</strong>tà preindustriale alla c<strong>it</strong>tà del<br />

cap<strong>it</strong>alismo, a cura di A. Caracciolo, Bologna 1975, pp. 67-79.<br />

282 garin, Scienza e v<strong>it</strong>a civile c<strong>it</strong>., pp. 49-50.<br />

283 h. baron, La crisi del primo Rinascimento <strong>it</strong>aliano (1966 2 ), Firen-<br />

ze 1970, p. 226.<br />

284 castiglione, Il libro del cortegiano c<strong>it</strong>., pp. 492-93 (il paragone<br />

c<strong>it</strong>ato in precedenza è a p. 475).<br />

285 C<strong>it</strong>ato in f. w. kent, «Piú superba de quella de Lorenzo»: Courtly<br />

and Family Interest in the Building of Filippo Strozzi’s Palace, in<br />

«Renaissance Quarterly», xxx, 1977, n. 3, p. 317, nota 26. A p. 318,<br />

nota 27, sono raccolte alcune indicazioni bibliografiche sul problema<br />

del dilettantismo arch<strong>it</strong>ettonico dei principi. Ma sullo sfondo rimane<br />

il problema <strong>della</strong> comm<strong>it</strong>tenza, cosí come era avvert<strong>it</strong>o fra Quattro e<br />

Cinquecento (e per cui è indicativo m. baxandall, Rudolph Agricola<br />

on patrons efficient and patrons final: a Renaissance discrimination, in<br />

«The Burlington Magazine», luglio 1982, pp. 424-25).<br />

286 c. m. rosemberg, L’addizione erculea di Ferrara, in La strenna<br />

<strong>della</strong> Ferrariae Decus, 1980-1981, pp. 161-74. Per un caso molto esemplificativo<br />

del rapporto fra iniziativa signorile e riconoscimento cortigiano,<br />

in ordine alla c<strong>it</strong>tà, c. baroni, L’arch<strong>it</strong>ettura lombarda da Bramante<br />

al Richini, Milano 1941, pp. 90-95.<br />

Storia dell’arte Einaudi 194


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

287 p. francastel, Imagination et réal<strong>it</strong>é dans l’arch<strong>it</strong>ecture civile du<br />

Quattrocento, in Eventail de l’histoire vivant (Hommage a Lucien Febvre),<br />

Paris 1953, II, p. 198 (il saggio è stato poi ripubblicato nel secondo<br />

volume delle opere di francastel, La réal<strong>it</strong>é figurative, Paris 1965, pp.<br />

269-81).<br />

288 Adatto le parole che Bruschi impiega in riferimento ad un processo<br />

storico di piú lungo periodo, ma che ha accelerazione dopo l’Alberti<br />

e la massima intens<strong>it</strong>à nel momento cronologico detto (Scr<strong>it</strong>ti rinascimentali<br />

c<strong>it</strong>., p. xxvii). Sul tema <strong>della</strong> figurazione p<strong>it</strong>torica dell’arch<strong>it</strong>ettura,<br />

si veda almeno le osservazioni di r. longhi (1916), ora in<br />

Scr<strong>it</strong>ti giovanili, Firenze 1961, pp. 296-97, e di w<strong>it</strong>tkower, Brunelleschi<br />

and Proportion c<strong>it</strong>., pp. 289-91; piú direttamente, in rapporto alle<br />

tarsie, gli interventi di Chastel richiamati nel paragrafo seguente, e<br />

romano, Il coro di San Lorenzo c<strong>it</strong>., pp. 21-22.<br />

289 Sul caso di Piacenza e Parma, nel quadro particolare delle rappresentazioni<br />

di arch<strong>it</strong>ettura, ha insist<strong>it</strong>o anche j. ganz, Arch<strong>it</strong>ekturdarstellungen<br />

aus Intarsien der Renaissance südlich und nördich des Alpes,<br />

in «Österreiches Grenzmarker», ii, 1969, pp. 156-62.<br />

290 Per Muzio Oddi, c<strong>it</strong>o dal suo «parere» sulla cattedrale di Lucca<br />

(che è testo notevole nella storia del restauro arch<strong>it</strong>ettonico), pubblicato<br />

da ridolfi, L’arte a Lucca c<strong>it</strong>., p. 372. Per l’altra c<strong>it</strong>azione, il testo<br />

del 1645 ripreso da baroni, L’arch<strong>it</strong>ettura lombarda c<strong>it</strong>., p. 18.<br />

291 Per il tema dell’arco trionfale, g. r. kernodle, From Art to<br />

Theatre, Chicago-London (1944) 1970, passim (e ad indice) e pp. 226-38<br />

(per le entrate); l. zorzi, Il teatro e la c<strong>it</strong>tà, Torino 1977, pp. 90,<br />

190-91 (nota bibliografica); m. fagiolo, L’Effimero di Stato. Strutture<br />

e archetipi di una c<strong>it</strong>tà d’illusione, in La c<strong>it</strong>tà effimera e l’universo<br />

artificiale del giardino, a cura di M. Fagiolo, Roma 1980, pp. 15-19;<br />

a. m. petrioli tofani, in Il potere e lo spazio. La scena del principe,<br />

catalogo <strong>della</strong> mostra (sezione di Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa<br />

del Cinquecento), Firenze 1980, pp. 343 sgg. Sul tema delle<br />

entrate, si veda inoltre e. konigson, L’espace théâtral médiéval, Paris<br />

1975, pp. 247-64; b. m<strong>it</strong>chell, Italian civic pageantry in the high<br />

Renaissance. A descriptive bibliography of triumphal entries and selected<br />

other festivals for the State occasions, Firenze 1979.<br />

292 Mi lim<strong>it</strong>o a ricordare zorzi, Il teatro c<strong>it</strong>., e f. cruciani, Il teatro<br />

del Campidoglio e le feste romane del 1513, Milano 1969; Vision et organisation<br />

de l’espace dans les fêtes romaines, in j. jacquot e e. konigson,<br />

Les Fêtes de la Renaissance, Paris 1975, III, pp. 219-29 (in versione <strong>it</strong>aliana<br />

in «Biblioteca teatrale», 1972, n. 5, pp. 1-16); Prospettive <strong>della</strong><br />

scena: «Le Bacchidi» del 1513, ivi, 1976, n. 15-16, pp. 57-66.<br />

293 Cfr. v. mariani, Storia <strong>della</strong> scenografia <strong>it</strong>aliana, Firenze 1930,<br />

p. 32; le piú esplic<strong>it</strong>e attenzioni di l. magagnato, Teatri <strong>it</strong>aliani del Cinquecento,<br />

Venezia 1954, p. 38; e l. zorzi, in un saggio del 1964, ripre-<br />

Storia dell’arte Einaudi 195


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

so in appendice a Il teatro c<strong>it</strong>., pp. 309-10 (ma si veda anche a p. 77);<br />

e. povoledo, Origini ed aspetti <strong>della</strong> scenografia in Italia. Dalla fine del<br />

Quattrocento agli intermezzi fiorentini del 1589, in n. pirrotta, Li due<br />

Orfei (1969), Torino 1975, p. 399, nota 21.<br />

294 a. chastel, La grande officina (1965), Milano 1966, pp. 9-23; id.,<br />

Les «vues urbaines» peintes et le théâtre, in «Bollettino del centro internazionale<br />

di studi di arch<strong>it</strong>ettura «Andrea Palladio»», xvi, 1974, pp.<br />

141-42, poi in id., Formes c<strong>it</strong>., pp. 497-503; Les apories de la perspective<br />

c<strong>it</strong>., pp. 59-60. L’articolo di r. krautheimer, The Tragic and Comic<br />

Scene of the Renaissance: the Baltimore and Urbino Panels, in «Gazette<br />

des Beaux-Arts», xxxiii, 1948, pp. 327-48, è ristampato in id., Studies<br />

in early Christian, Medieval, and Renaissance Art, London - New York<br />

1969, pp. 345-59 (con un breve postscr<strong>it</strong>to di risposta alle confutazioni,<br />

ma anche di presa di distanza dalle radicalizzazioni <strong>della</strong> sua proposta).<br />

Per gli sviluppi <strong>della</strong> discussione si veda la bibliografia ragionata<br />

di Conti, Le prospettive c<strong>it</strong>. e l’appos<strong>it</strong>a nota di zorzi, Il teatro c<strong>it</strong>.,<br />

pp. 168-71. In favore <strong>della</strong> proposta di Krautheimer si è ancora di<br />

recente espresso M. Tafuri, in bruschi, Scr<strong>it</strong>ti rinascimentali c<strong>it</strong>., p.<br />

379, nota 1. Sull’argomento, si veda anche a. corboz, Marqueterie,<br />

théâtre et urbanisme dans l’Italie du xv e siècle, in «Arch<strong>it</strong>ectures, Formes,<br />

Fonctions», xi, 1964-65, pp. 93-98.<br />

295 e. povoledo, La sala teatrale a Ferrara: da Pellegrino Prisciani a<br />

Ludovico Ariosto, in «Bollettino del centro internazionale di studi di<br />

arch<strong>it</strong>ettura «Andrea Palladio»», xvi, 1974, p. 121, che è opinione già<br />

precedentemente sostenuta dalla stessa autrice in piú di un’occasione.<br />

Essa è stata messa in discussione da k. neiiendam, Le théâtre de la<br />

Renaissance à Rome, in «Analecta Romana Inst<strong>it</strong>uti Danici», v, 1969,<br />

p. 140; conti, Le prospettive c<strong>it</strong>., pp. 1206-7, nota 14; m. baratto, La<br />

fondazione di un genere (per un’analisi drammaturgica <strong>della</strong> commedia del<br />

Cinquecento), in Il teatro <strong>it</strong>aliano del Rinascimento, a cura di M. de<br />

Panizza Lorch, Milano 1980, pp. 8-9; piú esplic<strong>it</strong>amente è stata respinta<br />

da zorzi, Il teatro c<strong>it</strong>., p. 27, e da cruciani, Prospettive <strong>della</strong> scena<br />

c<strong>it</strong>., p. 60, nota 10.<br />

Zorzi ha giustamente messo in dubbio che il termine <strong>prospettiva</strong><br />

usato da Bernardino Prosperi per descrivere l’apparato ferrarese del<br />

1508 «si riferisca ad un impianto realizzato effettivamente secondo i<br />

canoni <strong>della</strong> regola prospettica» e si è chiesto se non serva piuttosto ad<br />

indicare la «scena di teatro», secondo il lessico divulgato dalle traduzioni<br />

di V<strong>it</strong>ruvio. Personalmente preferirei dare al termine un senso piú<br />

piano, adatto all’occasione non teorica <strong>della</strong> testimonianza: quello di rappresentazione<br />

«p<strong>it</strong>torica» di arch<strong>it</strong>etture (si veda infra: «quadri cum li<br />

casamenti seu prospettive»). Sul p<strong>it</strong>tore responsabile <strong>della</strong> scena, e per<br />

un’ulteriore informazione sull’argomento, a. tempestini, Martino da<br />

Udine detto Pellegrino da San Daniele, Udine 1979, pp. 38-40 e 131-32.<br />

Storia dell’arte Einaudi 196


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

296 vasari, Opere c<strong>it</strong>., IV, p. 596, ma l’uso è del tutto corrente.<br />

297 Su questo punto, che è toccato da un po’ tutta la letteratura sullo<br />

spettacolo rinascimentale, ricordo e. battisti, La visualizzazione <strong>della</strong><br />

scena classica nella commedia Umanistica, in id., Rinascimento e Barocco,<br />

Torino 1960, pp. 98 e 105; c. molinari, Il teatro nella tradizione<br />

v<strong>it</strong>ruviana: da Leon Battista Alberti a Daniele Barbaro, in «Biblioteca teatrale»,<br />

1971, n. 1, pp. 32 e 46; a. pinelli, I teatri, Firenze 1973, p. 6.<br />

298 kernodle, From Art c<strong>it</strong>., p. 176 («Since the perspective street<br />

scene of rows of houses going into a deep center had already been developed<br />

in fifteenth century painting, <strong>it</strong> is surprising that apparently non<br />

perspective scenery was built until the first decade of the sixtheenth<br />

century» [facendo dunque riferimento alla rappresentazione ferrarese<br />

del 1508]).<br />

299 baratto, La fondazione c<strong>it</strong>., p. 9.<br />

300 C<strong>it</strong>o dall’antologia di marotti, Lo spettacolo c<strong>it</strong>., p. 196.<br />

301 Su questo punto mi sembrano molto esplic<strong>it</strong>e le osservazioni di<br />

cruciani, Vision et organisation c<strong>it</strong>., p. 229, e di g. ferroni, Il testo e<br />

la scena. Saggi sul teatro del Cinquecento, Roma 1980, p. 9.<br />

302 marotti, Lo spettacolo c<strong>it</strong>., p. 196.<br />

303 c. molinari, Les rapports entre la scène et les spectateurs dans le<br />

théâtre <strong>it</strong>alien du XVI e siècle, in Le lieu théâtral à la Renaissance, a cura<br />

di J. Jacquot, Paris 1964, pp. 67-68; a. chastel, Cortile et théâtre, ibid.,<br />

p. 44; id., Palladio et l’escalier à double mouvement inversé, in «Bollettino<br />

del centro internazionale di studi di arch<strong>it</strong>ettura «Andrea Palladio»»,<br />

vii, 1965, pp. 18-22, ora raccolto, assieme agli altri interventi<br />

di storia del teatro, in id., Formes c<strong>it</strong>.<br />

304 r. klein e h. zerner, V<strong>it</strong>ruve et le théâtre de la Renaissance, in<br />

Le Lieu c<strong>it</strong>., ora in klein, La forma c<strong>it</strong>., pp. 333-35 (da p. 334 la c<strong>it</strong>azione);<br />

kernodle, From Art c<strong>it</strong>., pp. 188-200 (e ad indice). Per un<br />

accenno esplic<strong>it</strong>o in rapporto alla tarsia, zorzi, Il teatro c<strong>it</strong>., p. 309 (fra<br />

Giovanni da Verona non va però confuso con fra Giovanni Giocondo,<br />

il traduttore di V<strong>it</strong>ruvio).<br />

305 sartori, I cori antichi c<strong>it</strong>., p. 42.<br />

306 puerari, Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 118.<br />

307 sterling, La nature morte c<strong>it</strong>., pp. 30-35; m. rosci, Baschenis Bettera<br />

c<strong>it</strong>., pp. 32-36.<br />

308 Uso un’espressione di e. raimondi, Il romanzo senza idillio, Torino<br />

1974, p. 25, ma volendo riferirmi al senso complessivo <strong>della</strong> sua analisi.<br />

309 Sul ruolo dell’antico ha insist<strong>it</strong>o particolarmente Sterling (ne ha<br />

chiesto invece una zona di deroga per la tarsia lendinaresca puerari,<br />

Le tarsie c<strong>it</strong>., p. 67). L’impostazione qui segu<strong>it</strong>a deriva, ovviamente, da<br />

Gombrich, in maniera piú particolare dalla recensione al libro di Sterling,<br />

in A cavallo di un manico di scopa (1963), Torino 1971, p. 157.<br />

Un richiamo simile fa wh<strong>it</strong>e, Nasc<strong>it</strong>a e rinasc<strong>it</strong>a c<strong>it</strong>., p. 254. Non mi<br />

Storia dell’arte Einaudi 197


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

pare aver considerato queste motivazioni contestuali j. baudrillard,<br />

Il «trompe-l’œil», in «Rivista d’estetica», 1979, n. 3, pp. 1-7, quando<br />

richiama la qual<strong>it</strong>à banale degli oggetti che caratterizzano questo tipo<br />

di figurazione (assolutizzata al punto da includere de plano lo studiolo<br />

di Urbino).<br />

310 g. gruyer, L’Art ferrarais à l’époque des princes d’Este, Paris<br />

1897, II, p. 35. A propos<strong>it</strong>o dei fiori e dei frutti che occupano le bellissime<br />

paraste <strong>della</strong> Sacrestia dei Consorziali, Gianni Romano mi<br />

ricorda la fama di Antonio Lionelli da Crevalcore nel dipingere frutti<br />

(si veda a. venturi, Quadri di Lorenzo di Credi, di Antonio da Crevalcore<br />

e di un discepolo del Francia, in «Archivio storico dell’arte», i,<br />

1888, p. 278, e gombrich, A cavallo c<strong>it</strong>., p. 156).<br />

311 Al del bravo, La dolcezza c<strong>it</strong>., p. 780, «non sembra», invece,<br />

«che in genere i cori intarsiati permettano letture iconogiche. Vi compaiono<br />

infatti oggetti la cui presenza è ammissibile in un luogo sacro<br />

solo per una forte astrazione dai contenuti, come per esempio le scacchiere».<br />

312 Tuttavia, per lo studiolo di Gubbio, si veda il saggio di wintern<strong>it</strong>z,<br />

«Quattrocento». Science c<strong>it</strong>., ried<strong>it</strong>o in id., Musical Instruments<br />

c<strong>it</strong>., pp. 116-19.<br />

313 In Scr<strong>it</strong>ti d’arte c<strong>it</strong>., p. 2931. E sub<strong>it</strong>o dopo, a propos<strong>it</strong>o delle<br />

armi, fa una considerazione che sembra da ricondurre ad una mutata<br />

ideologia nobiliare: «ma ben vorrei che fossero conservate limpide, forb<strong>it</strong>e,<br />

lustri e nette come devono essere le armi d’un gentil cavaliero, e<br />

non rugginose come quelle d’un sbirro».<br />

314 In Scr<strong>it</strong>ti scelti, a cura di A. M. Brizio, Torino 1966 2 , p. 364.<br />

315 De re aedificatoria c<strong>it</strong>., p. 766.<br />

316 In Scr<strong>it</strong>ti d’arte c<strong>it</strong>., p. 2932.<br />

317 Ibid., p. 2919.<br />

318 l. sp<strong>it</strong>zer, L’armonia del mondo (1963), Bologna 1967, pp. 67,<br />

73-76.<br />

319 wintern<strong>it</strong>z, The Importance c<strong>it</strong>. Ma si veda anche il saggio introduttivo<br />

<strong>della</strong> raccolta in cui è ripubblicato: Musical Instruments c<strong>it</strong>., pp.<br />

31 e 39.<br />

320 f. yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica (1964),<br />

Bari-Roma 1981 2 , pp. 334-52, e fig. 13d.<br />

321 p. o. kristeller, La tradizione classica nel pensiero del Rinascimento<br />

(1955), Firenze 1965, p. 82.<br />

322 Sono esplic<strong>it</strong>e, in questo senso, le considerazioni di a. g. debus,<br />

L’uomo e la natura nel Rinascimento (1978), Milano 1982, pp. 88-89.<br />

Piú specificamente (fra i tanti suoi interventi sui rapporti fra musica e<br />

cultura <strong>della</strong> prima età moderna), d. p. walker, Kleper’s Celestian<br />

Music, in «Journal of the Warburg and Courtauld Inst<strong>it</strong>utes», xxx,<br />

1977, pp. 228-50.<br />

Storia dell’arte Einaudi 198


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

323 g. reese, Musical Compos<strong>it</strong>ions in Renaissance Intarsia, in Medieval<br />

and Renaissance Studies, a cura di J. L. Lievsay, II, Durham 1966,<br />

pp. 74-97; b. disertori, Prime versioni a tre voci <strong>della</strong> canzone «J’ay prius<br />

amours» [studiolo di Urbino], «Rivista studi trentini di scienze storiche»,<br />

1958, poi in id., La musica nei quadri antichi, Calliano (Trento)<br />

1978, p. 44; j. van benthem, Einige Musikintarsien des Frühen 16.<br />

Jahrhunderts in Piacenza und Josquins Proportionskanon «Agnus Dei», in<br />

«Tijdschrift van de Vereniging voor Nederlandes Muziekgeschedenis»,<br />

xxiv, 1974, pp. 97-98.<br />

324 È significativa, nel suo contesto, la c<strong>it</strong>azione di un pannello del<br />

coro di Monte Oliveto fatta da a. tenenti, Il senso <strong>della</strong> morte e l’amore<br />

<strong>della</strong> v<strong>it</strong>a nel Rinascimento, Torino 1957, p. 462.<br />

325 Le scr<strong>it</strong>te cancellate nel 1571 «apparebant sculpta, sive in ligno<br />

incisa super tribus vasculis in ligno incisis infrascripta verba videlicet.<br />

In primo ex dictis vasculis. De Umbra Asini Domini Nostri. In secundo.<br />

De pedibus ascensionis Beatae Virginis. In tertio de reliquiis Sanctissimae<br />

Trin<strong>it</strong>atis» (rossi, Maestri e lavori c<strong>it</strong>., pp. 356-57). La ragione<br />

di queste scr<strong>it</strong>te andrà sicuramente motivata meglio, e piú da vicino.<br />

Ma, certo, non saranno dovute all’iniziativa personale di Sebastiano<br />

Bencivenni («spir<strong>it</strong>o bizzarro e burlesco», vorrebbe dedurne nessi, Bencivenni<br />

c<strong>it</strong>., p. 218).<br />

326 pacioli, Summa c<strong>it</strong>., cc. 2r e 2v.<br />

327 g. preti, Retorica e logica, Torino 1968, p. 146.<br />

328 «Spir<strong>it</strong>o nuovo» è espressione usata da gille, Leonardo c<strong>it</strong>., p.<br />

120, in una pagina dove si osserva anche che «le macchine <strong>it</strong>aliane [...]<br />

sembrano nell’insieme meglio concep<strong>it</strong>e, forse sono soltanto meglio<br />

disegnate, in un’epoca e in un paese in cui le questioni di <strong>prospettiva</strong><br />

acquistano una singolare importanza».<br />

329 vasari, Opere c<strong>it</strong>., II, p. 652. Sulla sua attiv<strong>it</strong>à danubiana, j.<br />

balogh, Mattia Corvino e il primo Rinascimento ungherese, in Evolution<br />

générale c<strong>it</strong>., pp. 615, 619.<br />

330 vasari, Opere c<strong>it</strong>., IV, p. 20. Il riferimento agli storici dell’arte<br />

«impreparati» davanti all’opera di Leonardo è tolto da romano, Studi<br />

c<strong>it</strong>., p. 49.<br />

331 Per Leonardo, s. a. bedini e l. reti, Leonardo e l’orologeria, in<br />

Leonardo, a cura di L. Reti, Milano 1974, pp. 240-63. Per Brunelleschi,<br />

manetti, V<strong>it</strong>a c<strong>it</strong>., p. 66: seguendo il testo stabil<strong>it</strong>o da De Robertis,<br />

si legge «mole»; ma si tenga presente che la lettura alternativa –<br />

«molle» – provoca tutt’altra valutazione per quanto riguarda la storia<br />

<strong>della</strong> tecnologia (f. d. prager, Brunelleschi’s Clock?, in «Phisis», x,<br />

1968, pp. 203-16; bedini e reti, Leonardo c<strong>it</strong>., p. 252).<br />

332 Sul rapporto fra «macchinismo» medievale e amb<strong>it</strong>o monastico,<br />

j. le goff, in Tempo <strong>della</strong> Chiesa e tempo del mercante, Torino 1977,<br />

p. 84 (sullo sfondo m. bloch, Lavoro e tecnica nel Medioevo, Roma-Bari<br />

Storia dell’arte Einaudi 199


Massimo Ferretti - I <strong>maestri</strong> <strong>della</strong> <strong>prospettiva</strong><br />

1969 2 , pp. 73-110). Per i contributi tecnologici degli ordini monastici,<br />

si veda, ad esempio, j. gimpel, La révolution industrielle du Moyen Âge,<br />

Paris 1975, pp. 42, 66, 220. Sui mulini in particolare, si veda, fra gli<br />

altri, l. mumford, Tecnica e cultura (1934), Milano 1961, pp. 134 e<br />

158; a. c. crombie, Da Sant’Agostino a Galileo (1952), Milano 1970,<br />

pp. 171-72; f. braudel, Cap<strong>it</strong>alismo e civiltà materiale (secoli<br />

XV-XVIII), pp. 266-69. Di un mulino parla V<strong>it</strong>ruvio (libro X): ciò comportò,<br />

nelle edizioni cinquecentesche, interessanti incontri fra visualizzazione<br />

moderna e meccanica classica (l. wh<strong>it</strong>e jr, Tecnica e società<br />

nel Medioevo (1962), Milano 1967, p. 147: «Il mulino di V<strong>it</strong>ruvio è<br />

la prima grande conquista nella progettazione di un meccanismo ad<br />

alimentazione continua»).<br />

333 Su questa difficoltà terminologica, h. alan lloyd, Antichi orologi<br />

(1964), Firenze 1969, p. 24. Del medesimo autore si veda il cap<strong>it</strong>olo<br />

Misuratori meccanici del tempo, in c. singer, e. j. holmyard, a. r.<br />

hall e t. i. williams, Storia <strong>della</strong> tecnologia, III, Torino 1963, pp.<br />

655-82. Sullo sfondo <strong>della</strong> v<strong>it</strong>a economica, l’avvento tecnologico dell’orologio<br />

è stato studiato da c. m. cipolla, Le macchine del tempo<br />

(1967), Bologna 1981. Cfr. inoltre a. simoni, Orologi <strong>it</strong>aliani, Milano<br />

1956.<br />

334 Per Jean de Berry, j. von schlosser, Tesori d’arte e di meraviglie<br />

(1908), Firenze 1974, p. 47 (ma si veda anche a p. 68, per Ferdinando<br />

del Tirolo). Per Lorenzo de’ Medici, e. müntz, Les collections des<br />

Médicis au XV e siècle, Paris-London 1888, p. 75. Per l’ambiente milanese,<br />

f. malaguzzi valeri, Arte gaia, Bologna 1926, pp. 70-71. Sugli<br />

orologi privati («fiunt etiam ex aere parvula sed privata», ricorda Grapaldo),<br />

cipolla, Le macchine c<strong>it</strong>., pp. 30-35.<br />

335 grapaldo, De partibus aedium c<strong>it</strong>., c. 100r.<br />

336 Su questo fatto sono molto esplic<strong>it</strong>e le pagine di mumford, Tecnica<br />

c<strong>it</strong>., pp. 95-98, 138-40, e di braudel, Cap<strong>it</strong>alismo c<strong>it</strong>., pp. 273-75.<br />

337 m. brusatin, La macchina come soggetto d’arte, in Storia d’Italia<br />

Einaudi. Annali 3, Torino 1980, pp. 31-77.<br />

338 Si veda, ad esempio, l’elenco degli attrezzi che nel 1496, a Perugia,<br />

furono acquistati da Bernardino di Lazzero (rossi, Maestri e lavori<br />

c<strong>it</strong>., pp. 103-4).<br />

339 a. r. hall e m. boas hall, Storia <strong>della</strong> scienza (1964), Bologna<br />

1979, p. 103 («Nel xv secolo l’Europa era tecnologicamente superiore<br />

a tutte le altre regioni del globo, salvo che in certe arti, come quella<br />

<strong>della</strong> porcellana»); in termini simili, si esprime wh<strong>it</strong>e, Tecnica c<strong>it</strong>.,<br />

p. 187.<br />

340 gille, Leonardo c<strong>it</strong>., p. 147. La crisi del rapporto arte-scienza<br />

nella coscienza cinquecentesca è uno dei temi che percorrono il libro<br />

di m. tafuri, L’arch<strong>it</strong>ettura del Manierismo nel Cinquecento europeo,<br />

Roma 1966.<br />

Storia dell’arte Einaudi 200

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