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OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l'Altrove ANNO XIII – NN ...

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<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 20091


E d i t o r i a l e___________________di Melinda B. Tamás-Tarr ___________________Lectori salutem!Quanto ho preannunciato, in questoeditoriale continuo la riflessione linguistica conle funzioni della lingua.La lingua, a seconda degli scopi che chiparla o scrive si propone di conseguire, vieneusata in modi diversi o, più precisamente, infunzioni diverse.La lingua nella realtà della vita quotidiana,viene usata per produrre tanti testi e atti comunicativiorientati a conseguire gli scopi più disparati e, quindi,viene usata volta per volta, in modi sempre diversi: inlinguistica, i diversi modi in cui chi parla o scrive usa lalingua per ottenere uno scopo sono definiti funzionidella lingua.Le funzioni in cui la lingua può essere usata sonotante quanti gli scopi per cui si può elaborare unmessaggio, cioè un atto comunicativo o un testo.Quindi, poiché la lingua può servire a una infinità discopi come informare, spiegare, esporre, raccontare,narrare, descrivere, definire, illustrare, analizzare,ricordare, prevedere, inventare, progettare,immaginare, lamentarsi, dolersi, compiacersi,rallegrarsi, protestare, reclamare, recriminare,promettere, giurare, garantire, impegnarsi, comandare,ordinare, ingiungere, intimare, prescrivere, imporre,minacciare, spaventare, intimorire, mettere sull'avviso,tormentare, angosciare, assillare, affliggere, crucciare,importunare, infastidire, molestare, preoccupare,tartassare, angariare, maltrattare, persuadere,convincere, sedurre, esortare, incitare, istigare,suggerire, dissuadere, lusingare, stimolare,suggestionare, allettare, confondere, contestare,obiettare, ribattere, ammettere, approvare, salutare,accomiatarsi, imprecare, supplicare, invocare, pregare,implorare, scongiurare ecc., le funzioni della linguasono numerosissime: talmente numerose che sarebbeimpossibile enunciarle tutte. Ogni elenco sarebbe perforza di cose incompleto, perché ogni parlante, aseconda delle sue esigenze, può utilizzare la lingua perscopi sempre nuovi e, quindi, in nuove funzioni.I linguisti, però, per poter analizzare adeguatamente ivari usi della lingua, hanno unificato le varie funzioni inmodelli, in cui rientrano tutte le situazioni comunicative.Tra i modelli così elaborati, il più pratico èindubbiamente quello del linguista americano di originerussa Roman Jakobson.Il modello di Jakobson, in effetti, ha il pregio dischematizzare in modo logico e razionale l'estremavarietà delle funzioni della lingua. Il suo modello,inoltre, ha il vantaggio di essere strettamente collegatocon i risultati conseguiti nel campo della teoria dellacomunicazione. Tra gli altri modelli, segnaliamo anchequello del linguista inglese A.K. Halliday, che haelaborato un elenco di funzioni della lingua partendodall'osservazione dell'uso che di essa fanno i bambini.Le molteplici funzioni della lingua, secondo Jakobson,possono essere raggruppate in sei categorie principali,tante quanti sono gli elementi fondamentalidella comunicazione: informativa (odenotativa o referenziale), espressiva (oemotiva), persuasiva (o conativa), fàtica (odi contatto), metalinguistica, poetica (oconnotativa).Nella maggior parte degli atti comunicativie dei testi, però, soprattutto in quelli piùlunghi e complessi, sono presenti piùfunzioni. Nella realtà dell’uso della lingua,infatti, le funzioni sono variamente combinate tra loro,anche se in ogni testo ci è sempre una funzionedominante che permette di identificare il testo. Così,ogni testo espressivo è quasi sempre informativo e, delresto, tutti i testi, anche quelli metalinguistica, risultanoinformativi perché contengono sempre qualcheinformazione. Poi nei testi letterari, che si presentanocome i più complessi e ambigui e in cui domina lafunzione poetica o connotativa, sono presenti e siintrecciano variamente tutte le funzioni. Per esempionella «Divina Commedia» - come nota Umberto Eco -Dante parla riferendosi (funzione referenziale) a oggettie a cose nell’intento di commuovere (funzione emotiva)i suoi lettori e di spingerli (funzione persuasiva) adeterminate decisioni, mantenendo con essi contattiverbali (funzione fàtica), fatti di apostrofi e appelli,spiegando il senso (funzione metalinguistica) in cuiintende certe cose che dice, e costruendo tutto il suomessaggio con una intenzione estetica (funzionepoetica) di base.Vediamo ora le singole funzioni e i vari tipi dimessaggio (atti comunicativi o testi) in cui si realizzano:1.) Nella funzione informativa, la lingua è usatacon lo scopo di informare oggettivamente qualcuno suqualche cosa, senza lasciar trasparire l’opinionedell’emittente e sollecitare la partecipazione deldestinatario. Questa funzione è incentrata sul referente,cioè sul fatto o sulla cosa oggetto del messaggio e,perciò, è detta anche referenziale. Inoltre, poiché silimita a descrivere fatti o cose in forma denotativa, cioèprevalentemente descrittiva, concisa, chiara e sintetica,è detta anche funzione denotativa. Sono testi adominante informativo-referenziale: i cartelli, leindicazioni stradali, le insegne di negozi; gli avvisi, icomunicati, gli orari, i bollettini; le schede biografiche, iquestionari, i testi di carattere tecnico e scientifico; lecronache, i resoconti, le relazioni, i verbali, tutti i testiche rimandano a situazioni o fatti concreti.La funzione informativo-referenziale può essere,infine, prevalente anche in un testo letterario quandocorrisponde a precise scelte, espressive, sintetiche eideologiche dell’autore.2.) Nella funzione espressiva o emotiva la linguaè usata con lo scopo prevalente di esprimere ilpensiero, l'opinione, i sentimenti e le emozionidell'emittente nei confronti dell'oggetto del discorso odel destinatario cui si rivolge. Incentrata sull'emittente,questa funzione è caratterizzata generalmente dallapresenza di forti elementi soggettivi, dal tono<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 20093


esclamativo o dubitativo, dall'uso della prima personasingolare e da una lingua di tipo connotativo, in cui leparole sono arricchite di valori emozionali, di figureretoriche e di altri espedienti stilistici. In particolare,sono testi espressivo-emotivi:- le interiezioni e, in generale, tutte le dichiarazionid'affetto, di simpatia, di ira, di odio e simili;- i diari, le memorie, le confessioni;i testi autobiografici contengono per lo piùeventi relativi alle esperienze personali eindividuali dei loro autori (avventure, ricordi,speranze, aspirazioni, desideri, sentimenti) ointerpretazioni soggettive di fatti e anche lanarrazione degli avvenimenti e le descrizioni checontengono sono filtrate attraverso lapersonalità e l'opinione dell'emittente. Essi,comunque, sono sempre rilevanti per il lorovalore umano e, spesso, quando sono elaboratiin chiave letteraria, raggiungono un'intensitàche li promuove a documenti atti a illuminaresignificativamente un'epoca.- I commenti, le recensioni, le interpretazioni critiche;Oltre a permeare di sé interi testi come quellicitati, la funzione espressivo-emotiva comparespesso anche in testi caratterizzati da altrefunzioni, per lo più sotto forma di brevi giudizi.Ad esempio, nella frase "Ha smesso di nevicare",la funzione è decisamente informativoreferenziale;ma nella frase "Finalmente hasmesso di nevicare", l'avverbio "finalmente"introduce un elemento soggettivo-emotivo cheesprime l'opinione e l'atteggiamentodell'emittente di fronte al fatto.3.) Nella funzione persuasiva o conativa (dallatino conari, 'sforzarsi per ottenere qualcosa') la linguaè usata per convincere il destinatario di qualcosa o perottenere da lui un 'certo comportamento. Incentrata suldestinatario, essa è prevalente nelle frasi volitive einterrogative, che chiamano in causa il destinatariointerlocutoreed è caratterizzata dall'uso dell'imperativo,del congiuntivo esortativo, del vocativo, della secondapersona singolare e di tutte le possibili forme di invito odi preghiera.Lo scopo di persuadere può essere raggiuntoin maniera indiretta, quando ricorrere a unordine o a un invito esplicito potrebbe esserescortese o risultare controproducente. In questicasi, anziché la funzione conativa, si utilizzanoquella referenziale o quella espressiva, cui siattribuisce un sovrascopo persuasivo. E il casodi una frase come “II nonno ha dimenticato quigli occhiali": in essa la funzione informativoreferenzialefa chiaramente le veci dellafunzione persuasiva: “Corri a portare gli occhialial nonno!"In particolare, sono testi a dominante funzionepersuasiva:- le leggi, i comandi, i divieti, le preghiere, gli appelli, iconsigli, i regolamenti, le circolari;- i discorsi politici e propagandistici, le arringhe, leprediche, le celebrazioni, le commemorazioni.Tutti questi testi, spesso destinati a essererecitati in pubblico, magari sottolineati da gestio da particolari intonazioni della voce, hanno lo4scopo di’ convincere il destinatario ad assumereun determinato atteggiamento nei confronti diun personaggio o di un fatto. Le informazioniche contengono, tra l’altro, sono spesso parzialio distorte e, a seconda delle reazioni che sipropongono di suscitare, tendono a porre inevidenza gli aspetti positivi o negativi delpersonaggio o del fatto in questione.- I testi di carattere precettistico in cui lo scopo delmessaggio è quello di indurre l’interlocutore a provaredeterminati sentimenti (commozione, paura ecc.) e adassumere determinati comportamenti (onestà, lealtàecc.).In molti testi siffatti, la funzione persuasivacoesiste con una dominante funzione poetica.Così, nelle favole la funzione poetica è per lo piùaffiancata, e talvolta anche soffocata, dallafunzione persuasiva. La favola, infatti, più che loscopo di divertire si propone quello di mettere inluce virtù e difetti degli uomini e, attraverso la“morale”, di esortare il lettore ad un certocomportamento.- I messaggi pubblicitari: essi costituiscono un esempioperfetto di uso della lingua in funzione persuasiva,perché il loro scopo primario, anche se sfruttano tuttele funzioni della lingua, è quello di convincere.Nei testi letterari, la funzione persuasiva coesiste,nell’ambito della più generale funzione poeticoconnotativache caratterizza tali testi, con tutte le altrefunzioni. Si veda, ad esempio, il seguente passo”, trattodai «Promessi Sposi» di A. Manzoni: in esso la funzioneprevalente è quella persuasiva, come dimostra lapresenza di quasi tutti gli espedienti linguistici che caratterizzanotale funzione, ma l’efficacia del messaggioè raggiunta sfruttando anche la funzione espressiveemotivadella lingua, che di fatto si alterna di continuoa quella persuasiva:«Mi lasci andare, per carità, mi lasci andare(persuasiva). Non torna conto a uno che ungiorno deve morire di far patire tanto unapovera creatura (emotiva). Oh (emotiva), leiche può comandare (referenziale) dica che milascino andare (persuasiva). M’hanno portatoqui per forza (referenziale-emotiva). Mì mandicon questa donna (persuasiva) a ***, dov’è miamadre (referenziale). Oh, Vergine santissima!(emotiva)»4.) Nella funzione fàtica¹ o di contatto la lingua èusata per stabilire il contatto tra l’emittente e ildestinatario, verificando se il canale funzionaadeguatamente. Incentrata sul canale, comprende tuttele espressioni e le formule che servono ad aprire,mantenere o interrompere il contatto o a predisporre ildestinatario a ricevere il messaggio. Sono testi omessaggi fàtici:- i saluti e i convenevoli;Quando per strada si scorge un amico e gli siindirizza un “Ciao!”, la formula di saluto servead attirare la sua attenzione e ad attivare ilcanale della comunicazione: se non si volesseavviare un dialogo con l’amico in questione, nongli si invierebbe neppure quel messaggio disaluto. Più in generale, poi, i messaggi fàticisono di importanza fondamentale per verificare<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


La disponibilità del destinatario a comunicare,sondandone lo stato d’animo e prevenendone lereazioni. Così, quando una ragazza o un ragazzorientrano in ritardo a casa, per prima cosacontrollano la situazione attraverso una formulala fàtica: appena entrati dicono “Buona sera atutti!” oppure “Eccomi qua!”’ oppure, usando infunzione fàtica un testo informativo oreferenziale, “II bus era in un ritardo pazzesco”oppure, usando in funzione fàtica un testoemotivo, “Non ne posso più dalla stanchezza!”.Tutte queste espressioni hanno solo la funzionedi stabilire, attraverso la risposta (o la nonrisposta)della madre e/o del padre, lo statod’animo dei genitori: la formula fatica, insomma,serve “per rompere il ghiaccio”.- Le formule e gli intercalari telefonici;La comunicazione telefonica è accompagnatada vari testi fàtici. Testo fàtico ad esempio è il“Pronto!” (“Io sono pronto a parlare: e tu?”)con cui chi risponde al telefono dichiara la suapresenza e la sua disponibilità a parlare, e testifàtici sono tutte le espressioni con cui, nelcorso della conversazione telefonica, emittentee destinatario, volta a volta, si rassicuranocirca il fatto che stanno seguendo il discorso,cioè sottolineano l’esistenza del contatto:“Già… già… sì… ho capito… eerto… certo…d’accordo… va bene…”. Naturalmente, anchetutte le altre forme di trasmissione della lingua,oltre a quella telefonica, si avvalgono di testifatici per stabilire, controllare e chiudere ilcontatto: dalle formule di chiamata (“Torre dicontrollo chiama…”) alle formule di chiusura(“Passo e chiudo”).- Le formule più o meno stereotipate esovrabbondanti, che si intercalano nel discorso peravviare, mantenere o facilitare la conversazione, perprendere tempo mentre si decide cosa si deve dire oper riempire un momento di silenzio magariimbarazzante;La lingua mette a disposizione del parlantemolte formule fàtiche di questo tipo che vannodal famigerato “cioè” con cui molto spesso chiparla cerca di puntellare il proprio discorso, aipiù neutri “veramente, bene, dunque, certo…certo, ehm, insomma”. Talora, in casi disperati,queste formule fàtiche costituiscono tutta lacomunicazione: “Ehm… dunque… ecco… sì…però… allora…”. Tipiche formule fàtiche usateper avviare la conversazione o per riempiresilenzi imbarazzanti (ad esempio in ascensore,luogo in cui la funzione fàtica celebra i suoitrionfi nella direzione della più assolutabanalità) sono: “Come stai?”; “Come mai daqueste parti?”; “Bella giornata, eh?”; “Ma chetempo!” ecc.- Le formule usate per richiamare l’attenzionedell’interlocutore o controllare se sta comprendendoquello che gli si dice.La funzione fatica ad esempio è molto usata ascuola, nel dialogo tra insegnanti e alunni, inespressioni come: “State attenti!”, “Avetecapito?”, “Capito?”, “Attenzione, ora!”. Glistudenti, del resto, individuano con facilità leformule fàtiche tipiche di ciascuno dei loroinsegnanti e le fanno oggetto di imitazioni e discherzi.5.) La funzione metalinguistica² è propria deitesti e dei messaggi in cui la lingua viene usata perspiegare e analizzare se stessa o un’altra lingua assuntacome oggetto: per spiegare cioè il propriofunzionamento e le proprie caratteristiche (“II verboandare è un verbo intransitivo della primaconiugazione”), la forma di una parola (“Sufficiente sìscrive con la i”), il significato di una parola(“Macrocefalo significa ‘che ha la testa grossa’”) o ilfunzionamento e le caratteristiche di un’altra lingua o ilsignificato di una parola in un’altra lingua.Testi a dominante funzione metalinguistica sonoperciò i testi di grammatica e i dizionari, cioè i testi chehanno come oggetto lo studio della lingua. Questafunzione è molto frequente anche nei testi scolastici enei testi divulgativi ed è molto usata da insegnanti ealunni nel corso delle lezioni di lingua, italiana ostraniera. Tra l’altro, a questa funzione capita diricorrere anche nella comunicazione usuale equotidiana, tutte le volte che si sente la necessità dichiarire il significato di un termine poco noto o di unconcetto difficile.6.) La lingua è usata in funzione poetica, quando èvolta a comunicare qualcosa arricchendo il testo o ilmessaggio di “effetti speciali”, cioè di un sovrappiù divalori stilistico-espressivi, sia a livello di significato sia alivello di significante, in modo da ottenere, ancheattraverso la scelta e la disposizione delle parole nellafrase, particolari effetti ritmici e particolari suggestionimusicali. Incentrata sul messaggio, la funzione poeticasfrutta le risorse connotative della lingua, cioè lepossibilità della lingua non solo di descrivere e diinformare, ma anche di evocare una rete di immagini,di valori, di emozioni, di sensazioni e di ideali tra loroconnessi sia sui piano del significato (temi, contenutiecc.) sia su quello del significante (timbro, ritmo, metroecc.). Per questo la funzione poetica è detta anchefunzione connotativa.Per cogliere le caratteristiche precise dell’uso dellalingua in funzione poetico-connotativa si osservino iseguenti testi:“Nella seconda metà d’agosto si verificanoviolenti temporali e il clima si fa più freddo: siapprossima, infatti, l’equinozio d’autunno”.“Non c’è niente di peggio di questi maledettitemporali d’agosto, improvvisi e violenti.Che,.tristezza! Mi fanno pensare che siavvicina l’autunno”.“Autunno. Già lo sentimmo venire / nellepiogge d’agosto / silenziose e piangenti, / eun brivido percorre la terra…” (V. Cardarelli)Nel primo testo la lingua è usata in funzioneinformativa denotativo-referenziale: in esso infatti vienedescritto un dato meteorologico, senza commentarlo névalutarlo. Nel secondo, invece, l’inserimento da partedell’emittente della propria opinione e delle propriereazioni al fatto in questione, rende dominante lafunzione espressivo-emotiva. Nel terzo testo, infine, ildato meteorologico è stato completamente trasfigurato:espresso in una forma particolare, cioè attraverso<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 20095


dove il passo dell’uomosi confonde al battito d’alidi un amico minuto e col becco.Alessandro Monticelli — Sulmona (Aq)NOTTE DI SAN LORENZOChe orrore!Ci si ritrova di notteCon gli occhi al cieloStesi sui pratiIn piedi sui balconiAffacciati alle finestreA guardare cadere le stelle.Cerchiamo la morte degli astriPer esprimere desideriNelle misere vite di noi altri.Ivan Pozzoni — Monza (Mi)GLI INCUBI, A VOLTE, SOGNANONotti senza sonnoa batteresu tastidi tastiere,sporche,e con poca anima;giornivissutidormendosenza inseguirechimeresenza costruiremondi su misurasenza salvaresuicidida inferni smemorati.Prestoarriveremo a dimenticarela differenzatra nottee giorno:allorasarà un incubosmetteredi sognare.Paolo Scamozzi — TorinoSOTTO LA PANCA CREPA(La spagnola)(da Underground)Dall’ottobre 1918 e per tutto il 1919 una terribileepidemia attraversò e sconvolse il mondo interoprovocando la morte di almeno 50 milioni di persone.Il mondo – e soprattutto l’Europa - stava allorauscendo da un’altra immane tragedia: la I° guerramondiale. Carneficina mai vista – solo i morti furono piùdi 7 milioni – era stata altresì caratterizzata dasofferenze inaudite da parte della popolazione civileoltre che dei soldati al fronte.La chiamarono “spagnola” perché le autorità spagnolefurono le prime ad ammettere ufficialmente il morbo.Fu la pandemia più terribile dopo quella della “MorteNera” del medioevo; per mesi molti temettero che essaavrebbe distrutto per intero la nostra civiltà.Colpiva tutti, anche i giovani, e soprattutto i giovani nemorivano, tra delirio e febbre altissima.La medicina era impotente ed anche oggi nessuno èriuscito a rintracciare e a identificare il virusresponsabile.La caratteristica più sconcertante della epidemia fuinfatti la sua labilità.Una volta passata, e devastato che ebbe tutto il mondo,non ne rimase alcuna traccia, alcun focolaio, neppurenei tessuti conservati nei laboratori o riesumati dacadaveri congelati.E neppure nella coscienza della gente.Ognuno di noi ha un nonno o un parente che fu colpitodalla spagnola; quasi tutti i cimiteri recano tracce diprecipitosi ampliamenti in quel periodo.Ma di una pandemia che interessò più di un miliardo diuomini – metà della popolazione del globo – già pochianni dopo non rimanevano che labili tracce nellamemoria collettiva. Tracce destinate a perdersi del tuttonel bagno di sangue della II° guerra mondiale.Restano le domande degli studiosi: che virus era e doveè finito dopo il 1919?Afferma Sir Christopher Andrews, l’unico membrosopravvissuto della spedizione scientifica che nel 1951riesumò i cadaveri di alcuni eschimesi morti di spagnolae rimasti ibernati per 33 anni, senza peraltro averritrovato traccia del virus : “…Sono portato a credereche il virus abbia una sua vita latente… che essopersista in una data area del mondo senza uscire alloscoperto… restando tuttavia in grado di diventare attivoed epidemico al momento opportuno…”Sotto la panca crepa***This is the way the world endsnot with a bang but with a wimperAbbiamo abbandonato ogni passato, ogni certezza,o almeno lo crediamo,illusi ebbri di ideologieurlanti per viali alberatidi rosse bandieredi cantidi voci all’unisono.Note asfittiche si isolano dallo sfondopergamenaceo.Pandemia : l’orribile mostro quiescente,attende acquattato nel fango.Tombe aggettanti sul mare di Stromboliindicano al pescatore, al largo,la via della morte nell’annoT.S. Eliot<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 20097


millenovecentodiciannove.E ci diciamo immortalistecchiti in un sogno salatosurgelati in sacchetti monousoaffumicati,compressi da un ruolo.S’alligna il virus suinocontinuamente mutanteattende il momento cruciale…Si avvolge a spiralesulle testatenucleari, reseimpotenti dall’assenza di artificieri:DEFUNTI!Non è la peste neradel mondo:non è l’olocausto finalenon è la finegela le piramidi dell’illusione,la coscienza febbrile dell’esistere,l’impossibilità per me di amaree assaporare la luce tra le palpebre.E lui, il male del mio vivereil Faust dell’esserenelle latebre di me stesso,si scioglie in un sorso di vuotosulle gote della morte,ove acuminategraffiano le ombre.E infine, laggiù, in una direzioneignota, attraversa il nullasi muove, sazia, dentro le cantinedella miseria umana, la bestia, làsulle sopracciglia della cortecciadove la rugiada ha perso la sua fogliae l’alba non tesse più parole.Semplicemente il redde rationemdel virus – GEROBOAMO –cheabbiamo esorcizzato con una sigla.INVANO!Continuiamo a lottare da titaniper le spoglie di una formicao la carica di direttore della casa di riposo:Lanzillotti aspetta col suopungiglione avvelenatola fine della stirpe.(1984)Patrizia Trimboli — AnconaFAUSTPiù profondamente tu, misteroalzasti le manisugli enigmi dei supremi disegnie dentro il mio scheletrovolasti nell’occulto pensiero.Mi allontano dalla mia carneverso le braccia di un sonno nerosulla riva, senza nome, ove si spegneil frutto rosso del papaveroe dischiude la sua pergola la solitudine.Si annoda al vanotutto ciò che innanzi a mescintilla nel cuore immenso dell’eternoe con le dita di sabbia avanza invanofino all’intimo estraneo a me stessoai maiuscoli giardini del sentimento.In questo sottosuolo buio, inginocchiatotra le schegge della nottesi solleva tristementeimpenetrabile, inerte,8Valentino Vannozzi — Torrita di Siena (Si)ESERCITIGuardo le luci della città:tutte insieme non rendono grazia ad una sola stella.Guardale schieratele une di fronte alle altre,come eserciti frementi di battagliache lottano per confonderci.La dignità dell’uomoè stata mangiata dentro del pane biancoda ingordi governanti.L’essenza dell’uomo,quel fuoco che bruciava in petto,non esiste più,spento da un sorso di inconsapevolezza.Dal volume «Alla ricerca del Dio senza croce», EdizioniWilloworld trasmesso dall’Autore per l’eventuale pubblicazionedelle poesie. (Licenza Creative Commons)Giuseppe Costantino Budetta — NapoliNOIARacconti_________Segreta vita viveva l’albero d’albicocche, in orto.Dorate iridescenze sulle folte foglie come i capelli diselvaggia dea. Nel pomeriggio afoso, sprigionaipossente forza. Per noia, m’arrampicai sull’albero conlarghe bracciate, tra ramo nodoso e ramo frondoso.Con la stretta delle cosce, facendo leva sui ginocchi,m’arrampicai sull’albero che come cavallo domotremolò. Ero potente. Ero la piccola vedetta lombardanel libro Cuore di De Amicis. All’orizzonte non c’eranogli Austro-ungarici, ma il fulgore del tramonto estivo.Pesai: da quest’altezza, se cado mi rompo un osso.Potrebbe cedere il femore come vetro, o la tibia-fibula,o i legamenti crociati del ginocchio, o il calcagno, o leossa dell’avambraccio. Se fossi caduto davvero malecome un fesso, avrei potuto lussarmi la colonnavertebrale. Così oltre all’albero che muto mi sorreggeva,<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


leggere il biglietto. Lo sfilai dalle dita gelide e avvertiiun profumo di rosa. Era piegato in quattro parti e loapersi in modo da poterlo leggere:“Il tuo cuore è caldo e generoso / ed io vi vorrei viverein eterno: / mi pare un paradiso favoloso / e fuordi esso tutto è come inferno”.Lo ripiegai riponendolo tra le dita della fanciulla con lacoda di serpente e guardai il ragazzo strisciante negliocchi, suggerendogli che non avevo capito.“Tu mi devi aiutare – mi ripetè, spiegandomi - deviscoprire chi ha ucciso la mia ragazza, e perché”. A unasimile richiesta rimasi sorpreso, benché avessi mille altrimotivi per stupirmi. Del resto mi sentivo partecipe di unsimile mistero. Ancora non ho capito perché sono qui ascrivere questo quaderno. Mi chiedo se qualcuno mai loleggerà, mai ne verrà a conoscenza. E se forse ungiorno, ancorché remoto, trovato, aperto, sfogliato,studiato; che effetto farebbe? Potrebbe sembrare ildiario di un pazzo, gli appunti di un visionario, i pensieridi un ebbro. Chi mai prenderà sul serio questo blocco difogli sconclusionato, e a chi potrebbe interessare unastoria del genere? Povero Telèmaco, ma se scrivendostai meglio, scrivi pure, che, anche se nessuno maileggerà ciò da te scritto, la tua anima ne trarràgiovamento. Nargo, così seppi chiamarsi l’uomo dallacoda di anguilla, mi lasciò solo con questo compitotanto pesante. Strisciò fuori dalla grotta fino ascomparire. Rimasi accanto al corpo di Igria dagli occhichiusi, senza sapere come poter riuscire a risolvere ilmistero. Non sapevo dov’ero, e non sapevo nulla diquella gente: come potevo trovare l’assassino? Eperché dovevo farlo io? Le domande mi assillavanofinquando mi resi conto di essere prigioniero in quellagrotta. C’era qualcuno lì oltre a me? Strepitai, urlai perrichiamare l’attenzione. “Chi disturba il sonno di Anoti?”parlò una voce, e vidi un uomo anguilla venire verso dime. Era un po’ paffuto, dall’aspetto bonario ma severo:era chiaro che l’avevo disturbato e gli dovevo dellescuse. Provavo vergogna e curiosità insieme. Miaccostai chiedendo perdono: “non importa, nonimporta” alzò gli occhi al cielo. Strisciava un po’seccato, io non potei fare altro che stargli dietro. Mivolsi solo per un attimo, giusto per dare un ultimo,commosso, sguardo al corpo di Igria lambito dall’acqua.Entrai nella casa di Anoti, dalle pareti di fangoessiccato. Mi sentivo decisamente a disagio, forseperché ancora non conoscevo i motivi che mi avevanospinto fin lì, e non mi era ben chiara tutta questafaccenda. Anoti m’invitò a sedere a tavola e a mangiarecon lui. Accanto al tavolo, stabile su un tripode, untelevisore diffondeva delle immagini di paesaggisottomarini. Mangiai una specie di crema che sapeva dipesce. Non era buona, ma mi sentivo obbligato afingere che mi piacesse. Mentre ingoiavo quel fluidocommestibile guardavo il padrone di casa che, attento,sedeva avvolto sulla sua coda di anguilla osservando leimmagini televisive. Non mi parlava e, dal canto mio,non me la sentivo di rompere il ghiaccio. Visto che nonpotevo fare altro il mio pensiero volò sul mistero dellamorte di Igria. Forse Anoti poteva aiutarmi, forsesapeva qualcosa. Non lo conoscevo: forse potevaessere pericoloso parlarne subito con lui. Preferiiimmaginare la dinamica dell’accaduto: ma lo sforzo miparve così difficile che ci volle poco per farmi desistere.Finchè apparve sullo schermo il telegiornale, o qualcosadi molto simile. La prima notizia trasmessa fu proprioquella riguardante la morte di Igria: immagini di lei daviva, immagini di lei da morta, la dolorosatestimonianza di Nargo. Poi si parlò delle indagini. Furivelato che la polizia aveva uno schizzo del presuntoomicida. In quel momento la mia curiosità era allestelle, e anche Anoti era come rapito dalle immaginitelevisive. Entrambi aspettavamo di vedere quel volto.Fu mostrato da un ispettore della polizia di quellastrana gente. Era un ritratto a carboncino. E in quelritratto c’era disegnato il mio volto. Ero io. Incredulo,atterrito, mi guardai attorno. Anoti si scansò dopo unbreve sussulto e mi guatò. “C’è un errore” misi le maniavanti, ma capii che ero poco convincente. “Sei statotu” le uniche parole dette dal padrone di casa,pronunciate con certezza e distacco, quasi fosse unmagistrato giudicante. Forse era una trappola ordita daNargo, ma non era plausibile. “Sei stato tu – continuòAnoti – l’hai uccisa quando hai smesso di sognare”.Questa è la sentenza dell’uomo anguilla che ancora mitormenta, e non mi fa riposare. Non riesco a prenderesonno in questo carcere nascosto sotto il fiume. Sonopassati mesi, anni, non so, non so più chi sono. Ormaiho visto meglio e di più il fiume dal basso che dall’alto.Qui, sono qui imprigionato dagli uomini anguilla, perscontare la pena di un reato che non so né perché néquando ho commesso. Che non so né se né come l’hoperpetrato. Chissà se qualcuno leggerà il mio quaderno.Sono rimasto, ancora una volta, solo. Aspetto confiducia e speranza chi mi libererà.Francesco Tiberi — Porto Recanati (MC)BUFFI CORVI, UN POMERIGGIO DI TARDOAUTU<strong>NN</strong>ODifficile capire perché non trovassero mai il tempo ditelefonare. Mario non ci faceva più caso, ma si sa, gliuomini. Eppure Agnese era convinta di aver fatto unbuon lavoro coi suoi due figli.Come ogni mattina da quasi quarantadue anni, Agneseaspettava che nella vecchia moka ossidata risuonasse ilgorgoglio ovattato del caffè prima di chiamare Marioper la colazione. Quasi ottant’anni, questi conservaval’accuratezza nella cura della propria persona che loaveva accompagnato per tutta la vita lavorativa.Quando era uno degli uomini che contavano qualcosa,giù in città.Agnese armeggiava lenta e pensierosa tra i pensili dellacucina mentre egli si radeva, fischiettando un motivodegli anni cinquanta di cui non ricordava più il titolo eserrava a regola d’arte il nodo alla cravatta checambiava quotidianamente.Mario adorava gustare il caffè appena fatto e sfogliarele soffici pagine del giornale, ancora umide diinchiostro, che sua moglie scendeva a comprare ognimattina all’angolo del viale. Nonostante le forzestessero scemando da tempo, si sentiva in dovere diaccudirlo e viziarlo come sempre aveva fatto, dacché sierano uniti in matrimonio.Mario era stato un professionista di buon successo cheaveva provveduto alla famiglia più che dignitosamente.Era fiero di sé e riteneva che la vita potesse essere10<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


colma di bellezza anche da vecchi. Terminata lacolazione, se il tempo era ragionevolmente clemente,indossava un vecchio cappotto di cammello ancoradotato di una certa eleganza ed usciva a passeggiare.Gli amici di una vita, il maresciallo ed il notaio, loattendevano alle nove in punto nella piccola piazzaalberata che fronteggiava il palazzo che ospitava daquasi mezzo secolo le sorti dei vecchi sposi. Il portonesi chiudeva con un tonfo sordo e Mario, con unagestualità che si ripeteva identica ogni volta, cercava ilviso magro del suo unico amore nel piccolo riquadrodella finestra della cucina e salutava dolcemente con lamano destra. Quindi partiva insieme agli altri due, perun’oretta di chiacchiere, sorridente.Agnese amava suo marito. Sinceramente. Ed avrebbecontinuato a farlo. Ma non riusciva ad emularne lospirito. Era stato bello vivere al fianco di quell’uomo.Era così distinto anche da giovane. E quanto l’avevanoinvidiata le donne del quartiere il giorno in cui la videroentrare in quello stesso portone vestita di bianco, inbraccio a lui.Mario le aveva regalato una vita da piccola signora.Belle villeggiature, qualche gioiello. Ma di lei, dellapropria esistenza, cos’era stato? Se lo chiedeva già damolti mesi, senza riuscire a rispondersi. Era stata incasa, madre e moglie, per un tempo che non riuscivaneanche a misurare. Il mondo le era passato distante.Aveva tentato di allevare due figli al meglio delleproprie possibilità, eppure un silenzioso tormento lelacerava l’anima. Si sentiva segnata. Irreparabilmente.Non c’era più il tempo, di fronte a sé, a concedere ilconforto della speranza.Laura e Giovanni se ne erano andati da casa da moltianni. Giovanni, il maggiore, partì immediatamente dopola laurea per una borsa di studio all’estero da cui nonera più tornato. Lentamente, senza strappi, eradiventato un estraneo.Laura si era sposata tardi, adulta, quasi perrassegnazione, con un uomo bizzarro che Agnese avevadetestato sin dal primo incontro. Un lavoro mal pagato,un ragazzino pieno di angosce e la cura di una villettafuori città la impegnavano duramente. Troppo, peressere vicina agli anziani genitori. Ma forse, Agnesepretendeva attenzioni eccessive.Gli anni scorrono veloci, nonostante la vita sembri noncondurre più da nessuna parte. Tre ne seguirono inrapida serie senza modificare di molto la routine deidue anziani coniugi. Gradualmente, le passeggiate diMario presero a diradarsi, l’andatura rallentò e la suacaratteristica postura eretta iniziò ad incurvarsi. Maerano fastidi normali, accettabili. L’ordine delle cose.Agnese scendeva a comprare il giornale soltanto duevolte alla settimana. Gli occhi di Mario si stavanoindebolendo e, anche se lui non lo ammetteva, riuscivaa distinguere senza sforzo soltanto i titoli degli articoli.In ogni modo, i due sposi si sostenevano l’un l’altro,costanti. Amore antico fatto di sguardi, poche parole,misteriose intuizioni.Il maresciallo morì quell’inverno. Una bronchitesottovalutata lo mise a letto ai primi di novembre. Furicoverato in ospedale il giorno dell’Immacolata e primadi capodanno Mario ed il notaio l’accompagnarono alcimitero per l’ultima passeggiata. I due amici aprivano ilpiccolo corteo funebre reggendo una sobria corona difiori bianchi ed un cappello con pennacchio rosso daalta uniforme.Agnese, preferì rimanere in casa. Troppa tristezza inquel raduno di vecchi che salutavano l’ennesima vittimadel genocidio silenzioso che stava sterminando la lorogenerazione.Quell’anno l’estate arrivò violenta e con molto anticipo.E come sempre usa, vigliacca, se la prese con i piùdeboli ed i più stanchi.Senza che vi fossero state particolari avvisaglie, Mariosentì svanire il vigore che lo aveva sempre distinto. Erasempre stato un uomo indipendente. Detestava farpreoccupare sua moglie. Agnese era una donna piccola,esile. Corporatura di altri tempi, come non neesistevano quasi più. Con il passare degli anniassomigliava sempre più incredibilmente ad un uccellinocaduto dal nido. Mario non voleva caricarle addosso unpeso tanto gravoso, ma non riuscì a mascherare alungo la propria condizione.Dopo un piccolo collasso, disidratato in modopreoccupante, fu obbligato dal medico a mettersi a lettoed a sottoporsi ad una massiccia cura di ricostituenti.Agnese fu sopraffatta dallo spavento, povera donna.Rapidamente, le condizioni di Mario si aggravarono,costringendolo all’immobilità pressoché assoluta, per laprima volta nella sua vita. Da un giorno all’altro, i suoiocchi si infossarono, cerchiandosi di un nero orribile.Un’ombra sinistra lo avvolse. L’uomo sempre vigoroso esorridente, il pilastro della famiglia, era inchiodato adun ruvido lenzuolo che si andava trasformandorapidamente in un sudario.Nonostante le cure, Mario non accennava a riprendersi.Si rese necessario convocare una riunione di famiglia,come non accadeva da anni.Giovanni provò a rinviare almeno un paio di volte, madopo una settimana di telefonate sempre più furiose daparte di sua sorella non poté accampare scuse. Laura lomise alle strette. Gli fece capire a chiare lettere che erastufa di vedersela da sola coi due vecchi. Lui se n’eraandato, se n’era fregato di tutto e tutti e le avevamollato quella patata bollente tra le mani. Era venutal’ora di darsi una mossa se non voleva essereestromesso da qualsiasi tema ereditario.Riagganciato il telefono ed accesa l’ennesima sigarettadi una giornata da dimenticare al più presto, Giovanni sidecise a prenotare il primo volo utile per tornare a casa.Il concilio di famiglia si svolse attorno al piccolo tavolocircolare di legno della camera nuziale, in pomeriggiotorrido. Mario si consumava in fretta, a pochi metri didistanza, mentre i figli adorati non nascondevanol’insofferenza di trovarsi ad un capezzale tantosgradevole.Giovanni era un quarantenne disilluso e distaccato,avvezzo alla solitudine ed all’affetto mercenario,noleggiato a piccole dosi. Il suo ruolo istituzionale difiglio lo tratteneva suo malgrado in quella stanzatappezzata di carta da parati verdastra che non avevamai potuto soffrire e che puzzava terribilmente dichiuso e stantio. I suoi pensieri andavano al viaggio diritorno ed al fondoschiena di una nera di cui gli avevaben parlato un collega e che avrebbe spezzato presto lamonotonia delle sue le sue notti solitarie. Laura fissòper tutto il tempo il cellulare in attesa, disse, di unachiamata di suo marito, che non arrivò.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200911


fiducia dei due vecchi coniugi. Solerte nei lavoridomestici, ella riservava ai due anziani signori unsorriso confortante in ogni momento della giornata. Dimattina presto, quando il caldo era tollerabile, liaccompagnava a passeggiare nei parchi cittadini, Marioaccomodato in una carrozzina cromata alla qualecominciava persino ad affezionarsi.Benché Agnese non fosse ancora del tutto rassegnataal distacco e continuasse a cercare di tanto in tantoLaura e Giovanni senza successo, l’anziana signora finìcol riconoscere che lei e suo marito, tutto sommato,erano stati fortunati ad essere assistiti dalla signoraColombo. Mario, era addirittura rapito dall’autorevolezzanaturale di quella donna. A volte veniva pizzicato dallabadante a mangiare ghiottonerie proibite al suo corpodebole e malato. Ebbene, lui che era stato l’uomo dicasa, il pater familias, ne accettava i rimbrotti senzafiatare. Agnese iniziò ad invidiare quel potere magico,che a lei era sempre sfuggito.Nel volgere di poche settimane, per la gioia della loroprole, i due coniugi finirono con l’affidarsi alla signoraColombo per qualsiasi incombenza. Dal fare la spesa algestire i rapporti coi medici che li avevano in cura, tuttopassava attraverso il suo vaglio sapiente.Durante il terzo mese di permanenza in casa la badanteassunse il controllo delle relazioni intercorrenti tra Marioe la banca di cui era stato fedele cliente per più diquarant’anni. Agnese non aveva mai voluto trattarequestioni di denaro, eppure si sentì esautoratadefinitivamente di qualsiasi autorità familiare.Qualunque mansione caratteristica della padrona dicasa veniva gestita dalla signora Colombo.Puntualmente, impeccabilmente. Lei riscuoteva lepensioni ed il misero affitto percepito per la piccolabottega del panettiere all’angolo della via, acquistatatanto tempo prima per un futuro ufficio di Giovanni, maiaperto.Pertanto, fu profondo lo stupore di Agnese quando siaccorse che il libretto al portatore che Mario le avevadonato un giorno lontano – avvolto da un nastro rossoed un fiocco di raso alto tre dita – non era più nelcassetto del comò in cui era nascosto dal 1973. Forsel’aveva spostato senza rendersene conto, magari gliaveva cambiato nascondiglio e non se ne ricordava.Eppure no, ne era certa, quel libretto non l’aveva maitoccato. Doveva trovarsi al suo posto, sul fondo di queldannato cassetto. Mario non si era mai mosso dal letto.I sospetti potevano ricadere soltanto sulla signoraColombo.Che fare?Se l’avesse accusata, lei si sarebbe infuriata,probabilmente li avrebbe abbandonati. Cosa sarebbestato di loro? Oltretutto non si sentiva sicura, lamemoria era fallace. Si trattava pochi soldi. Dimenticatida tutti. Decise di lasciar perdere.Dopo un periodo di relativa stabilità, Mario prese apeggiorare a vista d’occhio. Appassiva come i fioriassetati del terrazzino esposto a mezzogiorno, inquell’estate che sembrava non aver nessuna intenzionedi placarsi e terminare.Agnese era divenuta sospettosa. Da quella storia dellibretto di risparmio, un tarlo le era entrato in testa,tormentandola. Cercava di tenere d’occhio la signoraColombo che, dal canto suo, si mostrava efficientecome al solito. Soltanto il suo sguardo contenevaqualcosa di diverso, Agnese ne era fermamenteconvinta. Non avrebbe saputo spiegarlo, non ne avevafatto parola con Mario, troppo debole per disturbarlocon quelle nevrosi, eppure avrebbe giurato che negliocchi di quella donna fosse comparso qualcosa dibeffardo.Settembre. L’estate ancora opprimente continuava asoffocare tra le proprie spire la nascita di un autunnoagognato da tutti come una liberazione.Mario non si muoveva e non parlava da nove giorni. Sispense nel letto di ospedale in cui era stato ricoveratodopo l’ennesimo collasso, senza un lamento, una seracome tante altre, tra l’indifferenza degli infermieri cheparlavano del nuovo campionato di calcio ai nastri dipartenza. Spirò senza cercare nessuno, quasi nonavesse voluto arrecare disturbo ulteriore. Troppo caldoper affaticarsi anche morendo.Un prete gentile, che parlava con voce pacata e simuoveva leggero con le mani giunte sopra il petto,suonò all’alba alla porta di casa. Disse che Mario si eraricongiunto ai suoi familiari ed era necessario chequalcuno provvedesse a preparare la salma che giacevasu un ripiano dell’obitorio, sola.Laura si trovava al mare per l’ultimo week end di bagniprima del grigiore autunnale, Giovanni nel letto sfatto diqualche donna distratta. Ad occuparsi delle incombenzedella dipartita, la signora Colombo.Agnese in casa, annichilita dal dolore.Funerale di Mario.I due fratelli rispondevano alle numerose condoglianzecon aria contrita e la piacevole sensazione di avere unpeso in meno da trascinare. Agnese in silenzio, non unalacrima per tutta la funzione, scricciolo di donnastritolato dalle mani forti di una sofferenza che laserrava come una morsa.Nessuno dei propri congiunti si era accorto che, oltre allibretto di risparmio, svariati soprammobili di pregio,oggetti che serbavano memoria di un passatoirrecuperabile, erano spariti dal proprio posto. Agneseavrebbe potuto parlare, avvertire i suoi figli, far cacciarea calci quell’arpia. Ma cosa sarebbe cambiato? Sapevache in cuor loro aspettavano impazientemente anche lasua fine.Qualcosa in lei, vestigia di un pudore inculcato dacentomila generazioni, si sbriciolò nella luce di unmomento. Una convinzione innominabile la avvolse.Odiava i propri figli con ogni cellula del proprio corpoconsumato. E maledisse mille volte sé stessa per averlimessi al mondo.La prima frescura d’ottobre si accompagnò alla richiestadella signora Colombo di incassare la pensione diAgnese e la reversibilità di Mario per versarledirettamente in un conto di sua esclusiva gestione ondefar fronte alle spese condominiali sempre più pressantiche derivavano dal pessimo stato di conservazione delvecchio caseggiato.Una fatica immensa consumava l’anziana donnadall’interno, brace ardente che covava sotto le maceriedella sua vita, sprecata.Agnese resistette per altri due mesi. Interminabili.Fine d’autunno, vento freddo, la prima spolverata dineve acquosa. Da un po’ di tempo Agnese non si alzavaquasi più dalla poltrona di pelle marrone che Mario<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200913


aveva tanto amato. La vecchia signora si nutrivapochissimo, con grande difficoltà. Il suo corpo stavasvanendo, diventando impalpabile.Sentiva tanto freddo a star ferma, tagliuzzata daglispifferi che filtravano dai vecchi infissi, ma non dicevanulla alla badante. Quell’appartamento avrebbe avutobisogno urgente di manutenzione, ma era inutilesollevare la questione. Per i figli sarebbe stato soltantoun inutile spreco di denaro.Un mattino, il viale ancora buio ed addormentato,Agnese sentì un sussulto agitarle il petto. La gola secca,stretta da muchi e tristezza, le gambe rattrappite dallaprolungata stasi. Testa pesante, occhi offuscati dallaluce fioca. Eppure, non era ancora morta. Per chissàquale oscuro processo mentale, le venne in mente diessere stata una bella donna, qualche secolo prima.Sentì il bisogno struggente di sentirsi viva. Ancora unavolta.Sferzata da dolori lancinanti si alzò dalla poltrona tantoamata e si avvolse in una coperta di lana di Donegalstrisciando silenziosa sulle pantofole di feltro sino al suovecchio guardaroba, attuale stanza di servizio dellasignora Colombo.Animata da una sorta di vanità senile Agnese aprì l’antadel grande armadio bianco che la sovrastava, in cercadi uno dei suoi capi migliori, da indossare sopra lavecchia vestaglia bordeaux che non cambiava da più diun mese. Molte grucce spoglie le strozzarono il respiro.Aprì un cassetto, affannata. Poche cianfrusaglie. Il suobellissimo tailleur grigio di lana inglese, sparito.Alla vista delle sue due pellicce – che un tempo eranostate anche belle e che Mario le aveva regalatocolmandola di gioia futile, ma che la fece sentire unavera signora per la prima volta in vita sua – infilate allameglio in un sacco dal quale spuntava anche la teieradel suo servizio di porcellana, non resse. Si accasciò susé stessa emettendo un rantolo soffocato, piegò latesta su di un fianco e cercò intensamente i grandiocchi di Mario.La signora Colombo la ritrovò così, stesa sul pavimentodi marmo, il volto deformato da una smorfia, grigia efloscia come uno straccio vecchio.Inizio dicembre, primo pomeriggio. Luce diffratta dabasse nubi biancastre cariche di minacce. Secondofunerale.L’omelia del prete, interrotta più volte da un grottesco eroboante soffiarsi di nasi, fu rapida come il passo delcorteo che accompagnò la traslazione del feretrosferzato dal vento. Piccoli fiocchi di neve, ghiacciati,graffiavano i dolenti.Laura e Giovanni procedevano in testa. Nelle loro figurela solennità oscura del lutto mescolata al fastidio per lacamminata fuori stagione. In testa, i calcoli sulla piccolaeredità che li attendeva. Una miseria, a loro dire. Giustoil vecchio appartamento da vendere e pochi oggetti divalore da spartirsi. Fraternamente.Indietro, la cerchia di vecchi che aveva posto a rischiociò che restava della propria salute per partecipare alrituale, guidata dal notaio che reggeva tra le mani ungrande mazzo di fiori, sorretto a fatica da una giovanenipote scocciata. Tutti goffamente intabarrati incappotti neri, ondeggianti. Buffi corvi, frettolosi.Il corteo si dispose in cerchio attorno al carro funebre,sulla soglia del grande cancello in ferro battuto chesegnava l’accesso alla spianata oltre la quale si apriva ilcimitero, in attesa della benedizione finale del prete e diuna tazza di tè bollente che riportasse calore nellemembra ed allontanasse i cattivi pensieri.Ad un tratto, l’attenzione di tutti i presenti fu catturatadalla comparsa della signora Colombo, altera edelegantemente avvolta da una pelliccia nera di vecchiotaglio che molti giuravano di aver già visto. Senzariuscire a ricordare dove.La donna porse ai due fratelli, che l’abbracciaronoriconoscenti, le proprie deferenti condoglianze. Conpasso fiero sfilò di fronte all’intera ed ammirataadunanza per andare a baciare per l’ultima volta,devotamente, la sua assistita. Ella procedeva a testaalta, scrutando i volti di tutti. In quella congrega divecchi infreddoliti qualche altro bisognoso di cure cidoveva pur essere.…Grandi Tracce… Grandi Tracce… Grandi Tracce…Giovanni Paolo II / Karol Józef Wojtyła (1920-2005)LA PACE SI COSTRUISCEAprite gli occhi a visioni di pace!Parlate un linguaggio di pace!Fate gesti di pace!Perché lo pratica della paceporta alla pace.La pace si rivela e si offrea coloro che realizzano,giorno dopo giorno,tutte quelle forme di pacedi cui sono capaci.Giovanni Papini (1881-1956)PERDONA LOROGesù sente per tutto il corpo una languidezza,un tremore, un desiderio di requie al qualeresiste con tutta l’anima, non ha promessodi patire quant’è necessario, fin all’ultimo?E nello stesso tempo gli sembra d’amar con piùstruggente tenerezza quelli che lascia, anchequelli che lavorano per la sua morte. E dal fondodell’anima, quasi un canto di vittoria sulla carnetronca e stracca, gli salgono le parole chenon scorderemo mai; «Padre, perdona loroperchè non sanno quello che fanno!.» Ora hariconfermato, sul punto della morte, il suodivino e difficile insegnamento: l’amore peri nemici, e può tender le mani al martello.Andrea Zanzotto (1921-)ELEGIA PASQUALEPasqua ventosa che sali ai crocifissicon tutto il tuo pallore disperato,dov’è il crudo preludio del sole?e la rosa la vaga profezia?Dagli orti di marmoecco l’agnello flagellatoa brucare scarsa primavera14<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


e illumina i mali dei mortipasqua ventosa che i mali fa più acutiE se è vero che oppresso mi composeroa questo tempo vuotoper l’esaltazione del domani,ho tanto desideratoquesta ghirlanda di vento e di salequeste pendici che lenironoil mio corpo ferita di cristallo;ho consumato purissimo paneDiscrete febbri screpolano la lucedi tutte le pendici della pasqua,svenano il vino gelido dell’odio;è mia questa inquietaGerusalemme di residue nevi,il belletto s’accumula nellestanze nelle gabbie spalancatedove grandi uccelli covaronocolori d’uova e di rosei regali,e il cielo e il mondo è l’indegno sacrariodei propri lievi silenzi.Crocifissa ai raggi ultimi è l’ombrale bocche non sono che sanguei cuori non sono che nevele mani sono immaginiinferme della serache miti vittime cela nel seno.DIARIO DI LETTURA & PRESENTAZIONI____________Galleria Letteraria & Culturale Ungherese____________Lirica unghereseIfj. Ábrányi Emil (1850-1920)CREDOBár napról napra látomHogy mennyi szenvedésÖl, rombol a világonS a boldog mily kevés;Bár győz a jóval szembenAz aljas, a hamis,S e véres küzdelembenTántorgok magam is:Míg lesz e durva földönEgy szép emberi tett:A gyászt még fel nem öltömS ünneplem a hitet.Amíg lesz könnyem, vérem,Míg lelkemet tudom:Mindig a jót remélemS a rosszat siratom!Junior Emil Ábrányi (1850-1920)CREDOMalgrado vedo ogni giornoQuanta sofferenzaUccide, distrugge nel mondoE la gente gaia è rara;Malgrado che il vile e il falsoTrionfano sul bene,E anch’io stesso brancoloIn questo cruento duello:Finché questa rude terra avràUna bell’azione umana:Non indosso ancora abito neroE faccio festa per il credo.Finché avrò lacrime, sangue,Finché avrò respiro:Spero sempre il beneE piangerò il male!Traduzione di © Melinda B. Tamás-TarrKosztolányi Dezső (1885-1936)BOLDOG, SZOMORÚ DALVan már kenyerem, borom is van,van gyermekem és feleségem.Szívem minek is szomorítsam?Van mindig elég eleségem.Van kertem, a kertre rogyó fáksuttogva hajolnak utamra,és benn a dió, mogyoró, mákterhétől öregbül a kamra.Van egyszerű, jó takaróm is,telefonom, úti bőröndöm,van jó-szivű jót-akaróm is,Dezső Kosztolányi (1885-1936)PAGO, TRISTE CANTOHo già pane, ho vino pure,ho prole e anche coniuge.Perché affliggere mio cuore?Ho sempre qualcosa da sfamarmi.Ho giardino, addosso alberi piegatisi chinano frusciando sulla mia viae dentro la dispensa s’avanza negli anniche è piena di noci, avellane, papaveri.Ho anche una semplice, buona coltre,un telefono, un bagaglio per viaggiare.Ho anche un benefattore di buon cuores nem kell kegyekért könyörögnöm.Nem többet az egykori köd-kép,<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200915


észegje a ködnek, a könnynek,ha néha magam köszönök még,már sokszor előre köszönnek.Van villanyom, izzik a villany,tárcám van igaz színezüstből,tollam, ceruzám vígan illan,szájamban öreg pipa füstöl.Fürdő van, üdíteni testem,langy téa beteg idegeimnek,ha járok a bús Budapesten,nem tudnak egész idegennek.Mit eldalolok, az a bánatkönnyekbe borít nem egy orcát,és énekes ifjú fiánakvall engem a vén Magyarország.De néha megállok az éjen,gyötrődve, halálba hanyatlón,úgy ásom a kincset a mélyen,a kincset, a régit, a padlón,mint lázbeteg, aki föleszmél,álmát hüvelyezve, zavartan,kezem kotorászva keresgél,hogy jaj, valaha mit akartam.Mert nincs meg a kincs, mire vágytam,a kincs, amiért porig égtem.Itthon vagyok itt e világban,s már nem vagyok otthon az égben.Non c’è più l’ombra opaca di altri istanti,né l’uomo ebbro di nebbia e di pianti,se io rivolgo il saluto persino raramentemolte volte nel saluto mi precede già la gente.Ho la luce elettrica che lumeggia rovente,ho un portatabacco di puro argento,i miei penna e lapis solcano con scatto contento,la vecchia pipa tra le mie labbra spande fumo.C’è un bagno per refrigerare mio corpo,per i miei nervi doloranti tiepido tèe quando passo a Budapest resa tristedel tutto ignoto non mi guarda la gente.È la tristezza quello che cantoche con lacrime avvolge non solo un voltoe la vecchia Ungheria mi riconoscecome un suo giovine figlio cantatore.Ma qualche volta mi fermo la nottetormentando, declinando verso la morte,così scavo il tesoro nel fondo,il tesoro, quel vecchio, sul pavimentocome un malato febbricitante che torna a sésbrogliandosi dal suo sogno, turbato,la mia mano cerca frugando:ahimè, già, una volta che cosa ho agognato?Perché non c’è il tesoro che ho anelato,il tesoro per cui fino alle ceneri mi son bruciato.Sono a casa qui, in questo mondo terrestree non sono già a casa nella volta celeste.Traduzione di © Melinda B. Tamás-TarrE non devo supplicare alcun favore.Tóth Erzsébet (1951) — Budapest (H)KATYŃ FÖLDJÉ<strong>NN</strong>ézd, virágok nőnek itt is, a fák hűvösében.Pici kéket, sárgát kaptak a színek angyalától,Tudják, ennyivel kell gazdálkodniuk.Édes gombán, párolgó avaron csigák lakmároznak.Míg szét nem roppantja őket vaddisznó, emberi láb,Ki nem szippantja őket házukból egy éhes rigó.Ennyi az élet, tudnod kell, noha ember vagy,A föld megsüllyedhet alattad bármely pillanatban.Itt, hol a föld lengyel tisztek vérével keveredett,Arcukat, szemük fényét, utolsó feljegyzéseiket író,Simogatásról álmodó kezüket adták a földnek,Tekintetük nem hitte el, hogy velük ez megtörténhet.Nem szökhet el, aki Lengyelországnak tett esküt,Hallották a feleségek, anyák, a gyermekek.Hallották húsz, harminc, ötven éven át.És bocsáss meg az ellenünk vétkezőknek – szól az ima.Imádság szavára dörrentek a tarkón lövések.Odabuktak a gödörbe, társaik mellé,Egymásra dobált, még meleg férfitetemek vártakUtolsó nyöszörgő szájak: Jaj, Istenem, édesanyám.Csuklóra tekert rózsafüzérek.Mennyi föld kell eltakarni huszonötezer halottat?Nem volt gyertya, virág, imádság fölöttük,Erzsébet Tóth (1951) — Budapest (H)SUL SUOLO DI KATYN¹Guarda, fiori nascono anche qui, nell’ombra degli alberi.L’angelo dei colori gli ha donato un po’ d’azzurro e gial-[lo.Sanno che devono usarne solo poco.I dolci funghi e fumose foglie morte saziano le lumache,Finché le zampe dei cinghiali o i piedi umani non le di-[stolgono,Finché un merlo affamato non le succhia dal loro gu-[scio.La vita è così breve, devi sapere anche se sei un uomo,La terra può crollarti addosso in qualunque momento.Qui, ove la terra è bagnata dal sangue dei soldati po-[lacchiChe alla terra hanno donato il loro volto, la luce degli[occhi,Le mani scriventi le ultime righe e desideranti carezze,I loro sguardi diffidavano che anche a loro potesse toc-[care.Colui che ha giurato alla Polonia, non può più fuggire,Lo sentivano le mogli, le madri ed i bambini.Lo udivano da venti, trenta, cinquanta anni,E rimetti i nostri debitori – enuncia la preghiera.Per le preghiere centrando la nuca spari tuonavanoCaddero nella fossa accanto ai compagni d’armi fred-A mécses a távoli kedvesek szemében égett.16<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


Végtelen imádság lett az életük.Csöndmérgezte hónapok, évek, elszáradt remény.A halált ők nem élték meg, a halál nem része azÉletnek. A gyalázat is az élőkre várt, a szégyen, élni[tovább...És jő a béke, a hazugságot hazugságra halmozó.A tömeggyilkosnak nincs arca, hogy felelhetne.A föld nem válogat. Új virágot növeszt bűnösökÉs ártatlanok vére. Az óra örökké lengyel időt mutat.A XVI. Salvatore QuasimodoKöltőversenyen, Balatonfüreden2008. szeptember 6-án a fentikölteményért szerzője FrancoCajanitól, a nemzetközi zsürielnökétől Salvatore QuasimodoOklevelet kapott. – Tóth Erzsébet1951-ben született Tatabányán,szabadfoglalkozású újságíró.Legutóbbi kötete: Rossz környék.(2004) Irodalmi díjai: József Attiladíj(1995), Arany János jutalom (1999), az Év Könyvedíj(2001).Megjelent: Irodalmi Jelen 8. évf. 83. szám, 5. old. (2008.szept.) Szerk. Mgj.: Veszprémi levelezőnk, Dr. PaczolayGyula PhD, tavaly szeptemberben, a fenti díjról szóló hírmegjelenése után azonnal eljuttatta a verset, amit hálásanköszönünk. A verset a Szerző beleegyezésével közöljük.[dati,Corpi maschili ammassati ancor caldi attendevanoGli ultimi gemiti delle labbra: Oh Dio mio, oh madre[mia!Ecco sui polsi i rosari avvolti.Quanta terra serve per coprir 25 mila morti?Sopra di loro mancavano candele, fiori, preghiere,La lucerna brillava negli occhi delle distanti amate.La loro esistenza divenne una preghiera infinita.Mesi, anni erano dannati dal silenzio, dalla speranza[svanita.Loro non hanno vissuto la morte: non fa parte dell’es-[sere,L’onta spettava ai viventi e vergogna per sopravvivere…E la pace è arrivata accumulando bugie ricorrenti.L’assassino non ha la faccia per poter rispondere.La terra non fa eccezioni. Il sangue dei criminali e inno-[centiFa crescere fiori nuovi. L’orologio mostra l’ora polacca[per sempre.¹ N.d.T. In ricordo dell’olocausto dei soldati polacchitrucidati a Katyin (in polacco Katyń) in Ucraina dai russiper ordine di Stalin, durante la seconda guerramondiale.Traduzione di © Melinda B. Tamás-TarrN. d. R.: Il 6 settembre 2008 a Balatonfüred Franco Cajani, presidente della giuria internazionale del XVI Premio Poesia«Salvatore Quasimodo», ha consegnato il Diploma d’Onore all’Autrice per questa lirica. Erzsébet Tóth è nata nel 1951 aTatabánya, è giornalista libera professionista. Il suo ultimo volume di poesie è: Malambiente (2004.) Premi letterari ricevuti:Premio Attila József (1995), Premio János Arany (1999), il Premio del Libro dell’Anno (2001).È apparsa sul Presente Letterario (Irodalmi Jelen), Anno VIII. N. 83, p. 5, (settembre 2008). Il nostro corrispondente diVeszprém, Dr. Gyula Paczolay PhD ha immediatamente fatto pervenire – nel mese di settembre dell’anno scorso – questapoesia e La ringraziamo di cuore. La pubblichiamo con l’accordo dell’Autrice.Prosa unghereseDezső Kosztolányi (1885-1936)LA SEDIA ROSSADurante l’agonia di mio fratellopiù piccolo la nostra stanza fucompletamente trasformata.Nostra madre fece spostare ildivano nell’altra stanza, illampadario fu staccato dal soffittoper non disturbare gli occhi delpiccolo malato e su ordine del medico fu fatto girarepersino lo specchio. Vi rimase solo un letto da campoper quelli che assistettero il malato di notte, e una sediarossa. Mia madre trascorreva le notti seduta su questasedia. Era fatta di sottili fili di bambù, trasferita percaso dal giardino nella stanza del malato, ci si potevaaccucciare bene però se si voleva passare svegli lanotte. La persona che la usava di notte di solito laportava vicino la stufa per riscaldare le mani ghiacciatee tremanti. Dovevamo cambiare continuamente lepezze al malato. Verso l’alba anch’io mi assopivo spessosulla sedia rossa.Non sapevo ancora cosa sarebbe successo. Era unpezzo di mobilio come il letto da campo, l’orologio, iltavolo o la grande credenza di fronte al letto di miofratello, nell’angolo opposto della stanza. Eppure avevala fama di essere stregata.Al secondo giorno della malattia mio fratello si sedettenel letto e sussurrò con un filo di voce:«Sta lampeggiando.»Erano le dieci del mattino. Non posso dimenticarel’incomprensibile raccapriccio che mi risalì lungo la spinadorsale quando sentii per la prima volta la sua vocemutata, tremebonda, delirante. Il cortile era innevato.Una fredda luce invernale illuminava la stanza. Inquell’attimo sembrò particolarmente spaventoso enaturale che vedesse dei lampi. Ci scambiammo sguardispaventati. I suoi occhi, i suoi begli occhi azzurri eintelligenti erano distorti.17<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


Non riprese più conoscenza. Le prime ore furonoterribili. Poi però pian piano ci abituammo a lui.Pranzavamo nell’altra stanza. All’inizio in silenzio, poiperò c’era anche del vino in tavola, parlavamotranquillamente e ci arrendevamo all’immutabile. Lapiccola serva rimaneva al suo letto e gli metteva pezzefredde sulla testa.I giorni invernali bianchi, brinati e molto luminosi sitrascinavano monotoni. La mattina si cambiava l’arianella stanza del malato che veniva messo seduto percambiargli la veste. A volte chiedeva la bacinella perlavarsi. Si insaponava con cura maniacale le lunghe ditadimagrite che erano fin troppo pulite e si guardava ilviso smagrito nello specchietto. Mia madre prendeva laspazzola e il pettine e gli sistemava i capelli. In questicasi piangeva. I capelli senza vita che si appiattivanosenza ribellarsi sulla testa assalita dalla febbre lefacevano venire in mente che i capelli di un morto sonotanto docili, così privi di vita, e irrompeva nella stanzapiangendo ad alta voce come se avesse pettinato unmorto. Le pulizie del mattino davano un po’ di sollievo amio fratello. Si abbandonava ansimante, stanco, quasifelice sui cuscini bianchi. Aspettava con le maniincrociate. Il medico arrivava verso le nove, fresco,pieno di salute e con il viso rubizzo dal freddo. La suaquiete saggia trasmetteva qualche attimo di tranquillitàanche a noi. Poi la stanza cominciava a riscaldarsi, irumori, i lievi suoni, battiti e fremiti della vita quotidianadiventavano più forti, e con la polvere, il calore e la lucesgusciavano fuori gli incubi ardenti della febbre daicantoni della stanza, da dietro gli armadi, i tavoli e lesedie. Verso mezzogiorno il viso di mio fratello era giàchiazzato di rosso e delirava. I pomeriggi erano ancorapiù terribili. Alle tre dovevamo accendere la lampada ela stanza si riempiva di ombre, fasci di luce e di falseillusioni. La notte si avvicinava e la aspettavamoimpazienti, ansiosi, con i nervi tesi. Il malato siguardava intorno, raspava sull’imbottita e allungava ilcollo come se volesse sporgersi da un pozzo profondo,spaventoso. Parlava incessantemente. Lo ascoltavamoin silenzio, stanchi, rintontiti e intorpiditi dalle parolespaventose e senza senso; ci sorprendeva chel’irragionevolezza della febbre non avesse storditoanche noi. Così passavano le giornate.In un pomeriggio infelice, nero mia madre entrò inlacrime nell’altra stanza.«È spaventoso.»«Che cosa?» domandai impallidito.Mia madre scoppiò a piangere, poi premette ilfazzoletto sulla bocca.«Delira… Delira sempre… Non ce la faccio più…»Guardai mia madre con aria interrogativa.«Oggi è particolarmente agitato. Che sguardo! E comeurla! Se lo sentissi! Parla sempre della sedia rossa.»«Della sedia rossa?»«Sì.»Entrai nella camera avvolta nella penombra. Mi colpìl’aria calda, pesante e l’odore dei medicinali. Mio fratellofarneticava nel letto, poggiato sui gomiti. Mi guardava erideva:«Dov’è la sedia rossa?»«Eccola, non la vedi?» risposi tranquillo. «Cosa ne vuoifare?»Rabbrividii.Il malato prese a scuotere la testa e si distese, ma soloper un attimo. Si mise seduto di nuovo e sforzò gliocchi nel tentativo di avvistarla.«Dove sta? Portatela qui.»Gliela misi davanti e lui la tastò.«Ma è imbrattata di sangue» disse piano. «Non faniente… basta che rimanga qui.»Quel giorno parlò sempre e soltanto della sedia rossa.Raccontò storie confuse come quelle che leggiamo neiromanzi del brivido. A volte mi impressionai anch’io. Erail luogo dove i deliri si davano appuntamento, dovelottavano mostruosi giganti delle tenebre, saltellavanostreghe nere con la testa fatta di carne cruda esanguinolenta. Credevo che per l’indomani l’avrebbedimenticata. Non era così, ne parlava già la mattina. Ilmedico scuoteva il capo in segno di sconcerto.Il terzo giorno mio padre portò via la sedia dallacamera. Un’ora dopo però dovemmo riportarla, perchémio fratello la stava cercando. La mettemmo davanti alsuo letto e lui la abbracciò con attaccamento amoroso,poi si allontanò come se avesse paura e iniziò apiangere piano, disperato. La fissò, la implorò, le parlòe si lamentò. Non sapevamo perché. Mia madrecamminava su e giù per l’altra camera e non osavaguardare la sedia rossa. A volte, mentre di notte facevocompagnia al malato, anch’io venivo preso dal terrore.Mio fratello morì una settimana dopo. Lo stendemmonell’altra camera e tutti noi sentimmo una tristezzamite, lacrimosa, priva di dolore. Avvertivamo un leggerosollievo acquietante e sonnolento come quando ci silibera di un grosso peso. I funerali si svolsero nel primopomeriggio. Tornammo a casa provati. Nella porta unaserva ci porse una bacinella piena d’acqua dove lavarcile mani seguendo un’antica superstizione: per evitareche presto ci fosse un altro lutto in casa. Ci aspettava latavola apparecchiata per una merenda con il cioccolatocaldo.Prima però andai in camera per cambiarmi d’abito.Era in disordine. In mezzo ai mobili affastellati trovai illavabo con difficoltà. Fra i tavoli, gli specchi, labiancheria da letto c’era però la sedia rossa. Mi sedettisul divano e la fissai a lungo. Brillava allegra nellasobria luce pomeridiana. Emanava la quiete dei mobili.Le sue linee esercitavano un effetto distensivo sui mieinervi scossi. Era un pezzo di mobilio come gli altri.Chissà che cosa l’aveva attratto. Aveva forse un segretooppure ero io a non conoscere mio fratello? Oppure erastata la pazzia della febbre a scegliere casualmentequella sedia da giardino, per suonare folli, straniditirambi malati sull’arpa dei suoi fili di bambù? Chi losa. Ora giace morta, senza più un’anima. Il violino diPaganini doveva giacere così quando le dita delmaestro erano già irrigidite dal torpore giallo dellamorte…1908Traduzione © di Andrea Rényi18<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


István Monok*QUESTIONI APERTE NELLA STORIA DELLA BI-BLIOTHECA CORVINIANA AGLI ALBORI DELL’E-TÀ MODERNALa storiografia della biblioteca del re Mattia non è maistata veramente esaminata dalla letteraturaspecializzata in nessun periodo relativamente vicino allasua epoca. I dati scoperti da più generazioni di studiosisono stati riassunti da Klára Zolnai nella sua bibliografiain seguito alle commemorazioni del 450° anniversariodella morte del re Mattia 1 . Detto volume e uno dei puntidi partenza nella storia della ricerca della BibliothecaCorviniana, ma è nello stesso tempo anche l’inizio diuna nuova classificazione. Csaba Csapodi e sua moglie,Klára Gárdonyi, hanno consultato la maggior parte dellecorvine, analizzandole attentamente. Seguendo la storiadi tutti i codici e degli incunaboli menzionati a propositodella biblioteca di Mattia, hanno dato una rispostachiara alle numerosissime domande filologiche 2 . Si sonooccupati anche della sorte delle corvine nel corso deisecoli XVI e XVII in più saggi 3 , anche riassuntivi, comenel volume che tratta dei codici trovati a Buda dalletruppe cristiane dopo la cacciata dei Turchi 4 .Tutti gli studiosi, specializzati in materia, che hannoscritto nel corso degli ultimi cinquanta anni sulle corvinenei due secoli successivi alla morte di Mattia, inclusoanche Csapodi, hanno considerato come punto diriferimento le brevi annotazioni del libro già menzionatodi Klára Zolnai. Dette annotazioni sono corrette, ma nonpossono evidentemente sostituire le fonti originarie esoprattutto non sono adatte a riprodurre il percorsoSaggistica unghereseche, partendo dal testo originale, tramite diversi daticome diari, prefazioni, lettere, ecc., porta allaricostruzione di tutta la storia della nascita del testostesso esaminato in profondità, vale a dire come siarriva a menzionare la biblioteca distrutta. Consultandoun po’ più approfonditamente la storia di un qualsiasicodice corviniano, dobbiamo risalire per forza sia alleannotazioni o spiegazioni delle pubblicazioni del secoloXVI che ai libri editi nella stessa epoca. È ovvio che iricercatori ungheresi della storia del libro abbiano comescopo anche quello di compilare una raccolta di testi dilivello critico, cioè di pubblicare un nuovo “volume allaZolnai”, pur mantenendo la struttura di quest’ultimo 5 . Ilfine del nostro articolo non è più di dimostrare ilpossibile funzionamento del metodo sopraindicato,tramite la rappresentazione di due dei documentiattinenti alla storia della Corvina nel corso dei secoli XVIe XVII, e di proporre nuovi punti di vista per farlioggetto di considerazione nella riproduzione della storiadella biblioteca nell’arco temporale trattato, ma el’indicazione di un’altra via possibile della ricerca persintetizzare le conclusioni ottenute con la scoperta didocumenti relativi, e cioè come gli stessi contemporaneiguardavano la raccolta che già ai loro tempi avevavalore simbolico e come la videro andare in rovina. Nelcatalogo della mostra organizzata per il Bicentenariodella Biblioteca Nazionale, Árpád Mikó ha trattato Lestorie della Bibliotheca Corviniana 6 , non esaminandoperò di proposito i secoli XVI e XVII. Taleatteggiamento di studioso si spiega presumibilmentecon la mancanza delle ricerche di base, o forse contutt’altro motivo: le intenzioni e i legami politici deipersonaggi della storia della Corvina erano molto menodiretti di quelli delle epoche successive.Non posso nascondere le mie aspettative per quantoriguarda l’impresa del progetto “Europa humanistica”del Centre National de Recherche Scientifique, Institutde Recherche et d’Histoire des Textes (Francia). Ilprogetto internazionale di ricerca intende compilare uninventario il più possibile completo di tutte le personevissute fino al 1600, che avevano un ruolo nelpubblicare e tradurre o, nel senso più vasto dellaparola, nel trasmettere o lasciare in eredità testi datatiprima del 1500 7 . Le prefazioni delle edizioni dei testisaranno pubblicate anche in extenso nella collana cheporterà il titolo del programma stesso. Tutto questodesta la speranza anche in una migliore conoscenza siadella sorte che dell’influsso della Bibliotheca Corviniananel secolo XVI 8 .Riprendendo il filo della storia della BibliothecaCorviniana, possiamo osservare che l’arco temporale deisecoli XVI e XVII sostanzialmente e diviso in 4 parti, siada Zolnai che da Csapodi, come segue: il periodo dellarovina dopo la presa di Buda, il periodo delleinformazioni sulla presenza di un numero considerevoledi codici a Buda nell’ultimo terzo del secolo XVI, ilperiodo dei tentativi di recupero delle corvine dellaprima metà del secolo XVII e quello relativo all’agoniadel materiale librario dopo la cacciata dei Turchi.Per quanto riguarda il primo periodo abbiamo numerosefonti narrative che descrivono la distruzione dellabiblioteca usando i metodi della retorica umanistica<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200919


(come Ursinus Velinus, Miklós Oláh, Martin Brenner,Johannes Alexander Brasiccanus ecc.) 9 . Per il secondoperiodo, alla fine del secolo XVI diventano piùnumerose le fonti che parlano dell’eventuale esistenzadella biblioteca o almeno ipotizzano l’esistenza a Budadi un numero considerevole di codici (David Ungnad,Stefan Gerlach, Salomon Schweiger, Reinold Libenauecc.) 10 . Appartengono a questo gruppo di documentianche le note di István Szamosközy, che non potevanoancora essere note a Csapodi. Secondo la nostraopinione la rappresentazione della fonte menzionata edi particolare importanza anche dal punto di vista dellametodologia della ricerca.Su István Szamosközy 11 e sulle fonti transilvane dellaBibliotheca Corviniana abbiamo dato una breve notiziadopo esser riusciti a scoprire un’opera di filosofia storicafinora sconosciuta di questo studioso 12 . In questa operaappartenente al genere ars historica, l’autore paragonagli scritti storici ungheresi di Antonio Bonfini a quelli diGiovanni Michele Bruto dal punto di vista dellametodologia 13 . Szamosközy ha scritto questo volumeper provare al Principe Sigismondo Báthory di doverstampare l’opera manoscritta di Bruto perché nonandasse perduta o distrutta e perché anche legenerazioni future potessero consultarla 14 .L’ars historica già menzionata, ma finora non valutatanella storia della Corvina di István Szamosközy,asserisce: «Multa inopinata accidere possunt, quaeimbecillo librorum generi cladem ab omni aevointulerunt, et nunc inferre possunt incendia, vastitates,blattae, incuria, rapinae, ac in summa punctumtemporum quodlibet, quo vel maximarum rerummomenta vertuntur. Sic perierunt darissimi librorumthesauri Philadelphi et Pergamenorum Regum: sicinteriit nobilis illa et memoratissima Matthiae RegisBibliotheca Budae, multis millibus voluminum referta, excuius clade Heliodorus Aethiopicae historiae author,Stephanus Geographus, Polybius, Diodorus Siculus,Titus Alexander Cortesius de laubibus Matthiae Regis,Bonfinius de pudicitia coniugali, Crastonius Gorippus quilibros Joannidos scripsit, et quidam alii, velut ex mortuisredivivi fortuna quapiam conservati nuperrime in lucemprodierunt» 15 .L’espressione (nuperrime in lucem prodierunt) “appenavenuto alla luce”, come chiusura della parte citata,rende evidente che Szamosközy conosceva operestampate pubblicate in base alle corvine. Partendo daquanto detto sopra, le nostre ricerche basate sullabibliologia corviniana dimostrano una perfetta sintoniacon i risultati già conosciuti di codici ancora esistenti.L’opera di Eliodoro Aithiopikés historias biblia X è statapubblicata da Vincentius Obsopoeus in baseall’esemplare della Corvina (Basilea 1534). Secondo latestimonianza delle note del possessore, il codice epervenuto al duca bavarese Albrecht V nel 1577 tramiteJoachim Camerarius 16 . La Historia di Polibio ci e rimastanello stesso volume in lingua greca, ma nella bibliotecadi Mattia se ne aveva anche la traduzione latina fatta daNicolaus Perottus. Quest’ultima è stata donata da uncerto Ibrachim Machar al suo Sultano nel 1558/59 el’abbiamo riavuta qui, in Ungheria, solo nel 1869 17 .Anche la prima edizione in lingua greca di Polibio(Hagenau 1530) è basata su un testo corviniano 18 .Anche l’opera Bibliothéké di Diodoro Siculo è stata perla prima volta pubblicata in lingua originale in base auna corvina da Obsopoeus (Basilea 1539) 19 , equest’ultimo (non conoscendo la prima edizione –Hagenau 1531) ha stampato per la seconda voltal’opera di Cortesius usando il manoscritto pervenutoglitramite Giovanni Corvino, la sua vedova ed infine il suosecondo marito György Brandeburgo. 20 L’opera diAntonio Bonfini Symposion de virginitate et pudidtiaconiugali è stata probabilmente portata da Buda aNapoli dalla regina Beatrice, dove l’ha venduta aJohannes Sambucus. In tal modo l’editto princepsdell’opera in questione (Basilea 1572) e stata stampatain base all’esemplare della biblioteca della reginaBeatrice, e cioe, in base a una corvina. 21Non sono inventariate dalla letteratura relativa allaricerca dei codici corviniani come corvine esistenti leopere di altri due autori, Corippus e StephanusGeographus. Tenendo presente che l’interesse per lacodicologia dell’umanista transilvano Szamosközy ètestimoniato anche da una corvina da lui posseduta 22(era attento alle differenze fra le edizioni dei testiantichi ed umanistici e fra i manoscritti eventualmenteritrovati 23 , alle forme dei nomi, ecc.), non èassolutamente escluso che i riferimenti ai volumi dellaleggendaria raccolta del grande re siano rimasti nellasua memoria e che li potesse enumerare anche senzatirare fuori le opere stesse.Si richiedeva una riflessione più approfondita, ma con lapromessa nello stesso tempo di risultati molto piùinteressanti circa l’indagine su questi due autori, le cuiopere esistenti sono note alla letteratura della ricerca, ecioè, «Crastonius Gorippus (sic!) qui libros Joannidosscripsit» e Stephanus Geographus. In questi due casipossiamo affermare non soltanto che, grazie all’attivitàdi Szamosközy, abbiamo arricchito di pezzi nuovi lafamosa raccolta, ma che nello stesso tempo dobbiamoaffrontare ancora altri problemi. Il problema-Corippus:Flavius Cresconius Corippus è un poeta del secolo VI, dicui conosciamo una sola opera: De laudibus IustiniAugusti Minoris heroico carmine libri III tranne quellaIohannis, seu de bellis Lybicis menzionata dall’archivistadi Gyulafehérvár. Come testo, Szamosközy potevaconoscere eventualmente soltanto quello precedente,edito da Michael Ruiz nel 1581 ad Anversa. 24 Tuttoquesto in realtà non è neppure probabile. Conoscendol’edizione citata, non avrebbe mai usato il nomedell’autore nella forma scorretta. Prima di far conoscerequale poteva essere la fonte per Szamosközy,dobbiamo menzionare che “il problema-Corippus” (sel’opera in questione è una corvina o meno e dove lacustodiscono attualmente) ha una vastissimaletteratura. Riassumendone una parte 25 Csapodi haaffermato che il codice posseduto dalla BibliotecaTrivulziana di Milano, è ritenuto da molti una corvina,non ha mai fatto parte della biblioteca di Mattia. Inquesta sua affermazione Csapodi ripete la presa diposizione degli editori di testi di lohannis 26 ; la variantedi Buda la conoscono tutti dal racconto di JohannesCuspinianus. È stata questa la nota familiare anche aSzamosközy, ma possiamo aggiungere anche notizie piùconcrete relative all’edizione di Nicolaus Gerbelius 27 ,nella quale Gerbelius ha pubblicato anche un catalogodei nomi da lui menzionati. Troviamo addirittura inquest’edizione parola per parola quanto citato anche da20<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


Szamosközy, tranne il curriculum di Cuspinianus:«Crastonius Gorippus (!), qui libros Iohannidos scripsit,qui habentur in Bibiliotheca Budensi». Dobbiamo peròdire che Szamosközy non era il solo a credere che ilnome da lui usato fosse quello giusto, perché lotroviamo nella stessa forma sbagliata nellaconosciutissima Bibliotheca universalis di ConradGesner e non è cambiato nemmeno nelle edizioni acura di Josias Simmler e Johann Jacob Frisius diGesner. 28 Lo storiografo transilvano avrebbe potutoprendere il nome anche da loro, ma come abbiamo giàsottolineato, possiamo essere quasi sicuri che lui nonconoscesse il catalogo dei nomi di Gerbelius. StephanusGeographus: Secondo ogni probabilità Szamosközy usail nome dell’autore nella forma citata, perché sia per luiche per i suoi contemporanei era del tutto evidentequale “Stephanus” s’intendes se con questo nome. Èprobabile che si trattasse di Stephanus Byzantinus del Vsecolo, che scrisse il suo lessico geografico intitolatoEthnika (nella traduzione latina: De urbibus et populis],che e risultato una fonte inesauribile sia per gli umanistiche per i ricercatori dei giorni nostri per conoscerealcuni episodi attinenti alla geografia o alla storia dellaloro patria. 29 La letteratura, a tutt’oggi vastissima, dellaricerca della Corvina è però priva di dati relativiall’eventuale esistenza di questa opera famosa nellaraccolta di Buda e non siamo riusciti nemmeno aricevere una risposta alla domanda, su come potevaconoscerla Szamosközy. Non è discutibile che neconosciamo anche tre edizioni cinquecentesche, 30 ma innessuna di queste ci sono tracce che indichino che laloro base sia stata una corvina. Non si legge di questoné nelle prefazioni delle edizioni posteriori 31 nénell’editto finora ritenuta la migliore. 32Szamosközy ha visto il codice? Se pensiamo inparticolare ai numerosi esemplari rimasti in Italia di taleopera, per esempio, in primo luogo, a quello custoditopresso la Biblioteca Trivulziana, 33 teoreticamente nonpossiamo escludere questa possibilità.Riteniamo importantissimo ricordare chenell’Österreichische Nationalbibliothek si custodisce unacopia acquistata da Sebastian Tegnagel, 34 e che volumidella stessa provenienza vengono elencati anche daCsapodi, sebbene trattati entrambi come “corvinediscutibili”. 35In tale situazione siamo costretti a mettere per iscrittodelle ipotesi. Ci pare evidentemente più logico supporreche nonostante i risultati “negativi” delle fonticonsultate, Szamosközy ha comunque preso la suainformazione da un’opera a stampa. Non è escluso cheprovengano da una voce “Stephanus Byzantinus” di unodei lessici dell’epoca, dove si faceva accenno allapresenza dell’opera in questione nella Corvina.Non possiamo escludere però nemmeno la possibilitàche il nostro storiografo abbia preso da tutt’altra fontela sua informazione relativa alla presenza nella Corvinadel lessico geografico. È così presumibile anche che,nonostante il fatto che le edizioni cinquecentesche equelle posteriori in realtà non siano state pubblicate inbase al manoscritto della biblioteca di Mattia,Szamosközy abbia messo le loro pubblicazioni incontatto con la sua informazione relativa all’esistenzadel codice. È supponibile anche per questo che loscrittore dell’ars historica abbia eventualmente visto ilcodice stesso.Consultando sette codici abbiamo dovuto affrontare unsolo caso in cui la domanda sulla provenienzadell’informazione di Szamosközy è rimasta senzarisposta. Questo fatto negativo ci dimostra addiritturache, studiando sistematicamente le prefazioni di tutte leedizioni dei testi antichi connessi in qualsiasi modo conla Corvina, si ottiene un quadro molto più concreto delmodo di pensare degli umanisti europei su questabiblioteca andata distrutta. Le conoscenzesoprammenzionate erano a disposizione di tutti coloroche, per vari motivi, volevano ricostruire la biblioteca diMattia. Tali tentativi si conoscono già a partire dalsecolo XVII.Nel presente articolo mettiamo in rilievo i documentiche sono connessi con l’acquisizione dei libri da partedell’ordine dei Gesuiti.Il conte e condottiero austriaco Michael Rudolf Altham(1574-1638) e ambasciatore di Mattia II presso la cortedei Turchi e presso il principe Gabriele Bethlen inTransilvania. 36 L’8 aprile 1618 il conte scrive al Papa perpromuovere lo scambio dei libri turchi della bibliotecaprincipesca toscana con quelli della biblioteca di Buda. 37Successivamente troviamo delle lettere chetestimoniano che anche l’ordine dei Gesuiti si mobilitaper ottenere lo stesso scopo. Muzio Vitelleschi, generaledell’ordine dei Gesuiti, nella sua lettera dell’8 giugno1618 a Florianus Avancinus, rettore del Collegio deiGesuiti di Vienna, esprime i suoi dubbi relativi alsuccesso dell’iniziativa. Non crede che la biblioteca diBuda sia acquisibile tramite uno scambio con i libriturchi posseduti dal duca toscano Cosimo II Medici(1590-1621), ma se il Papa non vuole scrivere al Duca,lui, il Vitelleschi, si rende disponibile a farlo. 38Lo stesso Vitelleschi scrive anche la lettera successiva,del 19 giugno 1618, all’ambasciatore di Vienna delSultano, Caspar Gratiani, 39 comunicando di averprovato di intercedere presso il Papa, che però noninterverrebbe volentieri nell’affare. Conoscendo l’amoreper gli oggetti dell’antichità del Granduca, il SantoPadre eviterebbe una situazione scomoda per tutti edue e cioè l’eventualità che il Granduca rifiuti la suarichiesta. Ciò nonostante, nella lettera del 29 settembre1618 scrive già all’ambasciatore, informandolo che ilPapa ha cambiato opinione ed e pronto a favorire lacausa dei libri turchi. 40 Nella letteratura ungherese èregistrato che sia Gabriele Bethlen che Giorgio Rákóczifecero tentativi per acquistare i libri di Buda. Lostudioso Csaba Csapodi, che ha affrontato forse piùapprofonditamente la storia della biblioteca di Mattia, siè occupato lo stesso del problema dell’esistenza dei libria Buda dopo il 1526 e quanti codici poteva contare ilnucleo lasciato li dagli umanisti bibliofili, dalle truppemercenarie e dagli impiegati della tesoreria delSultano. 41 Secondo le sue ricerche, nel Palazzo di Budanon è rimasta un’unica raccolta di libri degna di esseremenzionata. 42 Nonostante l’ampia argomentazione diCsapodi, proponiamo, in base a quanto detto, di nonescludere come ipotesi di lavoro la possibilità diconfutare la sua opinione. Vale a dire, è difficilesupporre che sia i Gesuiti ungheresi che i prìncipi diTransilvania non abbiano fatto tentativi di acquistare ilibri in questione senza fare prima una ricerca relativa al<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200921


materiale. Luigi Ferdinando Marsigli pare abbia trovatonel castello di Buda solo semplici codici di carta senzadecorazioni, dopo la liberazione dall’occupazioneturca. 43All’inizio del nostro articolo abbiamo accennato al fattoche la storia della Corvina nei secoli XVI e XVII ottienerisultati che superano quelli filologici. Analogamente allapratica della politica culturale nei secoli XIX-XX, diprendere posizione comunque a proposito dellabiblioteca in questione, nel corso dei secoli XVI-XVII lostato disperato in cui essa si trovava era il simbolo dellasituazione del paese stesso in quell’epoca. Le lotte perla successione al trono fra gli Asburgo e gli Ungheresi(Ferdinando I e Giovanni Szapolya), l’indipendenza dellaTransilvania dall’Ungheria, come paese vassallodell’Impero ottomano, e la conquista turca dei territorial centro del paese hanno definito con precisione levarie direzioni di dispersione della Corvina. Il desideriodegli umanisti di salvare i codici e di scoprire le opere ele varianti delle edizioni degli autori antichi e medievalipuò essere interpretata come l’intenzione politicadell’unione cristiana (unio christiana) di far retrocederel’Impero ottomano. Come l’idea centrale del pensieropolitico degli Ungheresi (e dei Transilvani) era lariunificazione del paese (i simpatizzanti degli Asburgo,quelli dei Turchi, i tentativi autonomi ungheresi) cosìsalvare e ricomporre la Bibliotheca Corviniana divenne ilsimbolo dell’autonomia della cultura ungherese. 44 Perquanto riguarda il presente articolo, la nostra intenzioneera di illustrare i tre diversi modi di vedere, tramite lefonti più dettagliatamente citate. Le lettere e leprefazioni degli umanisti dell’Europa occidentale sullastoria di ciascuno dei volumi della Corvina rimpiangonola perdita dei testi dell’antichità, cosa alla quale sirichiama naturalmente anche István Szamosközy, lostoriografo umanista transilvano. Per lui però, si trattaanche di altro. I prìncipi transilvani cercavano già dal1541, anno in cui la Transilvania divenne principato davoivodato, di sostenere la cultura ungherese e nonsoltanto quella della Transilvania, secondo le norme delcristianesimo occidentale. Nella sua funzione ed attivitàdi organizzazione della vita culturale, la corteprincipesca di Gyulafehérvár si dimostra degna erededella corte di Buda anche se per i suoi mezzi finanziarinon può esserle paragonata. Il progetto dellafondazione delle raccolte centrali, come la biblioteca el’archivio, della scuola, probabilmente di un istituto diistruzione superiore, e della stamperia, era desiderio ditutti i principi, 45 come anche di Sigismondo Báthory, ilquale aveva preso a servizio István Szamosközy comearchivista di corte. È nata durante il suo principatoanche la traduzione ungherese di Sallustio fatta daJános Baranyai-Decsi, 46 nella cui prefazione si legge unprogetto di traduzione del tardo umanesimo. Iltraduttore compila un elenco di autori antichi, dei qualiritiene utile la traduzione in ungherese. Questo progettosarà realizzato dai principi Gabriele Bethlen (1613-1629) e Giorgio Rákóczi I (1631-1648). Árpád Mikó hatrattato con cura la Corvina come mezzo dirappresentazione del potere, 47 e anche il culto di Mattia,ripreso da Gabriele Bethlen e Giorgio Rákóczi I, econosciuto nella letteratura ungherese nei suoiparticolari. 48 Possiamo ritenere quasi un fatto evidenteche i prìncipi, che avevano rapporti più che buoni con ipolitici turchi, cercavano seriamente di acquistare icodici rimasti a Buda nonché i pezzi portati aCostantinopoli.I tentativi dei Gesuiti di scambiare i resti della famosabiblioteca richiedono nello stesso tempo unaspiegazione più approfondita. In fondo, almenosecondo la nostra opinione, ci sono due idee. Le dueidee si presentano evidentemente nello stesso ambito ecioè il sottolineare il ruolo dei Gesuiti nel ristabilire lastruttura delle istituzioni culturali ungheresi (leggi: delRegno Ungherese). L’acquisto della Corvina avrebbepotuto essere un risultato di valore simbolico.I tentativi per il rinnovamento della fede cattolica,manifestatisi con grande energia all’inizio del secoloXVII, miravano in prim’ordine alle famiglie aristocratichee, possiamo aggiungere, con grande successo. Comepropaganda l’acquisto dei libri di Buda sarebbe stato unmezzo utilissimo: i Gesuiti si sarebbero presi curaspiritualmente della popolazione nel territorioconquistato dai Turchi, e avrebbero nello stesso tempoliberato i libri del grande re dalla loro prigione,partecipando al miglioramento culturale del paese, ecc.Rischiamo però di formulare l’ipotesi che c’era anchedell’altro.Appartiene ai Gesuiti anche Péter Pázmány, vescovo diEsztergom, promotore della riconversione ungherese alcattolicesimo. Il rapporto sviluppato con i prìncipitransilvani calvinisti ci dimostra nello stesso tempo cheil suo pensiero politico non esclude gli Asburgo. Vale adire, Pázmány non fu mai d’accordo sulla possibileunificazione del paese, che sarebbe stata avviata conl’affrontare la Transilvania come principato vassallo esarebbe continuata con le ostilità verso i Turchi.Riteneva irreale tale soluzione sia dal punto di vistapolitico che da quello della strategia militare, cheavrebbe potuto mettere in pericolo anche l’autonomiadella cultura ungherese e dell’Ungheria stessa, capacedi rendere ostili all’Imperatore tante famigliearistocratiche ungheresi. La storia gli ha dato ragione,tanto è vero che in seguito alla pace tra gli Asburgo e iTurchi, dopo la campagna coronata da successo controil nemico ottomano del 1664, nel 1671 gli aristocraticiungheresi tentavano già una congiura control’Imperatore. Il secolo XVII è stato chiuso da più lotted’indipendenza, come quella guidata da Thököly e daRákóczi e la situazione non è cambiata nemmeno allesoglie del XVIII secolo. Péter Pázmány e i Gesuitiungheresi cercavano di presentare al mondo l’Ungheriacome un paese dalla cultura autonoma cristiana e dimigliorarla culturalmente addirittura in questa suaqualità palesemente cattolica. Il Gesuita MelchiorInchofer scrisse anche una storia della Chiesaungherese, 49 ma la pubblicazione è stata ostacolata alungo dai Gesuiti, vale a dire dalla politica austriaca, perla sua concezione secondo cui il cristianesimoungherese non è “affiliato” di quello austriaco, marappresenta una fede e una cultura divulgata consuccesso da una chiesa autonoma già ai tempi di SantoStefano. I Gesuiti tentarono anche in seguito dipropagare quest’idea di fondare una ProvinciaHungarica indipendente dalla Provincia Austriaca.Quest’ultimo loro tentativo non ha avuto successo.Faremo subito un accenno al fatto che gli aristocraticiungheresi, che non credevano nel successo di un22<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


confronto armato con il potere degli Asburgo, nel corsodel secolo XVIII hanno cercato di creare unmecenatismo di duplice ruolo: sostenere le istituzioniculturali e divulgare un culto cattolico ungherese fra glistrati culturalmente arretrati della popolazione.È nostra opinione che il tentativo di acquistare laBibliotheca Corviniana faceva parte della politicaespansionistica e culturale gesuita e la questione,analizzata da questo punto di vista, relativa all’esistenzaai tempi dei Turchi delle corvine a Buda cioe, dei codicidecorati della biblioteca di Mattia, o di semplici codici dicarta e stampati teologici non decorati della Cappellareale di una volta, e del tutto irrilevante.___________________1Bibliographia Bibliothecae regis Mathiae Corvini. MátyásKirály könyvtárának irodalma, [La letteratura sulla bibliotecadi re Mattia], con la collab. Di J. Fitz a cura di K. Zolnai,Budapest 1942, (Az Országos Széchényi Könyvtár Kiadványai,X.).2I compendi più importanti: Cs. CSAPODI, The CorvinianLibrary. History and Stock, Budapest, 1973, in futuro: CL; Cs.CSAPODI – K. CSAPODINÉ GÁRDONYI, BibliothecaCorviniana, 3. ed. ampl., Budapest, 1981.3Cs. CSAPODI, Mikor pusztult el Mátyás király könyvtára?[Quando e andata in rovina la biblioteca del re Mattia?], in“Magyar Könyvszemle” 1961, pp. 394-421, lo stesso infascicolo a parte: Budapest, 1961, (A Magyar TudományosAkadémia Könyvtárának közleményei 24), in futuro: CSAPODI1961; id., Wann wurde die Bibliothek des Königs MatthiasCorvinus vernichtet?, (Gutenberg Jahrbuch 1971, S. 384-390),in futuro: CSAPODI 1971.4Cs. CSAPODI, A budai királyi palotában 1686-ban találtkódexek és nyomtatott könyvek, [I codici ed i libri stampatirinvenuti nel Palazzo Reale di Buda nell’anno 1686],Budapest, 1984, (A Magyar Tudományos AkadémiaKönyvtárának Közleményei 15(90), Új sorozat), in futuro:CSAPODI 1984.5Integrato da un capitolo nuovo con una bibliografia relativasoprattutto alla storia dell’arte o dell’iconografia, v. nota n° 1,con i seguenti capitoli: La Corvina all’epoca di Mattia, LaCorvina con i successori di Mattia, La Corvina in mano aiturchi, La ricerca di quello che è rimasto, Analisi storica,Sintesi storica, I volumi rimasti, Corvine incerte e perdute.6In Uralkodók és corvinák. Az Országos Széchényi Könyvtárjubileumi kiállítása alapításának 200. évfordulóján. Potentatesand Corvinas. Anniversary Exhibition of the NationalSzéchényi Library, May 16 – August 20, 2002, Catalogo dellamostra a cura di O. Karsay, Budapest 2002, pp. 123-157.7Il coordinatore del progetto e J. F. Maillard. Per primo èstato pubblicato un repertorio delle personalità e delle opereda trattare: L’Europe des humanistes (XIV-XVII siecles),Répertoire par J. F. Maillard, J. Kecskeméti, M. Portalier, Paris– Turnhout 1998, CNRS, Brepols.8Il primo volume è già stato pubblicato: La France deshumanistes. Hellénistes I, Paris – Turnhout, 2001, CNRS,Brepols. Nel secondo volume francese Henri IL Estienne, réd.Par J. Kecskeméti, si troveranno più prefazioni di attinenzaungherese.9 Le opinioni in questione sono riassunte da Cs. Csapodi nellasua monografia pubblicata in lingua inglese, cfr. CL pp. 72-90.10 Ibid., cfr. CSAPODI 1984, pp. 47-48.11 Il suo nome latino è Stephanus Samosius (1565-1612?). Èlo storiografo ed archivista del principe di Transilvania aGyulafehérvár. Nella sua opera rimasta in frammenti raccontala storia della Transilvania nel periodo 1598-1603.12 M. BALÁZS – I. MONOK, Szamosközy István és a Corvina,[István Szamosközy e la Corvina], in “Magyar Könyvszemle”1986, pp. 215- 219.13 M. BALÁZS – I. MONOK, Az első magyar ars historica:Szamosközy István Giovanni Michele Bruto történetíróimódszeréről (1594-1598), [La prima ars historica ungherese:István Szamosközy: sul metodo storiografico di GiovanniMichele Bruto (1594-1598)], trad. di I. Tar, (Lymbus,Művelődéstörténeti Tár v. 4) Szeged, 1992, pp. 49-86, d’orain poi: Ars histonca, 1992, Estr. (A lymbus füzetei 27).14Dal punto di vista della Corvina non ha alcuna importanzache Szamoskozy abbia fatto questa proposta anche perchéaveva intenzione di mettere in difficoltà lo storiografo Bruto,prima simpatizzante dei Báthory, poi degli Asburgo, mentrel’opera storica in questione è scritta parteggiando per iBáthory. L’opera è stata pubblicata soltanto nella secondametà dell’Ottocento, cfr. M. BALÁZS – I. MONOK, TörténetírókBáthory Zsigmond udvarában. (Szamosközy István ésBaranyai Decsi János kiadatlan műveiről), [Storiografi allacorte di Sigismondo Báthory. (Sulle opere inedite di IstvánSzamosközy e János Baranyai Decsi], in Magyar reneszánszudvari kultúra, [Cultura di corte nel Rinascimento ungherese],a cura di A. R. Várkonyi, Budapest, 1987, pp. 49-262.15Ars historica 1992, p. 56., cfr. nota n. 13.16CL 315, 539.17CL 540.18CL 539; In questo caso Csapodi accenna anche all’opera diMATTHEUS SEBASTIANUS, Oratio de rege Pannoniae Mathiarecitata, Wittenberg 1551 che menziona la prima edizione diPOLYBIOS come probabile punto di riferimento anche perSzamosközy.19CL 225.20CL 206, 207.21CL 131 e A. BONFINI, Symposion de virginitate et pudititiaconiugali, ed. S. Apro, (Biblioteca Scriptorum MediiRecentisque Aevorum), Budapest 1943.22La corvina di Szamosközy e conosciuta dall’edizione di S.SZILÁGYI del 1877, Szamosközy István történetimaradványai, [I frammenti storici di István Szamosközy], acura di S. Szilágyi, Budapest 1877, (Monumenta HungariaeHistoria, Scriptores XXVIII), d’ora in poi: SZAMOSKÖZY 1877,pp. 105-106. È da allora risaputo che l’opera Epitomenhistoriarum Philippicarum Trogi Pompei di MARCUS IUNIANUSIUSTINUS, sia giunto per caso allo storico (“casu quopiam adme deletam” sc. Manuscriptum) riconosciuta anche da CsabaCsapodi come corvina autentica e persa (CL 374). ZsigmondJakó si riferisce all’interesse codicologico dell’archivista delprincipe addirittura a proposito del manoscritto menzionato,interesse testimoniato anche dalla descrizione del codice datoin prestito da lui ad Antonio Marietti è andato in rovina inseguito al sacco della Biblioteca dei Gesuiti di Kolozsvár (oggi:Cluy-Napoca, Romania) nel 1603: “Hunc librum paucis antemensibus, quam haec clades patriae incumberet, AntonioManetta erudito Jesuitae, malo codicis genio et meo fatoutendum accomodaveram, quod ideo libentius in hac publicaeprivataeque cladis memoria refero, quod praeclarus auctorpraenomine et nomine temporum iniuria amisso atque etiamlibri titillo, quem adscripsi, interecepto solo cognommeresiduo ex omnibus opinar, typographii Achephalos hactenusprodiit”, SZAMOSKOZY 1877, pp. 106-107. Secondo l’ipotesi diZsigmond Jakó la Corvina giunta all’archivista del PrincipeSigismondo Báthory dalla sua biblioteca distrutta nel 1598, Z.JAKÓ, Erdély és a Corvina, [La Transilvania e la BibliothecaCorvinaiana], in Z. JAKÓ, Írás, könyv, értelmiség, [Scrittura,libro, intellettuali], Bukarest, 1974, d’ora in poi: JAKÓ 1974, p.176. Mentre era ancora in vita, ha pubblicato un elenco da luicompilato sulla sua raccolta di epigrafi romane (Padova,1593), ma non ha interrotto il lavoro cominciato. Per la suaopera rimasta manoscritta e l’edizione facsimile dellapubblicazione menzionata v. I. SZAMOSKÖZY, Analectalapidum (1593) – Inscriptiones Romanae Albae Juliae et circalocorum (1598), classe pour la publication par M. Balázs – I.Monok, Szeged 1992.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200923


23Szamosközy non poteva aver visto i codici stessi, perchéquando era in vita esse erano già a Vienna, oppure in ambitolinguistico tedesco. Non è assolutamente possibile che abbiapotuto vederne qualcuno durante il suo viaggio in Italia.24Corippi …de laudibus Iustini Augusti Minoris heroicocarmine libri III … per Michaelem Ruizium, Antuerpiae 1581.25CL 205; v. Ancora: P. A. BUDIK, Entstehung und Ver/ali derberühmten von König Matthias Corvinus gestiftetenBibliotheken zu Ofen. (Jahrbücher der Literatur) Wien 1839;V. FRAKNÓI, Két hét olaszországi könyv és levéltárakban,[Due settimane in biblioteche ed archivi in Italia], in „MagyarKönyvszemle“, 1878, pp. 125-128; J. CSONTOSI, Külföldimozgalmak a Corvina-irodalom terén, [Tendenze estere nellaletteratura della Corvina], in „Magyar Könyvszemle“ 1878, pp.214-215; id. Latin Corvin-codexek bibliographiai jegyzéke,[Elenco bibliografico dei codici corviniani latini], in „MagyarKönyvszemle“ 1881, pp. 165-166; G. LOEWE, 1883,Rheinisches Museum 1883, pp. 315-316; J. ÁBEL, CorippusJoannisáról, [Su Johannis di Corippus], in „EgyetemesPhilologiai Közlöny“ 1883, pp. 948-950; J. CSONTOSI, Hazaivonatkozású kéziratok a Gróf Trivulzio-család milánóikönyvtárában, [Manoscritti di attinenza ungherese nellabiblioteca della famiglia dei Conti Trivulzio di Milano], in„Magyar Könyvszemle“ 1891, pp. 145-146; G. SCHÖNHERR, Amilánói korvin-kódexekről, [Sui codici corviniani di Milano], in„Magyar Könyvszemle“ 1896, pp. 161-168; M. MANITIUS,Geschichte der lateinischen Literatur Bd. I, München, 1911, v.1, pp. 167-170.26 Al contrario della prima edizione dell’opera De laudibusIustini … nel 1581 seguita da tre edizioni nel secolo XVII, seinel secolo XVIII, quattro nel secolo XIX e tre nel secolo XX(per l’elenco delle quali v. Corippe, Eloge de l’EmpereurJustin, II, texte établi et traduit par S. Antés, Paris, 1981,CVII-CXL), l’editio princeps di JOHA<strong>NN</strong>IS e Mediolani 1820,ed. P. Mazzucchelli; la stessa edizione e stata inserita nelvolume n° 29 della collana “Corpus Scriptorum HistoriaeByzantinae” a cura di I. Bekker, Bonnae 1936, seguitadall’edizione spesso usata di J. PARTSCH, MonumentaGermaniae Historica, Auctores Antiquissimi III/2, Berolini,1879, poi da quella di M. PETSCHENIG, Berolini 1886; e stataedita l’unica traduzione del l’opera (su microfilm) G. W. SHEA:The Iohannis of Flavius Cresconius Corippus Prolegomenaand translation Diss., Columbia Univ., New York 1966; A.HAMMAN ha preso l’edizione di G. PETSCHENI, Patrologiaecursus completus Supplementum, v. 4, Paris, 1968 pp. 998-1127, ed infine ne hanno pubblicato l’edizione critica: J.DIGGLE-F. R. GOODYEAR, Cambridge Univ. Press 1970.27 Ioannis Cuspiniani ... De Caesaribus atque ImperatoribusRomanis ..., Vita Ioannis Cuspiniani et de utilitate huiushistoriae, per Nicolaum Gerbelium, Strassburg, 1540, p. 216.28 Basileae, 1545, 1574 e 1583.29 È stata pubblicata in lingua greca da Aldo Manuzio sotto iltitolo Peri poleón (De urbibus) Venezia, 1602, editio princeps;eredi di Philippo Junta, Firenze 1521; Guilielmus Xylander,Basilea 1568.30 T. PINEDO – J. GRONOVIUS, Amsterdam 1678, le stessepresso la stessa stamperia, 1725; A. BERKELIUS – J.GRONOVIUS, Leyden 1688, le stesse presso la stessastamperia, 1694; L. HOLSTENIUS – T. RYCK, Leyden 1684, lestesse presso la stessa stamperia, 1692 e Utrecht 1691; èstata pubblicata con le note di Pinedo, Holstenius e Berkeliusda Q. Dindorf, Lipsia, 1825; A. WESTERMA<strong>NN</strong>, Lipsia 1839.31 Stephani Byzantini Ethnicorum quae supersunt exrecensione Augusti Meinekii, Berolini, 1849, ristampaanastatica, Graz, 1958.32P. O. KRISTELLER, Iter Italicum v. 1, London – Leiden1965, p. 360, n. 737; le altre copie, ibid. v. 2, London-Leiden1967, pp. 335, 442-444, 531; altre Corvine ancora nellaBiblioteca Trivulziana, CL 541 e 577.33 Petri Lambecii … Commentariorum de AugustissimaBiblioteca Caesarea Vindobonensi Liber Vindobonensi Liberprimus Ed. altera, Opera et studio Adami Francisci Kollarii …,Vindobonae, 176634 CL 320, 459.35 Allgemeine Deutsche Biographie, v. 1, p. 366.36 V. FRAKNÓI, A budai Corvin-könyvtár történetéhez, [Per lastoria della Bibliotheca Corvina di Buda], in “ArcheológiaiÉrtesítő” V, 1874, pp. 297-299.37 ”Alias quoque literas easque Paulo recentiores a ReverentiaVestra accepi, quibus studium Illustrissimi Comitis ab Altham,quo ille rem christianam in Hungaria, Transylvania, Wallachiavicinisque regionibus promovere satagit, explicabat; quod egoa me suggeri possit, quo a Magno duce Hetruriae capsa iliolibrorum Turcicorum in compensationem BibliothecaeBudensis impetrari possit; quod tamen admodum difficileimpetratu fore video, Quod attinet ad literas a Sua Sanctitatead ipsum Comitem, eae difficulter impetrabuntur, Quod si sineillis meae literae ipsi gratae futurae putentur, libenter eas adipsum prima occasione transmittam”. In “Adattár” [Raccolta dimateriali sulla storia dei movimenti intellettuali ungheresi deisecoli XVI-XVIII], v. 26, pp. 322-330.38 Per il riassunto dei dati pubblicati in vari documenti v. I.HARSÁNYI, A sárospataki Rákóczi-könyvtár és katalógusa, [Labiblioteca di Sárospatak e il suo catalogo], Budapest, 1917;CSAPODI 1961; CSAPODI 1971.39 CSAPODI 1961; CSAPODI 1971; CL pp. 72-92; CSAPODI1984.40CSAPODI 1984, pp. 43-51 e pp. 81-82.41 L’elenco dei libri ci è rimasto manoscritto e ne conosciamooggi tre copie. Dell’epoca in questione si conoscono dueedizioni: J. PFLUGK, Epistola ad Vitum a Seckendorf praeterfata Bibliothecae Budensis, librorum quoque ultimaexpugnatione repertorum catalogum exhibens, Jenae, 1688;De bibliothecis atque archivis virorum clarissi morum libelli etcommentationes antediluvianis, Antehac edidit J. J. Maderus.Secundam editionem curavit I. A. Schmidt, Helmstadi 1702,pp. 335-352. La prima edizione della raccolta non hacontenuto l’elenco dei libri di Buda. L’elaborazione modernadell’elenco e in CSAPODI 1984.42 È di particolare importanza sottolineare che non si parladella cultura ungherese. Nell’epoca trattata il punto di vistanazionale –come s’intende già dalla metà del secolo XVIII–non esisteva. Si parlava cioè dell’unità del Regno Ungheresecontro l’Impero Asburgico e contro quello Ottomano. Il regnoUngherese aveva cittadini di varie nazionalità. Esisteva nellostesso tempo una certa coscienza nominata concettoHungarus che si può considerare unanime. Per questo v. T.KLANICZAY, Die Benennungen „Hungaria“ und „Pannonia“ alsMittel der Indentitätssuche der Ungarn, in Antike Rezeptionund nationale Indentität in der Renaissance insbesondere inDeutschland und in Ungarn, Hrsg. Von T. KLANICZAY – S. K.NÉMETH – P. G. SCHMIDT, Budapest 1993, (StudiaHumanitatis Bd. 9. S. 83-100).43 cfr. T. KLANICZAY: Die Soziale und institutionelleInfrastruktur der ungarischen Renaissance, in DieRenaissance im Blick der Nationen Europas, Hrsg. Von G.KAUFMA<strong>NN</strong>, Wiesbaden 1991, (Wolfenbütteler Abhandlungenzur Renaissanceforschung Bd. 9. S. 319-338) ; T. KLANICZAY,Les intellectuels dans un pays sans universités (Hongrie :XVIe siede) in Intellectuels français, intellectuels hongrois, ed.Par B. Köpeczi, Budapest – Paris 1985, pp. 99-109.44 Az Caius Crispus Sallustiusnac ket historiaia ... Szebenben,[Le due storie di Caius Crispus … in Szeben] 1596, (coll.RMNy 786: Országos Széchényi Könyvtár) editio facsimile: AzCaivs Crispvs Salvstiusnac két historiaia,… magyarrafordittatott I. Baronyai Detsi altal, [Le due storie di CaiusCrispus … tradotte in lingua ungherese da J. Baronyai Detsi],Edizione facsimile con un saggio di A. Kurcz, testo a cura di B.Varjas, Budapest 1979.24<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


45 A. MIKÓ, Mathias Corvinus – Mathias Augustus. L’arteall’antica nel servizio del potere, in Cultura e potere nelrinascimento, a cura di L. Secchi Tarugi, Firenze 1999, pp.209-220.46 Il suo esame sistematico in lingua straniera : In Millénairede l’histoire de Hongrie, sous la dir. De P. Hanák, Budapest1986 ; L. MAKKAI, La scission dupays en troisparties, pp. 51-63, K. BENDA, La réunification de la Hongrie dans l’Empiredes Habsbourg, pp. 64-88, in Histoire de la Transylvanie, sousla dir. De B. Köpeczi, Budapest 1992 ; G. BARTA, La premierepériode de la Principauté de Transylvanie 1526-1606, pp.239-292, K. PÉTER, L’ age d’or de la Principauté deTransylvanie 1606-1660, pp. 293-345 ; I. NEMESKÜRTY,Nous, les Hongrois, Histoire de Hongrie, Budapest 1994, pp.130-207 ; B. KÖPECZI, Histoire de l’histoire de la culturehongroise, Budapest 1994.47 Annales ecclesiastici Regni Hungariae, Roma 1644.D. DÜMMERTH, Inchofer Menyhért küzdelmei és tragédiájaRómában (1641-1648), [Le lotte e la tragedia di MelchioreInchofer in Roma (1641-1648)], id. Írástudók küzdelmei.Magyar Művelődéstörténeti tanulmányok, [Le lotte deglieruditi. Saggi sulla storia della civiltà ungherese], Budapest1987, pp. 155-204.48 cfr. L. LUKÁCS, A független magyar jezsuita rendtartománykérdése és az osztrák abszolutizmus (1649-1773), [Laquestione della provincia ungherese autonoma e l’assolutismoaustriaco (1649-1773)], in “Adattár” 25, [Raccolta di materialisulla storia dei movimenti intellettuali ungheresi dei secoliXVI-XVIII], Szeged 1989.49 Per il quarto periodo cfr. nota 6.Fonte: «Nel segno del corvo. Libri e miniature della bibliotecadi Mattia Corvino re d’ Ungheria (1443-1490)», Modena,2002. pp. 33-41.Dr. Prof. István Monok,Direttore Generale della BiblicotecaNazionale Széchényi,massimo esperto della storiadella letteratura e del libro inUngheria, si è occupato anchedella famosa collezione librariadi Mattia Corvino, che siintreccia strettamente con lastoria del manoscritto rinascimentaleitaliano.N.d.R.: Rif. GyulaPaczolay: ADAGIORUMGRAECO-LATINOUNGARICORUM CHILIADES QUINQUE diJános Baranyai Decsi (La prima raccolta dei proverbiungheresi.) In N. 15-16 Luglio-Agosto/Settembre-Ottobre2000 dell'Osservatorio Letterario. In internet:http://digilander.libero.it/osservletter/paczolay.htm______Recensioni & Segnalazioni______RECENSIONI:Fabrizio MegaleDIRITTO D’AUTORE DEL TRADUTTOREEditoriale Scientifica: Napoli 2004, pp. 279, € 16,00Il volume e la sua genesiCome precisa Fabrizio Megale nella premessa, il libro“è dedicato al diritto d’autore di tre figure professionali,il traduttore letterario o editoriale, il dialoghistaadattorecinetelevisivo e il localizzatore, pococonosciute e studiate nel nostro paese, sebbene sianoall’origine dello sviluppo di attività economiche di tuttorispetto e svolgano dei ruoli chiave in tre settoriindustriali “strategici”: l’editoria cartacea ed elettronica,la produzione cinematografica e televisiva, il softwareed il web ” (p.13). Il titolo è esemplare e traduce lereali intenzione del suo autore. Si badi bene, ilriferimento non è al diritto d’autore del settore o, se sipreferisce, dell’industria della traduzione, non ènemmeno al diritto d’autore del prodotto ‘derivato’ o ‘dielaborazione’ come viene giuridicamente definita latraduzione nella normativa in materia. Il riferimento è acolui che concretamente compie l’opera ditraghettamento che sfocia in un’opera derivata, allapersona in carne ed ossa che lavora sui testi: iltraduttore. Se il riferimento è alla persona fisica deltraduttore, è naturale che ad essere analizzati saranno isuoi diritti, i suoi compensi, il regime fiscale ad essiapplicabile, la posizione del suo nome all’internodell’opera, la tipologia di contratto che lo lega alcommittente.Il libro di Fabrizio Megale, primo del genere in Italia,ha grandi meriti e proprio per questo dovrebbeobbligatoriamente fare parte della scatola degli attrezzidi qualsiasi operatore del settore, a maggior ragione, sealle prime armi. Il volume è di quelli preziosi perchérappresenta una miniera di informazioni indispensabili,di quelli che si dovrebbero tenere a portata di manoperché aiutano a percepire come meno estranea “laconoscenza degli aspetti economico-giuridicidell’editoria”, favorendo così “la partecipazioneconsapevole” (pp. 16-17). L’autore, che al dono dellachiarezza espositiva affianca quello della precisionenormativa, sfoggia una testardaggine rara nel condurreuna ricerca che lo porta a estrapolare (è il verbo chemeglio si attaglia alla sua intrapresa) il diritto d’autore“dalla normativa generale sul diritto d’autore degliautori” [1], nonché “da usi e prassi editoriali, che sitrattava di individuare, censire, e ordinare” [2], a frontedi uno scenario caratterizzato dalla pressoché totaleinsussistenza di dottrina e giurisprudenza in materia[3]. L’opera che ora sfogliamo è frutto di un lavoroimprobo, è la ricerca di un filo conduttore in un orditocomplesso, un sogno perseguito pervicacemente fin dallontano 1984 (il presente volume è uscito nel 2004)quando l’autore ha curato un numero specialesull’argomento per conto de Il Traduttore Nuovo, rivistasemestrale dell’AITI (Associazione Italiana Traduttori eInterpreti).Al cuore del problemaQual è il requisito necessario perché un’opera siatutelata dal diritto d’autore?<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200925


La risposta di Fabrizio Megale, attinta dagliorientamenti della giurisprudenza in materia di dirittod’autore, è semplice e perentoria: il requisito necessarioè “una forma espressiva dell’opera che rechi in qualsiasimodo l’impronta dell’autore” (p. 22). A due condizioni,sentenzia l’autore: che l’opera porti seco l’improntadella creatività e della forma espressiva.Creatività come libertà di creare, come flussoimpetuoso di idee o come unione di ordine e disordine?Le definizioni di creatività sono variegate e molteplici;sulla creatività, nei settori più svariati,R si or7ganizzanocorsi e master. Come ricorda R. Bodei, il matematicofrancese Henri Poincaré definì tale concetto, spessoassociato alla stravaganza o all’effimero, come “lacapacità di unire elementi esistenti con connessioninuove, che siano utili” [4], ovvero l’atto di superarel’esistente, istituendo un nuovo che sia condiviso. Ladefinizione di Fabrizio Megale, ancora più elementare ediretta, traccia confini precisi: la creatività va “intesacome personalità, senza alcun giudizio di valoreestetico, economico, inventivo, morale” (p. 22), mentrela forma espressiva è da intendersi come“esteriorizzazione dell’opera, anche se nonnecessariamente fissata su un supporto fisico” (p. 22)Quindi, “per aversi un’opera tutelata” conclude FabrizioMegale, “è sufficiente la sua creazione” (23), eccoperché sono protetti gli inediti.Ma cosa distingue il concetto di creatività per l’autore‘primo’, tutelato dalla legge in materia di dirittod’autore, dalla creatività ‘seconda’ del traduttore?Anche in questo caso è la giurisprudenza in materia avenirci in soccorso. La legge del 22 aprile 1941, n. 663e successive modificazioni, definisce l’opera deltraduttore ‘opera di ‘elaborazione’ o ‘derivata’ [5], perdistinguerla dall’opera dell’ingegno originaria. I dueverbi ‘creare’ e ‘elaborare’ appartengono a due classi diverbi differenti: il primo appartiene alla classe dei verbaefficiendi [6], in quanto instaura un oggetto inesistenteprima dell’atto creativo (objectum effectum); ilsecondo, appartiene alla classe dei verba afficiendi,dato che interviene su un oggetto assunto comepreesistente (objectum affectum). Posta questapremessa, quando una traduzione può essere definitacreativa? È lecito parlare di creatività della traduzione,senza che ciò induca a pensare a una ‘traduzione libera’intesa come ricodifica arbitraria, a un’attività contiguaalla stravaganza che porterebbe al tradimento delleaspettative dell’originale, alle ‘libere’ opzioni traduttivedel traduttore (traduzione orientata all’autore o al suodestinatario)?Anche in questo caso Fabrizio Megale intervieneprontamente con la sua esattezza terminologica,sottraendo la materia all’arbitrio soggettivo: “il requisitodella creatività della traduzione va individuato nellapossibilità di una scelta fra parole e frasi, essenziale perla personalizzazione del mero dato informativo e per lasua riferibilità ad un autore ben individuato oindividuabile” (p. 23). La traduzione pertanto, puressendo elaborazione di un’opera originaria,costituirebbe a sua volta un’opera dell’ingegno, dicontenuto creativo (p. 21) e quindi anch’essa tutelabile.Il cerchio si chiude. Il cerchio è chiuso.Ci sia concessa una breve raccomandazione: lasemplicità e la perentorietà delle risposte di FabrizioMegale non traggano in inganno. Esse sono le pagliuzzeche si depositano nel setaccio dopo anni di ricerca,passione e impegno costanti nella consultazione didocumenti.Una formulazione estesa di ‘opere per l’editoria’Se tutte queste domande possono apparire congruein campo saggistico letterario o dell’editoria che ne èdella creatività di opere originarie quali manuali tecnici,prontuari, cataloghi merceologici? Quali sono iparametri con cui misurare il loro grado di creatività?Possiamo definire la loro traduzione un atto creativo? Ese sì, quali sono i requisiti che fanno sorgere, in capo altraduttore, diritti morali ed economici?Domande fondamentali che richiedono rispostepuntuali e autorevoli. Fabrizio Megale suggerisce diconsiderare due concetti essenziali: quello delladiscorsività e della ridondanza. Per discorsività egliintende il “modo di espressione del principio scientificoo del contenuto tecnico” […] “ad esempio un manualescolastico di matematica che tratti di tali formule inmaniera minimamente discorsiva” (p. 25). Conridondanza, egli fa riferimento al concetto diridondanza comunicativa, sintetizzato efficacementedalla giurisprudenza più recente: “la condizione perammettere la tutela è la presenza nel mero datoinformativo di una ridondanza comunicativa che lorenda unico nel panorama conosciuto e, per certi versi,particolarmente apprezzabile in vista della soddisfazionedi un bisogno dei destinatari che può essere,indifferentemente, estetico (come le opere d’arte) opratico (come per le didattiche e le scientifiche o per leraccolte c.d. ‘ragionate’ di dati ripartiti per materie o persettori)” (pp. 26-27). Ad esempio, sono tutelabili opere,peraltro soggette a traduzione, quali un prontuarionotarile se “accompagnato da note e richiami” (p. 26)oppure un catalogo merci purché “la sistemazione eorganizzazione delle informazioni” [siano effettuate] “inbase a criteri dotati di una certa originalità e non inbase a semplici criteri alfabetici e cronologici” (p. 26).In conclusione, cosa potrebbe giustificare la mancatatutela di un’opera? Come per le risposte precedenti, ilresponso è categorico: solo l’assenza completa diqualsiasi espressività può giustificare l’assenza di tutela.Nelle pagine successive, con la consueta autorevolezzache lo contraddistingue, Fabrizio Megale ci offre esempidi non creatività: un manuale fotografico, adesempio, non rientrerebbe nel novero delle traduzionicreative in quanto “ i termini adoperati devono essererigorosamente corrispondenti a quelli adottatiuniformemente nelle varie esperienza linguistiche” eperché si esige dal traduttore “un’attività meccanica epedissequa di mera trasposizione linguistica in terminiin gran parte coatti e predeterminati (e comunque notiin anticipo)” (p. 23). Non dimentichiamo comunque cheanche una traduzione non creativa, se riprodotta senzail consenso del suo autore, può costituire un illecito.Casi esemplari di traduzioni non creative sono un testotradotto con l’ausilio degli strumenti CAT (ComputerAssisted Translation) per cui l’eccessivaframmentazione dell’originale andrebbe a discapitodella compiutezza dell’opera; la traduzione di un testoeffettuata conformandosi a una terminologia26<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


assolutamente vincolante e univoca imposta dalcommittente oppure un testo caratterizzato da elevataripetitività, tale da costringere il traduttore a operare susegmenti slegati (pp. 150-151).Diritto d’autore e copyrightCome abbiamo già avuto modo di scrivere inprecedenza, Fabrizio Megale incentra la sua analisi deldiritto d’autore sulla persona dell’autore e deltraduttore. Contrariamente alle precedenti indagini,maggiormente focalizzate sulle opere e sui relatividiritti, egli si schiera dalla parte della personalità deltraduttore, della sua creazione intellettuale edell’elemento personalistico che necessariamente neconsegue (pp. 16-17). Il volume sviscera leproblematiche legate all’esistenza di due grandi sistemi“il copyright, diffuso nei paesi anglo-sassoni, atradizione di common law, e il droit d’auteur, di originefrancese, vigente nei paesi dell’Europa continentale” (p.16) evidenziando come il primo concentri “la suaattenzione sull’opera in quanto tale, sul suo liberosfruttamento e commercio nonché sui diritti dell’utenzaad usufruirne, [mentre] il secondo è volto asalvaguardare soprattutto i diritti dell’autore comepersona” (p. 16) Fabrizio Megale ammonisce che sullascia della progressiva diffusione delle nuove tecnologiedell’informazione “gli istituti giuridici del copyright, inparticolare quelli contrattuali, nella comune pratica degliaffari si stanno lentamente ma costantementeestendendo, togliendo spazio agli strumenti tipici deldroit d’auteur continentale ed alla conseguente tuteladei diritti dell’autore in quanto persona” (p. 16).Egli non manca di rammentarci che il diritto d’autorea titolo originario può spettare solo ad una personafisica, che esso non sorge quando l’opera noncostituisce opera dell’ingegno o, come abbiamo giàaffermato, quando la traduzione non è creativa. Sotto ilprofilo giuridico, il traduttore per l’editoria è un autore atutti gli effetti. Se per opera dell’ingegno si intende ilfrutto di una creazione intellettuale del singolo, latraduzione, pur essendo opera di elaborazione,costituisce a sua volta opera dell’ingegno, caratterizzatada un contenuto creativo (p. 21). Ciò fa sorgereconseguentemente in capo al traduttore una serie didiritti (che non vanno confusi con il ‘diritto ditraduzione’) suddivisi in patrimoniali e morali. Proprioquesti ultimi distinguerebbero il droit d’auteur dalcopyright. Nel primo, ci ricorda l’autore “l’opera è unamanifestazione della personalità dell’autore e il dirittomorale consacra questo legame diretto tra l’autore e lasua creazione. Nel secondo l’opera è principalmente unbene economico che si stacca subito dal suo autore,poiché deve essere il più possibile scambiato sulmercato” (29).Fabrizio Megale illustra come tale concezione classicasia stata incrinata dai nuovi modi di utilizzo delle opereintrodotti dalle nuove tecnologie e come il legislatoreabbia dovuto optare per una interpretazione estensivadi tale concezione affinché tali nuove modalità fosseroricomprese. Tuttavia la vera sfida è l’attuazione praticadella nuova legislazione, fortemente ostacolata dalla“volatilità, dispersività e banalizzazione dell’ambientedigitale che ‘banalizza’ la pirateria rendendola fisiologicaal suo funzionamento” (p. 170).Fabrizio Megale scava i fondamenti giuridici delregime fiscale agevolato applicato al traduttore perl’editoria rispetto al traduttore tecnico che opera inregime di partita IVA: il regime fiscale prevede che “icompensi spettanti al traduttore sulla base del presentecontratto sono da considerarsi a tutti gli effetti di legge,sia dal punto di vista fiscale che da quello sostanziale,quali diritti d’autore” (p. 90) in quanto la traduzione diopere dell’ingegno non costituisce ‘esercizio di arte o diprofessione’ (p. 90). I traduttori per l’editoria non siindignino per lesa maestà professionale: fiscalmente itraduttori di libri non percepiscono onorari al pari deiprofessionisti (assoggettati al versamento del 20% diIva e alla corresponsione in sede di fatturazione del20% come ritenuta d’acconto) ma “redditi derivantidalla cessione di diritti d’autore” (p. 90). Il regimefiscale è decisamente più agevolato. Al punto che untraduttore per l’editoria, non essendo soggetto a IVA,non è tenuto a richiedere l’assegnazione della partitaIVA. C’è da augurarsi che siano in molti a conoscerequesto diverso trattamento fiscale.Il diritto d’autore del dialoghista-adattorecinetelevisivo e del localizzatoreSe l’adattamento in italiano del dialogo figura tra leopere dell’ingegno in quanto elaborazione creativa dellasceneggiatura, la creatività della traduzione del dialogo,ovvero la personalizzazione della forma espressiva,andrà valutata caso per caso. Per alcuni si tratterebbedi una traduzione letterale e quindi non creativa, peraltri il contrario, con ovvi riflessi sulla tipologia dipagamento (a stralcio oppure a percentuale).Che ne è del diritto d’autore per il traduttore di unsoftware o per un localizzatore? La questione ècomplessa ma il requisito rimane immutato: lasussistenza o meno della creatività. Bastino un paio diesempi: le voci di menu non sono considerate creativein quanto i comandi verrebbero assimilati a “semplicibottoni di funzionamento nei quali le parole risultanostrettamente serventi alla funzione che di volta in voltaassicurano” (p. 124) con la conseguenza che la lorotraduzione non è generalmente considerata creativa.Diverso il caso della localizzazione di un software dovesi può avere una traduzione creativa quando si ritengache per motivi linguistici o culturali il nome del softwareo un suo elemento debba essere radicalmente cambiato(p. 118). Viene generalmente considerata creativa lalocalizzazione del manuale utente e della guida in linea,non creativa la localizzazione dell’interfaccia utente.In conclusioneIl volume contiene preziose informazioni sul contrattodi traduzione (v. l’appendice contrattuale dove vieneriprodotto il contratto di traduzione pubblicato da I.Cecchini, pp. 215-221), sulle possibili difese giudiziarie,sui compensi a stralcio, a percentuale, a rullo (è il casodel dialogista adattatore), su cosa prevede lagiurisprudenza in caso di subconcessione a terzi, sulle<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200927


memorie di traduzione, sui glossari terminologici. Nonda ultimo, la pubblicazione è corredata da un’appendicenormativa sulla “Protezione del diritto d’autore e di altridiritti connessi al suo esercizio” (pp. 223-271).Ma terminiamo con una delle tante gemme di cui ilvolume generosamente abbonda: cosa si intende pertraduzione del software? La nozione, a quanto si legge,non avrebbe nulla a che spartire con la “traduzione inaltra lingua”. Si tratterebbe infatti della “traduzionedella forma del codice” ovvero della “conversione delleistruzioni di un programma espresse in un linguaggio diprogrammazione in quelle corrispondenti di un altrolinguaggio” (pp. 115-116). Siamo di fronte a un caso ditraduzione intersemiotica o intrasemiotica?La nostra recensione ha inteso illustrare alcuni puntinodali della questione. Ai lettori il compito facilitato ditrovare risposte ai propri quesiti. Il volume èdisponibile, facciamone buon uso. Dopo tanta fatica, ilsuo autore non chiede di meglio. *BibliografiaBenjamin W., Il compito del traduttore, in Angelus Novus, acura di R. Solmi, Einaudi, Torino, 1962.Conte M.-E., Condizioni di coerenza. Ricerche di linguisticatestuale, Nuova edizione con l’aggiunta di due saggi, (a curadi) Bice ortasa Garavelli, Edizioni dell’Orso, Alessandria,1999.Bodei R., L’idea di creatività, Convegno internazionale sullacreatività e l’innovazione, 28 e 29 settembre 2004, Firenze. Lasintesi dell’intervento è reperibile sul sito:http://www.nuovoeutile.it/index.php?cat=3&lang=itaMegale F., Il diritto d’autore del traduttore, in La Nota delTraduttore, rivista letteraria online. L’articolo è reperibileall’indirizzo:http://www.lanotadeltraduttore.it/diritto_dautore_traduttore2.htmNote[1] Megale F., Il diritto d’autore del traduttore, in La Nota delTraduttoreCorsivo, rivista letteraria online. L’articolo èreperibile all’indirizzo:http://www.lanotadeltraduttore.it/diritto_dautore_traduttore2.htm[2] Ibidem[3] Ibidem[4] Citato da Bodei R. in L’idea di creatività, Convegnointernazionale sulla creatività e l’innovazione28 e 29 settembre 2004, Firenze, reperibile sul sito:http://www.nuovoeutile.it/index.php?cat=3&lang=ita[5] Ricordiamo a questo proposito che “derivata” è lo stessoaggettivo utilizzato da W. Benjamin per descrivere la diversaintenzione del poeta e del traduttore:l’intenzione “del poeta èingenua, primaria, intuitiva, quella del traduttore, derivata,ultima, ideale”. Benjamin W., Il compito del traduttore, p. 47.[6] Secondo la definizione di Conte, “il complemento oggettodi un verbum afficiendi è un obiectum effectum; ilcomplemento oggetto d’un verbum afficiendi è un obiectumaffectum” Conte M.-E., Condizioni di coerenza. Ricerche dilinguistica testuale, p. 38.* Da inTRAlinea 2005 [online] www.intralinea.itDanio MaldussiAntonio PennacchiSHAW 150Storie di fabbriche e dintorniMondatori 2006, € 8,40“Storie di fabbrica e dintorni”,quelli rurali delle terre di bonificadell’agro-pontino, ricorrenti nelbinomio “Latina-Littoria” e forsepostuma estensione dell’apparenteossimoro incarnato nel fasciocomunista (certo che, sefosse stato Pasolini e non Lucchetti a girare Mio fratelloè figlio unico, avrebbe sicuramente restituito anche ifascisti da Marte su questa terra). Frammenti di vitaoperaia ma anche contadina, di veneti immigrati,camerati nazional-popolari della prima ora e compagnifuori da ogni dubbio di socialdemocrazia, quandoancora “era un continuo fiorire di stelle a cinque punte”nei gabinetti degli stabilimenti. Storie democristianedello sviluppo del dopoguerra che s’intrecciano, incontinue dissolvenze, con quelle antecedenti, tra unonnipresente fantasma del duce e, qua e là, andandooltre nel tempo, fino a lontane razzie perpetuate daiVandali per dimostrare la perseverante inclinazione diqualche popolazione locale. Aneddoti e paradossisedimentano, catturati e devoluti al momentoopportuno. Pennacchi è un personaggio diretto earrogante ma certamente originale nel panoramaletterario italiano, capace di suggestioni, di sedurre illettore tra incalzanti agnizioni e repechage ad hoc sulfilo della trama, un verace narratore che dal dettagliosa trarre pretesto per catturare attenzione. Pocopoetico, a dire il vero, ma non scarseggiano i tantiaffetti mancati, l’insolente destino che incombe ed unacerta accondiscendenza al sentimento espresso nellinguaggio popolare. Tra furbetti del quartiere eincidenti di fabbrica, ricorrono perlopiù ambientazionilegate agli anni Sessanta e Settanta. Sono raccontiprecedentemente pubblicati su vari quotidiani. Apre ilnodulo cosmico, che si scioglie in una spirale sanitariaed è apparso su L’Unità. Nel finale di Pomezia, per levie di Roma, torna il leit motiv dell’infarto. Marco è ilpresunto amico che finisce impiccato e la Genesi diMarco è una “memoria pronunciata dall’autore” nelprocesso intentatogli “per calunnia e diffamazione”. Lasinagoga, uscita su Il Tempo, e Ilena, uscita su IlGiornale, sono episodi legati al mondo ebraico e neltrait d’union del personaggio di Ilena, l’ “esotica”. Tra itanti, c’è persino Buffalo Bill che compare, rimodellatoattraverso cronache giornalistiche ottocentesche, perassaporare la sconfitta coi butteri cisternesi e, dulcis infundo, la confessione di qualche comparsa giovanilecon Sandokan da parte dell’autore. Avanti Savoia è,probabilmente, l’episodio più riuscito, ammiccante nelruolo giocato tra retaggi lealisti dello zio Vittorio el’incombente aria di rivoluzione, dove prende coscienza“l’unico monarchico di Lotta Continua. A parte Sofri. Maquello era monarchico per sé stesso, non per i Savoia”.Pennacchi trasmette empatia nel suo essere canesciolto, senza peli sulla lingua neppure nei confronti dichi lo vorrebbe molto più malleabile nel suo essereprorompente, ma nondimeno non si possono nonesprimere riserve su un certo suo radicalismo a trattiinnato, frutto di posizioni estreme nel retaggio28<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


esperienziale che, indubbiamente, ne fa un personaggioa sé: Pennacchi è Pennacchi, un caratteraccio, ma riccodi personalità e di spunti, lui è parte del suo “Accio”,deluso e caparbiamente ancorato, nostalgicamentesospeso su tutte le tappe ideologico-esistenziali dellasua vita. Per lui il ’68 resta un fatto politico, ditrasformazioni sociali, prima ancora che di costume eatteggiamenti culturali, un “fronte rivoluzionario cheandava da destra a sinistra”. Poi c’è stata “l’irruzionenelle facoltà” con “Almirante, Cerullo, Anderson e tantialtri vertici del MSI, ed è lì che inizia la spaccatura e ilmovimento del sessantotto diventa antifascista”dichiara in una recente intervista rilasciata a SimoneOlla del collettivo Anonima Scrittori di cui è animatore esostenitore del lavoro di giovani scrittori laddove certacultura ufficiale è latitante o si limita ad elargireconcorsi e corsi di scrittura creativa.Enrico Pietrangeli– Roma –LETTERE A UN GIOVANE POETA (1929) DI R. M.RILKEdi Dinalia CampanozziSuccede sempre così, le cose belle giungono percaso. Per caso un giorno si rimane a casa e si accendela radio ed ecco questo libro che, per mezzo di unavoce, viene a bussare alla propria porta. Che bellesorprese, a volte. Questo è un libro intimo, un libropiccolissimo, brevissimo, che si vorrebbe portareovunque perché si sente che in quelle poche pagine èracchiuso un tesoro, che solo pochi possonocondividere.Sì, ogni grande libro ci apre un mondo. Ci sono libri cheurlano, che galoppano via, che, come onde, straripanooltre le pagine per andare a bagnare i quattro angolidel mondo, ridondanti di vita. Libri che senti di doverfar conoscere, di cui devi parlare, che sono proiettativerso l’esterno.Questo no. Lettere a un giovane poeta è un libroforte e umile, indispensabile ma nascosto, come ilsolido pilastro di una casa. Verso questo genere di librisi tende ad essere invece protettivi, in quanto si sentedi dover salvaguardare un qualcosa di estremamenteprezioso, vitale, intimo e modesto. Ma essenziale.Nel 1903, Franz Kappus, giovane aspirante poeta a cuiva stretta la carriera militare appena intrapresa, scriveuna lettera con alcuni suoi versi a Rainer Maria Rilke,celebre poeta e scrittore ceco, chiedendogli consigli ecritiche. Naturalmente Rilke fu lieto di rispondere. Iniziacosì un carteggio breve (dal 1904 al 1908), sincero,fatto di umili consigli e insegnamenti preziosisull’ingrato “mestiere” del poeta che si tramutano,pagina dopo pagina, in un profondo e accorato richiamoad ascoltarsi e ascoltare la voce del silenzio, da troppi etroppo spesso dimenticata . Dieci lettere, dieci lezioni divita e d’arte che molto poco hanno a che fare con lacritica e, anzi, vogliono apertamente rifuggire questointento tanto inutile quanto poco naturale. Poiché lecose della vita sono infinite e ineffabili, sottili, maiunivoche e difficilmente traducibili attraverso la parolache, seppur usata con maestria, non potrà mai coglierele tante sfumature del sentire.Dal profondo. Rilke non smette di ripeterlo.Domande, risposte, silenzi, urgenze, tutto nasce e sisviluppa nel profondo di ognuno e delle cose che cicircondano, tutto viene compreso nell’onesta e pazientemarcia solitaria lungo le strade della vita. In sobria etacita comunione col resto dell’umanità, l’artista devemescolarsi e adattarsi al comune e vile dovere; ma colcuore egli già assapora l’ora più segreta, quell’orainfinita tutta per sé, prezioso nutrimento dell’animo. Avolte, però, essa sembra divenire un grave fardello ed ilsuo insostenibile silenzio è difficile da sopportare. Nellesue pagine Rilke ricorda al giovane e all’umanità interache bisogna invece imparare a saper accarezzare lasolitudine, farne un rifugio sicuro contro la facilità ditutte le convenzioni, proteggerla ad ogni costo epreservarne il mistero che prelude sempre ad unaevoluzione. E quando se ne incrocia un’altra, devonoinchinarsi l’una di fronte all’altra e viaggiare insieme,mai estinguersi.Tutto ciò che circonda la vita non è altro che misteriosasolitudine; vi è un segreto armonioso e impalpabile chealeggia nello spazio e nel tempo e di cui ogni cosaparla. Il vento, i fiori, le esangui rovine di una vecchiacittà, i grandi spazi desolati, il passato, il presente, tuttosi compenetra e si va ad unire in un eterno coro aqualcosa di più grande, di infinito e inafferrabile.Profondo e a tratti incredibilmente lungimirante,Rilke, anch’egli molto giovane (aveva 27 anni quandoscrisse la prima lettera), in queste poche pagineconcede al suo amico lontano e a tutti noi posteri unregalo impareggiabile, schiudendo le porte di un mondosconosciuto ai più, un mondo arcaico e immutabile chepulsa sotto queste ceneri del tempo moderno.Lucianna ArgentinoDIARIO INVERSOManni 2006, € 8,00Diario inverso è un viaggio aritroso, nei labirinti dell’animo, perassecondare quei flussi cheportano a metabolizzare unastagione del sentimento facendoricorso al verso. LuciannaArgentino ha tutta la lucidità e lamaturità poetica per conseguire i migliori risultati conomogeneità e stile, lascia ampio respiro tanto allafruibilità dell’opera quanto alla cosmografia interiore e,soprattutto, non perde mai di vista acume e spessore.Solenne incalza il tempo, “compiuto è l’anno, invertita larotta/ed è risacca che spagina il tempo”, salvificaurgenza di esserci e altrove, varcando il frammentariocaos sedimentato, lo smarrimento. L’ “altrove dove lecose si spogliano/di vaghezza”, dove l’ “abbraccio senzail calore delle braccia” altrui torna di riferimento. “Lucenepente” e poche altre, misurate ricercatezzelinguistiche coronano un essenziale, elegante esuadente versificare per un “presente puro”, “mondatodell’attesa”, ma anche “sativo”. Ricorrono elementireligiosi, a partire da uno “sguardo cireneo”, “strenuadifesa” sull’altro “sguardo”, quello “manicheo”.Anamnesi che, talvolta, non sono prive d’invettive per l’“ottuso sdegno” che “accelerava il disincanto” di una<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200929


“luce giunta da una stella morta”, luce tramontata e chesvela “il diniego, la resa”. Al di là di ogni più chenaturale e congeniale negazione, affiorano, tuttavia,“due lepri bianche braccate dalla loro stessa paura”, lemani. “Coraggio perso è il suo guardarmi”. “Chi puòdirmi chi sono/se lui non mi è più specchio?” sonoemblematiche rivelazioni della dicotomia amorosa,perdita d’identità e orientamento. Mimesi nella stasidomenicale, i “gerani/stanno pazienti contro il luccichiodei vetri”. Resta un “lento ritirarsi delle cose/allastrenua avanzata degli anni” tra “mulinelli d’aria e fogliesecche” per un “canto rinnegato” (“radice breve èquanto ci ha uniti”), ma anche la rivisitazione di una“chiaroveggenza possibile solo/nell’infanzia”, doveimbattersi in un poetico “sentiero dumoso”, chiave diuna vita poi “adulta”. “L’aut-aut imposto al mio ventrein festa” richiama il sempre più ravvivato dibattitointorno all’aborto ma qui, come altrove, è in ogni caso ilfemminile, la madre terra, a discernere del seme.Evocativa e visionaria del reale quando “guaisce il ventobraccato dalla geometria/delle strade”, trasalendo peruna blasfema panchina di periferia, l’autrice raccoglie“sfatta l’emozione mietuta fuori stagione”, percorre“binari in disuso dell’impallidito destino”. Si celebra il“commiato dell’anima” “dall’arco teso dell’avvenimento”,e non solo lo si accetta. Del resto, il rito funebre, èinsito nella tradizione, congedo per altra esistenza nelpatrimonio stratificatosi. “Rammendavo la distanza” è iltentativo ostinato e comunque mai vano oppostoall’irreversibile, cosciente riflesso che “triste è pure nonavere nulla da rimpiangere” malgrado non restino che“fisionomie/di cartone rosicchiato dai topi” atestimonianza dell’evento. Considerazioni di apertura alnuovo, sebbene sottaciute, trapelano in chiusura perché“manca la poesia/nel giorno sceso in cenere” ed èormai forzata “la veglia stanca e irragionevole/al dioliquefatto nell’inchiostro”. Nel complessivo quotidianoincedere di una volgarità strisciante, qui la voce dellascrittura ancora distingue, media ed elaboral’imponderabile umano nel divenire della suaesperienza, discende nelle radici più profonde, ricercauna dimensione per quanto ci accomuna. Del resto, ilsondare oltre nel “travaglio del tempo”, è condizionesincera ed irrinunciabile per i poeti nella contemporanea“sperimentazione di stati interiori”, indagineindispensabile e qualificante la poetica in accordoall’introduzione di Marco Guzzi intitolata “vedere altro”.En. Pi.– Roma –specifico tratte da Su fondamenti invisibili , ma si rilevanitida la presenza e l’influsso dell’autore fiorentino anchenell’eco di certe cadenze, ritmi, scansioni. Sussiste inoltre,come si rileva dalla poesia che dà il titolo alla raccolta,e specificamente dai versi “A te parola non chiedosillabe/ che squadrino ogni lato (…) A te parola chiedo icerchi/ del sasso nello stagno che genera onde dipensiero”, un solido richiamo montaliano, quasi un’ecodi quel pregnante “Non chiedermi la parola” checostituisce la base e il grado zero, la possenteespressione dell’inesprimibile, racchiusa in “Ossi diseppia”. Ma qui la Serofilli ribalta tale poetica dellanegatività con un’asserzione decisa e feconda di valoricostruttivi.Come già accadeva nella produzione precedentedell’autrice, ci sono in questo volume anche componimentiche si muovono in modo del tutto autonomo, e in qualchecaso perfino controcorrente rispetto a tali orientamente e atali ascendenze. Nella sez. Omaggi, inoltre, il panorama siallarga, come se la poesia dell’autrice reclamasse a sé, aipropri temi ispiratori e alla propria gamma di suoni estilemi, rotte diverse, varie, affini e parallele a diversistati d’animo e al mutare dei tempi e dei toni, ancheinteriori, che si collocano alla base dell’atto del creare. Siallaccia quindi la Serofilli, tramite un dialogo ideale, adaltri autori a lei particolarmente cari che avverte vicini peraffinità elettive.Ci sono inoltre alcune poesie particolari, in cui un’ironiadiretta, a tratti tagliente, si sposa ad un ritmo consono a talebriosa e acuta osservazione. È notevole la distanza apparentetra queste specifiche liriche ed altre, molto più classiche neltono e nella scansione, tipiche dell’autrice. Tuttavia taledicotomia, seppure evidente, non stride, non risultainappropriata. Seppure con forme e strumenti diversi, ècoerente e riconoscibile l’intento di indagare sui misteridell’esperienza e della vita, la gioia, il dolore, la bellezza e laminaccia dell’assurdo. L’autrice, sempre mossa da nuoviincontri letterari e nuovi stimoli, sembra ora cercare spaziespressivi altri, più ampi; come un musicista che, tramitenuovi influssi, ampia la propria gamma senza mai rinnegare ilproprio mondo, gli accordi interiori che costituiscono la suaessenza artistica ed umana.Monica Guido– Basaluzzo (Al) –Edward D. MaloneRITORNO AL MONDO PER-DUTOEdizioni Simple 2007, € 12,00Valeria SerofilliCHIEDO I CERCHIPuntoaCapo editrice, 2008Nelle liriche di questo libro Valeria Serofilli porta avanti ildiscorso intrapreso fin dall’inizio della sua esplorazionedell’universo poetico, ed è ancora l’impronta luziana acostituire un punto di riferimento, una traiettoria, unadirezione, come già accadeva nel precedente Nel sensodel verso, (libro con audiolibro, ed. ETS, Pisa 2006).Anche nei testi di Chiedo i cerchi (alcuni dei qualicomparsi in Nel senso del verso – Nuovo volume,opera vincitrice dell’edizione 2008 del Premio GaetanoCingari) sono presenti citazioni luziane dirette, nelloDoyle, padre del giallo conHolmes, nel fantastico Mondoperduto restituisce identità allapenna di Malone, personaggionarratore che diviene ancheautore co-protagonista. Ritornoal mondo perduto, a suffragare questa ricostruzione, èun manoscritto ritrovato recentemente per il qualeStefano Berni, il “cacciatore di libri”, ha curato note etraduzione. Qui si aprono le prospettive di un secondoviaggio con altrettanti straordinari particolari celati daMaple White, altopiano con risvolti evoluzionisticidevianti e a noi più prossimi nell’icona di Jurassic park.30<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


Emerge un tardo ottocento più propenso a risolvere lastoria nella scienza per interpretare etica e destinodell’uomo, quello di Spencer e di Darwin che ricorre,oltretutto, citato nel testo, ma anche una parte di un“universo adolescenziale”, così come lo ha vissuto lostesso Berni, di una letteratura legata ad unimmaginario collettivo dove scorrono ancora Moby Dicke il capitano Nemo insieme a tutto l’esotico piùnostrano di Salgari. Un filone fantastico e avventurosocaratterizzante un’epoca in cui il mondo smise dipreservare misteri nella sua totale compenetrazione.Un’enclave come la foresta amazzonica,nell’ambientazione, sembrerebbe già essere l’ultimafrontiera per carpirne l’estremo segreto. Stampa eimpaginazione lasciano a desiderare, anche a causa diun carattere troppo piccolo che ne appesantisce lalettura. Il libro, invece, è ricco di colpi di scena, selfcontroled humour inglese della migliore tradizione. Agliinteressi filantropici e scientifici della spediziones’intrecciano quelli delle facili ricchezze riposte in unbacino ricco di diamanti. Maple White risulterà poi unluogo noto anche ad avventurieri senza scrupoli epersino ad un artista americano, figura del tuttointegrata in una sorta di prigione-paradiso e non cosìlontana dal popolare Tarzan che, a conti fatti, dovrebbeappartenere ai tempi.Lord John, provetto cacciatore e il dottor Stapleton,entomologo, sono i compagni di viaggio con cui Maloneraggiungerà il Rio Parà. Di lì, risalendo il fiume trafacendas ed avamposti legati all’estrazione dellagomma, giungeranno finalmente a destinazione. Glisquilibri lasciati dalla precedente missione affioranosubito attraverso gli indigeni Accala ormai soggiogatidagli “uomini scimmia” e destinati all’estinzione.Pipistrelli giganti e feroci pterodattili sono solo unassaggio delle prove che li aspettano, saranno benpresto ostaggio del balordo Leroy Adams per poiliberarsene conoscendo la più terribile delle minacce diquel remoto luogo, quella di gigantesche mantidievolute a specie intelligente ed organizzata. Insieme alpittore nonché poeta re degli alberi, riescono in modorocambolesco a rompere un incantesimo che li vedeeterni ostaggi, ma lui, idealista inselvatichito, non se lasente di abbandonare quel posto e lì preferisce perire,in una provvidenziale lava che seppellirà tutto e tuttioccultando per sempre un mondo, a tutti gli effetti, duevolte perduto. Fuoriesce ancora un eden violato, resoinstabile dal passaggio dei pionieri, soprattutto dall’usodi tanta dinamite sulla sopita sottile crosta delsottostante vulcano. Stapleton, sprezzante della suastessa esistenza nel perseguire la fede della scienza,non esiterà a prelevare un’ooteca contenente le uovadei mostruosi insetti prima di abbandonare per semprel’empirico empireo, ragione di una vita di ricerche.Epilogo allusivo, dove si lascia intendere un’ulteriorestoria di “baccelloni” che si sovrappongono all’umano.Trenta esemplari sfuggono al controllo dell’entomologoritirato in Cornovaglia, un bambino viene ritrovatodilaniato e Malone naturalmente, sospeso com’è trastoria e leggenda di questo libro, ne custodisce l’ultimosegreto.E. P.– Roma –Gabriel ImpaglioneALTRE SPIEGAZIONIOtras explicacionesPoesia – silloge, Edizione bilingueAER Club – Edizioni Il Melograno, pp. 120, € 11,20Dalla prefazione di Luis Benitez:La voce delle cose, tra le parole di Gabriel Impaglione“Altre Spiegazioni”, di Gabriel Impaglione, offre diversiregistri ed estratti di significato ai suoi lettori. Non citroviamo davanti ad un abuso di polisemia nell’aprire lesue pagine, se non alla possibilità di ogni versomisurata dall’autore, in modo tale da poter attuaresopra la mente e la sensibilità dei suoi lettori,orientandoli verso diversi cammini secondo la suaintenzione. Possiamo parlare di un’intenzionepredominante, che governerà sopra il senso generale d’ogni poema, e d’intenzioni secondarie, che provengonoda tappe del poema, dettagli della costruzione dei versio, in modo ancora più sottile, espresse mediante chiavidi senso che sorgono in qualche riga e dopo sembranoscomparire, per risorgere più tardi e completare l’effettodella loro prima apparizione.Così, ad esempio, succede in uno dei poemi iniziali,titolato “Giustizia”, dove la corrente principale che pareanimare la composizione nel suo contesto è l’intenzionesociale; d’altra parte uno dei pilastri tematici dell’operadi Gabriel Impaglione, ma sorgono e s’impongono altresuggestioni che ampliano la portata del poema, inclusol’ impiego misurato del difficile ricorso dell’ umore:Della morte s’imbandierano i boia.I funebri bronzi che abbondano, gravi,in piazze e musei e caserme.(lì fanno giustizia le colombe)……………………………………..della morte si vantano i sicaridel serramanico, del zig zag dell’acciaio.Loro si mettono medaglie tra lorosi spalleggiano con rivendicazioniche danno schifo.(Lì fa giustizia la memoria)………………………………………Gabriel Impaglione (Moron, Buenos Aires, 1958- Residentein Lanusei- Sardegna), giornalista e poeta argentino, vincitoredi vari premi letterari, tradotto in diverse lingue, direttore efondatore della rivista di poesia e letteratura Isla Negra, diampia diffusione nel mondo, in 3 lingue diverse.Dello stesso autore ricordiamo:Carte di Sardinia (Ed. UNIService, Trento, 2006),Explicaciones con mar (Ed. UNIService, Trento, 2007),Letrario de Utopolis (Linajes Ed., Mexico, 2004), Bagdad yOtros Poemas (El Taller del Poeta, Spagna, 2003).<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200931


Davide RondoniIL FUOCO DELLA POESIABUR 2008, € 9,20Iconoclasta di un mondo sgretolato,impegnato in astrusi, grotteschiesercizi volti a vanificare la morte inuna cultura anaffettiva nel suoessere sentimentalista, Rondoniaccende luci e speranze attraversoallegoriche, colorate finestre ritrattenella copertina, novello surrogato di stelle per unaperduta, sublimante tradizione. Invoca poesia,consapevole suggestione di appartenenza ad altroperché di stelle, in fondo, siamo costituiti. Dell’umanocalore, della vita e dell’oltre, piccole frammentarie luciritraggono un ulteriore cosmo, una comune origine perun divenire ignoto nella chiave di un medesimo misteroda condividere. Rondoni, con “Il fuoco della poesia”,v’intraprende il suo ponderato viaggio nell’ “oggi”, comecattolico allineato e assumendone con coraggio lescelte, ma in una dimensione comunque universale eilluminata di esegesi poetica da cui non possiamoprescindere sebbene, beninteso, restino sempreopinabili talune identità di posizioni. Si apre con unnodo epistolare pretestuoso, che “da palo in frasca”riesce a dialogare nell’armonioso caos poetico con lacronaca di tutti i giorni. L’autore veste i panni del bardoindignato per il suo paese, ma anche quelli del crociato,baluardo di cristianità contro le volgarità di questomondo, “il niente della schiavitù” in un vuoto di valori,l’indifferenza del vivere. Nel merito e nella qualità dellemotivazioni, resta il miracolo dell’amore, se autentico.Sì, perché tra i mali elencati nell’anamnesi di cronachel’ipocrisia imperversa come una cancrena conclamatanel nostro vivere, anzi non vivere. Famiglia evocata tra“ronde” di mamme, insita in una tradizione incapace dirigenerarsi e che, proprio nell’amore, non è più in gradod’interrogarsi sull’inadeguatezza e il disagio di spazi eruoli come pure dei mezzi legislativi. Famiglia che, amio parere, dovrebbe estendersi ed evolversi persalvaguardare un futuro piuttosto che riproporsi nellasua dissoluzione. “La tradizione è sempre daconquistare, diceva Eliot”, non da emulare. Lo sguardopoetico di Rondoni si sofferma su tematiche delicate edi rilievo come aborto, fecondazione assistita,omosessualità ed eutanasia riuscendo a esemplificare ipiù convincenti spunti tra strisce di cocaina e “ansia diprestazione” o nella tv “droga psicologica”, “dio algidodel nostro tempo”. Inevitabilmente si attraversa lastoria, quella più recente, che va dai kamikaze dell’ 11settembre agli sciacalli di New Orleans, controfigura del“nostro cuore”. Rievocati anche gli anni Settanta che,secondo me, non sono soltanto un modello diseducativoanzi, c’era un vivido, libero e sincero senso di ricercaspirituale e amore, soprattutto nel filone di certa culturahippy-psichedelica. Oggi c’è la “generazione bancomat”,priva di un riferimento educativo autentico e libero, chesegna il “nulla” evocato attraverso i versi di Montale.Qualche laico qua e là additato, come Grillini conl’aneddoto dantesco o la Hack in tutto il suo “livoreanticattolico dal sapore ottocentesco”. Rilevantel’attestato di stima per il coraggio della Fallaci, atestimonianza vengono riportati eloquenti frammenti diuna conversazione: “le due grandi questioni sono Dio ela libertà”. Pertanto, di fronte a una Chiesa schietta conle sue “indicazioni” nel rispetto della “libertà dichiunque” coesiste il Voltaire di “non sono d’accordocon le tue idee, ma darei la mia vita perché tu possaesprimerle”. Viceversa, sull’altro fronte, troviamointolleranza ed estremismo con tutto il male che neconsegue. Per “uscire dal Novecento”, certamente,occorre rivalutare quegli aspetti spirituali più evoluti esaldamente rappresentati dalle religioni piuttosto cheaccomunarli nel “brodo di cultura del nuovo fanatismo”,così come Rondoni ravvisa in Wiesel. Fondamentalirestano “gli artisti. Meno noiosi dei filosofi, della grandemaggioranza dei preti e dei commentatori”, perchè quel“tacito, infinito andar del tempo” è una “costantecosmologica” che riporta a sottili equilibri che soltantoun poeta può cogliere.Enric. Pietra.– Roma –italiano/ingleseAndrea Del Grosso (con uncontributo di Cecilia Alessi)IL CROCIFISSO ROMANICODI ABBADIA SAN SALVATO-RE Restauro e precisazionicriticheAli edizioni, 2008, € 28,00Collana: Quaderni dellaSoprintendenza di Siena e Grossetosovraccoperta a colori. Pp. 96 conill. col. B/n, cm 18x24,5,Il volume è dedicato a un importante e innovativostudio storico-critico sul grande crocifisso ligneoduecentesco conservato nell’abbazia cistercense diAbbadia San Salvatore (SI), considerato non solo unodei capolavori della scultura medievale italiana, maanche uno dei rarissimi esempi superstiti di crocifissi digrande dimensione del XII secolo.Nel saggio centrale, sviluppato dal ricercatoredell’Università di Pisa Andrea Del Grosso, l’operaillustra, attraverso un complesso lavoro di raffrontistilistici con altri crocifissi astili coevi presenti in diverselocalità italiane e estere, nuove ipotesi di attribuzione edi collocazione della celebre scultura, la cui vicendastorica presenta singolari caratteri di continuità legatiprobabilmente anche al contesto storico e geografico incui l’opera è stata tramandata.Del Grosso giunge alla conclusione che sulle definitivescelte formali dell’autore devono aver inciso tanto ilretroterra culturale dell’artista quanto elementi einfluenze derivanti dallo studio, da parte dell&rsqu!O;artist a medesimo, della storia della Chiesa edell’Abbazia stessa. Il ricercatore pisano ipotizza inoltreche l’opera sia stata realizzata sotto la strettasupervisione di un’influente personalità del monastero:il Crocifisso sembra infatti echeggiare i fermenti religiosiche scuotevano l’ordine benedettino nel corso del XIIsecolo.Proprio in queste modalità interdisciplinari di studio edi approccio all’opera d’arte consiste un altro deiprincipali motivi di originalità del volume, che non si32<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


limita all’analisi stilistica del Crocifisso, maapprofondisce il quadro del contesto culturale checondusse alla sua realizzazione e alla sua successivafortuna.In coda all’intervento tecnico dei restauratori NadiaBerton e Stéphan Cren, la curatrice della collana de “IQuaderni della Soprintendenza”, Cecilia Alessi, proponepoi un interessante contributo che, attraverso una seriedi rilevazioni oggettive e di elementi documentari,ricostruisce con dovizia il percorso seguito dall’opera nelcorso dei numerosi spostamenti subiti all’internodell’abbazia.Il saggio di Del Grosso costituisce un nuovo eoriginale tentativo di inquadrare criticamente questaenigmatica scultura lignea.Attraverso l’analisi della sua fortuna e un’ampia seriedi confronti che spaziano in tutti i campi delle artifigurative, viene qui tratteggiato il complesso panoramain cui rintracciare le possibili vie che condussero allarealizzazione del crocifisso: dall’identificazione dellematrici culturali dell’autore alla storia della Chiesa e allaspecificità dell’abbazia imperiale di San Salvatore, senzatralasciare il ruolo svolto dalla funzione catalizzatriceche le immagini rivestivano nella liturgia medievale.Inaugurando un nuovo approccio all’opera d’arte, laricerca dei caratteri stilistici non viene distinta dallanatura profonda e originaria dell’immagine sacra, creataper illustrare il mistero della morte e resurrezione diCristo. (Comunicato di stampa di Ali edizioni)Armando Guidoni (A cura di)DALLA LOGICA PIRANDELLIA-NA AL RELATIVISMO DI DEFINETTIControluce Edizioni 2008, € 10,00rendere lo spessore filosofico del matematico che, inoccasione della scomparsa di Pirandello, non esitò adefinirlo “uno dei più grandi spiriti matematici”.L’intervento di Silvia Coletti si snoda “dall’asseSchopenhauer-Nietzsche” in un caleidoscopio che nonpuò non lambire “l’intuizionismo di Bergson” nel giocodelle maschere per risalire indietro, fino a Protagora edintrodurre Hamilton passando per un Pascal che, nelsentimento, intuisce l’accertamento di una verità oltre ilpensiero. “Realizzeremo il sogno emulativo?” è ilquesito sollevato da Armando Guidoni riportandoci,dalle fucine degli déi omerici, all’esperienza di ricercasull’ ”intelligenza sintetica” del “gruppo di Frascati”,proseguimento del Progetto Giasone con ampieconsiderazioni sugli “aspetti artistici dell’uomo”. Fulviade Finetti, figlia di Bruno, evidenzia quel triangolo dipensiero che venne a configurarsi, col filosofo Tilgher,nel panorama italiano. Voci fuori dal coro deldeterminismo e dello storicismo, “anticrociani furono inostri tre personaggi”. “Ebbi l’impressione che lamatematica fosse per lui musica e poesia”, palesò lamoglie di Bruno. “Un matematico che non è anche unpoeta non è un buon matematico”, conclude, non acaso, Luca Nicotra con Weierstrass. “Inveterate illusionirazionalistiche” sono quanto situa la matematica comedepositaria di “verità assolute e universali”, un “sistemaipotetico-deduttivo” concepito da “assiomi o postulati”,ma soltanto uno dei tanti possibili. Alla logica binaria, dimemoria aristotelica, si sovrappone quella delleprobabilità e delle diverse sfumature interpolabili,“seme del relativismo” scientifico. Del resto, tanto nellamatematica quanto nei personaggi pirandelliani, siprocede attraverso una logica ostinata, inabileall’omologazione con quanto diversamente impostato.Con Di Fresco viene recuperato L’uomo dal fiore inbocca: un avventore ed i suoi parsimoniosi dettaglinella stazione più prossima alla morte. Monge eNapoleone sono il fulcro dell’intervento di hiusini,“architetto tra arte e scienza”. Giordano Bruno, allievodi de Finetti, conclude ripercorrendo la figura di Sciasciaaccanto a quella del suo mentore per evidenziare come,al di là di ogni apparente inconciliabilità, aderironoentrambi al Partito Radicale divenendone “alfieri”. Lalogica dell’incerto è, nei fatti, la più alta spintaumanistica che vivifica la scienza e, prima ancora,epiteto di tolleranza troppo spesso, ai giorni nostri,strenuamente osteggiato dai colpi di coda di unassolutismo morente, sia sul piano ideologico che suquello religioso.Enrico Pietrangeli- Roma –Si tratta di atti di una conferenza,successivamente dati alle stampenella neonata collana Quaderni diArte e Scienza. Il progetto si ponecome punto di riflessione traricerca artistica e scientifica in un contesto di recuperorelazionale. Analisi che scorrono in un percorsognoseologico con adeguate corrispondenze a quelloontologico in ulteriori chiavi di contesti di probabilità làdove, oggigiorno, si propende piuttosto al recupero diun altro binomio, quello di arte e religione, comunquealtrettanto indispensabile per quanto connaturato nellatradizione. E, non a caso, un’organicità perduta, quelladei piani speculari della mente di un matematico comede Finetti che convergono sulle infinite possibilitàformulate dall’umanista Pirandello, riprende contesto inquesto caotico e mutante inizio di terzo millennio. LaAlessandro Gasoli – Giovanniscienza, in qualche modo, ricerca altre collocazioni,Ottones’interroga a partire da quella teoria della relatività chePROGRESSIVE ITALIANOha un po’ sovvertito tutto, dai criteri d’indagine allaGiunti, 2007soggettività dei punti d’osservazione nell’impossibilità dideterminare la natura di un punto, assioma perNulla di nuovo, forse, per i più,accertare ipotetiche verità che, in realtà, sono Uno,ovvero quanti, giovani e menonessuno, centomila. A rimarcare l’ascendentegiovani, hanno già riposto lepirandelliano su de Finetti, provvede Pierluigi Pirandello,dovute attenzioni al genere, manipote di Luigi, che apre le relazioni riportando l’articolola stesura del testo (nonTre personaggi della matematica: i numeri e, i, π peresattamente un manuale mapiuttosto un compendio enciclopedico) è coerente al33<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


progetto della collana Atlanti con la sola pecca di nonrisultare pienamente oggettiva nel paradosso di uncerto tecnicismo caratterizzante il corpo delle schede.Libro più propenso a mettere in luce il pianocollezionistico piuttosto che a forgiare nuove leve diaudiofili nazional-progressivi. Di fatto, è un prodottocurato e a buon mercato, che offre un’ampia gammad’immagini e informazioni in un’ottima veste grafica.Ragioni sufficienti per cedere alla tentazione diacquistarlo e consultarlo non senza provare unadiscreta dose di gratificazione. Introduzione lineare, conampio sguardo verso riviste, festival, media, e cheriesce nel suo scopo di aprire uno scorcio sul periodo. Siparte dagli Acqua Fragile, che i fan ricordano come iGenesis italiani, per chiudere con Il Volo prima deL’Uovo di Colombo. Elementi già sufficienti a percepiresia le dimensioni che i livelli di astrusa ricerca raggiuntidal fenomeno, spesso infarcito di riferimenti colti nelsuo essere permeabile a logiche spontaneiste. Delresto, nell’esuberante laboratorio progressive,improvvisazioni jazz, contaminazioni classiche, maanche matrici folk o componenti esotiche, sonopatrimoni eterogenei da cui attingere continuamente.Un lustro insigne caratterizzerà il fenomenorivoluzionando l’epopea beat attraverso psichedelia escuola di Canterbury. Si denota, da parte degli autori,una certa propensione al suono più hard. Ampio spazioviene lasciato agli Area, orfani del dotato Stratos, conTofani che condividerà un destino Hare Krishna insiemea Claudio Rocchi, originale protagonista della scenaquanto un altro importante caso, ovvero l’Alan Sorrentidi Aria accompagnato da Jean Luc Ponty. Arbeit machtfrei, per la cronaca, contiene una P38 sagomata “nellaprima edizione”. Le tematiche religiose dei Latte eMiele, invece, approderanno al Teatro Pontificio nel ’73e, sempre nello stesso anno, verranno boicottate neltour della Grecia dei “colonnelli”. Fede, speranza, caritàispirano i J.E.T. e non sono affatto ignote ai New Trolls,colossi della riviera. Il Banco e il suo “salvadanaio”restano uno dei punti cardine di tutto il filone. Spazio èriservato anche a Battiato, quello aureo, prima de L’eradel cinghiale bianco. Telaio Magnetico, tra gli altri,spicca come progetto d’avanguardia sperimentale che,in quegli anni, coinvolgerà anche gruppi come Dedaluse Opus Avantra. Biglietto per l’Inferno viene trattatoalla stregua di un punto di riferimento, con loro c’è “ilcarismatico” Canali che, a sua volta, finirà anche lui neltempio a cantare giri dei Santi Nomi. Satanismi d’epocasono invece i possibili risvolti degli Jacula riesumati ecelebrati dall’etichetta Black Widow. Notevoli esottovalutati sono gli Ibis di Sun Supreme con tanto disuite e dedica al Guru Maharaji. Anche Le Orme, peridentità e ruolo, sembrerebbero alquantoridimensionate. Osannati gli Osanna, certamente tra lepiù originali ed interessanti formazioni del periodo. LaP.F.M., naturalmente, è l’attrice mediterranea all’esteromentre Il Rovescio della Medaglia ricorre con l’aneddotodel “costosissimo impianto” sottratto. Da segnalareCarelli, “poeta-cantante” dei Pholas Dactylus con i suoirecitativi lisergico-jazz. Da evitare, magari, qualcheassenza, come quella del Gruppo d’Alternativa, Ipotesiesistenzialista senz’altro ragguardevole e da ricordare,se non fosse per altro, nei nefasti esiti delle sezionivocali. Fuori anche quei rari esempi di controtendenzapolitica, inclusa l’impronta celtica della prima ora che vasotto il nome di Janus. A malapena citato compare untardivo ed interessante caso in bilico tra i primissimiKing Crimson e la già dilagante fusion, ovvero i LivingLife di Betti già Circus 2000.E. Pietrangeli– Roma –SEGNALAZIONI:Alda MeriniMISTICA D’AMOREFrassinelli, novembre 2008, pp.434, € 19,00«Domandano tutti come si fa ascrivere un libro. Si va vicino aDio e gli si dice: feconda la miamente, mettiti nel mio cuore eportami via dagli altri… Cosìnascono i libri, così nascono ipoeti.»Mistica d’amore riunisce cinque opere di ispirazionereligiosa composte da Alda Merini tra il 2000 e il 2007,racconti poetici che hanno per protagonisti le figurefondamentali della fede cristiana. Le pagine di Corpod’amore indagano l’enigma di Gesù e il potere del suoamore per gli uomini, «fiamma che sciolse tutti ighiacciai dell’universo». Riflessioni riprese nel Poemadella croce, al centro del quale si staglia il teatro dellacrocifissione, il luogo terribile dove il dolore di Dio equello dell’uomo convergono e la pietà e la speranzasembrano bandite per sempre. In Magnificat, unaVergine Maria fragile e umanissima rivive il suosmarrimento di fronte al mistero della divinità del figlioe, in Cantico dei Vangeli, Pietro, Giovanni, Giuda, Filato,Maria Maddalena intessono con Gesù un dialogointenso, ciascuno con accenti diversi — pensosi, drammaticio intimi. In Francesco, infine, il santo di Assisiripercorre, in un monologo che è a un tempoconfessione e preghiera, le tappe fondamentali dellasua vita, dalla rinuncia ai beni del padre all’attesa dellamorte. Ne risulta un unico canto di amore mistico, dovepoesia e professione di fede si intrecciano in versi dipotente suggestione e grande forza espressiva. (DaCopertina)Un regalo meraviglioso dove poesia e fede siintrecciano in versi di potente suggestione.«Questa libera interpretazione dell’autrice non vuoleminimamente intaccare i dogmi del cristianesimo. È unomaggio personale alla figura di Cristo, con tutti i limitiche può avere l’intelligenza dell’Autrice.» (A. M.)34<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


Ecco un brano del Poema della Croce (pp. 206-209):Portato sul monte,Gesù vide addensarsi intorno a luiuna schiera di anime dannateche volevano deturpare il suo volto.E un demone, il più forte,Io apostrofò dicendo che il suo sacrificiovaleva meno di nientee che lui era l’imperatore sovranodi tutte le genti.Sotto questa tremenda accusaGesù chinava il caposentendo che le tenebregli discendevano nel profondo del cuore.Il demonio è potente,è talmente potente che esce drittodal profondo della terrae attenta al cielo.Però vuole tornale al suo fulgore primitivo,vuole di nuovo recare dannoe soprattutto disconosce la paternità di Dio.Ma quando Gesù chiamava «Padre» il Creatore,il demonio si gonfiava di lacrime e di rabbiain quanto nella sua grande demenzail demonio si sentiva autogenerato.La parola «Padre», gergo di sottomissione e di colpa,èra sul labbro di Gesùcon tutta la dolcezza verginaleche aveva incoronato Maria fanciulla,l’obbedienza,l’umiltà,la terra selvaggia del desiderio,l’assunzione del desiderio,la devastazione della passione.B tutta questa pena del cuore’era ammansita apparentementedall’oscura presenza del demonio.In realtà si trattava di un trucco feroceperché Gesù fosse confusocome tutte le anime dannatechiuse nell’inferno.«Ruota verso di me la tua passione:è la ruota di un carro che mi schiaccia.Ti giuro, Padre,mi fanno meno male i chiodidi quell’enorme fascio di nervi e di muscoliche mi stringe i visceri.La tua passione, Dio,mi sconvolge.Io sto diventando un uomo di pietra.Sarà la prima pietra di quella chiesadove tu trionferai.Un uomo fatto di sola pietra.Ma mentre le pietre gridano,tuo figlio non urlerà,non piangerà.E come fa, secondo Te, Padre,un uomo così tenero come me,il figlio di Maria,a non farsi udire?Ma io sono nato nel silenzio,sono stato concepito nel silenzio,sono stato il fuggiasco del silenzio.E adesso,se mi inchiodano sopra una croce,non fanno che inchiodarele ali di una farfallafinalmente libera.Posso significare, Signore,questa piccola mia grande scoperta:che la viltà è solo un ingannoe la passione è solo un tremore di carne,la passione è solo una rosache splende al sole.»Stefano VestriniUN CHICCO D’UVAChiara d’Assisi: appunti da unviaggio«Improvvisamente Chiara miprende la mano e la stringe conforza, poi alza lo sguardo e si voltaverso di me, come faceva dapiccola.Ed io vedo che piange con gliocchi, mentre un sorriso d’infinitadolcezza le fiorisce sulla bocca.»Titivillus Edizioni 2008, Corazzano (Pi), pp. 88, € 12,00Una notte insonne a navigare su internet puòriservare delle sorprese.Questa personale indagine emotiva su Santa Chiarad’Assisi è iniziata così, per caso ed insieme comerisposta urgentissima ad una ricerca.Le pagine che seguono sono il frutto immediato evolutamente non rielaborato di questa esperienza fattadi entusiasmo, di dubbi, di riflessioni e di commozione.E come per ogni avventura affettiva, si passa in modosfacciato dalla poesia alla analisi razionale, nutrendosidi scritti e di raffigurazioni pittoriche. C’è poi un realeviaggio ad Assisi, oltre quello interiore richiamato dalsottotitolo, di cui l’autore riporta le suggestioni visive.In sintesi, il testo è la cronaca semplice dell’incontrocon una delle figure centrali della spiritualitàoccidentale. (Dalla Copertina)È superfluo aggiungere qualsiasi cosa, è piuttosto piùopportuno citare alcuni brani iniziali dal libro:1.Come è lungo questo viaggio all’indietro.La nebbia della storia, le figurine scolorite, un paeseche esiste ancora.E poi gli inganni dei ricordi, le mille incertezze di unmosaico mancante.L’abisso del tempo, l’ipocrisia, una vocina impercettibile,il frastuono del mondo.Decido comunque di provare a capire, e così vado acomprare un libro che parla di lei.All’amica libraia: “Ricordo solo il titolo: Una solitudineabitata.”Lei controlla sul video: “Ne abbiamo una copia, aspettache la cerco…”Non ricordo l’autrice, ma rammento il titolo perché èbello.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200935


Passano i minuti, girovago per le sale della libreriaguardando gli scaffali, senza in realtà vedere niente.“Mi dispiace, è strano… Risulta una copia in carico, manon si trova. Non resta che ordinarne un’altra.”“Va bene, torno giovedì prossimo. Non è urgente.”Ed infatti non è urgente: è urgentissimo.Niente libro per il momento, non resta che continuareper qualche notte a sbirciare su internet.Qualche tempo dentro di me.Mi viene di nuovo in mente il racconto sulla luce dellestelle.Quando noi vediamo una stella che brilla, non è dettoche il corpo celeste sia ancora vivo. Questo perché ilviaggio che compie la luce per giungere a noi è cosìlungo che, tra la partenza e l’arrivo, la stella nelfrattempo può essere morta.Questa acquisizione astrofisica ha un sapore di tristezzaed insieme di speranza. La fonte della luce che noivediamo è ormai fredda e spenta, ma il bagliore nelcielo nero è la prova sicura che è vissuta proprio lei,una stella, quella stella.Posso aspettare il libro fino a giovedì.2.Il nome, il tuo nome, ha certo avuto un peso.Un peso per spingermi a partire in questa indagine dallemille insidie.Una persona nuova, una novità, e più d’ogni altro, ilnome di una donna giovane.Mi ricordo bene il momento in cui ho deciso.La luce bianca dello schermo, seduto di notte sullasedia di cucina.Cosa cercare per voltare lo sguardo dal freddo che faqui, dalla paura di restare solo, dal tempo che passamaligno.Francesco, una breve ricerca e poi un altro nome, il tuo.L’angolo dietro al quale mi aspettava la tenerezza chepoi sempre mi spinge a scrivere, è giunto inaspettatoquando ho letto il tuo nome completo del cognome, delcasato di appartenenza.Un nome, un cognome. Quindi una ragazza, unapersona reale, un persona vera.La banalità della riflessione è divenuta un tesoro daavvicinare al cuore e bloccare con la ragione.3.Da un po’ volevo occuparmi di quegli anni.Li ricordo come un frullato liquido, i lenzuoli bagnati,l’odore della classe, il calore di una casa dove tornare.Piccole fughe in avanti, premi e penalità, vicolo strettoe parco della rimembranza. Sconfitte rimediabili alritorno, il cambio della vespa che entra bene in quarta,la musica, la mia, la tua e quella sbagliata degli altri.Shampoo Johnson e giochi con le frontiere, gli assassinial telegiornale, un pappagallo in tv, la storia dell’arte, lastoria di Dante, la voce di Neil Young, la filosofia.Spitfire e giacca blu, sofficini, Gambassi, lascampagnata del primo maggio.Poi il fuoco di agosto che tutto concentra in sé, nellasiesta sudata dopo pranzo, nell’attesa inutile del pomeriggio,nella notte, nel mar nero, nel brivido lunare.Questo il ricordo geometrico dei miei anni.La parola esatta è gioventù.La parola è questa, ed appena la pensi un milione dichicchi d’uva si schiacciano e schizzano fuori tutto ilsucco. Un milione di vite, di scarpe da ginnastica adaspettare il treno, le femmine con il nome, tra maschicol soprannome. “E mi viene da pensare a quante volteho scritto canzoni…”, la bellezza della musica incompagnia delle parole, specchiarsi nei compagni discuola, una stanza immensa con due milioni di occhineri.Io con la borsa degli affanni ed il caffè in bocca,osservo i ragazzi che aspettano l’autobus.Protetti dalle mode del momento, sono lì in attesa,senza un’idea neanche vaga del tempo.Lei una notte uscì dalla casa del padre.Non dalla porta d’ingresso, ma da un’apertura secondariasempre tenuta chiusa, con cataste di legna edattrezzi davanti.Qualcuno, a cose fatte, fece notare la prima incredibileimpresa. Da sola la ragazza si era liberata dell’enormeammasso di ingombri pesanti che le ostruivano il passo.Tu hai aperto senza far rumore il portone e si è spalancatodavanti ai tuoi occhi il buio di quella notte dimarzo.Le stradine, i tuoi piedi sui ciottoli, un rumore lontano, ilcuore, il cuore, il cuore dentro di te.Un chicco d’uva che scende di notte per le vie di Assisi.4.Mammola è un suono di quella lingua nuova fatta diparole fresche, eleganti e contadine.C’è ancora il sapore del latino non lontano, ma è unalingua più rotonda, come intagliata nel legno.Mammola è certo un suono, il primo, il più facile cheesce dalla bocca.Mammola è un significato, indica un’idea di tenerezzainfinita: non un’“altra”, ma una parte della mamma, unamamma in miniatura.Ricordo i dipinti dai colori caldi, con la bambina dalleguance rosate e pasciute, gli occhi ridenti come spilli.Ed incontro ancora un nome, quello di tua madre, unnome che sale su dal campo, dall’orto, nobiltà ecampagna vicine di casa, un’idea per noi così lontana.Tu bambina, in compagnia delle due prime sorelle, tu,miracolo a dirsi, che sei esistita davvero.Mi tuffo ancora nel libro.La storia del Medioevo non fa sconti, è un blocco dighiaccio e sangue che respinge. Città a ferro e fuoco,stridore di denti, il potere è un cavallo scosso e disperato.Torno dentro la cucina buia, e ti ritrovo con Agnese eBeatrice. Fuori il rumore del mondo.5.Traffico, mal di testa, poca aria, cravatta e cuore pesante.Mi chiedo se questa idea timida potrà sopravvivere.Tornato dal lavoro non mi cambio, e con la giaccaindosso apro ancora il libro.Le pitture che ti raffigurano offrono immagini di te.Le osservo, torno a voltare le pagine in attesa di unaltro dipinto.La misurata studiosa autrice del volume mette inguardia sui rischi interpretativi, su quelle che sono vere36<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


e proprie trappole disseminate sia nei testi scritti chenelle icone pittoriche.Sia neppure una foto per vedere com’eri realmente.Ci sono delle miniature che ti raffigurano con trattiquasi infantili, il visino rotondo e due pomellini rossi.Anche altre figure che accompagnano le scene in questaserie di dipinti appaiono serene e prive di angoli origidità.In alcune pitture la tua figura è più allungata, il voltoserio e scavato, e già assumi l’aspetto più classicodell’iconografia religiosa.Sono quasi le dieci di sera, e non ho ancora cenato.Questa ricerca per scoprire la verità sul tuo aspetto nonè solo curiosità. Risponde al bisogno di un carburanteenergetico per continuare in un viaggio nel tempo oltrequeste stesse immagini che, mentre ti descrivono, mistanno forse nascondendo il vero.6.Se tu mi rispondessi, anche in silenzio, mi sentirei menosolo in questo che è già un dialogo.Resterò in ascolto.Per adesso riordino le idee, le date, gli avvenimenti distoria e poesia.Avevi dodici anni, quando Francesco si è spogliato dellepesanti vesti, facendo impazzire suo padre di rabbia edi dolore.Molto rumore in città: il figlio del commerciante ditessuti, sì proprio lui, quello che ambiva a diventarecavaliere, che aveva combattuto con coraggio contro iPerugini, che si era ubriacato con gli amici, perdendositra baldorie e vicoli notturni.Lo scandalo, lui nudo davanti a tutti, proprio così enelle stanze non si parla d’altro.Si parla sottovoce, si ascolta in silenzio, tutti dicono laloro, attendendo il turno.Davanti al camino, nelle piazze, dentro i cortili, sottol’arco buio, ed anche in chiesa. Tutti dicono la loro suquesto schiaffo al mondo, un saio grezzo al posto delmantello, tanto basta che il cuore di Assisi inizia abattere ed a cavalcare impazzito.Ed un vento forte spalanca le finestre, ti trova sveglia incompagnia delle tue dodici perle, di una memoria brevee vivissima, del coraggio di una donna. […]Max MatteiL’ULTIMA FUGALa Piccola Editrice, settembre 2008,Celleno (Vt), pp. 142, € 8,00Dalla copertina:Un monastero, una novizia, unavita costellata di esperienzedrammatiche, di tentativi di fugadalla realtà sino all’ultima fuga in unanuova dimensione per scoprire“quella verità che incosciamente da sempre andavacercando”.Ninfèt, una novizia, in seguito ad un eventoimprevisto va in coma ed entra in una nuovadimensione astrale. Liberata dal peso della materialitàha modo di avventurarsi nei segreti del cuore di alcunesue consorelle e scoprire le ragioni per cui sonorinchiuse in monastero.Suor Gaudenzia, in seguito alla sua ambigua amiciziacon un’amica, finisce in monastero per punizione.La vicenda principale è quella della superiora, suorLetizia, che decide di entrare in monastero per scontareil suo peccato di gioventù: aver vissuto un’appassionatae proibita storia d’amore con frate Sabatino.Ninfèt, la protagonista, scoprirà alla fine che inquell’amore è racchiuso il senso nascosto della propriadrammatica esistenza. Tenterà di fuggire nuovamentedalla sua realtà… sarà l’ultima fuga.Un’avvincente trama innervata da situazioni limite enarrata con ritmo incalzante che non lascia spazio adautocompiacimenti stilistici.________L’Arcobaleno________Rubrica degli Immigrati Stranieri in ItaliaoppureAutori Stranieri d’altrove che scrivono e traducono in italianoMelinda B. Tamás-Tarr — <strong>Ferrara</strong>LE NUOVE AVVENTURE DI SANDYVI/1 UNA RIVOLTA CAOTICA NELLA BIBLIOTECADalla sera di ieri l’altro, circa dalle ventidue, notevolirumori misteriosi, provenienti dall’edificio dellaBiblioteca Comunale Ariostea in via delle Scienze hannoattirato l’attenzione degli abitanti vicini ed essi hannoimmediatamente avvertito le forze dell’ordine che sisono precipitate immediatamente sul luogo. Colpo discena: le porte si trovavano accuratamente chiuse,nessun segno di intrusione. Anzi, dopo aver procuratole chiavi, le porte sono rimaste chiuse… Tra la gentecuriosa riunita davanti all’edificio si sentivano delle voci:«Forse qualche malvivente… I ladri di libri…» Qualcunoha sussurrato: «Io ho visto strani fenomeni di luci sulcielo… Forse gli ufo…» Un uomo sentendo questocommento ha cominciato a ridere…, altri invece lohanno zittito: «Non c’è niente da ridere!… Lei nonpensa che sia un fenomeno strano che le porte non siaprono e dentro chissà che cosa sta succedendo?… Iopiuttosto ho paura…»Insomma, fino all’alba non si è riuscito a scoprireniente… Le forze dell’ordine ed i vigili del fuoco stannostudiando tutte le strategie possibili per l’accessoall’edificio, per scoprire e far cessare l’origine di queirumori misteriosi. Ma di che rumori si tratta? Veramentestrani ed indescrivibili: come se fossero tante persone a<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200937


parlare e a litigare tra di loro, come se corresseropersone in gran massa avanti in dietro…»Come se non bastasse, durante la mattina di ierisegnalazioni simili sono arrivate anche dagli abitanti chevivono in vicinanza dei negozi di libri. Le forzedell’ordine ed i vigili del fuoco sono impotenti anche inquei luoghi: non riescono ad entrare nelle librerie. Finoad adesso non sono riusciti a risolvere la questione.Tutto sembra essere una cosa misteriosa e difficilmentecomprensibile. Speriamo che al più presto riusciremo adare notizie più tranquillizzanti. Ora stiamo attendendogli sviluppi col fiato sospeso…»Erano già passati due mesi dall’inizio del nuovo annoscolastico, quando questa notizia sconvolse tutti gliabitanti. Sandy si recò verso la biblioteca al pomeriggiodel giorno che seguì la pubblicazione clamorosa. Ilmistero di questa storia non era ancora risolto. Datoche lei non sapeva ancora niente dell’accaduto, scoprìcon gran stupore la presenza di tanta gente davantiall’edificio. Riuscì a captare qualche brano delleconversazioni per capire la situazione e rendersi contodella sua gravità. Roba da non credere! Che cosapoteva essere? Che mistero poteva essere questo? Cosìla vita della città di <strong>Ferrara</strong>, la bella Duchessa Estensesempre avvolta dalla nebbia eterna, poteva avere unpo’ di brivido straordinario e non quotidiano perrinfrescare e vivacizzare la sua circolazione sanguina…Certo, a causa di questa inspiegabile storia, gli occhidell’intero Paese si fissarono su questa cittadinapadana…Sandy capì che in quella particolare situazione nonpoteva entrare alla biblioteca come facevarecentemente. Allora addio, Babbo Historicus: era ilmomento di rimandare l’incontro ad un’altra volta! Laragazzina cominciò a rassegnarsi e decise di tornarecasa. Proprio in quel momento, quando ella fecequalche passo nell’allontanarsi dalla folla, sentì diessere chiamata:«Sandy, Sandy! Aspetta, non andartene!»Ella girò il capo verso la voce proveniente e vide congran gioia Babbo Historicus. Ma che sorpresa, egli nonera da solo: si stava avvicinando a lei in compagnia diun’anziana signora. Raggiunta da questa coppia,Historicus continuò a dirle:«Ciao, Sandy! Per fortuna che t’ho raggiunta ancorain tempo… Prima di tutto ti presento questa gentilesignora…»«Ciao, Sandy, ho sentito di te tante belle cose dalBabbo Historicus… Piacere di conoscerti…, io sonoMater Fabula…» ed offrì la sua destra per una stretta dimano.«Il piacere mio, signora Fabula… Posso chiederle chiè lei e perché si trova in compagnia del mio carissimoanziano amico?», rispose la ragazza in modo rispettosoed educato, non nascondendo la sua curiosità.«Sono la moglie di Babbo Historicus. Sono venutastavolta con lui perché servirebbe anche il mio aiuto perrisolvere il problema della biblioteca…»«Che cosa sta succedendo esattamente nellabiblioteca? Qui c’è una grande confusione, c’è chi parladi delinquenti, di ladroni di libri, c’è chi invece parlaaddirittura di un intervento degli ufo… Non capiscoproprio niente…»«C’è una rivolta…» riprese la parola il BabboHistoricus «una rivolta dei libri e dei loro personaggi…,proprio di questo dobbiamo parlare con te…»«Perché? Che c’entro con questa faccenda?» chieseSandy con l’espressione stupefatta.«Prima di tutto» continuò Historicus «la situazione èmolto grave. La gente non lo sa e non capisce nientedell’accaduto, ma noi, cioè Mater Fabula ed io,conosciamo molto bene l’origine di questo caos edovremo intervenire al più presto. Esattamente tu,perché tu sarai la chiave della soluzione… Se non lofaremo, potrebbe accadere una tragedia, un gravedanno…, una distruzione catastrofica del patrimoniobibliotecario…»«Continuo a non capire alcunché…» reagì la ragazza.Stavolta Mater Fabula intervenne:«Tutto questo rumore che si sente proveniredall’interno della biblioteca oppure dei negozi di libri ècausato dai personaggi dei libri e dai libri stessi. Sia ilibri che i loro personaggi sono in rivolta contro lapopolazione.»«Perché?» la interruppe Sandy.«Perché si sono stufati di essere maltrattati oppurenon considerati. Per attirare l’attenzione dell’opinionepubblica, i libri hanno deciso di liberarsi dalle letterestampate nelle loro pagine e di conseguenza anche iloro personaggi descritti da esse si sono ribellati e sonousciti dal libro. Ora stanno complottando qualcosacontro la gente della tua città per vendicarsi. Un unicapossibilità però vi hanno dato: in breve tempo qualcunotra voi dovrebbe scoprire l’origine di questo gran caos etrovare il modo di farli riuscire a ritornare sugli scaffaliinsieme con i caratteri stampati ed i loro personaggirisistemati sulle pagine. Ma il problema è che finoranessuno ha ottenuto alcun risultato. Tu potresti esserel’unica persona che possa salvare quel gran patrimonioculturale che contengono i libri della Biblioteca Ariosteae delle librerie. I libri di questa biblioteca sono gliorganizzatori principali della rivolta che, per fortuna,non si è estesa per tutte le biblioteche e per tutte lelibrerie, soltanto alcune sono state finora coinvolte,come la Feltrinelli, l’Aurora o la Brancaleoni…»Poi Mater Fabula raccontò che né lei, né BabboHistoricus riuscirono ad impedire questa rivolta chevenne organizzata proprio contro i maltrattamenti fisicie psichici fatti dai lettori e non lettori.»«Che maltrattamenti? Non comprendo…» disse laragazza. «Essi per “maltrattamenti” intendonotutte quelle azioni con cui i lettori danneggiano i libri:scarabocchi, varie annotazioni, pieghe e strappi sullepagine o sulle copertine. Per maltrattamenti psichiciessi intendono l’umiliante o scarsa considerazione deilibri e loro contenuti: cioè che pochi dei lettori licuriosano o considerano, perciò sono costretti a subirelo stato di abbandono. Proprio in un paese come l’Italia,a quale è conosciuto in tutto il mondo come la culladella cultura, proprio qui la cultura non ha pienacittadinanza! Rispetto al totale della popolazione che saleggere e scrivere, poche sono le persone che sidedicano alla lettura. I libri, di qualsiasi tipo, nonmancano affatto! Anzi, c’è l’imbarazzo di scegliere… Mamanca l’amore per i libri, per la lettura da parte dellagente…»38<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


Poi Mater Fabula raccontò che i rivoltosi volevano unapersona, particolarmente una lettrice adolescente, chepotesse essere veramente capace di far ritornare tuttoin ordine. Alcuni tra i ribelli volevano distruggersiperfettamente, altri invece si stancavano già dellaribellione, ma non riuscivano a trovare né il libro adatto,né lo scaffale giusto per ritornare al loro posto. Fabulavolle ancora aggiungere qualcosa, ma venne interrottadalla voce del capo delle forze dell’ordine:«Ascoltate, abbiamo trovato un foglio di cartaesattamente qui, sotto la porta. Ascoltate il messaggioche scrivono da dentro… Hm.… ma chi sono essi?…Ascoltate, comunque: “Ci arrenderemo e ritornerà tuttoin ordine come prima quando troverete una ragazzalettricee qualche vero lettore adulto che ci possanodare un aiuto e la popolazione dell’intera nazioneseguirà attraverso la televisione l’operazione eprometterà che diventerà una brava lettrice efrequenteranno anche le biblioteche. Soltanto a questecondizioni potrà normalizzarsi la situazione… altrimentinoi ribelli più feroci ci distruggeremo coinvolgendoanche gli altri…” Allora, gentili cittadini, chi ha qualchedimestichezza con i libri e con l’ambiente bibliotecario sifaccia avanti, prego!… Gli altri tornino a casa perseguire l’operazione attraverso la TV…»Così il misterioso caso di <strong>Ferrara</strong> divenne un casonazionale. Alcuni operatori delle emittenti nazionalitelevisive, con il personale della biblioteca e conqualche lettore finalmente poterono aprire la portadell’edificio. Così si trovò sul luogo della rivolta ancheSandy con i suoi due accompagnatori: Historicus eFabula. I telecronisti e gli addetti con la direttrice quasisvennero dall’enorme disordine: i libri si trovavanosottosopra. Sembrava di trovarsi in un luogo dopo unterremoto di settimo grado della scala Richter.«Dio mio, come facciamo adesso?» domandò conmolta preoccupazione la direttrice.In quel momento, con il suggerimento di Historicus eFabula, Sandy intervenne:«Gentile direttrice, buon giorno, mi chiamo Sandy. Ioposso aiutarvi, voi dovete fare quello che vi suggerirò.So che i libri e loro personaggi si sono ribellati epotranno ritornare al loro posto soltanto se noi tuttiquanti ascolteremo il racconto dei protagonisti dei libri…Comportandoci così, potremo trovare il volume giusto,così insieme con le lettere anche essi potranno ritornarenel loro libro e potranno essere ricollocati al loro postod’origine…»«Tu, ragazzina? Sei così piccola! Che ne sai dellastruttura della biblioteca? E’ impossibile che tu ci possaaiutare… Poi che cosa ci dici? È una cosa assurda!Macché libri in rivolta con i loro protagonisti!…» lerispose la direttrice in modo fortemente incredulo eprese in mano un volume che era appena capitatonelle sue mani. Però, quando lo aprì, si accorse che leparole di Sandy non erano affatto il risultato della suafervida fantasia da ragazza, ma erano proprio vere:sulle pagine del volume non si vedeva alcuna letterastampata, esse erano proprio vuote. Mentre la direttriceguardava anche alcuni altri volumi Sandy riprese laparola:«Pensi, signora, soltanto a quel fatto: che prima dellamia presenza nessuno ha potuto entrare nellabiblioteca… Soltanto dalla mia presenza si è aperto ilportone…» Sandy rispose ma non disse niente dei suoimisteriosi ed invisibili accompagnatori.«Va bene, allora al lavoro!» si arrese la direttrice.Da quel momento l’intera nazione col fiato sospesoseguì la trasmissione in diretta ed ascoltarono le storiedei personaggi usciti dai vari libri. Sandy e gli addettidella biblioteca insieme con alcuni lettori abitudinariascoltando i racconti dei protagonisti dei libriricondussero questi nei volumi giusti e questi ultimivennero poi ricollocati sugli scaffali.Tra gli ultimi personaggi si presentò l’italiano AntonioBonfini, lo storiografo dell’umanista re magiaro MátyásCorvin, il Giusto, e raccontò tutto quello che scrissenelle pagine della sua cronaca con la speranza di poterritornare sulle pagine del Codice cinquecentesco da cuiera uscito:«…Dovete sapere che già nel regno di Lajos I, ilGrande, che regnò tra 1342 e 1382, a metà del secolo,artisti ed artigiani italiani come me arrivarono nellaterra magiara per diffondere la cultura e l’arte delnostro Rinascimento. Le corti di Buda e di Visegrád diMátyás conquistarono una gran fama mondiale, ed il restesso fu un mecenate generoso di scienziati ed artisti.Nel suo regno, grazie anche alla nostra Beatriced’Aragona di Napoli, ed ai suoi accompagnatori cheseguendola andarono in Ungheria, fiorirono l’arte e lacultura rinascimentali. Gli intellettuali umanisti magiari,però, conquistarono la loro cultura esclusivamenteall’estero, dato che a quei tempi in Ungheria nonesistevano ancora le università. Dagli anni quaranta delsecolo XV, i magiari iniziarono a frequentare le scuoledell’Italia settentrionale in cui preparavano i diplomaticied intellettuali d’altissima cultura. Gli studenti ungheresisempre si trovavano negli studi di maestri più affermati,più riconosciuti e più di moda a quei tempi. Dal 1447 al1460 essi studiarono dal ferrarese Guarino da Verona;dopo la sua morte da suo figlio Battista Guarino e negliultimi decenni del quattrocento da Calfurnio di Padova;a Bologna, invece, da Filippo Beroaldo che insegnaval’arte. Dopo la morte di Beroaldo i maestri più favoritierano Giovan Battista Pio, Achille Bocchi, RomoloAmaseo. L’umanesimo di Mátyás Corvin subì piuttostol’influenza della Firenze dei Medici attraverso MarsilioFicino. Precisamente attraverso Francesco Bandini, cheappartenne al cerchio di amici di Ficino: nel 1447 andòin Ungheria e rimase nella corte reale splendida diMátyás…»«Eh, sì, il mio molto stimato allievo era il magiaroJanus Pannonius», Guarino interruppe Bonfini: «lui eraitaliano nei suoi costumi… Egli, appena arrivò in Italia,già tutti notammo subito il suo gran talento poetico, lesue virtù liriche, la sua padronanza nella poesiaclassica. Pannonius scrisse piuttosto brillanti, ironici,scherzosi e giocosi epigrammi, ma creò anche opere piùlunghe dedicate ad amici, personaggi eccellenti.Pensate, anche a me, al mio onore dedicò un’opera!Egli lasciò una traccia profonda nella nostra memoria,ma non soltanto in noi, nei suoi amici, ma anchenell’intero mondo italiano umanistico. Lo ammirammo,oltre il suo talento, anche per la sua formidabilememoria e per la capacità d’improvvisare…»«È vero…» intervenne Battista, figlio di Guarino:«…molte volte facevamo una prova con lui, poi glileggevamo una volta delle poesie di un poeta<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200939


sconosciuto ed egli ce le ripeteva senza errori…Accadeva che lui stesso ci invitava a segnalare unamateria da poetare. Quando noi gli avevamo dato iltema, egli cominciava a dettarci le sue poesie in modocosì veloce che le nostre mani si stancavano prima dellasua mente che creava…»«Poi, era anche un giovanotto bellissimo, con uncarattere straordinario…» aggiunse Vespasiano daBisticci, il titolare di una libreria fiorentina in cui ancheJanus si presentò «…lo so che nella scuola ferrarese loguardavano con ammirazione per la sua vita e per lasua morale; tutti si meravigliavano di lui perché egli eraprivo di ogni difetto e pieno di ogni virtù; nessunapersona simile a lui era venuta in Italia da oltre lemontagne, e non si trovava neanche tra i suoi coetaneiitaliani… La fama delle sue capacità girava non soltantonella scuola, ma anche in tutt’Italia parlavano di lui… Lasua notorietà era cresciuto giorno per giorno… Ricordo,inoltre, con gran piacere il nostro primo incontro:quando egli era arrivato da me con il suo mantello dicolor viola e con la sua bellissima presenza, vedendologli dicevo: “Benvenuto, lei è forse ungaro?”- perchédalle descrizioni che sentivo l’avevo riconosciuto.Appena pronunciavo queste parole egli m’abbracciavaconfermandomi con le parole più gentili e piùlusinghiere che avevo mai sentito nella mia vita.Pensate, l’avevo veramente riconosciuto, avevo unabuona intuizione!… Perbacco!… Avevo indovinato, eraproprio lui!… Da quel momento eravamo diventati amicie così gli davo l’occasione entrare alla corte di CosimoDe’ Medici. Janus parlava con lui molto a lungo edinstaurava l’amicizia anche con tutti gli studiosi diFirenze… Posso dirvi che egli girava in tutta la città efacendo conoscenze egli conquistava uno spazio neicuori di tutti…»«Non c’è da meravigliarsi quindi se, tornando inUngheria, nonostante che lo aspettasse il vescovato diPécs ed il suo impegno importantissimo alla cancelleriadella corte di Mátyás, Pannonius si sentiva in esilio epensava con grande nostalgia alla nostra terra che egliassimilava nella lingua, nelle abitudini, nello spiritoumanistico, in cui la sua poesia trovava l’ecocomprensivo ed elogiato…» Bonfini conclusel’argomento sul Pannonius.«Hm… Janus Pannonius?», domandò la direttricedella biblioteca, «Non ricordo di avere del materiale cheriguarda la sua persona… Le enciclopedie sonoabbastanza avare di dati che riguardano questo poetaumanista…»«Eccolo, signora, si presenterà proprio lui inpersona… Così per fortuna sappiamo che egli è uscitoda un volume di un’enciclopedia…», disse Sandy: e lafigura di Janus Pannonius si materializzò.«Ecco! Dalla “Treccani”!… Allora sentiamo che cosa hada dirci…», gridò la direttrice e si girò verso la figura diPannonius.«Eccomi. Il libro in cui si legge qualche breve cennosul mio conto è molto povero di fatti e dati cheriguardano la mia vita… Nacqui il 29 agosto 1434 in unafamiglia benestante di piccola nobiltà a Kesince, nellaSlavonia (allora appartenente al corpo dell’Ungheriastorica fino alla pace di Trianon del 1918 /n.d.a/). Finoall’età di 13 anni mia madre, Borbála Vitéz, mi educò emi fece studiare con lo scopo di farmi avviare allacarriera del sacerdozio. Per volere di mio zio umanista,János Vitéz, della Cancelleria dell’imperatore e red’Ungheria Zsigmond, appena compiuti tredici anni,giunsi a <strong>Ferrara</strong> nella primavera del 1447, perfrequentare la famosa scuola dell’umanista ededucatore Guarino da Verona. Qui rimasi per otto anni,poi trascorsi quattro a Padova in cui conseguii ildottorato in diritto canonico e romano. Il mio legamecon il maestro Guarino era fortissimo. Lo incontrai laprima volta quando egli aveva già compiuto i suoisettantatré anni. Già dai primi incontri con lui ebbiun’enorme ammirazione. Stima ed ammirazione erareciproca. Dissi allora: “Guarino, è l’umanesimo… cheinsegna all’uomo, nel cuore e nella parola…”Trasferendomi a Padova conobbi Galeotto Marzio, ilgran pittore Andrea Mantegna ed anche altri esponentiintellettuali della borghesia urbana e dei politici. Dopododici anni ritornai in Ungheria… Il mio inserimento eramolto difficoltoso e ne soffrii molto, anche perché aquei tempi la corte rinascimentale corviniana non eraancora al livello italiano. Non incontrai alcun compagnospirituale adatto alla mia esigenza artistica edumanistica, il pubblico magiaro non era ancora in gradodi apprezzare appieno la mia poesia. Mi sentii solo, mimancò il pubblico italiano: il colto ambiente borgheseche mi apprezzava. La mia gran solitudine non fusollevata neanche dalla presenza nella corte di GaleottoMarzio. Nel 1465 ritornai di nuovo in Italia come Legatodi Mátyás, per sollecitare aiuti contro i Turchi, ma almio ritorno ebbi gravi problemi politici: nel 1471 fallì ilcomplotto in cui avevo una parte notevole: ero ilprincipale organizzatore della congiura: volevamoportare sul trono d’Ungheria il figlio del re di Polonia,Casimiro, ma fallimmo. Mio zio venne arrestato, io scelsila via dell’esilio volontario in Italia alla richiesta digrazia… Non godevo di buona salute: ogni tanto midava noia la tubercolosi, perciò spesso stavo moltomale… Penso che bastino per il momento queste notiziesu di me…»Mentre questi personaggi raccontavano la loro storia,le persone presenti alla biblioteca riuscirono a trovare ivolumi da cui erano usciti e nel frattempo le lettereritornarono sulle pagine giuste, con esse anche ipersonaggi ed infine i libri vennero finalmente ricollocatial loro posto sugli scaffali. Grazie all’invisibile aiuto diBabbo Historicus, verso il tardo pomeriggio rimaserosoltanto i protagonisti usciti dai libri di fiabe. Qui entròin azione anche Mater Fabula per organizzare meglio la lororisistemazione, anche perché essi erano più confusi deipersonaggi storici.Dal libro inedito scritto nel 1997.A quei tempi questo brano è già stato pubblicato sulla nostrarivista.12) Continua40<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


TRADURRE – TRADIRE – INTERPRETARE – TRAMANDARE– A cura di Meta Tabon –Sharon Olds (1942-)THE EYEMy bad grandfather wouldn’t feed us.He turned the lights out when we tried to read.He sat alone in the invisible roomin front of the hearth, and drank. He diedwhen I was seven, and Grandma had never oncetaken anyone’s side against him,the firelight on his red cold facereflecting extra on his glass eye.Today I thought about that glass eye,and how at night in the big double bedhe slept facing his wife, and how the limphole, where his eye had been, was opentowards her on the pillow, and how I amone-fourth him, a brutal man with ahole for an eye, and one-fourth her,a woman who protected no one. I am theirsex, too, their son, their bed, andunder their bed the trap-door to thecellar, with its barrels of fresh apples, andsomewhere in me too is the pathdown to the creek gleaming in the dark, away out of there.Dal libro ‘The dead and the Living, Alfred A. Knopf EditoreNew YorkSharon Olds (1942-)L’OCCHIOIl mio nonno cattivo non ci dava da mangiare.Spegneva le luci quando cercavamo di leggere.Si sedeva da solo nella stanza invisibiledavanti al camino, e beveva. È mortoquando avevo sette anni, e la nonna non una voltache avesse preso le nostre difese,i riflessi del fuoco sulla sua faccia rossa e fredda,brillavano ancor di più sul suo occhio di vetro.Oggi ho ripensato a quell’occhio di vetro,a come di notte, nel grande letto matrimonialelui dormisse con la faccia rivolta verso sua moglie, e a[comeil buco molle, dove prima stava il suo occhio, restasse[apertoaccanto a lei sul cuscino, e a come iosia per un quarto sua, un uomo brutale conun buco al posto dell’occhio, e per un quartoappartenga a lei,una donna che non ha mai protetto nessuno. Sono[ancheil loro sesso, il loro figlio, il loro letto, esotto il letto la botola che portavain cantina, coi barili colmi di mele fresche, ein in qualche angolo dentro di me c’è anche il sentiero[versoil ruscello che brillava nel buio,un posto per scappare via.Sharon Olds è nata nel 1942 a San Francisco. Ha studiato alla Stanford University e alla Columbia University. Le sue poesiesono apparse su importanti riviste e giornali: il New Yorker, Poetry, The Athlantic Monthly, The Paris Review, e The Nation. Ilsuo primo volume di poesie, Satan Say, (pubblicato in Italia dall’Editrice Le Lettere di Firenze con il titolo ‘Satana dice’) uscì nel1980 e ottenne il San Francisco Poetry Center Award. Fra gli altri premi ottenuti: il Lamont Poetry Prize, il National BooksCritics Circle Award, ed il T. S. Eliot Prize. Vive a New York ed insegna scrittura creativa presso la New York University.Traduzione © di Daniela RaimondiFranco Santamaria (1937-) — Poviglio (Re)GIASONE E MEDEAÈ un atto dovuto la resurrezione,non un’ipotesi da credere probabile,dopo il distacco dalla rocciadove ha occupato uno spazio compresso da mille anni.Spazi infiniti di echi percettibili,di acque verdeggianti alla luce del giornoche consapevolmente ha voluto rinnovaresono ancora da percorrere e da colmare- con Medea, sullo stesso carro.Franco Santamaria (1937-) — Poviglio (Re)JASON ET MÉDÉELa résurrection est un acte dû,nullement simple hypothèse crédibleaprès le détachement du rocheroù elle a occupé un espace depuis mille ans comprimé.Des espaces infinis d’échos perceptibles,d’eaux verdoyantes à la lumière du jour,qu’elle a voulu en toute conscience renouveler,sont encore à parcourir et à combler- avec Médée sur son propre char.Fonte: «Franco Santamaria – Parola e Immagine (Poesia e Pittura)», il testo francese è dello stesso Autore<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200941


Daniela Raimondi (1956-) — LondraL’INCONTROLa donna aveva un viso bello, occhi chiari e allungati.Era visibilmente nervosa. Pensava fosse stato unosbaglio accettare di vederlo, ma lui aveva insistito tantoche alla fine aveva ceduto ed ora se lo ritrovavadavanti, dopo tanto tempo: appena un po’ ingrassato, icapelli brizzolati, il sorriso incerto.Quando le aveva proposto quell’incontro, la donnaaveva creduto che fra loro fosse ormai tutto cenere,cose morte. In fondo cosa le costava?“Va bene. Vediamoci domani. Il tempo di bere unaperitivo.” – gli aveva detto.Lui l’aspettava davanti alla stazione. Aveva un’autorossa, grande e con i sedili in pelle. Un’auto rossa, e infondo alla tasca un anello dentro una piccola scatola divelluto.L’aveva salutata con un bacio sulla guancia:“Stai bene. Sei persino più bella.”“Bugiardo. Non ho vent’anni e neanche trenta. Anchetu stai bene, comunque.”Avevano guidato in silenzio attraverso la città, poi luil’aveva portata nel bistrôt del parco in riva al lago.Faceva freddo, la nebbia creava un’atmosfera comesospesa, senza confini, sull’acqua invernale, fra i ramidei faggi. Piovigginava, ma si erano seduti ad un tavolofuori.“Almeno potremo fumare in santa pace – avevasuggerito l’uomo.”“Ho smesso da anni.”“Ah, sempre avuto un carattere forte, tu. Cosa prendi?Avevano ordinato due Campari. L’uomo pagò ilcameriere e gli lasciò una mancia generosa.“Sempre un gentiluomo, tu” – gli disse lei, e abbozzòun sorriso che non nascondeva l’ironia.Daniela Raimondi (1956-) — LondonQuella sera l’aria sapeva di vento e di tigli. Lui la videA TALÁLKOZÁSA nőnek szép arca, és világos, mandulavágású szemevolt. Látszott rajta, hogy ideges. Arra gondolt, hogytalán hiba volt belemenni a találkozásba, de a férfiannyira erősködött, hogy végül megadta magát, mostpedig itt áll előtte annyi idő után: egy kicsit meghízva,őszes hajával és a bizonytalan mosolyával.Amikor a találkozást felvetette, a nő azt hitte, hogykettőjük között már minden elhamvadt, csupa halottdolog, így végül is semmibe nem kerül majd neki.– Rendben. Találkozzunk holnap, és megiszunk valamit– mondta.A férfi az állomás előtt várta. Nagy, piros autója voltbőrülésekkel. Piros autó, no meg a zsebe mélyén egygyűrű, apró bársony dobozban.A nőt egy puszival üdvözölte:– Szép vagy. Sőt, szebb, mint valaha.– Hazudós. Nem vagyok már húszéves, se harminc.Egyébként te is jól nézel ki.Csendben autóztak a városban, aztán a férfi elvitte atóparti liget bisztrójába. Hideg volt, a köd miatt úgytűnt, mintha az égbolt a téli víz és a bükkfák ágai közöttlógna, határok nélkül.Az eső szitált, ennek ellenére egy kinti asztalhoz ültekle.– Legalább nyugodtan tudunk cigizni. – javasolta a férfi.– Évekkel ezelőtt abbahagytam.– Ó, na persze neked mindig is erős jellemed volt. Mitkérsz?Két Camparit rendeltek. A férfi kifizette a pincért,bőséges borravalót adva.– Mindig is úriember voltál. – mondta neki, majdelejtett egy mosolyt, mely az iróniát sem mellőzte.Az időjárásról beszélgettek, nyaralásokról, amunkájukról, arról a városról a dombon, ahova a férfiköltözött. Csupa semmiség, hogy ne kelljenemlékezniük a múltra. A levegő nyirkos volt. Egy hintanyikorgott. A távolban lovak futottak.Parlarono del tempo, delle vacanze, del loro lavoro, diquella città in collina dove l’uomo si era trasferito. Coseleggere, tanto per non dover ricordare il passato. L’ariaera umida. Un’altalena cigolava. Lontano correvano icavalli.Le labbra dell’uomo erano spesse e scure. Ora eranovicine al suo viso, le sussurrarono verità che entrambinegavano a se stessi, da anni. La donna giocherellavacon il bicchiere sul tavolo. Pensò che aveva fatto lastessa cosa tanti, tantissimi anni prima in un bar dellaperiferia. Era giovane, allora. Aveva un nastro rossofra i capelli ed era incontaminata dalla vita.Erano stati felici, felici come pochi. Poi lui l’avevaabbandonata, e da quel giorno lei ricordò, tutti i giorniricordò il momento esatto quando seppe dell’altra. Erastato in quel preciso istante che aveva sentito la vitastaccarsi dal corpo, caderle ai piedi senza fare rumore.A férfi ajkai vastagok voltak és sötétek. Már közel jártakaz arcához, és olyan igazságokat suttogtak, amelyeketévek óta tagadtak mindketten önmaguk előtt is. A nő apohárral játszadozott az asztalon. Arra gondolt, hogyugyanezt csinálta sok-sok évvel ezelőtt egy külvárosibárban. Akkor még fiatal volt. Piros szalagot hordott ahajában és az élet még nem rontotta meg.Boldogok voltak, boldogok, mint kevesek. Aztán a férfieltávolodott tőle, és attól a naptól a nő emlékezett,minden nap emlékezett arra a bizonyos percre, amikormegtudta, hogy van az a másik.Abban a konkrét pillanatban úgy érezte, hogy az életelszakad a testétől és a lábai elé hullik, anélkül, hogyzajt csapna. Akkor este a levegőnek szél és hársfa illatavolt. A férfi látta őt az utca végéről. Amikor elérte,megcsókolta a tarkóját, aztán a legédesebb hazugságotsuttogta. A nő az egyre sötétedő estét bámulta éshallgatott. És aztán ezer óra telt el, és ő csak a42<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


fájdalmat hallotta dobogni a mellkasában. Csupán adüh és a fájdalom éltette. Úgy élt, mitha egy nagyonda in fondo alla strada. Quando la raggiunse le baciò lanuca, poi sussurrò la più dolce menzogna. Lei fissò lanotte più buia, lei tacque. E poi mille ore passate adascoltare la pena scalpitare dentro il petto. E viveresolo di rabbia e di dolore. Vivere come nel ventre di unamorte lentissima. Ma mai più, mai più lei aspettò il suoritorno. Mai più accettò d’amarlo, né di perdonarlo.Per tutti quegli anni si nutrì del proprio orgoglio, dellapropria, ostinata solitudine.Di colpo l’uomo le strinse le mani:“Abbiamo ancora bisogno di vivere” – disse.La donna ebbe un piccolo sussulto. Si irrigidì, ma nonritrasse le mani. Le lasciò sotto quelle di lui. Tremava.L’uomo se ne accorse e gliele strinse più forteL’amava con affanno, a pugni chiusi, di un amoreossessivo come tutti gli amori che non hanno speranza.Ma la voleva indietro. La voleva adesso, adesso più chemai, con la pioggia leggera sul viso, sulle sue labbra difucsia. La voleva di più. Molto di più ora di quando erastata sua moglie e rideva, e aveva occhi più grandi efelici. Si poteva amare così solo nel dolore – pensò.Forse si ha bisogno di questo dolore per non cedere altempo.“Quando…. quando è finita con l’altra?” – gli chiese ladonna.L’aveva sempre chiamata ‘l’altra’. Non era mai statacapace di pronunciare il suo nome.“È durata poco più di un anno. Te l’ho scritto. Non hairicevuto le mie lettere?”“Non le ho mai aperte” – rispose lei. Poi aggiunse:“Come è finita?”“Mah! Perché finiscono le storie? Un giorno si è alzatae ha capito di non sopportarmi più.”“È allora che mi hai telefonato, di notte. E’ statoquando lei se n’era andata?”“No. È stato molto prima.”La osservava cercando di scorgere in lei un’emozione,una pur piccola reazione. Era così controllata,impassibile. Talmente diversa, ora. Stentava ariconoscerla. Solo le sue mani erano le stesse. Soloquel tremore gli dava speranza. Il suo viso invece erauna pietra liscia, pulita, senz’ombra.L’aveva amata sempre. Anche quando l’aveva tradita.E aveva continuato a volerla fino a rubarsi la pace, finoa rubarsi la voglia dell’altra. L’altra che era stata pazziae capelli profumati fra le dita, i suoi capelli lunghissimiad accarezzargli il corpo, a coprire il ventre in sussulti.Ma non era stato amore, quello. Lo aveva saputosempre, anche allora, anche quando l’aveva lasciata.“L’amore era solo per te – le disse.eravamo bambini.”Fin da quandoQuando sarò grande compro una macchina rossa,grande, coi sedili di pelle. Vengo a Varese e ti sposo –gli aveva detto quando erano piccoli. Era tutto pronto.lassú halál méhében létezne. De soha, soha nem vártaa férfi visszatértét. Sosem fogadta el a tényt, hogyszerette őt, sem azt, hogy megbocsátott neki. Ezekalatt az évek alatt a saját büszkeségéből táplálkozott, asaját konok magányából.A férfi hirtelen megszorította a kezét:– Még szükségünk van arra, hogy éljünk – mondta.A nő egy összerezzent. Gúnyosan felnevetett, de nemhúzta vissza a kezét. Ott hagyta a férfié alatt.Megborzongott. A férfi észrevette, és még erősebbenszorította meg.Fuldokolva szerette a nőt, ökölbe zárt kezekkel, birtoklószerelemmel, amilyen minden reménytelen szerelem.De vissza akarata kapni. Most akarta, most mégjobban, mint bármikor, a könnyű esővel az arcán ésfuksziaszínű ajkaival. Még inkább akarta. Most sokkalinkább, mint amikor még a felesége volt és amikornevetett, még nagyobbak és boldogabbak voltak aszemei. Az ember csak a fájdalomban tud így szeretni –gondolta. – Talán azért van szükség erre fájdalomra,hogy ne adja meg magát az ember az időnek.– Mikor…. Mikor ért véget azzal a másikkal? – tette felneki a kérdést a nő.Mindig így nevezte, „az a másik”. Sosem volt képeskiejteni a nevét.– Kicsivel tovább tartott, mint egy év. De megírtamneked. Nem kaptad meg a leveleim?– Sosem bontottam ki őket. – válaszolta a nő. Aztánhozzátette: - Hogyan lett vége?– Ugyan! Miért érnek véget a szerelmek? Egy reggelfelkelt és rájött, hogy nem tud tovább elviselni.– Akkor volt, hogy felhívtál éjszaka. Akkor volt, hogyelment?– Nem. Sokkal előbb.Fürkészte a nőt, hátra észrevesz rajta valamiféleérzelmet, akár egy aprócska reakciót. Annyirakontrollált volt, szinte közönyös. Annyira más most.Nehezen ismert rá. Csak a kezei voltak ugyanazok. Csakaz a borzongás adott neki reményt. Az arca azonbansima volt, mint a szobroké, tiszta és árnyékoktólmentes.Mindig is szerette. Akkor is, amikor megcsalta. Ésegyfolytában kívánta őt, annyira, hogy elvette anyugalmát, annyira, hogy elveszítette a vágyát az iránta másik iránt. Az a másik, aki bolondos volt és a hajaillatozott az ujjai között. Aki hosszú hajával simogatta aférfi testét és sóhajokkal borította be a hasát. De ezsosem volt szerelem. Mindig is tudta, akkor is, amikorelhagyta a nőt.– A szerelmem csak neked szólt – mondta neki. –Gyerekkorunk óta.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200943


„Amikor nagy leszek, veszek egy nagy piros autót,bőrülésekkel. Eljövök Varesébe és feleségül veszlek.” –mondta neki, amikor kicsik voltak. Minden készen állt.Aspettava solo un suo gesto, un suo piccolissimo gesto,e si sarebbero salvati.Si fissavano, le mani di lei strette nelle sue mani.L’uomo sentì il ticchettio di una goccia sulla scarpa manon si mosse. Le accarezzò il polso, piano piano. Leitaceva. Si avvicinò al suo viso.La donna chiuse gli occhi. Il respiro di lui era tiepido.Qualcosa di intimo e familiare che non aveva maidimenticato. Avrebbe voluto allontanarlo ma non ne fucapace. Allora l’uomo l’attirò più vicino. Passò la manodentro l’apertura dell’impermeabile, toccò il tepore dellapelle attraverso il golfino. Sfiorare ancora il suo corpo.Toccare quell’amore che lei si ostinava a negare, mioDio. Da quanto tempo, da quanto tempo?“Sara…”La chiamò come se lei non fosse stata lì, sotto le suedita, ma lontanissima. Pronunciò quel nome di vecchiostampo che sapeva di deserto e acqua benedetta. Unnome breve e antico che ancora gli fermava il sanguequando lo ripeteva.Aveva smesso di piovere. La nebbia si alzava sul lago,sfumava fra gli alberi L’uomo la strinse a sé. La sentìmorbida, arresa alle sue braccia. Lei restò quieta,immobile per un lungo, dolcissimo momento.“Sara…”Lei si alzò di scatto:“È meglio che vada.” – disse.”Abbiamo ancora tempo….”“No. Non c’è più tempo per noi.”Si guardò intorno per evitare il suo sguardo. Diedeun’occhiata all’orologio, poi aggiunse:“Si sta facendo tardi. Per favore, riportami in stazione.”Camminarono fianco a fianco fino a raggiungere l’auto.Guidò verso la stazione, l’accompagnò al treno parlandosolo a monosillabi.La vide salire ma non si mosse. I momenti più bui dellaloro vita erano sempre gli stessi, pensò. Restare senzaparole davanti ad un treno che parte.Attese fin quando l’Intercity ripartì, sparì dietro unacurva. Solo allora si accese una sigaretta.Fumò in piedi, nervosamente. Una voce metallicaannunciava partenze e ritardi. L’uomo gettò ilmozzicone.Scattò il verde. L’uomo schiacciò l’acceleratore.La musica di Mozart gli entrava nelle vene ed era dolce,tristissima. Si passò la mano sul viso: sapeva ancora di lei,aveva il profumo di Sara.Csupán egy jelre várt, egy aprócska mozdulatára, ésmár meg is lennének váltva.Nézték egymást, a nő kezei szorosan az övéi alatt. Aférfi egy csepp koppanását érezte a cipőjén, de nemmozdult. A nő csuklóját simogatta lassan. A nőhallgatott. Az arca felé húzódott.A nő lehunyta a szemét. A férfi lehelete langyos volt.Valami intim és ismerős, amit sosem felejtett el. Elakart húzódni tőle, de nem volt rá képes. Ekkor a férfimég közelebb húzta magához. A keze becsúszott aballonkabát nyílásán, megérintette a langyos bőrét apulóveren keresztül. A testét simogatta. Megérintetteazt a szerelmet, amit a nő konokul tagadott önmagaelőtt is. Istenem, mennyi ideje, mennyi ideje?– Sara….Megszólította, mert mintha a nő nem is lett volna ott, akeze az ujjai alatt pihent, de ő valahol nagyon messze.Ahogy kiejtette a nevét, a hangjában a múlt volt, asivatag és az áldott víz íze. Egy rövid, ősi név, amelytőlmég mindig megállt benne a vér, ahogy ismételgette.Elállt az eső. A köd felszállt a tóról és elpárolgott a fákközött. A férfi magához szorította a nőt. Törékenynekérezte, ahogy belekarolt. A nő nyugodt maradt,mozdulatlanul állt egy hosszú, édes pillanatig.– Sara…A nő hirtelen felpattant:– Jobb, ha megyek. – mondta.– Van még időnk…– Nem. Nincs több idő számunkra.Körbenézett, hogy elkerülje a tekinteté. Rápillantott azórájára, aztán megjegyezte:– Kezd késő lenni. Légy szíves vigyél vissza azállomásra.Egymás mellett sétáltak egészen, amíg el nem érték azautót. Az állomáshoz vezetett, kikísérte a vonathoz is,közben csak kurta szavakat váltottak.Látta a nőt felszállni, de nem mozdult. Életüklegsötétebb pillanatai mindig ugyanilyenek voltak, jutotteszébe. Állni szótlanul egy induló vonat mellett.Várt, amíg az Intercity elindult, majd eltűnt egy kanyarban.Csak ekkor gyújtott rá egy cigarettára.Állva szívta el, idegesen. Egy fémes hang jelezte azindulásokat és a késéseket. A férfi elhajította a csikket.Risalì in auto. Ingranò la prima e accelerò. Il cieloadesso era limpido. Accese la radio. La musica diMozart riempì l’aria: Soave è il Vento. Quel pezzo locommuoveva ogni volta.Fermo al semaforo, si accorse che la bambina nell’autoaccanto lo fissava. Voltò il viso dall’altra parte, imbarazzato.Non si era reso conto che stava piangendo.Visszaült az autóba. Egyesbe kapcsolt és gázt adott. Az égmost tiszta volt. Bekapcsolta a rádiót. Mozart zenéjemegtöltötte a levegőt. „Soave sia il vento”. Ez a darab mindenalkalommal meghatotta.Megállt a lámpánál, észrevette, hogy egy kislány a mellettelévő autóból bámulja. Zavartan a másik irányba fordította azarcát. Észre sem vette, hogy sírt.Zöldre váltott. A férfi rálépett a gázra.44<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


Mozart zenéje behatolt az ereibe, édes volt és nagyonszomorú. A kezével megtörölte az arcát, még őt érezte, Saraillata volt rajta.Fordította/Traduzione di © Olga ErdősCOCKTAIL DELLE MUSE GEMELLELirica – Musica –Pittura ed altre MusePAROLA & IMMAGINEORNELLA FIORINIÈ con grande piacere che presento un’artistaoriginaria delle mie parti, dalla bassa mantovanainsomma. Ornella scrive poesia dialettale (Ostigliese)portando avanti un patrimonio culturale che credo siaunico ma che sta scomparendo troppo rapidamente.Oltre ad essersi affermata come poeta, Ornella èun’ottima cantautrice e pittrice. Conta un ricchissimocurriculum di cui riporto solo una parte.Ho conosciuto casualmente Ornella ad unapremiazione. Era seduta dietro di me ed horiconosciuto immediatamente il mio dialetto nativo. Cisiamo scambiate solo due parole di circostanza. Poi,mesi dopo, ho casualmente scoperto che avevamoun’amica comune (il mondo a volte èstraordinariamente piccolo…)Ma adesso lascio spazio alla sua poesia e ai suoibellissimi disegni.Li paroli ditiStanòtanca la lünala par fintal’am cur adréin biciclétala’s löga, la riturnala’s pògia tundabiancasuspesa in sl’aqua‘d Po’stanòtagh riaròa parciar la taulae i aqui dulsili’s ciaparàcun i aqui ‘ marie al mar al cuntaràad capi e capiadés al sotüt li paròliLe parole detteStanotteanche la lunasembra fintami rincorresulla biciclettasi nasconde, riapparesi posa rotondabiancasospesa sull’ acquadel Postanottece la faròad apparecchiare la tavolale acque dolci<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200945


incontrerannole acque amaree il mare racconteràdi conchiglieora lo sotutte le paroledettestanno succedendoditiié capitàdi chiadòs a la mé péle al Poal sarà acsì grandanca pra d’mancha n’ agh sarò pümi.sulla mia pellee il Posarà così grandeanche domaniche non ci saròpiùio.IL POAl Po, par la gent ch’al conos miaal pöl vesar ‘na riga celestach’a pasa anca in Lombardia;ma par mich’a son nata in sla so riaa öl dircasa mea e poesia.Al Po, quand l’è sera, sa t’al guardit’al vedi come un nastarch’ al ta brasa;sü li so spiagit’at senti in libertàe in di so boschsol al verd da respirar.Tanti ‘olti, quand al cél as tins ad rost’at a dmandi s’at sé mia in nantar paes,la Boschina l’at par un’isola in dal mare la pace ch’ at respiril’at par gnanca da sto mond.Al Po, ‘na qual barca e la so gental Po, quand l’è inveran l’è tüt bianchal Po, quan l’è istà, l’è n’esplosionad color, d’alegria e ad sensasion.Al Po, lasamal star,li so pianti; li so acqui, mia tocar,mia roinar ancor di pü:l’è ‘na roba da casa meache s’ at vö l’è anca toa.AL POIl Po, per la gente che non lo conoscepuò essere una riga azzurrache passa anche in Lombardia;ma per meche sono nata sulla sua rivavuoi direcasa mia e poesia.Il Po, quando è sera, se lo guardilo vedi come un nastroche ti abbraccia;sulle sue spiaggeti senti in libertàe nei suoi boschisolo il verde da respirare.Tante volte, quando il cielo si tinge di rossoti chiedi se non sei in un altro paese,la Boschina¹ ti sembra un’isola nel maree la pace che respirinon sembra nemmeno di questo mondo.Il Po, qualche barca e la sua genteil Po, quando è inverno, è tutto biancoil Po, quando è estate, è un’esplosionedi colori, d’allegria e di sensazioni.Il Po, lasciamelo stare,i suoi alberi, le sue acque, non toccare,non rovinare ancora di più:è una cosa di casa miache, se vuoi, è anche tua.¹ L’isola Boschina è una piccola isola del Po, in comune di Ostiglia. Riserva Naturale Orientata, gestita dalla Regione Lombardia,è importante in quanto unico residuo di foresta planiziale in tutta la Valle Padana.NA CAMINADA DIFERENTA – 28/11/1993Am pias caminardéntar I òc a dla gentcatàr sülunga li stradi dal tempsò va supar li tenpial mar dli storii,luminusi ufümusi,suspesitra fiurUNA CAMMINATA DIFFERENTEMi piace camminaredentro gli occhidella genteraccoglierelungo le stradedel tempo46<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


che scendonoper le tempieil mare delle storieluminoseo fumosee büsiu sinò bütadifermiin pùci sladi.Puintant ch’a sbat li cigliiriar fin sutaai angui dla bucae ciapar in man quel ch è réstadi sògni.Sospesetra fiorie bucheoppure buttatefermein polle gelidepoimentre battonole cigliaarrivare fino o sottoagli angoli della boccae prendere in manoquello che è rimastodei sogni.Cume in na visionAcsìt’ho vistin lüce ciarad’albala piasa vödalargae ti’d riaiin biciclétadéntarna niula ‘d cavèibianchmisiadaa l’aria.Come in una visioneCosìt’ho vistain luce chiarad’albala piazza vuotalargae tuarrivaviin biciclettadentrouna nuvola di capellibianchimischiataall’aria.Ornella Fiorini è nata e vive ad Ostiglia (Mn). Èpoetessa, pittrice e cantautrice in dialetto lombardoostigliese;ha vinto numerosi premi di poesia, canzonid’autore, pittura e grafica.Con la presentazione introduttiva di TOLMINOBALDASSARI ha pubblicato la raccolta di poesie “CIOrnella Fiorini, foto di Alberto RoveriVORRA’ SILENZIO”. Con la postfazione di GILBERTOCAVICCHIOLI e la collaborazione del musicista ostiglieseMAURO CONFORTI, ha pubblicato il CD “BRISI ‘D LÜNA”(Moby Dick, Faenza 1998). Sue liriche e raccontiappaiono in numerose antologie e riviste, tra le quali:<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200947


“Tratti,42” Estate 1996 (Moby Dick, Faenza 1996);“Testo a fronte” (Marcos y Marcos, Milano, marzo1999), “MezzagoArte, antologia del premio”; Ed. Le vocidella luna, Sasso Marconi (Bologna), maggio 2008 ; 25anni di poesia, “I poeti del premio città di LegnanoGiuseppe Tirinnanzi 1981-2007.Si sono interessati alle sue arti: Tolmino Baladassari,Umberto Bellintani, Franco Buffoni, FedericoFormignani, Franco Loi, Vittorio Messori, Ermanno Olmi,Franco Piavoli, Mario Lodi, Umberto Zanetti, GilbertoCavicchioli, Franco Gottardi, Alberto Cappi, PietroCivitareale, Vittorio Montanari, Eugenio Camerlenghi,Guido Leotta, Adriano Amati, Antonio Piromalli,Pasquale Amato, Nadia Crucitti, Leoluca Orlando,Christian Förch, Dieter Jost, Wolfgang Bauernfeind.Ha partecipato, conseguendo significativi consensi, anumerosi premi nazionali ed internazionali di pittura egrafica. Suoi disegni appaiono in riviste e volumi.Per la musica, con la collaborazione di MAUROCONFORTI, ha conseguito il Premio “CITTA’ DICASALMAGGIORE” (Cr) 1988, il premio internazionale dipoesia in musica “NOSSIDE “ (Reggio Calabria ) anno1991, e 1992; Il “CANTANORD”, (Milano 1994). HaPartecipato al “FOLK FESTIVAL TRATTI “ Lugo diRomagna (Ra), 1997 e 1999.Ha inoltre partecipato a numerose interviste etrasmissioni radiofoniche e televisive:per la R.A.I. per latrasmissione di Rai educational “la scuola in diretta –donna nel sociale-“, questione della donna lavoratricenel passato.Per la trasmissione di R.A.I.3 “GEOeGEO” condotta daSveva Sagramola e le trasmissione “IL BACO DELMILLE<strong>NN</strong>IO” sulle frequenze di Radio R.A.I. 2.Berlino, 2 dicembre 2007 in un radio documentarioche prende spunto dalla sua vita e dalla sua opera(“missione bellezza”), scritto da CHRISTIAN FÖRSCH(scrittore e giornalista tedesco), per le frequenze dellaKultur-radio rbb (emittente nazionale radiotelevisivatedesca).Berlino, 6 giugno 2008, rappresentazione teatraledello stesso nella cattedrale di Berlino, (voce narranteTILMAR KUHN attrice protagonista PETRA KELLING ,regia di NIKOLAI von KOSLOWSKI.) A finerappresentazione viene tenuto un concerto “live” dipoesie e canzoni con Riccardo Cappelli alla chitarra.Berlino, 22 ottobre 2008, al radio documentario vieneassegnata una “nomination”, che consentirà all’autore, ealla produzione, di accedere alla finale del PRIX EUROPA2008.Attualmente sta registrando un CD musicale che saràallegato al libro: “FIÜMA” , (poesie e canzoni in dialettolombardo/mantovano, con oli, disegni e fotografie –della stessa autrice – relative al Po e alle “tematiche”della donna). Il libro sarà edito nel 2009.Fonte :http ://danielaraimondi.splinder.com/post/19783095/ORNELLA+FIORINILink di un brano musicale e di alcuni testi recitati dell’Autrice:http://www.myspace.com/ornellafioriniDaniela Raimondi- Londra -Franco Santamaria (1937-) — Poviglio (Re)MILLE<strong>NN</strong>IUM TERTIUM / TROISIÈNE MILLÉNAIRE48<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


MILLE<strong>NN</strong>IUM TERTIUM, Opera eseguita a olio su tela, 70x50 di Franco SantamariaMillennium tertium,speranza di semeche sbocci in un’alba felicetra ali che si preparano al primo volo.S’annulla il sonno della notte.…tre, due, uno, evviva! Scoppiain visioni di neonato amore,in bollicine colorate di stellediscese tra noi,in giochi pirotecnici di lucicome onda di fuoco che scorredalle mani.Ma, nella brina dell’ombra fumogenadi quest’albauna croce di terra mortasorvolacaverne ancestrali:da alberi pendono – ancora -come ghiaccioli,spezzateali,larve di uomini vanno a fiumi di nuda pietrao a vulcani di zolfo,occhi roventi di canne fumanosu prigioniere predeo mirano a superstiti tra alti fili spinati.Millennium tertium,espoir de semence :qu’elle s’épanouisse dans une aube heureuseparmi des ailes qui se préparent au premier vol.S’annule le sommeil de la nuit.…trois, deux, un, hourra ! Il éclateen visions d’amour nouveau-né,en petites bulles colorées d’étoilesdescendues parmi nous,en jeux pyrotechniques de lumièrescomme une vague de feu qui s’écouledes mains.Mais, dans le givre de l’ombre fumigènede cette aube-ci,une croix de terre mortesurvoleles cavernes ancestrales :des arbres sont suspendues – encore -,comme des glaçons,des ailesbrisées,des larves humaines s’en vont vers les fleuves de pierrenueou vers les volcans de soufre,des yeux ardents de canons fumentau-dessus des proies prisonnièresou braquent les survivantes derrière les hauts barbelés.Fonte: «Franco Santamaria – Parola e Immagine (Poesia e Pittura)», il testo francese è dello stesso Autore.SAGGISTICA GENERALEL’IMMAGINE DELL’ITALIA NELLA POESIA UNGHERESE DEL PRIMO NOVECENTO *III. Il MITO DELL’ITALIA NELLA LETTERATURA DEL PRIMO NOVECENTO UNGHERESEL’Italia descritta dagli ungheresi durante ilRisorgimento italiano (1820-1848), e le cui circostanzepolitiche inducevano al confronto con le condizioni dellapatria, rilevando l’arretratezza dell’industria, delcommercio, la povertà delle città dell’Ungheria el’insufficienza della cultura artistica, è un’Italia cheviene trasfigurata esteticamente dal sentimentonostalgico e insieme autocritico di chi deve scoprirel’adempimento delle proprie aspirazioni inappagate inun altro processo storico nazionale più felicementeconcluso. Questo sentimento, ha influito fortementesull’espressione artistica di vari autori ungheresi e di unintero periodo storico-letterario che va dal 1870 al 1910e che si manifesta in atteggiamenti di disillusione perremoti e non realizzati ideali civili e politici, di fuga nelpassato, nell’esotico, nell’arte, di negazione delle formepoetiche precedenti, in un linguaggio nuovo.Uno stato d’animo che ha dato vita al mitodell’Italia risorgimentale, alla rievocazione dell’Italia,culla dell’arte nei secoli e ricca di esotico color locale.L’esotismo è nostalgia per il Rinascimento italiano,che a sua volta è espressione di un nuovo desiderio dibellezza.La nostalgia del Rinascimento non vuol direrecupero dell’età dell’oro, ma aspirazione a rifiutarel’ingresso nell’arte ai conflitti interiori, alle riflessionifilosofiche dell’io poetante, alle analisi inquiete suldissesto della società e della vita civile d’Ungheria. Ilmotivo esotico è consapevolezza del dissidio fra vita ecultura, del disagio esistenziale, frutto dello scontrodella vita interiore con la realtà esterna, la disillusione,la noia e l’angoscia; ma anche la rinnovata tendenzaalla speranza ed alla lotta, e allo stesso tempo il finesempre mutevole. Tutto questo fa sì che tanti spiritiinquieti cercheranno di sottrarsi al loro ambienteoriginario ed alle loro contraddizioni interiori, epenseranno di ritrovare se stessi nel rifugio dellamemoria di civiltà scomparse e diverse. Queste animein pena si metteranno in viaggio per fingere il contattocon la realtà ungherese, per allontanarsi fisicamentedalla loro patria e raggiungere l’Italia, luogo esoticodove poter rivivere poeticamente vicende umane<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200949


pervase di liricità, testimoniate nella realtà di un viaggioo immaginate nel ricordo. 1Nella narrativa ungherese di fine secolo, sarannogli scrittori provenienti dalla cultura borghese dellaBudapest fin-de-siècle, quelli più incliniall’ambientazione esotica, rappresentata da una nuovacoscienza culturale e da una nuova concezione dell’arte.I primi grandi e nostalgici viaggiatori, ammiratoridelle bellezze dell’Italia nei primi anni del Novecentofurono Endre Ady, Mihály Babits, Dezső Kosztolányi,Antal Szerb, i quali giunsero in Italia non solo pervedere i monumenti d’arte e le bellezze naturali, ma percompiere un pellegrinaggio intellettuale, poichél’esperienza di un viaggio in Italia rappresentava lapossibilità di un incontro con la vera cultura e con untipo di vita più umana, più libera, più vicina all’arte ealle bellezze della natura. E proprio la breve esperienzadi una «vera esistenza», legata al soggiorno italiano,era anche un triste raffronto di una vita e di unacultura, mitizzate con la vita quotidiana in un paese piùdistante dal sole e dalle bellezze della natura e dellearti.Tra le città italiane, mete preferite dei viaggiatoriungheresi già all’epoca delle Riforme (1820-1848) c’eraVenezia: la «regina del mare», che da secoli era laporta dell’Italia per coloro che provenivanodall’Ungheria, ed ha sempre avuto un ascendentespeciale sugli ungheresi per il suo incanto magico eanche nelle descrizioni di viaggio la città, tutta marmi ericchezze, veniva rapportata con le città ungheresi tuttefango e povertà.VeneziaRio della MisericordiaIII. 1 La Venezia di Mihály BabitsIl poeta Mihály Babits nella lettera indirizzataall’amico Juhász Gyula, scritta nel 1908, descrive il suoincontro con una piccola parte dell’Italia, esattamenteVenezia:Babits Mihály-Juhász Gyulához[Szekszárd,1908.aug.26.előtt.]Kedves Barátom!Megjártam egy kis karajt a szép Itáliából és úgyérzem, hogy megnőttem egy fejjel. […]Konstatáltam hogy a mi szép dunántúli egünk épp olykék, dombjaink éppoly zöldek és enyhén gömbölyűek,mint az olasz ég és az olasz dombok: de honfitársainkmogorvábbak, utcáink csöndesebbek mint a kedvesolaszok és az olasz utcák. 2L’accostamento tra l’Italia e la Pannonia è una notapresente in molte delle sue poesie, e non è affatto unacasualità.Mihály Babits, infatti, nacque nel 1883 a Szekszárd,l’antica Alisca della Pannonia romana.La Pannonia, o Dunántúl [Oltredanubio], è laregione conquistata dall’imperatore romano OttavianoAugusto nell’anno 35-33 a.C.. Verso la fine degli anniQuaranta l’imperatore Claudio occupò Carnuntum efondò le colonie di Aquincum (il primo nucleodell’attuale Budapest) e Claudia Savaria (il primo nucleodell’odierna Szombathely). Qui si stanziaronocommercianti e artigiani italici; pertanto, nellatradizione culturale ungherese, essa viene messa instretta relazione con l’Italia.Quando nel 1940 i redattori del numero ungheresedella rivista “Termini” di Fiume chiesero a Babits discrivere sui legami tra l’Italia e la sua terra, il vecchio emoribondo poeta al quesito rispose:«Conta poco la quantità dei fatti. Chi è innamoratodell’Italia e della Pannonia, sente la vanità di taledomanda, che gli riesce addirittura incomprensibile.Sono cose spirituali ed anche i paesaggi hanno l’anima.Se esiste tra gli uomini la“Wahlverwandschaft”, l’affinitàelettiva, perché non potrebbe esistere qualcosa disimile anche tra le nazioni?» 3 e confessò di avere duepatrie: “Az én hazám Pannónia, a második hazámItália”. 4Babits affermò che l’affinità tra i due paesi, omeglio la latinità della Pannonia ungherese consistevaprima di tutto nella sua storia.Questa regione, anticamente fu terra romana eanche oggi si distingue per i suoi monumenti e per lesue rovine dando testimonianza della plurisecolarepresenza romana in anfiteatri, templi, bagni, nellafamosa Iside di Savaria, vicino l’attuale Szombathely, enella Villa Ercole di Aquincum ([Óbuda, vecchia Buda]).Il legame della Pannonia con la terra italiana vennerafforzato dalla continua presenza italica in questa partedell’Ungheria.Dopo i romani, infatti, in questa regione arrivaronoi primi italiani per convertire gli ungheresi, per costruirele prime chiese e le prime città del nuovo stato di SantoStefano.E vi si stabilirono le prime colonie di italiani,costruttori delle prime città ungheresi, seguiti poi dascultori e pittori, dagli uomini eruditi che ornarono conle loro opere le corti dei re ungheresi, tra i quali i reangioini di Napoli (Carlo Roberto, Luigi il Grande diNapoli).In seguito all’occupazione turca (1526), lamagnificenza dell’Ungheria medievale e rinascimentalecrollò, e s’infransero anche i legami che univano laPannonia all’Italia. Tuttavia, fu storicamente rilevanteche mentre le parti orientali dell’Ungheria furonotravolte dal dominio turco e dalle guerre religiose, laPannonia rimase cattolica. Qui vissero nelle lorofortezze e castelli quei nobili i quali negli intervalli dellecontinue campagne antiturche, lessero i poeti e glistorici latini, e scrissero le loro opere seguendo imaggiori modelli della cultura classica, contribuendosempre più frequentemente a far risuonare la parolalatina.Grazie alle scuole monasteriali e alle Accademie, esoprattutto al suo clima temperato, al suo dolcepaesaggio collinare, coperto di boschi e vigneti, pervasadi reminiscenze latine, la Pannonia divenne il paese deipoeti, patria degli scrittori ungheresi, da JanusPannonius (1432-1472), primo poeta ungherese, aifamosi poeti del Romanticismo nazionale ungherese,come Mihály Vörösmarty (1800-1855), e terra nataledei primi grandi poeti moderni, come Dániel Berzsenyi(1776-1836), e Mihály Babits (1883-1941). Per questosi formò il mito della Pannonia, Paese in cui sulle50<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


panchine sotto i pergolati e nei padiglioni delle ville sileggevano le opere di Virgilio e di Lucrezio: dovepaesaggio e tradizioni creavano un’atmosferafavorevole alla formazione di uomini sensibili allabellezza e alle arti. Mihály Babits dedicò al natìoDunántúl, l’Oltredanubio, questo bellissimo passo:«L’Oltredanubio è una contrada soave, azzurra, èsimile alle parti più belle dell’Italia, ai dintorni di Firenze.Non è strano che gli scrittori dell’Oltredanubiosiano i più vicini alla leggerezza e all’eleganza latine. Einoltre l’Oltredanubio è la regione più occidentaledell’Ungheria, la sua regione più colta, in immediatorapporto con l’Occidente, la sua regione piùaristocratica: il lievito dell’Oltredanubio ha sempre datoalla nostra letteratura l’impronta più universale, menopopulistica, onnicomprensiva, più aristocratica e piùeuropea». 5L’Oltredanubio, avamposto occidentaledell’Ungheria, è la contrada che, anche nel paesaggio,fa da ponte ideale verso il mondo italiano, e Babits, inquanto gentiluomo di tale regione, è l’immagine cheincarna al meglio la vocazione occidentalistica,assimilatrice e mediatrice della civiltà magiara.Inoltre, Babits, appartiene per nascita alla piccolanobiltà cattolica, ed è alla tradizione culturale di questaclasse – aperta all’Occidente, alla cultura classica e aquella italiana soprattutto – che egli si richiama.Il vero ideale degli scrittori e degli intellettualiungheresi fu l’Europa. E anche l’uso della lingua latina,prolungato nella prassi scolastica ed amministrativa finoalla metà dell’Ottocento, testimonia quanto amore erispetto per la civiltà latina, fosse diffuso in Ungheriaper tutto l’Ottocento e anche inizio Novecento tra moltiintellettuali.Babits parla di un autentico legame tra l’animalatina e pannonica e ci rivela il segreto di questa latinitàcon queste parole:“Ruskin una volta ha provato ad esaminare ilpaesaggio, illustrandolo coi colori, e ha chiamato l’Italiauna contrada azzurra”. Anch’io nei miei versi hochiamato la Pannonia azzurra „Tonda, mite,luminescente, contrada azzurra”… Ma in verità neppureuna contrada azzurra, come la seconda, multicolore.Mite, latina. 6Da questi sentimenti per la comune eredità latina siformò il culto dell’Italia di una intera generazione dellanuova letteratura ungherese, e sempre da questosentimento si ispirarono le «poesie italiane» di poetiquali Mihály Babits, Endre Ady, Dezső Kosztolányi, diGyula Juhász, e István Vas.Il poeta Mihály Babits chiamò «un oscuro desiderioselvaggio» quell’istinto che aveva spinto gli antichimagiari nomadi a scorrerie temerarie verso l’Italia, chespinse poi più tardi gli studenti ungheresi verso leuniversità italiane e poi gli intellettuali «decadenti» delprimo Novecento ad andare in Italia per trovare tuttoquello che mancava loro in patria: il sole, le bellezzedella natura e dell’arte, i ricordi di un grande passato.Nel 1904 Babits, allora ventunenne, scrive la poesiaRecanati, sotto il titolo della quale annota: villaggionatale del Leopardi. Precisiamo che il poeta non eraancora andato in Italia, ma a quel tempo conosceva giàalcuni versi del poeta italiano.Il titolo stesso della poesia lascia intuire che ilpoeta ha voluto rendere omaggio a Leopardi coi suoiversi. In realtà non sarà così. Babits infatti, indossa unamaschera, finge di essere il poeta gobbo, di trovarsipersino nella sua casa, nel cortile accanto al pozzo doveci pone davanti agli occhi il paesaggio coi suoi fioriazzurri, le sue colline piene di uva, eppure, non è diRecanati che parla, ma della sua città natale,Szekszárd.In tutta la poesia Babits è turbato dal desiderio dicercar qualcosa e allo stesso tempo di non desiderarenulla. Nella seconda strofa, lui stesso ammette dicercare un fiore azzurro:[…]Vágyam van és semmire sincs vágyam:hogy lehetne? Mitsem ismerek.Tán egy kék virágot keresek.Hol vagy, hol vagy, édes kék virágom?Nella terza strofa però, Babits ci appare nel cortiledove accanto alla balaustra del pozzo, il fiore che luicerca, può fiorire invece lui si perde e i suoi occhi e lesue mani non arrivano a toccarlo:„Künn az udvar kútja kőpárkányamellett nyílhatsz, míg én itt veszem;elmosódik domborfaragványa:odáig sem ér szemem s kezem.[…]Sembra che il poeta abbia paura del suo stessodesiderio, paura che esso non venga realizzato.Nella quarta strofa, mentre sospira di fronte a tantipozzi, tanta uva, colline e fiori azzurri della sua bellaItalia, si chiede quale sia la sua sorte: restare in patriadove la terra e le nuvole sono selvagge e doveattraverso l’immagine della neve che col suo peso copree nasconde ogni cosa, lui ha la sensazione dioppressione, oppure desiderare l’Italia, e allo stessotempo scorgersi come un cane pastore che brontolamentre cerca qualcosa:„Mennyi kútad, mennyi szőllőd, dombods kék virágod, szép Itáliám.Merre síma vászonsátrad bontod,az alatt nyíl az enyém is tán.Vagy ott fenn, hol föld és felhő kondor,hó alatt diderg az senyvedőn,míg felül e fagyos lepedőnkomoran jár óriás komondor.[…]Nelle due ultime strofe Babits ci rivela perché tantaaffannosa ricerca e tanta riflessione legata al fiore.Il fiore non è altro che il poeta stesso, colui checerca le proprie radici, così come il fiore ha la suaradice.È inutile cercare il fiore azzurro della felicità, senzaprima aver toccato la carne della terra con le nostreorme. Il fiore non può fiorire se solo sfioriamo la terra.„Nem! A boldogságnak kék virágamindig csak nyomainkon fakad.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200951


Szem előtt keresheted: hiába!Aki visszanéz: az látja csak!Ó de kinek soha föld husábagyenge sarka egy sebet se vág,hogy teremjen a nyomán virág?Se dalla culla i nostri piedi non riescono a toccarela terra, allora „Dalla sua culla entra subito nellatomba?”, si chiede Babits nell’ultimo verso:Bölcsejéből ki se lépett lába-„Bölcséjéből mindjárt sírba hág?” 7La culla e la terra hanno lo stesso significato perBabits, rappresentano l’una, la cura, l’altra, la radice.Due elementi che troveremo nella poesia citata a p.71, perché saranno la risposta alle domande che Babitssi pone nella suddetta poesia.È come se la poesia Recanati, derivasse daun’esigenza del poeta di iniziare un percorso primaimmaginato, che poi troverà risposta solo dopo la suacompiuta realizzazione.Babits ci lascia interdetti, a volte persino dubbiosi.Ci chiediamo perché farsi tante domande sul propriodestino, sulla scelta tra l’Italia e la sua patria; quandocompone la poesia lui si trova nel suo paese non inItalia, allora perché tanta nostalgia?Quattro anni dopo la composizione della poesiaBabits parte per l’Italia, ha solo venticinque anni equello che dovrebbe essere un sereno viaggio giovanilesi preannunzia già, nel voler sempre mettere aconfronto i due Paesi, come una sorta di tradimento perla propria patria.La poesia Italia di Babits che riportiamovolutamente in italiano perché rende al meglio il magicoincontro con l’Italia, nasce proprio durante la redazionedella lettera indirizzata al suo amico Gyula Juhász nel1908:Italia! M’avvincono le tue città dove nei vicolibrulica una ricca gioia paesana.Come le vene azzurre fervono quei vicoli:pur se abbandonati son nobili e regali.M’attraggono i tuoi archi e i tuoi palazzidel passato splendore: portici, colonne,le piazze luminose che ci dannole vertigini: e la scuretortuose scale delle torri.La poesia si può dividere in due segmenti,individuabili attraverso i seguenti elementi, tra la primae la seconda strofa: “Mi avvincono”,/“mi attraggono”, ei 2 punti (ripetuti più volte). Attraverso la successione diqueste parole e la ripetizione del suddetto segno diinterpunzione, possiamo individuare la struttura globaledella poesia.Poesia, formata da un’idea di partenza: l’attrazioneper l’Italia, così ben evidenziata dai due punti chesegnano una pausa forte e danno al poeta la possibilitàdi gustare fino in fondo le bellezze delle città italiane,nei cui vicoli ci si inebria di gioia, e dove ogni elementodel passato splendore provoca un eccessivo, mapiacevole turbamento. Ma, ad un certo punto, subentraqualcosa che rovescia la situazione, c’è un’ideaoppositiva, individuabile nella terza strofa, attraverso leparole: “Ma non più azzurro è il tuo cielo,/né sono letue colline più verdi” (De nem kékebb eged,/és adombod se zöldebb). Qui il poeta prende le distanze,ridimensiona quanto detto nelle prime strofe e difendequello che gli appartiene: le sue colline, il suo cielo.Babits non si accontenta, deve precisare, ed eccoche scaturiscono i versi “delle mie patrie colline”[honnidombjaink]; un dettaglio, non l’unico, infatti, subitodopo, leggiamo: “del mio cielo oltre Danubio”[adunántúli ég].È della sua terra che sta parlando, e il lettore nondeve dimenticarlo.Il continuo confronto del poeta con la sua terra gliprovoca una sorta di malinconia, quasi la sua anima sisdoppiasse, e anche quando nei versi finali dichiara diprovare tormento mentre vaga per l’Italia, la terra chelui definisce essere la sua seconda patria; in realtà peròil suo pensiero in quel preciso istante è rivolto alla suavera patria.Nello stesso anno, Babits scrive la poesia intitolataSan Giorgio Maggiore nella quale rivela lo splendore diVenezia, la prima città italiana che ha visitato:Keresztes, hófalú tornácba fordulék be,a nyájas szerzetes vezette az utata toronyhoz, amely büszkén szökell a légbes Velence ujjaként az ég felé mutat.És ott hagyott magam, hol négy sarokkal égbekigyóz a deszkaléc s szorúl az öntudat,a szem kapaszkodik a harangkötelékbes végét nem érheti, s szédül, s ijed, kutat.S egyszerre...fenn!...a menny gyullad ki kék világulés négyfelől a nagy szigetváros kitágul,Ma non più azzurro è il tuo cielo né sonole tue colline più verdi delle miepatrie colline e del mio cielooltre Danubio, delle mielontananti regioni iridescenti.Né un cuore italiano può aver più tormentodi tanti ricordi nelle piazze vetuste,sotto l’antico suo cielo, di me quando erroper la tua terra, patria mia triste. 8***mely ég és víz között gyémántos fényben áll,hol minden büszke ház új szépséget kínál. 9[…]***L’attenzione del poeta, in questa poesia, come inquella precedente, va alla luminosità del cielo, chesembra predominare su tutto il resto.Molto particolare è l’immagine mostrata da Babitsnella prima strofa, della torre, che per la sua stessaforma indica il cielo.E, ancora, quando dice “szédül” [ho le vertigini],perché i suoi occhi rivolti verso l’alto, oltre quella torre,reggendosi sulle corde della campana, vedano quel52<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


cielo che infiamma di azzurro il mondo, e anche se labellezza della città vive nelle sue stradine o nellefacciate dei suoi palazzi, il connubio è tra cielo e acqua,in una luce diamantina, che come in un abbraccio e inperfetta simbiosi, avvolge la città insulare, rendendolaancora più spettacolare.La terza poesia ispirata dal viaggio in Italia diBabits, è il sonetto Zrínyi Velencében [Zrínyi a Venezia]:Szent Márk dicső terén, melyet mélán tapostam,valaha régesrég egy másik bús magyar,méltóbb költő mint én, és hős mint senki mostan,tiport hatalmasan, ki tudta mit akar!Ki tudta mit akar s nem tudta, hogy a rosszbanfogyhatlan a világ s nem tudta, hogy hamaride vágy vissza a földről, hol bármi sorsbanélni és halni kell; mely ápol s eltakar.Ezt mind nem tudta még s árva honára gondolt,s döngött csizmája a márványon s lelke tombolt,látván sok harci jelt ős ívek oldalán. 10[…]***Delle tre poesie, composte tutte nel 1908,quest’ultima è la più significativa in quanto richiama allamente la poesia Szózat [Proclama alla Patria], delgrande poeta romantico magiaro Mihály Vörösmarty(1800-1855), nella rievocazione del viaggio a Veneziadel poeta epico del barocco ungherese, Miklós Zrínyi(1620-1664).Nella seconda strofa, Babits ricorda il poeta Zrínyiche si trova a Venezia, ancora ignaro del desiderio chepiù tardi avrà di ritornare nella sua terra. La parolaterra ha un duplice significato: è una terra che cura (daqui la necessità di viverci) e nello stesso tempo copre(dà la garanzia di una degna sepoltura, perché coprecon le sue zolle). Si ha l’impressione che Babits conquesti versi voglia esortare se stesso a non tradire e anon allontanarsi dalla patria.Confrontando le due liriche notiamo più di unsemplice accostamento; c’è, infatti, la ripresa dell’unicomotivo: “Föld” [Terra] e “Haza” [la Patria].Essere fedeli alla propria patria, come culla checopre e che si prende cura, come linfa che nutre laterra, e un giorno anche tomba che copre con le suezolle, gridava infatti Vörösmarty, nel suo Szózat([Proclama alla Patria], 1823):Hazádnak rendületenűlLégy híve, ó magyar;Bölcsőd az s majdan sírod is,Mely ápol s eltakar.[…]Légy híve rendületlenűlHazádnak, ó magyar:Ez éltetőd, s ha elbukál,Hantjával ez takar. 11[…].La patria, non solo quella di Babits, di Vörösmarty,ma anche terra, madre dei suoi figli. Essa non vaabbandonata, proprio come la pietra che, gettata inalto, ricade sulla terra. Anche il figlio ritorna alla suaterra, ricorda Ady nella poesia “A föl-földobott kő”[Pietra gettata in alto], del 1909:Föl-földobott kő, földedre hullva,Kicsi országom, újra meg újraHazajön a fiad. 12[…].***______________________________________1Amedeo Di Francesco, «Nostalgie esotiche. L’Italia nellaletteratura ungherese di fine secolo», in AA.VV., Venezia,Italia e Ungheria tra Decadentismo e Avanguardia, a cura diZs. Kovács e P. Sárközy, Akadémiai Kiadó, Budapest, 1990, p.217.2Babits-Juhász-Kosztolányi levelezése [Il carteggio tra BabitsJuhász-Kosztolányi], a cura di Gy. Belia, Budapest, 1959, p.173: “Mio caro amico,/ho fatto il giro di una piccola partedella bella Italia,/e sento che in qualche modo,/il cervello mi ècresciuto un po’./Ho constatato che,/una cosa bella del cielodel nostro Oltredanubio,/è proprio tale azzurro,/le nostrecolline verdi e dolcemente rotonde,/come il cielo italiano e lecolline italiane:/ma i nostri compatrioti, sono più cupi, lenostre vie più silenziose dei cari italiani e delle vie italiane”.Quando non diversamente specificato le traduzioni dei testisono mie.3Mihály Babits, Italia és Pannónia [Italia e Pannonia],inEsszék, tanulmányok [Saggi, Studi], a cura di Gy. Belia, vol. 2,Budapest, 1978, p. 708: «A tények sokasága itt nem jelentsemmit. Aki azonban maga is pannóniai és Itália szerelmese,annak számára a kérdés felesleges, szinte értelmetlen. Lelkidolgokról van szó, s a tájaknak is van lelkük. Ha létezik azemberek között Wahlverwandtschaft, miért ne lehetne ilyesmia tájak között is?».4Ibidem, p., 70. Cito e traduco: “La mia prima patria èla Pannonia, la seconda è l’Italia”.5Cfr. Gianpiero Cavaglià, L’Ungheria e L’Europa, a cura di K.Roggero, P. Sárközy, G. Vattimo, Roma, Bulzoni, 1996, cit., p.107.6Mihály Babits, Italia és Pannónia, [Italia e Pannonia], inEsszék, tanulmányok [Saggi, studi], a cura di Gy. Belia, vol.II, Szépirodalmi Könyvkiadó, Budapest 1978, p. 709: “Ruskinegyszer megpróbálta osztályozni a tájakat, színeikkeljellemezve, s Itáliát „kék táj” – nak nevezte. Én is kéknekneveztem Pannóniát ifjonti versemben. „ Gömbölyű, szelíd,színjátszó, kék vidék”… Igazában azonban egyik vidék semkék, mind a kettő tarka és változatos színű. Szelíd, latin”.7Mihály Babits, Összegyűjtött versei [Raccolta di poesie],Szépirodalmi Könyvkiadó, Budapest 1963, cit., p. 36. Cito etraduco: “[…] Ho un desiderio e non desidero niente:/comepotrebbe essere? Non capisco niente./Forse sto cercando unfiore azzurro./Dove sei, dove sei, caro mio fioreazzurro?//„Fuori accanto alla balaustra del pozzo delcortile/puoi fiorire, mentre io qui mi perdo;/e sparisce anche ilbassorilievo:/i miei occhi e le mie mani non arrivano atoccarlo. […] //„Quanti pozzi, quanta uva, colline/e fioriazzurri hai, bella Italia mia. /Dove apri la tua tenda di telasemplice,/sotto quella forse si aprirà anche la mia./O forse làin su, dove la terra e le nuvole sono selvagge,/dove tuttotrema deteriorandosi sotto la neve,/mentre sopra su questatela gelida,/gira brontolando un gigante cane pastore. […]//„No! Il fiore azzurro della felicità/sboccia solo sempre sullenostre orme. /Davanti agli occhi puoi cercarlo: inutile!/chiguarda indietro: lo vede solo lui!/Ma se qualcuno non feriscemai col suo tacco debole/la carne della terra,/come potrebbefiorire il fiore su quelle orme? /Dalla culla non sono usciti isuoi piedi-/„Dalla sua culla entra subito nella tomba?”.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200953


8Folco Tempesti, Le più belle pagine della letteraturaungherese, Milano, Nuova Accademia Editrice, 1957, p. 196. Iltesto originale: “Itália! Tudom városaid csodálni,/hol dússikátoron vidám nép bizsereg./Lázas az ily szűk út, minttestben kék erek,/S nemes, habár hanyag, szennyében iskirályi.//Vonzanak íveid s tűnt fényed palotái,/árkádok,oszlopok, a sugaras terek,/hol elszédülnek az idegesemberek:/vonzanak a sötét toronylépcsők csigái.//De nemkékebb eged és a dombod se zöldebb, mint honi dombjaink sa dunántúli ég,/e gömbölyű, szelíd, színjátszó kék vidék.//Solasz szív nem lehet emlékektől gyötörtebb/a vén boltok alatt,az ősök piacán,/mint én, ha földeden bolyongok, búshazám!”.9Mihály Babits, Összegyűjtött versei [Raccolta di poesie],Szépirodalmi Könyvkiadó, Budapest 1963, p. 38. Cito etraduco: “Mi girai nel cortile a croce dalle pareti bianche, /ilgentile prete mi ha fatto vedere la strada verso la torre, che sislancia all’aria, /e come se fosse il dito di Venezia, mostra ilcielo. //E mi ha lasciato da solo, dove in uno spaziorettangolare, /serpeggia in alto la scala di legno e si stringe lacoscienza, /gli occhi si reggono sulle corde della campana /enon può toccare la fine, e ho le vertigini, e tremo, scruto. //Enello stesso tempo…guardo in alto!…dal mondo celeste siinfiamma il cielo e si estende in quattro direzioni la grandecittà insulare,/che sta tra cielo e acqua in una lucediamantina, //dove ogni palazzo orgoglioso offre una nuovabellezza. […]”10Ivi, Cito e traduco: “Sulla magnifica piazza San Marco, cheho calpestato,/in tempi remotissimi un altro triste ungherese,/più degno poeta di me, e eroe come nessun altro, /hapotentemente calpestato, come qualcuno che sapeva cosavoleva!//Chi sapeva cosa voleva, non sapeva, chenell’inesauribile mondo del male, fra poco,/qui desidereràritornare alla terra, dove in qualunque sorte, /si deve vivere emorire; che cura e copre.//Ma tutto questo ancora non losapeva qui a Venezia,/e pensava alla sua patria orfana,/e isuoi stivali battevano sul marmo e la sua anima stava perscoppiare,/vedendo i tanti segni della guerra sugli antichiarchi […]”11 Mihály Vörösmarty, Szózat [Proclama alla Patria], in Amoree Libertà, Antologia di poeti ungheresi, a cura di Marta DalZuffo e Péter Sárközy, Roma: Lithos Editrice 1997, p. 90-93.“O magiaro, sii fedele alla tua patria/in modo irremovibile;/Ètua culla,/e un giorno anche tua tomba/Quella che di teprende cura e ti copre.[…] //Sii fedele, in modoirremovibile/Alla tua patria, o magiaro:/Questa è la tua linfa ela tua morte/Sarà essa a coprirti con le sue zolle”.12Endre Ady, Összes versei [Tutte le poesie], Az AthenaeumKiadása, Budapest 1923, p. 251. Cito e traduco: “Pietragettata in alto, che sulla terra ricade,/Piccolo mio paese,sempre/a te ritorna il tuo figlio” […]4) Continua* Tesi di laurea (Testo)Luigia Guida– Bologna –ANTICHE TRACCE MAGIARE IN ITALIA – II.Intrecci italo-ungheresi durante gli anni delladinastia d’Angiò e del regno di Mattia Corvino¹– A cura di Melinda B. Tamás-Tarr –Con il nome di Maria d’Ungheria si identificano trepersonaggi storici: Maria d’Ungheria, che fu reginaconsorte di Napoli, dal 1285 al 1309; Mariad’Ungheria, che fu regina d’Ungheria dal 1382 al1395, Maria d’Ungheria, chiamata anche Mariad’Asburgo, che fu regina consorte d’Ungheria essendomoglie di Luigi II d’Ungheria. Secondo il nostroargomento le prime due sono l’oggetto d’interesse.Maria d’Ungheria (1257 – 25 marzo 1323) Fu lafiglia di Stefano V d’Ungheria e di sua moglie, la reginaElisabetta, figlia di Kuthen, un capotribù dei Cumani.Suo fratello Ladislao IV il Cumano – László IV Kun –regnò sull’Ungheria dal 1272 al 1290. Nel giugno del1270, all’età di circa tredici anni, sposò a Napoli l’eredeal trono Carlo, duca di Calabria, figlio primogenito diCarlo d’Angiò e Beatrice di Provenza. Prima delmatrimonio col sovrano angioino, Maria era di religionepagana. Dall’unione nacquero quattordici figli. Dopo lenozze con Carlo II lo Zoppo, acquisì il titolo di Reginaconsorte di Napoli, dal 1285 al 1309 e ricevette ilcastello di Melfi come residenza ufficiale nel 1284.A Napoli la S. Maria di Donnaregina, la Chiesa eMonastero di Maria d’Ungheria regina di Napoli èproprio a lei dedicata: II Monastero che in undocumento del 780 viene ricordato col titolo di S. Pietrodel Monte di Donna Regina e che nel dodicesimo secolosi mutò in quello di S. Maria Donna Regina, vennericostruito ed ampliato con una nuova chiesa da Mariad’Ungheria, consorte di Carlo II re di Napoli, fra il 1298ed il 1316. Nel secolo XVI il Monastero trecentesco delleClarisse fu rinnovato ed ampliato col grande Chiostro.Anche la Chiesa venne ripetutamente restaurata, manel 1620 fu abbandonata dalle Clarisse che feceroinnalzare avanti all’abside antica un nuovo tempio.Dopo la soppressione avvenuta nel 1861, la chiesa fuadibita a vari usi, ed una parte del Monastero vennedistrutta quando si allargò la via del Duomo. In seguitoal lavori di restauro eseguiti tra il 1928 ed il 1934 Lachiesa fu ridonata, per quanto era possibile, alle sueforme originali.La Chiesa risulta una delle più suggestiveespressioni dell’architettura trecentesca. Il portale siapre nella parte inferiore della facciata, mentre la zonasuperiore ha due monofore ed un grande oculo inseritofra esse. Passata la soglia della porta, si entra in unasala a tre navate uguali, dimezzata in altezza da unvasto coro. Del resto, la pianta è semplice; una navatarettangolare, in fondo alla quale si apre l’abside, mentrenella nave, tre per parte, le monofore. Le volte acrocera del piano inferiore poggiano su pilastriottagonali. La navata era coperta a tetto ad ordituravisibile. Addossata alla parete destra della Chiesa è laCappella Loffredo, una stanza rettangolare coperta avolta. Nel tutto insieme, la Chiesa ha una serrata unitàdi stile che è francamente gotica.Stemma di Maria d’Ungheria. — Scudo diviso indue spicchi, uno con i gigli d’oro degli Angioini sucampo azzurro, e l’altro con le quattro fasce bianchedell’Ungheria su campo rosso. Si vede scolpito in ,tufosulla facciata sopra l’oculo e nel centro delle volte nellacappella Laffredo. All’interno torno torno alla Chiesa, inalto, correva un fregio nel quale era ripetuto a breviintervalli lo stesso stemma dipinto nel trecento. Inoltre,l’impresa araldica della Regina era contenuta neglistemmi al centro delle volte e formava il motivoornamentale delle stesse volte, divise in spicchi, che ingioco alterno, mostravano le armi d’Angiò e d’Ungheria.Anche le mattonelle maiolicate del pavimentodell’abside, rifatto nel secolo XV da una Badessa dellafamiglia Caracciolo, recava lo stessa di Maria insieme a54<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


quello dei Caracciolo. Gli ultimi avanzi di questopavimento ora si conservano nel piccolo Museo accantoalla Chiesa.Affresco con Maria d’Ungheria. —- Al latosinistro del Giudizio Universale dipinto sulla pareteinterna della facciata, nella processione guidata daCristo verso la porta della Gerusalemme celeste,procedono i bimbi ed i vecchi quindi « una regina »,come dice il Bertaux, nella quale il Chierici crede diravvisare la figura di Maria d’Ungheria. Tutta figura conin. Testa la corona, vestita d’un largo mantello.Affresco con Santi della dinastia nazionaleungherese degli Árpád. — Nel coro, sotto la scenadella Pentecoste dipinta sul muro che chiude la terzamonofora, nel fregio il cui fondo è a fasce bianche erosse, colori del regno d’Ungheria, compaiono tre santidella stirpe reale Árpádiana, rappresentati in mezzafigura:S. Stefano (István) re d’Ungheria, in mezzo,rappresentato frontalmente, maestoso vegliardo dallabarba lunga, che nella sinistra tiene il globo, mentre ladestra è alzata in atto di benedire;S. Ladislao (László) re d’Ungheria, a sinistra,l’uomo barbato, nella forza dell’età, in gran parteabraso;S. Elisabetta (Erzsébet) d’Ungheria, a destra,con libro in mano, anch’essa in parte abrasa.Affresco raffigurante la storia di S. Elisabetta,d’Ungheria. — Nella parete NE del coro, sotto la scenadella Passione, si allineano cinque quadri concernenti laNostra.Il primo ha così larghe abrasioni nella parte inferioreche riesce impossibile identificarne il soggetto. Nellaparte superiore, in un balcone, si svolge la scenadell’incontro di re Andrea (András/Endre) II con lafigliola che nel grembo tiene le rose miracolose.Il secondo è diviso in due parti. Nella partesuperiore alcune piccole figurine rappresentano fattidella prima gioventù della Santa: a sinistra essa vienead inginocchiarsi in una cappella; nel mezzo le suecompagne stanno ballando, a destra Elisabetta fugge iltripudio dopo un solo giro di danza. Nella parte inferioresi svolge, entro un ampio loggiato, il matrimonio dellaprincipessa con il Langravio Lodovico in presenza deiReali d’Ungheria, Andrea II e Gertrude di Merania.Il terzo quadro rappresenta tre episodi: a sinistra laSanta mentre si fa dare la disciplina da una ancella;nella piccola cella di sopra, la Santa riappare in atto dipregare; a destra saluta lo sposo che parte per laCrociata.Il quarto quadro ricorda l’episodio del ricco donofatto dalla Santa ad una povera donna che per lostupore cadde tramortita e poi si rialzò alla preghiera di.lei. Nel piano di sopra si distinguono due scene: laprincipessa presta giuramento di obbedienza al suoconfessore, quindi riceve la visione di Cristo.L’ultimo quadro, un po’ faraginoso, rappresenta inalto Elisabetta con i suoi figlioli, che il suocero scacciada Wartburg, in basso, le sue opere di pietànell’ospedale di Gotha da lei fondato, e la morte allapresenza di preti e storpi che attendono la guarigione.Affreschi monocromi, nell’insieme ogni quadrosembra una pittura a chiaroscuro, nella quale l’ocriagialla, riscaldata con un po’ di sinopia, viene mescolatacol bianco di calce.Mausoleo di Maria d’Ungheria. — Il Mausoleoderiva dal tipo del monumento sepolcrale creato daArnolfo di Cambio. Elementi del sepolcro sono: l’edicola,il sarcofago, e la figura dell’estinta scolpita a tuttorilievo. L’edicola è formata da due colonne chesostengono l’arco acuto trilobato e coperto da timpano.Sulla piattaforma di base, oltre ai pilastri delbaldacchino, si impostano le quattro virtù sorreggenti ilsarcofago. Sui tre lati di questo; si svolge un loggiatonelle cui arcate si vedono i figli della regina. Sonoundici, sette sul lato lungo e due per ciascun latominore. Nel centro della fronte principale è S. Lodovicodi Tolosa; a sua destra siede Carlo Martello red’Ungheria, poi Giovanni di Durazzo; alla sinistra ReRoberto e Filippo di Taranto; al di sopra del sarcofagos’erge la camera funebre. Due angeli, ai lati, aprono lecortine _ e lasciano vedere la regina distesa sopra illetto e vegliata da due angeli. Maria d’Ungheria indossail saio francescano mentre la sua testa è cinta dallacorona. Sul tetto della camera, in alto, siede la Verginecol Bambino; ai lati un angelo le presenta la regina edun altro il modello della Chiesa da lei fondata.Tutti i fondi piani del mausoleo lavorato in marmo,sono decorati di intarsie policrome a disegni geometrici.— L’opera fu eseguita da Tino di Camaino da Siena, nel1325.Epitaffio di Maria d’Ungheria. — Inciso lungo gliorli del sarcofago ed è del seguente tenore:«Hic requiescit sancte memorieexcellentissima domina dominaMaria Dei gracia Hierusalem, Sicilie,Ungarieque regina, magnificiprincipis quondam Stephani Deigracia regis Ungarie (filia) ac relictaclare memorie inclyti principis dominiCaroli secundi, et mater serenissimiprincipis et domini Roberti, eademgracia Dei dictorum regnorumHierusalem, Sicilie regum illustrium,que obiit anno domini MCCC<strong>XIII</strong>,indiccione VI. die XXV, mensisMarcii, cuius anima requiescat inpace. Amen».Iscrizione relativa alla traslazione. Delmausoleo di Maria d’Ungheria. — In origine ilmausoleo era collocato nella chiesa fatta costruire dallastessa regina Maria, ma dopo la costruzione della nuovachiesa per ordine della badessa Eleonora Gonzaga nel1727 esso fu trasportato nel locale attiguo alla tribunadella nuova chiesa, il quale avvenimento è ricordatodall’iscrizione incisa sulla base del medesimo mausoleo:D. O. M.Corpus Mariae Hierusalem Siciliae et Hungariae ReginaeStephani IV. Pannonici fìliae et Caroli II. Andegavensis uxorisquae huic coenobio jam tum ab exeunte octavo saeculoCostantino et Irene imperantibus erectoac sacrarum virginum et familia antiquitate, opibus,<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200955


gloriaque amplissimisperpetua frequentia celebratoinstaurando amplificandoque regalem munificentiamcuntulitcum in antiqua ecclesia ab usque anno MCCCXXIIpene latinans jacuissetin augustiorem patentioremque locumpro munincentissimae ac religiosissimae principismaiestateproque animi sui amplitudineEleonora Gonzaga abbatissa monialesquetransferendum curaruntAnno Domini MDCCXXVIIKároly Róbert/Carlo Roberto,regnò 1308-1348(Fonte: Wikipedia)Károly Róbert/CarloRoberto detto ancheCarlo I d’Ungheria,Caroberto e Carlo IRoberto (Angiò, 1288o 1291 – Visegrád, 16luglio 1342), fu Red’Ungheria dal 1309 allamorte. Era nipote diCarlo II di Napoli e figliodi Carlo Martello d’Angiòe Clemenza d’Asburgo,figlia dell’imperatoreRodolfo I..Noto come Carlo Roberto prima della sua ascesa altrono d’Ungheria, rivendicò la corona magiara in quantonipote di Stefano V, ottenendo in questo l’appoggio dipapa Bonifacio VIII. Nell’agosto del 1300 lasciò Napoliper raggiungere la Dalmazia. Qui, alla morte dell’ultimore della dinastia degli Árpád, Andrea III, avvenuta il 14gennaio 1301, Caroberto fu incoronato Re d’Ungheria.La sua consacrazione fu però osteggiata nello stessoanno da Venceslao II di Boemia, al quale dovettecedere la corona. Il sovrano boemo mantenne il titoloregio fino al 1305 ma attualmente non è conteggiatonella successione ufficiale dei re ungheresi. Nel 1305Venceslao trasferì i suoi diritti al Duca Ottone III diBaviera, il quale però cadde presto prigioniero nellemani dei ribelli ungheresi. Questo permise a Carobertodi tornare a pretendere il rispetto dei suoi dirittiereditari, che questa volta non trovarono più le stesseopposizioni di otto anni prima: il 15 giugno 1309, aBuda, Carlo Roberto d’Angiò fu nuovamente elevato altrono. Ma questa instaurazione non fu consideratapienamente valida fino al 27 agosto 1310: in questadata, a Székesfehérvár, Carlo fu incoronato Red’Ungheria attraverso l’imposizione sul suo capo dellacorona consacrata, recuperata dalle mani dei baroniribelli.Nei successivi tre anni Carlo fu occupato in unacontinua lotta alle ribellioni contro la sua autorità. Fusolo con la grande vittoria di Rozgony (Rozhanovce) del15 giugno 1312 che Carlo Roberto poté imporsi comevero signore e padrone del regno.Durante il suo regno più che trentennale, Carlorestaurò l’ordine nel Paese attraverso un esercizioassoluto del potere. La Dieta continuò ad essereconvocata, ma solo occasionalmente e a intervalliirregolari. Il vero potere di controllo sugli affari delloStato fu trasferito al Regio Consiglio, dove abiliesponenti della classe media, per il 70 per cento italiani,assecondavano le posizioni del re.Al fine di imporre limitazioni ai baroni, la piccolaaristocrazia fu protetta dalla tirannia dei grandimagnati, incoraggiati ad apparire a corte e tassati per ilservizio militare dalla tesoreria reale, di modo cherimanessero più vicini alla corona. La corte di Carobertofu famosa in tutta Europa come scuola di Cavalleria.Carlo realizzò anche numerose riforme importanti. Ebbeuna spiccata attitudine alla gestione delle finanzepubbliche e la sua riforma della valuta e dell’interosistema fiscale contribuì grandemente ad arricchire siala classe dei mercanti che la tesoreria di Stato. Le cittàconobbero un significativo sviluppo e il crimine siridusse. Il sovrano angioino incoraggiò i commerci eimpose tasse per il finanziamento dell’esercito,fondamentale per l’opera di espansione dei suoiterritori. Tutto ciò permise all’Ungheria di diventare unadelle principali potenze di tutto il continente. La suapolitica fu continuata da suo figlio Luigi I il Grande.La politica estera di Carlo fu largamente basata sualleanze di tipo dinastico. La mossa di maggior successofu il patto di reciproca difesa siglato con la Poloniacontro gli Asburgo e i Boemi, ufficializzato con laconvenzione di Trencin nel 1335 e confermato nellostesso anno al brillante congresso di Visegrád, duratodue mesi. In questa occasione, Carlo riuscì in unduplice intento: da una parte, ricompose le divisioni egli attriti fra i grandi principi dell’Europa centrale,mettendo a loro disposizione agi e divertimenti perl’intera durata del vertice; dall’altra, il risultato piùimmediato del congresso fu l’attacco combinato fraUngheresi e Papato contro l’imperatore Luigi IV e il suoalleato, il duca Alberto II d’Austria, della Casad’Asburgo, che volse tutto a favore di Carlo.Il più ambizioso progetto di Carlo fu certamentequello di unire i regni d’Ungheria e di Napoli sottoun’unica corona, destinata a suo figlio Luigi. Un disegnoche fu stroncato dall’intervento di Venezia e del Papato,entrambi spaventati dalla prospettiva che l’Ungheriapotesse diventare la potenza egemone sull’Adriatico. Mafu una sconfitta relativa, poiché il sovrano fu più checompensato dall’accordo del 1339 col cognato e alleatoCasimiro III di Polonia: privo di eredi maschi, Casimiroaccettò di nominare Luigi suo successore sul tronopolacco.I sovrani della dinastia degli Árpád erano riusciti aproteggere il confine meridionale del regno attraversola costituzione di sei colonie militari, o banati,comprendenti la Piccola Valacchia (nel sud dell’attualeRomania) e le regioni settentrionali delle attualiBulgaria, Serbia e Bosnia-Erzegovina. Carlo ridistribuìquesti territori e si attirò il consenso delle popolazionilocali, rafforzando in questo modo il proprio dominio.Se da una parte puntò ad espandere i suoipossedimenti, dall’altra ottenne l’effetto contrarioconvertendo molti dei vecchi banati in principati semiindipendenti, che si rivelarono subito violentemente56<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


anti-ungheresi. La religione predominante nell’area erail cristianesimo greco-ortodosso e il proselitismo forzatoal cattolicesimo provocò numerose ribellioni.All’instabilità dell’area e alle insurrezioni vere e propriecontribuirono diversi fattori, fra cui la naturalecompetizione dinastica con i Serbi ortodossi e gli zarbulgari e gli impulsi di una nascente nazionalità valaccache chiedeva riconoscimento.Già prima del 1320 la Valacchia Occidentale (Oltenia)fu considerata dagli Ungheresi parte del Banato diSzörény. Quando il reggente della regione, Basarab I,mostrò segni di disobbedienza, Carlo mosse contro dilui le sue armate. Ma il 9 novembre 1330, mentrevarcava i confini ed entrava in Valacchia, il re cadde inun terribile agguato, ricordato come la battaglia diPosada. Per Carlo fu una disfatta e lo stesso re riuscì amalapena a darsi alla fuga scambiando i propri abiti conquelli di un suo cavaliere. Questo incidente segnòl’inizio dell’indipendenza della Valacchia.Carlo fu sposato tre volte. Nel 1306 sposò Maria,figlia del Duca Casimiro di Cieszyn. Maria morì nel 1315lasciandogli una figlia: Caterina (morta intorno al 1355),sposata nel 1338 a Enrico II Duca di Swidnica. Il 24giugno 1318 sposò Beatrice, figlia dell’imperatore EnricoVII. Beatrice morì di parto insieme al bambino l’11ottobre 1319. Il 6 luglio 1320 sposò Elisabetta diPolonia, figlia del re Ladislao I Lokietek di Polonia.Ebbero cinque figli: Carlo (1321), Ladislao (Belgrado, 1novembre 1324 – 24 febbraio 1329), Luigi I il Grande(1326 – 1382), Re d’Ungheria; Andrea (1327 – Aversa,18 settembre 1345), Duca di Calabria, sposò la cuginaGiovanna I di Napoli, Stefano (1332 – 1354), Duca diTransilvania, Slavonia, Croazia e Dalmazia, nel 1351sposò Margherita di Baviera da cui ebbe due figli:Elisabetta di Slavonia, che nel 1370 sposò Filippo II diTaranto, Giovanni di Slavonia (1354 – 1363).Carlo Roberto d’Angiò morì a Visegrád il 16 luglio1342 e fu sepolto dietro l’altare maggiore della chiesa diSzékesfehérvár, antico luogo di sepoltura degli Árpád.(Nagy) Lajos/Luigi I ilGrande, regnò 1342-1382 (Fonte:Wikipedia)(Nagy) Lajos/LuigiI il Grande(Visegrád, 5 marzo1326 – Nagyszombat,10 settembre1382) fu red’Ungheria dal 1342al 1382 e re diPolonia dal 1370 al1382. Figlioprimogenito di CarloRoberto d’Angiò e di Elisabetta di Polonia, fu erededesignato del trono d’Ungheria fin dalla nascita. Suopadre era figlio di Carlo Martello d’Angiò e di Clemenzad’Asburgo, figlia, quest’ultima, dell’imperatore RodolfoI.Incoronato Re d’Ungheria il 21 luglio 1342, pochigiorni dopo la morte del padre Carlo Roberto, trascorsebuona parte del suo regno a combattere contro Veneziae Napoli. Estese il proprio dominio fino all’Adriatico,giungendo a controllare la Dalmazia e una parte dellaBosnia e della Bulgaria. Sconfitto dai Veneziani nel 1346a Zara, l’anno successivo si mise alla testa di unaspedizione contro Napoli per vendicare l’assassinio disuo fratello Andrea, andato in sposo alla reginaGiovanna I di Napoli.Le circostanze della morte di Andrea, caduto vittimadi una congiura di Palazzo, gettavano sinistri sospettisulla sovrana, ritenuta complice, se non arteficeprincipale, del complotto ai danni del Duca di Calabria.Il 3 novembre Luigi partì alla volta dell’Italia e dopoaver ottenuto l’appoggio politico e militare di moltiprincipi italiani entrò a Benevento ai primi del 1348,raccogliendo ovunque l’acclamazione dei baroninapoletani. Il 15 gennaio la regina Giovanna si diedealla fuga e, lasciata Napoli in nave, si diresse inProvenza, dove poco dopo l’avrebbe raggiunta ilsecondo marito, Luigi di Taranto. Stabilito senza troppedifficoltà il proprio controllo sul regno, Luigi fuimprovvisamente costretto alla ritirata dall’arrivo dellapeste nera.Nell’abbandonare in fretta e furia la capitale, ilsovrano lasciò la reggenza del reame napoletano nellemani di due funzionari ungheresi. Contro di essi sisarebbe presto scatenato il malcontento dei baroni edel popolo, che avrebbe aperto a Giovanna e Luigi diTaranto la via del ritorno sul trono.Due anni dopo, Luigi tornò alla riconquista delmeridione d’Italia con una seconda spedizione controGiovanna, sempre sospettata di essere la responsabiledella morte di suo fratello Andrea. RaggiuntaManfredonia via mare ai primi del 1350, Luigi fu inbreve tempo alle porte di Napoli. Ma la stanchezza dellesue truppe stremate, che chiedevano con forza la finedelle ostilità, costrinse il re a rinunciare alla conquistadel trono napoletano.Prima di lasciare l’Italia, Luigi ottenne l’istituzionepresso la corte papale di Avignone di un processo acarico di Giovanna per accertare le sue responsabilitànell’assassinio di Andrea. Il Papa Innocenzo VI, incambio, cercò di coinvolgere Luigi nella Crociata controi Forlivesi, appena bandita per stroncare l’ultimaresistenza ghibellina alla restaurazione del poterepontificio in Italia.Il processo riconobbe l’innocenza della reginaGiovanna, che poté opportunamente barattare lasentenza di assoluzione con la cessione alla Chiesa deldominio della città di Avignone. In tal modo, lerivendicazioni di Luigi il Grande furono definitivamentearchiviate.Dal 1357 al 1358 fu impegnato in una nuova guerracontro Venezia per il dominio sulla Dalmazia. Dopoessere riuscito a costituire una lega anti-veneta, Luigimise a ferro e fuoco le città dalmate fino a strapparle aiVeneziani. Il trionfo del sovrano fu sancito dal Trattatodi Zara del 1358, con cui gli veniva riconosciuto ilcomando della regione adriatica.Il 5 novembre 1370 morì Casimiro III di Polonia.Pochi giorni dopo, il 17 novembre, Luigi fu incoronatoRe di Polonia, ma lasciò rapidamente l’esercizioconcreto del potere alla maggiore delle sue figlie, Maria,e al di lei sposo Sigismondo (Zsigmond) diLussemburgo.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200957


Il 3 agosto 1342 Luigi contrasse il suo primomatrimonio con Margherita di Lussemburgo (1335 –1349), figlia minorenne dell’imperatore Carlo IV e diBianca di Valois. L’unione fu estremamente breve,poiché la sposa morì ancor prima di raggiungere lamaggiore età.Per Luigi fu subito tempo di prendere nuovamentemoglie e la scelta cadde su Elisabetta Kotromanic, figliadi Stefano II di Bosnia e di Elisabetta di Kujavia. Lenozze si celebrarono a Cracovia il 20 giugno 1353. Dalsecondo matrimonio, Luigi ebbe tre figlie: Caterina(1366-77), Maria, Regina d’Ungheria, dal 1385 sposa diSigismondo di Lussemburgo (1368–1437), all’epocaMargravio di Brandeburgo, Edvige, Regina di Polonia,dal 1386 sposa di Ladislao II Jagellone (morto nel1424), Granduca di Lituania.Quando Luigi morì, il 10 settembre 1382, il tronod’Ungheria fu ereditato dalla figlia maggiore Maria. Mala grande nobiltà polacca non era disposta ad avallareulteriormente l’unione personale con l’Ungheria, né adaccettare Sigismondo, consorte di Maria, come proprioreggente. La scelta cadde allora sulla sorella minore diMaria, Edvige, che fu riconosciuta come nuova sovrana.Le trattative per l’assunzione della corona polacca daparte di Edvige furono gestite in sua vece dalla ReginaMadre Elisabetta, vedova di Luigi e reggented’Ungheria.Dopo due anni di negoziati, Edvige si recò finalmentea Cracovia, dove il 16 novembre 1384 fu incoronata Redi Polonia. L’uso del titolo al maschileaveva lo scopo di sottolineare il fatto che Edvigeassumeva la dignità regia per suo proprio diritto e nonin qualità di regina consorte.Maria d’Ungheria,regnò 1382-1395(Fonte: Wikipedia)Maria d’Ungheria(14 aprile1371 – 17mag-gio 1395) fuRegina d’Ungheria,regnò dal1382 al 1395,figlia di Luigi I ilGrande Re d’Ungheriae Poloniae di Elisabetta diBosnia. Nel 1385sposò Sigismondodi Lussemburgo.Il 10 settembre1382 Luigi il Grande morì e la figlia Maria fuchiamata a succedergli sul trono. La principessa avevasolo undici anni e in attesa del compimento dellamaggiore età le sorti del regno furono rette dallavedova di Luigi, la Regina madre Elisabetta Kotromanicdi Bosnia, e da Nicola I Gorjanski. I responsabili dellareggenza furono duramente avversati da una buonaparte della nobiltà magiara, che in opposizione adElisabetta e alla regina titolare Maria sostennero leaspirazioni al trono di Carlo di Durazzo, cugino disecondo grado di Luigi e unico erede maschio del ramoprincipale degli Angioini. Già Re di Napoli per averspodestato la regina Giovanna, Carlo giunse a Buda nel1385 per rivendicare il suo diritto alla corona. Grazieall’appoggio di quella parte della nobiltà locale avversaalla reggente, Carlo poté dichiarare Maria decaduta daltrono e assumere la corona d’Ungheria col nome diCarlo II. Ma il suo fu un regno brevissimo, poichéElisabetta, decisa a non sottomettersi all’usurpatore,ordì un complotto ai suoi danni. Agli inizi del 1386 reCarlo subì un’aggressione dalla quale uscì gravementeferito ma ancora vivo. Il 24 febbraio però, i sicari dellaregina madre completarono l’opera uccidendo il sovranonapoletano con del veleno.La reazione dei sostenitori di Carlo fu molto violentae i disegni di potere di Elisabetta, che difendeva ildiritto al trono della figlia Maria, rischiarono seriamentedi essere mandati all’aria. La vedova di Luigi fucatturata insieme alla regina minorenne e nel primoanniversario della morte di Carlo II fu strangolatadavanti agli occhi di Maria.Con la morte di Carlo, i diritti al trono ungheresepassarono al figlio Ladislao, all’epoca minorenne e giàerede della corona di Napoli. Ladislao avrebbe prestoreclamato la legittimità della propria successione,arrivando ad ottenere l’incoronazione formale a red’Ungheria il 5 agosto 1403 a Zara. Ma la sua impresadi conquista del regno non venne mai realizzata.Maria fu liberata dalla prigionia nel 1386, a quantopare ad opera degli esponenti delle due grandi famigliearistocratiche dei Frankopani e dei Gorjanski.Probabilmente ebbe un ruolo nella sua liberazione erestaurazione sul trono l’amato zio Tvrtko, fratelloadottivo della madre Elisabetta e primo re di Bosnia colnome di Stefano I (Stefan, cioè l’incoronato). Pareinoltre che Maria avesse nominato suo erede proprioTvrtko, il quale però morì nel 1391, probabilmenteassassinato. Tornata di diritto regina d’Ungheria, dal1387 fu ufficialmente affiancata sul trono dal maritoSigismondo, che di fatto mantenne nelle sue mani ilgoverno del regno.La regina Maria morì a Buda il 17 maggio 1395,all’età di 24 anni, a causa di complicazioni sopravvenutedurante il parto. Le circostanze della sua morterestarono comunque oscure e il figlio che avrebbedovuto mettere al mondo non le sopravvisse.Nel 1406 Sigismondo sposò Barbara di Celje, cuginadi Maria, e nel 1410 fu eletto imperatore del SacroRomano Impero.La linea di successione di Maria d’Ungheria ebbecome ultimo erede diretto, dopo la morte, nel 1399,della sorella minore Edvige, Regina di Polonia, il lontanocugino Ladislao, figlio di Carlo di Durazzo e pretendenteal trono ungherese. Con la morte di quest’ultimo nel1414 il ramo principale della successione degli Angioinid’Ungheria passò a Re Carlo VII di Francia, della Casadi Valois, erede di Margherita d’Angiò, figlia maggiore diCarlo II di Napoli e Maria d’Ungheria appartenente alladinastia ungherese degli Árpád, fu regina consorte diNapoli.Sigismondo del Lussemburgo – LuxemburgiZsigmond – fu Principe elettore di Brandenburgo58<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


(1378-1388, 1411-1415), Re d’Ungheria dal 1387, Re diCroazia, Rex Romanorum dal 1410, Imperatore delSacro Romano Impero dal 1433 e Re di Boemia dal1419 alla sua morte del 9 dicembre 1437.Sigismondo era figlio dell’imperatore Carlo IV, efratellastro di un altro imperatore, Venceslao(Sigismondo era nato dal matrimonio di Carlo conElisabetta di Pomerania, mentre Venceslao era natodall’unione tra Carlo e Anna von Schweidnitz). Eraconsiderato molto colto, parlava molte lingue (tra cuitedesco, latino, italiano e francese) e, a differenza delpadre, un uomo amante della vita, che amava anchepartecipare ai tornei cavallereschi.Sigismondo ottennela corona ungheresegrazie al matrimonio conMaria d’Ungheria, maebbe bisogno dell’aiuto disuo fratello Venceslao perriuscire ad affermarsisulla potente nobiltàungherese.Nel 1388 ipotecò la Marcadel Brandeburgo, dandolain feudo agli Hohenzollern,in modo da coprirele proprie spese.Sigismondo del Lussemburgo, regnò 1387-1437 – ritrattodi Albrecht Dürer.(Fonte: Wikipedia)A partire dal 1398, all’indomani della sconfitta subitanella battaglia di Nicopoli nella guerra contro i Turchi,riorganizzò l’esercito ungherese, e limitò i diritti dellaChiesa. Ciò condusse alla rivolta dei nobili, e con il suoarresto nel 1401. Ma Sigismondo, grazie all’aiutodell’influente famiglia Garai, poté riottenere la libertà.Per assicurarsene l’appoggio, sposò la contessa Barbaravon Cilli, da cui ebbe più tardi Elisabetta diLussemburgo. Sigismondo respinse anche un’invasionedel Re di Napoli, che intendeva far valere antichi dirittisul trono ungherese, e nella dieta di Ofen, nel 1403,amnistiò i suoi nemici. Per rafforzare il suo poterefondò, nel 1409, l’Ordine del Dragone, al quale,talvolta, venivano ammessi anche tedeschi, cheacquistavano un’influenza sempre crescente. Durante ilsuo regno l’Ungheria perse la Dalmazia.Sigismondo venne eletto Re dei Romani nelsettembre 1410, succedendo al fratello Venceslao.Anche a causa della politica del padre, gli mancava unsufficiente potere dinastico per poter realizzare consuccesso una propria politica nell’Impero. Inoltre lasituazione finanziaria di Sigismondo era molto precaria.Il più grave problema dell’epoca era lo scismad’Occidente, e senza dubbio il risultato più significativodi Sigismondo fu il superamento dello scisma, raggiuntocon il Concilio di Costanza, (1414 – 1418). Tornò a suovantaggio il fatto che la sua posizione d’Imperatore siera via via rafforzata, mentre il prestigio del papato eraandato sempre scemando. Sigismondo seppe muoversicon accortezza, e fare da tramite tra i diversi sovranieuropei con numerose trattative bilaterali. Il suoprogetto di una riforma dell’impero, invece, non andòdel tutto in porto. Fu Sigismondo che conferì adAmedeo VIII di Savoia il titolo di Duca di Savoia.Una macchia nella biografia di Sigismondo èsenz’altro la cattura e la successiva condanna a morte(sul rogo) di Jan Hus, cui il sovrano aveva concesso unlasciapassare perché potesse intervenire al Concilio diCostanza. Il rogo venne giustificato con la circostanzache Jan Hus, benché condannato, non volle ritrattare leproprie tesi, per cui Sigismondo non poteva agirediversamente. Ma quest’azione indebolì il suo potere inBoemia: gli stati della Boemia esitarono in un primotempo a riconoscere la corona di Sigismondo.Sigismondo proclamò una crociata contro gli ussiti inrivolta, crociata che si trasformò ben presto in unalunga e difficile guerriglia, e che ebbe terminesolamente nel 1436. In questa guerra il suo alleato piùfidato fu il duca d’Austria, Alberto V, che gli successesul trono imperiale. Sigismondo dovette semprecombattere l’opposizione dei principi elettori. Inparticolare era vista di malocchio la sua politica versoPolonia e Lituania, e avrebbero preferito sostenerel’Ordine Teutonico. Anche i suoi rapporti con il papatonon furono sempre privi di tensioni, ma proprio inoccasione della sua spedizione in Italia, per essereincoronato imperatore (1433) Sigismondo seppemostrare tutto il suo talento diplomatico, riuscendosempre a trarre profitto dalla complesso equilibrio dipoteri nella penisola. Fu incoronato imperatore da papaEugenio IV nella Pentecoste del 1433. Prima diraggiungere Roma soggiornò alcuni mesi a Siena.Morì il 9 dicembre 1437. Con lui si estinse ladinastia dei Lussemburgo. Il loro tentativo di creare unapotenza nell’Europa centro orientale non era andato abuon fine. Ma questa idea venne poi ripresa, erealizzata, dagli Asburgo. 2 Ongaro coniato in Ungheria da Sigismondo (Fonte:Wikipedia) Ongaro: nome italiano del fiorino coniato in Ungheria nellaprima metà del 1300. Questa moneta fu largamente imitata inmolti paesi. Le imitazioni più famose erano quelle battute neiPaesi Bassi, al loro volta ampiamente imitate da zeccheitaliane come Bozzolo, Casale, Castiglione delle Stiviere.Poiché era in genere rappresentato un guerriero con larghebrache, erano dette anche ongari bragoni. Pesava 3,40 gcome il Fiorino di Firenze.Qui è il momento accennare brevemente il nome diFilippo Scolari (1369-1426) – meglio noto nelle fontimagiare come Ozorai Pipo e in quelle italiane comePippo Spano, «un esempio di condottiero e mecenatealla corte di Sigismondo di Lussemburgo», anche se eglinon rientra nel novero di quei grandi personaggi dellastoria dell’Ungheria che sono circondati da un alone di<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200959


gloria eterna, anche se, egli esercitò un’influenzaconsiderevole sulla politica di Sigismondo diLussemburgo agli inizi del XV secolo per far usciredall’ombra che ancor oggi lo nasconde sia nella storiad’Italia che di quella d’Ungheria.L’talianista ungherese, Florio Banfi negli anni ’30-’40del Novecento, più di tutti ne esalta il genio militare; lodefinisce «un eroe antiturco, insostituibile figura dellasua epoca – ma anche sottolineo – un antesignano delRinascimento […] che ha introdotto in Ungheria ilculto del genio italiano [e] che per un secolo ha influitosulla stessa vita spirituale magiara.» Filippo Scolari nonfu infatti soltanto un genio nel campo militare e unaccorto politico ediplomatico, maanche un patronodelle arti e unfondatore dichiese, monasteri,ospedali e castelli.La Dr.ssa GizellaNémeth tra lealtre dice nella suarelazione al convegnotenuto in Udinedal 7 all’8 novembre2002, intitolataFilippoScolari, un esempiodi condottieroe mecenate allacorte di Sigismondodi Lussemburgo:«…era nato nel 1369 a Tizza-no, nei dintorni diFirenze; apparte-neva a una nobile famiglia ghibellinadecaduta che discendeva dal casato dei Buondelmonti.Abile come si era rivelato fin da bambino nel far diconto, Filippo fu affidato all’età di tredici anni almercante fiorentino Luca del Pecchia, il quale esercitavala professione in Ungheria, come moltissimi altriartigiani e imprenditori toscani dell’epoca. Il giovaneFilippo, notato dal tesoriere del re Miklós Kanizsai,cliente di Luca del Pecchia, venne affidato al serviziodell’arcivescovo di Esztergom, János Kanizsai. Mal’abilità di conto dello Scolari attirò anche l’attenzionedello stesso re Sigismondo di Lussemburgo, che loassunse alla sua corte nominandolo nel 1401governatore delle miniere di sale [sókamaraispán] (magià nel novembre del 1399 Filippo dirigeva le miniered’oro di Körmöcbánya, oggi Bánska Kremnica inSlovacchia) e nel 1407-08 addirittura sommo tesoriere.In breve tempo Filippo divenne uno dei più fidati eintimi consiglieri del re e sali molto rapidamente nellascala sociale ungherese. Filippo fu ispán (da cui deriva ilsuo soprannome ‘Spano’), cioè governatore dellecontee di Temes, Csanád, Keve, Krassó, Arad e Fejér;nel 1408-1409 fu anche bano di Szörény. Esercitavainoltre una notevole influenza sull’episcopato di Várad esull’arcivescovado di Kalocsa, in genere diretti oamministrati da parenti o amici e delle cui renditepoteva usufruire personalmente nei periodi di sedevacante. Per dare un’idea della rapida scalata di FilippoScolari alle più alte cariche del regno si pensi che già il29 ottobre 1402 occupava il quarantottesimo posto tra i110 “praelati, barones, nobiles, proceres” che,accompagnarono il re Sigismondo a Pozsony (oggiBratislava in Slovacchia odierna) in occasione dellastipula del contratto che designava il duca d’AustriaAlberto IV erede di Sigismondo al trono magiaro,mentre lo troviamo già al nono posto nell’elenco deimembri dell’Ordine del Drago, fondato dal sovrano edalla regina Barbara di Cilli nel 1408 dopo la vittoriosacampagna di Bosnia. In effetti, nel 1408 Filippo Scolariè già tra i quattro-cinque grandi dignitari del Regnod’Ungheria. Egli non fu soltanto un abile amministratoree uomo politico, ma soprattutto un eccellentecondottiero militare: le sue diciotto o ventitre vittoriosecampagne militari contro i Turchi lo avrebbero resofamoso anche in Italia, tant’è che divenne uno deiprincipali modelli di capitano, fiorentino; prova ne è ilsuo ritratto in atteggiamento spavaldo, con le bracciatese, le gambe divaricate, l’armatura da torneo, laspada arcuata sopra le ginocchia: il capolavoro diAndrea del Castagno (v. l’immagine a sinistra, fonte:Internet) che secondo Mario Salmi ispirò il David delPollaiolo, il San Michele del Perugino e il San Giorgio delDonatelle. Filippo non fu invece fortunato nelle duecampagne condotte contro gli ussiti nel 1420 e 1422,mentre le sue campagne militari in Italia, anche sepraticamente vittoriose, hanno dato adito a qualchesospetto di tradimento e corruzione.Filippo fu anche un ricco proprietario terriero: ebbepossessi in diversi comitati ungheresi, molti dei qualiperò erano in comproprietà con la moglie BorbálaOzorai e col fratello Manco, che lo aveva seguito inUngheria. Ma fu il villaggio di Ozora, portategli in dotedalla moglie Borbála, a divenire la residenza ufficiale diFilippo, che appunto da Ozora avrebbe preso il nomecon cui si faceva chiamare e con cui è ancora oggiricordato in Ungheria. A Ozora Filippo fece costruireattorno al 1416 uno splendido castello, oggicompletamente ristrutturato e trasformato, che avevaperò più i requisiti di un palazzo cittadino che di unafortezza di campagna, come si usava a quei tempi inUngheria. Anzi, il dongione ricordava molto da vicinoproprio i palazzi italiani, ben noti al suo proprietario; lemura invece evidenziavano lo stile tardogoticointernazionale, tipico degli altri simili fabbricati dellaprima metà del XV secolo. Nell’edificio principale c’eraanche una cappella dedicata a San Filippo e a SantaBarbara, in onore ai proprietari. Insomma si trattava diun fabbricato molto più evoluto rispetto a quelli coevi.Molto probabilmente il progetto del castello è operadell’architetto italiano Manette Ammannatini, ilprotagonista della Novella del Grasso Legnaiuolo cheverosimilmente fu sul posto invitato da Filippo adirigerne i lavori.Filippo Scolari fu mecenate, prodigo elemosiniere efinanziatore di opere civili e religiose, anche se uno deisuoi biografi, l’Anonimo fiorentino, esageraattribuendogli la costruzione di ben 180 cappelle, chearricchì a proprie spese anche degli arredi e deiparamenti sacri. Nel 1418 chiese al papa Martino V ilpermesso per la fondazione di un monastero diosservanti francescani a Ozora, già abitabile nel 1423.Secondo Jacopo di Poggio e Domenico Mellini, Filippofinanziò la costruzione dell’ospedale di Santa Elisabettaa Lippa (oggi Lipova, in Romania), che nel 1426 era già60<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


pronto e abbellito con gli affreschi di Masolino daPanicale, che sembra abbia appunto frequentato lacorte di Filippo e il suo castello di Ozora.È verosimile quindi che Masolino abbia ritrattoFilippo, il quale è stato riconosciuto in un personaggiocon la barba bianca e un cappello a colbacco dipinto nelBanchetto di Erode, l’incantevole affresco del pittore diPanicale eseguito su commissione del cardinale Brandache si trova nel battistero di Castiglione Olona. Questaipotesi è stata sostenuta da Diego Sant’Ambrogio eappoggiata dallo stesso Florio Banfi, mentre JolánBalogh ha riconosciuto Filippo Scolari nell’ospite piùgiovane rappresentato nella stessa scena delbanchetto: il giovane ha i capelli e i baffi come il Filipporitratto dal Castagno, ma è sprovvisto di barba; nellafigura del giovane Florio Banfi ha invece individuatoJános Hunyadi, il padre di Mattia Corvino. Per contro, lastessa Balogh e Maria Lucia Eika Wakayama hannoriconosciuto nel vecchio con la barba biancal’imperatore Sigismondo di Lussemburgo.Nell’individuazione dei personaggi raffigurati daMasolino nell’affresco di Castiglione Olona sia DiegoSant’Ambrogio che Florio Banfi erano partiti dalpresupposto secondo cui le fogge degli abiti deipersonaggi dell’affresco ricordano nelle vestaglie azimarra e nei copricapi di pelo i costumi ungheresi coevie dal fatto che il paesaggio di montagna riprodotto alcentro della scena di Erode ed Erodiade è molto simile aquello raffigurato nella veduta della città di Veszprém,pure attribuito a Masolino, che si può ammirare nelpalazzo del cardinale Branda di Castiglione Olona.Dunque, nell’esecuzione degli affreschi di CastiglioneOlona Masolino deve essersi lasciato suggestionare eispirare dai ricordi del suo soggiorno ungherese allecorti dello Scolari e del cardinale Branda.Il cardinale Branda, nato nel borgo di Castiglionenel 1350, aveva iniziato la carriera; ecclesiastica comevescovo di Piacenza sotto il papa Bonifacio IX dopoessersi laureato a Pavia in diritto canonico e civile. Nelluglio del 1410 aveva conosciuto a Bologna lo Scolari,con cui non tardò a entrare in amicizia; e grazie proprioall’intercessione dello ‘Spano’ presso il nuovo papaGiovanni X<strong>XIII</strong>, il Branda ottenne l’incarico di legatopontificio in Ungheria, insieme con un mandato diriforma volto alla costruzione di nuove chiese neiterritori di confine con l’impero turco e alla fondazionedi uno ‘Studium generale’ a Óbuda con finalitàantiussite. Il cardinale Branda, entrato anche nellegrazie del re Sigismondo che aveva fatto aderire alpartito del papa Giovanni X<strong>XIII</strong>, amministrò primal’arcivescovado di Kalocsa, poi quello di Sirmio, quindifu nominato ispán della contea ecclesiastica diVeszprém; a Buda si fece anche costruire uno splendidopalazzo. Servì Sigismondo come diplomaticonegoziando la pace tra il re d’Ungheria e quello diPolonia ed esercitò un ruolo importante nellanegoziazione della tregua di Castellutto in Friuli, del1413 tra l’Ungheria e la Repubblica di Venezia. Everosimile che il cardinale Branda Castiglione sia statoun valido collaboratore dello Scolari nell’attuazione delsuo programma di fondazione di chiese e istituzionireligiose, dal momento che lo stesso Masolino come si èdetto lavorò sia per lo Scolari a Lippa e moltoprobabilmente a Ozora che per il cardinale a CastiglioneOlona. Filippo aveva quindi invitato alla sua cortediversi artisti fiorentini perché amava l’arte, e inparticolare l’arte italiana, e perché senz’altro volevacontribuire allo sviluppo culturale della sua patriad’adozione, l’Ungheria. Fu inoltre in contatto e collaboròcon insigni uomini di cultura e umanisti: oltre al BrandaCastiglione, conobbe anche Poggio Bracciolini, il padredel suo biografo Jacopo, con cui s’incontrò a costanzanel 1415, durante i lavori del concilio.Nel 1425 fece costruire una cappella aSzékesfehérvár accanto a quella dei re d’Ungheria, chescelse come luogo di sepoltura. Finanziò anche lacostruzione di opere militari come la fortezza di Orsovasul Danubio e di opere di utilità pubblica come unacquedotto che doveva portare l’acqua dal lago Balatonad Ozora. Infine, con l’eredità ricevuta dal fratelloMatteo e dal cugino Andrea, vescovo di Várad, finanziòla costruzione dell’Oratorio degli Scolari agli Angeli,“acciocché qualche monumento e ricordo delle cose suefabbricato appresso a’ discendenti nella patriarestasse”. Anche Andrea Scolari fu un grandemecenate, che continuò a Várad l’attività culturale deisuoi predecessori del XIV secolo. Conosciamo moltedelle sue fondazioni proprio sulla base del suotestamento: fece costruire una cappella di famiglia, chefu pronta nel 1422;. Arricchì una cappella vicino aVárad per i frati paolini, cui lasciò un arazzo su cui èdipinta la storia di Santa Apollonia; lasciò un’ingentesomma di denaro per l’altare della chiesa paolina diSanta Apollonia, nonché 400 fiorini per la ricostruzionedella chiesa di S. Michele. Infine fece costruire unnuovo altare per la cattedrale di Várad. Tutto è andatoperò perduto, tranne la lapide sulla sua tomba cheesiste ancora.L’Oratorio, noto anche come la Rotonda delBrunelleschi, sarebbe dovuto diventare una delle piùsingolari costruzioni architettoniche di Firenze: “untempio bizzarissimo – scrive il Vasari – vicino alla chiesadegli Agnoli, non finito altrimenti, ma condotto fino amezzo, d’una fabbrica in otto facce”; il suo progetto erastato addirittura affidato al grande Filippo Brunelleschi.Sarebbe stato il capolavoro del Brunelleschi. A ognimodo, la costruzione è la più antica a pianta centraledel Rinascimento: si tratterebbe dunque di unmonumento non indifferente alla storia dell’arte. Ilprogetto – come detto – non fu però realizzato perchénel frattempo Firenze aveva dichiarato guerra a Luccaed era stata quindi costretta a usare i soldi ricevuti perla costruzione dell’edificio per scopi di guerra.L’Oratorio, i cui lavori ebbero effettivamente inizio dopoil 1434, doveva ricalcare il tipo di costruzioni classicoromane:doveva essere una costruzione rinascimentalea pianta centrale, con la cupola, anziché rotonda comequella del Pantheon di Roma, ottagonale come quelladel Duomo di Firenze. Anche la bellezza dei materialiimpiegati richiamava la semplicità delle costruzionigreco-romane. L’Oratorio venne però innalzato fino alcornicione, quindi fu lasciato in completo abbandono,tant’è che venne chiamato il ‘Castellaccio’, dando così ilnome alla via dove oggi sorge il monumento,finalmente completato e, oggi, adibito a sede delCentro Linguistico dell’Università di Firenze.Filippo Scolari morì a Lippa, nel Banato, il 27dicembre 1426, dopo aver appena concluso la sua<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200961


ultima battaglia contro i Turchi e, come aveva stabilitoin vita, fu sepolto a Székesfehérvár nella cappella che siera fatto costruire accanto a quella che raccoglieva lespoglie dei re d’Ungheria: una lapide posta sul suosepolcro marmoreo presso l’altare riportava l’iscrizione“Sepulchrum Egregii et Magnifici Domini Filippi deScolaribus de Florencia, Comitis Themesvariensis etOzorae, qui obiit Anno Domini 1426, die XXVII MensisDecembris”. La cappella in cui venne sepolto fudistrutta dai Turchi nel 1543 insieme con la lapidecommemorativa.Filippo Scolari fu quindi senz’altro uno deipersonaggi più importanti della sua epoca: non fu soloun abile generale, un accorto politico e un genialeamministratore, ma anche un patrono delle arti e degliartisti, che ha contribuito a introdurre in Ungheria lacultura rinascimentale italiana e “che – meritaconcludere citando ancora una volta Florio Banfi – quasigrida per suscitare interesse”.Meritano di essere citati anche alcuni umanisti estoriografi italiani alle corti d’Ungheria e di Transilvania,quest’ultima, a quei tempi appartenente all’Ungheriastorica fino al 4 giugno 1920, data del trattato delTrianon. Di loro il Prof. Adriano Papo ha presentatoun’ampia relazione al convegno sopraccitato. Eccoqualche spunto tratto da essa:L’Ungheria è stata il primo paese europeo adaccogliere la cultura rinascimentale italiana, cheraggiunse l’apice del suo splendore nel paesecarpatodanubiano all’epoca dell’ultimo grande renazionale magiaro, Mattia Corvino (1458-90) e di suamoglie Beatrice d’Aragona (v. sulla pag. successiva).Mattia Corvino fu appunto un tipico sovranorinascimentale al pari di molti principi italiani a lui coevi:colto, amante e patrono delle arti, delle lettere e dellescienze, bibliofilo, oltreché grande stratega militare.era divenuta una piccola Firenze con i suoi vescovid’origine toscana Andrea Scolari e Giovanni Milanesi daPrato e il preposto Corrado Cardini. E vescovo di Váradfu anche quel János Vitéz al cui nome èindiscutibilmente legata la fioritura dell’umanesimo inUngheria. János Vitéz, spirito enciclopedico, umanistad’alto profilo, già allievo di Pier Paolo Vergerio al tempodel soggiorno dell’umanista istriano alla corte diSigismondo, incentivò gli studi degli ungheresi in Italia:a esempio, mandò a studiare a <strong>Ferrara</strong> presso Guarinoda Verona suo cugino János Csezmicei, che si sarebbefatto conoscere in tutto il mondo col nome latino diJanus Pannonius (Giano Pannonio). Pier Paolo Vergerio(1370-1444) può invece a ben diritto esserericonosciuto come colui che introdusse l’umanesimo inUngheria: collaborò col Vitéz nella cancelleria regia esembra che il Vitéz stesso ne abbia acquistato labiblioteca, che divenne la prima biblioteca umanistica inUngheria. Il Vergerio fondò anche il primo cenacoloumanistico operante a Buda e il primo in assoluto aessere costituito sul suolo ungherese.Secondo Tibor Kardos, invece, i germidell’umanesimo magiaro possono essere già rintracciatinella letteratura ungherese in lingua latina dei secoli XIe XII; le prime leggende agiografiche e le Ammonizionidi Santo Stefano propagano per l’appunto la dignitashominis, contrapponendo la vita pacifica del popolocristiano all’austerità pagana. Sennonché l’umanesimoungherese si suole far iniziare nel momento in cui laregina Maria d’Angiò diede incarico al venezianoLorenzo de Monacis di scrivere una storia di Carlo diDurazzo. Il primo vero e proprio approccio degliungheresi con l’umanesimo italiano si ebbe invecedurante il viaggio in Italia (1413-14) di Sigismondo diLussemburgo, allorché il re d’Ungheria e allora già redei Romani s’incontrò a Lodi col papa Giovanni X<strong>XIII</strong>per preparare la convocazione del concilio di Costanza.Questo viaggio di Sigismondo in Italia fu diRe Mattia Corvino e Beatrice d’Aragona (Fonti: Op. cit. diLorio Banfi e Domokos Kosáry)Tuttavia, l’umanesimo aveva fatto capolino inUngheria già ai tempi di Maria d’Angiò (1382-95), diSigismondo di Lussemburgo (1387-1437) e di JánosHunyadi (1446-52), il padre di Mattia: la città di Váradfondamentale importanza ai fini del consolidamento deirapporti culturali italo-magiari, perché molti ungheresidel seguito regio conobbero in quest’occasione insignirappresentanti dell’umanesimo italiano, uno su tuttil’aretino Leonardo Bruni, che fu ospite a Piacenza dellacorte del re nel febbraio del 1414. Altrettantoimportante per gli scambi culturali italo-ungheresi fu ilconcilio di Costanza (1414-18), dove i migliori umanisti62<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


dell’epoca (Poggio Bracciolini, Leonardo Bruni, AntonioLoschi, Pier Paolo Vergerio, Francesco Zabarella,Branda Castiglione e numerosi altri ancora) vennero incontatto con una nutrita delegazione magiara; dopoCostanza numerosi dotti italiani entrarono al servizio diSigismondo e si stabilirono in Ungheria. Oltre alVergerio, troviamo infatti alla sua corte il cardinaleBranda Castiglione (1350-1443) dottore in utroqueiure, incaricato dal papa di fondare un’università aÓbuda, Ambrogio Traversari (1386-1439), monacocamaldolese e grecista, e Francesco Filelfo (1398-1481), che aveva appreso il greco da GiovanniCrisolora, nipote di Manuele, e ne aveva sposata lafiglia Teodora. Non va dimenticata a questo proposito lafigura del fiorentino Filippo Scolari, cugino del vescovodi Várad, già sopra accennato Andrea, che fu sì uneccellente amministratore, politico, diplomatico estratega militare, ma anche un insigne patrono dellearti e instancabile mecenate, che fece venire inUngheria e lavorare al suo servizio artisti comeMasolino da Panicale e Manette Ammannatini, fu incontatto con Poggio Bracciolini, collaborò col cardinaleBranda e legò il proprio nome e il proprio patrimonioalla costruzione d’importanti edifici e operearchitettoniche (un castello a Ozora, un ospedale aLippa, l’Oratorio degli Scolari agli Angeli a Firenze, tantoper citarne alcune).Come detto, la cultura umanistica e rinascimentalegiunse in Ungheria ai fasti della gloria durante lasplendida età corviniana. Nella cancelleria di MattiaCorvino rifiorì l’antica tradizione unnica, cui sirivolgevano gli umanisti magiari come in Italia gliumanisti italiani si rivolgevano alla Roma delle guerrepuniche e a quella imperiale. Mattia Corvino fu salutatoda cortigiani e scrittori come il novello Attila,ovviamente non quello della tradizione latino-cristianapresentato come il flagellum Dei, avido e sanguinario,bensì come quello della tradizione barbarico-germanicache venne per lo più identificato con un monarcapotente, giusto, generoso e benevolo. Il mito di Attila fusfruttato per il rafforzamento del centralismo corvinianoin funzione antimagnatizia. Era stato il protonotaroJános Thuróczy,a denominare Mattia Corvino il ‘secondoAttila’ nella sua Chronica Hungarorum, pubblicata aBrno nel 1488. E l’ascolano Antonio Bonfini (1434-1503), vissuto, egli pure come il Thuróczy alla corte diMattia e infatuato anche lui del grande sovranoungherese, dedicò quasi metà della sua operastoriografica Rerum Hungaricarum Decades quattuorall’epoca corviniana scrivendo nella prefazione cheriporta la dedica al re d’Ungheria e di Boemia VladislaoII Jagellone: “Nam Hunnorum Historiam, quiUngarorum fuere progenitores, a Matthia rege mihidelegatam, et paulo ante eius obitum initam, utconscriberem, ab origineque mundi ad haec usquetempera, quaecumque memoratu digna intercessere,memoriae traderem, iussu tuo factum est “.Antonio Bonfini mette in evidenza nella sua opera laferrea disciplina della famosa ‘Armata Nera’ di re Mattia,e al pari degli altri umanisti alla corte del Corvino s’eraformato un giudizio sull’Ungheria basandosi sullaconsapevolezza che gli ungheresi stessi avevanod’essere il ‘baluardo della cristianità, concetto ch’eranato al tempo dell’invasione mongola, era statocodificato per la prima volta nei documenti dellacancelleria del re magiaro Vladislao I Jagellone (1440-44) e s’era rapidamente diffuso in tutta Europa tramitele lettere papali e gli scritti degli umanisti. Gli umanistiitaliani considerano quindi gli ungheresi come unpopolo guerriero, valoroso e tenace, ne apprezzano levirtù militari, li vedono fieri della loro fama guerriera,messa ormai al servizio della cristianità e della culturaeuropea: tali appaiono negli aneddoti di GaleottoMarzio, nelle considerazioni politiche di AurelioBrandolini Lippo, negli epigrammi di Ugolino da Vieri enelle ‘lodi militari’ di Mattia Corvino di AlessandroCortese e di Ludovico Carbone.In genere, gli umanisti consideravano barbari tutti ipopoli d’Oltralpe; perciò essi si ritenevano investiti dellamissione d’incivilire quei popoli e di temperarel’asprezza della loro vita. Gli ungheresi rappresentavanoperò un’eccezione tra i popoli ‘barbari’ d’Oltralpe; per ilBonfini i magiari s’erano infatti spogliati della loro‘barbarie scitica’ grazie alla gloria acquisita con ladisciplina militare e la conseguente nobiltà. Inoltre nonsi poteva prescindere dagli strettissimi rapportiintercorsi tra l’Ungheria o meglio tra l’antica Pannonia el’Impero Romano e dal fatto che la Transilvania stessaera abitata da genti che parlavano una lingua neolatina.Perciò secondo gli umanisti italiani non dovevameravigliare il fatto che gli ungheresi fossero portatialla cultura.Gli ungheresi identificavano le virtù naturali conquelle cavalleresche, che conferivano all’uomo ‘nobiltà’e quindi ‘umanità’, cioè dignità; per loro infattil’umanesimo era considerato identico alla nobiltà.L’acquisizione della nobiltà veniva interpretata allastregua del risultato d’una selezione sociale, mentre lasua perdita significava la perdita dell’onore edell’umanità. Tale criterio divenne infatti caratteristicodell’umanesimo ungherese. Ciò corrispondeva proprio altemperamento del popolo magiaro portato all’azione eall’osservanza delle leggi dello stato, caratteristica chegià l’imperatore romano d’Oriente Leone VI il Saggio(886-912) aveva evidenziato nella sua Tattica di guerra[XVIII, 58].Anche Filippo Buonaccorsi soggiacque al mito e alfascino di Mattia. Il Buonaccorsi (San Gimignano 1437 –Cracovia 1496), aggregato all’accademia di PomponioLeto col nome di Callimaco Esperiente, era statocostretto ad emigrare all’estero essendo stato implicatonella congiura ordita contro il papa Paolo II; rifugiatesiin Polonia nel 1470, divenne precettore dei figli del reCasimiro IV, poi suo segretario e quindi consigliere delsuo successore Jan Olbracht salendo alfine alle più altecariche dello stato. Nominato ambasciatore per contodel re di Polonia alla corte del Corvino negli anni 1483-84, anziché convincere il sovrano magiaro a mutare lapropria politica espansionistica, rimase invece colpitosia dalle sue capacità politiche, sia dalla splendidacultura umanistica che fioriva alla sua corte. Nell’Attilainfatti, il Buonaccorsi descrive il re degli unni come ilmonarca perfetto, che tra l’altro vedeva incarnatoproprio in Mattia Corvino; egli anticipa quindi ilMachiavelli nella diffusione nell’Europa centrale delladottrina del ‘Principe’. Così da propugnatore e difensoredegli ideali di libertà e di democrazia della szlachta,Callimaco Esponente sarebbe ben presto passato nella<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200963


storiografia polacca come il teorico della ‘tirannide’ e del‘monarca assoluto’. All’opera del Buonaccorsi si sarebberifatto in epoca successiva il grande letterato, politico edignitario ecclesiastico d’origine valacca Miklós Oláh,uno dei pochissimi umanisti ungheresi a non essersiculturalmente formato nelle università italiane. MiklósOláh è autore del poema Athila, composto a Bruxellesnel 1537, in cui formula un programma di riscattonazionale dopo la disfatta magiara di Mohács del 1526esaltando attraverso il mito di Attila la figura di MattiaCorvino, che presenta alla stregua d’un eroe nazionalee patriota più che d’un principe assolutistico e monarcaideale.Se agli occhi degli ungheresi e degli uomini dellasua corte Mattia Corvino era il secondo Attila, agliocchi degli occidentali egli appariva invece come ilnovello Alessandro Magno chiamato dalla cristianità asconfiggere il novello Dario, ovverosia il sultano turco,che stava premendo contro i confini dell’Europacentrale; non a caso Lorenzo il Magnifico fece dono alsovrano magiaro del rilievo del Verrocchio cheraffigurava appunto Alessandro e Dario l’uno di fronteall’altro. Il filosofo neoplatonico Marsilio Ficino (1433-1499) identificò invece Mattia Corvino con Ercole, chefin dal De laboribus Herculis di Coluccio Salutaripersonificava l’ideale dell’uomo rinascimentale. MarsilioFicino aveva declinato l’invito di Mattia che lo volevaalla sua corte a insegnare la filosofia neoplatonica;tuttavia, rimase in contatto col re magiaro, cui dedicòla sua opera su Plotino e donò numerosi codici per lasua Biblioteca.Mattia Corvino creò quindi uno dei centri piùsplendidi e prestigiosi della cultura e dell’arterinascimentale del Quattrocento, precedendo in ciòtutte le altre corri d’Oltralpe (cfr. con la versioneintegra della relazione di A. P. sopraccitata).I rapporti italo–ungheresi infatti si dipanano neisecoli, ma i ricordi rimasti, nonché quelli più vivisecondo le fonti storiche, risalgono al regno di Mattianel XV secolo. Quindi – come è già accennatoprecedentemente -, numerosi umanisti italiani hannodimorato alla corte del regnante ungherese delRinascimento e molti giovani ungheresi hanno studiatoper un periodo più o meno lungo in terra italiana.Nella Raccolta di incunaboli del XV secolo, con piùdi 1700 esemplari, si possono reperire anche numerosilavori di provenienza artistica italiana. Tra essi il primoacquisto di Ferenc Széchényi, fondatore della Bibliotecaè il primo libro stampato italiano, una copia del Deoratore di Marco Tullio Cicerone, che KonradSweynheym e Arnold Pannartz, i due chierici arrivati daMagonza, avevano fatto stampare a Subiaco nelsettembre del 1465. (v. fig.1)L’edizione veneziana pubblicata da Nicolas Jenson,nel 1472, della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio,era rifinita con 28 grandi iniziali. Esaminando lo stiledelle illustrazioni, i colori e altri particolari, gli storicidell’arte hanno stabilito che sono state dipinte da unminiaturista veneziano intorno al 1472, proprio comel’esemplare di analoga fattura della ÖsterreichischeNationalbibliothek di Vienna. (v. fig.2)Nella Biblioteca Corviniana di re Mattia, di famamondiale, oltre ai codici meravigliosamente illuminati,c’erano anche volumi stampati, tra i quali il lavoro diNicolaus de Ausmo, autore italiano del XV secolo, suldiritto canonico, il Supplementum Summae Pisanellae,uscito a Venezia nel 1743 presso Wendelin von Speyer.(v. fig.3) Del volume è stata miniata solo la primapagina, sotto è possibile vedere il nome del donatore,Sisto V, vicino a quello di re Mattia.Analogamente, nel 1473, e apparso a Buda il primolibro stampato in Ungheria, ladella stamperia di András Hess. Era giunto in Ungheriadalla tipografìa romana di Lauer, di cui non conosciamola sorte, e – secondo le più recenti ricerche archivistiche– nei lavori di preparazione dell’officina di Buda avevasvolto un ruolo importante l’arcivescovo di Esztergom,Fig.1Fig.2János (Giovanni) Vitéz, poco dopo caduto in disgrazia emorto nel 1472. Il nipote di Vitéz è stato il primo poetaungherese in lingua latina di fama internazionale – è giàmenzionato di sopra -, Giano Pannonio (Ianus/JanusPannonius o János Csezmiczei/Kesencei). Egli, lagrande figura della letteratura umanistica ungheresenacque il 29 agosto 1434 in una famiglia benestantedella piccola nobiltà a Kesince, nell’attuale Slavonia,allora appartenente a quello che fu il territorio storicodell’Ungheria fino alla pace di Trianon del 1920. Fino atredici anni la madre, Borbála Vitéz, lo educò e fecestudiare con lo scopo di avviarlo alla carrierasacerdotale. Il piccolo Janus dimostrò di avere talentoperciò per volere dello zio, János Vitéz, pure umanista,della Cancelleria dell’imperatore e re d’UngheriaZsigmond (Sigismondo), fu inviato a <strong>Ferrara</strong> nellaprimavera del 1447 per seguire gli insegnamenti, a queiFig.3Fig.4tempi di altissimo livello, dell’umanista ed educatore64<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009Cronica Hungarorum


Guarino da Verona, la cui scuola divenne uno dei centripiù vivi dell’Umanesimo. A <strong>Ferrara</strong> rimase per otto annipoi si trasferì a Padova; qui fece conoscenza conGaleotto Marzio, con il gran pittore Andrea Mantegnaed altri esponenti intellettuali della borghesia urbana epolitica. Dopo quattro anni, conseguì il dottorato indiritto canonico e romano. Gli otto anni passati nellacittà degli Estensi furono decisivi per la sua vita, per ilsuo modo di pensare e naturalmente per la suaformazione letteraria. Le sue opere poetiche, benpresto, divennero note nei circoli umanistici dell’Italiasettentrionale. Nella scuola di Guarino, la culla dellapoesia, imparò e coltivò tutti i generi della poesiaumanistica, ma egli prediligeva esprimersi con gliepigrammi, infatti questo genere poetico fu piùutilizzato da lui. Qui studiò con grande impegno latino egreco, gli elementi fondamentali e la pratica dell’artepoetica e della poesia umanistica. Il suo legame conGuarino era fortissimo, Pannonius lo incontrò per laprima volta quando questi aveva già compiutosettantatre anni. L’umanista magiaro, già dai primiincontri, ebbe un’enorme ammirazione per lui. Stima edapprezzamento furono largamente ricambiati: ai suoiocchi Guarino era “l’Umanesimo”, che “innalza lascienza gettata a terra durante il millennio del Medioevoe insegna all’uomo, nel cuore e nella parola”. Scrisseancora: “Anche nell’Acheronte, i grandi intelletti delledue Nazioni, greca e latina, vennero a saperlo e nefurono felici: è spuntata l’alba di una nuova epocagiacché si rivive la scienza del mondo antico”. Guarinoera, infatti, un avanguardista. Ecco alcuni epigrammi incui loda il suo stimato maestro:LAUS GUARINIMolto deve al suo Camillo Roma rinnovataMa di più al suo Guarino la lingua latina.Quella non era stata distrutta alla piena rovina;Questa, quando fu salvata, era in assoluto barbara.DE EODEMEvviva ! La lingua latina assopita per tant’anniFiorisce di nuovo. È il merito di Guarino.Cedi il posto raggiunto dai genitori alla dolce Merano!E’ facile generare, vivificare è ponderoso.Epigrammata in Italia scriptaAD LEONELLUM FERRARIAE PRINCIPEMPer quant’or siam giunti, Principe Leonello,alla tua città dal gelido cielo dell’artico Polo;Perdona, non ci attrasse la tua inclita fama,né gli avi augusti della splendida casa;né la tua brillante <strong>Ferrara</strong> ricca di cultura,né gli argini ameni dalle sette foci del Po;Non gli occhi venimmo qui a pascere ma l’avide orecchiecui il verbo di Guarino dà nutrimento.(Traduzioni dal latino di © Melinda Tamás-Tarr Bonani, v.Osservatorio Letterario, N. 0. 1977, pp. 2-3)I primi esiti brillanti furono creati quandoPannonius aveva soltanto 15-16 anni, due anni dopoaver scritto il primo panegirico. Nella sua poesiapenetrò l’ideologia e la cultura ferrarese ed italiana chesi contrappose decisamente al Medioevo: “Guardatiintorno e non scordarti di essere figlio del presente!” Laparola “presente” si riferisce all’epoca del rinascimentoin cui al centro sta l’essere umano consapevole dellapropria forza, delle proprie doti, della sua indipendenza.Al centro della sua poesia sta quindi l’uomo che “deverendere bella e felice la vita”. Spicca nei suoi versi unastraordinaria e non comune capacità di caratterizzare lesituazioni ed i personaggi.Dopo i dodici anni trascorsi nell’Italia rinascimentalePannonius ritornò in Ungheria, alla corte di re MattiaCorvino e Beatrice d’Aragona. Il suo inserimento fuproblematico e di questo soffrì molto: a quei tempi lacorte corviniana non era ancora quella famosarinascimentale che sarebbe stata negli anni Settanta.Non incontrò alcun compagno spirituale adatto alla suaesigenza artistica ed umanistica, il pubblico magiaronon era ancora in grado di apprezzare appieno la suapoesia. A tutto ciò si aggiunse il suo precario stato disalute causato dalle soventi crisi di tubercolosi…In Ungheria egli soffrì permanentemente d’unaprofonda nostalgia per la cultura e le città di <strong>Ferrara</strong> ePadova. Pannonius, come disse Guarino, fu “italiano neisuoi costumi”, e perciò dopo il rientro in Ungheria sisentì solo, gli mancarono molto il pubblico italiano chelo apprezzò ed il colto ambiente borghese. La sua gransolitudine non era sollevata neanche dalla presenza inUngheria di Galeotto Marzio.Nel 1465 venne di nuovo in Italia in veste di Legatodi re Mattia per sollecitare aiuti contro la minacciaturca, ma al ritorno in patria il suo ruolo fu messo insecondo piano a causa dei contrasti politici con iregnanti e gli fu negato il Vescovado di Várad, mentrelo zio Vitéz divenne arcivescovo d’Esztergom, città chesempre ebbe stretti legami d’amicizia e di cultura con lacorte degli Estensi. Quando re Mattia, per sostenere leguerre con la Boemia, impose alti tributi al gran clero,parte delle rendite di Pannonius e dello zio venneroconfiscate e Janus, per di più, privato della carica diBano della Slavonia. Zio e nipote, insieme ai grandifeudali, nel 1471 prepararono un complotto per portaresul trono d’Ungheria il figlio del re di Polonia, Casimiro,ma esso fallì. Un anno dopo arrestarono Vitéz; suonipote Janus, che probabilmente era stato principaleorganizzatore della congiura, scelse di andare in esiliovolontario in Italia. Ma non riuscì a raggiungerla e morì,probabilmente di tubercolosi, il 27 marzo 1472 aMedvenice, alle porte di Zagabria.* [*Da Chi era JanusPannonius di Melinda B. Tamás-Tarr, dalla rubricaGalleria Letteraria Ungherese dell’OsservatorioLetterario, N. 0. Ottobre/novembre 1997, <strong>Ferrara</strong>]Tra le sue prime opere a stampa figura la poesiadedicata alla fonte vicino Narni, Fontana di Ferogna,legata alla traduzione latina del lavoro storico di Polibio.Il volume, uscito nel 1498 a Venezia presso Bernardinusde Vitalibus, è un pezzo importante della nostracollezione di incunaboli. Uno dei più bei volumisilografici del Rinascimento italiano è il De clarismulieribus di Jacobus Philippus de Bergamo,nell’edizione ferrarese del 1497 di Laurentius de Rubeis.In un’illustrazione lo stesso autore offre il volume allaregina Beatrice seduta sul trono, (v. fig. 4) L’opera è<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200965


corredata dalla biografia di illustri signore, fra le qualipossiamo trovare la consorte del nostro re SantoStefano, la Beata Gisella e anche Sant’Elisabetta delcasato degli Árpád.La stampa di libri ungheresi dopo gli inizi, nel 1473,cessa subito. Sussisteva invece il bisogno di testiecclesiastici e di opere umanistiche. I commercianti dilibri di Buda riescono a soddisfare tali esigenzecommissionando i volumi alle tipografie straniere,comprese quelle italiane. Risulta riccamente decorato ilvolume Esztergomi missale che il rilegatore di Buda,Johannes Paep, aveva commissionato all’officinaveneziana di Johannes Emericus de Spira, nel 1498. Sulfrontespizio possiamo vedere l’insegna del libraio, (v.fig. 5) Il volume fu stampato su pergamena e in origineaveva le iniziali silografiche, poi ridipinte nell’officina diBuda a imitazione dello stile del miniaturista fiorentinoAttavante degli Attivanti. L’esemplare riccamenteminiato era stato preparato per il vescovo di KalocsaPéter Váradi, come prova anche lo stemma sulla primapagina dell’Introitus con l’immagine di due puttigenuflessi, (v. fig. 6) In origine anche la raffigurazionedel calvario era silografica, sullo sfondo si potevavedere un’immagine della città e due angeli fluttuantiche sostengono un Cristo sanguinante, (v. fig. 7).Buda, dopo aver ricevuto il volume stampato supergamena, si impegnasse a realizzare decorazioniesemplari per il generoso committente. Analogamentesu ordinazione di Johannes Paep il veneziano JohannesEmericus de Spira preparò il messale della diocesi diPécs, nel I499. Dell’opera si ha in Ungheria una copianon miniata e una pergamena riccamente illuminata.Anch’essa riporta un’immagine silografica del calvario enumerose iniziali, ridipinte, presumibilmente, sia nellapergamena della Biblioteca Széchényi che negliesemplari di Pécs e di Pannonhalma, dallo stessomaestro. Anche tale maestro si è impegnato a seguirelo stile di Attavante ma le cornici differiscono da quelledel maestro italiano. Secondo i risultati delle ricerche, itre messali di Pécs, tra i quali anche l’esemplare diBudapest, sono opera dell’illustratore di Buda diispirazione fiorentina, ma di talento più modesto (v. fig.9).Fig.5 Fig. 6Fig. 7Fig.8Il miniaturista ha ridipinto queste parti di azzurro,mentre in basso ha raffigurato il vir dolororum, chericompare anche sull’iniziale della pagina successiva (v.fig. 8). Attavante era il miniaturista preferito da reMattia, più di trenta corvine sono uscite dal suolaboratorio, così è comprensibile che l’illustratore di66<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009Fig. 9Si potrebbe citare numerose altre stampeartistiche dell’epoca di ispirazione e di provenienzaitaliane, visto che il patrimonio di antichi e rari dellaBiblioteca Széchenyi conta quasi seicento esemplariitaliani. Tra essi molti sono stati miniati in Italia, dovesono stati stampati, altri invece nell’officina delminiaturista della corte di Buda, dove lavoravano anchemaestri italiani e gli stessi maestri ungheresi talvoltaimitavano, arricchendolo, il loro stile.Dopo la morte di Mattia 3 , anche ai tempi di reLadislao II, è continuata per alcuni anni l’attivitàdell’officina di Buda, che completò la decorazione deivolumi iniziati e ne preparò degli altri su commissione diaristocratici bibliofili.L’Umanesimo in Ungheria è fortemente legato aquello italiano, la cancelleria ungherese instaura strettilegami con i centri umanisti delle università italiane.L’importanza crescente della filologia e la comparsa delciceronianismo hanno reso necessaria la pubblicazionedi versioni critiche di più autori classici. Aldo Manuzio el’Accademia Nea, da lui fondata, hanno svolto un ruolopreminente nell’edizione di testi latini e greci. Numerosiumanisti ungheresi hanno stretto rapporti con ilManuzio, molti di loro sono stati suoi ospiti e molti altrihanno mantenuto rapporti epistolari, talvolta ancheincitandolo a stampare dei libri. «Non una volta soltantocostoro gli hanno spedito di loro iniziativa antichimanoscritti ungheresi e polacchi — non senza alcuna


icompensa — perché venissero resi disponibili come diconsueto» – scriveva, nel 1508, Erasmo da Rotterdam,ospite nella sua casa, che proprio lì aveva curatol’edizione delle opere di Plauto, Terenzio e Seneca. 3La straordinaria importanza della BibliotecaCorviniana nella storia della cultura ha generato unabibliografìa ricca e attenta, specialmente diretta adindividuare i libri che le appartennero, ma furono assaipresto allontanati dall’aulica sede che il re bibliofiloaveva creato per custodirli, in una dispersione fra le piùdrammatiche conosciute.Il problema del recupero della loro identità ha dasempre portato ad individuare, per ragioni storiche,Firenze come luogo particolarmente idoneo alla ricerca.Infatti, è ben noto che, a partire dal 1485 circa, MattiaCorvino affidò ai copisti fiorentini il compito di unaproduzione di manoscritti su vasta scala, che in tempibrevi avrebbero assicurato una completezza almenoideale alla sua Biblioteca. Non lo è da meno che la suamorte improvvisa (4 aprile 1490) segnò la pressochégenerale e immediata interruzione di ogni lavoro daparte degli amanuensi. Almeno due lettere di Piero alpadre, Lorenzo il Magnifico, si riferiscono a tale evento,informandoci al tempo stesso di quelle che ne furono leconseguenze.Dalla prima, dell’8 maggio, si apprende che ilgiovane Medici sta trattando con «chi è dietro dopoquesta morte del Re d’Ungheria», un N..N. nel quale siriconosce Naldo Naldi, l’intermediario fiorentino delbibliotecario di Mattia (il parense Taddeo Ugoleto), il cuicompito specifico era il controllo della correttezza deitesti e la loro emendazione.Oggetto del negoziato sono certamente deimanoscritti che il Naldi ha offerto a compensazione didebiti contratti da Mattia Corvino con i Medici (scrivePiero: «… abbiamo da avere da lui, et egli ci vuole darelibri che noi abbiamo nelle mani di suo …»): la loroaccettazione non sembra esclusa, ma chiaramentesubordinata al controllo della qualità dei codici offerti eall’accertamento dei testi contenutivi «per non avere unlibro due volte». Il pericolo era più che reale se siconsidera che del tutto contemporaneamente e conidentiche modalità casa Medici andava attuando lostesso disegno bibliofìlico, cioè la costituzione in tempibrevi di una biblioteca che contenesse tutte le opere piùrappresentative di ogni campo dello scibile, e inparticolare tutti i classici, compresa la patristica.A tanto assennati propositi il primogenito di Lorenzofa seguire una riflessione di tipo economico che non loè da meno, un’enunciazione della legge della domandae dell’offerta: «e tanto gli scrittori si riducono a migliorpregio, che non possono avere faccenda da altri», che,per quanto riguarda il re ungherese, armonizza benecon esplicite testimonianze dei copisti a lode della suagenerosità.La lettera successiva, scritta due giorni dopo, quindiil 10 maggio, accenna ad un niente di fatto per risolverela questione, «perché rispecto alla venuta delloImbasciatore sono a quello medesimo che l’altro dì».Questa dichiarazione non è del tutto chiara, nedefinitiva; ma certo nessuno dei manoscritti che sistavano confezionando a Firenze al momento dellamorte del loro committente dovette pervenire a Buda,dacché nel febbraio del 1498 un emissario di VladislaoII, re d’Ungheria, il tedesco Alessandro Farmoser, già alservizio di Mattia, venne espressamente inviato pressola Repubblica Fiorentina con il compito di trattare ilrecupero di oltre centocinquanta codici eseguiti per ildefunto sovrano… 4Accennerei un altro fenomeno umanisticoimportante: i rappresentanti del movimento umanisticovolevano far rinascere non soltanto la lingua, la lettera,l’arte e le scienze greche e latine, ma tutta la cultura ela civiltà antica con le sue usanze ed istituzioni.Ridettero la vita anche ad una forma di incontroparticolarmente antico, il simposio (convivium in latino),che però aveva un significato molto più della parolagreca «bere insieme» – o dell’ungherese «lakoma»(mangiare bene abbondantemente insieme). Comefenomeno peculiare antichità esso fu avvertito daFrancesco Petrarca, il quale in una sua lettera lotrattava in base alla «lex varroniana». Il simposio comeevento e genere letterario rinacque a Milano. Nel 1443Francesco Filelfo scrisse il primo simposio letterarioumanistico, intitolato Convivio Mediolanensia, in cui silegge che negli ambienti nobiliari di Milano avevano giàcominciato a «celebrare» dei simposi sul modelloantico. Più tardi, il simposio divenne molto diffuso aFirenze negli ambienti neoplatonici di Ficino. Dovette lasua fortuna fiorentina al Symposion di Platone,tradotto in latino per la prima volta da Ficino. Copiandoanche la forma del suo precursore, Ficino scrisse laversione neoplatonico–cristiana dell’opera di Platone,intitolata Commentarium in Convivium Platonis, deamore, la seconda «redactio» del quale dedicò a JanusPannonius (Giano Pannonio), con l’auspicio che il poetaungherese che già condusse le muse alle rive delDanubio, conducesse in Pannonia anche il filosofogreco, Platone.Gli umanisti di Firenze ogni anno festeggiavano il 7novembre, giorno della nascita di Platone con unsimposio, con la partecipazione e il sostegno generosodi Lorenzo de Medici. Ficino presenta i suoi Commential Symposion di Platone come il racconto di un taleevento reale. Questo simposio fu tenuto a Careggi (oggiparte di Firenze) nella villa di Ficino, probabilmente nel1468. L’organizzatore dell’evento fu Francesco Bandini,di cui sappiamo che nel 1473 a casa sua organizzò unaltro simposio sul modello antico. Bandini venne inUngheria nel 1477, a seguito a Beatrice d’Aragona diNapoli, sposa di re Mattia Corvino, e visse a Buda finoalla morte (circa 1490). Probabilmente ebbe partenell’organizzazione dei simposi alla corte, ed ebbe cosìun ruolo importante nella diffusione dei simposiumanistici.Presumibilmente Janus Pannonius fu fra i primi aintrodurre i simposi umanistici in Ungheria. Il poetapresenziò a un simposio organizzato tra il 1468 e il1472 ad Esztergom, nel palazzo dell’arcivescovo JánosVitéz, dove parteciparono oltre al poeta eall’arcivescovo anche il re Mattia, János Thuz e duestranieri, Galeotto Marzio e un teologo domenicano,Giovanni Gatti. Fu Galeotto Marzio a tramandarci ladescrizione del simposio. Re Mattia provocò unadiscussione teologica con il teologo che fu ancheinquisitore, che si concluse con la vittoria del re. Persostenere i suoi argomenti, re Mattia fece portare unlibro dalla biblioteca del padrone di casa, e convinse il<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200967


suo avversario leggendone un brano. All’evento diEsztergom non mancarono, le caratteristiche principalidei simposi, il tema scientifico, il buonumore el’esortazione alla virtù.Simposi simili furono probabilmente organizzatianche alla corte di re Mattia, e diventarono quotidianidopo l’arrivo di Francesco Bandini a Buda. Ne ètestimone il simposio letterario di Antonio Bonfini ilSymposion de virginitate et pudicitia coniugali. L’autorecompose quest’opera nel 1484–1485 a Recanati e ladedicò alla regina Beatrice, ambientando il simposio allacorte di Mattia. I personaggi sono Mattia e Beatrice, idue fratelli della regina Giovanni e Francesco, GaleottoMarzio, Miklós Bánffy, János Filipecz vescovo di Várad,e László Geréb vescovo di Transilvania. Benché Bonfiniconoscesse bene i simposi della letteratura antica,infatti l’opera è piena di topoi di simposio e di branipresi da altre opere, sembra che riferisse a un verosimposio realmente organizzato alla corte. OrbánNagylucsei, il tesoriere del re probabilmente imitò leusanze della corte: secondo Galeotto Marzio simposicon conversazioni scientifiche erano quotidiani a casasua, ai quali spesso partecipavano anche degli stranierie si usavano dei libri.La testimonianza più importante dei simposiungheresi ce la fornisce l’opera di Pescennio FrancescoNegro (1425–1524?), intitolata Cosmodystichia, scrittase non proprio nell’epoca di Mattia o appena dopo: 5«In symposiis vero non epulae solum apponuntur sedepulantium lepidissimae disceptationes, quales illaePlatonicae et Philelphicae fuere: quales ego saepius inconviviis apud Pannonios principes cum sociis meismemini me frequentasse, ubi etiam inter medias dapes,si quid inter nos controversiae nascebatur, innumericodices afferebantur, legebantur et variointerpretamento enodabantur.»Questo tratto testimonia che in Ungheria i simposiumanistici erano molto popolari, al punto che l’umanistaitaliano cita come esempio gli ungheresi che seguonoquest’usanza, e non i suoi connazionali. 6Con la morte del grande re umanista erinascimentale Mattia Corvino tutti gli umanisti italianiritornarono in patria, tranne l’anziano Bonfini cherimase a Buda e la splendida biblioteca corvina benpresto dissolse: moltissimi vennero regalati o rubati,tant’è che oggi ne sono rimasti appena 216.Nel 1463 Mattia sconfisse i turchi in Bosnia; nel 1468intervenne, con l’appoggio pontificio, contro gli hussiti.Tra il 1469 e il 1478 fu impegnato in una guerra inBoemia: i suoi disegni espansionistici trovarono peròuna tenace resistenza ed egli riuscì a impadronirsisoltanto di Moravia, Slesia e Lusazia. Tra il 1481 e il1485 intraprese una guerra contro il suo anticooppositore, l’imperatore Federico III, entrandovittorioso a Vienna ed estendendo il suo controllo suBassa Austria, Stiria e Carinzia. L’obiettivo a cui Mattiaaspirava era l’elezione al soglio imperiale: la vastità delsuo regno e l’alto grado di cultura raggiunto dalla suacorte lo rendevano infatti il monarca più potentedell’Europa centrale. Temendo appunto questoeccessivo potere, nel 1486 gli elettori gli preferironoMassimiliano I d’Asburgo. Mattia morì senza eredi e ful’ultimo re di origine ungherese a governare il paese;alla sua morte seguì in Ungheria un periodo di asprelotte intestine.Grande mecenate, la sua corte a Buda divenne unimportante centro artistico e culturale: istituì laBiblioteca Corvina, dove raccolse una vasta collezione dimanoscritti, molti dei quali di provenienza italiana, econtribuì in notevole misura alla diffusione della pittura.Mattia sposò Beatrice d’Aragona, figlia di Ferdinando I,re di Napoli, e i frequenti contatti fra le due cortiarricchirono dal punto di vista culturale entrambi ipaesi. Per consolidare la monarchia, riformò il sistemagiudiziario e ridusse la dipendenza dall’aristocraziacreando un esercito stabile di mercenari, a cui ricorsepiù volte per respingere i ripetuti attacchi dellacoalizione formata da Austria, Polonia e Boemia. Lacorte di Mattia Corvino fu frequentata da umanisti eartisti italiani, specialmente dopo il matrimonio dellostesso Mattia con Beatrice d’Aragona, figlia diFerdinando re di Napoli. (Fonte: «Mattia Corvino»Microsoft® online ® Enciclopedia online 2008).________________________1 Tratto dallo studio Varietà italo-ungherese nel Medioevonello specchio dei reperti archeologici, varie memorie storiche,letterarie ed artistiche. Un filo di continuità tra Italia edUngheria (sec. VI-XV.) [pp. 99] di Melinda B. Tamás-Tarr,fatto per la conclusione del Master Informatica per la storiamedievale, specializzazione in giornalismo storico-scientifico edall’articolo online dell’ Osservatorio Letterario del 29 ottobre2008, intitolato Anno del Rinascimento in Ungheria di MelindaB. Tamás-Tarr2Wikipedia.3Mattia Corvino (Kolozsvár, oggi Cluj–Napoca, Romania 1443ca. – Vienna 1490): Re di Ungheria (1458–1490). Figlio diJános Hunyadi, reggente d’Ungheria (1446–1452), venneproclamato successore al trono del re Ladislao V, morto senzaeredi nel 1458; l’imperatore Federico III d’Asburgo reclamò ilproprio diritto alla successione e, alla testa di una partedell’aristocrazia contraria a Corvino, scatenò una guerra che siconcluse nel 1462 con il riconoscimento del nuovo sovrano.4Ágnes W. Salgó: Le relazioni italo–ungherese nel materialedella Raccolta Antichi e Rari IN Primo incontro italo–ungherese di bibliotecari, Budapest,9–10 novembre 2000;Istituto Italiano di Cultura, Budapest, maggio 2001.5Angela Dillon Bussi: Ancora sulla Biblioteca Corviniana eFirenze IN Uralkodók és corvinák, pp. 63–67.,Oszk,Budapest, 2002.6Klára Pajorin: I simposi degli umanisti IN Uralkodók éscorvinák, pp. 117–121., Oszk,Budapest, 2002.Bibliografia consultataHanák Péter: Magyarország rövid története, Gondolat,Budapest, 1986Jászay Magda: Párhuzamok és kereszteződések. A magyarolaszkapcsolatok történetéből; Gondolat, Budapest, 1982.Magyar történelmi kronológia az őstörténettől 1970-ig,Tankönyvkiadó, Budapest, 1979.Mariono Zorzi: L’Ungheria e Venezia nelle raccolte dellaBiblioteca Nazionale Marciana nel vol. della conferenza Primoincontro italo-ungherese di bibliotecari, Olasz Kultúrintézet,Budapest, 2001, pp.296.Lorio Banfi: Ricordi ungheresi in Italia, Editrice R. Accademiad’Ungheria, Roma, MCMXLII-XX E. F., pp.206.Wikipediahttp://www.osservatorioletterario.net/italmagyarnyomok.pdf68<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


http://www.osservatorioletterario.net/appendice-fuggelek63-64.pdf,v. Pp. 91 –101. (Saggio originale – differente – in ungherese)Melinda B. Tamás-Tarr: «Varietà italo-ungherese nelMedioevo nello specchio dei reperti archeologici, variememorie storiche, letterarie ed artistiche. Un filo di continuitàtra Italia ed Ungheria (sec. VI-XV.),Melinda B. Tamás-Tarr: Anno del Rinascimento in Ungheria,Supplemento online dell’«Osservatorio Letterario» del 29ottobre 2008.2) ContinuaIL MONDO ARTISTICO DELL’«ORLANDOFURIOSO»L’”Orlando Furioso” è il poema dell’abbandonofantastico, delle immagini festose, dell’evasione in unpaesaggio sfumato, dai contorni di sogno. L’Ariostodecide di continuare laddove s’era interrotto l’”OrlandoInnamorato” del Boiardo; ma il suo poema è diverso,perché diverso è il mondo spirituale dell’Autore, il modocon cui la materia viene trattata. Il Boiardo, pur“umanizzando” il suo eroe Orlando, canta ancora connostalgico abbandono i valori di un mondo cavallerescoormai dissolti. Il paladino “innamorato” diventerà invece“furioso” nella Musa ironica e sorridente del Poetaestense.L’Ariosto, sottolinea il Guglielmino (S.GUGLIELMINO,Armi, eroi, popoli, Principato, Milano, 1975, vol. II, pp.140-141), è come un abile prestigiatore che facomparire dinanzi a noi, con la consumata abilità dellesue ottave, combattimenti e duelli focosi, luoghifantastici, castelli incantati, cavalli alati, giardinilussureggianti, delicate o grottesche storie d’amore… Edegli conserva sempre, in tali narrazioni, la giocosità ed ilsorriso compiaciuto di chi sta conducendo un gioco, unamabile gioco che diverte sia i lettori-spettatori sia lostesso Poeta.Ciò significa che nel suo poema non c’è posto per glieccessi – cioè per il tragico, che è l’eccesso del dolore,o per la crassa risata, che è l’eccesso del divertimento –, ma tutto è sempre bene equilibrato, privo di asprezzee di forti contrasti: insomma, tutto risulta, in definitiva,piacevole e sereno. Ad esempio, nel canto primo la fugadi Angelica, che potrebbe essere per un altro poeta unargomento tragico, diviene invece un piacevole erraredi qua e di là della donzella, arricchito dagli incontristrani e divertenti ch’ella fa per strada. Per il Tasso,invece, la fuga di Erminia (Gerusalemme Liberata, VII,1 e segg.), – dietro la quale si cela lo stesso Poeta conle sue angosce esistenziali – ha un caratterespiccatamente tragico. La stessa pazzia di Orlando, chedà il titolo al poema e potrebbe divenire la tragediadell’amore non corrisposto, si traduce invece in unaserie di quadretti che per lo più ci fanno sorridere: e,prima di noi, sorride lo stesso Autore che, da abilissimoburattinaio quale è, tira le fila della storia.Nel poema scompaiono anche quei contrasti di fede cheavevano avuto tanta importanza nella Chanson deRoland: qui non diamo peso al fatto che Orlando,Rinaldo o Ferraù siano cristiani o pagani, giacché questieroi “umanizzati” hanno ormai dimenticato i grandiideali della “Riconquista” (Patria e Fede) e combattonoper un ideale molto più terreno e comune a tutti gliuomini: l’amore per una donna. L’Ariosto – e quiconsiste la sua importanza – ha voluto infatti cantareideali e sentimenti molto più terreni, come l’amore,l’amicizia, il fascino della bellezza; ha ricondotto gli eroidelle “canzoni di gesta” ad uomini con un comunemodo di sentire.Dramma ed idillio, guerra ed amore si succedono nelpoema; ma il rumore delle armi è attutito dalla bellezzadi Angelica e dalla passione di Bradamante, cui siintrecciano le vicende amorose di Orlando, Rinaldo,Ferraù, Ruggiero, Medoro.L’amore – scrive il Croce – è un piacere grande a cuil’Ariosto non può rinunziare, un grande tormento da cuinon si può liberare. Quell’amore è sempre affattosensuale per una bella forma corporea, splendentenegli occhi luminosi, lusinghieri, vezzosa; virtuosoanche, ma d’una virtù relativa, quanto valga a nonmettere troppo tossico nelle annodate relazionid’amore, e perciò ogni idealizzamento etico especulativo, alla stilnovistica o alla platonica, ne rimaneescluso”. Quindi il Poeta non concepiva, come gliStilnovisti, “di teologal donna l’amore” – per citare ilsonetto carducciano “Dietro un ritratto dell’Ariosto” –“… Ma premio a’ canti era una bocca bella, / che delfronte febèo lenìa l’ardore / co’ baci, e quel fulgea comeuna stella”.L’amore, per certi versi, può essere consideratol’elemento unificatore del poema, pur non avendo unruolo dominante rispetto alle altre tematiche. Talesentimento non ha nulla di platonico o di mistico, ma èconcreto, terreno, è un desiderio umano, è gioia dipossedere la persona amata. Per amore i cavaliericombattono e corrono mille pericoli; per amorevengono meno ai loro doveri; per amore, comeOrlando, impazziscono. Tuttavia è da notare che anchedi fronte alla cieca forza della passione amorosa,l’Ariosto mantiene il suo atteggiamento riflessivo etemperato, e non si lascia mai trascinare verso eccessidi galanteria o di coinvolgimento emotivo. “Anchel’amore per la donna”, scrive il Croce, “per forte chefosse, s’inquadrava nel suo ideale idillico”.L’amore nel “Furioso” si manifesta in modi diversi etalora contrastanti: puro e patetico (Isabella); sensualee voluttuoso (episodio dell’isola di Alcina); eroico epuntiglioso (Brandimarte e Ruggiero); tragico (Olimpia);comico (Orlando che va fuori di senno), ecc. E’ infattiaderente agli ideali morali ed artistici del suo Autore lanozione di tanti amori diversi, quanto diversi sono gliideali e gli stili di vita (A. Buononato).L’elemento cavalleresco con le sue regole rigide e i suoifurori guerreschi è ridotto ad un gioco, ad unpassatempo della serena fantasia ariostesca in cuiaffiorano motivi di un mondo medioevale ormaitramontato: “l’ideale della cavalleria civile coloravaancora di un’ultima luce crepuscolare l’Europa”, scrivepoeticamente il Carducci. Ciò introduce un altroimportantissimo tema dell’”Orlando Furioso”: l’ironia. IlCarducci nega una “ironia intenzionale” nell’Ariosto,rimarcando la tragicità di Orlando e la grandezza eroicadell’ultima sfida fra i tre paladini e i tre saraceni, con lastruggente invocazione a Dio affinché dia eternaricompensa per il suo martirio a Brandimarte. Il DeSanctis afferma invece che l’ironia è uno degli assiportanti dell’opera: essa “non è solo nella concezione<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200969


fondamentale del poema ma negli accessoricavallereschi”. Essa investe il protagonista, Orlando,che divenuto pazzo è esposto alle risa dei lettori; ilviaggio di Astolfo sull’Ippogrifo nell’altro mondo perrecuperare il senno dell’amico; Angelica che finisce persposare un umile fante, Medoro; la guerra tra Carlo eAgramante; le virtù cavalleresche e “i grandi colpi de’cavalieri, quei grandi colpi ch’essi solo sanno dare”.L’ironia dell’Ariosto è quel sorriso che avvolge tutta lanarrazione, e non vuole significare il distacco del poetadal suo mondo, ma invece proprio l’amore con cui eglilo sente e lo vive. Questa ironia conferisce ilcaratteristico “tono medio” a tutta la multiforme tramadel poema e riduce ogni cosa alle dovute proporzioni.Appunto tramite l’ironia, l’Autore realizza quel suosuperiore equilibrio che gli impedisce sia gli eccessivientusiasmi che i freddi distacchi. Tale atteggiamento èsegno della vitalità del suo genio creatore e della suaserenità interiore. Il Croce ha opportunamente messo inluce la “totalità” dell’ironia ariostesca, nel senso cheessa investe tutto il poema con i suoi personaggi e lesue avventure. Il Bosco istituisce un paragone colManzoni, che ironizza solo su alcuni personaggi del suoromanzo, trasformandoli in macchiette, ma non su altriche rappresentano – nel bene o nel male – il suo idealereligioso od umano. Mentre infatti il Manzoni ha dei fortiideali da far valere, l’Ariosto non ne ha: per lui non c’èun male che sia interamente tale, così come non c’è unbene assoluto, che non sia venato di una qualchedebolezza. Quelli ariosteschi non sono eroi “duri e puri”(com’erano nei poemi medioevali e, ancora in parte, nelBoiardo): sono uomini di questa terra. Mediante l’ironia,l’Ariosto impedisce che ci si affezioni o si odi troppo unpersonaggio piuttosto che un altro; in definitiva, anchegrazie ad una trama quanto mai complessa, impedisceche la nostra attenzione si concentri troppo su uno solodi essi.L’Ariosto è stato qualificato giustamente come “Poetadell’Uomo”, comprendendo in tale definizione laconcezione naturalistica rinascimentale, checomportava una visione dinamica della natura umana,incline alle grandi imprese, costruttrice del propriodestino ma anche consapevole dei propri limiti. Taleconcezione non è quella machiavellica dell’uomo come“golpe” e “lione”, che abbatte qualunque ostacolo perrealizzare ad ogni costo i propri fini. L’uomo ariostesconon è, come vorrebbe il Petronio, un “individualista”sfrenato in cui si sono allentati i legami sociali ed i frenimorali e prevalgono solo gl’impulsi immediati, i motiviistintivi. Se ciò fosse vero, non avrebbe sensol’indeterminatezza dei personaggi né la stessa ironiache pervade l’intero poema, la quale sottolinea appuntola coscienza della comune appartenenza dei varipersonaggi al genere umano, con i loro vizi e le lorovirtù. Questo amore per l’umano rivela, secondo il DeBlasi, un senso di viva socialità nell’Ariosto; rivela altresìil vivo legame che lo salda alle sue creature fantasticheed ai suoi lettori: “uomini tutti, tutti partecipi dellastessa humanitas”.In questa massima attenzione rivolta all’Uomo in tuttele sue terrene manifestazioni consiste lo spirito dell’etàrinascimentale, in cui il poema meravigliosamentes’inserisce, allo stesso modo di un disegno di Leonardo,di una tela di Tiziano, di un dipinto di Raffaello, di unascultura di Michelangelo: in tutte queste opere c’èl’esaltazione dell’armonia del corpo umano – assimilatadall’arte classica – unitamente alla descrizione accuratadi un paesaggio ricco di fascino (ed anche il paesaggioariostesco si presenta affascinante, favoloso,misterioso).Questa armonia, questa serenità nel concepire laNatura e la vita umana in tutti i suoi aspetti (e non soloin quelli epici e grandiosi), si esprimono nel poemaariostesco in un uno stile chiaro e misurato, elegantema non complicato: le ottave, che l’Ambrosini hadefinito l’”Ippogrifo” dell’Ariosto, si succedono fluidel’una dopo l’altra trasportandoci nel suo mondoincantato.L’”Orlando Furioso” ebbe sùbito grande diffusione efortuna, non solo in Italia ma in tutta Europa,soprattutto in Francia e in Spagna (e di converso anchenell’America Latina), dove venne preso a modello per ipoeti del luogo. Galileo Galilei lo esaltò in un celebreconfronto con la “Gerusalemme Liberata” del Tasso, dalui giudicata nettamente inferiore.Tra i primi critici a rilevare la potenza fantastica, lasaggezza, la perfezione stilistica dell’Ariosto fu ungrande poeta a cavallo tra Neoclassicismo eRomanticismo: il Foscolo. La critica romantica,coerentemente con la sua concezione dell’arte comeespressione della società e con la sua visione dellaciviltà rinascimentale come dissoluzione di quellamedioevale, pose attenzione a definire il significatostorico del mondo ariostesco. Per il sommo filosofotedesco G.W.F. Hegel, l’ironia dell’Ariosto, esercitata sulmondo cavalleresco, è il segno del trapasso dalMedioevo al Rinascimento. Il nostro Gioberti riprese,attenuandolo, il giudizio hegeliano, affermando che ilpoema era insieme “la poesia e la satira del Medioevo”e definì l’Ariosto “dipintore ampio, leggiadro, copioso equasi lussureggiante d’immagini e di figure”. Per il DeSanctis, il massimo esponente della critica romantica, ilpoema “è l’epopea del Rinascimento, il tempioconsacrato alla sola divinità riverita ancora in Italia:l’Arte”; opera, pertanto, priva di un contenuto moralema caratterizzata da una “semplicità e chiarezza chetoccano la perfezione”. Secondo la definizionedesanctisiana, l’Ariosto non è semplicemente un poeta,ma il principe degli artisti. La critica positivisticaprodusse contributi filologici ed eruditi, tra i qualiprimeggia il celebre saggio di Pio Rajna sulle fontidell’Orlando Furioso. Un validissimo contributo alrinnovamento delle discussioni critiche sull’Ariosto lodette Benedetto Croce, il quale scrisse su di lui dellepagine mirabili, che in alcuni punti rasentano la purapoesia. Guidato dalla sua concezione esteticaautonomistica dell’arte, il Croce affermò l’affetto delPoeta “per il puro ritmo dell’universo, per la dialetticache è unità, per lo svolgimento che è Armonia”.L’Ariosto è considerato dunque nelle pagine crocianecome il Poeta dell’”Armonia Cosmica”, che si realizzamediante il tono medio dell’ironia, che è la più intimaessenza della sua grande poesia. Nell’orbita delleconclusioni crociane – che all’epoca suscitarono vivacidiscussioni – si posero illustri critici quali il Momigliano,l’Ambrosini, il Raniolo. Un impegno a storicizzare ilmondo ariostesco si ritrova invece nelle pagine delSapegno, del Binni, del Caretti, del Ramat, del Piromalli,70<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


del Segre, mentre le tendenze più recenti sono andatein direzione di uno “smontaggio” dell’opera in sequenzenarrative e di un’analisi linguistica, strutturale estilistica. Una originale e poetica interpretazione delcapolavoro ariostesco ci è stata infine offerta da ItaloCalvino, il quale sentiva di avere nel Poeta di ReggioEmilia ancor più di un modello, un vero e propriofratello spirituale.Marco Pennone– Savona –PREPARAZIONE CLASSICA E SENSIBILITÀ MO-DERNA NEL PASCOLICome sottolineò lo Jannaco (C. JA<strong>NN</strong>ACO, Da Lyra aiCarmina, la romantica classicità pascoliana, in“Leonardo”, <strong>XIII</strong>, marzo-aprile 1942, pp. 43-52), ilPascoli giunge al Simbolismo partendo da una accuratae perfetta institutio umanistica. E questa solida baseclassica, filtrata attraverso la sua tormentatapersonalità di tardo-romantico, attraverso la suascoperta sensibilità di decadente, viene ad acquistareun aspetto del tutto particolare, assolutamente nuovo.Si può veramente affermare che in lui il moderno“sentire” poetico si incontrò – e reagì – da un lato conquesta complessa e completa formazione classicistica(e con le esigenze di rigore filologico di cui a quei tempila Germania pareva detenere il primato), dall’altro conla concezione sociale e utilitaria che è alla basedell’umanitarismo pascoliano.Il Pascoli critico e studioso, ch’era un tutt’uno colPascoli poeta, rifiutò pertanto un lavoro prettamentefilologico e grammaticale, il che sarebbe stato arido efine a se stesso. Finora nelle scuole – egli scrive – sisono seguìti “commentatori tedeschi o italiani… i qualipresentano gli scrittori greci e latini come complessiproblemi grammaticali e, concediamo, filologici”. In altritermini, così gli scrittori e i poeti risultano morti esepolti, privi d’interesse per i giovani discenti. E invecelui ha un concetto vivo della cultura classica, che può edeve essere civilmente, moralmente e socialmente utile,fuori dalla cerchia di un’arida filologia, tutta conformataa concezioni e a metodi germanici.La sua convinzione è che i filologi tedeschi nonprendano dalle antiche letterature ciò che esse hannodi veramente grande, bello e utile. Il Pascoli, invece,cercava negli antichi autori, con spirito tardo-romantico,le voci della grandezza morale e civile più che laperfezione formale e stilistica; i motivi, a lui ed a noimolto più “vicini”, della commozione lirica, dell’umanitàdistesa, dell’intima spiritualità più che la maestositàdelle concezioni e l’altezza intellettuale: per questo nonpoteva guardare alle antiche letterature con il purointeresse del filologo, ma amava interpretarle unendoalla sua solida preparazione filologica il caldoentusiasmo del poeta. Gli pareva che nelle opereclassiche fosse racchiusa una forza perenne chepotesse e dovesse ancora inondare le menti dei giovaniscolari e confortarli anche nei momenti più difficili, al dilà dello studio. Còmpito del filologo-poeta è quello diriconoscere e tirar fuori questa forza, affinché lo studiodei classici diventi realmente, per dirla con Tucidide, un“possesso perenne”. Ma vediamo come il Pascoliattuava tutto questo.Il “commentario” della lirica latina, premesso alla primaedizione dell’antologia Lyra Romana (Giusti, Livorno,1895) offre agio al poeta romagnolo di tracciare vivaciquadretti della antica vita romana. Siamo intornoall’anno 690 dalla fondazione di Roma: in un gruppettodi giovani che amano la poesia emergono ValerioCatone, Cornelio Nepote, Caio Licinio Macro Calvo,Lucio Manlio Torquato, Asinio Pollione e lo stesso MarcoTullio Cicerone. Fra tutti emerge presto un giovaneveronese, Gaio Valerio Catullo, versatissimo nelle letteregreche, il quale, cessato un dissidio politico, è divenutointimo amico di Calvo (e il Pascoli, nella saturaCatullocalvos, immaginerà una grandiosa tenzonepoetica tra i due amici).La vita di Catullo, il suo tormentato amore per Clodia(cantata col nome di Lesbia), le sue amicizie einimicizie, le sue vivaci battaglie contro i poetucoli deltempo, sono le agili, fresche e movimentate linee delquadro che il Pascoli ci sta delineando. Un’atmosferasimile a quella della vita “bohémienne” di fineOttocento: l’antico tempo sfuma, lentamente, in untempo a noi più vicino.E ora il Pascoli ci trasporta in tribunale, a Roma, dovec’è un oratore famoso (Cicerone) che difende la causadi un poeta (Archia); c’è un praetor dilettante di poesiache giudica (Quinto Tullio Cicerone, fratello del sommooratore) e tutta una folla di uomini cólti che attendecon ansia la sentenza sul poeta e sulla poesia. Ma eccoche parla il grande oratore: egli definisce sanctus ilnome di poeta e commuove Catullo che, in segno diriconoscenza, gli invìa sette versi su di una tavoletta.È questo il modo di affrontare gli autori che il Pascolipreferisce: “La critica è fatta per la letteratura, nonquesta per quella”. Ma qui il poeta è andato oltre. Sullatrama ideale della poesia, ha raccontato diffusamentegli amori di Catullo, le sue delusioni, le sue vittorie e lesue sconfitte amorose, le acerbe vendette, i dolori, iviaggi per dimenticare e, infine, la morte giunta troppopresto a spegnere la fiamma di quella poesia.Il Pascoli non si accosta mai ad un poeta senza inqualche modo sentirlo “fratello”. Come ama Virgilio perquella intima bontà e dolcezza che trasfonde nelle sueopere, come ama Orazio per l’equilibrio e la saggezza,così sente vicino a sé Catullo per quel suo prediligere lepiccole cose, le nugae, i contorni lievi e sfumati, lemomentanee impressioni; per quel suo modo di fare dafanciullo buono troppo spesso ingannato e deluso, chequalche volta romanticamente si compiace, quasi, delsuo dolore. Il Pascoli è soprattutto attratto dallospiccato soggettivismo poetico catulliano: soggettivismoche è per lui il primo requisito di un poeta “moderno”; eanche da una certa affinità di stile: “Egli ama i neòteroi,perché gli assomigliano nell’amore per le belle paroleinsolite e in certe squisitezze metriche e nell’averdovuto superare, con più o meno genialità, lo scoglio diuna cultura esuberante” (A. MOCCHINO, L’arte diGiovanni Pascoli nei carmi latini, Le Monnier, Firenze,1924, p. 25).Come aveva introdotto Catullo nel vivace ambienteletterario romano, così il Pascoli, sempre nel“commentario” di Lyra, introduce Orazio: “Quandoormai pareva che Roma fosse condannata a perire, si<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200971


udì la voce non di un poeta, ma di un vates che sipresentava al popolo con il suo canto…”.Orazio conosce Virgilio e gli diviene subito amico: “Essiavevano del resto gusti uguali: né all’uno né all’altropiacevano i poeti che affettavano l’antico; e a questinon piacevano essi, come è naturale”. L’idea diun’amicizia intima fra Orazio e Virgilio contro i comuniantagonisti letterari stuzzicava il sentimento e lafantasia del Pascoli, al quale sembrava in tal modo disentirseli più vicini: “Io gioisco di cogliere, sebbene daun’infinita distanza, una qualche parola tra i conversaridei due massimi poeti romani. Non parlavano essi deiloro disegni? Non leggevano a vicenda i loro tentativi?Non si ispiravano l’uno dall’altro? Vergilio imitava daTeocrito la Pharmaceutria: Orazio pensava anch’essouna scena di sortilegi, ma cittadinesca, tragica. Vergilioabbozzava parlando, o leggeva abbozzato, l’idilliocampestre del secondo libro delle Georgiche, e Oraziofaceva anch’esso quasi in parodia il suo bozzettocampagnolo, ma in persona di uno strozzino: idilliocomico”.Così, risaltando quelle caratteristiche che dei dueantichi poeti più amava, il Pascoli ha fatto un soloquadro, anche se con qualche forzatura, tipo il“bozzetto campagnolo” di Orazio (l’epodo II) che hacome protagonista lo strozzino… Ma troppo gliaggradava l’idea di una stretta fraternità d’arte e di vitatra i due poeti augustei, e così l’ha voluta vedererealizzata. In tal modo, il Pascoli critico e filologo vieneincontro al Pascoli poeta nelle sue predilezioni. Unesempio: nel ritratto ideale di Orazio, non faceva bellafigura l’episodio della fuga durante la battaglia di Filippi,dopo aver abbandonato lo scudo (la non bene relictaparmula dell’ode II 7). Ed ecco che il Pascoli, nel suocommento all’ode, è pronto a dimostrare che quel sensifugam vuol dire “provai le amare conseguenze dellafuga” e che parmula è uguale per metonimia adequitatus; pertanto relicta parmula significherebbe“lasciata sola la cavalleria”…; e il diminutivo parmulapotrebbe alludere a quel pugno di “prodi disgraziati” trai quali figurava anche il tribunus militum Orazio. Indefinitiva, non è Orazio che è scappato abbandonandolo scudo, ma è stato lui, tra quel pugno di “prodidisgraziati”, che è stato abbandonato non bene dallacavalleria! Così, grazie all’abilità del critico-filologo, lamacchia è tolta, l’onore del Venosino è salvo ed ilPascoli poeta è soddisfatto!Il Pascoli sentiva Orazio vicino per la pensosa intimitàsugli eterni problemi della vita e sul suo fineultimo. L’aderenza al pensiero oraziano è chiara neltono, nel senso profondo dei commenti a quelle odidove più risalta il doloroso problema esistenziale: sidirebbe che egli vi esponga il suo stesso pensiero,come nel riassunto dell’ode I 18: “Hai misurato la terra,il mare, l’arena” – grida il navigante al sapiente Archita– Ed eccoti qui mezzo sepolto sul lido di Matinata. Nonti giova esserti spinto sino al cielo: eri mortale.Morirono anche altri che più da presso toccarono gli dèie il cielo: morì anche Pythagora che credeva che lamorte non avesse da aver possanza se non sopra il suocorpo. E, tu lo sai, egli era bene addentro nei segretidella natura. Dobbiamo morir tutti (…), vecchi, giovani,tutti. (…) Non giova la scienza, non giova ribellarsi colpensiero al destino comune: tutti dobbiamo morire”.Oppure nell’introduzione all’ode I 34: Orazio è rimastostupito e pensoso per un fulmine a ciel sereno. È un dioche lo scaglia? E che intenzioni ha? “Mistero” – rispondeil Pascoli – “Salvo è il reo, colpito l’innocente? Nonsappiamo nulla: vediamo soltanto: mutamenti repentini,inesplicabili, fulmini veramente a ciel sereno. E l’uomo,nel tremore di tutta la natura, deve tremare anch’esso,non deve arrischiarsi a spiegare ciò che non puòspiegare, deve chiamare insania la sua sapientia”. Quic’è già in nuce tutto il Pascoli “cosmico” dei Canti diCastelvecchio, il cantore del mistero dell’universo!In fondo ad ogni gioia, anche a quella così luminosa diuna nuova primavera, c’è – oscuro e cupo – il pensierodella morte: ed il consiglio che Orazio, pieno ditristezza, dà a Torquato nell’ode IV 7, ha una profondarisonanza nell’animo pascoliano: “La neve dimoiò,rinverzica il campo, rimette l’albero, e i fiumi scorrononel loro letto. È un danzare di Grazie e di Ninfe… mabada: questo avvicendarsi di stagioni ti dice che seimortale. Ora il freddo è cessato, alla primavera segueperò l’estate, all’estate l’autunno e poi… i brevi dìdell’inverno. Passano i mesi, la luna si oscura esparisce: ma pur ritorna: noi, quando siamo andatilaggiù dove tutti devono andare, siamo polvere edombra. Chi sa se la vita nostra finora vissuta avràancora un domani?” Chi è che si pone questointerrogativo angosciante? L’antico od il nuovo poeta? Ilpensiero oraziano è tutto dominato dalla duranecessitas della morte, anche se il poeta sembrasorridere e godere delle gioie della vita. Lo segue neilieti convivii, nelle vicende amorose, persino neltranquillo riposo della vita agreste. Ed è lo stessopensiero che dòmina anche l’animo del Pascoli, che loesprime in tutte le sue opere, dalle prime Myricae(1891, l’anno stesso in cui inizia la stesura di Lyra e incui vince per la prima volta il Certamen Hoefftianumcon il poemetto Veianius) in avanti. Lo esprime in versimirabili (magistralmente tradotti in prosa dallo stessoAutore), nella lingua medesima di Orazio, nel poemettoSermo, composto al tempo in cui esce Lyra (1895) e poiincluso nei Poematia et epigrammata. È un dubbio chenon lascia requie. Orazio tenta di liberarsene invitandoLydia incoronata di rose a godere l’attimo fuggente (ilceleberrimo carpe diem dell’ode I 11); il Pascoli ci invitaad andare incontro alla morte abituandoci al pensierodi essa un poco tutti i giorni: così impareremo a nontemerla! Ma se le vie sono diverse, si sente che identicoè il punto di arrivo: in fondo al nappo di Orazio non c’èla dimenticanza ma il dolore; ed il consiglio del Pascolinon tende certo a familiarizzare con la morte, ma arendere più sopportabile la vita, dominata dal dolore.Ed il dolore è il filo rosso che lega fraternamente ilPascoli a Virgilio. Il Mantovano ha un posto diprotagonista assoluto nella successiva antologia, Epos(Giusti, Livorno, 1897), in cui il Pascoli commenta dapar suo quasi tutta l’Eneide. “Ci sono racconti, nei suntidell’Eneide, che sembrano myricae, poemetti, inni…”:così scrive con affetto Manara Valgimigli nellapresentazione di una ristampa che negli anni CinquantaLa Nuova Italia fece delle due antologie. Ma già ilCarducci in persona, in una lettera del 24 novembre1896, avendo letto la prima stesura di Epos, avevaindirizzato una lettera di ringraziamento al suo Autore:“Caro Pascoli…, tu mi hai fatto sentire e gustare Virgilio72<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


in qualche nuovo modo”. Quel “nuovo modo” che ilMaestro aveva percepito, lo si avverte ancora oggiintero e intatto nei sunti, nelle note, nelle traduzioni enel “commentario” sulla poesia epica in Roma checostituisce l’introduzione di Epos.E il Virgilio di Epos è lo stesso dei Carmina, dove ha unruolo di primo piano, nella sua veste di poeta bucolico egeorgico, in due poemetti: l’Ecloga XI sive ovispeculiaris – vera e propria prosecuzione ideale delledieci ecloghe virgiliane – ed il Senex Coricius, in cui unfamoso episodio delle Georgiche (IV 125 segg.) èsviluppato e variato con un’adesione tale al mondospirituale del modello, che fece restare stupiti edammirati esegeti come il Gandiglio ed il Barchiesi. Poiritroviamo Virgilio nel Moretum, dov’è silenzioso, quasiritroso, sulla raeda di Mecenate che prende su Orazioper una delle tante scampagnate e nell’aia assolatad’una masserìa ricorda al patronus che l’olezzantefocaccia di cui s’è invogliato è il moretum pieno d’aglioche lui stesso aveva cantato da giovinetto. Nella Cenain Caudiano Nervae il Mantovano discute di poesia conOrazio e con altri dotti amici, e raccomanda alVenosino, tra lo stupore dei presenti che intuiscono ilnascere di cose immortali, di continuare la sua opera,s’egli non vivrà ancora a lungo, cantando la bellezza ela grandezza di Roma (e Orazio adempirà alla promessainnalzando il suo Carmen Speculare). In FanumVacunae Virgilio compare nel sogno di Orazio che sitramuta in un inno di riconoscenza per il suo“verecondo amico” (Lyra); in Sosii Frates BibliopolaeMarco Sosio sta dettando nel retrobottega ai suoicopisti i primi versi del primo libro delle Georgiche eVirgilio è oggetto delle critiche severe del vecchio poetaFurio Bibàculo; infine in Ultima Linea è presentenell’affettuoso ricordo di Orazio (Virgilio ormai non c’èpiù) che diviene al tempo stesso una certezzanell’immortalità della poesia.Ma guardando ai riferimenti di lingua, di stile, dicontenuto, possiamo dire che Virgilio sia presente nonsoltanto nel Liber de Poetis, bensì in tutte le altresezioni dei Carmina e massimamente, per affinità diargomenti con la poetica pascoliana, nei Ruralia, ipoemetti georgici che hanno per protagonisti animali epiante. Per tacere della poesia italiana, in cui ilMantovano è sempre costantemente presente non sololaddove compaiono temi d’ispirazione georgica, masoprattutto quando – come abbiamo già detto sopra – ildolore diviene il sostrato e il leit motiv della profondaispirazione lirica pascoliana.“Per fare un Virgilio ci vuole il dolore. Ci vuole, per direpiù propriamente, in un’anima grande la grandeemozione superstite d’un grande dolore”, egli scrive: equi è possibile trovare, in sintesi, tutto il motivodell’adesione spirituale del moderno all’antico poeta.Come scrivevo in una mia vecchia plaquette (M.PE<strong>NN</strong>ONE, Pascoli e Virgilio, Personaledit, Genova,1996, ma il breve saggio era stato scritto nel 1981 inoccasione del bimillenario della morte del sommoMantovano), il Virgilio del Pascoli è “vissuto”direttamente, non si ferma all’impressione paesaggisticadel famoso sonetto carducciano delle Rime Nuove oall’immagine bella e preziosa del sonetto dannunzianoPer la mèsse (da L’Isotteo): il Virgiliuo del Pascoli èPoeta fraternamente amico e vicino, oltre le barriere deltempo. È il Poeta degli umili, dei deboli, dei diseredati,degli “sradicati”, degli esuli; è il Poeta che ha provatosu di sé il dolore, e perciò vede gli uomini e il mondosotto una luce diversa. Il dolore è l’altro versante dellaserena Arcadia virgiliana; il dolore, presente anchenell’Eneide (si ricordi il celeberrimo verso: sunt lacrimaererum et mentem mortalia tangunt, I 462), è l’essenzache sprigiona dalla vita e dall’opera del Poeta di SanMauro. La pietas virgiliana, che nel poema immortale èriversata su Enea, è la pietas del Pascoli di fronte almondo, sia pur crudele, degli uomini; è un invito allabontà, alla mitezza, alla fraternità, a comporre lediscordie e gli odii in quel sentimento di fratellanzaumana che dovrebbe unire sulla “prona terra” tutti gliuomini, tutte le classi sociali, unite sotto la guida di unnuovo ordine universale (chi non ricorda il finale de Idue fanciulli?: “Uomini, Pace!…”).La formazione del pensiero pascoliano va ricercata,oltre che nell’influsso delle correnti positivistiche cosìattive al suo tempo, anche nel fondo intellettualisticodel pensiero dei grandi classici, specialmente la dottrinaepicurea di Lucrezio, di Orazio, dello stesso Virgilio, suiquali aveva a lungo studiato. Si viene così a ingenerareun incessante contrasto tra la sua intima natura, che lospingerebbe ad una piena adesione al Cristianesimo, ela sua formazione classica che, malgrado il desideriosincero di una fede, lo portava a dolorose conclusioniagnostiche.Lyra ed Epos ci illuminano dunque sul particolareatteggiamento del Pascoli di fronte ai classici e sul suopersonalissimo modo di intenderli e sentirli. E non pochidi quei motivi che si rilevano dalla lettura dei“commentarii” delle due antologie, dalle introduzioni edalle note ai singoli brani, li ritroviamo poi tradotti inpoesia latina nei Carmina e anche in svariati luoghidella poesia italiana. Per molti anni è sfuggito aparecchi critici il ruolo importantissimo che queste dueopere di “critica poetica” (o, come dissi io nella mia tesidi dottorato: M. PE<strong>NN</strong>ONE, Pascoli: da Lyra al Liber dePoetis. Dal momento filologico al momento creativo,Ist. Di Filologia Classica e Medievale, Univ. Degli Studidi Genova, A.A. 1977-78, di “poesia critica”) hannoavuto nella gènesi non solo di parecchi dei Carmina(alcuni di essi non sono che lo sviluppo poetico diun’idea abbozzata in sede critica, come il Catullocalvosod il Moretum), ma anche di alcune delle Myricae(come ha dimostrato A. SERONI, Per una storia delleMyricae, in “Letteratura”, 19, 1941) e dei PoemiConviviali.Ed è proprio per questa stretta interdipendenza tral’opera di pensiero e l’opera poetica che i Carmina nonsono affatto, come il Croce ebbe a credere e taluniancora continuano a sostenere, una sempliceesercitazione umanistica, ma la spontanea, naturaleespressione artistica dell’intimo sentire dell’Autore, diquegli spiriti e di quelle forme della classicità romana edel primo Cristianesimo che il Pascoli vedeva e sentivaessenzialmente nella sua veste primaria, cioè quella dipoeta. In altre parole – conclude lo Jannaco – fuproprio l’originale e speciale modo di studiare e disentire l’arte e la storia di Roma antica e le primevicende cristiane che, unitamente ad una padronanzaveramente straordinaria della lingua e della metricalatine, portò quasi necessariamente il Pascoli ad<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200973


esprimersi in siffatta grande poesia, mediante unalingua non già “morta”, ma resa ben viva e vitale dallasua arte..Abbiamo già notato come egli tenda, nellarappresentazione della classicità romana ed anche,nella piccola parte che le è data, di quella greca, arivestire con colori sfumati, impressionistici, oppure avelare con significati simbolici quei motivi dell’anticapoesia ch’egli sentiva più come “suoi”. In tal modo, eglitrasforma il mondo pagano dei Carmina adattandoloalle sue ben diverse esigenze spirituali.Quanta abilità riveli l’arte pascoliana nell’abolire ognibarriera temporale e nel fondere concezioni di vita e dipensiero diverse, pur nello sforzo di smussare quelnaturale contrasto cui sopra accennavamo, loconstatiamo sia nella lettura di parecchi luoghi dei“commentarii” delle due antologie latine, sia nellacompiuta realizzazione artistica del Liber de Poetis e dimolti altri luoghi dei Carmina. Lo sforzo cessa ed ilcontrasto è poi superato nei poemetti d’ispirazionecristiana (Poemata Christiana), i quali sono vivificati dalsoffio di una calda e spontanea ispirazione, che derivada una commozione profondamente sentita e vissuta: siricordi lo stupendo poemetto Thallusa, definito il suo“canto del cigno”.Marco Pennone– Savona –IL PRAGMATISMO ANALITICO ITALIANO DI M.CALDERONI E G. VAILATI. DUE BREVI PREMESSEMETODOLOGICHENei miei studi su Mario Calderoni 1 ho intesoeffettuare un’attenta analisi delle fonti filosofiche dicostui e sottolinearne orientamenti e concezioni neiconfronti di un buon numero di «dilemmi filosofici»dibattuti nel nostro continente verso la finedell’ottocento, nel tentativo di dimostrare come inCalderoni e Vailati si realizzi un redditizio matrimoniotra analiticità e pragmatismo, oltre a ricostruire interessie relazioni culturali comuni a costui e Giovanni Vailati 2 .Due sono i teoremi storiografici sostenuti: I] teoremadella comunanza di tradizione, con inserimento diGiovanni Vailati e Mario Calderoni in un’unica autonomatradizione di ricerca (pragmatismo analitico italiano); II]teorema dell’analiticità moderata 3 , con conferma dellavalidità teoretica dell’esistenza d’un innovativo connubiotra analiticità e pragmatismo nella weltanschauungcalderoniana. C’è chi alla morte di Calderoni scrive:Mario Calderoni ebbe anche maestri viventi, eitaliani: in economia Vilfredo Pareto, in politicaGaetano Mosca, in metodica Giovanni Vailati.Anche questi scelti bene e da lui seguiti conquella lealtà dignitosa che ha orrore eguale diparer servile o petulante. Era il fedele in cui riponfede il maggiore; il discepolo che merita didiventar maestro. A molti parve nulla più che ungarrulo famulo di Vailati: il primo a sdegnarsidell’ingiuria era proprio l’onesto e grandeGiovanni. Tra i due ci fu affetto, affinità di mente,comunanza di principî, collaborazione di caccia(caccia d’errori e di verità) ma nulla dicomparabile ai rapporti di un Wagner col dottorFaust, di un Charron rispetto a Montaigne, o,peggio ancora, di un Eckermann con Goethe.Calderoni, più giovane, dovette molto a Vailati ericonosceva, da galantuomo, i suoi debiti. Ma nonfu debitore al modo di colui che spende dal sartoi talenti mutuati ma al modo d’uno che semina ilgrano preso a prestito e colle spighe cresciute emoltiplicate fa tanto pane da invitare a cenaanche il creditore 4 ;è messo in chiaro come esista una salda comunioneculturale tra Calderoni e Vailati 5 , situazione riconosciutadalla dottrina moderna soltanto di recente e sottosembianza di comunanza di retroterra culturale ocomunanza di modalità e stili di risoluzione dei dilemmifilosofici. Questa comunione è – secondo unadefinizione di «tradizione di ricerca» introdotta daLaudan in critica alle antecedenti concezioni di Lakatose Kuhn 6 una sorta di adesione culturale costante riferitaa un numero elevato di ambiti tematici. Pur nella stimadell’assoluta irriducibilità, anche vicendevole, dellenarrazioni teoretiche dei nostri due autori, è benericordare come sia attività vana cercare di scinderneradici, discorsi, concezioni: sarà necessario a] dissvelarei retroterra culturali comuni a Vailati eCalderoni 7 , b] considerare l’eventuale incidenza di essisu Calderoni e c] connettere la nostra analisi deiretroterra culturali di costoro all’esame di come i dueaffrontino tematiche e dilemmi filosofici. Per dimostrarel’esistenza di una reale comunione culturale(«tradizione di ricerca») tra i nostri due autori, è statomio onere mostrare esistenza di un comune retroterraculturale e esistenza di modalità comuni di affrontare idilemmi culturali [I° teorema storiografico] nelcontributo Mario Calderoni erede e continuatore dellatradizione di ricerca vailatiana 8 . Pur senza cedere allatesi anacronistica d’un Calderoni antecessoredell’analitica moderna 9 e nel desiderio di moderaremolte critiche estreme all’analiticità di Calderoni/Vailati 10 , altri contributi hanno mirato ad esaurirel’esteso dibattito sull’analiticità/ non analiticità dellatradizione di ricerca calderoniana e vailatiana,sviscerando i nessi tra analisi e pragmaticità nellemodalità narrative dei nostri autori 11 . L’attributo dellabaculinità, assistito da uno straordinario interesse neiconfronti della concretezza, diviene condizione teoreticadell’intera attività di ricerca calderoniana:[…] il richiamo agli argomenta baculina […] haavuto in vario tempo vari nomi, e recentementene ha avuto uno che non mi par meno adattodegli altri per designarla: il nome dipragmatismo 12 .Filosofia è meta-discorso indirizzato a verificareasserzioni sensate, mediante subordinazione ad analisidei discorsi nostri o altrui:I nostri bisogni e aspirazioni sono vari emolteplici […] Ma nel mondo reale lasoddisfazione di un desiderio implica il sacrificiodi un altro: l’esperienza, maestra incomoda esevera, ci ammonisce che bisogna scegliere e74<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


calcolare, pena il tocco delle sue carezze legnose;ma l’uomo per sua natura è ribelle e vorrebbenello stesso tempo mangiare la minestra econservarla. Invece la filosofia è accomodante evi può dare, se non la realtà, almeno l’illusione diconservar la minestra, creando un mondo dove lamoltiplicazione dei pani e dei pesci è un piccolofatto di cronaca giornaliera […] La loro illusioneera di sfuggire all’uno e all’altro pericolo:conservare cioè a dispetto di prove contrariecerte credenze care al loro sentimento, pur nonvuotandole di ciò precisamente che le rendevacare a loro, cioè la loro applicabilità alla vita; diconciliare in altre parole ciò che nell’esperienzainvece risultava contraddittorio 13 ;nella narrazione calderoniana, verità non è meraadaequatio rei o situazione intra-discorsiva, essendoattività di concretizzazione d’un’idea nella storiaIl richiamo alla vita, alla pratica della vita, ha pertale scopo di permetterci di eliminare d’un colpole possibili contraddizioni. Poiché ciò chesperimentiamo nella vita, ciò che palpiamo etocchiamo, ciò che incontriamo nella nostraattività, non può essere contraddittorio 14 .Questa attività di concretizzazione delle idee («attese disensazioni») consiste – secondo una efficace metaforavailatiana 15 in due diversi momenti:Il pragmatismo, come lo concepisce il Peirce, nonè che un invito, espresso in formaparticolarmente suggestiva, ad introdurre losperimentalismo non solo nella soluzione dellequestioni, ma anche nella scelta delle questionida trattarsi; a versare nelle parole, che sonol’oggetto delle nostre controversie, il lorocontenuto pratico e sperimentale allo scopo dievitare confusioni e sofismi 16 .Per CalderoniLa questione di determinare che cosa vogliamodire quando enunciamo una data proposizione,non solo è una questione affatto distinta daquella di decidere se essa sia vera o falsa: essa èuna questione che, in un modo o in un altro,occorre che sia decisa prima che la trattazionedell’altra possa essere anche soltanto iniziata. Ilpragmatismo rappresenta, in certo modo, unareazione contro la tendenza, prevalentesoprattutto nel campo filosofico, a non tenerconto di una norma metodica tanto elementarecome questa, e a impegnarsi in controversie che,in mancanza appunto di qualunque chiaradeterminazione della tesi a cui si riferiscono, nonpossono fare a meno che prolungarsiindefinitamente ed apparire insolubili otrascendenti la capacità della mente umana 17 ,e perfezionamento del metodo della filosofia inglese,presuppone che il fine che si tratta in un dato momentodi raggiungere sia la chiarezza, la precisione, la cacciatadell’equivoco e del sofisma e pertanto la visione nettadelle conseguenze degli atti nostri. Si tratta di unostrumento, di uno scalpello o lima, destinato a chi sipropone di fabbricare oggetti di determinata materia ospecie, e che non impedisce ad altri, in altreoccupazioni occupati, di valersi di altri strumenti o divalersene in altre occasioni 18 »), e verificazione, comeconvalida di «attese di sensazioni» («Il mettere inevidenza gli elementi previstivi, i quali, anche se assentidal campo della coscienza attuale, esistono sempreimpliciti nelle nostre affermazioni, è inoltre cosa deltutto conforme agli scopi della dottrina pragmatistica,scopi che sono “logici” ancor più che psicologici 19 »);caratteristica differenziale tra norma di Peirce e will-tobelievismoè una stretta connessione tra analisi everificazione extra-discorsiva, nel momento in cui:e[…] nelle due varietà di pragmatismo da medistinte (la terza possiamo per un momentolasciarla in disparte) la prima – quella che risultadirettamente dai principi posti dal Peirce nel suoarticolo e che i pragmatisti generalmente citanocome fondamentale – la prima, dico, va giudicatasupponendo desiderato da tutti un determinatofine: quello di aver le idee chiare e precise ossia– ciò che è per essa la stessa cosa- di conosceree prevedere le conseguenze dei nostri atti. Laseconda invece – quella del Will to Believerappresentauna questione di valore, diapprezzamento (Werthschätzung) fra i vari fini, eperciò dicevo ch’essa può essere abbandonata inparte ai “gusti, temperamento, all’ideale diciascheduno” 20 ,Esse (varietà del pragmatismo) sono […] tre: a)un particolare indirizzo critico, che mira adeliminare, come questioni insussistenti, tuttequelle questioni filosofiche (e non filosofiche) lequali non sieno suscettibili di tradursi in terminirelativi al nostro mondo “pratico” sperimentale[…] Il solo valore concepibile delle parole cheadoperiamo nel linguaggio ordinario consiste,secondo questo pragmatismo, nel poteresprimere delle aspettative o nel poter entrare infrasi che esprimono aspettative […] 21 .Lontano da ogni forma di riduzionismo aletico,Calderoni non rinunzia all’analisi semantica – adifferenza dell’esistenzialismo- o alla storicità dellaverità – a differenza dell’esordiente analitica-,realizzando sul binomio analisi/ verificazione, in nomed’un ideale di concretezza, l’edificio del suopragmatismo analitico; innovativo in Italia, insieme aVailati o Juvalta, e sulla scia della tradizione sassonescozzese22 , costui mette l’idea chedove verità (concretizzazione) consista di analisi, comeattribuzione di senso (« […] il pragmatismo della primaspecie, quello che può considerarsi come continuazioneL’unico senso nel quale il “pragmatismo” possaconsiderarsi avere un carattere “utilitario”, è inquanto esso conduce a scartare un certo numero<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200975


di questioni “inutili” […] perché esse non sonoche delle questioni apparenti 23a servizio dell’intuizione chePer ogni nostro atto di pensiero che noncontenga od implichi alcun riferimento al futuro,cioè alcuna previsione o aspettazione, il parere diciascuno di noi non è soggetto ad alcunacontestazione. Le divergenze o i dispareri intornoalle esperienze che ciascuno di noi prova, sonoun fatto ultimo che potrà riguardarsi come undato, ma non mai come un soggetto dicontroversia. La questione della verità o falsitàpuò nascere soltanto quando la sensazione oesperienza di cui si tratta ci suggerisca o ci facciaprevedere altre sensazioni non presenti, mafuture, non attuali, ma possibili […] 24 .Più che all’analitica esordiente britannica e tedesca, nelsuo rifiuto a distinguere analisi e verificazione extradiscorsivaorientato al concetto di contesto, lanarrazione di Calderoni e Vailati si riconnette allaseconda “stagione” americana dell’analiticanovecentesca 25 , che culminerà, in tardo novecento eattraverso autori come Quine e Davidson, nei récitsculturali di Goodman, Putnam e Rorty.***1 Mario Calderoni nasce a <strong>Ferrara</strong> nel 1879. Fino alle scuolesecondarie studia a Firenze e si laurea in Diritto nel 1901all’Università di Pisa; collabora alle riviste il “Regno” ed il“Leonardo” Nel 1909, ottiene la libera docenza in morale aBologna e, nel 1914 si ritrasferisce a Firenze, dove tiene uncorso sulla “Teoria Generale dei valori”. A causa di undrammatico esaurimento mentale, il nostro autore nontermina il corso, e, abbandonata la docenza, trascorre aRimini l’estate del 1914; tornato in autunno a Firenze eannunciata una continuazione del corso muore a soli 35 anni,ad Imola, il 14 Dicembre del 1914.2 Giovanni Vailati nasce a Crema nel 1863. Di nobili natali,studia con i Padri Barnabiti inizialmente a Monza esuccessivamente a Lodi; sostiene l’esame di licenza liceale aLodi e si iscrive alla facoltà di matematica dell’università diTorino. Laureatosi in matematica, collabora nel 1891 alla“Rivista di matematica” diretta da Peano e l’anno successivodiviene assistente di Calcolo infinitesimale all’Università diTorino. Tra il 1896 ed il 1899 tiene tre corsi di storia dellameccanica. Nel 1899, volendo dedicarsi con massima libertàai suoi vasti interessi culturali, abbandona la carrierauniversitaria e chiede di entrare nella scuola secondaria; èdocente nel liceo di Pinerolo (1899), a Siracusa (1899), a Bari(1900), a Como (1901-1904) e a Firenze. In Toscana inizia acollaborare assiduamente al “Leonardo” e nel novembre del1905 è nominato, su richiesta di Salvemini, membro di unaCommissione reale destinata alla riforma delle scuolesecondarie. Nel 1908, mentre è a Firenze, si ammala;trasferitosi a Roma, vi muore la sera del 14 Maggio 1909.3 Cfr. il mio I. POZZONI, L’analitica moderata di GiovanniVailati, in A.Di Giovanni (a cura di), Ricerche sul pensieroitaliano del Novecento, Roma, Bonanno, 2007, 15-46.4Cfr. G. PAPINI, Prefazione, in M.Calderoni, Scritti, Firenze, LaVoce, 1924, IX-X. D’ora in avanti i riferimenti testuali aCalderoni saranno indicati in base a M. CALDERONI, Scritti,Firenze, La Voce, 1924, voll. I e II; e i riferimenti testuali aVailati saranno indicati – a meno di avviso contrario- in baseall’edizione curata da M.Quaranta G. VAILATI, Scritti, Bologna,Forni, 1987, voll. I-II-III.5 Si esaminino i tentativi di accomunare Calderoni e Vailaticontro jamesianesimo di maniera dei leonardiani (Gian Falco eGiuliano), contro Positivismi non critici e contro neo-idealismoattuati da autori come M.Toraldo di Francia (M. TORALDO DIFRANCIA, Pragmatismo e disarmonie sociali: il pensiero di MarioCalderoni, Milano, Angeli, 1983), A.Santucci (A. SANTUCCI, IlPragmatismo in Italia, Bologna, Il Mulino, 1963) e M.Dal Prà(M. DAL PRÀ, Studi sul Pragmatismo italiano, Napoli,Bibliopolis, 1984). Per un uso costante del termine “sodalizio”in riferimento alle relazioni culturali tra Calderoni e Vailati siveda l’interessantissimo e trascurato articolo V. MILANESI, Sullematrici vailatiane della filosofia “pratica” di Calderoni, in“Rivista critica di storia della filosofia”, Firenze, La NuovaItalia, Luglio- Settembre 1979, 387-406.6 Cfr. L. LAUDAN, Progress and its Problems. Towards a Theoryof Scientific Growth, 1977, trad.it. Il progresso scientifico.Prospettive per una teoria, Roma, Armando, 1979, 103-104.L’autore considera una tradizione di ricerca come «[…] uninsieme di assunzioni circa contenuti e dinamiche interni adun determinato ambito di studi, e circa i metodi utili adesaminare dilemmi e a costruire teorie in tale ambito […]».L’aver aderito ad un comune insieme di assunzioni circacontenuti, dinamiche e metodo, riferite ad un numeroaltissimo di ambiti di studio, è condizione della “comunioneculturale” tra Calderoni e Vailati.7 Cfr. M. DAL PRÀ, Studi sul Pragmatismo italiano, cit., 47:«Dal modo stesso infatti in cui viene compiendo la scelta degliautori classici della storia del pensiero ai quali rifarsi, dalmodo in cui affronta l’interpretazione delle loro dottrine, dallaforma in cui ritiene di poterle, almeno in parte, ritradurre nellaformulazione della sua prospettiva generale di pragmatismo,si apprendono molti chiarimenti di rilievo della sua stessadottrina».8 Cfr. il mio I. POZZONI, Calderoni erede e continuatore dellatradizione di ricerca vailatiana, in “Annuario del centro StudiGiovanni Vailati”, Crema, Centro Studi Giovanni Vailati, 2003,55-78.9 Cfr. A. DI GIOVA<strong>NN</strong>I (a cura di), M. Calderoni- Scritti sulPragmatismo, Roma, Bonanno Editore, 2007, 34-36 («Vi sonoquindi degli aspetti che avvicinano indubbiamente il pensierodi Calderoni (così come quello di Vailati) a Wittgenstein, aMoore, all’empirismo logico, all’operazionismo, agli analisti diOxford, alle scuole di Berlino e di Leopoli- Varsavia […] Ilfilosofo ferrarese, come si vedrà negli scritti antologizzati, èun filosofo esclusivamente e consapevolmente analitico. IlNostro non ci ha lasciato nulla che non sia un’analisi […]»).10 Cfr. G. MADDALENA, Giovanni Vailati e l’arte di ragionare, inG.Maddalena- G.Tuzet (a cura di), I pragmatisti italiani,Milano, AlboVersorio, 2007, 24-26.11 Cfr. i miei I. POZZONI, Positivismi, Pragmatismo logico eneo-Positivismo, in “Il Contributo”, Roma, Aracne,n.1/2 (2006), 93-110, I. POZZONI, Pragmatismo logico, senso econtesto. I dilemmi linguistici nella riflessione filosoficacalderoniana, in “Información Filosófica”, Roma, fasc. 2(2006), III, 5-28 e I. POZZONI, Giovanni Vailati e MarioCalderoni tra meta-etica, etica descrittiva e normativa, in“Foedus”, Padova, Grafimade, n.16/III (2007), 44-57.12Cfr. M. CALDERONI, Le varietà del Pragmatismo, in“Leonardo”, II, Novembre 1904, [vol.I, 212].Precedentemente scriveva: «[…] questa categoria diargomenti – noti sotto il nome di argomenta baculina,“wooden arguments” […] costituisce una legittima reazionedel buon senso e dell’esperienza contro tutto un modo diragionare, o di esprimersi, che ha talmente viziato il pensierofilosofico da potersi quasi considerare come la caratteristicaprofessionale dei filosofi stessi» (ivi, 209-210).13 Cfr. ivi, cit., [vol.I, 211-212].14 Cfr. ivi, cit., [vol.I, 214].15 Cfr. M. CALDERONI, Il Pragmatismo e i vari modi di non dirniente, in “Rivista di Psicologia applicata”, V, 4, Luglio- Agosto76<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


1909 (in collaborazione con G. Vailati), [vol.II, 160]; costuiscrive: «E invece appunto perché il non senso, come l’errore,tendono a rinascere continuamente come le erbe nei campi,che il pensatore e lo scienziato, simili in questo a falciatori,sentono ad intervalli il bisogno di sospendere il loro lavoro perrispianare e riaffilare i loro strumenti che, dal lavoro stesso,sono resi di tanto in tanto incapaci di servir al loro scopo».16 Cfr. M. CALDERONI, Le varietà del Pragmatismo, cit., [vol.I,74-75]. Nel 1909, il nostro autore asserisce «Questi vantaggiconsistono nella possibilità di ottenere dei modi di espressionedelle credenze nostre od altrui, atti più di qualunque altro amettere in luce quali siano le operazioni o le ricerche a cuidovremmo ricorrere per provarle o confutarle; in secondoluogo nella maggior facilità di distinguere, tra le nostreasserzioni, quelle che sono effettivamente capaci di essereprovate o confutate, da quelle che si sottraggono a ognispecie di prova o di confutazione […]» (M. CALDERONI, IlPragmatismo e i vari modi di non dir niente, cit., [vol.II,133]).17 Cfr. M. CALDERONI, Le origini e l’idea fondamentale delPragmatismo, in “Rivista di psicologia applicata”, V, 1,Gennaio- Febbraio 1909 (in collaborazione con G. Vailati),consultino R. RORTY (a cura di), The Linguistic Turn, Chicago,University of Chicago, 1968 e G. BORRADORI (a cura di),Conversazioni americane, Roma-Bari, Laterza, 1992.PRAGMATISMO E DEMOCRAZIA LIRICAPoeti e canzoni del secondo millennioIvan Pozzoni– Monza –Se volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi alnuovo millennio, sceglierei questo: l’agile salto improvviso delpoeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo,dimostrando che la sua gravità contiene il segreto dellaleggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalitàdei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante,appartiene al regno della morte, come un cimiterod’automobili arrugginite.(Calvino)[vol.II, 104-105].18Cfr. M. CALDERONI, Variazioni sul Pragmatismo, in“Leonardo”, III, Febbraio 1905, [vol.I, 240].1. Poesia moderna: stato dell’arte19 Cfr. M. CALDERONI, Le origini e l’idea fondamentale delPragmatismo, cit., [vol.II, 123].Da molte voci, nella critica moderna, è evidenziato un20 Cfr. M. CALDERONI, Variazioni sul Pragmatismo, cit., [vol.I, irreversibile meccanismo d’entrata in crisi della cultura239-240]. Calderoni continua, scrivendo: «Vi sono delle umanistica tradizionale, vittima di uno scontro assaipersone che hanno una ripugnanza invincibile a servirsi del duro con i nuovi canoni umanistici connessi a consumotermometro quando hanno la febbre, perché hanno paura di di massa, mercato, ed economia. Poesia, teatro,sapere che temperatura hanno. Chi potrebbe dar loro torto narrativa, tecniche comunicative destituite di mandatosenz’altro? Non sapere può essere un fine altrettanto pratico sociale in stato di remissività confusionale, nell’ultimoquanto sapere. Ora il pragmatismo della prima specie trentennio del secolo scorso sono state messe allepresuppone risolta la questione in favore della consultazionecorde dalla tattica audace ed assimilante dei c.d. massdel termometro; l’altro, quello del Will to Believe, ci dice – emedia (cinema; televisione; musica; internet), e sonopuò essere anche cosa giustissima – che talora il consultare iltermometro fa peggiorare l’ammalato, e che spesso la miglior uscite sconfitte dal terreno di combattimento, senzacondizione per guarire da un male è di non conoscerne la resistenza effettiva, chiudendosi nell’elitarismo,gravità. Qualunque cosa si possa pensare di questi due nell’introversione artistica, nel tecnicismo; in tal senso,pragmatismi, è incontestabile che essi non stanno sullo stesso è molto interessante un’asserzione di Pier Vittoriopiano […]» (ivi, ).Tondelli, secondo cui i moderni versatori «[…] si21 Cfr. ivi, cit., [vol.I, 246-247].nascondono dietro le loro scrivanie e i loro libri.22 Cfr. ivi, cit., [vol.I, 249-250]. Per Calderoni «Esso (il primo Mescolano e affinano parole e rime. Si applaudono frapragmatismo) ci addita il principio da cui i pensatori della loro e si complimentano, premiandosi a vicenda per lecosiddetta “scuola inglese”, il Locke, Hume, Berkeley, etc., venti copie vendute. Hai la sensazione che oltre lafurono quasi istintivamente guidati nelle loro ormai classichecapacità combinatoria, oltre la perfezione formale nonricerche sui “concetti” di sostanza, realtà, materia, causa, etc.esista un’anima». L’esito dello scontro tra vecchia e[…] questi autori si domandarono: che cosa intendiamo direquando adoperiamo tali parole? Quali sono le esperienze che nuova cultura umanistica conduce – a detta di Guidoci aspettiamo quando diciamo che la tal cosa “esiste”, o è la Mazzoni- a due accadimenti radicali, riletti in chiave di“causa” o la “sostanza” di un’altra?».decadence crociata: «moltiplicazione incontrollata degli23 Cfr. M. CALDERONI, Le origini e l’idea fondamentale del scrittori dilettanti» e «marginalità sociale dei poetiPragmatismo, cit., [vol.II, 101]; successivamente, nella affermati». Perché «dilettantismo» e «marginalità»commemorazione di Giovanni Vailati stilata nel 1911, il nostro sono considerati – a torto- indizi di decadenza dellaautore osserva: «Ed in ciò consiste precisamente l’elemento cultura umanistica tradizionale? «Quotidianeità»caratteristico e distintivo del pragmatismo vailatiano di fronte estrema («Bluffando, senza/ assi nella manica,/ o nellead altri sistemi […] Laddove questi muovono guerra ad alcunemutande,/ m’accendo, nella vita,/ a mani giunte,/ comedelle più ardite ipotesi che il pensiero umano abbia tentate, eun cero,/ dalle immagini contorte, / acceso allanon distinguono a sufficienza tra un’ipotesi, per quanto ardita,e un’assurdità, i pragmatisti non riconoscono nessun nostalgia/ di menti morte.») [«Cera bollente»],problema, riguardante un’ipotesi qualsiasi, come nell’accezione riconosciuta da Roberto Galaverni ai versiirrevocabilmente insolubile, e l’insolubilità congenita di certi di Dario Bellezza, rottura romantica della Stiltrennungproblemi attribuiscono soltanto al cattivo modo di porli» (M. antica, rincrudimento dell’Erlebnislyric (Feldt) sono iCALDERONI, Intorno al Pragmatismo di G. Vailati, in “L’Anima”, tratti salienti d’una situazione di dilettantismo metrico,I, 3, Marzo, 1911, [vol.II, 356-357]).caratteristica di inizio secondo millennio, in cui a tutti24 Cfr. M. CALDERONI, Le origini e l’idea fondamentale del diviene accessibile il medium simbolico dellaPragmatismo, cit., [vol.II, 103-104].strutturazione in versi dell’esistenza, idoneo ad25 Per una visione dettagliata in merito alla storia della assicurare ad estesi settori della società moderna unseconda “stagione” americana dell’analitica novecentesca siefficace metodo di comunicazione dell’emozione77<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


individuale. Perché ostinarsi a non riconoscere l’enormedignità culturale di tale dilettantismo metrico (tuttihanno versi nascosti nell’armadio!)? Dotato di«imperativi ipotetici» estetici, à la “se vuoi … alloradevi”, mirabilmente riassunti dal Barthes de Le Degrézéro de l’écriture con riferimento al sistema di Jourdain(Poesia = Prosa + a + b + c • Prosa = Poesia – a – b -c), ciascun individuo, decisi in massima autonomia isuoi fini artistici (lessico, sintassi, metrica), avrà dirittoa conformarsi a svariate norme tecniche (tradizioni), nelcammino di avvicinamento ad essi fini; lontanadall’essere un sintomo di decadenza, reo d’assorbirel’individuo in cori artistici in costante conflitto, la varietàdelle tradizioni di riferimento diventa un’occasione discambio, d’innovazione, di libertà. Nel secolo scorsoestensione dei diritti civili e strumentalismo etico(deweyiano) hanno avviato un cammino, non ancoraultimato, di edificazione dell’idea di democrazia civile;nel nuovo millennio dilettantismo metrico estrumentalismo estetico avvieranno un cammino diedificazione dell’idea di democrazia lirica, simile allademocrazia civile, ambito comunitario di addestramentolirico e di realizzazione del valore estetico. Per salvare lacultura umanistica tradizionale dall’assalto uniformantedel nuovo umanesimo massmediatico, inibente, acritico,reificante, occorre riuscire a trasformare tale diffusodilettantismo in una efficiente democrazia, veicolando imetodi dello strumentalismo estetico; nel casodell’attività metrica, occorre riuscire a tradurre il«dilettantismo metrico» rilevato da Mazzoni nei terminidialettici d’una coerente democrazia lirica. Partendo dasolide radici di dilettantismo metrico, fuori dai coritradizionali, il mio Mostri, l’intera mia attività in versi daUnderground (2006), a Riserva Indiana (2007), a VersiIntroversi (2008), mirano ad evidenziare essa necessitàdi democratizzazione della moderna Erlebnislyrik,basandosi su uno stile caratterizzato da a] un lessicoordinario, disadorno, senza che una netta immissione dimateriale “basso” sia controbilanciata da correlatiincrementi dell’ornatus, in totale rifiuto della poeticdiction; b] una sintassi razionale, intimistica,mentalistica, rivolta all’estrinsecazione di stream ofconsciousness, con incessante riferimento al dualismomascheramento/ smascheramento, oscurità/illuminazione, nell’uso costante delle strutture retorichedi metafora e metonimia; c] una metrica cinica, antiformalistica,arroccata in un versoliberismo estremo, dalverso breve, idoneo ad avvicinare narrazione in versi ediscorso ordinario («Libero, ai mutare/ instabili dei miei/stati umorali,/ alle urla anarchiche/ da balconi diroccati/sacrifico metriche/ aritmetiche, nate/ morte ebattezzate/ in tombe asettiche/ di norme espettorate/dalle bocche ipocrite/ di società malate») [«Disfemia,disfemia…»]. Lessico ordinario (“basso”), concetti «tritie ritriti», sintassi mentalistica, chiusa (metafora) edischiusa (metonimia) alla vita, metrica cinica e versolibero indirizzano la mia attività artistica sulla strada delrealismo letterario, lastricata di critica alla societàmoderna (c.d. vita trendy; etica del successo; mondodel lavoro), all’umanità moderna («inautenticità»adattabilità, a tutti i costi; analfabetismo emotivo;incultura), alle istituzioni moderne (dominanza econtrollo). Il mio non è – come astutamente indicaAntonino Di Giovanni nella sua Postfazione alla miaraccolta Riserva Indiana (2007)- uno stoicismo metrico,non asservendo aneliti di autonomia, autarchia eanarchia ad alcun senso del dovere («Perché, amicolontano,/ t’appare strano, e/ tanto biasimevole, che/ aun cinico, come me,/ spiaccian le regole?») [«Disfemia,disfemia…»]; nella mia arte, onerosa e mai doverosa,da umile officina d’artigianato, non v’è rifiuto di slanciedonistici alla libertà – intesa à la Onfray- come ironiasocratica e cinica. La salvezza della cultura umanisticatradizionale, in crisi nera, in ritirata davanti all’incederedel nuovo umanesimo massmediatico, sta nellarealizzazione di un mix di democrazia lirica(dilettantismo metrico + strumentalismo estetico) erealismo critico.2. Poeta moderno come «mostro anti-mostro»Preso in considerazione lo stato dell’arte metricaall’inizio del secondo millennio, nell’attuale contestod’entrata in crisi della cultura umanistica tradizionale ed’entrata in disfacimento del mandato sociale verso ivalori estetici di essa cultura, che ruolo attribuireall’artista, a chi scriva versi? Con Mostri cerco di daresoluzione concreta alle difficoltà esistenziali dell’artista,definendone il ruolo sociale e muovendo dalla chiavenarrativa della nozione ambigua (vagueness) di«mostruosità»: a] mostruosità terrorizzante (attività dicreazione di dolore) da mostro/1 (attore di dolore),volta ad eternare i nessi di dominanza/ controlloesistenti, mediante discriminazione, e b] mostruositàterrorizzata (attività di sottomissione al dolore) damostro/2 (vittima di dolore), destinata a mantenere,senza reazione, i nessi di dominanza/ controllo,mediante «marginalizzazione». La dualità semanticadella nozione di “mostro” torna subito chiara nellacanzone introduttiva alla raccolta («Mostri»), dove imostri (mostri/1) «[…] zitti zitti,/ s’avvicinano […]» alleloro vittime, introducendo azioni annichilenti come«rubandomi i comandi,/ stralciando i miei sorrisi»,«attentando a desideri,/ ammazzando nuvole»,«arrestando i venti,/ molestando salici» [«Mostri»],creando sensazioni di «vuoto», «dolore», solitudine,attuando una trasformazione «emarginante» dellavittima in mostro (mostro/2) «[…] d’intensità minore[…]»; la dualità della mostruosità – retta sul binomiocarnefice/ vittima- arriva a motivare la «marginalitàsociale dei poeti», mettendo costoro in relazione diconflitto con i mostri/1 e in relazione di condivisionecon i mostri/2. Poeta è mostro anti-mostro, esserecontaminato dalla natura «marginale» del disadattato(mostro/2) e abile ad esser terrorista nei confronti deimoderni carnefici d’anime (mostri/1); tale connotazionedel ruolo dell’artista come mostro anti-mostro è traitd’union dell’intera raccolta, manifestandosi in unnumero elevato di canzoni: in «Mostri» («Quando imostri/ se ne vanno,/ io resto,/ mostro/ d’intensitàminore/ senza manie/ d’arresto,/ […] a terrorizzare/i tuoi mostri […]»), in «Business Plan» («[…] vorreiesser scudo/ di chi si sente male,/ lancia nel costato/ dichi si non s’è voltato/ a vedere un Cristo nudo,/massacrato di botte,/ senza dover essere/ unnuovo Don Chisciotte;/ vorrei esser Sancho,/ rifiutato, esconcio,/ deluso, brutto/ - dannazione!-,/ con nel78<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


ventre/ rabbia e umiliazione,/ dallo scudo rotto,/ senzauna bilancia,/ per poter mettere/ costi a destra,e/ benefici nella pancia»), nell’incitamento di «Letteradall’assedio» («Perché se vivrai/ questa vita di merda/fino in fondo,/ andando a fondo,/ mille altre vite dimerda/ troveranno la forza/ di non arrendersi e/ dicontinuare/ a vivere»). I mostri/1, creatori occulti d’unaweltanschauung del successo molto simile allaconcezione del mondo omerica (etica del successo;esaltazione della bellezza; reificazione dell’individuodebole; mercificazione dei sentimenti), sintetizzata –nella mia riflessione culturale- dalla nozione di vitatrendy, incarcerano in essa i deboli (mostri/2),condannandoli, attraverso ad una sorta di sindrome diStoccolma, ad esistenze inautentiche (nell’accezioneavalutativa heideggeriana), d’ansia e dolore, e alla«marginalità» sociale, ai fini di eternare i modi disfruttamento (dominanza e controllo) esercitati da unaabile minoranza su moltitudini scoordinate; sublimato inmostro/2, l’artista – a detta mia- ha l’onere morale diresistere alla vita trendy, in costante rivolta (Camus)contro i creatori occulti d’un circolo tanto vizioso: nelruolo di mostro anti-mostro, costui deve intrattenererelazioni di a] condivisione esistenziale coi mostri/2, b]rivolta contro i mostri/1 e c] resistenza alle sireneincantatrici della vita trendy, abbandonato alla testardaricerca di una democrazia lirica da tramutare in realedemocrazia civile. Come si individua la c.d. vita trendy,habitat/ habitus della mostruosa weltanschauung delsuccesso, così caratteristica delle moderne societàoccidentali, nella raccolta Mostri? La vita trendy –simbolo artistico della moderna weltanschauungoccidentale- consiste nell’esaltazione accentuata delsuccesso (danaro; carriera; bellezza), nella criticacrudele ai fallimenti individuali (miseria; mancanza dilavoro; bruttezza), nella realizzazione di un’eticanarcisistica, senza interessi comunitari, nellavalorizzazione di modalità nichilistiche d’esistenza; chi,vittima dei canoni inarrivabili della vita trendy, nonriesca a sottrarsi all’etichetta del fallimento, o cadenella banalità d’una esistenza inautentica (vuotochiacchiericcio heideggeriano) o è martirizzato daldolore, come in «Cervelli assassini» («Perché i cervellimorti,/ distesi nelle camere/ mortuarie d’un ospedale,/sono milioni,/ sono milioni, e/ non fanno male»).L’attenzione narcisistica morbosa verso bellezzaesteriore e sensualità edonistica (con dovute cauteleonfrayiane) è criticata nella canzone «Artificieredisinnescato», dai versi «[…] e non mi duole, vanomotore/ non curare cuore ed immagine,/ nella societàdel disimpegno/ tenuta insieme, tenuta a bada,/ da litrie litri/ di crema abbronzante e di collagene./ Metterebombe metriche/ senza disinnesco/ non serve / a uncazzo,/ in un mondo/ dove una diffusa/ morte mentale/non crei imbarazzo»; attraverso una semanticaammiccante è evidenziato – nella canzone «C’ètempo!»- come la società moderna ci coarti a vivere«[…] schiavi d’un senso/ di vuoto anaerobico/ contromondi estetici/ anestetizzati, vittime/ di curved’indifferenza,/ mozzafiato, su donne/ di malaffare[…]». Sulle strade sinistrate della società moderna,«Cammino svelto,/ in solitudine,/ […] incontrando, inrare occasioni,/ i vostri valori, sdraiati,/ volatili comelocuste,/ lungo i bordi acuminati/ d’una sdraio diProcuste» [«Donec ad metam»], nella certezza dellascarsa efficienza morale d’un’etica narcisistica; l’idealedella solitudine etica è ribadito nella canzone «Donatoresano» («Canta, solitudine,/ d’un’anima irriverente,/trovata morta/ nell’anticamera/ dell’esistenza,/ traconati di vomito,/ vestiti trendy, e/ mari madidi/d’indifferenza»). Nella raccolta, in varie canzoni, è vivauna costante riaffermazione dell’onere dell’artista diesternare un certo distacco dalla vita trendy, senzarinunziare a scendere in essa a fini descrittivi,simbolizzata dai versi: «Dalla Milano da bere, / midisinnesco astemio,/ naso nascosto alle/ risate,ritmate col sedere,/ d’un mondo chiuso/ in manicomio»[«Cera bollente»]; chi scenda nell’inferno della vitatrendy senza distacco, a causa di inarrivabili standardsdi successo, costretto a dichiarare fallimento, è trafittoda ansia, stress, dolore, frustrazione. Un’intensasituazione di dolore esistenziale è tratto comune dellanatura dell’esistenza inautentica e dello sconfitto: tutti«[…] camminiamo, bendati,/ su righe ansiose/ dicocaina, dolore,/ su fili astiosi, tesi/ ad asciugare il sole[…]» [«Spleen»], senza «via di fuga», «via di scampo»,senza «via d’uscita», «via tracciata», «[…] nel terroreinsano/ di abbandonarsi/ a guardare mare,/ cielo estelle […]» [«Cavalieri del lavoro»]; contaminata daun’esistenza inautentica o dalla sconfitta, la vita diviene«[…] un carcere d’odio,/ d’ansia, smarrimento/ e demoralizzazione,/d’animali braccati / carnefici diviolenza,/ e brutalità inattese,/ che muoion dentro,/uccidendo mondi/ mondati a stento» [«Cervelliassassini»], dove l’artista, non smarcato dal doloreesistenziale, rimane «mentre tutti ballano,/ mentre tuttiridono,/ mentre tutti scrivono,/ immerso in un dolore/che non dimentica/ i nostri trascorsi/ da belve umane»[«Malocchio»], in stretta relazione di condivisione colterrore dei deboli, con l’unico scudo (indice diresistenza) della finalità suturativa del verso («Per me,scrivo,/ immergendo/ i miei mille incubi/ nell’acidomuriatico,/ disossando sogni,/ scaricando rogne,/disinnescandomi») [«Per me, scrivo!»]. L’artistamoderno – come detto- ha onere morale d’intrattenererelazioni di condivisione emotiva coi mostri/2, anche senell’abisso lirico dell’io individuale «Non me ne / fregaun cazzo,/ dei vostri amori traditi,/ dei vostri stress,/delle vostre carriere/ di cartone,/ dei vostri sorrisivuoti,/ delle vostre aspettative/ di commiserazione,/ deivostri meriti, o omissioni,/ delle vostre richieste/ diconsigli, e/ raccomandazioni» [«Cinico, e bastardo»],condividendo rifiuti («No, non sorrido,/ chiuso incamere/ sterili, a scrivere,/ a costruire roba/ che noninteressa,/ sotto tono, sotto vuoto,/ correndo di rifiuto/in rifiuto, nella vita,/ nell’amore, nell’arte») [«Sorrisosdentato»] e sconfitte («Fiori rosa/ nella corazza/dell’eroe/ sconfitto») [«Orchidee d’Achille»]; e,mantenendosi in bilico tra distacco e adesione, tradimensione descrittiva ed emotiva, assume ruoli dinarratore («[…] coi miei occhi,/ specchi del terrore/della povera gente […]») [«Cecchina»] e attore («[…]io, cuore bollente,/ mi trovo ad agio in / queste vesti,incandescenti,/ da diavolo moderno […]») [«Diavolomoderno»] del dolore esistenziale, delle antinomiesociali. Altro onere morale dell’artista è di intrattenererelazioni di rivolta contro i valori di mostri/1 e vitatrendy, arrivando a somministrare, in dosi adatte alla<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200979


esistenza sua e del lettore, il farmakon metrico dellaserenità esistenziale. Con la canzone «Resistendo,mordo» è delineata una sorta di necessità tassativa allaresistenza, nell’asserzione «[…] urgenza […]/ èresistere, resistere/ nella dignità decorosa/ delringhiare/ d’un randagio ferito,/ senza certezze,/ senzasuccessi,/ senza carezze […]»; restano vivi i contornidell’«assassinio morale», effetto di un ostinato nonconformarsi ai valori morali della vita trendy, escaturente dalla tensione tra concorrere e «[…] nonconcorrere,/ con ritmi stolidi,/ all’eccellenza/dell’esistenza […]» [«Roaccutan»]. E’ sommo interessedell’artista resistere, in costante rivolta, evitando, a se ead altri, «assassinii morali», assicurando massimaefficacia alla valenza suturativa del verso, come nellaconclusione della canzone «Eremita»; la «marginalitàsociale dei poeti» - nella condivisione dei destini di umilie sconfitti- è uno stadio necessario del camminodell’artista sulla strada della resistenza contro societàmalate, istituzioni corrotte e diffuso conformismo. Cosasalverà la cultura umanistica tradizionale in declino?«Ma cosa costruiremo,/ collaborando, in via/continuativa, senza/ cantare, senza ballare,/ senzacreare?» [«Pezzi di ricambio»].contesto letterario italiano non era invece ancorapronto al romanzo borghese che si andava sviluppandoin Inghilterra e l’influenza di Fielding si faceva quindisentire principalmente su autori di teatro come Goldonie Chiari. Il processo traduttivo che fece conoscerel’opera fieldinghiana in Italia diviene quindi unstimolante oggetto di analisi. È interessante, adesempio, scoprire che la traduzione del Joseph Andrewsda parte di Giovan Antonio Pedrini (pubblicata sotto lopseudonimo di Nigillo Scamandrio una decina di annidopo l’originale), è indirizzata ad un pubblicoaristocratico, piuttosto che ad un pubblico medio.Tuttavia, ciò non impedisce a quest’opera, secondoPetrocchi, di divenire il tramite per la futura produzioneletteraria di tipo romanzesco in Italia, con interessantispunti stilistici che uniscono il linguaggio teatrale aquello letterario (p.19).In modo più approfondito, il secondo capitolo guida illettore alla comprensione del contesto culturale eletterario in cui si inserisce il lavoro di Pedrini e che,come sostiene Petrocchi, influenza la sua personalità eil suo lavoro di traduttore. Questi era un abate vissutonella Repubblica di Venezia del ‘700 e membrodell’Accademia dell’Arcadia, la quale, sebbeneprincipalmente interessata alla traduzione di testiIvan Pozzoni classici dal latino e dal greco, incitava la traduzione di– Monza – testi filosofici, scientifici, politici e talvolta letterari diorigine francese, inglese e tedesca. Tale apertura allePetrocchi Valeriainfluenze esterne mirava a uno sviluppo linguisticoTIPOLOGIE TRADUTTIVEdell’italiano in grado di creare coesione eCLUEB: Bologna 2004, pp. 224, € 15,00consapevolezza nazionale in un’Italia ancora divisa maaccomunata da un medesimo passato. Non dovrebbeIl libro di Valeria Petrocchi si divide in due parti. Lapertanto sorprendere che la traduzione del Pedrini siaprima parte mira ad uno studio comparato delle unichefortemente influenzata da francesismi e anglicismi chedue traduzioni italiane del Joseph Andrews di Hanrycontribuiscono alla sperimentazione linguistica eFielding da parte di Giovan Antonio Pedrini e Giorgiostilistica all’interno dell’opera, con modifiche al testoMelchiori. La seconda parte analizza la traduzione dellatalvolta rilevanti.trasposizione cinematografica di Alan Dent e SirAl fine di offrire un quadro completo del climaLaurence Oliver dell’opera sheakespeariana Hamlet.socioculturale italiano del diciottesimo secolo, PetrocchiL’approccio metodologico utilizzato viene definitooffre al lettore un’interessante discussione delledall’autrice del libro di tipo ‘psicobiografico’, cioè basatoquestioni politiche e religiose che caratterizzarono ilsull’analisi del periodo storico e socioculturale in cuiperiodo e che ne influenzarono la produzione letteraria.ognuna di queste opere fu portata a termine. È infattiL’autrice spiega, infatti, come i letterati e politici delconvinzione di Petrocchi che questi fattori, insieme atempo sentissero la forte ingerenza delle istituzioni e, inquelli prettamente personali, giochino un ruoloparticolare, quella degli Inquisitori dello Stato nellafondamentale nelle scelte operate dal traduttore (p.11).Repubblica di Venezia (per conto della quale PedriniIn quest’ottica quindi il titolo stesso del libro intendelavorava come ambasciatore) e della Chiesa cattolica,porre l’accento sulle cause contingenti che fanno sì cheche passavano al vaglio i testi prima della loroun testo tradotto si sviluppi e possa essere definitopubblicazione e sui quali potevano imporre la censura.all’interno di una chiara tipologia.Altro fattore rilevante era la forte influenza culturale eIl percorso di analisi delle fonti da parte di Petrocchilinguistica della Francia su molti Paesi europei.si basa sul desiderio di fornire una visione eNonostante in Italia si potesse notare un certo interessecomprensione esaustiva dell’argomento e dei testiper il mondo anglosassone, la maggior parte deitrattati. Pertanto, nella prima parte, l’autrice offre ailetterati rimaneva legata al francese, la lingua francapropri lettori un primo capitolo d’introduzione all’operadel tempo, e alla sua letteratura e cultura illuminista.originaria, il Joseph Andrews di Hanry Fielding.Come precisa Petrocchi, la traduzione francese delPetrocchi ripercorre il periodo sia storico che culturaleJoseph Andrews da parte Pierre-François Guyotin cui l’autore scrive e si sofferma sulla rilevanza diDesfontaines influenza fortemente quella del Pedrini eFielding come uno dei precursori del romanzo sia indiviene un chiaro esempio di tale fenomeno. Ad ogniInghilterra che in tutta Europa. In un periodo di crisi delmodo, ciò non impedisce al Pedrini di discostarseneteatro, il ‘700 inglese vedeva fiorire un nuovo stiletalvolta e usare l’originale inglese come testo diletterario in cui l’opera di Fielding si contraddistinguevapartenza per il proprio lavoro al fine di dargliper il linguaggio vicino a quello parlato e per ilun’impronta personale, che tenta anche di soddisfare lemessaggio sociale e morale che essa intendevaesigenze specifiche del pubblico italiano.trasmettere ai propri lettori. Come spiega l’autrice, il80<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


Petrocchi applica lo stesso processo metodologico alquarto capitolo che presenta il contesto socioculturaleitaliano in cui vive Giorgio Melchiori, secondo traduttoreitaliano del Joseph Andrews. Da esso si possonocogliere le notevoli differenze che distinguino questoperiodo storico da quello precedentemente discusso eche sembrano essere direttamente connessi con illavoro di Melchiori. In primo luogo, l’Italia della secondametà del Novecento era oramai un Paese unificato conuna precisa identità nazionale e una lingua standard.Altro fattore di particolare interesse è inoltre l’ambienteeditoriale italiano del tempo e il diverso orientamento dialcune case editrici (ad esempio, la Mondadori verso unmercato di massa, la Garzanti verso quellointellettuale). Infine, la figura del traduttore è ormaiben delineata professionalmente e il suo lavoro si basasu precise metodologie, sviluppate con rigorescientifico, e capace di offrire un prodotto che miraall’alfabetizzazione delle masse e alla diffusione dellaletteratura presente e passata.Da questo si passa al quinto capitolo in cui Petrocchisi concentra sulla figura di Melchiori per ricordarnel’educazione accademica e, in particolare, l’influenza diMario Praz sullo sviluppo delle sue innate capacitàtraduttive. Il capitolo è poi arricchito dall’analisi dellavoro di Melchiori che porta Petrocchi a descriverne latipologia traduttiva basata su tre punti fermi: attenzioneal pubblico d’arrivo, conoscenza della personalità elavoro dell’autore del testo di partenza e studio dellalingua di un autore rappresentativo nella culturad’arrivo e contemporaneo all’autore originale.Suggerimenti preziosi questi, a volte dati per scontatianche dagli stessi traduttori se Melchiori stesso sostienedi non aver mai seguito teorie traduttive prestabilite.Alla luce di quanto discusso nei capitoli precedenti,Petrocchi porta avanti un’analisi comparata delle dueversioni italiane del Joseph Andrews, la quale rivelainteressanti differenze tra le due traduzioni e il modo dioperare dei traduttori. Ciò sembra quindi confermarel’ipotesi presentata all’inizio del libro che sostiene cheentrambi i traduttori sono stati influenzati dal periodostorico in cui hanno operato, ma anche da specifichescelte personali. La discussione dei numerosi esempiviene categorizzata e suddivisa in sottosezioni chevanno dalle difficoltà traduttive basate sull’ironia delregistro dei personaggi alle espressioni idiomatiche, dallinguaggio del realismo dell’originale all’umorismotrasmetto creativamente dai nomi dei personaggi. Daciò, Petrocchi conclude che il lavoro di Pedrini èfortemente influenzato dalle scelte fatte dal traduttorefrancese Desfontaines, dl quale saltuariamente siallontana per tradurre direttamente dall’originaleinglese per ragioni di gusto personali (ad esempioquando riproduce il registro della comicità fieldinghianautilizzato per vari personaggi e in particolare perSlipslop). Al contrario, il lavoro di Melchiori dimostraessere il risultato del modus operandi del traduttore. Dauna parte egli riesce a cogliere e a ri-creare l’atmosferadel testo originale, grazie all’utilizzo di terminisettecenteschi; dall’altra, rimane legato al presente, conla prosa fluida dell’italiano del ventesimo secolo.Esempio di una chiara metodologica traduttiva inMelchiori è, secondo Petrocchi, lasciare immutati i nomidei personaggi che in inglese hanno precise valenzesatiriche (ad eccezion fatta di Mrs. Gave-Airs, tradottocon Madama Austerià). Al contrario, Pedrini sceglie ditradurre la maggior parte di questi nomi (Mrs. Gave-Airs diventa Madama Prudenzia), sempre su calcofrancese ma, sfortunatamente, essi non rispecchiano iltentativo del traduttore francese di ri-creare i giochi diparole esistenti nell’originale.Il settimo capitolo l’autrice fa il punto sullecaratteristiche delle due tipologie traduttive analizzate.L’opera di Pedrini, fortemente influenzata dalla prosafrancese e inglese, è il prodotto di una sperimentazionelinguistica che mira allo sviluppo di una prosa italianapiù scorrevole e colloquiale, fino a quel momentopresente solo nei testi teatrali. Melchiori, al contrario,opera a metà del ventesimo secolo e, pur mantenendoil linguaggio settecentesco per ragioni stilistiche,presenta una prosa che riflette una lingua che si èormai sviluppata a pieno.La seconda parte del libro è in linea con la prima.L’analisi e comprensione della la tipologia traduttivasviluppata da Gian Gaspare Napolitano nel tradurre latrasposizione cinematografica dell’Hamlet di Alan Dente Sir Laurence Oliver si basa in primo luogo sulladiscussione dei fattori socioculturali e personali cheoperano sul lavoro del traduttore. Inoltre, si tiene contodelle caratteristiche specifiche del testo sotto analisi,che fonde il linguaggio poetico e lirico del teatroall’immagine filmica. Nel primo capitolo, Petrocchidescrive con rigore di cronaca l’ambiante culturaleitaliano di metà Novecento, periodo in cui il film escenelle sale cinematografiche. Sulla base delle fontiricercate, Petrocchi dimostra come la criticacinematografica sulle testate giornalistiche sembravadimenticare che la versione italiana era un prodottopassato attraverso un processo traduttivo e didoppiaggio. Al contrario, Petrocchi desidera analizzarein che misura il rapporto fra immagine e il testo scrittoabbiamo agito sulla traduzione italiana.Nel secondo e terzo capitolo Petrocchi riflette suquella che chiama la ‘prima’ traduzione, cioè latrasposizione da testo teatrale dell’Hamlet asceneggiatura da parte di Dent e Oliver e influenzata inprimis dal mezzo utilizzato. Ad esempio, la scelta ditagliare delle parti del testo veniva dettata dal bisognodi rientrare nei tempi standard di una proiezionecinematografica e non dal desiderio di modificare osintetizzare il testo. Allo stesso modo, cambiare l’ordinedi alcune scene – come l’incontro di Amleto con il padreprima di quello con Ofelia – era un modo perenfatizzare la relatività delle vicende umane e usare ilvoice-over durante il monologo di Amleto intendevasottolinearne il suo travaglio psicologico interiore.Secondo Petrocchi, la ‘seconda’ traduzione, quella adopera di Napolitano, è naturalmente influenzata dallescelte stilistiche compiute da Dent e Oliver. Tuttavia,Petrocchi dimostra come altri elementi abbiano incisosulle scelte lessicali compiute da Napolitano. Fattoritecnici, come la sincronizzazione labiale, o personali,come l’appartenenza del traduttore al movimentofuturista (per il quale il cinema e la lingua usata in essodovevano essere mezzi di educazione della società) loportano a creare una prosa “pratica, concisa,essenziale, limpida, intensa e vigorosa, linguisticamentericca e opportunamente dosata, capace di alternare, a<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200981


seconda delle circostanze, momenti di intimaintrospezione con momenti di descrittivismo pittorico”(p.209). Un giudizio positivo quindi quello di Petrocchi,che inoltre sottolinea come Napolitano sia riuscito arimanere fedele non solo al lirismo dell’operashakespeariana in generale, ma anche al lavoroinnovativo di Oliver e, allo stesso tempo, a dare allaversione italiana spessore e soprattutto scorrevolezza.Doveroso, perché spesso ignorato, è il soffermarsi diPetrocchi sulla figura del doppiatore in generale e suGino Cervi in particolare, il quale fu attore di teatro etelevisione e doppiatore di Oliver per l’Hamlet. Agiudizio di Petrocchi, il lavoro di Napolitano hapermesso a Cervi di evitare ciò che succedeva a moltidoppiatori del periodo postbellico, il cui lavoro eradivenuto meccanico e spersonalizzato.Il quarto capitolo chiude la seconda parte e il libro. Inesso Petrocchi riporta preziosi informazioni riguardantila vita e il background culturale e letterario in cui simuoveva Napolitano che fu scrittore, giornalista,corrispondente estero e traduttore. L’esperienza delconflitto bellico assieme a quelle letterarie,giornalistiche e personali sembrano aver acuito in modoparticolare la sensibilità di Napolitano riguardo atematiche care al personaggio di Amleto: il travagliointeriore, l’indecisione e le atrocità di cui gli uomini sirendono capaci. Il filo rosso che sembra quindi unire letre tipologie traduttive in analisi è riassuntoi nelcommento conclusivo di Petrocchi. In esso l’autriceafferma che, nel rimanere fedele all’originale, ognitraduttore, ‘incoscientemente opera alla luce del propriostream of consciousness’ (p.214) lasciando la sua firmaindelebile sul testo tradotto.Di indubbio valore dal punto di vista metodologicoper il suo rigore e coerenza espositiva, questo librodimostra ciò che sembra spesso essere dimenticato, ecioè che il traduttore è un essere umano che, in quantotale, viene influenzato della società e cultura in cui vivee opera. Il traduttore è capace di creare un testod’arrivo conservando la bellezza stilistica e letteraria diquello di partenza. Ad ogni modo, il testo d’arrivo èsempre il risultato di un processo su cui agisconomolteplici fattori e la sua analisi descrittiva ci consente,come si è visto, una sua profonda comprensione.Inoltre, essa ci fa capire quanto di umano e creativo viè nel tradurre, purtroppo declassato spesso a purolavoro meccanico.© Dr. Margherita DoreinTRAlinea 2005 [online] http://www.intralinea.it/OSSERVAZIONE SULLA TRADUZIONEBemerkung zum Übersetzen di Martin Heidegger HölderlinsHymne ‘Der Ister’, Klostermann, Frankfurt a. M., pp. 74-76Chi decide e come si decide intorno all’esattezza diuna “traduzione”? La nostra conoscenza del significatodelle parole di una lingua straniera ce la “procuriamo”dal “dizionario”. Tuttavia ci dimentichiamo troppo infretta che le indicazioni di un dizionario riposanogeneralmente già su un’interpretazione anteriore deicontesti linguistici, dai quali sono tratti le singole paroleed i loro usi. Un dizionario fornirà nella maggior partedei casi un’esatta indicazione sul significato delleparole, ma non garantisce ancora, attraverso taleesattezza, una visione perspicua [Einsicht] della veritàdi ciò che la parola significa e può significare, nelmomento in cui incominciamo ad investigare il dominioessenziale [Wesensbereich] nominato nella parola. Un“dizionario” può fornire indicazioni utili allacomprensione delle parole, ma non è maisemplicemente e a priori un’istanza vincolante. Ilrichiamo ad un dizionario rimane pur sempre unrichiamo ad un interpretazione, per lo più difficilmenteafferrabile e nel suo modo e nei suoi limiti, di unalingua. Non appena consideriamo il linguaggioesclusivamente come mezzo di comunicazione, allora ildizionario, concepito per la tecnica della circolazione edello scambio, è “senz’altro” “a posto” e vincolante. Invista, al contrario, dello spirito istoriale[geschichtlichen] di una lingua nella sua totalità, adogni dizionario manca l’immediato carattereparadigmatico e vincolante.In realtà ciò vale tuttavia per ogni traduzione, inquanto questa deve necessariamente compiere iltrapasso dallo spirito di una certa lingua in quello diun’altra. Non c’è in generale traduzione nel senso in cuisia possibile o anche solo lecito far combaciare unaparola di una certa lingua con quella di un altra lingua.Tale impossibilità non deve altresì indurre a screditarela traduzione come semplice fallimento. Al contrario: latraduzione può portare alla luce addirittura connessionipresenti nella lingua tradotta, ma non esplicite. Da quiriconosciamo che ogni tradurre dev’essereun’interpretazione. Al tempo stesso però vale anche ilcontrario: ogni interpretazione e tutto ciò che è al suoservizio è un tradurre. Allora la traduzione non si muovesolamente tra due lingue diverse, ma c’è traduzioneall’interno di una stessa lingua. L’interpretazione degliInni di Hölderlin è un tradurre all’interno della nostrastessa lingua tedesca. Lo stesso vale perl’interpretazione che ha per tema la “Critica della ragionpura” di Kant o la “Fenomenologia dello spirito” diHegel. Riconoscere che qui si tratta necessariamente diuna traduzione o di un tradurre comporta laconstatazione che tali “opere” sono richiedonotraduzione per la loro stessa essenza. Tale necessitàperò non è una mancanza, bensì il loro intimo pregio.In altre parole: rientra nell’essenza della lingua di unpopolo storico, al pari una montagna, di degradare perlo più nella pianura e nel piano e contemporaneamentedi innalzarsi con rare vette ad altezze altrimentiirraggiungibili. In mezzo ci sono “le mezze altezze” e i“gradi”. Interpretare come traduzione è sì un rendercomprensibile – tuttavia non come lo intende il sensocomune. Per restare alla nostra immagine, la vetta diun’opera linguistica, poetante o pensante, non puòessere abbassata e l’intera la catena montuosa non puòessere schiacciata sulla pianura della superficialità. Alcontrario: la traduzione deve dislocare sul sentiero chesale verso la vetta. Render comprensibile non deve maisignificare assimilare una poesia o un pensiero ad unqualsivoglia ritenere ed al suo orizzonte dicomprensione; rendere comprensibile significarisvegliare la nostra disponibilità a spezzare edabbandonare la cieca ostinazione del senso comune, sela verità di un’opera deve dischiudersi.82<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


Questo intermezzo intorno all’essenza dellatraduzione vorrebbe ricordarci che la difficoltà di unatraduzione non è mai meramente tecnica, ma che inessa ne va del rapporto dell’uomo con l’essenza dellaparola e con la dignità della Lingua. Dimmi cosa pensidel tradurre e ti dirò chi sei._________________________NOTA: Questa breve riflessione sulla traduzione è prelevatada un corso che Heidegger tenne all’Università di Friburgo nelsemestre estivo del 1941 (proprio quando sotto il suo nasoimperversa la guerra, lo sterminio nei campi…ma questa èun’altra storia. O, forse, no?!) ed ora pubblicata nel Volume53 della Gesamtausgabe con il titolo Hölderlins Hymne ‘DerIster’. Il corso appartenente al ciclo delle letture che in queglianni Heidegger dedica agli inni di Hölderlin. Heideggerinserice questo breve intermezzo sulla traduzione, quando sitratta di interpretare (e quindi, in qualche modo, di tradurre)il significato del deinon, evocato nel primo canto dell’Antigonedi Sofocle che in una delle tante traduzioni italiane suonacosì:“Molti sono i prodigi (deina)e nulla è più prodigioso (deinoteron)dell’uomo,che varca canutosospinto dal vento tempestoso del sud,fra le ondate penetrandoche infuriano d’attorno,e la più eccelsa fra gli dei,la Terra imperitura infaticabile,consuma volgendo l’aratroanno dopo annoe con l’equina prole rivolta.”(Sofocle: Antigone; Tr. It di Franco Ferrari, BUR, pp. 83-85)Ebbene quello che qui viene reso con “prodigi” (traduzionecanonica) viene “tradotto” da Heidegger con Unheimlich(termine divenuto famoso dopo Freud e che apre ad un“ventaglio di sensi”, direbbe Mallarmé, quasi incontrollabile:spaesamento, perturbante, non-familiare etc.). Proprio pergiustificare questo gesto di violenza filologica, Heidegger sisente costretto ad inframezzare, nel corso della sua letturainterpretazione,questo breve excursus sulla traduzione.Chi ha un pò di esperienza con le letture heideggrianericonosce subito un certo stile nel trattare le questioni intornoal linguaggio. Il linguaggio non è semplicemente unostrumento a nostra disposizione e con cui comunichiamo,esprimiamo etc., ma è essenzialmente “qualcosa” di piùradicale ed originario, nel senso che qui “linguaggio” è il nomedi un’apertura da qui ogni atto di significazione divienepossibile. Il linguaggio, in sostanza, è l’evento che ci faapparire le cose, vincolandoci a dirle nel modo in cui le faapparire. Perché io dica in generale qualcosa, bisogna, comedire, che il linguaggio sia già qui; e questo semplice assioma,forse, lo si dimentica troppo spesso.Traduzione di © Daniele GalassoinTRAlinea 1998 [online] www.intralinea.itRITO E SACRIFICIO NELLE TRADUZIONI DIOTELLOL’importanza delle scelte interpretative del traduttorein rapporto all’individuazione di chiavi di lettura deltesto originaleL’argomento principe di questo articolo vuole esserel’assoluta importanza dell’interpretazione del testo daparte del traduttore. In particolare il contributo sisofferma sull’analisi di tre versioni italiane dell’Othello diShakespeare. La prima ad essere considerata è laversione di Carcano, la seconda è quella di Piccoli el’ultima è la versione di Quasimodo. Partendo dallapossibilità di una lettura in chiave rituale dell’Otelloshakespeariano, evidenziata e delimitata da due parolein particolare, “rite” e “sacrifice”, pronunciaterispettivamente da Desdemona nel primo atto e daOtello nel quinto, passo a considerare la possibilità diquella stessa lettura nelle traduzioni italiane. Ciascuntraduttore traduce un testo in base alla propriainterpretazione e alle proprie scelte personali, sicchéogni traduzione evidenzierià elementi che invece altreversioni non avevano considerato.IntroduzioneChe l’Otello sia la tragedia della gelosia lo hannosottolineato in molti. Sergio Perosa, per esempio,notava come: “L’Othello è una tragedia della gelosia,[…]”. La tragedia della gelosia “perché i personaggiparlano con codici diversi, che si incontrano solo sottomentite spoglie” (Shakespeare, 1990: L); Lessingaffermava che nessun dramma può avere sulle nostrepassioni un’influenza maggiore (in proposito vediShakespeare, 1958) ed anche Guido Ferrando, altrotraduttore shakespeariano, introducendo la versione delPiccoli notava come negare la gelosia di Otello sianegare l’evidenza[1]. Certamente è difficile negare chequesta non sia una delle tematiche che emergono daltesto shakespeariano, tuttavia essa è appunto solo unadelle tante letture che il testo suggerisce, letture che lesuccessive rappresentazioni della tragedia hanno via viamostrato sulla scena, evidenziandone di volta in volta,in maniera assolutamente tangibile, ora un aspetto oraun altro. Uno degli aspetti che con altrettantaprepotenza si fa spazio tra le pagine della tragedia èsicuramente quello della ritualità, ritualità dei gesti edelle parole dei protagonisti, tema questo che percorretutta la tragedia e che emerge dalla superficie del testoparticolarmente in alcuni punti. In effetti, sono stati iprotagonisti stessi del dramma a suggerirmi il titolo diquesto breve intervento:è Desdemona a pronunciareper prima la parola “rito”, quando nel primo atto chiedeal Doge di poter seguire suo marito a Cipro invocando“the rites for which I love him”[2] (Atto I, III, 258) ed èa sua volta invece Otello a parlare di “sacrifice”, quandonell’ultimo atto dice “makest me call what I intend to doa murder, which I thought a sacrifice” (Atto V, II, 64-65). Shakespeare ci fornisce, dunque, una chiave dilettura all’inizio del dramma, che si sviluppa e si riveleràa pieno solo alla fine. Naturalmente dal rito iniziale alsacrificio finale, ci sono ancora tutta una serie dielementi “rituali” che si presentano nella tragedia,elementi che via via si sviluppano e prendono corpofino alla rivelazione finale, suggerita da Otello stesso:non è più un “sacrificio” quello che si sta compiendosulla scena, ma piuttosto un “assassinio”. Il passaggio èdecisivo e si sviluppa per gradi fino alla rivelazioneconclusiva, concretizzandosi nella ripetizione dellaparola “murder”, che compare più volte concentratanelle ultime scene. Sono dunque i protagonisti stessi<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200983


della vicenda i “sacerdoti” dei riti che si stannosvolgendo e sono ancora loro i responsabili deltravisamento e del passaggio dal piano spirituale aquello materiale, dalla sacralità del rito sacrificaleall’abiezione dell’omicidio. Ora, che Otello e Desdemonasiano al centro dei riti che si svolgono nel corso deldramma è evidenziato non solo dai loro gesti[3], maanche dalle battute che pronunciano[4] e tuttavia èIago il solo a comprendere l’importanza della funzionerituale per i protagonisti e a sfruttarla per i suoi scopi.Ma cos’è che viene definito rito? Se consultiamol’enciclopedia Treccani, alla voce “rito” si legge:“S’intende per rito la norma dell’azione sacra fissatadalla tradizione religiosa e diretta a intrattenere lacomunicazione tra un individuo o un gruppo umano e ladivinità. Il rito è nato, in origine, da un gestospontaneo che ha accompagnato l’esplosione di undesiderio […] e che una volta sperimentato efficace, siripete fedelmente affinché l’effetto si riproduca ancora”e continua offrendo una classificazione dei diversi riti.Interessante è la distinzione riportata tra riti “magici” e“religiosità”. Tali riti “non si distinguono per lamaterialità del gesto, ma per lo spirito che informal’operatore del rito, in quanto il mago intendecostringere per interesse suo proprio o dei suoi clienti,e quindi per un fine privato, le potenze a cui si dirigeaffinché compiano una data azione, mentre ilsacerdote, anche se adopera mezzi che sembranocostrittivi, li adopera sempre in nome e a vantaggiodella comunità” (Treccani, 1936, vol. XXIX: 466).Consultando un dizionario invece, una delle vociindicate per tale termine definisce il rito “conformitàcon una consuetudine prescritta o una prassi abitualegeneralmente sentita come inderogabile o inevitabile”(Devoto-Oli, 1974: 842). Ora, l’inevitabilità della sorte diDesdemona, come pure quella di Cassio viene sancitaproprio da Iago; è lui che convincerà Roderigo dellamorte “necessaria” di Cassio, “I will show you such anecessity in his death” (Atto IV, II, 241), e sarà semprelui a convincere Otello a compiere il sacrificiopurificatore di Desdemona, “she must die” (Atto V, II,6). Iago dunque si configurerebbe come il vero“sacerdote” delle ritualizzazioni, decretando lui stesso ilcome ed il quando dei sacrifici da compiere ed anzi, inbase alla distinzione precedentemente riportata tra ritimagici e religiosi, Iago si presenterebbe come un“mago”, capace di guidare il potente generale Otello acompiere un delitto per i suoi fini, mentre Otello sipresenterebbe quale sacerdote, che si trova a doversacrificare la sua Desdemona onde impedire che possafare del male al resto della comunità.Tuttavia, se tutti i personaggi della tragedia sembranoavvertire l’inevitabilità degli avvenimenti che lisovrastano, confermata puntualmente dai continuirichiami ad un divino sentito come presente, chestabilisce chi salvare e chi no, come dichiaratoesplicitamente da Cassio (Atto II, III, 102-111), èil soloIago a ritenersi padrone del proprio destino. Iago,infatti, ha “little godliness” (Atto I, II, 9) e ritienel’uomo il solo arbitro del proprio destino, come affermanel famoso discorso del “gardener”, nel I atto. Citroviamo di fronte quindi ad un rito che sembra tale,ma che tale non è. Iago infatti si presenterebbe nellevesti di sacerdote, pur non credendo nella funzionesacrale del rito, Otello quale sacerdote esecutore di unrito di purificazione che non è tale venendo a mancarela “colpa” da espiare, Desdemona quale vittimasacrificale che nega però la sua funzione di vittima,rifiutando appunto ad Otello la responsabilità dellapropria uccisione e Cassio che non solo non vieneucciso, ma che viene ad assumere il ruolo di Otello,come arbitro del destino di Iago. “Men should be whatthey seem” (Atto III, III, 127) diceva Iago, ma “I amnot what I am” (Atto I, I, 65), frase questa che misembra essere la chiave di lettura di tutte le scene cheseguono, caratterizzate appunto dalla contrapposizionecontinua tra ciò che appare e ciò che è,contrapposizione evidenziata già nella presentazione deiprotagonisti, Desdemona ed Otello, una donna ed unuomo, bianco e nero, “paradosso coloristico”, con leparole di Melchiori, “realizzato non tanto come principiomorale, ma come espressione dell’ambiguità e dellapolivalenza della natura umana, nel contesto di quelladialettica tra apparenza e realtà che è il motivocentrale, […] di quasi tutte le tragedie (e le commedie)dello Shakespeare maturo” (Melchiori, 2005: 268).Shakespeare tradotto: l’elemento rituale nelleversioni dell’Otello di Carcano, Piccoli eQuasimodoSe la lettura in chiave rituale del dramma è possibilenell’originale, dovrebbe esserlo anche in traduzione.Tuttavia nella traduzione di un testo, così come nellarappresentazione scenica, il traduttore tenderà asottolineare alcuni aspetti dell’opera in baseall’interpretazione che ne avrà dato, cosicché ognisuccessiva traduzione del dramma sarà uguale ediversa al tempo stesso, illuminando i personaggi dinuova luce e rinnovandoli agli occhi del pubblico.Naturalmente molti sono i traduttori che si sono volutimisurare con il dramma di Otello, dalla primissimaversione italiana di Giustina Renier Michiel del 1798, aquelle di Michele Leoni, Ignazio Valletta, Giulio Carcano,Carlo Rusconi, Luigi Enrico Tettoni nell’ Ottocento,finoalle numerosissime traduzioni del Novecento, Carlo VicoLodovici, Raffaello Piccoli, Paola Ojetti, GiorgioMelchiori, Gabriele Baldini, Agostino Lombardo, solo percitarne alcune. In particolare al fine di condurreun’analisi dei testi tradotti che metta in evidenza ilvalore ed il ruolo di primo piano del traduttore, non solonella resa del dramma in un’altra lingua, ma anche nellasuccessiva interpretazione critica del testo che i lettoripotranno ricavare attraverso la lettura dell’opera“filtrata” dal traduttore, ho scelto di limitare la miaanalisi a tre versioni del testo shakespeariano, prima ditutto per motivi evidenti di spazio ma anche per motividi chiarezza. Il mio scopo in questo breve interventovuole infatti essere quello di mostrare come unatraduzione dell’originale shakespeariano inevitabilmentetenderà ad illuminare o a lasciare in ombra luoghitestuali in funzione di ciò che il traduttore stesso riterràpiù o meno importante sottolineare e la comparazionedi luoghi specifici di soli tre testi permette dievidenziare in maniera immediata e chiara il valoredelle scelte traduttive compiute dal traduttore,mettendo in luce eventuali differenze, che siconfigureranno infine come interpretazioni a loro voltadifferenti del testo originale. Le versioni considerate84<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


sono rispettivamente quella di Giulio Carcano[5],Raffaele Piccoli[6] e Salvatore Quasimodo[7]. È chiaroche al fine di evidenziare le differenze interpretative ditraduzione la scelta dei testi tradotti poteva essereanche casuale: ogni traduzione infatti saràcaratterizzata da scelte traduttive che saranno propriesolo di quel testo particolare e di nessun altro. Inquesto caso però ho voluto considerare queste treversioni particolari anche e soprattutto perché ritenutetutte e tre, alcune tra le più interessanti traduzionidell’Otello[8] e, in quanto tali, in grado di comunicareanche al pubblico italiano quelle particolarità stilistichee poetiche che rendono l’opera quello che è, nelrispetto sempre e comunque dell’originale inglese.La versione di Carcano si delinea da subito comeparticolarmente degna di nota, non solo perché ritenutauna delle migliori versioni di tutto l’Ottocento, ma ancheperché utilizzata da Ernesto Rossi e Tommaso Salvininelle primissime rappresentazioni italiane di successodel dramma. Entrambi gli attori rappresentarono latragedia nel 1856, a pochi mesi di distanza l’unodall’altro ed entrambi con successo, pur caratterizzandoi propri personaggi in maniera molto diversa. In effetti,fu proprio Ernesto Rossi a commissionare una nuovaversione dell’Otello a Carcano, già nel 1852, decidendotuttavia di rappresentare il dramma solo quattro annidopo. Il motivo di una così lunga attesa va ricercatonon solo nella cura e nell’attenzione che Rossi vollededicare a questa sua interpretazione, ma anche esoprattutto nel rischio al quale l’attore si sottoponevarappresentando un dramma verso cui il pubblico nonera particolarmente ben disposto e nel quale avevafallito il suo stesso maestro, Gustavo Modena. Rossidedicava particolare attenzione alla scelta del testotradotto utilizzato per la messa in scena, è evidenteinfatti che la rappresentazione ne sarebbe stataassolutamente condizionata. Come infatti sottolineaUmberto Eco[9], tradurre èï “dire quasi la stessa cosa”,il filtro del traduttore essendo appunto un elementoassolutamente fondamentale del processo che porteràinfine al testo tradotto. Del resto numerosi studiosi delprocesso di lettura e interpretazione del testo, come adesempio Iser[10] , ma più recentemente anche Sperbere Wilson[11], sottolineano l’importanza proprio dellettore nell’interpretazione del testo. Leggere non èoperazione matematica ed il suo risultato non è certo eimmutabile. Iser, nell’Atto della lettura, evidenzia ilruolo assolutamente unico che il lettore svolgeall’interno del testo. Il lettore infatti si muoverebbe sullapagina scritta attraverso ipotesi che egli stessoformulerà riguardo il possibile significato di un brano,ipotesi che successivamente sarà in grado di accettareo eventualmente rifiutare grazie all’apporto delle nuoveinformazioni che il brano successivo sarà in grado difornire. Anche Sperber e Wilson nella loro RelevanceTheory danno risalto al ruolo del lettore/interprete. Inquesto caso infatti l’interpretazione del testo, orale oscritto che sia, avviene in base alla relevance checiascun interprete attribuisce ad un determinatomessaggio, relevance che in ogni caso verrà attribuitanon solo in base al contesto in cui il messaggio vienerecepito, ma anche in base ad elementi assolutamentesoggettivi caratterizzanti l’interprete stesso, comeesperienze personali, grado di istruzione, ma anchelivello di attenzione prestato in un determinatomomento. Se dunque il lettore interpreta un testo, amaggior ragione il traduttore sarà anch’egli interprete.Il traduttore infatti non solo è ovviamente lettore deltesto di partenza, ma ne è a sua volta anche scrittore:le scelte interpretative che il lettore effettuerà nel corsodella lettura prenderanno infatti corpo nella traduzionestessa, concretizzazione e rappresentazione graficadelle scelte del lettore/traduttore stesso. Studiosi qualiBassnett (2006: 174) e Lefevere (1992: 92) hanno giàsottolineato l’apporto creativo del traduttore nel testotradotto, tanto che Lefevere ha definito qualsiasi formadi riscrittura come vera e propria “manipolazione” (inproposito si veda Lefevere, 2002) e l’analisi dei testitradotti mostra chiaramente fino a che punto taleaffermazione possa essere condivisa. Ora quello che quimi preme sottolineare è appunto il ruolo di primo pianoche l’interpretazione fornita dal traduttore rivestirà poiper quelli che saranno i lettori del testo tradotto. Con leparole di Umberto Eco infatti: “una buona traduzione èsempre un contributo critico alla comprensionedell’opera tradotta. Una traduzione indirizza sempre aun certo tipo di lettura dell’opera, […] perché, se iltraduttore ha negoziato scegliendo di porre attenzionea certi livelli del testo, ha in tal modo automaticamentefocalizzato su quelli l’attenzione del lettore” (Eco, 2003:247). Ora, un attore e per di più attento e scrupolosoquale appunto Ernesto Rossi, non poteva nonriconoscere il valore dell’interpretazione del testo,interpretazione che evidentemente doveva esserecongeniale a quella che lui stesso aveva intenzione dirappresentare concretamente sulla scena; non solo, mada uomo di teatro, non poteva non considerare ledifferenze esistenti tra un testo tradotto per il teatro eduno tradotto per la lettura. È naturale infatti che quelleche per un lettore sono semplici frasi pronunciate da undeterminato personaggio in un determinato momento,per l’attore sono battute che devono essere recitatesulla scena e che devono provocare un determinatoeffetto sul pubblico. Le scelte traduttive quindi inquesto caso saranno orientate anche e soprattutto aquelle che sono le esigenze dell’attore. Queste sono leragioni che spinsero Ernesto Rossi a commissionare unanuova traduzione al Carcano; riteneva infatti chel’Otello andasse recitato in versi sciolti e tuttavia latraduzione di Michele Leoni, già utilizzata dal Modenaper la sua rappresentazione, gli sembravaassolutamente inadeguata, tanto che l’attore attribuiràparte dell’insuccesso di quella prova proprio alla sceltasbagliata della versione. Pertanto, la versione delCarcano, purimportante per il valore letterario, lodiventa ancor più se considerata nel contesto italianodell’epoca. Carcano infatti, amico tra l’altro di GiuseppeVerdi, con il quale ebbe un continuo scambio di opinionidurante la stesura del Macbeth, cui lavorarono entrambinegli stessi anni, era un patriota che aveva partecipatoalle cinque giornate di Milano e che era stato esiliatoper questo, ma soprattutto era un manzoniano,convinto che l’Italia, grazie a Shakespeare, avrebbepotuto creare un teatro nazionale rinnovato e moderno.L’ostilità nei confronti del drammaturgo inglese, che eraandata maturando negli anni grazie soprattuttoall’influente giudizio di Voltaire, continuava però adesercitare pesantemente il suo influsso negativo. Ecco<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200985


allora che Carcano viene ad assumere un ruolo di primopiano: a lui infatti spetterà il difficile compito non solodi tradurre Shakespeare, ma di tradurlo nel rispetto deigusti del pubblico italiano dell’epoca. A tale scopo, purconsiderando principio inderogabile l’assoluto rispettodel testo originale, decide di operare, come diceDuranti, una sorta di “ingentilimento” (1979: 90) deldramma, dovuto essenzialmente all’uso del versoesteso a tutte le parti della tragedia, che viene così adassumere un “tono alto e declamatorio che appunto vaincontro al gusto del pubblico non abituato, anzi ostile,alle continue variazioni di tono ed agli intrecci tracolloquiale ed aulico così caratteristici del linguaggioshakespeariano” (Duranti, 1979: 84). Nonostante talelimite comunque, la traduzione del Carcano si presentaabbastanza vicina al testo originale e pur nonconservando i “riti” iniziali pronunciati da Desdemona,che diventano “diritti”[12], permette comunque dileggere nel dramma la manifestazione del rito e lasuccessiva trasformazione del sacrificio in assassinio,grazie alla presenza di termini ricorrenti anche initaliano e alla resa di “sacrifice” con “sacrificio”appunto. Del resto una lettura in termini di rito dipurificazione dell’uccisione di Desdemona doveva giàessere stata individuata sia da Rossi che da Salvini.Ernesto Rossi infatti, ricordando il successo della suaprima interpretazione di Otello, scriveva: “Il pubblicouscì commosso per la triste fine di Desdemona; mapiangeva alla sciagurata sorte di Otello, ed io procuraidi fare in lui più che l’assassino ed il carnefice,l’inevitabile sacrificatore”[13], mentre Tommaso Salviniaffermava: “Non può sopportare che com’ella ingannò ilpadre, e quindi il marito, possa altri tradire; perciò sierige giudice e giustiziere; è un sacrificio dovuto allasocietà. Egli credesi nell’obbligo di compierlo; e neldiritto di non occultarlo”[14]. Nonostante le parole delRossi, sembra tuttavia che la sua interpretazione diOtello sottolineasse più che altro il lato passionale,barbaro e selvaggio del protagonista, aspettoevidenziato soprattutto nella scena dell’uccisione diDesdemona, dove più che in un “sacrificatore” Otello sitrasforma in un vero e proprio assassino crudele,decidendo non di soffocare, ma piuttosto di strangolarela moglie sulla scena, prolungandone addirittural’agonia e destando l’orrore del pubblico (in proposito siveda Busi, 1973: pp. 175). Salvini invece, fedele allesue dichiarazioni, vede in Otello soprattutto un uomoinnamorato, non un selvaggio, convinto di compiere unvero e proprio sacrificio nell’uccisione di Desdemonainterpretazione che porterà l’attore a modificare alcunescene del dramma, decidendo di non rappresentaresulla scena il soffocamento di Desdemona e dimodificare la scena del suicidio di Otello, che si toglie lavitatagliandosi la gola. Bisogna comunque ricordareche, sebbene entrambi gli attori abbiano sicuramenteutilizzato la versione di Carcano per le lororappresentazioni, i rimaneggiamenti “che gli stessigrandi attori erano andati operando sulle versioni‘grossolane’ del Carcano” (Bragaglia, 1973: 25)dovevano essere molti. Sappiamo inoltre che la censuraintervenne sui testi tradotti con “alcuni ridicoli tagli”(Duranti, 1979: 103). Non solo, Carcano stesso lavorò avari adattamenti e “riduzioni per la scena” nei qualiappunto le esigenze teatrali dovevano essere antepostea quel criterio di assoluto rigore filologico che inveceaveva voluto seguire nelle traduzioni stampate. Comeriferisce Riccardo Duranti, Carcano in pochi annipropose almeno sei riduzioni per la scena a Salvini, ma“purtroppo è difficile giudicare con esattezzal’intervento effettivo del Carcano sui testi perché questiin genere ci sono pervenuti sotto forma di copioni (il piùdelle volte stampati all’estero ed in data moltoposteriore) e cioè dopo che essi erano già statisottoposti ad ulteriori tagli e modifiche a cura degliattori stessi: è perciò pressoché impossibile discernerela paternità dei vari interventi” (Duranti, 1979: 104).Duranti ritiene comunque probabile che “gli attoridelegassero quasi completamente a Carcano il tessutoverbale del testo, […]. In realtà essi si riservavano poidi “eseguire” le indicazioni in esso contenute affidandoil senso alle proprie capacità espressive” (Duranti,1979: 107). Naturalmente sia le interpretazioni di Rossiche quelle di Salvini nascono tutte, comunque, dallostesso dramma e anche se le rappresentazioni che nesono nate sono evidentemente diverse, tuttavia èimportante sottolineare come entrambe rilevino lapresenza del sacrificio/assassinio. In effetti, analizzandola versione del Carcano, si nota la presenza di terminiche ricorrono più volte e che permettono di interpretareil testo in tal senso. Prima di tutto la presenzaossessiva di termini quali “peccato” “colpa”, “reo”,“fallo”[15] , presenti nel testo 43 volte, il ricorso aparole come “confessare”, “contaminare”,“corrompere”[16], atte ad evidenziare la trasformazionedi Desdemona da pura a corrotta. Non solo, ricorronotermini quali “dannato”, “dannarsi”[17], “carnefice” e“assassino”[18]. Il letto di Desdemona inoltre verrà“lavato”[19] col sangue, espressione questa chesuggerisce la necessità dell’espiazione del peccato, perquanto poi Otello non voglia “versarne il sangue”[20],espressione che ancora una volta ci riporta all’idea delsacrificio della “bianca agnella”[21], come era statadefinita inizialmente Desdemona[22]. Da notare poicome nella traduzione di Carcano compaia spesso iltermine “diavolo”[23], seppure non così spesso comenella versione del Piccoli, maggiormente aderenteall’originale. Insomma, malgrado la versificazione, chenaturalmente costringe il traduttore a difficoltà ulterioririspetto a quelle già presentate dal testo, tuttavia èpossibile riconoscere la presenza del rito e del sacrificio,presenza sottolineata anche dal continuo ricorso adespressioni che vorrebbero evocare la presenza deldivino a testimone delle azioni compiute daiprotagonisti.La versione di Raffaello Piccoli, letterale e con il testoa fronte, è del 1934, si inserisce quindi in un contestostorico evidentemente molto diverso da quello in cui eranata la versione del Carcano. Piccoli non ha bisogno di“ingentilire” il dramma, ormai noto al pubblico graziealle successive traduzioni, molte di successo, comequella del Carcano stesso o di Carlo Rusconi, e allerappresentazioni teatrali che si sono avvicendate nelcorso degli anni. La sua non nasce come traduzioneteatrale ed il criterio principale che la informa è quellodella rigorosa aderenza all’originale. La versione ècaratterizzata da un’attenta ricerca della parola; Piccoliinfattivoleva produrre una versione filologica del testo,per questo motivo ritiene di fondamentale importanza86<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


cercare di mantenerlo quanto più possibile anche initaliano e con ottimi risultati, tanto che la suatraduzione è stata definita “un esempio unico nellastoria delle versioni italiane di Othello e […] punto dipartenza e un valido aiuto per i traduttori successivi”(Busi, 1973: 115). Da notare prima di tutto latraduzione di “rites” con “riti”, termine che consenteun’identificazione più precisa delle ritualizzazioni cheavranno luogo nel dramma e che permette di stabilireun legame più chiaro con la parola “sacrifice”,pronunciata da Otello nell’ultimo atto. Anche qui, comegià in Carcano, ricorrono tutta una serie di espressioniche evocano in qualche modo la presenza del divino edel male e che riportano il pensiero ad un ambitoreligioso ed ancora una volta rituale. Se la presenza diun arbitro supremo, che vede tutto e sa tutto, èpresentata continuamente mediante l’utilizzo diespressioni come “Dio vi salvi”, “mi aiuti ogni spiritosantificato”, “valore della mia anima eterna”,e altre[24],espressioni come “libazioni”, “sacro voto”, “ripudiare ilsuo battesimo, e tutti i suggelli e simboli del peccatoredento”[25], rievocano un preciso contesto religiosolegato naturalmente a determinati rituali. La continuapresenza inoltre di termini come “pregare”,“supplicare”, “confessare”[26], che è possibilericollegare all’immagine del penitente o comunque delfedele che si rivolge al divino, va messa in rapporto conaltre espressioni, come appunto “diavolo” o“demone”[27] che ricorrono qui molto più che inCarcano ed ancora con l’espressione “mettere allaprova”[28], pronunciata da Desdemona e da Otello, chetorna due volte nel testo, tre nella versione diQuasimodo[29] (senza considerare le “prove” che a piùvoci vengono richieste dai personaggi) e che rimandaalla tentazione di biblica memoria. Non è poi datrascurare la nota che Piccoli appone all’inizio dellaseconda scena del V atto. Spiegando la battuta inizialedi Otello, “la causa, la causa”, il traduttore sottolineainfatti la necessità che il protagonista ha di uccidereDesdemona, per volontà non di vendetta, ma piuttostodi espiazione. Afferma infatti: “It, essa, l’impudicizia diDesdemona, è la causa, che egli non osa menzionarealle stelle, il corteo delle vergini che accompagnanoDiana, la dea della castità, e che lo spinge ad uccidere.Ed uccide non per vendicare il proprio onore, non perpunirla della sua colpa, ma per salvarla”[30]. Laversione del Piccoli insomma, proprio grazie all’estremaattenzione che il traduttore ha voluto dedicare ad ognisingola parola, attenzione che è possibile notare già inquesto breve frammentopermette di percepire lesuggestioni evocate da alcune espressioni in manierachiara e precisa anche in italiano.Veniamo ora allaversione di Salvatore Quasimodo. Venne pubblicata nel1958, ma redatta già nel 1956 per Vittorio Gassman. Sitratta di una versione teatrale quindi, ed è propriopartendo da questo principio che Quasimodo traduce iltesto, dichiarando che “il genio di Shakespeare deverimanere legato alla ragione dell’imposizione originale: ilteatro” (Quasimodo, 1964: 17). Non priva di valore, laversione di Quasimodo, tuttavia, come già notava laBusi, “si allontana dall’originale più di quanto non sianecessario per risolvere le inevitabili difficoltàlinguistiche e i problemi testuali” (Busi, 1973: 132),spesso guida il lettore/spettatore verso una determinatainterpretazione del testo piuttosto che lasciarla allettore stesso e soprattutto, come quasi sempre accadenel caso di traduttori/autori, la mediazione è resa piùdifficile dal forte influsso della personalità deltraduttore, che trapela spesso nella lingua adottata. Maparlando in particolare del testo dell’Otello, si deverilevare prima di tutto una preponderante presenza deitermini “colpa”, “peccato”, e altri[31], pronunciati 50volte, rispetto alle versioni precedenti (35 per Piccoli e43 per Carcano). Naturalmente anche qui abbiamo lapresenza di espressioni che rimandano al divino,avvertito incessantemente da quasi tutti i protagonisti,ma anche Quasimodo, come già Carcano, traduce laparola “rites” con “diritti”[32], adombrando quindi lalettura in chiave rituale di quanto avverrà in seguito;non solo, Quasimodo ricorre molto spesso al termine“maledetto”[33], piuttosto che al “dannato”[34],privilegiato dai traduttori precedenti, che rimanda inmaniera più evidente all’ambito religioso. I termini con iquali esprime la purezza e innocenza di Desdemonasono per lo più gli stessi utilizzati anche nelle altreversioni, tuttavia, traducendo “white ewe” con “candidapecorella”[35], sottolinea il richiamo all’idea di sacrificiomeno diCarcano, che lo aveva invece evidenziatorendendo la stessa espressione con “biancaagnella”[36]. Insomma, pur essendo una buonatraduzione, la presenza del rito vi si avverte forse menorispetto alle versioni del Piccoli e del Carcano; chissàche non sia stata proprio la traduzione di Quasimodo,così particolare rispetto alle versioni precedenti, asuggerire a Gassman l’idea di rappresentare un Otello“condiviso”, con i ruoli di Iago ed Otello interpretatiprima da Gassman nel ruolo di Otello e da Randoneinquello di Iago e successivamente con un Gassman,Iago e un Randone, Otello, a rendere ancora piùevidente e concreta l’importanza assolutamente diprimo piano della mediazione del testo da partedell’nterprete, traduttore-attore, che in questo caso si èvenuta a materializzare ancora più chiaramente sullascena. Importante a questo proposito sottolineare comelo stesso Vittorio Gassman, a distanza di ben ventitrèanni, abbia volutodedicarsi personalmente allatraduzione del testo shakesperiano, notando comeproprio “l’esplorazione del tessuto linguistico è stata lavera preparazione ai miei problemi di interprete”(Gassman, 1982: 13);ancora, memore dei commentiche i critici gli rivolsero al tempo di quella suainterpretazione, affermerà “Ho oggi l’età richiesta per ilpersonaggio, quella che mi mancava al tempo della miaprima interpretazione. I critici più acuti di allora videronel mio Otello tracce dell’Amleto che l’aveva preceduto,una malinconia pensosa e un po’ presaga che speroequilibrare ora con lo spessore dell’esperienza, ma nonperdere interamente” (Gassman, 1982: 13). Gassmandunque sembra avere ripensato la sua interpretazione ela traduzione del testo per sua stessa ammissione lo haportato a maturare quelli che poi si risolveranno inproblemi interpretativi da parte dell’attore. Gassmanstesso vede ora nell’Otello un sacrificatore, affermandoinfatti che “è un suggerimento scenografico nellastruttura della tragedia; è l’immagine di un conorovesciato, […] isolando al termine Otello accanto a unatorcia che arde come un fuoco votivo; e l’Otello parlacome un sacerdote che si accinge al sacrificio, testimoni<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200987


mute le stelle” (Gassman, 1982: 9). È importantesottolineare questa affermazione di Gassman perché ciriporta nuovamente all’importanza dell’interpretazionedel testo da parte del traduttore. Come abbiamo vistoinfatti, nelle versioni di Carcano e Piccoli è ancorapossibile riconoscere la ritualità di alcuni dei gesticompiuti nel corso del dramma, mentre nella versionedi Quasimodo tale lettura risulta offuscata proprio inbase alle scelte traduttive dell’interprete. È solo grazieallo studio del testo che Gassman si trova costretto adaffrontare questa volta in qualità di traduttore chequella funzione rituale gli sembra ora emergere meglio,consentendogli di identificare il ruolo di Otello aquello diun sacerdote. Naturalmente, questo non significa che laversione di Quasimodo sia in qualche misura “inferiore”alle altre, ma semplicemente mette in evidenza cometraduzioni ugualmente apprezzabili sotto vari punti divista possano mettere in luce elementi testuali differentinon in base ad una “manipolazione” cosciente del testooriginale, ma semplicemente in base all’interpretazionedi quegli stessi elementi da parte di traduttori differenti.Interpreti diversi compieranno scelte dettate nonsemplicemente dalla trasposizione di una parola da unalingua ad un’altra, ma dalle proprie preferenze personalie soprattutto da quella che ritengono essere la chiavedi lettura del testo stesso. Tradurre comporta fare dellescelte ed è di nuovo Eco a sottolineare cometraducendo non si possa mai “essere del tutto certi dinon aver perduto un riverbero ultravioletto, un’allusioneinfrarossa” (Eco, 2003: 94). In questo caso delle tantepossibili letture dell’originale, Carcano e Piccoli hannoscelto di conservare la suggestione di una possibilelettura rituale dei gesti e delle parole dei protagonisti,Quasimodo invece ha preferito lasciare tale possibilità inombra, scegliendo di mettere in risalto elementidifferenti. Quello che è assolutamente importantesottolineare è il valore dell’apporto interpretativo fornitodal traduttore, non semplice trascrittore di un testo, mari-scrittore le cui scelte interpretative non sono in alcunmodo senza conseguenza, ripercuotendosi poi sullettore del testo tradotto che sarà in qualche modo“guidato” nell’interpretazione proprio dal traduttorestesso. Traduzioni diverse forniscono immagini diversedi uno stesso testo e solo l’analisi comparata di piùtraduzioni può portare alla luce le eventuali differenzeche devono essere considerate in quanto tali e nonnecessariamente quali errori da emendare._________________________Albini, Ettore (1972) Cronache teatrali, 1891-1925, a cura diGiuseppe Bartolucci, Edizioni del teatro stabile di Genova.Bassnett, Susan (2002) Translation Studies, 3^ ed., Londra eNew York: Routledge.Bassnett, Susan e Peter Bush (a cura di), (2006) TheTranslator as Writer, Londra e New York: Continuum.Bragaglia, Leonardo (1973) Shakespeare in Italia, Roma:Trevi editore.Busi, Anna (1973) Otello in Italia: 1777-1972, Bari: Adriaticaeditrice.Caretti, Laura (a cura di) (1979) Il Teatro del Personaggio,Shakespeare sulla scena italiana dell’800, Roma: BulzoniEditore.Crinò, Anna Maria (1950) Le Traduzioni di Shakespeare inItalia nel Settecento, Roma: Edizioni di Storia e Letteratura.Devoto, G. e G. C. 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The heavens forbid but that ours lovesand comforts should increase, even as our days do grow! Oth.Amen to that, sweet powers!” W. Shakespeare, Othello, AttoII, scena I, versi 193-195, edizione Oxford University Press,London, New York, Toronto, 1971.[5]W. Shakspeare (cos� nel testo) (1875), Otello,traduzione di Giulio Carcano, prima edizione illustrata, vol. II,Milano-Napoli: Ulrico Hoepli.[6]W. Shakespeare (1934), Otello, traduzione di RaffaelloPiccoli, Firenze: Sansoni Editore.[7]W. Shakespeare (1958), Otello, traduzione di SalvatoreQuasimodo, vol. III, Milano: Arnoldo Mondatori editore.[8]In particolare quella di Carcano è stata ritenuta la miglioredi tutto l’Ottocento (Busi: 1973, 85 e Duranti, 1979: 96),quella di Piccoli considerata “un esempio unico nella storiadelle versioni italiane di Othello”(Busi, 1973: 115) ed infine la88<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


versione di Quasimodo, unica nel suo genere perché appuntoopera di un grande poeta che pur sforzandosi di “mantenerele immagini del testoï tuttavia, proprio a causa di quella sua“forte personalità di scrittore e poeta” risulta inevitabilmenteportato a mediare il testo attraverso la propriasensibilità(Busi, 1973: 134-135).[9]Eco, Umberto (2003), Dire quasi la stessa cosa, Milano:Bompiani.[10]Iser, Wolfgang (1987), L�atto della lettura. Una teoriadella risposta estetica, Bologna: Il Mulino.[11]Sperber, Dan e Wilson, Deirdre (1995), Relevance:Communication and Cognition, Oxford: Blackwell Publishing.[12]Cìè da dire che la traduzione del Carcano potrebbe esseredovuta molto semplicemente all’edizione inglese da luiutilizzata per la traduzione. Sfogliando infatti l’edizioneCambridge 1969, nell’originale non compare più “rites”, maper l’appunto “rights”, notazione questa che aggiungeincertezza all’incertezza, l’incertezza quasi “costitutiva” dellatraduzione a quella dell’originale stesso. W. Shakespeare(1969), Othello, atto I, scena III, verso 257, Cambridge:edited by A. Walker and J. Dover Wilson.[13]E. Rossi, Studi Drammatici, citato in A. Busi (1973), Otelloin Italia, Bari: Adriatica editrice, pag. 170.[14]T. Salvini, Interpretazioni e ragionamenti su talune operee personaggi di Shakespeare: Otello, in Fanfulla dellaDomenica, anno V, n. 43, Roma 28 ottobre 1883, pag. 3.[15]Vedi ad esempio pag. 365, 401, 408, 415, 425, 435, 440,ecc.[16]Vedi ad esempio pag. 325, 329, 333, 335, 342, 367, 381,382, ecc.[17]Vedi ad esempio pag. 320, 329, 389, 392, 413, ecc.[18]Vedi ad esempio pag. 320, 428, 430, 438, 443, ecc.[19]W. Shakespeare, Otello, traduzione di Giulio Carcano, op.cit., atto V, scena I, “il letto, che lascivia ha brutto, il lavi iltuo lascivo sangue”, pag. 429.[20]W. Shakespeare, Otello, traduzione di Giulio Carcano, op.cit., atto V, scena I, pag. 433.[21]W. Shakespeare, Otello, traduzione di Giulio Carcano, op.cit., atto I, scena I, pag. 322.[22]A tale proposito c’è anche da sottolineare la nota cheCarcano appone alla scena dell’uccisione di Otello, nella qualeafferma: “Alcuni annotatori avvertono qui come si devaintendere che Otello, per troncare il patimento di Desdemona,la trafigga”, suggerimento questo che verrà poi ripreso daErmete Zacconi, il quale appunto trafiggeva Desdemona dopoaverla soffocata, in W. Shakespeare, Otello, traduzione diGiulio Carcano, op. cit., pag. 437.[23]Vedi ad esempio pag. 322, 350, 354, 362, 366, 367, ecc.[24]Rispettivamente in W. Shakespeare, Otello, traduzione diRaffaello Piccoli, op. cit., pag. 153, 135, 119.[25]Rispettivamente in W. Shakespeare, Otello, traduzione diRaffaello Piccoli, op. cit., pag. 71, 125, 89.[26]Vedi ad esempio pag. 31, 35, 43, 51, 85, 87, 137, ecc.[27]Vedi ad esempio pag. 11, 57, 63, 77, 85, 89, 127, ecc.[28]Vedi pag. 103, 161 in W. Shakespeare, Otello, traduzionedi Raffaello Piccoli, op. cit. e pag. 181, 223, 293 W.Shakespeare, Otello, traduzione di Salvatore Quasimodo, op.cit.[29]W. Shakespeare, Otello, traduzione di Raffaello Piccoli,op. cit., pag. 103, 161 e W. Shakespeare, Otello, traduzionedi Salvatore Quasimodo, op. cit., pag. 181, 223, 293.[30]W. Shakespeare, Otello, traduzione di Raffaello Piccoli,op., cit., pag. 249-250.[31]Vedi ad esempio pag. 59, 119, 143, 149, 181, 295, ecc.[32]Da notare che in questo caso non c’è ombra di dubbioriguardo la scelta del vocabolo da parte del traduttore, ilquale ha scelto e voluto il termine “diritti”. La versione delQuasimodo infatti è pubblicata con il testo inglese a fronte edappunto nell’inglese compare il termine “rites”, W.Shakespeare, Otello, trad. di Salvatore Quasimodo, op. cit,atto I, scena III, pag. 71 – 73[33]Vedi ad esempio pag. 45, 215, 217, 223, 223, 327, 339,ecc. in W. Shakespeare, Otello, trad. di Salvatore Quasimodo,op. cit.[34]Vedi ad esempio pag. 65, 183, 193, 271, 371, ecc. in W.Shakespeare, Otello, trad. di Salvatore Quasimodo, op. cit.[35]W. Shakespeare, Otello, trad. di Salvatore Quasimodo,op. cit, atto I, scena I, pag. 25.[36]Vedi nota 21.Traduzione di © Alessandra CalvaniinTRAlinea Vol. 10 (2008) [online] http://www.intralinea.it/Emilio Spedicato — MilanoALTRE BIBLIOTECHE PERDUTEIn un articolo su La Repubblica Piergiorgio Odifreddi,mio collega matematico ed autore di vari libri didivulgazione scientifica in verità alquanto infarciti dierrori di fisica ed altro, nonché di fantasiosi attacchi achi non sia ateo, parla delle biblioteche perdute,cominciando da quella distrutta da Akhenaton nelquattordicesimo secolo AC (data corretta secondo lacronologia ufficiale, ma sbagliata in quanto talecronologia si basa sulla errata datazione fatta circa 200anni da Champollion e Lepsius dell’anno sotico inCensorino: come arguito dagli astronomi Clube e Napiernonché da egittologi come James, Bimson, Rohl ed ilvituperato Velikovsky). Curioso che Odifreddi termini ilsuo elenco con i falò dei nazisti, immensamente menoimportanti di quelli avvenuti in Cina e Tibet (sedequesto di circa diecimila monasteri quasi tutti congrandi biblioteche; si legga Tucci; e ne è stato distruttoil 99%!). Vero che a Pechino le biblioteche privatevenivano bruciate solo dopo che Kang Sheng,l’onnipotente capo dei servizi segreti di cui Chang Jingfu amante e poi informatrice presso Mao, sceglieva, danobile raffinato quale era, i libri migliori, specie perantichità, che poi divideva con Mao, amante dei classici(nonché, quando era bibliotecario a Changsha, dei testidegli Illuminati di Baviera: come scoperto da ChangJung che ha consultato l’elenco dei libri che prendeva inprestito. Simili radici per Mao e Hitler…).L’elenco presentato da Odifreddi consiste di casi bennoti a chiunque abbia fatto un liceo classico quandoquesto era il migliore al mondo (diciamo fino a unatrentina di anni fa). Mancano comunque altri elementifondamentali, sui quali si tace o per ignoranza o perchéparlarne non è politically correct. […]Quando Alessandro Magno (Magno per i Greci,infinito disastro per gli orientali) conquistò Tiro, cittàfenicia che resistette a lungo, non si limitò acrocifiggere migliaia di sopravvissuti (crocifissione eimpalamento furono per secoli il destino dei prigionieridi guerra nel Medio Oriente), ma ne bruciò la biblioteca,la più importante dell’epoca. Poi dopo un festino nelpalazzo imperiale di Persepoli, diede a questo fuoco,bruciandone la biblioteca in cui stavano l’integraledell’opera zaratustriana, scritta su 12.000 pelli di bue,nonché i 42 libri sacri egizi che qualche decennio primavi erano stati portati da Heliopolis da Artaserse Oco(colui che uccise il sacro bue Api, mise un asino al suoposto, fece strangolare i grandi sacerdoti, terminandoquindi la continuità di trasmissione del significato dellescritture religiose egizie, che certo i nostri egittologi nonpossono pretendere di avere del tutto compreso; un<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200989


suo eunuco di origine egizia vendicò il fattouccidendolo, facendolo a pezzi e dandoli ai gatti delpalazzo, e…).La Biblioteca di Alessandria fu iniziata dal grandeTolomeo Filadelfo (e qui chiedo: perché non esiste unaversione in italiano della Settanta, traduzione in grecodi parte della Bibbia, fatta da 72 anziani, 6 da ciascunadelle 12 tribù? Perché spendere 500 euro per averla infrancese? Quando la CEI fornirà la Bibbia nel testo cheleggevano i Padri della Chiesa?). Tale Biblioteca haavuto varie fasi di distruzione, la peggiore forse quandoCesare arrivò ad Alessandria. Già nel secondo secolo isuoi scaffali erano in parte vuoti. Poi con Teodosiomolto scomparve e certo non molto restò da eliminareagli islamici, che dubito fossero così stupidi dadistruggere i libri a carattere geografico o storico.Augusto ordinò che a Roma venissero portati tutti ilibri delle profezie, circa 600, e ne fece un falò,salvando solo i 3 delle Sibille (originariamente 9, ma 6furono bruciati dalla venditrice quando il re ne rifiutòl’acquisto). Un falò certo più grave di quello, purlamentevole, dei libri di magia, che Paolo fece a Tarsodopo avere sconfitto i magi locali (caldei, di origineetrusca?).Quando Isabella la Cattolicissima, dalle mani lorde disangue e dalla lingua biforcuta, conquistò Cordova, leacque del Guadalquivir si tinsero, scrive il frateBernardino di Sahagun, del rosso del sangue dei mori edel nero dei libri della biblioteca: la più grande alloraesistente, circa 400.000 libri, dove certo gran parte deiclassici di cui ora si lamenta la perdita vi eranocustoditi; allora quella di Roma ne aveva solo unmigliaio e quella del re inglese una dozzina.Quando gli occidentali, massoni e protestanti,repressero la rivolta dei Taiping, che rischiavano dicristianizzare la Cina, venne distrutto il palazzoimperiale di Nanchino, più bello di quello di Pechinostando a Matteo Ricci, la cui biblioteca aveva una delledue copie della enciclopedia dei Ming, in 17.000 volumi(sarebbero dovuto essere circa 70.000). Milioni di cinesifurono uccisi in questa rivolta su cui i nostri libri distoria tacciono alquanto.Quando all’inizio del 900 ci fu la rivolta dei Boxer, e lelegazioni furono assediate nel loro quartiere di Pechinodalle truppe cinesi dove attive erano solo quellemusulmane (il musulmano Ma Pufang fu l’ultimogenerale a cedere a Lin Biao) ci fu l’incendio dellabiblioteca imperiale, lo Hualin, che con circa un milionedi copie era la più grande biblioteca al mondo. E quiscomparve la seconda copia della grande enciclopedia(mille volte più estesa di quella di Diderot eD’Alambert!).Sorvolando sulle immense distruzioni e furti dellebiblioteche degli enti ecclesiastici soppressi nell’Italiadel Sud dopo l’unificazione voluta dai massoni torinesianticattolici, vedasi i libri della Pellicciari, in Cinadurante la rivoluzione culturale, voluta da Mao pervendicarsi di avere perso potere dopo i 38 milioni dimorti di fame nel Grande Balzo in Avanti (in realtà unasupertassazione ai cittadini per avere subito armiatomiche dalla Russia), non solo si è perso quasi tutto ilpatrimonio librario ed artistico (salvo quello portatoall’estero), ma si sono perdute quasi tutte le circa200.000 opere in Tibet, fra cui testi in sanscrito,tocario, zhangzhung, nakhi… un patrimonio immenso,di gran lunga superiore a quello sopravvissuto dallanostra antichità classica (dove il più importante lavorostorico, di Nicola di Damasco in 144 libri, è perduto). Sipensi che il Tucci camminò su spessori di metri di rotoli!Immensa responsabilità del comunismo cinese, omeglio della teoria tedesca del superuomo di cui Maoera imbevuto.Qualcosa si potrà ritrovare: riscavando Ercolano,esaminando le biblioteche delle moschee (quelle diMashad e Herat hanno restituiti libri di Diofanto ed unodei libri citati nel Pentateuco!). Peccato che Mussolini, oqualcuno per lui, abbia fatto bombardare tanti conventiin Etiopia, dove pure si sono trovati documenti credutipeduti, come i libri di Enoch.IL COMUNE DI SAVONA E LA SUA GIURISDIZIO-NE NEL XIV SECOLOIl Comune savonese, nel XIV secolo, offriva l’aspetto diuna città molto florida, quantunque dilaniata da internefazioni. La zona che da Fossavaria (più o meno l’attualevia Pia, cuore del centro storico) discendeva al molo,nonché le altre zone a ponente, grazie a grandi opere dibonifica, eran venute costellandosi di costruzionipubbliche e private.Gli edifici più antichi e cospicui, fra i quali la splendidacattedrale di S. Maria, che probabilmente proprio inquesto secolo – come nota il Rocca – fu ridotta allo stilegotico (1), primeggiavano sulla punta della cittadella delPriamàr (demolita dai Genovesi nel 1528-29 per erigervila poderosa omònima fortezza). Ai piedi del Priamàrcorreva la città, con la sua cerchia murale (del 1267) eben 15 porte. All’esterno s’irradiavano cinque borghi.Numerosi erano i palazzi dei nobili e ricchi mercanti,con le loro torri massicce, quelli del Comune, le chiese egli oratori (circa una cinquantina). Vie, piazzuole, tipici“carruggi” si intersecavano ricchi di archi, di edicolesacre, di emblemi (2). Né mancava un fervore culturaleper cui fiorivano le arti, specialmente nelle chiese, tantoche l’Alizeri disse Savona “l’Atene ligure” (3). I tettidelle case in muratura erano ricoperti di coppi, molti deiquali ancora oggi visibili.Per quanto riguarda la configurazione geo-topograficadel territorio che ricadeva sotto la giurisdizione politicadi Savona, i suoi confini erano i seguenti: a levante, iltorrente Lerone (che oggi segna il confine orientale delcomune di Cogoleto, già in provincia di Genova); aponente, i Gioghi a settentrione e a mezzogiorno ilmare. I confini a ponente erano alquanto controversi.Da una parte i Nolesi accampavano antiche pretese suVado e sul castello di Segno, che avevano occupato;dall’altra i Genovesi contestavano a Savona lagiurisdizione della Castellanìa di Quiliano, da essi inparte effettivamente esercitata; mentre le terre diSpotorno erano reclamate, come suo feudo, dalVescovo.Passando alla morfologia del territorio, che la regionedei Sabazi fosse ab antiquo paludosa, ce lo dicono lefonti latine ed anche il geografo greco Strabone (IV, 6,1); d’altronde, il nome stesso di Vada Sabatia(l’odierna Vado Ligure) significa “guado dei Sabazi”.Ch’essa si mantenesse più o meno tale anche nell’Alto e90<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


in parte nel Basso Medioevo, lo si deduce da non pochidocumenti archivistici, dove sono menzionati “vadi” diSavona. Nel sec. XIV troviamo cenno di quelli deltorrente Lavagnola (poi chiamato classicamente“Letimbro”, cioè “lieto per le piogge”, dal grande poetasavonese Gabriello Chiabrera) a nord. Tutto concorre,anzi, a far credere che ancora all’inizio del secolo <strong>XIII</strong> lamaggior parte del piano che si estendeva nelleadiacenze di Savona fosse più o meno acquitrinoso.Paludi e fossati vi mareggiavano, a causa specialmentedel rio “Retorto” (Riotorto) le cui acque, ingrossandoper le piogge, inondavano spesso la regione Porcarìa, aldi là del Ponte delle Pile (odierna Piazza dellaConsolazione), dove dalla via Savona-Vado si staccava iltratto per Cadibona e la Val Bormida.Altri indizi, per quanto riguarda le condizioniidrografiche dell’agro savonese durante il Medioevo, celi forniscono i documenti archivistici. Sappiamo daquesti ultimi che la zona da porta Mercato al mare eracoperta di praterie o “marcite” e cosparsa di canneti,saliceti ed altre piantagioni della flora palustre.Sappiamo, altresì, che fuori da porta Villana (detta poiporta Belluria, tra le attuali piazza Giulio II e viaUntoria, dove, come c’informano gli StatutaAntiquissima Saone del 1345, esisteva la fornace di unpignataro condannato per aver contravvenuto al severodivieto di costruire fornaci entro le mura della città peril pericolo d’incendi, essendovi in quella zona ancoramolte case in legno) si estendeva un considerevoledeposito di acque stagnanti e in parte correnti, indicatein atti col nome di “Pescheria” (“Peschiera”); come nonci è ignoto che verso la porta Giardino, a nord-ovestdella precedente, le acque confluivano in tale copia dabastare all’esercizio di un mulino, di cui è cenno negliStatuta. Né sarà superfluo ricordare in proposito comegià si trovino citate in pergamene del sec. <strong>XIII</strong> le duesorgenti Baiola e Fontanile: quelle stesse che, sebbeneda lungo tempo ristrette e incanalate, furono causatalvolta di inondazioni e danni, e che allora invadevanoaddirittura permanentemente un lungo tratto dellaregione suburbana.La frequente menzione delle cosiddette “quintane” con ipantani esistenti nelle campagne verso la borgata diLavagnola, ci conferma come anche a nord della città lapianura fosse paludosa. Il torrente Lavagnola era statosì ristretto e arginato, per pubblico decreto, nel sec.<strong>XIII</strong>, ma esso tornò più e più volte ad allagare il BorgoSuperiore. Persino nella stessa città, entro l’angustacerchia delle prime mura, ai piedi della collina delMonticello, mareggiavano estese pozzanghere eserpeggiavano vene di acqua attraverso fitte boscaglieche rendevano quasi impraticabile l’accesso alla cittàdalla parte di ponente (4). È certamente anche questouno dei motivi preponderanti del severo divieto ditagliare legna dal bosco comunale (il grande nemussabazio, il più esteso della Liguria, e causa nonsecondaria della rivalità tra Genova e Savona). IlVerzellino ci parla di terribili e frequenti inondazioniprovocate dal torrente Lavagnola, a causa degli abusi ditagliare alberi per far legna, disboscando così la forestacomunale (5).Ma se prima del sec. <strong>XIII</strong> non sapremmo figurarci l’agrosavonese se non, come diceva la tradizione storicarisalente alla Historia Augusta, “squallido” e ingrato (cfr.Vict., 18), non può dirsi altrettanto del periodosuccessivo. Infatti, in poco più di un secolo, la regionesi trasformò completamente, mentre Savona, nel corsodel XIV secolo, era divenuta centro di un territorio fortee compatto, i cui confini andavano da Cogoleto aSpotorno, dove confluivano artigiani e mercanti,specialmente delle due Riviere e del Piemonte, così chela popolazione savonese aveva raggiunto i 20.000abitanti. Se si pensa che sullo scorcio del XII sec. Gliabitanti erano appena 7.500 – secondo i dati che cifornisce il Bruno (6), ma sono forse ancor meno – , èfacilmente immaginabile il progresso conseguito.All’inizio del XII sec. Non esisteva ancora il nucleo dellacittà attuale; né la città propriamente detta si perdevacome ora, gradualmente, nella campagna circostante;ché, anzi, stentava a staccarsi dalle pendici delpromontorio Priamàr-S.Giorgio-Monticello, checostituiva la spina dorsale della sua strutturatopografica.Fu ai piedi della pendice orientale di questopromontorio che la città cominciò ad allungarsi, perriaccostarsi al mare dov’era rimasta segregata inséguito al progressivo interramento causato dallealluvioni, prima che vi si opponesse un’efficace diga.Con la gettata del molo che rasenta la parte piùrientrante di S. Giorgio verso Monticello e forma il latosinistro della vecchia dàrsena, tutta l’area rimasta asecco per il ritiro del mare, ossia lo spazio compreso frala linea del molo primitivo e interrato e quella segnatadal nuovo scalo (1197), diventò terreno fabbricabile: diqui il bisogno per la città di occupare via via questazona intermedia, per mantenere il contatto col mare.Questa zona venne coperta nel volgere di poco più diun secolo da una fitta rete di fabbricati che formaronouna quindicina di vie, i nomi delle quali, in genere, siriferivano ad attività artigianali ivi esercitate (come, peres., i Barilai, i Macellai, i Formaggiai, i Berrettai, iLanaioli, gli Orefici ecc.). L’impulso dato all’incrementodella città non poteva non propagarsi al di là dellemura, dove, bonificato il terreno e sgombratolo dalleboscaglie che vi si alternavano ai pantani, i borghi nontardarono a gareggiare con la città. Tra questi borghi viera allora il Borgo Inferiore o “da basso”, fuori portaVillana, detto più anticamente “Borgo Ratto”, sulprolungamento della via romana per Vado, la quale aldi là del Ponte delle Pile attraversava la borgata delleFornaci (detta così per la presenza di una fiorente,antica attività di vasai e stovigliai) e proseguiva perZinola, fiancheggiando l’antica chiesuola di S. Spirito epiù innanzi Valleggia, e raggiungendo infine Vado.Sulle colline, a destra della strada, faceva vaga mostradi sé la borgata di Legino, dove i cimeli romaniadditavano un’antica stazione intermedia tral’antichissimo (III sec. A. C.) Savo oppidum alpinumcitato da Tito Livio (XXVIII, 46) ed i Vada Sabatia deitempi di Pertinace, il valente imperatore romano cheregnò per soli tre mesi (II sec. D.C.).È facile immaginare questi luoghi pieni di vita, di traffici,di somieri, e vedere in essi le genti più disparate, cheper la Savona medioevale costituivano parte della suaprosperità: non mancano genti di altre regioni, nonerano infrequenti gli Spagnoli e, in particolare, iFrancesi. Si tratta, come si vede, di una cospicuaintrusione esterna che, nel sec. XIV (e nel successivo),<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200991


diventerà addirittura grandiosa. Si trattava dunque diuna popolazione multiforme, ma giovane e attiva nelleprofessioni e nelle arti, le quali erano almeno unatrentina, con in testa i calzolai, che eranonumerosissimi, e verso gli ultimi posti i maoneri (cioè ifabbricanti di mattoni), i pignatari (fabbricanti distoviglie), i pittori, gli orefici (7).NOTE(1) P. ROCCA, Le chiese e gli spedali della città di Savona nonpiù esistenti e che subirono modifiche, Lucca 1872, pp. 3 esegg.(2) Oltre il Rocca, op. cit., vedasi A. BRUNO, Storia di Savonadalle origini ai giorni nostri, Savona 1901, pp. 54 e segg. EID., Dell’antica e moderna popolazione di Savona, Savona1894, pp. 23 e segg.(3) F. ALIZERI, Notizie dei professori del disegno in Liguriadalle origini al sec. XVI, Genova 1870, vol. I, pp. 37 e segg.(4) T. BELLORO, I Vadi Sabazi, in Sabatia, 1885, pp. 11-39.(5) G.V. VERZELLINO, Delle memorie particolari especialmente degli uomini illustri della città di Savona, Savona1885, vol. I, pp. 242 e segg.(6) A. BRUNO, Dell’antica e moderna popolazione, cit., pp. 23e segg., secondo il quale detta popolazione era cosìdistribuita: due terzi nell’àmbito del concentrico, un terzo nel“Borgo” e nel contado. Ma una più attenta indagine sembraridurre alquanto quella cifra.(7) Questo art. è tratto dalla tesi di dottorato in materieletterarie: GABRIELLA TESSITORE, I pignatari di Savona dagliStatuta Antiquissima (1345) alla costituzione corporativa(1577), Ist. Universitario di Magistero “A. Baratono”, Genova,A.A. 1972-73, pp. 69-83.† Gabriella Tessitore– Savona –Emilio Spedicato ― MilanoL’EDEN RISCOPERTO: GEOGRAFIA ED ALTRESTORIE4. Eden a oriente, nel cuore dell’ Asia: una pienaconvalida della geografia della GenesiEden ad Est è il titolo di un libro di Oppenheimer[25], un medico con interessi in archeologia ed originedelle civiltà. Il libro sottolinea l’importanza dell’Asiasudorientale circa le origini della nostra civiltà, unaregione geografica in buona parte inondata dopol’innalzamento dei livelli oceanici che seguì loscioglimento dei ghiacci dell’ultima glaciazione, circa nel9500 A.C. (trascurando episodi minori di glaciazioni edeglaciazioni successive). Oppenheimer afferma chemolti elementi delle antiche civiltà, che si pensanooriginari dall’Egitto o dal Medio Oriente, possano avereun’origine più lontana, nell’ estremo oriente. Sebbenenon ci spingiamo così lontano come Oppenheimer (cheriguardo all’Eden non propone alcuna particolareidentificazione, considerando “abbellimenti” i datigeografici nella Genesi), noi collochiamo il ParadisoTerrestre definitivamente ad oriente, rispetto alleusuali collocazioni mediorientali. Proponiamo un luogonel cuore dell’Asia, dove quattro fiumi importantinascono dalla stessa montagna, dove quattro imponenticatene di montagne si incontrano, e vie di transitonaturali portano verso le altre parti del grandecontinente.L’identificazione qui proposta si presentòall’improvviso alla mente di chi scrive in una notte delmarzo 2000. Avevo finalmente iniziato a leggere il librodi Rohl, Leggenda, la Genesi della civiltà, che avevocomprato direttamente dall’autore nel novembre 98,durante una delle riunioni londinesi organizzate daAndrew Collins, autore di lavori sull’origine della civiltà.Avevo già letto il primo libro di Rohl, La Bibbia, dal mitoalla storia, con immenso fascino, quasi non riuscendo ainterromperne la lettura. Lo avevo comprato in unalibreria alla York University, dove seguivo unaconferenza di matematica, e lo lessi durante i giornidella conferenza. Non ero riuscito a leggere il secondolibro per oltre un anno, tempo durante il quale avevolavorato ad un saggio sui viaggi di Gilgamesh,Spedicato [15], da cui è nata l’identificazione dell’Edenqui sviluppata. Tappe fondamentali del viaggio diGilgamesh nella mia ricostruzione erano le seguenti:• Prima tappa, la valle di Hunza, nell’alto Kashmir,che identificai come il “Libano”, dove Gilgameshuccise Humwawa e da cui portò un cedro, da meritenuto essere un Cedrus Deodara, e non unCedrus Libanotica• Seconda tappa, verso le sorgenti del Fiume Giallo,dove identificai il Monte Mashu con il massiccioAnye Machen, tuttora sacro per la localepopolazione degli Ngolok (quasi tutti sterminati daicinesi; ne restano circa 3000 dei 120.000 che eranoall’ inizio dell’ invasione cinese nel 1948).I due viaggi sopra citati indicavano chiaramente unaconnessione tra la Mesopotamia ed il cuore dell’Asia, laregione dove potremmo identificare Dilmun, la terra adoriente da cui i Sumeri affermavano essere venuti dopoil diluvio (solidi argomenti possono opporsi all’ usualeidentificazione di Dilmun con Bahrein).Quando, leggendo Rohl, giunsi all’identificazioneproposta per i quattro fiumi dell’Eden, presi il TimesAtlas e ne controllai la posizione. Fu immediatamentechiaro che i fiumi non condividevano un’originecomune, tranne l’Eufrate e l’Arasse. Ebbi l’idea diguardare una mappa su ampia scala dell’Asia Centrale,la carta 27. Non era visibile alcun sistema di quattrofiumi aventi origine dalla medesima montagna. Dettiinfine uno sguardo alla mappa della valle di Hunzanell’articolo del National Geographic 1985 scritto daMcCarry, che avevo usato nello studio del viaggio diGilgamesh. Lì era la risposta! Quattro fiumi scendevanodal grande massiccio che separa la valle di Hunza, inPakistan, da quella del Wakhan, in Afghanistan. Quattrograndi fiumi, uno che finisce oltre 1500 km ad est, neldeserto di Lop Nor, un altro che termina oltre 2000 kmad ovest nel lago d’Aral, due che fluisconoprevalentemente a sud, unendosi alla fine dellemontagne e confluendo come Indo nell’OceanoIndiano, oltre 2000 km a sud. Tre di questi fiumi hannosorgenti a pochissimi km l’una dalle altre, quella delquarto un po’ più lontana; tutti e quattro i fiumiraccolgono l’acqua dalle nevi e dai ghiacci di uno stessomassiccio, la loro sorgente comune (il massiccio dallecarte pare non avere un nome ben definito, forseGruppo Pasu; nel contesto dei testi della creazione92<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


numerica potrebbe essere qui la Montagnadell’Assemblea? La Montagna degli Dei?).Vedremo ora in dettaglio l’identificazione proposta deidati geografici della Genesi. Vedremo poi alcunepossibili conseguenze di tale scenario, in termini dinuovi significati correlabili a simboli e tradizioni umaneantichissimi.5. Gihon e Kush identificatiIdentifichiamo il Gihon con il fiume che esce dallaparte orientale della valle Wakhan, sotto il passo VahirLo che porta in Cina, nella parte est della provinciaBadakhshan dell’Afghanistan (nota come il “dito” chel’Afghanistan punta verso la Cina, tra Pakistan – laprovincia Hunza del Kashmir, e Tajikistan, la RegioneAutonoma Badakhshon, vedasi la Nelley Map, ISBN 3-88618-665-2-). Non lontano dalla sorgente citata, ilfiume si ingrossa con l’apporto dell’Oksu/Aksu, cheviene dal Tagikistan Badakshon (una regione dovel’antico Saka è tuttora parlato in alcuni villaggi isolati);prosegue per la valle Wakhan con il nome Wakhan,quindi per un migliaio di km fa da confine traAfghanistan e Tagikistan, fluendo con il nome Pandj inun grande cerchio entro una stretta valle tra altemontagne. Entra nella pianura turanica vicino alla cittàchiamata Panj, non lontano dalle rovine di una cittàgreca. Lì prende il nome di Amu Darya e dopo unmigliaio di km entra nel lago d’Aral. Letti di fiumiessicati, lungo uno dei quali si trova la città di Khiva, untempo importante, ora quasi abbandonata, indicano chenon molti secoli orsono l’Amu Darya finiva nel Caspio. Ilfiume entra nel pianura turanica molto ricco di acqua.Quest’acqua è oggigiorno quasi completamenteutilizzata per l’irrigazione dei campi di cotone, conconseguente disseccamento del lago d’Aral. In etàclassica il fiume era noto come Oxus, che in sanscritosignifica “grande acqua”. Costituiva la divisione naturaletra la regione del Turan, terra di cavalieri, e quelladell’Iran; le ricorrenti guerre tra le due are costituisconol’argomento centrale dell’epica iraniana Shahnameh diFerdowsi.L’identificazione del fiume Amu Darya-Pandj con ilGihon è basata sull’osservazione che in tutte le mappeanteriori al XX secolo da me osservate il nome Gihon, enon Pandj, è dato al fiume nella parte montagnosa delsuo bacino. Vedasi ad esempio la Mappa 47 nell’AtlasCompendarius Quinquaginta Tabularum GeographicarumHomanniarum……Norimberga anno 1752, dove ilfiume è indicato come Gihon in mezzo alle montagne,diventa Amu alla loro fine, vicino alla citta di Amu/Amol(spesso citata nello Shahnameh, ora scomparsa dallemappe), e riprende il nome di Gihon prima di sfociarenon nell’Aral, ma nel Caspio. Appare col nome Gihon oAmu nella mappa 35 del Nouvel Atlas Portatif, par leRobert de Vaugondy, 1762, dove il fiume ora è fattosfociare nell’Aral (il sopraccitato Homann Atlas è unatarda edizione di un famoso atlante apparso alla finedel seicento, pertanto sospettiamo che lo spostamentodella foce dal Caspio all’Aral sia capitato tra il 1650 e1750). Appare con il solo nome Gihon nella mappadell’Asia del Nuovo Atlante di Geografia Universale in 52carte, del Cav. Luigi Rossi, Milano, Batelli e Fontana,1820. Nell’Atlas Classique de la Géographie, par V.Monin, Paris, 1846-47, sulla mappa 18 appare col nomeAmou Deria per la parte occidentale, Djihoun invece perquella orientale. La città di Khiva è presente, assentequella di Amu/Amol. Il fiume sfocia nell’Aral, ed è anchemostrato il letto secco che si dirige verso il Caspio.Pubblicato agli inizi del XX secolo, l’Atlas de GéographieModerne, Paris, Hachette, 1914, presenta,nell’abbastanza dettagliata mappa 4, la città di Khiva aduna certa distanza a sud del fiume, mentre la città diAmu/Amol non appare più; il fiume è nominato AmuDarya nella pianura, Peji e Wakhan sulle montagne.Così sembra che dopo il 1850, con l’arrivo delle potenzeeuropee in Asia centrale e la tendenza a ridenominareluoghi con criteri moderno-burocratici in sostituzionedei nomi tradizionali, seguendo lo stile ispirato dallaRivoluzione Francese, due nomi antichi spariscano,quello della città di Amu/Amol, e del fiume chiamatoGihon, sostituito da Pandj or Panja.Che il fiume chiamato Oxus in tempi classicimantenesse il nome biblico Gihon o alcune sue variantifino a tempi recenti ci è noto anche, p.e., dal NovumLexicon Geographicum, Philippus Ferrarius, fluvius estSogdianae, MDCXCVI, dove alla voce Oxus leggiamo:Oxus fluvius est Sogdianae, quem Arabes Gichonemvocant, cuius memeruit Achmed Gueraspi filius inThemiris historia, eumque Ghaion, Gihon et Iihumvocat. Also in the Abrégé de Géographie di Balbi, Paris,1842, leggiamo (p. 716): ...l’Amou-Darya (l’Oxus desanciens, dit aussi Djihoun... ). Le Syr-Darya (le Jaxartedes anciens), dit aussi Sihoun… Poiché Syr-Daryasignifica “fiume o mare di leoni”, quanto soprasuggerisce che la sillaba ON in Gihon, e per estensionein Pishon, possa significare fiume. Inoltre G H N inebraico significa “qualcosa che si piega, che gira”, il chesi accorda perfettamente con la grande curva che ilGihon fa attraversando le montagne. Quindiproponiamo per il fiume il significato Gihon = fiume del(gran) giro.Spostiamo ora la nostra attenzione al nome AmuDarya, che è dato alla parte inferiore del fiume, tra lemontagne e l’Aral (o il Caspio). “Darya” è una parolaturca, usata anche in persiano, significanteessenzialmente “mare” (Darya ye Khazar, “Mare deiKhazari”, è l’attuale nome persiano per il mar Caspio);è comunque attribuito anche a grandi fiumi. È oralegittimo chiedersi se il significato “mare”, ovvero unaassai grande distesa d’acqua, risalga ad una diversaantica configurazione della regione del Turan. Taleregione, come anche altre grandi parti dell’Asia centrale– le più importanti il bacino del Xinjang e la maggiorparte dell’altopiano tibetano, ma anche considerevoliparti di Iran e Afghanistan – non dispongonoattualmente di uno sbocco sull’oceano, fattoprobabilmente vero per tutto l’Olocene. Si trovanopertanto laghi senza sbocco, alcuni grandi come ilCaspio, altri più piccoli come l’Aral, il Balkash,l’Hamun…., solitamente salatissimi, e inoltre ci sonovaste distese salate, quanto rimane di precedentidistese d’acqua, ora completamente essiccate (tranneper trasformarsi in acquitrini salati durante periodi diforti piogge). Il processo di disseccamento, oraaccentuato dallo sfuttamento delle acque perl’irrigazione, vedasi il drammatico esempio dell’Aral,<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200993


continua da diversi millenni. Questo fenomeno naturaleè causato dallo scompenso tra l’acqua versata dai fiumie quella che scompare per evaporazione. Ora, lasciandoda parte l’ipotesi di una recente diminuzione dellepiogge, si deve spiegare come vennero a formarsibacini d’acqua interni molto grandi. Una spiegazionenaturale è che si formarono all’improvviso duranteeventi catastrofici non molti millenni fa, quandodepressioni interne, isolate dagli oceani, venneroriempite ad un livello assai maggiore di quellopreesistente dato dall’equilibrio tra evaporazione eapporto delle piogge. Eventi catastrofici capaci diriempire depressioni interne sono ondate tsunamicheprovenienti dagli oceani, dovute per esempio ad impatticon asteroidi, vedasi[43], o a rapidi cambiamentidell’asse terrestre, vedasi Barbiero[44] o Woelfli eBaltensperger[45], o perfino arrivo di acqua da fontiextraterrestri (p.e. comete). Ora c’è evidenza che ibacini interni all’Asia Centrale furono assai più estesi inpassato. Per esempio fonti letterarie come loShahnameh descrivono la regione del Sistan, oravirtualmente un deserto con il lago Hamun prossimo adestinguersi, come una ricca prateria piena diselvaggina, la riserva di caccia preferita di Rostam (lapreda più ambita era l’asino selvaggio….dalle squisitecarni arrostite sul fuoco); il Sistan fu nel terzo e nelsecondo millennio A.C. una delle aree maggiormentesviluppate al mondo, con grandi città, centri dicommercio e di lavorazione di metalli. La mappa dellaregione iranico-turanica nell’atlante di Tolomeo, di circa2000 anni fa e di cui sopravvivono tarde copie, mostraun immenso mare Caspio non separato dall’Aral, chesembra esservi incorporato, e la cui maggiorelunghezza è nella direzione est-ovest, non sud-nordcome oggi. Sebbene le mappe antiche non rispettino gliattuali standard di accuratezza, la regione erasicuramente ben nota a mercanti e viaggiatori e fu alungo sotto controllo dei persiani, il cui sistema dicomunicazione era ben organizzato con stime didistanza abbastanza precise tra i diversi punti di sostadelle carovane. Pertanto sembra improbabile un erroredi tale portata.La più forte conferma che l’Asia Centrale qualchemigliaia d’anni fa fosse molto più ricca d’acqua è stataottenuta di recente dall’analisi di foto da satellite. Peresempio queste hanno mostrato che il deserto di TaklaMakan, ora una distesa di dune alte anche oltre 200metri, era un mare interno d’acqua dolce alla finedell’ultima glaciazione, profondo più di un migliaio dimetri, vedasi Ryan e Pittman[18], che citano il lavorodel geomorfologo turco Erol Orguz. Tali ritrovamentiaprono una nuova prospettiva sulla nascita delle civiltà.Infatti i deserti dell’Asia Centrale, dove gli scaviarcheologici sono stati in passato quasi inesistenti, orastanno iniziando a fornire reperti stupefacenti, vedasiMallory e Mair[27], e potrebbero aver visto nascereciviltà antecedenti anche a quella sumerica edegiziana. Forse le evidenze descritte da Hummel[28]come “tracce di Eurasia nell’Asia Centrale” potranno infuturo essere classificata come “tracce di Asia Centralein Eurasia”.Le considerazioni di sopra offrono pertanto un certopeso all’ipotesi che, diciamo nel 5500 A.C., il periodo alquale la storia di Adamo potrebbe essere collocata,seguendo la cronologia della Septuaginta (datacorrispondente all’inizio dei calendari etiopici ebizantini), il fiume Gihon, alla sua uscita dallemontagne, sarebbe quasi subito confluito in un vastomare interno incorporante il Caspio e l’Aral e ricoprentemolta della pianura turanica. Un vero mare pertanto, dachiamarsi appropriatamente il mare di Adamo, se èlecito considerare Amu una forma contratta di Adamu,e se il tragitto preso da Adamo dopo la sua espulsionedall’Eden, seguendo la lettera del racconto biblico, loportò ad ovest, verso il sole cadente, via la valle delGihon. Possiamo allora ipotizzare che Adamo si siafermato ai piedi delle montagne, di fronte al grandemare che ora si è ritirato; si potrebbe addiritturaipotizzare che lo specifico luogo dove si stabilì all’iniziofosse dove la città di Amu/Amol fu poi costruita.Ora parleremo degli altri elementi della Genesiassociati al Gihon, ovvero del territorio di Kush,circondato dal Gihon. L’identificazione di Kush èimmediata nel nostro scenario. È la catena montuosaappena a sud del Gihon/Pandj, chiamata tuttoraHindukush, una delle quattro grandi catene montuose,col Pamir, il Kunlun e il Karakorum, che confluiscono nelmassiccio che separa la valle di Hunza dalla valle diWakhan, da cui hanno origine i quattro fiumi dell’Edensecondo la nostra ipotesi.La parola Kush si può associare al verbo kushtan, chein persiano significa “uccidere”. È pertanto il “luogodell’uccisione”. Quale uccisione tuttavia? Di nuovo,secondo un’interpretazione letterale della Genesi,l’uccisione di Abele è la principale ipotesi, e questaidentificazione è rafforzata dal significato che troveremoper l’altra regione nominata Havilah.È inoltre possibile, crediamo, spiegare come mai ilnome Kush fu ad un certo tempo cambiato inHindukush e perché si trovi anche a sud dell’Egitto unterritorio Kush, il che ha portato poi alla comunetraduzione di Kush come Etiopia e all’identificazione diun ramo del Nilo con il Gihon, sostenuta dagli Etiopi edai Copti. La nostra spiegazione, se corretta, puòilluminare alcuni aspetti dell’Esodo e della vita di Mosè.Si veda l’appendice.La parte dell’Afghanistan delimitata dall’antico Gihonha oggi il nome di Badakshan. Ci domandiamo sequesto nome derivi da antichi toponimi. Possiamovederlo come una forma contratta di Badakushstan.Ora “stan” significa “terra di”, “kush” è stato discusso,ma quale significato per “bada”? Come abbiamoricordato precedentemente, Bad Tibira era una dellecinque città prediluviane nominate nei testi sumerici,centro di lavorazione di metalli (rame e oro) e di pietrepreziose. Ivi il corpo di Dumuzi fu imbalsamato e postosu una lastra di lapislazzuli. I sumeri venivano daDilmun, una terra ad oriente, e di conseguenzadovevano avere portato informazioni su cittàprediluviane collocate ad oriente, e non nel MedioOriente (Mesopotamia), dove le città furono ricostruitedopo il diluvio assegnandovi i nomi antichi di città piùad oriente. Ora la presenza di oro e rame inAfghanistan non è un problema, tenuto conto che l’ oroin passato si trovava facilmente nel letto dei fiumi(prima che lo sfruttamento lo esaurisse) e che il rame ètuttora un prodotto della regione. Lapislazzuli sonostati estratti per tempi immemorabili da un’unica94<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


miniera nel mondo, localizzata proprio nel Badakshan,la Famosa Montagna Blu. Questi elementi fannopensare che Bad Tibira fosse probabilmentecollocata nel Badakshan e che il suo nome sia entrato inparte del nome di tale regione. L’Afghanistan del nord,inoltre, fu chiamato Bactria in tempi classici, nome lecui componenti consonantiche sono molto simili aquelle di Bad Tibira .6. Hiddekel identificatoA pochi km dalla sorgente dell’Amu Darya da noiindividuata nasce un altro fiume, che discende la ripidavalle del passo di Mintaka/Minteke, si unisce ad un’altrofiume proveniente dal passo di Vahgir, prosegue ad estper circa 50 km, gira a nord per circa 70 km, poi fluiscein una direzione prevalentemente est-est-nord primacon il nome di Tashkurgan, poi di Yarkhand, poi diTarim, finendo nelle vastità del deserto di Lop Nor, acirca 1500 km in direzione est-est-nord dalla suasorgente. Come Yarkhand attraversa il deserto di TaklaMakan (il nome significa secondo alcuni tu entri, manon esci.). Sven Hedin fu il primo esploratoreoccidentale ad attraversarlo da sud a nord, a mala penaevitando di morirvi di sete; alcuni anni dopo fu ancheattraversato da Aurel Stein nella più difficile direzioneest-ovest, dove è spesso completamente secco. ComeTarim definisce il confine nord del Takla Makan,fiancheggiando il lato sud della catena del Tien Shan (oTengri Tagh, Monti del Cielo), dalle cui cime elevate(oltre 6000 m) diversi fiumi apportano le loro acque.Il passo di Mintaka, altezza 4709 m, è uno di quelliassociato con il ramo meridionale della Via della Seta,che collega la Cina all’India, utilizzato già da diversimillenni. Il nome del fiume nel lato cinese del passonon appare nei soliti atlanti o mappe per turisti, ma sitrova nel Mappa di viaggio culturale per la strada dellaseta, prodotta da Viaggi dell’Elefante, agenzia fondatadai fratelli archeologhi Dutrot, Roma, 1998. Ivi apparecome Ming-t’ieh-kai Ho, dove Ho è fiume in cinese, e ilresto è virtualmente Minteke.Riteniamo che il nome Minteke sia ciò che rimaneoggi del nome del fiume Hiddekel della Genesi, per iseguenti motivi:• Il fiume Minteke-Yarkhand-Tarim ha una sorgenteprossima a quella del Gihon/Amu Darya e unadirezione prevalentemente verso oriente• C’è una considerevole somiglianza consonantica idue nomi M NT K, H DD K L, considerato che i nomitendono ad accorciarsi col tempo (così L risultaassorbita), che la H aspirata è spesso sostituita daaltre consonanti, che T e D sono consonanti dellostesso gruppo fonico….Non sappiamo quale sia il significato originario diHiddekel/Minteke (seguendo un suggerimento diD’Ausser Berrau, potrebbero correlarsi con l’accadicodeputo, ovvero depressione geografica; il fiume finisceinfatti nella depressione del Lop Nor, sotto il livello delmare). Il fatto che l’Hiddekel fosse chiamatoclassicamente, nel contesto mesopotamico, Tigris, cheè il nome latino della tigre, incuriosisce. Infatti non c’èevidenza dell’esistenza di tigri in Mesopotamia duranteil periodo sumerico-babilonese, mentre c’erano elefanti,leoni, leopardi. Pomponio Mela spiegò l’origine delnome con una presunta grande velocità delle acque delfiume, il che è vero solo per quanto riguarda il trattoanaltolico, dove la pendenza media è superiore a quelladel più lungo Eufrate. Ma le tigri esistettero fino al XXsecolo nella regione turanica (le famose tigri dell’Aral,dell’Amu Darya e del Mazandaran) e forse anche finoall’inizio di questo secolo in Zungaria, secondoLattimore [29], e nella regione del Lop Nor, vedasiHedin [30]. Le tigri prosperano nei canneti, abbondantidove il fiume raggiungeva la pianura del Taklamakan.Potrebbero esserci state tigri nelle aree paludose delloShatt-el-Arab prima del Diluvio, ovvero prima dell’arrivodei Sumeri; se fu così probabilmente non sopravvisseroalla grande alluvione che invase le pianure dellaMesopotamia. Quindi un’associazione del nomeHiddekel/Mintaka con il nome della tigre sembra essereun’interessante possibilità. Qui si può osservare che ilnome del fiume Indo, chiamato localmenteSindh/Sundh da almeno 2000 anni, sia associabile aSingh, il più comune cognome Sikh, e a Senge, il nometibetano della sua principale sorgente dal lato norddella montagna sacra Kailas; ambedue i nomisignificano leone. Con tale osservazione, l’Eden apparecollocato a sud della terra delle tigri e a nord di quelladei leoni, un luogo sicuro tra terre pericolose….Un’altra osservazione degna di nota è che Mintakaappare come Al Mintaka nel nome di una delle tre stellecentrali della costellazione di Orione, quelle cherappresentano la cintura di Orione (la cui possibileassociazione con le tre grandi piramidi, in termini disimile allineamento, distanza angolare e luminositàrelativa, è stata proposta da Bauval e Gilbert [31]). AlNilam è il nome di un’altra delle tre stelle, correlabilecon il fiume Nilo; forse il nome della terza stella, AlNitak, per metatesi ed apocope, potrebbe riferirsiall’antico Tanai, l’attuale Don (forse in passato collegatoal Volga), che per gli antichi divideva l’Asia dall’ Europa.Con queste identificazioni i tre fiumi potrebbero essereassociati al territorio occupato dai discendenti dei trefigli maggiori di Noè, i Camiti localizzati nella zonanilotica, gli Iafetici nella zona fra il Tanai ed il Tarim(abitata da Sciti e Tocarici) ed i semitici nella zonaintermedia.Infine discutiamo l’affermazione della Genesi chel’Hiddekel “va ad est di Ashur”, Ashur tradotto di solitocon Assiria. Già Salibi ha rifiutato tale traduzione.Tentativamente proponiamo la seguenteinterpretazione:• ASH potrebbe essere la radice della parola ASIA,usata in tempi classici per indicare la parteoccidentale dell’attuale Asia, ma che ha unainteressante collocazione nell’Asia Centrale Tibetananel regno di A-ZHA, vedasi ad esempio Hummel[32] o Deshayes [33]. Anche Pomponio Mela parladegli Asioi localizzati altre la Battriana.• UR potrebbe avere lo stesso significato che insumerico e nelle lingue semitiche, ovvero città<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200995


Quindi il nome potrebbe riferirsi alla città di Urdell’Asia, qui intesa come “Asia Centrale”, da mettere inopposizione con una Ur nello Shinar/Sumer (nel MedioOriente si possono in verità individuare molte Ur, p.e.Ur Kasdim in Anatolia, una fortezza chiamata Ur citatada Ammiano Marcellino nella regione di Edessa…). Cosìse era stata conservata la memoria di una precedenteantica Ur nel cuore dell’Asia, questo potrebbe spiegareperchè la Genesi specifichi che Abramo partì da Ur deiCaldei. Tentativamente suggeriamo come candidato perAsh-Ur l’antica e strategicamente collocata città diTashkurgan, altezza 3200 m, dove il Mintaka cambianome in Tashkurgan ed inizia il suo percorso indirezione dell’oriente. Si potrebbe ulteriormente arguireche Tashkurgan significhi Porta di pietra (Tash) (diaccesso ) ai monti (kur) del Giardino dell’Eden (gan).Appendice 1: sul Kush, l’ Hindukush e l’EsodoIntorno alla metà del secondo millennio A.C. abbiamola grande migrazione degli indoeuropei dall’Europa delnord e dall’Asia nord occidentale verso l’Europasudoccidentale, l’Iran e l’India. Non c’è accordo fra glistudiosi sulla reale causa di queste migrazioni, che èpossibile attribuire ad eventi catastrofici chemodificarono il clima e anche diedero luogo a disastrositsunami. Traccia di tali eventi possiamo vederla nelledieci piaghe che devastarono l’Egitto appena primadell’Esodo, e negli tsunami che devastarono le costedell’America Atlantica e dell’Europa, la cuidocumentazione geologica è recente, si veda Harris[42]. Importante inoltre l’ affermazione di Orosio [50]della sostanziale contemporaneità fra Esodo, invasionedell’ India e diluvio di Deucalione, associati alla cadutadi Fetonte. È probabile che grandi tsunami devastaronole pianure nordeuropee sede di una grande civiltàmegalitica e del bronzo, il bassopiano sarmatico ed ilbacino dell’Ob, provocando una migrazione verso sud.Se la datazione dell’Esodo sulla base del testo biblico ècorretta, l’evento sarebbe avvenuto nel 1447 A.C.,corrispondente, secondo la cronologia dell’Egittoproposta da Velikovsky, alla fine della XII dinastia,appena prima dell’invasione degli Hyksos. Nella loromigrazione verso l’India, gli Hindi passarono quasicertamente attraverso la mesopotamia turanica, che èla regione tra il Syr Darya e l’Amu Darya. Se lacorrelazione tra le migrazioni indoeuropee e l’Esodo e l’associazione di Velikovsky fra Esodo ed invasione degliHyksos sono corrette, allora abbiamo di fronte unquesito interessante. Chi erano gli Hyksos? Questonome risale a Manetone, che lo spiega come “il popolodi pastori”. Altrove[26] abbiamo affermato che ilsignificato del nome sia “popolo dei cavalli”, nomecomunemente dato dalle popolazioni agricole e urbaneai cavalieri che invadevano dalle steppe i loro territori(così i Mongoli erano chiamati dai Cinesi). Ora gliinvasori che Manetone chiama Hyksos sono citati neipochi documenti egiziani sopravvissuti come Amu eVelikovsky sostiene che essi siano coloro che appaiononell’Esodo come Amaleciti, termine interpretabile comepopolo di Amu/Amol. Amaleciti furono incontrati esconfitti da Mosè nel deserto poco dopo il passaggio delMar Rosso. Riteniamo che gli Amaleciti sconfitti fosserosolo un piccolo gruppo degli invasori Amu/Hyksos,separatosi dal gruppo principale per esplorare ildeserto, mentre il corpo principale raggiungeva l’Egittoseguendo la via canonica, la cosiddetta Via del Mare,lungo il mare Mediterraneo. Il nome Amu suggerisceche questi invasori provenissero dal Turan, la regionedell’Amu Darya.Possiamo vedere due ragioni per la loro migrazionedalla regione dell’Amu Darya verso l’Egitto:• Sapevano di non poter opporre un’adeguataresistenza agli invasori ariani diretti verso l’ India,gli Hindi. Gli Hindi quasi certamente avevano unasuperiorità militare, basata non solo sul bronzo (nelnord Europa la tecnologia del bronzo era assai bensviluppata nella prima parte del II millennio A.C.),ma probabilmente avevano anche armi di ferro. Èinfatti una recente scoperta che noduli di ferrofossero abbastanza comuni nelle paludi del nordEuropa e della Siberia occidentale, prodottidall’azione metabolica di batteri. Trovare questinoduli era abbastanza facile (il che potrebbe esserela vera ragione perchè molti cadaveri umani benpreservati si trovano nelle torbiere del nord Europa,antiche paludi). Tali noduli costituivano unmateriale per produrre il ferro preferibile ai normaliminerali ferrosi. Nei tempi presenti, in Svezia siricava il ferro non più dalle famose miniere diKiruna, ma raccogliendo proprio questi noduli dalfondo dei grandi laghi della Scania!• Gli Amu potrebbero aver avuto un conto dasistemare con gli Egiziani e in particolar modo conMosè. Sappiamo che la prima moglie di Mosè, dinome Adoniah secondo le leggende degli Ebrei, eradi Kush, terra di solito ritenuta essere l’Etiopia, mache noi abbiamo identificato con la regione a suddel fiume Gihon, ovvero con l’attuale Badakshan,terra delle preziosissime miniere di lapislazzuli.Forse una spedizione egiziana guidata da Mosèaveva aiutato le popolazioni locali a respingere unattacco degli Amu. Forse in quell’occasione Mosèaveva preso in moglie Adoniah, figlia di un relocale. Allora gli Amu, che avevano lasciato unterritorio indifendibile dagli invasori ariani, simossero verso l’Egitto anche per vendicarsi di unaprecedente sconfitta. Forse la famiglia di Mosè,restata sulle montagne del Kush, lo informò del loroarrivo imminente (messaggeri speciali potevanoarrivare molto prima del corpo principale degliAmu). Ciò potrebbe spiegare sia la fretta di Mosè diportare via il suo popolo sia il tragitto inusuale edassai lungo che prese attraverso il deserto, nontanto per fuggire da un faraone vendicativo, chenon avrebbe comunque avuto difficoltà a localizzarela sua posizione, quanto per evitare gli invasoriAmu. Infine, questo potrebbe anche spiegare ilfatto curioso che nessuno conoscesse, stando allaBibbia, dove fosse la tomba di Mosè, mentre unacosiddetta tomba di Mosè si trova nel Kashmir(vicino alla località di Booth, presso il villaggio diAham Sharif e la città di Beipur), e di essa se neprende cura una famiglia ebraica (i Wali Rishi), dacirca 90 generazioni secondo le tradizioni locali, si96<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


veda Kersten[46]. Mosè alla fine della sua vitapotrebbe essere tornato dalla prima famiglia, aoriente, visti anche i rapporti non idilliaci cheemergono in vari passi biblici nei confronti dellaseconda moglie Zifforah e del primo figlio Ghersom.similmente alle incursioni che gli Xiongnu (gli Unni)fecero verso la Cina lungo molti secoli, partendo dalleloro basi in Zungaria, anch’ esse a circa 4000 km dallaCina propria.Così, pensiamo, gli Hindi attraversarono il territoriodegli Amu senza grosse difficoltà, puntando verso lavalle dell’Indo e forse anche dell’Helmand, ambedueposti di grandi e ricche civiltà, promettenti ricchisaccheggi. Per raggiungere quelle valli dovevanoattraversare i monti dell’Afghanistan, che dividono lavalle dell’Amu Darya/Gihon da quella dell’Indo. Iltragitto verso India potrebbe anche essere stato quelloattualmente seguito dalla strada che collega Kunduzcon Kabul, attraverso il Salang Pass (3363m), nellaparte occidentale dell’ Hindukush, o un’altro che segueil fiume Daryz-ye-konce, e poi sfocia nel bacino diKabul (il nostro Havilah) attraverso l’alto passo diAnguran (4430m); questo secondo percorso avrebbeportato gli Hindi non lontani dalle miniere di lapislazzulivicino a Sar-e-Sang, circa 80 km a nord del passo diAnguran. Riteniamo probabile che sia stato scelto ilsecondo percorso e che le popolazioni locali abbianoopposto una fortissima resistenza agli Hindi, nello stiledi resistenza agli invasori che mai gli afgani avrebberoperduto. Un immenso spargimento di sangue deveaversi avuto, con gli Hindi che probabilmente nonfurono capaci di conquistare le miniere, così immensoche il nome di Kush, collegato originariamenteall’uccisione di Abele, fu cambiato in Hindukush, lastrage degli Hindi. Se la nostra interpretazione ècorretta, una eco di tali eventi potrebbe tuttora esisterenelle tradizioni locali del Badakshan.Il nome Kush sopravvisse chiaramente nel nome deiKushana, un popolo molto importante in quella zonacirca 2000 anni fa, citato anche nel Periplus MarisErythraei. La presenza di un regno Kush a suddell’Egitto può essere spiegata nel nostro contesto. Ci sideve certo attendere che alcune popolazioni sulla viadell’invasione ariana siano fuggite molto lontano – al dilà del mare sarebbe stata la migliore scelta. Dovevanoessere piccoli gruppi, appartenenti ad un’elite dipossidenti. I viaggi via mare erano già sviluppati tra lavalle dell’Indo (e il Sistan) e altre destinazioni ad est oad ovest, seguendo i monsoni e gestiti dalla poco notama importantissima classe dei naviganti indiani, i Pani.Si osservi inoltre che Meluhha era una regione assaisviluppata nell’ alta valle dell’ Indo, il Punjab.Popolazioni potrebbero essere fuggite anche daMeluhha, finendo o in Africa o nell’Asia Sud-Orientale, aseconda del mese in cui affrontarono il mare, ladirezione dei monsoni variando nel corso dell’ anno.Questo potrebbe spiegare perchè in Africa troviamonomi tipo Kush, Meluhha e nel sud-est asiatico troviamoMalacca, Moluccas. Tali migrazioni potrebberocomunque essere avvenute anche in tempi più antichi,essendo il nome Kush documentato per l’Africa già intesti dell’ inizio del Medio Regno egiziano (almeno 400anni prima dell’Esodo). Anche contatti fra gli Amu(nome non egiziano) e l’Egitto sono documentati sin dalprimo periodo intermedio, il che fa pensare cheincursioni dei popoli dei cavalli turanici verso l’Egitto –pur separati da circa 4000 km – avvennero più volte,Appendice 2: Afghanistan, porta d’ingressodell’EdenFiniamo questo saggio con una nota sul nome“Afghanistan”. Terra degli Afgani, certamente. Ma cosasignifica Afgani? Riteniamo AF una variazione di AB,acqua, fiume, in persiano (A in sumerico). In ebraicogan appare con il significato di Giardino dell’Eden eparole di origine ebraica sono comuni nella linguapashtun parlata dalla maggioranza della popolazioneafgana. Pertanto ad Afghanistan si può associare ilsignificato di terra dei fiumi (dalle montagne) delGiardino dell’Eden, in perfetto accordo con la nostraidentificazione del Gihon con il Pandji, del Pishon con ilYarkhun-Mastuj-Konar-Kabul, e di Kush e Havilah con laregione tra i due fiumi.È ironico che il vero significato della parolaAfghanistan (se la nostra interpretazione è corretta) siastato perso, per quanto ne siamo informati, anche dalpopolo afgano. Ma lo stesso vale anche per gli italiani,se la vera origine del nome Italia non sia da vituli (terradi vitelli) come Varrone propose, ma dal greco Aithalia,la terra fumante, con riferimento ai vulcani collocativicino alle coste italiche, un nome molto denso disignificato, per il cui recupero siamo indebitati al geniodi Felice Vinci [23].Bibliografia[1] K. Salibi, Secrets of the Bible people, Saqi Books, London,1988[2] K. Salibi, The Bible came from Arabia, Naufal, 1996[3] K. Salibi, The historicity of Biblical Israel. 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Spedicato, Numerics of Hebrews WorldwideDistribution Around 1170 AD According to Binyamin ofTudela, Migration and Diffusion 3, 6-16, 2000[14] C. Ò Brien and B. Ò Brien, The Genius of the Few,Dianthus, Cirencester, 1999<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200997


[15] E. Spedicato, Numerics and geography of Gilgameshtravels, Report DMSIA Miscellanea 1/2000, University ofBergamo, 2000[16] M. Baillie, From Exodus to Arthur: catastrophicencounters with comets, Batsford, 1999[17] C. Ginzberg, The Legends of the Jews, The JewishPublication Society of America, 1925[18] W. Ryan and W. Pitman, Noah’s Flood,. The newscientific discoveries on the event that changed history,Simon and Schuster, 1998[19] Z. Sitchin, The Cosmic Code, Avon Press, 1988[20] Z. Sitchin, Il Dodicesimo Pianeta, Edizioni Mediterranee,1996[21] T. Heyerdahl, The Tigris Expedition, Allen and Unwin,1980[22] H. Philby, Arabian High Lands, Ithaca, 1952[23] F. Vinci, Omero nel Baltico, Palombi, 1998[24] R.A. Walker, The Garden of Eden, Newsletter of Ancientand Medieval History, Book Club, 11, 19863) ContinuaCINEMA CINEMA CINEMA CINEMA CINEMAIL CINEMA È CINEMACINEMA CINEMA CINEMA CINEMA CINEMA________Servizi cinematografici ________I consueti articoli sul Trieste Film Festival 2009 delnostro inviato cinematografico saranno pubblicati nelfascicolo prossimo della ns. Rivista. Intanto ecco irisultati delle opere concorrenti:I VINCITORI DELLA XX^ EDIZIONELUNGOMETRAGGIGiuria: Prune Engler (Francia), Labina Mitevska(Rep. Di Macedonia), Andras Muhi (Ungheria)PREMIO TRIESTE per il miglior lungometraggioa: WOLKE 9 (Cloud 9)by Andreas Dresen, Germany, 2008, 35mm,col., 98’Per la visione senza compromessi del regista e perl’intepretazione straordinaria dei tre protagonisti.SNJEG (Snow)by Aida Begic, Bosnia Herzegovina-Germany-France-Iran, 2008, 35mm, col., 99’Per la visione sensibile, femminile e sensuale dellaregista di un argomento difficile quale la guerra.CORTOMETRAGGIGiuria: Bernd Buder (Germania), Kujtim Çashku(Albania), Andrea Wink (Germania)MENZIONI SPECIALI:MÄRZ (March)by Händl Klaus, Austria, 2008, 35mm, col., 83’Per la narrazione forte e precisa, un grande esordioalla regia e la presenza autentica degli attori di frontealla macchina da presa.PREMIO TRIESTE PER IL MIGLIORCORTOMETRAGGIO a:DAY’S WORKby Edward FeldmanPer la narrazione semplice e imparziale del modo incui l’innocenza riesce a porre le domandefondamentali alla nostra società.98<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


MENZIONI SPECIALI:BALASTIERA# 186by Adina Pintilie e George ChiperPer l’atmosfera che riesce a creare nell’incontro frastruttura minimalista e misticismoMENZIONI SPECIALI:MEINE HALBES LEBENby Marko Doringer, Austria, 2008Per l’abilità del regista di raccontare una storiapersonale senza essere egocentrico, affrontandonello stesso tempo problemi esistenziali.MOJ BRATby Jan WagnerPer la narrazione convincente e la maestria con cuisono stati diretti i piccoli attoriPREDSTAVLENJEby Sergej Loznica, Germania – Russia –Ucraina, 2008Perché usa materiale d’archivio in un modo moltospeciale, dandoci una visione approfondita dell’epocacomunista attraverso immagini di propaganda.RESOLUTIONby Pavel OresnikovPer il coraggio dimostrato dal regista nell’attirarel’attenzione dello spettatore sulla vita quotidiana degliemarginatiPREMIO ALPE ADRIA CINEMA AL MIGLIORDOCUMENTARIO:Giuria: Marek Hovorka (Rep. Ceca), DanieleGaglianone (Italia), Nerina Kociančič (Slovenia)THE REVOLUTION THAT WASN’Tby Aljona Polunina, Estonia – Finlandia, 2008Perché mostra in maniera approfondita la realtà dioggi in Russia, una realtà che non è mostrata daimedia. Un nuovo approccio nel descrivere la politicache condiziona la vita di tutti noi.PREMIO CEI EVENT 2009:KAVIJAR KONEKSNby Dragan NikolicPer la capacità diraccontare con efficaciae con misurauna storia che èemblematica deiproblemi legati allaglobalizzazione enello stesso temporestituisce la profonda umanità dei protagonisti.PREMI DEL PUBBLICOConcorso lungometraggi:1. SNIJEG di Aida Begić (Bosnia Erzegovina-Germania-Francia-Iran, 2008, 35mm, col., 99’)2. TURNEJA di Goran Marković (Serbia, 2008,35mm, col., 108’)<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 200999


3. KARAMAZOVI di Petr Zelenka (Rep. Ceca-Polonia, 2008, 35mm, col., 98’)Concorso cortometraggi:1. MESÉLD EL… di András Salomon (Ungheria,2007, 35mm, b-n, 5’)2. FATA GALBENA CARE RADE di ConstantinPopescu (Romania, 2008, 35mm, col., 15’)4. MY HAPPY END di Milen Vitanov (Germania,2007, 35mm, col., 5’)Concorso documentari:1. SLEPE LASKY di Juraj Lehotsky (Rep. Slovacca,2008, 35mm, col., 77’)2. MOSTAR UNITED di Claudia Tosi (Italia-Slovenia, 2008, Betacam SP, col., 74’)3. SRESCA PRI AJFELOVATA KULA di ValentinValcev (Bulgaria, 2008, DigiBeta, b-n/col., 96’)Fonte: TFF20 – INSOSTENIBILI LEGGEREZZE DELL’EST –CRONACHE DAL FESTIVALL’ECO & RIFLESSIONI ossia FORUM AUCTORISNOTERELLE PER IL SETTANTE<strong>NN</strong>IO DA<strong>NN</strong>UN-ZIANOCi ha fatto piacere ma nello stesso tempo ci haprocurato un po’ di fastidio il constatare che, asettant’anni esatti dalla morte (1938-2008), il Vate siastato finalmente “sdoganato” da quella parte politicache dal secondo dopoguerra tenacemente, direiimplacabilmente, aveva tentato di demolirlo, a partiredalla famigerata critica del Sapegno, il quale nella suadiffusissima storia della letteratura italiana e in altriscritti lo relegò addirittura tra i “minori”, con l’odiosaformula del “dilettante di sensazioni”! Su questa lineadistruttrice s’incanalò tutta una nutrita schiera distudiosi politicizzati che non sapevano – o meglio, nonvolevano – distinguere l’abissale differenza tra giudiziopolitico e morale sull’uomo e valore estetico intrinsecoalla sua opera.È uscito recentemente un libro di Giordano BrunoGuerri che rivaluta quella che io considero la piùesaltante delle opere non scritte di D’Annunzio:l’impresa di Fiume, straordinaria anticipazione del ’68 incui realmente la Fantasia andò al potere; in cui tutti, dainazionalisti agli anarchici, dai proto-fascisti aibolscevichi, ugualmente accettati e apprezzati dalComandante per l’entusiasmo con cui vivevano i propriideali, si ritrovarono fianco a fianco, all’indomani della“Vittoria Mutilata”, per rivendicare l’italianità della cittàistriana.Era ora che, dopo anni di ubriacature ideologiche, lavera Poesia andasse riconosciuta e giudicata per il suointrinseco valore, e che si smettesse di predicare “dalpulpito” marxista come degni di considerazione soloquegli autori calati nel sociale, in una parola,“impegnati”. Somma ipocrisia, perché anche poeti chefecero trionfare il concetto parnassiano e simbolistadell’”Art pour l’Art”, furono pienamente calati nel lorotempo; e anzi, il Vate improntò di sé un’epoca intera, la“Belle Époque”, e partecipò in prima persona, ad oltrecinquant’anni di età, alla Grande Guerra, per cuiottenne generale rispetto e ammirazione.D’Annunzio è stato artista complesso, ha sperimentatoogni genere letterario con somma perizia, ha scritto dapar suo persino in francese antico, va oltre qualunquedefinizione. Per me, sin da quando, tredicenne, lessi “Lapioggia nel pineto” nella bella antologia di Montanari-Puppo, è sempre stato un punto di riferimento, ilsimbolo stesso della Poesia, Colui che mi ha insegnatoad amarla e a coltivarla. Più grande, approfondii i mieistudi su di Lui e sul Decadentismo, feci una tesi dilaurea sul Pascoli, suo grande amico, e scrissi lamonumentale raccolta dei “Canti Bizantini”, poemetti inprosa e poesie ispirate all’”Epoca Bella” a cavallo tra‘800 e ‘900.Rimpiango solo di non aver vissuto nella sua età:certamente sarei stato un dannunziano “sfegatato”nell’Arte e nella Vita (che Lui considerava una cosasola), e avrei cantato i miti pagani, le donne, gli amori,la gloria, l’”Uebermensch” del “barbaro enorme” –Nietzsche! – , la volontà di potenza, la voluttà,l’orgoglio, l’istinto…Quando, in viaggio di nozze, andai a visitare il“Vittoriale degli Italiani” a Gardone Riviera, mi parvequasi che tutte quelle stanze, quegli arredi, queisoprammobili, quei quadri, quelle sculture, quei libri,quegli oggetti e oggettini infiniti li avessi raccolti,vissuti, amati, toccati io e solo io!…E ora permettetemi di salutare il Comandante, dallaprora della nave “Puglia”, con le sue stesse parole:“Dèspota, andammo e combattemmo, sempre / fedelial tuo comandamento…”Marco Pennone– Savona –FENOMENOLOGIA DELLE PAROLE DA BUTTARE III.Viaggio a tappe nella lingua dei palazziAnno 212: Caracolla concede la cittadinanza romana atutti gli abitanti liberi dell’Impero. «È un provvedimentoatto a favorire la coesione sociale» direbbe l’Imperatorese regnasse oggi. In effetti, uno dei motivi dellaCostitutio Antoniniana era, oltre a rimpinguare le cassedello Stato, dare compattezza a un territorio sconfinato,pareggiando i suoi abitanti variopinti, attraendo diversee nuove classi. La coesione sociale che rimbalza dapalazzo a palazzo indica l’accordo e l’unione fra ladiverse parti che costituiscono la società. È unalocuzione inflazionata perché si presta ad essere unasso nella manica: corrobora l’impressione di serenità,di sviluppo, di progresso, di collaborazione, dicomunione d’intenti. È la meta di un «percorso», di uno100<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


«sforzo», di un «impegno»: spesso di «favorisce», si«promuove», si «incentiva». L’espressione è di calcofrancese, derivante dal verbo latino che ha originatoanche «coerenza». Il termine «coesione», coniato perla fisica, indica la forza di attrazione tra molecolediverse di un corpo, sia solide, sia liquide. È evidente lasua facile trasposizione nel dizionario pubblico eamministrativo. Il modo di dire «coesione sociale»potrebbe essere variato, di tanto in tanto, con un piùsuggestivo «concordia», o con «accostamento di tutti»,«adesione comune». Tuttavia nessun termine descrivemeglio la forza che attrae componenti diverse: sarebbepreferibile non abusare di un’espressione così chiara.Indice di confusione e ottusità è invece l’immigrazionedi massa di espressioni mutuate da altre lingue: comese la nostra non fosse abbastanza colorita e colorata,come se l’italiano fosse morto, o vivesse soltanto con leparole che ha già, sterile e incapace di produrne altre.Sembra che parlare inglese denoti efficienza emodernità. Il linguaggio aziendale è pieno di espressionicopiate e incollate dall’Oltremanica: non è una novità,anzi. E ogni mese che passa se ne scoprono di nuove.Anche nel pubblico riscuotono apprezzamento, forseperché danno, appunto, l’idea di snellezza e di stare alpasso coi tempi. Ma che dire di step o trend,perfettamente sostituibili con sinonimi italiani? C’èproprio bisogno di «colmare un gap» o di «dareinput»? Non è purismo, ma emergenza linguistica:spesso un gergo troppo tecnico risulta incomprensibile.Quando si presentano bilanci, oppure esiti di indaginipromosse da aziende ed enti pubblici o privati, saltafuori il termine stakeholder. Non si sa se lo si usa perspaventare chi ne ignora il significato o per assurgere aprofessionalità. Il termine identifica individui, gruppo odorganizzazioni che possono influenzare o essereinfluenzati dal raggiungimento degli obiettivi diun’organizzazione. La definizione tecnica, coniata daFreeman vent’anni fa, è talora appaiata alla versioneitalianizzata «portatore d’interesse». Ciò significa che«stakeholder» è chiunque sia coinvolto in un progetto,e la cui soddisfazione influenza il successo del progettostesso. Quindi ciascuno di noi, senza saperlo, puòessere stato o sarà uno «stakeholder». Niente dipericoloso, per carità, ma è pur sempre unageneralizzazione che porta ad equiparare gusti epersone: perché ciò che conta è «portare interessi».Pazienza. Ci sono poi parole che escono dalla porta erientrano dalla finestra: implementazione è una diqueste. Di origine latina, dove significava«riempimento», e, in senso estensivo «conduzione atermine», è scomparsa dall’uso comune per essereadottata dagli anglofobi. Il termine è rientrato in Italia acavallo del terzo millennio, ed è subito stato accoltodalla lingua corrente, come al solito fin troppobenevola. «Implementazione», come sinonimo di«messa a punto», appartiene al gergo informatico. Peròda qualche tempo è migrata dal mondo degli algoritmiper andare forte anche nelle istituzioni e nelleamministrazioni. Si riferisce, infatti, alla messa inpratica di un indirizzo politico pubblico: cioè comerealizzare un fine previsto e condiviso attraversoprovvedimenti, regolamenti, programmi o piani. Loscopo di chi vuole «implementare» è fondamentale,come è fondamentale l’efficienza dell’amministrazionenel portare avanti la «messa a punto». Così capita diascoltare di «aspetti implementativi», di «fase diimplementazione ed attuazione» (è un’endiadi?), di«pianificazione dell’implementazione», molto spessonon avendo ben chiaro di cosa si stia parlando. Ineffetti, il significato è piuttosto sfuggente. Certo, è beneessere precisi ma gli elettori, forse, capirebbero megliose si parlasse di «messa in pratica», perché si«implementa» un programma solo se lo si porta atermine. Ultima “parola da buttare” per questa volta ècapacitazione. L’economia del benessere, affidata inmodo particolare agli enti locali, ha tra gli obiettivi la«coesione sociale», di cui s’è già detto, e la«valorizzazione delle risorse umane». Quest’ultimaviene attivata attraverso la «capacitazione» dei direttiinteressati alle politiche. Il termine rimane oscuro, e piùè lontano dalla lingua madre, più si veste di un alone dimodernità. Questa parola di difficile comprensionedefinisce il modo con cui gli amministratori investonosulle nostre capacità. Il neologismo deriva dagli studidell’economista indiano Amartya Sen, secondo cuisignifica «abilità di fare le cose». Più le «capacitazioni»,come alternative di scelta, si espandono, più si vivebene. In parole povere, la «capacitazione» è sinonimodi attivazione, è la sveglia che fa partecipare il popolo(o, come si dice nei palazzi, il tessuto sociale), inmodo che diventi partecipe. Con la «capacitazione»,infatti, non si è più destinatari passivi delle politiche.Quindi i cittadini sono già «capaci», «idonei», «abili», ese si «attivano» diventano parte della cosa pubblica,delle sue scelte. Se però si consulta un dizionario, siscopre un risvolto inquietante: in italiano, il verbo«capacitare» significa «rendere persuaso». Non è chela «capacitazione» sia un modo per convincerci più cheper attivarci?3) ContinuaUmberto Pasqui– Forlì –LUIGI VAROLI FRA OTTOCENTO E NOVECENTOTutta racchiusa nello spazio ravvicinato checomprende Palazzo Sforza, la Casa Museo Luigi Varoli ela Chiesa del Pio Suffragio, si è svolta a Cotignola (Ra),fino al 15 febbraio scorso, la mostra Luigi Varoli, unMaestro nel Novecento, intesa a celebrare il 50°anniversario della morte dell’artista (1889- 1958).Questo breve orizzonte territoriale sembra volerriflettere la natura intima e artigianale di un pittorelegato alla sua terra in maniera non sentimentale, perquanto pressoché esclusiva .La forte predominanza di oli che ritraggono le piùdiverse figure – i genitori, la moglie, alcuni protagonistidella vita del paese, della politica italianacontemporanea, come della sua storia antica, ma anchecontadini, vecchie che sferruzzano all’interno di“ricoveri”, ragazzi e giovinette anonimi, bimbi chegiocano, o forse rimembranze di personaggi dellacultura o dello spettacolo, quali potrebbero essere ilSuonatore di contrabbasso (Cesare Pavese?) o Ilfacchino del porto.(Stan Laurel?), rivela, infatti, ilbisogno di indagare e rappresentare un mondo fatto di<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 101


simboli e archetipi ben presenti nella mente del loroartefice, ma che, allo stesso tempo, sembrano perdersinel flusso dei ricordi. Ma quale concretezza Varoli saimmettere in quei ritratti, che non rappresentano maimodelli generici o tipi impersonali, bensì riescono adimmortalare la realtà circostante in maniera vitalissima,sanguigna, intensamente partecipata! Lo stesso si puòdire dei frequenti nudi del pittore, che non dannol’impressione di essere il frutto di un lavoro fatto instudio con modelle, ma sembrano di più uscire dallamemoria delle “case chiuse”.Al piano terra di Palazzo Sforza era allestita la sezioneprincipale della mostra vera e propria. Un excursus indue sole stanze, sufficiente, però, ad avvertire ilpercorso artistico di un uomo sospeso fra Ottocento eNovecento, con quella robusta nostalgia figurativatemperata o forse rafforzata dai nuovi mezzi tecnici cheaveva a disposizione. Esemplificativi di questo doppiobinario ci sono parsi i volti paonazzi di alcuni contadini,che non ci sembra stiano a significare una genericarappresentazione della vita di campagna, bensì risaltanoin maniera realistica grazie all’uso efficace di pennellategrosse, cupe, strettamente imparentate col coevoespressionismo.Quasi depisisiano il Paesaggio invernale del 1934, coni suoi alberi scheletrici e il tratto denso e sfumato; cosìpure il Ritratto di Demo del 1956, o Figura in giardino,s.d. in cui i raggi del sole si diffondono in una scenaabbagliante grazie a pennellate smaltate, ci paionorisentire non poco del mondo espresso dal pittoreferrarese.Il primo piano ospita il Museo Varoli, ove siammirano, soprattutto, le opere scultoree dell’artista:teste in terracotta, manichini – un gigantesco e funereoPaganini sembra dominare lo spazio circostante dall’altodel suo violino – faccioni in cartapesta che, a suotempo, avevano animato i carri di Carnevale e altroancora.Uscendo dal Palazzo Sforza, dall’altra parte della stradasi accede, attraverso un androne e un giardino, allaCasa Varoli. Vi si trovano ampie testimonianze di quellache fu l’altra grande passione dell’artista, che nel 1931si era diplomato in contrabbasso alla Regia AccademicaFilarmonica di Bologna. Oltre a tre pregevoli esemplaridello strumento prediletto sono presenti violoncelli eviolini, ma anche tracce di un’arte musicale popolare –le ocarine – che Varoli foggiava di sua mano e suonavacon grande divertimento e, infine, un numeroimprecisato di strumenti là trasferiti dal teatrocomunale di Cotignola, distrutto dai bombardamenti.Nella Chiesa del Pio Suffragio è stato, invece, ricordatol’impegno di Varoli a offrire rifugio e protezione ad ebreie ricercati politici durante il periodo bellico, attività perle quali l’artista venne insignito del titolo di Giusto tra leNazioni.Parallelamente, nella Chiesa del Pio Suffragio dellavicina Bagnacavallo, è stata allestita un’ulteriore sezionedella mostra con tele provenienti da collezioni private –come già alcune di quelle esposte a Cotignola.L’insieme della produzione artistica di Varoli, visibile neidue centri in provincia di Ravenna, come pure quellaospitata in altri musei o in raccolte pubbliche e private,è raffigurata nel catalogo predisposto per la mostradall’Istituto per i beni artistici culturali e naturali dellaRegione Emilia-Romagna.Non si può, poi, tacere l’importanza didattica dell’artistadi Cotignola. Il titolo della mostra, anzi, privilegiavaproprio l’aspetto educativo dell’attività di Varoli, che, senel suo paese natale diresse la “Scuola Arte e Mestieri”,seppe lasciare feconde tracce del suo insegnamentoanche a Massa Lombarda, a Lugo e a Ravenna. Inoltre,come si legge all’interno del catalogo nel saggio LuigiVaroli, una vita d’artista, scritto da Raffaella Zama, lacasa dell’artista nelle ore pomeridiane diventava “unasorta di scuola organizzata fra lezioni d’arte e di musicacome una bottega all’antica”.Un centro sobrio, quello che emana da Varoli, esenteda vaniloqui intellettualistici e da formalismi estetizzantie che si prefigge di fermare un mondo, quello popolaresoprattutto, servendosi di mezzi espressivi rinnovati cheil suo artefice tiene sempre saldamente in pugno, di cuisi serve e mai al loro servizio.Enzo Vignoli– Conselice (Ra) –SCRITTORI PER UN <strong>A<strong>NN</strong>O</strong>Rai Educational presenta “Scrittori per unanno”, un programma di Isabella Donfrancesco e diFlavia Borelli, Manuela Mattioli, Alessandra Urbani. Laprima puntata è andata in onda martedì 3 febbraioalle ore 01.00 su RaiUno.25 appuntamenti, nella nuova edizione cheprosegue il viaggio nella letteratura contemporanea edel Novecento, raccontata dai suoi protagonisti, di ierie di oggi. Poeti e narratori, incontrati nei luoghi caridella loro vita e opera, propongono un vero e proprioautoritratto. Inoltre, questa terza serie presenta alcunepuntate tematiche, veri e propri percorsi a più voci suargomenti quali le guerre, l’amore, la scrittura.Numerose nuove interviste ad autori che negli annipiù recenti hanno raggiunto la maturità con opere dinotevole rilevanza, come Alberto Bevilacqua, AntonioTabucchi, Marco Lodoli, Erri De Luca, Edoardo Albinati,Massimo Carlotto, Domenico Starnone, Giancarlo DeCataldo, Carlo Lucarelli, Gianrico Carofiglio, per citarnealcuni, insieme a scrittori stranieri del calibro di AlainRobbe-Grillet e Nadine Gordimer.Accanto a loro, da una parte, narratori e poeti dicapitale e consolidata importanza ormai scomparsi,quali Mario Soldati, Lalla Romano, Attilio Bertolucci,Amelia Rosselli, Mario Luzi, Dario Bellezza, GinaLagorio, Enzo Siciliano; dall’altra ritratti amplificati eaggiornati nel tempo, tra i quali Dacia Maraini, AldaMerini, Raffaele La Capria, Maria Luisa Spaziani, MarisaBulgheroni, Vincenzo Consolo, Elisabetta Rasy, CarloFruttero, per citarne alcuni.Apre la serie una puntata tematica sulle guerra conriflessioni, ricordi, suggestioni affidati alla voce discrittori di diverse generazioni da Mario Soldati a MarioLuzi, da Francesca Sanvitale a Rosetta Loy. E ancora: laquestione ebraica, la Shoah raccontati da AngelaBianchini e Lia Levi. In chiusura, una lettura di EraldoAffinati tratta da una delle sue opere.102<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


Ritratti, storie, percorsiScrittori per un anno è un programma, giunto allaterza edizione, sui più significativi scrittori dellaletteratura italiana.Il programma ha proposto veri e propri ritratti dipoeti e narratori ripresi nei luoghi a loro cari. Ognisingolo scrittore racconta in prima persona, senzal’ausilio di voci esterne, la sua storia privata, la suapoetica, gli aspetti meno noti delle sue opere.Scrittori per un anno, attraverso monografieautonome e indipendenti, si pone come un originalepercorso attraverso immagini e voci dei protagonistidella nostra storia letteraria recente.Il progetto, nato da un primo nucleo di interviste cherisale agli inizi degli anni ‘90, si è arricchito nel tempo divoci, suggestioni, nuovi incontri che, accanto ai primiirrinunciabili nomi, costituiscono oggi gli snodi di unacollezione rara e preziosa che attraversa più generazioniletterarie e le inanella in un unico sorprendente lavorocorale.Agli oltre 70 scrittori delle prime due serie siaggiungono quest’anno altre interviste, oltre ad alcunipercorsi tematici su argomenti di grande interesse.“imbrattatele”, “un ciarlatano di piazza”. Tali epitetisonanti sembrano muovere da un sentimento avversomolto più forte di quello intravisto dal Longhi stesso chedefinisce quella del Vasari “interpretazione burlesca,quasi sacchettiana”. Persino l’intento del Vasari dicodificare ben precise regole accademiche alle quali ipittori dovevano attenersi, pena il diventareautomaticamente oggetto di sommaria censura, nonsembra sufficiente a giustificare una simile acrimonianei confronti di Aspertini.La Pinacoteca Nazionale di Bologna, in occasione deifesteggiamenti per il bicentenario della sua attività, ha(Fonte: Ufficio Stampa Rai – Radiotelevisione italiana/Sezioneaccreditati)“AD ALTA VOCE” TONI SERVILLO LEGGESCIASCIADopo Gli indifferenti di Moravia e I dolori del giovaneWerther di Goethe, Toni Servillo torna a Radio3 per lalettura delle straordinarie pagine de Il giorno dellacivetta di Leonardo Sciascia.Dal 2 al 27 febbraio 2009, Servillo è stato ilprotagonista di Ad alta voce, dal lunedì al venerdì alle9.00 e, in replica, alle 14.00, per le prime tre settimanedel mese Servillo ha letto il romanzo più celebre diSciascia. L’ultima settimana di febbraio è invece statadedicata al breve poliziesco Una storia semplice,pubblicata nel giorno della morte dello scrittore per suaesplicita richiesta.La prefazione e postfazione nella prima ed ultimapuntata del ciclo radiofonico sono a cura di uno dei piùnoti fotografi italiani, Ferdinando Scianna, nato aBagheria e attento studioso della cultura e delletradizioni siciliane. Proprio con Sciascia realizzò nel1965 un libro catalogo sulle festività religiose dell’isola.(Fonte: Ufficio Stampa Rai – Radiotelevisione italiana/Sezioneaccreditati)AMICO ASPERTINI, PITTORE “SOMMAMENTEROMANTICO”“L’Aspertini è un vero pittore (…) sommamenteromantico (…) appartenente al barbaro e dissestatosettentrione”. Con queste parole, nel 1934 RobertoLonghi riabilitò la figura di Amico Aspertini, stroncatosenza remissione dal contemporaneo Vasari che, nellesue Vite, lo aveva dipinto “fuor di squadra”,presentato la prima monografia mai dedicata al suoconcittadino: la mostra Amico Aspertini, artista bizzarronell’età di Dürer e Raffaello, che ha chiuso i battenti il26 gennaio. Questo modo di titolare, proprio a causadell’ambivalente e oscillante giudizio critico – “primadelle fondamentali aperture di Longhi (…), la storia diuna sfortuna”, scrive la curatrice della mostra DanielaScaglietti Kelescian all’interno del catalogo della SilvanaEditoriale – potrebbe indirizzare verso un’ideapreconcetta, chiusa dall’aspettativa instradata da unacategoria psicolinguistica, la bizzarria, di natura per lomeno limitativa, se non addirittura ambigua.Nel 1950, sedici anni dopo il salvataggio di Aspertini,nel concludere la prefazione alla Mostra del TrecentoBolognese, Longhi definirà quella pittura “brutalmentesincera e impulsiva”. L’eminente critico, dunque,<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 103


potrebbe aver affermato implicitamente una continuitàfra i pittori del Trecento e Aspertini che, vissuto fra il1474 ed il 1552, irruppe sulla scena incurantedell’“umanesimo dolce dei bolognesi” Francesco Franciae Lorenzo Costa, ai quali oppose la sua visione popolaree sanguigna.In un altro saggio del catalogo, Una pazzia…mescolata di tristitia: il ritratto di Amico Aspertinisecondo Vasari, l’autrice, Vera Fortunati, riporta ancoral’accanimento da pubblico ministero con cui lo storicoaveva bollato di follia e incapacità razionale il pittore,rifacendosi ad una malattia mentale che aveva colpitol’Aspertini, limitatamente, però, agli anni 1534-6. Tantoche la Fortunati non esclude che tale durezza potessederivare dalla necessità di eliminare un avversario che,non attenendosi alle regole, era difficilmentecontrollabile e che, per di più, riscuoteva l’approvazionealmeno dei concittadini. In un altro scritto, Antiraphael.Tre contrasti circa la lingua italiana dell’Arte, EugenioRiccomini mostra come Aspertini conoscesse l’opera diRaffaello e quella di Michelangelo. Forse proprio perquesto motivo e non nonostante esso, il pittorebolognese, comprendendo come quell’orizzonte fossedel tutto chiuso da quei nomi, seguì una stradacompletamente diversa, lontana dalla ricerca della purabellezza classica e attenta, invece, a cogliere nellefigure da lui ritratte il realismo espressivo.Fra le numerose chiavi interpretative suggerite daicritici nei loro saggi, abbiamo trovato particolareconsonanza nelle parole di Daniela Scaglietti Kelescianquando, nel saggio Amico Aspertini, protagonista dellacultura artistica bolognese della prima metà delCinquecento, rivendica all’Aspertini “una forteautonomia espressiva, che si palesa principalmentenell’accentuare il suo interesse verso larappresentazione dei sentimenti, sull’onda delleinnovative interpretazioni della psicologia umana cheLeonardo andava conducendo”. Assecondando proprioquest’ottica, abbiamo adottato un’opera che, a torto,potrebbe passare quasi inosservata fra le pur nonnumerose altre rimasteci del pittore, La sacra famiglia.Ad un primo sguardo istintivo e libero da connotazionicritico/storiche, la tela sembra negare l’assunto stessoimplicito nel nome e pare, semmai, riallacciarsipsicologicamente e, se ci è concesso,etimologicamente, al nome di battesimo del suo autore.Di sacro non ha quasi nulla, infatti, a differenzadell’affresco frammentario dallo stesso titolo, presentestabilmente nella Pinacoteca.Là vediamo, infatti, una Madonna in atteggiamentoorante, collo sguardo conscio del grande compitoaffidatole e in adorazione non del suo bambino, madella sacra figura che egli incarna; qua abbiamo unamadre piena di premure e tenerezza verso il figliolettoche sfiora amorevolmente e che la ricambia, quasirapito. Alla figura ‘assente’ di San Giuseppe, relegato –nell’affresco della Pinacoteca – in un sonno che loestrania dalla sacralità dell’evento, di cui lui non haparte alcuna, si contrappone qui un San Giuseppe chepartecipa eticamente ed emotivamente della gioia e delsenso di tenerezza che pervadono il quadro. La manosinistra con cui egli stringe il bastone, più che rivelarci ilclassico bisogno d’appoggio, ci suggerisce e cicomunica lo stesso fremito emotivo che scorre nei suoiocchi, in ‘laica’ adorazione del bambino. I colori, densima morbidi, accentuano questa sensazione di calorefamigliare. Al sacro ci rimandano le aureole e la piccolarappresentazione, in alto a sinistra, della Fuga in Egitto,che, però, proprio per questo, sembra quasi una cosaaltra, tale che non debba turbare la gioiosa centralitàdell’umana vicenda che ci viene raffigurata.In mostra non si sarà certo mancato di ammirareopere che non possono sfuggire all’attenzione di unpubblico attento: La “Pietà” della Cappella Garganelli inSan Petronio; la “Madonna col Bambino e i Santi Lucia,Nicola di Bari e Agostino” ritratti insieme con alcunecommittenti che paiono impegnate in unaconversazione. La tempera su tela è proveniente dallachiesa di San Martino, là allocata in un’ala del transetto.Notevole, ancora, “Madonna col Bambino in gloria e isanti Giorgio, Giuseppe, Giovanni Evangelista eSebastiano” gentilmente prestato dal Museo Nazionaledi Villa Guinigi in Lucca. Un particolare di quest’ultimoquadro è stato utilizzato a simbolo della mostra.A Bologna si possono vedere ulteriori opere di AmicoAspertini presso la Basilica di San Petronio : unadeposizione nella lunetta del portale destro in cui lefigure del Niccodemo con Cristo sono contorniate dadue statue opera del Tribolo e del Seccadenari; leStorie di San Petronio nelle ante del vecchio organo.Presso la chiesa di San Martino, nel primo altare subitoa sinistra, appena entrati, una Deposizione.Nell’Oratorio di Santa Cecilia, in via Zamboni, alcunidegli affreschi che raffigurano le Storie della Santa. AMinerbio, poi, si può finalmente ammirare il ciclocompleto di raffigurazioni a tema mitologico, dato cherecentemente è stato scoperto e restaurato anchel’ultimo prezioso tassello nella Sala di Marte della RoccaIsolani.Dei due poli comparativi proposti nel titolo dellamostra, abbiamo già accennato a Raffaello. Molto piùincisivo è il raffronto con Dürer – presente a Bolognaagl’inizi del Cinquecento- con gli incisori tedeschi e lapittura fiamminga. Ancora il Longhi, infatti, definìAspertini il Cranach bolognese.Se non potrà essere negato che l’anticonformismo diAspertini abbia dato luogo a opere certamenteeccentriche, bisognerà tener conto di come questa suacaratteristica non fosse frutto di limitatezza d’orizzontio, peggio, d’incapacità di mestiere, ma, invece fosse ilprodotto di una strada intrapresa con cognizione dicausa.En. Vi.– Conselice (Ra) –OGGETTO MISTERIOSO...Focus, novembre2008, p. 123Sopra sull’immagineun lettore anonimodomanda: A chideve rivolgersi persapere che cosa siaquesto oggettomisterioso trovato iun mercatino dell’antiquariato.104<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


Il lettore in questione sicuramente non hastudiato nei banchi della scuola la storia della suaPatria, cioè la storia italiana. Non si sa di chi sia lacolpa: la sua, oppure per la colpa degli insegnanti distoria che non gli parlavano degli Etruschi, non gliinsegnavano gi più antichi popoli d’Italia, tra cui questopiù interessante e misterioso popolo. A me subito mi èvenuto in mente che questo oggetto assomiglia alfegato etrusco in bronzo di Piacenza. Per scoprire lasua originalità o l’eventuale falsificazione di questooggetto acquistato da un commerciantedell’antiquariato – secondo me – dovrà rivolgersi agliesperti studiosi archeologi: loro potrebbero dire - forse- con certezza che questo fegato che assomigliaall’arcaico referto archeologico custodito nel MuseoArcheologico di Piacenza sarebbe un altro clamoroso estraordinario referto archeologico degli Etruschi e chesarebbe pure di bronzo, o di terracotta oppure unasemplice falsificazione. Sulla foto pubblicata nel Focusnon si riesce a capire di che materiale fosse questooggetto.Ecco alcune immagini – a destra anche in versionecapovolta – da me raccolte del famoso fegato diPiacenza per paragonare i dettagli e la scrittura:Dal volume Civiltà a confronto 1 di Antonio Brancati, La Nuova Italia, Scandicci (Fi), 8^ ristampa 1991, libro scolastico per laScuola Media superiore, p. 285.Fegato etrusco, dall’internet: http://www.vacanzeitinerari.it/schede/fegato_etrusco_sc_3294.htmFegato di Piacenza, fonte: http://www.cairomontenotte.com/abramo/etrusco1.gif<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 105


Riproduzione del fegato di Piacenza Fonte:http://it.wikipedia.org/wiki/Fegato_di_PiacenzaLa scrittura nella parte posteriore (fonte: http://www.cairomontenotte.com/abramo/etrusco5.gif ) e la scrittura del fegato diPiacenza (fonte: A magyar ókor di Zsolt Mesterházy, Magzar Ház Könyvek, Kárpáti Ház, Budapest, 2002, p. 346)Che si tratta un oggetto misterioso, non c’è dubbio, ancheperché intorni agli Etruschi e la loro scrittura il mistero non èancora stato ancora trasformato in certezze scientifiche. Cisono tante teorie, tanti ipotesi. Che intorno alle altreinterpretazioni dei i testi etruschi, come anche in questo caso.Ecco ad esempio alcune informazioni che riguardano il fegatodi Piacenza, scritte da Massimo Pittau (v. sitohttp://web.tiscali.it/pittau/Etrusco/Studi/fegato.html ):Il «fegato di Piacenza», che è un modellino inbronzo di un fegato di ovino, trovato nel 1877propriamente a Gossolengo, in provincia di Piacenza, èmolto importante sia dal punto di vista della religionedegli Etruschi, sia da quello della loro lingua. Essoinfatti porta inciso, dentro apposite 40 caselle ed inlingua etrusca, il nome di alcune decine di dèi e disemidei e doveva avere, rispetto alla «disciplinaetrusca» e più di preciso alla aruspicina od epatoscopia,la finalità di sussidio mnemonico ad uso dell'aruspice edi sussidio didattico a vantaggio dei discepoliapprendisti.Questo modellino bronzeo di fegato trovariscontro in altri trovati in Etruria ma fatti di terracotta,del tutto simili, a qualcuno trovato nella antica elontana Babilonia.Preciso subito che a me personalmente, in questasede e in questo momento, interessa soltanto l'aspettolinguistico di quell'importante documento; rispetto alquale intendo presentare alcune mie nuove acquisizioniermeneutiche, con le quali mi lusingo di portare acompimento, sia pure a solo titolo di probabilità o diverosimiglianza, la interpretazione dell'intero quadro diquei nomi, con la sola eccezione di due che mi sonorimasti ancora inspiegati.Intanto c'è da premettere che come documentolinguistico il fegato di Piacenza appartiene al periodo delneo-etrusco, cioè, storicamente, al periodo ellenistico,tra i secoli IV e I avanti Cristo, come è chiaramentedimostrato anche dalla lunga serie di dèi e semideigreci che vi risultano incisi accanto a quellipropriamente etruschi.È poi da precisare che, allineati e separati l'unodall'altro, come sono, in altrettante caselle, i nomi deglidèi e dei semidei non offrono propriamente un"contesto linguistico", per cui ai fini della "traduzione" diciascuno non è possibile trarre lumi dal nome di unaltro vicino oppure lontano. In altre parole dico che noinon abbiamo di fronte delle «frasi», ma abbiamosolamente la serie di una quarantina di nomi isolatil'uno dall'altro, i quali per ciò stesso non presentanoalcuna connessione morfo-sintattica fra loro e quindinessuna possibilità di reciproca interpretazionepropriamente linguistica. L'unico appiglio contestualepropriamente linguistico è costituito dalla circostanzache, quando non sono abbreviati - anche in modidifferenti -, i nomi degli dèi e dei semidei risultano incaso genitivo. E si intravede facilmente che questogenitivo è da interpretarsi come effetto di unasottintesa formula di questo tipo: «casa (o casella) di....».Constata dunque, purtroppo, la mancanza di un vero eproprio «contesto linguistico», per fortuna ne abbiamoun altro, un «contesto culturale» e più precisamente un«contesto religioso e mitologico», che invece noiconosciamo quasi perfettamente, in quanto presenta siadivinità etrusche da noi sicuramente conosciute peraltra via, sia dèi e semidei greci, da noi conosciuti moltobene per via della comune conoscenza storica chepossediamo della civiltà greca. Questo «contestoculturale» ci consente in una certa misura di andare106<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


dall'uno all'altro dio o semidio, che ovviamente sirichiamano fra loro con sufficiente verosimiglianza e condiscreto grado di probabilità. Ad es., se noiinterpretiamo che il nome pul sia l'abbreviazione diPultuce «Polluce», uno dei Dioscuri, siamo indotti adinterpretare con grande verosimiglianza che i vicininomi di tvn e leas indichino rispettivamente «Tindaro»e «Leda», padre e madre dei Dioscuri; ed ovviamentel'interpretazione di questi due nomi conferma quella delprimo.È poi da osservare che i nomi degli dèi e dei semideipiù importanti risultano in più caselle, mentre alcunecaselle comprendono più nomi di dèi o di semidei. Isemidei sono quasi tutti di origine greca, ma la effettivavalenza religiosa che essi avranno avuto tra gli Etruschinella loro pratica della interpretazione aruspicinale a noiadesso sfugge completamente.Delle pubblicazioni recenti, quelle che trattano inmaniera più ampia ed approfondita il nostro argomentosono l'opera di A. J. Pfiffig, Religio Etrusca (Graz, 1975,pagg. 121-127 e passim) e quella del sottoscritto M.Pittau, Testi Etruschi tradotti e commentati - convocabolario (Roma 1990, Bulzoni Editore, sigla TET,num. 719). È poi da precisare che la lettura di alcuninomi incisi sul fegato è stata corretta nel 1981 da A.Maggiani, nella rivista «Studi Etruschi» (49, pagg. 263-267); del quale è pure l'articolo dedicato all'argomentonel Dizionario della Civiltà Etrusca, a cura di M.Cristofani (Firenze, 1985). Le altre opere qui sottocitate in sigla sono le seguenti: CIE = CorpusInscriptionum Etruscarum; ThLE I = Thesaurus LinguaeEtruscae, I Indice lessicale (Roma, 1978); DELG = P.Chantraine, Dictionnaire Étymologique de la LangueGrecque, I-II (Paris, 1968-1980); DELL = A. Ernout - A.Meillet, Dictionnaire Étymologique de la Langue Latine(Paris, 1985); LELN = M. Pittau, Lessico Etrusco-Latinocomparato col Nuragico (Sassari, 1984, EditriceChiarella).NRIE 31, TET 719, Pa 4.2| CA | NETH | LVSL | TECVM | UNI MAE | TINS THNE |TIN THVF | TIN CILEN | CILENSL | VETISL | CVL ALP |CELS | TLUSCV | LETHNS | SELVA | FUFLUNS | TINSTH NETH | CATHA | THUFLTHAS | FUFLUS | TINS THVF| LASL | LETHN | PUL | TVNTH | MARISL LATH | LETA |TUR | TLUSC MAR | MARI | HERC | METLVMTH |LETHAS | SATRES | LVSL VELX | TLUSC | LETHAS |SELVA | CILEN | //USILS / TIVR(caselle o siti)| di Catha | di Nettuno | del Liberatore | di Tecum (?)|di Giunone - di Maia | di Tinia - di Aurora | di Tinia - diThufultha | di Tinia - di Notturno | di Notturno | diVeiove | di Culsone - di Alpanu | della Terra | di Tluscu(?)| di Lete | di Silvano | di Libero | di Tinia - diThufultha - di Nettuno | di Catha | di Thufultha | diLibero | di Tinia - di Thufultha | di Lasa | di Lete | diPolluce | di Tindaro | di Marte - di Latona | di Leda | diVenere | di Tluscu (?) - di Marte | di Marte | di Ercole |nella federazione | di Leda | di Saturno | del Liberatore- di Vulcano | di Tluscu (?)| di Leda | di Silvano | diNotturno | // del Sole - della Lunacath è l'abbreviazione di cathas «di Catha»; vedi sotto.neth è l'abbreviazione di nethunsl «di Nettuno».lvsl (in genitivo) potrebbe corrispondere al greco Lysios«il Solutore, il Liberatore», che era un epiteto diDioniso. In subordine si potrebbe richiamare il grecoLoxías «l'Ambiguo», epiteto di Apollo, che venivadenominato in questo modo per le risposte ambigue deisuoi oracoli. Se questa seconda interpretazione fosseesatta, verrebbe tolta l'incongruenza costituitadall'assenza, nel testo del fegato, di un dio tantoimportante come era Apollo, sicuramente conosciutodagli Etruschi, come dimostrano anche numerosi testiscritti, che registrano il suo nome come Apulu od Aplu.tecvm è un dio o un semidio finora sconosciuto, cheprobabilm. è nominato nel Liber linteus (XII.5) cometecum. Se però il gruppo vm della riga sottostante fosseda considerare a sé, allora questo potrebbe esserel'abbreviazione di umaele, umaile, nome di unpersonaggio mitologico che compare in quattro specchietruschi (ThLE I 356).uni quasi sicuramente è l'abbreviazione di unial «diGiunone» (iscr. 399, 644, 877 TET).mae forse indica Maia, che era la madre di Mercurio euna delle Pleiadi.tin(-s) «(di) Tinia», che era la suprema divinitàmaschile degli Etruschi, corrispondente a Iupiter deiLatini e a Zeus dei Greci (iscr. 290, 608, 657 TET).thne forse è l'abbreviazione di thesane(s) «(di) Aurora»(Pfiffig).thvf quasi certam. abbreviazione di thvfltha(-s) (vedisotto).cilen è l'abbreviazione del seguente cilens(-l) «(di)Notturno» (lat. Nocturnus «Dio della Notte»), con unacorrispondenza suggerita dalla sequenza delle divinitàindicata da Marziano Capella (cfr. A. Maggiani e E.Simon, Il pensiero scientifico e religioso, in M.Cristofani, Gli Etruschi ecc., pagg. 139-141).vetis(-l) = lat. Vedius, Vediovis, Veiovis divinitàinfernale; è anch'esso in genitivo (A. Maggiani e E.Simon, op. cit.).cvl può essere l'abbreviazione di culsu (genitivo culsl;iscr. 131 TET), nome della dea infernale custode dellaporta dell'oltretomba (CIE 1812), oppurel'abbreviazione del nome del suo compagno culsans, diobifronte, che era analogo al lat. Ianus (iscr. 640 TET).alp molto probabilmente è l'abbreviazione di alp(a)nu(-s), nome di una delle Lase (vedi sotto).cels «della Terra» (iscr. 368, 621, 625 TET corrige).tlusc(v) nome di una divinità sconosciuta oppure finoranon identificata.lethn(-s) «(di) Lete», che era il fiume infernaledell'oblio, dal greco Léthe (nella forma dell'accusativo);da questo vocabolo etrusco probabilmente è derivato illat. let(h)um «morte», il quale finora risulta dietimologia incerta (DELL).selva è l'abbreviazione di selvansl «di Silvano» (iscr.504, 559, 641, 696 TET; LELN 233).fufluns «Libero» o «Bacco», dio del vino (iscr. 336 TET)(A. Maggiani e E. Simon, op. cit.); è da sottintendere ilgenit. fuflunsl.tins th corrisponde al già visto tin thvf «di Tinia (di)Thufultha», però con la desinenza s del genitivo.catha è la divinità femminile del sole, che MarzianoCapella chiama filia Solis (iscr. 131, 190, 373, 622, 823TET) (A. Maggiani e E. Simon, op. cit.).thufltha(-s) è la dea etrusca del mondo sotterraneo deimorti, corrispondente pertanto alla lat. Proserpina (iscr.149, 435, 447, 652, 654 TET).<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 107


fuflus è una abbreviazione del già visto fufluns.lasl sembra il genitivo di lasa, che era il nome di divinitàfemminili di ordine inferiore, accompagnatrici di altresuperiori.pul probabilmente è l'abbreviazione di pultuce«Polluce», uno dei Dioscuri, con un riferimento allacostellazione dei Gemelli (iscr. 156, 208 TET).tvnth probabilm. è l'abbreviazione di tuntles «diTindaro» (ThLE I 348), che era il padre dei Dioscuri.marisl «di Marte» (iscr. 476 TET), in genitivo.lath probabilm. è l'abbreviazione di *lathuns(-l) «(di)Latona», madre di Apollo e Diana, derivato dal grecodorico Lató.leta(s), lethas probabilm. è da interpretare «di Leda»,moglie di Tindaro e madre dei Dioscuri, dal greco Léda.tur = turans «di Venere» lettura e interpretazione di A.Morandi, Nuovi lineamenti di lingua etrusca, Roma,1991, pagg. 200-202.mar, mari probabilm. è l'abbreviazione di marisl, giàvisto.herc è l'abbreviazione di hercles «di Ercole».metlvmth «nella (con)federazione (etrusca)» (inlocativo) od anche «durante la (festa, anche religiosa,della) confederazione», in complemento di tempo,dunque (iscr. 99, 131 TET).lethas così mi sembra che si debba correggere il lethamdel testo.satres «di Saturno», in genitivo.velkh è molto probabilm. l'abbreviazione di *velkhansl«di Vulcano» (iscr. 856 TET).usils «del Sole» (iscr. 934 TET), in genitivo.tivr è l'abbreviazione di tivrs «della Luna» (iscr. 181,718, 748 TET). È da precisare che questi due ultimivocaboli risultano incisi nella parte posteriore delfegato.Il dott. Giulio Facchetti nella Guida Insolita degliEtruschi edito da Newton and Compton (v. sitohttp://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/fegato.html ) le seguenti informazioni ci dà:[…] In questo paragrafo affronteremo l’aspettolinguistico e la sua interpretazione.Il fegato etrusco di bronzo ha le seguenti dimensioni:mm 126 x 76 x 60. Per l'esame delle viscere essoveniva capovolto di sotto in su perché la parte inferioreera ritenuta la più importante, su questa si alzano treprotuberanze che sporgono: la più piccola a forma semimammellare (il processus papillaris), la secondapiramidale (il processus pyramidalis), la terza è lacistifellea.Su questa superficie si trovano quaranta iscrizioni chesi riferiscono a nomi di divinità tra le quali sonoidentificate: Tin (Giove), Uni (Giunone), Neth (Uns),(Nettuno), Vetisi (Veiove), Satres (Saturno), Ani(Giano), Selva (Silvani), Mari (Marte), Futlus (Bacco),Cath (Sole), Herole (Ercole), Mae (Maius) e altri cinqueo sei che non hanno corrispondente nella religioneromana. Nella parte convessa si trovano due iscrizioni,una su di un lobo (Usils = parte del sole), l'altrasull'altro (Tivs = parte della luna). Il fegato di bronzoreca attorno al margine esattamente sedici casellecontenenti ciascuna il nome di una divinità e questesedici caselle corrispondono alle altrettante parti in cuigli Etruschi dividevano il cielo.Fonte: http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/fegato.htmlSul fegato etrusco sono stati fatti molti studi, i più ritrovata a Volterra che rappresentava un sacerdote (3°importanti furono quelli dei ricercatori tedeschi Deecke secolo a.C.) che tiene in mano un fegato come quello(1880), Korte (1905), Thulin (1906) che misero in ritrovato a Ciavernasco di Settima, vicino al ponte dellarisalto l'importanza di questo cimelio archeologico Ragione. Dunque il nostro bronzo è uno strumentodefinendolo un documento fondamentale per la originale della “disciplina”; l'aruspice interpretava ilconoscenza della religione e della lingua etrusca. Ma a volere divino da segni particolari riscontrati nel fegatoche cosa serviva questa riproduzione bronzea di un della vittima sacrificata, cioè poteva prevedere sefegato di pecora con tante iscrizioni in lingua etrusca? Il un'impresa si sarebbe compiuta sotto influssi favorevoliKorte lo confrontò con il coperchio di un'urna cineraria o sfavorevoli, confrontando il viscere ancora caldo col108<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


modello bronzeo inscritto, che fungeva da guida, daprontuario.Il Fegato Etrusco risale al periodo tra il secondo e ilprimo secolo avanti Cristo (come denunciano lecaratteristiche delle scritture usate nelle iscrizioni) enon all'epoca della dominazione etrusca nella PianuraPadana (V - IV - sec. a.C.). Quindi il fegato non è daritenersi un documento della dominazione etrusca nellaprovincia di Piacenza, ma un oggetto prodottosuccessivamente da nuclei etruschi presenti nellecolonie tra Pesaro e Rimini o nella stessa Piacenza,oppure è da ritenersi un oggetto erratico perduto da unauspice che seguiva una legione romana (Ducati). Lasua relativa "tardità" nulla toglie all'interesse che destain noi, perché rappresenta una lunga tradizioneconservatasi intatta attraverso i secoli (Terzaghi). Più diquaranta saggi sono stati pubblicati in tutto il mondosul Fegato piacentino, ciò testimonia la "fama" a livellomondiale del nostro reperto, unico esemplare nella suaforma (esiste un altro Fegato di Alabastro al museoGuarnacci di Volterra); modelli di fegato con le stessecaratteristiche suddivisioni, sono stati ritrovati aBabilonia, nella valle del Tigri e dell'Eufrate e adHattusas la capitale degli Ittici. Questi sono in terracotta ma utilizzati con lo stesso scopo religioso di quellodi Piacenza.Esiste anche un’interpretazione geografica delfegato, di cui si riporta una breve descrizione:· le scritte sulla parte posteriore della mappaindicano le due regioni principali della mappa,la parte meridionale LIVR (o TIVR, non è chiarala lattera iniziale) diventa YHDS (oppure T-HDS) che ricorda sia la parola GIUDA che laHADESH (Kadesh) storicamente famosa eattualmente localizzata erroneamente nella Siriamediorientale· la regione settentrionale viene invecedenominata YSILS che diventa P^HY^,leggibile come PNHYN (in queste scritte le duelettere S etrusche appaiono unificate e quindic'è equivalenza tra la N semitica e la sua quasiuguale ^, la lettera "muta"), la regione delmonte PAN-Cervino nonchè legata allaquestione punica Tra le scritte delle singoleregioni appaiono evidenti le seguentiinterpretazioni:· la montagna a forma di conoide, il monteCervino, si presenta con la scritta TLUS chediventa TYP^ (TYPN), il nome della divinita'TIFEO (TIFONE)· Tifeo-Tifone è legato storicamente ai vulcanidell'Italia meridionale, dall'area vesuviana alvulcano Etna e difatti nella mappa compare lascritta TYP^ esattamente nel settore checorrisponde alla Campania e nello spicchioesterno corrispondente alla Sicilia· tra la regione Sicilia (TLUS che diventaTYP^) e la regione Calabria c'è un segno lungoche indica chiaramente lo stretto di Messina· la regione Calabria, indica con il nomeLEThA tale stretto di Messina e la paroladiventa YG-ZB· a prescindere dal significato suo originale(per esempio Z-B, "questo è il padre"), ZB è loZEB famoso nelle cronache assire, un fiume chenasce dal Monviso, scorre nell'Adriatico, passadallo stretto di Messina e arriva a sfociarenell'oceano Atlantico· che la parola ZB sia legata a questo fiumeappena descritto lo ritroviamo nella parolaaccanto al Monviso, che anch'essa la si leggecome YG-ZB-K (LEThAM etrusco)· sappiamo per certo che il fiume ZEB eranodue, uno meridionale e uno settentrionale, edifatti troviamo aldila' della catena alpina, dovenasce il fiume Danubio, la parola CAThA chediventa tB-ZB, il "doppio Zeb", o meglio l'altroZeb da identificare come Danubio· nella parte centrale del fegato abbiamo lacatena alpina e sotto di essa abbiamo il fiumeche nasce dalla protuberanza a sinistra, il Po eil Monviso· la catena montuosa alpina si abbassa nellaparte occidentale· l'ultima lingua della protuberanzarappresenta la striscia morenica all'imboccodella valle d'Aosta (la più grande morenaglaciale d'Europa, un panorama unico che lo sinota fin da lontano)· si raggiunge così la zona della grandepiramide, così alta da essere visibile da tutta lapianura· finchè siamo in pianura la piramide èrappresentata dal Monterosa (un riferimentounico per come si distingua nettamente dalresto della catena)· girando dietro la morena ed entrando nellavalle d'Aosta la vera montagna-piramide laidentifichiamo con il monte Cervino· la regione Toscana appare come YD^Y,chiaramente legata a Giuda e la parolasuccessiva contiene il DG che contraddistinguela civilta' etrusca, il VEL che diventa appuntoDGY, con DG uguale a "pesce" ma anche aisuccessivi DOGI· la regione delle Marche appare come"tHYGL", chiaramente legata ai TIGLAT assiri dicui troviamo tracce nei reperti Piceni· la regione degli Abruzzi appare come NGY-DB e sembra legata all'influenza della linguaungherese (non è un caso che sia così dato cheil popolo Israelitico abitava a fianco di altrepopolazioni e gli stessi Edomiti balcanici preseroil loro posto durante le deportazioni), SELVAdiventa NGY-DB, il "grande dio" ("nagy deba")· la stessa scritta NGY-DB la ritroviamo difattinella zona balcanica a mostrare il collegamentodi questa regione italica con quelle balcanichedanubiane· nelle regioni tedesche, nella partesettentrionale della mappa, troviamo riferimentiai "fasci", P-Sh (con la P che semiticamente sitramuta facilmente in F, come Fenici e Punici)· la parte più settentrionale, all'incirca laDanimarca, viene scritta come TINSRNE chediventa THLNS-LG, i "luoghi di Atlans" e mi<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 109


sembra ovvio come questo abbia portato aconsiderare anticamente Atlante colui chesostiene il mondo (è questa la regione dove si èpiù vicini al cielo della stella polare) e ancheAtlantide trova qui la sua localizzazione.La ipotesi del significato geografico di sopra vediamoriportato anche sul sito http://www.cairomontenotte.com/abramo/1-etrusco.html in cui possiamo leggere: «Vieneattualmente considerato come riproduzione a scopidivinatori di un fegato. Ciascun settore di tale fegatoriporta una scritta e tali scritte sarebbero i nomi di"divinità etrusche" non meglio precisate. Si tratta inrealtà di luoghi geografici.»Al contrario di queste ipotesi l’ungherese Géza Kúr haun opinione diversa: la scrittura etrusca è nient’altroche un ordine medico che dà suggerimento a propositoche un medico come si comporti di fronte ad un uomoubriaco:…La scrittura del fegato in ungherese secondo Géza Kúr (Fonte: Op. cit. di Zsolt Mesterházy, p. 346.)Ecco la complessa interpretazione dei testi secondoGéza Kúr: Il medico dando un’occhiata all’ammalato dalui portato dà l’ordine: coprirlo, ubriachezza. Dopo lorimprovera, dopo il breve rimprovero diventaamichevole, poi con piccoli passi con grandeaffetto comincia a visitarlo facendolo coricarsi,mentre alleviare i dolori nella bocca aperta fagocciolare l’acqua. Dopodiché egli afferma:infiammazione, certo, infiammazione! Poi più tardiegli pronuncia: l’ammalato ha dei calcoli. Poi egliincoraggia l’indubbiamente spaventato ammalato: ilsudore diminuisce, il gonfiore si riduce e dato cheil medico afferma in alta voce che il vento causadelle forti coliche, l’ammalato pensa di non averemalattia pericolosa, quindi suo umore migliora, sipresenta miglioramento e riesce ad alzarsi.La visita si continua. La mano del medicoimprovvisamente preme il punto dolente e diconseguenza il paziente invoca la morte con grandeansia. Il medico inizia a rimproverare l’ammalatocon l’intelligenza e quando l’ammalato implora lasua sepoltura nella tomba, a queste parole il medicoamichevolmente risponde.Durante la visita la mano del medico palpeggiandopreme la zona dolente in cui ha constatato il gonfioreinfiammata, l’ammalato durante il palpeggiamentosi lamenta perché pensa che non guarirà mai acausa dell’infiammazione. Di conseguenza il medicoin alta voce ripete la sua diagnosi pronunciata nelmomento della prima vista: a causadell’ubriachezza! E così! (v. Zsolt Mesterházy: Op.cit., pp. 346-347, Trad. © di Melinda B. Tamás-Tarr/Dr.Bonaniné Tamás-Tarr Melinda; Cfr. Géza Kúr: Etruszkmagyarrokonság [Parentela etrusco-ungherese],Warren,Ohio, USA, 196, pp. 66-71. Nota: Géza Kúrnella sua risoluzione di lettura si basava sul ricercatorefrancese Jules Martha)A quali teorie/ipotesi dare retta? Quindi, la strada èlunga ancora per avere certezze nella questione degliEtruschi. Non dimentichiamo che qualsiasi teoria non èmai definitiva o inconfutabile, al contrario essa èpersua natura flessibile e modificabile in base a nuovidati raccolti o scoperti successivamente alla suaformulazione e deve essere in grado di produrregeneralizzazioni sempre più ampie. Secondo Stephen110<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


William Hawking, il fisico britannico - fra i più importantie conosciuti del mondo -, l’autore del libro Dal Big bangai buchi neri, qualsiasi teoria è provvisoria e rimanesolo un’ipotesi poiché non si può avere la certezza diprovarla in maniera definitiva. Anche se i risultati di unesperimento sono in accordo con una teoria, non si puòmai essere del tutto sicuri che in un esperimentosuccessivo i risultati non entrino in contraddizione conquelli degli esperimenti precedenti. Del resto persmentire una teoria è sufficiente una sola osservazioneche sia contrasto con le predizioni della teoria stessa.Quindi riferendo all’opinione del grande fisico britannicole parole appena sopraddette valgono per ognidisciplina scientifica cos’ anche per la linguistica, per lastoria e naturalmente anche per le ricerche per scoprireche cosa si nasconde dietro il mistero degli Etruschi.Link:L’articoli consultabili nell’internet dell’Osservatorio Letterarioche trattano argomenti riguardanti agli Etruschi:http://xoomer.virgilio.it/bellelettere2/curiosita.htmhttp://xoomer.alice.it/bellelettere2/alinei-anteprima.htmhttp://xoomer.alice.it/bellelettere2/alineieco.pdfhttp://xoomer.virgilio.it/bellelettere2/szinia.pdfhttp://www.osservatorioletterario.net/enigmaetrusco51-52.pdfhttp://www.osservatorioletterario.net/enigmaetrusco3.pdfhttp://osservatorioletterario.net/enigmaetrusco4_osservatorio59-60.pdfFonte: Supplemento online dell’«Osservatorio Letterario» di<strong>Ferrara</strong>, del 20 novembre 2008:http://www.osservatorioletterario.net/oggettomisterioso.pdfDALL’ALTROVE…Melinda B. Tamás-Tarr- <strong>Ferrara</strong> -A Hungarian victim of the Soviet massacre ofPolish POW officers at Katyń, Charkow and Twerin 1940It is known only by a comparatively few people thatamong the victims of the 1940 massacre of Polish POWofficers by Russian NKVD units under the command ofthe “Soviet Eichmann”, colonel Petr KarpovichSoprunienko, there was also a Hungarian, EmanuelAladár Korompay, lecturer of Hungarian language ofWarsaw Józef Piłsudski University.The German-Russian (or Ribbentrop-Molotov) Non-Aggression Pact, signed on the 23 rd Aug. 1939 inMoscow had a secret annex, dividing Poland betweenGermany and the USSR and declaring that the Balticstates and Finland belong to the Soviet sphere ofinfluence. Germany attacked Poland on the 1 stSeptember 1939, occupying the western half of thecountry. This was followed by the Russian attack –without declaring war – on the 17 th . They occupied theeastern half of the country and deported 1.2 millionPoles into the internal parts of the USSR. (Half of themhave survived it.). A great number of Poles fled toHungary and Romania.The Polish military officers, who became POW’s ofthe Soviet army and were found to be unreliable for theUSSR in the following investigations lasting for months,were secretly sentenced to death. This was done on therecommendation of Lavrentii Beriia, people’s commissar(minister) of the interior, on the 5 th March 1940 by thePolitical Committee of the Central Committee of theSoviet Communist Party, with the agreement ofI.V.Stalin, who signed the corresponding document,that was kept secret and was denied even to exist for50 years.Emanuel Aladár Korompay – in the earlierdocuments his name is given as Manó Aladár Korompay– was born in Budapest on the 23 rd March 1890. Hewas the seventh child of his parents, he was RomanCatholic. His father, Márton Korompay was apharmacist. He attended the Reformed (Calvinist)secondary school at Street Lónyay in Budapest, aswitnessed by the yearbooks of the school. Hismatriculation document No. 614 was issued there onthe 24 th June 1908. Following this, from 1908 on to thesecond term of the 1911-1912 academic year he was astudent of the Faculty of Arts of Budapest University.His graduation document (absolutorium) was issued onthe 3 rd October 1912, signed by János Kiss, rector ofthe university and Ernő Fináczy, Dean of the Faculty ofArts.He was first a teacher of Latin and Greek of thesecondary school in Léva in Northern Hungary (now inSlovakia), but soon after the outbreak of World War Ihe was called to the army. He was commandeered toPrzemyśl (then in Austria-Hungary). In 1916 he becameacquainted there with a Polish lady, Miss MieczysławaGrabas, acting as an interpreter. First they talked inGerman with each other. They were soon married andin the same year their first daughter, Ilona was born.Korompay then payed a short visit to Budapest butsoon returned to Przemyśl. In 1919 he became Polishcitizen and joined to Polish Army as a lieutenant. In1929 he retired from active service as a captain.In 1930 he met professor Adorján Divéky (1880-1956), teaching then both at the Báthory University inWilno (then in Poland, now Vilnius in Lithuania) and atthe Józef Piłsudski University in Warsaw. He has takenover the teaching of Hungarian in Warsaw, the tasks ofthe cultural attaché at the Hungarian Embassy in thePolish capital and also the chairmanship of the Polish-Hungarian Association from Divéky. His family hasmoved to Warsaw. Soon two girls were born there inthe family, Marta and Elisabeth. It was recorded, thathe was a good player of piano, flute and organ. – Hepublished a small Hungarian-Polish Dictionary on the15 th March (the Hungarian national holiday) of 1936,soon followed by its Polish-Hungarian counterpart. He isthe author of a Polish-Hungarian book of conversationstoo.In 1939, together with a group of Poles learningHungarian, he came to visit Budapest. During their staythere, World War II broke out. The members of thegroup have survived it in Hungary, he, however,immediately returned to Warsaw and obeyed the call tojoin the army. As a member of the staff of the<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 111


Hungarian Embassy, he could have obtained anexemption, but he did not use this opportunity. In thesame year he was taken prisoner of war of the SovietArmy. He was taken to the Starobielsk camp, one of thethree camps for officers. (The other two camps were inKozielsk and in Twer.) Removing his insignia of rank hecould have left the camp, but he refrained from doingit. – A postcard sent from the camp to his wife inWarsaw has survived until now.In April and May 1940, 3739 POW’s of theStarobielsk camp were shot dead in the nearbyKharkov, in the cellar of the Soviet Secret Police, theNKVD, and were then buried in Piatihatki. A monumenthonouring those killed was consacrated there on the17 th June 2000. The list of the names of the POW’skilled in Kharkov is included in the book entitled“Rozstrzelani w Charkowie” (Shot Dead in Kharkov),published in Warsaw by the Ośrodek Karta Publisher in1996. The name of Emanuel Aladár Korompay is thesecond in column 3, on page 94.The first memorial tablet honouring EmanuelKorompay was unveiled on the wall of his former homein Warsaw, at the corner of streets Podchorążych andHolówki on the 12 th April 1992. At Warsaw Universityon the building of Oriental Studies – housing once theHungarian Department – at 26/28 KrakowskiePrzedmiescie, on Hungarian initiative, on the 21 stNovember 2002 a Korompay memorial was unveiled,with military honours, in the presence of a delegation ofthe Hungarian Parliament headed by the historian,Tamás Katona MP. This was the first act of thecelebrations marking the 50 th anniversary of theHungarian Department. The inscription of the memorialreads:Emanuel Korompay / 1890-1940 / lektor językawęgierskiego / na Uniwersitecie Warszawskim w latach1930-1939, / kapitan Wojska Polskiego, / uczestnikkampanii wrześniowej 1939, / więzień obozu wStarobielsku, zamordowany w Charkowie / –In English translation: Emanuel Korompay / 1890-1940 / Lecturer of Hungarian language / at theUniversity of Warsaw between 1930 and 1939 / captainof the Polish Army, / participant of the 1939 Septembercampaigne / prisoner of the Starobielsk camp, killed inKharkov.Hopefully sooner or later his birthplace, Budapestwill also give him a due comme-moration.Gyula Paczolay– Veszprém (H) –Note. 4441 detainees of the Kozielsk camp werekilled in Katyń, and were also buried there, the list oftheir names was published in 1995. The list of names of6311 POW’s of the Ostaszków camp, most of themreserve officers and Polish intellectuals, murdered inTwer and buried in Miednoje, was published in 1997. –According to official Soviet data 7305 more detaineeswere killed in different prisons. – 448 selectedprisoners of the three camps, considered reliable, weretaken to the Griazowiec camp, they have survived, theircorrespondence with their families has continued afterApril 1940.In July 1946 in the Nuremberg International Court ofJustice the Russian prosecutor Pokrovskii charged theGermans with killing the Polish officers. The court hasdropped the charge. In spite of this, for fifty years theRussians blamed the Germans for killing the Polishofficers and it was the official policy of the satellitecountries too. The booklet of the Polish journalistBolesław Wójcicki, entitled “The truth about Katyń”blaming the Germans for the crime was publishedtwice, in 1952 and 1953. – A memorial bearing theinscription: 1940 Katyń – Starobielsk – Ostaszków wasset up on the 31 st July 1981 at Warsaw PowońzkiMilitary Cemetary. It was destroyed on the followingnight by the Polish Security Services.It was on the 13 th April 1990 that President MikhailGorbachev confessed to the crime and then some ofthe corresponding documents were handed over to thePolish President Lech Walęsa by President Boris Jeltsin,who also paid tribute to the victims in the PowońzkiCemetery in Warsaw. – The monument honouring thevictims of the massacre was consacrated in Katyń onthe 28 th July 2000, in Twer on the 2 nd September 2000.Gyula PaczolaySlightly revised version of the article, published in theHungarian weekly Élet és Tudomány (Life and Science) Vol.63. No 19. p 589-590. (9 th May, 2008)COMUNICATO STAMPAPremio “Macchia”Una piacevole occasione culturaleSi è svolta nel migliore dei modi, sabato 8 novembre,la cerimonia conclusiva del Premio Letterario “Macchiad’Isernia”, giunto quest’anno alla sua terza edizione, mache costituisce già un appuntamento atteso.Nella sala – piena zeppa – all’interno del PalazzoBaronale, un pubblico attento e partecipe, un pubblicocostituito in gran parte da poeti e scrittori provenientida varie parti d’Italia. Si è trattato di una festa dellapoesia e della letteratura.Dopo il saluto del Sindaco Dante Cicchini, ha fatto unbreve ma pregnante e incoraggiante interventol’Assessore regionale alla Cultura Sandro Arco poi èintervenuto Amerigo Iannacone, presidente della Giuria,che, a conclusione ha letto un suo testo poeticodedicato a Macchia e Maria Pia De Martino ha parlato di“Poesia non poesia”.Sono stati quindi premiati vincitori e finalisti e sonostati letti, oltre alle motivazioni della Giuria, brani delleloro opere, alternativamente dalle gentili voci di Ida DiIanni e Maria Pia De Martino.Ha egregiamente condotto la serata Elena Grande,che oltre a essere Assessora alla Cultura del comune diMacchia, è colei che ha ideato e organizzato il Premioed è componente della Giuria, insieme ad AmerigoIannacone, Aldo Cervo, Maria Pia De Martino, Ida DiIanni e Giuseppe Napolitano.Prezioso il commento musicale all’arpa di TizianaTamasi.Questi i vincitori del Pemio, che è articolato in quattrosezioni: Narrativa, intitolata ad Antonio Lemme112<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


(vincitori: Silvana Aurilia – Napoli, Michele Piccolino –Ausonia – Frosinone, Paolo Pergolari – Perugia); Poesia,intitolata a Vittorio Stasi (vincitori: Giovanna BonoMarchetti – La Spezia, Umberto Vicaretti – Luco delMarsi – L’Aquila, Benito Galilea – Roma); Poesia autoriin erba intitolata a Vincenzo Galasso (vincitori:Valentina Fardone – Macchia d’Isernia, Eucania PallanteS. Eusanio di Monteroduni – Isernia, Desirée Placella –S. Eusanio di Monteroduni – Isernia, Lorena Silvestri –S. Eusanio di Monteroduni – Isernia); Narrativa autori inerba, intitolata a Giovanni Siravo, non assegnato.Oltre ai premi, i vincitori hanno ritirato una copiadell’antologia (con il disegno in copertina realizzato daun ragazzo di Macchia, Mario Martino), dei libri offertida Albusedizioni e una bottiglia di buonissimo vino docofferto dall’Azienda Agricola Sannazzaro. Altri sponsordella serata, che si ringraziano: Di Risio Motorcity eMetania srl.A conclusione sono state consegnate le Borse diStudio agli alunni più meritevoli dell’anno scolastico2007/2008 (Chiara Grande, Alessia Palermo, MarcoPirolli, Ludovica Stasi, Marzia Di Pasquale).Tutte le opere premiate e segnalate sono stateinserite in un’Antologia pubblicata dalle Edizioni Eva diVenafro.Un evento davvero di alto livello e culturalmentenotevole che è stato al tempo stesso una piacevoleoccasione d’incontro per tutti.Amerigo IannaconeMACCHIA D’ISERNIALe case si abbracciano al colleintorno al Palazzo baronaledel centro medioevale.Poche animein un piccolo paesedentro l’antica civiltàdell’uomo pentroe intorno esplode la natura.Ora il nome di Macchiaviaggia coi poeti e gli scrittoriche vanno alla ricerca di cultura,con Elena, con Dante, con la gente,con l’entusiasmo dei bambini.Una croce di caseche si abbraccianoe si chiamano piano,come quelle del Vicolo quasimodiano,come quelle misteriose di Rio Bo.Elena GrandeRIFLESSIONI A PROPOSITO DELLA NUOVA PROPOSTA DI LEGGE TOSCANA…La notte del 18 novembre 2008 ho ricevuto una e-mail non richiesta coll’oggetto «Immigrati piùtutelati nella nuova proposta di legge toscana.Oltre 300mila presenze regolari» da ToscanaNotizie in cui si legge la seguente comunicazione:Per la Caritas sono oltre 300mila gli stranieri regolariresidenti in Toscana. E la Regione presenta unaproposta di legge che punta a costruire un modello diconvivenza fra cittadini. Nei 37 articoli del testo di leggesono numerosi i punti “in positivo”: riconoscimento deititoli professionali, rispetto delle differenze religiose,insegnamento della lingua italiana, sostegno erafforzamento della rete di sportelli informativi, accessoal servizio civile regionale per gli immigrati di secondagenerazione.Attenzione particolare è riservata ai soggetti deboli,come donne, minori, richiedenti asilo ma ancheirregolari: ad esempio sono previste attività diinformazione e prevenzione delle mutilazioni genitalifemminili, e anche agli irregolari viene garantitol’accesso al servizio sanitario, e interventi urgenti, comeun pasto o un letto per dormire.Oltre un terzo dei 300mila stranieri presenti inToscana vivono in Provincia di Firenze. Seguono Prato eArezzo, poi Pisa. L’incremento più rilevante è sullacosta.La comunità più consistente è quella albanese: oltre55 mila persone.Seguono quella romena, quasi 52 mila, quindi quellecinese, quasi 26mila, e marocchina, oltre 21 mila. Ilnumero dei romeni in un anno è quasi raddoppiato.Sono stati inseriti a scuola nell’anno scorso oltre 45milaalunni stranieri, circa 1 su 10.Dopo il ciclo dell’obbligo gli studenti di originestraniera tendono ad iscriversi soprattutto ai corsi diistituti professionali (42,3%) e tecnici (33,4%): ciòconferma la propensione ad inserirsi rapidamente nelmercato del lavoro.Per entità di rimesse – i soldi che gli stranieri invianonei paesi di origine – la Toscana è la terza regioned’Italia, con 867 milioni di euro, di cui più della metàpartono da Prato.In Toscana gli immigrati versano ogni anno circa 300milioni di tasse e ricevono in termini di servizi 60milioni.Tutto questo merita un’applauso. Però conoscendol’enorme lentezza del meccanismo della legislazioneitaliana ho la sensazione che si dovrà aspettare nonpoco…Avrei una considerazione da fare a proposito dei titoliprofessionali e dei titoli di studio dei cittadinidell’Europa Unita – e per carità, non mi attacchino diessere razzista, perché non la sono affatto, ancheperché se guardiamo, nonostante (anche) lacittadinanza italiana sono anch’io un’unghereseimmigrata a conseguenza del mio matrimonio con uncittadino italiano, e di esperienza per gli italiani nativirimango sempre immigrata ed estranea e non parlandodel fatto che molte volte, dopo 25 anni non sono capacidi distinguere – o non vogliono farlo – la mia origineungherese da quella dei slovacchi, rumeni, slavi, russi ecosì via –: si dovrebbe finalmente decidere a proposito<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 113


dei riconoscimenti dei titoli degli studi e professionalidei cittadini comunitari. Ricordo che noi cittadini a queitempi abbiamo sostenuto la fondazione dell’EU ancheproprio per questo scopo, dato che allora spesso siparlava anche di questo argomento: sarannoautomaticamente riconosciuti i titoli accademici – cioèche anch’essi avranno valore legale in Italia e negli altriPaesi – dei cittadini appartenenti all’Unione Europea.Poi pian piano si è scoperto che tutto questo non èaffatto vero, salvo qualche rara eccezione di alcuni Staticomponenti – come tante altre cose – sono statesoltanto delle chiacchiere solite da parte dei politici: sileggono notizie che nella maggioranza dei Paesidell’Unione Europea dopo un periodo trascorso alleuniversità oltre i rispettivi confini, le lauree (v.http://www.ordascalabria.it/materiali/titoli_accademici/riferimenti_normativi.pdf), i corsi post-universitari, senza esamisupplementari o differenziati, non sonoautomaticamente considerati se si vuole accedere allapubblica amministrazione etc. Poi non parlando delfatto – sempre leggendo a proposito delle notizie elamentele – che anche i titolari dei diplomi dei masteruniversitari che aumentano il valore della laurea, nonvengono tanto considerati nel mercato di lavoro,nonostante che questi master sono stati introdotti perfacilitare l’inserimento al mercato di lavoro… Nb. Non siconfondano i master universitari (v.http://it.wikipedia.org/wiki/Master_universitario) che hannovalore legale riconosciuto in tutto il mondo (!), almenocosì si dice ufficialmente – con gli altri master, anche seprestigiosi ma privi di valore legale.Quindi molte cose peccano a proposito… Le priorità,quindi, andrebbero prima ai riconoscimenti dei titoliaccademici e professionali dei cittadini dei membri dellaComunità Europea, e dopo di quelli agli immigratiextracomunitari. Non Vi pare?!NOTA/Informazione: La novità è che il nuovoprogramma Erasmus Mundus, quello che comincerà apartire dal 2010, ha quadruplicato il proprio budget ecosì i candidati europei, come quelli provenienti daiPaesi Terzi, avranno borse di studio per l’intera duratadel loro master, e non parziali come avviene adesso. Ilprogramma prevede un centinaio tra master e corsi dilaurea specialistica: la particolarità di questi corsi è cheoffrono la possibilità di studiare in due o più ateneiappartenenti ai diversi Stati della Ue, che fanno partedello stesso consorzio interuniversitario. I corsi spazianosui temi più vari, legati alle problematiche dei Paesiterzi, dello sviluppo, dei rapporti economici, culturali,sociali e politici con l’Europa e sono organizzati daconsorzi di almeno tre università, con la certificazioneErasmus Mundus, da parte della Commissione europea.Ai corsi possono partecipare gli studenti di tutto ilmondo, purché abbiano una formazione superiorealmeno triennale, e la conoscenza della lingua in cui sisvolge il corso. I master coordinati da università italianesono nove: dal Master en Culture LittérairesEuropéennes diretto dall’Università di Bolognaall’European master in Informatics di cui è capofilal’Università di Trento (che presiede anche un altromaster). Gli altri atenei coordinatori sono Firenze, Pisa,<strong>Ferrara</strong>, L’Aquila e Pavia. Gli studenti italiani possonoiscriversi, avendone i requisiti, a qualsiasi corso, aprescindere dal coinvolgimento di atenei italiani.Alla fine del master si ottiene un joint degree, undiploma congiunto o doppio diploma, attribuito daciascuna istituzione universitaria, e valido negli altriPaesi. «Si tratta di un network di esperti interculturali,cui dovrebbero guardare con estrema attenzione leistituzioni pubbliche e le aziende – sostiene GiovanniFinocchietti, responsabile del Punto italiano di contattodel Programma – una base solida per costruire la classedirigente del futuro nei vari settori, capaci di fare rete,a vantaggio sia dello sviluppo economico, chedell’evoluzione dei Paesi ». Di tutto questo hannoparlato anche in un seminario delle agenzie ErasmusMundus, il 27 e il 28 novembre scorso a Roma,organizzato dal Punto nazionale di contatto.Il Parlamento europeo ha approvato il nuovoprogramma Erasmus Mundus 2009-2013, che potràcontare su un budget di circa 950 milioni; nel periodo2004-2008 erano stati attribuiti 230 milioni di euro. Nonsolo, l’Unione europea continuerà a sostenere dei ciclidi studi congiunti in Europa e attribuire borse di studioagli insegnanti e agli allievi di talento dei Paesi Terzi,ma estenderà il programma agli studi di dottorato,contribuendo con una buona dotazione economicaanche a favore degli studenti europei.Una novità che entrerà in vigore dal 2010/2011, così icandidati europei ai master Erasmus Mundus potrannoottenere borse di studio a copertura totale del lorocorso, considerando però che il costo della vita inEuropa è più abbordabile per un europeo, mentre aglistudenti dei Paesi terzi sono attribuiti finanziamenti peroltre 20mila euro l’anno.Un intervento a favore deicandidati europei, sia per attrarre la loro partecipazioneai Master Erasmus Mundus, e anche per dare loro pariopportunità rispetto ai colleghi cinesi, indiani, e di altriPaesi extraeuropei. (Fonte: Il master vale doppio se ha il«bollino» Ue di Loredana Oliva, 24 novembre 2008 de Il Sole24 ore: http://job24.ilsole24ore.com/news/Articoli/2008/novembre/master-bollinoue.php?uuid=e605037e-ba58-11dd-9dad-0a1b9bab61ee&DocRulesView=Libero)Fonte:Pagina supplementare online dell’Osservato-rio Letterario del19 novembre 2008:http://www.osservatorioletterario.net/immigrati-bevandorlok.pdf.Presente articolo è più ampio di quell’originale.Link:http://www.ordascalabria.it/materiali/titoli_accademici/riferimenti_normativi.pdf (Qualifiche accademiche)http://www.osservatorioletterario.net/esami-master-iadlc2.pdf(Un corso di master universitario)http://www.osservatorioletterario.net/drengo-master.pdf(Un corso di master editoriale – non universitario – delgiornalismo storico-scientifico)Melinda B. Tamás-Tarr- Ferra114<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


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APPENDICE/FÜGGELÉK____Rubrica delle opere della letteratura e della pubblicistica ungherese in lingua originale e traduzioni in ungherese ____VEZÉRCIKKLectori salutem!Mint ahogy jeleztem, ebben avezércikkemben a nyelv funkcióivalfolytatom lingvisztikai elmélkedésemet.Előrebocsátom, hogy jelen magyarnyelvű vezércikkem az olasz nyelvűeredetinek szintetikus változata.A nyelvet a beszélő és író szándékaszerint különféle módon, azaz különféle funkciói alapjánhasználjuk.A nyelv a mindennapi élet valóságában, amindennapjainkban számtalan szöveg és kommunikációmegszerkesztésére szolgál a legváltozatosabb célokszerint. A nyelvészetben a beszélt és írott nyelvszándéka szerint használt legkülönfélébb módokatnevezzük a nyelv funkcióinak, amelyek igen széles ésvégtelen skálán mozognak, szinte képtelenséghiánytalanul felsorolni azokat.A nyelvészek azonban a nyelv számtalan használatánakelemzése céljából a nyelvi funkciókat különfélemodellekbe rendszerezték, amelyekbe beletartozikminden közlésforma. A felállított modellek közül alegpraktikusabb az orosz eredetű amerikai nyelvész,Roman Jakobson általi modell.A Jakobson-modell logikusan és észszerűen vázolja fel anyelv extrém variációinak funkcióit. Modellje szorosankapcsolódik a kommunikáció-elmélet elvégzettkutatásaihoz. Megemlítendők az angol nyelvész, A. K.Halliday modelljei. Az angol nyelvész a nyelvi funkciókolyan listáját dolgozta ki, amely a kisgyermek nyelvihasználatától kezdődik.Jakobson szerint a nyelvi funkciók a kommunikációalapvető elemeit magában foglaló hat főkategóriábasorolhatók: informatív (vagy denotatív, vagyreferenciális), expresszív (vagy emotív [kifejező]),perszváziós (vagy imperatív [konatív]), fatikus (vagykapcsolatfenntartó), metalingvisztikai, esztétikai (vagykonnotatív [poétai, művészi]).A közlés szövegeinek nagyobb részében, elsősorban ahosszú- és összetettekben, több funkció van jelen.Gyakorlatilag a nyelv használatában megtalálhatók afunkciók számtalan variáns kombinációi, még akkor is,ha minden szövegben megvan az azt beazonosítódomináns funkció. Így minden szöveg expresszív ésmajdnem informatív, még a metalingvisztikai szövegekis, mert mindig tartalmaznak valamiféle információt. Azkomplexebb és ambivalens szépirodalmi szövegekben –amelyekben a lírai- vagy a kapcsolatfenntartó funkciódominál – változatosan jelen vannak s egymásbafonódnak az összes funkciók. Például «Az isteniszínjáték»-ban – ahogy Umberto Eco jelzi – Dante atárgyakra és a dolgokra utalva (referenciális funkció) azolvasóira való ráhatás szándékával (emotív funkció)beszél s hajtja (perszváziós funkció) őketmeghatározott döntés felé, fenntartván velük a verbáliskontaktust (fatikus funkció), aposztrofált tényeket ésfelszólításokat alkalmaz, megmagyarázván értelmét(metalingvisztikai funkció) mindannak, amit közölniszándékozik, megalkotván alapesztétikai indíttatású(esztétikai funkció) teljes üzenetét.Most pedig nézzük az egyes funkciókat és a különféleüzenetet-típusokat (közlés vagy szöveg):1.) Az informatív vagy referenciális funkcióesetében a nyelvet azzal a céllal használjuk hogy valakitvalamiről tárgyilagosan informáljunk, anélkül, hogy afeladó véleménye ismert legyen és anélkül, hogy acímzettet felszólítsunk valamire. E funkció a referálónalapszik, ezért az üzenet tényét és tárgyát tekintvereferenciális funkciónak is nevezzük. Ilyen jellegűszövegek a következők: feliratos táblák, útjelzések,cégérek, értesítők, tájékoztatók, menetrendek,közlemények, nyilvántartások, biográfiák, felmérések,szak-és tudományos szövegek, krónikák, beszámolók,jelentések, jegyzőkönyvek, konkrét helyzeteket éseseményeket tárgyaló szövegek. A szépirodalmiszövegekben is meghatározó lehet az informatívreferenciálisfunkció, ha az megfelel a szerző pontos,expresszív, szintetikus és ideológiai választásainak.2.) Az expresszív vagy emotív (kifejező)funkcióban a nyelv elsősorban a feladó gondolatainak,véleményeinek, érzéseinek, emócióinak kifejezéséreszolgál. A feladó áll a középpontban a szubjektívelemeivel, a felkiáltó vagy kétséget kifejezőhangtónusával, a szavai emóciós értékekkel, retorikusformákkal és egyéb stilisztikai értékekkel gazdagítottak.Az alábbi szövegek expresszív-emóciósak:- az indulatok, általában minden érzelmimegnyilvánulás; szimpátia, harag, gyűlöletkinyilvánítása;- naplók, emlékiratok, vallomások;autobiográfiai szövegek, amelyek a szerző relatívszemélyes- és egyéni tapasztalatait meséli el(kalandok, emlékek, remények, aspirációk,vágyak, érzelmek), vagy olyan objektíveseményeket elmesélő szövegek, amelyekről afeladó által megszűrten véleményének ad teret.Jelentősek emberi értékük szempontjából, mertirodalmi környezetbe átültetve felruházódhatfontos kordokumentumi értékkel;- véleményeknek, recenzióknak, kritikaiinterpretációknak is van expresszív-emotív funkciójuk.3.) A perszváziós vagy imperatív funkcióban anyelvnek a címzettet meggyőző vagy annak bizonyosmagatartásbeli változását kiváltó, arra felszólító szerepevan. Ilyen jellegű szövegek:- törvényszövegek, utasítások, tilalmak, imák,felhívás/felszólítás, tanácsadás, szabályzatok,körlevelek;- politikai és propagandai szónoklat,védőbeszédek/perbeszédek, prédikációk, szertartásosszövegek, megemlékező beszédek;Mindezek nagyközönség előtti elhangzásra hivatottak,amelyeket a retorika eszközeivel igyekeznek méghatékonyabbá tenni.- Idetartoznak az előírásokat tartalmazó szövegek,amelyeknek célja a beszédpartnerben meghatározottérzelmeket kiváltani (meghatódás, félelem stb.) vagy<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 117


meghatározott magatartást kiváltani (becsületesség,lojalitás stb.);Sok ilyenforma szövegben a perszváziós funkcióegyütt van jelen az esztétikai funkcióval. Így sokesetben a perszváziós funkció elfojtja a mesékbenjelen lévő esztétikai funkciót. A mese szórakoztatójellege mellett arra törekszik, hogy a morálsegítségével napfényre hozza a virtust és az emberihibákat s felszólítani az embereket bizonyosmagaviselet betartására.- A reklámüzenetek tökéletes példái a nyelvperszváziós funkciójára, mert a fő céljuk az emberekmeggyőzése még akkor is, ha a nyelv más funkcióit iskihasználják.A szépirodalmi szövegekben a perszváziós funkcióegyütt van a esztétikai-konnotatív és a többi másfunkcióval.4.) A fatikus vagy kapcsolatfenntartó funkcióesetében a nyelv a feladó és címzett közöttikapcsolatfelvételre hivatott. Ilyen jellegű szövegek akövetkezők:- köszönések és udvariassági formák;- telefon-beszélgetési formulák és hiánypotlókifejezések;- többé-kevésbé sztereotipizált kifejezések akommunikáció beindítását, a beszélgetésmegkönnyítését, esetleg a kellemetlen, zavarhelyzetekáltal keletkezett csend áthidalását szolgálják;- figyelmet felkeltő vagy olyan kifejezések, amelyeksegítségével ellenőrizhető, hogy a közlést a beszélőpartner megértette-e, megfelelőképpen értelmezte-e.5.) A nyelv metalingvisztikai (értelmező)funkciója pontosan maga a nyelv értelmezésére éselemzésére, vagy egy másik nyelv alkalmazásakor asajátos működése és jellegzetességének amegmagyarázására szolgál. E funkció a következőszövegeknél dominál: nyelvtani szövegek, szótárak,nyelv tanulására szolgáló könyvek. Ugyanez a funkciógyakori a tankönyvek szövegében, az ismeretterjesztőszövegekben, a nyelvoktató tanár és nyelvet tanulók(anyanyelvűek és külföldiek) nyelvezetében. Ametalingvisztikai funkció jelen van a mindennapikommunikációs nyelvezetünkben és minden olyanalkalommal, amikor szükségünk van valami ismeretlenfogalom megmagyarázására, értelmezésére.6.) Az esztétikai funkciót akkor használjuk, amikorközlésünkben jellegzetes hatást szeretnénk elérni, ezértstilisztikailag gazdagítjuk mondanivalónkat ritmikai-,dallameffektusokkal fűszerezve. Természetesenleginkább költők és írók műveire jellemző, de nemkizárólagosan az ő privilégiumuk.Ezen lingvisztikai reflexió után kellemes olvasást ésáldott húsvéti ünnepeket kívánok!BttmLÍRIKABarna T. AttilaLEHAJTOTT FEJJEL ÜLT TOVÁBBNagy Gáspár emlékénekmellett, kissé előrehajolva.A földre bámult.Csak akkorpillantott föl, mikor odaértemelé és ráköszöntem -az arcánöröm és meglepetés,utóbbifehér köpenyem láttán,nem tudta,én is ott dolgozom.Régen találkoztunk, utoljáratalán valamelyikszerkesztőségben.Nem beszéltbajáról. Valamipapírért jött be csak.Pár szó után elköszöntünk.Hívtam a liftet. Mikor azajtó összezárult, intettünkegymásnak. Mosolygott. Mégláttam, feje mellérebukik újra,válla meggörnyed.Várt. Kint, az ablakon túlkemény decembersötét.A 2008-as Salvatore Quasimodo Költőverseny különdíjasverse.Botár Attila (1944) ― VeszprémÚJABB FÉLCÉDULÁKXI.Ez olyan mintha csákány ér kováta jégcsapok soránál csillogóbbat –Vetett világon: havas úton átegy nyúl iramlik. Oroszlán-nyomot hagy.XII.A tartamokban fölzengő nyomok:e születők torkán fakadt korénekkinőhetetlen lesz mint kozmoszod –Lakója lettél egy pont belsejének.<strong>XIII</strong>.Simult azúr. Ágára visszanézlevélnyi sajgás: bronz és Búcsúzásfa.S a fecske ponttá halványul. A méz:a nem tudom hiánytalan tudása.XIV.E zárójelben szőlőszem felejt.Hogy milyen is a tó, a part, a tőke,az agyagvörheny oldalban a kert –S a felejtés is milyen, hogy kinőtte.A félhomályos, üres kórházfolyosóvégében ült, a kávéautomataXV.Ki vagy, virág? Szomjas szépségeden túl118<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


érnem csak egyszer? Sosem adatott.Forrás a szomjad. Úgy békít, ha feldúlte Másnemű, egy dús pillanatod.Gyöngyös Imre (1932) ― Wellington (Új-Zéland)ETIKAI ELMÉLKEDÉSVágyálmunk képe csak megannyi[szemcse,mit Szépség érlel, szemlél, válogat,hogy ember-életünk javát jelentse,bár mértékéről nincs, ki számot ad,legértékesebbjéhez kell szerencse,hogy keltsen bennünk új világokats a rosszakat vezeklőn úgy kimentse,mint eredendő-bűnös kínokat.Létünkre dísz a Szépség, bármit enyhít,itéletünk örökké megmarad:az édenkerti bűnből ez semennyit,akármily áron bár, le nem farag.Bűnt és erényt bizony nem értelem nyitlelkeinkben, de Szabad Akarat!AZ EKVILIBRIUM HELYREÁLLÍTÁSAHa valaki egy tüskét szúr belédnagy tömegben, hol nem tudod, ki volt,a pillanatnyi fájdalom elég,hogy fegyelmedbe fojts egy halk sikolyt.Duzzogjon benned bántott bosszúságmegmérhetetlen, makacs visszatérte,megújuló daccal tapossad átlelked salak-emésztő tűzterébe,amelynek lángja lázasan lobog:kórt irt s gyógyírt borít égő sebedre;bocsánatodban is maradj konok;légy üdvöd által üdvödért vezetvelegbelsőbb éned mélyén mégis ép:úgy felmagasztal majd a lelkiség!SHAKESPEARE-SOROZAT– V.William Shakespeare (1564-1616)HAJNALI EKLOGAHarmatot isznak a kismadarak zamatos falevélről.Pázsitok átitatott, üde-zöld levelén nehezékkéntcsüngnek a duzzadozó, remegőn tapadó csoda-cseppek.Pír kel a tág horizonton, az éj suta rostja elolvad,bíboros, ünnepi nap kel, amint kifehérlik a körkép;zörren a fák citerája, a szél belecsap dudorászva.Álmosan ébred a szem: kotorászgat a fény a pupillán;méla tudat hunyorog megadón a sötét kihalásán,míg kiviláglik az ész egyesülni a nappali fénnyel,tétova álom eloszlik: orozza az éjnek a leplét;Vénusz uralkodik: átragyog ímhol a szürke homályon,visszaidézi a bársonyos éjszaka szent pihenőjét.Éj enyhíti az emberiségnek az élete lázát.Tegnapot ápol a gyógyerejével az ég takarója;csillagok árja, e dajkai kéz ölelőn simogatta.S lám a homályt kiszorítja a nap tüzelő ragyogása,éj vajúdása, szülöttje, csodás báb'asszonya: Hajnal.ALKONYI EKLOGAÍm a nap őszi korongja csuszamlik a lágy horizontra,langy heve hirtelen enyhül, az árnylepel élesen elhűl.Bronzludak is, ha pihenni leszállnak a rétre, pirossáfénylik a csőrük, a lábuk a harmat erős hidegétől.Kismadarak raja rebben az esteli szürkület árnyán.Távol a rózsaszínű havasok süvegébe fagyott hóprizmajegén töredezve szakadnak a kései fények:csendben a nap köszön így el az álmosodó anyaföldtől.Nappali lények erélytelen élete harca lelankad:fárad a test idegélete, nyugszik az életütem márkészen az éjnyugalomra, amelyben erő feszül újra!Hagyd, hogy az Alkonyat átölelő lepelébe pihenj el!Add neki hódolatod s vegyed át a jutalmad: az álmod!Vedd, amit ad s amit elmond! Áldd csoda-gyógynak az[Alkonyt!1. SonnetFrom fairest creatures we desire increase,That thereby beauty's rose might never die,But as the riper should by time decease,His tender heir might bear his memory;But thou contracted to thine own bright eyes,Feed'st thy light's fame with self-substantial fuel,Making a famine where abundance lies,Thyself thy foe, to thy sweet self too cruel.Thou that art now rhe world's fresh ornament,And only herald to the gaudy spring,Within thine own bud buriest thy content,And, tender churl, mak'st waste in niggarding.Pity the world, or else this glutton be,To eat the world's due, by the grave and thee.Szabó Lőrinc fordításaA gyönyörűt szaporítani vágyunk,hogy így örökké rózsálljon a szép.S emlékét, ha hull érettebb virágunkőrizhesse a zsenge ivadék.De te, saját fényszemed rabja, rőzsétlángodra tápnak: önmagad dobod,inségbe fojtva, ami csupa bőség,mézed ürme, te önnön gyilkosod.Te, aki a világ friss dísze vagys a víg tavasz előtt még csak herold,bimbódba temeted tartalmadats, édes vadóc, fukaron tékozolsz.Szánj meg: szűnj külső jusst habzsolni: másképpmegeszitek a sír s te, a világét.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 119


Gyöngyös fordításaA legszebb lénynek vágyjuk többletéts ezzel, hogy szépség sose haljon el.Mégis múlik, mi arra már megérts csak örökös él emlékeivel.Te, kit elkötelez fényes szemeds lámpád lángjához táp tőled fakad,ínség aratja bár bőségedet,ellenséged csak édes önmagad,ki a földnek legfrissebb dísze vagy,a tarka tavasz harsantja e hírt,bimbódba ásod el tartalmadat,fukarság szítja veszteségeid.Szánd világod és e falánkodat,nehogy habzsolja, mit sír ad s te adsz.Gy.I. megjegyzése:Vannak sokkal egyszerűbb kijelentések az eredeti angolszövegben, még a kontrapontok is egyszerűbben,kijelentőbb módon jelennek meg a Bárd stílusában,semhogy kényelmesen lehetne fordítani - eztmegengedem, de a verstani könnyítéseket nem tudommentegetni! Verstanilag végig ötös jambikus sorokban(10 szótagosokban) szinte pattog a vers és nagyobbvétek itt 11-esekkel, mintegy szünetjelekkel fékezni azömlő mondanivalót, mint más szonettekben. Lőrincbátyánk három helyen is elköveti ezt a vétket: „vágyunk ” - „virágunk”, „ rőzsét ” - „bőség”, „ másképp”- „ világét”.2. SonnetWhen forty winters shall besiege thy brow,And dig deep trenches in thy beauty's field,Thy youth's proud livery, so gaz'd on now,Will be a tattered weed of small worth held.Then being ask'd where all thy beauty lies,Where all the treasure of thy lusty days,To say within thy own deep-sunken eyesWere an all-eating shame and thriftless praise.How much more praise deserv'd thy beauty's use,If thou could'st answer 'This fair child of mineShall sum my count, and make my old excuse'Proving his beauty by succession of thine!This were to be new made, when thou art old,And see thy blood warm when thou feel'st it cold.Szabó Lőrinc fordításaHa homlokod negyven tél ostromas szépséged kertjét mély árkok ülik;ifjúságod, e most csodált ruha,nyűtt rongy lesz, mely alig ért valamit:s ha megkérdik, szépséged hova lett,deli napjaid kincse hova halt,válasznak saját üreges szemedemésztő szégyen lesz s roncs diadal.Felélt szépséged viszont újra nagyérdem lehetne: "Íme szép fiamösszegezi s kimenti koromat",- látnád: tied, ami szép rajta van.Így újulnál, öregem, és a véredmelegítene, bár hidegnek érzed.Szabó Lőrinc fordításaHa homlokod negyven tél ostromas szépséged kertjét mély árkok ülik;ifjúságod, e most csodált ruha,nyűtt rongy lesz, mely alig ért valamit:s ha megkérdik, szépséged hova lett,deli napjaid kincse hova halt,válasznak saját üreges szemedemésztő szégyen lesz s roncs diadal.Felélt szépséged viszont újra nagyérdem lehetne: "Íme szép fiamösszegezi s kimenti koromat",- látnád: tied, ami szép rajta van.Így újulnál, öregem, és a véredmelegítene, bár hidegnek érzed.Gyöngyös Imre fordításaHa negyven tél támadja homlokods szépségmeződből árkokat kivág,az ifjúság díszét hiányolod:a gaz rongyokká lett egyenruhát.Ha kérdezik: szépséged hova tűnhet,buja napjaid kincse hova lett,idézd fel a szemed mélyébe süllyedtfalánk szégyent s herdált dicséretet.Szépséged tán több jó szót érdemel,ha válaszolsz: "Gyönyörű gyermekem”kiment s érdemeim sorolja fel;tiszta szépsége tőled nyert elem."S ha majd megvénülsz, kihűlt véredete gondolattal melegítheted.Gy.I. megjegyzése:Szabó Lőrinc legtöbbször egy kicsit többet tesz aszövegbe, mint a Bárd, de ezúttal - úgy érzem - én megkevesebbet. Mégis mindketten odaérünk. „Az ifjúságegyenruhája” kifejezésben homályos utalás van évekigtartó katona korára, saját ifjúságára! A Bárd biográfusaisem tudják, hogy katona-éveit hol töltötte és milyenországban mennyi ideig volt. Olaszországi tartózkodásátés olasz történelmi érdeklődését és ismereteit gyanítjákerre a katonai korszakára.5.) FolytatjukPesti Orsolya (1991) — GödöllőCSAK VÁGYGyöngyös Imre- Wellington (Új-Zéland)-sebzett szívem folyvást érted dobbana bömbölő vulkán bármikor felrobbanelszánt lovag küzd híven királyáértmegvakult de harcol szeme világáért120<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


ajzott szerelmesek enyhülést kergetnekmarcangolva tépve verekednekmint csecsemő zokogok úgy törnek rám a vágyaknem tompították azok kik részemmé váltakérted gyilkolni tudnék mert őrültté teszelbeléd kóstolni ha mérgező is leszelvéredet veszem ősi vámpír csókkallelkedet kábítom számtalan bókkalszelíd véred miatt leszel áldozatommajd elszámolok ezzel a kárhozatonPesti Orsolya (1991) — GödöllőMEZÍTELEN VÁNDORhomályos köd füstöslevegő árad széta harang bőszen kongmár éjfél idejénzajos a csend is itthisz széttép a magányképzelet tündérebalettozik tavánén vagyok a falukit átölel a gyászcsillogó aranyrögmit keres a bányászcsupasz testem remegeljátszottam ruhámkemény kövön fekszemnem paplanon puhánhajnali zúzmaramegtapad arcomoncsillagok zokognakelcsitult harcomonszilvaszínű ajkaméneklésre nyitomdalomat az égnekörökre átadomTóth KrisztinaA VILÁG MINDEN ORSZÁGAde még igazolnom kellett, hogy a magyar állam polgára,s az elhunyt ily módon jogosult a hamvasztásra.A papírokat az asztalra tettem, egy nő meg a gépenbabrált: az útlevél a fűzésnél, pont középenkinyílt a levegőtlen szobában, mint egy ablak,pecséttel tanúsítva, hogy birtokosaa világ minden országába utazhat.A világ minden országának csarnokábanegy szürke, zúgó monitor előtt álltam,és figyeltem a nagyanyám útra felöltött arcát,ahogy a sínen lehunyt szemmel haladt át,és még hasonlított magára, csak hegyesebb volt az orra,de már jobban hasonlított az összes földi halottra,májfoltos, sárga tokká változott, puszta testté,ez hamis világ timnüce belől menté,amikor becsúsztatták, hirtelen elnéztem máshová,és odutta vala neki paradicsumut hazoá,és széket toltak alám, üljön le, ha kivárja,de menni kellett a gyerekért az iskolába,nyomogatták a gombokat, zúgni kezdett az áram,egy óra negyvenhat volt. Nem hiszekaz örvénylő test feltámadásában.Nyár turbinája, száraz esőt hadart az égbolt,hunyorogtam, odakint meleg szél volt,karcos felhőt kavart, vitte, besodorta középre,nem őt sirattam, nem beszéltünk már vagy öt éve,nem azt az arcot, kezet, nem a sápadt gyerekkort,hanem a testet, a testet, a testet, hogy csak ez volt,hogy ennyi az egész, leváló bőr, lila körmök, hogy ennyi,hogy üres test vagyok és hogy nem bírlak nem szeretni,hogy a világ minden országa egyetlen test maga,hogy mégsincs otthona, hogy másban sohase ér a test haza,autók dudáltak és jött egy biciklis, kikerült,a por a bőrön át lassan a szikkadt szívre ült,két óra múlhatott, mikor tudtam, még mindig égett –Mentem valahol az Auchan mögött,hogy megtaláljam a HÉV-et.A 2008-as Salvatore Quasimodo Költőverseny nyertes verse.______________________________________HIBAJAVÍTÁS: Előző számunban a 95. oldalon Alegjobb Veled – Felelet c. vers szerzője Benke Rita,szerkesztési hiba folytán Göbölyös N. László neveszerepel. Elnézést kérek a Szerzőktől és az Olvasóktól.(Szerk./Bttm)______________________________________Forgott a nyárfavatta, nem voltkitáblázva az égető,aztán feltűnt a műút végén acsavart kéményű pléhtető,és tudtam, hogy az az, valakimobilozott az udvaron,a kapu tárva-nyitva állt,köszöntem, gondoltam, úgy hagyom,megállított egy férfi, kérdeztem, hogy jutok az irodába,szóval maga jött egyre, akkor a maga nagymamája,éppen időben, mondta, már be van kezelve a néni,nem mertem rákérdezni, hogy ezt pontosan hogy is érti,PRÓZACzakó Gábor (1942) — BudapestAUTÓ INFLUENZA– Az egyik öcsém libákat tenyésztKeresztszegen – kezdte történetétSzőlősgazda, s nem evett, nemivott közben, annyira földúlta azeset. – Nos, a minap a falubeli<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 121


oltban vásárolt éppen, amikor lélekszakadva rohantutána a kisfia, hogy baj van, apa, megtámadottbennünket a köjál.Annak most új neve van – okoskodott Szőke adjunktus.– Az ördög nagy átöltöző – legyintett a mesélő, ésfolytatta.– Öcsém otthagyott csapot-papot, rohant haza. Mirehazaért, addigra négy szkafanderes űrszörnyeteg márölte az ólban a libákat, főnökük pedig elállta Jankómútját: ne tovább, mi itt a kötelességünket teljesítjük.Miféle kötelességüket? Madárinfleuenzás bütyköshattyút találtak a libaúsztatótól négy kilométerre! Miközöm hozzá? Öcsém ordított tehetetlen dühében, agóré pedig csitította, hogy borzalmasan nagy a veszély,Törökországban máris meghalt egy kislány, aki akedvenc tyúkjával szokott aludni. Egy kislány?Törökországban? Idefigyeljen, maga martalóc, vanmagának autója? Az nyaklódva bólintott, mert öcsémrázta a grabancát. Na, akkor a jövő héten beöltözünkűrhajósnak mi is a haverokkal, és szétverjük a kocsiját,érti?No de miért? Az bűncselekmény! Az a bűncselekmény,amit maguk művelnek! Mi igazi járványvédelmiekleszünk. Tisztában van azzal, hogy az autók éventeátlagban negyvenezer embert gyilkolnak meg egyedülEurópa útjain?BALJOBB– Szerintem a világ s Magyarország összes baja abbólszármazik, hogy az emberek nem tudjákmegkülönböztetni a két kezüket. Hol a jobbat vélikbalnak, hol a balt jobbnak, s össze-vissza döntenek –szögezte le Édesszájú Lóorvos, aki máskülönben inkábbnevezhető bágyatag férfiúnak, mint határozottnak, deez a gondolat most oly vadul tört át a lelkén, akár azŐs-Duna Dévény szorosán.Bencze tanár úr bólintott, majd ivott egy korsóbodzaszörpöt.– Bizonyára ismerős a sajtóból az az ifjú hölgy, akimostanában sokat szerepel az egyik ateista párt hívőtagozatának szószólójaként. Nos, én őkelmét nemrégtanítottam, mi több, érettségiztettem hittanból a B-igimnáziumban.– Nem sikerült beleverni a hittudományt? – kérdezteSzépasszony, és föltöltötte a hitoktató korsóját a magakészítette friss bodzaszörpből.– A hitet se? – egészítette ki a kérdést Szőlősgazda, akia bodzaszezonban kissé mellőzöttnek érezte magát.Bence tanár folytatta.– A leányzó rettenetesen izgult az érettségi előtt, mertbizony nem tanult semmit. Megpróbáltammegnyugtatni. Figyelj, kislány. A tételeket ki fogomteríteni magam elé. A bal kezemnél lesz az egyes, ésutána sorban a többi. Mire ő: De ha én így szembenállok a tanár úrral, akkor melyik lesz a tanár úr balkeze?Válogatás a 2007. karácsonyán megjelent Kilencvenkilencmagyar rémmese – ötödik futam c. kötetből. (N.B. A kötetmeséiből a híres író maga küldte be az anyagot az«Osservatorio Letterario» szerkesztőségébe esetlegespublikálás céljából.)Fernando Sorrentino (1942) ― Buenos AiresA LECKE- LA LECCIÓN -A középiskolai tanulmányaimbefejezése után egy Buenos Aires-ibiztosítási társaságnál találtam tisztviselőimunkát. Rendkívül kellemetlenmunka volt és egy rettenetes emberekkelteli környezetben, s miveléppen hogy csak tizennyolc éves voltam, a dolog nemnagyon izgatott.A tízemeletes épület emeleteit négy lift kötötte össze.Ezek közül három, függetlenül a hivatali hatalmihierarchiától, a személyzet általános használatáraszolgált. A vörös szövettel tapétázott, három tükörrelfelszerelt és különösen dekorált negyedik viszont atársaság elnökének, a vezetőség tagjainak és avezérigazgató kizárólagos használatára volt fenntartva.Ez annyit jelentett, hogy csakis ők közlekedhettek avörös lifttel, de nem volt megtiltva nekik a másik háromhasználata sem.Soha nem láttam a társaság elnökét, sem avezetőség tagjait. Ellenben, néha — mindig távolból —láttam a vezérigazgatót, akivel soha nem váltottamegyetlen szót sem. Olyan, kb. ötven év körüli „nemesi”és „úrias” vonású ember volt; én egy régi argentinlovag és egy legfelsőbb bírósági, nagyon becsületesbírónak a keverékét láttam benne. Ősz haja, simabajusza, szolid öltözéke és kellemes modora miattbizonyos fokú szimpátiát éreztem don Fernando iránt —annak ellenére, hogy az összes közvetlen főnökömet kinem állhattam —. Mert donnak hívták inkább, mint acsaládnevén, a látszólagos családiasság és egy feudálisúrnak kijáró tiszteletteljes hódolás közötti megnevezéssel.Don Fernando és kísérői hivatali szobái az épületötödik emeletét foglalták el. A mi részlegünk aharmadik emeleten található, de engem, mintalacsonyabb beosztású tisztviselőt gyakran küldözgetteka hivatali értesítésekkel egyik emeletről a másikra. Atizedik emeleten csak idős és morcos hivatalnokokvoltak, a hölgyek mind csúnyák és duzzogók; s ottműködött egy úgynevezett archívum, ahol öt perccel amunkaletétel előtt elmaradhatatlanul át kellett adnomaz egész napi tevékenységről a jelentést tartalmazó,bizonyos számú papírhalmazt.Az egyik este, ezen papírlapok leadása után atizedik emeleten a liftet vártam, hogy végrehazamehessek. Éppen ezen szándékom érdekében márnem voltam ingujjban, hanem az öltönyöm viseltem,megfésülködtem, a tükörbe nézvén megigazítottamnyakkendőmet, s a kezemben a bőr aktatáskámtartottam.Hirtelen mellettem termett don Fernando teljesmivoltában, nyilvánvalóan ő is a liftet várta.A legnagyobb tiszteletadással köszöntöttem:— Jó estét kívánok, don Fernando!Don Fernando még ennél tovább ment. Kezet fogott velemés így szólt hozzám:— Nagyon örvendek, hogy megismerhetem, fiatalember.Látom, befejezte a gyümölcsöző munkanapot smost hazatérőben van, hogy a megérdemelt pihenéstélvezhesse.Ez a magatartása és ezek a szavak — amelyekben122<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


kis ironikus árnyalatot éreztem ki — idegessé tettek.Éreztem, hogy bíborba borul a képem.Pont ebben a pillanatban ért fel az egyik „népi” lift, saz ajtó automatikusan kinyílt feltárván a kies kabint. Agombot benyomva tartottam, hogy megakadályozzamaz ajtó becsukódását, s így szóltam don Fernandóhoz:— Parancsoljon, uram! Csak ön után.— Fiatalember, szó sem lehet róla! — válaszolt donFernando mosollyal az ajkán — Lépjen be magaelsőként!— Nem uram, parancsoljon! Nem tehetném soha ezt,csakis ön után, kérem!— Csak menjen, fiatalember! — valamitürelmetlenség volt a hangjában — Legyen szíves!Ezt a „legyen szíves”-t olyan felszólítással ejtette ki,hogy kénytelen voltam parancsnak tekinteni. Kissémeghajtottam magam és valóban beléptem a liftbe s ahátam mögött pedig don Fernando.Az ajtók becsukódtak.— Don Fernando, az ötödik emeletre megy?— A földszintre. Szeretnék visszavonulni, ugyanúgy,mint ön. Azt hiszem, nekem is jogom van a pihenésre,nem igaz?Nem tudtam mit válaszolni. Ennek a mágnásnak aközelsége rendkívül zavarba ejtett. A kilenc emeletnyicsend sztoikus elviselésére állítottam rá magam,egészen a földszintig. Nem bátorkodtam donFernandóra nézni, így kénytelen voltam a cipőm orrátbámulni mereven.— Melyik részlegen dolgozik, fiatalember?— A Termelésigazgatáson, uram — s csak most tűntfel nekem, hogy don Fernando valamivel alacsonyabbnálam.— Hát ott – mondta mutatóujját az állának támasztva—, az ön igazgatója Biotti úr, ha nem tévedek.— Igen, uram. Biotti úr.Ki nem állhattam Biotti urat, aki szerintem egybeképzelt hülye, de nem informáltam erről don Fernandót.— És Biotti úr soha nem mondta önnek, hogytiszteletben kell tartania a vállalati hierarchia sorrendjét?— Hooo-hogyan, uram?— Hogy hívják?— Roberto Kriskovich.— Aha! Lengyel családnév.— Uram, nem lengyel: horvát családnév.Leérkeztünk a földszintre. Don Fernando — aki azajtó mellett állt — félreállt, hogy elsőnek szállhassak kia liftből.— Parancsoljon, kérem! — utasított engem.— Nem uram, kérem! — válaszoltam neki idegesen —Csak ön után!Don Fernando szigorú tekintettel nézett rám.— Fiatalember, kérem, hogy szálljon ki!Megijedve engedelmeskedtem.— Fiatalember, tanulni sohasem késő — jegyeztemeg elsőként kilépve az utcára —. Szeretném meghívniegy feketére.S valóban, beléptünk egy sarki kávézóba — elsőkéntdon Fernando, majd én — és az egyik asztalnál szembentaláltam magam a vezérigazgatóval.— Mióta dolgozik a vállalatnál?— Tavaly márciusban kezdtem, uram.— Hát, akkor egy éve sincs, hogy nálunk dolgozik.— A jövő héten lesz kilenc hónapja, don Fernando.— Nagyon jó: én huszonhét esztendeje dolgozom atársaságnál — s újból szigorúan figyelt engem.Mivel feltételeztem, hogy vár tőlem valamit, afejemmel bólintottam, igyekezvén úgy mutatni, minthaegy bizonyos, visszafogott csodálatot éreznék iránta.Előhúzott a zsebéből egy kis zsebszámológépet.— Huszonhét szorozva tizenkét hónappal az egyenlőháromszázhuszonnégy hónappal. Háromszázhuszonnégyosztva kilenc hónappal, az annyi, mintharminchat. Ez azt jelenti, hogy a vállalatnál harminchathónappal idősebb vagyok magánál. Maga egy egyszerű,tisztviselő alkalmazott, én meg vezérigazgató vagyok.Végül is maga tizenkilenc- vagy húszéves, én megötvenkettő. Nem igaz?— De, igen. Nyilvánvaló.— Másodszor: jár egyetemre?— Igen, don Fernando: a bölcsész karon latin és görögszakon tanulok.Gúnyosan legyintett, mintha ezek a szavak megsértettékvolna. Majd így szólt:— Mindenesetre, majd meglátjuk, hogy befejezi-e atanulmányait. Én ellenben a közgazdasági tudományokdoktora vagyok, a legmagasabb osztályzatokkal végeztem.Lehajtottam a fejem és egy kissé széttártam a kezem.— S ahogy a dolgok állnak, nem gondolja, hogy megkell érdemelnem egy különös bánásmódot?— Igen, uram. Kétségkívül.— Akkor hát, hogy merészelt maga előttem a liftbelépni...? S a földszinten hasonló vakmerőséggel előttemszállt ki.— De, jóságos uram, nem akartam én tiszteletlenlenni, sem nyakaskodni. Ön makacskodott nagyon...— Hogy én makacskodom avagy sem, az az éndolgom. Magának rá kellett volna jönnie, hogy semmiképpensem engedheti meg magának hogy előttem lépjenbe a liftbe. Sem pedig előttem kijönni. És különösennincs joga ellentmondani nekem: miért mondta nekemazt, hogy horvát családneve van, holott én azt állítottam,hogy lengyel?— Mert tény, hogy horvát: atyai felmenőim Jugoszláviában,Splitben születtek.— Engem az nem érdekel, hogy atyai felmenői holszülettek, vagy hol nem. Ha én azt mondom, hogy acsaládneve lengyel, maga semmiképpen sem mondhatellent nekem.— Uram, bocsásson meg. Nem fog többé előfordulni.— Remek. Tehát, atyai felmenői Splitben születtek,Jugoszláviában?— Nem, uram, nem ott születtek.— Akkor, hol?— Krakkóban, Lengyelországban.— De, furcsa! — Don Fernando a meglepetés jeléülszéttárja a karját. — Hogy lehet, hogy atyai felmenőilengyel mivolta ellenére a maga családneve horvát?— Egy családi és egy igazságügyi probléma miattmind a négy nagyszülőm Jugoszláviából Lengyelországbaemigrált és itt, lengyel honban születtek az atyaifelmenőim.A mély szomorúság óriási, sötét fellege borította bedon Fernando ábrázatát.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 123


— Én egy érett ember vagyok és nem hiszem, hogymegérdemlem, hogy ugrassanak. Mondja, fiatalember,hogy jutott eszébe ilyen ostobaságot kitalálnia? Hogyangondolhatta, hogy én ezt az abszurd mende-mondátbeveszem? Éppen az előbb nem azt mondta, hogySplitben születtek atyai felmenői?— Igen, uram, s mivel azt mondta nekem, hogy nemmondhatok önnek ellen, úgy tettem, mintha az atyaifelmenőim Krakkóban születtek volna.— Tehát, akárhogy is legyen, hazudott nekem.— De, igen, uram, így van: hazudtam önnek.— Elöljárónak hazudni súlyos tiszteletlenséget jelent ,olyannyira, hogy minden hamisság támadás a társasághatékonysága ellen.— Így van, uram. Tökéletesen egyetértek önnel.— Nagyon helyes. Ezek szerint újra megfontolhatoma maga értékét, látván, hogy ilyen értelmes és ésszerű.De utoljára egy utolsó próbatétel alá helyezném. Kétkávét rendeltünk: ki fizeti ki a számlát?— Öröm lesz számomra.— Ismét hazudott. Biztos, hogy magának, aki nagyonkeveset keres, nem szolgálhat semmiféle örömére,hogy kifizesse a vezérigazgató kávéját, azét, aki a magakétévi kereseténél egy hónap alatt többet keres. Kéremtehát, hogy ne hazudjon nekem és mondja meg azigazat: biztos, hogy örömet szerez magának az, hogykifizetheti a kávém?— Nem, don Fernando, az igazság az, hogy egycsepp örömet sem jelent ez nekem.— De, annak ellenére, hogy ez nem tetszik magának,mégis képes lenne megtenni?— Igen, don Fernando, képes vagyok rá.— Hát akkor fizessen végre s ne vesztegesse el azidőmet, az Isten szerelmére!Szólítottam a pincért és kifizettem a két feketét.Kimentünk — elsőnek don Fernando, aztán én — azutcára. A metró bejáratával találtuk szemben magunkat.— Remek, fiatalember. Itt el kell válnom magától.Őszintén remélem, hogy jól elsajátította ezt a leckét shasznára válik a jövőben.Kezet szorított s lement a Florida állomás lépcsőin.Mondtam már, hogy nem szerettem ezt a munkát. Azegyéves munkaidő betöltése előtt egy másik vállalatnáltaláltam egy kevésbé kellemetlen beosztást. A biztosítótársaságnál töltött utolsó két hónapban láttam mégnéhányszor don Fernandót, de csak messziről s ígytöbbé már nem volt alkalma engem megleckéztetni.Az eredeti spanyol elbeszélés a Badosa.com elektronikusfolyóiratban jelent meg:http://www.badosa.com/bin/obra.pl?id=n310Fordította spanyolból © B. Tamás-Tarr Melindaalias Dr. Bonaniné Dr. Tamás Tarr MelindaSzitányi György (1941) — GödöllőSZŐRŐS GYEREKEIM–IX.Bernát éppen olyan falánkvolt, mint Bence, csakhogy amacskák e kérdésben szerencsésebbreteremtődtek, mivel hét életük van, és azt ahetet nagyon nehéz önerőből elveszíteni.Bernát csak lélekben volt cica, vagyis tündérke (errea két névre is hallgatott), egészében azonban kutyavolt. Jóságosabb Bencénél is, és néhány lépéssel a földfölött járt, ahogy a szentektől elvárná az ember. Voltismerős, aki megrótt minket, hogy ennyire szeretetbennem szabad kutyát nevelni, mert nem lesz harapós.Az ilyen megrovókat megnyugtattam, hogy nagyon isharapós, próbáljon csak a mi engedélyünk nélkülkimenni a kapun, majd meglátja. Amint megközelítettea kételkedő a kaput, Bernát, ekkor már Bernáth néven,ott volt mellette, és szájával a kilincs felé nyúlkált. Eztminden ember őrzővédő jellegű támadásnak vette,pedig Bernát csak szökni akart, és tudta, hogy akilinccsel nyitható a kapu. Ő maga is nyitotta volna, deéppen az ilyen kísérletek kiküszöbölésére két különbözőponton felszerelt riglit, hivatalos nevén tolózáratszereltem fel. Azzal nem boldogult. A kilincsetkiskorából ismerte, úgy járt be az előszobából.Sétafikálási vágyainak köszönhette, hogy jó ésveszélyes házőrző hírében állt, pedig az igazi házőrzőAba volt. Az előzőkből már tudni lehet, hogy az öregfiúnem viccelt. Morgott, és a figyelmeztető hangra semengedelmeskedőket keményen megharapta, marta ésmarcangolta.Aki ezért panaszt tett, kiröhögték, hogy ne már, ezt akis kutyát panaszolja?Önkormányzati ismerősöm, akit egy-kétszer megharapott,kajánul vigyorgott, és bizonygatta, hogy Aba mégmájus elsején is ott van a sátorban, és nem bánt senki.Ő csak tudta, őt is május elsején harapta meg mindenesetben.Bernát falánksága nem ismert határokat. Amikor anagy ünnepi kajálás hulladékai a szemétszállítókat ismegillető munkaszünet miatt már nem férek a kukába,a párom nejlonzacskókba csomagolta a maradékokat,és hiába magyaráztam a dolog veszélyeiről, a halászlészúró és vágó hulladékai egy átlátszó nejlonzacskóbanhevertek a kuka mellett, amikor Bernáton kitört azehetnék. Iszonyú szemetet produkált pillanatok alatt, azínycsiklandó szálkákat és egyebeket úgy felfalta, mint amesében közeli rokona a nagymamát.Hamarosan kipakolta az ajtó elé, ami visszajött, utánaömlött a száján a vér. A gyors beavatkozás megmentette,és amikor már túl volt a közvetlen életveszélyen,szomorú pofával hallgatta anyja intő szavait, amikneklényege az volt, hogy „te falánk dög, egyszer ittfordulsz fel, mert hülye vagy”.Ezt a tónust nem szerettem, ezért megkérdeztem,Bernát, igaz, hogy te voltál az a hülye, aki a kuka mellé,a földre tette nejlonban a hulladékot?A keresetlen anyai reakcióra, akár Bicska Maxi sohóilátogatására, hulljon feledés.Bernátot üldözte a fátum. Ha úgy túrta szét aszemetet, hogy abból konzervdoboz is előgurulhatott,neki biztosan előgurult a lehetséges maximum, és elsőlépései az éles fémszélekbe vezettek. Ennyire sérülékenysportoló csak egy focista volt, az is Angliában, anyolcvanas években.Bernát lábát fertőtlenítettük, bekötöztük, a tetejébemegkapta valamelyik elhordott zoknimat. Amikor nemvoltam jelen a záróaktusnál, a párom minden esetbencsalhatatlan biztonsággal a legújabb zoknimat húzta asérültre, aki boldogan rohant vele hóban, sárban, mikormi volt. A fiú boldogan viselte kötéseit, és a csúcs az124<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


volt, amikor egyszerre három lábán volt kötés, és ahárom különböző új pár zoknimból elorzott félpárakatszaggatta önfeledten sántikálva a világban. Művészlélekvolt, nem törődött a köznapok emberi hitványságaival,kivéve a táplálkozást. Minden nagy tehetségnek vanvalami mélyen emberi bogara.Ez a mélyen emberi szenvedély még jobban elhatalmasodottrajta, amikor Bumbi beköltözött, és kiderültróla, hogy enni is szokott. Bernáthoz még Aba semközelített, pedig az óriás vele kiemelkedő szeretettelbánt: olykor összenyalta, és Aba hiába pofázott, hogynem kell a szeretet, Bernát szopogatta a fejét, minthasavanyúcukor lett volna. Ha véletlenül markánskutyakifejezéssel illette Bernát tündérkét, a méltatlankodóordas felkapta az öreget, a hátára fektette, ésdögönyözni kezdte.Sebet nem ejtett rajta, arra vigyázott, de nem isérdekelte, hogy milyen vérszomjasan hörög szájában adugódani. Ilyenkor nem szabad a kutyákat megközelítenisem, ez alapszabály. A kutyák ilyenkor újabbtámadót látnak a békebíróban, és annak voltak mártragikus következményei. Ráordítottam Bernátra, hogyhagyja az öreget. De Aba annyira ordított és visított,hogy Bernát nem hallott meg engem. Ilyen esetekrehasználtam egy riasztópisztolyt, hogy elvonjam afigyelmüket. Ez vagy használt, vagy nem.Volt eset, hogy Bernátot úgynevezett járomfogássalleemeltem Abáról (jó, ha az ember ismer ilyen dolgokat).Bernát hátravágott, de amikor meglátta, hogy énvagyok, nem harapott meg. Ezzel szemben Aba igyekezettkihasználni az adódó lehetőséget, és beleharapotta nagy mafla csüngő lábaiba. Mivel mindig ezttette, egy idő múlva nem választottam szét őket.Bernát megtette, hogy amikor a koromsötét előszobában,és ráléptem volna, ami Aba esetében legalábbegyikünk súlyos sérülésével járt, amikor járt, Bernát, akia küszöbön belül feküdt, mielőtt baj lett volna, elkaptaszájával a cipőmet, és erősen tartva, ám nem harapva,megtartotta nem csekély súlyomat. Ő nem harapott.Velem különben is kivételezett. Néha hátsóira állt, ésátkarolta a nyakamat. A nyálas következményeket aszeretet jelének tekintettem, valószínűleg jó okkal, éssokan ámuldoztak, miféle baromság ez, hogy ezekegymást átölelve álldogálnak. Néha a karomba kaptam,és sétáltam vele. Ezt nagyon szerette. Volt, hogyilyenkor felkapaszkodott a nyakamba, és úgy nézelődött,mint egy túlméretezett szőrös kisgyerek.A párom ragaszkodott ahhoz, hogy olyan buta, mintamilyen jóságos. Hiába hecceltem a halászlé-üggyel éssok más hasonlóval, Bernát mint művészlélek nemebben a világban élt. Így történt, hogy Abát szórakozottankövette egy idegen kertbe, ahol valamilyen okbólközel mellmagasságában különböző irányban drótokvoltak kifeszítve. Aba általában átkelt a drótok alatt,Bernát pedig visongott, mert összevagdosták a drótok,amikre, miként Aba, a példakép, ügyet sem vetett.Amikor Abának elege lett, kijött. Bernát valahogymegközelítette a kerítést, és amikor látta, hogy nincskijárat, sírva fakadt. Hiába értette, merre van a jobbraés a balra (erre nagyon büszke voltam), minél többetkísérletezett, annál jobban eltévedt a kis kert drótszélűutcáiban. Abát kellett utána küldeni. Nem egyszerűen,hanem szépen meg kellett kérni, hogy légy szíves hozdki Bernátot. Bement, halkan morgott valamit Bernátnak,aki őt a zegzugos utakon követve végül kijutott a kertből.Hogy Aba honnan tudta, a drótok között a nálasokszorta magasabb Bernátot merrefelé kell vezetni,számtalan meglepő tudásának egyik titka.Amikor Bumbi már nálunk lakott, ő el-elszaladgált,de hiába hívta a fiúkat, nem mentek. Bernát olykormegpróbálta, de ő már kinőtt a kerítést és a kaputátugrálós korból, bizonytalan kalandokba, pláne ezzelaz ugribugri alakkal, nem vállalkozott.Együtt sétáltunk, már hazafelé készültünk, amikorkísérteties, erősödő dübörgés hangját továbbította atalaj. Hamarosan feltűnt egy lovas. Aba és Bernát mártalálkozott lóval, de az eléggé régen volt, és noha akutyák nem felejtenek, látszott rajtuk az aggódás. A kétfarkasféle rémülten elvágtatott az erdő felé, és Aba isnyom nélkül eltűnt. A lovas megköszönte, hogy szabadonhagytuk neki az utat, tovább vágtatott, majd eltűnt.Sokáig kiabáltunk, amíg Bernát és Bumbi előkerültaz erdőből. Bernát természetesen sántított, belelépettvalamibe, ami a sebet tekintve, törött üveg lehetett.Aba azonban nem volt sehol...Aba!, kiabált a párom.Aba, szóltam én, mivel valami mozgott a lábamnál.A valami egy térdig sem érő bokor volt. Aba jött előalóla, és kiröhögte a másik kettőt, hogy mit kell ittrohangálni, akinek esze van, nem futkos, mint egy hülye,hanem elbújik, amíg el nem vonul a vihar.*Szerk. Megj.: A tisztelt Olvasók találkozhatnak azelbeszélésben állatokkal kapcsolatban az „aki” vonatkozónévmással, amely helyesen „ami” lenne. Mivel itt az állatokemberként jönnek számításba – N.B. a valóságban sajnos azállatok sokkal emberibbek maguknál az embereknél! – az íróezért él ezzel – a nyelvtanilag helytelen – névmáshasználattal.Tamás-Tarr Melinda (1953) — <strong>Ferrara</strong> (I)PAX ET BONUM! - IN MEMORIAM MÓMIKA(1932. október 15 – 2009. január 23.)9.) Folytatjuk«Volt emberek.Ha nincsenek is, vannak még. Csodák.Nem téve semmit, nem akarva semmit,hatnak tovább.Futók között titokzatos megállók.A mély sötét vizekbe néma, lassúhálók.Képek,már megmeredtek és örökreszépek.»(Kosztolányi Dezső: Halottak)<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 125


Mómika és Pópika... Ígynevezett el Benneteket kétnyelven beszélő, kétévesunokátok. Igen tetszettNektek ez a kedvesmegszólítás, hogy kérésetekreazóta, 21 esztendeje mindenkiígy hívott Benneteket.Mómika... Január 23-ánreggel 7,30-kor végleg itthagytál bennünket. De nagyonhiányzol, iszonyatos nagy űrt hagytál magad után.Csontvelőig hatóan fáj a hiányod.Reménykedtünk, mint ahogy tavaly februárbanmárciusbanis történt, hogy a kezelések javítanakállapotodon. De sajnos nem így történt.Úgy volt, hogy kiadnak a kórházból, hazamész, dehirtelen válságosra fordult állapotod, ami az egyikveséd működésének elégtelenségével kezdődött. E hírvételekor Giannival versenyt futottunk az idővel: azonizgultam, hogy még odaérjünk időben, hogy mégéletben találhassalak, eszméletnél légy és felismerjbennünket: hogy utoljára még élve láthassalak. A jóIsten velünk volt, a téli útviszonyok az előző hetekítéletideje után valóban kedvezők voltak. Január 17-én,11 és fél órás utazás után berobbantunk a veszprémikórházi szobádba, ahol érkezésünk előtt fél órával azelső betegtársad már örökre elköltözött, ott feküdtélettelen egy fehér lepedővel letakarva. Ezt követően,egyhetes kórházi ottlétünkkor még három szobatársadhalálának voltunk szemtanúi...Szívdermesztő prelúdium...Mennyire örültem, hogy vártál, megvártál ésmegismertél bennünket is, s még reagáltál – hanehezen is – kérdéseinkre, simogatásainkra,csókjainkra. Nem felejtem el, milyen szépenmosolyogtál ránk többször is, pedig már nagyonnehezedre eshetett. Az elkövetkező négy napon is mégnéha-néha, amikor felnyitottad szemed, szétnéztél,leltároztál bennünket s ha már nehezebben is, denéhány rövid mondatot intéztél még hozzánk, rámmosolyogtál még így viszonozva állandó, mosolygótekintetemet, sőt, amikor testpozíciómat változtatvánegy kicsit félbeszakítottam arcod, homlokodsimogatását és puszilgatását, kérted, hogy ne hagyjamabba, mondván: «Még... még...» - és folytattamrendületlenül addig, míg családtagjaimmal egymástfelváltva helyet nem cseréltünk.Hálát adok a jó Istennek,hogy időben érkezhettem,melletted lehettem,kezedet foghattam, szinteaz utolsó napig s haerőtlenül is, de időnként meg-megszorítottad azenyémet. Köszönöm a jó Istennek, hogy annakellenére, hogy tudatában voltam, hogy már nincssemmi remény, útban vagy már a másvilágba, ennekellenére egész idő alatt természetesen tudtammosolyogni Rád, nem volt erőltetett, kényszeredett,sem fárasztó s úgy érzékeltem, hogy megnyugtató voltszámodra, s ahányszor még fel-felnyitottad rám nézőszemeidet, annyiszor egy leheletkönnyű mosoly-rezgéssuhant át fáradt ajkadon. Szerencsére nem látszottrajtam kétségbeesésem, annak ellenére, hogytudatában voltam, hogy percről percre fogy földi létedideje... Másnap, 18-án beszédesebb voltál ésmeglepően érthetően modtad este fél hatkor az ablakodmelletti templomból jövő harangszó hallatán: «Mármegint harangoznak.» Bennem ekkkor óhatatlanul,szívsajdulón visszhangzott: «a lélekharang...» Aztán ígyszóltál – mintha válaszoltál volna: «Elmegyek... Megfogok halni...» Ebben a pillanatban feltörni készülőkönnyeimmel küszködtem. Pópika szerencsére csak azelső két mondatodat értette, a harmadikat már nem.Amikor rákérdezett, kegyes hazugságot mondtam neki:«Nem értettem...». Dehogyis nem értettem! Majdmeghasadt a szívem, de nem akartam, hogy mégjobban kétségbeessen, hiszen ő még reménykedett egynagy csodában...Amikor még szemedet tágra ki-kinyitottad, már láttam,hogy bizony odaátra nézel, tekinteteddel nem vagy márjelen földi környezetünkben. Ilyenkor, mintha valakiknekodaátra válaszoltál volna: «Igen.... Nem.... Igen...megyek!...» Aztán ismét közénk jöttél, rám nézvénmegismételted: «El fogok menni... Meg fogok halni...»Ugyanezt elmondtad még húgaimnak is.Következő jól érthető és meglepően hangosankiejtett mondatod ez volt: «Nemsokára jön!» azután,hogy a nővér, mintha nagyot hallóhoz szólna, alegfiatalabb szobatársadnak ezt mondta nagyonhangosan: «Nemsokára jövök magához.»*De ez a nemsokára, ahogy mindennap tapasztaltuk,órákba telt. Ugyanígy volt, amikor mi is jeleztük, hogyfogyóban az infúzió-oldat, vagy ha valami rendellenességettapasztaltunk. A mindjárt jövök minimum 45percbe telt, az azonnal jön az orvos esetében pediglegtöbbször soha nem érkezett meg a betegágyhoz.Ugyanez a jelenet lezajlott a másik három haldokló idősasszony esetében is. Az volt az érzésünk, hogy szintemenekülnek, hogy ne kelljen bármit is tenni, bármit ismondani a kérdéseinkre... legjobb esetben az volt aválasz: «Nem tudok válaszolni... Nem válaszolhatok,nincs erre felhatalmazásom... Tessék a kezelőorvoshozfordulni...» A kezelőorvos úgyszintén elérhetetlen volt...Egy nappal a halálod előtt a melletted lévő ágyonhaldokló, rettenetesen besárgult – nyilván májrákos –idős néni rettenetesen szenvedett, egész nap állandóanazt kiabálta: «Jaj, de fáj a hasam.» A mellettetartozkodó férfi rokona már nem bírta tovább , s kimenta szemben lévő orvosügyeletes- és nővérszobába, aholvéletlenül sikerült elcsípnie az akkor ügyeletes orvosnőt- nyilván kérni, hogy enyhítsék fájdalmát – ezt a választkapta: «Nem érdemes. Nem éri meg. Nincs magánál,nem érzi a fájdalmat.» De olyan fél óra múlva ott állt azajtóban egy kollégájával láthatóan valamit velekapcsolatban konzultáltak, s ezt követően kb. fél óramúlva megérkezett egy nővér s injekciót adott aszenvedő beteg felső karjába. Ezután lassacskánelcsendesedett, majd egyre nehezebben lélegzett:január 21-e este volt, láttuk és hallottuk utolsólélegzetvételét, ott feküdt előttünk merev,megüvegesedett szemekkel, tátott szájjal, leesettállával. A halállal való szemtől szembeállás még jobbanmegviselt bennünket. Szerencsére Pópika mindebbőlsemmit sem vett észre. Óhatatlanul megfogalmazódottmagamban a kérdés: «Uram-Isten, Mómikám, Te mikor126<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


hagysz itt bennünket? Meddig bírja még aszervezeted?»Nem volt elég mindez a lelki kín, emellett mindennaptapasztaltuk a kórházi személyzet empátiahiányát,nekünk szinte embertelen magatartásnak tűnt abetegekkel való bánásmódjuk. A betegekre nem lévéntekintettel viháncoltak a szobájukban, a folyósón, majdegymásnak üvöltözve harsogták: «A zöld bácsi mármegint nem fér a bőrébe.... A piros néni már nincs... Ahülye betegem már megint kiszökött a kórházból...» Ezutóbbi azután hangzott el, amikor legkisebb húgom akórház főépületéből jött vissza – mivel csak ott volthasználható illemhely, de kézmosási lehetőség nélkül,mert a vízcsapból egyáltalán nem jött víz (!)–, s őközölte a nővérekkel, akik ezt észre sem vették, hogypizsamában, mínusz fokban lent látta a kórházi kijáratfelé tartva a beteg férfit, aki nem is volt idős ember.Előtte való napon ugyanez a beteg ismét megkíséreltlelépni: nagy fekete műanyagzsákban összegyűjtőttcókmókjával, pizsamájára vett zakóban akartnekiindulni a mínusz fokos estének, de ez alkalommalészrevették: arra figyeltünk fel, hogy nagy kiabálásközepette rohantak utána: «Maga meg hová megy?Jöjjön azonnal vissza! Kórházban van, beteg, nemmehet csak úgy el!»Tulajdonképpen a kötelező hőmérőzés és orvosságadásonés főétkezéseken kívül jóformán a betegek felésem néztek. Figyeltük az óránkat: a hőmérőért is csakjó háromnegyed óra múlva jöttek vissza. Ahozzátartozók kérésére a „mindjárt jövés” órákba telt,ha egyáltalán megjelentek.A szobában volt kb. egy nálam valamivel fiatalabbnakkinéző asszony, aki a három betegtársánál látszólagsokkal jobb állapotban volt, de nehezen tudottétkezéshez felülni, majd visszafeküdni. Egyedül járninem tudott. Az ágya melletti étkező asztalkára tették avacsoráját, s azzal, hogy mozognia kell, otthagytákmagára. Szerencsétlen a segítségünk nélkül még talánmost is kínlódna, hogy az asztalhoz üljön smegvacsorázhasson. Ez ottlétünk alatti időben többszörmegismétlődött. Az arra haladó nővérek, pedig szónélkül elnézték, hogy neki haldokló édesanyánk mellettmi idegenek segítettünk... Nem tudom, hogy mindebbőlérzékelhettél-e valamit...Hogy lehetőleg egy pillanatra se maradj egyedül,egymás közt beosztva a látogatási időt jöttünk Hozzád.Január 22-én, amikor legkisebb húgom Ajkárólmegérkezvén döbbenten tapasztalta a trehányságot.Édesanyánk nehezen lélegzett, mert az infúzió-oldatnem jutott a szervezetébe, hanem a földre folyt le.Hatalmas tócsát talált az ágya mellett. Azonnal szólt azéppen ott lévő ápolónőnek, s felelőtlenségüketleplezvén még a húgomra ordított azért, mertbátorkodott szólni, hogy mellé folyt az infúzió s legyenszíves újat és jól beadni neki. Nem bírta továbbidegekkel és kitört belőle válaszként: «Az Isten verjemeg magukat!» No, de gondolom, az ilyen átkokleperegnek róluk, mivel gyakran kaphatjákhozzátartozóktól a hivatásuk magaslatán nem állóegészségügyi dolgozók.Ilyen előzmények után érkeztünk meg hozzád ezen anapon és félreérthetetlenül, tehetetlenül konstatáltuk,hogy már valóban nincs sok időd hátra e földivilágban. Már csak aludtál, egyre nehezebben lélegeztéls érezni lehetett már belső szerveid dekompoziciójábóladódó rossz szagot. Nemsokkal ezután végülis a jóIsten magához vett.*A legemberibb a patológus orvos és a temetkezésivállalkozó volt.. Az egészségügyi dolgozókempátiahiányú és lélektelen magatartásának nem lehetigazoló magyarázata a pénztelenség, a túlterheltség.Az egyik vőd – idősebb húgom férje –, halálod napján,miután a kezelőorvos átnyújtotta a főorvos által kiadotthalotti bizonyítványt és a kórházi zárójelentéstmegköszönte neki „empátiagazdag és felelősségteljes,mindent elkövető, áldozatos munkáját”... Látnia kellettvolna mindenkinek: az arcán lévő hamis, mézes-mázosmosolya hirtelen arcára fagyott, még nyelni sem tudotts a kézfogás után úgy eltűnt, mint a kámfor. Remélem,hogy élete végéig emlékezni fog erre a jelenetre.Döbbenettel teli megrökönyödéssel és nagykeserűséggel jelzem, hogy január 9-23-ig terjedőidőszakban folyamatosan tapasztaltuk, hogy sem akezelőorvos, sem az ápoló személyzet egyáltalán nemálltak hivatásuk magaslatán, s ezzel megsértettékemberi-, betegjogi méltóságában, személyi jogaibannemcsak haldokló édesanyámat, hanem mindensorstársát és betegtársát. 2004-től sajnos gyakranrészem volt olaszországi magyar - és olasz rokonaimhalálos ágyánál tartózkodnom, de ilyen kegyetlen,embertelen, empátiahiányú magatartást egyikolaszországi kórházban sem tapasztaltam, pedig azolasz egészségügyre is sok a panasz és itt ismagvannak ugyanazok a gondok, amelyek amagyarországiban.*Ide kívánkozik egy-két megjegyzés az orvosszemélyiségi lényegéről. Segítségül hívom édesapámkönyvét (v.ö. 20—24. l.), ami idővel egyetemi oktatóitananyag is lett az egyetemeken (ld. Dr. Tarr György: Élet ésegészség, orvos és beteg, jog és erkölcs az emberi méltóság fogalomszférájában (Az orvoslási jog vázlata, Püski, Budapest, 2003., 256 l.Internet: http://digilander.libero.it/rivistaletteraria/orvosjog.htm):«A mindennapok emberének orvosa az emberekegészségének védelmével, betegségek megállapításávalés gyógyításával hivatásszerűen foglalkozó, egyetemiképesítésű az a személy, akit egészségünk romlásánakészlelése miatt felkeresünk, sürgős szükség esetén -még éjszakai nyugalmában is zavarva - lakásunkrahívatunk, esetleg a baleset helyszínén tevékenykednilátunk, a mentőautókban is életmentő munkátvégeznek, s általában akiket, valamely testi vagy lelkifájdalmunkkal bizalommal felkeresünk.Vajon a most leírtak lennének az orvos lényegét alkotótartalmi, fogalmi elemeinek, jellemző jegyeinek amellékesektől elválasztott, rövidre fogott összege, sama tulajdonságainak összessége, amelyek nélkülfogalmi mivolta nem létezhet, s amelyek egybenmegkülönböztetik a többi embertől?Nem lehet megállnunk e szűk fogalmi keretekközött. Ezzel nem azt akarom mondani, hogy az orvosmindenképpen különb a mindennapok emberénél.Hiszen maga az orvos is megbetegszik, amikor ő ismásik orvostársához fordul. Hasonló, vagy ugyanazongazdasági, társadalmi és politikai szféráhan é!i életét -legfeljebb annak egy másik rétegében -, de csak arétegek átjárhatók. Ám az általános szakmai köve-<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 127


telményeik és ismereteik gazdagabbak, mint amelyeketáltaláhan ismerünk.Ezen nézőpontból szemlélve az orvos is olyanember, aki egyben jogalany a legáltalánosabbértelemben, tehát általában egyéni vonásokkalbíró, önmagát más alanyoktól és a tárgyi világtólmegkülönböztető személy.Az orvos eme állapotát mondhatjuk az orvosszemélyi lényegének.A „személyiség” több, mint a „személy”, ugyanismíg a személy a legáltalánosabb értelemben vettemberi lény, azaz egyén, vagyis - a valamivelszemben - valaki, addig a személyiség nemcsak amaga személyi, hanem társadalmi mivoltában iserkölcsi normák, eszmények, tevékenységetvezérlő célok szolgálatában álló - vagy legalábbisezek szolgálatába szegődő, s ezeket megközelítő -jelentősen értékes, tudatos és felelős egyéniség.[...]Már a görög Hippokrates is szigorú orvoslásialaptételeket határozott meg, sőt az orvosetikaalapjait is megvetette az általa megszövegezettorvosi esküszöveggel. Az újkorban és a legújabbkorban pedig egyre inkább erősödött az a törekvés,hogy az orvosi tevékenységnek etikai alapot is adjanakaz orvosi esküszövegek létrehozatalával.Tanulságos összehasonlításul szolgálhat ahippokráteszi esküszöveg és a Magyar OrvosiKamara közgyűlése által, az 1994. éviXXVIII.törvény 9.§-a (1) bekezdésébe foglalt felhatalmazásalapján alkotott Etikai Statútum elején abevezető után elhelyezett orvosi eskü szövegajánlása:A hippokráteszi eskü szövegeEsküszöm a gyógyító Apollóra, Aszklepioszra és Hügieniára ésvalamennyi istenre és istennőre, akiket ezennel tanúkul hívok,hogy minden erőmmel és tehetségemmel megtartomkövetkező kötelességeimet:tanáromat, akitől e tudományt tanultam, úgy fogom tisztelni,mint szüleimet, utódait testvéreimnek tekintem, oktatom őketebben a tudományban ha erre szentelik magukat, mégpedigdíjtalanul;Továbbá az orvosi tudományt áthagyományozom fiaimra ésmesterem fiaira és azokra, akik az orvosi esküt leteszik,másokra azonban nem.Tehetségemhez és tudásomhoz mérten fogom megszabni abetegek életmódját az ő javukra és mindent elhárítok, amiártana nekik.Senkinek sem adok halálos mérget akkor sem, ha kérik éserre vonatkozólag még tanácsot sem adok. Hasonlóképpennem segítek hozzá egyetlen asszonyt sem magzataelhajtásához.Tisztán és szentül megőrzöm életemet és tudományomat.Sohasem fogok hólyagkövet operálni, hanem átengedem ezta szakorvosoknak.Minden házba a beteg javára lépek be, s tartózkodni fogokminden szándékos károkozástól, különösen férfiak és nőkszerelmi élvezetre használatától, akár szabadok, akárrabszolgák.Amit kezelés közben látok és hallok - akár kezelésen kívül is atársadalmi érintkezésben -, nem fogom kifecsegni, hanemtitokként megőrzöm.Ha ezt az eskümet megtartom és nem szegem meg:örvendhessek életem fogytáig tudományomnak, s az életnek;ha esküszegő leszek, szakadjon rám minden átok ésszerencsétlenség.Az Etikai Statutum szöveg-ajánlásÉn ..... esküszöm, hogy orvosi hivatásomhoz mindenkor méltómagatartást tanúsítok. Legfőbb törvénynek tekintem abetegek testi és lelki gyógyítását, a betegségek megelőzését.Az emberi életet minden megkülönböztetés nélkül tisztelem.Orvosi tevékenységem soha nem irányul emberi életkioltására. A betegek emberi méltóságát és jogait tiszteletbentartom, bizalmukkal nem élek vissza és titkaimat haláluk utánis megőrzöm.Tanítóimnak megadom az illő tiszteletet, orvos társaimatmegbecsülöm.A betegek érdekében ismereteimet, tudásomat folyamatosangyarapítom.Minden erőmmel arra törekszem, hogy megőrizzem az orvosihivatás tisztaságát és tekintélyét.Az ......... Egyetem hímevét öregbftem és megbecsülésételőmozdítom.A hippokráteszi orvosi eskü szövegéből - maiszükségszerű aktualitásként - emelem ki a következőalaptételeket, amelyek korunkban is mintaképülszolgálhatnának - mint létező eszmények -:- az orvostudományt tanító „mestere” alázattal telitisztelete,- az orvostudomány alkotó szellemű megbecsülése,- ezen tudomány továbbadásának kötelezettség-tudata,- a betegek érdekeinek feltétlen tisztelete és védelme,- a betegek feltétlen szolgálata,- a beteg életének méreggel való kioltásától való feltétlentartózkodás még a beteg kérése ellenére is, (Ez mamegszívlelendő lenne az eutanázia szorgalmazásávalszemben.)- a magzatelhajtás elutasítása, (Ma törvényhozó testületünktörvénnyel engedélyezi.)- az orvosi titoktartás.Ezen fejlődés során, s még napjainkban is azorvostudományhoz és az orvosláshoz kötődőenkülönböző orvos-fogalmak alakultak ki.Mindennapjaink világnézetétől meghatározott felfogásoksokrétűsége az orvoslási cselekvőség és azorvossá válás feltételeinek egységeként mutatták, smutatják be az orvost. Ezekből csak három példátmutatunk be:ORVOS: emberek egészségének védelmével,betegségek megállapításával hivatásszerűen foglalkozó,egyetemi képesítésű személy.ORVOS DOKTOR: olyan személy, aki az orvostudománybólszerzett doktori diplomát, orvos.ORVOS: aki valamelyik államilag elismert egyetemorvostudományi karán az előírt tanulmányi időtkitöltötte, az orvosi vizsgákat letette és ily módon128<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


diplomát kapván, az állam által jogosultságot nyertarra, hogy a hozzá forduló beteg embertársaitmegvizsgálja és a betegség leküzdése céljából az általajónak látott rendszabályokat foganatosítsa.Mindhárom meghatározás az orvossá válás feltételekénttartalmazza az orvostudományi egyetemi végzettséget,azonban csak egyik tartalmazza a „hivatásszerűség”ismérvét.A „hivatásszerűség” - mint ismérv - azonban vizsgálódástérdemel:Jelenti egyrészt állandóan hivatásból, kenyérkeresetkéntűzött foglalkozást, jelenti másrésztvalamely munkakör, pálya, foglalkozás iránt érzetthajlamot, vonzódást, rátermettséget.Az orvosnál is - mint egyéb más foglalkozásnál is -a foglalkozást űző személy fokozott méltóságát,foglalkozásának kenyérkeresetként való űzésemellett létező hajlamból, rátermettségből eredőtevékenységként való folytatása növeli, illetvenövelheti, másképp kifejezve: hivatásszerűen éselhivatottan végzett orvosi tevékenység.Az elhivatottság az, amelyhez fűződik a hivatásetika,vagyis azoknak az erkölcsi elveknek a tartalmiösszefoglalása, amelyeket a különböző életpályákonműködő egyének hivatásuk teljesítése közben kötelesekkövetni. Mivel a hivatásetika nem más, mint alkalmazotterkölcstan, nagy jelentősége abban van, hogy agyakorlat számára kötelező cselekvést és magatartástaz erkölcsi törvényeknek megfelelően szabályozza ésezeknek szellemében értékeli a cselekedeteket. (Amagyar tudományos irodalomban a hivatásetika példaképéülszolgálhat 1925-ből id. Imre József Orvosietikája).Ha tehát az orvos az orvosi tevékenységét „hivatásszerűen”végzi, tevékenységét nemcsak kenyérkeresetkéntkell végeznie, hanem elsősorban a hivatásetikának,vagyis az alkalmazott erkölcstan kívánalmainakmegfelelően.Ez pedig nem más, mint egy olyan orvosi tevékenység,olyan foglalkozás, amelyet nem a saját előmenetele,szakmai tekintélye eszközének a szolgálatábaállítva végez az orvos, hanem amit az emberiségetszolgáló hivatásként művel. Nem a pozíciót kellépítgetni az orvosi cselekvéssel, nem a rangot hajszolni,hanem az embert a kötelességteljesítéssel, lelkiismereteselkötelezettséggel, megfontoltan szándékos,ok- és célszerű tudásgyarapítással úgy szolgálni, hogyaz ilyen szolgálat okszerű következményes eredményelegyen a pozícióban, rangban való emelkedés.A sikert, a társadalmi elismerést ne baráti kapcsolatok,protekció, erkölcsi önfeladás árán, hanem asaját képességek fejlesztésével és lelkiismeretes kihasználásávalaz ember szolgálatának kibontakoztatásávalés kiteljesítésével váltsa valóra az orvos épp úgy, mintahogy pl. egy bíró is.Ezen kívánalmaknak való megfelelőség jelenti, jelenthetiaz orvos személyiségi és tudattartalmi lényegét,azaz az orvosnak - mint személyiségnek - a tudatábanlévő lelki tartalmak, jelenségek összességét.»A január 9-23-ig terjedő kórházi tapasztalatainkhatására ajánlom minden érdekeltnek Az test és a lélekorvosa c. fejezetet, amely az alábbi sorok nagyon ismegszívlelendők:«Noha nagyon is tudatában vagyok annak, hogy ezenalcím alatt írottak olvasásakor az általam mindenkorvégtelenül tisztelt - a tudományok rendkívüli magaslatainmegérdemelten lakozó kiválóságok közül sokan,lekicsinylően, szájukat gúnyosan elhúzva, sőt fejüketrosszallóan csóválva, szigorúan összehúzzák szemöldöküket-mondván: mi köze mindezeknek a joghoz -, esorok szerzőjét nem éppen kedvező jelzőkkel illetik,mégis leírom, hogy az orvoslási jogot - orvosi jogot -, abetegségekből eredő emberi problémákat nemcsak azember alkotta törvények optikájából kell szemlélni,hanem az isteni törvények mikénti megítélése szempontjábólis. Azon Létező Erők parancs-szférájából is,Aki által - még Darwin szerint is az első közös őssejtmint - a már kihalt és ma is élő leszármazottak közösőse „teremtetett".A betegségnek az emberben való megjelenéserémületet kelt, sőt nagyon sokszor testi szenvedést isokoz. Ezért a lelki és testi szenvedést okozó betegségaz ember legsúlyosabb megpróbáltatásai közé tartozik.Az ember a betegségben - különösen ha az súlyosés/vagy hosszadalmas - elmélkedővé lesz, kutatni kezdibetegsége okát. [...]Azt is eredményezi azonban a betegség, hogy azember keresni kezdi elméjében Istent. Eszébe jut, hogygyermekkorában tanult Róla és az Ő fiáról, akibetegeket is meggyógyított.Valóban, Krisztus mindig együttérzett a szenvedő,beteg emberekkel. Számos beteget meggyógyított, denemcsak a beteg testeket akarta gyógyítani, hanemazért jött közénk, hogy az ember testét és lelkétegyaránt gyógyítsa.Ő az az orvos, aki minden beteget közel engedettmagához, aki megengedte, hogy a Tőle gyógyulástremélők megérintsék, s Ő az az orvos, aki ma is föléhajol minden betegnek, s akire a betegnek szükségevan, hogy meggyógyuljon.Korunk orvosa is hajoljon a beteg fölé, ha a betegszólítja, s ha kéri, hogy hívjon hozzá papot, teljesítsekérését. Mert a betegségnek gyakran az az eredménye,hogy a beteg keresi Istent, hogy visszatérjen hozzá, smivel a betegség sokszor megsejteti a halált is, a betegkérésére az orvos tegye lehetővé, hogy a lelkétmeggyógyítsa.»*Drága Mómikám, örök eltávozásodóta már eltelt három hét, azurnás búcsúztatásodtól pedig márkettő. Mindennek ellenére, mégmindig olyan felfoghatatlan, hogytestben már nem vagy közöttünk!Még mindig nem tudok magamhoztérni. Nagyon hiányzol.... Csak azvígasztal, hogy Te már biztosan jóhelyen vagy, nem kell itt kínlódnodebben a földi árnyékvilágban!Életed utolsó három napján már még jobban, segyre gyorsabban romlott állapotod: teljesenfelismerhetetlenné vált drága arcod s a közelgő halállátható nyomai szembetűnők voltak... Éreztük ésborzalmas volt látni, hogy már tényleg néhány órád, hanem néhány perced van hátra... Szörnyű volt ez atehetetlenség a halállal szemben, ami minden<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 129


megfogant majd megszületett ember számára abszolútszükségszerűség, vastörvény, amely nem ismer kivételt.Éjszakára legkisebb húgunk maradt Veled. Január 23-án hajnalban keltünk, hogy minél előbb Náladlehessünk. De már nem vártál meg bennünket.Azért imádkoztam egész idő alatt, hogy a jó Isten nehagyja, hogy szenvedj, ha magához kell, hogy vegyelelkedet, szépen, álmodban tegye, ne legyenekfájdalmaid, ne légy tudatodnál. Ezek voltak agondolataim 7,30-kor, halálod órájában is, amikorHozzád készültünk: ebben az időben fohászkodva ponta karórámra pillantottam. Idősebb húgom úgyszinténebben a pillanatban rebegte el Érted a fohászt.Legfiatalabb sógoromnál, az ezidőben iskolásoktól zajoslakónegyedre egy pillanatra félelmetes csend ült. Párperc múlva pedig jött a legkisebb húgunk telefonhívása:hogy ebben az órában örökre elaludtál... Azt mondtanekünk: „Jó, hogy nem voltatok jelen ebben apillanatban!”... Pedig nagyon szerettem volna kezedetfogva melletted lenni utolsó lélegzetvételedkor is.Kértem a jó Istent, de ez nem adatott meg nekem. Őtudja, miért kellett így alakulnia.*Milyen érdekes, megálmodtam évekkel ezelőtti térdéscombnyaktörésedet, majd végleges eltávozásodelőtt, hónapokkal ezelőtt halálodat. Sajnos, mindegyikóramű pontossággal bekövetkezett... E legutóbbi,fájdalmas esetben nem vált be az a mondás, hogyakinek a haláláról álmodnak, az a valóságban hosszúéletű lesz...Nyugodj békében drága Mómikám, szeretettÉdesanyám! Neked már jó, ez vígasztal. Téged márelhívtak odaátra, már teljesítetted a Rád mért földiküldetésedet; mi ittmaradtak még adósak vagyunkezzel.*Eszembe jutnak R.A. Moody (1944-) író «Élet az életután» c. könyvében írottak, amelyekből befejezéskéntnéhány halálélményt idézek:«Amikor a Fény megjelent, első szava ez volt: „Mittettél életedben, amit most megmutathatsz nekem?!” –vagy valami ilyen. Abban a pillanatban megkezdődött avisszatekintés. „Ejha, hát ez meg-mi?” - gondoltam,amikor gyermekkorom jelent meg. Attól kezdve,egymásután gyakorlatilag életem minden egyes évétláttam kisgyerekkortól egészen a jelenig.Sajátos módon kezdődött: kislány voltam és aszomszédságunkban levő patak mellett játszottam.Aztán minden korból következett több jelenet —élmény, amit a nővéremmel együtt szereztem; részleteka szomszéd emberekről és helyekről, ahol laktam. Akkorjött az iskoláskor előtti idő, amikor egy különösenkedves játékomat összetörtem és ezért sokáig sírtam.Ez nagyon szomorú élmény vo!t. A képek továbbvezettek azokig az évekig, amikor cserkész voltam éssátoroztunk. Aztán számos élmény elevenedett föl azáltalános iskolából. Amikor középiskolába kerültem,nagy megtiszteltetés ért: beválasztottak a LegjobbTanulók Klubjába; az élményt úgy éltem újra, ahogyakkor befogadtak. Tovább folytatódtak a képek aközépiskola alsó osztályaitól a felső osztályokon át abefejezésig és végül a főiskola első évének addigipontjáig, ahol akkor voltam.Az elmúlt események ugyanabban a sorrendbenjátszódtak le, mint az életben és tökéletesen élethűekvoltak. A képek úgy peregtek, mintha kívülről, avalóságban láttam volna őket, rendkívül szemléletesek,színesek voltak - és hatásosak. Annál a jelenetnél pl.,amikor összetört a játékom, láttam teljesfelindultságomat. Nem olyan volt, ahogy az akkoriszemléletem szerint láttam, a világért se! Az a kislány,akit láttam, nem másvalakinek látszott, mint egy filmbőlvaló alak, vagy a játszótéren futkározó kicsik egyike. Azén magam voltam! Láttam magam gyerekként abban ahelyzetben, pontosan ugyanabban a helyzetben, amiketátéltem, melyekre emlékezhettem.A Fényt addig nem láttam, amíg a visszatekintésselfoglalkoztam. Mihelyt életem felől kérdeztek, a Fényeltűnt és megkezdődött a visszatekintés. Mégis egészidő alatt éreztem, hogy mellettem volt és életemmegtekintése közben vezet. Tudtam, hogy jelen volt,mert közbe-közbe megjegyzéseket tett. A visszatérőjelenetek mindegyikével valamit mutatni akart nekem.Ezt nem azért tette, hogy megtudakolja, mit tetteméletemben - azt ő tudta már -, hanem kiemelt néhányeseményt és azokat elém helyezte, hogy vissza tudjakemlékezni. Ismételten hangsúlyozta, hogy milyen fontosa szeretet. A legvilágosabban azokat a mozzanatokatmutatta meg, amik a nővéremmel voltak kapcsolatosak,akivel mindig szoros barátságban voltam. Majd a Lénybemutatott néhány esetet, ahol vele szemben önzővoltam, de ugyanokkor sok olyant is, amikor kedvesenés önzetlenül viselkedtem. Megmagyarázta, hogypróbáljak másokra is gondolni s erre minden erőmbőltörekedjek. A figyelmeztetésekben a legkisebbszemrehányás sem volt. Azoknál a jeleneteknél, aholönzően viselkedtem, a Lény csak annyit jegyzett meg,hogy bizony tanulhatnék belőlük. A tudássalkapcsolatban is ugyanígy nyilatkozott. Komolyanfelhívta a figyelmemet tanulmányaimra és közöltevelem, hogy tovább fogok tanulni. Amíg a legközelebbhívni fog (akkor már megmondta, hogy vissza fogoktérni) — addig is fejlesszem a tudásomat. Azt mondta atudásról, hogy olyan állandó folyamat, mely a halálután is tart. Azt hiszem, a Fénylény azért engedettvisszatekinteni az életemre, hogy tanítson.Mindez fölöttébb különös: halott voltam, ténylegesenvisszatekintettem az életemre, amikor gyorsjeleneteken át vezetett. Mégsem voltak annyira gyorsakezek a jelenetek, hogy ne érthettem volna meg őket.Ennek ellenére az egész nem tartott sokáig. Látszólagelőször a Fény jelent meg, aztán következett avisszatekintés, majd újra visszajött a Fény. Úgy tűnt föl,az egész alig tartott öt percig, valószínű azonban, hogyharminc másodpercnél tovább tartott, de pontosan nemtudom megmondani. Csak egy alkalommal ijedtemmeg, nevezetesen akkor, amikor úgy tűnt föl, hogyéletemet itt nem tudom befejezni. Ennek ellenére avisszatekintést szívesen néztem. Szórakoztatott.Élveztem, hogy visszatérhettem a gyerekkoromba,úgyszólván mégegyszer átéltem azt. Olyan út volt ez,amelyen keresztül visszatérhettem a múltba, és amelyutat rendes körülmények között nem lehetett volnamegjárnom.»Olyan beszámolók is elhangzottak, melyekben avisszatekintés élményét a Fénylény megjelenése nélkül130<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


tapasztalták meg. Azokban az élményekben, ahol aFénylény egyértelműen „irányítóként” volt jelen, avisszatekintésnek még komolyabb meggyőző ereje volt.Mindenesetre a tapasztalatokat úgy jellemezték, hogy aképek elevenek és pontosak voltak, tekintet nélkül arra,hogy a Fénylény megjelent-e, vagy sem. Nem számít azsem, hogy a halálélmény közben létezik-e olyan ok,mely a „halált” okozná, vagy csak hajszálnyira közelítimeg azt – közli a kutatást végző író.Íme egy másik vallomás:«A lárma és a hosszú, sötét folyosón való áthaladásután gyerekkorom minden gondolatát kiterítve láttamés egész életem még egyszer felvillant előttem. Nemképek formájában tűnt fel, hanem gondolotokban. azthiszem. Ezt nem tudom önnek pontosan leírni. Valóbanminden benne volt, életem minden eseménye előjött.Nem úgy, hogy egy-egy kis jelenet tűnt volna fel,hanem egyszerre láttam egész életemet, mindenélményt egyidőben. Gondoltam anyámra és azokra adolgokra, amelyekben igazságtalanságot tettem. Azokata rosszaságokat, amiket gyerekfejjel elkövettem, mégegyszer megláttam.Visszaemlékeztem szüleimre s azt kívántam, hogybizonyos dolgokat bár ne tettem volna meg. Szerettemvolna meg nem történtté tenni.»A következő két példában nem a klinikai halálnállépett föl az élmény, hanem heves fiziológiai stressznél,vagy sérülésnél:«Az egész helyzet meglepően alakult ki. Már mintegykét hete nem éreztem jól magam és kisebb lázam isvolt, de ezen az éjszakán gyorsan romlott az állapotom.Még emlékszem arra, az ágyban fekve feleségemet felakartam kelteni, hogy megmondjam neki, rosszabbulvagyok, de egyáltalán nem tudtam megmozdulni. Sőt,egyszercsak teljes sötétségbe kerültem, majd ürességbentaláltam magam és akkor az egész életemvillámgyorsan lepergett előttem. Azzal az idővelkezdődött, amikor hat, vagy hét éves voltam.Emlékeztem egy jóbarátomra, akivel együtt jártamáltalános iskolába. Az általános iskola után láttammagam középiskolásnak és egyetemistának a fogorvosiszakon, végül mint gyakorló fogorvost. Tudtam, hogyhalott vagyok, de akkor eszembe jutott, hogygondoskodnom kell a családomról. Semmiképpen seakartam most meghalni, mert voltak olyan dolgok,melyeket megbántam, hogy elkövettem és sajnáltamnéhány más dolgot itthagyni.Ez a visszatekintés „lelki képek” formájában történt, deösszehasonlítva a szokásos képekkel, sokkal elevenebbvolt. Életemnek csak főbb mozzanatait éltem át,éspedig olyan gyorsasággol, mintha egy másodpercalatt lapoztam volna át életem egész könyvét. Úgy tűntföl, mintegy szörnyű gyorsan rohanó film és mégisolyan állapotban voltam, hogy mindent felfogtam ésfeldolgoztam. A képek nem keltették fel bennem a múltérzéseit, mert ahhoz nagyon gyorsan haladtak.Élményem közben semmi mást nem láttam (egyébkéntis teljes sötétségben voltam), mégis egész idő alattvilágosan éreztem egy nagyon hatalmas, korlátlanulszerető Lény jelenlétét a közelemben. Érdekes volt,hogy amikor felébredtem, életem egész történetétminden részletében mindenkinek el tudtam mondaniazáltal, amit tapasztaltam. Maradandó tapasztalat volt.Nehéz szavakba önteni, mert minden villámgyorsan történt,mégis rendkívül világos volt.»Egy háborúviselt fiatalember a történetét így mondjael:«Amikor Vietnamban szolgáltam, megsebesültem ésmeghaltam. Egész idő alatt tudtam. hogy mi történikvelem. Arnikor hat géppuskagolyó eltalált, egyáltalánnem lettem nyugtalan. Szívemben a sebesülés utánvalóságos megkönnyebbülést éreztem. Jól éreztemmagam. Semmitől se féltem. Abban a pillanatban,amikor eltaláltak, életem képekben jelent meg előttem.ldőben visszatértem gyermekkoromba és attól kezdveperegtek a képek egész életemen keresztül. Valóbanmindenre tudtam emlékezni. Minden elevenen ésvilágosan állt előttem. Azoktól a legkorábbieseményektől, melyekre még éppen emlékezhettem,addig a jelenig, melyben akkor voltam, mindent alegpontosabban megmutattak és ez szélsebesen szaladtel előttem. Az egész egyáltalán nem volt kellemetlen,közben nem éreztem sem megbánást, semelégedetlenséget magammal szemben.A legtalálóbb hasonlat, ami megfelel ennek aképsornak, talán egy diasorozat lenne. Olyan volt,mintha valaki nagyon gyorsan diafelvételeket pergetettvolna le.»Végül íme egy különleges lelki kényszerhelyzet, melyközvetlen közel volt a halálhoz, bár testi sérülés nemtörtént:«Első egyetemi évem utáni nyáron traktoros állástvállaltam. Nehéz nyerges vontatót vezettem. Gyakranküszködnöm kellett, nehogy elaludjak a volán mögött.Egy reggel, amikor teherrel megrakodva már hosszúutat megtettem, elbólintottam. Az utolsó, amireemlékszem, egy útjelző tábla volt. Aztán szörnyűsistergést hallottam, mely jobb első kerék kidurranásátjelezte, erre a kocsi megbillent és a súly áttevődésemiatt a bal kerék is kidurrant. A kocsi oldalra dőlt és azút mentén levő híd felé csúszott. Megijedtem, merttudtam, hogy a kocsi a hídnak fog ütődni.Abban a pillanatban, amikor a kocsi megcsúszott,gondolatban egész életem lepergett előttem. Nemláttam belőle mindent, csak a fontosabb dolgokat,mégis teljes életmű volt. Először láttam, hogy kétéveskoromban apám mögött mentem a strandon. Aztán egysor egyéb esemény bukkant fel gyerekkoromból. Majdláttam, hogy ötéves koromban hogyan törtem össze akarácsonyra kapott új piros autót. Emlékeztem arra,hogyan üvöltöttem, amikor élénksárga esőkabátombaniskolába mentem. Az általános iskola minden évébőlmegjelent valami előttem.Láttam mindegyik tanáromat s az egyes évek fontosabbeseményei ismét előkerültek. Aztán középiskolás lettem,mellékesen újságot árultam és dolgoztam egyélelmiszerüzletben. A jelenetek folytatódtak egészen azelső egyetemi év utáni nyárig.Ezek és még sok más esemény pergett le a szememelőtt. Az egész valószínűleg nem tartott tovább amásodperc töredékénél. Aztán elmúlt, én ott álltam és<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 131


ámultam a teherkocsira és azon gondolkodtam, vajonhalott vagyok-e, vagy talán angyal? Megcsíptem akaromat, hogy meggyőződjem arról mi vagyok, halott,vagy lélek, vagy tulajdonképpen mi? A kocsi összetörtés én egy karcolást se kaptam. A szélvédőablakon átrepülhettem ki. Mindenesetre az üveg teljesenösszetörött. Amikor kissé megnyugodtam, arragondoltam, milyen különös volt az egész, olyannyira,hogy egész életemre maradandó benyomást hagyott,mert egy kritikus pillanatban az öntudatomon átvonultaz egész éietem. Valószínűleg át tudnám gondolnimégegyszer ezeket az eseményeket s amikor ezekmegismétlődnének emlékezetemben, bizonyára jónegyedórára lenne szükségem. De akkor mindenegyszerre történt, egészen magától, alig egy másodpercalatt. Valóban bámulatos volt!»Az élet visszapörgetésével kapcsolatban nekem is volt1981 nyarán egy érdekes élményem, amire a mai napigtisztán emlékszem. Sovány, fiatal, kezdő, 3. éve oktatótanár voltam, amikor hátam mögött keresztanyámmalaz egyik budapesti metrón emelkedtünk fölfelé. Amozgólépcső utolsó métereinél az előttem álló, kétnagy fonottkosárral felmálházott, testesparasztassszony elvesztette egyensúlyát és dőlt hátrafelém. Akkor, abban a pillanatban egy villanás alattláttam diftériás kórházi tartózkodásomtól – kb. két éveslehettem -, szinte nagy sebesen pörgő filmkockákkéntleperegni egész addigi életemet. Ez alatt az idő alattszámomra érthetetlen módon olyan erőm lett, hogy anagy darab kövér, bőszoknyás asszonyságot egy kézzel,a bal kezemmel fel tudtam tartani, míg a másikkalkapaszkodtam a metrólépcső korlátjába. Amikorfelérkeztkünk, hálálkodva köszönetet mondott és azasszonyság csodálkozásának adott hangot, hogy egykistermetű, vékony, fiatal nő akadályozta meg hátrazuhanását.Bizony mi is csodálkoztunk ezen. Miután elköszöntünka parasztasszonytól, akkor jutott el tudatunkig, hogymilyen baleset következhetett volna ebből, ha az azasszony bennünket feldöntve hátra zuhan. Dominókéntborult volna föl minden ott lévő utas. Erre a gondolatratérdtől remegni kezdtek a lábaink, alig tudtunk állvamaradni. Szerencsére kiérve napvilágra, találtunk egypadot, ahová leroskadhattunk és összeszedhettükminden erőnket, ami bizony nem kis időbe telt.Hasonló élményem volt 2004 nyarán egyautóbalesetem következtében. Arra emlékszem, hogy asóderes szegélyen megcsúszott autó az árkot átrepülvenekiütközött egy betondúcnak. Egy pillanat alatttörtént, én kimondottan nyugodt voltam, s csak ennyitgondoltam magamban: «Itt a vég!» Hogymegmenekültem és az ütközet nagyságához képestaránylag kis sérüléseket szenvedtünk el, nemcsak abiztonsági övnek volt köszönhető, az biztos: tudom,éreztem, hogy valakik odaátról mentettek megbennünket, a gépkocsiban ülő utasokat! A szemtanúktólértesülve megtudtuk, hogy azon a ponton eddig csakhalálos balesetek történtek, s nem akartak hinni aszemüknek, hogy mi valóban, csodálatos módon élvemaradtunk, kis sérülésekkel kerültünk ki a balesetből.Ami még érdekes, hogy e baleset megtörténtét előzőhetekben többször megálmodtam ezt a jelenetet, sugyanúgy, ugyanott történt meg a valóságban is, mintálmaimban, felismertem ugyanazt a környezetet, aholaddig a valóságban még életemben nem jártam...Megjegyzem ezen élményeimen kívül életembenvoltak még más, csodás, de emberi ésszel, atudománnyal megmagyarázhatatlan élményeim is. Ezérta meggyőződésem a túlvilági életről, ami a hitemenkívül valós tapasztalatokon alapul....(v.ö.: http://xoomer.virgilio.it/bellelettere1/baleset.htm -http://xoomer.virgilio.it/bellelettere1/diszkriminacio2004.9.26.htm)B. Tamás-Tarr Melinda (1953) — <strong>Ferrara</strong> (I)DÉL-OLASZORSZÁGBAN BARANGOLTAM – V./1.(Júliusi útinapló – 2007)Július 14-én, szombaton 11órakor megérkezvén a lecceikülkerületi, castromedianói szállásunkra,ugyancsak kellemesélményben volt részünk: Paola ésPaolo, a „Bed & BreakfastCavallino” szállásadók hasonló,otthonos melegséggel fogadtak, mint Casalini di Cister-ninóban és tökéletes felszereltséggelvártak bennünket.Sőt, mint ahogy alegelső beszámoló cikkembenírtam, többször semmulasztottak el figyelmeztetnibennünket, hogy legyünkóvatosak, mert ezena vidéken nem léteznekközlekedési törvények,szabályok, gépkocsivezetők,gyalogosok úgy közlekednek,hogy nekünkszabályosan közlekedő, törvénytisztelő, északról jövőknekvagy külföldieknek égnek áll a hajunk, valamint a132<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


szőr a hátunkon. Sajnos nem volt túlzás a figyelmeztetés.De kellemes volt a csalódásunk, mert vasárnaplévén – mivel majdnem mindenki a tengerben lubickolt– a jelzett vezetéskultúrálatlan Leccében nem istalálkoztunk semmiféle kihágással, szabálytalansággal,nem úgy, mint a korábban meglátogatott városokban.A bejelentkezési adminisztrálás és tájékoztatáshalmazután elfoglaltuk lakásunkat, elrendeztük dolgainkat,lezuhanyoztunk, majd beutaztunk Lecce központjábaegy tájékozódó, még napos, késő délutáni és estisétára, valamint vacsorára. Ez utóbbit természetesen ahelyi, hagyományos konyhaművészet remekeiből aztválasztottuk, amit Emilia Romagna tartomány földjénnem fogyaszthatunk, mint pl. az ún. „Ciceri e tria”(csicseri-borsó és tészta) nevezetű első tál ételt amelyegy leveses étel, de se nem „zuppa”, se nem„minestra”. (Képforrás: http://www.prezzemoloefinocchio.it/)Ez a tál étel ritka gasztronómiai archeológiai termék,ahogy a salentinói konyhaművészet szakértői mondják.A „tria” (= „trya”) arab eredetű kifejezés, az „itrya”szóból ered és ezen a nyelven száraz tésztát jelent.Nagyon fontos, hogy házi készítésű kemény lisztbőlkészített tészta legyen, amelynek egyik részét (pl. 250gr) hagyományosan kifőzik, a megmaradt 50 gr-otpedig forró olajban borostyán színűre pirítják. Ahagyomány előírja, hogy a csicseriborsót terrakottacserépedényben kell főzni: az apróra vágott kétzellerszárat – Olaszországban a zellergumó helyettelterjedtebb, a hosszú vastag, nagy levelű, zöldzellerszár (sedano dulce = apium graveolus) –, az 1 v.(képforrás: http://www.giardinaggio.it/orto/singoleorticole/sedano/sedano.asp)2 sárgarépát és 1 fehér húsú hagymát extra szűz(extra vergine) olívaolajban megdinsztelünk az említettcserépedényben, majd hozzá tesszük az előző naptólszódabikarbónás vízbe áztatott 250 gr csicseriborsót, akét apró kockára vágott érett paradicsomot és a 3babérlevelet, majd felöntjük meleg vízzel, amelyetmegfelelően sózunk esetleg borsózunk és lassú tűzönaddig főzünk, amíg a csicseriborsó meg nem puhult.Ezután a kifőtt és pirított tésztát összekeverjük adinsztelt hagymával, majd a kész, sűrű csicseriborsót alevesbe tesszük, amelyet végül meghintünk ízlés szerintfekete borssal és apróra vágott petrezselyemzölddel.Várjunk egy-két percet vele s máris felszolgálhatjuk.Nagyon ízletes ez a rendkívül sajátos salentinói eledel.Második fogásként lányunk ropogósra sütött feketekagylót (cozze nere gratinate) evett, ami előételekközött keresendő leginkább, mi meg különleges módonelkészített paradicsomos törökparadicsomot (melanzana).A nagyon ízes „ciceri e tria” után sajnos kevésbéérvényesült ennek az enyhén fűszerezett fogásnak azíze. Azt hittük, hogy ugyanolyan fűszeres lesz, mint azelső fogás. De ezt nem tudhattuk, a pincér ajánlatárahallgattunk, mivel éttermük specialitása volt ez is.Vacsora után még sétáltunk a rendkívül élénkké váltvárosban: ilyenkor zajlik az élet, míg délidőtől este öthatigszinte teljesen kihaltak ezek a déli városok. A késődélutáni, esti és másnapi felvételeim Leccéről, a Dómtérrel (Piazza del Duomo) láthatókkal kezdem. Íme aDóm, egyéb épületek, a Püspöki Palota, a torony ésmaga a tér:<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 133


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Most pedig következzenek a felvételek a rómaiamfiteátrumról és környékéről (N. B. az első kép nemaz én felvételem, forrása: «Invito al Salento d’amare»,Le guide di quiSalento, 4. lap). A téren a római oszloptetején Sant’Oronzo szobra áll:Ez az anfitátrum nagyságát tekintve a legjelentősebbrómai kori emlék az egész Salentinói-félszigeten.Valószínű, hogy Hadrianus (117-138 d. C.) idején nyíltmeg, az I. század felében a cirkuszi játékokmegrendezésére. 1901-ben véletlenül bukkantak rá aBanca d’Italia épülete alapjainak lerakása közbenvégzett ásatások során. A régészeti ásatásokat a kétvilágháború közötti iőszakban végezték és 1938-banfejezték be. A római színház félkör alakú nézőtere 102 x83,40 m nagy volt, az aréna 53,40 x 34,60 mkiterjedésű volt, 10.000/15.000 nézőt tudott befogadni.Az amfiteátrumot elsősorban állatviadalokra használták.Jobboldalon a Santa Corce (Szent Kereszt) Bazilikáróllátható két kép. A Santa Croce bazilika homlokzata<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 135


vitathatatlan szereplője a történelmi városközpontépítészeti színpadán.A helyi barokk építészeti stílus legnépszerűbb ésleglátványosabb kifejezője. A homlokzat alsó részét1582-ben fejezték be. A legkifinomultabb leccei építész,Gabriele Riccardi munkája: megőrzi a románstíluselemeket, amelyeket nagyszerűen illeszt bele abarokk díszítőelemekbe. A közbeeső rész GiuseppeZimbolo nagybátyjának, Francesco Anitonio Zimbolónaka műve, a három főkapu készítője (1606). A felső részt1646-ban Cesare Penna és Giuseppe Zimbolo fejeztékbe. A látványosan gazdag diszítőelemek allegorikus jelenetekbenbővelkedik. A Santa Croce bazilika szimbolikájaa kereszténység pogányok feletti győzelméhezkapcsolódik. A templom belsejében különösen az oltárünnepélyes és gazdag barokk díszítése van nagyhatással a szemlélődő látogatóra.Egy érdekesség: a Santa Croce és a celesztinusszerzetesek hatalmas komplexuma a XVI. századbanépült, ahol egykor a zsidók negyede volt. Az ún.Yudaica negyed nem volt kis kiterjedésű, 1450-ben kb.650 lakost számlált. A spanyol befolyásnak köszönhetőXV-XVI. századi egyre növekedő intollerancia miatt1541-ben véglegesen kiutasították a zsidókat. Ez az azesztendő, amikor V. Károly birodálmából eltávolíttattaaz összes zsidó közösséget.Folytassuk sétánkat! Íme a San Matteo (Szt. Mátyás)templom (Chiesa di San Matteo)!Salò Achille építész munkája. Az egyetlen templomLeccében, amelynek homlokzatán egy er,sen innovatívépítészeti elem, Francesco Borrominitől inspirált görbevonalas elemek láthatók. 1667 és 1700 között épült.Az alábbi meg a celesztinus szerzetesek szemináriumaés két bejárati kapuja, amelyeken keresztül, a távolbana leccei park egy kupolás építménye látható. Sétáljunkbe a parkba egy kis pihenőre az egyik pálmafa alatt,hogy legyen erőnk tovább folytatni városnézőbarangolásunkat!136<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


Nos, induljunk tovább, mert van még bőven látnivaló:E város összegezéseként: A beszámolóm első részébenemlítettem, hogy Puglia tartomány legdélibb része a„csizma sarka”, a Salentinói félsziget, amelynekbelsejében, e várost 11 km-re az Adriai-tengertől, 27km-re a Jón-tengertől találjuk 49 m tengerszint felettimagasságban, megy Lecce megye 100.884 lélekszámúszékhelye. „Barokk Firenzé”- nek is szokták nevezni avárost az arculatát kialakító spanyol-barokk stílusgyakorisága miatt. Érdekes mértani formájú, földrajzi<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 137


elhelyezkedésük: a megyeszékhely Lecce alkotja aháromszög felső csúcsát, míg az alsó két csúcsotOtranto és Gallipoli. Úgy is mondják, a „Csodákháromszöge”. Ne feledjük, a Salentinói félsziget barokkföldjén vagyunk!Az egyik messapiusi-japax (-japyg) központ örököse eza város, majd római gyarmat lett: Lupiae majd Liceanéven. Római emlékei a Szt. Oronzo téren (Piazza S.Oronzo) kiásott fent látott amfiteátrum-részlet és a dómközelében lév, római színház maradványai (ld. az előbbifelvételeket).Egyszerre mutattam be fényképeken keresztül azérkezésünk napján és a másnapi sétánk soránlátottakat. Városnéz barangolásunk közben belebotlottunkegy utcatáblába, amelynek helytelen írása nagyderültséget váltott ki bennünk, s érdemesnek tartottammegörökíteni. A névelős „l’ospedale” („a kórház”)helyett „lo spedale” olvasható:A felirat magyarul: „A zarándokok sikátora a kórház mögött”.Leccei sétánk befejezéseként még vessünk egy-kétpillantást erre és arra:Nem szabad elfelejtenem megemlíteni, hogy július15-i nappali leccei sétánk előtt, útközben megálltunkCavallinóban, hogy megtekintsük a messapius ősnépmaradványait. A helyszínen, a fedett emelvényen -ahonnan jó belátható volt az egész feltárt terep -, egy138<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


számítógépes tájékoztató útján szereztünk némiismeretet a messapiusok civilizációjáról.A messzápiusok vagy messzápok civilizációját egyújfajta kerámia jellemezte, hasonló a mükénéihez, deazoktól mégis eltérő: jellegzetes, mértani alakzatokkaldíszített egyedi alakú, magas fülű és széles nyakúkerámiavázáik voltak, az ún. „trozzelle”. Ez a népolajbogyótermesztéssel, szőlőműveléssel, pásztorkodássalfoglalkozott. Jelentős volt a kutya- és lótenyésztésük.Öltözéküket tekintve kapucnival végződő hosszúruhát viseltek, szandálban jártak. A nők hosszú tunikáthordtak, fejüket koronával ékesítették. Temetkezésiszokásaikra eleinte a kőhalmos, majd később aföldalatti elhantolás volt a jellemz,. Valószínű, hogytemetkezési szokásaikra a görögök hatással voltak. Erreutal az a temetési mód, hogy halottaikat kőkriptákbahelyezték s a görög szokásra jellemző módónelhunytaik szájába egy érmet helyeztek.A monitoron megjelentetett feltárt területet összehasonlítvaaz elénk táruló tereppel a megfelelő pontranyomva ujjunkat azonnal megkaptuk a bennünketérdeklő választ a városrész feltárt területeivel ésépületmaradványival kapcsolatban.Most pedig íme a messapiusi maradványokról egy-kétútközben kattintott fényképem, amelyeket Cavallinoelőtt, Lecce központjába igyekezvén láttunk:Az alábbi felvételeket ket pedig a szabadtérimúzeumban készítettem:<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 139


Ezzel véget ért a július 14-15-re tervezett programunk.Másnap, 16-án elköszöntünk szállásadóinktól és továbbfolytattuk utunkat a harmadik szállásuk felé, Cursiba.De előtte még volt egy kis városnéző programunk:utunkat tudatosan folytattuk végig az Adriai-tengerpartszegélyén, menet közben gyönyörködtünk a tájszépségeiben, míg el nem nem értük a látogatásrakiszemelt városokat: Otrantót, Capo d’Otrantót ésGiurdignanót.Ezekről az élményeinkről a következő számunkbanszámolok be.Forrás: Az Oservatorio Letterario 2007. augusztus 24-27.-ionline melléklete.Fotók/videók © Dr. Bonani Tamás-Tarr Melinda5./1.) Folyt. köv.ESSZÉAZ ÉDENTŐL KELETRE – III.Ebben az írásban a lényeg szempontjából természetesennincsen semmi új. De nem is lehet, mert a régiigazságok örökéletűek. Így aztán újnak csak azt lehetmondani, amelyik egy újabb megvilágítást vet az örökigazságra. Ami itt következik viszont, az már túl esik apecsétszabta határon. Mert amiről idáig szó volt, (az „etdesint vires” mércéjére állítva) kellett a mitológiaiváznak a szemügyre vételéhez.Eduard Schuré Les grand initiés c. könyvében ír anagy beavatottakról, ahol arról van szó, hogy nyolcezerévvel ezelőtt egy óriási szkíta birodalom terült itt végigaz egész Európa-Ázsiában, az egyik óceántól a másikig.Jó bölcsője volt ez a későbbi népeknek, nyelveknek.Már Josephus Flavianus is arról tanúskodott, hogyEurópát a szkíták szűzfoglalás révén vették birtokukbaés ők voltak Európa őslakói. A szkítamagyarok európaiőshonosságát vallja még Ammianus Marcellius is. Mertő is kénytelen elismerni azt, hogy a szkíták az ókoriEurópa őslakói voltak.További pár szó a szkítaság őseredetéről: Platón, akinyilván beavatott volt, mert másképp ugyan honnanvette, hogy a szkítaság gyökerei egészen az aranykorbanyúlnak vissza? Erről az időtlen korszakról akövetkezőket mondja:Az Aranykor emberei, az aranykori világnakmaradékai, mai képviselői a szkítáknak....Az igazságos szkíták az Aranykor egyedüli maradékaivoltak...Melynél fogva az aranykori eredet már merőbenbizonyság a szkíták ősi voltára, arra, hogy ők a világlegrégibb népe. Tehát ezen nyomatékos tanúságokalapján a szkítaság az emberiség aranykorából eredő ésaranykori hagyományokat viselő nép.Az aranykori hagyományok szemszögéből nézve tehátperdöntő ez. Ugyanis csak az a nép őrizhette meg azaranykori őshagyományait, amely leghosszabb időtartamonát, a boldog aranykorban élt, így hát beléje ivódottlegmélyebben az aranykor érzéki, érzelmi, ösztön éshagyomány világa. A magyarok eleiről a szkítákrólszólván mintha Anonymusnak is az (aranykori) időket140<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


idézné: A szkíták valaha igen bölcsek és szelídek voltakés semmiféle bűn nem fordult elő köztök.Mármost tudni való, hogy a Szentírásban három olyanutalást találunk, amely erre vonatkozólag különösfigyelmet érdemel, új számvetést kíván. Az első,amellyel számot kell vetnünk arra az elévülhetetlenkérdésre kínálkozik némi feleletet adni, vajon ki volt avilág ősnépe, az aranykor népe. A Genezis erre akérdésre olyan adalékot szolgáltat, amely közvetlen aszkítaság őstörténetével áll kapcsolatban. Tanácsos leszezért a Szentírásnak azon sajátszerű kinyilatkoztatásátmegvizsgálni, mely az Édenkert fekvésének közvetlenkörnyezetét írja le.Folyóvíz jő vala pedig ki Édenből a kertmegöntözésére, és onnét elágazik és négy főágraszakad vala. Az elsőnek neve Pison, ez az, amelymegkerüli Havilah egész földjét, ott ahol az aranyterem. (Gen. 2:10-11)Az Édenkert leírása során említett „Havilah egészföldjét” általában Indiába teszik a kutatók.Pontosabban az Indus folyam felső szakaszára, arra aterületre, ahol úgymond az „arany terem.” Ha eztvesszük alapul, akkor ez nagyjából a mai PakisztánHunza-Kashmir térsége. Manapság itt élnek a hunzák,Kashmirtól nyugatra eső Nagar, Jasin és Gilgittartományban. Akikről dr. Tóth Jenő irodalmihagyatékában „Az indiai hunzák” címen egy igenérdekes írást hagyott hátra. (v.ö. Zajti Ferenc: Magyarévezredek, Bp. 1943)A magyar történelemkutatást is régente foglalkoztattaez a bibliai téma. Nevezetesen Krausz Sámuel dr. voltaki annak idején ezeket a dolgokat tüzetesen feltárta akövetkezőképpen vélekedvén róla:„Bátran állíthatjuk ennélfogva, hogy Eviláth (Havila)Indiában ugyan, de a Kézai említette minor Indiábanfekszik.” Nézete szerint: „Nem Kúun Géza az első, akiEvilathot azonosítja a Bibliával, mint Fiók állítja, hanemPodhraczky, amint az a Budai krónikához írtmegjegyzéséből kitűnik. Voltaképpen azonban nem is amagyar tudósoktól származik az azonosítás, mert aSeptruagintában, 200 évvel Kr.e. a bibliai Chavila szótEviláttal adják vissza, akkor az azonosítás a képzelhetőlegrégibb keletű. Azért így állítja Kúun, mivel Chavila aSzentírás szerint Khúsnak a fia, azonosítják akrónikások Evilatot Perzsiával.”„Igaza van-e a magyar krónikásnak - folytatja, midőnez országot a magyarok őshazájának tartja? Teljesenigaza van, mert az ókorban ez országot csakugyanHunniának nevezték.” (v.ö.: Dr. Krausz Sámuel:Nemzeti krónikáink bibliai vonatkozásai, Budapest,1898)Ugyancsak lásd: „India és Hunnia, vagyis Evilath..”(v.ö. Kosmas Indicopleustes: Keresztény Topográfia.)Tudvalevőleg Kézai Simon mester 1283 táján készültGesta Hungarorum c. történelmi művében Perzsiárólszólván valóban Evilátnak nevezi azt a helyet, ahováMenróth, az óriás, a nyelvek összezavarodása utánletelepedett. Majdpedig írását a magyarság genezisénekazon találó utalásával folytatja, hogy „ottfeleségétől Enétől két fia született, Hunor és Magyar,akiktől a hunok és a magyarok származtak.”A Szentírás következő kinyilatkoztatása magáról akhúsok ősi szállásáról beszél:A második folyó neve Gihon: ez az, a mely elkerüli azegész Khús földjét. (Gen. 2:13)Itt azonban felmerül egy kérdés. Hiszen joggalkérdezhetné valaki, miért említi a Biblia a „khúsokföldjét”, amikor az első emberpár egyedül az Édenlakója? Talán abból az okból kifolyólag, hogy ez anevezetes hely valamely különös ok révén már akezdetektől fogva híres nevezetes föld hírében állott?Akkor nem meglepő az sem, mikor Homeros az istenek(elohimok) szülőföldjét történetesen a khúsok földjéreteszi! Márpedig ha elfogadjuk Homeros állítását, kinekvéleménye szerint az istenek Khús földjén éltek, atovábbiak során ez segít megmagyarázni más hasonértékű hagyományokat, amelyek ilyenféle viszonyokra,hasonló történelmi állapotokra utalnak.Nincs olyan sűrű homály, amelyben az ősi tudásvisszfénye föl ne derengne. A régi énekek ekhója, az ősimítoszok, hagyományok őrizték meg leginkább azontudatot, miszerint az istenek históriájának ismérve atörténelmi kutatásban mennyire fontos.Még Dante figyelmét sem kerülte el e téma, a régiistenekről szólván így emlékszik vissza:S Dionysos oly vágytól ragadvaGondolt föl e szent hierarchiára,Hogy sorba, mint én, nevüket megadta.(V.ö. Isteni színjáték)A Sumér hagyományok pedig így beszélik el azistenek dolgai felől való történteket: „Az istenekhierarchiája Szín istenségtől származott, akinek kétcsaládja volt: Utu és ennek nővére Inanna. Utu Szipparvárosában uralkodott, míg Inanna istenasszonyArattában székelt.”A továbbiakban figyelmet érdemel ezúttal a nevezetesangol sumerológus G. Smith azon megállapítása,miszerint a kaldeusok írásában ez az Utu nevű istenségolykor „Kusu” néven is szerepel. Tehát szerinte, akkorUtu azonos azzal a személyiséggel, aki a bibliában Khúsnév alatt, Nimród apjaként van feltüntetve. (V.ö.George Smith: The Chaldean Account of Genesis, NewYork, 1876)Viszont ha a Sumér királyok névlistája szerintmegyünk akkor azt látjuk, hogy Utu vagy Khúsigfelmenő ágon névszerint a következő istenségekszerepelnek.Utu fia Mes-kiag-gaser lett a főpap.Ennek fia (volt) En-mer-kar, aki Uruk városát építette.(V.ö. Jacobsen: The Sunerian King List, Chicago, 1939 )Alapjában véve ez a két hagyomány, a keresztyén ésa Sumér királylista persze nem mond ellent egymásnak.Egyedül a nevek sorrendjében tér el. MivelhogyNimródot nem Utu-Khús fiának, hanem az unokájánaktartja. Ugyanis ha azt vesszük En-mer-kar és Nimródugyanaz a személy. Hiszen úgy a sumér királylista, mintmaga a Szentírás kimondottan neki tulajdonítja Uruk(Erek) városának a megalapítását.Ezek után most nézzünk utána hol volt, hol nem voltKhúsnak a földje. Nos ennek a különös talánynak nyitjaabban rejlik, hogy a Gihon folyó neve alatt, amelyelkerüli „az egész Khús földjét”, vajon a Paradicsommelyik folyóvizét értsük. Az O.L.F.A oldalain prof. E.<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 141


Spedicato mindezeket szépen kitárgyalja. (v.ö. EmilioSpedicato: L’Eden riscoperto: Geografia ed altre storie)Kiegészítésképp ezért csupán az alábbi rendhagyóreferenciát vessük latba.A sumér hagyományok után nem árt megismerni ahasonkeletű hindusztáni hiedelmeket, hiszen azok isarról tanúskodnak, miszerint az istenek Khuslyapátólszármaztak, s egykor „Khús földjén éltek.”Erre vonatkozólag egy régi időből fennmaradttudósítást tár elénk dr. Ivala Prosad Singhal, ki azőskhúsokról szólván az alábbi tényadatot közli:„A Puranák könyve négy özönvíz előtti népet említ:Daitya, Naga, Déva és Aria. A Daitya és Naga népeklakhelye Turán volt. Ősapjuk neve Khúslyapa, ennekfelesége volt Khasa és fiai Hiranyakhasa, aki a Ja-khúsnemzetséget, a másik Hiranyja-Khúsipu a Rakhsatörzset uralta. Ezek a Jaxartes (Oxus) folyam mellettéltek. Országuk fővárosa Hiranyapura, más néven Balkhvolt.”Később dr. Singhal azt is elbeszéli, hogy szkítiahajdankori neve Khusa-dvipa, vagyis Khús földje volt. Eszerint tehát ezen régi hindusztáni hagyományokugyancsak arra emlékeztetnek vissza bennünket, hogya szkítaság hajdankori őshona valamikor az Oxusfolyam menti Khúsa-dvipa lehetett. Márpedig ez ugyanazonősturáni bölcsőnek számít, mint az „Édentőlkeletre” elterülő „Khús földje”, amely voltaképpen abibliai Khús pátriárkától nyerte nevét.Tény, hogy ennek az ősi hiedelemnek valamikornyomós oka lehetett, hiszen a későbbi idők folyamánsokáig tartotta magát az emlékezetben. EuripidesBacchanalia c. művében feljegyezte, hogy a Baktrus(Oxus) folyó, ahol az egykori Balkh városa épült,valójában magától Khús ősapától lett elnevezve. Egymásik görög történész Arian, Nagy Sándor indiaihadjáratáról írott beszámolójában pedig arról tudósítbennünket, hogy az ő idejében ezen a tájon még akkorolyan ősi nemzedék lakott, akiknél elevenen élt alegendás hírű Khús őskirály híre, s kinek emlékét, minthajdankori nemzetőst, oly nagy becsben tartották, hogytiszteletére évenként hatalmas nemzeti ünnepet ültek.Magastenes szerint Khús uralmának és hosszasvándorlásának kora Nagy Sándor idejét megelőzően6042 évvel történt. Amely hozzávetőleg egybe esik alegendabeli Dionysus idejével. Márpedig Ciceró írásaalapján ez a Dionysus, aki történetesen a kabirokleszármazottja s Ázsia első őskirálya volt. A Donnellyféle felvetés szerint pedig ez a hajdan virágzó hatalmaskhusita birodalom, Dionysus birodalma, a voltaképpenitörténelemelőtti adzsemi birodalom volt. Melynekuralma idején úgy India, mint a távolabbra eső Arábia,Egyiptommal együtt valamikor a khusita-aditákfennhatósága alá tartozott. (v.ö: Ignatius Donnelly:Atlantis the Antediluvian World, New York, 1971)Sajnos az adzsemi birodalom híréről azonban bölcsenhallgat a történelem. Az ókori népek közül kevesenemlékeznek vissza. Olyan roppant történelmi távlatbaesik tőlünk, hogy emlékének merőben nyoma veszett.Általában keveset tudunk afelől, hogy mi volt előzőleg.Avagy éppenséggel ki volt, s milyen volt ez az ősnép,amely az emberiség egyik fő ágazatát képezte.A KÚTFŐK GYÉR TANÚSKODÁSAMint láttuk, egy rejtélyes világ hever mögöttünk.Egy eltemetett ódon világnak beláthatatlan időtartalmúkorszaka, amiről a historikusok nem nyújtanak jóformánsemmilyen szilárd alapot, semmilyen történetfeltáráshoz.Egyetlen támpont, „egyetlen tartós és hitelesmegértési kategóriánk van, és ez a régi szent könyvekkinyilatkoztatása. Ez a valóság megértésének lehetősége,az egyetlen kategória, mely a megértést megnyitja,az maga az őshagyomány”, írja Hamvas Béla.Krónika hagyományaink közül egyedül a nemrég „újrafelfedezett” Tarih-i Üngürüs (A magyarok története) az,amely számunkra „Adzsem” néven megőrizte ennek azősi bölcsőnek a kései emlékét. Ebben a nevezetesómagyar gestában számos alkalommal találkozunk vele.Éppúgy, mint a korabeli perzsa Abu Kásim Firdusihatalmas epikus költeménye a Királyok könyve, ahol azeseményekre épült szóhagyomány a költészetnekmaradandóbb formájú alakulásában a krónikásnakőszinte forrásává lett. ( v.ö. Firdusi: Il Libro dei Re,ford. Italo Pizzi, Torino, 1887)Vajon meddig kell vagy meddig lehet visszamenni,hogy valamilyen képet, feleletet kapjunk arravonatkozólag, hogy ki volt valójában a világ legrégibbnépe, az adzsemi birodalom népe?Köztudomás, hogy a krónikákon kívül a Szentírás egyolyan különleges adatot tartalmaz, mely az említettKhús és Havilla földjén túl egy teljesen ismeretlen földreutal. Egy olyan területre, amely valahol az „Édentőlkeletre” terült el.És elméne Kain az Úr színe elől, és letelepedék Nódföldjén, Édentől keletre. (Gen. I. 4:16)Úgy tűnik azonban, mintha ez a „Nód” szó egyvéletlen elírás volna. Ugyanis a Vulgata verzióban azeredetibb formában „Ad” változatban szerepel.: „Interra Ad orientalem plagam Eden.” (v.ö. JustaVulgatam Clementinam Parisiis, 1927)Mindenesetre dr. Franz Delitzsch híres német bibliaszakértőnek nem kis fejtörést okozott az említett bibliaiidézet értelmezése. Hiszen logikus felfogás szerint máreleve kétesnek tűnik olyan állítás, miszerint az édenenkívül egyáltalán létezett volna még egy embericivilizáció ahová Isten által az édenből kiakolbolosítottKain elmenekült volna. Márpedig a Szentírásszempontjából tekintve igen! Ugyanis a bibliai passzustovábbi szakaszában Kain viselt dolgai felől eztolvassuk:És építe várost, és nevezé azt az ő fiának nevérőlHanóknak. (Gen. I. 4:17)De akkor honnan vett magának Kain feleséget –kérdezi -, hacsak nem onnan, ahova elmenekült. Mivelszerinte Nód földjén akkortájt már emberek éltek.Mindenesetre Delitzsch ezeket a dolgokat azzalmagyarázza, hogy Nód földjéről szóló bibliai utalásvalamikor kétségtelen egy időtől szürkült hagyományszerves részét képezhette. A továbbiak során Nódfekvéséről akként vélekedik, miszerint ez a földrészvalahol Kelet Ázsiában lehetett. Majd Von Bohlem ésColenso utalása alapján azon meggyőződésre jut, hogyez a térség valójában Észak India. (v.ö. Franz Delitzsch:New Commentary on the Genesis, Edinburgh, 1888)142<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


Mindenesetre a megnevezett kutatóknak voltaképpenvilágos az elgondolása, hiszen a hindusztáni hagyományokbanezen szóban forgó földrésznek nagyjából amai Afganisztán és Kashmir közti terület felel meg.Tehát a Swat folyó völgye, amely mint ismeretes a régiészak indiai Udjana tartománya volt.A fenti nevek vizsgálata során világosan kiötlik,miszerint ez a bibliai „Nód” valójában az Ad névszónakegyik származéka. Éppúgy, mint ahogy ugyancsak Adnakemlékét őrzik azon arkáikus névalakok is, melyekaz idők folyamán az alábbi változatokban maradtakfenn.Így elsősorban ott van Adjana, amely szanszkritnyelven ugyanaz mint Udjana, és Kr.u. a VII. sz.-igOttien név alatt India észak-nyugati tartományát jelölte.Aztán ott van Adi-varsa, melynek hírét a hindusztánihagyományok magával az emberiség eredeti bölcsőjévelhozzák kapcsolatba.Egy másik keleti hagyomány alapján: a Feketetengertől Kashmirig és e fölött kell keresni az emberiségeredeti bölcsőjét Ad-ah fiainak lakhelyét.De ugyancsak Ad-mi névre való utalást találunk akáldeusok Teremtés történetében, ahol a feljegyzetthagyományok szerint a kezdeti emberiséget valamikor„Szalmat-akkadim”-nak, másképp, Admi-nak, Ad belineks a babiloni hagyományok pedig Admu-nak nevezték.Tehát akkor a régi akkád név is ugyanazt jelölte volna,mint maga az Ad, amelynek Dr. Wilker feltevése szerint„Ad fiai” volt a jelentése. (v.ö. G. Smith. Op.cit.)És végül, de nem utoljára, ne lepődjön meg senkinyelvünknek azon különös sajátosságán sem, ha a régimúltból fennmaradt, a hajdankor hangulatát felidéző„ódon” szavunk gyökere is voltaképpen erre az „Ad”névszóra vezethető vissza.A perzsa történetírás híven kiáll a hagyományokmellett. Mirkhond, köznéven Mirkhavend perzsa történész,nemzete hírnevének öregbítésére terjedelmestörténelmi munkáját a Nimród nemzetségéből származóadzsmei fejedelmek viselt dolgaival kezdi, melynélfogva a perzsák őstörténetéről írott események előszakaszátegy olyan őshagyomány szövi át, amit nemcsupán iráni, hanem egyben a khusita ősmúlteposzának is lehet tekinteni. Szerinte Elám (a későbbiIrán) területén létrejött adzsemi birodalom alapjait egymítikus királyi dinasztia fektette le. Az uralkodók közülelsőnek Ad avagy Adzsem fiát Kaiomart említi meg suralkodásának kezdetét Kr.e. 5371 évre teszi. Ezenhagyomány szerint Adzsem fia Kaiomar 30 évig trónolt,mialatt minden alattvalója „párducbőr kacagánythordott a vállán.” (v.ö. Rauzat-us-Safá. Ford. DavidShea. London, 1828)A korviszonyok éppúgy a maga arculatára formálhatjákaz embert, akár a hagyományok. A szkítasággenezisének drámája csodálatosan igazolja ennek azelvnek helytálló voltát. Hogy aztán a szkíta név -akármennyire megszokta már a világ -, egyáltalánhelyes-e, afelől nemigen lehetünk meggyőződve. Másokis keresték az eredetét, ám nem ismerték hagyományainkat,vagy pl. mondjuk az örményekét, akiknél arégi hagyományok különösen makacsul tartják magukat.Ott ugyanis összefutnak a szálak. Kiváló példa erreLukácsi Kristóf egykori szamosújvári plébános műve, akiezen hagyományok alapján írott történelmi munkájábana következő megállapításokat közli:„A Hun-magyarok őselei körül örmény kútfők szövétnekénéltett vizsgálódásaim szerint a következő tételekbenösszpontosul:1./ a Hun-magyarok, Chusok, Khusok,2./ a Saca, Daha, Massageta-Scythák, Chusok,3./ a Hun-magyarok, Saca, Daha, Massageta-Scythák.(V.ö: Lukácsi Kristóf: A magyarok őselei hajdankorinevei és lakhelyei, Kolozsvár, 1870)Na és mit tartottak magukról a régiek? Merthiszennemcsak az örmény hagyományok tanúsága, hanemTróky Izsák feljegyzése alapján 1570-ben még nálunk istudtak arról, hogy „a magyarok kuthaiak voltak.”Korának irodalma Mátyás királyt is a „szkíták királyának”nevezte.Azóta persze nagyot változott a világ. Jellemzővé váltkorunkra Maiernek egyik mondása: A tudós mindig másvéleményen van. Tévtanok megszállottai, elfogultak,szerelmes ellenségeink vágják hagyományainkat a földhöz.Ott tartunk, hogy „A jelenlegi hivatalos álláspont”nemcsak, hogy nem egyezik krónikáink őstörténetihagyományaival, hanem mesének minősítette ez írásokat,mert nem finn-ugor őstörténet felé vezetnek.”(László Gyula)Dante is sejtett már sorsunkról valamit. Az Isteniszínjátékában máig találóan szól hozzánk szánakozósóhaja: „Oh beata Ungheria, se non si lascia piùmalmenare! ” (N.d.R. Paradiso, Canto IX/Paradicsom IX.Ének, 142-144. sor)3.) VégeKatyńi tragédiaA szovjet Eichmann magyar áldozataAmerico Olah- U.S.A. -Kevesen tudnak arról, hogy "Katyń" áldozatai közöttmagyar is volt: Korompay Emánuel Aladár, a varsóiJózef Pilsudski Egyetem magyar lektoraAz 1939-ben szovjet fogságba került, megbízhatatlannakminősített lengyel hadifogoly katonatiszteket azSzKP KB Politikai Bizottsága Lavrentyij Berija belügyinépbiztos javaslatára, J.V.Sztálin jóváhagyásával 1940március 5-én halálra ítélte. (Lásd erről ez évi 8., 10.számainkat! – A szerk.)Az 1940 április-májusában Pjotr KarpovicsSzoprunenko NKVD ezredes, a "szovjet Eich-mann"irányításával végrehajtott tömeggyilkosságnak magyaráldozata Korompay Emánuel Aladár, a varsói JózefPiłsudski Egyetem magyar lektora volt. Ő a feleségerévén felvette a lengyel állampolgárságot, s tartalékosszázadosként vonult be a hadseregbe.Korompay Emánuel Aladár (a legkorábbi iratokbanKorompay Manó Aladárként szerepel) Budapestenszületett 1890. március 23-án, szülei hetedeikgyermekeként, római katolikus vallású, édesapjaKorompay Márton gyógyszerész volt. – A budapestiLónyay utcai Reformá-tus Főgimnáziumba járt – errőlaz iskola korabeli értesítői tanúskodnak – s ott állítottákki számára 1908. június 24-én a 614. számú érettségibizonyítványt. Ezt követően az 1908/1909 tanév I.félévétől az 1911/1912. tanév II. félévéig a BudapestiTudományegyetem Bölcsészettudományi Karának<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 143


hallgatója volt. Végbizonyítványát, az abszolutóriumot1912 október 3-án állították ki dr. Fináczy Ernő dékánaláírásával.1914-től a lévai gimnáziumban tanított latint ésgörögöt, de rövidesen behívták katonának. Przemyślbevezényelték, ahol 1916-ban megismerkedett az otttolmácsként dolgozó lengyel Mieczysława Grabasszal,akit nemsokára feleségül vett – kezdetben egymássalnémetül beszéltek – Még abban az évben megszületikelső leányuk Ilona. Korompay ugyan rövid időrehazalátogatott Budapestre, de hamarosan visszatértPrzemyślbe, 1919-ben felvette a lengyel állampolgárságots főhadnagyi rangban belépett a lengyelhadseregbe. 1929-ben századosként nyugdíjazták.1930-ban dr. Divéky Adorjántól (1880-1956), aki awilnoi (vilniusi) Báthory István Egyetemen és a varsóiJózef Piłsudski Egyetemen is tanított, átvette a varsóimagyar lektori teendőket, a követségi kultúrattaséifeladatokat és a Lengyel-Magyar Baráti Társaságvezetését. A család is Varsóba költözött, Ilona utánmegszületett Márta és Erzsébet nevű leánya is. Feljegyezték,hogy jól hegedült, furulyázott és orgonált.Varsóban 1936 március 15-én jelent meg magyarlengyelminiszótára, ezt követte május 12-én enneklengyel-magyar párja. Kiadott egy lengyel-magyartársalgási könyvecskét is.1939-ben magyarul tanuló lengyelek egycsoportjával hazalátogatott Budapestre, közben kitört aháború. A csoport tagjai ezt Magyarországonátvészelték, ő viszont hazautazott Varsóba, s bár követségialkalmazottként kaphatott volna mentességet,bevonult a hadseregbe. Még abban az évben szovjethadifogságba, a sztarobelszki tiszti táborba került.Fennmaradt egy onnan Varsóba írt tábori levelezőlapjais. Nem távolította el tiszti rangjelzését sem, amelynekrévén elhagyhatta volna a tábort.A sztarobelszki tábor 3739 foglyát 1940 áprilismájusábanlőtték agyon Harkovban, majd aszomszédos Pjatyihatkiban temették el. A Harkovbankivégzettek síremlékét 2000. jünius 17-én állították fel.Korompay Emánuel első emléktábláját egykorivarsói, a Podchorążych és a Holówki u. sarkán lévőlakásának falán 1992. április 12-én avatták fel.Szövege: W tym domu mieszkał / Emanuel Korompay /oficer Wojska Polskiego / więzień Starobielska /zamordowany w 1940 / przez NKWD w Charkowie / –Komitet Katyński / Rodacy z Węgier – (E házban lakott/ Korompay Emánuel / a Lengyel Hadsereg tisztje /sztarobielszki hadifogoly / meggyilkolta 1940-ben / aharkovi NKVD. – Katyńi Emlékbizottság / Magyarhonfitársai)A Varsói Egyetemen, a mai Orientalisztika, az egykoriMagyar Tanszék épületén, a Krakowskie Przedmieście26/28 alatt a Magyar Tanszék 50 éves jubileumaalkalmából – magyar kezdeményezésre – 2002. nov.21-én délelőtt lepleztek le emléktáblát az egykori lektorKorompay Emánuel Aladár tiszteletére katonaitiszteletadással, a Magyar Parlament Katona Tamásáltal vezetett küldöttsége és a varsói MagyarNagykövetség képviselői jelenlétében. A tábla szövege:EMÁNUEL KOROMPAY / 1890-1940 / lektor językawęgierskiego / na Uniwersitecie Warszawskim w latach1930-1939 / kapitan Wojska Polskiego / uczestnikkampanii wrześniowej / więzień obozu w Starobielsku,zamordowany w Charkowie. (Korompay Emánuel /1890-1940 / a magyar nyelv lektora / a VarsóiEgyetemen 1930-1939 között / a Lengyel Hadseregszázadosa / a szeptemberi hadjárat résztvevője / asztarobelszki tábor foglya, meggyilkolták Harkovban.)A sztarobelszki táborba hurcoltak, Harkovbankivégzettek névsora megtalálható a Varsóban 1996-banaz Ośrodek KARTA Kiadónál az Indeks Represowanychsorozat második köteteként megjelent Rozstrzelani wCharkowie (A Harkovban agyonlőttek) c. munkában.Korompay Emánuel Aladár neve a 94. oldalon a 3.hasábban a második név.Remélhetőleg előbb-utóbb szülővárosa, Budapest ismegfelelő módon megemlékezik mártírhalált halt fiáról.U.i.: A közvélekedéssel ellentétben a hadifogolylengyel tiszteket 1940 áprilisában-májusában nem csakKatyńban végezték ki. A kozielszki tábor 4421 foglyátvallóban Katyńban lőtték agyon és temették el. (Asíremléket 2000 július 28-án állították fel.) Asztarobielszki tábor 3739 foglyát azonban Harkovbanlőtték agyon (Emlékművüket 2000. június 17-én avattákfel.) – Az osztaskowi tábor 6311 foglyát pedigTwerben (az akkori Kalininban) lőtték agyon ésMednojeban temették el. (Az emlékhely felavatására2000 szeptember 2-án került sor.) – Ezen kívül ebbenaz időszakban különböző börtönökben – hivatalosszovjet adatok szerint – 7305 letartóztatottat végeztekki.Megjelent: Élet és Tudomány 63. évf. 19.szám 589-590.oldal (2008. május 9.) [Megjelent május 7-én.] A cím utánikétsoros, dőltbetűs szöveg a szerkesztőség kiegészítése akézirathoz, az aláhúzott szavak a kéziratban megtalálhatók,de a kinyomtatott szövegből kimaradtak.Az utóirat az alapszövegben, az 590. oldalon középen,színes háttérben kiemelve, Nem csak Katynban ... címmel,P.Gy. szignóval került közlésre.A cikk Korompay Emánuel képe mellett közli a VarsóiEgyetemen elhelyezett emléktábla és a harkovi emlékműszínes képét is.Paczolay Gyula- Veszprém -Prof. Dr. Tarr György PhD CsC —VeszprémA SZENT KORONA SZELLEMITULAJDONA Szent Koronára tekintve a Szentekkel találkoziktekintetünk, s szellemiségük azt sugallja, hogy az istenieredet védő szenteket is rendelt ama nép védelmejavára, akiket a Kárpátok koszorújával körülöleltmedencébe vezetett sorsuk.A Szent Korona a történelmi és műszakivizsgálódások eredményeként megállapíthatóan két főrészből áll, a II. Szilveszter pápa által Szent Istvánnakadományozott korona, később kiegészült Dukas Mihálybizánci császár által I. Gézának adott ún. abroncskoronával. A koronát már a királyság első századaibankülönös tisztelet vette körül, s „Szent”-nek nevezték.144<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


A maga egészében különös szellemiség árad belőle éstörténelmi öröklétet sugall. Előbb a királyi hatalomnak,majd az egész magyar államnak és államiságnakszimboluma lett.Ezért soha nem borulhat ránk az önfeledés korszaka,és nem lehet kilopni - főleg a magyar szívekből,lelkekből a magyar keresztény eszményeket. Lelkünkbesugározza a magyar nemzeti érzést, nemzetibüszekeséget, erőt és öntudatot, s szinte sugallja hogy„menjetek és alkossatok oly mívesen, ahogy engemmegalkottak”.Már a XV. században kifejlődött, majd Werbőczynélrészletesen kifejtetett az ún. Szent Korona Tan, azalkotmányos magyar államélet alapja. E Tan szerint azállamhatalom a nemzettől ered, mely azt a SzentKoronával való megkoronázás útján osztja meg akirállyal. Íme! A hatalom-megosztás szellemi alapja!A király és a nemzet együtt teszik ki a Szent Koronát;a király a Szent Korona feje, az állampolgárok annaktagjai, az államtestület a Szent Korona országa, azállamjavak pedig a Szent Korona javai.A Szent Koronát, mint jogi személyt a hatalomteljessége illette és illeti meg, tehát a Szent Korona –amint ezt Kocsis István maghatározza – „nem csakközjogi absztrakció (az államhatalom alanya), hanemélő organizmus.” (Kocsis István: Magyarország SzentKoronája 7. oldal, Püski kiadó Budapest, 2005.)A Szent Korona tehát alanyi jogokkal rendelkezőszemély, mégpedig jogi személy, ugyanis azt alehetőséget, hogy valaki jogok és kötelezettségekalanya lehet jogalanyiságnak – azaz személynek –nevezzük. Ebből levonhatjuk azt a következtetést, hogya jogalanyiság, jogképesség vagy személyiség egyértelműfogalmak.A jogi személyek nem fizikai egységek, hanem a bennüklévő egyes embernek szellemi, erkölcsi természetűs a jog által egységbe foglalt együttműködését tanúsítómesterséges szervezetek.Ezen jogi személyektől különbözik a Szent Koronaama megjelenési módja és formája amint az – akorábban elmondottak szerint – tárgyi formábanmegvalósult.A szellem az ember lelki, különösen értelmi képességeinekösszessége, főleg abból a szempontból tekintve,hogy maradandó alkotásokat képes létrehozni.A szellem – más gondolatisággal – alkotó szellemnekis minősíthető. Az értelmi képesség viszont az emberigondolkodást lehetővé tévő képesség, amit a midennapiéletben „ész”-nek is mondanak, vagy „elmének”.Ám úgy is definiálható, hogy a szellem az emberi értelemáltal kitermelt javak, értékek összessége és törvényszerűösszefüggése.A tulajdon pedig az anyagi vagy szellemi érték, amelylyelvalamely személy vagy közösség, magával szabadonrendelkezik, amely kizárólag az övé.A Szent Korona szakrális jellegét is kötelességünkmegemlíteni, hiszen már az a tény is, hogy a pápajuttatta, adományozta első királyunknak, már egyszentségi jellemzővel ruházta fel. Amint eme jellegetKocsis István az előbbiekben már hivatkozott művébenkifejti, tulajdonképpen „a magyar nemzet transzcendesdimenziója, az Ég egy darabja... miért is ne lehetne amagyar népnek is saját nemzetfenntartó misztériuma,saját mitológiája?... A létében fenyegetett magyarság aSzent Koronával, mint közösségfenntartó és megőrzőerővel ebbe belekapaszkodva eredményesen tudnavédekezni, mert az az önvédelem szakrális, absztraktletéteményese, szellemileg létező hatóerő ... Ez amagyar nép Isteni titka. Aki ebbe a titokba bele tudpillantani, aki ennek legalább egy részét megérti, azbeavatást nyer és részesül a magyarrá válás misztériumában”.Megismerve a Szent Koronának a dologi tárgytólkülönböző közjogi személyiségi jellegét lehet áttérnünka Szent Koronának – mint szellemi tulajdonnak – a mivoltára.A tulajdon – a korábbi meghatározások szerint –nemcsak testi tárgy lehet, hanem szellemi érték is.Valaminek a szellemi mivolta pedig, annak az emberielme terméke.A kérdés tehát az, hogy ha a Szent Korona maga is jogiszemély, hogyan lehet tulajdon tárgya?E tekintetben különleges tulajdonlásról van szó.Szét kell választanunk a megjelenési formát az általaképviselt szellemi tartalomtól. A szent korona tulajdonlásamegjelenési módjára, a tárgyi formájára vonatkozikelsődlegesen.Ez a testi tárgy azonban nem csak a királyi hatalomnakés az egész magyar államiságnak a mivesi nemesfémből és drága kövekből létrehozott remekműve,hanem egy szellemiséget hordozó szervezeti jogalany<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 145


is. A kettő alkotóelem egysége a Szent Korona. Tárgyimegjelenésében rejlik a szellemisége.Következésképpen a tárgyi megjelenésében rejlő – sattól szétválaszthatatlan szellemiség is lehet tulajdontárgya.Végső következtetésként tehát az állapítható meg,hogy a Szent Korona tárgyi megjelenésében rejlőszellemisége is annak a népnek, sőt nemzetnek tulajdonárairányul, amely nemzetnek a királyságát tárgyi mivoltábanmegjelenítették, s megjelenítik ma is, amelynépre szelleme kiterjedt, s kiterjed ma is - függetlenülattól, hogy ma milyen kormány gyakorolja a hatalmat.A Szent Korona szelleme örökéletű védelme folytánvagyunk, létezünk mi magyarok, - a nemzetközi kabzsisággalmegcsonkított hazánkban, s a világon szétszórvais -, mindaddig amíg „él magyar, s áll Buda még”!VIVAT SACRA CORONA!VIVAT, CRESCAT, FLOREAT NOSTRA HUNGARIA!Nota Szerk.: A szerző hozzájárulásával közöljük.Elhangzott 2008-ban «A Szent Korona és a magyaralkotmány» c. Magyarok VII. Világkongresszusán.EZ IS... AZ IS...A VILÁG LEGSZEBB EMLÉKMŰVE... LEHETNE...Amott kerekedik egy gomolyag felhő...Csodálatos szarvas abból indul elő...Csodafia szarvas, ezer ága-boga,Ezer ága-bogán ezer fénylő gyertyaEzer égő lángjuk az égő csillagokGyújtatlan gyulladnak, oltatlan alusznak.Magyar Adorján egy beteljesületlen, nagy álmaCsodaszarvasunk emlékművének megalkotásaIskoláinkban igen keveset hallottunk Csodaszarvasunkról,s az ott tanított mondákban mindig csak egyigen földi történet keretébe ágyazott, űzött vadról voltszó annak ellenére, hogy idegen szomszédjaink körébenfennmaradt annak emléke, hogy agancsai közöttkeresztet hordoz, mint a Hubertus mondában, sőtJézus-jelképnek is használták. Hazánkban csak népiemlékezetünk őrizte meg Csodaszarvasunk igazi énjét:a Világmindenség megtestesítőjeként Isten hírnökénektudta népünk a Csodaszarvast.Kevesen emlékeznek talán már arra, hogy a szarvasfény szerepét ősmagyar neve őrzi, mely Ágas, Ékes,Ákos volt az Ég visszhangjaként. Ágasunk az Ég ékesgyermeke... Erdélyi Zsuzsanna ősmagyar ismádságokgyűjteményes kötetében például ezt a képet őriztemeg, melyben maga a Csodaszarvas dalol önmagáról,mint Isten hírnökéről:„...Homlokomon vagyon fölkelő fényes nap,Oldalamon vagyon árdeli szép hold,Jobb vesémen vannak az égi csillgok...”(Hegyet hágék 281. old.)A fény korszaka most köszönt reánk, s népünkelsőként már meg is indult ezen az úton. Itt az idejeannak, hogy e fényhordozó, fényt árasztó Csodaszarvasemlékműve fennen hirdesse: népünk mindig őrizteképét, s mindig is a fény útján járt akkor is, amikor akörnyező világ irígysége, éretlen értetlensége enneknem adott teret.Beszélgetésünk során Magyar Adorján egyszer elmondta,hogy a világ eme legszebb emlékművét aGellért-hegy tetejére álmodta (abban az időben aszovjet szabadság szobra foglalt ott helyet), s az emlékműművészi megjelenítését pontosan kidolgozta. Ottállna hatalmas termete magasan a város felett, testénhordozott égitestek, agancsainak gyújtatlan gyulladógyertyái Eget és földet fénnyel kapcsolnák össze.Regéink szerint Csodaszarvasunk a Hattyú csillagképből,annak Tóállás nevű vidékéről indult, hogy Istenrendelése szerint magával hozza Napunkat, kit őseinkMagúr néven tiszteltek, hogy feltárja előttünk a világmindenségfényeit, melyeket testén hordozott: „Ahányszőre szála, annyi csillag rajta...”E Csodaszarvas emlékmű megvalósítása volt MagyarAdorján egyik nagy álma, melynek szinte visszhangjaKányádi Sándor Szarvasitató című versében megörökítettkép:Ahol a szarvas inni jár,moccanatlan a nyír s a nyár:még a fűszál is tiszteleg,mikor a szarvas inni megy,megáll akkor a patak is,egy pillanatig áll a víz:s ő lépked, ringatja magát,agancsa égő, ékes ág.A Nemzeti Múzeumban találkoztam először a kárpátmedenceióriásszarvas hihetetlen nagyságú, tiszteletetparancsoló csontvázával, mely nagyszerű mintát szolgáltatnaa Csodaszarvas emlékmű számára: nem álom, avalóság jelenne meg bronz másában. Érdemesnektartom itt megemlíteni, hogy a szarvas legelterjedtebbélettere, igazi hona az őskorban a Kárpát-medence volt.Szerény lehetőségeim szerint szeretném e gondolatotelvetni, tudatosítani, egyengetni a megvalósulás felévezető úton. A megvalósulás Isten áldásával népünkkezében van. A megvalósítás ideje Isten kezében nyugszik.De a megvalósítás idejére el kell készülnünk amunkával, hogy az emlékmű a maga rendelt helyét azadott időben elfoglalhassa. E gondolatot eddig néhánybarátommal osztottam meg, hogy segítségükkel széleskörben el tudjuk hinteni, tudatosítani.A kivitelezéssel kapcsolatban máris vannakgondolatok:A mellékelt leírás Magyar Adorján tervezetét tartalmazza.Azóta közel egy század telt el, s életében még nemléteztek napelemes világító berendezések. Egy kedveslevelezőtársam javasolta ezt a megvilágítást: itt valóbanélő fény-kapocs alakulna ki az égi Csodaszarvas és földimása között.Amikor Magyar Adorján azt javasolja, hogy színesüvegborítók takarnák a Csodaszarvas testén levő égőketa Tárihi Üngürüsz „Csodálatos színekben pompázó”Csodaszarvasát juttatja eszembe.Magyar Adorján e szobrot sötétre idősült bronzbólgondolta elkészíteni – tudom, a sötét szín a világűrsötétjét jelképezné, s ebből a háttérből lépnek elő acsillagok. Egy kedves művész barátom viszont ragyogófényes bronzot javasol a fény kihangsúlyozására.Ugyancsak ő lenne a művészi kivitelezés terveinek elkészítője.146<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


E gondolatokkal foglalkozva eszembe jutott, hogy ahegy ormán álló Csodaszarvas tájolásával megoldhatólenne, hogy agancsai keretében — mint Ég felé nyitottszékelykapuban — kelne a téli napforduló napja,az újjászületett Magúr, kit Fiacska, Szép Isten,Szerelmetes Isten, Boldog Isten néven nevezett népünk.Rovásírás szakértőink írnák talpazatára a javasolt szöveget.Zeneszerzőink tehetsége szólaltatná meg népünk ősimáibanmegőrzött énekét.Az egész nemzet ajándékozná meg önmagát ezzel azemlékművel.A napokban olvastam a világhálón olyan – mostanábanébredező – kezdeményezéseket, melyek új emlékművetálmodnak a Gellért-hegyre. Ezt olvasva úgyéreztem, hogy elérkezett a Csodaszarvas emlékműmegteremtésének az ideje, mely fennen hirdetné ég ésföld közötti kapocs szerepünket, Kárpát-medencei ősijelenlétünket.Gondoljuk csak el, mily gyönyörű lenne a hatalmas,kivilágított Csodaszarvas, melynek égő-ékes koronájaegybeolvadna a Mindenséggel... S a gondolatban elkészültalkotás megjelenik anyagi valóságában is.Egy másik egyetértő egy erre a célra szerkesztetthonlapot ajánl.Így gyűlnek össze lassan az alkotó gondolatok, tervekkörvonalazódnak a teljes megvalósulás felé vezetőúton.A Magyarok Világszövetsége VII. Kongresszusa idejénérkeznek hazánkba keleti rokonaink – őket is aCsodaszarvas vezérelte, mint Hunort és Magort régen, shozzánk vezéreli nyugaton letelepedett rokonainkat is.Figyeljünk az Ég küldötte szavára...Isten áldását kérem e gondolatra, megteremtőire.Gondolataikat kérném a következő címre küldeni:magyar@acronet.net / levélben: Tomory, 103 NorthSt. Silver Lake WI 53170 USAEzen építő gondolatokat időnként közlöm.Tomory Zsuzsa- U.S.A. -MAGYAR ADORJÁN CSODASZARVAS TERVEZETEA VILÁG LEGSZEBB EMLÉKMŰVE....LEHETNEMagyar AdorjánNémely lapban (a Fáklya, Warren, Ohio, Magyar Nők,München, Kanadai Magyarság és az Amerikai MagyarÉlet, Chicago) megjelent „Csodaszarvas” címűcikkemben népi regősénekeink, valamint más népköltésiadataink nyomán (például Sebestyén Gyula: „Aregösök” és Regös énekek” című könyvei, valamintBerze Nagy János az „Ethnographia” folyóiratunk 1927.évfolyamában megjelent cikke) rekonstruáltam Csodaszarvasunkképét olyannyira, amilyen az őseink költőielképzelésében volt, vagyis valóban: csodálatos. Amelycsodálatosságából és mythicus voltából csak régi,keresztény és tudálékosan okoskodó krónikásaink vetkőztettékle teljesen. Elmondottam, hogy már SebestyénGyula és Berze Nagy János néprajztudósaink ésmythologusaink közlései nyomán is megállapítható volt,hogy népköltésünkben még fönnmaradott Csodaszarvasunk:az Égen, a felhők közül tűnik elő, s hogy ott azégi Duna, vagyis a Tejút melletti, árvízutáni kiöntésben(Vizöntő csillagkép) gázolva, az ott sarjadozó „gyöngesásocskán” legelészik. Itt találja és űzőbe veszi Magorés Hunor, akik ősmythológiánkban még a Nap ikertestvérpárbanvaló költői megszemélyesítése voltak, vagyisa Napból származó erőny (energia) alkotó, de egyúttalromboló hatalmát is jelképezték. Elmondottam, hogyMagor, vagy Magyar az őseredetében földművelőmagyarság (aminthogy a magyarság óriási többségema is dolgos, földművelő nép) és hogy Hunor meg alegjellegzetesebben harcos hunok és kunok költői megszemélyesítéseis volt. Csakhogy őket a nagyon tudós,azaz tudákos, régi krónikásaink tényleg létezettnekképzelték és prózai, vadászó legényekké alakították át,aminthogy például Tündér Ilonából (Magyar nejéből,vagyis a föld megszemélyesítéséből) is náluk: az alánokfejedelme leánya lett. Amiért aztán azt is el kelletthallgatniok, hogy a Csodaszarvas az Égen jelenik meg,illetve, hogy tulajdonképpen az Ég, illetve a Mindenségmegszemélyesítése is volt, amiért is rajta a csillagok, aHajnalcsillag, Hold és Nap ragyognak. Mindamitazonban népköltészetünk, mindenek ellenére, mindmáigfönntartott és amely kincseink utolsó töredékeimegmentéséért Sebestyén Gyulának tartozunk örökhálával.Elmondottam, hogy a dunántúli népi regösénekeinkbennapjainkig is még mondva, hogyCsodafia szarvasnak ezer ága-boga,Ezer ága-bogán ezer égő gyertya:Gyújtatlan gyulladnak, oltatlan alusznak.A népi „Csodafia” szó alatt „csodálatos” értendő. ACsodaszarvas agancsa hegyein égő „ezer gyertya” azégi csillagok jelképei, nyelvünkbebn meg az „ezer”szónak ma is van „végtelen sok” értelme. Az Ég csillagaipedig valóban esténként „gyújtatlan gyulladnak” ésreggelenként „oltatlan alusznak.” De említém annakhelyén azt is, hogy múzeumokban, régi kastélyokbanma is láthatunk szarvasagancsból való csillárokat, azaz„gyertyaágasokat” amelyeken a gyertyák mindig azagancs hegyein vannak. Elmondottam, hogy néprajziadatok alapján kikövetkeztethető, miszerint a Csodaszarvasteste kétoldalán, azaz a „szőrén” is csillagokvannak: „ahány szőre szála, annyi csillag rajta.”<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 147


Némely szarvasfajta teste kétoldalán pedig valóbanfehér foltocskák sokasága van, mint például az indiaiaxis szarvasnak, de nálunk is a dámszarvasnak. ACsodaszarvas homlokán van a hajnalcsillag (Venus),szügyén a Hold, két szarva között pedig a „pirosanfelkelő Nap” fénylik. Vagyis, amint mondám, a Csodaszarvastulajdonképpen a Mindenség jelképe is volt. Mapedig tudjuk, hogy a világvégtelenség fekete színű, shogy az égitestek e feketeségben fénylenek. Valószínű,hogy az őskori (ma kihalt, de a Középkor elején is élt)óriástermetű szarvasfélék között is voltak fekete színűekis, de amelyek teste kétoldalán szintén volt fehérfoltocskák sokasága. Minderről más cikkeimben részletesenés adatokkal támogatva is írtam, amiértis erről ittcsak röviden teszek említést.Nos, ilyen Csodaszarvas ma bárhol, akár Amerikábanis, hatalmas nagyságú bronzszoborral és villany-világítással,megvalósítható volna. Ami csak pénzkérdés.Minden bronzszobor idővel majdnem feketévé válik, debizonyára található volna eljárás, amely a bronzotesetleg egész feketévé is tehetné. Ma villanyvilágítássale szarvas-szobor agancsa hegyeire könnyen képzelhetnénkcsillagokat, amelyek esténként valóban „gyújtatlan”gyulladoznának egymásután, reggelenként pedigszintén „oltatlan” aludoznának. Ehhez csupán olyanüvegből, vagy valamilyen műanyagból való égőket kellenekészíteni, amelyek bárhonnan tekintve is, csillagalakúnaklátszanának. Mivel viszont a szarvasfélék testekétoldalán levő foltocskák kerekek (kivéve a dámszarvaséit,amelyek inkább négyszögletes-szerűek), ezért aszobor teste kétoldalán kerek lyukak kellene, hogylegyenek, de üveggel, avagy valamilyen műanyaggalelzártan, amelyek belülről, a szobor üreges belsejébőlkivilágítottak volnának. E lyukakon, a mellékelt rajzomhozhasonlóan csillagalakú rács kellene legyen, hogytehát a lyukak, bár kerekek lennének, de csillagot ismutatnának. Miután pedig az igazi csillagoknak csaktöbbsége fehér fényű, de egy részük sárgás, kékes,pirosas fényű is, ezért a lyukakat borító üveg, avagyműanyag is csak többségében kellene szintelen legyen,míg egyrészük szintén halványan sárgás, kékes éspirosas színű kellene legyen és természetesen ugyanígyaz agancson lévő csillagok is. A szobor homlokán egyugyanilyen, de nagyobb, csillagos lyuk jelképezné aHajnalcsillagot, míg szügyén egy még nagyobb, kereklyuk, fehér tejüveggel, avagy műanyaggal borítva, sbelülről kivilágítva, a Holdat jelképezné. Az agancsokközött viszont a Napot nagy, gömbölyű és piros színűműanyagból való lámpa képezné, de amelynek fölületénapró, aranyszínű, átlátszó pontocskák is volnának,amelyekről, adatok alapján, már kifejtettem, hogy„szikrák”, avagy „életmagocskák” jelképei, amelyéletszikrákat, avagy életmagokat a Nap állandóan szórja,s ezek a földet megtermékenyítik. Ezen, a Napotjelképező, gömbölyű hólyaglámpa a két szarv közöttvékony, vízszintes bronzpálcán úgy kellene függjön,hogy szélben kissé előre-hátra inoghasson is, mivel elámpa egyúttal a fölkelő, azaz a téli napfordulókorujjászületett, tehát még kisded Nap ringó bölcsőjét isjelképezte, amelyben ő tehát feküszik. Mindezt másuttmár részletesen ki is fejtettem, amiért itt ezt is csakröviden: E réz, vagy bronzpálcára egyfelől, műanyagbólvaló, kék, másfelől fekete kígyóalak volna fölcsavarva.Amely kígyók a Hidegséget és a Sötétséget jelképezik,vagyis a Nap ellenségeit. De ő bölcsőjében is már olynagyerejű, hogy mindkettőt legyőzi. Illetve: napkeltekora hidegség szűnik, a sötétség eloszlik. Eredetilegugyanis regös énekeseink közül, amelyik a szarvasálarcotviselte, ennek agancsa hegyein nemcsak égőgyertyák voltak, hanem az agancsok között piroshólyaglámpa is és az ezt tartó rézpálcára egy felől kék,másfelől fekete zsinór volt fölcsavarva a két kígyó jelképeként,amely zsinórok vége azonban a hólyaglámpatetején lévő nyílás szélénél tovább nem érhetett, mivela bent égő gyertya, vagy gyertyák lángja elpörköltevolna. Viszont ma a villanyvilágította gömbölyű lámpa(lampion) tetején is kell, hogy nyílás legyen, hogy azesetleg kiégő villanyégőket cserélni lehessen.Továbbá: Mivel regösénekeinkben a Csodaszarvas aTóállásban gázol, ezért a bronzszobor is mesterségesvízmedencében kellene álljon, vagy csüdig (bokáig)vízben, vagy a vízből csak kissé kiálló talpazaton. Ígypedig a szobor, s ennek fényei éjjel a vízben tükröződnénekis.Ezen emlékmű valóban a világ legszebb és legérdekesebbemlékműve lehetne. (Először mindenesetre kismintát, egy vagy két méter magasat kellene készíteni.)De látjuk itt az elmondottakból is, hogy a tudomány,a művészet, valamint a művelődéstörténelem is, milynagy hasznát láthatná a néprajz (ethnographia), de különösena magyar néprajz alapos tanulmányozásának.Habár ezen kívül elsősorban is az „ázsiai műveletlennomádságunk” és „bejövetelünk” tévtanát kell elvetnünk,amely miatt mindent „mi vettünk át” másoktól,vagyis amely miatt magunkat szellemi koldusoknakkellett képzelnünk. Holott, ha rájövünk, hogy hiszen miEurópa legrégibb és műveltségalapító őslakosságafönnmaradott élő szigete vagyunk, akkor szinte mérhetetlenszellemi gazdagságunkat is észre kell vennünk.Mindami közismertté válása valóságos szellemiújjászületésünket is magával hozhatná.TITOKZATOS TÁRGY...Focus, novembre 2008, p. 123A fenti képen egy névtelen olvasó azt kérdezi, hogykihez kell fordulni, hogy megtudhassa mi ez a fent148<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


látható titokzatos tárgy, amelyet egy antikvár bolhapiaconszerzett.Az olvasó az iskola padjaiban nyilván nem tanulta(meg) hazája történelmét, azaz Olaszoszszágtörténetét. Hogy kié a hiba, nem tudni: az olvasó vagya történelemtanárok mulasztásának tudható-e be, akiknem oktatták Itália legősibb népeit, s azok közül aleghíresebb és legrejtélyesebb nép, az etruszkoktörténetét... Amint a kép alatt említett folyóiratbanmegláttam a rejtélyes tárgy felvételét, azonnaleszemben jutott a piacenzai bronzmáj, amelyre hasonlít.Szerény véleményem szerint az olvasó szakavatotttudós kutatórégészekhez kell, hogy forduljon, rajtamkívül ők lényegesen többet tudnának mondani róla. Aképről nem derül ki, hogy ez a máj is bronzból van-evagy terrakottából, hogy valóban eredeti antik, etruszkrégészeti leletről van- e szó, avagy másolatról,hamisítványról. (Nb. az etruszk bronzfarkasról iskiderült, hogy nem etruszk lelet, hanem későbbi korihamisítvány, de erről továbbra is nagyon hallgatnaktovábbra is és etruszk antik leletként emlegetikmindenütt! Erről írtam is az Osservatorio Letterario2007. tavaszi és a nyári számában olaszul és magyarulegyaránt.)A piacenzai bronzmájról néhány öszzegyűjtöttfelvétel tanulmányozható az eredeti olasz nyelvűcikkemben.Annyiból valóban rejtélyes tárgy, hogy mindmáig nemsikerült megfejteni az etrusz nép és írásának rejtélyét, atöbbféle teória és hipotézis még nem vált biztos,tudományos megállapítássá.Az olasz nyelvű eredeti cikkemben felhoztam abronzmájjal kapcsolatos teóriák közül néhányfeltételezést Massimo Pittautól (ld.http://web.tiscali.it/pittau/Etrusco/Studi/fegato.html szájtot), aki azistenek nevei mellett teszi le a voksot. Idéztem Dr.Giulio Facchetti tanulmányát, amelyben az istenekteóriája mellett megemlíti az etruszk írás földrajziértelmezését, olvasatát.(Ld.http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Etruschi/fegato.htmlszájtot.)A földrajzi értelmezés hipotézise mellett tör lándzsát ahttp://www.cairomontenotte.com/abramo/1-etrusco.htmlszájton olvasható írás szerzője is egy az egybenközölvén Dr. Facchetti tanulmányában e hipotézisrevonatkozó sorait kijelentvén: «a májat jelenlegjövendölés célú reprodukciónak értelmezik. A májminden egyes részén a feliratok etruszk istenségek nempontosított neveire utalnak. Valójában földrajzi nevekrőlvan szó.»A fentiekkel ellentétben, lényegesen eltérően KúrGéza egészen más véleményen van, amelyről MesterházyZsolt A magyar ókor, (Magyar Ház Könyvek,Kárpáti Ház, Budapest, 2002, 346. l.) c. könyvében akövetkezőket írja:«Nagyon érdekes és kulturtörténeti szempontbóltalán a legérdekesebb etruszk írásos emlék a piacenzaibronzmáj, amit feliratának megértése után nemcsak azetruszk orvosnövendékek egyik taneszközének nevezhetünk,hanem - mint ilyent – ami a mai orvositudomány gyakorlati körébe is beleillik, az etruszk nyelvhelyes megértésének eddig ismert egyetlen megbízhatóellenőre gyanánt könyvelhetünk el.A bronzmáj-tábla felirata utasítást ad az orvosnak,hogyan viselkedjék egy részeges beteg ember vizsgálásaközben, leírva pontosan a vizsgálat menetét is. Ezutóbbiról meg kell állapítani, hogy a máj nagyon jórajzába beleírottak: az elképzelt részeges beteg emberbetegségének tünetei mind valószínűek, és helyes azorvosi vizsgálat menete is...A bronzmáj rajzának szakaszaiba beírt etruszkszöveget magyar szavak való felcserélése után a beírtszöveget összefüggő összefüggő egészbe az alábbiakszerint foglalhatjuk félreérthetetlenül helyesen:Az orvos a hozzá vitt betegről rátekintés utánkimondja: betakarni, részeges. Aztán dorgálja, dekevés szidás után után barátságos lesz, majdkicsinyenként nagy szeretettel vizsgálni kezdilefektetve, miközben enyhítésére a tátott szájábavizet csepegtet. Ennek során megállapítja: gyulladásos,úgy van, gyulladás (!) és kimondja később:köve van a betegnek. Majd a kétségtelenül megijedtbeteget biztatja: izzadás csökken, a daganat lappad,s mert emelkedett hangon kijelenti: szél erősencsikarja, a beteg azt hiszi, hogy nem veszélyes abaja, tehát növekedik a kedve, javulás mutatkozik,fel tud állni.A vizsgálat azonban tovább folyik. Az orvos keze hirtelenrátapint a fájdalmas pontra, amire a páciens ahalált hívja lázas izgalommal. Az orvos a kétségbeesettbeteget okosan dorgálni kezdi, s amikor ez asírbatételért könyörög, az elhangzott szavakra barátságosanfelelget.Vizsgálat közben az orvos keze tapogatva nyomkodjaa helyet, ahol a tüzes daganatot konstatálta, smost csak bizonytalan hangon biztatja a beteget,aki kesereg a tapogatás alatt, mert azt hiszi, hogy agyulladás miatt nem gyógyul meg soha. Erre azorvos emelkedő hangon megismétli az első pillanatbankimondott diagnózisát: részegség miatt! Úgyvan!Kúr Géza jelentős részben Jules Martha francia kutatóratámaszkodva adta meg a máj feliratainak megfejtését.A másnapos képzelt beteg - hipochonder - „kezelése”és megfejtése nemcsak a korábban istennevekettartalmazónak gondolt bronzmáj szerepét helyezheti újmegvilágításba, de káprázatos, emberközeli humorralecseteli tegnapi mulatós betegünk hánykódását élet éshalál között. Ha ez igaz lehet, nyilván a májjósokról ismódosul némelyest az eddig kialakult kép.»Nos, most melyik hipotézist, teóriát fogadjuk el? Azút még hosszú ahhoz, hogy az etruszk-kérdéstmegoldottnak tekinthessük. Ne feledjük, bármilyenteóriáról is van szó, addig nem tekinthető véglegesnek,amíg megdönthetetlenné nem válik, amíg az természetétőlfogva rugalmas és az új adatok következtébenalapjaiban megváltoztatható, s amíg nem vonható leegyre tágabb általánosítás. A brit fizikus, a világ eddiglegfontosabb és legismertebb fizikusainak egyike,Stephen William Hawking (sz. 1942), a Big bangtól afekete lyukig c. könyv szerzője szerint bármely teóriacsak ideiglenes és csak hipotézis marad, amíg biztosvéglegességgel nem igazolhatjuk. Még akkor is, ha egykísérlet eredményei összhangban vannak egy teóriával,s addig nem lehetünk biztosak, amíg egy következőkísérlet eredményei ellentétesen megcáfolják az előző-<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 149


eket. Elég egy elmélet megdöntéséhez csak egymegfigyelés, amely ellentmondásba kerül maga a teóriajóslásaival. Tehát a nagy fizikus szavai érvényesekminden tudományos diszciplinára, így természetesen alingvisztikára, a történettudományra is, s természetesenugyanígy az etruszkológia kutatásaira, mindaddig,amíg valóban fény nem derül az etruszkok történelmére,az etruszk írás biztos megfejtésére. Amíg ez nemtörténik meg, addig megmarad a rejtély.Első publikáció az Osservatorio Letterario 2008. november21.-i online függelékében:http://www.osservatorioletterario.net/oggettomisterioso.hu.pdfLink:Eredeti olasz cikk: Oggetto misterioso...KÖNYVESPOLCDr. B. Tamás-Tarr Melinda- <strong>Ferrara</strong> (I) -Benke Rita – Göbölyös N. László:KÖZTEDÁLLAPOTOK – IKERVERSEKFérfi és nő. Nő és férfi. Valaha egyekvoltak. Jóval az özönvíz és a bűnbeeséselőtt – az idők kezdetén. Az újra eggyéválás hajtja őket, az időtlen-idők ótatartó keresés és arátalálás reménye.Eggyé olvadás– szétválás körforgása évezredekóta.Vannak szerencsések, akik márnem keresnek tovább, olyanok,mint a boszorkány és a bolondBenke Rita és Göbölyös N. Lászlókötetében. A mesék két kirekesztettje,üldöztetések céltáblájaegymásra talált.Párbeszédversek, ikerversek, köztedállapotok – ahogya szerzőpáros fogalmaz. 136 oldalon szerelmes szavakés Benke Rita népi motívumokkalátszőtt illusztrációi vezetik végig azolvasót azon az úton, amit egy férfiés egy nő kapcsolata során bejárhat.A kötetet olvasva kívülállóként isérintettek leszünk, nemcsak titokbanleskelődünk a hálószoba kulcslyukán,hanem ráébredünk saját, amúltban vagy épp a jelenben megéltérzéseinkre, és felidézve ezeketrészesévé válunk a csodának.Rokonlelkek egymásra találása,az első szikrák fellobbanása, afokozódó vágy, a beteljesülés, aboldogság el-vesztésének félelme,mind-mind visszaköszön a lapokon.„extázisévtizedeken átnyújtottkifacsartszerteszaggatottszaxofonpanaszaz asszony a férfiés a szentélyükbe bújtlélek nevébenvalahol a magasságos bűnsötétségeibenfoszforeszkáló terhével”Hol misztikus magasságokban járunk,hol a blues-rock poézisekegyszerűsége ragad meg, hol pediga már-már közhelyszerű fordulatok,az ismerősen csengő szavak, amelyeketmégsem érzünk itt és mostelcsépeltnek vagy giccsesnek, ésépp azért nem, mert érzelmekrőlvan szó. Ezerféléről, amely egyszerelemben csak felbukkanhat.„Mint szakadékszélén meredekjajgatássikolt bennema vadorzó hiányhajamon vágyakozássírdogál”„Még mindig álmodsz, én ébredek.Nem tudom, hol vagyok, álmodbansuhog a vérem, vagy álmombanvált üstdobbá szívem. Ébredek.Három múlt, az ég még nem dereng.Hunyt szememmel meglátom szemed,oszlik a félelem, messze vagy, mégismegérint kezed, mint a Teremtés freskónér össze Ádám ujjával Isten alkotó keze.”A szerzők maguk sem tudjákmár, hogy akkor és ott kinek azérzése volt, amit papírra vetettek,és amelyek most versfolyamkénthömpölyögnek oldalakonát ciklusokra bontva.16 hónap gondolattermésétaratta le Benke Rita és GöbölyösN. László, és formálta kézzelfoghatóvalósággá szerelmüket. Önmaguknak,és másoknak is megmutatva, hogy igenishosszú az út, ami a „köztedlétbe” vezet, és amikor márnem is várjuk, akkor talál ránk az a bizonyos kék madár.„Valaha volt életek rezegtek sejtjeimben,sorsok, beteljesült, győztes szerelmek,pogány sámánok, megbocsátó istenek,dalban oldott táncok, márvány szemrebbenések,mint mozdulatlan vízfelszínen a palotákés nyomor ácsolta kunyhók együtttükröződtek.És már tudtam…150<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


HASZNOS HÍREKtéged ígért a várakozás.A keleten felszálló nappal(mint mennyasszony ruhájú,vadon nőtt meggyfa)virágot bontott az áhítat.”A Köztedállapotok – Ikerversekegyszerre hit, vallás éshitvallás férfiről és nőről, ésazokról az érzésekről, amelyekösszekötik őket.Erdős Olga- Hódmezővásárhely -«Egybeszőtt varratok vagyunkalattunk a nemlétnyugvó sebe.» [pp. 135]Olasz irodalmi kávéház nyílt Budapesten: Olaszirodalmi kávéházat nyitott 2008. november 8-án a PolisNemzetközi Egyesület a budapesti Olasz Kultúrintézetszomszédságában. A Bródy Sándor utcai kávéházirodalmi estékkel, könyvbemutatókkal, kiállításokkal ésolasz könyvesbolttal várja az érdeklődőket -tájékoztatta a sajtót Giuseppe Monsone.Az egyesület elnöke elmondta: a Polis megalakításánakötlete Magyarországon tanuló és dolgozó olasz,valamint Itália kultúrájához kötődő magyar fiatalokfejében született meg néhány hónapja. TalálkoztakSalvatore Ettorréval, az Olasz Kulturintézet igazgatójával,aki az épület szomszédságában található egykoriolasz kávéház megnyitásához keresett ötleteket, ésmegtetszett neki a Polis koncepciója - számolt be akezdetekről az egyesület fiatal vezetője.Giuseppe Monsone megfogalmazása szerint a Poliscélja, hogy a mai olasz kultúra ne csak egy szűkréteghez jusson el Budapesten, ezért akarnak nyitni afiatalok felé. „Nem csak a pizzáról, a designról és adivatról szeretnénk ismertek lenni a szemükben” - tettehozzá.A Polis elnöke hangsúlyozta, nem egyszerű kávézótnyitnak, hanem egy szalont, ahol a fiatalok találkoznitudnak majd. „Könyvesboltot is üzemeltetünk, de eztnonprofit alapon tervezzük működtetni. Megállapodtunka két legnagyobb olasz kiadóval, a Mondadorival és aMulinóval, így ugyanolyan áron tudjuk árulni aköteteket, mint amennyiért Itáliában kaphatók” - árultael Giuseppe Monsone.Hozzátette, a kiadók egy-egy ingyenes példányt isadnak minden könyvből, így helyben olvasásra is leszlehetőség: „akár egy kávé mellett el lehet majdüldögélni egész nap, és irodalomról beszélgetni, olvasni,este zenét hallgatn”.Az egyesület célja, hogy minden hónapban legalábbkét kulturális programot szervezzen; az első eseményKondor Attila fiatal magyar festő szombaton nyílókiállítása lesz - közölte Giuseppe Monsone. Minthozzáfűzte, sikerült megállapodniuk Baán Lászlóval, aSzépművészeti Múzeum főigazgatójával is, hogy azérdeklődők számára látogatást szervezhessenek amúzeum restaurátorműhelyébe.A Polis vezetője megjegyezte, a kávéház az olaszországiösztöndíj-lehetőségekkel kapcsolatos információspontként is üzemel majd.A november 8-án délután fél 6-kor kezdődőünnepélyes megnyitón jelen volt többek között GiovanBattista Campagnola, az Olasz Köztársaság budapestinagykövete, Salvatore Ettorre, Szörényi László, voltolaszországi magyar nagykövet és Szőnyi Zsuzsa, alegendás római Triznya-kocsma alapítója. (Forrás:MTI/PRAE.HU)POSTALÁDA2008.08.29. 00:43 U.S.A.Kedves Melinda!Örülök, hogy megkapta a tanulmányt! Nagy érdeklődésselolvastam kedves Édesapja írását. Az ember ráérez az igazságra, attólfüggetlenül, hogy a világ bármelyik sarkában él.Prof. Emillio Spedicatonak az édenről szóló cikke serkentett arra,hogy a folyóirat részére a témát feldolgozzam. Tudom ilyen keretekközött nagy fába vágtam a fejszét, de remélem a dei minori gentilimegbocsátanak érte.Ámbátor az édennel már sokan foglalkoztak. Sőt publikáltam én isegyet mást felőle, de eddig kimondottan nem foglalkoztatott a téma.Lehet sig. Spedicato dolgozatában bizonyosan fogunk találni egy-egymeglepetést.Részemről azért választottam ezt a rendhagyó témakört, hogyEmillio folyamatban lévő munkáját ezen sajátos eszmefuttatásvalamilyes módon kiegészítse.Az egyes kitérőkre pedig azért volt s lesz majd szükség, hogyegyben megvilágítsuk v. fókuszba hozzuk az idők folyamánőstörténelmünk s történelmünk révén felmerülő megoldatlannak tünőproblémák hátterét is.Saját tapasztalataim révén tudom: szükségszerű egy bizonyosérett tudat arra, hogy a dolgok lényegébe az ember beleláthasson.Tudja egy időben Perugiában Dante lekturákat hallgattam a nyáriegyetemen. De sajnos (nem a nyelv miatt) akkor éretlen fejjel mégédes keveset fogtam fel belőle. Ma már szentül meg vagyokgyőződve, hogy az, aki Dante költészetét, avagy mondjuk Petrarcaszonettjeinek bennső lényegét szeretné igazán méltányolni, annaknem annyira az irodalomtörténetet kell tanulmányoznia, hanemelsősorban át kell esnie azon a korral járó izén, amit manapság ugye"plátói szerelemnek" hívnak.Ez máskülönben egy szakálas téma! Tessék, Zeus atya sem merőszórakozásból rabolta volt el a fiatal Európát, a nyelvek azt suttogják,hogy a vín istennek hátsó gondolatai voltak. Azóta sem sokatváltozott a világ: Adynak volt Csinszkája, Vörösmartynak Laurája(?).Sõt képzelje, Arany Jánosnak is létezett egy titkos valakije, mikor egykülönös hangütésű strófát jegyzett be egyszer az egyik tanítványaemlékkönyvébe. (Lásd: Egykori tanítványom emlékkönyvébe)Ugye Petőfi nem érhette meg ezt az érett kort, de mintha idejébenelőre megérezte volna, mikor ezt írta:Légy tükör, melyből reám nézEgész, egész életem, melynek legszebb két virágaA múlandó ifjuság s a múlhatatlan szerelem.És ha netán valaki megérné s mondjuk történetesen átélné ezt aszintet, ez csupán ugye csak az első lépés lészen, mert innen fel kellmagát tornásznia egy másik morális magaslatra: az ún. Agapészintre, melyet az isteni szeretet jelképez.Így énekel felőle Dante:De folyton-gyors kerékként forgatottVágyat és célt bennem a Szeretet, melyMozgat napot és csillagot.Mégegyszer köszönet a segítségért!Szívélyes üdvözlettel: Imre.2008.09.09 18:29 U.S.A.Drága Melinda!Remélem nem haragszol a közvetlen megszólításért! Ezelőtt kétévvel váltottunk levelet, amikor oly kedvesen segítettél MagyarAdorján olasz kiadású könyveinek nyomára bukkanni. Sajnos nem<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 151


sikerült.Most is Magyar Adorjánnal kapcsolatban jelentkezem. Mintművész, nyelvész, néprajzos hosszú életét a magyarságműveltségének tanulmányozására szentelte. Korunkat száz évvelmegelőzve jutott arra a meggyőződésre, hogy az európaiősműveltség alapjait népünk ragozó nyelvű ősei rakták le.Legszentebb jelképünknek a Csodaszarvast tartotta, kit Istenküldöttének ismert fel hagyományaink tükrében, a csillagos égmegszemélyesítőjének.Adorján legnagyobb álma egy hatalmas Csodaszarvas szoboremelése a Gellért-hegyen. Szeretném e gondolatot elhinteni népünkkörében a valahai valóra válás reményében, akkor is, ha magam márnem lehetek ennek örvendező tanúja (78 éves vagyok). De addig istenni szeretnék mindent, amit lehet!Gyakorlati érzékem a semmivel egyenlő, s a megvalósulás számosjó magyar munkája lesz, Isten segítségével.A szobor megvalósítását két oldalról tudom elképzelni: az egyikoldalról magának a szobornak a legalaposabb kidolgozását képzelemel, másik oldalról viszont a mai lehetetlen körülmények között ismegteremteni ennek lehetőségét.Szeretnélek megkérni kedves Melinda ezen gondolat támogatására,s az alakítandó kuratóriumban való részvételre. Ezen túmenőengondolataidat, tanácsaidat hálásan köszönném.Fentiekben mellékelem a Csodaszarvassal kapcsolatosgondolatokat.Hálával és szeretettel,Zsuzsa2008.09.13. 00:17 ItaliaCara professoressa,no so se si ricorda di me...le scrissi un po' di tempo fa perchéstavo scrivendo la tesi e lei mi consigliò un po’ di pagine web... lepromisi che dopo la laurea le avrei scritto per farle saperel'esito...quindi come promesso, la informo che è andato tutto per ilmeglio, ho avuto 110 e lode!Anche se non l'ho mai conosciuta di persona, grazie di cuore...Assunta Ambrosio2008.09.13. 01:19 <strong>Ferrara</strong>Carissima Assunta/Assia,vivissime e sincere congratulazioni!!!! Grazie per la bellissima notizia.Saluti cari,Mttb2008.09.16. 16:49 RomaDrága Melinda,csak röviden zavarlak, mert látom, hogy egyre többet vállalszmagadra: le a kalappal! Nagyon jól teszed, hogy továbbtanulsz,biztos vagyok benne, hogy kitűnő eredményeket fogsz elérni.Sajnos teljesen kifutottam az időből a most megjelenő számotilletően, túl sok munkám volt, de a következőt nem hagyom ki, márel is kezdtem anyagot válogatni. 2-3 héten belül küldöm a fordítást,a magyar eredetivel.További jó munkát és tanulást kívánok, jó egészséget és erőthozzá!Sok szeretettel ölellek,Andrea2008.09.22. 14:03 VeszprémKedves Melinda !Az Osservatorio Letterario 65/66. számát a mai postával megkaptam,köszönöm.Paczolay Gyula2008. 09. 22. 16:56 BudapestKedves Melinda!Megkaptam a folyóiratot, nagyon szép, érdekes, igényes. (…)Köszönettel,Göbölyös N. László2008. 09. 23. 16:51 BudapestMelinda, kedves,Láttam a web-javítást, köszönöm szépen - és jól mutatnak ottRitám képei is.Én átböngésztem közben a folyóiratot, sok érdekesség van benne,különösen tetszenek a kortárs olasz versek - mennyire más, mint abeszélt olasz nyelv, amit annyira imádok! Elolvastam a magyartörténelmi áttekintést is, nekem, mint gyakorló történésznek,túlságosan elfogult a megközelítés, a dolgok soha nem ennyirefeketék és fehérek...Érdekesek a fordítások is, különösen az Ady-verseké, igazábólérdemes lenne csinálni akár egy fordítói versenyt, hiszen ahányember, annyi fordítás, ezt tudjuk a fordított felállásban, amikormagyar költők ültetnek át magyarra más nyelvből.További jó munkát kívánok Önnek, jó egészséget!Üdvözlettel,gnl2008. 09. 24. 19:16 Gödöllő-Máriabesnyő+!Megjött a folyóirat, köszönöm szépen. Amit már megnéztem belőle,mutatós darab, és ha így folytatod, végül évi négy hatalmas kötetteljelensz majd meg, és az egyetemisták legnagyobb mérgére kötelezőolvasmány lesz az OLFA, amit kézben amúgy sem bírnának el, tehátjobb nekik a neten.Szeretettel:Gyuri2008. 09. 25. 22:14 Buonos Aires (Argentina)Tante grazie, cara Melinda!Oggi è arrivato il numero 65/66 dell’Osservatorio Letterario, con laversione ungherese del mio “Ombrello”.Un bacio,FerShttp://www.fernandosorrentino.com.ar2008. 10. 10. 18 :32 <strong>Ferrara</strong>Hola Fer,muchas gracias Fer para la presentación de informes de recepción.Estimado saludos y beso,Melinda2008. 10. 03. 09:40 RómaDrága Melinda,remélem, hogy a párizsi út nagyon szépen sikerült. Közbenmegkaptam az Osservatorio új számát is és ez még tartalmasabb,mint az előzőek, talán valamit félre is tehettél volna a sok pompásanyagból esetleges inséges időkre. Olvastam természetesen avezércikkedet is, sokszor beleképzeltem már magam a helyzetedbeés tudtam, hogy mennyire áldozatos az újság körüli tevékenységed,de ez alkalommal egy pontos képet nyertem róla. Hatalmas, nagyonnemes munkát végzel!Gratulálok édesapád 80. születésnapjához és munkásságához is,komoly értékeket tanított és adott át Neked.Mellékelem a fordításomat az új számhoz, Kosztolányi "A vörösszék" c. elbeszélése. Talán jelentkezem még lapzárta előtt (mikorlesz?), mert készül nyomdába egy fordításom, Földényi F. László egyragyogó esszéje fog hamarosan megjelenni, még idén, jövőjanuárban pedig egy nagyon szép regény, de erről majd időben.További jó munkát kívánok, sok szeretettel,Andrea2008. 10. 03. 19:01 <strong>Ferrara</strong>Drága Andrea!Megkaptam - mint mindig - nagyszerű munkádat, nagyon szépenköszönöm.Ugyancsak köszönet az ismételt elismerésért és édesapámnakszóló gratulációért. Igen, tőle, mi gyerekei valóban nagyon sok éskomoly értékeket kaptunk.Január közepétől már véglegesen szerkesztem a folyóiratot.A párizsi utunk jól sikerült - leszámítva a megfázást, már ígyindultunk - , s ha lesz rá időm, erről is beszámolok. Rengeteg képetkészítettem.Indulás előtt sikerült az egyetemi master első moduljánakvizsgatesztjét elvégeznem 42/50-es értékeléssel (az első kísérletre38/50-re sikerült: max. két lehetőségünk van, s a legjobbpontszámot számítják be). Borzalmas, felfoghatatlan, bolhabetűs,50 oldalas szöveg volt. Nem tudom, a záróvizsgára mennyi maradmeg bennem ebből a modulból. Észbontó volt ez az anyag, minthakínaiul lenne! Ráadásul szerintem, nem a legsikeresebb, innenonnanlett összevagdalva. Ezek az egyetemi master-profok úgylátszik oldalszámra kapják a fizetésüket. De legalább érthetőlenne! A második modul valamivel megemészthetőbb. Még nemvégeztem el a vizsgatesztet, de a napokban szándékozom. A másikmasternél már négy modult átrágtam, de még nincs évközivizsgalehetőség, ugyanis eddig nincs semmi teszt-lap ezzelkapcsolatban, bár az általános tájékoztatóban szó van évköziértékelésről. Lehet, hogy majd az első 8 modul elvégzése után leszrá lehetőség. Egyelőre nincs erről semmiféle információ.További jó munkát és egészséget kívánok sok szeretettel, várva152<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


az említett munkáidról a híreidet, hogy még bekerülhessen a lapba:Melinda2008. 10. 04. 05:21 Wellington (Új-Zéland)Kedves Melinda,mindenekelőtt gratulálok kiváló vizsgaeredményéhez! Akármilyenidegen nyelv megnehezít akármilyen egyetemi vizsgát és ez alólmég a csodálatosan muzikális olasz nyelv sem menti fel a zabszemtortúránátmenő delikvenseket! Szerény egyedemmel szaporult aMelinda-drukkerek száma, mert, ha jól értettem, lesz még egy-kétalkalom a "megmérettetés"-re! Egyébként őszinte reményem, hogya vizsgáknak végülis anyagiakba fordítható értelme lesz, mert a"megmérettél és életre méltó súlyúnak találtattál" ítélet, ha csakköztiszteletre ad bizonyságot, nagyon sovány jutalom lenne a sokfáradságért és a meg-nem- érdemelt izgalomért, amelyet egy ilyenvállalkozás igényel!Nagyon élveztem (élvezem) Mátyás korának leírását! A megelőzőtörténelmi fejezetek kronológiai sorrendjével szemben ez a részinkább harántszeletekkel mutatja be azt a korát történelmünknek,amelyet az olasz-magyar történelmi viszonyunk fókuszpontjánakismerhetünk el! A királyi dinasztiák egyesülése volt a forráspontjaegy olyan szellemi csereforgalomnak, amely tulajdonképpen areneszánsz magyarországi felitatását foglalja magába! Mátyás erejenélkül sok minden nem lenne ma országunkban! Minden olyan,aminek a reneszánsz az alapja! És nem is csak a művészetekkülönböző ágainak fejlődésére gondolok! Minden, amit a korprodukált Magyarországra egy kirakattá szélesedett ablakonözönlött át a nyomtatástól a puskaporig! Ha eddig a korszakig Ázsiahatára voltunk, ettől a kortól Európa végváraivá lettünk! Ésnemcsak hadászatilag!Belátom, hogy a kódexek színes reprodukálásához nincslehetőség, de a kiváncsiság ördöge nem akar elaludni bennem ésfeltétlenül be fogok szerezni erre vonatkozó színes reprodukciókat,hogy a kódexek miniatúráit is végigpásztázhassam! Apám, mégportréfestő korában, Rómában, ahol műterme volt, megtanultminiatűröket is festeni. Ezek a művei mindig elbűvöltek! Csaknemnegyven esztendős korában lett tolnai ügyvéd, miután nagyapámletette a lábát, amikor megúnta atyám több évre nyúló külföldibohémkedéseit. Nagyapámnak ez a kifejezése valamiféle züllésretesz homályos utalást, de ez még londoni tartózkodása alatt semvolt érvényes, ahol szintén másfél évig portrézott! A kódexekrevisszatérve: nekem különleges élvezetet adnának, noha én csakemblémákhoz és családi címerekhez vagyok szokva apám munkáitismerve!Nagyon sajnáltam, hogy nem tudok olaszul, amikor a Nyugatosokneveire való utalásokat böngésztem! Érdekelne, hogy a Nyugatmilyen irodalmi látvány lehet olasz intellektuális szemmel?! Mert ami szemünkben, ha a nyelvújítás vetése volt az új vetőmagnak, aNyugat feltétlenül aratás, de mindenesetre olyan virágbaborulása amagyar irodalom faunájának, ami valószínűleg nem ismétlődiksoha!Kegyed irodalmi törekvései azért kiválóak, mert a nyugatosokabszolút mércéje az egyetlen mérték! Ezért gratulálok ehhez adupla számhoz is!Kézcsókkal: Imre2008. 10. 09. 21:29 HódmezővásárhelyKedves Melinda!Nagyon köszönöm a párizsi lapját, a héten megérkezett, aszicíliai "nyaralásunk" alatt pedig az Osservatorio Letterarioaktuális dupla száma is. Utóbbit már néhány napja olvasom,nagyon tetszenek Czakó Gábor nyelvi elmélkedései, esszéi, sokérdekes és a leírtak után kézenfekvőnek talált gondolatot találtambennük.Örömmel fedeztem fel újra Benke Rita szuggesztív erejűfestményeit, amelyeket volt szerencsém tavaly augusztusbanBudapesten is látni. Itt is, akárcsak az Ön által írt útibeszámolókképeit nézve jutott eszembe, hogy még jó, hogy van onlineváltozata a folyóiratnak, így legalább ott színesben is láthatóak aképek.Milyen volt a párizsi pihenés? Sikerült a magyar nagyjainknyomdokait bejárva felfedezni a várost?Nekünk a szicíliai egy hét meglehetősen rövid volt ahhoz, hogy asziget minden nevezetességét bejárjuk, így is többet kirándultunk,mert az időjárás nem nagyon kedvezett a strandolásnak - jövőreviszont már biztos, hogy júliusra időzítjük a szabadságokat. Magaa sziget kicsit ellentmondásos volt, kicsit (nagyon) szemetes, aközlekedés tényleg kaotikus, de szerencsére a bérelt autó ellenéreis megúsztuk mindenféle baleset nélkül az ottlétünket. JártunkSegestában, San Vito Lo Capo-ban kuszkusz fesztiválon, Ericében,az Etnánál, Taorminában és Palermóban is. Sikerült vagy kétszázfelvételt csinálnunk, meg már elkezdtem egy kisvisszaemlékezésfélét írni a blogomban, de még nem értem avégére.http://lunapiena.freeblog.hu/archives/2008/10/01/Erdos_Olga_Orszagok_emlekek__Szicilia/Még egy hír, jövő pénteken lesz a kötetbemutató itt Vásárhelyena könyvtár olvasótermében, ma kaptam meg a meghívókat,egyszerű lett, de szép, majd próbálom holnap beszkennelni éselküldeni Önnek is. Aztán remélem, hogy nem lesz igaza SenorAmericonak (ha már megszólítattam általa az Önöklevelezésében), és lesz folytatás is valamikor, anélkül, hogylehúzna a magyar ugar vagy hogy a Hortobágy poétájává,poetessájává válnék :).Még jelentkezem szicíliai képekkel, illetve ha előbb nem is,akkor a beszámolóval, hogy hogy sikerült a bemutató.Addig is szeretettel ölelem, és várom majd a párizsi beszámolóját.A tanulmányaihoz pedig kitartást!Olga2008. 10. 09. 23:47 <strong>Ferrara</strong>Kedves Olga!Köszönöm jelentkezését és a küldemények megérkezéséről ahíradást és a rövid beszámolóját, valamint az O.L.-banolvasottakra írt kezdeti reagálását. Párizsba érkezésünk napjánakéjjelén írtam a képeslapokat, s a nagy sietségtől és fáradtságtól -ugyanis már ezen a napon rengeteget gyalogoltunk, barangoltunka városban - "Hongrie" helyett "Hongrois"-t írtam, de szerencséreez nem jelentett gondot, hiszen célba ért. Mindannyianelindulásunk pillanati állapotunknál nyavalyásabbak lettünk apárizsi klímától, gyermekem esetében, Párizsban ráadásul kiújulta gyerekkori, gyakori középfülgyulladása, sőt még légcsőhurutotis kapott. Már több mint egy hónapja nincs egészen jól, most párnapja voltunk szakvizsgálaton, s kiderült, hogy az egész légcsöve,elöl és hátul hólyagosan gyulladt! Nem csoda, hogy mégindulásunk előtt, amikor tüszős mandulagyulladása volt, utánaúgy érezte, hogy van valami a nyelve tövében és nyeléskor fájt,és kellemetlen volt maga a nyelési művelet is. Tehát, az idő amegfázásunk súlyosbodásának kedvezett inkább: az első nap,érkezésünk napján - vasárnap - szép napsütés volt, a naponnagyon meleg, annyira, hogy izzadtunk, az árnyékban hideg, s ezbizony kedvezőtlen volt mindannyiunkra nézve. Ugyancsak amásodik nap: szép napsütés volt ekkor is, de nagyon hidegszeles. Az utolsó két napon meg esett és fújt a hideg szél. A csakrészben mozgólépcsős, fülledt, levegőtlen meleg, metróbólfelkeveredve a hűvös és esős felszínre bizony nem a legideálisabbállapot.Ami Párizst illeti, nem csalódtam benne, a várakozásomszerinti kép tárult elém, s tudván, hogy eklektikus stílusú, nemlepett meg. Szerintem eklektikus mivoltában is megvan a magaszépsége, vonzása. Párizs, az Párizs... Egészségi állapotunk és aronda idő miatt a tervezettekből Versailles elmaradt. Mindennekellenére, egyébként minden jól sikerült, sok szépet láttunk. HaIsten is úgy akarja, már emiatt is visszatérhetünk Párizsba. Nomeg magában a városban van még látnivaló éppenelég. Mindenképpen nagyon elégedettek vagyunk. Rengetegképet kattintottunk Férjem is és én is ezren felül! Hogy mikorfogom tudni megírni a párizsi beszámolót, fogalmam sincs, méga nyári toszkánai beszámolóval is adós vagyok. Most a tanulásminden ilyesmiben hátráltat. (Két időközi vizsgát már le is tettemaz első két modulból 42/50 és 14/20 eredménnyel... Az elsőtindulásunk előtt pár nappal, a másodikat meg most hetedikén.)Párizsról még röviden: abszolút nem tetszett a metrójuk, amelyEurópa egyik legrégebb és legkorszerűtlenebb metrója (!!!), csakrészleges mozgólépcsősor van, nehéz bőröndökkel katasztrofális aközlekedés; fülledt meleg, szinte szauna van mind az állomásalagútjában, mind a kocsikban, s ez is kedvező lehetőség volt amegfázásra, hiszen a felszínre kerülve izzadtan szembetaláltukmagunkat az elmaradhatatlan hűvös széllel. Ami meg különösennem tetszett: a párizsiak modortalansága!!!!!!!!! Azt hittem, hogyaz olaszok a legmodortalanabbak. Nem!!!!! Megváltozott avéleményem: a párizsi franciák óriási bunkók! Ki nem kerülnének,ha az ember útjába kerülnek: a szó szoros értelmében fellökik azembert. Rohannak, nyomják előre, meglökik az embereket, akikelőttük vannak. Egy kb. 40-50 év közötti asszony így esett el ametrón az állólépcsőn lejövet! De még fel sem segítették! Mikor akiáltására hátrafordultunk és segítségére akartunk menni, láttuk,hogy már egyedül feltápászkodott a szerencsétlen. Kimondottantahók, bunkók. Hiába hordják fent az orrukat, különösen az olasz"unokatestvéreikkel" szemben: az olaszok messzemenően<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009 153


úriemberek hozzájuk képest!!!!A konyhájuk, amire szintén olyan nagyon büszkék, sőt a"világörökség" része lett, nem nagy eresztés!!!! Fogalmam sincs,hogyan nyerhették el ezt a címet! Nagyon gyér a választék azételek között. Világörökségnek kellene, hogy legyen inkább amagyarok és az olaszok konyhája!!!!! Nagyon ízlett viszont abaguettejuk és a croissante-juk, amit reggelire ettünk. Feketét(espresszót) nem tudnak főzni - akárcsak az amerikaiak - az olaszeszpresszó kávéfőző ellenére sem! Nincs hozzá érzékük.Sajnos a párizsi utunk miatt édesapám nagy okt. 2.-i akadémiai,kongresszusi szülinapi köszöntésén és a hivatalos ünnepiebéden nem tudtunk megjelenni, hiszen ezen a napon repültünkvissza: már augusztusban meg kellett rendelnünk oda-vissza arepülőutat és a szállást, a meghívó meg szept. 24-én érkezett,tehát későn. Visszamondani nem tudtuk, mert összesen 800,- Eu(repülőjegyek és szállásdíj) kidobás lett volna, ugyanis ekkor mársemmiféle térítést nem kaptunk volna vissza. Egyébként is csak aszállásból kaptunk volna valami visszatérítést, ha nem az utolsópillanatban mondjuk vissza. 4 nappal az utazás előtt már erre semvolt lehetőség, de még így is óriási ablakon való pénzkidobás lettvolna. Ráadásul 25 éve készültünk erre az útra, s mivel mindigvalami miatt le kellett mondanunk róla, férjem megígérte, haIsten is úgy akarja, a 25. házassági évfordulónkat Párizsbanünnepeljük. Ha édesapám szólt volna egyáltalán és időben,legalább két hónappal korábban, - de semmi értesítés semírásban, sem telefonon, a meghívót az akadémia titkársága küldte- akkor más időpontra halasztottuk volna, előrehoztuk volna apárizsi utunkat úgy, hogy még haza is tudjunk utazni. Hogy ahonlapomon hírt tudtam erről az eseményről adni, e meghívónakköszönhetem, s hogy elrepülésünk előtt az emlékkötetből isfeltehettem részleteket a Testvérmúzsákra(http://www.testvermuzsak.gportal.hu/gindex.php?pg=2639618&nid=4666187), azt pedig Dr. Paczolay professzor úrnakköszönhetem, mert szept. 24-én ő küldte meg nekem, s 26-án,rá két napra meg is érkezett. (Azóta frissítettem is a veszprémi TVvideójával is: http://www.osservatorioletterario.net/akademiaikoszontes.wmv)Édesapám csak a nagy esemény lezajlása után, de még azon anapon - okt. 2-án - írta minderről a beszámolót, mellékelvén adedikált emlékkötetet, s okt. 6-i pecséttel tegnap érkezett megcímemre, amelyben sajnálatát fejezte ki, hogy mi nem voltunkott.Örülök, hogy szerencsés volt sziciliai útjuk. A blogjában azelkezdett beszámolóját is - akárcsak ezen levelét - élvezettelolvastam.Előre köszönöm a meghívót, kár, hogy nem tudok elmenni odasem, de azért gondolatban Önnel leszek. El tudom képzelni, sokilyen saját és mások bemutatóján voltam - magam is tartottammások könyvének bemutatása gyanánt -, kívánom, hogyfelejthetetlen, szép élménye legyen ezen esemény is!Most már elköszönök, sok szeretettel ölelem és minden jótkívánok:Melinda2008. 10. 10. 10:02 RómaDrága Melinda,nagy örömmel közlöm, hogy Hász Róbert "Végvár"-a (Lafortezza) megnyerte a "Premio Biblioteche di Roma - Sezioneinternazionale" diját. Decemberben lesz a dijkiosztás.Szeretettel ölellek,Andrea2008. 10. 10. 10:13 <strong>Ferrara</strong>Drága Andrea!Köszönöm ezt a remek hírt, tiszta szívemből, őszintén osztozomörömödben és gratulálok!!!!Felteszem ezt a hírt is!Sok szeretettel ölellek:Melinda2008. 10. 17. 15:27 Conselice (Ra)Cara Melinda,ho già ricevuto da tempo la rivista e te ne ringrazio. Ho letto chehai studiato il pianoforte e che ami Mozart! Abbiamo forse piùcose in comune di quanto pensassi. Anch'io ho compiuto studipianistici in anni molto lontani. Senza ottenere buoni risultati,però. Mozart, poi, è da sempre il mio musicista preferito. Ho unabibliografia mozartiana piuttosto ampia, tenuto conto che nonsono un addetto ai lavori. Fra monografie specifiche, studi, librettie altro, posseggo oltre cinquanta volumi sull'argomento. Posseggoanche la prima edizione del libro L'assassinio di Mozart di GiorgioTaboga di cui si parla nella rivista.Volevo poi avvisarti che, nella rivista I B C potrai trovare un mioarticolo su Miró. Non so se tu la ricevi in abbonamento.Comunque, se vai sul sito internet, è on line l'ultimo numero.Ciao,Enzo2008. 10. 22. 18:54 Frankenthal (Germany)Aranyos Melinda!Isten éltesse sokáig édesapádat egészségben, vidámságban!Olvasgattam róla, gratulálok a kitüntetéshez, elismeréshez!Szüksége van a világnak ilyen nagyszerű emberekre!Sok szeretettel ölellek.Zsizel2008. 11. 03. 19:51 U.S.A.Kedves Melinda!Őszinte szíből gratulálok a sikereihez!!Szenzációsan sikerült az OLFA. Ami először megkapott, az azAdy versek.Tessék, Ady mindenkihez tudott a saját nyelvén szólni. Egyetérez velünk, s olykor mi is egyet vele. Nekem mindig a Hortobágypoétája volt a legkedvesebb. Érdekes, hogy maga most a Semutódja.. c. versét választotta. Hát mindenesetre maradjunk a"Sono di nessuno" mellett, talán így mutat legjobban olaszfordításban.Tudja Rómában ismertem egy poetessát, chi fu una carissimaamica mia. De honnan jött s hová ment és hogy mi lett vele,azóta ki tudja. A következő versikét ő publikálta:VORREIVorrei essere grande,vorrei essere infinita,vorrei lasciare inogni cosa un po’ dime stessa,vorrei con un sguardoabbracciare l'universovorrei con un respirorespirare il mondoe subito dopo sentirmipiccola, leggera, e libera.(Enza Zerbo)Viszont a Párizsban járt az ősz már egy más eset.Tagadhatatlan, hogy Párizsban való jártával Adyt megcsapta azimpresszionalizmus szele. Az ilyen poéma lefordítása igen delikátdolog, a kelleténél sokkal nagyobb odaadó figyelmet érdemelne.Magának Melinda nagyszerűen sikerült a fordítása.Csak legalább lenne egy terjedelmesebb magyar-olaszszótárom, és egy jóval frissebb olasz nyelvtudásom, akkor mostkedvemre lenne megbirkózni vele. De az olyan kifejezéseket,mint pl., beleremeg v. meghőköl, megtorpan - lehet mártalálkoztam vele -, de fogalmam sincsen, hogy most holkeressem.Szívélyes üdvözlettel: Imre2008. 11. 24. 11:30Cara Professoressa,ho ricevuto le tre copie della rivista. La rivista è ottima.Qualora abbia necessità di selezionare nuovi materiali, me ne dianotizia.CordialitàI.Pozzoni2009. 01. 12. 14:20 Bondeno (Fe)Melinda salutem!Ringrazio di cuore per avermi mandato il Periodico di cultura daLei fondato e diretto. L'ho trovato proprio interessante, ricco nelcontenuto, ben fatto e di agevole lettura. Egregie le pagineriguardanti la Storia dell'Ungheria, che presenterò in classe (5)quando affronterò questa parte del programma, la poesiaungherese del primo '900 e la recensione del Cantico diFrancesco. Complimenti, complimenti!!!CordialmenteAlessandra Saletti154<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>LETTERARIO</strong> <strong>Ferrara</strong> e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> <strong>XIII</strong> – <strong>NN</strong>. 67/68 MARZO-APRILE/MAGGIO-GIUGNO 2009


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