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Lo studio delle cellule tumorali circolanti: dalla sfida ... - Enea

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Poste Italiane S.p.A. - Sped. in Abb. Postale - D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 com. 1 - DCB - Roma<br />

Vol. 20, Num. 2<br />

P e r i o d i c o d e l l a S o c i e t à I t a l i a n a d i C i t o m e t r i a<br />

<strong>Lo</strong> <strong>studio</strong> <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> <strong>tumorali</strong> <strong>circolanti</strong>: <strong>dalla</strong> <strong>sfida</strong><br />

tecnologica alle possibili ricadute cliniche<br />

Caratterizzazione citometrica <strong>delle</strong> lamine nucleari<br />

in <strong>cellule</strong> di neuroblastoma umano<br />

Autofagia e stress ossidativo nella malattia di<br />

Niemann-Pick: valutazione..... mediante citometria a flusso<br />

Applicazione della Citometria a flusso nella diagnosi<br />

<strong>delle</strong> sindromi mielodisplastiche<br />

Agosto 2011


Vol. 20, Num. 2<br />

DIRETTORE RESPONSABILE<br />

Raffaele De Vita<br />

COMITATO EDITORIALE<br />

Marco Danova<br />

Dipartimento di Medicina Interna<br />

Sezione di Medicina Interna<br />

ed Oncologia Medica<br />

Università e I.R.C.C.S. - Policlinico S. Matteo<br />

Pavia<br />

Raffaele De Vita<br />

Unità Biologia <strong>delle</strong> Radiazioni e Salute dell’Uomo<br />

ENEA - Centro Ricerche Casaccia<br />

Roma<br />

Eugenio Erba<br />

Istituto Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”<br />

Milano<br />

Giuseppe Starace<br />

Istituto Medicina Sperimentale CNR<br />

Roma<br />

Volume 20, numero 2 Agosto 2011<br />

Lettere GIC<br />

Periodico della Società Italiana di Citometria<br />

Autorizz. del trib. di Roma n° 512/92 del 17/9/92<br />

Edizione quadrimestrale<br />

Spedizione in abbonamento postale<br />

Grafica: Renato Cafieri<br />

Stampa e Pubblicità:<br />

Redazione:<br />

Società<br />

Italiana di<br />

Citometria<br />

c/o Unità Biologia <strong>delle</strong> Radiazioni e<br />

Salute dell’Uomo<br />

ENEA Centro Ricerche Casaccia, s.p. 016<br />

Via Anguillarese, 301 - 00123 ROMA<br />

06/30484671 Fax 06/30484891<br />

e-mail: devita@enea.it<br />

http://biotec.casaccia.enea.it/GIC/<br />

Associato alla<br />

Unione Stampa<br />

Periodica Italiana<br />

Periodico della Società Italiana di Citometria<br />

SOMMARIO<br />

In copertina: dal lavoro “Autofagia e stress ossidativo nella<br />

malattia di Niemann-Pick: valutazione dell’induzione di autofagia<br />

nella risposta di linfociti b asmasi-/- allo stress ossidativo<br />

mediante citometria a flusso” E. Cesarini, B. Canonico, M.<br />

Arcangeletti, L. Galli, S. Papa, F. Palma and F. Luchetti. Le<br />

immagini di microscopia a fluorescenza mostrano l’uptake del<br />

marcatore vescicolare arancio di acridina (AO) in <strong>cellule</strong> di<br />

controllo, irradiate UVB per 10’, trattate con l’inibitore autofagico<br />

nocodazolo (NZ) e con nocodazolo + UVB (NZ+UV10’).<br />

Agosto 2011<br />

<strong>Lo</strong> <strong>studio</strong> <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> <strong>tumorali</strong> <strong>circolanti</strong>: <strong>dalla</strong><br />

<strong>sfida</strong> tecnologica alle possibili ricadute cliniche 7<br />

M. Torchio, G. Mazzini, M. Danova<br />

Caratterizzazione citometrica <strong>delle</strong> lamine nucleari<br />

in <strong>cellule</strong> di neuroblastoma umano 13<br />

G. Maresca e I. D’Agnano<br />

Autofagia e stress ossidativo nella malattia di<br />

Niemann-Pick: valutazione..... mediante citometria<br />

a flusso 23<br />

E. Cesarini, B. Canonico, M. Arcangeletti, L. Galli, S. Papa, F. Palma<br />

and F. Luchetti<br />

Applicazione della Citometria a flusso nella<br />

diagnosi <strong>delle</strong> sindromi mielodisplastiche 29<br />

C. Picone, F. Lanza, L. Del Vecchio, M.G. Della Porta<br />

Viaggiando per convegni 37<br />

a cura del “Viaggiatore”<br />

Lettere GIC Vol. 19, Num. 2 - Agosto 2010 SOMMARIO 5


<strong>Lo</strong> <strong>studio</strong> <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> <strong>tumorali</strong> <strong>circolanti</strong>: <strong>dalla</strong> <strong>sfida</strong><br />

tecnologica alle possibili ricadute cliniche<br />

M. Torchio 1, G. Mazzini 2, M. Danova 1<br />

1Unità Operativa di Medicina Interna ed Oncologia Medica, Ospedale Civile di Vigevano,<br />

Azienda Ospedaliera di Pavia.<br />

2Istituto di Genetica Molecolare C.N.R. Sez. Istochimica & Citometria;<br />

Dipartimento di Biologia Animale, Università degli Studi di Pavia.<br />

Introduzione<br />

Negli anni recenti, numerosi studi in ambito oncologico<br />

si sono concentrati sull’identificazione di quelli che vengono<br />

oggi definiti “biomarcatori”, intesi come distinti<br />

indicatori biologici capaci di verificare la presenza o<br />

l’estensione di un tumore (prima, durante e dopo una<br />

terapia) di valutarne l’aggressività biologica e di stimare<br />

la probabilità di risposta del tumore a determinati tipi di<br />

trattamento (1). Alcuni di questi studi si sono inizialmente<br />

rivelati molto promettenti ma va considerato che successive<br />

sperimentazioni hanno spesso dimostrato come i<br />

risultati non fossero in linea con le osservazioni iniziali e<br />

conducessero a conclusioni inconsistenti sul piano di una<br />

reale applicabilità in clinica.<br />

In questo ambito di studi, svariati Autori si sono focalizzati<br />

sull’analisi <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> <strong>tumorali</strong> disseminate nel<br />

midollo osseo e sulle <strong>cellule</strong> <strong>tumorali</strong> <strong>circolanti</strong> (CTCs)<br />

nel sangue periferico di pazienti con neoplasie maligne<br />

di origine epiteliale (2). La maggior facilità di prelievo di<br />

un campione di sangue rispetto ad uno di midollo osseo,<br />

ha ovviamente dato un forte impulso alla diffusione degli<br />

studi basati su questo materiale, con l’obiettivo di identificarne<br />

un potenziale ruolo di indicatore prognostico e<br />

terapeutico.<br />

Queste <strong>cellule</strong> sono presenti nella circolazione sanguigna<br />

di molti pazienti affetti da differenti tipi di tumore solido,<br />

il loro numero è estremamente basso e sono costituite<br />

da una popolazione nel complesso molto eterogenea<br />

con caratteristiche biologiche e molecolari spesso diverse<br />

rispetto a quelle della lesione neoplastica primitiva. La<br />

determinazione <strong>delle</strong> CTCs potrebbe da una parte fornire<br />

informazioni utili per selezionare pazienti candidati a<br />

specifici trattamenti a finalità adiuvante o della fase<br />

avanzata di malattia e monitorarne la risposta, dall’altra<br />

fornire una caratterizzazione molecolare del potenziale<br />

metastatico <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> <strong>tumorali</strong>, contribuendo in tal<br />

modo anche ad identificare nuovi potenziali bersagli<br />

terapeutici.<br />

Lettere GIC Vol. 19, Num. 2 - Agosto 2010<br />

e-mail: onco.vigevano@gmail.com<br />

Storicamente, le CTCs sono sempre state considerate<br />

molto difficili da isolare e sono stati ottenuti risultati<br />

discordanti con le diverse metodologie d’identificazione di<br />

volta in volta impiegate. Anche se negli anni recenti sono<br />

stati messi a punto svariati metodi sia di tipo immunocitochimico<br />

che di tipo molecolare, isolare e quantificare in<br />

modo standardizzato, così come caratterizzare sul piano<br />

molecolare le CTCs rappresenta ancora tutt’oggi una vera<br />

e propria <strong>sfida</strong> sul piano tecnico-metodologico (3).<br />

Essendo definiti come “eventi rari”, tali <strong>cellule</strong> devono<br />

inizialmente essere sottoposte a processi di arricchimento<br />

e di separazione pre-analitica che lasciano successivamente<br />

spazio alla possibilità di eseguire ulteriori caratterizzazioni<br />

molecolari.<br />

Tecniche di arricchimento<br />

Le tecniche di arricchimento hanno l’obiettivo di separare<br />

le CTCs dalle restanti <strong>cellule</strong> ematiche sfruttando le<br />

caratteristiche fisiche <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> (4): a) la diversità di<br />

densità, utilizzando kit a densità di gradiente liquido<br />

(come le metodiche Ficoll, Lymphoprep, OncoQuick ® )<br />

(5,6) e b) le differenti dimensioni cellulari, impiegando<br />

dei filtri- membrane porose attraverso le quali viene<br />

fatto passare il campione ematico ad una velocità costante<br />

con flusso laminare (7). Due evoluzioni di quest’ultimo<br />

dispositivo sono rappresentate da una microfiltrazione<br />

tridimensionale (8,9). Un metodo più recente si basa<br />

sull’arricchimento immunomagnetico, che sfrutta<br />

l’espressione di specifici markers sulla superficie cellulare<br />

(10). Il suo primo limite è la difficoltà di individuare<br />

antigeni espressi anche sulle membrane cellulari <strong>delle</strong><br />

altre popolazioni presenti nel sangue umano.<br />

Generalmente vengono impiegati anticorpi diretti contro<br />

citocheratine, EPCAM e BerEP4: l’espressione aspecifica<br />

di alcuni antigeni, quali le citocheratine 8 (CK8), 18 e<br />

19 in <strong>cellule</strong> normali di origine epiteliale può condurre a<br />

falsi-positivi. La ricerca di antigeni maggiormente specifici<br />

ha portato a testare marcatori organo-relati come<br />

ATTIVITÀ SCIENTIFICA<br />

7


8<br />

l‘Antigene Prostatico Specifico (PSA), l’Antigene<br />

Carcinoembrionario (CEA), ed il recettore per il fattore<br />

di crescita epidermoidale 2 (EGFR2/HER2).<br />

L’arricchimento basato su metodiche immunomagnetiche<br />

può a sua volta essere integrato con metodiche<br />

quali la RT-PCR, la FISH, la citometria a flusso (CF) o<br />

la image-cytometry.<br />

Tecniche di analisi<br />

CellSearch®- CellSearch® è un sistema automatizzato<br />

di arricchimento ed analisi immunocitochimica <strong>delle</strong><br />

CTCs (11). Sviluppato da Immunicon Corporation e<br />

Veridex, è l’unico che ad oggi ha ottenuto l’approvazione<br />

della U.S.” Food and Drug Administration” per la ricerca<br />

di CTCs nelle neoplasie mammaria, prostatica e colorettale<br />

in fase avanzata (12). Questa tecnologia si basa<br />

sulla combinazione della metodica immunomagnetica e<br />

della microscopia digitale automatizzata. Il processo<br />

d’identificazione <strong>delle</strong> CTCs sfrutta il loro riconoscimento<br />

tramite il legame con un anticorpo diretto contro<br />

una molecola di adesione della cellula epiteliale,<br />

EPCAM, frequentemente sovraespressa nei carcinomi<br />

mammario, prostatico, colo-rettale, testa-collo ma assente<br />

nelle <strong>cellule</strong> del sangue. Gli anticorpi diretti contro<br />

EPCAM sono coniugati con ferrofluid ed una volta che<br />

le CTCs si legano a questi anticorpi, un potente magnete<br />

le “estrae” dal sangue. Per completare la selezione, le<br />

<strong>cellule</strong> devono essere positive per l’espressione <strong>delle</strong><br />

CK, positive per il 4’,6-diamidino-2-fenindolo, DAPI e<br />

negative per l’espressione di CD45.Le CTCs devono<br />

anche possedere caratteristiche di malignità citologica<br />

ovvero grandi dimensioni, nuclei ipercromatici ed evidenti,<br />

nucleoli prominenti (11,13).<br />

Il limite principale della strategia utilizzata è rappresentato<br />

<strong>dalla</strong> fase di arricchimento basata sull’anticorpo<br />

anti-EPCAM. Diversi Autori hanno evidenziato<br />

un’espressione eterogenea di EPCAM nel carcinoma<br />

mammario ed una alterata regolazione a livello molecolare<br />

di EPCAM è stata suggerita quale possibile causa di<br />

disseminazione <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> <strong>tumorali</strong> nel midollo osseo<br />

e nel sangue periferico. A questo proposito è stato ipotizzato<br />

che una sotto-valutazione nella rilevazione <strong>delle</strong><br />

CTCs, utilizzando i sistemi basati su EPCAM, sia correlata<br />

con una minor espressione di questa molecola di<br />

adesione nel carcinoma mammario “normal-like”, sottotipo<br />

tumorale identificato attraverso il profilo<br />

d’espressione genica con caratteristiche di particolare<br />

aggressività (14).<br />

Recentemente, è stato riportato come l’aggiunta di<br />

CD146 (un marcatore specifico per le <strong>cellule</strong> carcinomatose<br />

mammarie prive dell’espressione di EPCAM e che<br />

può essere evidenziato con anticorpo anti-CD146 coniugato<br />

a ferrofluid) possa fungere da marcatore nella rilevazione<br />

<strong>delle</strong> CTCs EPCAM negative, con la medesima<br />

rilevanza clinica <strong>delle</strong> sole CTCs EPCAM positive nel<br />

selezionare pazienti con cattiva prognosi (15). Sono in<br />

corso anche studi volti a testare nuovi marcatori genici<br />

per le CTCs (16).<br />

Citometria a Flusso- E’ una tecnica analitica importante<br />

in quanto è in grado di analizzare migliaia di <strong>cellule</strong> in<br />

un campione di volume ridotto, in un tempo rapido e con<br />

la possibilità di valutare contemporaneamente differenti<br />

parametri cellulari. Nata inizialmente per lo <strong>studio</strong> del<br />

DNA, ha successivamente trovato applicazione nello<br />

<strong>studio</strong> del ciclo cellulare: negli ultimi anni è stata impiegata<br />

nell’analisi e nella conta dei cosiddetti “eventi rari”.<br />

Uno dei maggiori punti di forza della CF rimane la sua<br />

capacità di raccogliere più informazioni <strong>dalla</strong> stessa cellula<br />

all’interno di un campione eterogeneo. Questa tecnologia<br />

analitica non è stata sviluppata per contare le <strong>cellule</strong><br />

ma per analizzare la loro distribuzione in riferimento<br />

a vari parametri supportati sia da variabili fisiche che<br />

dall’emissione di fluorescenza indotta <strong>dalla</strong> presenza di<br />

legami specifici (17). Inoltre, è importante ricordare che<br />

la CF generalmente non fornisce un valore assoluto degli<br />

eventi analizzati ma una stima, un valore relativo, dovuto<br />

anche al fatto che il campione iniziale viene notevolmente<br />

diluito dal “liquido di trascinamento” durante<br />

l’analisi.<br />

La principale limitazione della CF è la perdita del campione<br />

al termine dell’analisi stessa. Le <strong>cellule</strong> vengono<br />

infatti eliminate insieme al liquido di trascinamento e<br />

quindi non possono essere utilizzate per test successivi. I<br />

dati vengono registrati in un database e rappresentati<br />

sotto forma di istogrammi e grafici. In pratica, nel caso<br />

di un numero veramente ridotto di <strong>cellule</strong> analizzate,<br />

esse appaiono come clusters di pochi punti sul grafico, la<br />

cui identificazione non può essere confermata. Questo<br />

limite può essere in parte superato combinando la CF<br />

convenzionale con le tecniche d’immagine: un esempio<br />

di tale combinazione è rappresentato <strong>dalla</strong> metodica<br />

ImageStream® (18). Nonostante alcuni limiti , la CF<br />

rimane una metodica importante nell’analisi e nella<br />

conta <strong>delle</strong> CTCs, anche se ad oggi non del tutto standardizzata<br />

(19-23). Un’evoluzione della CF è una strumentazione<br />

caratterizzata dallo stesso principio di funzionamento<br />

ma realizzato in “scala miniaturizzata” ovvero<br />

all’interno di un “microchip di silicio” dedicato o alla<br />

“gestione” di piccoli volumi di campione ( a valle di un<br />

procedimento di pre-arricchimento) (24).<br />

Metodiche “image-based” - La morfologia gioca un<br />

ruolo unico nella classificazione e nell’analisi <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong>,<br />

ruolo peraltro confermato sia in campo biologico<br />

che in campo clinico a partire dallo scorso secolo.<br />

L’avvento dei marcatori fluorescenti ha fornito un importante<br />

contributo alla microscopia incrementandone la<br />

sensibilità, e la capacità di rilevare l’espressione di marcatori<br />

biologici che consentano di differenziare la cellula<br />

normale da quella maligna. Nel tempo, i miglioramenti<br />

tecnologici ottenuti nel campo <strong>delle</strong> sorgenti di luce<br />

ATTIVITÀ SCIENTIFICA Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011


(laser, power LEDs) e la sempre maggiore automazione<br />

hanno indiscutibilmente reso la microscopia a fluorescenza<br />

uno strumento fondamentale in specifiche aree<br />

della biomedicina, dove morfologia e sensibilità giocano<br />

un ruolo cruciale (25). Con l’avvento della CF alcune<br />

problematiche ed alcuni limiti della microscopia nell’analisi<br />

di routine sono stati superati (per esempio nell’immunofenotipo)<br />

ma dall’altro lato, è nata una sorta di<br />

competizione tra le due metodiche e parallelamente sono<br />

stati fatti degli sforzi nel tentativo di combinare i due<br />

strumenti proprio per analizzare gli “eventi rari” (18).<br />

Svariate tecnologie basate sull’immunofluorescenza<br />

sono state recentemente impiegate per migliorare la<br />

soglia di rilevazione, sfruttando l’introduzione di dispositivi<br />

di scansione automatizzati, come la scansione a<br />

fibre ottiche ed il citometro a scansione laser (MAIN-<br />

TRAC®) (26). Questo tipo di approccio combinato ha<br />

consentito di raggiungere una misurazione ed una visualizzazione<br />

più precise, con una maggiore flessibilità che<br />

facilita la conta <strong>delle</strong> CTCs, riducendo la variabilità<br />

intra-operatore.<br />

Approcci analitici basati sulla biologia molecolare -<br />

Vengono considerate analisi molecolari tutte le tecnologie<br />

basate sulla RT-PCR: esse si sono dimostrate preziose nel<br />

rendere possibile una distinzione <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> sulla base<br />

del loro differente profilo d’espressione genica. Poiché il<br />

DNA “libero” nel torrente ematico può generare dei risultati<br />

falsamente positivi, si preferisce come bersaglio della<br />

metodica PCR l’mRNA (27,28): questo gruppo di metodiche<br />

sfrutta l’espressione di alcuni geni tumore-relati o di<br />

alcuni antigeni epiteliali presenti sulle CTCs (29-31).<br />

Rispetto alle tecniche basate sul profilo proteico, la RT-<br />

PCR è più sensibile nel rilevare marcatori molecolari<br />

tumore-specifici, ed offre una più alta specificità (32). I<br />

limiti di questo tipo di approccio metodologico sono la<br />

problematica connessa alla scelta del marcatore, la possibilità<br />

di ottenere falsi positivi a causa della contaminazione<br />

da parte di acidi nucleici non tumore-specifici (33) e la<br />

necessità di lisare le <strong>cellule</strong>, che preclude ogni possibile<br />

eventuale analisi successiva sulle CTCs (EPISPOT,<br />

AdnaTest®, Telomescan®) (34-36).<br />

Microchips - Ricerche recenti hanno sviluppato numerosi<br />

e differenti esempi di dispositivi “microfluidici”<br />

direttamente realizzati in “chip” di silicio finalizzati ad<br />

una accurata gestione di sospensioni cellulari quali il<br />

sangue periferico intero, Nagrath e Colleghi hanno brevettato<br />

il “CTC-chip”, ovvero un dispositivo microfluidico<br />

che consente di processare direttamente il sangue<br />

intero: il campione ematico viene fatto scorrere in condizioni<br />

di flusso laminare controllato attraverso una griglia<br />

di micropunte, le cui pareti sono rivestite di anticorpi<br />

anti-EPCAM (37). <strong>Lo</strong> stesso gruppo ha recentemente<br />

presentato una evoluzione di tale dispositivo,<br />

“l’Herringbone-chip (HB-Chip)”, rappresentato sempre<br />

Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011<br />

da un microchip con un nuovo disegno (definito a “lisca<br />

di pesce”), che, rispetto al precedente, è in grado di<br />

generare dei microvortici che aumentano il numero<br />

d’interazioni tra le <strong>cellule</strong> e la superficie del dispositivo<br />

stesso al quale si trovano adesi gli anticorpi specifici<br />

(38). Vi sono infine tecnologie emergenti come il<br />

DEPArray®, basato sempre su microchip di silicio in<br />

grado di separare sottopopolazioni cellulari sfruttando le<br />

cariche elettriche superficiali. Questa metodica è molto<br />

sensibile, ma deve tuttavia essere ancora validata sul<br />

piano clinico mediante l‘esecuzione di trials clinici<br />

opportunamente disegnati in campo oncologico.<br />

Micro-Count® - Recentemente, il nostro gruppo ha sviluppato<br />

un approccio semplice ed innovativo per<br />

l’arricchimento immunomagnetico <strong>delle</strong> CTCs dal sangue<br />

periferico, e la loro cattura finale al centro di un<br />

vetrino, adatto all’analisi microscopica convenzionale<br />

(39). Questo dispositivo, denominato Micro-Count®,<br />

associa alla tecnica immunomagnetica i vantaggi della<br />

microscopia. Poche centinaia di <strong>cellule</strong> separate e concentrate<br />

in una piccola area del vetrino offrono varie possibilità<br />

di analisi: a) possono essere contate direttamente,<br />

in contrasto di fase per la prima quantificazione, b) la<br />

loro vitalità è rapidamente saggiata in campo chiaro (via<br />

Trypan Blue) o in fluorescenza (via Ioduro di Propidio,<br />

c) possono essere trasferite in una provetta per successivi<br />

studi di biologia molecolare, d) possono essere sottoposte<br />

ad analisi morfologiche d’espressione mediante<br />

marcatori immunofluorescenti specifici ed un’osservazione<br />

ad alto ingrandimento (100X). Il dispositivo è<br />

costituito da una piastra alloggiante potenti magneti al<br />

neodimio intercambiabili, che si interfacciano con i<br />

“fondi” dei pozzetti della piastra multi-pozzetto standard<br />

(da sei pozzetti) con cui il dispositivo funziona. Si può<br />

lavorare con pozzetti normali per catturare e lavare le<br />

<strong>cellule</strong> arricchite al fondo dei pozzetti, per poi recuperarle<br />

con una pipetta e trasferirle altrove, ad esempio per<br />

analisi di biologia molecolare. In alternativa, o meglio in<br />

parallelo, si possono usare pozzetti con vetrino copri<br />

oggetto quadrato posto al fondo per ottenere le <strong>cellule</strong><br />

direttamente pronte per l’analisi al microscopio di cui si<br />

è detto più sopra. In questo modo le <strong>cellule</strong> sono trattate<br />

in modo meno invasivo rispetto ai sistemi “in colonna”<br />

con il risultato di un danno minore alla loro vitalità.<br />

“Lab-on-chip” - L’esperienza acquisita nelle ricerche di<br />

“micro-fluidica” è oggi ulteriormente implementata nei<br />

dispositivi cosiddetti “lab-on-chips”. In linea di massima,<br />

queste nuove tecniche si confrontano con la necessità di<br />

minimizzare il danno indotto alle CTCs durante la preparazione,<br />

l’analisi e la separazione, con la capacità di ridurre<br />

l’interferenza con tutte le altre popolazioni cellulari presenti<br />

nel campione e nel contempo di massimizzare il “segnale”<br />

ottenuto dalle <strong>cellule</strong> bersaglio. Anche con approcci tecnologici<br />

differenti questi “dispositivi” hanno in comune il<br />

ATTIVITÀ SCIENTIFICA<br />

9


10<br />

“tentativo” di rilevare le <strong>cellule</strong> d’interesse procurando loro<br />

il minor grado di stress e rendendole disponibili per<br />

l’esecuzione di analisi successive (40).<br />

Applicazioni cliniche in oncologia<br />

Tumori in stadio iniziale – L’estrema eterogeneità<br />

tumorale fa sì che nell’ambito della lesione in stadio precoce,<br />

la decisione clinica sia frutto di un algoritmo diagnostico<br />

ad oggi basato sull’impiego di indicatori prognostici<br />

codificati e considerati “convenzionali” (come<br />

le dimensioni <strong>tumorali</strong>, il grado di differenziazione e lo<br />

status di HER2). Questi parametri forniscono informazioni<br />

aggiuntive al clinico ma non sono del tutto in grado<br />

di consentire un’accurata predizione dell’outcome, ovvero<br />

la prognosi, del paziente.<br />

Questa incertezza nel predire il decorso della malattia si<br />

può tradurre in un sotto- o sovra-trattamento: alcuni<br />

pazienti, che necessiterebbero di una terapia sistemica<br />

per curare la malattia metastatica non rilevabile, non<br />

ricevono il trattamento, mentre altri, che sono stati curati<br />

con successo attraverso un approccio locale (chirurgico<br />

e radioterapico), e non richiedono una terapia sistemica,<br />

vengono esposti inutilmente ad effetti tossici collaterali.<br />

Inoltre, si manifesta il bisogno di sviluppare strumenti<br />

che possano rivelarsi utili nel predire accuratamente<br />

ed in modo personalizzato la prognosi.<br />

Alcuni studi hanno dimostrato come le CTCs possono<br />

essere osservate nel 20-54% dei pazienti con neoplasia<br />

mammaria in stadio precoce utilizzando la metodologia<br />

PCR basata su saggi per CK19 e nel 10% attraverso il<br />

sistema CellSearch®. In alcuni casi questo può essere<br />

correlato con un peggior outcome sia in termini di<br />

sopravvivenza libera da progressione (progression free<br />

survival PFS) che di sopravvivenza globale (overall survival<br />

OS), indipendentemente dallo stato linfonodale e<br />

<strong>dalla</strong> terapia adiuvante. Ugualmente, in pazienti affetti<br />

da carcinoma colo-rettale in stadio precoce sottoposti a<br />

resezione chirurgica curativa, le CTCs identificate <strong>dalla</strong><br />

positività dell’mRNA sia per CK20 che per CEA, testate<br />

entro 24 ore dal prelievo, sono risultate indicative per<br />

recidiva. Al contrario, studi sulla neoplasia prostatica<br />

localizzata non hanno mostrato questa correlazione: le<br />

analisi <strong>delle</strong> CTCs, sia attraverso il sistema CellSearch®,<br />

che attraverso la RT-PCR su vari tipi di trascritti, hanno<br />

dimostrato che le <strong>cellule</strong> erano raramente osservabili in<br />

pazienti con malattia localizzata.<br />

Ad oggi, l’evidenza riguardante la questione su come la<br />

rilevazione e la quantificazione <strong>delle</strong> CTCs possano<br />

essere utili nell’influenzare la decisione clinica nella fase<br />

precoce della malattia e/o in ambito adiuvante non è stata<br />

definita completamente. Anzi, a fronte del maggior<br />

numero di dati disponibili sulla neoplasia mammaria le<br />

linee guida dell’American Society of Clinical Oncology,<br />

a proposito del pannello dei marcatori <strong>tumorali</strong>, hanno<br />

affermato che i risultati della valutazione corrente <strong>delle</strong><br />

CTCs nell’ambito della neoplasia mammaria in fase pre-<br />

coce devono essere considerati ad un livello di evidenza<br />

III°, e perciò non ancora sufficiente per un’applicazione<br />

nella pratica clinica corrente (41).<br />

Tumori in stadio avanzato - L’obiettivo clinico del trattamento<br />

di neoplasie in fase metastatica è scegliere un<br />

regime terapeutico che sia associato al più elevato tasso di<br />

risposte ed al maggior effetto palliativo, a fronte del più<br />

basso rischio di tossicità possibile. Questa terapia viene<br />

solitamente proseguita fino a quando si registra una tossicità<br />

importante o si evidenza una progressione di malattia.<br />

Inoltre, in questo ambito, sarebbero particolarmente utili<br />

nuovi parametri clinici capaci d’indicare accuratamente<br />

una progressione di malattia e/o di predire una risposta<br />

alla terapia. Attualmente, il monitoraggio di pazienti con<br />

malattia in fase metastatica rappresenta la principale applicazione<br />

pratica dell’analisi <strong>delle</strong> CTCs.<br />

In differenti studi, condotti servendosi <strong>delle</strong> più varie<br />

metodiche d’isolamento <strong>delle</strong> CTCs, è stato osservato<br />

come queste ultime siano rilevabili in una popolazione di<br />

pazienti affetti da neoplasia mammaria avanzata, in un<br />

intervallo compreso tra il 26% ed il 49% del totale dei soggetti<br />

portatori della patologia. La maggior parte <strong>delle</strong> evidenze<br />

che supportano l’impiego in clinica <strong>delle</strong> CTCs in<br />

pazienti con malattia metastatica derivano dall’utilizzo del<br />

sistema CellSearch® (12) e , i dati disponibili sino ad oggi<br />

sostengono il ruolo della CTC quale marcatore prognostico<br />

in pazienti con neoplasia mammaria metastatica.<br />

Una prima indicazione del potenziale prognostico <strong>delle</strong><br />

CTCs è stata descritta da Massimo Cristofanilli e<br />

Colleghi in un report del 2004, pubblicato sul New<br />

England Journal of Medicine (11), che osservava come il<br />

60-70% dei pazienti con neoplasia mammaria metastatica<br />

avesse una conta di CTCs >=2 <strong>cellule</strong> per 7,5 mL,<br />

mentre nei soggetti di controllo sani le CTCs venivano<br />

raramente osservate. E’ stato inoltre dimostrato che<br />

pazienti con conta di CTCs maggiore o uguale al basale<br />

avevano una sopravvivenza libera da progressione PFS<br />

ed una OS peggiori rispetto a pazienti con conte di CTCs<br />

minori. Studi successivi dimostrarono risultati sovrapponibili<br />

per i carcinomi prostatico e colo-rettale in fase<br />

avanzata, con un numero soglia di CTCs al basale di<br />

valore >=5 CTCs nel caso di carcinoma prostatico e >=3<br />

CTCs nel carcinoma colo-rettale.<br />

In alcuni casi, l’analisi <strong>delle</strong> CTCs si è rivelata essere più<br />

affidabile nel predire la risposta al trattamento rispetto<br />

alle metodiche comunemente impiegate, come i rilievi<br />

radiologici nella neoplasia mammaria od il dosaggio del<br />

PSA nel carcinoma prostatico.<br />

La conta <strong>delle</strong> CTCs potrebbe rivelarsi utile anche per<br />

monitorare in modo seriato la risposta al trattamento. In<br />

pazienti affetti da carcinoma mammario, prostatico e<br />

colo-rettale avanzato con malattia non misurabile, un<br />

decremento dei livelli di CTCs registrato da 2 a 5 settimane<br />

dopo l’inizio della terapia sistemica, si correlava<br />

con una PFS ed una OS migliori. Inoltre, non vi sono dati<br />

ATTIVITÀ SCIENTIFICA Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011


disponibili per capire se variando il trattamento, sulla<br />

base di un cambiamento nel valore della conta <strong>delle</strong><br />

"CTCs, outcome migliori“. Questo interrogativo viene<br />

indagato in uno <strong>studio</strong> in corso promosso dal National<br />

Cancer Institute (NCI) e condotto dal Southwest<br />

Oncology Group (SWOG 0500, numero di registrazione<br />

NCI 00382018). Questa sperimentazione clinica arruolerà<br />

500 donne con carcinoma mammario in fase metastatica<br />

che verranno sottoposte ad una valutazione basale<br />

<strong>delle</strong> CTCs e dopo il primo ciclo di trattamento chemioterapico<br />

di prima linea. Tutte le pazienti che mostreranno<br />

una conta persistentemente elevata di CTCs dopo<br />

l’inizio della terapia saranno randomizzate a continuare<br />

il trattamento iniziale fino ad evidenza clinica-radiologica<br />

di progressione di malattia, o a passare ad un altro<br />

agente chemioterapico. Questo trial dovrebbe fornire<br />

informazioni circa l’ipotesi secondo la quale a fronte di<br />

un aumento <strong>delle</strong> CTCs sia più efficace cambiare il regime<br />

terapeutico o aspettare fino alla progressione clinica<br />

manifesta di malattia.<br />

In maniera simile a quanto è accaduto per l’ambito della<br />

fase precoce, le correnti linee guida non inseriscono<br />

ancora l’utilizzo dei saggi per le CTCs negli algoritmi di<br />

pratica clinica né per la neoplasia mammaria avanzata né<br />

per le altre neoplasie solide maligne (41).<br />

Conclusioni e prospettive future<br />

La separazione e la conta <strong>delle</strong> CTCs nel sangue periferico<br />

di pazienti portatori di patologia neoplastica ha suscitato<br />

un grande interesse nel recente passato, portando con<br />

sé possibili importanti ricadute biologiche e cliniche.<br />

Da un punto di vista tecnico-metodologico, un progresso<br />

significativo è stato raggiunto nella quantificazione e<br />

nell’isolamento <strong>delle</strong> CTCs ma è necessario un’ulteriore<br />

sforzo per definire chiaramente la sensibilità <strong>delle</strong> varie<br />

metodiche e la maniera ottimale per integrarle nella pratica<br />

clinica (42,43).<br />

Il successo della rilevazione di un evento raro con le<br />

varie metodiche automatizzate di citometria è innanzitutto<br />

influenzato da parametri che includono la qualità del<br />

campione iniziale, la specificità ed il livello<br />

d’espressione dei marcatori scelti, la robustezza del saggio,<br />

la valutazione dell’oggettività, la riproducibilità del<br />

risultato e la variabilità intra- ed inter-laboratorio.<br />

Il ruolo critico di uno specifico numero di CTCs in un<br />

determinato volume di sangue, utilizzato per definire<br />

pazienti con buona e cattiva prognosi, sembra essere più<br />

che altro un numero arbitrario con significatività statistica<br />

tra due gruppi, piuttosto che un numero di attuale rilevanza<br />

biologica e clinica. Da un punto di vista biologico<br />

si può ipotizzare che più è grande il numero di CTCs presente<br />

nel sangue di un paziente, più aggressiva sarà la<br />

malattia e peggiore sarà la prognosi, questo però non è<br />

stato ad oggi dimostrato, e perciò sarebbe opportuno<br />

adottare alcune precauzioni quando si utilizza un numero<br />

come soglia cut-off per stratificare i pazienti affetti da<br />

Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011<br />

carcinoma in sottogruppi con differente prognosi al fine<br />

di effettuare una scelta clinica.<br />

Un altro interrogativo è se i vari approcci analitici identifichino<br />

le stesse <strong>cellule</strong>. Il numero di <strong>cellule</strong> identificabile<br />

e la percentuale di pazienti nei quali le <strong>cellule</strong> possono<br />

essere rivelate è ampiamente differente tra <strong>studio</strong> e <strong>studio</strong>.<br />

Differenti piattaforme di analisi potrebbero infatti identificare<br />

diverse sottopopolazioni di <strong>cellule</strong> <strong>circolanti</strong>.<br />

Mancano dati clinici provenienti da ampie sperimentazioni<br />

cliniche multi-istituzionali che indichino come la caratterizzazione<br />

molecolare <strong>delle</strong> CTCs possa essere impiegata<br />

ulteriormente nella pratica clinica. Questo tipo di analisi<br />

potrebbe fornire informazioni utili nella comprensione<br />

biologica del processo di metastatizzazione, nella stratificazione<br />

dei pazienti e, in un futuro, nella caratterizzazione<br />

di un profilo genetico per ciascun tumore utilizzando le<br />

CTCs individuate, consentendo in tal modo lo sviluppo di<br />

trattamenti sempre più personalizzati.<br />

Qualora i saggi per le CTCs venissero definitivamente<br />

validati mediante studi prospettici disegnati ad hoc,<br />

anche attraverso il confronto con i marcatori <strong>tumorali</strong><br />

tradizionali, queste <strong>cellule</strong> potrebbero effettivamente<br />

svolgere il ruolo di biomarcatori utili per orientare una<br />

specifica terapia per il singolo paziente.<br />

L’analisi del profilo d’espressione genica <strong>delle</strong> CTCs<br />

potrebbe fornire una prima stima del rischio di ricaduta,<br />

alla quale farebbe seguito la possibilità di guidare la scelta<br />

di agenti terapeutici appropriati. Tutto ciò comporta<br />

ovviamente anche un aumento sostanziale dei costi della<br />

terapia, comunque inferiore a quanto richiederebbe una<br />

programmazione terapeutica eseguita contestualmente<br />

alla diagnosi di recidiva o la somministrazione di un trattamento<br />

adiuvante in un paziente per il quale quest’ultimo<br />

non fosse indicato o necessario.<br />

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Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011


Caratterizzazione citometrica <strong>delle</strong> lamine nucleari<br />

in <strong>cellule</strong> di neuroblastoma umano<br />

LAMINA NUCLEARE E LAMINE<br />

Nelle <strong>cellule</strong> eucariotiche il nucleo è un grande organello<br />

che ospita il materiale genetico ed è separato dal citoplasma<br />

da una membrana nucleare - nota come involucro<br />

nucleare (NE) - che consiste di due foglietti, uno interno<br />

e uno esterno, separati da uno spazio che varia dai 10 ai<br />

50 nanometri (Fig. 1). La membrana nucleare esterna<br />

(ONM) è continua con la membrana del reticolo endoplasmatico<br />

rugoso (RER) ed è costellata da piccole aperture<br />

chiamate pori nucleari che consentono la circolazione<br />

di molecole selezionate dall’interno all’esterno<br />

del nucleo e viceversa. Infatti, l’NE agisce come una barriera<br />

selettiva controllando il traffico di macromolecole,<br />

tra cui proteine ed RNA. La membrana nucleare interna<br />

(INM) è rivestita da un complesso reticolo di proteine, le<br />

lamine nucleari, che formano i cosiddetti filamenti intermedi<br />

della lamina nucleare (NL).<br />

Le lamine si suddividono in due tipi, A e B, sulla base di<br />

omologie di sequenza. Nei mammiferi sono state carat-<br />

Giovanna Maresca e Igea D’Agnano<br />

CNR-Istituto di Biologia Cellulare e Neurobiologia, Roma.<br />

e-mail: igea.dagnano@cnr.it<br />

terizzate due principali lamine di tipo A (Lamina A e C)<br />

e due principali lamine di tipo B (Lamina B1 e B2),<br />

anche se sono state identificate altre isoforme minori<br />

come la Lamina A∆10, le Lamine C2 specifiche <strong>delle</strong><br />

<strong>cellule</strong> germinali e la Lamina B3. Le lamine di tipo B<br />

sono codificate da geni diversi, mentre le lamine A e C<br />

derivano da un unico gene, LMNA (localizzato sul cromosoma<br />

1q21.2-q21.3), dal quale vengono generate le<br />

due lamine per splicing alternativo in quantità molto<br />

simili (Broers et al., 2006). Il promotore del gene LMNA<br />

presenta diversi motivi regolatori tra cui un elemento<br />

responsivo all’acido retinoico, siti di legame per vari fattori<br />

di trascrizione come c-Jun, c-Fos e Sp1 / 3 (Okumura<br />

et al., 2004) o coattivatori trascrizionali come la CREBbinding<br />

protein (Janaki and Parnaik, 2006). Le lamine<br />

prima di essere incorporate nel network esistente della<br />

NL subiscono dei processi di maturazione posttraduzionale<br />

alla terminazione carbossilica, fra cui fosforilazioni,<br />

farnesilazioni e sumoilazioni (Prokocimer et<br />

Fig. 1. Principali componenti dell’NE di <strong>cellule</strong> di mammifero. L’NE è costituito da una membrana nucleare esterna, contigua con il reticolo<br />

endoplasmatico rugoso e rivestita di ribosomi, e da una membrana nucleare interna, contenente proteine integrali di membrana. <strong>Lo</strong><br />

spazio tra le due membrane viene definito come lo spazio perinucleare. Le due membrane che insieme compongono l’involucro<br />

nucleare, sono attraversate da pori che regolano il trasporto di materiali tra il nucleo e il citoplasma. Subito al disotto della membrana<br />

nucleare interna si trova la lamina nucleare, una fitta rete filamentosa, i cui componenti principali sono le lamine nucleari di tipo A e B,<br />

che rappresentano un gruppo di proteine filamentose che interagiscono sia con le proteine della membrana interna che con la cromatina<br />

nucleare. Da: Stephen L. Maidment e Juliet A. Ellis, The major architectural components of the mammalian nuclear envelope, Expert<br />

Reviews in Molecular Medicine, 2002, modificato.<br />

Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011 ATTIVITÀ SCIENTIFICA 13


14<br />

al., 2009). Le lamine si presentano normalmente sotto<br />

forma di dimeri che si associano in polimeri. Durante la<br />

mitosi le molecole di lamine sono disassemblate in<br />

monomeri per consentire la rottura del NE, ma subito<br />

dopo la mitosi esse si riassemblano in strutture più organizzate.<br />

Durante lo sviluppo le lamine di tipo B sono<br />

costitutivamente espresse in tutte le <strong>cellule</strong> mentre<br />

l’espressione <strong>delle</strong> lamine di tipo A è regolata e varia in<br />

relazione allo stadio di differenziamento tissutale (Rober<br />

et al., 1989); in particolare questa regolazione è stata ben<br />

caratterizzata nei processi di differenziamento muscolare<br />

(Frock et al., 2006) e adipocitico (Lloyd et al., 2002).<br />

LE LAMINE SONO COINVOLTE IN MOLTE<br />

FUNZIONI NUCLEARI<br />

La principale funzione della NL è dare supporto all’NE,<br />

determinando in gran parte la forma complessiva del<br />

nucleo interfasico. La NL contribuisce a mantenere le<br />

proprietà meccaniche dell’intera cellula formando non<br />

solo un complesso network subito al disotto dell’NE, ma<br />

anche costituendo un ponte fra il nucleo e la membrana<br />

plasmatica attraverso il citoscheletro (Houben et al.,<br />

2007). Ne è prova il fatto che una carenza di Lamina A/C<br />

causa una riduzione della rigidità meccanica del nucleo,<br />

con indebolimento dei processi di meccano-trasduzione,<br />

probabilmente dovuti a modificazioni <strong>delle</strong> connessioni<br />

fra nucleo-scheletro e cito-scheletro cui partecipano proteine<br />

integrali sia della INM che della ONM (Ketema et<br />

al., 2007).<br />

I molti ruoli <strong>delle</strong> lamine sono mediati dalle loro dirette<br />

o indirette interazioni con numerose proteine sia alla<br />

periferia nucleare che nel nucleoplasma quali ad es. i<br />

dimeri di proteine istoniche H2A/H2B, la proteina retinoblastoma<br />

(Rb), LAP-2α, kinasi quali Erk-1/2, l’actina<br />

nucleare, la PCNA e proteine del poro nucleare<br />

(Hutchison, 2002). Diverse evidenze indicano che le<br />

lamine sono anche necessarie per l’attività di replicazione<br />

del DNA ad es. per una corretta localizzazione di fattori<br />

di replicazione quali PCNA, durante la fase di elongazione<br />

della replicazione del DNA (Moir et al., 2000).<br />

Le lamine hanno anche un ruolo nel controllo epigenetico<br />

dell’espressione genica poiché regolano lo stato della<br />

cromatina nucleare. E’ riportato che le lamine leghino<br />

direttamente, attraverso la terminazione carbossilica, o<br />

indirettamente, attraverso il legame con proteine associate,<br />

l’eterocromatina (Schirmer and Foisner, 2007).<br />

Infatti, nei mammiferi l’eterocromatina è altamente organizzata<br />

e strettamente associata alla lamina nucleare alla<br />

periferia del nucleo; al contrario, le regioni di cromatina<br />

attivamente trascritte (eucromatina) sono distribuite in<br />

modo casuale nel nucleoplasma (Francastel et al., 2000).<br />

Recentemente, è stato proposto un modello di architettura<br />

nucleare in cui le lamine risultano essere fattori determinanti<br />

per il posizionamento dei cromosomi nel nucleo<br />

(Reddy et al., 2008). Ad un livello più globale le lamine<br />

possono influenzare l’espressione genica anche perchè<br />

ATTIVITÀ SCIENTIFICA<br />

forniscono un’impalcatura strutturale per l’organizzazione<br />

dei complessi trascrizionali regolati solo <strong>dalla</strong><br />

RNA polimerasi II (Spann et al., 2002).<br />

E’ stato anche descritto che le lamine di tipo A possono<br />

interagire con i fattori di trascrizione in diversi modi:<br />

sequestrandoli in complessi inattivi a livello dell’involucro<br />

nucleare, alterandone le modificazioni post-traduzionali<br />

che sono importanti per la loro funzione e regolando<br />

i complessi trascrizionali (Andres and Gonzalez, 2009).<br />

LAMINE E STAMINALITA’<br />

La connessione fra le lamine e la staminalità è un dato di<br />

più recente acquisizione. A differenza <strong>delle</strong> lamine di<br />

tipo B che sono espresse in maniera ubiquitaria in tutte le<br />

<strong>cellule</strong> e i tessuti di mammifero durante tutto lo sviluppo,<br />

le lamine di tipo A non vengono espresse in <strong>cellule</strong> staminali<br />

embrionali indifferenziate sia umane che murine, anzi<br />

la loro assenza è considerata un marcatore <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong><br />

staminali indifferenziate (Constantinescu et al., 2006;<br />

Takamori et al., 2007). E’ infatti riportato che in <strong>cellule</strong><br />

embrionali staminali indifferenziate dove la Lamina A/C è<br />

assente, la struttura della lamina nucleare è diffusa e<br />

dispersa, a differenza di <strong>cellule</strong> parzialmente differenziate<br />

che esprimono invece Lamina A/C (Meshorer and Misteli,<br />

2006). La presenza di una struttura cromatinica più flessibile<br />

potrebbe essere necessaria al mantenimento dello<br />

stato di pluripotenza. Inoltre, vi sono già diversi esempi<br />

che dimostrano il coinvolgimento <strong>delle</strong> lamine di tipo A<br />

nella regolazione del differenziamento di <strong>cellule</strong> staminali<br />

somatiche, influenzando pathways molecolari importanti<br />

nelle <strong>cellule</strong> staminali. Le <strong>cellule</strong> staminali somatiche, a<br />

differenza <strong>delle</strong> embrionali pluripotenti e altamente proliferative,<br />

sono <strong>cellule</strong> staminali tessuto-specifiche che presentano<br />

una bassa capacità di self-renewing, ma che possono<br />

venire facilmente attivate a differenziare, andando<br />

così a costituire una importante riserva di <strong>cellule</strong> somatiche<br />

che possono sia reintegrare costantemente i tessuti,<br />

come nel caso dell’intestino, sia produrre nuovo tessuto<br />

quando necessario, specialmente in seguito a danno. I<br />

principali pathways di segnale intracellulare che operano<br />

in diverse nicchie di <strong>cellule</strong> staminali somatiche sono<br />

essenzialmente quattro, Notch, Wnt, TGF-β e Sonic hedgehog<br />

(<strong>Lo</strong>wry and Richter, 2007). L’attivazione di questi<br />

pathways è stata correlata con mutazioni o variazioni<br />

d’espressione <strong>delle</strong> lamine di tipo A (Espada et al., 2008).<br />

LAMINOPATIE<br />

Diverse funzioni nucleari e citoplasmatiche sono<br />

influenzate da modificazioni dell’NE e della NL. La<br />

distruzione della struttura della NL, l’over-espressione di<br />

lamine mutanti o tronche e la presenza di mutazioni inattivanti<br />

nel gene LMNA, codificante per lamine di tipo A,<br />

causano importanti alterazioni di processi fondamentali<br />

quali la replicazione del DNA, la trascrizione e la<br />

sopravvivenza cellulare. Data l’ampia varietà di funzioni<br />

affette da tali alterazioni, non stupisce riscontrare una<br />

Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011


vasta casistica di patologie umane che colpiscono diversi<br />

tessuti legate a difetti nelle lamine. Al momento non<br />

sono note malattie umane legate a mutazioni nelle lamine<br />

di tipo B. Al contrario, diverse malattie umane note<br />

con il nome di “laminopatie”sono direttamente associate<br />

ad alterazioni nelle lamine di tipo A. Esse sono classificate<br />

in laminopatie primarie, se associate a mutazioni nel<br />

gene LMNA, e laminopatie secondarie, se causate da<br />

mutazioni nel gene ZMPSTE-24, codificante per un enzima<br />

richiesto per le modificazioni post-traduzionali <strong>delle</strong><br />

lamine di tipo A (Ben et al., 2005).<br />

Le laminopatie primarie sono classificate in cinque gruppi.<br />

Gruppo 1. E’ il gruppo più frequente e comprende malattie<br />

del muscolo scheletrico e cardiaco, tra cui la distrofia<br />

muscolare di Emery Dreifuss (AD-EDMD), autosomica<br />

dominante, e la cardiomiopatia dilatativa con malattia<br />

del sistema di conduzione (DCM-CD1). Al momento il<br />

60% <strong>delle</strong> laminopatie è costituito da distrofie del<br />

muscolo scheletrico.<br />

Gruppo 2. Fanno parte di questo gruppo malattie del tessuto<br />

adiposo e/o scheletrico, quali la lipodistrofia parziale<br />

familiare di Dunnigan (FPLD), dovuta ad una mutazione<br />

missenso nel gene LMNA e la displasia mandiboloacrale<br />

(MAD), legata a mutazioni autosomiche recessive<br />

nel dominio C-terminale <strong>delle</strong> lamine di tipo A.<br />

Group 3. Il terzo gruppo è costituito da un’unica malattia,<br />

la syndrome di Charcot-Marie-Tooth di tipo 2b, causata<br />

da una mutazione autosomico-recessiva nelle lamine<br />

di tipo A che causa neuropatia periferica associata a<br />

demielinizzazione dei motoneuroni.<br />

Group 4. Il quarto gruppo comprende malattie dell’invecchiamento<br />

precoce, quali la progeria di Hutchinson<br />

Gilford (HGPS) e alcuni casi della syndrome atipica di<br />

Werner. In particolare la HGPS è causata da un difetto di<br />

splicing del gene LMNA e causa la formazione di una<br />

Lamina A tronca, detta Progerina.<br />

Group 5. Nel quinto gruppo si ritrovano sindromi eterogenee<br />

che colpiscono diversi tessuti e che spesso presentano<br />

fenotipi sovrapposti tra quelli <strong>delle</strong> malattie dei<br />

gruppi precedenti.<br />

Attualmente sono state individuate oltre 200 mutazioni<br />

del gene LMNA da più di 1000 individui. E’ possibile<br />

consultare sul sito http://www.umd.be un database sulle<br />

malattie dell’involucro nucleare.<br />

LAMINE E TUMORI<br />

L’espressione <strong>delle</strong> lamine di tipo A è spesso ridotta o<br />

assente in <strong>cellule</strong> a basso grado di differenziamento e/o<br />

<strong>cellule</strong> altamente proliferanti, tra cui <strong>cellule</strong> <strong>tumorali</strong><br />

umane, in particolare leucemie, linfomi, alcuni tumori<br />

della pelle, carcinoma <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> basali e squamose,<br />

adenocarcinoma dello stomaco e del colon, adenocarcinoma<br />

dell’esofago, tumore polmonare a piccole <strong>cellule</strong>,<br />

tumori <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> germinali testicolari e tumori prostatici<br />

(Prokocimer et al.,2009).<br />

Un’alterata espressione e un’aberrante localizzazione <strong>delle</strong><br />

lamine di tipo A spesso sono correlate con il sottotipo tumorale,<br />

il grado di aggressività, la capacità proliferativa e lo<br />

stadio di differenziamento. Una perdita di espressione <strong>delle</strong><br />

lamine di tipo A nei tumori non dovrebbe sorprenderci, dato<br />

che la progressione tumorale spesso si associa alla regressione<br />

da un fenotipo più differenziato ad uno meno maturo.<br />

Tuttavia, sebbene il fatto che tale perdita stia emergendo<br />

come un evento implicato nella trasformazione e nella progressione<br />

tumorale, il loro ruolo nella tumorigenesi non è<br />

stato ancora caratterizzato né è stato scoperto quale sia il<br />

difetto molecolare che porti alla mancanza <strong>delle</strong> Lamine A<br />

in molti tumori umani.<br />

E’ stato riportato che l’ipermetilazione del promotore del<br />

gene LMNA nelle isole CpG sia significativamente predittivo<br />

di cattiva prognosi in alcuni linfomi (Agrelo et<br />

al., 2005). I tumori possono essere considerati anche<br />

come malattie epigenetiche in cui si riscontrano ampie<br />

zone di metilazione aberrante del DNA. Ciò causa silenziamento<br />

genico quando la metilazione colpisce le isole<br />

CpG dei promotori dei geni ed è un evento che spesso<br />

accade nei tumori. Poichè le lamine di tipo A hanno un<br />

importante ruolo sia nel proteggere la cromatina dal<br />

danno, sia nel regolare la trascrizione genica, il silenziamento<br />

epigenetico del gene LMNA in tumori ematologici<br />

può far comprendere come un’alterazione <strong>delle</strong> lamine<br />

possa contribuire alla trasformazione cellulare.<br />

Inoltre la Lamina A/C è stata indicata come un marcatore<br />

del differenziamento muscolare e adipocitico (Frock<br />

et al., 2006; Lloyd et al., 2002).<br />

La Lamina A/C, infatti, funge da “scheletro” del nucleoplasma,<br />

sia per l’ancoraggio della cromatina alla lamina<br />

nucleare, sia nell’organizzazione dei complessi trascrizionali<br />

dell’RNApolII (Reddy et al., 2008); sia per<br />

l’interazione con diversi fattori di trascrizione (Andres<br />

and Gonzalez, 2009).<br />

CARATTERIZZAZIONE CITOMETRICA DELLE<br />

LAMINE A/C IN DUE LINEE CELLULARI DI<br />

NEUROBLASTOMA UMANO<br />

Materiali e metodi<br />

Colture cellulari<br />

Abbiamo utilizzato due linee cellulari di neuroblastoma<br />

umano, SH-SY5Y e LAN-5, chiamate di seguito linea A<br />

e linea B, rispettivamente. Le <strong>cellule</strong> SH-SY5Y sono<br />

state mantenute in mezzo di coltura costituito in quantità<br />

uguali da Eagle’s Minimum Essential Medium ed F12<br />

(Gibco), mentre le <strong>cellule</strong> LAN-5 sono state mantenute<br />

in mezzo di coltura RPMI-1640 (Gibco). Ad entrambi i<br />

mezzi di coltura sono stati aggiunti: 10% siero fetale<br />

bovino (FBS, Hyclone), 2 mM L-glutamina, 0.5% aminoacidi<br />

non essenziali, 0.5% piruvato di sodio e 1% antibiotici.<br />

Le <strong>cellule</strong> sono state cresciute in un incubatore<br />

umidificato contenente 5% CO 2 a 37˚C. In ogni esperimento<br />

sono state utilizzate <strong>cellule</strong> in fase esponenziale di<br />

crescita (3° giornata).<br />

Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011 ATTIVITÀ SCIENTIFICA 15


16<br />

Espressione e localizzazione della Lamina A/C<br />

L’espressione nucleare della Lamina A/C è stata analizzata<br />

mediante immunofluorescenza indiretta in citometria<br />

a flusso. Cellule <strong>delle</strong> due diverse linee cellulari sono<br />

state raccolte in tripsina e dopo un lavaggio in PBS 1X,<br />

sono state fissate in una soluzione acetone/metanolo 1:4<br />

vol/vol (conservato a -20 °C) al 50% in PBS, alla concentrazione<br />

di 1x10 6 <strong>cellule</strong>/ml e conservate per 24 h a<br />

+4 °C. 1x10 6 <strong>cellule</strong> fissate sono state centrifugate<br />

(microcentrifuga 1500 rpm) per rimuovere il fissativo e<br />

lavate una volta in PBS addizionato con 0.5% BSA a temperatura<br />

ambiente. Le <strong>cellule</strong> sono state incubate per 5 min<br />

a temperatura ambiente in una soluzione di PBS+0.5%<br />

BSA+0.5% Tween 20 per ottenere la permeabilizzazione<br />

della membrana plasmatica. La sospensione cellulare è stata<br />

quindi centrifugata ed il pellet incubato con l’anticorpo primario<br />

anti-lamina A/C (goat-N18, S.Cruz) diluito 1:10 in<br />

PBS+2% BSA+0.5% Tween 20 (50 µl) per 1 h a temperatura<br />

ambiente. Nel campione di controllo negativo sono<br />

state aggiunte immunoglobuline dello stesso isotipo dell’anticorpo<br />

primario, alla stessa concentrazione. Dopo<br />

l’incubazione con l’anticorpo le <strong>cellule</strong> sono state lavate 2<br />

volte in PBS+0.5% BSA+ 0.5% Tween 20. Quindi i campioni<br />

sono stati incubati con l’anticorpo secondario F(ab’)2<br />

anti-goat coniugato con ficoeritrina, alla diluizione 1:50 in<br />

PBS+2% BSA+ 0.5% Tween 20, per 45 min a temperatura<br />

ambiente e al buio. Successivamente le <strong>cellule</strong> sono state<br />

lavate 3 volte in PBS+0.5% BSA+0.5% Tween 20 e risospese<br />

in PBS. I campioni sono stati quindi misurati utilizzando<br />

il citofluorimetro FACScan (BD). Sono stati memorizzati<br />

10.000 eventi per ciascun campione utilizzando il<br />

software CellQuest (BD). Per verificare la specificità dell’anticorpo<br />

utilizzato è stato condotto un western blot di<br />

controllo seguendo un protocollo precedentemente pubblicato<br />

(Gatti et al., 2009).<br />

La localizzazione intracellulare della Lamina A/C è stata<br />

analizzata su vetrino mediante microscopia a fluorescenza.<br />

Cellule cresciute su vetrini da microscopia sono state<br />

lavate 3 volte in PBS+Ca/Mg, quindi fissate in metanolo<br />

assoluto per 10 min a – 20 °C. Dopodichè i campioni<br />

sono stati lavati 2 volte in PBS+Ca/Mg per 10 min. Per<br />

bloccare i siti aspecifici i campioni sono stati incubati in<br />

PBS+Ca/Mg+5% NFM+0.1% Tween 20 per 30 min.<br />

Dopo un rapido lavaggio in PBS+Ca/Mg+0.3%<br />

BSA+0.1% Tween 20 i vetrini sono stati incubati con<br />

l’anticorpo anti-lamina A/C (mouse-Jol2, Chemicon)<br />

diluito 1:10 in PBS+Ca/Mg+0.2% BSA+0.1% Tween 20<br />

per 1h e 30 min. I campioni sono stati quindi lavati 3<br />

volte in PBS+Ca/Mg+0.3% BSA+0.1% Tween 20 e<br />

incubati con l’anticorpo secondario anti-mouse Alexa<br />

594 alla diluizione 1:250 in PBS. I campioni sono stati<br />

lavati 3 volte in PBS+Ca/Mg+0.3% BSA+0.1% Tween<br />

20 per 10 min. I nuclei sono stati controcolorati con<br />

DAPI in PBS per 5 min, quindi lavati 3 volte in<br />

PBS+Ca/Mg per 5 min. Dopo un rapido passaggio in<br />

acqua bidistillata i vetrini sono stati montati su portaog-<br />

ATTIVITÀ SCIENTIFICA<br />

getto con reagente Pro<strong>Lo</strong>ng Gold anti-Fade (Molecular<br />

Probes). Ciascun campione è stato poi analizzato con un<br />

microscopio a fluorescenza Olimpus BX51.<br />

Espressione di CD133<br />

L’espressione di superficie del CD133 è stata analizzata<br />

mediante immunofluorescenza indiretta in citometria a<br />

flusso. Cellule <strong>delle</strong> due diverse linee cellulari sono state<br />

raccolte in PBS-EDTA0.002%, lavate in tampone di<br />

lavaggio (PBS 1X+10 mM NaN3+0.002% EDTA) a + 4<br />

°C. 1x10 6 <strong>cellule</strong> di ciascun campione sono state aliquotate<br />

in provette eppendorf e centrifugate. Il pellet incubato<br />

nella soluzione di anticorpo anti-CD133/2 (mouse-<br />

293C3, Miltenyi Biotec) diluito 1:20 in mezzo di coltura<br />

completo di siero fetale bovino 10%. Il campione di riferimento<br />

negativo è stato incubato con immunoglobuline<br />

di topo alla stessa concentrazione dell’anticorpo primario.<br />

I campioni sono stati incubati 1h a +4 °C con<br />

l’anticorpo e quindi lavati 2 volte con 500 µl di tampone<br />

di lavaggio. I campioni sono stati successivamente incubati<br />

con l’anticorpo secondario anti-mouse coniugato<br />

con ficoeritrina diluito 1:20 in tampone di lavaggio per<br />

30 min a +4 °C al buio. I campioni lavati 2 volte in tampone<br />

di lavaggio sono stati risospesi in 500 µl tampone<br />

di lavaggio e misurati con il citofluorimetro FACScan<br />

(BD) come sopra descritto.<br />

L’espressione del gene PROM1 (unigene Hs.614734)<br />

codificante per CD133 è stata valutata mediante real<br />

time PCR come descritto in un precedente lavoro (Natoli<br />

et al., 2011). Sono stati utilizzati i seguenti oligo: F:<br />

TCCACAGAAATTTACCTACATTGG and R: CAG-<br />

CAGAGAGCAGATGACCA<br />

Analisi della proliferazione cellulare<br />

L’analisi della proliferazione <strong>delle</strong> due linee cellulari<br />

SH-SY5Y (A) e LAN-5 (B) è stata condotta valutando la<br />

frazione di sintesi mediante incorporazione di bromodesossiuridina<br />

e stimando la distribuzione <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong><br />

nelle diverse fasi del ciclo cellulare con l’applicazione di<br />

un modello matematico agli istogrammi del contenuto di<br />

DNA. I due tipi di esperimento sono stati condotti come<br />

descritto in lavori precedenti (Gatti et al., 2009).<br />

Risultati e Discussione<br />

Le due linee cellulari di neuroblastoma SH-SY5Y (linea<br />

A) e LAN-5 (linea B) sono state inizialmente caratterizzate<br />

per l’espressione della Lamina A/C (Fig. 2a). Le <strong>cellule</strong><br />

SH-SY5Y mostrano livelli elevati d’espressione<br />

della lamina come evidenziato dall’analisi citofluorimetrica<br />

(percentuale di positività = 94%); al contrario la<br />

linea LAN-5 risulta essere completamente negativa.<br />

Trattandosi della rilevazione di una molecola intracellulare<br />

abbiamo anche verificato la specificità dell’anticorpo<br />

utilizzato mediante un’analisi dell’espressione proteica<br />

in western blotting. Come mostrato in Fig. 2b<br />

l’anticorpo utilizzato per la rilevazione della Lamina A/C<br />

Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011


isulta essere altamente specifico per questa proteina.<br />

Abbiamo voluto studiare quindi la distribuzione intracellulare<br />

della Lamina A/C e come atteso l’analisi condotta<br />

in microscopia a fluorescenza mostra una distribuzione<br />

perinucleare della proteina nelle <strong>cellule</strong> SH-SY5Y (Fig.<br />

2c). Questo risultato conferma la presenza della Lamina<br />

A/C a livello dell’involucro nucleare dove, come è noto,<br />

svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento della<br />

struttura nucleare (Prokocimer et al., 2009).<br />

Per evidenziare una eventuale relazione fra espressione di<br />

Lamina A/C e livello di maturazione <strong>delle</strong> due linee cellulari<br />

di neuroblastoma abbiamo analizzato l’espressione di<br />

un noto marcatore di staminalità, la proteina CD133, nei<br />

due tipi cellulari (Fig. 3a). L’analisi al FACS dell’espressione<br />

di CD133 mostra una evidente e significativa differente<br />

espressione fra le due linee. Infatti, la linea SH-<br />

SY5Y (A), che esprime elevati livelli di Lamina A/C,<br />

risulta essere completamente negativa per l’espressione<br />

del CD133 suggerendo la presenza di uno stato di maturazione<br />

più avanzato in queste <strong>cellule</strong>. Al contrario la linea<br />

LAN-5 (B), che invece non esprime Lamina A/C, mostra<br />

una percentuale di positività per CD133 pari a circa il<br />

90%. Questo risultato suggerisce una stretta relazione fra<br />

stato di maturazione cellulare ed espressione della Lamina<br />

A/C ed è confermato <strong>dalla</strong> capacità <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> non-esprimenti<br />

Lamina A/C di dar luogo alla formazione di tumorsfere,<br />

saggio utilizzato per la valutazione della staminalità<br />

della popolazione cellulare in vitro. A conferma di ciò,<br />

molti autori hanno dimostrato che le lamine di tipo A non<br />

sono presenti in <strong>cellule</strong> che esprimono le caratteristiche<br />

<strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> staminali (Constantinescu et al., 2006). Per<br />

valutare se la regolazione dell’espressione di CD133 fosse<br />

a livello trascrizionale abbiamo studiato l’espressione del<br />

gene PROM1, codificante per CD133. I risultati ottenuti<br />

con PCR quantitativa mostrano che l’espressione del gene<br />

correla con l’espressione della proteina. Infatti, le <strong>cellule</strong><br />

LAN-5, che esprimono la proteina CD133 in circa il 90%<br />

della popolazione, mostrano livelli 20 volte superiori del<br />

gene PROM1 rispetto alla linea SH-SY5Y, negativa per<br />

CD133.<br />

Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011<br />

Fig. 2 . Espressione di lamina A/C in due linee cellulari di<br />

neuroblastoma umano (A e B). a) Immunofluorescenza in<br />

FACS della Lamina A/C. L’istogramma colorato in blu<br />

rappresenta il campione test incubato con l’anticorpo<br />

specifico per Lamina A/C; l’istogramma colorato in bianco<br />

rappresenta il campione di controllo negativo incubato<br />

con l’isotipo corrispondente dell’anticorpo primario<br />

specifico per Lamina A/C. b) verifica della specificità<br />

dell’anticorpo per Lamina A/C utilizzato in a) mediante<br />

western blot. L’espressione di GAPDH è stata utilizzata<br />

come controllo per il caricamento della quantità di proteine<br />

su gel di acrilamide. c) Immunofluorescenza su vetrino<br />

della Lamina A/C dopo fissazione in metanolo. In<br />

rosso la Lamina A/C; in blu i nuclei controcolorati con<br />

DAPI. E’ evidente la distribuzione perinucleare della<br />

lamina A/C nella linea A.<br />

L’analisi della proliferazione cellulare correla con la<br />

diversa espressione del CD133 nelle due linee cellulari.<br />

Le <strong>cellule</strong> SH-SY5Y, che mostrano un livello di maturazione<br />

più avanzato rispetto alle LAN-5, presentano<br />

anche uno livello di proliferazione più basso. Infatti, la<br />

frazione di <strong>cellule</strong> in grado di incorporare bromodesossiuridina<br />

è pari a circa il 20% nelle <strong>cellule</strong> SH-SY5Y e<br />

circa il 40% nelle LAN-5. Ciò è evidenziato anche dall’analisi<br />

globale del ciclo cellulare in quanto ad una più<br />

ridotta percentuale di <strong>cellule</strong> in fase S nelle <strong>cellule</strong> SH-<br />

SY5Y si associa una concomitante più elevata percentuale<br />

di <strong>cellule</strong> in fase G0/G1, suggerendo la presenza di un<br />

più elevato stato di quiescenza in tale linea cellulare. E’<br />

anche possibile che la presenza di Lamina A/C determini<br />

una maggiore predisposizione al differenziamento cellulare.<br />

Queste linee cellulari di neuroblastoma hanno<br />

mantenuto la capacità di differenziare in vitro e costituiscono<br />

un buon modello per lo <strong>studio</strong> del differenziamento<br />

neuronale (Edsjo et al., 2007). Nel nostro laboratorio<br />

abbiamo recentemente dimostrato (Maresca et al. submitted)<br />

che l’espressione della LAMINA A/C aumenta<br />

durante il differenziamento indotto da acido retinoico<br />

nella linea di neuroblastoma SH-SY5Y. I nostri risultati<br />

concordano con diversi studi condotti sullo sviluppo<br />

embrionale di Xenopus, Drosophila e pollo, nei quali la<br />

composizione della lamina nucleare varia a seconda del<br />

differenziamento cellulare (Stick and Hausen, 1985;<br />

Lehner et al., 1987; Riemer et al., 1995). Diversi autori<br />

mostrano anche come nei mammiferi l’espressione <strong>delle</strong><br />

lamine di tipo A sia regolata a seconda del grado di sviluppo<br />

tissutale. (Rober et al., 1989; Lin and Worman,<br />

1997). Uno <strong>studio</strong> più recente ha dimostrato come<br />

l’espressione della lamina A/C sia un indicatore precoce<br />

del differenziamento proprio in <strong>cellule</strong> staminali embrionali<br />

(Constantinescu et al., 2006).<br />

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ATTIVITÀ SCIENTIFICA<br />

17


Fig. 3. a) Espressione di CD133 in due linee cellulari di neuroblastoma esprimenti (A) o no (B) Lamina A/C. Le <strong>cellule</strong> sono state<br />

incubate con un anticorpo diretto verso un epitopo esterno di CD133 e analizzate al FACS. Neg = controllo negativo, campione incubato<br />

con immunoglobuline dello stesso isotipo dell’anticorpo primario; Pos = campione positivo, incubato con anticorpo primario specifico.<br />

Entrambi i campioni sono stati incubati con un anticorpo secondario coniugato con ficoeritrina per la rilevazione della fluorescenza.<br />

b) Espressione del gene PROM1, codificante per la proteina CD133 mediante real time PCR. RQ = quantificazione relativa<br />

considerando come riferimento la linea cellulare A che non esprime il gene. In basso sono riportate le immagini microscopiche in contrasto<br />

di fase che mostrano in ciascuna linea cellulare la formazione di tumorsfere.<br />

Fig. 4 . Analisi della proliferazione cellulare in due linee cellulari di neuroblastoma umano esprimenti (A) o no (B) Lamina A/C.<br />

a) Incorporazione di bromodesossiuridina (BrdU) analizzata al FACS. Le percentuali di <strong>cellule</strong> in fase di sintesi (S) sono 19% per la linea<br />

A e 40% per la B. b) percentuali <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> nelle diverse fasi del ciclo cellulare stimate mediante l’applicazione di un modello matematico<br />

all’istogramma del contenuto di DNA ottenuto in seguito a colorazione <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> con ioduro di propidio e analisi al FACS.


lamin A/C gene by CpG island promoter hypermethylation<br />

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ATTIVITÀ SCIENTIFICA<br />

19


Autofagia e stress ossidativo nella malattia di Niemann-Pick<br />

Valutazione dell’induzione di autofagia nella risposta<br />

di linfociti b asmasi-/- allo stress ossidativo mediante<br />

citometria a flusso<br />

E. Cesarini, B. Canonico, M. Arcangeletti, L. Galli, S. Papa, F. Palma and F. Luchetti<br />

Dipartimento di Scienze della Terra, della Vita e dell’Ambiente (DiSTeVA),<br />

Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, Urbino<br />

La malattia di Niemann-Pick di tipo A/B<br />

Le malattie da accumulo lisosomiale (LSD: Lysosomal<br />

Storage Disorder) sono un gruppo di circa 60 patologie<br />

ereditarie causate da perdita di funzione di specifici enzimi<br />

o proteine lisosomiali comportando un accumulo<br />

intracellulare di macromolecole non degradate nel compartimento<br />

endo-lisosomiale. Tra di esse, la malattia di<br />

Niemann-Pick (NPD) di tipo A/B è una malattia ereditaria<br />

a trasmissione autosomica recessiva causata da<br />

un’insufficiente attività della sfingomielinasi acida (A-<br />

SMasi) e caratterizzata da accumulo di sfingomielina e<br />

altri lipidi all’interno del compartimento lisosomiale<br />

(Schuchman & Desnick, 2001). Questo difetto enzimatico<br />

è geneticamente determinato da mutazioni con perdita<br />

di funzione a livello del gene SMPD1. La Niemann-<br />

Pick di tipo A (NPA) è una grave forma neuropatica<br />

acuta infantile, solitamente fatale entro i tre anni, mentre<br />

il tipo B (NPB), spesso compatibile con la vita adulta,<br />

presenta un coinvolgimento neurologico minimo o<br />

assente, ma mostra severe e progressive anormalità<br />

viscerali, tra cui epatosplenomegalia, insufficienza polmonare<br />

e problemi cardiovascolari. Le differenti presentazioni<br />

cliniche dei tipi A e B sono dipendenti dall’attività<br />

enzimatica residua (Graber et al., 1994). Molte <strong>delle</strong><br />

manifestazioni fenotipiche nella NPD sono correlate<br />

all’accumulo lipidico nei lisosomi ma dati recenti rivelano<br />

un importante ruolo della A-SMasi nella formazione<br />

e funzione della membrana plasmatica, nonché nei<br />

signaling cellulari. Il ruolo della A-SMasi nel signaling<br />

cellulare è strettamente collegato alla sua abilità di riorganizzare<br />

la membrana plasmatica. Infatti, gli sfingolipidi,<br />

in particolar modo la sfingomielina e la ceramide,<br />

rappresentano costituenti fondamentali <strong>delle</strong> membrane<br />

plasmatiche e <strong>delle</strong> guaine mieliniche, con capacità di<br />

incrementare il livello di ‘ordine’ di regioni isolate di<br />

membrana.<br />

Autofagia e malattie neurodegenerative<br />

La ceramide risulta anche implicata nella macroautofa-<br />

e-mail: erica.cesarini@uniurb.it<br />

gia (generalmente sinonimo di autofagia), un processo<br />

lisosomiale di degradazione e riciclo di costituenti cellulari,<br />

caratterizzato <strong>dalla</strong> formazione di vacuoli a doppia<br />

membrana chiamati autofagosomi. L’autofagosoma origina<br />

da una struttura a doppia membrana isolata denominata<br />

fagoforo, la quale inizia a estendersi ad entrambe le<br />

estremità ed infine si chiude, intrappolando citoplasma e<br />

organelli, formando così l’autofagosoma. In seguito la<br />

fusione di questo vacuolo a doppia membrana con i lisosomi,<br />

a formare l’autolisosoma, porta il materiale autofagocitato<br />

a contatto con gli enzimi lisosomiali causandone<br />

la degradazione (Klionsky & Emr, 2000;<br />

Mizushima et al., 2008). Questo evento di fusione può in<br />

alcuni casi essere preceduto da uno step in cui<br />

l’autofagosoma si fonde con le vescicole endosomiali<br />

(formando l’amfisoma) e poi successivamente con i<br />

lisosomi (Fig. 1). Il termine “vacuoli autofagici” è utilizzato<br />

in riferimento ad autofagosomi, amfisomi e autolisosomi.<br />

In condizioni fisiologiche l’autofagia gioca un ruolo<br />

nella gestione bioenergetica in caso di carenza di nutrienti.<br />

Attivata da condizioni di stress, l’autofagia può promuovere<br />

la sopravvivenza cellulare o la morte cellulare<br />

a seconda del tipo e dell’entità dello stimolo. Infatti,<br />

durante lo stress ossidativo, l’induzione dell’autofagia<br />

consente l’efficace rimozione di organelli e di proteine<br />

danneggiate dall’ambiente citoplasmatico, agendo come<br />

meccanismo di sopravvivenza. Tuttavia, quando prolungata<br />

o over-espressa, essa può contribuire alla morte<br />

della cellula (morte cellulare programmata di tipo II o<br />

autofagica) (Ferraro & Cecconi, 2007). L’autofagia può<br />

essere indotta da diversi tipi di stress cellulari quali la<br />

deplezione di aminoacidi (starvation). Questa induzione<br />

è mediata attraverso i signaling di mTOR (mammalian<br />

Target Of Rapamycin) e del complesso PI3K ClasseIII-<br />

Beclin1 (Klionsky & Emr, 2000). mTOR è un modulatore<br />

negativo di autofagia, attivato da aminoacidi e inibito<br />

farmacologicamente <strong>dalla</strong> rapamicina. Il complesso<br />

PI3K ClasseIII-Beclin1 è necessario per l’induzione<br />

Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011 ATTIVITÀ SCIENTIFICA 23 23


autofagica e può attivare questo processo indipendentemente<br />

dall’inibizione di mTOR.<br />

L’autofagia è necessaria per il normale sviluppo e per la<br />

funzionalità del sistema nervoso centrale, e disfunzioni<br />

nella via autofagica sembra contribuiscano anche alla<br />

patogenesi di diverse malattie neurodegenerative, tra cui<br />

i disordini da aggregazione proteica, quali l’Huntington,<br />

l’Alzheimer e il morbo di Parkinson, e le malattie da<br />

accumulo lisosomiale (LSD). Inoltre uno spegnimento<br />

dei geni autofagici, atg5 e atg7, nel topo causa un accumulo<br />

anomalo di proteine ubiquitinate portando, conseguentemente,<br />

a neurodegenerazione (Rubinsztein, 2006),<br />

dimostrando che l’autofagia basale contribuisce significativamente<br />

alla clearance proteica e alla sopravvivenza<br />

neuronale. L’attivazione farmacologica dell’autofagia<br />

incrementa, infatti, la rimozione di proteine misfolded o<br />

mutanti. Quest’aumento sembra abrogare il fenotipo<br />

malato in sistemi modello, indicando che l’autofagia<br />

potrebbe avere un effetto benefico in alcune di queste<br />

patologie neurodegenerative (Williams et al., 2006).<br />

Sebbene l’induzione autofagica può in alcuni casi alleviare<br />

la patologia, una eccessiva attivazione del pathway<br />

può avere effetti negativi in altri (Shintani & Klionsky,<br />

2004), inducendo ad esempio nel caso <strong>delle</strong> malattie neurodegenerative,<br />

morte cellulare neuronale.<br />

Recentemente, l’interesse verso il pathway autofagico<br />

nelle LSD è notevolmente aumentato in relazione<br />

all’ipotesi che l’accumulo nei lisosomi di substrati non<br />

degradati, dovuto alla deficienza di specifici enzimi lisosomiali,<br />

potrebbe deteriorare il processo autofagico.<br />

Infatti, la maturazione degli autofagosomi e la degradazione<br />

del loro contenuto richiedono la presenza di lisosomi<br />

funzionanti. Il coinvolgimento dell’autofagia è stato<br />

dimostrato in molte LSD, tra cui la Niemann-Pick di tipo<br />

C (NPC), la Mucopolisaccaridosi di tipo IIIA (MPS-<br />

IIIA), la malattia di Danon e il Deficit Multiplo di<br />

Solfatasi (MSD: Multiple Sulphatase Deficiency)<br />

(Settembre et al., 2008; Raben et al., 2009).<br />

Ad oggi il meccanismo esatto che porta a modificazioni<br />

o malfunzionamenti del pathway autofagico resta incerto.<br />

Inoltre, rimane ancora da chiarire il legame tra una<br />

alterata autofagia e la morte cellulare. Comprendere la<br />

correlazione tra l’autofagia e queste patologie diventa<br />

quindi cruciale in quanto l’attivazione di questo processo<br />

di riciclo mediante l’uso di farmaci quali la rapamicina<br />

potrebbe offrire una valida strategia terapeutica per un<br />

certo numero di LSD e di malattie neurodegenerative.<br />

Inoltre, nel campo <strong>delle</strong> LSD, sono stati fatti grandi progressi<br />

per quanto riguarda l’elucidazione dei difetti genetici,<br />

lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici, il miglioramento<br />

dell’assistenza ai pazienti, la produzione di<br />

modelli animali ecc., ma i pathway biologici che vanno<br />

dall’accumulo lisosomiale alla disfunzione e morte cellulare<br />

restano in gran parte sconosciuti. Infine rimane<br />

ancora sconosciuto il meccanismo esatto mediante il<br />

quale le specie reattive dell’ossigeno (ROS) che si accu-<br />

mulano in risposta allo stress ossidativo, coinvolto<br />

anch’esso in condizioni patologiche quali le malattie<br />

neurodegenerative e le LSD (Barnham et al., 2004; Wei<br />

et al., 2008), inducano o regolino il processo autofagico<br />

(Zhang et al., 2009).<br />

Niemann-Pick A/B, autofagia e stress ossidativo<br />

Ad oggi, il coinvolgimento autofagico nella malattia di<br />

Niemann-Pick di tipo A/B non è mai stato valutato.<br />

Abbiamo quindi esaminato l’induzione del pathway<br />

autofagico in risposta a stress ossidativo (UVB) in linfociti<br />

NPD appartenenti a pazienti affetti da Niemann-Pick<br />

di tipo B, verificando anche l’azione di specifici farmaci,<br />

induttori (rapamicina) e inibitori (wortmannina, nocodazolo)<br />

del pathway autofagico, in quanto questo potrebbe<br />

risultare alterato in punti specifici. La linea cellulare<br />

GM16193 (linfociti B EBV-transformed) carente dell’enzima<br />

sfingomielinasi acida, è stata fornita dal Coriell<br />

Institute di Camden, New Jersey (USA). Le <strong>cellule</strong> sono<br />

state coltivate in RPMI con l’aggiunta del 15% di FCS<br />

(Fetal Calf Serum). <strong>Lo</strong> stress ossidativo è stato indotto<br />

mediante l’esposizione a UVB 312nm per 5-10 minuti e<br />

post-incubazione di 2 ore. Abbiamo valutato vitalità cellulare<br />

e funzionalità mitocondriale, parametri fondamentali<br />

da analizzare sia in modelli autofagici che apoptotici.<br />

Inoltre, è stato dimostrato che disfunzioni nell’autofagia<br />

inducono un accumulo di mitocondri danneggiati,<br />

esponendo le <strong>cellule</strong> ad un aumento dello stress ossidativo.<br />

La vitalità cellulare è stata misurata mediante<br />

l’utilizzo di ioduro di propidio e annessina V (Anx-V<br />

FITC Apoptosis Detection Kit). Inoltre è stata valutata<br />

l’attivazione <strong>delle</strong> caspasi tramite il CaspGLOW TM<br />

Fluorescein Active Caspase Staining Kit (BioVision).<br />

Per l’analisi mitocondriale abbiamo invece impiegato<br />

coloranti come TMRE (Tetrametilrodamina etil estere) e<br />

NAO (arancio di nonil-acridina) utili al fine di valutare<br />

rispettivamente il potenziale e la massa mitocondriale.<br />

Per monitorare il processo autofagico e la funzionalità<br />

del comparto endo-lisosomiale sono stati invece utilizzati<br />

marcatori vescicolari quali LysoTracker Green e<br />

Arancio di Acridina due coloranti specifici per la determinazione<br />

degli organelli a pH acido nelle <strong>cellule</strong> vitali<br />

(lisosomi e autolisosomi). Le <strong>cellule</strong> sono poi state analizzate<br />

con un citometro FACScan usando il software<br />

CellQuest. Gli stessi campioni preparati per la citometria<br />

a flusso sono stati anche osservati e fotografati al microscopio<br />

rovesciato a fluorescenza Nikon TS100.<br />

A seguito del trattamento con UV è stata osservata nelle<br />

<strong>cellule</strong> una risposta differente in relazione alla durata<br />

dell’irradiazione (5 e 10 min.). A 5 minuti dall’esposizione<br />

si osserva la comparsa di circa il 20% di <strong>cellule</strong> positive<br />

ad annessina V (Anx V) e 10% positive allo ioduro<br />

di propidio (PI). Nel campione sottoposto a 10 min. di<br />

irradiazione, le <strong>cellule</strong> positive al PI risultano il 22%<br />

mentre le <strong>cellule</strong> positive all’Anx V sono il 7% (Fig.<br />

2A). Per caratterizzare ulteriormente il processo apopto-<br />

24 ATTIVITÀ SCIENTIFICA Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011


Fig. 2A. I Contour Plot ANX V vs PI evidenziano<br />

gli eventi in apoptosi precoce e tardiva. 2B.<br />

Istogrammi relativi all’attivazione <strong>delle</strong> caspasi in<br />

<strong>cellule</strong> GM16193 di controllo e UVB-irradiate.<br />

tico abbiamo investigato l’attivazione <strong>delle</strong> caspasi (Fig.<br />

2B), rilevando risultati sovrapponibili all’annessina.<br />

L’esposizione UV della durata di 5 minuti sembra indurre<br />

prevalentemente morte per apoptosi, mentre<br />

un’esposizione più prolungata (10 minuti) potrebbe<br />

indurre un meccanismo di tipo necrotico, in cui non si<br />

assiste al coinvolgimento diretto <strong>delle</strong> caspasi. Grazie<br />

alle colorazioni con arancio di acridina (AO, Fig. 3) e<br />

lysotracker (dati non mostrati) abbiamo analizzato il<br />

Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011<br />

Fig. 1. Rappresentazione schematica del<br />

processo autofagico (Klionsky, 2007).<br />

Fig. 3. Le immagini di microscopia a fluorescenza mostrano l’uptake del marcatore<br />

vescicolare arancio di acridina (AO) in <strong>cellule</strong> di controllo, irradiate<br />

UVB per 10’, trattate con l’inibitore autofagico nocodazolo (NZ) e con nocodazolo<br />

+ UVB (NZ+UV10’).<br />

compartimento endolisosomiale, evidenziando un notevole<br />

aumento di positività per AO nei campioni irradiati,<br />

in particolare a seguito del trattamento di 10 minuti<br />

(UV10’± nocodazolo). Ciò suggerisce un aumento di<br />

volume del compartimento acido (lisosomi e autolisosomi)<br />

e/o una sua significativa riduzione di pH. La maggiore<br />

presenza di vacuoli nei campioni irradiati rivelata<br />

<strong>dalla</strong> microscopia a fluorescenza (e <strong>dalla</strong> microscopia a<br />

trasmissione, dati non mostrati) suggerisce la coesisten-<br />

ATTIVITÀ SCIENTIFICA<br />

25


Fig. 4A. Istogrammi relativi al contenuto di cardiolipine mitocondriali<br />

in <strong>cellule</strong> di controllo, irradiate UVB per 10’, trattate<br />

con rapamicina (RM) e con rapamicina + UVB (RM + UV10’).<br />

4B. Grafico relativo alle MFI (NAO) riscontrate nei singoli<br />

punti sperimentali (esperimento rappresentativo).<br />

za, all’interno della stessa cellula, di morte cellulare<br />

(apoptosi o necrosi in relazione all’intensità dello stimolo)<br />

e autofagia.<br />

Per quanto riguarda la colorazione mediante NAO (Fig.<br />

4A-B), i linfociti trattati con gli inibitori mostravano<br />

MFI paragonabili al controllo, mentre è stato osservato<br />

un incremento del 20% nel campione pretrattato con<br />

rapamicina (± UV10’).<br />

Questi dati potrebbero suggerire la rapamicina come farmaco<br />

per un ripristino almeno parziale del processo<br />

autofagico e rendere la cellula in grado di smaltire gli<br />

storage lisosomiali.<br />

Ringraziamenti<br />

Si ringrazia l’Associazione Italiana Niemann-Pick<br />

ONLUS per aver finanziato questo lavoro.<br />

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26 ATTIVITÀ SCIENTIFICA Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011


Applicazione della Citometria a flusso nella diagnosi<br />

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Cristina Picone, 1 Francesco Lanza, 2 Luigi Del Vecchio, 3<br />

Matteo Giovanni Della Porta, 1* (Società Italiana di Citometria, GIC)<br />

1Dipartimento di Ematologia e Oncologia, Università di Pavia e Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia,<br />

2Sezione di Ematologia e Trapianto di Midollo Osseo, Ospedale di Cremona, Cremona, 3CEINGE, Biotecnologie<br />

Avanzate, e Dipartimento di Biochimica e Biotecnologie, Università Federico II, Napoli, Italy<br />

LA DIFFICOLTÀ DELLA DIAGNOSI DELLE<br />

SINDROMI MIELODISPLASTICHE<br />

Le sindromi mielodisplastiche (MDS) sono un gruppo di<br />

disordini clinicamente caratterizzati da citopenia periferica,<br />

e da un aumentato rischio di evoluzione in leucemia<br />

acuta. Il decorso clinico della malattia è molto eterogeneo,variando<br />

da forme indolenti che si estendono per<br />

anni a forme che rapidamente progrediscono in leucemia.<br />

Tale eterogeneità riflette la complessità dei difetti<br />

genetici alla base della patologia, i quali non sono ancora<br />

stati chiariti. (1, 2)<br />

Secondo il dogma prevalente, la trasformazione clonale<br />

nelle MDS avverrebbe a livello di una cellula staminale<br />

commissionata in senso mieloide che può dare origine a<br />

globuli rossi, piastrine e granulociti. La caratteristica<br />

biologica di queste <strong>cellule</strong> staminali è una difettosa capacità<br />

di self-renewal e differenziazione (displasia), che si<br />

evidenzia attraverso la presenza di anomalie morfologiche<br />

di vario tipo. Alterazioni del cariotipo (che includono<br />

la perdita di materiale genetico e meno frequentemente<br />

traslocazioni bilanciate), vengono rilevate in circa il<br />

50% <strong>delle</strong> MDS primarie, e quando presenti, sono un<br />

indicatore di emopoiesi clonale. Tuttavia, anche se difetti<br />

citogenetici ricorrenti sono stati documentati nelle<br />

MDS già diversi anni fa, poche anomalie genetiche specifiche<br />

implicate nello sviluppo e/o nella progressione<br />

della malattia sono state descritte fino ad ora. (3) La<br />

valutazione morfologica della displasia emopoietica rappresenta<br />

la base della classificazione WHO di questi<br />

disturbi. (4) Questa classificazione offre ai clinici uno<br />

strumento molto utile per definire i diversi sottotipi di<br />

MDS e determinare la prognosi individuale. La combinazione<br />

della presenza di evidente displasia midollare e di<br />

anomalie citogenetiche clonali permette una diagnosi<br />

conclusiva di MDS. Tuttavia, questa combinazione si<br />

trova solo in alcuni pazienti, che tendono ad essere quelli<br />

con malattia più avanzata. In molti casi, infatti, la citogenetica<br />

non è informativa e la diagnosi di MDS si basa<br />

Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011<br />

e-mail: matteo@haematologica.org<br />

interamente ed esclusivamente sulla valutazione morfologica.<br />

La proposta della WHO ha sollevato la questione della<br />

definizione dei criteri diagnostici minimi per le MDS. La<br />

morfologia può essere difficile da valutare, dato che le<br />

alterazioni cellulari <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> del midollo osseo non<br />

sono specifiche per le MDS e possono essere trovate in<br />

altre condizioni patologiche. Di conseguenza, nella pratica<br />

clinica la riproducibilità tra operatori per il riconoscimento<br />

della displasia è di solito scarsa, in particolare<br />

per i pazienti che non hanno marcatori morfologici specifici,<br />

come sideroblasti ad anello o eccesso di blasti. (5)<br />

Inoltre, la scarsa qualità dei preparati citologici è un ostacolo<br />

comune ad una diagnosi accurata di MDS. Infine, la<br />

morfologia può essere difficile da valutare in alcuni<br />

pazienti con midollo ipocellulare o fibortico.<br />

L’implementazione nella pratica clinica della classificazione<br />

WHO <strong>delle</strong> MDS implica un incremento dell’accuratezza<br />

nella rilevazione della displasia emopoietica a<br />

livello midollare.<br />

RAZIONALE PER L’APPLICAZIONE DELLA<br />

CITOMETRIA A FLUSSO NELLA DIAGNOSI<br />

DI MDS<br />

L’analisi immunofenotipica è stata introdotta nella classificazione<br />

WHO <strong>delle</strong> neoplasie ematologiche quale<br />

strumento indispensabile per la diagnosi, classificazione,<br />

stadiazione e monitoraggio di alcune patologie, come i<br />

disordini linfoproliferativi e le leucemie acute. (4) In<br />

aggiunta, l’immunofenotipo è stato proposto come strumento<br />

per migliorare la valutazione della displasia<br />

midollare. (6) Per essere clinicamente applicabile,<br />

l’analisi citofluorimetrica dovrebbe essere basata su<br />

parametri di adeguata specificità e sensibilità, i dati<br />

dovrebbero essere riproducibili tra differenti operatori e<br />

i risultati dovrebbero essere facilmente interpretabili<br />

dagli operatori clinici. (7) Rispetto a questa situazione<br />

ideale, i risultati degli studi che hanno esaminato<br />

ATTIVITÀ SCIENTIFICA<br />

29


l’applicabilità della citometria a flusso (FCM) nella diagnosi<br />

di MDS, hanno mostrato alcuni limiti.<br />

In primo luogo, non c’è un singolo parametro immunofenotipico<br />

in grado da solo di discriminare tra MDS e<br />

altre condizioni patologiche, e non c’è accordo su quali<br />

siano i parametri diagnostici più appropriati. Inoltre, la<br />

valutazione in FCM della displasia eritroide (che rappresenta<br />

il cardine della diagnosi morfologica di MDS) è<br />

particolarmente difficoltosa, a causa della limitata disponibilità<br />

di marcatori specifici. Infine, i protocolli pubblicati<br />

sono principalmente basati sull’analisi qualitativa di<br />

variabili citometriche, e sono testati su popolazioni<br />

molto eterogenee di pazienti, affiori che ne limitano<br />

l’applicazione clinica su vasta scala. (7, 8)<br />

A causa di queste limitazioni, al momento dell’introduzione<br />

della classificazione WHO (2001), l’analisi immunofenotipica<br />

non è stata raccomandata come procedura<br />

di screening per le MDS. Più recentemente, molti studi<br />

hanno affrontato i punti deboli della FCM nella diagnosi<br />

di MDS e sono stati fatti progressi significativi in questo<br />

contesto.<br />

Nel 2006 un gruppo di esperti internazionali si è incontrato<br />

a Bethesda per formulare raccomandazioni riguardo<br />

alla appropriatezza dei test citofluorimetrici in base al<br />

quadro clinico. (9) E’ stato raggiunto un consenso sul<br />

fatto che l’immunofenotipo sia indicato nella valutazione<br />

di pazienti con citopenia del sangue periferico: in questa<br />

situazione clinica, la FCM può stabilire la presenza di<br />

una patologia ematologica o, al contrario contribuire a<br />

dimostrare l’assenza di malattia. Inoltre, in accordo con i<br />

risultati della Working Conference del 2006 sulle MDS,<br />

l’immunofenotipo permette la rilevazione di anomalie<br />

nella differenziazione <strong>delle</strong> popolazioni cellulari midollari<br />

che non sarebbero altrimenti rilevabili tramite la<br />

morfologia.(10) Questi elementi sostengono l’utilità dell’immunofenotipo<br />

nel formulare una diagnosi definitiva<br />

di MDS, specialmente nei casi in cui non vi è significativa<br />

displasia morfologica o eccesso di blasti. Più recentemente,<br />

la revisione della classificazione WHO (2008)<br />

ha riconosciuto che l’analisi citofluorimetrica <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong><br />

emopoietiche può aggiungere importanti informazioni<br />

alla valutazione diagnostica e prognostica dei<br />

pazienti con MDS. (4)<br />

VALUTAZIONE IMMUNOFENOTIPICA DELLA<br />

DISPLASIA MIELOIDE<br />

La displasia mieloide definita morfologicamente secondo<br />

i criteri WHO, è presente in circa il 60% dei pazienti<br />

di MDS alla diagnosi. Le più significative alterazioni<br />

morfologiche della linea granulocitaria includono ipogranularità<br />

<strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> mieloidi, presenza di neutrofili<br />

pseudo-Pelger e aumento nel midollo osseo di <strong>cellule</strong><br />

mieloidi negli stadi più precoci di maturazione. Queste<br />

anomalie influenzano significativamente la rilevazione<br />

dei parametri fisici (side scatter, SSC e forward scatter,<br />

FSC) in FCM. (11)<br />

La difettosa capacità di self-renewal e di differenziazione<br />

<strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> staminali mielodisplastiche esita in<br />

diverse anomalie dell’ espressione antigenica <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong><br />

granulocitarie, che possono essere facilmente rilevate<br />

<strong>dalla</strong> FCM grazie ad una grande disponibilità di specifici<br />

anticorpi per linea mieloide. Aberrazioni della linea<br />

granulocitaria includono la presenza di antigeni che normalmente<br />

non sono espressi dalle <strong>cellule</strong> granulocitarie e<br />

l'espressione alterata di antigeni mieloidi. (8) (Figura. 1<br />

e Tabella 1).<br />

In dettaglio, nella serie granulocitaria dei pazienti affetti<br />

da MDS è presente un aumento percentuale di <strong>cellule</strong><br />

granulocitarie con basso CD16 o di <strong>cellule</strong> con CD16 e<br />

CD11b entrambi bassi.(8, 12) Inoltre, un alterato modello<br />

di maturazione granulocitaria può essere dimostrato<br />

esaminando l’espressione di CD13 e CD16. Numerose<br />

anomalie dei pattern di maturazione CD13/CD16 sono<br />

state descritte in pazienti affetti da MDS, tra cui un<br />

aumento <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> negli stadi di mielociti e metamielociti<br />

e una diminuzione di neutrofili CD13+CD16+<br />

(Figura. 1 e Tabella 1). (8, 12, 13) <strong>Lo</strong> <strong>studio</strong> di Stetler-<br />

Stevenson et al. pubblicato nel 2001 (8) è stato il primo<br />

a dimostrare che l'identificazione di anomalie immunofenotipiche<br />

tramite FCM è utile a stabilire una diagnosi di<br />

MDS, soprattutto quando i risultati della valutazione<br />

morfologica e gli studi citogenetici non sono conclusivi.<br />

Oltre alle anomalie di maturazione, nelle MDS sono stati<br />

descritte aberrazioni nell'espressione di diversi antigeni<br />

sui granulociti come CD64, CD10, e CD56. Antigeni linfoidi,<br />

come CD2, CD5, CD7 e CD19 possono essere<br />

espressi in modo anomalo dai progenitori mieloidi e<br />

dalle <strong>cellule</strong> mieloidi maturanti. (12-14) Inoltre, un risultato<br />

comune in questi pazienti è l'espressione atipica di<br />

antigeni su <strong>cellule</strong> mieloidi immature che sono normalmente<br />

espressi sulle <strong>cellule</strong> mieloidi mature, come<br />

CD11b e CD15. Per quanto riguarda il compartimento<br />

monocitico, le anomalie più frequenti osservate nei<br />

pazienti affetti da MDS sono l’alterata espressione di<br />

CD56, HLA-DR, CD36, CD33, CD15, CD14, CD13, e<br />

CD11b. (8, 12) In generale, il numero di anomalie<br />

segnalate dall’analisi citofluorimetrica è correlata con il<br />

grado di displasia morfologica. (8, 12)<br />

Le frequenze <strong>delle</strong> singole aberrazione mieloidi in<br />

pazienti affetti da MDS sono molto variabili in diversi<br />

studi. In generale una ridotta granulazione dei neutrofili<br />

si osserva nella grande maggioranza dei pazienti affetti<br />

da MDS (frequenza da 10 a 84% dei casi) e tale parametro<br />

è risultato essere altamente riproducibile se espresso<br />

come rapporto tra SSC dei granulociti e SSC dei linfociti.<br />

(11) Anomalie dei pattern maturativi granulocitari<br />

(CD11b/CD16 e CD13/CD16) sono stati segnalati con<br />

alta frequenza nelle MDS nonostante una grande variabilità<br />

in diversi studi (frequenza da 23 a 78%). Aberrazioni<br />

nell'espressione di CD64, CD10, CD56, e altri antigeni<br />

sui granulociti sono stati descritti in una percentuale<br />

compresa tra il 5% e il 66% dei casi di MDS. (8, 12, 14)<br />

30 ATTIVITÀ SCIENTIFICA Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011


Una singola anomalia mieloide evidenziata immunofenotipicamente<br />

è presente in circa il 30-40% dei pazienti<br />

affetti da citopenia non-clonale. (8, 12, 14) Pertanto, una<br />

singola anomalia mieloide evidenziata con FCM non è<br />

un dato sufficiente per una diagnosi definitiva dui MDS,<br />

e devono quindi essere rilevate altre anomalie sulle cel-<br />

Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011<br />

Fig. 1. Caratteristiche immunofenotipica di displasia<br />

mieloide nelle MDS. (A-B) Anomalie mieloidi nelle<br />

MDS dimostrate in un plot CD45 vs SSC: (A) midollo<br />

osseo di un donatore sano: granulociti normali nella<br />

regione selezionata; (B) midollo osseo di un paziente<br />

con MDS e neutrofili ipogranulari con SSC basso. (C-<br />

E) Analisi del pattern maturativo granulocitario CD16<br />

vs. CD13: (C) midollo osseo di un donatore sano; (D-E)<br />

midollo osseo di un paziente con MDS con un incremento<br />

di <strong>cellule</strong> nelle fasi di maturazione mielocitaria e<br />

metamielocitaria e una diminuzione dei neutrofili segmentati<br />

CD13+CD16+. (F-H) Analisi del pattern maturativo<br />

granulocitario CD16 vs. CD11b: (F) midollo<br />

osseo di un donatore sano; (G-H) midollo osseo di un<br />

paziente rappresentativo con MDS che mostra una maggiore<br />

percentuale di granulociti con CD16 basso o con<br />

entrambi CD16 e CD11b bassi.<br />

Tabella 1. Frequenza e riproducibilità <strong>delle</strong> anomalie dei compartimenti granulocitario, eritroide e CD34+ nelle MDS<br />

lule granulocitarie per concludere che la displasia mieloide<br />

è presente. Attualmente la valutazione multiparametrica<br />

della maturazione mieloide e monocitaria e dei<br />

pattern di espressione antigenica consente l'identificazione<br />

di due o più anomalie immunofenotipiche<br />

nella grande maggioranza dei casi di MDS (dal 70% a<br />

ATTIVITÀ SCIENTIFICA<br />

31


32<br />

più del 90% in diversi studi) (8, 12, 14). Generalmente la<br />

citofluorimetria è più sensibile nel rilevamento della<br />

displasia mieloide rispetto alla morfologia e anomalie<br />

immunofenotipiche mieloidi vengono identificate anche<br />

in una percentuale significativa dei casi (da 20% a più<br />

del 90%) classificati come citopenia refrattaria con<br />

displasia unilineare (RCUD) o MDS non classificabile.<br />

(8, 12, 14)<br />

La grande variabilità della percentuale di anomalie<br />

immunofenotipiche in pazienti affetti da MDS riflette in<br />

parte l'eterogeneità biologica tra queste patologie, ma<br />

anche la mancanza di una procedura standardizzata<br />

riproducibile per la valutazione di questi parametri.<br />

L'approccio più largamente usato per valutare la displasia<br />

mieloide in FCM è l’analisi di riconoscimento di pattern<br />

maturativi. (8, 12, 13) Si tratta di un metodo qualitativo<br />

basato sul riconoscimento di una deviazione dal<br />

pattern normale di espressione dell’antigene. In modo<br />

simile alla valutazione morfologica, questo approccio è<br />

uno strumento molto efficace per operatori esperti, il<br />

riconoscimento di anomalie nei pattern maturativi presenta<br />

diversi punti deboli. La descrizione numerica dei<br />

risultati è difficile, così che l’analisi quantitativa non è<br />

possibile; inoltre la definizione precisa del pattern normale<br />

di riferimento può essere complessa; infine, con<br />

rare eccezioni, non sono attualmente disponibili dati di<br />

riproducibilità nel contesto di MDS (7, 8). Per superare<br />

queste limitazioni, alcuni studi hanno analizzato<br />

l'espressione di antigeni mieloidi come percentuale di<br />

<strong>cellule</strong> positive. (14) Si tratta di un metodo quantitativo<br />

che ha dimostrato di essere riproducibile, almeno tra<br />

diversi operatori di un laboratorio. Tuttavia, la definizione<br />

di una soglia tra le popolazioni positive e negative,che<br />

nella maggior parte dei metodi si basa in ultima analisi<br />

su criteri arbitrari, rimane un grande limite di questo<br />

approccio. Un metodo alternativo di analisi per esprimere<br />

le variabili citofluorimetriche in maniera quantitativa<br />

è l'intensità media di fluorescenza (MFI), definita come<br />

il rapporto tra l’MFI misurato del marcatore testato e<br />

l'autofluorescenza media misurata <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong>. Analisi<br />

FCM di displasia del midollo tramite MFI appare particolarmente<br />

promettente. Infatti la MFI ha dimostrato di<br />

essere altamente riproducibile in contesti sia intralaboratorio<br />

che interlaboratorio.(14, 15) Inoltre, i rapporti di<br />

fluorescenza dipendono sia <strong>dalla</strong> percentuale di <strong>cellule</strong><br />

che esprimono il marcatore testato che dall'intensità di<br />

espressione, che può essere importante nelle MDS, nelle<br />

quali le popolazioni del midollo sono tipicamente eterogenee<br />

per un particolare marcatore.<br />

VALUTAZIONE DELLA DISPLASIA ERITROIDE<br />

IN CITOMETRIA A FLUSSO<br />

La displasia eritroide è la pietra miliare della diagnosi<br />

morfologica <strong>delle</strong> MDS (4). La valutazione della displasia<br />

eritroide con FCM è particolarmente difficoltosa: la<br />

precisa identificazione dei precursori eritroidi midollari è<br />

ATTIVITÀ SCIENTIFICA<br />

problematica e c’è una limitata disponibilità di marcatori<br />

specifici. Il primo punto critico dell’analisi immunofenotipica<br />

del compartimento eritroide è la strategia di<br />

gating per identificare i precursori eritroidi nel midollo.<br />

Le <strong>cellule</strong> eritroidi nucleate sono caratterizzate da ridotto/assente<br />

CD45 e basso SSC. (16) Fare una regione<br />

sulle <strong>cellule</strong> con CD45 da debole a negativo e con basso<br />

SSC è certamente semplice e riproducibile. Tuttavia, in<br />

questa regione si trovano anche globuli rossi maturi<br />

(anucleati), detriti cellulari, e <strong>cellule</strong> non ematopoietiche<br />

che non sono discriminabili sulla base <strong>delle</strong> caratteristiche<br />

del CD45 o dello scatter. In alternativa, potrebbe<br />

essere eseguito un gate immunologico basato sugli antigeni<br />

espressi dalle <strong>cellule</strong> eritroidi. Durante lo sviluppo<br />

fisiologico da eritroblasti basofili a eritrociti, c'è una progressiva<br />

diminuzione dell’espressione di CD45. (16) Un<br />

aumento della glicoforina A (Gly-A) è osservato all'inizio<br />

della differenziazione da eritroblasto basofilo a eritroblasto<br />

ortocromico. Infine, il CD71 è uno dei primi<br />

antigeni a essere espresso durante la maturazione eritroide<br />

(che anticipa l’espressione di Gly-A), rimane sui reticolociti<br />

dopo enucleazione e poi viene perso prima della<br />

perdita dell’ RNA. (16) Da un punto di vista teorico, fare<br />

un gate sugli eritroblasti sulla base dell’espressione di<br />

CD71 sarebbe preferibile, dato che le <strong>cellule</strong> Gly A positive<br />

escludono una parte dei precursori eritroidi più<br />

immaturi, che possono essere aumentati nelle MDS.<br />

Tuttavia, è riportata una disregolazione dell'espressione<br />

di CD71 nelle MDS, (8) e quindi la Gly-A che ha un<br />

coefficiente di variazione di intensità molto stretto da<br />

individuo ad individuo, dovrebbe essere preferibilmente<br />

adottata nel gating dei precursori eritroidi nel contesto<br />

<strong>delle</strong> MDS. Anche il processo di lisi dei globuli rossi è<br />

critico: anche se un approccio no lyse-no wash fornisce<br />

una stima più accurata dei globuli rossi nucleati, un<br />

approccio lyse-no wash è certamente più semplice e più<br />

facilmente implementabile nella diagnosi di pazienti<br />

affetti da MDS. (7)<br />

<strong>Lo</strong> <strong>studio</strong> di Stetler-Stevenson et al. ha dimostrato per la<br />

prima volta la fattibilità della valutazione della displasia<br />

eritroide mediante FCM (8). Anomalie dei precursori eritroidi<br />

sono state individuate nella grande maggioranza<br />

dei casi studiati di MDS (77%). Tuttavia, la sola anomalia<br />

consistente della linea eritroide in questo <strong>studio</strong> è<br />

stata l’espressione asincrona di CD71 rispetto a Gly-A<br />

sugli eritroblasti. Un approccio promettente per superare<br />

la limitata disponibilità di marcatori specifici di displasia<br />

eritroide in FCM è l'analisi <strong>delle</strong> proteine metabolismo<br />

del ferro cellulare. (17) E' noto che il metabolismo del<br />

ferro è essenziale nelle <strong>cellule</strong> eritroidi per la produzione<br />

di eme ed è alterato in modo peculiare nelle MDS. A<br />

livello cellulare, la ferritina con le sue subunità H e L<br />

svolge un ruolo critico nella regolazione dell’omeostasi<br />

intracellulare del ferro, immagazzinando ferro all'interno<br />

del suo guscio multimerico. Essa svolge inoltre un ruolo<br />

importante nella detossificazione del ferro libero poten-<br />

Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011


zialmente dannoso in virtù dell'attività ferrossidasica<br />

della subunità H. Il recettore della transferrina CD71 è<br />

indispensabile per l'assorbimento del ferro dall’ambiente<br />

extra-cellulare. Le <strong>cellule</strong> eritroidi nelle MDS presentano<br />

un fenotipo “iron-loaded” caratterizzato da un aumento<br />

del contenuto della ferritina (in particolare subunità H)<br />

e riduzione del recettore della transferrina.(17) È interessante<br />

notare che l’espressione di ferritina H e del CD71<br />

riflettono il grado di displasia valutati <strong>dalla</strong> morfologia.<br />

Dati preliminari suggeriscono che un approccio multiparametrico<br />

basato sulla valutazione <strong>delle</strong> proteine del<br />

ferro permette di classificare correttamente oltre il 90%<br />

<strong>delle</strong> MDS e dei controlli patologici con una accettabile<br />

riproducibilità. (17)<br />

VALUTAZIONE DEI BLASTI E DEL<br />

COMPARTIMENTO CD34+<br />

La trasformazione clonale nelle MDS avviene a livello di<br />

una cellula CD34+ commissionata in senso mieloide che<br />

ha un vantaggio competitivo rispetto al normale compartimento<br />

<strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> staminali.(3) Questi precursori<br />

ematopoietici (blasti) sono morfologicamente definiti<br />

come <strong>cellule</strong> immature con cromatina lassa, nucleoli prominenti,<br />

basso rapporto nucleare/citoplasmatico, e nessuno<br />

o pochi granuli citoplasmatici. La valutazione del<br />

compartimento blastico ha rilevanza diagnostica nel<br />

sistema WHO, ed è stato riconosciuto che la percentuale<br />

di blasti midollari ha effetto prognostico nei pazienti con<br />

MDS. (4)<br />

Il primo tentativo di applicazione della FCM è stato di<br />

fornire una stima quantitativa dei blasti nel midollo<br />

osseo che avesse una maggiore sensibilità e riproducibilità<br />

rispetto alla conta morfologica. Purtroppo, la valutazione<br />

quantitativa in FCM dei blasti nel midollo <strong>delle</strong><br />

MDS presenta limitazioni sia tecniche che intrinseche.<br />

In primo luogo, i blasti nelle MDS non sono le <strong>cellule</strong><br />

predominanti nel midollo osseo, rendendo così difficile<br />

la loro analisi e, inoltre, i blasti mancano di marcatori<br />

immunofenotipici specifici.(6) La percentuale di <strong>cellule</strong><br />

CD34+ determinate <strong>dalla</strong> FCM è stata testata come sostituta<br />

del conteggio visivo dei blasti. Tuttavia, anche se le<br />

<strong>cellule</strong> ematopoietiche che esprimono CD34 sono blasti,<br />

non tutti i blasti esprimono CD34.(14) Dovrebbe essere<br />

considerato inoltre che i campioni di midollo osseo per la<br />

valutazione morfologica possono variare notevolmente<br />

rispetto a quello per l’analisi in citofluorimetria. Quindi,<br />

l’analisi della percentuale di <strong>cellule</strong> CD34+ determinata<br />

in sostituzione del conteggio visivo nelle MDS è scoraggiata<br />

<strong>dalla</strong> corrente classificazione WHO. (4)<br />

Risultati più interessanti nell’ottica dell’applicazione<br />

della FCM nella diagnosi dei pazienti affetti da MDS<br />

derivano dall'analisi <strong>delle</strong> anomalie immunofenotipiche<br />

del compartimento <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> CD34+.(11, 18, 19)<br />

Come sottolineato in precedenza, il compartimento <strong>delle</strong><br />

<strong>cellule</strong> CD34+ è alterato in modo peculiare nelle MDS e<br />

quindi i parametri CD34-correlati potrebbero essere<br />

buoni candidati per l'identificazione di marcatori diagnostici<br />

per questi disturbi. La trasformazione clonale nelle<br />

MDS avviene a livello di una cellula staminale mieloide:<br />

di conseguenza, la proporzione di <strong>cellule</strong> CD34+ è significativamente<br />

più alta nelle MDS rispetto ai soggetti<br />

sani, e la grande maggioranza <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> sono esprimono<br />

antigeni della linea mieloide.(11, 18, 19) Inoltre, nelle<br />

<strong>cellule</strong> CD34+ isolate da MDS a basso rischio è stata<br />

osservata una significativa down-regolazione dei geni<br />

legati al differenziamento B-cellulare rispetto ai controlli<br />

sani e ai pazienti con citopenia nonclonale, e oggi una<br />

riduzione di ematogoni allo stadio I è uno dei parametri<br />

immunofenotipici più consistenti in pazienti con MDS<br />

(19, 20). In diversi studi, è stata osservata una significativa<br />

diminuzione di progenitori B CD34+ nel 40-70% dei<br />

soggetti con una diagnosi conclusiva di MDS e nel 20-<br />

40% dei pazienti con citopenia nonclonale. (19, 20)<br />

L'analisi sia della percentuale di mieloblasti CD34+ che<br />

<strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> B CD34+ ha dimostrato di avere una bassa<br />

variabilità inter-operatore. (19, 20).<br />

Diverse altre anomalie immunofenotipiche su <strong>cellule</strong> del<br />

compartimento CD34+ nelle MDS sono stati segnalate,<br />

tra cui l’asincrona co-espressione di antigeni di <strong>cellule</strong><br />

staminali e di stadi mieloidi successivi (CD117, CD15 e<br />

CD11b) o l’anomala espressione di marcatori linfoidi<br />

(CD2, CD5, CD7,CD19 e CD56).(8, 11, 12, 14, 19)<br />

Tuttavia, la maggior parte di questi parametri non hanno<br />

adeguata riproducibilità nel contesto <strong>delle</strong> MDS (19, 21)<br />

con l'eccezione del rapporto tra CD45 su linfociti e CD45<br />

su mieloblasti che assicura accettabile variabilità interoperatore<br />

regolando i dati sulle <strong>cellule</strong> bersaglio con quelle<br />

dei linfociti nello stesso campione. Quando combinati<br />

insieme con la valutazione della SSC su granulociti, questi<br />

parametri differenziano correttamente la maggior parte<br />

<strong>delle</strong> MDS dai controlli patologici, con sensibilità che<br />

vanno dal 30 al 70% e specificità che vanno dall’80% a<br />

più del 90% in diversi studi. (11, 19) (Figura 2)<br />

È interessante notare che la valutazione dei parametri<br />

relativi al compartimento CD34+ sembra essere utile ai<br />

fini diagnostici anche in pazienti senza marcatori specifici<br />

di displasia midollare (sideroblasti ad anello e/o anomalie<br />

cromosomiche clonali).(19) Come sottolineato in<br />

precedenza, un problema critico per la valutazione morfologica<br />

della displasia midollare è che questa può essere<br />

ostacolata <strong>dalla</strong> presenza di ipocellularità, fibrosi, o<br />

inadeguata raccolta del campione. In questo contesto, la<br />

grande maggioranza di campioni di midollo,anche se<br />

diluito con del sangue periferico, fornisce dati accurati<br />

per la maggior parte dei parametri CD34-correlati (11).<br />

Tutti questi risultati suggeriscono che i parametri relativi<br />

al compartimento CD34+ sono buoni candidati per<br />

l'identificazione di marcatori diagnostici che non solo<br />

possono essere utilizzati per la diagnosi di pazienti affetti<br />

da MDS, ma sono anche relativamente stabili e riproducibili<br />

tra diversi operatori.<br />

Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011 ATTIVITÀ SCIENTIFICA 33


34<br />

Fig. 2. Valutazione della displasia midollare mediante l'analisi di quattro parametri cardinale ottenuti dall’analisi di una singola aliquota<br />

di sangue midollare marcato con anticorpi anti-CD34 e CD45. Strategia di gating. (A) Tutte le <strong>cellule</strong> nucleate (P1) e <strong>cellule</strong><br />

con SSC relativamente basso (R2). (B) Le <strong>cellule</strong> in R2 nel pannello A sono state visualizzate su un plot CD34-versus-CD45 ed è stato<br />

effettuato un gate sugli elementi CD34+CD45+ con espressione intermedia (P3). (C) Le <strong>cellule</strong> in R3 nel pannello B sono state visualizzate<br />

su un plot CD45-versus-SSC. I progenitori B cellulari CD34+ formano un cluster cellulare nella regione di <strong>cellule</strong> CD34+ in<br />

basso a sinistra (P5). Le <strong>cellule</strong> in P4 al contrario sono composte principalmente da mieloblasti. (D), Le <strong>cellule</strong> granulocitarie (P6) e<br />

i linfociti (P7) sono stati individuati su un plot CD45-versus-SSC. (E) SSC di linfociti (pannello superiore) e <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> granulocitiche<br />

(pannello inferiore). I valori del picco del canale SSC di entrambe le frazioni sono state calcolate utilizzando il software del citometro.<br />

(F) Espressione di CD45 sui linfociti (pannello superiore) e i mieloblasti CD34 + (pannello inferiore). L’intensità media di fluorescenza<br />

(MFI) di CD45 di entrambe le frazioni è stata calcolata.<br />

Bibliografia<br />

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Boni M, Travaglino E, et al. Prognostic factors and life<br />

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fibrosis and CD34-positive cell clusters in primary<br />

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and karyotype. Blood. 2006 Jul 1;108(1):337-45.<br />

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analysis of hematolymphoid neoplasia: medical indications.<br />

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Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011


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Leisenring WM, et al. Myeloid and monocytic dyspoiesis as<br />

determined by flow cytometric scoring in myelodysplastic<br />

syndrome correlates with the IPSS and with outcome after<br />

hematopoietic stem cell transplantation. Blood. 2003 Jul<br />

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13.van de <strong>Lo</strong>osdrecht AA, Westers TM, Westra AH, Drager<br />

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Flow cytometric parameters with little interexaminer variability<br />

for diagnosing low-grade myelodysplastic syndromes.<br />

Leuk Res. 2008 May;32(5):699-707.


Viaggiando per convegni<br />

a cura del “Viaggiatore”<br />

Azienda Agrituristica Seliano<br />

A Paestum: insediamento fra i più suggestivi<br />

della Magna Grecia<br />

L’Azienda Agrituristica “Seliano” è in un area di circa 80 ettari,<br />

dove la campagna si arricchisce di testimonianze storiche e<br />

archeologiche, sorge, infatti, vicino all’area di Paestum, insediamento<br />

fra i più suggestivi della Magna Grecia e appartiene, fin<br />

dal periodo borbonico, ai Baroni Bellelli, a cui Edgar Degas intitola<br />

un suo celebre dipinto “La Famiglia Bellelli”, esposto a<br />

Museo D’Orsey di Parigi L’antico borgo, risalente a metà ‘800,<br />

è stato ristrutturato conservandone il suo aspetto originale infatti<br />

sia la club-house che la foresteria offrono un’atmosfera rustica<br />

ed accogliente, dove si trovano le 14 camere impreziosite da<br />

arredi d’epoca di raffinata semplicità. L’azienda comprende<br />

moderne scuderie con 10 cavalli, con i quali gli ospiti di Seliano<br />

possono far pratica nel maneggio, approfondire la tecnica<br />

equestre nel tondino con istruttori qualificati.Non a caso la famiglia<br />

Bellelli vanta una lunga tradizione in merito ai cavalli da<br />

corsa, in particolare il cavallo Salernitano che è stato medaglia<br />

d’oro a Vienna nel 1873 all’esposizione Universale. Per chi non<br />

va a cavallo è possibile rimanere distesi lungo i bordi della piscina<br />

della villa o recarsi al mare poco distante; inoltre è possibile<br />

scoprire angoli incontaminati del Parco del Cilento, seguendo<br />

percorsi poco frequentati dal turismo di massa e dove gli appassionati di funghi potranno inoltrarsi in boschi e radure alla loro ricerca.<br />

Particolare cura viene riservata alla cucina, seguendo la tradizione familiare dei proprietari, che ne curano personalmente la gestione.<br />

I cibi sono preparati con prodotti freschi, che provengono dalle aziende agricole di famiglia, ove vengono coltivati, secondo metodi naturali,<br />

i prodotti tipici della Piana del Sele, quali pomodori, zucchine, melanzane, peperoni, carciofi, da offrire ai propri Ospiti, e garantirne<br />

la migliore qualità. Gli Ospiti potranno seguire corsi di cucina tenuti personalmente <strong>dalla</strong> Padrona di casa, profonda conoscitrice della<br />

gastronomia del Cilento. Tra i prodotti tipici dell’Azienda c’è un raffinatissimo olio extravergine d’oliva ottenuto ancora con il tradizionale<br />

metodo di spremitura a pressione, aceto, limoncello, nocino, “rosoli d’altri tempi”, vengono venduti in bottiglie numerate e rappresentano<br />

solo alcuni dei prodotti che l’Azienda offre ai propri Ospiti; e ancora marmellate di arance, fichi e fragole, prodotti sott’olio come<br />

melanzane, olive, peperoni, pomodori, così come le paste fatte in casa e pane e pizze cotti con forno a legna. In azienda si allevano<br />

900 bufale di razza Mediterranea Italiana,dal cui latte si producono le ottime mozzarelle, ricotta ed altri formaggi tipici e vanto di “Seliano”,<br />

l’Azienda propone carne di vitello di bufala, una vera<br />

e propria leccornia. La prossima Conferenza a<br />

Salerno potrebbe offrire, agli Amici del GIC,<br />

l’occasione per un rilassante fine settimana a<br />

Paestum e godere della gastronomia e della squisita<br />

accoglienza dell’Azienda Agrituristica Seliano,:<br />

amichevolmente accolti da Ettore Bellelli e<br />

Collaboratori in cui spiccano le gentilissime ed efficienti<br />

Ragazze dello Staff di cucina, magistralmente<br />

guidate <strong>dalla</strong> Sig.ra Maria.<br />

Azienda Agrituristica Seliano<br />

Tenuta Seliano – 84047 Capaccio-Paestum<br />

Tel. 082.8723634 e 335.6674200<br />

e-mail: seliano@agriturismoseliano.it<br />

Lettere GIC Vol. 20, Num. 2 - Agosto 2011 VIAGGIANDO PER CONVEGNI 37


38<br />

MACSQuant ® VYB<br />

nuovo<br />

citometro<br />

a flusso<br />

Miltenyi Biotec, azienda leader nel settore della separazione immuno-magnetica<br />

(Tecnologia MACS®) e fornitore di più di 1000 prodotti, strumenti e service per la ricerca<br />

biomedica e per la clinica, ha recentemente annunciato il lancio di un nuovo citometro a flusso,<br />

il MACSQuant VYB. Il nuovo prodotto è stato ideato e costruito da Miltenyi Biotec con lo scopo<br />

di fornire ai ricercatori uno strumento altamente performante per analisi di proteine fluorescenti<br />

per cui risulta particolarmente adatto per tutti quei laboratori che lavorano nel campo della<br />

trasduzione del segnale e dello <strong>studio</strong> <strong>delle</strong> <strong>cellule</strong> staminali e del loro differenziamento.<br />

La presenza contemporanea di tre sorgenti LASER e l’elevato numero di parametri visualizzabili<br />

(dieci in totale: FSC, SSC e otto fluorescenze) consente a ricercatori che operano in campi<br />

diversificati di avere uno strumento flessibile per tutte le loro applicazioni.<br />

Il MACSQuant VYB è il secondo nato nella famiglia degli analizzatori<br />

citofluorimetrici offerti da Miltenyi Biotec e si va ad affiancare<br />

al MACSQuant Analyzer, lanciato poco più di 2 anni fa e già<br />

diffuso in numerosi laboratori facenti capo a istituti di fama internazionale.<br />

La principale novità del MACSQuant VYB sta nell’utilizzo<br />

in associazione ai LASER blu (488 nm) e violetto (405 nm)<br />

di un LASER giallo (561 nm) che, nel contesto di un banco ottico<br />

ottimizzato (vd Tabelle 1 e 2), consente l’analisi di numerose proteine<br />

fluorescenti (vd Figura 1). Questa prerogativa, unitamente<br />

alla maggior sensibilità per le ficoeritrine (PE) rende il<br />

MACSQuant VYB uno strumento unico nella sua categoria. Fatta<br />

eccezione per il banco ottico, le caratteristiche che hanno decretato<br />

il successo del MACSQuant Analyzer negli ultimi anni, sono riproposte<br />

senza variazioni nel MACSQuant VYB. Prima di tutto le<br />

dimensioni ridotte: il MACSQuant VYB è il citofluorimetro più<br />

compatto nella sua categoria. Il suo design (60×35×40 cm) lo rende<br />

perfetto per effettuare analisi multiparametriche sul bancone da<br />

laboratorio. Il computer e le bottiglie dei buffer sono integrate nel<br />

sistema, quindi lo strumento non necessita di alcun componente<br />

accessorio. In secondo luogo la conta cellulare assoluta volumetrica:<br />

il MACSQuant VYB sfrutta un sistema non pressurizzato di<br />

prelevamento del campione che consente, attraverso l’aspirazione<br />

tramite una pompa a siringa, di calcolare esattamente il volume del<br />

campione analizzato. Questa caratteristica permette di ottenere, al<br />

termine di ogni acquisizione, la conta assoluta (volumetrica) <strong>delle</strong><br />

<strong>cellule</strong> contenute nel campione di partenza senza la necessità di utilizzare<br />

costose biglie per la conta. La calibrazione, cioè il processo<br />

che consente di verificare e, qualora necessario, modificare i<br />

parametri di voltaggio dei fotomoltiplicatori in modo da ottenere<br />

sempre la massima sensibilità dello strumento, viene effettuata<br />

mediante l’utilizzo di biglie fluorescenti ed è basata su un processo<br />

totalmente automatizzato. La compensazione si basa su una matrice<br />

8x8, e può essere eseguita con un processo automatizzato utilizzando<br />

sia <strong>cellule</strong> marcate con i singoli fluorocromi che biglie. La<br />

compensazione può essere effettuata sia durante l’acquisizione che<br />

successivamente. Il MACSQuant VYB può essere implementato<br />

con il MACS MiniSampler, un supporto robotizzato in grado di<br />

alloggiare diversi rack per consentire la massima flessibilità per<br />

quello che riguarda le provette da impiegare: 1,5 mL, 5 mL, 15 mL<br />

50 mL e piastre da 96 pozzetti. Il software del MACSQuant è in<br />

grado di controllare il prelevamento, la marcatura e il processamento<br />

dei diversi campioni in modo totalmente automatizzato. I singoli<br />

campioni possono comunque essere programmati individualmente<br />

variando qualunque parametro di acquisizione. Con la<br />

MACSQuant Cell Enrichment Unit, MACSQuant VYB è in<br />

grado di eseguire il pre-arricchimento di <strong>cellule</strong> marcate magneticamente<br />

prima dell’analisi citofluorimetrica (vd Figura 2). Questa<br />

caratteristica è basata sulla rinomata Tecnologia MACS che utilizza<br />

una colonna contenente una matrice di sfere di acciaio posta<br />

all’interno di un magnete permanente. L’unità di pre-arricchimento<br />

è utile principalmente per l’analisi di popolazioni cellulari rare, ad<br />

esempio sottopopolazioni di <strong>cellule</strong> staminali o <strong>cellule</strong> <strong>tumorali</strong> in<br />

circolo. Infine, il MACSQuant VYB non richiede nessun tipo di<br />

manutenzione ordinaria. <strong>Lo</strong> strumento lava l’ago di prelevamento<br />

del campione e la cella di flusso automaticamente tra un campione<br />

e l’altro e con un semplice click sullo schermo attiva i cicli di avvio<br />

e spegnimento senza nessun ulteriore intervento da parte dell’operatore.<br />

Questo tipo di automazione previene danni alla fluidica a<br />

consente il mantenimento nel tempo <strong>delle</strong> ottime performance della<br />

macchina. Con l’aggiunta del MACSQuant VYB, l’offerta di<br />

Miltenyi Biotec per la citometria a flusso si amplia ulteriormente e<br />

va di pari passo con l’espansione di una gamma di reagenti che riesce<br />

a coniugare perfettamente qualità e convenienza.<br />

Per maggiori informazioni:<br />

www.macsquant.com<br />

www.miltenyibiotec.com<br />

macs@miltenyibiotec.it


Figura 1: il MACSQuant VYB permette di rilevare un’ampia<br />

gamma di proteine fluorescenti. Cellule CHO trasfettate con CFP,<br />

GFP, YFP (riga superiore), mCherry ed mKate2 (riga inferiore)<br />

sono facilmente distinguibili da <strong>cellule</strong> non trasfettate (istogramma<br />

in viola). GFP e YFP sono spesso difficili da distinguere tra<br />

loro in citometria a flusso a causa <strong>delle</strong> somiglianze nei loro spettri<br />

di emissione. Con il MACSQuant VYB, <strong>cellule</strong> trasfettate<br />

conYFP (mostrate in giallo) e GFP (mostrate in verde) sono facilmente<br />

distinguibili quando visualizzate nel canale B2 (plot in<br />

basso a destra). Con il MACSQuant VYB è pertanto possibile<br />

analizzare fino a 5 proteine fluorescenti simultaneamente.<br />

Analisi sensibile di sottopopolazioni rare<br />

In genere, in citometria a flusso, il limite di frequenza per<br />

l’analisi di <strong>cellule</strong> rare è di circa un evento su 1000<br />

(0,1%), percentuale che corrisponde, ad esempio, alla<br />

frequenza di <strong>cellule</strong> staminali ematopoietiche nel sangue<br />

periferico. Altri tipi cellulari, come i progenitori endoteliali,<br />

i linfociti T antigene-specifici, o le <strong>cellule</strong> <strong>tumorali</strong> <strong>circolanti</strong><br />

(CTC), possono presentarsi a frequenze notevolmente<br />

più basse (0,001% - 0,00001%). Un’analisi statisticamente<br />

significativa di queste <strong>cellule</strong> estremamente<br />

rare richiede l’acquisizione di un elevatissimo numero di<br />

eventi, in un processo lungo o addirittura impossibile a<br />

causa di limitazioni nelle dimensioni dei file.<br />

Tuttavia, un passaggio di arricchimento immunomagnetico<br />

preliminare facilita la valutazione di grandi numeri di<br />

<strong>cellule</strong> e aumenta di diversi logaritmi la frequenza <strong>delle</strong><br />

<strong>cellule</strong> d’interesse.<br />

Il MACSQuant VYB, grazie alla MACS Enrichment Unit,<br />

permette l’integrazione in un unico strumento dei processi<br />

di arricchimento immunomagnetico ed analisi cellulare<br />

in citometria a flusso. Questo approccio rapido e<br />

riproducibile consente l’identificazione, la quantificazione<br />

e la caratterizzazione di <strong>cellule</strong> rare, e in tal modo<br />

può fornire una base tecnica per lo sviluppo di saggi<br />

standard diagnostici.<br />

Tabella 1: Configurazione del banco ottico del MACSQuant<br />

Analyzer, disponibile nelle versioni a 9 e 10 parametri.<br />

* Canale disponibile solo nella versione a 10 parametri.<br />

Figura 2: schema del procedimento per l’analisi di popolazioni<br />

rare mediante la MACSQuant Enrichment Unit, integrata nel<br />

MACSQuant VYB.<br />

Figura 3: analisi di linfociti T CD4+ stimolati con lisato di<br />

Aspergillus. Soltanto previo arricchimento immunomagnetico è<br />

possibile ottenere una frequenza di <strong>cellule</strong> T CD4+CD154+ tale<br />

da consentire l’analisi di sottopopolazioni di <strong>cellule</strong> secernenti<br />

(diagrammi a destra).<br />

Tabella 2: Configurazione del banco ottico del MACSQuant<br />

VYB.<br />

39

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