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s.agata nel cuore - Catania per te

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Salvatore Barbagallo<br />

SANT’AGATA NEL CUORE<br />

“Noli Offendere Patriam Agathae, Quia Ultrix Iniuriarum Est”<br />

1


PREFAZIONE<br />

Era da <strong>te</strong>mpo che avrei voluto scrivere di Sant’Agata, poiché a lei mi<br />

sento molto vicino e non mi stanco di onorarla, di ricordarla continuamen<strong>te</strong><br />

nei miei pensieri, <strong>nel</strong>le preghiere, nei momenti di difficoltà, ogniqualvolta mi<br />

assale la tris<strong>te</strong>zza, quando non riesco con le mie sole forze a venir fuori da<br />

una crisi esis<strong>te</strong>nziale, da un cruccio o da una malattia.<br />

Nella vita a tutti può capitare di doversi rivolgere ad una entità, ad uno<br />

spirito pro<strong>te</strong>ttivo, al fine di una guarigione, affinché possa venire incontro ad<br />

un familiare in difficoltà o <strong>per</strong> dei problemi di lavoro, allo s<strong>te</strong>sso modo io ho<br />

il mio faro di riferimento che illumina la mia esis<strong>te</strong>nza: Sant’Agata.<br />

Ogni anno sono pienamen<strong>te</strong> conquistato dalla frenesia di par<strong>te</strong>cipare a<br />

questa grande festa (pur non avendo mai indossato il sacco) e nulla potrebbe<br />

farmi desis<strong>te</strong>re, neanche una malattia: tutta <strong>per</strong> in<strong>te</strong>ro voglio godermela,<br />

immergendomi in quella magica armonia di sensazioni, di colori, di sapori e di<br />

calore, non farlo significherebbe tradire la memoria e mi farebbe star male.<br />

Le sensazioni sono sempre uguali <strong>per</strong> in<strong>te</strong>nsità e par<strong>te</strong>cipazione e sono<br />

quelle che provo io da sempre, i colori sono quelli della gen<strong>te</strong>, delle sinuose<br />

ed agghinda<strong>te</strong> candelore, dei variegati palloncini, dei mol<strong>te</strong>plici mazzi di fiori<br />

offerti alla Santa Patrona, mentre i sapori sono quelli forti ed inebrianti del<br />

torrone dai gusti variegati, delle olivet<strong>te</strong>, degli arancini, dei bomboloni, dello<br />

zucchero filato, delle cassa<strong>te</strong>lle di ricotta, infine il calore è quello della<br />

moltitudine di <strong>per</strong>sone, venu<strong>te</strong> anche dall’es<strong>te</strong>ro, che precedono o seguono il<br />

corso della festa, dei fazzoletti bianchi a rinnovare ad ogni passo, fino a<br />

<strong>per</strong>dere la voce, il grido for<strong>te</strong> e chiaro: “Semu tutti devoti, tutti? Cittadini,<br />

cittadini! Evviva Sant’Agata…”<br />

2


Ma come non rappresentare quei momenti carat<strong>te</strong>ristici, colmi di<br />

fascino religioso, della messa dell’aurora, con quelle scene di au<strong>te</strong>ntico delirio,<br />

che ti fanno piangere e rendere conto di quanto Sant’Agata sia amata dai suoi<br />

cittadini e sono momenti che sarebbe ben poca cosa <strong>per</strong>sino po<strong>te</strong>rli<br />

descrivere, <strong>per</strong>ché nessuno mai potrebbe compenetrarsi in quella sontuosa<br />

scena, soprattutto chi non ne è stato par<strong>te</strong>cipe, almeno <strong>per</strong> una sola volta.<br />

Ogniqualvolta io quei momenti <strong>per</strong>sino me li sogno nei giorni che precedono<br />

l’evento e poi quando finalmen<strong>te</strong> giunge il mattino della festa sento<br />

attraversare il mio corpo da una scarica di adrenalina che mi restituisce vigore<br />

e dà carica a quella molla che mi fa stare desto, spingendomi giù dal letto.<br />

Ecco, finalmen<strong>te</strong> ci siamo, sono le prime luci del quattro mattino ed il<br />

grosso della città non s’è ancora destato completamen<strong>te</strong> (non di certo i devoti<br />

malati d’insonnia), allorquando lascio mesto l’uscio di casa ed a piedi mi<br />

incammino sempre più alla volta di quei rintocchi di campana, che sembrano<br />

accompagnare il fruscio a vol<strong>te</strong> lesto, a vol<strong>te</strong> sonnolento dei miei passi.<br />

Alla marina, poi, è tutto un brulicare di gen<strong>te</strong>, con le candelore ad<br />

at<strong>te</strong>ndere la loro Patrona e quelle luci verdi a contornare gli antichi archi,<br />

<strong>per</strong>ché il <strong>te</strong>mpo non potrà cancellare la tradizione che si <strong>per</strong>de <strong>nel</strong>la not<strong>te</strong> dei<br />

<strong>te</strong>mpi, mentre una esclamazione in silenzio attraversa la mia men<strong>te</strong>: ecco<br />

anche oggi son presen<strong>te</strong> e son felice di esserci e par<strong>te</strong>cipare a questa festa.<br />

Adesso, allorquando il fercolo avrà varcato Porta Uzeda, potrò vedere<br />

da vicino, quasi sfiorare con mano il viso candido di giovinetta, che si erge a<br />

soave Santa Martire inviolata ed a Lei porgo il mio grazie infinito <strong>per</strong><br />

infondermi amore e serenità <strong>nel</strong> <strong>cuore</strong>.<br />

3


Questo mio narrare, <strong>per</strong>tanto, vuole essere un pensiero gentile, un dono<br />

da conservare, un fiore da curare, man<strong>te</strong>nere <strong>per</strong> sempre vivo e candido.<br />

Al fine di po<strong>te</strong>r comprenderne il significato, posso senz’altro affermare<br />

che alcuni <strong>per</strong>corsi di questa narrazione sono frutto del mio pensiero e<br />

bagaglio delle mie conoscenze, mentre altri sono stati tratti da antichi <strong>te</strong>sti<br />

storici relativi alla storia pregnan<strong>te</strong> della città dell’Etna, dell’Amenano e del<br />

“Liotro”, da innumerevoli appunti tratti da vari archivi storici e biblio<strong>te</strong>che o<br />

ricavati trami<strong>te</strong> i motori di ricerca informatici.<br />

Il mio precipuo in<strong>te</strong>ndimento, quindi, è stato quello di voler raccogliere<br />

quanta più storia possibile sulla vita della Santa Martire catanese e sulla sua<br />

festa, fin dagli albori che si <strong>per</strong>dono <strong>nel</strong>la not<strong>te</strong> dei <strong>te</strong>mpi, racchiudendola in<br />

un compendio, così come una preziosa reliquia entro uno scrigno.<br />

L’Autore<br />

4


LA SICILIA AL TEMPO DI AGATA<br />

La Sicilia tra il II ed il III secolo era una provincia romana che si<br />

es<strong>te</strong>ndeva dalla Gallia alla Penisola Iberica, dall’Egitto alla Grecia, dalla<br />

Britannia a gran par<strong>te</strong> dell’Asia Minore. Tutti questi <strong>te</strong>rritori erano affidati a<br />

Proconsoli. La Sicilia, inoltre, era considerata il granaio di Roma.<br />

Al <strong>te</strong>mpo di Agata, <strong>Catania</strong> era la più importan<strong>te</strong> città siciliana, era<br />

industriale e grazie al suo porto aveva collegamenti commerciali con<br />

l’Orien<strong>te</strong>, infatti, aveva un’impresa di costruzioni navali.<br />

San Pietro, fra il 43 ed il 44 era venuto a visitare i primi nuclei cristiani e<br />

mandò da Antiochia (fra Siria e Turchia) tre Vescovi: Berillo, Marciano e<br />

Pancrazio, alle cui cure affidò <strong>Catania</strong>, Siracusa e Taormina, dopo di che i<br />

missionari raggiunsero ogni angolo della <strong>te</strong>rra.<br />

Quando a Roma scoppiò l’incendio, attribuito a Nerone, l’Im<strong>per</strong>atore<br />

accusò i cristiani, <strong>per</strong> farli odiare dal popolo, quindi, furono condannati alle<br />

torture. Fra il 61 ed il 64 S. Pietro e S. Paolo si trovavano a Roma, <strong>per</strong> cui,<br />

furono condannati al martirio. Fra il 51 ed il 96 vi fu la <strong>per</strong>secuzione<br />

dell’im<strong>per</strong>atore Tito Flavio Domiziano, difensore del paganesimo, contrario<br />

alla dottrina cristiana.<br />

Il successore Gaio Giulio Massimino, avversò drasticamen<strong>te</strong> i cristiani, i<br />

quali scavarono catacombe, crip<strong>te</strong> e cimi<strong>te</strong>ri sot<strong>te</strong>rranei, ove nascondersi.<br />

Tra il 237 ed il 249 alla guida della Chiesa di Roma stava Papa Fabiano,<br />

in incognito, ma anche in Sicilia le comunità cristiane o<strong>per</strong>avano di nascosto<br />

ed in famiglia o fra parenti Agata sentì spesso parlare di angherie, torture,<br />

crocifissioni ed era grandemen<strong>te</strong> affascinata dal coraggio di questi martiri.<br />

Prima che Decio prendesse po<strong>te</strong>re a Roma, Agata visse in un con<strong>te</strong>sto<br />

di tranquillità politico-religiosa, infatti, non v’erano <strong>per</strong>secuzioni, ma,<br />

allorquando <strong>nel</strong> 249 Decio salì al trono, fece scoppiare una nuova<br />

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<strong>per</strong>secuzione, anche <strong>per</strong> Vescovi e Papi. Molti cristiani, <strong>per</strong> paura, divennero<br />

s<strong>per</strong>giuri, chiamati “lapsi”, <strong>te</strong>rmine usato <strong>nel</strong> III secolo <strong>per</strong> definire i cristiani<br />

ricaduti <strong>nel</strong> paganesimo, specialmen<strong>te</strong> <strong>per</strong> coloro che, duran<strong>te</strong> le <strong>per</strong>secuzioni,<br />

avevano mostrato la loro debolezza di fron<strong>te</strong> all’idea della tortura, rinnegando<br />

la loro fede, sacrificando agli dei pagani.<br />

Passato il <strong>per</strong>iodo più grave volevano tornare a far par<strong>te</strong> della comunità.<br />

Contro costoro la disciplina inizialmen<strong>te</strong> assai rigorosa, diventa meno rigida<br />

arrivando a concedere che i “traditori” ritornassero <strong>nel</strong>la Chiesa, ma con la<br />

limitazione di rimanere <strong>nel</strong> gruppo dei peni<strong>te</strong>nti. Solo più tardi vennero<br />

riammessi a pieno titolo <strong>nel</strong>la comunità cristiana.<br />

La storia di <strong>Catania</strong> e <strong>nel</strong>lo specifico la sua grandezza religiosa, ha inizio<br />

con la mor<strong>te</strong> di Sant’Agata, eroica giovinetta, la cui dolce figura ammaliò i<br />

cuori dei suoi cittadini ed il suo sacrificio fu come il bat<strong>te</strong>simo <strong>per</strong> la città.<br />

Sul martirio e sulla vita della Santa Patrona si trovano solo 2 componimenti,<br />

uno del V secolo in latino, l’altro più recen<strong>te</strong> in greco, ma non si conoscono<br />

quelli scritti dai notari ecclesiastici, <strong>te</strong>stimoni oculari del martirio.<br />

Ma se gli atti protocollari del martirio furono distrutti, non fu distrutta<br />

fra il popolo la tradizione che viene confermata da molti scrittori come<br />

S. Ambrogio e S. Damaso, dove risulta che <strong>agata</strong> nacque in <strong>Catania</strong> da<br />

famiglia nobilissima, verso la metà del III secolo.<br />

In quel <strong>te</strong>mpo il proconsole Quinziano, che aveva sede a <strong>Catania</strong> presso<br />

il Palazzo Pretorio, situato <strong>nel</strong>l’attuale zona a mon<strong>te</strong> di Piazza S<strong>te</strong>sicoro,<br />

divenne fedele esecutore degli ordini dell’Im<strong>per</strong>atore romano.<br />

Nella <strong>Catania</strong> cristiana i <strong>te</strong>rremoti e le frequenti cola<strong>te</strong> laviche dell’Etna<br />

hanno eliminato od in par<strong>te</strong> occultato ogni documento di cultura e di vita<br />

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eligiosa del passato. Il <strong>te</strong>rreno lavico inoltre impedì ai cristiani <strong>per</strong>seguitati di<br />

lasciarci catacombe, <strong>per</strong>ché l’escavazione del <strong>te</strong>rreno era difficilissima.<br />

La tradizione vuole che il primo vescovo di <strong>Catania</strong> sia stato Berillo,<br />

inviato direttamen<strong>te</strong> a <strong>Catania</strong> da Antiochia dall’apostolo Pietro.<br />

In quel <strong>per</strong>iodo a <strong>Catania</strong> affluirono molti schiavi, che venivano portati dai<br />

romani <strong>per</strong> lavorare i campi di grano. Proprio gli schiavi trovarono <strong>nel</strong><br />

cristianesimo e <strong>nel</strong>la fede l’annunzio di una concreta liberazione dei poveri<br />

<strong>nel</strong>l’onore del prossimo.<br />

Presto a <strong>Catania</strong>, i cristiani cominciarono a godere di un certo prestigio<br />

e <strong>te</strong>nnero i rapporti con le autorità locali. La chiesa ebbe così i suoi edifici. Il<br />

progresso della chiesa cristiana diventò un <strong>per</strong>icolo <strong>per</strong> Roma che cominciò<br />

ad attuare repressi e ad emanare editti contro i cristiani.<br />

Delle prime sei <strong>per</strong>secuzioni precedenti a quelle di Decio a <strong>Catania</strong> non<br />

esis<strong>te</strong> alcun documento, solo <strong>nel</strong> 249 la storia catanese comincia a registrare<br />

pagine di eroismo cristiano. Per Decio i cristiani erano elementi <strong>per</strong>icolosi,<br />

<strong>per</strong>ché non riconoscevano la divinità dell’im<strong>per</strong>atore.<br />

Per manifestare la loro fedeltà all’im<strong>per</strong>atore i cristiani dovevano<br />

par<strong>te</strong>cipare al rito di fedeltà e bruciare l’incenso <strong>per</strong> ot<strong>te</strong>nere ed esibire il<br />

Libelum cioè il certificato di avvenuta sottomissione e di fede verso<br />

l’im<strong>per</strong>atore. Coloro che non par<strong>te</strong>cipavano subivano il martirio.<br />

Sant’Agata, probabilmen<strong>te</strong>, non sarà stata la prima a <strong>Catania</strong>, a<br />

<strong>te</strong>stimoniare Cristo con il martirio, ma senza alcun dubbio è la prima ad<br />

essere rimasta <strong>nel</strong> <strong>cuore</strong> di tutti i catanesi.<br />

In quel <strong>te</strong>mpo l’im<strong>per</strong>o romano aveva già raggiunto la massima<br />

es<strong>te</strong>nsione <strong>te</strong>rritoriale, i suoi confini andavano dalla Penisola iberica alla<br />

Mesopotamia, dalla Britannia all’Egitto, abbracciando popoli, lingue, religioni<br />

e costumi molto diversi tra loro.<br />

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Il governo centrale si era preoccupato di dare uniformità alle <strong>te</strong>rre<br />

conquista<strong>te</strong>, imponendo ovunque la lingua latina, le leggi di Roma e la propria<br />

religione, ma non era in grado di amministrarle e controllarle direttamen<strong>te</strong>,<br />

<strong>per</strong> cui, aveva affidato ogni provincia ad un proconsole o governatore,<br />

funzionari che godevano di po<strong>te</strong>ri civili e militari, riscuo<strong>te</strong>ndo impos<strong>te</strong>,<br />

amministrando la giustizia e comandando l’esercito.<br />

Duran<strong>te</strong> l’im<strong>per</strong>o di Decio, <strong>Catania</strong> era una città ricca e fioren<strong>te</strong>, che<br />

godeva di un’ottima posizione geografica, il suo grande porto <strong>nel</strong> <strong>cuore</strong> del<br />

Medi<strong>te</strong>rraneo rappresentava uno dei più vivaci punti di scambio commerciale<br />

e culturale dell’epoca. Le fonti storiche narrano che era amministrata dal<br />

proconsole Quinziano, uomo rude, prepo<strong>te</strong>n<strong>te</strong> e su<strong>per</strong>bo, con moglie,<br />

famiglia ed una cor<strong>te</strong> numerosa composta da guardie im<strong>per</strong>iali e da una<br />

schiera di servi, i quali alloggiavano <strong>nel</strong> ricco palazzo pretorio, un enorme<br />

complesso di edifici con annesse aule giudiziarie e carceri, in cui si svolgevano<br />

tut<strong>te</strong> le attività pubbliche della città.<br />

Sotto Quintino Giudice, il cristianesimo veniva considerato una setta<br />

<strong>per</strong>icolosa che minava le basi s<strong>te</strong>sse della società romana, poiché i cristiani<br />

predicavano la bontà, la giustizia, avversavano la schiavitù, le ricchezze illeci<strong>te</strong><br />

e l’immoralità <strong>nel</strong>la quale era piombata la società romana.<br />

Il segno trovato sulla tomba di S. Pietro, <strong>nel</strong>le catacombe, formato da<br />

una P maiuscola sovrastan<strong>te</strong> una X equivaleva a Cristo.<br />

Su una pare<strong>te</strong> di facciata del primitivo edificio riguardan<strong>te</strong> Sant’Agata,<br />

c’era una pietra scolpita alla maniera etrusca che raffigurava tre cerchi, uno<br />

dei quali più grande, che <strong>per</strong> i cristiani significava qualcosa e lo s<strong>te</strong>sso simbolo<br />

era invece completamen<strong>te</strong> indifferen<strong>te</strong> ai soldati romani. Questa pietra col<br />

simbolo di Sant’Agata oggi si trova sulla facciata della Pieve Sant’Agata al<br />

Mugello (FI), mentre il simbolo era quello del martirio: un vassoio circolare<br />

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con due mammelle ai lati. C’e’ chi ques<strong>te</strong> mammelle se l’e’ fat<strong>te</strong> tatuare<br />

addosso, chi ha scelto invece l’immagine in<strong>te</strong>ra.<br />

Il cristianesimo veniva allora considerato una setta <strong>per</strong>icolosa poiché<br />

minava le basi s<strong>te</strong>sse della società romana, predicando la bontà, la giustizia,<br />

avversando la schiavitù, le ricchezze illeci<strong>te</strong> e l’immoralità <strong>nel</strong>la quale era<br />

piombata la società romana.<br />

Il martire è colui che vive pienamen<strong>te</strong> il mandato di Cristo, prendendo a<br />

modello Gesù, fino a soffrire come lui, quindi s<strong>per</strong>imenta una forza spirituale<br />

che gli viene da Cristo, rendendolo di fron<strong>te</strong> alla mor<strong>te</strong> sicuro di giungere alla<br />

resurrezione. L’es<strong>per</strong>ienza del martirio ha avuto un ruolo basilare ai fini della<br />

diffusione del cristianesimo in Sicilia.<br />

Il numero delle <strong>per</strong>sone che negano d’essere cristiani è maggiore di<br />

coloro che l’affermano, tuttavia, dopo la <strong>per</strong>secuzione, molti dei non cristiani,<br />

pentiti, vennero rein<strong>te</strong>grati <strong>nel</strong>la chiesa. cristiani catanesi si distinsero <strong>per</strong> il<br />

coraggio, diffusero la memoria del martirio d’una loro sorella di nome Agata.<br />

L’im<strong>per</strong>atore Decio <strong>nel</strong> 250 emanò un editto che sca<strong>te</strong>nò la <strong>per</strong>secuzione<br />

contro i cristiani, la quale non fu certamen<strong>te</strong> un capitolo glorioso né <strong>per</strong> le<br />

autorità governative, né <strong>per</strong> la chiesa.<br />

Negli atti del martirio di S. Lucia, duran<strong>te</strong> le <strong>per</strong>secuzioni di Diocleziano<br />

del 304, si suppone la diffusione tra le comunità cristiane di un <strong>te</strong>sto relativo<br />

alla vicenda di Agata, an<strong>te</strong>ceden<strong>te</strong> a quella di Lucia.<br />

Oltre 200 manoscritti, raccolti da studiosi, diffusi <strong>nel</strong> mondo, raccontano<br />

in lingua greca, latina, inglese e scandinava del martirio di Sant’Agata.<br />

Secondo l’antico “Prefazio” di S. Ambrogio, vescovo di Milano (374-<br />

397), ogni sacerdo<strong>te</strong> che, quotidianamen<strong>te</strong> celebrava Messa, doveva ricordare<br />

la Patrona Agata, tale ricordanza prese il nome di Prefazio, istituzione già dal<br />

<strong>te</strong>mpo degli Apostoli. S. Ambrogio ricordandosi che il 5 febbraio 251,<br />

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Sant’Agata ebbe la palma del martirio e la gloria, vi compose il Prefazio che,<br />

in poche parole concluse nascita, vita, martirio e miracoli della Verginetta,<br />

scritto nei carat<strong>te</strong>ri geroglifici del <strong>te</strong>mpo e <strong>nel</strong>l’idioma parlato.<br />

Per quanto riguarda il caso di Sant’Agata, la <strong>te</strong>stimonianza resa dal<br />

prefazio di S. Ambrogio essendo del V secolo è an<strong>te</strong>riore d’un secolo nei<br />

confronti della redazione dei martirio di S. Cecilia, che è della fine del VI<br />

secolo, quindi è certo che si sia potuto attingere la notizia da una più antica<br />

tradizione orale, la quale a sua volta sarebbe derivata da un <strong>te</strong>sto scritto, a noi<br />

sconosciuto, ma ancora più antico e <strong>per</strong>ciò originario.<br />

LA DINASTIA DI AGATA<br />

Alcuni antichi scrittori riferiscono i dati biografici e genealogici degli<br />

ascendenti di Agata. Fra i suoi avi i Colonna di Roma, il suo bisavolo era il<br />

notabile romano Gaio Colonna, cugino dell’Im<strong>per</strong>atore Nerone <strong>per</strong> via della<br />

madre Agrippina.<br />

Nella metà del I° sec. d. C. egli fu inviato in Sicilia con le funzioni di<br />

Presiden<strong>te</strong>. Alla mor<strong>te</strong> di Nerone, Caio Colonna cessa dall’incarico, rimane in<br />

Sicilia e fa costruire a <strong>Catania</strong> <strong>nel</strong> quartiere Civita, la residenza di famiglia, il<br />

“Palazzo” <strong>per</strong> antonomasia. Dalla nobilissima moglie Agrippa ebbe due figli:<br />

Caio ed Elvidio III, il primo fu s<strong>per</strong>imentato capitano e condottiero<br />

<strong>nel</strong>l’esercito sotto l’Im<strong>per</strong>atore Nerva, mentre il secondo fu Signore del<br />

Cas<strong>te</strong>llo di Galermo (uno dei villaggi costituenti la cintura fortificata di<br />

<strong>Catania</strong>), acquisito <strong>per</strong>ché dato in do<strong>te</strong> a sua moglie Agrippa, nobilissima<br />

donna catanese. Ad Elvidio III successe Agatone, marito di Lucia Opilia,<br />

figlia di Lucio Opilio Ruffini, Proconsole di Sicilia, altra famiglia gentilizia<br />

romana. Da detti coniugi nacque Rao, marito di Apolla: genitori di Agata.<br />

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LA CASA DI SANT’AGATA<br />

Si trova presso l’antico quartiere “di Giacobbe”, l’attuale via Museo<br />

Biscari, sul cui muro <strong>nel</strong> 1728 fu fatta erigere una lapide dalla Badessa Sta<strong>te</strong>lla,<br />

la quale compì il doveroso adempimento, dopo aver riedificato l’edificio<br />

danneggiato dal <strong>te</strong>rremoto del 1693 ed avervi dimorato.<br />

Ed è il medesimo luogo dove, <strong>nel</strong> 1411, sui ruderi dell’antico <strong>te</strong>mpio di<br />

Bacco e <strong>te</strong>rme Ximene, Simone e Paola De Lerida avevano contribuito alla<br />

fondazione del monas<strong>te</strong>ro di S. Placido.<br />

San Vincenzo Ferreri scrisse che, alla mor<strong>te</strong> del padre Rao, Agata erogò<br />

tutti i suoi beni ai poveri, abbandonando le proprie ricchezze ed i palazzi,<br />

divenendo povera in un’umile casa, la quale, <strong>per</strong> tradizione i catanesi<br />

ri<strong>te</strong>ngono essere sita vicino S. M. delle Grazie (ex monas<strong>te</strong>ro S. Placido).<br />

Nel cortile in<strong>te</strong>rno si trovano antichissime fabbriche orna<strong>te</strong> con mensole<br />

scolpi<strong>te</strong> e cornici di pietra, che sono avanzi della casa natia di Agata, mentre<br />

sul muro es<strong>te</strong>rno che guarda a mezzogiorno, in via Museo Biscari, si vede<br />

incastonato un suo mezzo busto ed una lapide marmorea dedicata a Dio<br />

Ottimo Massimo. Nello s<strong>te</strong>sso monumento, in bassorilievo marmoreo, vi<br />

sono 2 putti che reggono ciascuno un nastro, in ognuno dei quali è scritto:<br />

“Non offendere la Patria di Agata, <strong>per</strong>ché è vendicatrice delle ingiurie”.<br />

VITA ED ADOLESCENZA<br />

L’otto set<strong>te</strong>mbre del 238 d. C., a <strong>Catania</strong>, dalla famiglia romana dei<br />

Colonna (origine siculo-normanna), nasceva Agata, tuttavia, la data non è mai<br />

stata storicamen<strong>te</strong> accertata con esat<strong>te</strong>zza, ma fu calcolata a ritroso, par<strong>te</strong>ndo<br />

da un’altra che invece è certa, cioè il martirio avvenuto <strong>nel</strong> 252.<br />

11


Tutti i documenti paleografici ci hanno trasmesso il martirio, la cui<br />

esis<strong>te</strong>nza viene affermata dal famoso critico storico es<strong>per</strong>to di martiri, Albert<br />

Dufourcq, composto a fine febbraio, primo anniversario della mor<strong>te</strong> di<br />

Sant’Agata, come da prassi vigen<strong>te</strong> ai <strong>te</strong>mpi del Vescovo di Cartagine<br />

S. Cipriano, coevo di Agata.<br />

Nel 393 la prassi divenne norma, emanata e promulgata <strong>nel</strong> Concilio<br />

d’Ippona, dal Vescovo S. Agostino, in cui si leggevano le vi<strong>te</strong> dei martiri, ma<br />

Papa Gelasio a fine 400 sottopose a censura tut<strong>te</strong> le “Passio” dei martiri.<br />

La disputa sulle origini di Sant’Agata è fra i Colonna, gli Asmari e le<br />

famiglie palermitane degli Agatone, dei Flores e degli Anzalone, tuttavia, non<br />

è discutibile la sua catanesità.<br />

Agata era nobile e cristiana, mentre la famiglia era proprietaria di case e<br />

<strong>te</strong>rreni coltivati in città e provincia, d’una seconda abitazione ed una <strong>te</strong>nuta<br />

(Casa Bertuccia) a S. G. Galermo, ove visse riservata come in un monas<strong>te</strong>ro.<br />

Il padre Rao e la madre Apolla, di cultura greca, decisero di chiamarla<br />

Agata, che in lingua greca “Agaq” significa “la buona”, come lei s<strong>te</strong>ssa si<br />

definisce duran<strong>te</strong> un primo colloquio con il governatore Quintino.<br />

In questo nome c’era già racchiuso il suo destino: bontà e purezza furono,<br />

infatti, le doti che distinsero Agata sin dalla prima infanzia. La tradizione<br />

popolare identifica nei ruderi d’una villa romana, al centro della città, la casa<br />

natale di Agata. In questo luogo in seguito è stato posto un piccolo altare che,<br />

in ogni <strong>per</strong>iodo dell’anno, è tanto ricco di fiori da sembrare un giardino a<br />

primavera.<br />

Dei suoi primi anni di vita non ci sono giun<strong>te</strong> <strong>te</strong>stimonianze documenta<strong>te</strong>,<br />

ma si può supporre che sin dalla più <strong>te</strong>nera età Agata abbia ricevuto dai<br />

genitori una buona educazione e che dal loro esempio abbia appreso il valore<br />

delle virtù cristiane: la preghiera, la rinuncia alle ricchezze <strong>te</strong>rrene, il coraggio<br />

12


<strong>nel</strong>lo scegliere Cristo. Agata trascorreva le giorna<strong>te</strong> dell’adolescenza in un<br />

sereno ambien<strong>te</strong> familiare, obbedien<strong>te</strong> ai genitori, che amava profondamen<strong>te</strong>,<br />

ma più di ogni cosa amava Dio. Ella fuggiva il lusso e la vita mondana, che<br />

invece erano al centro degli in<strong>te</strong>ressi delle coetanee di pari grado sociale.<br />

Cresceva in santità: met<strong>te</strong>va tutto il suo impegno <strong>nel</strong>le semplici cose di<br />

ogni giorno <strong>per</strong> imitare e <strong>te</strong>stimoniare Gesù. E fu questo allenamento<br />

quotidiano alla rinuncia e al sacrificio che le <strong>per</strong>mise di prepararsi ad<br />

affrontare la grande prova del martirio.<br />

Ma Agata cresceva anche in bellezza: il suo corpo era slanciato, i<br />

lineamenti delicati, le labbra rosee, i capelli biondi.<br />

La voce del popolo l’ha descritta <strong>per</strong> secoli così, e in questo modo l’ar<strong>te</strong><br />

sacra l’ha sempre raffigurata. Qualcuno ha pensato di trovare una conferma,<br />

sia dell’al<strong>te</strong>zza che del colore dei capelli, <strong>nel</strong>le ricognizioni fat<strong>te</strong> <strong>per</strong>iodicamen<strong>te</strong><br />

sulle reliquie della santa. Come un bocciolo di rosa, la sua<br />

bellezza era <strong>nel</strong>la grazia delle forme e <strong>nel</strong> pudore che le rivestiva. Bellezza,<br />

candore e purezza verginale facevano di Agata una creatura davvero angelica.<br />

La voce del popolo l’ha descritta <strong>per</strong> secoli con corpo slanciato (m. 1,7 di<br />

al<strong>te</strong>zza) lineamenti delicati, le labbra rosee, i capelli biondi; e così l’ar<strong>te</strong> sacra<br />

l’ha sempre raffigurata.<br />

Bellezza su<strong>per</strong>iore alla media delle ragazze della sua età, candore e<br />

purezza verginale facevano di Agata una creatura angelica. All’età in cui Agata<br />

compì i 7 o gli 8 anni, i suoi genitori, avanzarono la richiesta al capo della<br />

Chiesa catanese, affinché la bambina fosse ammessa all’iniziazione cristiana.<br />

L’adolescenza femminile è carat<strong>te</strong>rizzata dallo stadio di transizione che,<br />

in una ragazza si verifica duran<strong>te</strong> il <strong>per</strong>iodo in cui insorge e poi si matura lo<br />

stato di pubertà. É uno stadio di transizione, che va dagli undici ai diciasset<strong>te</strong><br />

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anni, e <strong>te</strong>nde a stabilizzarsi <strong>nel</strong> <strong>per</strong>iodo della giovinezza, che è ravvisato<br />

decisamen<strong>te</strong> <strong>nel</strong>l’arco degli anni, che vanno dai 18 ai 25.<br />

Duran<strong>te</strong> il <strong>per</strong>iodo dell’adolescenza la ragazza è portata a compiere quelle<br />

iniziali scel<strong>te</strong> sulla realtà oggettiva, che servono ad orientarla <strong>nel</strong> cammino<br />

della sua vita avvenire. Per quanto riguarda l’adolescenza si deve indagare<br />

sull’es<strong>per</strong>ienza che essa ebbe non solo <strong>nel</strong> campo della sua vita familiare, ma<br />

anche in quello della sua vita extrafamiliare e, dentro tale campo, nei piani<br />

specifici della sua vita sociale, scolastica e religiosa.<br />

San Metodio patriarca di Costantinopoli, <strong>nel</strong>l’encomio che compose<br />

<strong>nel</strong>l'anno 845 in onore di Sant’Agata, reclamò che la sua <strong>te</strong>stimonianza fosse<br />

considerata coeva al <strong>te</strong>mpo s<strong>te</strong>sso del martirio, <strong>per</strong> cui, at<strong>te</strong>sta che Agata <strong>nel</strong><br />

corso della sua adolescenza seppe rendersi docile all’azione educativa dei suoi<br />

genitori e mai volle indulgere ad inutili giochi fanciulleschi, ai lussi della<br />

moda, alla brama degli ornamenti preziosi, alla leggerezza di colorarsi di<br />

porpora la punta delle dita o di cospargersi di ciprie il viso; a tutto ciò<br />

preferiva piuttosto lo spargersi col sangue del divino Ag<strong>nel</strong>lo, col quale<br />

arrossava ed ornava le sue labbra, la sua guancia e la sua lingua, mentre con la<br />

continua meditazione rievocava intimamen<strong>te</strong> e con nuovi colori l'uccisione<br />

del suo Aman<strong>te</strong>.<br />

Ma il punto, in cui Sant’Agata rivela maggiormen<strong>te</strong>, e <strong>nel</strong> modo più vivo,<br />

l'es<strong>per</strong>ienza della <strong>te</strong>nerezza che sua madre le profuse duran<strong>te</strong> gli anni della sua<br />

infanzia e della sua adolescenza. Molto presto, già negli anni dell’infanzia,<br />

Agata ebbe chiaro <strong>nel</strong> <strong>cuore</strong> il desiderio di donarsi totalmen<strong>te</strong> a Cristo. Per lo<br />

Sposo celes<strong>te</strong> provava un sentimento semplice e spontaneo, ma anche così<br />

for<strong>te</strong> che era impazien<strong>te</strong> di pronunciare il voto di verginità. Nel segreto<br />

dell'animo si era già promessa a Dio e, quando non aveva ancora compiuto<br />

15 anni, sentì che era giunto il momento di consacrarsi solennemen<strong>te</strong>.<br />

14


Il vescovo di <strong>Catania</strong> accolse la sua richiesta e duran<strong>te</strong> una cerimonia<br />

ufficiale (velatio) le impose il velo rosso fiamma delle vergini consacra<strong>te</strong>,<br />

quindi, divenne sposa di Cristo, dopo aver at<strong>te</strong>so con ansia e trepidazione<br />

quel momento e aver pregato tanto Dio di po<strong>te</strong>r offrire a lui il suo <strong>cuore</strong><br />

puro, la consacrazione la rese profondamen<strong>te</strong> felice, consen<strong>te</strong>ndole di vivere<br />

in preghiera e meditazione.<br />

Un giorno, il proconsole Quinziano fu informato che in città, tra le<br />

vergini consacra<strong>te</strong>, viveva una nobile e bella fanciulla. Decise allora che<br />

doveva conoscerla. Ordinò ai suoi uomini che la catturassero e la<br />

conducessero al palazzo pretorio: si trattava proprio di Agata.<br />

L’accusa formale, in forza dell’editto di <strong>per</strong>secuzione dell'im<strong>per</strong>atore<br />

Decio, era quella di vilipendio della religione di Stato, un'accusa riservata a<br />

tutti i cristiani che non volevano abiurare.<br />

In realtà l’ordine del proconsole nasceva anche dal desiderio di soddisfare<br />

un capriccio <strong>per</strong>sonale: piegare a sé una giovane bella e illibata e confiscarle i<br />

beni di famiglia. Per sottrarsi all’ordine del proconsole, Agata <strong>per</strong> qualche<br />

<strong>te</strong>mpo rimase nascosta lontano da <strong>Catania</strong>.<br />

Su questo punto storia e leggenda sono for<strong>te</strong>men<strong>te</strong> intreccia<strong>te</strong>: più città si<br />

con<strong>te</strong>ndono il merito di aver dato asilo alla Vergine esule. Tra le ipo<strong>te</strong>si più<br />

accredita<strong>te</strong>, la più probabile è quella secondo cui Agata si rifugiò a S. G.<br />

Galermo, contrada poco distan<strong>te</strong> da <strong>Catania</strong>.<br />

Secondo un’altra tradizione, che nasce con buona probabilità da un errore<br />

di trascrizione degli antichi atti del martirio, Agata si sarebbe rifugiata a<br />

Palermo, ultima ipo<strong>te</strong>si sostiene che si sarebbe nascosta in una grotta a Malta.<br />

Nei secoli, il popolo ha arricchito di avventure leggendarie la fuga e<br />

l’arresto di Agata. Una di ques<strong>te</strong> narra che ella, inseguita dagli uomini di<br />

Quinziano, giunta ormai nei pressi del palazzo pretorio, si fosse fermata a<br />

15


iposare un istan<strong>te</strong>. Nello s<strong>te</strong>sso momento in cui si fermò, si dice <strong>per</strong><br />

allacciarsi un calzare, un ulivo comparve dal nulla e la giovinetta poté ripararsi<br />

e cibarsi dei suoi frutti. Ancor oggi, <strong>per</strong> rinnovare il ricordo di quell’evento<br />

prodigioso, è consuetudine coltivare un ulivo in un’aiuola vicino ai luoghi del<br />

martirio. Altra tradizione popolare legata a questa leggenda vuole che il<br />

giorno della festa vengano consumati dolci di pasta reale, color verde, co<strong>per</strong>ti<br />

di zucchero, a ricordare le olive, chiamati appunto “olivet<strong>te</strong> di Sant’Agata”.<br />

Tornando alla storia, Agata rimase in esilio soltanto <strong>per</strong> poco <strong>te</strong>mpo. Gli<br />

sgherri al servizio del proconsole, la raggiunsero con quella facilità che è<br />

propria dei po<strong>te</strong>nti e la condussero in tribunale al cospetto di Quinziano.<br />

Appena la vide, fu rapito dalla sua bellezza, un ardore passionale lo invase,<br />

ma i suoi <strong>te</strong>ntativi di seduzione furono tutti vani, <strong>per</strong>ché Agata lo respinse<br />

sempre con grande fermezza.<br />

Quinziano pensò allora che un programma di rieducazione avrebbe potuto<br />

trasformare la giovane e l'avrebbe convinta a rinunciare ai voti e a cedere alle<br />

sue lusinghe. La affidò così <strong>per</strong> un mese a una cortigiana, una matrona<br />

dissoluta, maestra di vizi e corruzione, conosciuta col nome di Afrodisia.<br />

La donna viveva in casa con le sue figlie, nove secondo la tradizione,<br />

diaboliche e licenziose almeno quanto lei. Quello fu il mese più duro e<br />

<strong>te</strong>rribile <strong>per</strong> la giovane Agata, poiché la sua purezza era costretta a subire<br />

continui insulti ed inviti immorali.<br />

Per farle dimenticare Gesù, Afrodisia la <strong>te</strong>ntò con ogni mezzo: banchetti,<br />

festini, divertimenti d’ogni genere, filtri amorosi, le promise gioielli, ricchezze<br />

e schiavi, esibendola e facendola par<strong>te</strong>cipare a banchetti osceni, ma Agata<br />

riuscì indomita a pro<strong>te</strong>ggere la sua verginità ed a non accettare alcun dono.<br />

16


Quando lo strumento della <strong>per</strong>suasione si rivelò incapace a piegare la sua<br />

ferrea volontà, Afrodisia e le figlie <strong>te</strong>ntarono di raggiungere lo s<strong>te</strong>sso vile<br />

scopo attraverso le minacce. , le intimavano.<br />

Ma la vergine incorruttibile respingeva ogni proposta, si mostrava<br />

insensibile a ogni minaccia, opponeva rifiuti secchi usando parole di fuoco:<br />

«Vane sono le vostre promesse, stol<strong>te</strong> le vostre parole, impo<strong>te</strong>nti le minacce.<br />

Sappia<strong>te</strong> che il mio <strong>cuore</strong> è fermo come una pietra in Cristo e non cederà<br />

mai». La giovane Agata fu sempre fedele al suo unico Sposo; a lui offriva le<br />

sofferenze che pativa <strong>per</strong> la fede e giorno dopo giorno la sua anima ne<br />

risultava sempre più <strong>te</strong>mprata.<br />

Allo scadere del mese e di fron<strong>te</strong> alla fermezza di Agata, Afrodisia non<br />

poté far altro che arrendersi. Sconfitta e umiliata, riconsegnò la giovane a<br />

Quinziano:


«Non sono una schiava, ma serva del Re del cielo, sono nata libera da famiglia<br />

nobile, ma la mia maggiore nobiltà deriva dall’essere ancella di Cristo».<br />

Le affermazioni di Agata erano taglienti, fiere, degne della semplicità d’una<br />

vergine, della fermezza d’una martire.<br />

Sant’Agata, rifiutò il falso Libellum, at<strong>te</strong>stan<strong>te</strong> sacrifici agli Dei, procuratole<br />

da amici, in quanto onestà, <strong>per</strong> cui, non volle negare la sua religione.<br />

Per Agata, che parlava con la forza della fede, illuminata dallo Spirito<br />

Santo, era arrivato il momento di accettare la sfida e rilanciò: «Ignobiltà<br />

grande è la vostra, voi sie<strong>te</strong> schiavi delle voluttà, adora<strong>te</strong> pietre ed, idoli costruiti<br />

da miseri artigiani, strumenti del demonio».<br />

Quinziano a quelle parole si sentì come un toro ferito, incapace di<br />

controbat<strong>te</strong>re, non possedeva né la cultura d’un oratore, né saggezza e<br />

semplicità delle rispos<strong>te</strong> ispira<strong>te</strong> dalla fede di Agata.<br />

Gli unici strumenti che conosceva bene, che sapeva usare erano la violenza<br />

e le minacce. In questo campo era sicuro di essere il più for<strong>te</strong> e questi mezzi<br />

utilizzò: «O sacrifichi agli dèi o subirai il martirio», minacciò spazientito.<br />

Di fron<strong>te</strong> alla minaccia delle torture, Agata non si lasciò intimorire: «Vuoi<br />

farmi soffrire? Da <strong>te</strong>mpo lo aspetto, lo bramo, è la mia più grande gioia, non<br />

adorerò mai le tue divanità. Come potrei adorare una Venere impudica, un<br />

Giove adul<strong>te</strong>ro, un Mercurio ladro? Ma se tu credi che ques<strong>te</strong> siano vere<br />

divinità, ti auguro che tua moglie abbia gli s<strong>te</strong>ssi costumi di Venere».<br />

Ques<strong>te</strong> parole, pesanti come macigni e affila<strong>te</strong> come lame, <strong>per</strong> Quinziano<br />

furono dure sferza<strong>te</strong> al suo orgoglio, egli seppe reagire solo con la violenza e<br />

ricambiò con uno schiaffo l’umiliazione subita.<br />

Per nien<strong>te</strong> avvilita <strong>per</strong> le <strong>per</strong>cosse, Agata gli rispose: .<br />

18


Erano parole inconfutabili, ma lui non si arrese e ordinò che fosse<br />

rinchiusa in carcere. Per un giorno e una not<strong>te</strong> Agata rimase chiusa in una<br />

cella del carcere, all’in<strong>te</strong>rno di palazzo pretorio, una cameretta in<strong>te</strong>rrata, buia e<br />

umida, poi divenuta luogo di culto, col soffitto alto, mentre una finestrella<br />

irraggiungibile lasciava filtrare un raggio di luce attraverso una spessa grata di<br />

ferro, mentre un orrendo puzzo rendeva l’aria irrespirabile.<br />

Non le fu dato né cibo, né acqua ed una pesan<strong>te</strong> ca<strong>te</strong>na le stringeva le<br />

caviglie, poi fu dato ordine ai soldati di schiaffeggiarla a turno fino a farle<br />

diventare la pelle color sangue. Ma la giovane Agata non dis<strong>per</strong>ò mai e<br />

continuò a pregare ancora più in<strong>te</strong>nsamen<strong>te</strong> lo Sposo celes<strong>te</strong>.<br />

La mattina successiva fu condotta <strong>per</strong> la seconda volta davanti al proconsole.<br />

le domandò Quinziano.<br />

«La mia salvezza è Cristo», rispose decisa Agata. Soltanto a quel punto egli<br />

si rese conto che qualunque <strong>te</strong>ntativo di <strong>per</strong>suasione era destinato a fallire e,<br />

con uno scatto d’ira, ordinò di sottoporla a orrende torture.<br />

Il supplizio dell’aculeo al quale fu sottoposta, consis<strong>te</strong>va in un cavalletto,<br />

un tronco sos<strong>te</strong>nuto da 4 gambe, alle cui estremità erano applicati degli a<strong>nel</strong>li,<br />

o viti giranti. La giovane venne dis<strong>te</strong>sa supina con le braccia rivol<strong>te</strong> verso la<br />

<strong>te</strong>sta, lega<strong>te</strong> stret<strong>te</strong> con funi alla schiena, mentre i piedi le vennero assicurati<br />

agli a<strong>nel</strong>li ed i polsi con altre funi.<br />

Ad Agata furono poi stira<strong>te</strong> le membra, <strong>per</strong>cossa con le verghe, lacerata col<br />

pettine di ferro, squarciati i fianchi con lamine arroventa<strong>te</strong>, ma ogni<br />

tormento, invece di spezzarle la resis<strong>te</strong>nza, sembrava darle nuovo vigore.<br />

Allora Quinziano si accanì ul<strong>te</strong>riormen<strong>te</strong> contro la giovinetta e ordinò agli<br />

aguzzini che le amputassero le mammelle. <br />

19


L’ordine di Quinziano era un gesto di rabbia e di vendetta: ciò che non<br />

aveva potuto ot<strong>te</strong>nere, ora voleva distruggere.<br />

Voleva vederla soffrire <strong>per</strong> il dolore del martirio ed il pudore violato,voleva<br />

umiliarla <strong>nel</strong>la sua dignità di donna, ma nessun segno di turbamento segnò il<br />

volto di Agata: <br />

Agata fu riportata in cella, ferita e sanguinan<strong>te</strong>, le piaghe a<strong>per</strong><strong>te</strong> bruciavano,<br />

il dolore era lancinan<strong>te</strong>.<br />

Ma sapeva che pativa <strong>per</strong> Gesù e questo l’appagava. Così, mentre pregava<br />

in silenzio, con lo sguardo rivolto al cielo al di là della grata, lo Sposo celes<strong>te</strong><br />

volle alleviarle il dolore e le mandò l’apostolo Pietro.<br />

La not<strong>te</strong> successiva alle torture, <strong>nel</strong> buio della cella, la fanciulla vide<br />

avvicinarsi una luce bianca: era un fanciullo vestito di seta con una lucerna in<br />

mano, lo seguiva un uomo anziano.<br />

Inizialmen<strong>te</strong> Agata non volle che l’anziano le porgesse i medicamenti che<br />

aveva portato con sé <strong>per</strong> guarirle le feri<strong>te</strong>. Agata desiderava arden<strong>te</strong>men<strong>te</strong> soffrire <strong>per</strong> Cristo, morire <strong>per</strong><br />

lui, diventare una martire <strong>per</strong> amore. Sapeva che il chicco di grano può dare<br />

frutto soltanto se muore e così anche il suo sangue, versato <strong>per</strong> gli ideali del<br />

vangelo, po<strong>te</strong>va essere il seme di un’umanità rinnovata in Cristo.<br />

Ma quando l’uomo la rassicurò, dicendole d’essere l’apostolo<br />

di Cristo, ella chinò il capo e accettò che si compisse la volontà di Dio.<br />

Aveva aspettato tanto, ma, obbedien<strong>te</strong> alla volontà del suo Sposo,<br />

abbandonò un desiderio suo <strong>per</strong> accettare quello del Padre.<br />

20


Il prodigio non tardò: quando l’uomo scomparve, Agata vide le feri<strong>te</strong><br />

guari<strong>te</strong>, il seno rifiorito, lo spirito rinvigorito. Dopo quattro giorni di cella,<br />

all’alba del quinto fu condotta in tribunale <strong>per</strong> la <strong>te</strong>rza volta.<br />

Quinziano fu sbalordito e incredulo <strong>nel</strong> vedere rimargina<strong>te</strong> le feri<strong>te</strong> sul<br />

corpo di Agata e volle sa<strong>per</strong>e cosa fosse accaduto. Agata gli rispose fiera:<br />

<br />

Quella fanciulla, così bella, fragile e de<strong>te</strong>rminata, gli doveva apparire come<br />

la più pesan<strong>te</strong> delle sconfit<strong>te</strong> <strong>per</strong>sonali, la sua s<strong>te</strong>ssa presenza era ormai<br />

imbarazzan<strong>te</strong>, <strong>per</strong> cui, volle liberarsi di quell’incubo con l’ordine definitivo:<br />

Per Agata fu decisa la mor<strong>te</strong> più atroce: un letto di tizzoni<br />

ardenti con lamine arroventa<strong>te</strong> e pun<strong>te</strong> infuoca<strong>te</strong>.<br />

Quello d’esser bruciato vivo era il supplizio più grave <strong>per</strong> un condannato.<br />

L’ordine fu eseguito immediatamen<strong>te</strong>: Agata fu gettata sulle braci, co<strong>per</strong>ta<br />

soltanto dal suo velo da sposa di Cristo. Mentre il suo corpo veniva rivoltato<br />

sui carboni ardenti e trafitto da pun<strong>te</strong> di ferro e lamine taglienti, la sua anima,<br />

conservata pura, ardeva più for<strong>te</strong> <strong>per</strong> il Signore.<br />

I suoi genitori furono sempre presenti al processo ad alla mor<strong>te</strong>.<br />

A questo punto, secondo la tradizione si sarebbe verificato un altro<br />

miracolo, a <strong>te</strong>stimoniare la chiara santità di Agata: il fuoco, che straziava il suo<br />

corpo, non bruciò invece il velo. Per questa ragione il diventò da subito una delle reliquie più preziose.<br />

Più vol<strong>te</strong> portato in processione di fron<strong>te</strong> al fuoco dell’Etna, ha avuto il<br />

po<strong>te</strong>re di far arrestare il magma. Le fonti storiche dicono che, quando fu<br />

spinta <strong>nel</strong>la fornace, un violento <strong>te</strong>rremoto scosse l’in<strong>te</strong>ra città di <strong>Catania</strong>,<br />

tutti pensarono fosse il grido di dolore della sua <strong>te</strong>rra <strong>per</strong> l‘orrendo delitto.<br />

I due <strong>per</strong>fidi consiglieri di Quinziano che avevano controfirmato la<br />

condanna a mor<strong>te</strong>, finirono travolti dal crollo del palazzo pretorio.<br />

21


Vi era stato un ordine <strong>per</strong>entorio dell’im<strong>per</strong>atore Antonino Pio, che<br />

vietava le torture a chi avesse a<strong>per</strong>tamen<strong>te</strong> dichiarato il suo delitto, ma sotto<br />

l’im<strong>per</strong>atore Decio i cristiani venivano brutalmen<strong>te</strong> torturati anche se rei<br />

confessi, ma i magistrati coerenti e ligi alla legge, pur di colpire a sangue e a<br />

mor<strong>te</strong> tutti i <strong>te</strong>stimoni di Cristo che riuscivano ad acciuffare.<br />

Una legge romana “Lex Laetoria” concedeva al popolo di in<strong>te</strong>rvenire<br />

con una sommossa contro chi avesse abusato del proprio po<strong>te</strong>re verso<br />

giovani donne tra i 18 e i 25 anni. Quinziano abusò di po<strong>te</strong>re verso Agata.<br />

Egli, <strong>te</strong>mendo di venire ucciso dalla folla inferocita, scappò in fretta<br />

verso la <strong>per</strong>iferia di <strong>Catania</strong>, il giorno s<strong>te</strong>sso della mor<strong>te</strong> di Agata, <strong>per</strong><br />

investigare sulle ricchezze di Agata, appropriarsi dei poderi ed arrestare tutti i<br />

suoi parenti, ma, inseguito dai catanesi, non riuscì nemmeno ad arrivare sul<br />

posto, <strong>per</strong>che morì, mentre attraversava il Simeto su una barca, a causa dei<br />

suoi due cavalli che, impennandosi e recalcitrando, si avventarono contro di<br />

lui con morsi e calci, causandogli l’annegamento fra le acque del fiume.<br />

Il suo corpo non fu mai ritrovato, <strong>per</strong> tale ragione una leggenda<br />

popolare vuole che di tanto in tanto il fantasma del proconsole vaghi inquieto<br />

in quelle zone, mentre c’è chi sostiene di vedere le acque del fiume, in certi<br />

<strong>per</strong>iodi dell’anno, ribollire <strong>per</strong> lo sdegno. Da allora nessuno osò più molestare<br />

i parenti di Agata. La folla dei catanesi che aveva assistito al supplizio di<br />

Agata l’accompagnò alle por<strong>te</strong> del carcere, dove venne condotta agonizzan<strong>te</strong>,<br />

e vegliò su di lei negli ultimi istanti prima della mor<strong>te</strong>. Tutti po<strong>te</strong>rono assis<strong>te</strong>re<br />

al suo ultimo gesto. Con le poche forze che le erano rimas<strong>te</strong>, Agata unì le<br />

mani e di fron<strong>te</strong> alla folla recitò con un filo di voce una preghiera in latino.<br />

Sant’Agata risulta essere vindice delle ingiustizie, infatti questa iscrizione<br />

ricorda uno dei momenti in cui <strong>Catania</strong> s<strong>per</strong>imentò la pro<strong>te</strong>zione della sua<br />

Patrona, ciò si riferisce al <strong>per</strong>iodo in cui la città si trovò <strong>nel</strong> 1232 duran<strong>te</strong> il<br />

22


dominio di Federico II, il quale voleva punire l’ostilità dei catanesi,<br />

uccidendoli e distruggendo la città.<br />

Mentre il popolo in cat<strong>te</strong>drale chiedeva l’ultima grazia di par<strong>te</strong>cipare alla<br />

celebrazione della messa, il re, aprendo un libro, vi trovò scritto a carat<strong>te</strong>ri<br />

d’oro il monito che, tradotto dal latino significa: Non offendere la Patria di<br />

Agata. Federico umiliò i catanesi, ma non li uccise e non distrusse la città.<br />

Il martirio di Sant’Agata getta grande luce sulla storia del Cristianesimo<br />

delle cos<strong>te</strong> orientali della Sicilia, divenendo leva po<strong>te</strong>n<strong>te</strong> <strong>per</strong> lo sviluppo delle<br />

Comunità Cristiane di Sicilia. Chi può negare il valore che acquista La “Passio<br />

di Sant’Agata” <strong>nel</strong>le allusioni al S. Carcere ed alla Tomba, monumenti<br />

conservati <strong>nel</strong> <strong>te</strong>mpo.<br />

Secondo Lanzoni, sacerdo<strong>te</strong>, storico e pioneristico studioso <strong>nel</strong> campo<br />

della storia ecclesiastica antica, l’esis<strong>te</strong>nza del Cristianesimo è certa, già prima<br />

del 305, cioè all’abdicazione di Diocleziano a favore di Galerio, anzi, si fa<br />

risalire alla metà del <strong>te</strong>rzo Secolo, infatti, il documento spedito a S. Cipriano<br />

dal clero romano sulla questione, cade proprio sotto il <strong>te</strong>rzo consolato di<br />

Decio <strong>nel</strong> 251. Quando <strong>nel</strong> 249 l’Im<strong>per</strong>atore romano Decio pubblicò l’editto<br />

di <strong>per</strong>secuzione dei Cristiani ed il Proconsole Quinziano mise gli occhi su<br />

Sant’Agata, ben sapeva che Ella non era un fiore solitario, bensì elemento<br />

rappresentativo di un movimento Cristiano diffuso a <strong>Catania</strong>, la scelse <strong>per</strong> le<br />

sue voglie libidinose e <strong>per</strong> sottrarle le ricchezze.<br />

RITI LITURGICI LEGATI AD AGATA BAMBINA<br />

Nell’anno 215, e cioè 36 anni appena, prima del martirio di Sant’Agata, lo<br />

scrittore Ippolito di Roma pubblicò un libro intitolato “Tradizione<br />

apostolica”, che riporta le norme allora vigenti <strong>per</strong> l'amministrazione dei<br />

Sacramenti presso la Chiesa Romana.<br />

23


Questo libro, rimasto sconosciuto fino al 1916 è estremamen<strong>te</strong> utile <strong>per</strong><br />

ricostruire e descrivere le in<strong>te</strong>ressanti scene, con cui si svolsero i riti<br />

dell'iniziazione cristiana di Sant’Agata e cioè i riti liturgici del suo Bat<strong>te</strong>simo,<br />

della sua Cresima e della sua prima Comunione.<br />

Detta tradizione apostolica conferma la notizia, fornita da Tertulliano,<br />

relativa al fatto che in quel <strong>te</strong>mpo all’iniziazione cristiana venivano ammessi<br />

non solo gli adulti, ma anche i bambini <strong>per</strong>venuti all'uso della ragione e cioè<br />

dell'età di 7 o 8 anni. L’ammissione alla iniziazione cristiana comprendeva<br />

con<strong>te</strong>mporaneamen<strong>te</strong> l’accesso ai tre Sacramenti.<br />

La richiesta dell’ammissione dei bambini doveva partire dai genitori, i<br />

quali <strong>nel</strong> promuovere quella richiesta facevano in<strong>te</strong>rvenire anche un padrino<br />

che davanti alla Chiesa assumesse il compito di collaborare coi genitori <strong>nel</strong><br />

preparare il candidato a ricevere i sacramenti.<br />

Il capo della Chiesa catanese non era un vescovo titolare della Chiesa di<br />

<strong>Catania</strong>, poiché in Sicilia c’era un solo vescovo, che dirigeva tutta la Chiesa<br />

isolana, risiedeva a Siracusa e, dal 490 al 500, <strong>nel</strong>la <strong>per</strong>sona del siracusano<br />

Giustino si firmava “Vescovo della Provincia di Sicilia”, il quale delegava uno<br />

dei vescovi itineranti, <strong>per</strong> dirigere ognuna delle comunità cristiane <strong>nel</strong>le più<br />

importanti città siciliane.<br />

Egli ammise Agata al Ca<strong>te</strong>cumenato, che comportava un triennio di<br />

prova <strong>nel</strong> quale la bambina, sotto la guida di un dottore, doveva essere istruita<br />

<strong>nel</strong>le verità della fede ed impegnata <strong>nel</strong>l’osservanza dei precetti della Chiesa.<br />

Dopo il triennio di prova Agata, appena decenne, venne sottoposta ad<br />

uno scrutinio, svolto duran<strong>te</strong> un’assemblea liturgica, <strong>per</strong> essere dichiarata<br />

idonea a far par<strong>te</strong> della comunità cristiana e po<strong>te</strong>r ricevere i sacramenti in una<br />

delle due vigilie di Pasqua o Pen<strong>te</strong>cos<strong>te</strong>.<br />

24


I candidati al Bat<strong>te</strong>simo, <strong>nel</strong> giovedì preceden<strong>te</strong> Pasqua o Pen<strong>te</strong>cos<strong>te</strong>,<br />

prendevano un bagno, il venerdì digiunavano, il sabato sera venivano<br />

convocati, ordinando loro d’inginocchiarsi e pregare.<br />

Il vescovo imponeva loro le mani e scongiurava il demonio ad<br />

allontanarsi da essi: dopo l’esorcismo soffiava loro sul viso e segnava la loro<br />

fron<strong>te</strong>, le orecchie e le narici, quindi, li esortava a vegliare tutta la not<strong>te</strong> e ad<br />

ascoltare letture. Al canto del gallo s’intonava la preghiera della benedizione<br />

dell'acqua con<strong>te</strong>nuta <strong>nel</strong>la grande vasca del battis<strong>te</strong>ro.<br />

I bambini e le bambine venivano bat<strong>te</strong>zzati <strong>per</strong> primi, venivano<br />

spogliati nudi <strong>per</strong> essere immersi <strong>nel</strong>l'acqua della vasca, che sarebbe arrivata<br />

fino alle ginocchia. Due diaconi o diaconesse, uno con l’olio dell'esorcismo e<br />

l'altro con il crisma si ponevano ai lati del sacerdo<strong>te</strong>.<br />

Quando fu la volta di Agata, il sacerdo<strong>te</strong> l’accolse, ingiungendole di<br />

abiurare. Agata lesse il proclama: Rinuncio a <strong>te</strong>, Satana, a tut<strong>te</strong> le tue pompe, a<br />

tut<strong>te</strong> le tue o<strong>per</strong>e, dopo di che il sacerdo<strong>te</strong> unse Agata con l'olio<br />

dell'esorcismo, dicendole: Ogni spirito si allontani da <strong>te</strong>! Ciò fatto, l’affidò al<br />

vescovo, che la invitò a scendere <strong>nel</strong>la vasca, assieme alla diaconessa, che<br />

<strong>te</strong>neva in mano il vasetto del crisma.<br />

A questo punto il vescovo impose la mano sinistra sulla <strong>te</strong>sta di Agata e<br />

le chiese: Credi in Dio Padre onnipo<strong>te</strong>n<strong>te</strong>? Agata rispose: Credo!<br />

Allora il vescovo la bat<strong>te</strong>zzò una prima volta, tornando a chiedere:<br />

Credi in Cristo Gesù, figlio di Dio, che è stato crocifisso sotto Ponzio Pilato,<br />

è morto ed è risorto il <strong>te</strong>rzo giorno, vivo dai morti, è salito nei cieli, siede alla<br />

destra del Padre e verrà a giudicare i vivi e i morti? Agata rispose: Credo!<br />

Ed il vescovo la bat<strong>te</strong>zzò una seconda volta, chiedendo: Credi <strong>nel</strong>lo<br />

Spirito Santo, la Santa Chiesa Cattolica e la risurrezione della carne? Agata<br />

rispose: Credo! E il vescovo la bat<strong>te</strong>zzò <strong>per</strong> la <strong>te</strong>rza volta. Agata risalita dalla<br />

25


vasca venne asciugata da sua madre; la madrina invece le fece indossare una<br />

candida ves<strong>te</strong>. In quel momento il sacerdo<strong>te</strong> la unse con il crisma, dicendole:<br />

Ti ungo con olio <strong>nel</strong> nome di Gesù Cristo.<br />

A conclusione del conferimento del sacramento della Cresima, i neo<br />

cresimati offrivano e deponevano sull’altare i loro doni, consis<strong>te</strong>nti <strong>nel</strong> pane e<br />

<strong>nel</strong> vino e in tutto il necessario <strong>per</strong> la celebrazione del sacrificio della messa.<br />

Il vescovo accettava quei doni e recitava su di essi la preghiera solenne<br />

consacratoria, formula veneranda che, sulle labbra degli apostoli e dei vescovi<br />

loro discepoli e successori, faceva rivivere in mezzo a quei seguaci di Cristo<br />

e, tra loro, Agata, la <strong>per</strong>sona s<strong>te</strong>ssa del divino Maestro.<br />

Finito il rito del Bat<strong>te</strong>simo, tutti i neobat<strong>te</strong>zzati, con in <strong>te</strong>sta le bambine,<br />

in candido cor<strong>te</strong>o entravano in chiesa <strong>per</strong> essere accolti tra canti di giubilo<br />

dalla comunità cristiana e ad ognuno assegnato un proprio posto.<br />

La piccola Agata, sensibile, at<strong>te</strong>nta e docile alle ispirazioni celesti, <strong>nel</strong><br />

sentirsi suonare alle orecchie quegli accenti, capì che doveva applicare a se<br />

quel dolce richiamo; pensava che come aveva gioito la Madonna <strong>nel</strong>lo<br />

stringere al suo seno il bambi<strong>nel</strong>lo Gesù, così gioiva ora la Santa Madre<br />

Chiesa <strong>nel</strong>lo stringersi al <strong>cuore</strong> la sua piccola Agata, novella cristiana.<br />

Quando il vescovo finì la solenne prece, tutti acclamarono, dicendo:<br />

Amen! A questo punto il vescovo spezzò il Pane consacrato, che, con l'aiuto<br />

dei diaconi venne distribuito ai fedeli, i quali lo ricevet<strong>te</strong>ro <strong>nel</strong>la mano <strong>per</strong><br />

mangiarlo subito. Il vescovo diede un pezzetto di quel Pane ad Agata<br />

dicendo: Il Pane celes<strong>te</strong> in Gesù Cristo! Agata risponde: Amen!<br />

Il prefazio di quella not<strong>te</strong> santa, allorché i neofiti venivano ad accrescere il<br />

numero dei figli della Santa Madre Chiesa, era soffuso di particolare sublime<br />

lirismo, che risuonava in questi soavi accenti: “O mistici e venerandi richiami<br />

di questa not<strong>te</strong>! O ineffabili e inesauribili purezze della Santa Madre Chiesa!<br />

26


Maria esulta <strong>nel</strong> suo santissimo puer<strong>per</strong>io ed esulta la Chiesa <strong>nel</strong> somiglian<strong>te</strong><br />

evento della rigenerazione dei suoi novelli figli”.<br />

Accanto al vescovo stavano due diaconi: uno con in mano il calice con<br />

acqua, l’altro un calice con lat<strong>te</strong> e miele, dandone da bere ad Agata.<br />

Dopo che i neofiti ebbero bevuto al calice dell'acqua e al calice del lat<strong>te</strong><br />

misto al miele, ricevet<strong>te</strong>ro la Comunione del Sangue di Cristo, bevendo al<br />

calice del vino consacrato. Il sacerdo<strong>te</strong> <strong>nel</strong> porgere ad Agata il calice le disse:<br />

In Dio Padre Onnipo<strong>te</strong>n<strong>te</strong>! Agata ne beve e rispose: Amen!<br />

In quel momento, come Maria SS. <strong>nel</strong> giorno della sua annunciazione,<br />

divenuta mamma di Gesù, s<strong>per</strong>imentò il suo ineffabile modo di vivere in<br />

consorzio con la SS. Trinità, così la piccola Agata, nutrendosi del Corpo e del<br />

Sangue di Cristo, s<strong>per</strong>imentò in sé quello che Gesù aveva preannunziato:<br />

“come il Padre mio, che ha la vita, ha mandato me e io vivo <strong>per</strong> il Padre, così<br />

anche colui che mangia di me vivrà <strong>per</strong> me”.<br />

Sant’Agata non poté mai dimenticare l’emozione provata in quel<br />

momento. Duran<strong>te</strong> il processo, Quinziano la minacciò dicendole: O sacrifichi<br />

agli dei o ti farò <strong>per</strong>ire!... Pensa bene, cosa decidi <strong>per</strong> la tua salvezza? Agata<br />

rispose: La mia salvezza è Cristo!<br />

L’origine di tale rito simbolico è antichissima ed il significato del<br />

simbolismo del rito è indicato dalla formula liturgica, con<strong>te</strong>nuta <strong>nel</strong><br />

Sacramentario Leoniano, median<strong>te</strong> la quale il vescovo <strong>nel</strong>la vigilia di Pasqua o<br />

Pen<strong>te</strong>cos<strong>te</strong> benediceva il calice dell'acqua e il calice del lat<strong>te</strong> col miele.<br />

Origene, con<strong>te</strong>mporaneo di Sant’Agata, dopo aver assistito ad una<br />

scena del genere, scrisse: “L’anima che, col bat<strong>te</strong>simo si è incorporata come<br />

in un consorzio di vita con il Verbo di Dio e si è legata a Lui con un mistico<br />

matrimonio, mai più da alcun altro pre<strong>te</strong>nden<strong>te</strong> può essere svincolata da<br />

Colui che l’ha sposata <strong>nel</strong>la fede”.<br />

27


Tertulliano, morto 20 anni prima che Agata fosse bat<strong>te</strong>zzata, dopo aver<br />

assistito a una circostanza come questa, volle rivolgere ai neobat<strong>te</strong>zzati ques<strong>te</strong><br />

sue parole: “Apri<strong>te</strong> <strong>per</strong> la prima volta le braccia, tutti voi, fra<strong>te</strong>lli e sorelle, alla<br />

Chiesa vostra Madre, che freme di gioia <strong>per</strong> l'avvenuta vostra salvezza!”.<br />

IL DIALOGO COL PADRE RAO<br />

Il padre di Agata: <br />


Quindi riempì la ciotola e mi bagnò il capo tre vol<strong>te</strong>, pronunciando la formula<br />

del bat<strong>te</strong>simo. Poi sorridendo mi disse di uscire e andare dalla mamma, che,<br />

dopo avermi asciugato, mi fece indossare una ves<strong>te</strong> candida. Poi ci fece salire<br />

<strong>nel</strong>la grande sala del piano su<strong>per</strong>iore dove ricevemmo dal vescovo<br />

l’Eucarestia e la Cresima.>><br />

<br />

<br />

L’IDEALE DEL SUO MARTIRIO<br />

La rapida vittoria sul Cristianesimo in Sicilia, fu avvertita come un<br />

miracolo, giacché fu vittoria di anime che, sprezzanti ogni soddisfazione<br />

ma<strong>te</strong>riale, a<strong>nel</strong>arono a riflet<strong>te</strong>re in sé l’anima s<strong>te</strong>ssa del loro Redentore.<br />

29


I cristiani furono tanti, quanti sarebbero stati necessari <strong>per</strong> il trionfo<br />

sulla durezza del <strong>cuore</strong> umano, <strong>per</strong> convincerlo che i primi e più forti battiti<br />

non dovevano essere provati <strong>per</strong> la salu<strong>te</strong> del corpo, ma <strong>per</strong> quella dell’anima.<br />

La bella fanciulla Agata apparve sulla <strong>te</strong>rra etnea <strong>per</strong> salvarla, non già<br />

dagli incendi e dai <strong>te</strong>rremoti, ma dal peccato.<br />

Il colpo più grave impartito alla tradizione scritta del Martirio di<br />

Sant’Agata, fu quello datole dalla <strong>per</strong>secuzione dell’im<strong>per</strong>atore Diocleziano, il<br />

quale ordinò la distruzione di tutti gli atti, registri e suppellettili del culto<br />

cristiano, ordine che a <strong>Catania</strong> fu rigorosamen<strong>te</strong> rispettato ed eseguito, come<br />

dimostra il Martirio del Vescovo S. Euplio, avvenuto <strong>nel</strong> 303.<br />

Quello che subì Sant’Agata è il Martirio della bellezza e del pudore,<br />

eroicamen<strong>te</strong> sopportato e trionfalmen<strong>te</strong> vinto, prima di ciò, presso la<br />

religione pagana il pudore femminile non aveva più pro<strong>te</strong>ttori.<br />

I libri della liturgia cristiana dell’eroico paladino della fede, raccontano<br />

che, <strong>nel</strong>l’entusiasmo del trionfo, i cristiani, seguiti dagli s<strong>te</strong>ssi iconoclasti,<br />

corsero al <strong>te</strong>mpio di Demetra e non lo lasciarono finché non lo videro<br />

completamen<strong>te</strong> distrutto dalle fiamme, ciò come solenne pro<strong>te</strong>sta contro<br />

l’o<strong>per</strong>a di corruzione del sesso femminile, <strong>te</strong>ntata dal sovversivo Eliodoro.<br />

Era allora raro vedere una fanciulla camminare da sola <strong>per</strong> le strade<br />

illumina<strong>te</strong> della città del fuoco: o era un’insegnan<strong>te</strong> venuta dal cosiddetto<br />

Continen<strong>te</strong>, o una miss inglese a servizio di qualche casato aristocratico.<br />

TEATRO DELLA VICENDA<br />

Teatro della vicenda è la piazza di Sant’Agata appena sgomberata dalle<br />

macerie, quella piazza i cui confini il Duca di Camastra ha no<strong>te</strong>volmen<strong>te</strong><br />

dilatati, <strong>nel</strong>la visione avveniristica di un piano regolatore che egli ha ormai<br />

impostato e da cui dipenderà la rinascita di <strong>Catania</strong>.<br />

30


Il Camastra lo voleva fuori del piano di Sant’Agata, il vescovo Andrea<br />

Riggio, dentro. Poiché sulle aree destina<strong>te</strong> alla ricostruzione della Cat<strong>te</strong>drale e<br />

del Palazzo Vescovile un accordo era stato raggiunto, ne conseguiva che<br />

l’area destinata al Seminario non po<strong>te</strong>va non cadere accanto alle prime due.<br />

Così la pensava il Vescovo ed essendo sub-judice l’area di Palazzo<br />

Senatorio, boicottò la scelta. Dopo uno scontro durato parecchi mesi, si<br />

<strong>per</strong>venne ad un accordo, in base al quale i due palazzi sarebbero stati costruiti<br />

<strong>nel</strong> piano di Sant’Agata, uno sul lato di tramontana, l'altro a mezzogiorno.<br />

Aveva vinto il Vescovo, quindi, il seminario sarebbe sorto dove voleva<br />

lui, accanto al Palazzo Vescovile e alla Cat<strong>te</strong>drale. Dalla sua fondazione alla<br />

vigilia del <strong>te</strong>rremoto, esso era allogato <strong>nel</strong>la piazza di Sant’Agata, prima nei<br />

locali della canonica, fra la Cat<strong>te</strong>drale e le mura della città, dal 1614 in poi, nei<br />

locali dell’ex chiesa di San Martino. Il vescovo Andrea Riggio raggiunta<br />

l’in<strong>te</strong>sa col Camastra, convocò Alonzo Di Benedetto, archi<strong>te</strong>tto di fiducia e<br />

senza <strong>per</strong>dere un minuto gli affidò la direzione della nuova fabbrica che<br />

doveva essere impostata sulle mura spagnole rimas<strong>te</strong> in piedi.<br />

L’AMBIENTE DEL PROCESSO<br />

Al <strong>te</strong>mpo del martirio di Sant’Agata, a <strong>Catania</strong> c’erano due tribunali: uno<br />

urbano o municipale, l’altro provinciale o proconsolare. Quello urbano era<br />

situato nei locali della Curia Urbana, <strong>nel</strong>l’attuale piazza S. Pantaleo, ove<br />

sorgeva il foro cittadino con annessa basilica ornata da monumentali colonne,<br />

32 delle quali furono rimosse e colloca<strong>te</strong> <strong>nel</strong>l’attuale piazza Mazzini.<br />

Secondo la legislazione giudiziaria romana era stabilito che i processi<br />

fossero pubblici, non solo <strong>per</strong> il soggetto che li doveva gestire, cioè lo Stato,<br />

ma esigeva la massima pubblicità, quindi, che si svolgessero proprio accanto<br />

ai grandi mercati. Cesare e poi Augusto, data l’insufficien<strong>te</strong> capienza dei locali<br />

31


giudiziari annessi ai mercati, fecero costruire due grandi fori, incorporandovi<br />

le rispettive sedi giudiziarie.<br />

Il tribunale provinciale ove Sant’Agata venne processata, invece, era<br />

annesso al palazzo del proconsole, <strong>nel</strong>la zona ove ora sorge la Chiesa di<br />

Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re.<br />

Secondo la descrizione fatta dal Sovrin<strong>te</strong>nden<strong>te</strong> dei monumenti della Sicilia<br />

Orientale, ing. Carmelo Sciuto Patti <strong>nel</strong> 1892, il Pretorio, ordinaria dimora di<br />

Quinziano, oltre ai citati locali, racchiudeva un vasto cortile recinto da portici,<br />

da cui si dominava il vasto anfi<strong>te</strong>atro, dal quale egli assis<strong>te</strong>va ai truci spettacoli<br />

di sangue che in esso si effettuavano, mentre ad est si ammirava il panorama.<br />

Sul lato set<strong>te</strong>ntrionale erano le carceri, a meridione la sua lussuosa dimora<br />

(ricchissima di preziosi marmi orientali), ad occiden<strong>te</strong> le due sale ove si<br />

amministrava la giustizia, di cui una era l’usuale “secretarium” (vicino alla<br />

Porta del Re), da dove poi Quinziano fuggì, inseguito dai catanesi, l’altra<br />

“basilica”, più grandiosa, adatta alle circostanze straordinarie. Entrambe le<br />

sale erano muni<strong>te</strong> di due recinti (separati da sipario), uno <strong>per</strong> i processi usuali<br />

e con poco pubblico, l’altro <strong>per</strong> le assisi con più pubblico.<br />

I processi <strong>nel</strong>la prima udienza si svolgevano in maniera semplice e con<br />

poco pubblico, ma quello che riguardò Sant’Agata, si <strong>te</strong>nne in maniera<br />

solenne fin dalla prima udienza e la redazione del racconto del martirio,<br />

corrispose <strong>per</strong>fettamen<strong>te</strong>, tanto in lingua latina che in quella greca.<br />

IL SEPOLCRO<br />

Nella 1^ catacomba del nucleo ca<strong>te</strong>cuminale di cristiani catanesi, riguardo a<br />

Sant’Agata è possibile vedere la piccola grotta lavica con una debole sorgen<strong>te</strong><br />

che servì, non solo <strong>per</strong> attingere acqua, ma fu anche usata come fon<strong>te</strong><br />

bat<strong>te</strong>simale, allorquando, sotto Decio e Diocleziano, i <strong>te</strong>mpi si fecero duri.<br />

32


Per quel via vai di gen<strong>te</strong> che attingeva alla fon<strong>te</strong>, i cristiani non destavano<br />

sospetto, quindi, vi si riunivano <strong>per</strong> pregare ed elaborare stra<strong>te</strong>gie di difesa.<br />

Duran<strong>te</strong> il governo dell’im<strong>per</strong>atore Pubblio Licinio Gallieno, il Vescovo<br />

catanese S. Everio, approfittando d’un <strong>per</strong>iodo di tolleranza da <strong>per</strong>secuzioni,<br />

fece costruire accanto alla tomba di S<strong>te</strong>sicoro, quella di Sant’Agata,<br />

consacrando quel luogo come <strong>te</strong>mpio in onore di S. M. di Betlemme.<br />

I catanesi, comprato in fretta quel sarcofago, scalpellato dalle figure<br />

pagane, collocarono Agata <strong>nel</strong> cimi<strong>te</strong>ro cristiano <strong>nel</strong>la par<strong>te</strong> detta area<br />

martyrum, iscrizione del sec. III che parla d’una bambina sepolta vicino la<br />

porta dei martiri. Alla fine delle <strong>per</strong>secuzioni il sepolcro col suo corpo<br />

incorrotto, fu installato <strong>nel</strong> posto dove oggi sorge la chiesa di Sant’<strong>agata</strong> la<br />

Ve<strong>te</strong>re, dove riposò fino al 1040.<br />

Gli atti del martirio parlano di una tavoletta marmorea deposta da un<br />

fanciullo, seguito da cento giovanetti, <strong>nel</strong> suo sarcofago al momento della<br />

sepoltura. Secondo mons. Santo D’Arrigo questo giovinetto rappresenta<br />

l’Angelo, custode del corpo di Sant’Agata.<br />

Mentre le membra di Sant’Agata venivano seppelli<strong>te</strong>, rifulsero del<br />

particolare onore, reso loro da un coro di angeli, che con tale omaggio<br />

elogiavano la santità dell’anima di Agata e ne preannunciavano la missione<br />

liberatrice a favore della sua patria.<br />

Dopo il <strong>te</strong>rremoto del 1990, come at<strong>te</strong>sta mons. Romeo ed il prof.<br />

Guido Libertini, quel sarcofago fu posto sotto l’altare maggiore.<br />

Sulla lapide di Sant’Agata c’è la ca<strong>te</strong>na di documentazioni, che si<br />

susseguono fino ad oggi e ne garantiscono non solo l’originario valore<br />

storico, ma anche l’attuale sua sopravvivenza.<br />

Era costume duran<strong>te</strong> il <strong>te</strong>mpo delle <strong>per</strong>secuzioni dei cristiani, che tutti i<br />

martiri deceduti <strong>per</strong> fede in Cristo venissero unti con mirra ed aloe (balsamo),<br />

33


al fine di far resis<strong>te</strong>re i corpi, quindi si fasciavano come i bambini appena nati,<br />

ciò simboleggiava un’anima innocen<strong>te</strong>, così fu fatto dai cristiani a Sant’Agata.<br />

I corpi venivano seppelliti o bruciati fuori le mura della città, mentre i<br />

cristiani erano seppelliti in luoghi divisi dai pagani e dai gentili, cioè il popolo.<br />

L’epigrafe detta di Iulia Florentina è una epigrafe funeraria in marmo,<br />

trovata <strong>nel</strong> 1730 fra Villa Bellini e l’inizio del quartiere Cibali, che costituisce<br />

un importan<strong>te</strong> documento <strong>per</strong> la conoscenza della prima comunità cristiana<br />

di <strong>Catania</strong>, attualmen<strong>te</strong> conservata al Museo del Louvre. Nonostan<strong>te</strong> oggi<br />

<strong>Catania</strong> conservi la quasi totalità delle sue reliquie, questa tavoletta manca<br />

all’appello, poiché è custodita <strong>nel</strong>la Chiesa di Sant’Agata a Cremona.<br />

TRASLAZIONE DELLE RELIQUIE<br />

Nel 1040 il corpo di Sant’Agata fu poi portato a Costantinopoli dal<br />

generale Maniace, non come da più parti scritto (trofeo di guerra), ma messo<br />

al sicuro dalla invasione degli arabi che, frattanto, avevano occupato la città.<br />

Ma <strong>per</strong>ché proprio a Costantinopoli? Perché era la capitale della Cristianità,<br />

patria di innumerevoli reliquie di Santi da tutto il mondo.<br />

Si narra che un fortunale impedì la par<strong>te</strong>nza della nave <strong>per</strong> 3 giorni, quasi<br />

che Sant’Agata non volesse staccarsi dalla città natia e subìto il martirio. Alla<br />

fine i catanesi, addolorati e inermi di fron<strong>te</strong> alla decisione del conquistatore,<br />

videro allontanarsi a bordo d’una nave bizantina le reliquie della loro patrona,<br />

non prima di aver o<strong>per</strong>ato un’ul<strong>te</strong>riore sommaria ricognizione sulle s<strong>te</strong>sse.<br />

Dovet<strong>te</strong>ro passare 86 anni prima che le reliquie tornassero in patria.<br />

Il vescovo, che in quei giorni si trovava <strong>nel</strong>la residenza estiva ad<br />

Acicas<strong>te</strong>llo, fu enormemen<strong>te</strong> felice, ma <strong>per</strong> prudenza, prima di diffondere la<br />

notizia in città, volle accertarsi che i due dicessero la verità e che quelle che<br />

avevano trasportato fossero realmen<strong>te</strong> le spoglie della santa.<br />

34


Inviò a Messina due monaci fidatissimi, Oldmanno e Luca, <strong>per</strong> il<br />

riconoscimento: le reliquie furono confronta<strong>te</strong> con i referti redatti duran<strong>te</strong> le<br />

ultime ricognizioni. Soltanto dopo la conferma dei monaci, il vescovo<br />

Maurizio diede la notizia ai catanesi. Era il 17 agosto 1126.<br />

Una tradizione secolare vuole che tutti gli scrittori siciliani, dal Caetano,<br />

Pirro, Maurilico, Fazello, fino ai catanesi De Grossis e Carrera, abbiano<br />

raccontato che il corpo di Sant’Agata, prima della traslazione da<br />

Costantinopoli, si trovasse a Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re ed accanto a quella chiesa,<br />

che accoglieva il carcere ed il sepolcro, ne vennero edifica<strong>te</strong> altre, come<br />

S. Berillo, S. Pietro Apostolo e l’Oratorium di S. Luca.<br />

Tradizioni radica<strong>te</strong> profondamen<strong>te</strong> <strong>nel</strong>la coscienza popolare e conferma<strong>te</strong><br />

poi, <strong>nel</strong> 1366 da un documento del Vescovo Marziale, che pontificò dal 1356<br />

al 1375, avendo visitato detta chiesa, trovandola in totale abbandono.<br />

A ricordo di quell’evento, <strong>nel</strong> posto ove si erano raccolti, <strong>per</strong> un addio<br />

al suo corpo, i cittadini eressero un’icona con l’immagine di Sant’Agata che<br />

guardava ad orien<strong>te</strong>, <strong>nel</strong> punto da dove erano diparti<strong>te</strong> le sue Reliquie alla<br />

volta di Costantinopoli.<br />

Nel 1621, <strong>per</strong> via dell’allargamento della strada, divenuta una grande<br />

ar<strong>te</strong>ria, scorren<strong>te</strong> da una par<strong>te</strong> lungo la costa di quel tratto di mare e dall’altra<br />

par<strong>te</strong> a fianco del massiccio bastione, fungen<strong>te</strong> anche da muro di cinta della<br />

città, quell’icona fu sostituita da un più artistico monumento che riproduce il<br />

mezzobusto della Patrona con sotto una fon<strong>te</strong> d’acqua, denominata “Fon<strong>te</strong><br />

Lanaria”, entro una vasca a conchiglia, con sopra una epigrafe in cui si<br />

esaltava il merito dell’ar<strong>te</strong>fice di quella strada, il nobile di toga Francesco<br />

Lanario, duca di Carpignano e grande umanista.<br />

Il Vescovo Maurizio, <strong>te</strong>stimonio oculare del ritorno delle Reliquie e<br />

responsabile della loro ricognizione sulle proprie mani, in una sua let<strong>te</strong>ra,<br />

35


indirizzata a tutti i vescovi, abati, monaci, chierici, soldati, uomini e donne,<br />

viventi pienamen<strong>te</strong> in Cristo, aveva raccontato che, <strong>nel</strong> 1126 a 2 uomini<br />

dell’im<strong>per</strong>o latino, Gisliberto e Goselmo, il primo della Gallia, il secondo<br />

della Calabria, era stato ordinato di muoversi dal monas<strong>te</strong>ro di Santa Maria in<br />

Costantinopoli con le Reliquie di Sant’Agata, affida<strong>te</strong> alle vergini<br />

dall’im<strong>per</strong>atrice Teodora, consegnatole preceden<strong>te</strong>men<strong>te</strong> dal generale<br />

bizantino Giorgio Maniace, di ritorno dalla Sicilia, ormai liberata.<br />

Ciò viene confermato ed ancor più rafforzato dal racconto di un<br />

profugo di Costantinopoli, certo Costantino Lascaris, dotto let<strong>te</strong>rato,<br />

scampato ai turchi e rifugiatosi, prima a Milano, poi a Napoli, infine <strong>nel</strong> 1465<br />

a Messina, vivendo come insegnan<strong>te</strong> di let<strong>te</strong>ratura greca.<br />

A Gisliberto era apparsa una prima volta in sogno Sant’Agata, la quale<br />

gli comandò di sottrarla di nascosto da quella chiesa e riportarla a <strong>Catania</strong>,<br />

segno eviden<strong>te</strong> che il corpo era veramen<strong>te</strong> quello di Sant’Agata, tuttavia, lui<br />

non diede peso al sogno, tuttavia, allorquando questo si ripeté <strong>per</strong> altre due<br />

vol<strong>te</strong>, lui si confidò con Goselmo.<br />

Gisliberto aveva capito fin dal primo momento che non ci sarebbe stata<br />

altra via d’uscita <strong>per</strong> riavere quelle Reliquie, se non il trafugamento. La<br />

cer<strong>te</strong>zza d’una reazione popolare e governativa, che si sarebbe scagliata<br />

contro Gisliberto, se si fosse fatto scoprire <strong>nel</strong>la sua impresa, è l’ennesima<br />

conferma che le Reliquie che stava <strong>per</strong> trafugare, appar<strong>te</strong>nevano a Sant’Agata.<br />

L’uomo, <strong>te</strong>mendo d’intraprendere arduo viaggio da solo, si accordò col<br />

compagno Goselmo, a lui legato da giuramento, quindi, <strong>nel</strong>la not<strong>te</strong> con una<br />

scala scesero dal <strong>te</strong>tto all’in<strong>te</strong>rno della chiesa e si impadronirono del corpo<br />

della Santa, lo collocarono in un cofano di rose e lo portarono a casa di<br />

Goselmo, ove, <strong>per</strong> essere più facile il trasporto, lo suddivisero in 5 parti,<br />

riposero il capo fra 2 scodelle e gli arti in 2 faretre, quindi, affinchè nessuno li<br />

36


scoprisse, nascosero le parti dentro le faretre in cui normalmen<strong>te</strong> si<br />

riponevano le frecce, ricoprendole poi con dei petali di rosa profumati.<br />

Era il 1126, allorquando, partiti da Costantinopoli, i due militari<br />

s’imbarcarono in un veliero, sempre col vento in poppa, giungendo a Smirne,<br />

sbocco naturale dell’Asia e primo rifugio di profughi, ove furono colti dal<br />

<strong>te</strong>rremoto. Nella città turca, chiave dei commerci marittimi occidentali ed<br />

orientali, ove approdavano le galere veneziane e le navi mercantili genovesi,<br />

<strong>per</strong> loro non era luogo sicuro, <strong>per</strong> cui, appena il mare fu calmo, trovarono<br />

una barca, si accordarono coi mercanti, salirono e da lì, traversando<br />

l’Adriatico giunsero a Corinto, poi avanzarono verso il Peloponneso, a<br />

Metone, ma anche qui furono costretti ad una sosta di 4 giorni, frustrati dalla<br />

s<strong>per</strong>anza di trovare un imbarco <strong>per</strong> l’Italia.<br />

Quando a Costantinopoli si apprese del trafugamento delle Reliquie di<br />

Sant’<strong>agata</strong> iniziarono i rastrellamenti. Confortati dalla visione di Sant’Agata e<br />

decisi ad allontanarsi da quel luogo, saliti su una barca di mercanti salparono<br />

<strong>per</strong> l’Italia, approdando sulla spiaggia di Taranto, giungendo poi in città, ove<br />

fecero celebrare messa dinanzi alle Reliquie di Sant’Agata.<br />

Nel tirarle fuori, tuttavia, dimenticarono all’in<strong>te</strong>rno una mammella, <strong>per</strong><br />

cui, <strong>nel</strong> pulire sotto una fontana i panni che avevano rico<strong>per</strong>to le Reliquie, la<br />

mammella cadde proprio <strong>nel</strong> punto dove c’era una vedova di onesti costumi<br />

con la figlioletta ancora lattan<strong>te</strong>, la quale, cercando le mammelle della madre e<br />

muovendosi di qua e di là coi piedi e le mani, <strong>per</strong>venne miracolosamen<strong>te</strong> alla<br />

gloriosa mammella, cominciando a succhiare un lat<strong>te</strong> di mirabile dolcezza.<br />

Alla madre apparve allora Sant’Agata dicendole di alzarsi e andare verso<br />

la figlia che <strong>te</strong>neva fra i denti la sua mammella. La donna lasciò la figlioletta e<br />

corse verso casa del Vescovo a raccontare tutto. Il clero ed il popolo si<br />

recarono sul luogo del ritrovamento, ma non riuscirono <strong>nel</strong>l’in<strong>te</strong>nto di<br />

37


liberare la mammella, allora il Vescovo chiamò i sacerdoti <strong>per</strong> pregare, ma<br />

fallirono anch’essi. A questo punto un sacerdo<strong>te</strong> suggerì al Vescovo di fare<br />

una processione verso la chiesa di S. Cataldo e, mentre cantavano le litanie, la<br />

bambina, in braccio al sacerdo<strong>te</strong>, lasciò miracolosamen<strong>te</strong> cadere la mammella.<br />

Gisliberto, cambiando rotta, giunse a Messina, ove rimase <strong>per</strong> 3 giorni,<br />

lasciando <strong>per</strong> sicurezza il corpo della Santa in un monas<strong>te</strong>ro, sotto la custodia<br />

di Goselmo, recandosi poi a <strong>Catania</strong> <strong>per</strong> parlare col Vescovo Maurizio, il<br />

quale in quel <strong>per</strong>iodo era residen<strong>te</strong> presso il Cas<strong>te</strong>llo di Jaci.<br />

Era l’agosto del 1126, allorquando il Vescovo Maurizio ordinò ai<br />

monaci Oldmanno e Luca di recarsi a Messina <strong>per</strong> riportare con urgenza a<br />

<strong>Catania</strong> il corpo della Santa.<br />

Le reliquie furono pos<strong>te</strong> in una decen<strong>te</strong> cassa in legno presso il Cas<strong>te</strong>llo<br />

di Aci, consegna<strong>te</strong> <strong>nel</strong>le mani del Vescovo Maurizio ed il 17 agosto i<br />

confra<strong>te</strong>lli le riportarono a <strong>Catania</strong>, attraverso strade sassose, <strong>nel</strong> con<strong>te</strong>mpo 2<br />

bambini portarono dinanzi alle Reliquie, ceri accesi, i quali non si spensero,<br />

né <strong>per</strong> il vento, né <strong>per</strong> la leggerezza dei fanciulli. In via Calipso, presso il<br />

quartiere Ognina, fu eretto un <strong>te</strong>mpietto in onore della Patrona.<br />

Lo s<strong>te</strong>sso giorno, all’imbrunire, una giovinetta cieca dalla nascita, con<br />

una mano ed un piede paralizzati, pregò Sant’Agata affinchè la guarisse, così,<br />

poco dopo, ot<strong>te</strong>nne la guarigione. Il Vescovo Maurizio raccontò poi di altri<br />

fatti miracolosi. Ad Alì, frattanto, Sant’Agata era stata eletta Patrona.<br />

Ma quali ul<strong>te</strong>riori prove si hanno di tale traslazione?<br />

Oltre al famoso documento del Vescovo Maurizio, a rafforzare ciò vi è<br />

la voce del monaco benedettino inglese Orderico Vitale, che visse dal 1075 al<br />

1142, <strong>per</strong> cui, se si pensi che il corpo di Sant’Agata fu a Costantinopoli dal<br />

1040 al 1126, la <strong>te</strong>stimonianza di Orderico risulta essere quasi sincrona.<br />

38


Il dotto monaco, in<strong>te</strong>nto ad indagare <strong>nel</strong> suo convento le gesta della sua<br />

gen<strong>te</strong> normanna, dovet<strong>te</strong> essere sicuramen<strong>te</strong> colpito dalla notizia, prop<strong>agata</strong>si<br />

<strong>nel</strong> mondo cristiano, del trasporto delle reliquie di Sant’Agata da<br />

Costantinopoli, ma non è da sottovalutare il fatto che Ruggero d’Altavilla,<br />

ricostituito il vescovado di <strong>Catania</strong>, avesse affidato il nuovo <strong>te</strong>mpio ed il<br />

convento di Sant’Agata all’ordine di S. Benedetto, stabilendo che Orderico<br />

divenisse il Vescovo della città.<br />

Orderico, fra l’altro, omet<strong>te</strong> il nome di S. Lucia fra i santi trasportati da<br />

Costantinopoli, ma non quello di Sant’<strong>agata</strong>, <strong>per</strong> cui, la sua <strong>te</strong>stimonianza<br />

risulta ancor più at<strong>te</strong>ndibile. Lo s<strong>te</strong>sso Vescovo Maurizio <strong>nel</strong> 1131 regalò un<br />

pezzetto di osso di Sant’Agata al monas<strong>te</strong>ro del SS. Salvatore di Messina,<br />

ricevendone in cambio il braccio di S. Giorgio. Nel 1143, trovandosi <strong>nel</strong><br />

medesimo convento, fu colpito da grave malattia, santamen<strong>te</strong> spirò.<br />

Maurizio, succeduto ad Ansgerio (anche lui benedettino), prima di<br />

diventare Vescovo di <strong>Catania</strong> (venerato come santo <strong>per</strong> le sue virtù), fu<br />

chiamato assieme alla sua comunità monastica, dal con<strong>te</strong> Ruggero d’Altavilla,<br />

al fine di debellare i saraceni (invasori d’Italia e Sicilia, nonché idolatri ed<br />

assassini) ed affermare il regno dei normanni.<br />

Da un editto senatoriale risulta che il 7 marzo del 1687, <strong>per</strong> gius<strong>te</strong> e<br />

ragionevoli cause, la festa della Traslazione delle reliquie della Patrona fu<br />

spostata al 21 dello s<strong>te</strong>sso mese, tradizione che durò fino al 1712. Alla vigilia<br />

si usava portare lo scrigno in processione <strong>nel</strong>la chiesa della SS. Annunziata<br />

(Carmine) fuori le mura, dove era cantata la messa. Alla processione<br />

in<strong>te</strong>rvenivano i canonici della Collegiata, tutti gli ordini religiosi con la propria<br />

croce, cantando lodi e salmi.<br />

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IL CULTO<br />

Il culto di Sant’Agata è <strong>te</strong>stimoniato dalle chiese sparse <strong>nel</strong> mondo in<br />

suo onore. Papa Gelasio I (morto <strong>nel</strong> 496) dà notizia di una basilica a Lei<br />

dedicata in “Fundo Caclano”, come primo documento d’introduzione del<br />

culto di Sant’Agata a Roma, mentre <strong>nel</strong>la regione dell’Urbe chiamata Suburra,<br />

la chiesa degli Ariani, fu ria<strong>per</strong>ta al culto con le reliquie di Sant’Agata.<br />

Nel Medioevo una decina di chiese furono a Lei dedica<strong>te</strong> da S. Gregorio<br />

Magno, lo s<strong>te</strong>sso che <strong>nel</strong> 597 donò reliquie di Sant’Agata al Borgo Tras<strong>te</strong>vere,<br />

a Mon<strong>te</strong> Mario ed al monas<strong>te</strong>ro di S. S<strong>te</strong>fano presso l’isola di Capri.<br />

Gregorio II <strong>nel</strong> 725 eresse presso la casa pa<strong>te</strong>rna una chiesa in suo onore.<br />

Duran<strong>te</strong> il XIII secolo <strong>nel</strong>la sola arcidiocesi di Milano furono dedica<strong>te</strong> 26<br />

chiese a Sant’Agata, al duomo di Milano le dedicarono una pregevole statua.<br />

Nel 1551, <strong>nel</strong>la Repubblica di S. Marino ed a Malta Sant’Agata fu<br />

invocata affinché le liberasse dalla invasione dei Turchi.<br />

Il culto vero e proprio <strong>per</strong> Sant’Agata si diffuse duran<strong>te</strong> la dominazione<br />

normanna, allorquando questi ultimi, dopo un paio di secoli di oscurantismo<br />

arabo, restituirono ai siciliani la libertà di professare la propria fede.<br />

L’agiografia cristiana colloca il martirio di Sant’Agata alla fine<br />

dell’im<strong>per</strong>o di Quinto Traiano Decio. Nei secoli le manifestazioni popolari<br />

lega<strong>te</strong> al culto di Sant’Agata, richiamavano gli antichi riti precristiani alla dea<br />

Iside, <strong>per</strong> questo la Vergine Agata con il simbolismo delle mammelle taglia<strong>te</strong><br />

e poi risana<strong>te</strong>, assume una possibile trasfigurazione cristiana del culto di Iside,<br />

benefica Gran Madre, anche se ancora quindicenne.<br />

Le origini del culto risalgono al 252, successivo al martirio, mentre la<br />

conversione del popolo catanese alla fede si ebbe col primo miracolo,<br />

compiuto dalla Santa, trami<strong>te</strong> il velo che arrestò la lava che si dirigeva in città.<br />

40


Il culto agatino in Sicilia si diffuse subito dopo il martirio, così come<br />

at<strong>te</strong>stato da mol<strong>te</strong> epigrafi, la più importan<strong>te</strong> delle quali è conservata a Parigi.<br />

Negli anni in cui visse Agata, a metà del III secolo, l’im<strong>per</strong>o romano aveva<br />

già raggiunto la massima es<strong>te</strong>nsione <strong>te</strong>rritoriale. I suoi confini andavano dalla<br />

Penisola iberica alla Mesopotamia, dalla Britannia all’Egitto, abbracciando<br />

popoli, lingue, religioni e costumi molto diversi tra loro.<br />

Il governo centrale si era preoccupato di dare uniformità alle <strong>te</strong>rre<br />

conquista<strong>te</strong> imponendo a tutti la lingua latina, le leggi di Roma e la propria<br />

religione, ma non era in grado di amministrarle e di controllarle direttamen<strong>te</strong>.<br />

Per questo aveva affidato ogni provincia a un proconsole o a un<br />

governatore, che godevano dei po<strong>te</strong>ri civili e militari: imponevano e<br />

riscuo<strong>te</strong>vano le impos<strong>te</strong>, amministravano la giustizia, comandavano l’esercito.<br />

Ai <strong>te</strong>mpi dell’im<strong>per</strong>atore Decio, <strong>Catania</strong> era una città ricca e fioren<strong>te</strong>, che<br />

<strong>per</strong> di più godeva di un’ottima posizione geografica.<br />

Il suo grande porto, <strong>nel</strong> <strong>cuore</strong> del Medi<strong>te</strong>rraneo, rappresentava uno dei più<br />

vivaci punti di scambio commerciale e culturale dell’epoca.<br />

Sin dal 264 a. C., anno in cui con la prima guerra punica Roma sottrasse<br />

l’isola ai Cartaginesi, in Sicilia era stata imposta la religione pagana dei<br />

Romani, col suo carico di divinità popolane e goderecce, esempi di<br />

corruzione e di dissolu<strong>te</strong>zza nei costumi.<br />

Quando la comunità cristiana iniziò a essere abbastanza ampia, intorno al<br />

40 d. C., si abbat<strong>te</strong>rono su di essa le prime <strong>per</strong>secuzioni.<br />

Inizialmen<strong>te</strong> con Nerone, a metà del primo secolo, ebbero carat<strong>te</strong>re<br />

soltanto occasionale. Poi, <strong>nel</strong> corso del Il secolo, fu data loro una base<br />

giuridica median<strong>te</strong> una legge che vietava il culto cristiano.<br />

41


Di questi primi secoli la Chiesa ricorda numerosi martiri che, con il loro<br />

coraggio e la de<strong>te</strong>rminazione <strong>nel</strong>l’accettare la mor<strong>te</strong> <strong>per</strong> Cristo, contribuirono<br />

ad accelerare la diffusione del cristianesimo.<br />

All’inizio del III secolo, l’im<strong>per</strong>atore Settimio Severo emanò un editto di<br />

<strong>per</strong>secuzione. Egli stabilì che i cristiani dovessero essere prima denunciati alle<br />

autorità e poi invitati a rinnegare pubblicamen<strong>te</strong> la loro fede.<br />

Se accettavano di tornare alla religione pagana avevano diritto ad un<br />

certificato di conformità religiosa, ma se si rifiutavano di sacrificare agli dèi,<br />

venivano prima torturati e poi uccisi. Con questo sis<strong>te</strong>ma, freddo e<br />

calcolatore, l’im<strong>per</strong>atore cercava di fare apostati e non martiri, che erano<br />

considerati più <strong>per</strong>icolosi dei cristiani vivi.<br />

Poi, di fron<strong>te</strong> al diffondersi del cristianesimo, <strong>te</strong>mendo che l’aumento dei<br />

fedeli po<strong>te</strong>sse minacciare la stabilità dell’im<strong>per</strong>o, <strong>nel</strong> 249 l’im<strong>per</strong>atore Decio<br />

ordinò una repressione ancora più radicale: tutti i cristiani, denunciati o no,<br />

erano ricercati d’ufficio, rintracciati, torturati e infine uccisi.<br />

Mons. Romeo scrisse che, dopo la mor<strong>te</strong>, Sant’Agata venne imbalsamata<br />

con aromi ed unguenti, deposta in un sarcofago di stile pagano, avvolta in un<br />

velo rosso cupo che, secondo la leggenda, fermò più vol<strong>te</strong> la lava dell’Etna.<br />

In un primo <strong>te</strong>mpo venne sepolta <strong>nel</strong>le catacombe cristiane della collina<br />

San Domenico, dopo l’Editto di Costantino del 313 il suo corpo fu portato<br />

presso il Campo degli Eroi, ossia <strong>nel</strong>le cave della Grotta di S. Gaetano e di S.<br />

M. di Betlemme, ma la verità è costituita dal fatto che il Vescovo Everio dieci<br />

anni dopo la mor<strong>te</strong> di Agata fu invitato dai cristiani di Lentini a presiedere<br />

l’inaugurazione di un sacello che, a spese della matrona Tecle, era in cima ad<br />

una grotta, presso cui 3 martiri erano sta<strong>te</strong> rinchiuse.<br />

Tra il IV e il V secolo il corpo fu trasferito in Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re e, dopo<br />

il ritorno da Costantinopoli, <strong>nel</strong>la Basilica Cat<strong>te</strong>drale, dove è custodito ancor<br />

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oggi. Il popolo, svegliato duran<strong>te</strong> la not<strong>te</strong> da uno scampanio a festa, non<br />

<strong>per</strong>se <strong>te</strong>mpo a cambiarsi d’abito e si riversò in strada così come si trovava,<br />

anche a piedi nudi e in camicia da not<strong>te</strong>, <strong>per</strong> accogliere prima possibile le reliquie<br />

finalmen<strong>te</strong> recu<strong>per</strong>a<strong>te</strong>.<br />

Lo storico incontro dei catanesi con le reliquie avvenne <strong>nel</strong> quartiere di<br />

Ognina, dove in seguito fu eretta una chiesa che <strong>nel</strong> 1381 la lava circondò<br />

senza distruggere, ma recen<strong>te</strong>men<strong>te</strong> abbandonata e lasciata andare in rovina.<br />

A conferma dell’eccezionalità dell’evento del 1126, i documenti storici<br />

registrano un miracolo, compiuto quella s<strong>te</strong>ssa not<strong>te</strong>.<br />

Una donna, cieca e paralitica dalla nascita, riacquistò la vista e l’uso delle<br />

gambe <strong>nel</strong>l’atto di prostrarsi davanti al sacro <strong>te</strong>soro.<br />

I catanesi furono così riconoscenti ai due soldati che li elessero cittadini<br />

onorari e li vollero e<strong>te</strong>rni custodi delle reliquie della santa: le loro spoglie<br />

riposano in cat<strong>te</strong>drale, in una pare<strong>te</strong> della cappella della Madonna, accanto a<br />

quella di Sant’Agata, anche se il punto esatto non è indicato.<br />

Presso il capo della vergine un angelo depose una tavoletta di marmo, che<br />

oggi è una preziosa reliquia custodita <strong>nel</strong>la chiesa di Sant’Agata a Cremona,<br />

con l’iscrizione latina che in italiano significa . Questa iscrizione, detta anche<br />

“elogio dell’angelo”, è la sin<strong>te</strong>si delle carat<strong>te</strong>ristiche della santa catanese ed è<br />

anche una solenne promessa di pro<strong>te</strong>zione alla città.<br />

SIGNIFICATO DELLA LETTERA “A”<br />

La «A», iniziale del suo nome, sormonta il monumento principale della<br />

città, l’elefan<strong>te</strong>, simbolo di <strong>Catania</strong>. Un’altra «A» si staglia <strong>nel</strong>la pietra sulla<br />

facciata del Municipio, una campeggia al centro dello s<strong>te</strong>mma civico, mentre<br />

un’altra si trova al centro del gonfalone dell’Università.<br />

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Un documento del 1495 rappresenta una preziosa ed antica <strong>te</strong>stimonianza<br />

scritta dello s<strong>te</strong>mma, di conseguenza, da cui si evince che la scultura di<br />

Anto<strong>nel</strong>lo Freri è il primo esempio certo dello s<strong>te</strong>mma, con lo scudo che<br />

racchiudeva sia l’elefan<strong>te</strong> che la “A”, cioè i simboli che all’epoca si ri<strong>te</strong>nevano<br />

utili <strong>per</strong> la riconoscibilità dello s<strong>te</strong>mma.<br />

Ma le ipo<strong>te</strong>si dell’origine della “A”, oltre alla iniziale di Agata, potrebbero<br />

essere diverse, cioè quella della casa reale degli Aragona, oppure potrebbe<br />

significare A<strong>te</strong>na, come a voler ricordare di un culto della Dea a <strong>Catania</strong>,<br />

infatti, lo s<strong>te</strong>mma racchiude la simbologia del piatto, ove la Patrona è<br />

rappresentata con scudo e spada, che erano proprietà di A<strong>te</strong>na, in cui il piatto<br />

grondan<strong>te</strong> di sangue è il simbolo del martirio ed è il con<strong>te</strong>nitore delle<br />

mammelle sanguinanti, da mostrare a Quinziano.<br />

In un quadro di Piero della Francesca, che si trova alla Galleria Nazionale<br />

di Perugia, è la medesima Santa a reggere il piatto con le mammelle, mentre<br />

<strong>nel</strong> quadro di Giovanni Battista Tiepolo, presso la Basilica di S. Antonio da<br />

Padova, si nota il piatto che servirà <strong>per</strong> depositarvi le mammelle asporta<strong>te</strong>, <strong>nel</strong><br />

quadro di Francesco de Zurbaran “S. Agueda”, esposto al Museo Fabre di<br />

Montpellier, Sant’Agata sostiene il piatto con le mammelle appena asporta<strong>te</strong>.<br />

Per le circostanze del martirio, Sant’Agata è anche patrona delle balie e<br />

delle madri che allattano, invocata contro le malattie del seno, pro<strong>te</strong>gge dalle<br />

bruciature, dai <strong>te</strong>rremoti, dalle eruzioni vulcaniche, dal fuoco del Purgatorio,<br />

patrona di ottonai e vetrai, di chi maneggia ma<strong>te</strong>ria arden<strong>te</strong>.<br />

È pro<strong>te</strong>ttrice dei fonditori di campane, sia <strong>per</strong>ché ques<strong>te</strong> ricordano la forma<br />

delle mammelle, sia <strong>per</strong>ché sono prodot<strong>te</strong> con una colata incandescen<strong>te</strong>. Per<br />

il velo, pro<strong>te</strong>gge i <strong>te</strong>ssitori. È rappresentata <strong>nel</strong>le fasi e con gli strumenti del<br />

supplizio e dei miracoli successivi alla mor<strong>te</strong>: le mammelle taglia<strong>te</strong>, le forbici,<br />

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il col<strong>te</strong>llo, le <strong>te</strong>naglie, il fuoco (dell’Etna e del martirio), il velo, i messaggi<br />

angelici, inoltre, pro<strong>te</strong>gge dagli incendi ed è patrona dei pompieri.<br />

SIGNIFICATO DEL SENO<br />

Il seno rappresenta la vera fon<strong>te</strong> di energia vitale, un punto di<br />

convergenza con mol<strong>te</strong>plici funzioni. Una par<strong>te</strong> anatomica vista come<br />

archetipo primordiale e che viene evocata, soprattutto <strong>per</strong> la vita e costituisce<br />

la sublimazione dell’amore. Per comprendere il senso di questa venerazione<br />

da par<strong>te</strong> dell’iconografia, bisogna risalire a radici più remo<strong>te</strong>.<br />

Sotto ordine del governatore Quintiliano in Sicilia, in seguito al rifiuto<br />

della vergine di cedere ai suoi voleri sessuali la donna viene mutilata.<br />

Nella tradizione popolare vengono attribui<strong>te</strong> mol<strong>te</strong> di ques<strong>te</strong> crudeli<br />

mutilazioni e torture di Martiri. Nel Vangelo di Luca la violenza contro il<br />

seno è sempre <strong>per</strong>cepita come un atto sacrilego: mutilazione, malattie, corpi<br />

lapidati, da sempre sono <strong>nel</strong>la psiche umana.<br />

La modalità secondo cui venne eseguita la sevizia del seno della Vergine<br />

catanese potrebbe essere stata quella della strozzatura, col conseguen<strong>te</strong><br />

stritolamento median<strong>te</strong> utilizzo di corde o fili di vario genere, oppure la<br />

recisione con pinze od arnesi similari. Prima delle sevizie, tuttavia, il seno<br />

venne esposto a tormenti con uncini di ferro ed altri oggetti acuminati.<br />

Una concezione della malattia psichica sicuramen<strong>te</strong> deriva dallo stato<br />

emotivo che il seno riesce a suscitare.<br />

Emozioni e fantasia sono molto vicine alla creatività e all’ar<strong>te</strong>, quale<br />

immagine dal po<strong>te</strong>re altamen<strong>te</strong> evocativo, il seno affonda le sue radici, con la<br />

sua funzione fisiologica, <strong>nel</strong>l’alba della vita <strong>per</strong> arrivare, proposto sco<strong>per</strong>to<br />

oppure sapien<strong>te</strong>men<strong>te</strong> velato, alla visione della moda.<br />

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Può essere elemento innocen<strong>te</strong> o peccaminoso se si fa riferimento alla<br />

morale, o causa di sofferenza se lo si considera dal punto di vista medico.<br />

Gli organi sensuali, quelli più appariscenti, sono i seni delle donne, essi si<br />

espongono <strong>per</strong> imporsi come immagine di richiamo alla seduzione, <strong>nel</strong>lo<br />

s<strong>te</strong>sso <strong>te</strong>mpo rappresentano il vero senso di pudore con la funzione di<br />

concentrare l’orientamento della libido, allo scopo di segnalare all’uomo una<br />

scelta <strong>per</strong> maturare il senso del piacere fatto con sobria in<strong>te</strong>lligenza creata<br />

attraverso l’amore.<br />

Ma è <strong>nel</strong> sogno che l’uomo si lascia prendere dal delirio, dell’inconscio, là<br />

dove tutto e <strong>per</strong>messo <strong>nel</strong>l’immaginario mentale, il seno senza dubbio<br />

rappresenta la figura matriarcale, che rende l’idea di pro<strong>te</strong>zione ma<strong>te</strong>rna,<br />

quella del Bambi<strong>nel</strong>lo che dorme pacificamen<strong>te</strong> sul seno di Maria.<br />

Il seno è l’immagine del Paradiso ed i grandi maestri esprimono da sempre<br />

questa figura in estasi con il viso illuminato. Questo era il simbolo del<br />

martirio di Sant’Agata: un vassoio circolare con due mammelle ai lati. Questa<br />

s<strong>te</strong>ssa pietra con il simbolo di Sant’Agata, che adornava quel primo edificio, ci<br />

è stata tramandata e si trova oggi sulla facciata della Pieve.<br />

LE DONNE NELLA FESTA DI SANT’AGATA<br />

Sin dalla cristianità si invocava Sant’Agata come pro<strong>te</strong>ttrice delle madri che<br />

allattano e con la festa esse oggi celebrano la tradizione che le pone al di<br />

sopra dell’uomo. Le manifestazioni di egemonia della donna duran<strong>te</strong> la festa<br />

di Sant’Agata assunsero in Spagna aspetti fra i più vari ed impensati.<br />

Nella circostanza a Salamanca <strong>nel</strong> sec. XIX le donne portavano cappello<br />

maschile, suonavano la Messa, fumavano e <strong>nel</strong> ballo davano la destra agli<br />

uomini, mentre in Catalogna vestivano <strong>per</strong>sino abiti maschili, si esibivano in<br />

giuochi e passa<strong>te</strong>mpi propri del sesso for<strong>te</strong> (non consen<strong>te</strong>ndo agli uomini di<br />

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par<strong>te</strong>cipare) ed il giorno della festa era l’unico in cui esse po<strong>te</strong>vano andare al<br />

caffè, od alla taverna ad offrire da bere agli uomini (obbligati ad accettare) ed<br />

invitarli a ballare.<br />

Le lavandaie che in Sant’Agata hanno la loro Patrona, dal canto loro<br />

facevano spesso subire agli uomini sul posto di lavoro, burle grossolane,<br />

come il taglio della barba e dei capelli, mentre torme di donne con bastoni<br />

assalivano minacciose uomini, oppure altri uomini recarsi ad attingere acqua<br />

al comando im<strong>per</strong>ioso delle mogli. Ed era il <strong>te</strong>mpo in cui anche le<br />

“ntuppa<strong>te</strong>ddi” a <strong>Catania</strong> tramontavano e venivano fischia<strong>te</strong>.<br />

Il filo di paren<strong>te</strong>la che unisce le usanze spagnole e francesi con quelle<br />

catanesi, sta <strong>nel</strong> fatto che tut<strong>te</strong> erano connesse con la festa di Sant’Agata e ciò<br />

era forse conseguenza del dominio spagnolo in Sicilia.<br />

LE CHIESE CATANESI DEDICATE A SANT’AGATA<br />

Andando in giro <strong>per</strong> la città di <strong>Catania</strong>, duran<strong>te</strong> i tre giorni di festa, più<br />

facilmen<strong>te</strong> è possibile visitare i luoghi di culto di Sant’Agata.<br />

Chiese che hanno voluto ricordare la Santa Patrona se ne possono<br />

riscontrare in numero esponenziale ed enumerarle una <strong>per</strong> una sarebbe<br />

assolutamen<strong>te</strong> impossibile, <strong>te</strong>nuto conto che la devozione del popolo<br />

catanese ha fatto sì che, <strong>nel</strong> <strong>te</strong>mpo, quasi in ciascun <strong>te</strong>mpio non dovesse<br />

mancare una statua od un dipinto che la raffigurasse e ricordasse.<br />

Ve ne sono alcune, <strong>per</strong>ò, come il Duomo, che sono sta<strong>te</strong> in<strong>te</strong>ramen<strong>te</strong> a Lei<br />

dedica<strong>te</strong>, al cui es<strong>te</strong>rno hanno sculture che la rappresentano, come ad<br />

esempio San Placido, San Biagio, la Collegiata, il Santo Carcere, S. Ca<strong>te</strong>rina da<br />

Siena, altre che all’in<strong>te</strong>rno espongono statue della Patrona, come ad esempio<br />

S. Francesco di Paola, presso l’omonima piazza, o del SS. Sacramento<br />

Ritrovato, S. M. dell’Ogni<strong>nel</strong>la, altre ancora l’hanno voluta ricordare con<br />

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dipinti ed affreschi murali, come ad esempio San Benedetto, altre ancora<br />

conservano statue in cera come ad esempio la Madonna del Carmelo.<br />

Vi sono poi alcuni edifici come ad esempio il centro accoglienza <strong>per</strong><br />

anziani Asilo Sant’Agata o la Domus Magistri, dimora del Vaccarini, inoltre,<br />

paesi come Sant’Agata di Mili<strong>te</strong>llo o Sant’Agata li Battiati.<br />

Alcune chiese dedica<strong>te</strong> ai luoghi di culto ri<strong>per</strong>corrono la vita di Sant’Agata,<br />

dai suoi primi anni di vita, all’adolescenza, al carcere, al martirio, alla mor<strong>te</strong>, al<br />

riposo <strong>nel</strong> suo primo sarcofago:<br />

Sant’Agata al Carcere, la chiesa che, dopo il <strong>te</strong>rremoto del 1693, fu <strong>per</strong><br />

lunghi secoli luogo di culto, verso la metà del Set<strong>te</strong>cento, dopo lungo <strong>per</strong>iodo<br />

di degrado, si incaricò l’archi<strong>te</strong>tto Francesco Battaglia della redazione d’un<br />

nuovo progetto <strong>per</strong> l’oratorio, con l’inserimento del portale medievale.<br />

Questo fu l’antico luogo di de<strong>te</strong>nzione di Agata d’epoca romana, <strong>per</strong>venutoci<br />

dopo tanti secoli quasi intatto, oggi inglobato entro il sis<strong>te</strong>ma delle<br />

fortificazioni medievali, quasi come un vestibolo è preceduto da una chiesetta<br />

celebrativa che porta il nome di Sant’Agata al Carcere, costituita da tre corpi<br />

di epoca diversa.<br />

La par<strong>te</strong> barocca del 1760 conserva all’in<strong>te</strong>rno un dipinto su tavola di<br />

Bernardino Niger Grecus raffiguran<strong>te</strong> il Martirio di Sant’Agata del 1588.<br />

Questo luogo di culto è associato, secondo un’antica leggenda, anche alla<br />

visita effettuata da San Pietro, allo scopo di confortare e lenire la sofferenza<br />

del martirio della Santa catanese fino al sacrificio della propria vita. Muri scuri<br />

e possenti, pavimento non lastricato, <strong>te</strong>tto basso, annerito, senza uno<br />

spiraglio di luce, ambien<strong>te</strong> umido, privo di fessure ed un puzzo tale da<br />

impedire il respiro, con una porticina in ferro <strong>per</strong> accedere alla sepoltura.<br />

La Chiesa oggi consta di tre ambienti, di cui, quello a sinistra, chiuso da un<br />

cancelletto, porta all’in<strong>te</strong>rno del carcere ove fu rinchiusa Sant’Agata e dove è<br />

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stata posta la reliquia dei due lastroni in pietra lavica dell’Etna con l’impronta<br />

dei piccoli piedi, lasciata miracolosamen<strong>te</strong> dalla Vergine Agata sulla soglia<br />

della prigione, il 31 gennaio del 251 d. C. e la cassa che doveva aver<br />

con<strong>te</strong>nuto i resti della martire, allorquando, duran<strong>te</strong> il 1126, le spoglie furono<br />

trasla<strong>te</strong> e riporta<strong>te</strong> definitivamen<strong>te</strong> a <strong>Catania</strong> da Bisanzio.<br />

Un monumento set<strong>te</strong>cen<strong>te</strong>sco in marmo ricorda che quella fu l’area in cui<br />

Quinziano ordinò agli sgherri di recidere le mammelle a Sant’Agata. In questa<br />

chiesa venivano celebrati solennemen<strong>te</strong> i vespri del 4 febbraio, vigilia della solennità.<br />

La chiesa è addossata all’antico muro della città, all’in<strong>te</strong>rno trovasi la<br />

celletta dove Agata fu rinchiusa duran<strong>te</strong> il processo, portata dopo il martirio,<br />

guarita dall’apostolo Pietro, dove il 5 febbraio 251 esalò l’ultimo respiro,<br />

rendendo l’anima a Dio. La celletta con volta a bot<strong>te</strong>, buia, umida e <strong>te</strong>tra, fu<br />

sempre luogo di culto, un <strong>te</strong>mpo, un cunicolo la collegava alla Ve<strong>te</strong>re.<br />

Il bastione sovrapposto al S. Carcere fu fatto costruire a metà del XVI secolo<br />

sulle mura della città dal viceré Ferran<strong>te</strong> Gonzaga di Guastalla, su progetto<br />

dell’archi<strong>te</strong>tto Antonio Ferramolino da Bergamo e <strong>per</strong> volontà<br />

dell’im<strong>per</strong>atore Carlo V d’Asburgo.<br />

Sant’Agata alla Fornace è ubicata in cima alla par<strong>te</strong> che sovrasta Piazza<br />

della Borsa, a 40 m. dal Santo Carcere (fuori le mura) col prospetto principale<br />

di fron<strong>te</strong> la cavea dell’anfi<strong>te</strong>atro romano, dove esis<strong>te</strong>va il Palazzo Pretorio.<br />

Essa guarda, altresì, sulla sottostan<strong>te</strong> piazza S<strong>te</strong>sicorea, il luogo che, più<br />

d’ogni altro, <strong>te</strong>stimonia il martirio della Vergine ed il successivo<br />

ricongiungimento con il Signore, ove Agata fu sottoposta alla atrocità delle<br />

fiamme che, in par<strong>te</strong>, divorarono e deturparono le flebili carni, ma non certo<br />

la ferrea volontà di non soggiacere al truce governatore Quinziano. Oggi è<br />

ancora possibile scorgere la fornace, ossia il luogo in cui Agata venne<br />

torturata con il fuoco dei carboni ardenti.<br />

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Le origini risalgono al 1098 ma, dopo il <strong>te</strong>rremoto del 1693 fu ricostruita su<br />

ordine del vescovo Andrea Riggio che <strong>nel</strong> 1710 istituì la Congregazione dei<br />

preti secolari, col titolo di Maria Santissima dei set<strong>te</strong> Dolori, rappresentata dal<br />

grande medaglione che, ancor oggi, figura sul prospetto principale, o<strong>per</strong>a<br />

dell’archi<strong>te</strong>tto catanese Francesco Battaglia, realizzato duran<strong>te</strong> il 1710.<br />

L’in<strong>te</strong>rno della chiesa è a navata unica con due altari posizionati sul lato<br />

sinistro, guardando l’ingresso, e due su quello destro.<br />

Quelli sul lato destro sono dedicati, a San Giovanni Nepomuceno (patrono<br />

dell’elemosina, il quale fu fatto annegare sul fiume Moldava, allorquando si<br />

rifiutò di rendere nota la confessione della moglie di Venceslao VI re<br />

germanico di Boemia) ed al martirio di San Biagio, il cui corpo fu<br />

orrendamen<strong>te</strong> dilaniato dai pettini di ferro.<br />

Gli altari di sinistra riproducono su <strong>te</strong>la del Meli il martirio di S. Andrea<br />

sulla croce, mentre l’altro affresco si riferisce alla Sacra Famiglia.<br />

Oggi è meta di un gran numero di devoti che, ai piedi dell’altare, <strong>nel</strong> punto<br />

in cui Agata ot<strong>te</strong>nne il miracolo da S. Pietro, supplicano aiuto, invocano miracoli<br />

e innalzano lodi <strong>per</strong> grazie ricevu<strong>te</strong>. Tuttora è visibile <strong>nel</strong>la cappella<br />

destra, attraverso un oblò, la fornace che al <strong>te</strong>mpo delle <strong>per</strong>secuzioni fu<br />

utilizzata <strong>per</strong> le torture, ove Agata subì il martirio.<br />

La chiesa della fornace, che i catanesi chiamano anche “Carcara”, dedicata<br />

anche a san Biagio, subito dopo la caduta dell’im<strong>per</strong>o romano era una<br />

semplice cappella. Nel 1098 fu leggermen<strong>te</strong> ampliata, ma non si po<strong>te</strong>rono<br />

su<strong>per</strong>are le attuali dimensioni, <strong>per</strong>ché lo impediva il bastione del carcere<br />

romano che la affianca. Fu rimodernata <strong>nel</strong> 1589 e miracolosamen<strong>te</strong><br />

preservata dall’eruzione del 1669. Da questo luogo, prezioso in quanto<br />

documento storico e di culto, il 3 febbraio di ogni anno si dipar<strong>te</strong> la solenne<br />

processione <strong>per</strong> l’offerta della cera alla santa patrona.<br />

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Duran<strong>te</strong> il dominio romano, a <strong>Catania</strong> par<strong>te</strong> del monumento adibito a<br />

spettacoli venne ribassato onde evitare possibili scavalcamenti delle mura da<br />

par<strong>te</strong> dei nemici, <strong>per</strong> cui, è probabile che la fornace ove Agata fu arsa fosse<br />

stata allestita oltre la cortina difensiva.<br />

Un giovane vestito di seta con 100 uomini bellissimi vestiti di bianco<br />

seppellì il corpo di Sant’Agata, ma non è certo se fosse stata sepolta <strong>nel</strong>l’area<br />

devastata dal <strong>te</strong>rremoto, prima che, poco <strong>te</strong>mpo dopo po<strong>te</strong>sse divenire luogo<br />

di culto deputato alla sepoltura di una cristiana, oppure rimase lì, ove fu<br />

sepolta fin dal primo momento, fino alla legalizzazione del culto, secondo<br />

l’editto di tolleranza di Costantino del 313, o quello di Tessalonia del 380 che<br />

definì il Cristianesimo religione ufficiale di Stato, oppure si deve ricercare un<br />

altro luogo fuori città, infatti i Romani non seppellirono mai entro chiese,<br />

poiché era vietato dalla legge. Se le sue spoglie ebbero sis<strong>te</strong>mazione finale<br />

prima dell’editto, ciò avvene sotto l’im<strong>per</strong>atore Gallieno fra il 260 ed il 268.<br />

Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re sorge sull’area che fu il più antico luogo di culto<br />

agatino: in quello s<strong>te</strong>sso posto, infatti, <strong>nel</strong> 262, dieci anni dopo il martirio,<br />

sorgeva la prima edicola dedicata a Sant’Agata. Per sessant’anni, prima che<br />

Costantino consentisse ai cristiani il culto, il corpo fu <strong>te</strong>nuto nascosto fuori<br />

dalle mura cittadine. Nel 313 le spoglie furono trasla<strong>te</strong> in Sant’Agata la<br />

Ve<strong>te</strong>re, diventata prima cat<strong>te</strong>drale di <strong>Catania</strong>, subito dopo l’editto<br />

dell’im<strong>per</strong>atore romano Costantino e lì rimasero fino al 1040, quando il<br />

generale Maniace ne fece bottino di guerra. Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re, dove è<br />

conservato ancora il sarcofago originale in marmo di epoca pagana, scolpito<br />

col co<strong>per</strong>chio in tufo calcareo (di epoca pos<strong>te</strong>riore al sarcofago, rotto in due<br />

pezzi a causa del crollo della chiesa <strong>per</strong> il <strong>te</strong>rremoto) ed in stile cristiano<br />

bizantino-normanno, trovato sotto l’altare maggiore, che custodì le spoglie<br />

della Santa al rientro da Costantinopoli e la cassa di legno <strong>nel</strong>la quale furono<br />

51


venera<strong>te</strong> <strong>per</strong> circa 5 secoli e dove è indicato il punto esatto, in fondo<br />

all’abside, in cui, secondo la tradizione, si consumò l’orrenda tortura, inflittale<br />

da Quinziano.<br />

Tale sarcofago era appar<strong>te</strong>nuto ad un sepolcro cristiano, <strong>per</strong>ché <strong>per</strong><br />

tutta la lunghezza e la larghezza risulta sormontato all’es<strong>te</strong>rno da una croce<br />

cristiana, scolpita a bossorilievo, recan<strong>te</strong> simboli cristiani. In un primo<br />

momento non vi fu custodito il corpo della martire <strong>per</strong>ché in <strong>per</strong>iodo di<br />

<strong>per</strong>secuzioni i sarcofagi che con<strong>te</strong>nevano spoglie di cristiani venivano<br />

confiscati. Secondo gli atti della visita del vicario generale Vincenzo Senese<br />

del 1586, la chiesa prima del <strong>te</strong>rremoto aveva forma basilicale a 3 nava<strong>te</strong> ed<br />

ornata con colonne provenienti dal <strong>te</strong>mpio di Cerere, distrutto da S. Leone<br />

vescovo di <strong>Catania</strong>, detto il taumaturgo, il quale <strong>nel</strong> 776 ricostruì in più ampia<br />

forma il <strong>te</strong>mpio, che prima era solo una modesta cappella. Fu il primo<br />

Vescovo catanese Sant’Everio a far erigere, <strong>nel</strong> 313 d. C., fra le rovine dell’ex<br />

palazzo del Proconsole romano, in onore della martire Agata, prima una<br />

cripta con edicola, togliendo dal primitivo luogo di sepoltura il Corpo di<br />

Sant’Agata, poi consacrato col nome di Chiesa di Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re,<br />

consacrata <strong>nel</strong> 262 d. C., quando l’im<strong>per</strong>atore Costantino <strong>per</strong>mise ai cristiani<br />

l’esercizio pubblico del sacro culto.<br />

Secondo gli atti della visita del vicario generale Vincenzo Senese del<br />

1586, la chiesa prima del <strong>te</strong>rremoto aveva forma basilicale a 3 nava<strong>te</strong> ed<br />

ornata con colonne provenienti dal <strong>te</strong>mpio di Cerere, distrutto da S. Leone<br />

vescovo di <strong>Catania</strong>, detto il taumaturgo, il quale <strong>nel</strong> 776 ricostruì in più ampia<br />

forma il <strong>te</strong>mpio, che prima era solo una modesta cappella. Fu il primo<br />

Vescovo catanese Sant’Everio a far erigere, <strong>nel</strong> 313 d. C., fra le rovine dell’ex<br />

palazzo del Proconsole romano, in onore della martire Agata, prima una<br />

cripta con edicola, togliendo dal primitivo luogo di sepoltura il Corpo di<br />

52


Sant’Agata, poi consacrato col nome di Chiesa di Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re,<br />

consacrata <strong>nel</strong> 262 d. C., quando l’im<strong>per</strong>atore Costantino <strong>per</strong>mise ai cristiani<br />

l’esercizio pubblico del sacro culto.<br />

Fu cat<strong>te</strong>drale <strong>per</strong> ben 770 anni, fino alla venuta dei normanni a <strong>Catania</strong>.<br />

Intorno al XI sec. la sede vescovile venne spostata <strong>nel</strong>la nuova cat<strong>te</strong>drale<br />

normanna, eretta dal con<strong>te</strong> Ruggero dal 1088 al 1091. Nel 1605 fu annesso<br />

alla chiesa la costruzione di un convento che venne poi distrutto insieme alla<br />

chiesa dal <strong>te</strong>rremoto dell’11 Febbraio 1693.<br />

Invece a danneggiare la volta ed altri elementi fu il <strong>te</strong>rremoto del 1818. Il<br />

convento venne subito ricostruito con una forma diversa e più ampia.<br />

Con il <strong>te</strong>rremoto del 1990 la Chiesa fu definitivamen<strong>te</strong> chiusa <strong>per</strong> restauro<br />

e venne ria<strong>per</strong>ta dal 3 al 5 Febbraio <strong>per</strong> la processione della santa.<br />

La chiesa è ubicata <strong>nel</strong>la piazza omonima in via S. Maddalena. Il portone,<br />

rivolto verso ovest, reca un’iscrizione di San Francesco d’Assisi, danneggiata<br />

da un fulmine, il prospetto è in semplice muratura; la pianta è a croce latina<br />

con un’unica navata, con sei altari la<strong>te</strong>rali.<br />

Entrando all’in<strong>te</strong>rno della Chiesa si può osservare con il seguen<strong>te</strong> ordine<br />

un mausoleo dedicato ad Antonio Calì, e vi è anche il luogo dove le furono<br />

strappa<strong>te</strong> le mammelle. Una <strong>te</strong>la raffiguran<strong>te</strong> Sant’Agata al carcere con le<br />

mammelle recise, San Pietro ed un angelo, si trova presso il <strong>te</strong>rzo altare, in<br />

un’urna di vetro con<strong>te</strong>nen<strong>te</strong> il suo corpo in cera. Sotto l’altare maggiore vi è<br />

un sarcofago in pietra di epoca romana, ornato di figure e ritrovato negli scavi<br />

eseguiti al nord e all’est della città. In esso fu racchiuso il corpo di Sant’Agata<br />

fino al suo trasporto in Costantinopoli. Un grande quadro di Sant’Agata si<br />

trova <strong>nel</strong> quinto altare, mentre sotto il sesto altare vi è un sot<strong>te</strong>rraneo con un<br />

altare ed un dipinto della Vergine, con reliquie pos<strong>te</strong> <strong>nel</strong>le fenditure, cunicoli<br />

e sottopassaggi chiusi, che la collegano alla chiesa del Carcere ed a S. Biagio.<br />

53


In questo sepolcro andò Lucia <strong>per</strong> implorare ad Agata la guarigione<br />

della madre. In memoria di questa visita il 13 Dicembre si fes<strong>te</strong>ggia la martire<br />

siracusana. Sempre secondo la tradizione Lucia pregò <strong>per</strong> averne la s<strong>te</strong>ssa<br />

forza, qui svenuta ebbe in visione la cugina defunta che le disse di aver<br />

coraggio e di continuare ad avere salda la fede in Gesù. Un’altra tradizione<br />

vuole che anche S. Euplio, compatrono di <strong>Catania</strong>, fosse stato qui<br />

<strong>te</strong>mporaneamen<strong>te</strong> deposto dopo la mor<strong>te</strong>, <strong>nel</strong> 304.<br />

Nella par<strong>te</strong> nord dell’abside vi è un bassorilievo che rappresenta<br />

Sant’Agata in carcere con San Pietro. L’iscrizione in gotico antico è poco<br />

leggibile a causa della corrosione.<br />

Qui Riccardo Cuor di Leone, Re d’Inghil<strong>te</strong>rra e figlio di Enrico II, <strong>nel</strong><br />

1191 capitato di passaggio in Sicilia col suo esercito crociato verso la<br />

Palestina, avrebbe deposto con la sorella Giovanna (regina vedova senza figli<br />

del Re di Sicilia Guglielmo II il buono), sopra il marmoreo sacello, la famosa<br />

corona. Il suo trionfale ingresso avvenne attraverso la Porta di Jaci, da dove<br />

avrebbe dato via alla tradizionale cavalcata del Capitano, usanza ricorren<strong>te</strong><br />

ogni 2 febbraio, in atto fino al Set<strong>te</strong>cento.<br />

Addossa<strong>te</strong> alla pare<strong>te</strong> set<strong>te</strong>ntrionale dell’abside vi sono due tavole in pietra,<br />

la più vicina delle quali ha in alto un’iscrizione in 3 righe a let<strong>te</strong>re marmoree<br />

scul<strong>te</strong> in rilievo, di forma gotico antica.<br />

Nell’originario scrigno si conservano due documenti storici: la bolla<br />

pontificia di Urbano II che conferma la nascita di Agata a <strong>Catania</strong> ed una<br />

<strong>per</strong>gamena del 1666 che proclama Sant’Agata pro<strong>te</strong>ttrice <strong>per</strong>petua di Messina.<br />

La Badia di Sant’Agata, il cui in<strong>te</strong>rno è dominato da un’ampia cupola, è a<br />

croce greca, prospetto massiccio e solenne con motivi decorativi carat<strong>te</strong>ristici.<br />

54


Il prospetto è tripartito da lievi inflessioni ed inserito <strong>nel</strong> gran blocco<br />

quadrangolare del complesso monastico, avendo le sembianze di un morbido<br />

velluto, ove le gra<strong>te</strong> panciu<strong>te</strong> e trafora<strong>te</strong> offrono un visione da favola.<br />

Questa bellissima chiesa costruita duran<strong>te</strong> il 1620 da Erasmo Cicala, su cui il<br />

Vaccarini volle innalzare la prima cupola della città risorta dal <strong>te</strong>rremoto del<br />

1693. Dopo la realizzazione di questa cupola ne seguirono altre: a San Nicolò<br />

la Rena, a San Michele ai Minoriti, al Duomo di Sant’Agata (voluta dal<br />

Vescovo Deodato <strong>nel</strong> 1834) con ferma volontà orgogliosa di rinascita della<br />

città e di fede verso la Santa Vergine a sos<strong>te</strong>gno di un futuro sereno e radioso.<br />

Nei capi<strong>te</strong>lli troviamo le palme, i gigli ed una corona, simboli della vergine<br />

Agata, mentre i capi<strong>te</strong>lli delle lesene si ispirano a quelli del trattato di<br />

archi<strong>te</strong>ttura del Guarini.<br />

Le gelosie ventru<strong>te</strong> sembrano canestri su frange arabesca<strong>te</strong> che<br />

assecondano il moto sinusoide dell’archi<strong>te</strong>ttura del Vaccarini, mentre gli<br />

elementi di sos<strong>te</strong>gno, sono una ingegnosa traduzione dei tasselli bronzei del<br />

baldacchino berniniano e corrono come ricca novità lungo la facciata, mentre<br />

gli arabeschi appaiono non ricavati dalla pietra, bensì, dalla stoffa merlettata,<br />

dal velluto morbido ed in chiaroscuro, che nascondono ai lati della chiesa due<br />

vani che <strong>per</strong>mettono alle suore di assis<strong>te</strong>re alle processioni senza essere vis<strong>te</strong>.<br />

La cat<strong>te</strong>drale fu costruita in epoca normanna, completata <strong>nel</strong> 1094, duran<strong>te</strong><br />

l’esilio delle reliquie a Costantinopoli. Dal 1125, quando Gisliberto e<br />

Goselmo riportarono in patria le reliquie della patrona e lì sono sta<strong>te</strong><br />

custodi<strong>te</strong>, fu distrutta dal <strong>te</strong>rremoto del 1693 e ricostruita in soli 2 anni, in<br />

stile tardobarocco dal Vaccarini, il quale volle man<strong>te</strong>nere le dimensioni della<br />

vecchia basilica normanna a 3 nava<strong>te</strong>, le 2 cappelle del transetto e le 3 absidi<br />

normanne, rimas<strong>te</strong> dopo il <strong>te</strong>rremoto.<br />

Ai lati della Gloria di Sant’Agata del prospetto principale su trovano le due<br />

55


colossali statue del martire Euplo e del proto vescovo Berillo, colloca<strong>te</strong> <strong>nel</strong><br />

1700 dal Vescovo Salvatore Ventimiglia. Dal 1700 il predicatore quaresimale<br />

aveva obbligo di <strong>te</strong>nere in cat<strong>te</strong>drale un panegirico su Euplo e Agata. Nella<br />

candelora dei canonici del Duomo di <strong>Catania</strong>, fatta costruire dal Ventimiglia<br />

spicca un simulacro di Euplo, allo s<strong>te</strong>sso Ventimiglia si deve pure la<br />

composizione dell’Ufficio divino diocesano in onore di Euplo martire. Nel<br />

1872 il cardinale Dusmet fece erigere un Circolo dedicato al martire, mentre il<br />

canonico Tullio Allegra ne ripristinò il culto, organizzando le celebrazioni<br />

giubilari del XVI cen<strong>te</strong>nario.<br />

Altri luoghi legati al culto agatino sono: Sant’Agata alle Sciare, in via<br />

Vittorio Emanuele presso piazza Machiavelli; la chiesa di San Gaetano alle<br />

Grot<strong>te</strong>, sui resti d’un antico <strong>te</strong>mpio fondato <strong>nel</strong> 262 d. C. dal vescovo S.<br />

Everio col titolo di S. Maria, in piazza Carlo Alberto che, secondo la<br />

tradizione la par<strong>te</strong> inferiore ospitò le spoglie di Sant’Agata dalla sua mor<strong>te</strong> alla<br />

sepoltura presso la Ve<strong>te</strong>re <strong>nel</strong> 264; il Tempietto di S. Agata alle<br />

sciare (Ognina) che, dopo l’eruzione del 1381, che coprì il porto di Ulisse e<br />

circondò il <strong>te</strong>mpio, è rimasto fortunatamen<strong>te</strong> illeso; la Chiesa di S. Agata<br />

(oggi Angeli Custodi ) e S. Agata al Borgo furono edifica<strong>te</strong> dopo l’eruzione<br />

lavica del 1669 e conserva <strong>nel</strong> presbi<strong>te</strong>rio gli affreschi con la narrazione di<br />

alcune storie della martire. Dal 1500 a <strong>Catania</strong> furono creati 8 conservatori<br />

<strong>per</strong> le bambine abbandona<strong>te</strong>, <strong>nel</strong> 1586 nacque quello delle vergi<strong>nel</strong>le di<br />

Sant’Agata, con lo scopo di conservare castità e virtù delle bambine.<br />

L’originaria chiesa di Sant’Agata alle Vergi<strong>nel</strong>le (un <strong>te</strong>mpo<br />

Conservatorio delle Vergi<strong>nel</strong>le di S. Agata), risale al 1586 (secondo alcune<br />

fonti datata intorno al 1285), costruita a spese del Senato e di don Giovanni<br />

La Rocca <strong>per</strong> ospitare ragazze in at<strong>te</strong>sa di maritarsi. Duran<strong>te</strong> il <strong>te</strong>rremoto<br />

56


del 1693 crollò e fu ricostruita in stile barocco <strong>per</strong> iniziativa di Michele<br />

Asmundo Landolina, primo barone di Gisira, il cui simbolo spicca sull’arco.<br />

L’in<strong>te</strong>rno è ad una navata, con quattro altari intitolati alla Vergine del<br />

Rosario, alla SS. Famiglia, a S. Antonio da Padova e al SS. Crocifisso, mentre<br />

sulla cui volta del vestibolo è affrescata l’Immacolata, con una gelosia dorata<br />

sopra la cantoria, mentre l’altare maggiore entro l’abside presbi<strong>te</strong>rale ha<br />

affrescata sulla volta “L’Incoronazione di Sant’Agata”. La Chiesa, inoltre, ha<br />

una cripta ove vennero sepol<strong>te</strong> le vittime del colera del 1867, mentre una<br />

lapide sul pavimento recita in latino: “Sono i gigli che odorano nei cieli”.<br />

SITI ARCHEOLOGICI RIGUARDANTI SANT’AGATA<br />

57


Delle necropoli di epoca paleocristiana rimangono significative tracce al di<br />

sotto di mol<strong>te</strong> chiese cittadine, tra cui S. Euplio e la Ve<strong>te</strong>re. In via Museo<br />

Biscari, infine, in uno scantinato sotto Palazzo Platamone, duran<strong>te</strong> il <strong>per</strong>iodo<br />

dell’antica Roma, ad una profondità di 4 metri vi era una stanza in conci di<br />

conci e pietra lavica, dove si presume fosse nata Sant’Agata, ove c’è una<br />

edicola ricavata sul muro, in pietra chiara, appar<strong>te</strong>nuta ad un culto successivo,<br />

mentre all’es<strong>te</strong>rno c’è una lapide marmorea sul muro es<strong>te</strong>rno che cos<strong>te</strong>ggia a<br />

nord Palazzo Biscari, con iscrizione risalen<strong>te</strong> al XVIII secolo ed un<br />

bassorilievo in alto di Sant’Agata.<br />

Madre Stadella <strong>nel</strong> 1728 con l’epigrafe apposta sulla pare<strong>te</strong> es<strong>te</strong>rna, di<br />

fron<strong>te</strong> a Palazzo Biscari, volle richiamare la tradizione, ricordando che<br />

S. Agata nacque l’otto set<strong>te</strong>mbre del 238, lo s<strong>te</strong>sso giorno della Madre di Dio.<br />

Secondo la leggenda la casa della santa si trovava nei sot<strong>te</strong>rranei di S.<br />

Placido, mentre in Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re si ammira il sepolcro, l’Epigrafe<br />

Evangelica ed un bassorilievo bizantino.<br />

Inoltre sono venu<strong>te</strong> alla luce diverse sepolture, quali la necropoli di via<br />

dottor Consoli, da dove proviene la celebre epigrafe di Iulia<br />

Florentina esposta al museo del Louvre, qui in un primo momento i catanesi<br />

posero la tomba di Sant’Agata, entro un recinto e sotto la co<strong>per</strong>tura d’una<br />

piccola edicola, poi allargata <strong>per</strong> farvi entrare la folla dei fedeli che affluivano<br />

sempre più. Prima che il Cristianesimo fosse stato riconosciuto dallo Stato<br />

romano, il popolo eresse enormi basiliche, sempre più vicine alle tombe dei<br />

martiri, ove po<strong>te</strong>r celebrare i propri riti funebri.<br />

Altri scavi <strong>nel</strong>l’area antistan<strong>te</strong> le Terme della Rotonda fecero riemergere la<br />

chiesa rupestre di San Gaetano alle Grot<strong>te</strong>, fondata dal vescovo S. Everio<br />

<strong>nel</strong> 262 d. C., in quella che dovet<strong>te</strong> essere una cis<strong>te</strong>rna di epoca romana,<br />

ricavata in una grotta lavica e titolata a S. Maria.<br />

58


Egli, dopo la mor<strong>te</strong> di Sant’Agata, approfittando del vento di pace che<br />

spirava duran<strong>te</strong> il regno dell’im<strong>per</strong>atore Gallieno (la moglie Solamina era<br />

cristiana), ove erano i ruderi del palazzo di Quinziano, distrutto dal<br />

<strong>te</strong>rremoto, fece costruire un edificio sacro, chiamato prima “edicola di<br />

Sant’Agata”, quindi, Chiesa.<br />

Inizialmen<strong>te</strong> fu sede di un “martyrion” (culto dei martiri attraverso la<br />

venerazione di un sarcofago) che, secondo la tradizione, ospitò le spoglie<br />

di Sant’Agata e di quel <strong>per</strong>iodo conserva un “arcosolium” (catacombe romana<br />

o monumento funebre murato, <strong>per</strong> po<strong>te</strong>r ricavarne un altare), una falsa<br />

finestra e due sedili in pietra lavica.<br />

Del <strong>per</strong>iodo di adattamento a chiesa rimangono invece l’altare e par<strong>te</strong><br />

dell’arco trionfale. L’edificio subì vari rimaneggiamenti nei secoli successivi,<br />

tra cui l’erezione di un nuovo <strong>te</strong>mpio apogeo dedicato a S. Gaetano, il pozzo<br />

bat<strong>te</strong>simale ricavato <strong>nel</strong>l’ex cis<strong>te</strong>rna, la scalinata di età normanna.<br />

In contrada del Rotolo, presso il quartiere di Ognina, in occasione della<br />

sosta delle reliquie di Sant’Agata, di ritorno da Costantinopoli, in ricordo<br />

dell’evento, fu eretta una chiesetta, distrutta poi dalla lava il 6 agosto del 1381.<br />

Nel 1926 sui ruderi della chiesa venne poi murata una lapide, oggi scomparsa.<br />

CONSACRAZIONE DELLA CHIESA DI SANT’AGATA<br />

I documenti lasciati dai parroci di Basiglio dalla fine del 1500, consultabili<br />

<strong>nel</strong>l’archivio parrocchiale, come data di consacrazione della chiesa di<br />

Sant’Agata, indicano un <strong>per</strong>iodo compreso fra il l5l0 ed il 1540, ma su una<br />

data <strong>per</strong>ò concordano tutti, quella del 14 giugno 1545.<br />

La data della consacrazione, riferisce Angelo Repossi, parroco di Basiglio,<br />

in un suo rapporto <strong>per</strong> l’Arcivescovo di Milano Filippo Visconti redatto <strong>nel</strong><br />

1796, era indicata in una scritta murale che si leggeva su una pare<strong>te</strong> <strong>nel</strong> coro<br />

59


della chiesa, che col trascorrere degli anni e in seguito alle varie co<strong>per</strong>ture dei<br />

muri con calce, <strong>per</strong> difendersi dalle ricorrenti epidemie di pes<strong>te</strong> e di colera,<br />

l’inscrizione andò <strong>per</strong>duta.<br />

Nel 1040, dopo due secoli di dominazione araba, i Bizantini comandati dal<br />

generale Giorgio Maniace <strong>te</strong>ntarono di riconquistare la Sicilia.<br />

La loro vittoria fu soltanto <strong>te</strong>mporanea, anche <strong>per</strong>ché S<strong>te</strong>fano, il<br />

responsabile della flotta bizantina, commise il grave errore di farsi sfuggire il<br />

più importan<strong>te</strong> prigioniero di guerra, il capo militare arabo Abd Allah.<br />

Per tal ragione il generale Maniace gli inflisse una severa punizione, ignaro<br />

che l’ammiraglio fosse un membro della casa im<strong>per</strong>iale di Costantinopoli.<br />

Per sanare l’inciden<strong>te</strong> diplomatico e recu<strong>per</strong>are la stima dei sovrani che gli<br />

avevano già ordinato il rientro in patria, Giorgio Maniace decise di donare alla<br />

casa regnan<strong>te</strong> le preziose reliquie di S. Agata e di S. Lucia, già venera<strong>te</strong> in<br />

tutto il Medi<strong>te</strong>rraneo. Le reliquie del corpo, <strong>per</strong> secoli conserva<strong>te</strong> in una<br />

cassa di legno (oggi in S. Agata la Ve<strong>te</strong>re), dal 1576 si trovano in uno scrigno<br />

d’argento alto 85 cm., lungo 148, largo 56, il co<strong>per</strong>chio è suddiviso in 14<br />

riquadri raffiguranti le san<strong>te</strong> che onorano Agata, prima martire della chiesa.<br />

All’in<strong>te</strong>rno si conservano anche due documenti storici: la bolla pontificia di<br />

Urbano Il che conferma solennemen<strong>te</strong> che Agata nacque a <strong>Catania</strong>.<br />

LA CAPPELLA DI SANT’AGATA<br />

Lo storico Vincenzo Casagrandi <strong>nel</strong> 1927 scrisse che non vi è Martire<br />

che conti una let<strong>te</strong>ratura così ampia, complessa e mondiale come Sant’Agata.<br />

Il primo a parlarne fu lo studioso Gioacchino Di marzo <strong>nel</strong> 1886 e<br />

subito dopo Pa<strong>te</strong>rnò Cas<strong>te</strong>llo, seguirono <strong>nel</strong> 1890 Gaetano La Cor<strong>te</strong> Cailler, il<br />

Maugeri, Carmelo Sciuto Patti (colui che progettò il campanile del Duomo), il<br />

Casagrandi, il Basile ed Ardizzone Gioieni <strong>nel</strong> 1893.<br />

60


Dai lori scritti si evince che la Cappella di Sant’Agata sorse sotto gli<br />

auspici della vice Regina Maria Avila che affidava ad Anto<strong>nel</strong>lo de Freri<br />

l’esecuzione del sacrario di Agata che, iniziato dall’artista il 15 novembre<br />

1494, venne ultimato il 15 luglio 1495.<br />

Morto il 2 dicembre 1494, presso il Cas<strong>te</strong>llo Ursino, il Vicerè<br />

Ferdinando de Acugna, devotissimo di Sant’<strong>agata</strong>, la vedova incaricò il de<br />

Freri d’innalzare un monumento funerario al marito.<br />

Frattanto il de Freri, con atto del 25 set<strong>te</strong>mbre 1495, era stato incaricato<br />

dal Senato di costruire <strong>per</strong> la cappella della Santa un altare con icona <strong>per</strong> il<br />

prezzo di 300 onze, da consegnare entro set<strong>te</strong>mbre del 1494.<br />

Ma <strong>nel</strong>l’agosto del 1496 l’artista, dopo aver compiuto i due monumenti,<br />

con le sculture degli apostoli e l’incoronazione di Sant’Agata e, sebbene non<br />

comprese <strong>nel</strong>l’atto di appalto, le statue dei 4 evangelisti della trabeazione, se<br />

ne tornò <strong>nel</strong>la sua Messina, da dove inviò dei pezzi in pietra rustica ed<br />

informi, invece di statue ben lavora<strong>te</strong>.<br />

Per tale motivo il 25 maggio 1497 i Giurati scrissero risentiti a G.<br />

Buctuni, cugino e discepolo dell’artista.<br />

Il de Freri, forse irritato <strong>per</strong> il gesto del Senato, non volle ritornare a<br />

<strong>Catania</strong>, <strong>per</strong> cui, l’o<strong>per</strong>a rimasta incompiuta, fu ultimata da altri artisti.<br />

Nel 1520 il canonico Placido Rizzari ed il <strong>te</strong>soriere della Cat<strong>te</strong>drale si<br />

recarono a Messina <strong>per</strong> commissionare al pittore Girolamo Alibrandi il<br />

trittico dell’icona della Cappella, rappresentan<strong>te</strong> il Martirio, la Passione,<br />

l’incoronazione di Sant’Agata, visto che il Freri aveva lasciato in tronco la<br />

scultura e non trovando al momento alcuno in grado di ultimare la sua o<strong>per</strong>a.<br />

Di conseguenza l’Incoronazione, unico su<strong>per</strong>sti<strong>te</strong> (<strong>te</strong>rremoto del 1693)<br />

e pezzo pregiato, dei 3 rilievi marmorei che avrebbe dovuto eseguire il Freri,<br />

61


fu affidato al carrarese Janni Maffei, archi<strong>te</strong>tto e costruttore della Cappella<br />

marmorea, con pagamento di onze 50.<br />

Il 6 luglio 1495 il Procuratore Alvaro Sarza, a nome della vedova, fa<br />

omaggio alla Cappella di un altro ricchissimo corredo di paramenti, così come<br />

preceden<strong>te</strong>men<strong>te</strong> erano sta<strong>te</strong> fat<strong>te</strong> altre offer<strong>te</strong> alla Santa Patrona, dalla<br />

vedova medesima.<br />

Maria D’Avila aveva 40 anni, quando, soddisfatto il voto, abbandonò la<br />

dimora di Cas<strong>te</strong>llo Ursino, <strong>per</strong> ritirarsi <strong>nel</strong>la sua Catalogna.<br />

L’effige dipinta <strong>nel</strong> sacrario di Sant’Agata, le conferisce l’aspetto di<br />

donna formosa, ma la mor<strong>te</strong> del marito la rattristò al punto da desiderare di<br />

ricongiungersi al più presto col lui. Ella trascorse gli ultimi giorni di vita in un<br />

convento di clarisse, come era uso delle vedove dei grandi casati d’allora.<br />

GLI ARREDI SACRI DONATI DA MARIA D’AVILA<br />

Da un atto del 30 dicembre 1494 risulta che Maria D’Avila, vedova di<br />

Ferdinando de Acugna fece donazione di un corredo veramen<strong>te</strong> regale <strong>per</strong> la<br />

cappella di Sant’Agata, composto di Crocifissi in argento dorato, calici, pissidi<br />

e pa<strong>te</strong>ne d’oro, candelabri d’oro, palii d’oro, tappeti, panni di raso, bandiere<br />

d’oro, cappe di velluto cremisi, di damasco e di broccato, di manipoli e<br />

dalmatiche damasca<strong>te</strong>, piane<strong>te</strong> di broccato cremisi lista<strong>te</strong> in oro ed in seta a<br />

vari colori, veli o<strong>per</strong>ati in oro ed argento, camici lavorati in oro, piatti d’oro,<br />

lini o<strong>per</strong>ati in seta a colori, tovaglie di bisso e di raso e quant’altro ancora.<br />

Ma, come se ciò non bastasse, la s<strong>te</strong>ssa vedova l’Anno prima aveva<br />

offerto alla Santa Patrona altra preziosa suppellettile, consis<strong>te</strong>n<strong>te</strong> in una cappa<br />

di broccato in raso cremisi, fasce o<strong>per</strong>a<strong>te</strong> in oro, borset<strong>te</strong> in velluto cremisi e<br />

di broccato, in raso nero, 2 tuniche di broccato in seta e velluto cremisi con<br />

frange bianche e rosse, 3 paramenti sacri <strong>per</strong> altare, di cui uno di broccato<br />

62


cremisi, l’atro di broccato in seta bianca, entrambi muniti di croci, di frontali<br />

di broccato bianco e di velluto cremisi, con frange bianche e rosse, il <strong>te</strong>rzo di<br />

seta d’azolo, ornato di croci e di lis<strong>te</strong> in raso cremisi, infine, 2 cuscinetti di<br />

pelo di seta nera ornati di frange nere e rosse, a lei molto cari.<br />

La gran par<strong>te</strong> di questi oggetti era munita di armi gentilizie dei due<br />

coniugi, ciò vuol dire che erano stati ordinati esclusivamen<strong>te</strong> <strong>per</strong> quella<br />

cappella, affinché si raccomandasse alla Santa Vergine la già precaria vita del<br />

marito. Essi si componevano di uno scudo alato a forma di <strong>cuore</strong>, orlato in<br />

bianco ed a fondo d’oro, mentre il campo è diviso in due parti: a destra le<br />

armi dei D’Acuna, ossia 9 cunei d’azolo, 13 bandierine d’oro, 5 scudetti<br />

d’azolo, mentre a sinistra recava le armi del casato, cioè 13 gioielli d’azolo.<br />

Questi due s<strong>te</strong>mmi riuniti si possono riscontrare <strong>nel</strong> monumento del<br />

Vicerè D’Acuna e sulla porta del sacrario. Oggi di quel meraviglioso <strong>te</strong>soro<br />

dell’ar<strong>te</strong> catalana, a causa dei tanti infortuni della Cat<strong>te</strong>drale, nulla s’è salvato.<br />

LA CAMERETTA DEL TESORO<br />

Guido Libertini, famoso archeologo morto <strong>nel</strong> 1940, scrisse che, delle<br />

o<strong>per</strong>e attua<strong>te</strong> <strong>nel</strong> XV secolo <strong>nel</strong>la Cat<strong>te</strong>drale, dopo la chiusura del passaggio<br />

tra l’abside e quella della Cappella di Sant’Agata, in uno dei 2 vani a<strong>per</strong>ti<br />

attraverso il poderoso muro dell’abside centrale, usati come passaggio fra il<br />

santuario (area presbi<strong>te</strong>rio) e le cappelle la<strong>te</strong>rali absidali, <strong>nel</strong> XII secolo, dopo<br />

il rientro delle Reliquie da Costantinopoli, fu ricavata la “cameretta del<br />

<strong>te</strong>soro”, di cui fanno par<strong>te</strong> i pregevoli spor<strong>te</strong>lli lignei scolpiti della pare<strong>te</strong> di<br />

levan<strong>te</strong>, i quali chiudevano l’armadio a muro ove oggi vengono conservati: in<br />

alto il busto reliquiario, in basso lo scrigno.<br />

Alcune fonti fanno <strong>per</strong>ò riferimento al XIV secolo, allorquando il<br />

Vescovo Elia giunse da Avignone con la statua reliquiario di Sant’Agata.<br />

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Il restauro della cameretta fu realizzato in tutta fretta, prima che fosse<br />

stato eretto il monumento funebre del Vicerè D’Acuna, mentre tutta la<br />

decorazione in<strong>te</strong>rna ed es<strong>te</strong>rna porta la data del 30 dicembre 1495 (la s<strong>te</strong>ssa<br />

del monumento funerario del Vicerè, le pitture in<strong>te</strong>rne furono invece esegui<strong>te</strong><br />

<strong>nel</strong> 1496), tuttavia, non fu mai adeguatamen<strong>te</strong> apprezzata, così come quella in<br />

argento, rischiando <strong>per</strong>sino di andare <strong>per</strong>duta, <strong>per</strong> via della for<strong>te</strong> umidità degli<br />

ambienti, giungendo a noi mutilata, <strong>per</strong> cui, <strong>nel</strong> XVIII secolo dovet<strong>te</strong> essere<br />

sostituita dagli spor<strong>te</strong>lli argen<strong>te</strong>i, attribuiti al priore Gravina.<br />

La par<strong>te</strong> rimossa era stata addossata alla pare<strong>te</strong> antistan<strong>te</strong> la porticina<br />

d’ingresso (un <strong>te</strong>mpo lignea, oggi rico<strong>per</strong>ta da lamine d’argento), venendo<br />

così a coprire uno degli affreschi che decoravano il piccolo vano con scene<br />

della Pietà, pregevole o<strong>per</strong>a di fine XIV secolo.<br />

La più antica pittura frontale alla porta è la “Pietà” d’un maestro<br />

sconosciuto di Galatina, di scuola toscana e marchigiana, realizzata fra i due<br />

ultimi decenni del 300 ed i primi anni del 400.<br />

Sulla pare<strong>te</strong> di sinistra è rappresentato il “David” sopra il gruppo della<br />

Pietà e “mor<strong>te</strong> del Vicerè Ferdinando de Acugna” e “Madonna col Bambino”<br />

(1467-1535) di Anto<strong>nel</strong>lo de Saliba, nipo<strong>te</strong> di Anto<strong>nel</strong>lo da Messina.<br />

I riquadri di S. Lucia e della madre Eutichia sono datati fine dell’800.<br />

Il riquadro con Goselmo e Gisliberto risale al 1406, la data figura sul<br />

cartiglio degli angeli della volta. Il 3° e 4° riquadro rappresentano il ritorno<br />

della Reliquie da Costantinopoli. Sotto il primo ed il secondo riquadro sono<br />

rappresenta<strong>te</strong> due piccole scene (in pessime condizioni): a destra il Vescovo<br />

Maurizio sembra guidare la traslazione delle Reliquie, a sinistra un gruppo di<br />

uomini coi berretti flosci (tipici costumi Siciliani), forse mentre le trasportano.<br />

Il 5° riquadro rappresenta Re Davide d’Israele seduto mentre suona una<br />

viola, <strong>nel</strong> senso allegorico e profetico che la tradizione cristiana ha<br />

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iconosciuto dei Salmi. Il 6° riquadro sopra la porta ritrae donna Maria<br />

d’Avila con i capelli sciolti sulle spalle ed ornati con un nastro legato sulla<br />

fron<strong>te</strong>, ritratto somiglian<strong>te</strong> ad un uomo somiglian<strong>te</strong> a quello scolpito da<br />

Anto<strong>nel</strong>lo Freri sul monumento funebre del Vicerè Ferdinando de Acugna,<br />

alludendo ad una raffigurazione allegorica.<br />

La volta a bot<strong>te</strong> è rivestita da decorazioni vegetali, entro cui sono collocati<br />

6 angeli che reggono 3 monogrammi: due del Cristo, uno con le let<strong>te</strong>re AM di<br />

un pittore locale che <strong>per</strong> ultimo lavorò <strong>nel</strong>la stanzetta, forse a metà 500.<br />

Allorquando <strong>nel</strong> 1943 si misero in evidenza ques<strong>te</strong> pitture, gli spor<strong>te</strong>lli<br />

furono trasferiti ed abbandonati in uno dei magazzini della Cat<strong>te</strong>drale e<br />

soltanto dopo le insis<strong>te</strong>nti richies<strong>te</strong> di alcuni cittadini, furono ricollocati sulla<br />

pare<strong>te</strong> meridionale della Sacrestia.<br />

Oggi sono esposti al Museo Diocesano e si compongono di scene<br />

scolpi<strong>te</strong> in 4 formelle, a rappresentare i diversi momenti del martirio della<br />

Santa ed esattamen<strong>te</strong>: amputazione delle mammelle, visita dell’Apostolo<br />

Pietro in carcere, supplizio della fornace, transito ed apo<strong>te</strong>osi della Martire.<br />

La cornice intorno è decorata da girali (parti di edifici) a rilievo, di<br />

sapore rinascimentale, in mezzo a cui spuntano o delle <strong>te</strong>s<strong>te</strong> di putti che<br />

sorreggono le armi della famiglia commit<strong>te</strong>n<strong>te</strong> dei Pa<strong>te</strong>rnò, o dei Cherubini, o<br />

delle protomi ferine, cioè <strong>te</strong>s<strong>te</strong> di felino che stringono un a<strong>nel</strong>lo in bocca.<br />

Nel 1527 lo scultore napoletano Scipione di Guido fu incaricato di<br />

adornare con la storia di Sant’Agata e delle sue reliquie gli stalli del grande<br />

coro ligneo della Cat<strong>te</strong>drale, posto <strong>nel</strong>l’abside maggiore.<br />

Nonostan<strong>te</strong> la sua vena inventiva dimostrata <strong>nel</strong> trattare l’o<strong>per</strong>a e<br />

l’abilità <strong>nel</strong>la trattazione del rilievo e della prospettiva, l’eleganza ed il<br />

movimento delle figure, bisogna riconoscere che, nei 4 episodi che<br />

costituiscono l’argomento degli spor<strong>te</strong>lli della Cameretta del <strong>te</strong>soro, egli non<br />

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seppe distaccarsi molto da essi, seppure diverse siano le figure <strong>nel</strong>le<br />

proporzioni e diverso il gusto e lo spirito che anima le scene, infatti, le s<strong>te</strong>sse<br />

rimembranze tornano, ad esempio, <strong>nel</strong>la scena della fornace, dove Sant’Agata<br />

è fiancheggiata dai 2 sgherri, mentre il rogo su cui Ella è dis<strong>te</strong>sa, risulta<br />

collocato obliquamen<strong>te</strong>, così come <strong>nel</strong>le o<strong>per</strong>e del priore Gravina.<br />

Il <strong>te</strong>soro (oltre 300 pezzi) che ricopre a più strati di finissima re<strong>te</strong> sulla statua<br />

di Sant’Agata, che i fedeli arricchiscono sempre più, è di inestimabile valore:<br />

gemme, ori, pietre preziose, croci, ciondoli, collane, centinaia di ex voto.<br />

Fra i doni, il più famoso è la corona con diadema ricco di gemme, donata<br />

<strong>nel</strong> 1191 da Riccardo Cuor di Leone (<strong>nel</strong> suo soggiorno in Sicilia, duran<strong>te</strong> una<br />

crociata) e poggiata sui lunghi capelli in foglia d’oro, ad incorniciarle il volto, è<br />

composta di <strong>te</strong>ssere im<strong>per</strong>nia<strong>te</strong> fra loro con incastonati topazi, zaffiri, acqua<br />

marina. Anche la Regina Margherita di Savoia e la nobile famiglia Tedeschi<br />

offrirono collane preziose, mentre il viceré Ferdinando de Acuña donò una<br />

massiccia collana del 400, collane e croci appar<strong>te</strong>nu<strong>te</strong> a papi e vescovi catanesi<br />

(Deodato, Orlando, Ventimiglia, Dusmet, Nava) un a<strong>nel</strong>lo in oro e pietre<br />

preziose di 1370 grammi, mentre altri oggetti sono conservati a par<strong>te</strong>.<br />

Tutti i gioielli sono eseguiti a mano da orafi siciliani, fiorentini e spagnoli,<br />

al centro del busto, tra spille e fermagli, si evidenzia la Legion d’Onore<br />

dell’Alcantara di Vincenzo Bellini con l’aquila bicipi<strong>te</strong> su s<strong>te</strong>mma Aragonese.<br />

Fili di <strong>per</strong>le orientali, infine, adornano il collo, mentre il collare di<br />

smeraldi di Ferdinando De Acuña del XV secolo, circonda le spalle ed il<br />

busto, unitamen<strong>te</strong> ad altri collari di <strong>te</strong>ssere, ca<strong>te</strong>ne e maglie d’oro, smalti e<br />

gemme che, ordinati e composti in stili diversi, lo ricoprono in<strong>te</strong>ramen<strong>te</strong>.<br />

IL TESORO NEGLI EVENTI BELLICI DEL 1943<br />

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Nel 1943 sorse il problema di preservare in maniera seria il <strong>te</strong>soro di<br />

Sant’Agata, <strong>per</strong> cui, vennero indet<strong>te</strong> riunioni col Prefetto e varie Dignità<br />

ecclesiastiche. Il <strong>te</strong>soriere Giovanni Maugeri sos<strong>te</strong>neva energicamen<strong>te</strong> che<br />

tut<strong>te</strong> le cose preziose, compreso il <strong>te</strong>soro, dovessero trasportasi fuori città in<br />

un luogo sicuro e segreto, mentre altri erano d’opinione che qualsiasi luogo,<br />

seppur segreto, non sarebbe sfuggito alla cittadinanza. Il Prefetto Za<strong>nel</strong>li,<br />

invitato a visitare il <strong>te</strong>soro e ad esprimere la sua opinione, disse che, più delle<br />

bombe bisognava preoccuparsi dei ladri.<br />

A questo punto si procedet<strong>te</strong> alla scelta dei preziosi che, dopo essere<br />

stati inventariati, vennero nascosti <strong>nel</strong> luogo stabilito dall’ing. Raffaele Leone,<br />

archi<strong>te</strong>tto della fabbrica del Duomo, che propose la conservazione d’una<br />

par<strong>te</strong> di gran valore, compreso <strong>per</strong>gamene dell’archivio, in un nascondiglio<br />

all’in<strong>te</strong>rno del Duomo.<br />

Dopo i primi danni dell’aprile 1943 al Seminario arcivescovile,<br />

all’Arcivescovado ed alla casa del fercolo, con l’in<strong>te</strong>rnsificarsi dei<br />

bombardamenti, venne chiusa la Cat<strong>te</strong>drale ed i capitolari più anziani<br />

ripararono in un luogo sicuro, quindi, nei paesi vicini, requisendo ogni mezzo<br />

di locomozione. Da qui lo strozzinaggio di chi possedeva un proprio mezzo.<br />

Man mano che si diffondevano in città notizie di saccheggi, cresceva la<br />

preoccupazione dei devoti <strong>per</strong> le reliquie, <strong>per</strong> cui, incontrando i Capitolari li<br />

fermavano <strong>per</strong> chiedere cos<strong>te</strong>rna<strong>te</strong>: <br />

Alcuni suggerivano di dire all’Arcivescovo di non lasciarli in città, di met<strong>te</strong>rli<br />

in salvo, dato il loro valore millenario, <strong>per</strong>ché c’erano cose talmen<strong>te</strong> preziose<br />

che non era possibile rifare. Pochissimi sapevano che mons. Carciotto,<br />

Vicario Generale, aveva scelto come rifugio la casa canonica di Fleri,<br />

facendovi trasportare i Reliquiari, tranne il busto rico<strong>per</strong>to dai preziosi doni.<br />

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Il 5 agosto, avvenuta l’occupazione, si verificarono vari episodi, fra cui<br />

quello d’un sergen<strong>te</strong> inglese che asseriva l’oro essere di sua proprietà, facendo<br />

così accrescere la preoccupazione fra la gen<strong>te</strong>.<br />

Il comandan<strong>te</strong> inglese, Sir Harold Alexander, di stanza in quella che<br />

provvisoriamen<strong>te</strong> era la Casa del Fascio, presso l’antico Seminario dei chierici,<br />

in<strong>te</strong>rrogò i prelati presenti, chiedendo: Successivamen<strong>te</strong>, anche il Maggiore dell’aviazione, da lui inviato,<br />

chiese del <strong>te</strong>soro e della famosa corona, ma gli fu risposto che tutto era stato<br />

inviato presso la Santa Sede. Ques<strong>te</strong> insis<strong>te</strong>nti domande, data la particolarità<br />

del momento, facevano sì che accrescessero i dubbi angosciosi sulle<br />

in<strong>te</strong>nzioni dei conquistatori.<br />

Così fu deciso di non indugiare e predisporre immediatamen<strong>te</strong> ed in<br />

assoluta segre<strong>te</strong>zza un piano di salvataggio del <strong>te</strong>soro. Si fece uso del<br />

camioncino dell’Asilo Sant’Agata, l’unico autorizzato dalle Autorità inglesi a<br />

viaggiare <strong>per</strong> i bisogni del Seminario. La Buona Madre dell’Asilo, in quel<br />

momento ospi<strong>te</strong> del seminario dei poverelli, diede l’assenso. Era il 15 agosto<br />

1943, lo s<strong>te</strong>sso mese e quasi lo s<strong>te</strong>sso giorno in cui otto secoli prima le<br />

Reliquie avevano fatto ritorno da Costantinopoli.<br />

Al piano prestabilito dovevano par<strong>te</strong>cipare pochissime <strong>per</strong>sone che,<br />

assieme ad un fabbro ed un muratore sarebbero entra<strong>te</strong> <strong>nel</strong>la cameretta <strong>per</strong><br />

prelevare il <strong>te</strong>soro, ma il Vicario Generale non era del parere di dover toccare<br />

la par<strong>te</strong> del <strong>te</strong>soro che a suo <strong>te</strong>mpo era stata nascosta, giacché sembrava<br />

sicura, bensì di trasportare in luogo sicuro l’in<strong>te</strong>ro busto di Sant’Agata.<br />

La cameretta era ingombra del cumulo di frammenti argen<strong>te</strong>i del<br />

fercolo, qui rinchiusi dopo essere stati dissot<strong>te</strong>rrati dalle macerie, mentre a<br />

destra era la nicchia (incavata <strong>nel</strong> muro) che racchiudeva il busto, ma gli<br />

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spor<strong>te</strong>lli non si po<strong>te</strong>vano aprire senza aver prima rimosso le macerie, <strong>per</strong> cui,<br />

fatto ciò, fu tirato fuori il prezioso Reliquiario. Il viso della Patrona era<br />

sempre sorriden<strong>te</strong>. Fu impresa non facile trasportare il busto fuori dalla<br />

cameretta, dato il consis<strong>te</strong>n<strong>te</strong> peso.<br />

Dopo qualche istan<strong>te</strong> giunse notizia che due ufficiali inglesi (un<br />

maggiore ed un capitano) volevano visitare la Cat<strong>te</strong>drale, <strong>per</strong> cui, si corse<br />

immediatamen<strong>te</strong> a chiudere la cameretta con le famose tre chiavi.<br />

Allontanatisi gli ufficiali fu ripreso il lavoro di distacco della reticella<br />

con<strong>te</strong>nen<strong>te</strong> gli oggetti preziosi, secondo la sua linea di sutura. Affinchè<br />

nessuna <strong>per</strong>lina andasse <strong>per</strong>duta, delle tovaglie bianche furono s<strong>te</strong>se attorno<br />

alla reticella, quindi, vennero tolti dalle dita della Martire tutti gli a<strong>nel</strong>li.<br />

Erano le 15,30 quando il lavoro ebbe <strong>te</strong>rmine, il <strong>te</strong>soro messo in una<br />

scatola sotto gli occhi di tutti, fatto un involto facile da trasportare, infine, il<br />

busto di Sant’Agata ornato dalla sola corona di fiordalisi (dono di Riccardo<br />

Cuor di Leone), da po<strong>te</strong>r eventualmen<strong>te</strong> mostrare alle Autorità inglesi, fu<br />

rimesso al suo posto entro la cameretta.<br />

L’involto fu portato in sacrestia assieme ad una cassettina a due chiavi<br />

con<strong>te</strong>nen<strong>te</strong> i doni offerti dai fedeli in occasione dell’ultima festa di Sant’Agata.<br />

Alle ore 17 il furgoncino delle Piccole Suore giunse in Cat<strong>te</strong>drale e<br />

senza clamori ripartì <strong>per</strong> S. Giovanni La Punta, ove i due involti vennero<br />

chiusi in casset<strong>te</strong> di ferro (come quelle utilizza<strong>te</strong> dai <strong>te</strong>deschi <strong>per</strong> il trasporto<br />

delle munizioni) sigilla<strong>te</strong> e porta<strong>te</strong> in luogo segreto. Anche i volumi cartacei e<br />

le <strong>per</strong>gamene vennero conserva<strong>te</strong> <strong>nel</strong> seminario di villeggiatura di S. Giovanni<br />

La Punta, col ricco vasellame argen<strong>te</strong>o e gli os<strong>te</strong>nsori, mentre all’in<strong>te</strong>rno della<br />

cameretta del Duomo rimase la par<strong>te</strong> più importan<strong>te</strong> dei doni di Re e Papi:<br />

<strong>te</strong>soriere mons. Maugeri.<br />

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Dopo alcune settimane sorse il sospetto che la notizia del luogo del<br />

nascondiglio po<strong>te</strong>sse essere trapelata, <strong>per</strong> cui, si pensò di trasferire le due<br />

casset<strong>te</strong> in luogo più lontano, cioè l’Istituto S. Angela Merici di S. Giovanni<br />

La Punta e colloca<strong>te</strong> <strong>nel</strong>la cella della Su<strong>per</strong>iora Lucia Mangano. Nessuno altro<br />

al mondo seppe che in quel luogo era nascosto il <strong>te</strong>soro di Sant’Agata.<br />

Finita la guerra le casse furono trasporta<strong>te</strong> a <strong>Catania</strong> presso il<br />

Monas<strong>te</strong>ro dei Benedettini, ove l’Arcivescovo Patané aveva dimora<br />

provvisoria, in at<strong>te</strong>sa che il Palazzo arcivescovile fosse stato ristrutturato.<br />

17 GIUGNO 1950, FESTA DEL PATROCINIO DI S. AGATA<br />

IL BUSTO RELIQUIARIO<br />

Era intorno all’anno mille che il fervore della pietà popolare si<br />

traduceva con maggior frequenza <strong>nel</strong>la creazione di preziosi reliquiari<br />

antropomorfi, cioè parlanti. Colui che realizzò il Reliquiario a busto di<br />

Sant’Agata, scelse di raffigurarla con realismo talmen<strong>te</strong> trasfigurato da riuscire<br />

a magnificare e ad imprimere espressione di serena dolcezza <strong>nel</strong>le fat<strong>te</strong>zze del<br />

volto, rese ancor più naturali dalla <strong>per</strong>fetta scelta dei sali di metallo, <strong>per</strong> po<strong>te</strong>r<br />

ot<strong>te</strong>nere la giusta gamma coloristica della massa vitrea, quindi degli smalti.<br />

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Il trecen<strong>te</strong>sco busto reliquiario oggi ci appare come una <strong>per</strong>fetta silloge<br />

della Parola di Dio, secondo il linguaggio medievale delle gemme incastona<strong>te</strong><br />

<strong>nel</strong>l’oro, simbolo di e<strong>te</strong>rnità e trionfo.<br />

La nuova statua della Patrona non è un mezzobusto, bensì, un simulacro a<br />

mezza figura, che si erge esile da un piedistallo baroccheggian<strong>te</strong> in ottone<br />

cesellato a sbalzo, fiancheggiato da angeli inginocchiati, portato a<br />

compimento da un’antica azienda catanese leader <strong>nel</strong>l’ar<strong>te</strong> sacra, fra i <strong>te</strong>sori<br />

dell’ar<strong>te</strong> orafa medievale <strong>per</strong>venutici, è uno dei più belli ed apprezzati al<br />

mondo. La policromia del volto e delle mani di Sant’Agata è ot<strong>te</strong>nuta con<br />

smalti traslucidi col metodo shamplevé, le braccia sono piega<strong>te</strong><br />

simmetricamen<strong>te</strong> in avanti come a voler presentare qualcosa ai fedeli, mentre<br />

la palma e la cruchetta con smalti, sono stati sostituiti con una croce astile,<br />

che regge con la mano destra.<br />

Il busto poggia su una base ottagonale allargata da due mensole <strong>te</strong>rminanti<br />

con protomi (decorazioni a rilievo) di delfini angolari. Nella par<strong>te</strong> pos<strong>te</strong>riore<br />

sono rappresenta<strong>te</strong> le effigi di S. Ca<strong>te</strong>rina d’Alessandria e S. Lucia, mentre in<br />

due placche figurano i Santi Elia e Marziale.<br />

Era il 1373, allorquando, <strong>per</strong> la realizzazione di questo busto, l’orafo<br />

senese Giovanni di Bartolo chiese 20.000 fiorini, con i quali poi acquistò casa<br />

a Siena e si accinse a prendere moglie. L’artista servì fra il 1362 e il 1378 sotto<br />

Papa Urbano V, <strong>nel</strong> 1373 l’antipapa Clemen<strong>te</strong> VII.<br />

Anticamen<strong>te</strong> era rivestito di seta rossa e verde, mentre il corvettino<br />

veniva fermato all’al<strong>te</strong>zza del petto con uno spillo metallico che, a causa<br />

dell’umidità dei secoli, si è corroso e la ruggine ha provocato un forellino in<br />

quel punto. In occasione delle pulizie effettua<strong>te</strong> ogni ½ secolo si è notato<br />

(trami<strong>te</strong> una lampada introdotta entro il busto) che il corpo della Patrona è<br />

avvolto in 3 rotoli di <strong>te</strong>la bianca.<br />

71


La Santa oggi indossa un ricchissimo manto a<strong>per</strong>to sul davanti ed ornato di<br />

tralci di vi<strong>te</strong> e ghirlande di fiori smaltati è fiancheggiata da due angeli<br />

inginocchiati, in argento dorato. L’effetto cromatico è accresciuto dagli<br />

incarnati su cui è stata dis<strong>te</strong>sa una coloritura naturalistica.<br />

Uno spor<strong>te</strong>llo munito di cerniere, <strong>per</strong>met<strong>te</strong> una <strong>per</strong>iodica ispezione dei<br />

resti. All’in<strong>te</strong>rno del Busto Reliquiario vi è una campana che racchiude la<br />

cassa toracica, con<strong>te</strong>nen<strong>te</strong> 3 involucri (in uno tut<strong>te</strong> le ver<strong>te</strong>bre della schiena, in<br />

un altro le ossa del bacino e della spalla, <strong>nel</strong>l’ultimo vi sono tut<strong>te</strong> le s<strong>te</strong>cche<br />

del petto), mentre in una cavità della <strong>te</strong>sta è riposto il <strong>te</strong>schio.<br />

Al centro del collo vi è un bordo in<strong>te</strong>rno, su cui è collocato un vetro che<br />

forma diagramma ove si poggiò il Santo Capo duran<strong>te</strong> l’ultima ricognizione.<br />

Nel medioevo con Carlo Magno si ebbe una rinascita della statuaria e<br />

quindi l’affermarsi della figura umana limitatamen<strong>te</strong> alle rappresentazioni di<br />

Gesù, Maria e degli Apostoli.<br />

Il reliquiario di Sant’Agata non fu costruito <strong>nel</strong> 1376 ad Avignone,<br />

come si pensò in un primo momento, bensì <strong>nel</strong>le officine di Limoges, <strong>per</strong>ché<br />

il vescovo di <strong>Catania</strong> Marziale, monaco benedettino era nativo di Limoges e<br />

su ordine di Federico III Re di Sicilia era andato ad Avignone, allora<br />

residenza papale, <strong>per</strong> dar inizio alla costruzione del fercolo, tuttavia, <strong>nel</strong> 1375<br />

morì, prima di po<strong>te</strong>r dare inizio alla sua o<strong>per</strong>a, la quale fu poi fatta iniziare dal<br />

vescovo Elia, anche lui benedettino, nativo di Limoges, all’artista senese<br />

Giovanni di Bartolo. Nel 1377 scrigno e simulacro giunsero a <strong>Catania</strong>.<br />

A Siena già agli inizi del XIV sec. ebbe un posto preminen<strong>te</strong> l’oreficeria<br />

e gli orafi senesi giunsero in Francia, Spagna, Inghil<strong>te</strong>rra ecc. dove a contatto<br />

col gotico profusero la loro o<strong>per</strong>a. I loro reliquiari ebbero una<br />

carat<strong>te</strong>rizzazione così naturalistica da sembrare veri e propri ritratti come<br />

quello di Sant’Agata, il cui busto reliquiario fu realizzato in argento sbalzato,<br />

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oro, smalti e gemme. Il procedimento fu quello tradizionale di rivestire di<br />

placche metalliche un’anima di legno grossolanamen<strong>te</strong> sbozzata. La maggiore<br />

difficoltà si riscontrò <strong>nel</strong> procedimento di mar<strong>te</strong>llatura e cesellatura che<br />

richiese particolare destrezza.<br />

Sotto la scritta frontale del reliquiario è lo s<strong>te</strong>mma del papa francese<br />

Gregorio XI, con un campo d’argento diviso da una banda d’azzurro con sei<br />

rose rosse dispos<strong>te</strong> due più una <strong>nel</strong> campo a destra e tre in fila <strong>nel</strong> campo a<br />

sinistra. Sopra la scritta si trovano gli s<strong>te</strong>mmi di <strong>Catania</strong>, quello della casa<br />

reale d’Aragona con ai fianchi le aquile nere corona<strong>te</strong> in campo d’argento a<br />

ricordo della casata Sveva di Sicilia, in quanto Pietro d’Aragona aveva sposato<br />

Costanza, figlia di Manfredi, erede svevo.<br />

In questa raffigurazione Sant’Agata è affiancata da due Angeli, tiene con<br />

la mano destra una lunga croce in argento e smeraldi e con la sinistra una<br />

tavoletta con la famosa iscrizione dell’angelo.<br />

All’in<strong>te</strong>rno del Reliquiario, in una cavità della <strong>te</strong>sta, è riposto il <strong>te</strong>schio,<br />

mentre il busto, in realtà è un raffinato forziere, cavo all’in<strong>te</strong>rno ed in cui<br />

sono custodi<strong>te</strong> le reliquie della <strong>te</strong>sta, del costato e di alcuni organi in<strong>te</strong>rni,<br />

sos<strong>te</strong>nuto da una base cinquecen<strong>te</strong>sca che poggia su un fastoso piedistallo ad<br />

ottagono allargato, ove l’autore pose una lunga iscrizione di let<strong>te</strong>re gotiche su<br />

smalto azzurro ed è tagliato poco sotto la vita, con la mano destra tiene in<br />

mano una lunga croce in argento e smeraldi, mentre con la sinistra tiene una<br />

tavoletta con una famosa iscrizione latina.<br />

Poco sopra una serie di otto placche traslucide commentano le fasi<br />

storiche del reliquiario: le armi degli Aragona, regnanti di <strong>Catania</strong>, del Papa,<br />

dei 2 vescovi commit<strong>te</strong>nti Marziale (che commissionò l’o<strong>per</strong>a) ed Elia (che la<br />

fece completare <strong>nel</strong> 1376), inginocchiati <strong>nel</strong>l’atto di pregare la santa e le<br />

immagini di S. Ca<strong>te</strong>rina d’Alessandria e S. Lucia.<br />

73


La Fenice (simbolo emblematico della rinascita di <strong>Catania</strong> dalle proprie<br />

ceneri) ad ornamento di uno dei fiordalisi centrali (simbolo della resurrezione<br />

di Cristo) della preziosa corona posta sul capo della Patrona, è o<strong>per</strong>a di un<br />

orafo spagnolo o siciliano del XVI secolo, in oro, smalti e <strong>per</strong>le, risulta<br />

accuratamen<strong>te</strong> lavorata e ricavata da una <strong>per</strong>la “scaramazza”, cioè enorme,<br />

im<strong>per</strong>fetta, dai contorni bizzarri.<br />

Per prelevare Sant’Agata dal suo sacello, il 4 mattino di ogni anno, entra<br />

il capo vara con i suoi <strong>te</strong>cnici, il <strong>te</strong>soriere della Cat<strong>te</strong>drale, cioè il parroco della<br />

chiesa, il sindaco ed il cerimoniere della festa, comm. Luigi Maina.<br />

Essi hanno le chiavi della porticina della cameretta: aprono la prima<br />

porta, poi la seconda ed entrano <strong>nel</strong> segreto sacello, mentre il popolo rimane<br />

all’es<strong>te</strong>rno ad aspettare. Li dentro aprono la nicchia dove è custodito lo<br />

scrigno reliquiario ed il mezzo busto reliquiario della Santa, poi aprono una<br />

porta d’argento e tirano una <strong>te</strong>ndina in stoffa ed ecco, ai loro occhi, apparire<br />

improvvisamen<strong>te</strong> il candido volto di Sant’Agata.<br />

Il simulacro di Sant’Agata (che si trova <strong>nel</strong>la par<strong>te</strong> su<strong>per</strong>iore ed in basso<br />

lo scrigno) viene prelevato, gli vengono monta<strong>te</strong> le ali dei 2 angeli posti<br />

accanto alla Martire e lentamen<strong>te</strong> viene sceso su un piccolo elevatore,<br />

successivamen<strong>te</strong> vien fatto scorrere su binari in legno e Sant’Agata esce così<br />

dalla cameretta, accolta da tutti i suoi devoti che la aspettavano all’es<strong>te</strong>rno.<br />

Infine viene fatto scorrere sulla “varetta” a spalla, legato <strong>per</strong> non farlo<br />

cadere, tra il grande panico <strong>per</strong> con<strong>te</strong>ndersi un posticino sotto la “varetta” <strong>per</strong><br />

avere il privilegio di portare a spalla la Santa Patrona, che viene traslata<br />

lentamen<strong>te</strong> (<strong>per</strong> la grande calca) sull’altare maggiore.<br />

Subito dopo viene fatto scorrere sui binari anche lo scrigno argen<strong>te</strong>o<br />

che esce dalla cameretta e trasferito sulla sua “varetta” a spalla.<br />

74


Le por<strong>te</strong> della cameretta vengono subito richiuse <strong>per</strong>ché è vietato l’accesso al<br />

resto del popolo e le o<strong>per</strong>e artistiche d’immenso valore, tra cui vari affreschi e<br />

<strong>te</strong>sori, sono alla vista delle pochissime <strong>per</strong>sone che hanno il privilegio di<br />

entrarvi. In questa sezione sono evidenziati i primi passi della chiesa catanese,<br />

con <strong>te</strong>stimonianze soprattutto epigrafiche della graduale cristianizzazione<br />

della città, che prese le sue mosse, come a Roma, all’in<strong>te</strong>rno dell’importan<strong>te</strong><br />

comunità ebraica. Fra tut<strong>te</strong> brilla l’iscrizione di Iulia Florentia che torna a<br />

<strong>Catania</strong> dopo secoli, <strong>nel</strong> cui <strong>te</strong>sto inciso si parla di questa bimba nata pagana,<br />

divenuta fedele, morta a soli 18 mesi.<br />

LO SCRIGNO<br />

IL VECCHIO<br />

IL NUOVO<br />

Le casse che, fin dai <strong>te</strong>mpi del vescovo Maurizio, hanno custodito le<br />

Reliquie. La prima era fu quella apprestata in fretta dallo s<strong>te</strong>sso Vescovo <strong>per</strong><br />

il trasporto da Aci Cas<strong>te</strong>llo a <strong>Catania</strong>, era di legno rivestito al suo in<strong>te</strong>rno di<br />

stoffa di seta, tal da formare sfondo al ricchissimo e prezioso lavoro d’argento<br />

filigranato, entro cui furono custodi<strong>te</strong> le Reliquie <strong>per</strong> oltre 5 secoli.<br />

Oggi si conserva <strong>nel</strong>la Chiesa di Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re e dovet<strong>te</strong> ben<br />

presto essere sostituita da una cassa più decorosa d’argento, fatta costruire<br />

dallo s<strong>te</strong>sso Maurizio, al ritorno delle Reliquie in città, l’esis<strong>te</strong>nza della cassa<br />

viene assicurata dal documento del 1266 e confermata da quello del 1366.<br />

75


Questa seconda cassa ai <strong>te</strong>mpi del Vescovo Marziale ed ancor prima,<br />

era collocata <strong>nel</strong>l’antica sacrestia, presso l’ala sinistra della chiesa, ove adesso<br />

sorge la cappella della Madonna, in prossimità dell’antico monas<strong>te</strong>ro<br />

benedettino, custode della chiesa.<br />

La <strong>te</strong>rza cassa è il famoso scrigno, mirabile o<strong>per</strong>a d’ar<strong>te</strong> della seconda<br />

metà del secolo XV, all’in<strong>te</strong>rno del quale trovarono posto par<strong>te</strong> dei<br />

documenti, mentre la restan<strong>te</strong> par<strong>te</strong> fu conservata <strong>nel</strong>la seconda vecchia cassa.<br />

Siamo <strong>nel</strong> 1366 agli albori del Rinascimento quando una nuova luce<br />

s’irradia sulla sor<strong>te</strong> del culto agatino ed il grande Vescovo Marziale affida<br />

all’orafo senese Giovanni Di Bartolo l’incarico di eseguire i reliquiari, il<br />

mezzo busto della Patrona, quindi, lo scrigno, mentre la cameretta si<br />

arricchisce di affreschi con le effigi di Gisliberto e Goselmo ed il patrizio<br />

Alvaro Pa<strong>te</strong>rnò istituisce grandi fes<strong>te</strong> <strong>nel</strong> mese di agosto, in ricordo della<br />

traslazione. Dal 1376 il cranio ed il torace di Sant’Agata sono conservati<br />

all’in<strong>te</strong>rno del busto reliquiario.<br />

Il 28 gennaio1463, il fra<strong>te</strong> minore Cardinale Giuliano della Rovere, futuro<br />

Papa Giulio Il, (acerrimo nemico dei Borgia ) venne nominato da Sisto IV<br />

(colui che diede il nome alla Cappella Sistina), Vescovo di <strong>Catania</strong> (resse 8<br />

vescovati), ma non verrà mai <strong>nel</strong>la diocesi catanese, tuttavia darà inizio alla<br />

costruzione dello scrigno (lungo metri 1,5) <strong>per</strong> reliquie di Sant’Agata.<br />

In quegli anni sale al trono Ferdinando D’Aragona (detto il Cattolico), Re<br />

di Sicilia, colui che fondò la celeberrima Università di <strong>Catania</strong>, la 1^ in Sicilia.<br />

Anticamen<strong>te</strong> alla presenza di Mons. Giacomo Celano, vicario e vice<br />

cancelliere dell’Almo Studio di <strong>Catania</strong>, si <strong>te</strong>nne una adunanza collegiale in<br />

numero di 25, in cui si stabilì che, <strong>nel</strong> futuro ed una volta l’anno, quando<br />

qualcuno avesse conseguito la laurea, avrebbe dovuto rilasciare <strong>nel</strong> medesimo<br />

Collegio metà del diritto spettan<strong>te</strong>, <strong>per</strong> l’o<strong>per</strong>a dello scrigno di Sant’Agata.<br />

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Il nuovo scrigno, o arca, risale al 1512, è in stile gotico, alla cui costruzione<br />

contribuì il nobile don Alvaro Pa<strong>te</strong>rnò con 100.000 onze, risulta più grande<br />

del preceden<strong>te</strong> in legno soltanto come volumetria ed è foderato di velluto<br />

trinato d’oro, l’es<strong>te</strong>rno d’argento filigranato e cesellato, con statuine dispos<strong>te</strong><br />

a giro in 2 ordini. Per la sua costruzione furono raccolti oggetti d’argento <strong>per</strong><br />

più di 100 anni e prelevati alcuni gioielli alla Santa, chiamati <strong>nel</strong> 1486 dalla<br />

“Donazione Pa<strong>te</strong>rnò” a collaborare 6 celebri argentieri:, il maestro Filippo di<br />

Mauro, il catanese Antonio La Nuara, Nicolò Lattari, Vincenzo Archifel,<br />

Antonio Archifel, Paolo Guarna, il quale fra il 1556 ed il 1579 rifinì, assieme<br />

agli orafi Vincenzo ed Antonio Archifel, anche il co<strong>per</strong>chio, mentre le<br />

rifiniture della cassa erano sta<strong>te</strong> realizza<strong>te</strong> fra il 1490 ed 1492.<br />

Nel 1494 presso il Cas<strong>te</strong>llo Ursino muore il viceré di Sicilia don<br />

Ferdinando de Acuña e viene sepolto in Cat<strong>te</strong>drale, <strong>nel</strong>la cappella di<br />

Sant’Agata. Il 19 aprile 1501 viene nominato vescovo Giacomo Ramirez De<br />

Guzman ed insieme al patrizio della città Alvaro Pa<strong>te</strong>rnò, compie una<br />

ricognizione delle reliquie, prima di riporle all’in<strong>te</strong>rno del nuovo scrigno.<br />

Lo scrigno non viene mai traslato sull’altare maggiore, ma soltanto le<br />

reliquie al suo in<strong>te</strong>rno il giorno dell’ottava della festa, il 12 febbraio, e il 17<br />

agosto, giorno dell’anniversario della traslazione delle sacre reliquie da<br />

Costantinopoli a <strong>Catania</strong>. La controbase d’argento, finemen<strong>te</strong> cesellata con<br />

angioletti a forma di cariatidi, fu realizzata <strong>nel</strong> sec. XVI <strong>per</strong> rendere il<br />

mezzobusto dentro il fercolo più visibile duran<strong>te</strong> la processione. Nel 1741 lo<br />

scrigno fu restaurato da argentieri catanesi, i quali rifecero par<strong>te</strong> dei pilastrini<br />

e le decorazioni degli archi ogivali della par<strong>te</strong> alta della cassa, mentre <strong>nel</strong> 1888<br />

l’orafo catanese Francesco Bianco Motta ripulì la decorazione della cassa.<br />

I RELIQUIARI<br />

77


Notizie incer<strong>te</strong> riferiscono dell’esis<strong>te</strong>nza a <strong>Catania</strong>, nei primi anni del XV<br />

secolo, d’un Consolato degli argentieri che s’ispirassero a Giovanni di<br />

Bartolo, orafo di Limoges, ma le custodie non videro la luce tut<strong>te</strong> <strong>nel</strong><br />

medesimo <strong>per</strong>iodo.<br />

I più antichi Reliquiari furono i 2 “femori” (fine 300), poi quello “a busto”<br />

(del 1376), i 2 Reliquiari “a gamba” con i piedi, 2 quelli “a braccio” con le<br />

mani (del 1487).<br />

Attraverso il vetro dei reliquiari della mano destra e del piede destro si<br />

possono scorgere i <strong>te</strong>ssuti del corpo della Patrona ancora miracolosamen<strong>te</strong><br />

intatti. I set<strong>te</strong> Reliquiari sono in argento massiccio dorato, sbalzato e<br />

cesellato, descritti negli inventari degli anni: dal 1473 al 1743 e dal 1743 1915.<br />

Il settimo è l’os<strong>te</strong>nsorio, che il Vescovo Innocenzo Massimo (<strong>Catania</strong><br />

1633) fece giungere da Milano una mammella di cristallo e fece realizzare a<br />

sue spese la serratura e l’orlo in oro, un piede in argento lavorato, con due<br />

angeli d’argento che sos<strong>te</strong>ngono la mammella di Sant’Agata.<br />

Il Reliquiario “a fiala” è del 1628 ed è più legato alle vicissitudini della lava<br />

e reca sulla base gradinata trapezoidale una decorazione da specchiature con<br />

motivi “rocailles” (rococò), chiuse da un co<strong>per</strong>chio sormontato da un<br />

angioletto, più recen<strong>te</strong>men<strong>te</strong> realizzato dal maestro argentiere Gioacchino<br />

Basile <strong>per</strong> volere dell’arcivescovo Giuseppe Francica Nava (1895-1928), su<br />

disegno di Salvatore Sciuto Patti, lo s<strong>te</strong>sso che realizzò la torre campanaria.<br />

Attraverso il vetro delle <strong>te</strong>che, che pro<strong>te</strong>gge ma non nasconde, duran<strong>te</strong> la<br />

festa di Sant’Agata si può vedere il miracoloso velo, una striscia di seta rosso<br />

cupo, lunga 4 metri e alta 50 centimetri, che le ricognizioni garantiscono<br />

ancora morbida, come se fosse stata <strong>te</strong>ssuta di recen<strong>te</strong>.<br />

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Secondo il poemetto di don Pietro Carrera era chiamato “La Grimpa”,<br />

dall’antico nome del velo, così chiamato dai greci, <strong>per</strong>chè significava il<br />

mostrarsi sempre piegato.<br />

Altri reliquiari, infine, si trovano a Gallipoli presso la Chiesa di Sant’Agata<br />

(pro<strong>te</strong>ttrice anche della città pugliese), del sangue (<strong>te</strong>ca d’argento, scuola<br />

napoletana del XIX sec., dono del Vescovo Gervasio), della Mammella (<strong>te</strong>ca<br />

in argento e cristallo di rocca) e di un frammento del braccio (scuola<br />

napoletana, dono del Vescovo M. Giove del 1845), unitamen<strong>te</strong> ad una<br />

scultura della Martire catanese in argento massiccio, mentre una reliquia si<br />

trova presso la Corporazione degli orefici a Napoli <strong>nel</strong> sec. XVII.<br />

IL CARRO TRIONFALE<br />

Prima del 1376, poiché non esis<strong>te</strong>va un simulacro di Sant’Agata, le<br />

reliquie si veneravano in chiesa con sporadiche fes<strong>te</strong>, poi venivano adagia<strong>te</strong> su<br />

una vara in legno dorato (forma cambiata ogni 5 anni) e trasporta<strong>te</strong> a spalla<br />

dagli ignudi che in processione andavano a petto nudo e scalzi.<br />

Dopo la bara in legno i catanesi costruirono l’arca o “Carro Trionfale”<br />

in legno ed in stile barocco che, <strong>per</strong> ben 12 anni rappresentò l’espressione<br />

massima della festa del patrocinio d’agosto, la cui ultima uscita si fa risalire al<br />

17 agosto 1872.<br />

79


L’arca era un carro artistico di no<strong>te</strong>voli dimensioni trainato da sei buoi,<br />

su cui prendevano posto l’orchestra ed i cantanti, mentre <strong>nel</strong>l’ultima par<strong>te</strong> dei<br />

suoi ordini si erigeva una colonna, sulla quale, attorniata da figure angeliche,<br />

svettava un simulacro di Sant’Agata, a rappresentare la traslazione da<br />

Costantinopoli, sulle cos<strong>te</strong> catanesi, delle Reliquie della Santa <strong>nel</strong>l’agosto del<br />

1126, epoca a cui si fa risalire anche l’uso del “sacco bianco”.<br />

Sarà in epoca barocca, che nasceranno i fercoli che conosciamo oggi,<br />

delle vere e proprie o<strong>per</strong>e d’ar<strong>te</strong>, arricchi<strong>te</strong> con gioielli, argento e legno, come<br />

quello di Sant’Agata, da cui furono poi ispirati vari artisti che su quel modello<br />

idearono fercoli che trasportano i Santi di quasi tutta la diocesi catanese.<br />

STORIA DEL FERCOLO<br />

Il <strong>te</strong>rmine “fercolo” deriva dal latino “Fero Cultum”: portare in<br />

processione l’immagine degli Dei <strong>per</strong> il culto, usanza risalen<strong>te</strong> già al <strong>te</strong>mpo<br />

degli antichi greci.<br />

La ragione che diede origine al fercolo fu quella di rendere agevole il<br />

trasporto del busto reliquiario e dello scrigno di Sant’Agata <strong>per</strong> le vie della<br />

città, duran<strong>te</strong> la festa, ma anche una esigenza di gusto, cioè il voler inquadrare<br />

in una cornice armonica le più antiche e preziose o<strong>per</strong>e della città di <strong>Catania</strong>.<br />

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Secondo una “Cronaca Siciliana” del XVI secolo del notaio Antonio<br />

Merlino, le reliquie di Sant’Agata venivano porta<strong>te</strong> su una bara in legno<br />

dorato, a spalla dagli ignudi, cioè devoti scalzi, la processione si avviava dalla<br />

Porta di Ferro, snodandosi a sera <strong>per</strong> la Porta dei Canali, passava dal Cas<strong>te</strong>llo<br />

Ursino e vi entrava, <strong>nel</strong> solo giro es<strong>te</strong>rno delle antiche mura.<br />

Nel 1514 cominciò la costruzione del nuovo fercolo in puro stile<br />

rinascimentale (m. 2,75 x 1,46) e decorazioni in arabesco, poiché il preceden<strong>te</strong><br />

era andato distrutto e fu affidata a Vincenzo Archifel orafo e maestro<br />

argentiere napoletano (a <strong>Catania</strong> dal 1486 al 1533), il quale ideò questo<br />

stupendo lavoro artistico, realizzato a spese del vescovo di <strong>Catania</strong> Nicola<br />

Maria Caracciolo, ma completato poi dai catanesi Paolo, Giuseppe e<br />

Giacomo Aversa <strong>nel</strong> 1638, che vi inserirono le 6 colonne di finissimo intaglio<br />

corinzio, median<strong>te</strong> fusione di due candelabri d’argento purissimo, che fanno<br />

d’appoggio alla co<strong>per</strong>tura argen<strong>te</strong>a a scaglie ricama<strong>te</strong> da foglie di acanto e<br />

fiorami ed ornata con le statue in argento massiccio dei 12 apostoli, al<strong>te</strong> 1,5<br />

palmi, fat<strong>te</strong> realizzare a sue spese dal vescovo Giovanni Corrionero, <strong>per</strong> un<br />

peso complessivo del solo argento di libbre 711, once 10 e quarti 3, dove una<br />

libbra romana corrispondeva a 453,6 gr., mentre una oncia è 1/16 d’oncia.<br />

I festoni mobili <strong>nel</strong> 1743 furono raddoppiati, mentre i vasi portafiori<br />

allineati alla base furono aggiunti man mano nei secoli.<br />

Il fercolo procedeva a strappo, in quanto non aveva ruo<strong>te</strong>, bensì<br />

mezzelune in ferro che strisciavano sul lastricato, tuttavia, l’in<strong>te</strong>nsità della<br />

fede era tale da essere messa duramen<strong>te</strong> alla prova, soprattutto <strong>nel</strong>le sali<strong>te</strong>.<br />

Nel 1515 venne nominato vescovo Gaspare Pau, mentre il 4 febbraio<br />

1519, sotto il regno di Carlo V, il nuovo fercolo, nato dall’amore dei catanesi<br />

<strong>per</strong> Sant’Agata e dalla deputazione dipenden<strong>te</strong> dal municipio, composta dal<br />

Priore e dal Tesoriere della Cat<strong>te</strong>drale, dal Patrizio (Sindaco), dai 4 Giurati<br />

81


(assessori), che lo coadiuvavano e da 2 <strong>per</strong>iti artistici, fu inaugurato e <strong>per</strong> la<br />

prima volta uscì il 4 febbraio 1519, mentre <strong>nel</strong> 1554 venne donato alla città di<br />

Troina <strong>per</strong> servirsene <strong>nel</strong> giro della statua di S. Silvestro, monaco di San<br />

Michele, devotissimo in vita di Sant’Agata e <strong>nel</strong> medesimo anno fu costruito<br />

il nuovo fercolo.<br />

Nel 1610 il Patriarca mons. Bonaventura Secusio, Vescovo di <strong>Catania</strong>,<br />

volle decorarlo, a proprie spese, con 20 lampade di finissimo argento, mentre<br />

<strong>nel</strong> 1638 il senato di <strong>Catania</strong> vi volle aggiungere, a spese di alcuni devoti, 22<br />

lame di argento, scolpi<strong>te</strong> a bassorilievo con il martirio e la traslazione di<br />

Sant’Agata, col nome del donatore in ciascuna di esse.<br />

Il 19 set<strong>te</strong>mbre del 1628 all’orefice Antonio Citarella fu affidata la<br />

lavorazione di un pomo d’argento, come una grossa arancia, <strong>per</strong> il fercolo,<br />

mentre allo scultore ed incisore Aurelio Mistrazzi di Udine furono<br />

commissiona<strong>te</strong> le nuove formelle argen<strong>te</strong>e (<strong>te</strong>cnica a sbalzo) con scene della<br />

vita di Sant’Agata.<br />

Nel 1638 il Senato di <strong>Catania</strong> vi volle aggiungere, a spese di alcuni<br />

devoti ventidue lame di argento, scolpi<strong>te</strong> a bassorilievo con il martirio e la<br />

traslazione di Sant’Agata, col nome del donatore in ciascuna di esse.<br />

Di questo fercolo si trovano due descrizioni, l’una fatta <strong>nel</strong> 1641,<br />

riguardan<strong>te</strong> le 22 piastre incise a bassorilievo, l’altra dal Duca di Carcaci <strong>nel</strong><br />

1847, con la misura di tutti i pezzi componenti l’artistico capolavoro.<br />

A giudizio di tutti gli storici e dei più valenti incisori, era ri<strong>te</strong>nuto come<br />

un monumento sacro di gran pregio, il cui lavoro d’intaglio vinceva di gran<br />

lunga quello del purissimo argento in par<strong>te</strong> dorato.<br />

Col <strong>te</strong>rremoto del 1693 l’assetto urbanistico mutò radicalmen<strong>te</strong>,<br />

rimanendo pochissimo della vecchia città, <strong>per</strong> cui, il fercolo tracciò le linee<br />

<strong>per</strong> la ricostruzione, creando così un comodo <strong>per</strong>corso <strong>per</strong> la processione.<br />

82


Nel 1712 fu stabilita la suddivisione dei giri (in<strong>te</strong>rno ed es<strong>te</strong>rno) il 4 e il<br />

5 febbraio, toccando tutti i quartieri della città, tuttavia, <strong>nel</strong> <strong>te</strong>mpo i giri<br />

subirono delle in<strong>te</strong>rruzioni, <strong>per</strong> via di <strong>te</strong>rremoti ed eruzioni: le lave del 1669<br />

avevano modificato la riva del mare e la topografia della città, <strong>per</strong> cui, sulle<br />

lave che lambirono Cas<strong>te</strong>llo Ursino fu tracciata la strada del Gallazzo,<br />

divenuta poi via Della Vittoria, quindi, via Plebiscito.<br />

Nel mese di febbraio del 1735 Guglielmo Scammacca, con l’in<strong>te</strong>nto di<br />

far pulire e biancheggiare il fercolo della Santa Patrona, se lo fece portare a<br />

casa propria, affidandolo a due argentieri Ottavio Manduca e Bartolomeo<br />

Bartolotta che, in sua presenza, effettuarono la pesatura di tutto l’argento di<br />

cui esso si componeva: in tutto cantara 2 (cantaro: 65 kg.) e 84 rotoli (rotolo<br />

misura araba Regno delle due Sicilie (453,60 gr.), ancora in uso a Malta.<br />

Ecco dunque che la “Vara” di sant’Agata, uno stupendo fercolo firmato<br />

Gianbattista Vaccarini, tutto e solo di pesantissimo argento, decorato con<br />

delfini in rilievo (simbolo della città di mare), illuminato da una pioggia di<br />

lampade dal sapore orientale, issato su una slitta quasi magica (inventata dal<br />

suo ar<strong>te</strong>fice <strong>per</strong> meglio scivolare sulle “basole” di pietra lavica) che si alza,<br />

gira su se s<strong>te</strong>ssa e si abbassa <strong>per</strong> abbordare angoli e crocicchi stradali.<br />

Eccolo dunque andarsene in giro <strong>per</strong> tutta la not<strong>te</strong> e oltre, <strong>nel</strong> mattino<br />

del giorno dopo, assolutamen<strong>te</strong> indifferen<strong>te</strong> ai <strong>te</strong>mpi, alle regole ed ai riti della<br />

liturgia, spinto e sospinto da picciotti deliranti intorno al mezzo busto nudo<br />

della santa, completo delle mammelle che il centurione Quinziano le aveva<br />

fatto strappare <strong>per</strong> costringerla alle nozze.<br />

MECCANICA DEL FERCOLO<br />

La prima vera rivoluzione avvenne <strong>nel</strong> 1929 con la meccanizzazione,<br />

infatti, fino a quell’anno il fercolo, trainato dai fedeli, veniva fatto scivolare<br />

83


su grossi zamponi a mezzaluna in legno, rico<strong>per</strong>ti <strong>nel</strong>la par<strong>te</strong> inferiore da<br />

lamiere d’acciaio, fissa<strong>te</strong> con grossi chiodi con le <strong>te</strong>s<strong>te</strong> sporgenti, sis<strong>te</strong>ma<br />

primitivo e <strong>per</strong>icoloso <strong>per</strong> via del lungo tragitto da dover <strong>per</strong>correre.<br />

Progettista del carro meccanico che regge il fercolo fu l’ing. Igino Baeri,<br />

capo servizi industriali dell’ufficio <strong>te</strong>cnico comunale e direttore dell’azienda<br />

autonoma comunale del gas, il quale, essendo presen<strong>te</strong> ad una discussione tra<br />

l’ing. Raffaele Leone costruttore della Cat<strong>te</strong>drale e l’ing. Mastrogiacomo, capo<br />

ufficio <strong>te</strong>cnico comunale, con cui si poneva sul tappeto la questione di<br />

rinnovare l’antico carro, si fece avanti <strong>per</strong> proporre una sua soluzione che<br />

avrebbe risposto alle esigenze inderogabili dei cittadini ed alla loro incolumità.<br />

Il Boeri si mise all’o<strong>per</strong>a e realizzò l’attuale congegno che consis<strong>te</strong> in un<br />

carro poggian<strong>te</strong> su 4 piedi, ognuno dei quali è provvisto di un <strong>te</strong>laio con 2<br />

rulli gommati a gomme piene del diametro es<strong>te</strong>rno di 30 cm. e larghe 20.<br />

Tutto il carro (vuoto pesa circa 17 quintali, appesantito poi dal Busto<br />

della Santa, dallo Scrigno e dalla cera, può arrivare a pesare anche 30 quintali),<br />

viene così ad essere portato da 8 rulli (provvisti di dispositivo automatico di<br />

bloccaggio ad arpionismo) che rotolano sulla strada. Per la sicurezza è<br />

provvisto di 4 freni indipendenti a tamburo a ganasce ed a comando<br />

simultaneo, con 2 posti di frenatura occupati da 2 conducenti addetti alla<br />

condotta ed alla sicurezza soprattutto <strong>nel</strong>le sali<strong>te</strong> e <strong>per</strong> evitare un ritorno<br />

improvviso indietro in seguito ad eventuale arresto del carro.<br />

Nel caso assai difficile che i freni in discesa non dovessero funzionare, è<br />

previsto analogo dispositivo <strong>per</strong> bloccare tutti i rulli e fermare<br />

istantaneamen<strong>te</strong> il carro. Su<strong>per</strong>iormen<strong>te</strong> ed orizzontalmen<strong>te</strong> il carro porta un<br />

<strong>te</strong>laio mobile in ferro , <strong>te</strong>nuto in asse con un <strong>per</strong>no centrale ad asse verticale,<br />

su tale asse viene poi ad essere posato e bloccato il fercolo.<br />

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Fra il carro portan<strong>te</strong> ed il <strong>te</strong>laio sono collocati 4 cuscinetti a rulli, di<br />

sos<strong>te</strong>gno al <strong>te</strong>laio mobile e girevoli su cuscinetti a sfere, <strong>per</strong> cui, è consentita<br />

la tradizionale “annacata” del carro, <strong>per</strong>ò compensata da balestre in acciaio ,<br />

le cui oscillazioni sono smorzabili a mezzo di ammortizzatore ad olio e<br />

pun<strong>te</strong>rie registrabili di arresto. Tale libertà di movimento serve, altresì, <strong>per</strong><br />

moderare le accelerazioni in curva , facendo crescere gradualmen<strong>te</strong> le spin<strong>te</strong><br />

orizzontali at<strong>te</strong> a creare il movimento torcen<strong>te</strong> <strong>per</strong> facilitare la marcia del<br />

carro <strong>nel</strong>le curve stradali.<br />

In tal modo, gli uomini di servizio al <strong>te</strong>laio, vengono ad assumere<br />

funzione di vera e propria guida del movimento, il quale viene ad essere<br />

prevalen<strong>te</strong>men<strong>te</strong> alimentato dallo sforzo di trazione delle funi, che è di gran<br />

lunga ridotto <strong>nel</strong> nuovo dispositivo, sì da po<strong>te</strong>r acconsentire che, con un lieve<br />

movimento della squadra al servizio del <strong>te</strong>laio, possa trasportarsi il fercolo<br />

anche indipenden<strong>te</strong>men<strong>te</strong> dalle funi s<strong>te</strong>sse.<br />

Infatti, mentre <strong>per</strong> la vecchia struttura dell’antico carro ad attrito<br />

raden<strong>te</strong>, occorreva uno sforzo di circa 2000 chili in piano, adesso con la<br />

nuova struttura bastano circa 450 chili di sforzo di trazione, <strong>per</strong> man<strong>te</strong>nere in<br />

movimento il carro, vale a dire meno di un quarto del preceden<strong>te</strong>.<br />

L’originalità della nuova costruzione consis<strong>te</strong> in special modo <strong>nel</strong>l’essere<br />

il carro munito di un apposito martinetto centrale che consen<strong>te</strong> il<br />

sollevamento da <strong>te</strong>rra di tutto il complesso e la sua rotazione totale in<br />

<strong>per</strong>fetto equilibrio, in modo che, con una facile e breve manovra il carro può<br />

invertire direzione di movimento o deviarla anche <strong>per</strong> un angolo molto acuto.<br />

Sulle strade di città, la manovra del carro, in curva senza martinetto si<br />

compie con facilità, nonostan<strong>te</strong> il peso di oltre 8 ton<strong>nel</strong>la<strong>te</strong>, mentre quando<br />

trattasi di dover farlo ruotare <strong>per</strong> angoli di strade molto acuti, con l’uso del<br />

martinetto, è sufficien<strong>te</strong> la forza di una sola mano.<br />

85


Dalla par<strong>te</strong> an<strong>te</strong>riore al centro, il carro è anche provvisto di un gancio di<br />

trazione a balestra flessibile, mentre il baiardo in legno duro, infine, è la base<br />

portan<strong>te</strong> del fercolo, for<strong>te</strong> come l’omonimo cavallo del leggendario Rinaldo<br />

paladino realizzato da artigiani catanesi che avevano già mostrato la loro<br />

<strong>per</strong>izia anche <strong>nel</strong>le candelore.<br />

Nel 1944, il comitato delle fes<strong>te</strong>, fra cui il sovrin<strong>te</strong>nden<strong>te</strong> ai monumenti,<br />

archi<strong>te</strong>tto Dillon, non trovando più i piani originali distrutti <strong>nel</strong>l’incendio<br />

dell’archivio del 1944, si rivolse al medesimo progettista ing. Baeri, il quale<br />

ricorse alle s<strong>te</strong>sse officine Patanè, allora ancora esis<strong>te</strong>nti e con la spesa di 3<br />

milioni di lire, di cui uno <strong>per</strong> la par<strong>te</strong> meccanica, mise in funzione il carro.<br />

Il fercolo <strong>nel</strong> <strong>te</strong>mpo è stato al centro di due gravi episodi, il primo è<br />

legato al furto del 1890, ad o<strong>per</strong>a di audaci ladri che lo depredarono di tutti gli<br />

ornamenti mobili e delle dodici statuine raffiguranti gli apostoli, mentre il<br />

secondo è connesso alla seconda guerra mondiale, infatti, il 17 aprile del 1943<br />

una bomba centrò il deposito dov’era custodito, distruggendolo.<br />

Nel 1947 fu rifatta l’ossatura, su disegno della Sovrin<strong>te</strong>ndenza ai<br />

Monumenti <strong>per</strong> la Sicilia Orientale e ad o<strong>per</strong>a della falegnameria del Comune,<br />

sotto la direzione del geometra Giacomo Tropea, mentre le parti in argento<br />

furono affida<strong>te</strong> a Giovanni Freni, quelle in ottone al comm. Antonino Costa<br />

(entrambi catanesi), il rifacimento delle formelle che raccontano il martirio di<br />

Sant’Agata fu affidato ad Aurelio Mistruzzi, incisore pontificio. Oggi il<br />

fercolo viene tirato a piccoli passi da circa 5000 cittadini trami<strong>te</strong> 2 cordoni in<br />

spessa canapa (300 metri) allacciati al fercolo, al cui capo sono collega<strong>te</strong> 4<br />

maniglie. Oltre all’arcivescovo (o suo sostituto), sul fercolo stanno altre<br />

<strong>per</strong>sone, fra cui il <strong>te</strong>soriere (anticamen<strong>te</strong> in cappa e stola) ritto sul lato destro<br />

ad incitare col gesto a tirare, mentre dal lato opposto sta il maestro di vara, in<br />

86


camice bianco, agitando a tratti una campa<strong>nel</strong>la, il quale, duran<strong>te</strong> le sos<strong>te</strong><br />

riceve i ceri offerti dai fedeli, che vengono accesi dietro al fercolo.<br />

L’addobbo floreale, infine, è costituito da mazzi di garofani sis<strong>te</strong>mati in<br />

vasi disposti in sequenza fra le colonne. La scelta del colore dei garofani nei<br />

due diversi giorni della festa, rispetta una precisa simbologia: il garofano rosa<br />

che costituisce l’addobbo del giorno quattro, rappresenta il simbolo della<br />

passione, del martirio, del misticismo di Agata, quello bianco, invece<br />

simboleggia <strong>nel</strong> giorno del martirio, la fede, il candore, la purezza del<br />

principio di rimanere, fino al supplizio, Vergine consacrata a Dio.<br />

I DANNEGGIAMENTI DEL FERCOLO<br />

A distanza di alcuni decenni si verificò un inciden<strong>te</strong>. La cronaca<br />

dell’epoca riferisce che <strong>nel</strong>la processione del 1553 la vara cadde a <strong>te</strong>rra,<br />

fracassandosi. Le o<strong>per</strong>e di sis<strong>te</strong>mazione e rifacimento furono esegui<strong>te</strong> dal<br />

Vescovo Nicola Maria Caracciolo. Il fercolo fu danneggiato una seconda<br />

volta dal furto sco<strong>per</strong>to <strong>nel</strong> 1891, il quale recò danni molto più considerevoli<br />

rispetto a quelli relativi al bombardamento del 17 aprile 1943. Venne<br />

in<strong>te</strong>ramen<strong>te</strong> spogliato di tutti gli ornamenti mobili ed asportati tutti quei pezzi<br />

che facilmen<strong>te</strong> cedet<strong>te</strong>ro al furto sacrilego, ed esattamen<strong>te</strong>:<br />

Nel 1890 la vara fu spogliata delle 12 statue degli apostoli, dei festoni, degli<br />

in<strong>te</strong>rcolunni, della specchiatura di sfondo, dei 2 lacunari che portavano in<br />

rilievo le effigie del Padre E<strong>te</strong>rno e dello Spirito Santo, delle 6 colonne<br />

archi<strong>te</strong>ttoniche, tre vennero completamen<strong>te</strong> spoglia<strong>te</strong> delle parti argen<strong>te</strong>e,<br />

mentre le rimanenti 3 vennero spoglia<strong>te</strong> solo della par<strong>te</strong> scanalata del fusto; fu<br />

asportata la croce con palma e corona che stava sulla sommità; i festoni tra gli<br />

in<strong>te</strong>rcolunni; le 20 lampade; le due targhe iscrit<strong>te</strong> che stavano sulle due fronti;<br />

le cornici che completavano la decorazione della base, di tutti gli ornamenti e<br />

87


di tutto l’argento, strappato facilmen<strong>te</strong>. Tutto ciò senza contare i danni<br />

causati dallo strappo violento.<br />

Nel 1991 non uscì il fercolo, ma soltanto le reliquie porta<strong>te</strong> a spalla dai<br />

fedeli, ciò voluto dall’Arcivescovo Bommarito <strong>per</strong> un atto peni<strong>te</strong>nziale, causa<br />

Guerra del Golfo. La situazione più disastrosa si ebbe con lo scoppio delle<br />

bombe che provocarono lo scardinamento dell’ossatura lignea che lo<br />

sos<strong>te</strong>neva e la <strong>per</strong>dita di alcune formelle della base, producendo un danno<br />

su<strong>per</strong>iore a quello del furto avvenuto <strong>nel</strong> 1890. Le formelle con le scene del<br />

martirio e dei miracoli della Patrona erano 22: 12 grandi e 10 piccole. Delle<br />

grandi ne furono recu<strong>per</strong>a<strong>te</strong> 7, delle piccole, 5, il problema maggiore fu<br />

ricomporre la sequenza delle scene, cioè sa<strong>per</strong>e con cer<strong>te</strong>zza quali episodi<br />

erano stati rappresentati <strong>nel</strong>le formelle mancanti, <strong>per</strong> tale motivo ci si riferì ai<br />

cicli figurati sugli stalli corali del Duomo.<br />

INCIDENTI CHE HANNO COINVOLTO Il BUSTO<br />

Il primo inciden<strong>te</strong> avvenne presso il Cas<strong>te</strong>llo Ursino, allorquando il<br />

busto di Sant’Agata, <strong>per</strong> leggerezza dei cosiddetti “vastasi”, i quali, <strong>nel</strong> voler<br />

portare a spalla il fercolo, <strong>per</strong> il breve tratto dal maniero alla strada, <strong>per</strong>sero<br />

l’equilibrio e scaraventarono a <strong>te</strong>rra il busto della Santa Patrona, <strong>per</strong> fortuna o<br />

<strong>per</strong> miracolo, i danno furono lievi.<br />

Un’altra volta il busto cadde dall’altare centrale, <strong>per</strong>ché si erano<br />

spezza<strong>te</strong> le corde dell’ascensore del <strong>te</strong>mpietto, ma anche allora i danni furono<br />

di lieve entità. Anche pochi anni fa il busto traballò, ma non cadde, <strong>per</strong>chè<br />

era stato saldamen<strong>te</strong> ancorato al fercolo. In quella occasione, tuttavia, il capo<br />

vara Angelo Mazzeo si fratturò alcune costole e dopo pochi mesi morì.<br />

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LE RICOGNIZIONI SUI RESTI DI SANT’AGATA<br />

Fino al 1501 non esistono documenti da cui risulti che il corpo della<br />

Vergine Agata sia stato visitato da altri vescovi, quindi, trascorsi 296 anni e tre<br />

mesi, è straordinario il fatto che sia stato ritrovato <strong>per</strong>fettamen<strong>te</strong> in<strong>te</strong>gro.<br />

E cresce ancor più la meraviglia, sapendo che <strong>nel</strong> 1126 quel corpo,<br />

nonostan<strong>te</strong>, duran<strong>te</strong> il trasporto da Bisanzio a <strong>Catania</strong>, allo scopo di rimanere<br />

occulto, Gisliberto e Goselmo (i due soldati della guardia im<strong>per</strong>iale bizantina),<br />

lo avessero sezionato, fosse rimasto <strong>per</strong>fettamen<strong>te</strong> in<strong>te</strong>gro ed incorrotto,<br />

essendo già trascorsi 15 secoli e 43 anni dal 5 febbraio 251, giorno del<br />

martirio della Patrona. Nel corso dei secoli sui resti di Sant’Agata sono sta<strong>te</strong><br />

compiu<strong>te</strong> varie ricognizioni, a partire dal 19 luglio del 1797, allorquando<br />

Corrado Deodati Moncada, allora vescovo di <strong>Catania</strong>, ordinò l’a<strong>per</strong>tura<br />

dell’orifizio al vertice della <strong>te</strong>sta del sacro busto.<br />

A quel punto si rinvenne il capo ancora in<strong>te</strong>gro con gli occhi chiusi ed<br />

in<strong>te</strong>rnati, secca la pellicina, in<strong>te</strong>gro il naso, essicca<strong>te</strong> le orecchie e le estremità,<br />

socchiusa la bocca (entro cui si scorgevano ancora alcuni denti color neve),<br />

mentre i capelli attaccati erano completamen<strong>te</strong> alla pelle della cervice.<br />

Rimosso appena il capo dal busto, fu notata una indistinta massa dei<br />

membri inariditi del torace e delle viscere della santa, chiusi <strong>nel</strong> tronco del<br />

busto medesimo e soavemen<strong>te</strong> adornati.<br />

Nel 1915 presso la cappella di Sant’Agata, il Cardinale Francica Nava,<br />

Arcivescovo di <strong>Catania</strong>, asportata la cerniera che chiudeva la calotta della<br />

martire notò che era scheletrica e conservava aderen<strong>te</strong> al cranio la co<strong>te</strong>nna di<br />

colore scuro, senza traccia alcuna di capelli, mentre par<strong>te</strong> di pelle si notava<br />

dagli zigomi facciali in giù e sulla mandibola, staccata e trat<strong>te</strong>nuta al <strong>te</strong>schio<br />

con due nastri di seta, di cui, uno antichissimo e d’un rosa secco, l’altro rosso<br />

d’epoca più recen<strong>te</strong>.<br />

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Rimanevano attaccati al <strong>te</strong>schio solamen<strong>te</strong> alcuni molari di colore scuro.<br />

Dalla <strong>te</strong>sta vuota d’argento della statua di Sant’Agata, ove era collocata la<br />

reliquia, si notavano vari involti di colore bianco in cui dovevano essere<br />

conservati (come è memoria e tradizione), torace e viscere rinsecchiti, ivi<br />

collocati quando fu realizzato il simulacro. L’Arcivescovo, quindi, ordinò che<br />

il venerabile corpo fosse deposto <strong>nel</strong>la cripta del <strong>te</strong>soro.<br />

Oggi alcuni alti prelati presenti all’epoca della ricognizione at<strong>te</strong>stano che<br />

un in<strong>te</strong>nso soave profumo esalava dalle viscere.<br />

Nel 1965 l’Arcivescovo di <strong>Catania</strong> Bentivoglio, salito su un podio alle<br />

spalle del busto argen<strong>te</strong>o, toglieva la corona dal capo della Vergine, quindi,<br />

tagliati i sigilli, faceva aprire la calotta su<strong>per</strong>iore della <strong>te</strong>sta, da dove poi<br />

estraeva il capo della martire, ormai scheletrito, che veniva delicatamen<strong>te</strong><br />

poggiato su un vassoio, liberato dai veli che lo pro<strong>te</strong>ggevano, sco<strong>per</strong>to e<br />

mostrato alla venerazione dei presenti.<br />

Dopo una at<strong>te</strong>nta esplorazione da par<strong>te</strong> del Prof. Giovanni Nicoletti<br />

(esimio neurologo e primario dell’ospedale Garibaldi), il sacro <strong>te</strong>schio veniva<br />

portato <strong>per</strong> la Cat<strong>te</strong>drale, in modo da farlo osservare da vicino ai presenti.<br />

Prima di riportare la reliquia <strong>nel</strong> busto argen<strong>te</strong>o, il porporato impartiva<br />

la benedizione con la medesima fra le mani, quindi, riposta la <strong>te</strong>sta <strong>nel</strong>la<br />

calotta del busto argen<strong>te</strong>o, venivano apposti i sigilli e messa sul capo la<br />

preziosa corona.<br />

I MIRACOLI<br />

I miracoli che Sant’Agata o<strong>per</strong>ò <strong>per</strong> amore verso la città di <strong>Catania</strong> sono<br />

mol<strong>te</strong>plici, ma, fra i più rappresentativi meritano di essere ricordati:<br />

Quello del 252, allorquando gli abitanti spaventati dall’avanzare del<br />

torren<strong>te</strong> di lava, fecero ricorso al velo che cingeva il sepolcro della Patrona, il<br />

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quale (lungo m. 4 e largo m. 0,5), appena fu opposto a contatto della lava, da<br />

bianco divenne rosso, facendola miracolosamen<strong>te</strong> arrestare il 5 febbraio.<br />

Quello del 303, quando Lucia di Siracusa si recò con la madre<br />

gravemen<strong>te</strong> malata a pregare sul sepolcro di Agata, la quale le apparve in<br />

sogno rassicurandola della guarigione.<br />

Quello del <strong>te</strong>rremoto del 1169, giorno dell’anniversario della mor<strong>te</strong> di<br />

Sant’Agata, in cui la città, scossa da un violentissimo <strong>te</strong>rremoto, fu quasi<br />

in<strong>te</strong>ramen<strong>te</strong> distrutta ed i sopravvissuti, prelevato il velo, ot<strong>te</strong>nnero quie<strong>te</strong>.<br />

Quello del 1231, quando Federico II scese in Sicilia <strong>per</strong> assoggettare<br />

<strong>Catania</strong> al suo dominio, decise di sedare <strong>nel</strong> sangue la rivolta del popolo,<br />

tuttavia, mentre assis<strong>te</strong>va alla pubblica messa, aprendo il suo libro di<br />

preghiere, in ogni pagina trovò la scritta in latino “Non offendere la Patria di<br />

Agata, <strong>per</strong>ché Essa vendica le ingiustizie”. Ciò bastò <strong>per</strong> sedare le violenze.<br />

Il Vescovo Maurizio raccontò che, a seguito dell’invito ai fedeli di far visita<br />

alle Reliquie di ritorno a <strong>Catania</strong>, un gruppo di monaci brasiliani, risiedenti a<br />

Troina, venne in pellegrinaggio a <strong>Catania</strong> <strong>per</strong> onorare la Santa Martire.<br />

Fra questi c’era un giovane novizio, il quale, a metà strada inciampò e<br />

s’infortunò al ginocchio, quindi, non poté proseguire.<br />

Il su<strong>per</strong>iore, a guida dei frati, ingiunse al giovane di rimanere<br />

pruden<strong>te</strong>men<strong>te</strong> sul posto finché al ritorno da <strong>Catania</strong>, non lo avesse ripreso e<br />

riaccompagnato al monas<strong>te</strong>ro. Il giovane ubbidì, tuttavia, mentre era assopito,<br />

gli apparve in visione Sant’Agata, la quale l’avvertì che Dio l’aveva guarito e lo<br />

faceva miracolosamen<strong>te</strong> giungere a <strong>Catania</strong>, ancor prima che arrivassero i suoi<br />

confra<strong>te</strong>lli al <strong>te</strong>mpio, ove era il corpo della martire.<br />

Tale <strong>te</strong>stimonianza ha un <strong>per</strong>fetto riscontro <strong>nel</strong>la biografia di S. Silvestro<br />

da Troina, vissuto in quel 1126, trovata <strong>nel</strong>la biblio<strong>te</strong>ca del convento.<br />

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Altra <strong>te</strong>stimonianza è quella del monaco Blandino, con<strong>te</strong>mporaneo e<br />

confra<strong>te</strong>llo del Vescovo Maurizio presso il monas<strong>te</strong>ro benedettino fatto<br />

costruire dal con<strong>te</strong> Ruggero d’Altavilla accanto al Duomo di <strong>Catania</strong>, il quale<br />

è autore del racconto dei miracoli verificatisi in città, al rientro delle Reliquie.<br />

Tra i vari miracoli riferiti dal Blandino c’è quello del 1127, allorquando,<br />

in concomitanza del 1° anniversario del rientro, una banda di corsari arabi,<br />

provenienti dalla Spagna, compiva scorrerie razzie su tut<strong>te</strong> le città costiere<br />

della Sicilia, cercando di prendere <strong>Catania</strong> con l’astuzia, tuttavia, sventati gli<br />

inganni, i catanesi si mostrarono pronti, sebbene impari, a resis<strong>te</strong>re a<br />

quell’orda di pirati, armati a dismisura, ricorrendo al patrocinio delle Reliquie.<br />

Ciò bastò <strong>per</strong>ché quei corsari desis<strong>te</strong>ssero dai loro minacciosi propositi.<br />

Nel 1346 a Messina scoppiò una grave pestilenza ed i messinesi sempre<br />

devoti a Sant’Agata, fiduciosi <strong>nel</strong> prodigioso aiuto, inviarono una deputazione<br />

al Vescovo Gerardo <strong>per</strong> averne una reliquia, il quale fu disposto a concedere<br />

una mammella, ma il popolo geloso delle reliquie, impedì l’invio.<br />

Gerardo, allora, immerse una reliquia della Patrona <strong>nel</strong>l’acqua<br />

benedetta, con la quale si recò poi a Messina, distribuendo l’acqua agli<br />

appestati. Subito la pes<strong>te</strong> cessò. I messinesi commossi, <strong>nel</strong> 1347 vennero in<br />

grande pellegrinaggio a <strong>Catania</strong> a rendere debiti ringraziamenti a Sant’Agata.<br />

Nel 1348 anche <strong>Catania</strong> fu colpita da pes<strong>te</strong> e Gerardo fu sollecito<br />

spiritualmen<strong>te</strong> verso i suoi figli. Nello s<strong>te</strong>sso anno anche lui morì di pes<strong>te</strong>,<br />

carico di anni, ma più di meriti.<br />

Quello del 1357, quando <strong>nel</strong> Golfo di Ognina si svolse una cruenta<br />

battaglia, definita “Scacco di <strong>Catania</strong>”, duran<strong>te</strong> la quale l’ammiraglio Artale<br />

Alagona, al gridò Sant’Agata e Alagona, sconfisse gli avversari.<br />

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Quello del 1444, quando la lava stava <strong>per</strong> investire un villaggio (poi<br />

chiamato S. Agata Li Battiati) ed il Beato Pietro Geremia, seguito dal clero e<br />

dal popolo portò il velo incontro al fuoco, ot<strong>te</strong>nendo la deviazione della lava.<br />

Quello del 1575, quando la pes<strong>te</strong> si abbatté su <strong>Catania</strong> ed i cittadini<br />

portarono il corpo della Patrona <strong>per</strong> le vie della città e giunti presso la Porta<br />

di Aci iniziarono una preghiera al grido “Viva Sant’Agata” fino a not<strong>te</strong> fonda.<br />

Al mattino il morbo scomparve del tutto.<br />

Quello del 1669, quando nei pressi di Nicolosi si squarciò il fianco N-O<br />

dell’Etna, indirizzando velocemen<strong>te</strong> le lave verso <strong>Catania</strong>. Anche quella volta<br />

i cittadini si strinsero attorno alle reliquie della Patrona, ot<strong>te</strong>nendo la<br />

deviazione delle lave che avevano già cinto il Cas<strong>te</strong>llo Ursino.<br />

Quello del 1693, quando <strong>Catania</strong> fu completamen<strong>te</strong> distrutta da un<br />

<strong>te</strong>rribile <strong>te</strong>rremoto. Il <strong>te</strong>soriere Don Giuseppe Cilestri, <strong>per</strong> evitare che i pochi<br />

su<strong>per</strong>stiti abbandonassero la città, portò una reliquia della Patrona al cospetto<br />

dei cittadini, i quali non fuggirono e ricostruirono in poco <strong>te</strong>mpo la loro città.<br />

Quello del 1743, quando la pes<strong>te</strong> minacciò <strong>Catania</strong> e la popolazione<br />

pregò Sant’Agata, la quale salvò la città. Per l’occasione i cittadini eressero in<br />

piazza dei Martini la statua della Patrona in atto di schiacciare un serpen<strong>te</strong>.<br />

Quello del 1866, quando una imponen<strong>te</strong> colata minacciò <strong>Catania</strong> e gli<br />

abitanti di Nicolosi invocarono il Cardinale Benedetto Dusmet di portare in<br />

processione il velo di Sant’Agata innanzi alla lava. Sul punto dove la lava si<br />

fermò fu eretto una cappelletta con la statua del Beato Benedetto Dusmet.<br />

Quello del 1908, quando una for<strong>te</strong> scossa sismica ed un maremoto<br />

distrussero le città di Messina e Reggio, ma salvarono <strong>Catania</strong>. Il Cardinale<br />

Francica Nava, <strong>per</strong> evitare il disastro, condusse in processione <strong>per</strong> l’antica via<br />

S<strong>te</strong>sicorea il velo di Sant’Agata, dalla Cat<strong>te</strong>drale fino a Sant’Agata al Borgo.<br />

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IL CERIMONIALE DEL 1800 DI ALVARO PATERNO’<br />

E’ un cerimoniale con una quindicina di capitoli, col quale don Alvaro<br />

Pa<strong>te</strong>rnò voleva rimet<strong>te</strong>re in vigore alcune consuetudini del passato, riguardo i<br />

primi 15 giorni di febbraio e l’ottava della festa, trascura<strong>te</strong> da diversi anni.<br />

Egli voleva che la funzione dell’accompagnamento dei palii, da piazza<br />

Duomo si svolgesse in maniera solenne e doveva essere imponen<strong>te</strong> il cor<strong>te</strong>o,<br />

formato da tutti gli ufficiali, dai trombettieri e dai tamburini, obbligandoli ad<br />

una multa, qualora non fossero presenti. Poiché la sanzione riguardava solo<br />

questi, si arguiva che erano soliti assentarsi da ques<strong>te</strong> cerimonie.<br />

Non sfuggiva al soler<strong>te</strong> conservatore della tradizione cittadina, la<br />

constatazione che la festa, in alcuni particolari, s<strong>te</strong>sse subendo trasformazioni,<br />

quindi, si preoccupasse, richiamando, primi fra tutti, i magistrati civici e le<br />

corporazioni artigiane all’osservanza dei tradizionali doveri.<br />

La meticolosa descrizione dei 5 giorni di festa patronale acquistava<br />

particolare in<strong>te</strong>resse <strong>per</strong> quello che oggi non sopravviva e <strong>per</strong> quello che<br />

ancor oggi si conserva <strong>te</strong>nacemen<strong>te</strong> e commuove.<br />

Col passare dei secoli, alle solenni cerimonie religiose si affiancarono<br />

motivi di puro folclore. Il Senato volle fes<strong>te</strong>ggiamenti più fastosi, il popolo<br />

dal canto suo, in<strong>te</strong>ndeva vivere <strong>nel</strong>la completa esaltazione la fede verso la<br />

Santa Patrona: ad un dato momento si rese necessaria una regolamentazione.<br />

Nel 1522 il nobile catanese, don Alvaro Pa<strong>te</strong>rnò, legato di <strong>Catania</strong><br />

presso la regia cor<strong>te</strong>, redasse il “Liber cerimoniarum” che possiamo<br />

considerare il primo cerimoniale <strong>per</strong> i fes<strong>te</strong>ggiamenti agatini. Furono istitui<strong>te</strong><br />

giostre, organizzati cor<strong>te</strong>i e corse di cavalli, cavalca<strong>te</strong> nobiliari, spari di<br />

mortaretti e addobbi vari <strong>per</strong> tutto il <strong>per</strong>corso della processione.<br />

La folla radunata <strong>nel</strong> piazzale della loggia seguiva con in<strong>te</strong>resse le varie<br />

manifestazioni. Furono fissa<strong>te</strong> anche le pene da comminare ai trasgressori<br />

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dell'ordine pubblico. I palii e le gare che in un primo <strong>te</strong>mpo si svolgevano<br />

<strong>nel</strong>la zona della marina, a causa della folla assai numerosa vennero dirottati<br />

<strong>nel</strong>la zona del corso, <strong>nel</strong>l’attuale strada che dal Duomo prosegue lungo la Via<br />

Vittorio Emanuele. S<strong>te</strong>ndardi e i drappi di no<strong>te</strong>vole valore venivano<br />

consegnati ai vincitori direttamen<strong>te</strong> dalle autorità cittadine che al <strong>te</strong>mpo erano<br />

i Giurati, il Capitano di Giustizia, il Patrizio, il Mastro Notaro del Senato.<br />

LA FESTA<br />

Anticamen<strong>te</strong> nei giorni di festa usciva il “Carro Trionfale”, di grandi<br />

dimensioni, trainato da sei buoi, su cui prendevano posto l’orchestra ed i<br />

cantanti, mentre <strong>nel</strong>la par<strong>te</strong> centrale, su di una colonna svettava la statua di<br />

Sant’Agata con attorno figure angeliche.<br />

Tutto ciò in ricordo del carro a forma di prua di nave, su cui s’era<br />

imbarcata Iside alla ricerca dell’amato Osiride, ucciso e fatto a pezzi<br />

dall’invidioso fra<strong>te</strong>llo Set. La moglie a bordo d’una nave setacciò le sponde<br />

del Nilo, finché non riuscì a ritrovare tutti i pezzi del corpo del marito e a<br />

riportarlo in vita. Usanza protrattasi fino al 17 agosto del 1872.<br />

Ogni anno nei primi giorni di febbraio <strong>Catania</strong> offre alla sua patrona<br />

una festa così straordinaria che può essere paragonata soltanto alla Settimana<br />

santa di Siviglia o al Corpus Domini di Cuzco, in Perù.<br />

In quei tre giorni la città dimentica ogni cosa <strong>per</strong> concentrarsi sulla festa,<br />

misto di devozione e di folklore, che attira ogni anno sino a un milione di<br />

<strong>per</strong>sone, tra devoti e curiosi.<br />

Il primo giorno, il 3, è riservato all’offerta delle candele da par<strong>te</strong> del<br />

Senato. Alla processione <strong>per</strong> la raccolta della cera, un breve giro dalla fornace<br />

alla cat<strong>te</strong>drale, par<strong>te</strong>cipano le maggiori autorità religiose, civili e militari.<br />

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Due carrozze set<strong>te</strong>cen<strong>te</strong>sche, che un <strong>te</strong>mpo appar<strong>te</strong>nevano al senato<br />

che governava la città, e undici candelore, grossi ceri rappresentativi delle<br />

corporazioni o dei mestieri, vengono porta<strong>te</strong> in cor<strong>te</strong>o.<br />

Questa prima giornata di festa si conclude la sera con un grandioso<br />

spettacolo piro<strong>te</strong>cnico in piazza Duomo.<br />

Una suggestiva usanza popolare vuole che i ceri donati alla Patrona duran<strong>te</strong><br />

la festa siano alti o pesanti quanto la <strong>per</strong>sona che chiede la pro<strong>te</strong>zione.<br />

Uno dei momenti più emozionanti e suggestivi della festa è l’a<strong>per</strong>tura<br />

del sacello, ricavato <strong>nel</strong>lo spessore di una pare<strong>te</strong> della Cat<strong>te</strong>drale, <strong>nel</strong> quale il<br />

venerato busto è nascosto e custodito <strong>per</strong> tutto l’anno.<br />

La cerimonia si svolge prima ancora che spunti l’alba del giorno 4,<br />

quando <strong>nel</strong>la Cat<strong>te</strong>drale già gremita, l’at<strong>te</strong>sa, alimentata da inni e suppliche,<br />

aumenta fino a diventare insopportabile <strong>per</strong> sfociare in un fragoroso applauso<br />

quando il volto velatamen<strong>te</strong> sorriden<strong>te</strong> della santa emerge dal buio della cella<br />

ed il busto viene issato sull’altare <strong>per</strong> la solenne messa dell’Aurora, prima di<br />

essere collocato sul fercolo d’argento, assieme allo scrigno con il <strong>te</strong>soro, e<br />

consegnato alla città <strong>per</strong> le processioni.<br />

Allorquando il sacrista apre quella gigan<strong>te</strong>sca porta, deve immediatamen<strong>te</strong><br />

scostarsi e met<strong>te</strong>rsi al riparo, se non vuole essere investito da quell’au<strong>te</strong>ntico<br />

fiume in piena, rappresentato dalla calca umana che, corre verso la cappelletta<br />

che immet<strong>te</strong> all’in<strong>te</strong>rno della “cammaredda” inaccessibile (ove sono custodi<strong>te</strong><br />

le sacre spoglie della Vergine Agata), le cui chiavi sono possedu<strong>te</strong> soltanto da<br />

tre <strong>per</strong>sone: il Sindaco, il priore ed il <strong>te</strong>soriere della Cat<strong>te</strong>drale.<br />

La tradizione vuole che il busto di Sant’Agata, custodito <strong>per</strong> tutto l’anno<br />

all’in<strong>te</strong>rno della cameretta bunker, venga tirato fuori attraverso dei binari<br />

passanti sotto il fiume Amenano, che scorre sot<strong>te</strong>rraneo sotto il basamento<br />

millenario della chiesa.<br />

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Si narra che, dopo un antico furto sacrilego, al fine di pro<strong>te</strong>ggere in futuro<br />

la Santa da eventuali ladri, vennero realizzati 7 cancelli in ferro, tuttavia, non è<br />

dato sa<strong>per</strong>e se ciò risulti a verità o sia fantasia tramandata <strong>nel</strong> <strong>te</strong>mpo.<br />

Quando la <strong>te</strong>rza chiave toglie l’ultima mandata al cancello della cameretta<br />

ed il sacello viene a<strong>per</strong>to, Sant’Agata si affaccia dalla cameretta <strong>nel</strong> crescen<strong>te</strong><br />

tripudio dei fedeli impazienti di rivederla, poi il busto di Sant’Agata viene<br />

issato, median<strong>te</strong> un sollevatore, sull’altare maggiore, fintanto che non si<br />

conduca a <strong>te</strong>rmine l’omelia dell’Arcivescovo, quindi, viene condotto a spalla<br />

sopra il monumentale basamento rinascimentale d’argento, foderato di<br />

velluto rosso, il colore del sangue del martirio, ma anche il colore dei re.<br />

Prima di lasciare la cat<strong>te</strong>drale <strong>per</strong> la tradizionale processione lungo le vie<br />

della città, <strong>Catania</strong> dà il benvenuto alla sua patrona con una messa solenne,<br />

celebrata dall’arcivescovo.<br />

L’alba del quattro febbraio di ogni anno è un momento significativo,<br />

allorquando i fedeli, quando la città non si è ancora del tutto destata,<br />

accompagnati dai rintocchi di quella imponen<strong>te</strong> campana si avvicinano in<br />

silenzioso raccoglimento verso le sacre spoglie della Patrona, indossando il<br />

sacco bianco ed un berretto (scuzzetta) di velluto nero, guanti bianchi,<br />

sventolando un fazzoletto anch’esso bianco stirato a fit<strong>te</strong> pieghe, che<br />

rappresenta l’abbigliamento notturno che i catanesi indossavano <strong>nel</strong> lontano<br />

1126, di ritorno da Costantinopoli.<br />

Ma l’originario camice da not<strong>te</strong>, nei secoli, si è arricchito anche del<br />

significato di ves<strong>te</strong> peni<strong>te</strong>nziale: secondo alcuni l’abito di <strong>te</strong>la bianca è la<br />

rivisitazione di una ves<strong>te</strong> liturgica, il berretto nero ricorderebbe la cenere di<br />

cui si cospargevano il capo i peni<strong>te</strong>nti e il cordoncino in vita<br />

rappresen<strong>te</strong>rebbe il cilicio.<br />

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Tra i fragori degli spari, il fercolo viene caricato del prezioso scrigno con<br />

le reliquie e portato in processione <strong>per</strong> la città. Il giro del giorno 4, dura<br />

l’in<strong>te</strong>ra giornata, attraversa i luoghi del martirio e ri<strong>per</strong>corre le vicende della<br />

storia della Santuzza, che si intrecciano con quella della città: il Duomo, i<br />

luoghi del martirio, <strong>per</strong>corsi in fretta, senza sos<strong>te</strong>, quasi a evitare alla Santa il<br />

rinnovarsi del tris<strong>te</strong> ricordo. Una sosta viene fatta anche alla marina da cui i<br />

catanesi, addolorati e inermi, videro partire le reliquie <strong>per</strong> Costantinopoli.<br />

Poi una sosta alla colonna della pes<strong>te</strong> (Piazza Giovanni XXIII), che ricorda<br />

il miracolo compiuto da Sant’Agata <strong>nel</strong> 1743, quando la città fu risparmiata<br />

dall’epidemia. Il giro si conclude a not<strong>te</strong> fonda col ritorno in cat<strong>te</strong>drale.<br />

Nella mattinata del 5 febbraio, in Cat<strong>te</strong>drale viene celebrato il solenne<br />

pontificale, mentre al tramonto ha inizio la seconda par<strong>te</strong> della processione<br />

che si snoda <strong>per</strong> le vie del centro di <strong>Catania</strong>, attraversando anche il Borgo, il<br />

quartiere che accolse i profughi da Mis<strong>te</strong>rbianco dopo l’eruzione del 1669.<br />

Il momento più at<strong>te</strong>so è il passaggio <strong>per</strong> la via di San Giuliano, che <strong>per</strong> la<br />

pendenza è il punto più <strong>per</strong>icoloso di tutta la processione.<br />

Esso rappresenta una prova di coraggio <strong>per</strong> i “cittadini”, ma è in<strong>te</strong>rpretato<br />

anche, a seconda di come viene su<strong>per</strong>ato l’ostacolo, come un segno celes<strong>te</strong> di<br />

buono o cattivo auspicio <strong>per</strong> l’in<strong>te</strong>ro anno.<br />

Quando <strong>Catania</strong> riconsegna alla cameretta in cat<strong>te</strong>drale il reliquiario e lo<br />

scrigno, i sacchi bianchi non profumano più di bucato, i volti sono segnati<br />

dalla stanchezza, i muscoli fanno male, la voce è ridotta a un filo sottile.<br />

Ma la soddisfazione di aver portato in trionfo il corpo di Sant’Agata <strong>per</strong><br />

le vie della sua città riempie tutti di gioia e ripaga di tan<strong>te</strong> fatiche.<br />

Bisognerà aspettare la festa del 17 agosto, od un altro anno, <strong>per</strong> po<strong>te</strong>r<br />

vedere sorridere ancora una volta il viso buono della santa che fu martire <strong>per</strong><br />

la salvezza della fede e di <strong>Catania</strong>. Di tut<strong>te</strong> le fes<strong>te</strong> e solennità che un <strong>te</strong>mpo si<br />

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celebravano in città, quella di Sant’Agata predominava <strong>per</strong> lustro e <strong>per</strong> durata:<br />

ben 15 giorni a febbraio ed un paio a ferragosto.<br />

Il mattino del 3 febbraio il Senato, sulle leggendarie carrozze in legno,<br />

tira<strong>te</strong> da cavalli guidati da lacchè in divisa e bottoni lucenti e parrucche<br />

bianche, procede <strong>per</strong> via Etnea, onde offrire la cera alla Vergine, proprio<br />

innanzi alla chiesa della S. Fornace, in Piazza S<strong>te</strong>sicoro.<br />

La sera del 3 febbraio in Piazza Duomo, da apposito palco a fianco di<br />

palazzo dei Chierici si dà inizio ad uno spettacolo di musiche e canti dedicati<br />

a Sant’Agata, mentre alla fine dei canti saranno accesi i tradizionali fuochi<br />

piro<strong>te</strong>cnici, definiti dai catanesi “di l’acqua o linzolu”, dal nome della fontana<br />

in marmo bianco di Tito Angelini, dedicata ai fiumi Simeto ed Amenano.<br />

A chiusura delle festività si assis<strong>te</strong> ogniqualvolta a scene di is<strong>te</strong>ria<br />

collettiva che si al<strong>te</strong>rnano <strong>per</strong> le nava<strong>te</strong> del Duomo al grido “cittadini evviva<br />

Sant’Agata”, facendo svolazzare in aria il classico fazzoletto bianco.<br />

Otto giorni dovranno trascorrere <strong>per</strong> rivedere la Santa Patrona girare<br />

<strong>per</strong> Piazza Duomo, portata a spalla, compiendo un giro dalla porta la<strong>te</strong>rale<br />

della villetta e procedendo a mò di arco fino al centro della medesima piazza,<br />

<strong>per</strong> far rientro dalla porta centrale, accompagnata dai fuochi piro<strong>te</strong>cnici e<br />

dalle medesime scene d’is<strong>te</strong>ria.<br />

Il 17 agosto Sant’Agata sarà nuovamen<strong>te</strong> portata a spalla fra la sua<br />

gen<strong>te</strong>, <strong>per</strong>correndo la piazza, in ricorrenza della traslazione delle Sacre<br />

Reliquie da Costantinopoli a <strong>Catania</strong>.<br />

Il culto dedicato a Sant’Agata non può non <strong>te</strong>ner conto di un<br />

<strong>per</strong>sonaggio molto importan<strong>te</strong> <strong>per</strong> <strong>Catania</strong>: Monsignor Ventimiglia, il quale<br />

abbracciò lo stato ecclesiastico <strong>nel</strong> 1742, fu eletto vicario da Monsignor<br />

Cubani e <strong>nel</strong> 1757 divenne vescovo di <strong>Catania</strong>. Qui trovò un folto gruppo di<br />

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<strong>per</strong>sone importanti come Vito Maria Amico, Ignazio Biscari, Recu<strong>per</strong>o, il<br />

pittore Vito Coco, il Vaccarini, il musicista Giuseppe Geremia ed altri,<br />

assieme ai quali diede mano, <strong>per</strong> primo, alla riforma del clero e del seminario,<br />

fondando una tipografia con carat<strong>te</strong>ri greci e latini, riformò ed elevò gli studi<br />

universitari, infine, richiese dormitori gratuiti <strong>per</strong> gli studenti meno abbienti.<br />

Alla mor<strong>te</strong> dell’Arcivescovo di <strong>Catania</strong> Galletti, il Re Carlo III lo aveva<br />

presentato al Papa, quale nuovo vescovo di <strong>Catania</strong>, con bolla del 19<br />

dicembre 1757 emessa da Benedetto XIV, successivamen<strong>te</strong> a Roma fu<br />

ordinato vescovo, il 27 dicembre 1757.<br />

Nel 1522 il nobile Don Alvaro Pa<strong>te</strong>rnò, legato di <strong>Catania</strong> presso la<br />

Regia Cor<strong>te</strong>, redasse il cerimoniale dei fes<strong>te</strong>ggiamenti, organizzando giostre,<br />

cor<strong>te</strong>i, corse di cavalli, spari di mortaretti e luminarie lungo il <strong>per</strong>corso del<br />

cor<strong>te</strong>o, mentre la folla radunata <strong>nel</strong> Piazzale della Loggia, seguiva con<br />

in<strong>te</strong>resse lo svolgersi della festa ed era sempre più imponen<strong>te</strong>, tanto che, le<br />

competizioni dovessero essere sposta<strong>te</strong> dalla marina alla zona del Corso.<br />

CITTADINI, VIVA SANT’AGATA!<br />

Da un poemetto di Giovan Tomaso Longobardo del 1628 pare che il<br />

grido dei fedeli duran<strong>te</strong> la festa fosse un semplice “Olè”, mentre quello dei<br />

“Cittadini, viva Sant’Agata” nasca dopo la lunga in<strong>te</strong>rruzione della festa a<br />

causa del <strong>te</strong>rremoto del 1693. Fino alla metà dell’ottocento fu soltanto “Viva<br />

Sant’Agata, ciò si evince da una descrizione fatta dell’incisore Jean Pierre<br />

Houel duran<strong>te</strong> il suo viaggio a <strong>Catania</strong> <strong>nel</strong>la seconda metà del Set<strong>te</strong>cento,<br />

mentre l’aggiunta “Cittadini…” (trasformato poi in “Citatini, viva Sant’Aita”),<br />

risale alla seconda metà dell’Ottocento, cioè dopo l’Unità del Regno.<br />

La tradizione della festa venne infatti ripresa 19 anni dopo il disastro,<br />

giacché i ricordi dei fedeli si erano probabilmen<strong>te</strong> affievoliti.<br />

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Che cosa sia e cosa rappresenti <strong>per</strong> i catanesi tale grido, non è facile<br />

dire: espressione di fede, amore, giubilo, richiamo o monito, modo<br />

d’in<strong>te</strong>ndersi e riconoscersi, un po’ tut<strong>te</strong> ques<strong>te</strong> cose insieme, talvolta anche<br />

<strong>nel</strong>la quotidianità della vita potrebbe essere una espressione di gioia collettiva,<br />

talvolta <strong>per</strong>sino giocosa, in occasione di qualche strepitosa vittoria sportiva.<br />

I PALAZZI CHE SI AFFACCIANO SULLA FESTA<br />

Se immaginiamo di trovarci in Via Vittorio Emanuele in at<strong>te</strong>sa di veder<br />

transitare il fercolo della Santuzza col suo seguito in processione, se<br />

provassimo ad alzare lo sguardo verso qualcuno di quei balconi panciuti dei<br />

palazzi barocchi prospettanti sulla medesima via, ci renderemmo conto che<br />

quelle balaustre sontuose ed ampie erano sta<strong>te</strong> pensa<strong>te</strong> <strong>per</strong> consentire<br />

l’affaccio alle dame agghinda<strong>te</strong> a festa, le quali, <strong>per</strong> po<strong>te</strong>r <strong>per</strong>met<strong>te</strong>rsi quella<br />

vista imponen<strong>te</strong> da presso gli splendidi palazzi Valle e Serravalle dovevano<br />

<strong>per</strong> forza appar<strong>te</strong>nere all’alta borghesia.<br />

Questi palazzi furono progettati ed edificati in stile barocco dallo s<strong>te</strong>sso<br />

Vaccarini in quella Via V. Emanuele, ove risulta concentrata la più cospicua<br />

presenza di o<strong>per</strong>e d’ar<strong>te</strong> che rappresenta il miglior barocco catanese, che non<br />

ha nulla da invidiare a quello di Via dei Crociferi o Via Etnea, tanto <strong>per</strong><br />

trattare i più rappresentativi.<br />

In occasione della festa, il Senato giorno 3 febbraio invitava <strong>nel</strong> salone<br />

centrale di Palazzo Municipale la classe nobiliare, il Clero, i vertici della<br />

magistratura ed alti funzionari della pubblica amministrazione.<br />

Dal balcone centrale del Palazzo Senatorio, alti funzionari, il Vescovo e<br />

gli ospiti di riguardo seguivano la festa, carat<strong>te</strong>rizzato dai cantori organizzati<br />

provenienti dai vari quartieri, a suon di musica sacra, unitamen<strong>te</strong> alla<br />

accensione dei fuochi piro<strong>te</strong>cnici, molto at<strong>te</strong>si dal popolo catanese.<br />

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In via Etnea i nobili residenti facevano a gara ad aprire i loro salotti e<br />

balconi, che divenivano au<strong>te</strong>ntici palchetti <strong>per</strong> un ritrovo mondano<br />

d’incontro elegan<strong>te</strong>, di sana atmosfera di gruppo attorno a parenti ed amici<br />

<strong>per</strong> quanti, <strong>per</strong> motivi di lavoro o scelta di vita, s’erano allontanati dalla città.<br />

Nessuno voleva mancare a questi appuntamenti annuali, <strong>per</strong> raccontare,<br />

ricordare, riassaporare il gusto della festa e l’antico quartiere Civita, in quanto<br />

sede di importanti palazzi, chiese, conventi e non po<strong>te</strong>va esimersi dal<br />

passaggio della Vergine Agata.<br />

Di lì a poco in zona sorsero fastose residenze con vista sul mare come il<br />

Palazzo Vescovile che prospettava su Porta Saracena (oggi piazza S. Placido),<br />

la maestosa residenza dei principi Biscari, di fron<strong>te</strong> all’ex palazzo Platamone,<br />

gli unici ad aver avuto l’autorizzazione a costruire sulle vecchie mura.<br />

Anticamen<strong>te</strong> la Civita rappresentò il quartiere residenziale più acclarato,<br />

al pari di via Etnea, avamposto d’una vita culturale sociale e politica nuova,<br />

<strong>per</strong> via dei tanti locali let<strong>te</strong>rari frequentati da uomini di cultura come Ignazio<br />

Biscari e Micio Tempio, scrittore e poeta conoscitore di tutti gli autori della<br />

let<strong>te</strong>ratura italiana, da Dan<strong>te</strong> fino ai suoi con<strong>te</strong>mporanei, infatti, tradusse<br />

Livio, Orazio, Tacito, Virgilio, accolto presso l’Accademia dei Palladi, studiò<br />

il francese, lingua allora corren<strong>te</strong> presso i salotti catanesi.<br />

La tradizione di aprire i salotti dei palazzi è ancor oggi in atto,<br />

soprattutto fra le famiglie altoloca<strong>te</strong>, ove si possono gustare le migliori<br />

preliba<strong>te</strong>zze culinarie, spesso elabora<strong>te</strong> dalle s<strong>te</strong>sse signore.<br />

IL SACCO BIANCO<br />

Questa camicia, chiamata Sacco, altro non è che il saio peni<strong>te</strong>nziale, o<br />

cilicio di una volta, ovvero il Sakkos greco-bizantino cioè una ricca ves<strong>te</strong><br />

liturgica, una sorta di stoffa molto ruvida, vera <strong>te</strong>la bianca di sacco, che gli<br />

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uomini e le donne si avvolgevano intorno alle reni nei giorni di lutto e di<br />

peni<strong>te</strong>nza, i più zelanti direttamen<strong>te</strong> sopra la pelle come una sorta di cilicio, il<br />

vestito della gen<strong>te</strong> del popolo, simile a quello ado<strong>per</strong>ato da Gesù <strong>per</strong> lavare i<br />

piedi dei suoi discepoli, fatto di stoffa molto ruvida.<br />

I Profeti avevano portato il “SAK” in segno di pro<strong>te</strong>sta contro il lusso;<br />

<strong>nel</strong>l’Apocalisse si dice che alla vigilia del giorno del giudizio Dio manderà i<br />

suoi due <strong>te</strong>stimoni a profetizzare, vestiti di SAK. Nell’Antico Testamento<br />

si parla molto spesso del SAK, allorquando Mosè ordinò ai Leviti che, <strong>nel</strong><br />

portare l’Arca dell’Alleanza, con<strong>te</strong>nen<strong>te</strong> le Tavole della Legge (i dieci<br />

comandamenti), portassero il sacco peni<strong>te</strong>nziale ed il capo co<strong>per</strong>to di cenere.<br />

Il vero significato del sacco indossato dai catanesi il 17 Agosto del 1126<br />

in occasione del ritorno delle reliquie di Sant’Agata a <strong>Catania</strong> non è quello<br />

della camicia da not<strong>te</strong>, secondo la leggenda indossata dopo il 1693, poiché,<br />

secondo quanto ci è stato tramandato dagli storici, allora le <strong>per</strong>sone<br />

dormivano a <strong>te</strong>rra su un pagliericcio oppure sopra una stuoia in quanto non<br />

esis<strong>te</strong>va il letto, i ricchi si coprivano con un lenzuolo, il ceto medio dormiva<br />

con gli s<strong>te</strong>ssi vestiti del giorno ed i poveri nudi, quindi, nessuno usava la<br />

camicia da not<strong>te</strong> <strong>per</strong>ché sconosciuta.<br />

In principio il sacco era di colore cenere, poi si usò il bianco che indica<br />

purezza, scienza religione, s<strong>per</strong>anza mentre la berretta scura vuole indicare la<br />

cenere, il cingolo la castità. Due secoli prima fu iniziato l’uso dei guanti<br />

bianchi in segno di rispetto, mentre il fazzoletto si usava, sino a mezzo secolo<br />

fa <strong>per</strong> salutare i parenti e gli amici che partivano con la diligenza o col treno.<br />

Altra leggenda vuole che i cristiani avessero soppresso la cerimonia<br />

pagana di portare una toga bianca <strong>per</strong> la festa in onore di Iside, dea del mare,<br />

e di Augusto. S. Agostino e S. Antonio, parlando di Sant’Agata, dissero che il<br />

sacco bianco ricordava la ves<strong>te</strong> bianca che il sacerdo<strong>te</strong> offre <strong>nel</strong>la<br />

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somministrazione del bat<strong>te</strong>simo, che i primi cristiani indossavano nei primi 8<br />

giorni dell’anno, che conservavano sino alla mor<strong>te</strong>, come indumento <strong>per</strong> la<br />

sepoltura. Oggi anche le donne indossano il sacco che vuole essere, <strong>per</strong>ò, una<br />

varian<strong>te</strong> della tunica indossata da Sant’Agata duran<strong>te</strong> il martirio.<br />

LE ASSOCIAZIONI AGATINE<br />

L’Associazione maschile Sant’Agata, con sede presso la sacrestia di S.<br />

Placido, nasce ufficialmen<strong>te</strong> l’8 Dicembre 1986 con decreto del Arcivescovo<br />

Picchinenna. Il principale dovere dei Soci iscritti (oltre 500) è quello di<br />

svolgere quotidianamen<strong>te</strong> la missione Cristiana, secondo i principi della fede.<br />

Da ben 18 anni alla Presidenza vi è Claudio Baturi, che con altre 6<br />

<strong>per</strong>sone forma il Consiglio Direttivo, fra cui un Vicepresiden<strong>te</strong>, un segretario<br />

e un Cassiere.<br />

Fra le attività svol<strong>te</strong>, spiccano: l’allestimento della mostra, Cimeli<br />

Agatini, duran<strong>te</strong> il <strong>per</strong>iodo della festa, con manufatti realizzati dai Soci; il<br />

Servizio d’ordine in Cat<strong>te</strong>drale duran<strong>te</strong> le celebrazioni più importanti,<br />

l’Epifania <strong>per</strong> i bambini orfani; il Servizio davanti la Cappella di Sant’Agata, ai<br />

numerosi pellegrini duran<strong>te</strong> il <strong>per</strong>iodo dei fes<strong>te</strong>ggiamenti, infine il raduno dei<br />

diversamen<strong>te</strong> abili dell’Associazione “Le Ginestre” in Piazza San Placido.<br />

Quella femminile è attiva già dagli anni quaranta del ‘900 nasce sotto il<br />

nome di “Pie Agatine” e solo <strong>nel</strong> 1958 viene denominata Associazione<br />

Femminile Sant’Agata in Cat<strong>te</strong>drale. Il 10 dicembre 1991 entra a far par<strong>te</strong><br />

della consulta delle associazioni agatine e solo da questo momento essa viene<br />

regolata da uno statuto che tut<strong>te</strong> le socie devono fedelmen<strong>te</strong> rispettare.<br />

In tutti questi anni l’Associazione si è impegnata ad ottimizzare la<br />

formazione cristiana di ogni socia attraverso la ca<strong>te</strong>chesi e l’ascolto della<br />

parola di Dio. Fondamento sul quale essa poggia è seguire quanto più<br />

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fedelmen<strong>te</strong> possibile l’insegnamento cristiano puntando a quei valori che ha<br />

incarnato la giovane Agata, met<strong>te</strong>ndo in pratica la parola che il Vangelo offre<br />

quotidianamen<strong>te</strong>.<br />

Le socie prestano la loro collaborazione nei <strong>per</strong>iodi delle festività<br />

agatine e duran<strong>te</strong> l’anno organizzano giorna<strong>te</strong> <strong>per</strong> la raccolta di fondi destinati<br />

al seminario arcivescovile e all’adozione a distanza di bambini di Migoli, <strong>nel</strong>la<br />

diocesi di Iringa in Tanzania.<br />

Si sta inoltre lavorando all’attivazione di servizi di volontariato ed<br />

assis<strong>te</strong>nza rivolti a donne bisognose.<br />

Associazione Sant’Agata al Carcere, estratto dello Statuto: scopo<br />

particolare dell’Associazione è quello di praticare e propagare il culto di<br />

Sant’Agata, a tale scopo l’Associazione promuove quanto possa servire a<br />

divulgare la devozione <strong>per</strong> la Patrona e le sublimi virtù, celebrandole <strong>nel</strong><br />

santuario le domeniche precedenti la festa.<br />

LE CANDELORE<br />

Molto antica è la tradizione dei cerei che, in principio, forse già <strong>nel</strong> XV<br />

secolo erano quasi dei carri allegorici di Carnevale, cambiando foggia ogni<br />

anno ed erano più di trenta. Col <strong>te</strong>rmine “cereo” si vuol definire la luce.<br />

Nel 1514 le candelore erano 22 ed il nobile Don Alvaro Pa<strong>te</strong>rnò stabilì<br />

l’ordine di sfilata, risultan<strong>te</strong> dalla iscrizione alla Banca dei Giurati, così il 3<br />

febbraio apriva il <strong>per</strong>corso quella dei confettieri, mentre <strong>nel</strong> 1674<br />

par<strong>te</strong>ciparono 28 candelore (Gigli), più al<strong>te</strong> delle cime dei palazzi ed avevano<br />

forme strane (navi, cas<strong>te</strong>lli, piramidi).<br />

Alla fine del XIX secolo divennero 15 e comprendevano quella dei<br />

calzolai, dei carrettieri dei muratori, mentre agli inizi del ‘900 erano 13 e<br />

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procedevano a coppie, secondo l’ordine di fondazione. Da <strong>te</strong>mpo<br />

immemorabile le candelore sfilano sempre <strong>nel</strong>lo s<strong>te</strong>sso ordine.<br />

Ogni anno, la scelta dei portantini, che dovranno indossare sul capo il<br />

classico sacco di juta, viene effettuata il 13 gennaio.<br />

La “attaccata” delle candelore consis<strong>te</strong> <strong>nel</strong> legare con dello spago le<br />

corde agli assi portanti ed alle traverse delle candelore, il tutto all’in<strong>te</strong>rno<br />

delle singole chiese ed in gran segreto, soltanto dopo aver provato la classica<br />

“annacata”, le corde verranno bagna<strong>te</strong>. Oggi, alla fine della Santa Messa, tut<strong>te</strong><br />

le candelore ed i portantini, vengono benedetti.<br />

Anticamen<strong>te</strong> le candelore non seguivano Sant’Agata, poiché la festa era<br />

considerata sacra, <strong>per</strong> cui, uscivano soltanto giorno 3 febbraio.<br />

Col <strong>te</strong>mpo iniziavano la salita di Sangiuliano non prima che Sant’Agata<br />

si presentasse ai Quattro Canti col viso rivolto verso l’alto, mentre oggi<br />

rimangono molto distanti dal fercolo, fino a ritirarsi mentre la Patrona è<br />

ancora in giro. Oggi ad aprire la processione degli 11 ceri è il più piccolo (di<br />

Sant’Agata), simile all’originale, datato 1766, distrutto duran<strong>te</strong> la seconda<br />

guerra mondiale, voluto da monsignor Ventimiglia, vescovo di <strong>Catania</strong>.<br />

Il primo grande cero che segue, è il più antico, rappresenta gli abitanti<br />

del quartiere di San Giuseppe La Rena, realizzato fra il 1820 ed il 1852, con 4<br />

ordini barocchi e 4 aquile alla base.<br />

Secondo è quello dei giardinieri e fiorai, in stile gotico veneziano, con 3<br />

ordini e sormontato da una corona che le conferisce aspetto regale, <strong>per</strong><br />

questo è chiamato la regina.<br />

Terzo è quello dei pescivendoli, in stile rococò con fregi, santi e piccoli<br />

pesci, il cui inconfondibile passo baldanzoso le ha fatto guadagnare il<br />

soprannome di bersagliera.<br />

106


Il cero dei fruttivendoli ha passo elegan<strong>te</strong> ed è chiamato la signorina,<br />

alla base ha 4 cigni.<br />

Quello dei macellai è costituito da una torre prismatica a quattro ordini,<br />

con alla base 4 leoni ed in alto una statua del Patrono della corporazione, S.<br />

Sebastiano e con un mazzo di fiori freschi.<br />

Quello dei pastai, l’unico sopravvissuto dei cerei del ‘700, col cerone<br />

originale, in stile barocco, senza alcuna scenografia.<br />

Quello dei pizzicagnoli o salumieri è in stile liberty, con alla base 4 cariatidi.<br />

Quello dei bettolieri, in stile im<strong>per</strong>o, ha alla base 4 leoni e 4 momenti<br />

del martirio.<br />

Quello dei panettieri è il più pesan<strong>te</strong> (12 portatori), costruito <strong>nel</strong> 1731<br />

gravemen<strong>te</strong> danneggiato <strong>nel</strong>l’aprile del 1943, ornato con 4 grandi angeli alla<br />

monumentale base, costituito da 4 <strong>te</strong>lamoni, <strong>per</strong> la sua cadenza è chiamato la<br />

mamma, infatti la boccia che è in cima si muove come una <strong>te</strong>sta.<br />

La processione si chiude col più giovane, del circolo di Sant’Agata,<br />

introdotto dal cardinale Dusmet, in stile neoclassico, con 3 ordini, con le<br />

statue di Sant’Agata e S. Euplio.<br />

Nel 2010 alle 11 candelore si è aggiunto quello del Villaggio Sant’Agata,<br />

nato quasi <strong>per</strong> gioco, in quanto dei bambini del villaggio ne avevano costruito<br />

uno con casset<strong>te</strong> di frutta vuo<strong>te</strong>, che portavano in giro <strong>per</strong> la città. Solo <strong>nel</strong><br />

2012 ai suoi portatori è stato consentito di procedere in penultima posizione.<br />

La festa di Sant’Agata è inscindibile dalla tradizionale sfilata delle<br />

candelore, enormi ceri rivestiti con decorazioni artigianali, puttini in legno<br />

dorato, santi e scene del martirio, fiori e bandiere, che precedono il fercolo,<br />

<strong>per</strong>ché un <strong>te</strong>mpo, quando mancava l’illuminazione elettrica, avevano la funzione<br />

di illuminare il passo ai par<strong>te</strong>cipanti alla processione.<br />

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Sono porta<strong>te</strong> a spalla da un numero di portatori che, a seconda del peso del<br />

cero, può variare da 4 a 12. Il 12 ricorre come numero massimo dei cerei, così<br />

come dei portatori, poiché i Santi Apostoli, appunto, erano 12. Il loro peso<br />

varia da un minimo di kg. 400 ad un massimo di kg. 1.200.<br />

Il vecchio cereo dei fruttivendoli si trova presso la cappella<br />

dell’addolorata del Duomo. Ognuna delle candelore possiede una sua identità<br />

e sulle spalle dei portatori, essa si anima e vive la propria unicità composta di<br />

diversi elementi: la forma carat<strong>te</strong>ristica, andatura, tipo di ondeggiamento,<br />

scelta di una marcia come sottofondo musicale.<br />

Tutti i cerei, tranne quello dei pastai (col set<strong>te</strong>cen<strong>te</strong>sco candelone<br />

centrale originale in cera) hanno un cereo in plastica.<br />

RIVOLTA IN CATTEDRALE<br />

Nell’agosto del 1579, mentre si celebrava in Cat<strong>te</strong>drale la festa di Sant’<strong>agata</strong>,<br />

si sca<strong>te</strong>nò una violenta rivolta con utilizzo di spade e col<strong>te</strong>lli, con parecchi<br />

feriti e grande spargimento di sangue pallio. In quel tumultuoso frastuono, a<br />

causa del ribaltamento della portantina, cadde la corona della Santa Patrona,<br />

con la conseguen<strong>te</strong> <strong>per</strong>dita di una pietra di grossa valuta, unitamen<strong>te</strong> ad altre<br />

pietre e ad alcuni pezzi d’argento dello scrigno. Il reverendo vicario generale,<br />

Don Cola Stichia promulgò un bando affinché entro 3 giorni i de<strong>te</strong>ntori delle<br />

pietre preziose li restituissero, pena la scomunica.<br />

NEL FEBBRAIO DEL 1799 LA FESTA FU ANNULLATA<br />

Il 2 febbraio 1799 il Senato catanese, approssimandosi i fes<strong>te</strong>ggiamenti<br />

del Carnevale, onde evitare che il brio del popolo po<strong>te</strong>sse sortire problemi,<br />

derogando dall’antica consuetudine, decise di non celebrare la festa di<br />

Sant’Agata, sottomet<strong>te</strong>ndo sin dal 27 novembre 1798, la decisione al<br />

108


Governo, il quale, fra lo sconcerto generale della gen<strong>te</strong>, con dispaccio del<br />

24/12/98, concesse il rimando della festa. Le condizioni politiche a causa del<br />

malessere dei commerci, risentì della sospensione.<br />

Pochi mesi dopo, col rasserenamento politico, la vita in città riprese il<br />

suo ritmo, <strong>per</strong> cui, si volle commemorare il 673° anniversario del rientro delle<br />

reliquie da Costantinopoli. Il Senato colse l’occasione <strong>per</strong> organizzare solenne<br />

rendimento di grazie a Dio ed alla Patrona, della pro<strong>te</strong>zione concessa a<br />

Ferdinando IV Re del Regno di Napoli, stanziando 280 onze <strong>per</strong> la festa,<br />

<strong>per</strong>tanto, si rivolse al Re affinché autorizzasse la maggiore spesa. Il nuovo<br />

Senato, in carica dal 22 luglio, ripeté i sentimenti di fedeltà <strong>per</strong> aver esaudito il<br />

desiderio del popolo. Il 13 agosto il Senato si rivolse al Re <strong>per</strong>ché si era<br />

sprovvisti di strumenti <strong>per</strong> la banda e vesti <strong>per</strong> i componenti.<br />

La let<strong>te</strong>ra del 20 luglio 1799 ot<strong>te</strong>nne lo scopo desiderato <strong>per</strong> una spesa<br />

maggiore <strong>per</strong> la festa ed il Re ordinò al Principe del Cassaro di porgere al<br />

Senato l’espressione di gradimento <strong>per</strong> la festa preparata in quell’anno con<br />

no<strong>te</strong>vole sfondo politico, ri<strong>te</strong>nendo l’atmosfera propizia allo svolgimento.<br />

Nel mese di agosto innanzi a Porta Uzeda fu eretto il Tempio della Vittoria,<br />

circolare e corinzio con un’al<strong>te</strong>zza di m. 14,20, sos<strong>te</strong>nuto da 18 colonne con<br />

cupola e mol<strong>te</strong> a<strong>per</strong>ture, al cui in<strong>te</strong>rno era rappresentata la Vittoria <strong>nel</strong>l’atto di<br />

porgere a Ferdinando IV ed alla Regina Carolina la corona d’alloro ed alla<br />

Fede, la croce, con ai lati 2 piramidi al<strong>te</strong> m. 0,70, lunghe 18,10 palmi.<br />

La piazza S. Filippo (Mazzini) in quel <strong>te</strong>mpo aveva le colonne e le arca<strong>te</strong><br />

dei portici adorna<strong>te</strong> a festa, con piramidi ai 4 lati ed una più piccola e poco<br />

armoniosa al centro, successivamen<strong>te</strong> spostata <strong>per</strong> far passare il carro.<br />

Nel punto più centrale della città, cioè ai 4 cantoni si vedevano le 4<br />

Stagioni a 1/2 busto, su basamenti ed inquadra<strong>te</strong> da archi, mentre in fondo a<br />

Porta di Aci (Piazza Bellini) nei primi due giorni di festa era rappresentata<br />

109


Napoli ed una riduzione in cartapesta di Cas<strong>te</strong>l dell’Ovo, con vascelli che<br />

l’assediavano, mentre <strong>nel</strong> <strong>te</strong>rzo giorno si vedeva Cas<strong>te</strong>l Sant’Elmo con due<br />

fortini a fianco.<br />

Cas<strong>te</strong>lli e vascelli arano gli elementi più rappresentativi, ma le<br />

decorazioni religiose non furono da meno, <strong>per</strong> cui, furono ideati quadri a<br />

grandezza naturale ed episodi dei miracoli e del martirio di Sant’Agata.<br />

Al Monas<strong>te</strong>ro di S. Chiara era raffigurata innanzi al tribunale di Quinziano.<br />

Al Monas<strong>te</strong>ro di S. M. dell’Aiuto, rinchiusa in <strong>te</strong>tro carcere e sorvegliata.<br />

Al Monas<strong>te</strong>ro della SS. Trinità, trascinata da carnefici entro un <strong>te</strong>mpio<br />

pagano alla presenza di idoli.<br />

Al Monas<strong>te</strong>ro di S. Agostino, schiaffeggiata in presenza di Quinziano.<br />

Al Monas<strong>te</strong>ro di S. Francesco, mentre soffre le torture.<br />

Al Monas<strong>te</strong>ro di S. Benedetto, raffigurata scena d’asportazione mammelle.<br />

Al Monas<strong>te</strong>ro di S. Giuliano, S. Pietro con l’angelo fa scaturire improvvisa<br />

luce in carcere, confortando Sant’Agata, guarendo le feri<strong>te</strong> e restituendo le<br />

mammelle.<br />

Al monas<strong>te</strong>ro di Sant’Agata un angelo colloca sul sepolcro la scritta<br />

“Men<strong>te</strong>m Sanctam, Spontaneam Honorem Deo et Patriae Liberationem”<br />

A S. Placido è rappresentata l’eruzione del 1444 ed il Beato Pietro<br />

Geremia porta il Velo presso il torren<strong>te</strong> di lava, la quale muta il suo corso.<br />

Alla Collegiata va in scena una scena dell’eruzione 1669, quando la lava<br />

piegò verso ponen<strong>te</strong><br />

A Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re è tra le fiamme, col popolo in rivolta che inves<strong>te</strong> la<br />

residenza di Quinziano, il quale fugge, mentre un <strong>te</strong>rremoto scuo<strong>te</strong> la <strong>te</strong>rra,<br />

seppellendo tutti sotto le rovine del Palazzo Pretorio.<br />

Alla Casa dei Minoriti viene tolta dalla fornace e fra il tumulto popolare<br />

viene rinchiusa in prigione, ove muore.<br />

110


Duran<strong>te</strong> il 3° giorno di festa il Senato, <strong>nel</strong>le berline di Sant’<strong>agata</strong> era<br />

preceduto da 8 timpani, 23 alabardieri, 4 bandiere da Banda a cavallo, col<br />

Vescovo ed il Capitano Giustiziere, un magnifico cor<strong>te</strong>o con soldati ed<br />

ufficiali a cavallo.<br />

Fini<strong>te</strong> le corse, le Autorità si recavano con la s<strong>te</strong>ssa pompa in Piazza<br />

degli Studi ad ascoltare la ripetizione dell’Oratorio “Il Fan<strong>te</strong> di Orebbe”,<br />

mentre a sera il “Gran Carro Trionfale”, illuminato a cera, ritornò a Piazza<br />

Porta di Aci, preceduto dalla banda a cavallo e dagli ufficiali del Senato. Il 4°<br />

giorno di festa fu dedicato alla venerazione, con corse dei barberi, col<br />

concerto <strong>nel</strong> Tempio della Vittoria, le luminarie, la processione con le<br />

Reliquie lungo la par<strong>te</strong> occidentale della città.<br />

Le candelore procedevano appaia<strong>te</strong>, ciascuna poggiando su monumento<br />

in legno, simile a torre, con scolpiti episodi della Patrona, con statue di Santi,<br />

banderuole, faretti e ceri. In agosto gli spari coprivano il tuono delle<br />

artiglierie dei baluardi, intrecciandosi al suono delle campane ed alla musica<br />

della banda a cavallo del Senato.<br />

L’ultimo giorno una solenne funzione <strong>nel</strong>la Chiesa di S. Francesco<br />

Borgia, Cat<strong>te</strong>drale in<strong>te</strong>rinale, parata a festa, con esposizione del Busto di<br />

Sant’Agata, Messa Pontificale con musica vocale e strumentale, con il Senato<br />

in gran Gala. Nel pomeriggio s<strong>te</strong>sso cerimoniale del giorno preceden<strong>te</strong>, ma<br />

con processione della Reliquie <strong>nel</strong>la par<strong>te</strong> set<strong>te</strong>ntrionale della città, col suono<br />

della banda del Senato e sparo di artiglieria, rientro delle Reliquie in<br />

Cat<strong>te</strong>drale, con grande spettacolo di fuochi in Piazza di Aci: il quadro della<br />

rappresentazione fu la difesa di Cas<strong>te</strong>l S. Elmo dai bombardamenti, con<br />

conseguen<strong>te</strong> sman<strong>te</strong>llamento, con epilogo di distruzione del Maniero.<br />

I CANTANTI DELLA FESTA<br />

111


Un <strong>te</strong>mpo, duran<strong>te</strong> gli ultimi giorni di gennaio i catanesi si dividevano in<br />

“partiti” <strong>per</strong> provare la “cantata” della sera del 3 febbraio.<br />

Il capopartito era colui che conosceva bene l’intonazione faceva da<br />

maestro, poi c’era un trombone a fungere da orchestra.<br />

Il maestro, con le mani in aria cercava di bat<strong>te</strong>re ad ogni accento di<br />

parola. La battuta veniva riportata tra i coristi a gomita<strong>te</strong> dall’uno all’altro, od<br />

a movimenti di <strong>te</strong>sta, mentre il trombone generalmen<strong>te</strong> <strong>per</strong>deva le staffe e<br />

taceva, solo a tratti faceva sentire la sua voce, senza azzeccare il punto giusto.<br />

Il coro continuava impassibile a provare ed a riprovare, senza accertarsi<br />

se l’intonazione ed il ritmo, fossero quelli giusti, non badando a ques<strong>te</strong><br />

sottigliezze. La forma musicale era la s<strong>te</strong>ssa <strong>per</strong> i 4 partiti, con 3 <strong>te</strong>mpi: allegro<br />

maestoso (introduzione), un adagio (preghiera), allegro vivace o cabaletta.<br />

Il primo <strong>te</strong>mpo, breve, si annunciava con un solenne <strong>te</strong>ma di marcia,<br />

quindi attaccava il coro, il secondo <strong>te</strong>mpo era più at<strong>te</strong>so dal pubblico, <strong>per</strong>ché<br />

pa<strong>te</strong>tico e più cantabile, quasi sempre in minore, in <strong>te</strong>mpo composto (12/8 o<br />

9/8) ed ha un andamento lento. Qui il coro si divide in <strong>te</strong>nori e bassi che si<br />

al<strong>te</strong>rnano in forma dialogata, mentre le voci si inseguono fino a raggiungersi e<br />

mescolarsi in <strong>te</strong>rze, procedendo con progressione semitonata ascenden<strong>te</strong>.<br />

La “cabaletta” o <strong>te</strong>rzo <strong>te</strong>mpo era contrapposta all’aria ed accennata da<br />

pet<strong>te</strong>goli squilli di tromba in <strong>te</strong>rzine rapide con un ritmo spigliato ed<br />

esilaran<strong>te</strong> che fa muovere la <strong>te</strong>sta a chi la canta ed i piedi a chi l’ascolta. Nel<br />

finale procede sempre più stringendo il <strong>te</strong>mpo ed accelerando il ritmo verso<br />

le cadenze basa<strong>te</strong> sulla dominan<strong>te</strong> e la tonica, gioia e delizia dei nostri avi.<br />

Verso le ultime battu<strong>te</strong> precipitanti, gran ballo di palloncini ed applausi da<br />

par<strong>te</strong> degli s<strong>te</strong>ssi esecutori.<br />

“IL TRIONFO” POEMA DEDICATO A S. AGATA<br />

112


Il poema contiene una descrizione dal vero della festa di Sant’Agata, che<br />

svolgeva a <strong>Catania</strong> dal 1° al 5 febbraio, nei primi decenni del XVII secolo, col<br />

fasto che distingueva quell’età. C’era la “fiera” ove affluivano dal Levan<strong>te</strong> le<br />

più ricerca<strong>te</strong> mercanzie ed era un supplemento alla consueta “fiera del<br />

lunedì”, c’erano i “palii” del corso, il primo giorno <strong>nel</strong> Piano della Cat<strong>te</strong>drale,<br />

il secondo lungo la marina, c’era la grande “luminaria” del <strong>te</strong>rzo giorno, lungo<br />

la medesima via, con la grande mascherata presenti il Capitano della città, i<br />

cavalieri e la folla straripan<strong>te</strong>.<br />

In quel giorno si facevano magnifici giochi: la corsa ed il<br />

combattimento alla lancia dei cavalieri, la giostra del Saraceno e l’imponen<strong>te</strong><br />

processione degli sfarzosi e numerosi “Gilij” (misuratori del formento,<br />

muratori, ferrari, sartori, spatari, scarpari, barberi, orefici e argentieri, etc.).<br />

Il 4° giorno era dedicato alla processione sella Santa, portata a spalla<br />

all’uscita dalla Cat<strong>te</strong>drale, quindi, sul carro d’argento, tra musica e spari, fuori<br />

le mura <strong>per</strong> via di Porta dei Canali, con sosta a mezzogiorno <strong>nel</strong>la chiesa del<br />

Carmine e ritorno entro le mura <strong>per</strong> la porta vicina alla marina. Il 5° giorno si<br />

chiudeva la festa con le celebrazioni in chiesa.<br />

DIVINITÁ INFLUENTI SUL CULTO DI SANT’AGATA<br />

L’elenco delle principali divinità pagane influenzato dal culto di Agata è<br />

lungo e comprende: Afrodi<strong>te</strong>, dea della bellezza, dell’amore e dei vincoli<br />

coniugali, la cui nascita è circondata da mol<strong>te</strong> mitiche leggende.<br />

Secondo Omero nacque da Zeus, secondo Esiodo nacque dalla spuma<br />

del mare,fecondata dai genitali di Urano. Emersa nuda dalle acque, sopra una<br />

conchiglia di madre<strong>per</strong>la, sull’Olimpo fu accolta con ammirazione e giubilo<br />

da tutti gli dei. Ebbe un culto assai diffuso ed i Romani la identificarono con<br />

113


Venere, antica divinità dei popoli italici e dei Fenici, considerata dea della luna<br />

e madre originaria degli esseri viventi, quindi dea della fecondità e dell’amore.<br />

Assimilata dai Romani, fu prima identificata con Libertina, poi con<br />

l’Afrodi<strong>te</strong> dei Greci e, come dea pro<strong>te</strong>ttrice dell’amore coniugale, ebbe<br />

numerosissimi <strong>te</strong>mpli ed identificata con Afrodi<strong>te</strong> e con Iside dagli Egiziani,<br />

fu venerata <strong>nel</strong> santuario eretto in suo onore dal figlio Erice in Sicilia, sul<br />

mon<strong>te</strong> omonimo. Demetra, dea delle pian<strong>te</strong>, <strong>per</strong>sonificava la forza generatrice<br />

della <strong>te</strong>rra, sorella di Zeus e madre di Persefone. Il mito e il culto di Demetra<br />

sono strettamen<strong>te</strong> legati al rapimento della figlia Persefone, rappresentata<br />

dagli antichi con due pini, usati come torce accese <strong>nel</strong>l’Etna. I Romani<br />

identificarono Demetra con Cerere, Persefone con Proserpina.<br />

Iside, dea egiziana, insieme con Osiride, fu la più grande divinità degli<br />

Egiziani,secondo Plutarco nacque da Saturno, era sorella gemella e sposa di<br />

Osiride (già <strong>nel</strong> seno ma<strong>te</strong>rno) e madre di Horus, con i quali formava una<br />

sacra triade. Era apportatrice di vita e pros<strong>per</strong>ità, ed anche guida e pro<strong>te</strong>ttrice<br />

dei defunti. Attributi della dea erano il serpen<strong>te</strong> e la cornucopia.<br />

Secondo gli Egiziani, le inondazioni del Nilo erano provoca<strong>te</strong> proprio<br />

dalle copiose lacrime sparse dalla dea <strong>per</strong> la <strong>per</strong>dita dello sposo.<br />

I Greci la identificarono con Demetra, Afrodi<strong>te</strong> e Selene, mentre i<br />

Romani adottarono il culto di Iside con riluttanza, ma poi questa divinità<br />

straniera ebbe largo seguito, specialmen<strong>te</strong> fra le donne che la venerarono<br />

come pro<strong>te</strong>ttrice dei loro amori. Se è vero che la dottrina alessandrina non<br />

seppe del tutto svincolarsi da credenze e su<strong>per</strong>stizioni ereditare dall’Orien<strong>te</strong> e<br />

dal paganesimo di Greci e Romani e la religione di Iside, accanto ad idee<br />

sublimi e precetti di sana morale ebbe concetti stravaganti e pratiche<br />

riprovevoli; è anche vero che spianò la strada al trionfan<strong>te</strong> cristianesimo.<br />

114


SANT’AGATA ED ISIDE<br />

<strong>Catania</strong> figura tra le prime città duran<strong>te</strong> l’era Romana <strong>per</strong> fervore <strong>nel</strong><br />

culto di Iside e cominciò a fiorire quando la dea è identificata con Proserpina,<br />

infatti, come affermò lo scrittore di scuola platonica Apuleio, i due nomi<br />

corrispondevano ad una sola divinità. L’importanza di Iside e del suo culto<br />

approdato poi in tutto il Medi<strong>te</strong>rraneo andrebbe oggi risco<strong>per</strong>to e<br />

maggiormen<strong>te</strong> in Sicilia dove questa prima figura di Madonna allattan<strong>te</strong> in<br />

piede (esistono figure anche in Sicilia, di Grande Madre allattan<strong>te</strong> seduta) sarà<br />

fon<strong>te</strong> d’ispirazione <strong>per</strong> la Cristianità.<br />

Col trionfo di Sant’Agata, il suo sacro velo fece cadere <strong>nel</strong>l’oblio òe vele<br />

della nave di Iside, meritando la venerazione delle <strong>te</strong>ssitrici, che prima<br />

solevano sacrificare alla dea egizia.<br />

Nel mondo, Iside, dea della fertilità e ma<strong>te</strong>rnità, assume tantissimi nomi,<br />

dei quali i più importanti risultano essere quelli di Ar<strong>te</strong>mide, Diana,<br />

Aphrodi<strong>te</strong>, Venere, Demetra, Cerere, Kore, infine Bellona a Roma, a<br />

Tapallara, cioè Pallade, a <strong>Catania</strong>. Iside trovasi raffigurata sullo s<strong>te</strong>le del<br />

liotro, assieme ad Horus, Anubi, il dio Api e il dio Ra.<br />

In Egitto Iside è sposa di Osiride, dio del deserto e madre di Horus,<br />

nonché figlia di Nut, dea del Cielo, e di Geb, dio della Terra. Iside, tra l’altro,<br />

era il simbolo di sposa e madre che rappresentava la forza produttrice della<br />

natura. Sicché duran<strong>te</strong> il rito, un ministro del culto portava in mano un<br />

vasetto d’oro a forma di mammella, facendo innanzi al popolo libagione di<br />

lat<strong>te</strong>. Il riferimento alla festa di Sant’Agata consis<strong>te</strong> <strong>nel</strong> seno strappatole, in<br />

forza del quale duran<strong>te</strong> la festa le donne sofferenti offrono oggi mammelle di<br />

cera quale riconoscenza <strong>per</strong> la guarigione ot<strong>te</strong>nuta. Le analogie sono tan<strong>te</strong> in<br />

effetti tra i culti di Iside e quello in onore della s<strong>te</strong>ssa Patrona di <strong>Catania</strong>.<br />

115


A questo è legittimo chiedersi se anticamen<strong>te</strong> a <strong>Catania</strong> esis<strong>te</strong>va il culto<br />

di Iside, con una festa simile a quella di Corinto, la risposta sta <strong>nel</strong> fatto che in<br />

occiden<strong>te</strong> il culto è di natura alessandrina, derivan<strong>te</strong> dalla fusione di dottrine<br />

greche, che si riferiscono alla visita in Egitto di Erodoto, con credenze egizie.<br />

Un’altra tradizione viene riportata da Apuleio, scrittore e filosofo di<br />

scuola platonica, ne “Le metamorfosi”, secondo la quale la festa della dea<br />

egizia Iside (Isidis navigium) <strong>nel</strong>la città greca di Corinto, ove il rito imponeva<br />

la processione verso il mare, consacrandole la nave che poi sarebbe stata<br />

slanciata in mare, avrebbe parecchi punti in comune con la festa catanese,<br />

anch’essa imponen<strong>te</strong> e d’indole marinara, infatti la processione dal <strong>te</strong>mpio<br />

scendeva alla marina, non <strong>per</strong> lanciare in mare la nave, ma <strong>per</strong>ché lì un <strong>te</strong>mpo<br />

era approdata la barca con le reliquie della Santa Patrona.<br />

Come <strong>te</strong>stimonia Apuleio, Iside era conosciuta a Roma al <strong>te</strong>mpo del<br />

generale Giulio Cor<strong>nel</strong>io Silla ed esis<strong>te</strong>va un collegio di suoi sacerdoti ed<br />

incontrava grandi ostacoli, l’avversione dell’im<strong>per</strong>atore Augusto e le<br />

<strong>per</strong>secuzioni di Tiberio, ma <strong>per</strong> i seguaci della dea le cose andarono bene e<br />

sotto Nerone furono accolti e riconosciuti dalla Stato, godendo delle simpatie<br />

di Marco Otone e degli im<strong>per</strong>atori “adottivi”(dal 96 al 180)Flavi ed Antonini.<br />

Ecco dimostrato <strong>per</strong>ché anticamen<strong>te</strong> in Sicilia, a Taormina ed a<br />

Siracusa, presso il <strong>te</strong>mpio di Apollo vi fossero culti derivati dall’Egitto,<br />

<strong>per</strong>sino con dei geroglifici. Ma <strong>Catania</strong> fu sede principale del culto egizio in<br />

Sicilia, fin dalla fine del II secolo a. C., come si evince da antiche mone<strong>te</strong> in<br />

bronzo con effigie di Iside, Oro, Serapide ed Apollo, così come da alcuni<br />

monumenti di religione alessandrina.<br />

Alcuni scrittori parlano <strong>per</strong>sino di colossali obelischi eretti presso il<br />

Circo della città, oggi ne rimangono solo due: al Duomo ed al Museo Biscari.<br />

116


Ad un <strong>te</strong>mpio pensò il principe Ignazio Biscari, allorquando trovò, tut<strong>te</strong><br />

insieme, moltissime statuet<strong>te</strong> di <strong>te</strong>rracotta in stile egizio.<br />

Alla processione di Corinto, gli adepti di Iside (ministri del culto ed<br />

iniziati di ambo i sessi) recavano sugli abiti una tunica di lino bianco stretta al<br />

petto, simile all’attuale sacco agatino che, col <strong>te</strong>mpo si sostituì al velo di Iside.<br />

In particolare il popolo vestito di una tunica bianca che par<strong>te</strong>cipava ai<br />

fes<strong>te</strong>ggiamenti viene accostato al sacco bianco indossato in processione dai<br />

devoti, che tirano i cordoni del fercolo, trainandolo lungo il <strong>per</strong>corso.<br />

Alla festa, grande ruolo svolgevano le donne, e non mancava il ricorso<br />

alla mascherata, ove la gioventù a cavallo prendeva par<strong>te</strong> alla processione<br />

delle Bare del 3 febbraio, mascherandosi, onde accrescere la solennità e<br />

<strong>te</strong>atralità della scena, proprio come avveniva <strong>nel</strong>la festa di Corinto, ove si<br />

presentava all’occhio uno spettacolo attraen<strong>te</strong> con schiere di <strong>per</strong>sone che, <strong>per</strong><br />

voto fatto alla dea, si travestivano in mille maniere. Ed ecco, in mezzo alla<br />

mascherata avanzare in modo solenne la processione della dea pro<strong>te</strong>ttrice.<br />

A tale costume, oggi scomparso, seguì un’altra fase, ove le donne,<br />

procedevano a gruppi di due, tre ed anche più, abbracciati a parenti ed amici,<br />

vestivano dalla cintola in su con un manto di seta nero a coprire la <strong>te</strong>sta ed il<br />

volto, lasciando solo a<strong>per</strong>to l’occhio destro, onde po<strong>te</strong>r guardare la strada,<br />

proprio come <strong>nel</strong>le processioni di Corinto.<br />

L’Isidus navigium descritto da Apuleio era una festa essenzialmen<strong>te</strong><br />

marinara ed anticamen<strong>te</strong> la festa di Sant’Agata avrà avuto relazione col mare,<br />

infatti, il Corso del Palij del 2 febbraio aveva luogo lungo la marina, dove<br />

affluiva il popolo festan<strong>te</strong>, <strong>nel</strong> <strong>te</strong>mpo la cerimonia della consacrazione della<br />

nave, scomparve, ne prese il posto la sacra Bara della Santa, tuttavia, qualcosa<br />

rimase dell’antico costume.<br />

117


Delle Bare o Gigli (candelore), porta<strong>te</strong> in giro giorno 3, alcune erano<br />

anche a forma di nave ed alla processione par<strong>te</strong>cipavano molti marinai.<br />

Anche la processione del 4 si muoveva con la Bara da Porta Uzeda lungo la<br />

marina, quindi, come a Corinto, incamminandosi <strong>per</strong> la Strada Lanaria lungo<br />

la riva del mare, fino alla porta del Pontone, dove era giunta la barca da<br />

Costantinopoli, tuttavia, oggi non s’assis<strong>te</strong> più alla consacrazione della nave.<br />

Nel XVI secolo, allorquando la sera del 4 febbraio l’impeto delle onde<br />

fece invadere la strada, sì da impedire la processione, i portatori della Bara<br />

(non a torto da Carrera chiamati condottieri) andarono incontro alla<br />

<strong>te</strong>mpesta, fiduciosi <strong>nel</strong>la pro<strong>te</strong>zione della Patrona.<br />

Ed è degno di ricordo del senatore romano Pubblio Cor<strong>nel</strong>io Tacito, il<br />

quale credet<strong>te</strong> di trovare fra gli Svevi il culto di Iside, <strong>per</strong>ché la statua della<br />

dea era collocata su di una bara a forma di barca e forse <strong>nel</strong>le sue origini con<br />

l’antica festa del mare, stava in relazione il sacro Velo della Santa, un fine<br />

drappo di seta lungo 16 palmi, largo 2, di colore rosso scuro, simile alla rosa<br />

secca, ancor oggi in<strong>te</strong>gro pieghevole come fosse appena in<strong>te</strong>ssuto. La sacra<br />

tradizione lo met<strong>te</strong> in relazione coi pagani, affinché s<strong>per</strong>imentassero la sua<br />

po<strong>te</strong>nza, sin dal primo anniversario del martirio della Vergine.<br />

Secondo il Carrera il Velo doveva servire a Sant’Agata come copricapo<br />

e dopo il martirio venisse avvolto il suo corpo. E’ noto come il velo fosse un<br />

particolare ornamento di Iside, comparendo costan<strong>te</strong>men<strong>te</strong> in tutto ciò che,<br />

<strong>nel</strong>la let<strong>te</strong>ratura e <strong>nel</strong>l’ar<strong>te</strong>, riguardi la dea egizia.<br />

In relazione con la vela e coi bianchi lini d’Egitto stanno poi gli ignudi,<br />

che conducevano (a piedi scalzi e gambe nude, indossando una camicia) la<br />

Bara <strong>nel</strong>la processione del 4 febbraio, uso peni<strong>te</strong>n<strong>te</strong> la festa, tuttavia, a causa<br />

dei freddi del mese di febbraio, rimasero nudi soltanto i piedi e le gambe,<br />

mentre il corpo indossò abiti comuni, successivamen<strong>te</strong> di ignudi esis<strong>te</strong>t<strong>te</strong> solo<br />

118


il nome. Oggi la festa di Sant’Agata si è spogliata di antichi riti e costumi,<br />

passati alla storia, la quale sta a dimostrazione di quanta influenza esercitasse<br />

la civiltà alessandrina sulla <strong>Catania</strong> antica.<br />

SANT’AGATA VERGINE AMAZZONE<br />

Nella descrizione dello s<strong>te</strong>mma di <strong>Catania</strong>, Sant’Agata appare<br />

inspiegabilmen<strong>te</strong> bellicosa, con scudo e spada, come una vera amazzone in<br />

piedi sull’elefan<strong>te</strong>, ma molto somiglian<strong>te</strong> a Pallade, dea egizia della saggezza.<br />

E’ definita “Vergine Amazzone” <strong>per</strong>ché nei secoli ha vegliato sulle sorti<br />

di <strong>Catania</strong>, ponendo fra essa ed i nemici la sua irresistibile spada di fuoco, così<br />

come è raffigurata sullo s<strong>te</strong>mma che sormonta l’ingresso principale del<br />

Municipio e sul gonfalone, il quale presenta la let<strong>te</strong>ra “A” di Agata, con la<br />

destra armata da una spada e la sinistra con scudo ovale d’oro con l’effigie di<br />

un’aquila d’argento a volo abbassato, con al centro l’iscrizione in oro “Città di<br />

<strong>Catania</strong>”, la legenda “Castigo rebelles” a destra ed “Invictos su<strong>per</strong>o”.<br />

Altre ipo<strong>te</strong>si, di origine seicen<strong>te</strong>sca, presumevano che la “A” volesse<br />

indicare A<strong>te</strong>na, dea della sapienza ad indicare le virtù della città, o in<br />

al<strong>te</strong>rnativa la città di A<strong>te</strong>ne, progenitrice di <strong>Catania</strong>, ma ques<strong>te</strong> ipo<strong>te</strong>si non<br />

hanno valore storico. Un’altra spiegazione più realistica è che la let<strong>te</strong>ra voglia<br />

rappresentare sia Sant’Agata che la dinastia degli Aragona, del cui governo la<br />

città beneficiò in modo particolare.<br />

119


I colori presenti sono quelli della città e si ricollegano al gonfalone in<br />

uso <strong>nel</strong> 1929, il verde è quello dell’ulivo di Sant’Agata, l’azzurro il colore del<br />

gonfalone civico in uso <strong>nel</strong> XVII secolo, il rosso-amaranto, quello del<br />

gonfalone regio, così come della dinastia di Aragona. Sant’Agata, infine, è<br />

presen<strong>te</strong> anche sulla gualdrappa in groppa all’elefan<strong>te</strong> di Piazza Duomo,<br />

armata di spada e scudo ed in piedi sul pachiderma simbolo della città.<br />

Secondo una leggenda medievale Sant’Agata <strong>nel</strong>lo s<strong>te</strong>mma è<br />

rappresentata come S. Giorgio Vescovo <strong>nel</strong>l’atto di trafiggere un drago che<br />

eruttava fiamme, così come l’Etna a <strong>Catania</strong>. Quando <strong>nel</strong> 1239, in pieno<br />

<strong>per</strong>iodo aragonese, <strong>Catania</strong> divenne città demaniale (sveva), dovet<strong>te</strong> munirsi<br />

di un suo s<strong>te</strong>mma, <strong>per</strong> cui, dovet<strong>te</strong> modificare l’esis<strong>te</strong>n<strong>te</strong> gonfalone, in cui era<br />

raffigurato S. Giorgio, che aveva liberato la città dal diavolo, bat<strong>te</strong>ndo il<br />

drago, sostituendolo con l’immagine di Sant’Agata sul dorso dell’elefan<strong>te</strong>, <strong>per</strong><br />

combat<strong>te</strong>re contro il nuovo drago con le s<strong>te</strong>sse armi usa<strong>te</strong> da S. Giorgio.<br />

<strong>Catania</strong> si era ribellata al Re Federico II, il quale, <strong>per</strong> punirla <strong>per</strong> aver<br />

aderito alla rivolta, ne ordinò la totale distruzione e fu allora che gli apparve la<br />

famosa epigrafe, qui tradotta in italiano: “Non offendere la Patria di Agata<br />

<strong>per</strong>ché è vendicatrice delle offese”, <strong>per</strong> cui, tornò sulle proprie decisioni.<br />

SANT’AGATA E SANTA APOLLONIA<br />

C’è una simbologia che unisce Sant’Agata a Santa Apollonia, anch’essa<br />

pro<strong>te</strong>ttrice della città di <strong>Catania</strong> e martire cristiana che sos<strong>te</strong>nne la prova del<br />

martirio, poi venne bruciata viva e ridotta in cenere.<br />

Si disse allora che la fanciulla era stata sdentata, da un efferato<br />

giustiziere, <strong>per</strong> mezzo di <strong>te</strong>naglie, e le <strong>te</strong>naglie divennero l’attributo<br />

inconfondibile delle raffigurazioni della Martire da par<strong>te</strong> di pittori e scultori.<br />

120


Sempre <strong>per</strong> questo particolare, venne prescelta quale patrona dei<br />

dentisti ed invocata come pro<strong>te</strong>ttrice contro tutti i mali dentali e delle<br />

mascelle. Ben pochi catanesi sono a conoscenza del fatto che Santa<br />

Apollonia, dopo Sant’Agata e Sant’Euplio, sia la <strong>te</strong>rza Pro<strong>te</strong>ttrice di <strong>Catania</strong>.<br />

Ma dove si possono ammirare le effigie di Santa Apollonia?<br />

Una statua la rappresenta sul prospetto della Collegiata, ove vi è una<br />

grande finestra centrale, incorniciata da quattro statue, due sulla balaustrata:<br />

Sant’Agata a sinistra e S. Apollonia a destra, due mura<strong>te</strong> sulle nicchie: S.<br />

Pietro e S. Paolo. All’in<strong>te</strong>rno della chiesa vi è, inoltre, un importan<strong>te</strong> dipinto<br />

di Olivio Sozzi, che la rappresenta assieme a Sant’Euplio.<br />

Il 9 febbraio ricorre il giorno di Santa Apollonia, <strong>per</strong> tale curiosa coincidenza,<br />

a <strong>Catania</strong>, duran<strong>te</strong> il mese di febbraio non viene celebrata la sua festa.<br />

SANT’AGATA COME PENELOPE<br />

L’Egitto vantava di aver inventato l’ar<strong>te</strong> del <strong>te</strong>ssere ed anche a <strong>Catania</strong>,<br />

fin dal Medioevo ed all’età romana era fioren<strong>te</strong> l’ar<strong>te</strong> della <strong>te</strong>ssitura, <strong>per</strong> cui, il<br />

racconto che della giovanetta Agata una nuova Pe<strong>nel</strong>ope che, di not<strong>te</strong> disfà<br />

ciò che <strong>te</strong>sse di giorno non è semplice importazione d’un mito ellenico, ma il<br />

riflesso delle condizioni industriali del paese.<br />

Come <strong>te</strong>stimonia il dotto Padre Gaetani, <strong>nel</strong> XVI secolo a <strong>Catania</strong>,<br />

Sant’Agata aveva preso il posto di Cerere, dea della fertiltà, culto vivo già al<br />

<strong>te</strong>mpo dei Greci e dei Romani. Ed ecco <strong>per</strong>venire al confronto del Sacro<br />

Velo, con la benda, median<strong>te</strong> la quale Leuco<strong>te</strong>a (dea bianca, culto diffuso a<br />

Corinto) <strong>nel</strong> poema omerico dell’Odissea salvò Ulisse dalla <strong>te</strong>mpesta.<br />

Allo s<strong>te</strong>sso modo Sant’Agata viene accostata a Pe<strong>nel</strong>ope, in cui, essendo<br />

abile <strong>te</strong>ssitrice, usò lo s<strong>te</strong>sso stratagemma della moglie d’Ulisse, tuttavia, non<br />

si hanno cer<strong>te</strong>zze su questa notizia, mentre sono certissime le drammatiche<br />

vicende con Quinziano, prefetto dell’im<strong>per</strong>atore Decio, <strong>nel</strong> 251, ar<strong>te</strong>fice del<br />

121


suo atroce martirio. Esis<strong>te</strong> un legame fondamentale a livello popolare fra<br />

coloro che esercitano il mestiere di <strong>te</strong>ssitrici e Sant’Agata, si ritiene infatti che<br />

sia la pro<strong>te</strong>ttrice delle <strong>te</strong>ssitrici. Concetto, questo, oggetto di at<strong>te</strong>nzione da<br />

par<strong>te</strong> della tradizione, soprattutto siciliana, che ha elaborato a questo<br />

proposito una particolare leggenda che in<strong>te</strong>nde fornire una spiegazione<br />

precisa di come Sant’Agata sia diventata la pro<strong>te</strong>ttrice delle <strong>te</strong>ssitrici.<br />

Si narra che un uomo si innamorò <strong>per</strong>dutamen<strong>te</strong> di una fanciulla di nome<br />

Agata e la chiese in sposa. Il padre della ragazza era favorevole a combinare il<br />

matrimonio, visto che comunque l’uomo rappresentava un buon partito.<br />

Al contrario la figlia non era d’accordo, <strong>per</strong>ché era molto devota a Dio<br />

e voleva trascorrere la sua vita, dedicandosi completamen<strong>te</strong> alla fede.<br />

Per questo Agata chiese di avere la possibilità di finire di <strong>te</strong>ssere la <strong>te</strong>la<br />

iniziata prima della celebrazione del matrimonio. Ricevuto il consenso, non<br />

faceva che <strong>te</strong>ssere di giorno e disfare il lavoro compiuto duran<strong>te</strong> la not<strong>te</strong>. In<br />

questo modo le nozze venivano continuamen<strong>te</strong> rimanda<strong>te</strong>.<br />

Si tratta in sostanza di un rifacimento in chiave cristiana della storia di<br />

Pe<strong>nel</strong>ope. Una vera e propria ricorrenza culturale, che ogni con<strong>te</strong>sto fa<br />

propria, adattandola in maniera differen<strong>te</strong>. Cor<strong>nel</strong>io della Compagnia di Gesù<br />

racconta di una tradizione mal<strong>te</strong>se che riferisce di Agata, fuggita a Malta, ove<br />

at<strong>te</strong>se a <strong>te</strong>ssere il miracoloso velo, a dimostrazione che questa tradizione<br />

venne localizzata anche in quell’isola, <strong>per</strong>ché anche lì le <strong>te</strong>ssitrici vollero<br />

conseguire la pro<strong>te</strong>zione della Santa.<br />

SANT’AGATA SUORA CONSACRATA<br />

Sant’Agata è in<strong>te</strong>sa suora consacrata prima della istituzione delle suore<br />

di clausura e la ragione è <strong>nel</strong>la sua fede, <strong>nel</strong> coraggio, <strong>nel</strong>la de<strong>te</strong>rminazione,<br />

<strong>nel</strong>la incrollabilità di donna di fede e di preghiera fino all’estremo, doloroso e<br />

122


crudele sacrificio del proprio corpo, sino all’esilio volontario <strong>nel</strong>l’isola di<br />

Malta, lontana dagli affetti più cari. Ella è quindi considerata una an<strong>te</strong>signana<br />

delle suore consacra<strong>te</strong> a Dio, onore, tu<strong>te</strong>la e vanto di <strong>Catania</strong>, della Sicilia e<br />

del mondo, la madre, la sorella, l’amica, la fidanzata di tutti.<br />

Chissà cosa scriverebbe oggi il Verga <strong>nel</strong> suo romanzo “Storia di una<br />

capinera”, se allora immaginò un accostamento tra la vita di Sant’Agata e<br />

quelle delle suore Benedettine dell’Adorazione Perpetua.<br />

Tempo fa una giornalista chiese alle suore benedettine di clausura di via<br />

Dei Crociferi, quale fosse il rapporto spirituale, da loro intrat<strong>te</strong>nuto con<br />

Sant’Agata, la quale, come loro, aveva consacrato la vita totalmen<strong>te</strong> a Dio.<br />

Le fu risposto che c’e una somiglianza incredibile con Sant’Agata,<br />

poiché Ella è un loro sicuro modello di vita, di fede di preghiera e di totale<br />

dedizione al Signore, così come aleggia la sua presenza tra le mura del<br />

convento. Loro la invocano sempre <strong>per</strong> rendersi più salde <strong>nel</strong>la fede e <strong>per</strong> il<br />

bene di <strong>Catania</strong>, della Sicilia e del mondo.<br />

SANT’AGATA, L’ETNA, L’AMENANO, LE FONTANE<br />

Fra Sant’Agata e l’Amenano vi è un legame indissolubile, che si <strong>per</strong>de<br />

<strong>nel</strong>la not<strong>te</strong> dei <strong>te</strong>mpi, che oserei definire affettivo, <strong>per</strong>sino pro<strong>te</strong>ttivo, infatti,<br />

molti luoghi che fanno riferimento alla Vergine catanese, trat<strong>te</strong>ggiano con<br />

carat<strong>te</strong>ri forti ed indelebili il suo passaggio.<br />

Ne è esempio il mis<strong>te</strong>rioso fiume caro ai catanesi, il quale scorre<br />

sot<strong>te</strong>rraneo sotto la cripta della Vergine, pro<strong>te</strong>ggendola da eventuali<br />

incursioni sacrileghe. Suddetta cripta-bunker, da cui si accede trami<strong>te</strong><br />

porticina, fu costruita <strong>nel</strong>l’abside destra del Duomo, dopo il furto sacrilego,<br />

passato alla storia. Tre differenti chiavi, ognuna custodita da una <strong>per</strong>sona<br />

diversa, sono necessarie <strong>per</strong> aprire il cancello di ferro che pro<strong>te</strong>gge le reliquie<br />

123


in cat<strong>te</strong>drale: una la custodisce il <strong>te</strong>soriere, la seconda il cerimoniere, la <strong>te</strong>rza il<br />

priore del capitolo della cat<strong>te</strong>drale. Le credenze popolari, tuttavia, hanno<br />

messo in giro anche la leggenda che oltre la ringhiera e la porticina descritta,<br />

vi siano ul<strong>te</strong>riori cinque por<strong>te</strong> di vario spessore, con una mol<strong>te</strong>plicità di<br />

ca<strong>te</strong>nacci e fermature, prima di po<strong>te</strong>r giungere alla famosa cameretta.<br />

Fra le più belle o<strong>per</strong>e che richiamano Sant’Agata vi è l’antica fon<strong>te</strong><br />

Lanaria di via Dusmet, costruita intorno a 1621 dal governatore Francesco<br />

Lanario, <strong>nel</strong> punto in cui sostarono le spoglie della Santa, provenienti da<br />

Costantinopoli, la cui vasca in<strong>te</strong>rna che rimase miracolosamen<strong>te</strong> intatta tra le<br />

macerie del <strong>te</strong>rremoto del 1693, è una chiara <strong>te</strong>stimonianza, che avvalora lo<br />

storico e miracoloso passaggio della Vergine, così come la fontana dei set<strong>te</strong><br />

cannoli di piazza Alonzo di Benedetto (oggi dei set<strong>te</strong> canali), risalen<strong>te</strong> al 1612.<br />

Entrambe sono fra le poche o<strong>per</strong>e, molto care ai catanesi e dal<br />

significato simbolico, scampa<strong>te</strong> all’evento catastrofico.<br />

Non è possibile, parlando della Vergine Agatina, non far riferimento al<br />

mitico Etna, amore ed odio dei catanesi. Più vol<strong>te</strong> la città ha rischiato d’essere<br />

distrutta dalle eruzioni, la più disastrosa avvenne <strong>nel</strong> 1669, in cui una serie di<br />

bocche si aprirono lungo i fianchi del vulcano, che eruttò lava e lapilli <strong>per</strong><br />

sessantotto giorni, distruggendo molti centri abitati, giungendo in città,<br />

circondando il fossato del Cas<strong>te</strong>llo Ursino.<br />

Allorquando il magma giunse ad una distanza di trecento metri dal<br />

Duomo, miracolosamen<strong>te</strong> scansò i luoghi in cui Sant’Agata era stata<br />

imprigionata, subito il martirio, sepolta, <strong>per</strong> finire in mare e proseguire <strong>per</strong><br />

più di 3 chilometri. Apparve quindi chiara la volontà della Santa di salvare i<br />

luoghi appar<strong>te</strong>nenti alla sua storia ed al culto.<br />

RITI E TRADIZIONI SCOMPARSE<br />

124


In <strong>te</strong>mpi remoti, fin dal primo giorno venivano impegnati vari<br />

strumenti di suono, i quali rimanevano in città anche nei giorni successivi,<br />

così da attribuire più solennità alla festa, alla quale assis<strong>te</strong>vano ben 100.000<br />

<strong>per</strong>sone. Questi suonatori giungevano in città in centinaia da ogni par<strong>te</strong> della<br />

Sicilia, <strong>per</strong> suonare, a spese del Senato, i più strani e variegati strumenti:<br />

trombe, pifferi, violini, flauti, chitarre, liuti, cornamuse e lire, in modo tale da<br />

accrescere il trionfo della Patrona Agata. Di anno in anno il numero dei<br />

suonatori era soggetto ad aumenti o diminuzioni, in base alla disponibilità di<br />

denaro. Gli strumenti servivano a che <strong>per</strong> accompagnare le candelore.<br />

Nel 1628 don Alvaro Pa<strong>te</strong>rnò Cas<strong>te</strong>llo inserì <strong>nel</strong> programma del quarto<br />

giorno una manifestazione, <strong>nel</strong>la la quale, donzelle d’ogni classe sociale,<br />

travesti<strong>te</strong> da ninfe, angeli, san<strong>te</strong> vergini e martiri, accompagnavano la Santa<br />

<strong>nel</strong> suo giro es<strong>te</strong>rno, a coppie od in comitiva, sin dalla Porta di Ferro.<br />

Tale usanza si protrasse <strong>per</strong> tutto il secolo e buona par<strong>te</strong> del ‘700,<br />

costituendo il primo nucleo di quella che sarebbe stata l’istituzione dei<br />

cantanti che ancor oggi si possono vedere la sera del 3 febbraio.<br />

I canti del 5 febbraio, invece, avevano più un carat<strong>te</strong>re liturgico.<br />

In quel <strong>te</strong>mpo la cappella del Duomo godeva dell’esclusiva della musica<br />

sacra, mentre le bande musicali affermavano il carat<strong>te</strong>re popolare e profano<br />

della festa, <strong>per</strong> il godimento dei cittadini lungo l’antica via Lanaria, in onore<br />

del Capitano del popolo, don Francesco Lanario, duca di Carpignano che<br />

l’aveva costruita alla marina, frequentata da <strong>per</strong>sone a piedi od in carrozza,<br />

<strong>per</strong> respirare l’aria salubre del mare, ascoltando buona musica.<br />

L’origine della festa di Sant’Agata, secondo studiosi come Pietro<br />

Carrera, si <strong>per</strong>de <strong>nel</strong>la not<strong>te</strong> dei <strong>te</strong>mpi, già alcuni secoli prima della nascita<br />

della Santa, <strong>per</strong> predizione o veggenze di sibille e profeti pagani, il popolo<br />

125


ecava <strong>per</strong> strade e piazze la statua della Vergine Maria col bambino, quasi ad<br />

anticipare la festa di Agata, quale sua figlia, discepola ed erede spirituale.<br />

La festa è una delle più segui<strong>te</strong> al mondo e Agata è sicuramen<strong>te</strong> la Santa<br />

Patrona più amata dai suoi devoti, è affascinan<strong>te</strong>, tuttavia, ri<strong>per</strong>correre le<br />

origini di alcune aspetti della festività che la ricollegano al culto di Iside.<br />

Pare infatti che anticamen<strong>te</strong> il fercolo avesse la forma della prua di una<br />

barca, in ricordo di quella su cui si era imbarcata Iside alla ricerca dell’amato<br />

Osiride, ucciso e fatto a pezzi dall’invidioso fra<strong>te</strong>llo Set. La moglie a bordo di<br />

una nave setacciò le sponde del Nilo, finché non riuscì a ritrovare tutti i pezzi<br />

del corpo del marito e a riportarlo in vita.<br />

Sempre ad Iside è dedicato l’obelisco ottagonale posto sulla groppa<br />

dell’elefan<strong>te</strong> di pietra situato in Piazza Duomo, e pare che la Cat<strong>te</strong>drale sia<br />

stata costruita sul luogo in cui un <strong>te</strong>mpo si ergeva un <strong>te</strong>mpio dedicato alla dea<br />

egizia, di cui <strong>per</strong>ò non sono mai sta<strong>te</strong> trova<strong>te</strong> tracce.<br />

Tutti sono a conoscenza del valore storico e religioso del culto di S.<br />

Agata e di quanto la festa di S. Agata sia la massima espressione del folklore<br />

catanese. La festa ha subito no<strong>te</strong>voli trasformazioni <strong>nel</strong> corso dei secoli, <strong>per</strong><br />

cui, oggi non si <strong>te</strong>ngono più le corse dei berberi (cavalli senza fantino) che<br />

avvenivano fino al 186 lungo l’antica via Del Corso, oggi via V. Emanuele.<br />

Non ci sono più le cavalca<strong>te</strong> dei nobili o del Vescovo; non si fanno più<br />

palchi <strong>per</strong> le strade <strong>per</strong> assis<strong>te</strong>re a ques<strong>te</strong> cavalca<strong>te</strong>, il fercolo non è più<br />

seguito dai professori dell’Università e dai magistrati, ma solo dal Sindaco e<br />

dagli assessori cittadini, non ci sono le cala<strong>te</strong> dell’angelo (un angelo di legno<br />

veniva fatto scendere lungo una corda fino a rendere omaggio alla Santa) che,<br />

spesso, facevano fermare la processione<br />

Dal set<strong>te</strong>cento fino alla recen<strong>te</strong> guerra del Golfo del 1990, diverse sono<br />

sta<strong>te</strong> le occasioni che hanno condizionato il rituale svolgersi della festa.<br />

126


Nel febbraio del 1991 il busto reliquiario limitò il suo <strong>per</strong>corso e fu<br />

trasportato a spalla <strong>per</strong> un solo tratto di via Etnea, cioè dalla Cat<strong>te</strong>drale a<br />

piazza S<strong>te</strong>sicoro. Nell’agosto del 1799, invece, appena soffocata <strong>nel</strong> sangue la<br />

rivoluzione par<strong>te</strong>nopea che aveva insidiato il regno di Ferdinando III e della<br />

regina Maria Carolina, tanto cari ai Catanesi, la festa di mezz’agosto fu<br />

celebrata in pompa magna e con ben 5 giorna<strong>te</strong> di fes<strong>te</strong>ggiamenti.<br />

Era diffusa convinzione, infatti, che Sant’Agata, lungamen<strong>te</strong> supplicata<br />

dai catanesi, avesse compiuto l’ennesimo miracolo, quello di salvare il regno,<br />

<strong>per</strong>tanto, la macchina organizzativa programmò solenni momenti religiosi ed<br />

allestì sontuose scenografie in tut<strong>te</strong> le piazze della città, <strong>nel</strong>le chiese e<br />

monas<strong>te</strong>ri e venne concessa la libertà ad alcuni de<strong>te</strong>nuti ed attribuiti<br />

consis<strong>te</strong>nti premi ai vincitori della tradizionale corsa dei barbari.<br />

Il tutto fu giocosamen<strong>te</strong> coronato dal mastodontico Carro trionfale in<br />

giro <strong>per</strong> le strade, dal rimbombo dei cannoni che spararono<br />

con<strong>te</strong>mporaneamen<strong>te</strong> da tut<strong>te</strong> le for<strong>te</strong>zze all’uscita della Santa e dal vastissimo<br />

fuoco artificiale rappresentan<strong>te</strong> scene della vittoria delle truppe del regno sui<br />

ribelli assediati <strong>nel</strong> cas<strong>te</strong>llo Sant’Elmo di Napoli. Quest’ultima grandiosa<br />

manifestazione si svolse <strong>nel</strong>la piazza San Filippo, l’odierna Mazzini.<br />

Il Carro trionfale era un carro artistico di dimensioni no<strong>te</strong>voli trainato da sei<br />

buoi, su cui prendevano posto l’orchestra ed i cantanti.<br />

Nell’ultima par<strong>te</strong> dei suoi ordini si erigeva un’altra colonna <strong>nel</strong>la quale,<br />

attorniata da figure angeliche, svettava un simulacro di Sant’Agata. L’usanza<br />

di utilizzare il Carro trionfale <strong>nel</strong>la festa d’agosto finì il 17 agosto 1872.<br />

Anticamen<strong>te</strong> la festa di Sant’Agata era preceduta da una gran fiera, con<br />

corse di cavalli e ricchi premi <strong>per</strong> i vincitori, consis<strong>te</strong>nti in pezze di stoffe<br />

brocca<strong>te</strong> in argento o in oro, chiamati “Pallii”.<br />

127


Il rito delle “ntuppa<strong>te</strong>ddi” (come chiocciole chiuse e difese dal proprio<br />

guscio), rimase in voga fino allo scorso secolo, allorquando le donne (signore<br />

e popolane, sposa<strong>te</strong> o nubili), nei giorni 4 e 5 febbraio usavano mascherarsi<br />

con un velo che ricopriva il volto e scendeva fin sul petto, lasciando solo due<br />

fori, <strong>per</strong> non farsi riconoscere ed offrirsi in estrema libertà, ma soltanto <strong>per</strong><br />

quel giorno po<strong>te</strong>vano uscire da sole, mescolarsi alla folla, andare con chi<br />

volevano, cedere alle galan<strong>te</strong>rie degli uomini e ricevere doni.<br />

Questo travestimento faceva riferimento all’antico culto egizio della dea<br />

Iside, ove prendevano par<strong>te</strong> attiva le donne, maschera<strong>te</strong> <strong>per</strong> l’occasione. Nei<br />

vernacoli e varianti lessicali, alle “ntuppa<strong>te</strong>ddi”, seguirono le “amman<strong>te</strong>lla<strong>te</strong>”<br />

del Guas<strong>te</strong>lla e le “imbacucca<strong>te</strong>” di De Roberto, infine si parlò di “scavuzzu”,<br />

cioè manto nero, <strong>per</strong> via del colore.<br />

Prima del <strong>te</strong>rremoto il travestimento delle donne (occhiali) avveniva<br />

con man<strong>te</strong>llo bianco di <strong>te</strong>la lungo fino a mezza gamba, un velo munito di due<br />

finestrelle ed un cappello ornato di gemme, piume ed altri preziosi ornamenti.<br />

Tale travestimento faceva sembrare le donne simili agli uomini.<br />

Ciò sottoponeva al supplizio di Tantalo gli uomini, i quali dalle<br />

finestrelle vedevano saettare sguardi femminili, non riconoscendone il sesso.<br />

La sostanza del travestimento stava tutta <strong>nel</strong> conseguen<strong>te</strong> piacere di<br />

po<strong>te</strong>r andare in giro senza che uomini po<strong>te</strong>ssero accostarsi, senza dover<br />

rendere conto ai mariti od ai padri.<br />

Esse andavano a due a due, <strong>te</strong>nendosi <strong>per</strong> mano riccamen<strong>te</strong> inguantata, in<br />

stuolo di centinaia, sciamando e formando quadriglie al seguito della Patrona.<br />

Verso metà del seicento, quando fu vietato l’uso di occhiali, cominciò<br />

l’uso di un velo nero di taffetà sottile, attaccato da dietro a forma di gonna<br />

che le copriva dalla <strong>te</strong>sta ai piedi, ravvoltolato dietro e sopra la <strong>te</strong>sta, facendo<br />

scorgere una par<strong>te</strong> dei capelli e duran<strong>te</strong> la festa si videro varie specie di manti.<br />

128


Dopo il 1693 il cerimoniale dettato da don Alvaro Pa<strong>te</strong>rnò <strong>nel</strong> 1514, fu<br />

sostituito dall’uso di man<strong>te</strong>lli con lunghi cappucci che man<strong>te</strong>nevano il volto<br />

velato, usanza abbandonata dopo il 1868, poiché questo travestimento creava<br />

dei problemi, in quanto sconosciuti e delinquenti si abbandonavano ad abusi<br />

ed atti di offesa a Dio, vi fu il caso di una “ntuppa<strong>te</strong>dda” fischiata e costretta<br />

a ritirarsi.<br />

Il manto divenne moda italiana fino al 1840 <strong>per</strong> le donne di qualsiasi<br />

ceto, ecco <strong>per</strong>ché anche fuori <strong>Catania</strong> si vedevano circolare le “ntuppa<strong>te</strong>ddi”.<br />

Nel 1876 il Verga scriverà senza rimpianto di una usanza che finiva, ciò<br />

dovuto via via alla <strong>per</strong>dita del garbo, della compos<strong>te</strong>zza e della misura.<br />

Autori catanesi spiegarono che i ragazzi siciliani chiamavano “fera”, cioè<br />

mercato libero di oggetti con bontà di prezzi, i regali delle grandi festività<br />

della festa del Santo Patrono. Dopo il 1693 vi fu un <strong>per</strong>iodo grigio anche <strong>per</strong><br />

le fiere di Sant’Agata, ma <strong>nel</strong>la successiva ripresa, drappi di seta, argen<strong>te</strong>rie,<br />

fini mercerie e droghe, solleticavano il desiderio di cittadini e forestieri.<br />

Verso la metà del seicento, duran<strong>te</strong> la festa di Sant’Agata, le donne, a<br />

cominciare dalle “ntuppa<strong>te</strong>ddi”, esigevano dei doni da parenti ed amici<br />

adocchiati tra la folla, senza che questi po<strong>te</strong>ssero esimersi, se volevano essere<br />

considerati <strong>per</strong>fetti cavalieri. Ciò dava origine, come scrisse il De Roberto, a<br />

diver<strong>te</strong>nti scene, ove esse non rispondevano alle domande dei cavalieri, <strong>per</strong><br />

cui, non rimaneva altro da fare che prenderle sotto braccio, lasciarsi guidare<br />

ad una bot<strong>te</strong>ga di dolciumi e “far la fiera” alle sconosciu<strong>te</strong> dame.<br />

Il Verga aggiunse che a vol<strong>te</strong> le “ntuppa<strong>te</strong>ddi” non si con<strong>te</strong>ntavano di<br />

soli dolci, ma conducevano il cavaliere in gioielleria, ove sceglievano l’oggetto<br />

di loro gradimento, ma in questi ultimi particolari casi si trattava di familiari.<br />

Il quartiere Borgo in passato veniva considerato una frazione autonoma, <strong>per</strong><br />

cui, i suoi abitanti, tanto devoti quando quelli del centro storico, decisero di<br />

129


fes<strong>te</strong>ggiare Sant’Agata <strong>per</strong> proprio conto, costruendo un fercolo di legno<br />

simile a quello conosciuto e nei giorni della festa presero a farlo circolare <strong>per</strong><br />

le vie del quartiere.<br />

Quando dopo l’ultimo conflitto mondiale anche questo quartiere venne<br />

assimilato alla città, il comitato della festa si decise ad es<strong>te</strong>ndere il giro fino a<br />

piazza Cavour. Dieci anni dopo, <strong>nel</strong>l’anniversario della mor<strong>te</strong> della Santa, i riti<br />

furono particolarmen<strong>te</strong> solenni e le preoccupazioni della Commissione, con a<br />

capo monsignor Felice Rigano, furono grandi <strong>per</strong> affermare di fron<strong>te</strong> a ogni<br />

città di Sicilia e anche del Regno il buon nome di <strong>Catania</strong>, e più ancora <strong>per</strong><br />

ricevere coi dovuti onori il generale Carlo Filangieri, principe di Satriano,<br />

duca di Taormina.<br />

Il 18 agosto venne annunciata l’a<strong>per</strong>tura della festa col giro di bande<br />

musicali <strong>per</strong> le strade, alle 5 pomeridiane dalla piazza S<strong>te</strong>sicorea si mosse il<br />

gran carro trionfale che venne trasportato sino a piazza San Filippo, qui ogni<br />

sera venivano eseguiti concerti musicali. Nella not<strong>te</strong> si diede l’annunzio, con<br />

sparo di mortaretti, del ritiro delle numerose carrozze e l’inizio del passeggio,<br />

quindi, <strong>per</strong> la prima volta si cantò l’Oratorio <strong>nel</strong>la piazza degli studi,<br />

<strong>te</strong>rminato il quale si accesero i fuochi d’artifizio presso i quattro cantoni.<br />

Alle 6 pomeridiane del 19 agosto sulla strada del corso si dava lo<br />

spettacolo delle corse dei cavalli, <strong>per</strong> cui, scoccata l’Ave le carrozze<br />

anticipavano il ritiro, dando inizio dal Duomo, da par<strong>te</strong> delle confra<strong>te</strong>rni<strong>te</strong>,<br />

congregazioni, corpi regolari, clero, e capitoli della collegiata e cat<strong>te</strong>drale, con<br />

l’in<strong>te</strong>rvento dell’In<strong>te</strong>nden<strong>te</strong> della Provincia ed il Senato, alla processione del<br />

sacro velo, che veniva portato in processione lungo la via Ferdinandea, poi<br />

dal Monas<strong>te</strong>ro della Santissima Trinità si ritirava <strong>per</strong> la strada del Corso.<br />

La Cat<strong>te</strong>drale veniva illuminata, quindi, messo fine al canto della chiesa,<br />

ricominciava il passeggio delle carrozze. Il giorno dopo <strong>nel</strong>la s<strong>te</strong>ssa ora del<br />

130


preceden<strong>te</strong> si replicavano le corse dei cavalli ed a sera si dava l’allegro<br />

trat<strong>te</strong>nimento alla marina illuminata e rallegrata dai concerti musicali.<br />

Dallo scoglio del pescatore alla punta del Molo, e più in là, presso un<br />

anfi<strong>te</strong>atro il popolo stava accalcato, entro barchet<strong>te</strong> simili a gondole<br />

veneziane, at<strong>te</strong>ndendo lo sparo dei fuochi d’artificio sul Molo. Alle quattro<br />

della not<strong>te</strong> tale spettacolo chiudeva la sera della festa.<br />

Giorno 21 agosto il Senato dentro la magnifica carrozza di città andava<br />

a rilevare alle 6 pomeridiane l’in<strong>te</strong>nden<strong>te</strong> della Provincia, da casa propria, il<br />

quale si portava presso il monas<strong>te</strong>ro della SS. Trinità, ove era stato innalzato<br />

un palchetto <strong>per</strong> assis<strong>te</strong>re alle corse dei cavalli, quindi, si recava direttamen<strong>te</strong><br />

al Duomo <strong>per</strong> assis<strong>te</strong>re al trasporto del sacro corpo.<br />

Alle 8 del mattino del giorno dopo, iniziavano in chiesa le solennità di<br />

rito, con esposizione sull’altare delle reliquie e la celebrazione del pontificale<br />

con l’orchestra, a cui assis<strong>te</strong>va il Senato.<br />

Terminato il canto del Vangelo un oratore saliva sul pulpito <strong>per</strong><br />

pronunziare l’encomio della Santa, il cui corpo restava <strong>per</strong> tutto il giorno<br />

sull’altare alla pubblica venerazione, poco dopo iniziavano i riti di<br />

beneficenza, col sor<strong>te</strong>ggino presso il palazzo comunale di 3 serie da 60 ducati<br />

(1 <strong>per</strong> le orfane civili, 2 <strong>per</strong> le recluse <strong>nel</strong> Conservatorio della Concezione).<br />

Due serie di 30 <strong>per</strong> le s<strong>te</strong>sse recluse <strong>nel</strong> conservatorio, sei serie di 30<br />

ducati <strong>per</strong> le donzelle povere <strong>nel</strong> Collegio di Maria, e <strong>per</strong> quelle nei<br />

Conservatori delle “projet<strong>te</strong> set<strong>te</strong>narie” e di Maria SS. del Lume.<br />

Una ricreazione, infine, veniva imbandita agli alunni del Regio Ospizio di<br />

Beneficenza, ai poveri di ambo i sessi <strong>nel</strong>l’Albergo di Mons. Ventimiglia, ed<br />

alle convittrici <strong>nel</strong> Conservatorio delle vergini.<br />

A spese del Comune veniva apprestata agli infermi militari ed ai paesani<br />

negli ospedali di S. Marco e di S. Marta una ricreazione compatibile al loro<br />

131


stato, con una mensa a cura dell’amministrazione, ai de<strong>te</strong>nuti <strong>nel</strong> carcere<br />

centrale. Dopo pranzo in più cappelle del Duomo i canonici davano il dolce<br />

conforto di far baciare le reliquie di Sant’Agata, entro apposi<strong>te</strong> <strong>te</strong>che. A sera<br />

veniva cantato il solenne vespro, rimet<strong>te</strong>ndo <strong>nel</strong> deposito il corpo della<br />

Patrona. L’Oratorio come <strong>per</strong> la prima sera veniva cantato <strong>nel</strong>l’apposita<br />

orchestra illuminata a cera, quindi, il carro trionfale, illuminato, veniva<br />

restituito in piazza S<strong>te</strong>sicorea <strong>per</strong> il primo giorno della festa, con l’accensione<br />

di grandi fuochi d’artificio <strong>nel</strong> piano della statua.<br />

Sul finire del secolo non si assis<strong>te</strong>t<strong>te</strong> più alla corsa dei barberi, né al<br />

trionfo dei palii, né a cavalca<strong>te</strong> dei nobili, del Senato o del vescovo e non si<br />

eressero più palchi sulle vie.<br />

Nel 1500 fu inaugurato il giro es<strong>te</strong>rno del fercolo, firmato Vaccarini, di<br />

pesantissimo argento, decorato con delfini in rilievo, simboli della città di<br />

mare, illuminato da una pioggia di lampade dal sapore orientale, issato su una<br />

slitta su mezze lune di ferro, inventata dal suo ar<strong>te</strong>fice <strong>per</strong> meglio scivolare<br />

sulle basole laviche, che si alzava, girava su se s<strong>te</strong>ssa e si abbassava <strong>per</strong><br />

abbordare angoli e crocicchi stradali, andarsene in giro <strong>per</strong> tutta la not<strong>te</strong> e, al<br />

mattino del giorno dopo, assolutamen<strong>te</strong> indifferen<strong>te</strong> ai <strong>te</strong>mpi, alle regole e ai<br />

riti della liturgia, spinto e sospinto da picciotti deliranti intorno al mezzo<br />

busto nudo della santa, completo di mammelle.<br />

Il fercolo era preceduto da un capitano a cavallo, seguito da signore e<br />

giovinet<strong>te</strong> col sacco bianco e cappello col velo. Si procedeva varcando porta<br />

Dei Canali, cos<strong>te</strong>ggiando le mura davanti al baluardo di Sant’Agata, poi <strong>per</strong> il<br />

piccolo ed il grande bastione, su<strong>per</strong>ata Porta di Ferro ed Bastione S. Giuliano,<br />

attraverso la Porta S. Orsola, faceva rientro in città, <strong>per</strong> fermarsi presso la<br />

Chiesa dell’Annunciata dei Padri Carmelitani <strong>per</strong> una breve sosta, <strong>per</strong><br />

proseguire verso la Porta di Aci, uscire dalla Porta del Re, sostare alla Ve<strong>te</strong>re.<br />

132


Il giro riprendeva cos<strong>te</strong>ggiando il Bastione degli Infetti, <strong>per</strong> via degli<br />

Argentieri (via V. Emanuele), <strong>per</strong> rientrare in Duomo. Quest’ultimo bastione<br />

era molto <strong>per</strong>icoloso, infatti, individui incappucciati con un manto lungo<br />

solevano disturbare la processione con azioni oscene, <strong>per</strong> tal motivo il fercolo<br />

dirottava <strong>per</strong> la Porta del Console. Il giro in<strong>te</strong>rno veniva effettuato il 5<br />

febbraio, <strong>per</strong> via delle Luminarie (via Etnea), ove ardevano altissimi tralicci<br />

sormontati da lumi ad olio, <strong>per</strong> proseguire la spettacolare corsa fino in cima a<br />

via S. Giuliano e concludersi con fuochi d’artificio al Piano della Marina, del<br />

Cas<strong>te</strong>llo Ursino, del Baluardo di Don Perruccio e di altri ancora.<br />

Nell’agosto del 1799, dopo essere stata soffocata <strong>nel</strong> sangue la<br />

rivoluzione par<strong>te</strong>nopea, che aveva insidiato Re Ferdinando III e Maria<br />

Carolina, tanto cari ai catanesi, vi fu la convinzione che Sant’Agata avesse<br />

compiuto il miracolo di salvare il regno, <strong>per</strong> cui, la festa di mezz’agosto fu<br />

celebrata in pompa magna con ben 5 giorna<strong>te</strong> di fes<strong>te</strong>ggiamenti, furono<br />

organizzati solenni eventi religiosi, scenografie in piazze, chiese e monas<strong>te</strong>ri,<br />

concessa libertà ad alcuni de<strong>te</strong>nuti ed attribuiti premi ai vincitori della<br />

tradizionale corsa dei barbari.<br />

Ciò venne coronato dal giro <strong>per</strong> le strade dell’artistico e mastodontico<br />

carro trionfale, trainato da 6 buoi, su cui prendeva posto l’orchestra ed i<br />

cantanti, usanza che durò fino al 1872.<br />

All’uscita della Santa, il rimbombo dalle for<strong>te</strong>zze dei cannoni, si univa ai<br />

fuochi piro<strong>te</strong>cnici che rappresentavano scene della vittoria delle truppe del<br />

regno sui ribelli assediati <strong>nel</strong> cas<strong>te</strong>llo Sant’Elmo di Napoli.<br />

Il 2 febbraio di ogni anno, infine, fino a tutto il 700, attraverso la Porta di<br />

Aci, così come fece la prima volta Riccardo Cuor di Leone, veniva dato il via<br />

alla tradizionale cavalcata del Capitano.<br />

133


Un <strong>te</strong>mpo con “luminaria” s’in<strong>te</strong>ndeva l’offerta della cera <strong>per</strong> illuminare<br />

l’altare di Sant’Agata, <strong>per</strong> cui la strada “maggiore”, l’odierna via Manzoni,<br />

<strong>per</strong>corsa dalla processione dell’offerta del cero, prese questo nome.<br />

I fedeli portavano in mano torcet<strong>te</strong> spen<strong>te</strong> di cera che consegnavano<br />

all’in<strong>te</strong>rno della Cat<strong>te</strong>drale, quindi, l’unico cero acceso era quello del clero<br />

secolare. La sera del primo giorno di festa si accendevano lumi sulle finestre,<br />

sulla loggia e su campanili, mentre candelotti alimentati a sego, cera od olio,<br />

pos<strong>te</strong> entro coppet<strong>te</strong> trasparenti e multicolori, venivano sis<strong>te</strong>mati innanzi le<br />

por<strong>te</strong>, sui cornicioni dei palazzi, sulle cupole, su faccia<strong>te</strong> di chiese e monas<strong>te</strong>ri.<br />

Sin dal 1378 il fercolo era circondato da file di torcioni accesi, in mano di<br />

giovani forzuti, scalzi e vestiti col sacco bianco, <strong>per</strong> conto di maestranze e<br />

privati. Dopo il 1693 furono introdot<strong>te</strong> le candelore, il cui <strong>per</strong>corso si<br />

snodava oltre le mura, su sentieri di campagna.<br />

Henry Daniel Hops, illustre accademico francese riferisce che un <strong>te</strong>mpo<br />

le <strong>per</strong>sone dormivano a <strong>te</strong>rra su un pagliericcio, poiché il letto era poco<br />

conosciuto, i ricchi si coprivano con un lenzuolo, il ceto medio dormiva con<br />

gli s<strong>te</strong>ssi vestiti del giorno, mentre i poveri dormivano nudi.<br />

Il sacco bianco, quindi, costituisce una evoluzione d’epoca normanna,<br />

quando i fedeli seguivano il feretro a piedi scalzi, in voga fino al XVII secolo.<br />

Le “cavalca<strong>te</strong> storiche” erano un antico uso di fes<strong>te</strong>ggiare Sant’Agata.<br />

Nel pomeriggio del 2 febbraio 1091 si at<strong>te</strong>ndeva una strabilian<strong>te</strong> novità<br />

dovuta al vivido ingegno del nobile Alvaro Pa<strong>te</strong>rnò Cas<strong>te</strong>llo, il quale ordinò<br />

che il cor<strong>te</strong>o di quell’anno rappresentasse l’ingresso in città <strong>per</strong> la Porta di Aci<br />

del Re d’Inghil<strong>te</strong>rra Riccardo Cuor di Leone, accompagnato da Tancredi,<br />

dalla consor<strong>te</strong> Regina Sibilla e dai figli Ruggero e Guglielmo, fra brillan<strong>te</strong><br />

stuolo di cavalieri inglesi, normanni e siciliani, <strong>per</strong> visitare le reliquie di<br />

Sant’Agata, il S. Carcere e gli altri monumenti santificati dal suo martirio.<br />

134


La lunga sfilata dei cavalieri, nei ricchi costumi guerreschi dell’11° sec.,<br />

armi, s<strong>te</strong>mmi ed emblemi, facevano palpitare le dame su palchi e logge di<br />

casa. Tale rievocazione storica lasciò <strong>nel</strong>l’animo di tutti il più bell’entusiasmo.<br />

Il 2 febbraio 1436 si rievocarono altre cavalca<strong>te</strong> storiche, fra cui l’ingresso<br />

in città <strong>per</strong> Porta di Aci, di Alfonzo d’Aragona “il Magnifico”, creatore della<br />

prima Università catanese, la prima in Sicilia.<br />

INNI, FUOCHI, ARTE CULINARIA ED ALTRO<br />

La sera del 3 febbraio in piazza Duomo, proprio innanzi Palazzo dei<br />

Chierici, vengono cantati, accompagnati da una grande orchestra, dalle corali<br />

cittadine gli inni (come consuetudine sono parecchi, di cui solo tre vengono<br />

eseguiti prima dell’accensione dei fuochi piro<strong>te</strong>cnici) dedicati alla Santa<br />

Martire catanese.<br />

I fuochi piro<strong>te</strong>cnici duran<strong>te</strong> la festa di Sant’Agata, oltre ad esprimere la<br />

gioia dei fedeli, assumono un significato particolare, <strong>per</strong>ché ricordano la<br />

Patrona martirizzata sulla brace, sempre vigile sul fuoco dell’Etna ed incendi.<br />

Di essi, quelli riconosciuti più importanti dal popolo catanese, vengono<br />

accesi in piazza Duomo la sera del 3 febbraio, la sera del 4 febbraio in piazza<br />

Palestro, il pomeriggio del 5 in piazza Duomo, la sera del 5 febbraio in piazza<br />

Borgo, la not<strong>te</strong> del 5 febbraio presso la fine della salita di Sangiuliano.<br />

Davanti al Sacro Carcere, dirimpetto alla finestra della cella di Sant’Agata,<br />

vi è un’aiuola con un ulivo, a duraturo ricordo di un’altra leggenda<br />

riguardan<strong>te</strong> Sant’Agata che, ferita, giaceva a <strong>te</strong>rra <strong>nel</strong>la cella, tormentata tutto<br />

il giorno dal sole, e dai freddi venti di tramontana duran<strong>te</strong> le ore della not<strong>te</strong>.<br />

Sotto le mura del carcere vi era un vecchissimo ulivo ormai secco e<br />

logoro che non produceva più da <strong>te</strong>mpo foglie e frutti, quindi, doveva essere<br />

abbattuto. Si narra che <strong>per</strong> alleviare le sofferenze di Sant’Agata, l’ulivo<br />

135


improvvisamen<strong>te</strong>, s<strong>te</strong>se i suoi secchi rami fino alla finestra della cella<br />

ricoprendoli di giovani foglie, creando una barriera d’ombra ai raggi del sole,<br />

producendo <strong>per</strong>sino qualche frutto con lo scopo di sfamare la giovinetta.<br />

Sant’Agata, universalmen<strong>te</strong> invocata, ha fornito ma<strong>te</strong>ria ad antichi inni<br />

latini, a sacre canzoni popolari recita<strong>te</strong> dai cantastorie delle diverse regioni<br />

d’Italia. Uno dei più antichi canti è l’inno “Martyris ecce dies Agathae”,<br />

attribuito a S. Damaso, il papa che ebbe gran cura delle memorie gloriose dei<br />

martiri dei secoli precedenti.<br />

La festa di Sant’Agata è anche gastronomia, infatti, chi si trova a <strong>Catania</strong><br />

duran<strong>te</strong> la festa non può esimersi dall’assaggiare, tra le innumerevoli<br />

specialità, le tradizionali olivet<strong>te</strong> di Sant’Agata, piccoli dolci di pasta di<br />

mandorla colorati di verde e rico<strong>per</strong>ti di zucchero che ricordano un evento<br />

leggendario legato al culto di Sant’Agata secondo cui, prima di essere<br />

catturata dai soldati romani, <strong>nel</strong>l’istan<strong>te</strong> in cui si fermò <strong>per</strong> allacciarsi un<br />

calzare, vide sorgere davanti a sé un olivastro che la nascose alla vista dei suoi<br />

carnefici e la sfamò.<br />

I fuochi piro<strong>te</strong>cnici duran<strong>te</strong> la festa, oltre a esprimere la grande gioia dei<br />

fedeli, assumono un significato particolare, <strong>per</strong>ché ricordano che la Patrona,<br />

martirizzata sulla brace, vigila sempre sul fuoco dell’Etna e sugli incendi.<br />

Oggi questi intrat<strong>te</strong>nimenti piroclastici rappresentano un richiamo<br />

irrinunciabile <strong>per</strong> i mol<strong>te</strong>plici turisti provenienti da ogni par<strong>te</strong> del mondo.<br />

I MIEI RICORDI DI BAMBINO SULLA FESTA<br />

Con l’approssimarsi delle festività agatine riaffiorano di volta in volta<br />

ricordi che, col trascorrere del <strong>te</strong>mpo e con il ritmo frenetico della vita,<br />

sembravano ormai del tutto assopiti.<br />

136


Oggi, più che mai, si avver<strong>te</strong> il bisogno di ri<strong>per</strong>correre le tappe della nostra<br />

infanzia, di sentirsi ancor giovani, confrontarsi con il presen<strong>te</strong> assai povero di<br />

al<strong>te</strong>rnative. Per tal motivo mi ricordo il <strong>te</strong>mpo in cui, il mattino del quattro<br />

febbraio, mio nonno pa<strong>te</strong>rno mi conduceva <strong>per</strong> mano ad assis<strong>te</strong>re, lungo la<br />

via Dusmet, proprio innanzi a villa Pacini, alla tradizionale ed ormai passata<br />

alla storia, “abbiata ‘e catti”, duran<strong>te</strong> la quale i “parrineddi”, seminaristi<br />

prossimi all’abito talare, affacciati da Palazzo dei Chierici, lanciavano<br />

variopinti festoni e volantini con su scritto “Viva Sant’Agata”, svolazzanti<br />

come allegre banderuole al vento, che rimanevano incastrati <strong>per</strong> giorni ai rami<br />

degli alberi. L’usanza della “strisciata”, venne introdotta <strong>nel</strong> 700.<br />

Mi ricordo che in quel <strong>te</strong>mpo si respirava un’aria colma di serena ed<br />

allegra euforia che preludeva ai dì della festa, un’aria mescolata al gradevole<br />

profumo del torrone alle mandorle di Sicilia, dello zucchero filato, delle<br />

cassa<strong>te</strong>lle alla ricotta, degli aromatici bomboloni dai colori accattivanti, degli<br />

“arancini” al sugo, delle olivet<strong>te</strong> e della calia appena tostata.<br />

Ed i miei ricordi riferiti alla festa non si fermano qui, ma proseguono<br />

con la narrazione di episodi della memoria che si riferiscono agli anni della<br />

fanciullezza, allorquando dalla mia abitazione, osservando il cielo, vedevo<br />

passare svariati palloni alimentati a gas, ciascuno con una luce in<strong>te</strong>rna,<br />

generata dalla combustione del gas, il quale faceva sì che il pallone assumesse<br />

la spinta necessaria <strong>per</strong> spiccare il volo.<br />

Ed era straordinariamen<strong>te</strong> bello ammirare, uno dopo l’altra, ques<strong>te</strong><br />

splendenti e variopin<strong>te</strong> figure che, di volta in volta, con quella fiammella al<br />

loro in<strong>te</strong>rno, attraevano il mio sguardo di bimbo allegro ed estasiato.<br />

Questi palloni in cielo assumevano le più variega<strong>te</strong> forme di animali e<br />

venivano fatti partire da Piazza Duomo, duran<strong>te</strong> le ore pomeridiane del 5<br />

febbraio. Dopo alcuni anni questi lanci furono ripresi in Piazza S<strong>te</strong>sicoro,<br />

137


proprio dalla <strong>te</strong>rrazza dell’edificio prefabbricato UPIM, realizzato <strong>per</strong><br />

sop<strong>per</strong>ire provvisoriamen<strong>te</strong> alla indisponibilità del vecchio negozio, distrutto<br />

da un incendio. Il lancio di quei palloni, tuttavia, negli anni non è stato mai<br />

più ripreso, ciò probabilmen<strong>te</strong> dovuto alla eventualità di questi oggetti di<br />

po<strong>te</strong>r provocare incendi, una volta caduti accidentalmen<strong>te</strong> sui <strong>te</strong>tti delle case.<br />

I COMPONIMENTI MUSICALI<br />

Nel XVII secolo, in occasione delle innumerevoli calamità naturali, le<br />

negatività si esorcizzavano con riti liturgici e cerimonie religiose con<br />

par<strong>te</strong>cipazione in massa (100 chiese, 1cat<strong>te</strong>drale, 14 monas<strong>te</strong>ri, 20 eremitori)<br />

con una popolazione di 12000 <strong>per</strong>sone, in cui spiccava la festa di Sant’Agata.<br />

In città, duran<strong>te</strong> i 15 giorni di festa giravano suonatori che estasiavano<br />

la gen<strong>te</strong> con trombe, pifferi, buttafuochi, flauti, chitarre, liuti, lire, arponi,<br />

chitarroni, ciaramelle, al seguito delle candelore, provenienti dai centri<br />

siciliani. Nel 1628 e fino a buona par<strong>te</strong> del ‘700, don Alvaro Pa<strong>te</strong>rnò Cas<strong>te</strong>llo<br />

inserì <strong>nel</strong> programma della festa una manifestazione popolare, in cui donzelle<br />

d’ogni estrazione, travesti<strong>te</strong> da ninfe, sibille, angeli, san<strong>te</strong> vergini e martiri,<br />

precedevano in coppie la Santa sin dall’ingresso dalla Porta di Ferro, con canti<br />

di lode (chiamando <strong>per</strong>sino es<strong>per</strong>ti musici forestieri), anticipando l’istituzione<br />

del 1830 dei cantanti, tuttora in auge.<br />

Verso la metà del ‘500 i maestri fiamminghi furono invitati in città, al fine<br />

di trasformare il canto “monofonico” in “polifonico”, cioè più elaborato e la<br />

cappella del Duomo aveva l’esclusiva della musica sacra, mentre le bande dal<br />

carat<strong>te</strong>re popolare giravano <strong>per</strong> la città, onde deliziare la gen<strong>te</strong> lungo le vie e<br />

<strong>per</strong> la strada lanaria, in onore di Francesco Lanario, duca di Carpignano, che<br />

l’aveva fatta costruire, al fine del godimento della brezza marina.<br />

138


A Sant’Agata nei secoli è stato dedicato un ricchissimo re<strong>per</strong>torio<br />

artistico, comprenden<strong>te</strong> componimenti drammatici, canti gregoriani e<br />

musiche sacre. Nel 1773 Giuseppe Geremia, maestro di cappella del Duomo<br />

di <strong>Catania</strong>, viene incaricato dal vescovo Deodato Moncada di comporre un<br />

inno a Sant’Agata. Prima ancora di assumere tale incarico, il musicista ebbe<br />

l’opportunità di lavorare e farsi conoscere <strong>nel</strong>la città etnea. Infatti, in<br />

occasione delle festività del 1769 venne rappresentato un dialogo, che ricorda<br />

il martirio di Sant’Agata ed intitolato Carro trionfale, dallo s<strong>te</strong>sso musicato.<br />

Figura di rilievo, <strong>nel</strong> panorama musicale catanese del Set<strong>te</strong>cento, è<br />

quella di Giuseppe Geremia maestro di cappella in <strong>Catania</strong> ed autore di<br />

numerose pagine di musica sacra. Nell’ultimo decennio del ‘700, il Geremia<br />

compose solo oratori <strong>per</strong> la festa di Sant’Agata, mentre <strong>nel</strong> 1800, prima di<br />

cedere il suo posto di maestro di cappella a Giacinto Castorina, musicò<br />

l'ultimo oratorio <strong>per</strong> la festa della patrona, dal titolo Mosè trionfan<strong>te</strong> del<br />

popolo egiziano <strong>nel</strong> passaggio dell’eritreo.<br />

Il primo lavoro del Geremia, dopo la nomina a maestro di cappella, fu<br />

il Trionfo di Pallade, un componimento drammatico, dedicato al vescovo<br />

Deodati Moncada e rappresentato all’Università di <strong>Catania</strong> <strong>nel</strong> 1773.<br />

L’anno dopo, <strong>nel</strong> 1774, il Geremia dirige <strong>per</strong>sonalmen<strong>te</strong> un dramma <strong>per</strong><br />

musica, intitolato Raab Liberata. Quel giorno piazza Duomo era gremita di<br />

forestieri giunti da ogni dove <strong>per</strong> la festa di Sant’Agata, i quali accolsero con<br />

entusiasmo il dramma, tanto che sarà ripetuto <strong>nel</strong>la s<strong>te</strong>ssa ricorrenza dell’anno<br />

successivo e poi <strong>nel</strong> 1783. A partire dal 1776, <strong>nel</strong>la cappella del Duomo, il<br />

Geremia venne affiancato da Vincenzo Tobia Bellini, nonno del più illustre<br />

Vincenzo, nominato maestro di cappella dal Senato.<br />

Duran<strong>te</strong> la festa di Sant’Agata d’agosto del 1772, infine, con atto notarile,<br />

fu rappresentato un dialogo in musica innanzi al portone del Palazzo<br />

139


dell’Università, <strong>per</strong> il quale fu versata <strong>per</strong> mano del custode dell’A<strong>te</strong>neo, a<br />

don Vincenzo Tobia Bellini, maestro di cappella e musicista fra i più affermati<br />

a <strong>Catania</strong>, nonché nonno del famoso compositore, la somma di 14 onze.<br />

Il poeta Giuseppe La Rosa scrisse l’o<strong>per</strong>a “Il trasporto delle reliquie di S.<br />

Agata, vergine catanese da Costantinopoli a <strong>Catania</strong>”, poi musicato dal<br />

maestro Tobia Bellini, così come <strong>per</strong> i tre fanciulli ebrei liberati dalla fornace,<br />

in occasione delle fes<strong>te</strong> di Sant’Agata d’agosto.<br />

C’è, infine, l’inno popolare a Sant’Agata, molto conosciuto ed amato dal<br />

popolo catanese, scritto da Don A. Corsaro e musicato da Don R.<br />

Licciardello, eseguito dall’orchestra e dal coro, la sera del 3 febbraio.<br />

Padre Corsaro non prendeva mai par<strong>te</strong> a funzioni solenni alle quali<br />

solitamen<strong>te</strong> tutto il presbi<strong>te</strong>rio diocesano par<strong>te</strong>cipa, come la Messa crismale<br />

del giovedì santo o il pontificale del 5 febbraio, in onore di Sant’Agata.<br />

Nonostan<strong>te</strong> ciò, pochi forse sanno che il Prefatio della Messa in onore<br />

di Sant’Agata, con<strong>te</strong>nuto <strong>nel</strong> messale, è stato scritto dal Corsaro, così come<br />

sue sono le parole dell’Inno a Sant’Agata, cantato nei giorni della festa.<br />

FILIPPO TARALLO ED IL CANTO DELLE BENEDETTINE<br />

«Stans beata Agata in medio carceris, expansis manibus tota men<strong>te</strong><br />

orabat ad Dominum: Domine Jesu Chris<strong>te</strong>, magis<strong>te</strong>r bone, gratias ago tibi,<br />

qui me fecisti vincere tormentata carnificum, jube me, Domine, ad tuam<br />

immarcescibilem gloriam felici<strong>te</strong>r <strong>per</strong>venire».<br />

O Eroina del cielo! Musica del maestro Tarallo<br />

Trattasi delle ultime parole di Sant’Agata in mezzo al carcere, mentre<br />

con le mani eleva<strong>te</strong> pregava il Signore, ringraziandolo <strong>per</strong> averle fatto vincere<br />

i tormenti dei carnefici, pregandolo, di farla <strong>per</strong>venire alla gloria infinita<br />

(parole riporta<strong>te</strong> negli atti del martirio).<br />

140


Questo soave e commoven<strong>te</strong> canto (riportato sul libro“Come pietre<br />

vive”), che le monache Benedettine dell’adorazione <strong>per</strong>petua del Santissimo<br />

Sacramento rivolgono con l’animo devoto e mesto alla Vergine Agata,<br />

allorquando il mattino del 6 febbraio il <strong>per</strong>colo sosta in via Crociferi.<br />

Secondo una consolidata tradizione popolare, è un delicato inno, con<br />

<strong>te</strong>sto latino, composto alla fine dell’800 <strong>per</strong> le monache del convento di San<br />

Benedetto di <strong>Catania</strong> dal Maestro Filippo Tarallo, nato <strong>nel</strong> 1859 ad Aidone e<br />

morto a <strong>Catania</strong> <strong>nel</strong> 1918, affermato musicista devoto alla Vergine Agata.<br />

Filippo Tarallo fu organista <strong>nel</strong>la Cat<strong>te</strong>drale di <strong>Catania</strong> e compositore di<br />

musica sacra, il quale <strong>te</strong>nne <strong>per</strong>sino delle lezioni di canto gregoriano e musica<br />

sacra d’organo. Fra le mol<strong>te</strong>plici a lui attribui<strong>te</strong>, meritano d’essere menziona<strong>te</strong><br />

le seguenti o<strong>per</strong>e: l’Es<strong>te</strong>r (composta <strong>nel</strong> 1883) e l’Aglaia, figura della mitologia<br />

greca (scritta <strong>nel</strong> 1913 <strong>per</strong> il <strong>te</strong>atro Bellini di <strong>Catania</strong>), infine, diresse Robert<br />

Schumann, il 7 luglio del 1900 al Teatro degli Esercizi Sangiorgi (all’a<strong>per</strong>to<br />

fino al 1907), diresse la Bohème di Giacomo Puccini, soprano Bice Adami.<br />

Il 25 dicembre del 1887 (domenica) presso il Poli<strong>te</strong>ama Castagnola di<br />

<strong>Catania</strong> vi fu la prima rappresentazione della Carmen di Bizet, diretta dal<br />

maestro Tarallo, soprano Marietta Lanza, mentre il 25 dicembre 1984 presso<br />

il Teatro Nazionale di <strong>Catania</strong> lo s<strong>te</strong>sso maestro diresse l’o<strong>per</strong>a seconda del<br />

melodramma I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, su libretto di<br />

Amilcare Ponchielli ed Emilio Praga, soprano (Lucia) Elvira De Cesare.<br />

Filippo Tarallo, infine, ebbe modo di musicare una poesia scritta da<br />

Francesco Buccheri dedicata al borgo di Cibali, che in quel <strong>te</strong>mpo godeva di<br />

aria pulita, tranquillità ed abbondanti acque fresche (in via Della Sorgiva<br />

ancor oggi affiora una sorgen<strong>te</strong> d’acqua), i cui abitanti coltivavano ortaggi,<br />

infatti, anticamen<strong>te</strong> una candelora degli ortolani usciva duran<strong>te</strong> la festa.<br />

141


INVENZIONI ARTISTICHE<br />

Nel 1687 il poeta catanese Tommaso Costanzo pubblicò un poemetto<br />

sulla festa di Sant’Agata.<br />

Gli addobbi <strong>per</strong> la festa o le invenzioni erano <strong>per</strong>sonaggi in cartapesta o<br />

legno costruiti dai vari artigiani <strong>nel</strong>le proprie bot<strong>te</strong>ghe e vetrine. Ogni<br />

negozian<strong>te</strong> faceva a gara <strong>per</strong> abbellire le proprie vetrine con episodi del<br />

Vecchio e Nuovo Testamento e <strong>per</strong>sonaggi leggendari della storia catanese.<br />

Per l’occasione lo “stagnaro” Erasmo Chiarenza costruì con ma<strong>te</strong>riale<br />

povero di lattoneria l’o<strong>per</strong>a artistica: Mor<strong>te</strong> fra le fiamme di Eliodoro,<br />

avvenuta <strong>per</strong> mano del Vescovo S. Leone, il quale mago diede poi origine al<br />

“Liotro” lo s<strong>te</strong>mma della città di <strong>Catania</strong>.<br />

Sei anni dopo, cioè <strong>nel</strong> 1693, anno infausto <strong>per</strong> <strong>Catania</strong>, <strong>per</strong> via del<br />

<strong>te</strong>rribile <strong>te</strong>rremoto, lo s<strong>te</strong>sso poeta Tommaso Costanzo scrisse il poemetto<br />

“La distruzione di <strong>Catania</strong>”, <strong>nel</strong> quale parla di Dio, adirato con i catanesi <strong>per</strong><br />

le loro colpe e deciso a distruggere la città, ma fu trat<strong>te</strong>nuto da Sant’Agata.<br />

Nel 1628 il poeta Tommaso Longobardo scrisse un poema in 8 canti,<br />

intitolato “Il Trionfo”, in occasione della festa di Sant’Agata.<br />

LA CAMPANA DEL POPOLO<br />

Lo storico campanone fu fatto costruire <strong>nel</strong> 1387 dal vescovo Simone<br />

del Pozzo, a lode e gloria di Dio e di Sant’Agata ed a decoro e ornamento<br />

della Cat<strong>te</strong>drale. Egli, volendo far fondere una campana a sue spese, trovò<br />

Nicolò Turturichio, maestro campanaro es<strong>per</strong>to <strong>nel</strong>la fusione del metallo, il<br />

quale da solo presentò 4 campane: una del peso di 20 cantari di forma grande<br />

e buon suono, una seconda di 17 cantari di forma e suono migliore, una <strong>te</strong>rza<br />

142


di 3 cantari di forma e peso simile ed una quarta di 66 cantari, più larga ed<br />

ottima di forma e di suono, tale da su<strong>per</strong>are tut<strong>te</strong> le campane del mondo.<br />

L’o<strong>per</strong>a fu completata entro due anni ed il vescovo, a <strong>te</strong>stimonianza di<br />

quanto sopra, gli rilasciò at<strong>te</strong>stato che evidenziava l’essere <strong>per</strong>fettissimo<br />

<strong>nel</strong>l’ar<strong>te</strong> della fusione delle campane. Le norme <strong>per</strong> il suono di detta campana<br />

furono emana<strong>te</strong> dal vescovo Bonaventura Secusio.<br />

Un’altra o<strong>per</strong>a ancora, quindi, si rifà al mito di Agata: la campana del<br />

popolo, imponen<strong>te</strong> o<strong>per</strong>a del peso di 7613 kg, famosa come quelle di Mosca,<br />

Pechino, Parigi, Budapest, Roma (Campidoglio e S. Pietro), Firenze, Milano,<br />

la quale, duran<strong>te</strong> il <strong>te</strong>rremoto del 1693 ruzzolò in mare assieme al vecchio<br />

campanile, frantumandosi. Successivamen<strong>te</strong> fu ripescata dalla fanghiglia in cui<br />

era stata abbandonata, lanciata pubblica offerta, quindi, fusa in una fonderia<br />

di via consolazione, ricostruita con metallo nuovo, ricollocata <strong>nel</strong> medesimo<br />

punto ove ancor oggi è possibile vedere.<br />

All’inaugurazione s’era formata una lunghissima fila di fedeli e dopo la<br />

messa fu suonato il Gloria. Al primo suono rimbomban<strong>te</strong> il popolo gridò<br />

Viva Sant’Agata. In quel frangen<strong>te</strong> l’ar<strong>te</strong>fice dell’o<strong>per</strong>a si uccise, pensando che<br />

il suono della campana avesse voce falsa, lugubre, come di cosa rotta.<br />

Da sempre, all’alba del quattro febbraio, quando ancora la città<br />

sonnecchia, i rintocchi ritmici e forti richiamano da ogni par<strong>te</strong> della città il<br />

fiume di devoti, accompagnandoli con mestizia verso la grande porta che<br />

conduce al <strong>te</strong>mpio della Patrona. Nessuno potrà fermarli!<br />

In Italia è la <strong>te</strong>rza, dopo quella del Duomo di Milano e di S. Pietro in Roma.<br />

FURTI IN CATTEDRALE<br />

In tre secoli e mezzo, nonostan<strong>te</strong> guerre, <strong>te</strong>rremoti, eruzioni, carestie e<br />

pestilenze, non si erano mai verificati furti sacrileghi all’in<strong>te</strong>rno del Duomo.<br />

143


Si racconta che, <strong>nel</strong> 1339 il fra<strong>te</strong> Angelo Pista<strong>te</strong>, sacrista e custode<br />

dell’archivio della Cat<strong>te</strong>drale, una not<strong>te</strong>, col pre<strong>te</strong>sto di voler prendere un<br />

apparato sacro, da utilizzare il giorno dopo <strong>per</strong> una funzione matrimoniale di<br />

una sua nipo<strong>te</strong>, favorito dalle <strong>te</strong>nebre, entrò <strong>nel</strong>la sacrestia, aprì la caxia<br />

argen<strong>te</strong>a del 1266 (la seconda cassa, mentre la <strong>te</strong>rza è l’attuale scrigno),<br />

con<strong>te</strong>nen<strong>te</strong> le Reliquie e i documenti più importanti della Chiesa, estrasse il<br />

privilegio di Enrico VI Hohenstaufen (figlio di Federico Barbarossa), ne tolse<br />

la bolla d’oro e la rubò.<br />

Avendo <strong>per</strong>ò fatto rumore, se ne accorse fra<strong>te</strong> Antonio Trombetta<br />

(allora chierico, poi divenuto sacerdo<strong>te</strong>), che dormiva accanto alla sacrestia, il<br />

quale gli rivolse con ques<strong>te</strong> parole in dialetto: L’altro gli rispose: <br />

Trascorso qualche <strong>te</strong>mpo, un giorno fra<strong>te</strong> Angelo aprì la cassa, tolse il<br />

privilegio di Enrico VI e fingendo che la bolla fosse stata rubata da altri,<br />

cominciò a gridare:<br />

Quasi os<strong>te</strong>ntando meraviglia, dolore e dispetto, gridando a gran voce<br />

richiamò tutti i monaci del Capitolo della Cat<strong>te</strong>drale, mostrando loro il<br />

privilegio spogliato della bolla d’oro, chiamandoli quasi a <strong>te</strong>stimonianza.<br />

Un tumulto di passioni passò tra i monaci, soprattutto timore che il<br />

documento, la magna carta di diritti della Chiesa catanese, sprovvisto della<br />

bolla, fosse privo di autorità. Si stabilì allora di fare una riunione, <strong>nel</strong>la quale<br />

all’unanimità venne deciso di rivolgersi a Pietro II d’Aragona, Re di Sicilia,<br />

<strong>per</strong> avere giustizia. Il Re ordinò ai giudici della sua Magna Curia di indagare e<br />

scoprire la verità. Costoro, giunti in Cat<strong>te</strong>drale e <strong>per</strong>suasi che non po<strong>te</strong>vano<br />

essere estranee le <strong>per</strong>sone addet<strong>te</strong> al servizio della Chiesa, arrestano e<br />

144


torturano i frati : Antonio, Goffredo e Gualtiero, che si difesero <strong>te</strong>nacemen<strong>te</strong>,<br />

accusando fra<strong>te</strong> Angelo, il quale fu rinchiuso in carcere.<br />

Era il 1366, agli albori del Rinascimento, allorquando il Re rassicurò i<br />

monaci, promet<strong>te</strong>ndo loro che avrebbe riconfermato il privilegio di Enrico<br />

VI, tuttavia, morì ancor prima di aver potuto man<strong>te</strong>nere la promessa.<br />

Nel 1641 furono rubati due lampadari di argento, posti innanzi la<br />

cameretta di Sant’Agata. Il ladro fuggito a Messina venne denunciato dalla<br />

moglie, dopo la mor<strong>te</strong> dei due figli, condannato al pagamento del prezzo<br />

dell’argento dei lampadari e tradotto in prigione.<br />

Nel 1696, alcuni ladri di not<strong>te</strong> entrarono <strong>nel</strong> magazzino ove stava il<br />

fercolo, <strong>te</strong>ntarono di strappare le dodici statuet<strong>te</strong> di argento, tremò la <strong>te</strong>rra,<br />

fuggirono <strong>per</strong> paura dalla porta grande di Città, ma furono presi e carcerati.<br />

Era il 1891, allorquando all’in<strong>te</strong>rno della Cat<strong>te</strong>drale di <strong>Catania</strong> avvenne<br />

il furto sacrilego, tris<strong>te</strong>men<strong>te</strong> passato alla cronaca, ai danni della Vergine<br />

Agata, <strong>per</strong> cui, le autorità del <strong>te</strong>mpo in<strong>te</strong>rrogarono quanti quella not<strong>te</strong> si<br />

trovavano di servizio all’in<strong>te</strong>rno del <strong>te</strong>mpio.<br />

Un nugolo di malfattori, fra cui un vecchio di Mis<strong>te</strong>rbianco, dopo aver<br />

violato, duran<strong>te</strong> la processione in paese, i due os<strong>te</strong>nsori di gran valore <strong>per</strong> la<br />

preziosità delle gioie e l’artistica fattura, at<strong>te</strong>ntarono, fatto assolutamen<strong>te</strong><br />

senza riscontro <strong>nel</strong>la storia, al <strong>te</strong>soro del busto di Sant’Agata.<br />

Per tale misfatto fu processato Vincenzo Motta ex parroco,<br />

successivamen<strong>te</strong> divenuto custode del Duomo, che soleva dormire spesso<br />

con la figlia presso la casa del sacrista maggiore don Di Maggio, suo intimo<br />

amico e sottoposto a processo assieme ad oltre 30 imputati, fra mandanti e<br />

ricettatori. Il processo ebbe inizio il 19 ottobre del 1891 e si concluse il 10<br />

dicembre dello s<strong>te</strong>sso anno con la condanna ad 11 anni e sei mesi, di tutti gli<br />

accusati, meno set<strong>te</strong>. La sen<strong>te</strong>nza fu letta dal presiden<strong>te</strong> comm. Mondio.<br />

145


Da quell’infausto giorno, furti di cibori, os<strong>te</strong>nsori, lampadari e statuet<strong>te</strong> in<br />

argento, furono pagati dai malfattori con la <strong>per</strong>dita della vita propria e dei<br />

familiari, la reclusione a vita e <strong>per</strong>sino con la forca, ciò a dimostrazione del<br />

fatto che Sant’Agata non lascia mai impuni<strong>te</strong> le offese dei ladri.<br />

Maugeri Bonaventura all’epoca era uno dei tanti piccoli sacrestani della<br />

Cat<strong>te</strong>drale ad affermare che ogni sera, allorquando si chiudeva la chiesa si<br />

faceva un’accuratissima ispezione in tutti i punti, <strong>per</strong> assicurarsi che non vi<br />

fossero <strong>per</strong>sone nascos<strong>te</strong>, subito dopo, all’in<strong>te</strong>rno della chiesa si lasciava<br />

libero un cane, onde fare da guardia.<br />

Detta visita si effettuava due vol<strong>te</strong> al giorno, la prima all’Avemaria, a<br />

chiusura della chiesa, la seconda 2 ore dopo la mezzanot<strong>te</strong>. Egli affermava,<br />

altresì, di non aver mai sentito duran<strong>te</strong> la not<strong>te</strong> latrare detto cane, sebbene dal<br />

punto ove si trovava coricato (vicino alla sacrestia), avrebbe potuto udirli.<br />

Egli, appreso dai propri compagni che <strong>nel</strong>le prime ore di quella not<strong>te</strong><br />

avevano udito latrare il cane, si recò in chiesa assieme al sacrestano maggiore<br />

ed ai compagni, trovando il cane con in bocca una spugna, forse dimenticata<br />

da qualche inservien<strong>te</strong> dopo aver lavato le fonti d’acqua benedetta.<br />

Dopo avergliela tolta di bocca, il cane si quietò.<br />

Uno dei sacristi, certo Cristoforo, dormiva da qualche <strong>te</strong>mpo <strong>nel</strong>la stanza<br />

che aveva una finestra che guardava all’in<strong>te</strong>rno della chiesa, egli, mentre mi<br />

trovava all’arcivescovado, vide presentarsi un sacrista ad annunziargli che in<br />

chiesa si trovava l’economo del Municipio che desiderava parlargli.<br />

Così si recò subito da lui in Chiesa, il quale gli disse che aveva bisogno<br />

di due sacristi <strong>per</strong> far sorvegliare l’uomo che avrebbe dovuto lo s<strong>te</strong>sso giorno<br />

spolverare la bara di Sant’Agata. Detta<strong>te</strong>, quindi, le disposizioni e si pose<br />

intanto a discorrere con detto economo, mentre si aspettava che venisse il<br />

custode della bara a portare le chiavi del locale, <strong>nel</strong> quale la s<strong>te</strong>ssa era riposta.<br />

146


Allorquando entrarono <strong>nel</strong>la stanza si accorsero che la seconda porta<br />

era stata scassinata e la bara rovinata. Allarmati vollero accertarsi circa i danni<br />

riportati dalla s<strong>te</strong>ssa. La par<strong>te</strong> an<strong>te</strong>riore della cassa era stata abbattuta e la<br />

bara, <strong>nel</strong>la maggior par<strong>te</strong> delle colonne, era stata privata della crosta d’argento<br />

che la ricopriva. Comprendendo trattarsi di furto, ritornarono sui propri passi<br />

<strong>per</strong> avvertire i rappresentanti della Chiesa e le autorità.<br />

Una not<strong>te</strong>, tuttavia, uno dei sacrestani, passando innanzi ad una delle<br />

finestre che guardano all’in<strong>te</strong>rno della cat<strong>te</strong>drale, aveva notato un uomo con<br />

un lume in mano aggirarsi all’in<strong>te</strong>rno della navata la<strong>te</strong>rale, in atto di sollevare<br />

un lembo della cortina che ricopriva suddetta finestra dietro cui si trovava.<br />

A quella vista il ragazzo emise un grido, corse in mezzo ai propri compagni<br />

<strong>per</strong> lanciare l’allarme e raccontare quel che aveva visto. Doveva trattarsi,<br />

quindi, di un furto, ma non sussis<strong>te</strong>vano sospetti su alcuno: un vero enigma.<br />

Fino al 1890 le sacre reliquie con tutto il <strong>te</strong>soro, erano custodi<strong>te</strong><br />

normalmen<strong>te</strong> dentro il duomo, avvenuto il furto, e recu<strong>per</strong>ata par<strong>te</strong> della<br />

refurtiva, si pensò bene di tu<strong>te</strong>lare questo inestimabile <strong>te</strong>soro con dei cancelli<br />

robustissimi ed invalicabili in ferro, da qui il famoso proverbio catanese, il<br />

quale riferisce che dopo che Sant’Agata fu derubata, fu pro<strong>te</strong>tta con por<strong>te</strong> in<br />

ferro. Oggi, quindi, presso la navata destra del duomo sorge una pesantissima<br />

ed altissima ringhiera che blocca l’accesso all’altare di Sant’Agata.<br />

Ma anche <strong>nel</strong>la Chiesa del S. Carcere fu commesso un furto sacrilego, se<br />

ne ha memoria da una relazione del Vescovo di Messina, secondo cui il sac.<br />

Let<strong>te</strong>rio Lo Giudice giunse da Messina col fra<strong>te</strong>llo Domenico <strong>per</strong> celebrare<br />

messa <strong>nel</strong>la chiesa della Fornace, poi andò a visitare il S. Carcere, prendendo<br />

2 pezzi di pietra, su cui sono impresse le peda<strong>te</strong> della Santa. Allorquando si<br />

imbarcarono <strong>per</strong> il ritorno, si sca<strong>te</strong>nò una gran <strong>te</strong>mpesta, ciò si ripeté tut<strong>te</strong> le<br />

vol<strong>te</strong> che <strong>te</strong>ntarono di lasciare <strong>Catania</strong>. Solo quando fecero voto alla Santa<br />

147


che avrebbero restituito il maltolto, appena giunti a Messina, riuscirono ad<br />

imbarcarsi. L’evento è ricordato in una lapide sul muro del S. Carcere.<br />

SANT’AGATA NELLA LITURGIA<br />

Pare che il <strong>te</strong>sto liturgico più antico su Sant’Agata sia quello vergato da<br />

Ambrogio. Agata è pure menzionata, a partire dal sec. V, da papa Gelasio I e<br />

da Gregorio Magno, in vigore fino a quando non riformò il <strong>te</strong>sto, prima Pio<br />

V, quindi, il Concilio Vaticano II. Pare, inoltre, che l’Ufficio Romano delle<br />

Ore sia nato a <strong>Catania</strong> e che successivamen<strong>te</strong> sia stato importato a Roma,<br />

dove papa Gregorio Magno lo avrebbe poi rimaneggiato. I formulari liturgici<br />

di Isidoro derivano dalla liturgia orientale dei Goti.<br />

Quando la Sicilia passò sotto il controllo di Costantinopoli,<br />

probabilmen<strong>te</strong> molti furono i formulari liturgici greci in uso pure a <strong>Catania</strong>,<br />

come le <strong>te</strong>stimonianze del martirio, i rituali e gli inni greci in onore di<br />

Sant’Agata, dovet<strong>te</strong>ro essere consis<strong>te</strong>nti.<br />

Il culto di Sant’Agata si è precocemen<strong>te</strong> irradiato dal Medi<strong>te</strong>rraneo e<br />

velocemen<strong>te</strong> diffuso sia in Orien<strong>te</strong> che in Occiden<strong>te</strong>.<br />

Dalla Sicilia e da Malta il culto <strong>per</strong> la vergine raggiunse presto Roma <strong>per</strong><br />

rinvigorire i complessi rapporti tra Sede Apostolica e Sicilia tanto che presto<br />

papa Simmaco sulla via Aurelia fece edificare una basilica che dedicò alla<br />

vergine catanese, mentre Gregorio Magno ne fece erigere una intitolandola<br />

Agata in Suburra, <strong>per</strong> cui la devozione a Roma <strong>per</strong> la vergine Agata si<br />

rafforzò a tal punto da innalzare ed intitolare chiese in varie parti della<br />

Capitale: sul Celio, sul Mon<strong>te</strong> Mario ed in Tras<strong>te</strong>vere.<br />

Lo s<strong>te</strong>sso Gregorio Magno fece consacrare a Palermo il monas<strong>te</strong>ro<br />

in<strong>te</strong>stato a Sant’Agata e San Massimo, incaricando il vescovo di Sorrento di<br />

riporre le sue reliquie a Capri, precisamen<strong>te</strong> <strong>nel</strong> monas<strong>te</strong>ro di Santo S<strong>te</strong>fano<br />

148


Già <strong>nel</strong> sec. V, papa Gelasio I at<strong>te</strong>sta l’esis<strong>te</strong>nza di una basilica a Roma<br />

dedicata a Sant’Agata, sempre a Roma papa Simmaco fonda una chiesa<br />

in<strong>te</strong>stata a lei, mentre il vescovo Giovanni at<strong>te</strong>sta a Ravenna l’esis<strong>te</strong>nza di una<br />

basilica intitolata alla vergine catanese. Più tardi, il generale Ricimero, duran<strong>te</strong><br />

un combattimento in Sicilia contro l’esercito di Genserico venne a<br />

conoscenza della fama di Agata, <strong>per</strong> cui, allorquando fece ritorno <strong>nel</strong>l’Italia<br />

set<strong>te</strong>ntrionale, volle intitolare a Sant’Agata dei Goti l’antica città sannita di<br />

Saticola, in<strong>te</strong>stando a Roma pure una basilica a Sant’Agata.<br />

A metà del VI sec. Sant’Agata la si riscontra in Istria (mosaici basilica di<br />

Parendo) quindi, a Ravenna, nei mosaici di S. Apollinare.<br />

Gli atti del martirio, <strong>nel</strong>la par<strong>te</strong> conclusiva, offrono importanti riscontri<br />

sulla diffusione del culto agatino, molto precoce, infatti, mentre si svolgevano<br />

i riti della tumulazione del corpo di Sant’Agata, apparve un giovane, seguito<br />

da cento fanciulli, che depose sul suo sepolcro la famosa scritta latina: Men<strong>te</strong><br />

santa, spontaneo onore a Dio e liberazione della patria.<br />

Questi atti costituiscono, quindi, un indubbio segno della precocità<br />

dell’irradiarsi del culto della vergine catanese.<br />

Infatti, già allora, i <strong>te</strong>stimoni oculari di questa visione non esitarono a<br />

divulgarla subito, tanto da indurre molti, cristiani e pagani, a venerarne il<br />

sepolcro con pellegrinaggi <strong>nel</strong> luogo che ne custodiva le preziose reliquie.<br />

Anche le <strong>te</strong>stimonianze archeologiche sembrano at<strong>te</strong>stare una<br />

diffusione immediata del culto <strong>per</strong> la martire da <strong>Catania</strong> verso la Sicilia<br />

occidentale, infatti, un’epigrafe latina risalen<strong>te</strong> al IV sec. rinvenuta a <strong>Catania</strong>,<br />

offre un’in<strong>te</strong>ressan<strong>te</strong> notizia relativa ad una bambina, di nome Iulia che,<br />

morta all’età di diciotto mesi, venne bat<strong>te</strong>zzata proprio in punto di mor<strong>te</strong> e<br />

tumulata in prossimità delle tombe dei martiri, mentre un’epigrafe greca<br />

rinvenuta ad Ustica e coeva alla preceden<strong>te</strong>, offre notizie della<br />

149


commemorazione d’una donna di nome Lucifera, morta proprio il giorno<br />

della ricorrenza di Sant’Agata.<br />

Ques<strong>te</strong> due <strong>te</strong>stimonianze epigrafiche sembrano suffraga<strong>te</strong> anche dagli<br />

atti greci del martirio di Lucia, vergine siracusana, martirizzata 53 anni dopo<br />

Agata, duran<strong>te</strong> la <strong>per</strong>secuzione di Diocleziano, <strong>nel</strong> 304 (lo s<strong>te</strong>sso anno in cui<br />

fu martirizzato Euplio), comprovano la consuetudine dei pellegrinaggi presso<br />

la tomba di Agata sin dall’antichità. La giovane Lucia si era recata da Siracusa<br />

in pellegrinaggio a <strong>Catania</strong> <strong>per</strong> implorare sul sepolcro della martire Agata la<br />

guarigione della madre, affetta da un inarrestabile flusso di sangue.<br />

Agata apparve in sogno a Lucia, rassicurandola dell’esaudimento della<br />

sua supplica, predicendole, <strong>nel</strong> con<strong>te</strong>mpo, il suo futuro martirio.<br />

Il 5 febbraio di ogni anno si assis<strong>te</strong>va a Costantinopoli, in una delle due<br />

chiese dedica<strong>te</strong> alla vergine e martire Agata, come si diceva, al miracolo<br />

dell’olio traboccan<strong>te</strong> dalla lampada. Tale prodigioso evento è conosciuto<br />

anche dalla tradizione occidentale: pure a Roma, infatti, <strong>nel</strong>la chiesa di<br />

Sant’Agata in Suburra, dedicatale da Gregorio Magno, le lampade si accesero<br />

miracolosamen<strong>te</strong> duran<strong>te</strong> la cerimonia di nuova dedica alla martire catanese<br />

della basilica che, un <strong>te</strong>mpo, era stata ariana. Questo episodio risulta esposto<br />

<strong>nel</strong> celebre encomio pronunziato <strong>per</strong> la festa della santa da Metodio, patriarca<br />

di Costantinopoli duran<strong>te</strong> il <strong>per</strong>iodo iconoclasta.<br />

Fin dal Medioevo Sant’Agata fu venerata non solo in Sicilia ed in Italia<br />

(Milano, Piemon<strong>te</strong>, S. Marino) ma anche in Francia, presso popolazioni<br />

bizantine, africane, germaniche e scandinave.<br />

Tale diffusione sembra dovuta sia a missionari romani presso<br />

popolazioni longobarde dell’Italia set<strong>te</strong>ntrionale, sia alla presenza del suo<br />

nome <strong>nel</strong> Martirologio Geronimiano e all’introduzione del suo nome <strong>nel</strong><br />

canone della messa accanto a quello di Lucia, martire di Siracusa.<br />

150


Nel <strong>per</strong>iodo islamico il culto di Agata subisce, tuttavia, un<br />

affievolimento anche in considerazione del trasferimento delle sue reliquie da<br />

<strong>Catania</strong> a Costantinopoli, <strong>nel</strong> 1040 ad o<strong>per</strong>a del generale bizantino Giorgio<br />

Maniace. Infatti, il sepolcro vuoto della martire non ne alimentò più il culto,<br />

venendo meno proprio la consuetudine dei pellegrinaggi.<br />

Ruggero il Normanno si trovò di fron<strong>te</strong> a popoli di lingue e culture<br />

diverse: greci, arabi, ebrei, ecc. ed anche i cristiani erano divisi in tre riti:<br />

arabo, bizantino, latino. Vista la situazione, il suo progetto mirava al ripristino<br />

del cristianesimo e del rito latino, a tale fine, fondò a <strong>Catania</strong> un’abbazia<br />

benedettina, dedicata a Sant’Agata, che fece reggere dal vescovo Ansgerio,<br />

affidandogli il governo della città. Quindi, <strong>nel</strong>le mani d’una <strong>per</strong>sona,<br />

coesis<strong>te</strong>va l’autorità civile, episcopale e monastica.<br />

Fu importan<strong>te</strong> <strong>nel</strong> <strong>per</strong>iodo normanno il ritorno delle reliquie di Agata<br />

da Costantinopoli a <strong>Catania</strong>, che ne fece rifiorire il culto alimentando<br />

nuovamen<strong>te</strong> i pellegrinaggi. Nella città di <strong>Catania</strong>, un <strong>te</strong>mpo, si celebravano<br />

tre ricorrenze, in onore di Sant’Agata: il 5 febbraio, quella del martirio, il 17<br />

agosto, <strong>nel</strong> 1126 quella della traslazione delle reliquie a <strong>Catania</strong> da<br />

Costantinopoli, il 17 giugno, quella della cessazione della pes<strong>te</strong> del 1576. Vari<br />

sono i miracoli attribuiti dalla devozione popolare alla Santa sia a beneficio<br />

degli abitanti di <strong>Catania</strong>, <strong>per</strong> averla salvata più vol<strong>te</strong> dalle eruzioni e<br />

dall’assedio di varie popolazioni nemiche <strong>nel</strong> corso dei secoli.<br />

Oltre che dell’arcidiocesi di <strong>Catania</strong>, Agata è pro<strong>te</strong>ttrice di quella di<br />

Gerace in Calabria, dell’Isola di Malta e della Repubblica di S. Marino.<br />

San Metodio <strong>nel</strong>l’encomio che compose <strong>nel</strong>l’anno 845 in onore di<br />

Sant’Agata, at<strong>te</strong>stò che Agata <strong>nel</strong> corso dell’adolescenza seppe rendersi docile<br />

all’azione educativa dei suoi genitori e mai volle cedere a futili giuochi<br />

fanciulleschi ed ai lussi della moda, alla cura es<strong>te</strong>riore della <strong>per</strong>sona con<br />

151


gioielli, ciprie, profumi ed unguenti, piuttosto scelse lo spargersi col sangue<br />

del divino Ag<strong>nel</strong>lo, col quale arrossava ed ornava le sue labbra, la sua guancia<br />

e la sua lingua, nonché la meditazione rievocava intimamen<strong>te</strong>.<br />

Ma il punto, in cui Agata rivela maggiormen<strong>te</strong> e <strong>nel</strong> modo più vivo<br />

l’es<strong>per</strong>ienza della <strong>te</strong>nerezza che sua madre le profuse duran<strong>te</strong> gli anni della sua<br />

infanzia e della adolescenza, fu il momento in cui, contro Quinziano, che<br />

ordinava di infliggerle la tortura dello strappo della mammella, insorse e<br />

pro<strong>te</strong>stò, dicendo: Empio, crudele e spietato tiranno, non ti vergogni di<br />

stroncare in una donna, ciò che tu s<strong>te</strong>sso succhiasti da tua madre.<br />

Un’antica epigrafe esis<strong>te</strong>n<strong>te</strong> a <strong>Catania</strong>, presso Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re, <strong>nel</strong><br />

luogo s<strong>te</strong>sso ove fu consumato quello scempio, accanto alla parola, che indica<br />

la madre di Quinziano, c’è aggiunto l’avverbio clemen<strong>te</strong>r, come a significare<br />

che Agata considerò la madre di Quinziano <strong>per</strong>sonificazione della clemenza,<br />

in quanto madre che allottò il proprio figlio.<br />

A quel <strong>te</strong>mpo Valerio Liciniano discepolo di Quintiliano, illustrò a<br />

<strong>Catania</strong> il celebre Ginnasio Catanese, inaugurandovi un Corso di Retorica,<br />

secondo le direttive promosse dallo s<strong>te</strong>sso Quintiliano.<br />

Si suppone che Agata, in quanto appar<strong>te</strong>nen<strong>te</strong> a nobile famiglia, duran<strong>te</strong><br />

l’adolescenza frequentasse la Scuola e il Ginnasio di <strong>Catania</strong> e che da quella<br />

scuola uscì molto istruita e ferrata. Agata, inoltre, duran<strong>te</strong> tutto il corso della<br />

sua adolescenza man<strong>te</strong>nne coi suoi coetanei comportamenti della massima<br />

trasparenza e dignità, senza alcun momento di debolezza e di equivocità.<br />

Tutti i 140 manoscritti, che riportano il <strong>te</strong>sto della redazione latina,<br />

forniscono tale notizia, attribuendole il titolo di vergine consacrata a Dio e<br />

riferiscono che Agata <strong>nel</strong> presentarsi in tribunale volle indossare l’abito delle<br />

vergini consacra<strong>te</strong> a Dio, conforme a quello usato dalle schiave, aggiungendo<br />

che, davanti a Quinziano si proclamò serva di Cristo.<br />

152


Ella in preghiera affermò che, <strong>nel</strong> sos<strong>te</strong>nere la sua pudicizia aveva<br />

lottato <strong>per</strong> amore di Cristo, suo sposo, fuggendo i piaceri, come cosa<br />

abominevole, affinché non fosse inaspettatamen<strong>te</strong> presa dalle lusinghe.<br />

Mentre stava <strong>per</strong> iniziare il supplizio dei carboni ardenti l’Etna iniziò ad<br />

eruttare e un for<strong>te</strong> <strong>te</strong>rremoto scosse la <strong>te</strong>rra. Sant’Agata fu allora risparmiata<br />

dalle torture ma morì di s<strong>te</strong>nti in prigione.<br />

Sant’Agata è pro<strong>te</strong>ttrice delle balie e delle nutrici, dei fonditori di<br />

campane, degli infermieri e viene invocata contro le malattie del seno, le<br />

eruzioni vulcaniche e gli incendi, è modello di vita cristiana <strong>per</strong> la santità dei<br />

suoi propositi e <strong>per</strong> l’onore prestato a Dio senza indugio, <strong>nel</strong>la valorosa<br />

confessione di Cristo e viene presentata come eminen<strong>te</strong> modello di donna,<br />

ricolma delle migliori virtù cristiane: bella, coraggiosa, pazien<strong>te</strong>, e for<strong>te</strong>.<br />

Proprio quando la coerenza di fede chiede di affrontare anche<br />

un’ingiusta sofferenza e la mor<strong>te</strong>. In lei, è sconfitta la <strong>te</strong>ntazione del po<strong>te</strong>re,<br />

del denaro, della sensualità.<br />

Alla corruzione dei costumi del po<strong>te</strong>re costituito, viene contrapposta la<br />

nobiltà di sentimenti e l’audacia dell’azione della giovane cristiana catanese.<br />

Aver preferito il martirio ai vantaggi <strong>te</strong>rreni scuo<strong>te</strong> e colpisce, ancor più<br />

<strong>per</strong> la sua giovane età: provoca ammirazione, in<strong>te</strong>rroga e met<strong>te</strong> in crisi, invita<br />

all’imitazione e stimola ad avere identico coraggio.<br />

Ma<strong>te</strong>rnità, es<strong>te</strong>tica, costume, medicina. È ciò che sot<strong>te</strong>nde l’iconografia<br />

di quella par<strong>te</strong> del corpo femminile, il seno, che da sempre esprime il rispetto<br />

dovuto alla donna e l’incanto della sua femminilità.<br />

Un florilegio di simboli <strong>per</strong> le numerose suggestioni lega<strong>te</strong> all’intricato<br />

universo di sensazioni che ruota attorno ad esso.<br />

153


Vi è stato un <strong>te</strong>mpo, <strong>nel</strong> Medioevo in cui il seno era considerato il luogo<br />

della follia, cercava di guarire questo male oscuro strizzando il seno delle<br />

donne che ne erano affet<strong>te</strong>.<br />

La violenza contro il seno è sempre <strong>per</strong>cepita come atto sacrilego,<br />

l’asportazione d’un seno è la ferita suprema. Le san<strong>te</strong> rappresenta<strong>te</strong> col seno<br />

tagliato non facevano altro che rispecchiare questa paura delle donne.<br />

L’o<strong>per</strong>a di Francesco di Simone da Santacroce, raffiguran<strong>te</strong> Sant’Agata,<br />

dei primissimi anni del Cinquecento, conservata ai Musei Civici di Padova, ci<br />

mostra la santa che porta il suo seno su un vassoio.<br />

In mol<strong>te</strong> rappresentazioni del XVI e XVII secolo è rappresentata anche con<br />

gli strumenti chirurgici di allora: pinze, <strong>te</strong>naglie, bracieri di carboni ardenti.<br />

Un indizio forse che le asportazioni chirurgiche erano frequenti.<br />

Duran<strong>te</strong> la <strong>per</strong>secuzione decretata da Decio anche i singoli membri della<br />

comunità cristiana di <strong>Catania</strong> vengono sollecitati a sacrificare agli dei<br />

dell’im<strong>per</strong>o. Così come altrove, vi sono stati dei confessori e dei martiri.<br />

In special modo, <strong>per</strong>ò, i cristiani catanesi diffondono la memoria del<br />

martirio di una loro sorella <strong>nel</strong>la fede: la giovane Agata.<br />

Anche l’acquisizione di notizie sulla sua eroica <strong>te</strong>stimonianza di fede<br />

rientra, <strong>nel</strong> più ampio con<strong>te</strong>sto dell’analisi delle fonti agiografiche.<br />

Oltre al riferimento al martirio di Agata e di altri cristiani, con<strong>te</strong>nuto<br />

<strong>nel</strong>l’epigrafe di Julia un’altra iscrizione funeraria at<strong>te</strong>sta il culto ad Agata poco<br />

<strong>te</strong>mpo dopo la <strong>per</strong>secuzione di Decio. Rinvenuta <strong>nel</strong>l’isola di Ustica, scritta in<br />

lingua greca e databile alla fine del III secolo.<br />

Il luogo del ritrovamento e la datazione <strong>te</strong>stimoniano che la notizia del<br />

martirio di Agata e il suo culto si sono diffusi ben presto in tutta la Sicilia<br />

orientale. Un’altra <strong>te</strong>stimonianza può desumersi dalla menzione di una Agata<br />

<strong>nel</strong> Simposio o <strong>nel</strong> banchetto delle vergini di Metodio, noto come vescovo di<br />

154


Olimpo <strong>nel</strong>la Licia, morto <strong>nel</strong> 311, il cui <strong>te</strong>sto é stato redatto prima di tale<br />

anno. La notizia del martirio di Agata avrebbe avuto una rapida diffusione<br />

anche in Orien<strong>te</strong>.<br />

Il nome di Agata ricorre nei calendari liturgici, nei sacramentari, nei<br />

martirologi, in particolare in quello Geronimiano del V secolo, attribuito a S.<br />

Girolamo. Nel calendario cartaginese dei primi due decenni del VI secolo, si<br />

legge un solo nome siciliano, appunto quello di Agata, al 5 febbraio.<br />

A lei sono dedica<strong>te</strong> chiese a Roma, già duran<strong>te</strong> il pontificato di papa<br />

Gelasio I ed in altre parti della cristianità. Il suo culto viene promosso da<br />

diversi pon<strong>te</strong>fici, in special modo da Gregorio Magno che inserisce Agata <strong>nel</strong><br />

canone romano della messa, insieme a Perpetua, Felicita, Lucia, Agnese,<br />

Cecilia ed Anastasia.<br />

Al VI secolo si fa risalire il formulario ambrosiano della messa in onore<br />

di Agata, e al VII secolo é at<strong>te</strong>stato il culto in Inghil<strong>te</strong>rra.<br />

Elementi che ci dicono del carat<strong>te</strong>re universale del culto ad Agata fin<br />

dall’antichità. Un altro indizio é possibile desumerlo dal confronto tra il culto<br />

ad Agata ed il culto all’altro martire catanese, il giovane Euplio.<br />

Gli Atti del suo martirio, subito duran<strong>te</strong> la <strong>per</strong>secuzione di Diocleziano<br />

<strong>nel</strong> 304, redatti in lingua greca e rimaneggiati tra IV e V secolo, <strong>per</strong> gli es<strong>per</strong>ti<br />

di agiografia sono da ri<strong>te</strong>nersi gli unici che abbiano fondamento di genuinità<br />

tra quelli dei martiri siciliani. Il culto ad Euplio, tuttavia, non riesce ad imporsi<br />

come quello ad Agata, quindi, si può individuare un ul<strong>te</strong>riore segnale della<br />

immediata e robusta popolarità di Agata, che non viene scalfita neanche da<br />

un martire di straordinaria importanza, quale Euplio.<br />

Circa gli atti del martirio di Agata va osservato che anche <strong>nel</strong> suo caso<br />

non si ha il <strong>te</strong>sto au<strong>te</strong>ntico o coevo della sua vicenda, ma soltanto narrazioni<br />

redat<strong>te</strong> molto <strong>te</strong>mpo dopo. Le redazioni più no<strong>te</strong> del martirio, elaborare in<br />

155


<strong>te</strong>mpi successivi, ri<strong>te</strong>nu<strong>te</strong> maggiormen<strong>te</strong> credibili, (oltre 200 manoscritti in<br />

latino e greco), sono soltanto tre. Il <strong>te</strong>sto più antico a noi giunto, si ritiene<br />

quello latino edito <strong>nel</strong> 1477 da Mombrizio. La sua redazione, in ragione dei<br />

diversi elementi anche linguistici che lascia emergere, oltre che <strong>per</strong> il modo di<br />

presentare l’autorità romana quale espressione demoniaca, propria del<br />

<strong>per</strong>iodo successivo al IV secolo, verosimilmen<strong>te</strong> é databile al VI secolo, con<br />

tracce di s<strong>te</strong>sura più antica.<br />

Nell’ar<strong>te</strong> con<strong>te</strong>mporanea il seno a seguito dal linguaggio prende<br />

l’autocoscienza espressiva che in esso manifesta. Sarà con il Surrealismo, il<br />

movimento che più di ogni altro ha oltrepassato l’immaginario inconscio, le<br />

o<strong>per</strong>e offer<strong>te</strong> dagli artisti <strong>te</strong>stimoniano i passaggi del momento, storico: Dalì,<br />

Gouguin, Picasso, fino ai maestri fotografi con<strong>te</strong>mporanei.<br />

SANT’AGATA NELL’ICONOGRAFIA<br />

Nell’ar<strong>te</strong> bizantina del VII secolo, presso il Duomo di Parenzo in Istria<br />

e di S. Apollinare a Ravenna, Sant’Agata figura rappresentata con la corona in<br />

<strong>te</strong>sta ed il velo, così come è rappresentata nei mosaici della Cappella Palatina<br />

di Palermo ed in quelli del Duomo di Monreale.<br />

Affreschi vi sono a Kiev, <strong>nel</strong>la chiesa di S. Sofia, in Ucraina (XI secolo),<br />

<strong>nel</strong> portale di S. S<strong>te</strong>fano a Vienna (XIII secolo) è rappresentata con una<br />

fiaccola in mano. Con fiaccole e con una casa che brucia è rappresentata<br />

<strong>nel</strong>l’o<strong>per</strong>a del pittore fiammingo Friedrich Herlin del 1470 <strong>nel</strong> portale della<br />

chiesa di S. Giorgio a Dinkeluehl, una statua a Villalba del Alcor in Spagna.<br />

A <strong>Catania</strong> la sezione dei dipinti e delle sculture del Museo Diocesano,<br />

ospita alcuni capolavori dell’ar<strong>te</strong> italiana ed europea, nei quali la figura di<br />

Agata, è immaginata dapprima come una martire <strong>nel</strong>la canonica figura con la<br />

palma o la croce (come già nei mosaici ravennati del VI secolo, in quelli<br />

156


siciliani d’età normanna o ancora, in mostra, <strong>nel</strong>lo s<strong>te</strong>ndardo duecen<strong>te</strong>sco<br />

recato anticamen<strong>te</strong> <strong>per</strong> Firenze il 5 febbraio) e più avanti sempre più legata<br />

all’attributo dei seni tagliati e retti su un piatto o sulle mani (come <strong>nel</strong>la<br />

tavoletta trecen<strong>te</strong>sca della Pinaco<strong>te</strong>ca Vaticana).<br />

Pure antica è l’iconografia del momento tragico del supplizio dei seni,<br />

come in mostra si ammira già <strong>nel</strong>la tavola trecen<strong>te</strong>sca di Giovanni del Biondo,<br />

dalla pieve di Scar<strong>per</strong>ia (Firenze), e poi lungo i secoli seguenti, con esiti di<br />

altissimo e lirico realismo soprattutto <strong>nel</strong> Seicento, com’è eviden<strong>te</strong> <strong>nel</strong><br />

capolavoro di Francesco Guarino, o ancora <strong>nel</strong>l’onirica <strong>te</strong>la ottocen<strong>te</strong>sca di<br />

Gustave Moreau. Ugual fortuna ebbe la scena di Agata visitata e sanata da san<br />

Pietro <strong>nel</strong>la not<strong>te</strong>, nota già dal Duecento, ma anch’essa molto amata <strong>nel</strong><br />

Seicento soprattutto dai pittori caravaggeschi.<br />

La più antica raffigurazione iconografica di Sant’Agata è il mosaico, che<br />

riproduce la figura di Sant’Agata in piedi presso la chiesa di S. Apollinare<br />

Nuovo in Ravenna: quel mosaico è dell’anno 550 circa; e in esso Sant’Agata è<br />

raffigurata con indosso l’abito ufficiale delle diaconesse con la tunica lunga,<br />

defluen<strong>te</strong> dai ginocchi in giù e con la stola a tracollo ed il suo volto si rivela<br />

come quello di una donna più che ven<strong>te</strong>nne.<br />

Da ciò si evince che la prima tradizione orale catanese designava Agata<br />

come diaconessa: e dalla tradizione orale catanese gli artisti ravennati<br />

appresero che Agata svolgeva a <strong>Catania</strong> il minis<strong>te</strong>ro di diaconessa, <strong>per</strong>tanto,<br />

essa doveva necessariamen<strong>te</strong> aver su<strong>per</strong>ato i 20 anni di età.<br />

Nella iconografia nazionale o locale, Sant’Agata viene rappresentata nei più<br />

diversi e mol<strong>te</strong>plici modi, di cui, uno dei più classici la raffigura con lo<br />

sguardo estasiato rivolto verso la finestrella, unica fon<strong>te</strong> di luce di<br />

quell’angusta cella ove ella scontò la sua lunga pena, o <strong>nel</strong>l’atto di quel<br />

cruento supplizio dell’asportazione delle mammelle, imprescindibile simbolo<br />

157


di femminilità d’ogni donna, oppure, ancora, come solitamen<strong>te</strong> Agata risulta<br />

effigiata con il busto riccamen<strong>te</strong> fregiato di preziosissimi doni offerti dagli<br />

innumerevoli fedeli, provenienti da tutto il mondo, <strong>per</strong>ché Sant’Agata non<br />

risulta amata e venerata soltanto <strong>nel</strong>la natia sua <strong>Catania</strong>, bensì, in tutto il<br />

mondo, <strong>per</strong>sino negli angoli più reconditi del globo.<br />

Ma vi sono anche monumenti che la rappresentano con in mano le<br />

<strong>te</strong>naglie, strumenti del supplizio, o le mammelle, a rappresentare il martirio,<br />

od al cospetto dei fuochi ardenti, simboli ascetici del suo supplizio.<br />

Questi monumenti si possono riscontrare in varie zone della città di<br />

<strong>Catania</strong>, come ad esempio presso la “Fontana Lanaria” di Via Dusmet, od in<br />

corrispondenza della s<strong>te</strong>le di Piazza dei Martiri, soprannominata “Piano della<br />

statua”, innalzata dal popolo in ricordo della Vergine Agata che salvò la città<br />

di <strong>Catania</strong> dalla pes<strong>te</strong>, ma anche, e soprattutto, in tantissime chiese catanesi,<br />

sia all’in<strong>te</strong>rno, vedi l’antico busto presso la chiesa di Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re, od<br />

all’in<strong>te</strong>rno della chiesa dell’Ogni<strong>nel</strong>la, così come all’es<strong>te</strong>rno di via Museo<br />

Biscari o lungo il colonnato della Domus Magistri, ove il Vaccarini pose il<br />

piccolo busto di Sant’Agata come nume tu<strong>te</strong>lare della propria casa.<br />

All’in<strong>te</strong>rno d’una <strong>te</strong>ca della chiesa del Carmelo è esposto un simulacro in<br />

cera. Il prospetto del Duomo la rappresenta in ascesa al cielo su di una nuvola<br />

e con un coro di angeli.<br />

Sul fron<strong>te</strong>spizio della Collegiata Sant’Agata viene rappresentata con sulla<br />

mano sinistra la croce e la palma, simboli del martirio, mentre sulla destra<br />

tiene la Tavoletta dell’Angelo, elogio e simbolo di solenne promessa di<br />

pro<strong>te</strong>zione alla città di <strong>Catania</strong>.<br />

Un simulacro in cera della Vergine lo troviamo presso la chiesa del Carmelo.<br />

Nei secoli innumerevoli artisti si sono cimentati <strong>nel</strong>la rappresentazione di<br />

questa santa vergine e martire della chiesa cristiana, sbizzarrendosi in<br />

158


mol<strong>te</strong>plici raffigurazioni, sia essa da sola od assieme ad altri santi, all’in<strong>te</strong>rno<br />

di chiese, conventi, collegi ed istituti religiosi, sotto le più svaria<strong>te</strong> forme di<br />

statue, icone, quadri od affreschi.<br />

Il nome e l’esempio di Agata sono stati fon<strong>te</strong> di no<strong>te</strong>vole ispirazione <strong>per</strong><br />

gli artisti nei secoli. Alla figura di Sant’Agata è legata la fama e le o<strong>per</strong>e di<br />

archi<strong>te</strong>tti come Alonzo Di Benedetto, G. B. Vaccarini (<strong>nel</strong>la realizzazione<br />

delle sue o<strong>per</strong>e, pur non essendo catanese, ebbe grandi riguardi <strong>per</strong><br />

Sant’Agata), Girolamo Palazzotto, Francesco Battaglia, nonché l’ammirazione<br />

di illustri <strong>per</strong>sonaggi di passaggio in <strong>te</strong>rra di Sicilia, come il <strong>te</strong>desco Wolfgang<br />

Goethe, lo scozzese Patrick Brydone, lo svizzero Charles Didier.<br />

Il martirio di Sant’Agata è stato lungamen<strong>te</strong> raccontato, immortalato<br />

sulle pale d’altare ed affrescato da grandi artisti come il fiammingo Guglielmo<br />

Borremans, od il prolifico Olivio Sozzi, tanto <strong>per</strong> citarne alcuni.<br />

Dopo il <strong>te</strong>rremoto del 1693, i catanesi si rivolsero al duca Giuseppe<br />

Lanza, quale unica possibilità di salvezza, quindi, va a lui la incommensurabile<br />

riconoscenza <strong>per</strong> il recu<strong>per</strong>o delle reliquie della Patrona.<br />

Ma più di tutti si deve molto all’Arcivescovo di <strong>Catania</strong> Dusmet, il quale<br />

a Lei dedicò parecchio della propria venerabile esis<strong>te</strong>nza ed a lui i catanesi<br />

hanno voluto riservare somma riconoscenza, facendo sì che il corpo<br />

imbalsamato po<strong>te</strong>sse riposare all’in<strong>te</strong>rno del Duomo.<br />

Jean Pierre Laurent Hoel, pittore ed incisore francese alla cor<strong>te</strong> di Luigi XVI,<br />

<strong>nel</strong> suo “Voyage pittoresque” descrisse, sul finire del ‘700 le tradizionali fes<strong>te</strong><br />

di Sant’Agata e fu l’artista che più di tutti amò Sant’Agata ed suoi acquerelli<br />

mostrano la folla assiepata su strade e piazze al passaggio del fercolo, lui che<br />

in Sicilia era giunto, assieme ad una cordata di turisti in<strong>te</strong>ressati, <strong>per</strong> compiere<br />

il suo famoso “Gran Tour”, fu così colpito dalla città da rimanerne ammirato.<br />

159


Hoel non fu il solo, naturalmen<strong>te</strong>, giacché altri artisti, come <strong>nel</strong> 1893 il<br />

paesaggista e scrittore francese Gaston Vuillier, vollero ricordare Sant’Agata<br />

<strong>nel</strong>le proprie composizioni artistiche, come ad esempio Olivio Sozzi, famoso<br />

ed illuminato pittore di chiese, Giacinto Platania, pittore catanese che ritrasse<br />

Sant’Agata alla destra della Madonna in trono, con alla sinistra S. Lucia,<br />

presso la Chiesa della Santità ad Acica<strong>te</strong>na, o come descrisse il non cattolico<br />

inglese Brydone, <strong>nel</strong> suo “Viaggio in Sicilia e a Malta”.<br />

Castroreale, presso la Pinaco<strong>te</strong>ca di Santa Maria degli Angeli, è possibile<br />

ammirare Sant’Agata con dodici storie, di autore anonimo del XV secolo,<br />

unitamen<strong>te</strong> ad un dipinto che raffigura la Madonna delle Grazie fra Santa<br />

Ca<strong>te</strong>rina d’Alessandria e Sant’Agata.<br />

<strong>Catania</strong> Chiesa S. Nicolò la Rena: Sant’Agata sottoposta al taglio delle<br />

mammelle, di Marino Rossi. Chiesa S. Orsola. Convento Chiesa: S.<br />

Domenico. e Chiesa S. Camillo. Chiesa Cappuccini Cibali: dipinto altare<br />

maggiore XVII sec. Maria, l’Etna e Sant’Agata con la palma del martirio.<br />

Palermo presso la Chiesa di Santa Maria degli Angeli è raffigurata la<br />

Madonna di Monserrato tra Santa Ca<strong>te</strong>rina e Sant’Agata. Presso la Cappella<br />

Palatina: Sant’Agata in gloria. Museo diocesano: dipinto di Sant’Agata<br />

sottoposta a tortura delle mammelle su antico fercolo del XVII sec..<br />

Agira Chiesa Madre: Sant’Agata in un dipinto di Olivio Sozzi.<br />

Belpasso Chiesa S. Maria Immacolata: dipinto di S. Agata e S. Lucia.<br />

Caltanissetta Chiesa Gesuiti: dipinto di Agostino Scilla del 1629.<br />

Piazza Armerina Cat<strong>te</strong>drale.<br />

Bron<strong>te</strong> Sant’Agata sotto la Madonna degli Angeli (Porziuncola).<br />

Melilli Chiesa S. Sebastiano: dipinto del Roma<strong>nel</strong>li 1765.<br />

Noto Chiesa di Sant’Agata: S. Pietro in carcere XVIII sec..<br />

Alì Su<strong>per</strong>iore Duomo: altare di Sant’Agata in gloria.<br />

160


Nelle immagini sacre Sant’Agata, secondo tradizione, viene da secoli<br />

rappresentata nei modi più svariati e mol<strong>te</strong>plici, sia essi conosciuti ed<br />

affermati fra la gen<strong>te</strong>, o secondo la fantasia dell’artista che, di volta in volta,<br />

ha così modo di sbizzarrirsi, esprimendo <strong>nel</strong> modo migliore ciò che si cela <strong>nel</strong><br />

più profondo dell’animo.<br />

Sul secondo altare della navata sinistra del Duomo di Taormina c’è la<br />

statua in marmo di Sant’Agata, o<strong>per</strong>a del 1400, provenien<strong>te</strong> dalla distrutta<br />

chiesa di San Domenico (in origine intitolata a Sant’Agata). La statua mostra<br />

sulle mano destra la <strong>te</strong>naglia che serra un seno, a significare il supplizio a cui<br />

fu sottoposta la Vergine, le cui scene sono scolpi<strong>te</strong> sul piedistallo.<br />

Andando a ritroso <strong>nel</strong> <strong>te</strong>mpo riscontriamo la presenza della santa martire<br />

catanese già <strong>nel</strong>l’ar<strong>te</strong> bizantina del VII secolo: in un mosaico della chiesa di<br />

Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna dove viene rappresentata in piedi, vestita<br />

dell’abito ufficiale delle diaconesse, una lunga tunica verde.<br />

Oltre agli artisti già menzionati, altri hanno reso immortale sulle proprie<br />

<strong>te</strong>le (Rinascimento) l’immagine della Martire catanese, come Filippo Lippi<br />

(Galleria Uffizi), Piero della Francesca, pittore umanista di San Sepolcro, G.<br />

B. Tiepolo, pittore ed incisore della Repubblica di Venezia, o Sebastiano del<br />

Piombo, allievo del Giambellino e del Giorgione, il quale s<strong>per</strong>imentò la<br />

pittura ad olio su muro <strong>nel</strong> martirio di Sant’Agata a Palazzo Pitti, <strong>per</strong> finire<br />

con Fransisco De Zurbaran, fra i maggiori esponenti del barocco spagnolo.<br />

Piero della Francesca Sebastiano del Piombo Giovanni Battista Tiepolo<br />

Amputazione delle mammelle Museo Diocesano Ct<br />

161


Presso le città pugliesi di Galatina e Gallipoli (ove Sant’Agata è<br />

compatrona) il culto e l’amore verso di Lei è da sempre particolarmen<strong>te</strong><br />

sentito, in quanto viene gelosamen<strong>te</strong> conservata all’in<strong>te</strong>rno di una <strong>te</strong>ca della<br />

Cat<strong>te</strong>drale la preziosa reliquia di una mammella ed entrambe sono coinvol<strong>te</strong><br />

in una singolare con<strong>te</strong>sa che vede protagonista la reliquia della mammella,<br />

at<strong>te</strong>stan<strong>te</strong> la prevalenza in Sicilia della santità femminile, rispetto alla maschile.<br />

Questa Cat<strong>te</strong>drale fu costruita dove prima sorgeva una chiesa dedicata a<br />

S. Giovanni Crisostomo e poi a Sant’Agata, la cui facciata presenta statue in<br />

pietra leccese: S. Fausto, S. Sebastiano, S. Marina, S. Teresa d’Avila e S. Agata.<br />

All’in<strong>te</strong>rno sono conserva<strong>te</strong> le reliquie di molti santi, tuttavia, risulta<br />

mancan<strong>te</strong> quella della mammella di Sant’Agata, poiché fu trasferita da<br />

Raimondo Orsini del Balzo presso la Basilica di Santa Ca<strong>te</strong>rina d’Alessandria<br />

a Galatina, ove ancora si trova.<br />

Il vescovo di Gallipoli Consalvo De Rueda stipulò una convenzione col<br />

pittore Giovanni Andrea Coppola riguardan<strong>te</strong> l’obbligo di dipingere presso il<br />

Duomo di Gallipoli il quadro del Martirio di Sant’Agata, in cambio della<br />

concessione di un sepolcro <strong>per</strong> la propria famiglia.<br />

Niccolò Malinconico, pittore napoletano del realismo, allievo di Luca<br />

Giordano, dipinse “L’Invenzione della mammella“, su 5 <strong>te</strong>le espos<strong>te</strong> presso la<br />

cat<strong>te</strong>drale di Gallipoli.<br />

SANT’AGATA E SANTA LUCIA<br />

Lucia nacque intorno all’anno 280 d.C. a Siracusa, da nobili genitori, il<br />

padre si chiamava Lucio, morì quando lei era ancora molto piccola, così fu<br />

allevata da mamma Eutichia dalla quale apprese le verità del cristianesimo e il<br />

messaggio di amore di Gesù.<br />

162


Fu così che Lucia conobbe il cristianesimo, le storie dei primi cristiani, il<br />

loro martirio <strong>per</strong> amore di Gesù e così crescendo si lasciò catturare il <strong>cuore</strong><br />

da Gesù e in cuor suo decise di consacrarsi, unendosi a lui come sposa, con<br />

voto di verginità. Lucia, preoccupata <strong>per</strong> l’aggravarsi della malattia che aveva<br />

colpito la mamma, una emorragia incurabile, suggerì il pellegrinaggio presso il<br />

sepolcro della martire Agata a <strong>Catania</strong>.<br />

Vittima <strong>nel</strong> 251 delle <strong>per</strong>secuzioni di tutti i cristiani ordina<strong>te</strong><br />

dall’im<strong>per</strong>atore Decio, mol<strong>te</strong> <strong>per</strong>sone si recavano <strong>nel</strong> suo sepolcro <strong>per</strong><br />

ot<strong>te</strong>nere le grazie <strong>per</strong>ché la sua fama si era sparsa ovunque <strong>per</strong> via dei<br />

miracoli da lei o<strong>per</strong>ati, e in cuor suo Lucia era certa che avrebbe giovato<br />

anche alla cara mamma. Eutichia accettò s<strong>per</strong>anzosa l’esortazione di Lucia e<br />

così stabilirono di partire in pellegrinaggio <strong>per</strong> <strong>Catania</strong>, dove arrivarono il 5<br />

febbraio del 301, proprio il giorno della festa. Duran<strong>te</strong> la celebrazione<br />

sentirono il passo del Vangelo di Mat<strong>te</strong>o riguardan<strong>te</strong> il racconto della donna<br />

che soffriva di emorragia, guarita <strong>per</strong> aver toccato il man<strong>te</strong>llo di Gesù.<br />

Lucia illuminata propose alla mamma di toccare il sepolcro di Agata<br />

convinta della po<strong>te</strong>n<strong>te</strong> in<strong>te</strong>rcessione della Santa. Mentre Eutichia toccava il<br />

sepolcro, a Lucia, che si era assopita, apparve in visione Sant’Agata in gloria<br />

che le diceva: Lucia disse allora alla mamma: Subito Eutichia si sentì<br />

ritornare le forze e comprese d’essere stata guarita.<br />

BADIA DI S. SOFIA LEGATA AL CULTO DI SANT’AGATA<br />

163


A nord ovest di <strong>Catania</strong>, sulla collina di S. Sofia, sorgeva un <strong>te</strong>mpio<br />

dedicato a Vulcano, al cui servizio vi erano vergini pagane. Dopo il martirio<br />

di Sant’Agata (313), con l’avvento della religione cristiana, liberalizzata<br />

dall’Im<strong>per</strong>atore Costantino, i luoghi consacrati dal martirio di Sant’Agata<br />

furono trasformati dai catanesi in santuari devoti verso la Patrona ed anche il<br />

<strong>te</strong>mpio di Vulcano fu trasformato in <strong>te</strong>mpio delle vergini cristiane,<br />

denominato Badia di S. Sofia, successivamen<strong>te</strong> trasferita al centro di <strong>Catania</strong><br />

(chiesa S. Gaetano) e <strong>nel</strong> 1693, presso la chiesa di S. Giuliano in via Crociferi,<br />

il 20 maggio 1797, infine, tut<strong>te</strong> le vergini consacra<strong>te</strong> a Dio vollero erigere<br />

l’attuale Badia di via V. Emanuele, dedicandola a Sant’Agata.<br />

SANT’AGATA PATRONA DELL’ATENEO CATANESE<br />

Forse in pochi sanno che Sant’Agata è anche Patrona dell’Università di<br />

<strong>Catania</strong>, infatti, <strong>nel</strong> gonfalone del Siculorum Gymnasium campeggia l’effige<br />

della Santa, assieme a quella dell’Immacolata e S. Francesco di Paola, tantè<br />

che lo s<strong>te</strong>sso Rettore Gaspare Rodolico, <strong>nel</strong> 1976, subito dopo il suo<br />

insediamento, si preoccupò di ribadirlo, chiedendo all’allora Arcivescovo<br />

Domenico Picchinenna che il gonfalone par<strong>te</strong>cipasse alla processione del 3<br />

febbraio, ot<strong>te</strong>nendo il consenso del presule.<br />

L’Università era inserita <strong>nel</strong>la festa già dal 1497, cioè dopo 63 anni dalla<br />

sua fondazione (1434), poi dal 1711 ci fu un <strong>per</strong>iodo di assenza, a causa<br />

dell’eruzione del 1669 e del <strong>te</strong>rremoto del 1693.<br />

Era il 30 gennaio, quando, lungo la processione il Rettore ed i rappresentanti<br />

dell’A<strong>te</strong>neo, senza un chiaro motivo, furono con<strong>te</strong>stati, <strong>per</strong> cui, il Vicerè<br />

ordinò di non far più par<strong>te</strong>cipare il Rettore alla processione della cera.<br />

Il Cancelliere della Cat<strong>te</strong>drale, Arc. Pietro Galletti, poco dopo dispose<br />

che il Rettore continuasse a mandare un cero, pesan<strong>te</strong> 1 rotolo (80 once) e<br />

164


pagasse 3 onze, costituenti spesa <strong>per</strong> la cera offerta dagli studenti. Dopo 265<br />

anni il Rettore ha voluto restituire alla ricorrenza la dignità d’un <strong>te</strong>mpo.<br />

CULTO DI SANT’AGATA IN ITALIA E NEL MONDO<br />

In Italia Sant’Agata è patrona di 44 comuni, dei quali 14 portano il suo<br />

nome. Un titolo più antico di patrona lo detiene <strong>Catania</strong>.<br />

Qui la devozione è profondamen<strong>te</strong> radicata e il nome di Agata, invocato a<br />

gran voce, implorato, glorificato, riecheggia <strong>nel</strong>la storia della città.<br />

A Palermo, <strong>nel</strong>la Cappella regia, sono custodi<strong>te</strong> le reliquie dell’ulna e del<br />

radio di un braccio, mentre sulla par<strong>te</strong> meridionale della città, esis<strong>te</strong> la porta di<br />

Sant’Agata, che la Santa attraversò <strong>per</strong> recarsi a <strong>Catania</strong> da Quinziano.<br />

Il sui fondatore è antico, ed oscuro e non si conosce l’anno di costruzione.<br />

A Messina, <strong>nel</strong> monas<strong>te</strong>ro del SS. Salvatore si conserva un osso del<br />

braccio, ad Alì, par<strong>te</strong> di un osso del braccio.<br />

Testimonianza della diffusione del suo culto è la con<strong>te</strong>mporanea presenza<br />

di almeno dieci chiese a lei dedica<strong>te</strong> <strong>nel</strong>la Roma medievale, delle quali sono<br />

su<strong>per</strong>stiti Sant’Agata dei Goti e Sant’Agata in Tras<strong>te</strong>vere.<br />

Sant’Agata è stata venerata fin dal secolo VI a Milano, a Roma ed a<br />

Ravenna, ma anche in Orien<strong>te</strong>, benché gli Atti del suo martirio sotto Decio,<br />

siano tardivi e apocrifi. Nel V secolo il patrizio Ricimero aveva fatto costruire<br />

una chiesa chiamata Sant’Agata dei Goti destinata agli ariani. Nel VI secolo<br />

papa Simmaco introdusse ufficialmen<strong>te</strong> il culto liturgico della martire a Roma,<br />

dedicandole una basilica sulla via Aurelia, mentre a Gregorio Magno si<br />

attribuisce l’introduzione del nome <strong>nel</strong> canone romano, <strong>per</strong> cui è venerata<br />

anche oggi.<br />

Probabilmen<strong>te</strong> la devozione dei papi <strong>per</strong> la martire è dovuta al fatto che<br />

San Pietro sarebbe apparso alla vergine <strong>per</strong> guarirle le piaghe.<br />

165


Preludio al culto fu il miracoloso evento che fece sì che la lava dell’Etna<br />

si arrestasse <strong>nel</strong> primo anniversario della sua mor<strong>te</strong>.<br />

La chiesa di Sant’Agata in Tras<strong>te</strong>vere, tra piazza Sonnino e via della<br />

Lungaretta, è nota soprattutto <strong>per</strong>ché ricorda Sant’Agata in Suburra, <strong>nel</strong><br />

corridoio che dalla chiesa porta alla Sacrestia sono pos<strong>te</strong> alcune lapidi che<br />

raccontano vicende lega<strong>te</strong> alla vita di questo luogo.<br />

Nel 1747 Papa Benedetto XIV unì i Padri di Sant’Agata in Tras<strong>te</strong>vere<br />

alla congregazione della Dottrina Cristiana.<br />

Il culto <strong>per</strong> Sant’Agata fu talmen<strong>te</strong> grande, che anche a Roma fu molto<br />

venerata, papa Simmaco <strong>nel</strong> 500 eresse in suo onore una basilica sulla Via<br />

Aurelia e un’altra le fu dedicata da San Gregorio Magno <strong>nel</strong> 600. In diverse<br />

chiese romane si conservano frammenti del velo.<br />

A Sant’Agata dei Goti (Benevento) si conserva un dito, altre piccole<br />

reliquie si trovano a Capua, Capri, Foggia, Firenze, Pistoia, Udine, Ferrara.<br />

Anche all’es<strong>te</strong>ro si custodiscono sue piccole reliquie<br />

Nel XIII secolo <strong>nel</strong>la sola diocesi di Milano si contavano ben 26 chiese<br />

a lei intitola<strong>te</strong>. Una leggenda diffusa in Puglia spiegherebbe con un miracolo<br />

la presenza della reliquia a Gallipoli.<br />

Una reliquia della mammella si trova a Gallipoli, dal 1126 al 1389 <strong>nel</strong>la<br />

basilica a lei dedicata (sostituitasi al preceden<strong>te</strong> titolo di S. Giovanni<br />

Crisostomo), quando il principe di Taranto Raimondello Del Balzo Orsini la<br />

trasferì a Galatina, ove fece costruire la chiesa di S. Ca<strong>te</strong>rina d’Alessandria<br />

d’Egitto, che ancor oggi custodisce la reliquia.<br />

Evidenti sono i segni delle vicissitudini sussegui<strong>te</strong>si, poiché lo s<strong>te</strong>mma<br />

civico di Gallipoli, inciso alla base del reliquiario, è stato levigato, quasi a<br />

voler cancellare la provenienza del Sacro Cimelio.<br />

166


Oggi <strong>nel</strong> “Tesoro” della Cat<strong>te</strong>drale di Sant’Agata resta solo il basamento<br />

inferiore della Reliquia, in argento e cristallo. E’ una base mistilinea del XIV<br />

sec., in cui si al<strong>te</strong>rnano sei lobature con altrettan<strong>te</strong> pun<strong>te</strong> a bordo traforato,<br />

decorata da 3 facce floreali e da 3 s<strong>te</strong>mmi del Vescovo Alessio Zelodano. Il<br />

piede di cristallo è innestato alla base median<strong>te</strong> 8 colonnine e sormontato da<br />

un ricco nodo ottagonale, con otto bifore, colonnine e pinnacoli.<br />

I gallipolini cercarono di tornare in possesso della Sacra Reliquia, ma <strong>nel</strong><br />

1494 il Re Alfonso II d’Aragona ordinò che fosse posta sotto la custodia del<br />

Cas<strong>te</strong>llano di Lecce. Qualche mese prima che Carlo VIII, Re di Francia,<br />

invadesse il Regno di Napoli, i Padri Olivetani, succeduti ai francescani<br />

Riformati, pro<strong>te</strong>tti da Re Alfonso, si ado<strong>per</strong>arono affinché la Reliquia<br />

tornasse nuovamen<strong>te</strong> in S. Ca<strong>te</strong>rina a Galatina, dove si trova tuttora.<br />

Sant’Agata venne eletta Patrona della città di Mon<strong>te</strong>maggiore Belsito tra il<br />

1623 e il 1642 su apposita licenza del Principe di Baucina, signore del<br />

<strong>te</strong>rritorio, al <strong>te</strong>mpo di Papa Urbano VIII, il quale autorizza di concedere<br />

festivo con richiesta al Vescovo di Cefalù.<br />

Una delle ragioni <strong>per</strong> le quali i mon<strong>te</strong>maggioresi l’hanno eletta Patrona<br />

del paese è quella del suo passaggio da quelle parti, in occasione del suo<br />

trasferimento da Palermo a <strong>Catania</strong>, ove Ella si fermò brevemen<strong>te</strong>.<br />

Il masso su cui si dice essersi seduta, trovasi davanti al vecchio Palazzo<br />

Comunale. Inoltre un tratto della trazzera regia che attraversa l'ex feudo<br />

Battaglia, in <strong>te</strong>rritorio di Mon<strong>te</strong>maggiore Belsito, che dal lato sud porta a<br />

<strong>Catania</strong>, è tutt'oggi denominato Serra S. Agata è stata sempre fes<strong>te</strong>ggiata <strong>nel</strong>la<br />

Chiesa Madre con Vespri e solenni celebrazioni di S. Messe del 5 Febbraio.<br />

Il richiamo dei fedeli in occasione della festa avveniva con un<br />

particolare rintocco delle campane e dal suono del tamburo, attraverso le<br />

strade del paese. In seguito al miracolo ricevuto dalla Santa <strong>per</strong> la guarigione<br />

167


dalle feri<strong>te</strong> e dalla estirpazione delle mammelle, il popolo la venera come<br />

tutrice del seno femminile.<br />

Pare che anticamen<strong>te</strong> in una pare<strong>te</strong>, probabilmen<strong>te</strong> <strong>nel</strong>la facciata, vi fosse<br />

stata una pietra, scolpita alla maniera etrusca, raffiguran<strong>te</strong> tre cerchi, uno dei<br />

quali più grande, che ai cristiani significava qualcosa e lo s<strong>te</strong>sso simbolo era<br />

invece completamen<strong>te</strong> indifferen<strong>te</strong> ai soldati romani: era il simbolo del<br />

martirio di Sant’Agata, un vassoio circolare con 2 mammelle ai lati.<br />

Nella Cat<strong>te</strong>drale di Verona si trova l’arca di Sant’Agata, un’urna<br />

marmorea gotica eretta dopo la pre<strong>te</strong>sa sco<strong>per</strong>ta, <strong>nel</strong> 1353, del corpo della<br />

Santa, <strong>per</strong> in<strong>te</strong>ressamento dell’arcipre<strong>te</strong> Giovanni di Iorio Livio. Secondo<br />

Giovanni Man<strong>te</strong>se, l’invenzione del corpo di Sant’Agata a Verona dovrebbe<br />

essere messa in relazione col <strong>te</strong>rremoto e le pestilenze che infuriarono <strong>nel</strong><br />

1347. Il Vescovo di Vicenza, Giovanni de Surdis, <strong>nel</strong> 1362 chiese al Papa<br />

un’indulgenza di 5 anni e 5 quaran<strong>te</strong>ne <strong>per</strong> coloro che <strong>nel</strong>le solennità avessero<br />

visitato l’altare della Santa, il cui corpo era stato sco<strong>per</strong>to <strong>nel</strong> 1352 <strong>nel</strong>la<br />

Cat<strong>te</strong>drale di Verona. Da Vicenza, così come da Verona, i devoti invocavano<br />

la Santa <strong>per</strong> essere liberati dall’epidemia, <strong>per</strong> cui, il culto si es<strong>te</strong>se fino a<br />

dedicarle la matrice di Arzignano. Alla fine del ‘400 l’arca di Sant’Agata, fu<br />

posta <strong>nel</strong>l’abside della Cat<strong>te</strong>drale assieme alle altre reliquie di Santi.<br />

Anche in <strong>te</strong>rra senese, a Radicofani, laddove la Santa senese Ca<strong>te</strong>rina<br />

iniziò a scrivere, lei analfabeta, di questioni spirituali e <strong>te</strong>ologiche, si è diffusa<br />

una venerazione che addirittura è amministrata da una Confra<strong>te</strong>rnita<br />

omonima che gestisce la storia, sul solco della tradizione, il culto riservato alla<br />

santa catanese. Gli abitanti di questo borgo dalle insoli<strong>te</strong> forme che si erge<br />

sovra un’aspra rupe basaltica al di sotto di un massiccio vulcanico che misura<br />

814 metri sul livello del mare, l’hanno addirittura eletta a Santa Patrona in<br />

quanto più vol<strong>te</strong> hanno fatto richies<strong>te</strong> d’ausilio e chiesto grazie, mol<strong>te</strong> delle<br />

168


quali accorda<strong>te</strong>. Di qui un diffuso e profondo amore che portò ad una e vera<br />

propria venerazione <strong>per</strong> la martire in quelle <strong>te</strong>rre ad alto rischio sismico.<br />

Sempre a Siena <strong>nel</strong> 1953, presso la contrada delle Tartuche (composta<br />

da sole donne), nasceva la Compagnia di Sant’Agata.<br />

Anche all’es<strong>te</strong>ro si custodiscono sue piccole reliquie. In Spagna: a<br />

Valencia, Villalba (ov’è patrona), in Andalusia (ove c’è un simulacro rivestito<br />

di preziosi broccati), a Valencia, a Oviedo, a Barcellona (ove le è stata<br />

dedicata la cappella di Palazzo Reale, in cui i re cattolici Isabella e Ferdinando<br />

ricevet<strong>te</strong>ro Cristoforo Colombo di ritorno dall’America), a Segovia (ogni<br />

anno il 5 febbraio, duran<strong>te</strong> la festa di S. Agueda viene eletta una sindachessa e<br />

lo scettro del po<strong>te</strong>re quel giorno è affidato alle donne, mentre gli uomini<br />

sbrigano le faccende domestiche).<br />

In Francia: a Cambrai, Breau Preau. In Belgio: a Bruxelles, Thienen, Laar,<br />

Anversa, Lussemburgo, Repubblica Ceca, a Praga. Germania, a Colonia,<br />

Aschaffemburg, ov’è patrona. Sant’Agata è compatrona della Repubblica di<br />

San Marino, di Rabat, di Malta, dove una tradizione locale vuole che Agata si<br />

fosse rifugiata duran<strong>te</strong> le <strong>per</strong>secuzioni di Decio.<br />

In Portogallo Sant’Agata è patrona di una cittadina che porta il suo<br />

nome, <strong>nel</strong>la provincia di Coimbra, in Norvegia e in Islanda, ove vengono<br />

man<strong>te</strong>nu<strong>te</strong> le antiche tradizioni, poi è citata <strong>per</strong>sino in un poema<br />

anglosassone e raccontata <strong>nel</strong>le saghe nordiche.<br />

Sant’Agata risulta ovunque venerata, <strong>per</strong>sino <strong>nel</strong>le più recondi<strong>te</strong> località<br />

dell’Africa, a Migoli esis<strong>te</strong> da anni una piccola comunità a lei intitolata, creata<br />

con lo scopo precipuo di voler portare un po’ di s<strong>per</strong>anza e carità in quei<br />

luoghi attanagliati dalla fame e dalle malattie, <strong>per</strong> cui, adesso quelle<br />

popolazioni hanno un modello a cui riferirsi, <strong>per</strong> cui vivere, in cui credere.<br />

169


A Barcellona è intitolata ad Agata la cappella del palazzo reale dove i re<br />

cattolici, Isabella e Ferdinando, ricevet<strong>te</strong>ro l’ammiraglio genovese Cristoforo<br />

Colombo al suo primo ritorno dall’America da lui sco<strong>per</strong>ta.<br />

Sempre in <strong>te</strong>rra di Spagna, un particolare in<strong>te</strong>ressan<strong>te</strong>. A Segovia, non<br />

lontano da Madrid, secondo una tradizione curiosa e anche bella il 5 febbraio,<br />

festa della Santa (Agueda), diventa la festa delle donne: in quel giorno<br />

comandano loro, eleggono addirittura una sindachessa, mentre gli uomini<br />

sbrigano le faccende domestiche. Nel Medio Evo Agata era invocata come<br />

una delle san<strong>te</strong> “ausiliatrici” da invocare in particolari calamità e difficoltà.<br />

ILLUSTRI PERSONAGGI ONORARONO S. AGATA<br />

Sul sepolcro di Agata si sono inginocchiati parecchi <strong>per</strong>sonaggi famosi: <strong>nel</strong><br />

303 Lucia, <strong>nel</strong> 546 Papa Vigilio (succeduto a Bonifacio) ed il generale<br />

bizantino Flavio Belisario (raffigurato in un mosaico in S. Vitale a Ravenna),<br />

<strong>nel</strong> 1135 S. Silvestro Basiliano da Troina. Secondo gli storici del <strong>te</strong>mpo e la<br />

<strong>te</strong>stimonianza di S. Adelmo, Papa Gregorio Magno (fondatore di monas<strong>te</strong>ri<br />

in Sicilia, fra cui quello dedicato a Sant’Agata), era così devoto alla Vergine<br />

catanese, che andò in pellegrinaggio e si prostrò alla sua tomba, infine,<br />

intorno all’anno 592 inviò alcune sue Reliquie al vescovo di Capri.<br />

Il grande stra<strong>te</strong>ga bizantino Belisario era stato inviato dall’im<strong>per</strong>atore<br />

Giustiniano, con una grande flotta ed un po<strong>te</strong>n<strong>te</strong> esercito, prima in Sicilia e<br />

poi in Italia, <strong>per</strong> liberarle dagli Ostrogoti. Nel 535 abilmen<strong>te</strong> sbarcò a <strong>Catania</strong>,<br />

conquistandola in pochi mesi e qui, alla fine, fes<strong>te</strong>ggiò la gloriosa impresa,<br />

assieme alla moglie Antonina.<br />

170


Egli fu accolto dal popolo catanese entusiasticamen<strong>te</strong> ed ebbe modo<br />

d’incontrarsi col clero e visitare la tomba di sant’Agata, ove, in una modesta<br />

chiesa (costruita dai catanesi <strong>nel</strong> 313) erano custodi<strong>te</strong> le Reliquie.<br />

Successivamen<strong>te</strong>, sen<strong>te</strong>ndo il bisogno di riparare i danni da lui causati duran<strong>te</strong><br />

lo scontro cogli invasori, si ado<strong>per</strong>ò <strong>per</strong> far costruire un <strong>te</strong>mpio più dignitoso<br />

a Sant’Agata, a tre nava<strong>te</strong>, denominata “Chiesa di Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re”.<br />

E fu in quel <strong>per</strong>iodo che Papa Vigilio, su ordine dell’im<strong>per</strong>atore<br />

Giustiniano, avallato da Belisario, s’imbarcò su una nave ad Ostia, giungendo<br />

a <strong>Catania</strong> e rimanendovi alcuni mesi <strong>per</strong> svernare. Qui ebbe modo di visitare<br />

le Reliquie di Sant’Agata e venerarle.<br />

Anche Riccardo Cuor di Leone, Re d’Inghil<strong>te</strong>rra e figlio di Enrico II, <strong>nel</strong><br />

1191, capitato di passaggio in Sicilia col suo esercito crociato verso la<br />

Palestina, avrebbe deposto con la sorella Giovanna (regina vedova senza figli<br />

del Re di Sicilia Guglielmo II il Buono), sopra il marmoreo sacello di<br />

Sant’Agata La Ve<strong>te</strong>re, la famosa corona. Il suo trionfale ingresso avvenne<br />

attraverso la Porta di Jaci, da dove avrebbe dato via alla tradizionale cavalcata<br />

del Capitano, usanza ricorren<strong>te</strong> ogni 2 febbraio, in atto fino al Set<strong>te</strong>cento.<br />

Così come fece Papa Vigilio ed il prode generale bizantino Belisario,<br />

quando <strong>nel</strong> 536 strappò <strong>Catania</strong> ai Goti, mentre <strong>nel</strong> 1135 si avverò il<br />

miracoloso pellegrinaggio di S. Silvestro Basiliano da Troina.<br />

Da allora tutti gli antichi re e regine di Sicilia lasciarono a <strong>per</strong>enne<br />

ricordo della loro visita e devozione, preziosi doni.<br />

In relazione ai disastrosi eventi, come il <strong>te</strong>rremoto del 4 febbraio 1169<br />

(ove morirono 15.000 <strong>per</strong>sone), di quello più devastan<strong>te</strong> del 1693, delle<br />

eruzioni del 1669 (<strong>nel</strong> corso delle quali neppure il velo della martire riuscì ad<br />

arrestare l’impetuoso fiume di fuoco) si parlò di insensibilità della Martire, a<br />

causa dei gravi misfatti del popolo di <strong>Catania</strong>.<br />

171


Invece, risultarono prodigiosamen<strong>te</strong> efficaci le suppliche dei devoti, che<br />

portarono alla cessazione delle eruzioni dell’Etna, rispettivamen<strong>te</strong> del 1444,<br />

del 1576 con la fine della pes<strong>te</strong>, quando le reliquie della santa furono porta<strong>te</strong><br />

<strong>nel</strong>l’ospedale della città, e del 1743, quando una statua della santa fu posta su<br />

una s<strong>te</strong>le, in piazza dei Martiri e la città fu liberata dalla epidemia.<br />

Nel 1886 il Cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet, venuto a conoscenza<br />

che alcuni paesi erano stati minacciati dalla lava dell’Etna (l’eruzione del<br />

maggio aveva seminato il <strong>te</strong>rrore tra gli abitanti di Nicolosi), si recò subito sul<br />

posto, celebrò la messa sulla piazza del paese, benedisse solennemen<strong>te</strong> il<br />

popolo e lo invitò a confidare in Dio ed accostarsi ai sacramenti.<br />

Dinanzi alla lava alta 35 metri che avanzava inesorabile tan<strong>te</strong> famiglie<br />

furono costret<strong>te</strong> ad abbandonare le loro case. Mons. Dusmet organizzò <strong>per</strong><br />

tutti soccorsi in viveri e denari. Per sé riservava soltanto un po’ di pane, fichi<br />

secchi, formaggio e poche fet<strong>te</strong> di limone.<br />

Come aveva promesso, fece portare a Nicolosi la <strong>te</strong>ca con<strong>te</strong>nen<strong>te</strong> il velo<br />

di Sant’Agata con l’in<strong>te</strong>nzione di placare l’ira del vulcano, così come aveva già<br />

fatto <strong>nel</strong> secolo XV il Beato Pietro Geremia.<br />

A chi gli aveva fatto notare l’imprudenza del gesto, rispose risoluto di aver<br />

fede, quindi, ordinò un cor<strong>te</strong>o dietro l’arcivescovo che procedeva assieme al<br />

clero cantando le litanie dei santi, <strong>te</strong>nendo in mano la reliquia di Sant’Agata.<br />

Appena 300 metri fuori dell’abitato si fermò e con il velo della santa<br />

tracciò <strong>per</strong> tre vol<strong>te</strong> il segno della croce sul torren<strong>te</strong> di fuoco che avanzava.<br />

Il 13 giugno l’eruzione cessò, arrestando la sua corsa rovinosa,<br />

rimanendo sospesa sul pendio soprastan<strong>te</strong> proprio sul luogo da cui il 24<br />

maggio il beato aveva scongiurato il <strong>per</strong>icolo con tre segni di croce.<br />

Lo s<strong>te</strong>sso Dusmet, sin dal 20 maggio, onde evitare <strong>per</strong>icoli a causa di<br />

ul<strong>te</strong>riori crolli, come <strong>nel</strong> 1883, <strong>nel</strong>la Chiesa Madre, fece allestire all’a<strong>per</strong>to una<br />

172


cappella di legno col SS Sacramento, e fu egli s<strong>te</strong>sso che il 24 maggio, poiché<br />

la lava continuava a scendere in modo sempre più minaccioso, portò da<br />

<strong>Catania</strong> la reliquia col Velo di Sant’Agata, conducendola in pellegrinaggio a<br />

poca distanza dal fron<strong>te</strong> lavico. E così il 30 maggio il paese di Nicolosi fu<br />

sgombrato <strong>per</strong>ché la lava aveva lambito le prime case, mentre il rientro degli<br />

abitanti avvenne il 13 giugno e, come promesso dal Cardinale, che raccolse<br />

fondi presso le Chiese, onde far erigere una piccola cappella.<br />

Ad Agata il velo le venne donato da una baronessa impietosita <strong>nel</strong> vederla<br />

nuda in mezzo al fuoco, e lanciatole <strong>per</strong> po<strong>te</strong>rsi coprire, il velo cambiò colore<br />

ma non bruciò, a tal proposito alle por<strong>te</strong> di Mascalucia il sacro velo fu portato<br />

in processione <strong>per</strong> scongiurare un’ennesima colata lavica, oggi <strong>per</strong> ricordare<br />

tale grazia ricevuta sorge un altare a Lei dedicato.<br />

I <strong>te</strong>rremoti e le frequenti cola<strong>te</strong> laviche dell’Etna hanno eliminato o in<br />

par<strong>te</strong> occultato ogni documento di cultura e di vita religiosa del passato.<br />

Il <strong>te</strong>rreno lavico in oltre impedì ai cristiani <strong>per</strong>seguitati di lasciarci<br />

catacombe, <strong>per</strong>ché l’escavazione del <strong>te</strong>rreno era difficilissima.<br />

La tradizione vuole che il primo vescovo di <strong>Catania</strong> sia stato Berillo,<br />

inviato direttamen<strong>te</strong> a <strong>Catania</strong> da Antiochia dall’apostolo Pietro.<br />

In quel <strong>per</strong>iodo a <strong>Catania</strong> affluirono molti schiavi, che venivano portati<br />

dai romani <strong>per</strong> lavorare i campi di grano.<br />

Proprio gli schiavi trovarono <strong>nel</strong> cristianesimo e <strong>nel</strong>la fede l’annunzio di<br />

una concreta liberazione dei poveri <strong>nel</strong>l’onore del prossimo.<br />

Presto a <strong>Catania</strong>, i cristiani cominciarono a godere di un certo prestigio<br />

e <strong>te</strong>nnero i rapporti con le autorità locali. La chiesa ebbe così i suoi edifici.<br />

Il progresso della chiesa cristiana diventò un <strong>per</strong>icolo <strong>per</strong> Roma che<br />

cominciò ad attuare repressi e ad emanare editti contro i cristiani.<br />

173


Delle prime sei <strong>per</strong>secuzioni precedenti a quelle di Decio a <strong>Catania</strong> non<br />

esis<strong>te</strong> alcun documento. Solo <strong>nel</strong> 249 la storia catanese comincia a registrare<br />

pagine di eroismo cristiano. Per Decio i cristiani erano elementi <strong>per</strong>icolosi,<br />

<strong>per</strong>ché non riconoscevano la divinità dell’im<strong>per</strong>atore.<br />

Per manifestare la loro fedeltà all’im<strong>per</strong>atore i cristiani dovevano<br />

par<strong>te</strong>cipare al rito di fedeltà e bruciare l’incenso <strong>per</strong> ot<strong>te</strong>nere ed esibire il<br />

“Libelum”, cioè il certificato di avvenuta sottomissione e di fede verso<br />

l’im<strong>per</strong>atore. Coloro che non par<strong>te</strong>cipavano subivano il martirio. Sant’Agata,<br />

probabilmen<strong>te</strong>, non sarà stata la prima a <strong>Catania</strong>, in ordine di <strong>te</strong>mpo, a<br />

<strong>te</strong>stimoniare Cristo con il martirio, ma senza dubbio è la prima ad essere<br />

rimasta <strong>nel</strong> <strong>cuore</strong> di tutti i catanesi.<br />

Dopo la mor<strong>te</strong> di Decio, la Chiesa ebbe momenti di respiro, finché<br />

sotto l’im<strong>per</strong>atore Gallo, la pes<strong>te</strong> non colpì l’im<strong>per</strong>o.<br />

L’im<strong>per</strong>atore ordinò che si facessero sacrifici propiziatori agli dei, ma i<br />

cristiani si rifiutarono. Iniziò così una nuova <strong>per</strong>secuzione contro i cristiani.<br />

Era allora in Sicilia governatore Tertullo che partì da Lentini e con un<br />

manipolo di soldati giunse a <strong>Catania</strong> e fece eseguire la condanna a mor<strong>te</strong> di<br />

cristiani catanesi.<br />

Sotto l’im<strong>per</strong>o di Gallieno, che pose fine alle <strong>per</strong>secuzioni, era vescovo a<br />

<strong>Catania</strong> S. Everio, il quale, approfittando della tolleranza dell’im<strong>per</strong>atore<br />

verso i cristiani, fece costruire un <strong>te</strong>mpio <strong>nel</strong> luogo dove c’era il sepolcro della<br />

martire Agata, cioè presso l’attuale chiesa di San Gaetano alle grot<strong>te</strong>.<br />

Tre anni dopo, consacrò il luogo dove Sant’Agata aveva subito il<br />

martirio, facendo erigere una cripta molto vasta, corrisponden<strong>te</strong> al luogo<br />

dove oggi c’è la chiesa di Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re.<br />

Nel 284 prese il po<strong>te</strong>re Diocleziano e duran<strong>te</strong> la sua prima par<strong>te</strong><br />

dell’im<strong>per</strong>o, la chiesa visse tranquilla, l’im<strong>per</strong>atore stimò e apprezzò i cristiani<br />

174


(la moglie Prisca e la figlia Valeria erano cristiane) e li lasciò liberi di es<strong>te</strong>rnare<br />

le loro idee. Il clero in quel <strong>per</strong>iodo fu trattato con rispetto.<br />

Diocleziano invecchiava, il suo governo si indeboliva, in seno alla<br />

comunità cristiana si erano verificati abusi e vizzi e non pochi cristiani<br />

divennero corrotti. Per ben due vol<strong>te</strong> alcuni sconsiderati appiccarono il fuoco<br />

al palazzo im<strong>per</strong>iale; conseguen<strong>te</strong>men<strong>te</strong> Diocleziano, incolpando<br />

dell’accaduto i cristiani, li <strong>per</strong>seguitò.<br />

Fra Vincenzo Bellini e Sant’Agata esis<strong>te</strong> da sempre un legame<br />

indissolubile, non solo <strong>per</strong> via della donazione della Croce della Legion<br />

d’Onore, ma anche <strong>per</strong> il fatto che il 23 Set<strong>te</strong>mbre del 1876 alle ore 10, si<br />

concretizzava ufficialmen<strong>te</strong> la consegna delle spoglie del musicista da par<strong>te</strong><br />

del Principe Serravalle alla città natia, <strong>nel</strong>la <strong>per</strong>sona del Sindaco Tenerelli, con<br />

un atto stilato <strong>nel</strong>la s<strong>te</strong>ssa Chiesa e sottoscritto da una par<strong>te</strong> dalla<br />

Commissione, il feretro del grande compositore venne posto su un grande<br />

catafalco all’in<strong>te</strong>rno della Chiesa di Sant’Agata al Borgo, ove fu vegliato tutta<br />

la not<strong>te</strong> dai catanesi, alla luce di centinaia di ceri accesi, mentre il 23 Ottobre<br />

avvenne l’inumazione della salma all’in<strong>te</strong>rno della Cat<strong>te</strong>drale di <strong>Catania</strong>.<br />

I SIMULACRI<br />

Di simulacri che rappresentano la Vergine catanese, al mondo ne<br />

esistono parecchi e sarebbe oltremodo impossibile po<strong>te</strong>rli enumerare tutti,<br />

<strong>per</strong> cui, mi limi<strong>te</strong>rò ad enunciare i più rappresentativi esis<strong>te</strong>nti in città:<br />

- A Sant’Agata al Carcere esis<strong>te</strong> una statua marmorea non policroma che la<br />

famiglia De Franchis <strong>nel</strong> XVIII secolo fece eseguire;<br />

- Un altro simulacro in cera si trova <strong>nel</strong>la chiesa della Madonna del Carmelo,<br />

rappresentan<strong>te</strong> la Patrona giacen<strong>te</strong> all’in<strong>te</strong>rno di un’urna, con il volto di<br />

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Rosanna, unica figlia di Francesco Petroso, Barone di Polligarini, uccisa a<br />

soli 21 anni;<br />

- A S. Maria della Ca<strong>te</strong>na, all’in<strong>te</strong>rno di una chiesa ora demolita, esis<strong>te</strong>va<br />

una copia del busto reliquiario di Sant’Agata;<br />

- Alla fine del 1988 alcuni devoti della comunità di S. Maria<br />

dell’Indirizzo in<strong>te</strong>rpellarono famosi scultori come lo spagnolo Luis<br />

Alvarez Duar<strong>te</strong>, l’austriaco J. Runggaldier ed il napoletano Antonio<br />

Lebro, dopo di che scelsero il tirolese Wilhelm Senoner, il quale <strong>nel</strong><br />

1990 in una let<strong>te</strong>ra accettò l’incarico di eseguire un’o<strong>per</strong>a scultorea,<br />

rappresentan<strong>te</strong> Sant’Agata, conforme all’originario bozzetto, stabilendo<br />

di consegnarlo entro il mese di novembre, tuttavia, l’accurato lavoro di<br />

policromia affidato al pittore Viktor Senoner, specialista del dipingere,<br />

zecchinare ed argentare sculture lignee, ritardò di oltre un mese.<br />

Oltre ai già citati simulacri, conservati all’in<strong>te</strong>rno delle chiese, ve ne<br />

sono altri (in marmo o pietra dura) che si trovano sulle faccia<strong>te</strong> delle<br />

chiese, come ad esempio sul prospetto del Duomo, della Badia di<br />

Sant’Agata, S. Placido, Collegiata, Sant’Agata al Borgo, Sant’Agata alla<br />

Fornace, Sant’Agata al Carcere, Sant’Agata alle Sciare, S. Ca<strong>te</strong>rina al<br />

Rinazzo e quant’altro ancora, <strong>per</strong>ché l’elenco non finirebbe qui.<br />

- In cima all’arco di Porta Uzeda, a iniziativa del vescovo mons. Salvatore<br />

Ventimiglia, fu eretto un sontuoso fastigio con una nicchia centrale che<br />

racchiude un busto di Sant’Agata che guarda la città e un’iscrizione<br />

marmorea in latino che, tradotta in italiano, significa: “A Dio ottimo<br />

massimo, alla sapienza e alle sue belle arti”. Sul balcone che si apre<br />

proprio sulla porta dalla par<strong>te</strong> di Via Etnea c’è un grande s<strong>te</strong>mma del<br />

vescovo.<br />

176


LE EDICOLE VOTIVE<br />

Numerose sono in città le icone sacre dedica<strong>te</strong> a Sant’Agata, specialmen<strong>te</strong><br />

ai lati di Via Plebiscito (nome attribuitole dopo l’Unità d’Italia),<br />

preceden<strong>te</strong>men<strong>te</strong> veniva chiamata Via della Vittoria di S. Agata o del<br />

Glorioso Giro di S. Agata, dopo l’eruzione del 1669, <strong>per</strong> via della lava<br />

fuoriuscita abbondan<strong>te</strong>men<strong>te</strong> dai Monti Rossi.<br />

In città si trovano sacre immagini dedica<strong>te</strong> alla Santa Patrona con<br />

all’in<strong>te</strong>rno l’effigie su carta illustrata o dipinta a mano del semibusto<br />

reliquiario. Nelle traverse lungo la Via Plebiscito si possono ancora notare<br />

parecchie icone naif dedica<strong>te</strong> a Sant’Agata, una delle quali si trova custodita<br />

all’in<strong>te</strong>rno di una nicchia a ridosso le mura del vecchio ospedale S. Bambino.<br />

L’ultima edicola di Via Plebiscito verso la Marina si trova sul muro<br />

es<strong>te</strong>rno di tramontana di Palazzo Alonzo Consoli.<br />

Qui, sotto un busto marmoreo della Martire catanese (1674), scampato<br />

miracolosamen<strong>te</strong> al <strong>te</strong>rribile <strong>te</strong>rremoto del 1693, si trova una epigrafe tradotta<br />

dal latino dal famoso scrittore storico Giuseppe Rasà Napoli (1900).<br />

Dopo il <strong>te</strong>rremoto del 28 dicembre 1908, al rione di S. Maria della<br />

Palma, presso il quartiere di S. Cosimo e Sant’Agata alle Sciare fu ricostruita<br />

l’edicola nei pressi del civico 50 di Via della Palma (cortile agatino) , in segno<br />

di ringraziamento alla Patrona <strong>per</strong> lo scampato <strong>per</strong>icolo, ponendovi una<br />

lapide in marmo.<br />

Il 31 gennaio <strong>nel</strong> quartiere S. Berillo i devoti con grande festa<br />

sis<strong>te</strong>marono <strong>nel</strong>la nicchia sul prospetto della chiesa di piazza Alfredo<br />

Cappellini una grande statua policroma di Sant’Agata in segno di<br />

ringraziamento <strong>per</strong> la pro<strong>te</strong>zione ot<strong>te</strong>nuta.<br />

Il 29 agosto 1909 fu posta sulla facciata della chiesa di Sant’Agata al Borgo<br />

una lapide a ricordo della processione peni<strong>te</strong>nziale <strong>per</strong> lo scampato flagello<br />

177


del <strong>te</strong>rremoto del 28 dicembre 1908. Sotto l’arco di Porta Garibaldi c’è<br />

un’icona di Sant’Agata, mentre statue votive si trovano al SS. Crocifisso della<br />

Buona Mor<strong>te</strong>, alla Dumus Magistri, al Rotolo, su faccia<strong>te</strong> ed in<strong>te</strong>rni di<br />

moltissime chiese, unitamen<strong>te</strong> a s<strong>te</strong>li votive, fontane e lapidi marmoree.<br />

S. AGATA A DIFESA DA PESTE, TERREMOTI, ERUZIONI<br />

Era trascorso un anno esatto dal martirio quando l’Etna minacciò di<br />

distruggere <strong>Catania</strong> con un’inarrestabile e spaventosa colata lavica.<br />

Soltanto <strong>nel</strong> momento di maggiore sconforto qualcuno si ricordò<br />

dell’iscrizione sulla tavoletta di marmo con cui l’angelo aveva promesso aiuto<br />

alla città di <strong>Catania</strong>, patria di Agata. Così i catanesi con grande devozione,<br />

presero il velo rosso poggiato sul sarcofago della santa e, tra preghiere e<br />

invocazioni, lo portarono in processione dinanzi al fron<strong>te</strong> lavico.<br />

Il fiume di magma infuocato si arrestò <strong>per</strong> miracolo, lasciando incolumi gli<br />

abitanti e intat<strong>te</strong> le case dei villaggi ai fianchi del vulcano. Fu un tripudio: lodi,<br />

celebrazioni, inni di ringraziamento.<br />

Proprio in seguito a questo evento Agata fu proclamata santa.<br />

Dopo questo primo miracolo la fama di Sant’Agata si diffuse rapidamen<strong>te</strong><br />

in tutta l’isola e da lì a poco si propagò oltre lo stretto di Messina.<br />

La sua tomba, venerata in una cappelletta nei pressi del luogo del martirio,<br />

divenne meta di numerosi pellegrinaggi.<br />

Il suo nome venne in seguito inserito <strong>nel</strong> canone della messa e, fino alla<br />

recen<strong>te</strong> riforma del concilio Vaticano Il, era pronunciato ogni giorno dai sacerdoti<br />

in <strong>te</strong>sta all’elenco delle san<strong>te</strong> martiri ricorda<strong>te</strong> dalla Chiesa.<br />

Con quel primo miracolo ot<strong>te</strong>nuto <strong>per</strong> in<strong>te</strong>rcessione di Sant’Agata, <strong>Catania</strong><br />

legò in maniera indissolubile il suo nome e il suo destino alla po<strong>te</strong>n<strong>te</strong><br />

178


concittadina, che allora seppe salvare la città dalla furia distruttrice dell’Etna e<br />

in seguito l’avrebbe salvata ancora.<br />

Gli avvenimenti più importanti che hanno riguardato la città di <strong>Catania</strong><br />

sono legati a Sant’Agata: eruzioni, <strong>te</strong>rremoti, assedi, malattie, forze <strong>te</strong>rribili e<br />

devastanti, eventi paurosi di fron<strong>te</strong> ai quali gli uomini si rivelano impo<strong>te</strong>nti.<br />

Ma i catanesi, fiduciosi <strong>nel</strong>la promessa scritta sulla tavoletta che l’angelo<br />

consegnò alla città, hanno invocato l’aiuto della santa concittadina e hanno<br />

ot<strong>te</strong>nuto sempre la sua pro<strong>te</strong>zione.<br />

Per più di quindici vol<strong>te</strong> <strong>Catania</strong> è stata salvata dalla distruzione della lava,<br />

poi stata preservata dagli Ostrogoti, dall’ira di Federico Il, quindi, dalla pes<strong>te</strong>.<br />

Ma chi può contare le grazie ricevu<strong>te</strong> in più di diciasset<strong>te</strong> secoli dai catanesi<br />

e da quanti in tutto il mondo cristiano si sono affidati a lei?<br />

Il 25 luglio 1127 i Mori presero d’assedio le cos<strong>te</strong> siciliane. Dove<br />

approdavano erano stragi, massacri e rapine. Quando stavano <strong>per</strong> assalire la<br />

costa catanese, gli abitanti della città ricorsero all’in<strong>te</strong>rcessione di Sant’Agata e<br />

la grazia non tardò: <strong>Catania</strong> fu risparmiata da quel flagello.<br />

Un altro episodio ha dimostrato ancora una volta che la città ai piedi<br />

dell’Etna ha sempre goduto della vigile pro<strong>te</strong>zione di Sant’Agata.<br />

Nel 1231 Federico il di Svevia era giunto in Sicilia <strong>per</strong> assoggettarla.<br />

Mol<strong>te</strong> città si ammutinarono e <strong>Catania</strong> fu tra ques<strong>te</strong>. Federico Il furen<strong>te</strong> ne<br />

ordinò la distruzione, ma i catanesi ot<strong>te</strong>nnero che, prima dell’esecuzione di<br />

quello s<strong>te</strong>rminio, in cat<strong>te</strong>drale venisse celebrata l’ultima messa, alla quale<br />

presenziò lo s<strong>te</strong>sso Federico Il.<br />

Duran<strong>te</strong> quella funzione il re lesse una frase sulle pagine del suo breviario,<br />

comparsa miracolosamen<strong>te</strong>, che gli suonò come un <strong>per</strong>icoloso avvertimento:<br />

<br />

179


Immediatamen<strong>te</strong> abbandonò il progetto di distruzione, revocò l’editto e si<br />

accon<strong>te</strong>ntò soltanto che il popolo passasse sotto due spade incrocia<strong>te</strong>,<br />

pendenti da un arco eretto in mezzo alla città.<br />

A Federico bastò un atto di sottomissione e lasciò incolumi i cittadini e<br />

<strong>Catania</strong>, salvata <strong>per</strong> l’in<strong>te</strong>rcessione della Madonna delle Grazie e di<br />

Sant’Agata. La città ricorda l’evento con un bassorilievo di marmo che si<br />

trova all’ingresso del Palazzo comunale e raffigura Agata, seduta su un trono<br />

come una vera regina, che calpesta il volto barbuto di Federico Il di Svevia.<br />

Nel 1169 un <strong>te</strong>rremoto fece da preludio a una tremenda eruzione: un<br />

fiume di lava, scorrendo <strong>per</strong> i pendii dell’Etna e allargandosi <strong>per</strong> le campagne,<br />

distruggeva ogni cosa al suo passare e avanzava inarrestabile verso la città.<br />

Ma, come era avvenuto un anno dopo la sua mor<strong>te</strong>, una processione col<br />

sacro velo bloccò il fiume di lava. Miracoli simili i catanesi li ot<strong>te</strong>nnero anche<br />

<strong>nel</strong> 1239, <strong>nel</strong> 1381, <strong>nel</strong> 1408, <strong>nel</strong> 1444, <strong>nel</strong> 1536, <strong>nel</strong> 1567 e <strong>nel</strong> 1635.<br />

Nel 1347 una imbarcazione provenien<strong>te</strong> da Genova portò la pes<strong>te</strong> a<br />

Messina, <strong>per</strong> cui, gli abitanti dello stretto giunsero a <strong>Catania</strong> pregando<br />

vivamen<strong>te</strong> il vescovo affinché portasse a Messina le reliquie di Sant’Agata,<br />

tuttavia, i catanesi, <strong>te</strong>mendo che po<strong>te</strong>ssero andar <strong>per</strong>se, si opposero alla<br />

richiesta. La pes<strong>te</strong>, successivamen<strong>te</strong>, si propagò <strong>per</strong> l’in<strong>te</strong>ra isola, mie<strong>te</strong>ndo<br />

innumerevoli vittime.<br />

Il 18 aprile del 1669 S<strong>te</strong>fano Riggio, principe di Campofranco, nonché<br />

vicario generale, spedito dal Viceré, giunse in città con molti soldati, <strong>per</strong> cui, i<br />

catanesi, <strong>te</strong>mendo che s<strong>te</strong>ssero <strong>per</strong> trafugare i resti di Sant’Agata, li portò ad<br />

Ognina con l’artiglieria di Cas<strong>te</strong>llo Ursino e dei fortilizi, erigendo mol<strong>te</strong> logge,<br />

onde alloggiare il Senato ed il Vescovo, con abbondanza di viveri.<br />

Ma l’eruzione più disastrosa avvenne nei primi di giugno del 1669,<br />

quando una serie di bocche si aprirono lungo i fianchi del vulcano, che eruttò<br />

180


lava e lapilli <strong>per</strong> sessantotto giorni, bruciando mol<strong>te</strong> abitazioni, invadendo il<br />

piano di Cas<strong>te</strong>llo Ursino, riempiendo i fossati, bruciando il pon<strong>te</strong> levatoio,<br />

facendo fuggire il cas<strong>te</strong>llano coi suoi familiari, mentre il barone di Villafranca<br />

chiuse con enormi massi la porta d’accesso al cas<strong>te</strong>llo.<br />

L’apporto dei forestieri fu immenso ed il napoletano principe di Cariati<br />

accorse con 30 uomini e fu accolto trionfalmen<strong>te</strong> dal Senato che gli mostrò le<br />

reliquie di Sant’Agata, facendogli dono di un a<strong>nel</strong>lo che Ella <strong>te</strong>neva al dito.<br />

Il principe ricambiò il nobile gesto offrendo, altresì, un oggetto prezioso in<br />

oro massiccio. Nella sacrestia della Cat<strong>te</strong>drale un affresco, realizzato dieci<br />

anni dopo l’eruzione da chi aveva vissuto l’evento in prima <strong>per</strong>sona, descrive<br />

le scene apocalittiche di quella eruzione.<br />

Quando il magma era giunto a una distanza di trecento metri dal Duomo,<br />

miracolosamen<strong>te</strong> scansò i luoghi in cui Sant’Agata era stata imprigionata,<br />

subito il martirio e poi sepolta, <strong>per</strong> riversarsi in mare, proseguendo <strong>per</strong> oltre<br />

tre chilometri. Sembrò chiara la volontà della santa catanese di salvare i luoghi<br />

che appar<strong>te</strong>nevano alla sua storia e al suo culto.<br />

A quella <strong>te</strong>rribile eruzione è legato anche un altro evento prodigioso: un<br />

affresco, che la raffigurava in carcere, e che si trovava in un’edicola sulle mura<br />

della città, fu trasportato intatto dal fiume di lava <strong>per</strong> centinaia di metri: quel<br />

dipinto si trova sull’altare maggiore della chiesa di Sant’Agata alle Sciare.<br />

Dono di ringraziamento <strong>per</strong> aver salvato la città dalla distruzione totale è la<br />

grande lampada votiva d’argento che si trova al centro della cappella di<br />

Sant’Agata <strong>nel</strong>la cat<strong>te</strong>drale e che Carlo Il di Spagna volle offrire alla Patrona.<br />

Nel 1693 un violento <strong>te</strong>rremoto fece tremare <strong>Catania</strong>, procurando<br />

diciottomila morti: nessuno dei novemila su<strong>per</strong>stiti dopo la catastrofe voleva<br />

più ritornare in città. <strong>Catania</strong> sarebbe diventata una città fantasma se un<br />

181


delegato del vescovo, in processione con le reliquie di Agata, non avesse<br />

supplicato il popolo a rimanere e a ricostruire la città.<br />

Nel 1886 una bocca eruttiva si era a<strong>per</strong>ta a Nicolosi, un centro abitato alle<br />

pendici dell’Etna. Il beato cardinale Dusmet, il 24 maggio, portò in<br />

processione il velo di Sant’Agata e, benché la processione si fosse fermata in<br />

un tratto in discesa, il magma lavico si arrestò immediatamen<strong>te</strong>. In memoria<br />

dello straordinario miracolo, in quel punto sorge un piccolo altare.<br />

In più occasioni Sant’Agata pose benigna la sua mano sulla città anche a<br />

pro<strong>te</strong>zione dalle epidemie.<br />

Nel 1576, quando la pes<strong>te</strong> cominciò a diffondersi poco lontano da <strong>Catania</strong>,<br />

il senato pensò di ricorrere all’in<strong>te</strong>rcessione della patrona. Le reliquie furono<br />

porta<strong>te</strong> in processione lungo le vie della città e, una volta giun<strong>te</strong> accanto agli<br />

ospedali dove erano ricoverati gli appestati, essi guarirono e nessuno fu più<br />

contagiato. I catanesi ot<strong>te</strong>nnero un altro segno di pro<strong>te</strong>zione, quando una<br />

seconda ondata di pes<strong>te</strong> stava <strong>per</strong> diffondersi da Messina anche a <strong>Catania</strong>.<br />

Il miracolo ci fu anche stavolta: le reliquie furono porta<strong>te</strong> in processione e<br />

la pes<strong>te</strong> cessò. In ricordo di questo prodigio fu eretta, <strong>nel</strong>la zona del porto,<br />

una colonna sormontata da una effigie di Sant’Agata che schiaccia la <strong>te</strong>sta di<br />

un mostro, simbolo della pes<strong>te</strong>.<br />

QUELLA VETUSTA, AUSTERA FABBRICA<br />

Erano gli anni 60 quando andai a trovare Tomaselli, compagno di<br />

scuola, in quella minuscola abitazione al primo piano del seminario<br />

arcivescovile, ove adesso è ubicato il museo diocesano. Vi si accedeva<br />

attraverso una monumentale scala in marmo. Il motivo <strong>per</strong> cui gli fosse<br />

consentito abitare in un con<strong>te</strong>sto così particolare, deriva dal fatto che il padre<br />

Ugo, all’epoca era <strong>te</strong>soriere della Cat<strong>te</strong>drale, duran<strong>te</strong> la festa stava sul fercolo.<br />

182


Chi po<strong>te</strong>va immaginare che parecchi anni dopo doveva capitarmi di<br />

sviluppare la contabilità <strong>te</strong>cnica inerenti i lavori di restauro dello s<strong>te</strong>sso<br />

edificio, poco prima raccontato e dove si trova l’antica camera di ricovero del<br />

fercolo, da cui, attraverso un tortuoso cunicolo dalle pareti (spessore m. 2) si<br />

può accedere all’in<strong>te</strong>rno della navata la<strong>te</strong>rale del Duomo.<br />

Di quell’edificio avevo le chiavi, quindi, libertà di movimenti, dovendo<br />

esaminare uno <strong>per</strong> uno tutti i luoghi facenti par<strong>te</strong> del complesso<br />

monumentale, <strong>per</strong>sino il <strong>te</strong>rrazzo, da dove si po<strong>te</strong>va osservare il bunker ove è<br />

riposto il busto reliquiario di Sant’Agata. A vol<strong>te</strong> mi affacciavo da una delle<br />

finestre che danno sull’ingresso della chiesa, proprio vicino alle gigan<strong>te</strong>sche<br />

statue dei Santi Euplo e Berillo (I° Vescovo di <strong>Catania</strong>), ai lati della porta<br />

centrale e mi sentivo gratificato, quasi avessi toccato il cielo con un dito.<br />

Devo ammet<strong>te</strong>re che è stata una es<strong>per</strong>ienza particolare, piena di fascino,<br />

quella di po<strong>te</strong>r ammirare da vicino quei luoghi sacri che fanno par<strong>te</strong> della<br />

storia catanese e po<strong>te</strong>rli <strong>per</strong>sino toccare con mano.<br />

Penso che qualsiasi cittadino catanese che si onora di essere tale, ne<br />

sarebbe stato orgoglioso, anche se, spesse vol<strong>te</strong> mi rammaricavo <strong>per</strong> l’incuria<br />

ed il totale degrado, a causa dei quali, quei monumentali luoghi si mostravano<br />

del tutto fatiscenti. Oggi, comunque devo dire che sono ritornati all’antico<br />

splendore, <strong>per</strong> cui, sono fiero ed orgoglioso <strong>per</strong> il fatto di avervi contribuito<br />

anch’io <strong>nel</strong> mio piccolo e, tut<strong>te</strong> le vol<strong>te</strong> che mi trovo in piazza Duomo, non<br />

posso non lanciare lo sguardo su quelle splendide fat<strong>te</strong>zze.<br />

SANT’AGATA NEL LIBRO DI BUTTAFUOCO<br />

Il santuario di Fleri esis<strong>te</strong> fin dal 1667 quando, <strong>nel</strong> fondaco denominato<br />

“delle Vergi<strong>nel</strong>le”, venne eretta sotto il titolo di Sant’Agata <strong>per</strong> consentire ai<br />

contadini del luogo di par<strong>te</strong>cipare alle funzioni religiose festive.<br />

183


La baronessa Ca<strong>te</strong>rina Guttadauro Francica Nava, che nei pressi della<br />

chiesetta possedeva delle proprietà, resasi conto della necessità di ampliare<br />

l’edificio sacro a causa del crescere della popolazione, si impegnò <strong>per</strong>ché ne<br />

venisse costruita una più grande.<br />

Il progetto, molto probabilmen<strong>te</strong> o<strong>per</strong>a dell’archi<strong>te</strong>tto Carmelo Sciuto<br />

Patti, venne ultimato <strong>nel</strong> 1872. La nuova chiesa, dedicata alla Madonna del<br />

Rosario e S. Agata, divenne sacramentale <strong>per</strong> volere del Cardinale Giuseppe<br />

Benedetto Dusmet, venne benedetta il 3 set<strong>te</strong>mbre 1872 dal Vescovo di<br />

Caltanissetta Giovanni Guttadauro ed elevata a parrocchia il 25 maggio 1928.<br />

Duran<strong>te</strong> la Seconda guerra mondiale custodì, dietro l’altare maggiore, le<br />

preziose reliquie di sant’Agata provenienti dalla Cat<strong>te</strong>drale di <strong>Catania</strong>.<br />

Fra le sue tan<strong>te</strong> storie, <strong>Catania</strong> può annoverarne una raccontata da un<br />

suo cittadino: Pietrangelo Buttafuoco, scrittore affermato di libri, di cui uno<br />

in particolare: “Le Uova del Drago”, narra la struggen<strong>te</strong> storia di una spia.<br />

Il miglior soldato <strong>te</strong>desco era una donna: Eughenia Lembach, bella e<br />

giovane, una spia selezionata direttamen<strong>te</strong> da Hitler <strong>per</strong> una missione di<br />

estrema importanza, in caso di sconfitta del III Reich avrebbe dovuto<br />

organizzare focolai di resis<strong>te</strong>nza e di riscossa.<br />

Ad aiutarla, mentre gli alleati anglo americani sbarcavano sull’isola,<br />

erano undici musulmani travestiti da cappuccini, che vennero poi ospitati<br />

presso un convento di monaci.<br />

Siamo all’inizio dell’esta<strong>te</strong> del 1943, allorquando la Mata Hari <strong>te</strong>desca,<br />

<strong>per</strong> ordine diretto del “Nido delle Aquile”, scese in paracadu<strong>te</strong> sulla Sicilia,<br />

giunse a <strong>Catania</strong> <strong>per</strong> met<strong>te</strong>re in atto questo piano stra<strong>te</strong>gico, tuttavia, non<br />

rispettò la funzione affidatale da Hitler, rischiando la propria vita, in quanto,<br />

se fosse stato sco<strong>per</strong>to il non rispetto dei patti, sarebbe stata fucilata.<br />

Ma Eugenia s’era innamorata così tanto di <strong>Catania</strong> da volere fare<br />

184


qualcosa <strong>per</strong> salvaguardare la città, soprattutto voleva met<strong>te</strong>re in salvo le<br />

miracolose spoglie ed il <strong>te</strong>soro della Vergine.<br />

Dopo aver accuratamen<strong>te</strong> estratto dallo scrigno i resti della Santa<br />

catanese, li distribuì ed introdusse in tre valiget<strong>te</strong>, quindi, organizzò una vera<br />

processione in pieno giorno, coi ceri accesi, alla presenza dell’arcivescovo e di<br />

pochi fedeli.<br />

Sant’Agata in quel tris<strong>te</strong> mattino di guerra apparve ai fedeli presenti,<br />

circondata da decine di soldati <strong>te</strong>deschi, mentre mons. Patanè, dopo aver<br />

impartito la benedizione, <strong>te</strong>neva fra le braccia il velo spiegato al cielo, così<br />

come in occasione di eruzioni e <strong>te</strong>rremoti.<br />

La gen<strong>te</strong>, a quella vista, parve sbigottita, giammai avrebbe potuto<br />

immaginare qualcosa di positivo, ma ad un trafugamento in pieno giorno,<br />

sotto i bombardamenti: destinazione Germania.<br />

Le spoglie della Vergine furono pos<strong>te</strong> in alcune casse e condot<strong>te</strong> a Fleri,<br />

vicino casa di villeggiatura di mons. Patanè, a cui furono affida<strong>te</strong> dalla spia<br />

<strong>te</strong>desca Eughenia Lembach <strong>per</strong> essere nascos<strong>te</strong> all’in<strong>te</strong>rno d’una cis<strong>te</strong>rna<br />

vuota dietro la chiesa, al sicuro da in<strong>te</strong>m<strong>per</strong>ie e predoni nemici. Così<br />

racconta Pietrangelo Buttafuoco <strong>nel</strong> suo libro “LE UVA DEL DRAGO”.<br />

Da lì, poi, onde evitare che venissero distrut<strong>te</strong> dallo scoppio delle mine<br />

colloca<strong>te</strong> <strong>per</strong> bloccare gli invasori <strong>te</strong>deschi, si pensò di spostarle.<br />

Il 7 agosto, quindi, ebbe inizio il doloroso viaggio verso il palmento di<br />

proprietà del Duca di Mis<strong>te</strong>rbianco, su espressa volontà del sacerdo<strong>te</strong><br />

Messina, il quale chiese ad un soldato austriaco, tale Ebert Scopianz, di<br />

vegliare <strong>nel</strong>la not<strong>te</strong> ed in gran segreto, le reliquie della Martire catanese,<br />

mentre i gioielli seguirono strade diverse: in par<strong>te</strong> furono sepolti in Cat<strong>te</strong>drale<br />

ed in par<strong>te</strong> trasportati a San Giovanni La Punta.<br />

Il Con<strong>te</strong> Pietro Sta<strong>te</strong>lla fu <strong>te</strong>soriere del Sacro Velo.<br />

185


La statua di Sant’Agata venne posta in una nicchia, la cassetta coi gioielli<br />

in fondo ad essa e murata con paratia di mattoni e gesso dall’archi<strong>te</strong>tto Leone<br />

in <strong>per</strong>sona ed alla presenza del Podestà, di mons. Carciotto e mons. Maugeri.<br />

Il giorno dopo, 2 o<strong>per</strong>ai (diversi dai primi) ricollocarono il grosso<br />

blocco di pietra al suo posto, met<strong>te</strong>ndo in sicurezza le gemme.<br />

Ogni giorno il capomastro veniva con 2 nuovi o<strong>per</strong>ai che rimuovevano<br />

il blocco (lungo cm. 75, largo ed alto 40), scavando sul fondo della nicchia<br />

altri 50 cm., <strong>per</strong> nascondere il <strong>te</strong>soro entro una cassetta di sicurezza<br />

commissionata, ma mai p<strong>agata</strong>, alla ditta Casseforti Rapisarda Moschetto.<br />

Il 31 marzo del ’43 l’avv. Emanuele Giardina effettuò ufficialmen<strong>te</strong> le<br />

consegne in Municipio al nuovo Podestà, il marchese Antonino Pa<strong>te</strong>rnò<br />

Cas<strong>te</strong>llo di S. Giuliano.<br />

Lo s<strong>te</strong>sso anno il Governo ordinò di spostare ancora le spoglie ed il<br />

<strong>te</strong>soro di Sant’Agata <strong>nel</strong>la città di Enna, presso il Comando della VI Armata.<br />

LA LEGGENDA DI DON ALCALORO<br />

Al <strong>te</strong>rribile cataclisma del 1693 è legata la leggenda di Don Arcaloro, la<br />

quale narra che, la mattina del 10 gennaio 1693 si presentò al palazzo del<br />

barone catanese Don Arcaloro Scamacca una fattucchiera locale e con la sua<br />

vociaccia gridò a Don Arcaloro di affacciarsi subito, <strong>per</strong>ché gli doveva dire<br />

una cosa di grande importanza, ne andava di mezzo la vita! Don Arcolaro,<br />

conoscendo il tipo, ordinò che la facessero salire.<br />

La vecchia megera allora confidò al barone che quella not<strong>te</strong> gli era<br />

apparsa in sogno Sant’Agata, la quale supplicava il Signore di salvare la sua<br />

amata città dal <strong>te</strong>rremoto, ma il Signore a causa dei peccati dei catanesi, aveva<br />

rifiutato di concedere la grazia, di conseguenza aggiunse la <strong>te</strong>rribile profezia:<br />

”Don Arcaloro, domani alle 14 a <strong>Catania</strong> si ballerà senza musica!”.<br />

186


Il Barone capì subito di quale ballo la vecchia parlasse; e si rifugiò in<br />

a<strong>per</strong>ta campagna, dove at<strong>te</strong>se l’ora fatale: e puntualmen<strong>te</strong> all’ora indicata dalla<br />

strega il <strong>te</strong>rremoto si verificò.<br />

CURIOSITÁ LEGATE ALLE ANTICHE FESTIVITÁ<br />

Grandi esponenti politici onorarono Sant’Agata - Il 5 febbraio del<br />

1961, duran<strong>te</strong> i fes<strong>te</strong>ggiamenti in onore di Sant’Agata, al solenne Pontificale<br />

presenziò l’allora Ministro dell’In<strong>te</strong>rno on avv. Mario Scelba, il Presiden<strong>te</strong> del<br />

Governo Regionale Siciliano, on dott. Benedetto Majorana della Nicchiara, il<br />

Sottosegretario di Stato ai LL. PP., on prof. Domenico Magrì, il Presiden<strong>te</strong><br />

dell’Assemblea Regionale, on dott. Ferdinando Stagno D’Alcontres, senatori,<br />

deputati, il Prefetto e le autorità civili e militari della città, i componenti la<br />

Giunta, il Consiglio Comunale ed i Cavalieri del Santo Sepolcro.<br />

La vara della discordia - Nel mese di gennaio del 1930 <strong>Catania</strong> visse il<br />

suo momento di suspense, poiché erano sta<strong>te</strong> in forse le celebrazioni, ciò <strong>per</strong><br />

via del fatto che il carro, a causa dei danni della guerra, doveva essere<br />

ristrutturato.<br />

I catanesi si divisero così in due fazioni: da una par<strong>te</strong> quelli che volevano le<br />

celebrazioni a febbraio, dall’altra coloro che volevano lo spostamento <strong>nel</strong><br />

mese di agosto. In virtù di quanto venne indetto un referendum popolare.<br />

Il ritorno da Costantinopoli - Era l’anno 1126, allorquando <strong>nel</strong>la sede<br />

del Cas<strong>te</strong>llo di Aci le reliquie di Sant’Agata, provenienti da Costantinopoli,<br />

quindi dalla città di Messina, furono restitui<strong>te</strong> via mare ai catanesi, trami<strong>te</strong> il<br />

Vescovo Maurizio, (succeduto ad Ansgerio) che in quel <strong>te</strong>mpo dimorava<br />

presso l’antica rocca. L’incontro della Patrona con i catanesi avvenne il 17<br />

agosto del 1126 nei pressi del Rotolo, fra le vie Calipso e Ginestra, ove<br />

187


successivamen<strong>te</strong> venne costruito un <strong>te</strong>mpietto votivo, distrutto poi dalla<br />

eruzione del 1381.<br />

Secondo Ardizzone Gioeni, <strong>nel</strong> 1341 il quartiere di Sant’Agata a Piazza<br />

Armerina faceva par<strong>te</strong> della diocesi di <strong>Catania</strong>, mentre a Pa<strong>te</strong>rnò <strong>nel</strong> 1339, in<br />

contrada “Porta Burgi” esis<strong>te</strong>va un oratorio dedicato a Sant’Agata. Anche a<br />

<strong>Catania</strong> <strong>nel</strong> 1732 <strong>nel</strong>l’antico “Porto Pontone” (nei pressi di Palazzo<br />

Platamone) fu fondato ed eretto un oratorio dedicato a Sant’Agata.<br />

Il <strong>te</strong>mpietto di Nicolosi - Nel 1902, ad otto anni dalla mor<strong>te</strong> del<br />

Cardinale Benedetto Dusmet, a Nicolosi fu costruito un <strong>te</strong>mpietto votivo di<br />

colore bianco, dedicato a Sant’Agata, <strong>nel</strong> punto dove <strong>nel</strong> 1996 le lave, <strong>per</strong><br />

in<strong>te</strong>rcessione della Santa, miracolosamen<strong>te</strong> si fermarono e non sommersero<br />

così il paese.<br />

Nell’anno 1927 – Il Comitato definì così l’i<strong>te</strong>r delle fes<strong>te</strong> di Sant’Agata:<br />

• giorno 28 gennaio dalle 14,30 alle 16,30 concerto bandistico al Giardino<br />

Bellini, dalle 18 solenne triduo in Cat<strong>te</strong>drale;<br />

• giorno 1 febbraio giro delle bande musicali nei vari rioni, alle 15 corsa<br />

ciclistica dei giovanetti al viale Regina Margherita con lancio di<br />

palloncini artistici in Piazza Roma, alle 18 solenne triduo al Duomo;<br />

• il 2 febbraio dalle 9 alle 12 musiche nei vari rioni, dalle 15 alle 14,30<br />

corsa di cavalli con fantino e lancio di palloni artistici 18 gare di<br />

scherma, quindi solenne triduo al Duomo;<br />

• il 3 febbraio dalle 9 alle 12 giro dei cerei, alle 13 processione <strong>per</strong> offerta<br />

alla Santa dalla chiesa di S. Biagio al Duomo, dalle 15 alle 18 gare di<br />

scherma al Teatro Massimo Bellini, quindi si eseguiranno evoluzioni<br />

aviatorie con lancio di manifestini e fiori, dalle 14,30 alle 17 concerti e<br />

188


giochi sportivi al Giardino Bellini, alle 19,30 esibizione dei cantanti in<br />

Piazza Duomo, infine, giochi piro<strong>te</strong>cnici;<br />

• Il 4 febbraio dal mattino musiche nei rioni, alle otto giro del Sacro<br />

Corpo di Sant’Agata;<br />

• Il 5 febbraio alle ore 9 grande corsa ciclistica “Giro dell’Etna” e premio<br />

Sant’Agata con traguardo in Piazza Roma, alle 10 al Duomo solenne<br />

Pontificale del Card. Francica Nava con le autorità municipali, dalle<br />

14,30 alle 17 concerti musicali al Giardino Bellini e gare ginniche, alle<br />

17 giro del Sacro Corpo della Patrona.<br />

• Duran<strong>te</strong> le fes<strong>te</strong> del 1966, solo 9 cerei presero par<strong>te</strong> alla tradizionale<br />

sfilata, <strong>per</strong> i danneggiamenti della guerra ed a causa del fatto che alcune<br />

associazioni di mestieri e di portatori non riuscirono a trovare l’accordo.<br />

La festa del 4 febbraio 1621 - Il giro completo del fercolo attorno alle<br />

mura (vulgo bastioni), portato a spalla dagli scalzi, usciva dalla Cat<strong>te</strong>drale<br />

prima del levar del sole, quindi, da Porta dei Canali (arcata della pescheria),<br />

cioè alle ore 13, undici ore consecutive di giro, <strong>per</strong> rientrare alle ore 24 da<br />

Porta della piazzetta della Pescheria, che immet<strong>te</strong> <strong>nel</strong>la grande arcata della<br />

Pescheria, uscendo poi da tale arcata verso Via Dusmet, a destra in quella<br />

cantonata fino alla cantonata dell’attuale Pescheria, ove erano 18 canali<br />

d’acqua potabile <strong>per</strong> dissetare la città con annesso abbeveratoio <strong>per</strong> animali.<br />

Canali ben diversi da quelli ai piedi della scala dietro la fontana dell’Amenano.<br />

La festa in miniatura – Nel 1958 l’Arcivescovo Bentivoglio alle ore 9,15,<br />

presso la Chiesa di S. Pietro ed all’in<strong>te</strong>rno della cappella delle Figlie della<br />

Carità, rievocò la festa di Sant’Agata in miniatura. Il fercolo aveva un’al<strong>te</strong>zza<br />

di cm. 60, una lunghezza di cm. 50 ed un peso di kg. 7, mentre al suo in<strong>te</strong>rno<br />

189


il simulacro della Vergine era in bisquit del 700, ornato con piccoli gioielli<br />

fedelmen<strong>te</strong> riprodotti, il cor<strong>te</strong>o finiva con 11 piccole candelore.<br />

Prima del <strong>te</strong>rremoto del 1693 – I catanesi usavano fes<strong>te</strong>ggiare<br />

Sant’Agata vestiti come a Carnevale, la festa durava cinque giorni e la città<br />

sembrava impazzita. Si cominciava il 1° febbraio con una fiera con mostra<br />

serale dei pallii <strong>per</strong> le corse dei cavalli, con spari assordanti e scampanii. Dopo<br />

quell’anno la festa divenne più seria ed intima.<br />

Sul Corriere della Sera del 4 febbraio 1943 apparve l’inciso:<br />

“Oggi si può mangiare carne, la Curia Arcivescovile, contrariamen<strong>te</strong> alle<br />

regole sull’astinenza in tutta la diocesi catanese, non proibisce l’uso di carne”.<br />

Era il 18 ottobre 1943 – Quando mons. Giuseppe Carciotto vicario<br />

arcivescovile si recò a San Giovanni La Punta <strong>per</strong> rilevare mons. Carmelo<br />

Patanè Arcivescovo di <strong>Catania</strong> ed il segretario mons. Carmelo Scalia, vicario<br />

generale, assieme ai quali si recò ad Aci Trezza ove, all’in<strong>te</strong>rno d’una casina a<br />

mare, incontrarono il gen. Mark Clark, comandan<strong>te</strong> la 5^ armata americana,<br />

<strong>per</strong> preservare <strong>Catania</strong> e definire il rientro delle spoglie della Patrona.<br />

Mons. Carciotto aveva inoltre allacciato amichevoli relazioni col colon<strong>nel</strong>lo<br />

inglese lord Arthur Wellsley, oggi duca di Wellington.<br />

Mons. Carmelo Patanè era ospi<strong>te</strong> presso il monas<strong>te</strong>ro di San Benedetto, in<br />

quanto presso l’arcivescovado erano ancora in corso i lavori di riparazione<br />

<strong>per</strong> i danni causati dai bombardamenti, allorquando il sac. Barbagallo gli<br />

consegnò le “Cronache” di quei tristi giorni.<br />

Il 4 febbraio 1945 il Patané non aveva avuto neanche il <strong>te</strong>mpo di leggere le<br />

pagine di quel prezioso documento, che già prendeva possesso della sua<br />

restaurata parrocchia.<br />

190


<strong>Catania</strong> patria di Santi – vanta oltre 100 Santi, 10 Beati, moltissimi servi<br />

di Dio in odore di santità. Oltre al corpo incorrotto di Sant’Agata, si<br />

conservano quelli di Bernardo Scammacca, del Beato Pagano, di Suor Maria<br />

Maddalena, del Card. Dusmet, Fra Liberato, P. Michele Moncada, P. Guardo,<br />

Lucia Mangano ed altri ancora. <strong>Catania</strong> ha avuto 106 Vescovi e 13 Cardinali.<br />

I SITI ARCHEOLOGICI RIGUARDANTI SANT’AGATA<br />

Qualche <strong>te</strong>mpo fa presso la chiesa di Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re si stava<br />

riportando alla luce il passaggio che un <strong>te</strong>mpo collegava la cripta con la vicina<br />

chiesa di Sant’Agata al Carcere, met<strong>te</strong>ndo in luce anche altre strutture antiche<br />

come il sarcofago di Sant’Agata, ove furono probabilmen<strong>te</strong> depos<strong>te</strong> le sacre<br />

reliquie della Santa Vergine subito dopo il martirio.<br />

Ma quale fu il primo posto in cui fu seppellita la Martire e, soprattutto,<br />

in quale luogo della città continuò il suo culto nei primi secoli successivi alla<br />

sua mor<strong>te</strong>? Detto sarcofago restò sul posto in cui Agata fu martirizzata<br />

oppure venne sis<strong>te</strong>mato in un cimi<strong>te</strong>ro, ove <strong>nel</strong> III secolo venivano sepolti<br />

tutti i cristiani? La tradizione popolare parla a questo proposito del<br />

sot<strong>te</strong>rraneo della chiesa di San Gaetano alle Grot<strong>te</strong>, come del primo luogo di<br />

sepoltura della Martire, tuttavia, anche qui non c’è assoluta cer<strong>te</strong>zza.<br />

Ci vorrebbero delle prove cer<strong>te</strong>, prove che in questi quasi diciotto secoli<br />

purtroppo non sono mai sta<strong>te</strong> trova<strong>te</strong>. Certo, è difficile credere che appena<br />

morta Sant’Agata sia stata seppellita nei pressi del luogo del martirio, cioè in<br />

un edificio sacro approntato provvisoriamen<strong>te</strong> e costituen<strong>te</strong> il primo nucleo<br />

della chiesa di Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re.<br />

Più verosimile è invece che sia stata sepolta dentro il sarcofago che<br />

ancora ri<strong>te</strong>niamo suo, <strong>nel</strong> luogo ove venivano seppelliti i cristiani catanesi del<br />

191


III e IV secolo. A questa ipo<strong>te</strong>si si aggiunge la sco<strong>per</strong>ta fatta dagli archeologi<br />

negli anni Cinquanta, allorquando, scavando <strong>nel</strong>la zona di via Dottor Consoli<br />

(alla confluenza delle vie Androne ed Orto San Clemen<strong>te</strong>), si misero in luce<br />

numerosi mausolei cristiani ed una basilichetta triabsidata degli inizi del IV<br />

secolo, ad un secolo di distanza dalla mor<strong>te</strong> di Sant’Agata, costruita sopra<br />

quella che era una vera necropoli.<br />

Tale sco<strong>per</strong>ta fu messa in relazione con un’altra avvenuta due secoli<br />

prima poco lontano dalla zona cimi<strong>te</strong>riale, in quella che <strong>nel</strong> Set<strong>te</strong>cento era<br />

nota come villa Rizzari (via Rizzari da via Etnea verso via Sant’Euplio, che ne<br />

conserva ancora la memoria), cioè un’iscrizione latina (oggi al Museo del<br />

Louvre) dedicata ad una bambina di Hybla (Pa<strong>te</strong>rnò) di nome Iulia Fiorentina<br />

di circa due anni, i cui genitori non cessavano di piangere in ogni momento la<br />

sua immatura mor<strong>te</strong>, poi sepolta presso il santuario dei martiri, cioè <strong>nel</strong>la<br />

zona cimi<strong>te</strong>riale cristiana di via Dottor Consoli.<br />

L’epigrafe narra della voce della Maestà Divina che proibisce ai genitori<br />

che piangono di affliggersi <strong>per</strong> la piccola defunta. Difficile non met<strong>te</strong>re in<br />

stretta correlazione l’iscrizione, risalen<strong>te</strong> agli inizi del IV secolo, e la<br />

basilichetta, della s<strong>te</strong>ssa epoca e costruita in ricordo dei martiri catanesi, cioè<br />

Agata, la cui fama si era diffusa in maniera straordinariamen<strong>te</strong> veloce <strong>nel</strong> giro<br />

di pochi decenni, non solo in Sicilia ma anche in altre parti d’Italia e in<br />

orien<strong>te</strong>, quindi, Euplio e chissà quanti altri ancora.<br />

Negli anni Cinquanta altre ricerche archeologiche <strong>nel</strong>la zona di via<br />

Dottor Consoli, allarga<strong>te</strong> verso la basilichetta del IV secolo, portano ben<br />

presto alla luce un’altra basilica, addossata alla preceden<strong>te</strong>, ben più<br />

imponen<strong>te</strong>, risalen<strong>te</strong> al VI secolo e abbellita da stupendi mosaici, la cui<br />

particolarità, a par<strong>te</strong> le tombe cristiane che lo circondavano, i mosaici e la<br />

es<strong>te</strong>nsione (8 metri di larghezza e 35 in lunghezza), era l’altare posto al centro,<br />

192


probabilmen<strong>te</strong> <strong>per</strong> ospitarvi entro un sarcofago le spoglie dei martiri,<br />

sis<strong>te</strong>mazione tipica delle basiliche cristiane dei primi secoli, allorquando era in<br />

uso celebrare la messa su una mensa poggiata sopra la cassa con le reliquie .<br />

Dalla incuria si sono salvati soltanto i mosaici, asportati e portati presso<br />

il museo di Cas<strong>te</strong>llo Ursino, dove fino a qualche <strong>te</strong>mpo fa si conservavano,<br />

mentre oggi si trovano alla Soprin<strong>te</strong>ndenza ai Beni culturali, in at<strong>te</strong>sa di<br />

definitiva collocazione, mentre una par<strong>te</strong> dell’abside inglobata <strong>nel</strong> sottoscala<br />

di una palazzina, è ancora visibile scendendo attraverso una vecchia botola.<br />

Al suo in<strong>te</strong>rno vi era un corpo semicircolare sporgen<strong>te</strong> a gradini, che<br />

segnava il posto della cat<strong>te</strong>dra episcopale.<br />

Questa realtà sot<strong>te</strong>rranea, che dopo essere stata sco<strong>per</strong>ta e portata alla<br />

luce è tornata ad essere invisibile, conosciuta solo da studiosi ed addetti ai<br />

lavori <strong>per</strong> lunghi decenni, è ormai rico<strong>per</strong>ta da costruzioni che oggi ospitano<br />

una banca e un ufficio postale (angolo via Dottor Consoli con via Androne),<br />

senza contare le decine di tombe cristiane che si trovavano tutt’intorno e che<br />

sono sta<strong>te</strong> schiaccia<strong>te</strong> e cancella<strong>te</strong> anch’esse dalle fondazioni di altri palazzi.<br />

La <strong>Catania</strong> cristiana dei primi secoli, della devozione agatina, quindi, è<br />

tutta sotto<strong>te</strong>rra, compresa la par<strong>te</strong> più preziosa dedicata ai martiri catanesi ed<br />

a Sant’Agata in modo particolare.<br />

Il primo luogo di culto dei Catanesi <strong>per</strong> Sant’Agata era molto<br />

probabilmen<strong>te</strong> in quel cimi<strong>te</strong>ro cristiano di via Dottor Consoli e <strong>nel</strong>le due<br />

basiliche che ne ricordavano la santità, e non in questa o quella chiesa<br />

relativamen<strong>te</strong> moderna. Lì si recavano i primi devoti con una lucerna <strong>per</strong><br />

andare a pregare, lì portavano i propri figli ad indottrinarli sull’esempio di vita<br />

e di fede della Martire, lì le madri andavano a chiedere la grazia di una<br />

guarigione <strong>per</strong> i propri parenti, lì presbi<strong>te</strong>ri e religiosi, passato il <strong>per</strong>iodo delle<br />

<strong>per</strong>secuzioni, curavano il culto agatino e diffondevano le vicende biografiche<br />

193


della Santa che aveva resistito all’arroganza di Quinziano e dei Romani, senza<br />

cedere neanche <strong>per</strong> un momento ai <strong>te</strong>ntativi di <strong>per</strong>suasione e alle violenze dei<br />

carnefici, lì raccontavano i prodigi che o<strong>per</strong>ava ancora non solo <strong>nel</strong>la<br />

conversione dei cuori ma anche <strong>nel</strong> domare le forze della natura come le<br />

eruzioni dell’Etna ed i <strong>te</strong>rremoti.<br />

Da quando l’editto di Costantino im<strong>per</strong>atore di Roma <strong>per</strong>mise ai<br />

cristiani l’esercizio pubblico del sacro culto, la chiesa del Santo Carcere,<br />

risalen<strong>te</strong> all’anno 313, servì da Cat<strong>te</strong>drale <strong>per</strong> ben 770 anni, cioè sino alla<br />

venuta dei Normanni. Il primo vescovo fu il catanese S. Everio, il quale,<br />

avendo retta la chiesa di <strong>Catania</strong> <strong>nel</strong> 262, vi aveva costruito occultamen<strong>te</strong> e<br />

consacrata fra le rovine del Pretorio (palazzo del proconsole romano presso<br />

la chiesa del S. Carcere) una cripta dove furono conserva<strong>te</strong> le reliquie di<br />

Sant’Agata, tol<strong>te</strong> dall’antica chiesa di S. Leone oggi scomparsa.<br />

Verso il 776, S. Leone il taumaturgo, vescovo di <strong>Catania</strong>, ricostruiva<br />

l’antica chiesa di Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re, dalla quale Giorgio Maniace, spedito<br />

dall’im<strong>per</strong>atore bizantino Michele IV alla riconquista della Sicilia, che dal 975,<br />

o in quel torno, era stata invasa dai Saraceni, ripar<strong>te</strong>ndo da <strong>Catania</strong> <strong>nel</strong> 1040,<br />

tolse dopo 788 anni le reliquie di Sant’Agata, che trasportò <strong>nel</strong>la chiesa di S.<br />

Sofia in Costantinopoli.<br />

Nel <strong>te</strong>mpo in cui det<strong>te</strong> reliquie riposarono in Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re mai<br />

venne meno la venerazione dei fedeli. Pellegrinaggi di <strong>per</strong>sonaggi insigni <strong>per</strong><br />

titoli o santità, non escluso i papi, s’inchinarono al sepolcro di Sant’Agata.<br />

Sullo scorcio del secolo XI la cat<strong>te</strong>dra vescovile fu trasportata dal vescovo<br />

Ansgerio <strong>nel</strong>la nuova cat<strong>te</strong>drale eretta dal Con<strong>te</strong> Ruggero, normanno, dal<br />

1088 al 1091. Nella seconda metà del sec. XIV il vescovo Marziale erigeva la<br />

chiesa di Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re, dotandola di molti beni, e la concedeva ai<br />

Benedettini, allora canonici del Duomo.<br />

194


Nel 1605 la chiesa fu dal Capitolo della Cat<strong>te</strong>drale concessa ai<br />

Cappuccini, che <strong>per</strong>ò non la occuparono. Nel 1613 il vescovo Bonaventura<br />

Secusio la cedet<strong>te</strong> ai Minori Osservanti, alla quale famiglia egli appar<strong>te</strong>neva,<br />

era stato Ministro dell’ordine ed a sue spese fu costruito l’annesso convento,<br />

ove egli, dopo un quinquennio, cessò di vivere, fu tumulato <strong>nel</strong>la Cat<strong>te</strong>drale<br />

fra le por<strong>te</strong> della cappella del SS. Crocifisso e della sagrestia.<br />

Il <strong>te</strong>rremoto dell’11 gennaio 1693 distrusse fin dalle fondamenta<br />

convento e chiesa, che quindi vennero ricostruiti in ben diversa forma.<br />

Il <strong>te</strong>rremoto del 1818 rovinò la volta che fu quindi rifatta.<br />

Il <strong>te</strong>mpio ad una navata appartiene ai Regolari, sorge <strong>nel</strong>la piazzetta<br />

omonima col prospetto in semplice muratura con una porta ed uno s<strong>te</strong>mma<br />

sul frontone che un <strong>te</strong>mpo recava le insegne di San Francesco D’Assisi.<br />

Nel vestibolo, una bussola in legno con gra<strong>te</strong> indora<strong>te</strong> ed un’aquila<br />

bicipi<strong>te</strong> scolpita reca lo s<strong>te</strong>mma del vescovo Pietro Galletti. Il <strong>te</strong>sto del<br />

racconto del martirio, infatti, rivela in Agata la <strong>per</strong>fetta identità d’una giovane,<br />

che aveva varcato l’arco d’età che va dai 18 anni ai 25 non ancora compiuti.<br />

Sul piano del linguaggio proprio e dell’es<strong>per</strong>ienza <strong>per</strong>sonale di Agata si<br />

rileva: che <strong>nel</strong> vers. 57 della redazione latina è anzitutto detto che Agata <strong>nel</strong><br />

pro<strong>te</strong>stare contro Quinziano che aveva ordinato di infliggerle la tortura dello<br />

strappo della mammella, dice le parole: “non ti vergogni di stroncare in una<br />

donna ciò che tu s<strong>te</strong>sso hai succhiato”.<br />

Se Agata fosse stata ancora una quindicenne, avrebbe dovuto<br />

dichiararlo, <strong>per</strong> così stigmatizzare ancora di più la crudeltà di Quinziano; e poi<br />

<strong>nel</strong> vers. 67, allorché S. Pietro apparso in carcere ad Agata, la invita ad<br />

acconsentire che egli la risanasse, mentre Agata si rifiutava e S. Pietro invece<br />

insis<strong>te</strong>va <strong>per</strong>ché Agata non avesse rossore della sua presenza, ecco che cosa<br />

Agata rispose e replicò: “E che rossore posso io avere di <strong>te</strong>, che sei già troppo<br />

195


avanzato in età? E poi, sebbene io sia giovane, il mio corpo è talmen<strong>te</strong><br />

lacerato, che le mie s<strong>te</strong>sse piaghe non <strong>per</strong>mettono che alcuno stimolo<br />

sensuale possa eccitare il mio animo, in modo che il mio pudore possa essere<br />

turbato”: questo linguaggio denota età ed es<strong>per</strong>ienza umano-<strong>per</strong>sonale, che<br />

solo una ven<strong>te</strong>nne potrebbe avere.<br />

Duran<strong>te</strong> il processo cui Sant’Agata fu sottoposta, il magistrato tradì dei<br />

segni di incer<strong>te</strong>zza e di <strong>per</strong>plessità sulla legittimità del suo po<strong>te</strong>re <strong>nel</strong> trattare<br />

quella causa: tale <strong>per</strong>plessità era dovuta al fatto che S. Agata dimostrava di<br />

trovarsi <strong>nel</strong>l’arco di età che andava dai 18 ai 25 anni, duran<strong>te</strong> i quali la Lex<br />

Laetoria pro<strong>te</strong>ggeva con speciale tu<strong>te</strong>la le giovani donne, dando a chiunque la<br />

facoltà di contrapporre un actio polularis contro gli abusi di po<strong>te</strong>re <strong>per</strong>petrati<br />

da un giudice: difatti il processo si chiuse con una sollevazione popolare che<br />

costrinse Quinziano a fuggire <strong>per</strong> sottrarsi dal linciaggio della folla; ancora sul<br />

piano giuridico risulta che Agata aveva il titolo di proprietaria di poderi e beni<br />

immobili; e <strong>per</strong> avere quel titolo le leggi romane esigevano il raggiungimento<br />

dell’età di 18 anni.<br />

Sant’Agata notoriamen<strong>te</strong> era considerata dai <strong>te</strong>sti narrativi del suo<br />

martirio, come vergine consacrata a Dio e le leggi della Chiesa consentivano<br />

la consacrazione ufficiale delle vergini a Cristo solo dopo il raggiungimento<br />

del loro diciot<strong>te</strong>simo anno di età. La sua bellezza fu la vera causa del martirio<br />

di Sant’Agata, in cui il proconsole che reggeva la Sicilia intorno all’anno 251,<br />

si innamorò della bellezza di Agata. Egli venne a conoscenza della illiba<strong>te</strong>zza<br />

di Agata e fece di tutto <strong>per</strong>ché subito po<strong>te</strong>sse vederla.<br />

Quinziano <strong>nel</strong> vedere Agata non seppe frenarsi dal provocare <strong>nel</strong> suo<br />

animo l’ardore passionale d’ogni sua depravata <strong>te</strong>ndenza, <strong>per</strong> cui, dopo aver<br />

visto la prima volta Agata, non po<strong>te</strong>va più reggere <strong>per</strong>ché avrebbe voluto<br />

pascere i suoi occhi del fascino che emanava dall’aspetto della vergine<br />

196


ellissima, quindi, così travolto dalla furia della sua passione ed avendo già<br />

dovuto subire la prima ripulsa all’improntitudine d’una sua malcelata<br />

profferta d’amore, al vedersi respinto, come un toro ferito, reagisce e fa<br />

partire come una freccia la sua prima minaccia di arresto che provvide subito<br />

a formalizzare e a fare eseguire .<br />

Quell’ordine di arresto non con<strong>te</strong>neva il motivo giuridico di imputazione:<br />

<strong>per</strong>tanto rivestiva il carat<strong>te</strong>re d’un semplice provvedimento poliziesco di<br />

custodia preventiva. Successivamen<strong>te</strong> il provvedimento fu trasformato in un<br />

atto coercitivo di comparizione giudiziaria, duran<strong>te</strong> la quale fu formalmen<strong>te</strong><br />

sottoposta a processo: <strong>nel</strong>la prima udienza le con<strong>te</strong>stò lo specifico reato di<br />

vilipendio della religione pagana, <strong>per</strong>ciò la incriminò del delitto di lesa maestà<br />

della religione romano, emanato dall’im<strong>per</strong>atore Decio.<br />

Alla fine dell’anno 250 e già all’inizio del 251 il cielo cupo della<br />

<strong>per</strong>secuzione si era rasserenato.<br />

Tra la fine dell’anno 250 e i primi del 251, l’im<strong>per</strong>atore Decio aveva già<br />

archiviato il suo editto di <strong>per</strong>secuzione contro i cristiani, ed anzi sollecitava la<br />

solidarietà di tutti <strong>per</strong> riorganizzare il suo esercito, con cui subito andò ad<br />

affrontare i Goti, che avevano violato le frontiere di nord-est dell’im<strong>per</strong>o.<br />

Nei primi mesi di quel 251, anno in cui fu martirizzata Agata, in<br />

Alessandria già era tornato dall’esilio il vescovo S. Dionigi, il quale at<strong>te</strong>stò che<br />

proprio in quel momento si godeva <strong>nel</strong>l’im<strong>per</strong>o di un clima di piena serenità e<br />

di pros<strong>per</strong>ità, dovuta alla saggezza di Decio: ciò è riferito dallo storico<br />

Eusebio, il quale aggiunge che proprio in quel particolare momento del<br />

principio del 251 c’era <strong>per</strong>fetta pace <strong>nel</strong>la Chiesa.<br />

Come mai, allora, in quel 5 febbraio del 251, Quinziano poté giustiziare<br />

Sant’Agata? Non <strong>per</strong>ché c’era in corso la <strong>per</strong>secuzione di Decio; ma egli<br />

volle cercare appiglio a quella <strong>per</strong>secuzione, che ormai non era più in vigore,<br />

197


<strong>per</strong> sfogare la sua vendetta contro Agata, che aveva respinta la sua profferta<br />

d’amore, ma <strong>per</strong>ché si trovava cau<strong>te</strong>lativamen<strong>te</strong> rifugiata in una sua abitazione<br />

di campagna, sita a nord-ovest di <strong>Catania</strong>, <strong>nel</strong> sobborgo di Ognina.<br />

MISCELLANEA<br />

- S. Berillo, primo vescovo catanese, morto il 21 marzo del I° sec. d. C., fu<br />

seppellito a <strong>Catania</strong>, ma se ne ignora il luogo. Cessata la <strong>per</strong>secuzione contro<br />

i cristiani, in suo onore fu innalzata una edicola presso l’attuale chiesa di<br />

Sant’Agata la Ve<strong>te</strong>re.<br />

- Agli inizi del 900 la sera del 3 febbraio i mortai venivano posizionati<br />

davanti la porta centrale del Duomo ed i cittadini dietro il cancello fatto di<br />

sbarre di ferro (prima che il Cardinale Francica Nava facesse costruire quello<br />

nuovo) cantavano e gridavano “sveglia<strong>te</strong>vi che Sant’Agata sta uscendo”,<br />

mentre il 4 mattino le donne andavano scalze innanzi al cancello di<br />

Sant’Agata. In quell’epoca erano in vigore le corse dei cavalli senza fantino.<br />

- Nel 1126 i catanesi, preceduti dall’Arcivescovo a piedi scalzi, in succinta<br />

ves<strong>te</strong>, in segno peni<strong>te</strong>n<strong>te</strong> andarono a ricevere fuori città il Corpo della<br />

Patrona, di ritorno da Costantinopoli: il fercolo procedeva molto lentamen<strong>te</strong>.<br />

- S. Gregorio Magno amò <strong>Catania</strong> e fu devotissimo a Sant’Agata.<br />

- S. Antonio da Padova passò da <strong>Catania</strong>.<br />

- S. Chiara “viven<strong>te</strong>” fondò a <strong>Catania</strong> un convento, così fecero pure S.<br />

Ignazio e S. Giovanni Bosco.<br />

- Anticamen<strong>te</strong> in esta<strong>te</strong> si celebravano 2 solenni processioni, di cui una la 2^<br />

domenica di luglio <strong>nel</strong>la chiesa di Sant’Agata alle Sciare (Piazza Machiavelli),<br />

con un simulacro in legno della Santa seduta portato a spalla ed un fercolo<br />

sormontato da un baldacchino rosso, mentre l’altra processione si faceva la<br />

198


domenica dopo il 17 agosto in Sant’Agata al Borgo con mezzobusto ligneo<br />

del XVIII secolo, su fercolo ligneo color argento, portato a spalla.<br />

- Era il 1532, allorquando Filippo De Falcone da Calascibetta osò<br />

bes<strong>te</strong>mmiare contro Sant’Agata, <strong>per</strong> cui il Vicario Generale, prese le debi<strong>te</strong><br />

informazioni, ordinò che il profanatore fosse messo sul quarto scalino di una<br />

scala, in piedi ed a capo sco<strong>per</strong>to, con un blanduni (torcia) in mano innanzi la<br />

porta della Cat<strong>te</strong>drale, dall’alba fino a che non fosse stata cantata la messa.<br />

- L’altare di Sant’Agata fu come la pietra basilare, infatti, Mons. Andrea<br />

Riggio, il 6 marzo del 1696, celebrando <strong>per</strong> la prima volta messa in Cat<strong>te</strong>drale,<br />

fra viva commozione dei fedeli, co<strong>per</strong>ti alla meglio fra le macerie del<br />

<strong>te</strong>rremoto del 1693, disse fra l’altro: Fu tanta la<br />

devozione dei catanesi, che raccolsero grandi somme di denaro e<br />

fabbricarono più chiese e conventi, che case di abitazione.<br />

- Era il 1730 quando, dopo pranzo, un furioso <strong>te</strong>mporale si abbatté sulla<br />

Festa, tanto che la gen<strong>te</strong>, giunta al Gallazzo, dovet<strong>te</strong> forzatamen<strong>te</strong> lasciare la<br />

bara, ma molti religiosi incuranti dell’acqua andarono a venerare Sant’Agata,<br />

portandosi sulle baret<strong>te</strong> coi baldacchini il busto e lo scrigno <strong>per</strong> la strada del<br />

cas<strong>te</strong>llo e <strong>per</strong> S. Filippo. Non vi era altro lume che torce a vento e veniva da<br />

piangere <strong>nel</strong> veder portare così un simile <strong>te</strong>soro. La bara trovò riparo al<br />

Gallazzo <strong>per</strong> ripartire la mattina seguen<strong>te</strong>.<br />

- Il 18 maggio del 1878, dalla Francia giunsero a <strong>Catania</strong> le Piccole Suore,<br />

chiama<strong>te</strong> dal Card. Dusmet <strong>per</strong> essere angeli di conforto ai poveri anziani<br />

dell’Albergo (Asilo) Sant’Agata, da lui fondato.<br />

- Allorquando <strong>nel</strong> 1906 lo scrittore Edmondo De Amicis, giunse a <strong>Catania</strong>,<br />

ospi<strong>te</strong> di Giovanni Verga, trovò la città splendidamen<strong>te</strong> moderna, assis<strong>te</strong>ndo<br />

alla festa di Sant’Agata, disse di aver visto il più bel Carnevale d’Italia.<br />

199


- Nel 1929 nei giorni della festa erano in vigore canti ed implorazioni dei<br />

cittadini al suono di tamburi, nonché le corse senza fantino. Nello s<strong>te</strong>sso<br />

anno fu costruito il nuovo baiardo in legno massiccio del peso di 18 ton..<br />

- Nel 1947, duran<strong>te</strong> la messa il busto reliquiario entrò in chiesa, ma non lo<br />

scrigno, il quale soltanto alle 03 del mattino a furor di popolo fu fatto entrare.<br />

- Nel 1960, anno dell’alluvione, Sant’Agata non uscì il 4 ed il 5, bensì il 10.<br />

- Il 4 mattino, allorquando Sant’Agata esce dal Duomo, si ha l’impressione<br />

che il viso sia tris<strong>te</strong>, quando <strong>per</strong>ò varca Porta Uzeda, sembra apparire lieto.<br />

- Ogni mattino, innumerevoli cittadini entrano in Cat<strong>te</strong>drale <strong>per</strong> un saluto ed<br />

una preghiera alla Patrona, pronunciando la classica espressione: “ciao<br />

Sant’Agata, sto andando a lavorare”.<br />

- Dal 2012, oltre alle 4 <strong>per</strong>sone sulla vara, sono sta<strong>te</strong> scel<strong>te</strong> e responsabilizza<strong>te</strong><br />

altre 12 dal parroco della Cat<strong>te</strong>drale, mons. Barbaro Scionti, affinché il corso<br />

della vara possa avvenire <strong>nel</strong>la massima sicurezza <strong>per</strong> tutti.<br />

- L’istituzione della “Candelora D’oro”, <strong>nel</strong> 2012 ha già maturato 15 anni.<br />

- Il 6 febbraio dello s<strong>te</strong>sso anno si sono verificati gravi fatti di in<strong>te</strong>m<strong>per</strong>anza<br />

da par<strong>te</strong> di alcuni delinquenti al seguito, i quali spingendo il fercolo, hanno<br />

provocato feri<strong>te</strong> alla mano ad uno dei <strong>te</strong>cnici (sotto il fercolo) addetti alla<br />

frenatura. Ciò <strong>per</strong> pro<strong>te</strong>sta verso il giusto provvedimento di vietare la salta di<br />

Via Sangiuliano, a causa della pioggia. In Cat<strong>te</strong>drale, poi, ul<strong>te</strong>riori atti di<br />

in<strong>te</strong>m<strong>per</strong>anza hanno impedito che il busto reliquiario fosse posto sull’altare.<br />

- Fra Sant’Agata e la Madonna esis<strong>te</strong> un rapporto bellissimo, trattandosi di<br />

sono due donne sublima<strong>te</strong> dal dolore: mamma Maria <strong>per</strong> la diletta figlia<br />

Agata, che spesso i grandi pittori l’hanno immortalata a fianco della<br />

Madonna, infatti in un’icona Ella ha sempre innanzi il viso luminoso di Maria.<br />

200


GLI ORDINI EQUESTRI DI SANT’AGATA<br />

• Cavalieri dell’Ordine Supremo di S. Gennaro;<br />

• Cavalieri dell’Ordine del S. Sepolcro di Gesù Cristo e di Gerusalemme;<br />

• Cavalieri dell’Ordine di S. Maurizio;<br />

• Cavalieri dell’Ordine della SS. Annunziata;<br />

• Cavalieri dell’Ordine della SS. Vergine Agata.<br />

NOMI IMPOSTI AD ALCUNI COMUNI ITALIANI<br />

A moltissimi Comuni è stato imposto <strong>nel</strong> <strong>te</strong>mpo il nome di Sant’Agata,<br />

da nord a sud e da est ad ovest, ciò <strong>per</strong> voler affermare che la Santa Vergine<br />

catanese risulta fra le più rappresentative, non solo in Italia, poiché la fede nei<br />

suoi confronti ha valicato ogni confine, richiamando a se Papi, uomini di<br />

fede, musici, poeti e <strong>per</strong>sonaggi illustri come Re ed Im<strong>per</strong>atori che, innanzi a<br />

Lei si sono prostrati in preghiera.<br />

In moltissime Chiese del mondo, inoltre, Sant’Agata è venerata e<br />

rappresentata con inni, sonetti, epigrafi, monumenti ed effigi sacre, mentre le<br />

sue venera<strong>te</strong> Reliquie hanno solcato mari e valicato monti, impreziosendo e<br />

rendendo fama a molti dei luoghi ove Ella ha lasciato un segno ad im<strong>per</strong>itura<br />

memoria.<br />

Per questi motivi la Vergine e Martire di <strong>Catania</strong>, a ragione, può<br />

senz’altro essere considerata “Santa Universale”.<br />

201


LEGENDA<br />

1. LA SICILIA AL TEMPO DI AGATA<br />

2. LA CASA DI SANT’AGATA<br />

3. VITA ED ADOLESCENZA<br />

4. RITI LITURGICI LEGATI AD AGATA BAMBINA<br />

5. IL DIALOGO COL PADRE RAO<br />

6. L’IDEALE DEL SUO MARTIRIO<br />

7. TEATRO DELLA VICENDA<br />

8. L’AMBIENTE DEL PROCESSO<br />

9. IL SEPOLCRO<br />

10. TRASLAZIONE DELLE RELIQUIE<br />

11. IL CULTO<br />

12. SIGNIFICATO DELLA LETTERA “A”<br />

13. SIGNIFICATO DEL SENO<br />

14. LE CHIESE CATANESI DEDICATE A SANT’AGATA<br />

15. I SITI ARCHEOLOGICI<br />

16. CONSACRAZIONE DELLA CHIESA DI S. AGATA<br />

17. LA CAPPELLA DI SANT’AGATA<br />

18. GLI ARREDI SACRI DONATI DA MARIA D’AVILA<br />

19. LA CAMERETTA DEL TESORO<br />

20. IL TESORO NEGLI EVENTI BELLICI DEL 1943<br />

21. 17 GIUGNO 1950, FESTA DEL PATROCINIO DI S. AGATA<br />

22. IL BUSTO RELIQUIARIO<br />

23. LO SCRIGNO<br />

24. I RELIQUIARI<br />

25. IL CARRO TRIONFALE<br />

26. STORIA DEL FERCOLO<br />

27. MECCANICA DEL FERCOLO<br />

28. I DANNEGGIAMENTI DEL FERCOLO<br />

29. INCIDENTI CHE HANNO COINVOLTO IL BUSTO<br />

30. LE RICOGNIZIONI SUI RESTI DI SANT’AGATA<br />

31. I MIRACOLI<br />

32. IL CERIMONIALE DI DON ALVARO PATERNO’<br />

33. LA FESTA<br />

202


34. “CITTADINI, VIVA SANT’AGATA”<br />

35. I PALAZZI CHE SI AFFACCIANO SULLA FESTA<br />

36. IL SACCO BIANCO<br />

37. LE ASSOCIAZIONI AGATINE<br />

38. LE CANDELORE<br />

39. RIVOLTA IN CATTEDRALE<br />

40. NEL FEBBRAIO DEL 1799 LA FESTA FU ANNULLATA<br />

41. I CANTANTI NELLA FESTA DI SANT’AGATA<br />

42. “IL TRIONFO” POEMA DEDICATO A S. AGATA<br />

43. DIVINITÁ INFLUENTI SUL CULTO DI SANT’AGATA<br />

44. SANT’AGATA ED ISIDE<br />

45. SANT’AGATA VERGINE AMAZZONE<br />

46. SANT’AGATA E SANTA APOLLONIA<br />

47. SANT’AGATA COME PENELOPE<br />

48. SANT’AGATA SUORA CONSACRATA<br />

49. SANT’AGATA, L’ETNA, L’AMENANO, LE FONTANE<br />

50. RITI E TRADIZIONI SCOMPARSE<br />

51. INNI, FUOCHI, ARTE CULINARIA ED ALTRO<br />

52. I MIEI RICORDI DI BAMBINO SULLA FESTA<br />

53. I COMPONIMENTI MUSICALI<br />

54. F. TARALLO ED IL CANTO DELLE BENEDETTINE<br />

55. INVENZIONI ARTISTICHE DEDICATE A S. AGATA<br />

56. LA CAMPANA DEL POPOLO<br />

57. FURTI IN CATTEDRALE<br />

58. SANT’AGATA NELLA LITURGIA<br />

59. SANT’AGATA NELL’ICONOGRAFIA<br />

60. SANT’AGATA E SANTA LUCIA<br />

61. LA BADIA DI S. SOFIA LEGATA AL CULTO DI S. AGATA<br />

62. SANT’AGATA PATRONA DELL’ATENEO CATANESE<br />

63. CULTO DI SANT’AGATA IN ITALIA E NEL MONDO<br />

64. ILLUSTRI PERSONAGGI ONORARONO SANT’AGATA<br />

65. I SIMULACRI DI SANT’AGATA<br />

66. LE EDICOLE VOTIVE<br />

67. S. AGATA A DIFESA DA PESTE, TERREMOTI, ERUZIONI<br />

68. QUELLA VETUSTA, AUSTERA FABBRICA<br />

69. SANT’AGATA NEL LIBRO DI BUTTAFUOCO<br />

203


70. LA LEGGENDA DI DON ALCALORO<br />

71. CURIOSITÁ LEGATE ALLE ANTICHE FESTIVITÁ<br />

72. I SITI ARCHEOLOGICI RIGUARDANTI SANT’AGATA<br />

73. MISCELLANEA<br />

74. GLI ORDINI EQUESTRI DI SANT’AGATA<br />

75. NOMI IMPOSTI AD ALCUNI COMUNI ITALIANI<br />

204


Non cercare di sa<strong>per</strong>e, in<strong>te</strong>rrogando le s<strong>te</strong>lle, cosa Dio ha in men<strong>te</strong> di<br />

fare: quello che decide su di <strong>te</strong>, lo decide sempre senza di <strong>te</strong>.<br />

Seneca<br />

205

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