archivio storico messinese 72 - Società Messinese di Storia Patria

ARCHIVIO STORICO MESSINESE 

PERIODICO DELLA SOCIETÀ MESSINESE DI STORIA PATRIA 

Autorizzazione n. 8225 Tribunale di Messina del 18-XI-1985 -ISSN 0392-0240 

Direzione e Amministrazione 

presso l'Università degli Studi - 98100 MESSINA 

Sebastiana Consolo Langher, Presidente 

Maria Alibrandi, v. Presidente 

Vittorio Di Paola, v. Presidente 

COMITATO DIRETTIVO 

Rosario Moscheo, Tesoriere 

Antonino Sarica 

Giacomo Sci bona, Segretario 

Federico Martino Angelo Sindoni, Direttore Responsabile 

REDAZIONE 

Rosario Moscheo Antonino Sarica 

Giacomo Sci bona 

SOMMARIO: 

FRANCESCA PAOLINO 

PERMANENZA DI CARATTERI MEDIEVALI NELLE CHIESE 

DI ETÀ CONTRORIFORMISTA NELL'AREA DI MESSINA 

ANTONINO SARICA 

UNA MEDAGLIA CON L'EFFIGIE DI MONTORSOLI IN UNA COLLEZIONE 

PRIVATA MESSINESE 

ANGELO PETTINEO 

DOCUMENTI PER LA BOTTEGA DEI LI VOLSI DI TUSA 

VALERIA SOLA 

UN ALTARE DI PAOLO AMATO PER GIOJOSA GUARDIA 

CIRO D'ARPA 

NUOVI DOCUMENTI SU GIOACOMO SERPOITA: 

LA CHIESA DI SANTO SPIRITO AD AGRIGENTO 

SEBASTIANO DI BELLA 

SU ALCUNI INTAGLIATORI IN LEGNO A MESSINA NEL SECOLO XVIII 

YIRGINIA BUDA 

ROSARIO SPINA UN ARTISTA SICILIANO TRA "MACCHIA" E LIBERTY 

ELIANA PERGOLIZZI 

DISEGNI INEDITI DI EDIFICI REALIZZATI DA CESARE BAZZANI A MESSINA 

pago 5 

31 

41 

" 49 

79 

" 113 

" 121 

" 15 7 

BIBLIOTECA DELL' ARCHIVIO STORICO MESSINESE 

VoI. IV - Anna Maria Sgrò 

CATALOGO DEI MANOSCRITTI DEL FONDO LA CORTE CAILLER 

NELLA BIBLIOTECA REGIONALE UNIVERSITARIA DI MESSINA 

cm. 24x16 - pp. 400 - (Strumenti, 2), Messina 1985 

VoI. V - Brunella Macchiarella 

CULTURA DECORATIVA ED EVOLUZIONE BAROCCA NELLA PRODUZIONE TESSILE E 

NEL RICAMO IN CORALLO A MESSINA (Sec. XVII e XVIII) 

cm. 24x21,5 - pp. 152 - (Analecta, 1), Messina 1985 

VoI. VI - Diego Ciccarelli 

IL TABULARIO DI S. MARIA DI MALFINO' - VOL. 10093 - 1302) 

cm. 28 ,5x21,5 - pp. LXXXVIII + 400 - (Testi e documenti, 3), Messina 1986 

VoI. VII - Diego Ciccarelli 

IL TABULARIO DI S. MARIA DI MALFINO' - VOL. Il 0304-1337) 

cm. 28,5x21,5 - pp. 490 (Testi e documenti, 4), Messina 1987 

Vol. VIII - B. Baldanza-M. Triscari 

LE MINIERE DEI MONTI PELORITANI 

Materiali per una storia delle ricerche di archeologia industriale 

della Sicilia nord-orientale. 

In appendice la "Memoria" di C.A. Lippi edita a Vienna nel 1798 

ed un coevo manoscritto di P. Gambadauro (Barcellona, Messina) 

cm. 28,5x21,5 - pp. 400 (Analecta, 2) , Messina 1987 

Vol. IX - Litterio Villari 

STORIA ECCLESIASTICA DELLA CITTÀ DI PIAZZA ARMERINA 

(con Prefazione di Carmelo Capizzi S.].) 

cm. 24,3x21 - pp. 480 (Analecta, 3), Messina 1988 

VoI. X - Rosario Moscheo 

FRANCESCO MAUROLICO TRA RINASCIMENTO E SCIENZA GALILEIANA 

Materiali e ricerche 

cm. 28,5x21,5 - pp. 658 (Testi e Documenti,5), Messina 1988 

VoI. XI -AA.VV. 

MESSINA E LA CALABRIA NELLE RISPETTIVE FONTI DOCUMENTARIE 

DAL BASSO MEDIOEVO ALL'ETÀ CONTEMPORANEA 

Atti del l ' Colloquio Calabro Siculo (Reggio Cal. - Messina, 21-23 novembre 1986) 

cm. 24x17 - pp. 112 (Acta Fretensia, 1), Messina 1988 

Vol. XII -AA.VV. 

LAZZARETTI DELL'ITALIA MERIDIONALE E DELLA SICILIA 

Atti della Giornata sui Lazzaretti 

(Associazione Meridionale di Medicina e Storia, Messina 21 dicembre 1985) 

cm. 24x17 - pp. 112 (Acta Fretensia, 2) , Messina 1989 

Vol. XIII - Carmela Maria Rugolo 

CETI SOCIALI E LOTTA PER IL POTERE A MESSINA NEL SECOLO XV. 

IL PROCESSO A GIOVANNI MALLONO 

cm. 28,5x21,5 - pp. 462 - (Testi e Documenti, 6), Messina 1990

ARCHIVIO STORICO MESSINESE 

Periodico fondato nel Millenovecento

SOCIETÀ MESSINESE DI STORIA PATRIA 

ARCHIVIO STORICO 

MESSINES 

- 72 - 

MESSINA 1997


PERMANENZA DI CARATTERI MEDIEVALI 

NELLE CHIESE DI ETÀ CONTRORIFORMISTA 

NELL'AREA DI MESSINA 

Il tema è argomento di studio esplorato, per l'area 

messinese, in un breve saggio di Giuseppe Samonà 1 , ma 

solamente per aspetti particolari, attinenti a portali, finestre, 

capitelli di colonne o di pilastri ed elementi prettamente 

decorativi nei quali vengono impiegati stilemi di impronta 

medievale, ancora nel secolo XVI. 

Nell'ambito di una ricerca riguardante la produzione 

architettonica del Valdemone (l'antica area territoriale siciliana 

di cui Messina era città egemone) nei secoli XVI -XVII 

è stata individuata una tematica particolare ed inesplorata: 

l'insieme numeroso degli edifici di culto appartenenti alla 

temperie artistica tardo-rinascimentale aventi caratteri 

tipologici, spaziali e linguistico-formali peculiari e ricorrentiZ 

. 

Estese indagini hanno consentito lo studio di manufatti 

dislocati in altrettanti centri abitati dell'area sopra indicata 

che ripropongono l'adozione pressoché generalizzata del- 

l G. SAMONÀ, Elementi medievali nell'architettura del secolo XVI in provincia 

di Messina, Messina 1935. 

2 Gli esiti di tale ricerca sono in F. PAOLlNO, Architetture religiose a Messina 

e nel suo territorio fra Controriforma e Tardorinascimento, Messina 1995.

6 FRANCESCA PAOLINO 

la tipologia basilicale trinavata, di lontana ongIne 

primocristiana, che registra nel contempo le innovazioni 

concettuali e formali introdotte con la formulazione del 

modello gesuitico - per il ruolo che assume l'area presbiteriale 

- e l'adesione alla temperie artistica del tempo, attraverso 

l'uso di linguaggi architettonici e decorativi diffusi nella 

seconda metà del XVI secolo in aree peninsulari egemoni. 

Il fenomeno si spiega come risultato sincretico di tre 

circostanze fondamentali: 

a - la rilevante presenza nei maggiori centri isolani di 

cattedrali di età normanna, configurate secondo lo schema 

basilicale, la cui facies si era radicata profondamente nel 

sostrato culturale e religioso dell'isola 3 ; 

b - la corrente di pensiero che muove dalle risoluzioni 

conciliari tridentine verso la riscoperta e la valorizzazione 

delle antiche basiliche primocristiane, intese quali luoghi 

privilegiati di pellegrinaggio per il rinnovamento del fervore 

devozionale 4 , alla quale si affianca l'opera di San Carlo 

Borromeo che nelle sue Instructiones propugna la ripresa 

del modello chiesastico basilicale 5 ; 

c - la configurazione delle chiese brunelleschiane di San 

Lorenzo e Santo Spirito che sembrano avere avuto inaspettati 

echi in Sicilia fra gli esempi indagati ed in particolare 

nella chiesa parrocchiale di Alì. 

3 Gianluigi Ciotta, nel suo recente e poderoso lavoro sull'argomento (G. 

CIOTTA, La cultura architettonica normanna in Sicilia. Rassegna delle fonti e 

degli studi per nuove prospettive di ricerca, Messina 1992), indica come 

esemplare e per molti aspetti insuperato lo studio di Guido Di Stefano (G. 

DI STEFANO, Monumenti della Sicilia normanna, Palermo 1955). Per quel che 

concerne il solo esempio messinese, esso era stato preceduto da una piccola 

monografia di Bottari (S. BOTTARI, Il duomo di Messina, Messina 1929). 

4 S. BENEDETTI - G. ZANDER, L'Arte in Roma nel secolo XVI, Bologna 1990. 

5 A. SCOTTI, Architettura e Riforma cattolica nella Milano di Carlo Borromeo, 

in «L'Arte», XVII-XIX / XX (1972), pp. 55-90.

PERMANENZA DI CARATTERI MEDIEVALI NELLE CHIESE ... 7 

Ebbene, nel breve saggio qui proposto si cercherà di 

approfondire il primo dei tre "nodi" appena indicati perché 

esso sembra costituire un vero e proprio elemento di 

continuità che filtra attraverso esperienze plurisecolari, si 

adatta e si rinnova in circostanze storico-religiose profondamente 

mutate, riaffiorando in edifici di culto che, per 

altri versi, sembrano perfettamente aderenti al tempo 

della loro edificazione (seconda metà del XVI secolo - prima 

metà del XVII). Occorrerà tener conto, tuttavia, della seconda 

circostanza indicata, per tal uni particolari avvenimenti 

che sembrano interessare anche la Sicilia. 

Le grandiose cattedrali costruite in età normanna e conservatesi 

pressoché integre nel tempo considerato - quella di 

Catania verrà distrutta dal terremoto del 1693, quella di 

Messina sarà fortemente danneggiata e poi distrutta dai 

terremoti del 1783 e del 1908, ... - avevano costituito, in età 

medievale, altrettanti modelli per la costruzione degli edifici 

chiesastici dei centri minori punteggianti il territorio del 

Valdemone, adottandone tipologia e configurazione spaziale 

ad una scala ridotta e con programmi costruttivi più modesti. 

Le cattedrali di Messina, Catania e Cefalù, ovvero di città 

con elevate prerogative politico-sociali e religiose, costituiscono, 

geograficamente, i vertici di una ideale area territoriale 

assimilabile ad un triangolo e coincidente con l'antica 

giurisdizione territoriale messinese (Valdemone). Come già 

accennato, si ritiene che laconfigurazione di manufatti così 

prestigiosi e così fortemente caratterizzati per tipologia, 

impianto spaziale e risoluzione formale 6 si sia profondamente 

radicata nel sostrato sociale e liturgico-religioso della 

società siciliana in un lasso di tempo plurisecolare (secc. XII- 

6 Per approfondimenti sul tema si rimanda al saggio di G. Ciotta citato 

alla nota 3.


XV!), divenendo punto di riferimento ineliminabile per le 

costruzioni chiesastiche di età successive. 

Si è intravista poi, nella breve presenza in Sicilia? di 

Onofrio Panvinio (1567-68) una singolare coincidenza nell'affermazione 

e diffusione del fenomeno architettonico 

indagato: ovvero la ricostruzione di una numerosa serie di 

edifici chiesastici, nei decenni intercorrenti fra il 1580 ed 

il 1630, nei quali è stata sistematicamente adottato lo 

schema basilicale trinavato, attuato secondo linguaggi 

tardo-rinascimentali. 

Il Panvinio, frate agostiniano e membro della 'corte' del 

cardinale Alessandro Farnese è stato autorevole rappresentante 

di quella corrente di pensiero che a Roma annoverava 

prelati di spicco (Cesare Baronio, Pompeo Ugonio, 

Alfonso Ciaconio, ... ) e propugnava il recupero funzionale 

- attraverso restauri e parziali ricostruzioni - e concettuale 

- attraverso liturgie e riti particolari - delle basiliche 

primocristiane rappresentanti la memoria della religiosità 

dei primordi del Cristianesimo, cui si doveva ritornare per 

rispondere alla secessione luterana, rinverdendo nel popolo 

e nel clero la devozione e la spiritualità. Il Panvinio, in 

Sicilia al seguito del cardinale Farnese, vescovo di Monreale, 

inizia il suo iter nell'isola proprio da Messina e lungo il 

percorso tirrenico sosta, molto probabilmente, a Cefalù 8 

7 La notizia è ripresa da R. MOSCHEO, Mecenatismo e scienza nella Sicilia del 

'500. I Ventimiglia di Geraci e il matematico Francesco Maurolico, Messina 

1990, p. 114, n. 33. 

8 Una traccia del suo passaggio si ha a Cefalù, dove si conserva (fondo 

librario della fondazione Mandralisca) una sua opera a stampa [Fasti et 

Triumphri Roma Romuli Rege Usque ad Carolum VO Caes. Aug. Sive Epitone 

Regum, Consolum, Dictatorm etc., Onuphrio Panvinio Veronesi F. 

Augustiniano Authore. In folio cm. 53x22, pagine 12+228+202, Venetiis 

Impensis Iacobi Stradae Mantuani MOLVII (BM n. 1331)].

PERMANENZA DI CARATTERI MEDIEVALI NELLE CHIESE... 9 

per giungere, infine, a Palermo e Monreale. È, dunque, 

probabile che egli abbia ammirato le straordinarie cattedrali 

dei luoghi appena citati che, per la loro suggestione 

mistica, avranno rafforzavano le sue convinzioni e le sue 

teorie. Il viaggio, peraltro si compie in una data, il 1567, 

assai prossima a quella, sia pure controversa, indicata dal 

La Corte Cailler (l 565) relativamente alla costruzione della 

chiesa di Alì, cui prima si è accennat0 9 • Un'ipotesi estremamente 

suggestiva potrebbe essere così formulata: le idee 

del Panvinio circa l'opportunità di un 'ritorno' a modelli 

chiesastici paleocristiani - che vedevano negli esempi 

medievali siciliani considerati significative prosecuzioni e 

complessificazioni - furono fatte proprie dall'ignoto 

progetti sta di Alì. Quest'ultimo, del resto, palesa una 

profonda e matura consapevolezza del magisterio 

costruttivo e compositivo quando coniuga, con mirabili 

esiti, l'impianto basilicale trinavato, nel quale appaiono 

'evocazioni' brunelleschiane - le colonne di ordine dorico 

con alti segmenti di trabeazione, le volte a crociera delle 

navate laterali, ... -, la risoluzione 'centralizzante' degli 

spazi presbiteriali voltati ed imperniati sull'asse crocieracupola 

- il cui "modello" va rintracciato nel S. Andrea a 

Mantova che il Vignola terrà ben presente nella 

eleaborazione della chiesa del Gesù a Roma (in 1568) -, la 

configurazione delle pareti interne laterali che mostrano 

riprese mature di soluzioni brunelleschiane, tradotte alla 

luce della interpretazione che già ne aveva dato il Montorsoli 

9 Il La Corte Cailler [ G. LA CORTE CAILLER, La storia della terra di Alì in un 

manoscritto del secolo XVIII, in «Archivio Storico Messinese», IX (1908), pp. 

338-395; X (1909-14), pp. 50-102.] riprende, a suo dire, questa data dallo 

storico catanese D. P. Carrera, autore Delle Memorie Historiche della città di 

Catania, 2 volI. in 4 libri, Catania MDCXLI.

lO FRANCESCA PAOLINO 

nell'Apostolato del duomo messinese ed, infine, linguaggi 

architettonici di estrema vigoria e maturità appartenenti 

appieno alla temperie cinquecentesca. 

Se, invece, si è propensi ad accogliere, come proposto da 

altri storici siciliani, una data successiva, ovvero il 1582, 

quale anno di avvio dei lavori di rifazione della suddetta 

chiesa si dovrà escludere la relazione di causa-effetto che 

si è letta tra la presenza in Sicilia del Panvinio e l'appena 

avviato cantiere di Alì, lasciando, tuttavia, aperta la possibilità 

che le idee del frate agostiniano, manifestate 

presumibilmente sotto forma di riflessioni ed osservazioni 

scaturite dalle visite alle cattedrali siciliane, abbiano 

trovato terreno fertile in uno o più prelati messinesi che ne 

hanno, nei decenni successivi, applicato lo spirito in piena 

concordanza con la tradizione locale. 

Sembra utile proporre una riconsiderazione della configurazione 

assunta nel corso dei secoli dal duomo di 

Messina fino agli anni Ottanta del XVI secolo, poiché esso 

ha rappresentato il modello cui hanno guardato gli architetti 

ed i costruttori operanti tra gli ultimi decenni del 

Cinquecento ed i primi del Seicento producendo gli edifici 

chiesastici di cui si argomenta in questo lavoro lO • 

L'operazione teorica proposta si avvale delle fonti letterarie 

sei-settecentesche, ovvero di quanto tramandato dal 

Bonfiglio Costannzo 11 e dal Gallo 12 • 

lO Negli esempi ricadenti nelle aree marginali del Valdemone - ossia più 

prossime a Catania e Cefalù - sembrano allentarsi i riferimenti al duomo 

messinese mentre riaffiorano echi di soluzioni icnografiche e spaziali 

proprie del Quattrocento palermitano; e ciò specialmente nell'area tirrenica. 

Il G. BONFIGLIO COSTANZO, Messina città nobilissima. descritta in VIII libri ... , 

Venezia 1606, rist. a cura di P. Bruno, Messina 1985. 

12 Gli Annali della città di Messina di Cajo Domenico Gallo. Nuova edizione 

con correzioni, note ed appendici del sac. Andrea Vajola ... , 4 volI., Messina


Il primo scrive la sua Messina città nobilissima. Descritta 

in VIII libri negli anni precedenti in 1606, data della prima 

edizione veneziana; egli è, dunque, la fonte più vicina al 

tempo considerato e la sua descrizione precede gli interventi 

di 'abbellimento' di Innocenzo Mangani (attivo nel 

1667-76) e dell'architetto napoletano Giovanni Andrea 

Gallo (1682 e ss.)l3, pertanto si ritiene utile riproporne i 

brani relativi: 

« ... fù questo Tempio poi ridotto à perfettione ne' tempi 

de' Rè Normandi [. .. ] ma la dedicatione fù nell'anno 1197. 

facendosi poi i funerali di Corrado 14 primo Imperatore, 

nipote d'Henrico prenarrato si brugiò il tetto[. .. ] indi si 

rifece 15 [. .. ] È dunque questa Chiesa fabricata in forma di 

Basilica, con le tribune verso l'Oriente, all'uso Greco, grande .' 

con proportionata misura, allegra oltra modo, spatiosa, 

ricca, e ben 'ornata. ha sette porte, quattro da duo lati, e tre 

1877-1882, rist. anastatica Bologna 1980. C.D. GALLO, Apparato agli Annali 

della città di Messina, Napoli 1755, rist. a cura di Giovanni Molonia, Messina 

1985, p. 262. 

13 Nel 1682, su incarico del vescovo Cigala, l'architetto napoletano 

Giovanni Andrea Gallo riveste !'interno di stucchi e realizza una cupola sulla 

crociera del transetto con ossatura in legno e tessuto in canne; questo 

intervento, peraltro, era stato preceduto da un'opera di 'abbellimento' a 

cura di Innocenzo Mangano (attivo nel 1667-76) che aveva ricoperto con 

stucchi (angeli, putti, bassorilievi, ... ) tutte le superfici interne non marmoree, 

secondo un'impronta stilistica fanzaghiana. Cfr. S. BOSCARINO, Il duomo di 

Messina dopo il terremoto del 1908: dal consolidamento delle strutture 

superstiti alla ricostruzione totale, in AA.VV., Saggi in onore di G. De Angelis 

d'Ossa t, Roma 1987, p. 519. 

14 I funerali di Corrado, figlio di Federico II di Svevia e nipote di Enrico 

II, si celebrarono nel 1254. Questa nota e quelle che seguono (12-18) che 

cadono nel testo riportato non appartengono ad esso ma sono state apposte 

per sottolineare e chiarire taluni riferimenti, altrimenti vaghi, per quanti non 

conoscono a fondo le fasi costruttive e decorative dell'edificio messinese. 

15 Sembra che il re Pietro d'Aragona, entrando nel 1282 nella città dopo


nel frontispicio, con ricca facciata di marmi, e mischi con 

artificiosi intagli [. .. ] Et entrando si cammina per la diritta 

e spatiosa nave sù singolare e ricco pavimento di marmj16, 

e altri mischi intarsiato con ricco e bel lavoro di molta e 

molta spesa, con tredeci colonne di granito per parte 

proportionate con la debita simmetria, e con capitelli dorati 

di varia architettura, il che dimostra essere stato un ricolto 

di diversi Tempi) antichi. Et seguendo per l'arco maggiore la 

pronave, per dove si va da due altr'archi minori dalle due 

aie, s'arriva alla Tribuna maggiore, nel cui centro eretto è 

l'altare maggiore all'uso Romano 17 • Vedesi il Ciborio intarsiato 

di Mosaico carico e lucido per il molt'oro, [. .. ] Ma nella 

Tribuna verso la Sacrestia nel Ciborio di mosaico si vede in 

maniera grande e alla Greca effigiata Maria Vergine con 

molti Angeli, co' Santi [. .. ] Questa è oggi la cappella del 

Sacramento 18 [. .. ] Tra questa Tribuna e la maggiore si 

tramezza la cappella marmorea con le colonne [. .. ] del 

Cardinale Pietro Isvaglia [. .. ] il cui tumulo [. .. ] opra fù di 

Jacopo dal Duca Architetto [. .. ] E nello spatio che tramezza 

la Tribuna maggiore dalla sinistra, dov'è la cappella di 

aver sconfitto Carlo I d'Angiò, e poi nella cattedrale, abbia ammirato il tetto 

già rifatto e decorato con lo stemma del suocero Manfredi. 

16 Le note contenute nel brano riportato non appartengono ad esso ma 

sono state introdotte da chi scrive al fine di renderne più agevole la 

comprensione. 

AI pavimento lavorò, per sei anni e presumibilmente con una nutrita 

schiera di aiuti, Giovanni Angelo Montorsoli. Cfr. G. Dr MARZO, I Gagini e la 

scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI, Palermo 1880-83; in parto voI. I, p. 773 

e n. 2. 

17 Il Gallo (p. 258) riporta: « ['altezza della Nave di mezzo è palmi siciliani 

92, e nel titolo (transetto) è alta 1 00. La lunghezza è palmi 360. larga 120, 

e nel titolo è di larghezza 172». 

18 La cappella, opera certa di Jacopo Del Duca, realizzata tra il 1589 ed 

il 1600, è una delle poche parti dell'edificio chiesastico sopravvissute alle 

catastrofi sismiche ed alle successive ricostruzioni.


Nostra Donna del Latteria si vede il deposito molto in aria 

dell'Arcivescovo Guidotto 19 [. .. ] Et nella tribuna sinistra, nel 

cui Ciborio si vede effigiato nel mosaico messo à oro San 

Giovanni Evangelista [. .. ] Questa è antica cappella de' Nobili 

della casa Porco, e hoggi posta vi è ['immagine di Nostra 

Donna del Letterio [. .. ] Nel/'una, e nel/'altr'ala si 

fabricano 2 °dodici cappelle di marmi di ricco e vago lavoro, 

sopra il modello di Gio. Agnolo scultore e architetto Fiorentino, 

dedicati a' dodici Apostoli, delle quali se ne veggono tre 

perfettionate dall'una parte, e dua dall'altra; [. .. ] le altre al 

prenarrato compimento non sono perfettionate ancora [. .. ] 

Si veggono in questo grande e ricchissimo Tempio tre cose 

notabili, il tetto aureo, e dipinto d'Historie Sacre dell'uno e 

dell'altro Testamento, coperto di fuori con tegola di piombo, 

la fermezza, e bellezza della fabrica, e il vago e ricco 

pavimento con artificiosi lavori fatti non senza spesa incomparabile 

[. .. ] Et quindi nel colonnio sinistro si vede nel centro 

il pergamo marmoreo con sculture e intagli di ricco e 

artificioso lavoro .. . »21 . 

Questa accurata descrizione aiuta a ricostruire idealmente 

la configurazione del duomo di Messina fino al 

1585, anno in cui si promuovono lavori di sistemazione 

inerenti i molti altari che si erano ammassati, nel tempo, 

lungo le navate, addossati alle colonne, e lungo i muri 

perimetrali; della loro fitta presenza da conto la pianta 

dell'edificio annessa agli Annali 22 del Gallo e datata 1578. 

19 Il racconto comprende la descrizione di molti monumenti funerari che 

qui si tralascia perchè non pertinenti al tema. 

20 L'autore usa il tempo presente, il che conferma che ancora agli inizi del 

Seicento le cappelle dell'Apostolato non erano tutte compiute. 

21 G. BONFIGLIO COSTANZO, cit., pp. Il.a - I4.b. 

22 Gli Annali ... , cit.; la pianta sopradetta è nel III voI.


Lo stesso autore nell'Apparato agli Annali 23 , stampato a 

Napoli nel 1755, riferisce della sistemazione dell'area 

presbiteriale, argomentando intorno all'immagine della 

Madonna della Lettera: 

« .. . Stava ella già fino al '1585. quando il Coro dei Canonici 

era nella Pronave, o sia Titolo, situata in mezzo alla Chiesa 

in ricchissima Cappella, [. .. ] Ma essendosi abbellito questo 

Tempio, e tolti via li tanti Altari, che senza alcun ordine vi 

erano negli archi, e nelle colonne, il Senato in detto anno 

1585. fece trasportar questa Sagra Immagine nella Tribuna 

in Cornu Epistolae, Cappella, come si disse della Famiglia 

Porco, dove poi nel 1628. si diede principio all'abbellimento 

di essa [. .. ] A tempo poscia dei nostri Padri a 10 Luglio 1666 

[. .. ] si trasportò la seconda volta questa Sagra Immagine 

nell'Altar Maggiore, e nella Tribuna in mezzo al Presbiterio, 

dove si erge ricca e superbissima macchina di famosa 

architettura ... ». 

Per ciò che concerne, poi, il corpo longitudinale e la sua 

suddivisione in tre navate ottenuta con due teorie di 

colonne di riporto il Gallo specifica ulteriormente la loro 

provenienza: 

« ... Famosissimo era quello (tempio) di Nettuno vi era nel 

Promontorio di Peloro, delle cui colonne di Granito d'Egitto, 

dopo la conversione alla Santa Fede, si edificò la vasta 

Basilica di Santa Maria della Nuova ora Protometropolitana 

Chiesa ... »24. 

23 C.D. GALLO, Apparato ... , cit., p. 262. 

24 Ibidem, p. 15.

Ed ancora: 


« ... E dal vedersi la diversità dell'altezza, ed architettura 

di esse colonne, può ben cognetturarsi essere il Tempio 

struttura del Secolo di Costantino: giacché come osserva il 

Baronio il simile si vede nelle anntiche Basiliche di Roma 

edificate da quell'Imperatore ... »25. 

Il Gallo, dunque, fa risalire la prima fondazione della 

cattedrale messinese all'età paleocristiana, associandone 

la configurazione iniziale a quella delle basiliche romane; 

la rifondazione dell'edificio in età normanna 0130-1140) 

avrebbe ricalcato in gran parte quel primitivo impianto; nei 

secoli seguenti si sarebbero compiute opere di rifinitura e 

di arredo. 

Giuseppe Di Stefano, analizzando le memorie normanne 

dell'edificio e la sua presumibile configurazione medievale, 

nell'ambito di un'esemplare studio sugli edifici religiosi 

siciliani, ha ravvisato la derivazione dell'esempio messinese 

dalla chiesa abbaziale di Montecassino O 078, a cura 

dell'abate Desiderio) e da esempi pugliesF6. 

Si può delineare, pertanto, la facies dell'edificio negli 

ultimi decenni del XVI secolo, severa e chiara nell'impostazione 

icnografica e spaziale, fondata su uno schema 

basilicale con corpo longitudinale trinavato, transetto ampio 

e poco sporgente, e absidi: la maggiore, più profonda, in 

asse con la navata centrale, le due minori più piccole e 

meno profonde con gli assi non allineati ai corrispondenti 

delle navatelle; transetto e navate erano coperti con tetti 

lignei a capriate, le absidi con sezioni di volte a botte e 

25 Ibidem, p. 254. 

26 G. DI STEFANO, Monumenti della Sicilia normanna, Palermo 1955, pp. 

56-58.


catini. Arricchivano questa configurazione le strutture di 

copertura istoriate, il pavimento a tarsie marmoree, le 

prime cappelle dell'Apostolato, gli altari e i sepolcri, i 

mosaici dei catini absidali. 

Dopo il 1585, il coro dei canonici e la cappella della 

Madonna della Lettera, posti nel mezzo della crociera del 

transetto, trovano altre, più opportune collocazioni in 

un'ottica di riorganizzazione degli spazi e delle funzioni 

liturgiche scaturienti dalle risoluzioni conciliari tridentine 27 • 

Dunque, si può riconoscere nella penetrazione nell'isola 

dello spirito conciliare post-tridentino la molla che ha dato 

il via al fenomeno della ricostruzione di un rilevante 

numero di edifici chiesastici; in molti casi si è trattato di un 

rifacimento più o meno ampio di strutture di impianto 

medievale; congiunture economiche relativamente favorevoli 

hanno interessato, nel lasso di tempo considerato, 

Messina ed il suo territorio (commerci a largo raggio, 

centro di raccolta e smistamento della seta prodotta nel 

suo territorio ed in gran parte di quello calabrese, ... ), 

favorendo il fenomeno del rinnovato fervore costruttivo. 

Lo schema icnografico che caratterizza gli edifici di 

culto tardo-rinascimentali siciliani è, si è detto, quello 

basilicale trinavato che assume caratterizzazioni particolari 

in relazione alle proporzioni dei colonnati, all'ampiez- 

27 È bene ricordare che lavori analoghi hanno interessato anche il duomo 

di Cefalù, a cura del vescovo Francesco Gonzaga (1587 -1593): la rimozione 

delle transenne a mosaico del coro posto al centro della crociera del 

transetto, una più congrua collocazione dell'altare aureo, !'introduzione di 

un nuovo, monumentale tabernacolo e la sistemazione a coro dello spazio 

della tribuna maggiore, hanno certamente alterato il sancta sanctorum 

medievale privando i posteri di opere certamente pregevoli, come lamenta 

Cri spino Valenziano Cc. VALENZIANO, Michelangelo i Lo Duca e la chiesa nelle 

terme Dioc/eziane, Palermo 1976, p. 165), ma ciò con l'intento encomiabile 

di contribuire al rinnovamento spirituale della Chiesa.


za delle arcate, alle ordinanze adottate ed inoltre assume 

connotazioni differenti a seconda della risoluzione dell'area 

presbiteriale e del tipo di coperture impiegate o, 

comunque, oggi visibili. 

In genere, nettamente separati appaiono il corpo trasversale 

e le cappelle absidali e tale particolarità costituisce il 

motivo ricorrente in tutti gli esempi considerati. Per ciò che 

concerne invece la risoluzione del corpo orientale è da porre 

in evidenza una più articolata gamma di casi che costituiscono 

altrettante particolarizzazioni tematiche dipendenti dal 

modello al quale hanno guardato gli ideatori-esecutori: 

- nei casi in cui il transetto è piuttosto sporgente (chiese 

madri di Mistretta e di Tusa, chiesa dell'Aracoeli a San 

Marco d'Alunzio), vi è, sembra, il tentativo di coniugare 

uno schema basilicale allungato con uno centrico ed in ciò 

si intravede il ricordo di articolazioni icnografiche medievali 

più complesse (il duomo di Cefalù, per esempio), 

realizzate con linguaggi 'aggiornati' e non immemori delle 

ricerche di sintesi spaziale attuate nella tipologia gesuitica 

romana; quest'ultimo riferimento diventa più chiaro nella 

chiesa parrocchiale di Alì, nella chiesa madre di Sant'Angelo 

di Brolo ed in quella dei 55. Filippo e Giacomo della stessa 

cittadina, nelle parrocchiali di Santa Lucia del Mela e di 

Galati, nella chiesa del 55. Salvatore e nella matrice di Naso: 

in tali esempi si registra la confluenza degli spazi 

presbiteriali voltati verso il perno della crociera cupolata 

del transett0 28 , espressa con modalità linguistico-architet- 

28 Le peculiarità icnografiche, costruttive e decorative delle cattedrali 

siciliane normanne sono state poste in evidenza da W. Kronig [tra gli altri 

contributi, si veda: W. KRONIG, Il duomo di Monreale e l'architettura normanna 

in Sicilia, Palermo 1965] che riconosce gli apporti latino-occidentali come 

fondamentali e indica quelli della cultura islamica (ideazione dei tracciati


toniche graduate, derivanti, a volte, da iniziali programmi 

costruttivi più modesti, oppure non più perfettamente 

leggibile nella configurazione originaria, a causa di rifacimenti-restauri 

posteriori; 

- rinunziano alla tripartizione del transetto che risulta 

ampio e profondo, ancorché spazialmente unitario, le chiese 

di Monforte, di Gesso, di Raccuia, di San Nicolò a Naso, del SS. 

Salvatore a S. Angelo di Brolo, le chiese parrocchiali di 

Fiumedinisi, Condrò e Venetico: in esse si leggono gli "affacci" 

diretti verso lo spazio del transetto delle cappelle absidali; gli 

esempi di Fiumedinisi e Condrò hanno, inoltre, il profilo delle 

absidi semicircolare, il che che rafforza le affinità 

planimetriche con l'antico duomo di Messina leggibile in tutti 

gli esempi che adottano i caratteri appena descritti. 

Le chiese di Santa Caterina a Mistretta e di San Giovanni 

a Tusa presentano chiare reminiscenze da esempi quattrocenteschi 

palermitani, nell'impianto planimetrico e spaziale 

e nei caratteri formali e ciò per la loro posizione geografica 

di confine fra le due aree territoriali; vere eccezioni sono 

gli esempi di Savoca (chiesa madre) e di San Cono a Naso: 

nel primo caso, il breve corpo longitudinale è connotato da 

colonne ordinate dai caratteri linguistici 'arcaici' e sul 

transetto non sporgente affaccia la sola abside maggiore; 

decorativi) e quelli della cultura bizantina (esecuzione dei registri musivi). 

L'icnografia del duomo di Monreale vede contrapposto al corpo longitudinale, 

suddiviso in tre navate, il corpo orientale, nel quale il transetto prosegue 

con uguale dimensione di ampiezza fino al piano delle absidi; l'antefatto di 

una siffatta articolazione è rintracciabile nella cappella Palatina di Palermo, 

in cui, per la prima volta, si ritrova la combinazione di corpo longitudinale 

trinavato e santuario dai caratteri spaziali autonomi e discendenti da edifici 

centrici di matrice bizantina; in essa, però, non si hanno scarti e variazioni 

nei muri longitudinali in corrispondenza del transetto che risulta un grande 

vano sul quale si aprono le absidi; nell'esempio di Monreale, inoltre, alle 

absidi sono anteposte delle campate.


nel secondo esempio, per ragioni legate alla particolarità 

del sito, mancano le parti laterali del transetto: al vano 

della crociera, concluso da una cupola ovale, segue la 

scarsella coperta da volta a botte. 

Va sottolineata la particolarità, di chiara matrice medievale, 

delle soluzioni icnografiche tardo-rinascimentali del 

Valdemone che ricercano la separazione tra corpo 

longitudinale e transetto, non solo attraverso robusti archi 

trionfali ma anche mediante altretrettanto accentuati setti 

murari, sia pure alleggeriti da arcate, che separano idealmente 

navate minori e transetto. 

Soluzioni, queste, che si rivelano ben lontane dalle 

sperimentazioni brunelleschiane, tendenti a creare, nella 

chiesa di S. Lorenzo ed ancor più in quella di Santo Spirito, 

una continuità icnografica e spaziale fra le due parti 

dell'edificio chiesastico basilicale, nonostante si ravvisi 

nell'immediata percezione degli spazi interni delle chiese 

siciliane indagate un richiamo sicuro ai modelli fiorentini, 

specie nella tripartizione del corpo longitudinale scandito 

dalle teorie di colonne. 

In conclusione, gli edifici chiesastici del territorio nordorientale 

siciliano, ricostruiti nel periodo 1580-1630, rappresentano 

il risultato sincretico di esperienze architettoniche e 

tipologico-spaziali fortemente articolate e connotate, aventi 

'radici' lontane nel tempo (le basiliche paleocristiane e le 

cattedrali normanne siciliane) e nello spazio (Roma, Firenze, 

Messina, Cefalù, ecc.). In esse, la componente medievale, 

ossia la riproposizione dell'impianto basilicale trinavato, 

declinato con linguaggi 'moderni' (gli ordini, le arcate a tutto 

sesto, ... ) rappresenta l'elemento di continuità con la tradizione 

architettonica isolana e, ancora oltre, con la tradizione 

paleocristiana romana. 

Ulteriori esplorazioni nei centri dell'area territoriale


considerata consentono di segnalare alcuni esempi finora 

ignorati: la chiesa della SS. Annunziata a Santa Lucia del 

Mela 29 e la chiesa di Santa Caterina a Piraino. In entrambe è 

riconoscibile !'impianto icnografico tardocinquecentesco 

nel corpo longitudinale trinavato, scandito da brevi teorie 

di colonne sorreggenti arcate a tutto sesto. 

Nella configurazione complessiva del primo esempio, 

ovvero la chiesa della SS. Annunziata, è facilmente leggibile 

la successione di interventi diversi, susseguitesi nell'arco 

di più secoli: - la torre campanaria quattrocentesca - la 

data 1461 è incisa in un'arcata in parte tamponata - i cui 

caratteri pregevoli (le monofore con archi ribassati in 

pietra lavica, le mensole sporgenti tra il secondo ed il terzo 

registro, ... ) appartengono ancora alla cultura tardomedievale 

isolana; - la realizzazione, forse per ampliamento del 

primitivo impianto, del corpo longitudinale suddiviso in 

tre navate da brevi teorie di colonne di ordine dorico - 

cinque per ogni lato - che presentano la singolarità di due 

soli capitelli corinzi nella teoria di sinistra in prossimità 

dell'arco santo; - il tentativo di arricchire la facies interna 

con una modesta veste di stucchi tardobarocchi 

(presumibilmente realizzati nel secolo XVIII) interessanti 

le pareti superiori della navata centrale e le navatelle; - il 

portale di accesso, anch'esso frutto di interventi diversi, 

presenta la semplice apertura profilata, sovrastata da una 

lunetta - con testine alate di angeli scolpite nell'arcata - 

contenente le figurine in altorilievo di un'Annunciazione, 

riferibile agli ultimi decenni del Quattrocento o ai primi del 

Cinquecento ed appartenente, comunque, alla prima fase 

29 Nello stesso centro è stata già indagata la chiesa cattedrale: v. F. 

PAOLlNO, Messina ... , cit., pp. 223-228.


di penetrazione dei linguaggi rinascimentali in Sicilia, 

attuati, com'è noto, in episodi architettonico-decorativi 

circoscritti. Ad essa è stata aggiunta nel 1587 30 l'incorniciatura 

esterna consistente in due colonne corinzie, su alti 

piedestalli, sorreggenti - dopo brevi segmenti di architrave 

che interessano anche le lesene laterali che ribattono le 

colonne - alti brani di fregio decorati e la cornice finale 

sporgente in corrispondenza delle colonne e dell'asse 

centrale di simmetria, sottolineato da una lunga foglia di 

acanto che 'aggancia' l'arcata sottostante della lunetta, 

costituendo una sorta di esuberante chiave d'arco. 

L'impianto icnografico e spaziale dell'edificio chiesastico 

vede, inoltre, l'innesto sul corpo longitudinale di un'ampio 

transetto continuo - di altezza addirittura superiore a 

quella della navata centrale - coperto a capriate sul quale 

affacciano la scarse Ila maggiore alta e profonda e le laterali 

più piccole. Questo schema, si è detto, deriva dalla permanenza 

della tipologia medievale così come realizzata nel 

duomo di Messina. 

Da essa si allontana la soluzione adottata nella chiesa di 

Santa Caterina a Piraino, - piccolo centro arroccato di 

origini altomedievali -, nella quale sopravvive l'impianto 

cinquecentesco, privo di transetto, consistente nel corpo 

longitudinale trinavato suddiviso da brevi colonnati, composti 

da quattro colonne con capitelli corinzi per lato; in 

corrispondenza della navata maggiore si apre una profonda 

scarse Ila coperta con volta a padiglione e contenente 

l'altare maggiore sul quale è posta la statua della titolare, 

di scuola gaginiana. A causa dei danni apportati all'edificio 

30 S. Lucia del Mela (a cura di N. Aricò) in Sicilia, Guida del T.C.I., Milano 

1989, p. 903.


dal terremoto del 1693 sono stati intrapresi lavori di 

ricostruzione - presumibilmente concernenti le coperture 

- e, di seguito, lavori di 'abbellimento' consistenti nella 

introduzione in facciata di portali barocchi - quello centrale 

infatti è datato 1694 -, di una lieve stesura di stucchi al 

di sopra delle arcate nella parte alta della navata maggiore 

e della serie delle arcate poco profonde addossate alle 

pareti estreme delle navatelle destinate a contenere altrettanti 

altari laterali. 

Facoltà di Architettura, Università di Reggio Calabria.


Piraino. Chiesa di S. Caterina. Scorcio delle navate e prospetto.


5. Lucia del Mela. Chiesa della 55. Annunziata; interno e particolare delle 

prime due colonne di sinistra.

PERMANENZA DI CARATTERI MEDIEVALI NELLE CHIESE ... 

5. Lucia del Mela. Chiesa della 

55. Annunziata; prospetto e particolare 

del portale. 

29


UNA MEDAGLIA CON L'EFFIGIE DI MONTORSOLI 

IN UNA COLLEZIONE PRIVATA MESSINESE" 

Trovo utile segnalare ai lettori di questo "Archivio Storico" 

una pregevole medaglia in ottone con l'effigie di Giovan 

Angelo Montorsoli, che mi è capitato di "scoprire" in una 

collezione privata messinese e che, presumibilmente, proviene 

dalla cinquecentesca fontana del Nettuno, uno dei 

pochi antichi monumenti superstiti che ornano ancora la 

città del Peloro. Va premesso che questa medaglia è da 

mettere in relazione con un'altra simile di piombo, tre 

esemplari della quale, opportunamente studiati di recente l , 

furono rinvenuti, nel secolo scorso, durante lavori di sistemazione 

della stessa fontana. 

l. La fontana del Nettuno è uno dei capolavori realizzati 

dal Montorsoli a Messina, dove egli fruttuosamente lavorò a 

lungo per conto del Senato locale, facendo tesoro della 

lezione michelangielesca 2 • Giunto infatti nella città dello 

Rielaboro qui, con aggiunta di note, una prima notizia da me pubblicata 

nella "Gazzetta del Sud" del 30 agosto 1996. 

l Cfr. la pubblicazione appresso cito di Giovanni Molonia. 

2 Il Montorsoli «portò nella Messina cinquecentesca la vigoria della 

scultura di Michelangelo, interrompendo la linea tradizionale segnata 

nell'arte isolana principalmente da Antonello Gagini, dando inizio a tutta 

una serie di opere, che dovevano conferire una nuova fisionomia alla 

opulenta Regina del Peloro» (S. BOTTARI, Giovanni Angiolo Montorsoli a

32 ANTONINO SARICA 

Stretto nel154 7, lo scultore toscano vi rimase dieci anni, e la 

lasciò proprio subito dopo aver completato, nel 1557, quest'opera 

monumentale. In origine la fontana - dominata dalla 

statua di Nettuno in posizione eretta con il tridente nella 

mano sinistra e con il braccio destro teso, in atto di guardare 

la città quasi a volerla proteggere - fu innalzata alla Marina, 

laddove ferveva l'attività portuale, fra le acque e la cinta 

muraria. E lì ancora stava quando, nell'aprile del 1887, per la 

prima volta dopo trecentotrenta anni, la colossale statua del 

dio venne rimossa dal suo piedistall0 3 • Si era infatti stabilito, 

Messina, estratto da "L'Arte", diretta da A. Venturi, anno XXXI, fase. V-VI, 

settembre-dicembre 1928, pp. 234-244). Dei diversi lavori di scultura e 

architettura che l'insigne allievo del Buonarroti compÌ a Messina, si conservano, 

a parte la tipica Lanterna di San Raineri, i due sicuramente più 

significativi: la fontana di Nettuno, appunto, e quella di Orione che 

impreziosisce la piazza del Duomo. Nella fontana del Nettuno, l'artista 

fiorentino volle simboleggiare la conquistata signoria sul mare della città 

peloritana, rievocando il mito dei mostri Scilla e Cariddi, tiranni incontrastati 

dello Stretto, domati infine dal dio del mare e costretti in catene ai suoi 

piedi. Per Montorsoli a Messina, v. anche: S. BoscARINo, Studi e rilievi di 

architettura siciliana, Messina, 1961; S. FFOLLlOT, Civic sculpture in the 

Renaissance. Montorsoli's Fountains at Messina, Ann Arbor (Michigan), 1979 

e, inoltre, K. MOSENEDER, Montorsoli, Die Brunnen, Mittenwald, 1979, insieme 

al più recente lavoro di B. LAscHKE, Fra Giovan Angelo da Montorsoli. Ein 

Florentiner Bildhauer des 16. jahrhunderts, Berlin, 1993. 

3 Nel sito originario, ossia alla Marina, la fontana del Nettuno - risparmiata 

anche dal terremoto del 1908 rimase fino ai nostri anni Trenta. Nel 

1890-91 era stato da varie parti suggerito di trasferirla nell'allora costruendo 

Giardino a Mare (o Chalet), dov'è oggi la Fiera, per sottrarla, si diceva, al 

rischio di «venir rovinata dal traffico immenso di carri, carretti e vetture» 

che soffocava la Marina. Erano state anzi avviate le pratiche per ottenere il 

necessario parere del Consiglio Superiore di Antichità e Belle Arti di Roma. 

Ma la cosa, evidentemente, non ebbe seguito (v., in particolare, la "Gazzetta 

di Messina" dei giorni l ottobre, 14-15 dicembre 1890 e 17 marzo, 12 

settembre 1891). Nel 1934, con la sistemazione del Lungomare, il monumento 

venne collocato nella piazza dell'Unità, presso la Prefettura, dov'è 

ancora oggi, ridotto ormai al ruolo di spartitraffico e in condizioni tutt'altro 

che ideali, aggredito com'è, letteralmente, dall'enorme volume di traffico 

automobilistico della zona e dal conseguente inquinamento atmosferico, 

senza che nessuno sembri preoccuparsene.

UN'ANTICA MEDAGLIA CON L'EFFIGIE DI MONTORSOLI IN UNA COLLEZIONE... 33 

visto il pessimo stato in cui era ridotta, di toglierla dal sito 

originario per sistemarla, dopo un adeguato restauro, in 

luogo riparato, e di sostituirla con una copia 4 • Ed ecco, a 

questo punto, il singolare rinvenimento di cui dicevo. Nel 

rimuovere la statua dal piedistallo, tra i frammenti di calcina 

si trovò un'ampolla di vetro contenente «tre medaglie di 

piombo con l'effigie del Montorsoli», che - informava la 

stampa locale - vennero «depositate al Museo, dopo che un 

bravo artista fu incaricato di riprodurne la forma»5. Evidentemente, 

le medaglie erano state messe lì quando nel Cinquecento 

fu montata la fontana, prima ancora di sistemare il 

Nettuno sul proprio piedistallo. 

Apparve subito notevole il valore artistico e documentario 

di quei reperti; essi tuttavia, dopo un certo interesse 

iniziale suscitato dal ritrovamento, finirono confusi con 

4 Analoga operazione era stata fatta nella stessa fontana, circa trent'anni 

prima, con la statua di Scilla, che infatti, alquanto, danneggiata dai bombardamenti 

del 1848, era stata sostituita con una copia, in verità tutt'altro che 

fedele all'originale (ora conservato nel Museo di Messina), scolpita da 

Letterio Subba. 

5 Si v. "Politica e Commercio" dei giorni 20,26 aprile e 9 maggio 1887. 

«Ci dicono essersi rinvenute nella base del Nettuno, allorché fu rimosso 

dal posto, tre medaglie di piombo con la effigie del Montorsoli, racchiuse 

in un'ampolla di vetro. Appena saremo in grado daremo migliori informazioni 

ai nostri lettori» (20-4-1887). 

«Consiglio Comunale. Tornata di ieri sera 25 aprile 1887 ... Risultando al 

Cons. De Leo che dallo spostamento del Nettuno sonosi trovate delle 

medaglie, prega la Giunta perchè volesse procedere alla redazione di un 

apposito verbale, e lo stesso venga fatto per quelle altre medaglie che 

potrebbero in seguito rinvenirsi» (26-4-1887). 

«Sulle medaglie di piombo trovate nel fonte Nettuno, e di cui altre volte 

abbiamo fatto parola, aggiungiamo che esse son due, aventi il diametro di 

43 millimetri. Dalla parte in cui è incisa stupendamente la testa del 

Montorsoli, sta scritto intorno: Jo Angelus Montursuli florent. Dall'altro lato 

sta impresso il monogramma di Maria e sotto una crocetta, e scritto poi in 

giro: Quoniam mecum es non timebo mala. Tutte e due le medaglie sono 

state depositate al museo, dopo che un bravo artista fu incaricato di 

riprodurne la forma» (9-5-1887).


tanto altro materiale che allora andava accumulandosi nel 

Museo Civico, e vennero presto dimenticati. Di riproporli 

all'attenzione degli studiosi, si è recentemente incaricato 

Giovanni Molonia, discutendone in una breve pubblicazione 

6 • Si tratta, in sostanza, come ho già accennato, di tre 

esemplari identici (uno dei quali mutilo) di una medesima 

medaglia, di 45 mm. di diametro, di raffinata fattura e 

verosimilmente opera dello stesso Montorsoli. Sul diritto 

essa reca il realistico ritratto dello scultore e, sotto una 

cornice perlinata, all'interno di una fascia circolare, la scritta 

«IO . ANGELVS MO / / NTVRSVLI FLORENT»; e nel rovescio, 

sempre all'interno di una cornice perlinata, il monogramma 

mariano con sopra una croce con i bracci gigliati (precisi 

riferimenti alla Congregazione dei Servi di Maria di cui il 

frate-artista faceva parte) e la scritta «NON TIMEBO MALA 

QVONIAM TV MECVM ES, »7. 

Nell'insieme, le notizie stesse del ritrovamento ottocentesco, 

così come riportate nella stampa locale, lasciano 

spazio a qualche incertezza: mentre in un primo momento 

(segnalazione del 20 aprile) si indicavano tre medaglie plumbee, 

uguali, racchiuse in un'ampolla di vetro, una precisazione 

successiva (del 9 maggio) riduceva a due il numero di tali 

medaglie, aggiungendo come ho già riferito, che esse erano 

state depositate entrambe nel Museo, non senza aver dato 

incarico ad un «bravo artista» di riprodurne la forma. Manca 

inoltre, a questo proposito, qualunque informazione sulle 

riproduzioni presumibilmente realizzate: non sappiamo chi 

6 Cfr. G. MOLONIA, Una medaglia di Montorsoli, in Miscellanea di studi e 

ricerche sulle collezioni del Museo, Messina, 1995 (= "Quaderni dell'attività 

didattica del Museo Regionale di Messina", n. 5), pp. 45-52. 

7 Le doppie barrette inserite nella trascrizione indicano la interruzione 

del testo nella medaglia, derivante dalla necessità di lasciare spazio 

all'effigie.


fu l'artista incaricato, né il numero di calchi e di copie, né la 

qualità delle stesse, dal momento che non se ne conserva, che 

io sappia, alcun esemplare. 

2. Oltre al recupero dei tre esemplari sopra menzionati di 

questa rarissima medaglia di piombo, non risulta documentato 

il rinvenimento sotto il Nettuno - in quell'aprile del188 7 

- di altri reperti. Ciò malgrado, è possibile ora aggiungere al 

riguardo qualcosa di nuovo. 

La medaglia in ottone che di recente ho avuto modo di 

esaminare, ha infatti, come tutto lascia supporre, la stessa 

provenienza delle tre plumbee già note (OSSia è stata anch'essa 

rinvenuta nella stessa occasione delle precedenti, rimuovendo 

dal piedistallo il Nettuno montorsoliano), dalle quali, peraltro, 

si differenzia decisamente. Essa ha le stesse dimensioni delle 

precedenti, misurando 45 mm. di diametro, e mostra, nel 

diritto, il busto di Montorsoli di profilo, rivolto a sinistra. Fra 

Giovan Angelo veste abiti da religioso e porta un collare con 

croce; il viso barbuto, con una barba a punta che non presenta 

soluzioni di continuità con la capigliatura, corta e riccioluta, 

evidenzia un naso diritto, fronte larga e un orecchio ben 

pronunziato. L'immagine dell'artista è abbastanza rilevata e 

di accurata esecuzione. 

Al margine, in una fascia circolare, la dicitura: «IO· ANGELVS 

MO / / NTVRSVLI FLORENTI-»8. Nel rovescio, diversamente 

8La "N" di "MONTVRSVLI", nella seconda metà della scritta, è leggibile con 

difficoltà perché confusa con il rilievo della capigliatura; quelli che appaiono 

come puntini finali sembrano lettere consunte. A dire il vero, la 

somiglianza generale tra i profili rispettivi nei diritti delle due medaglie non 

impedisce di rilevare negli stessi, ancorché poco percettibili, talune differenze: 

il carattere più affilato del secondo che presenta, ad esempio, un 

naso meno carnoso e più appuntito ed una diversa ondulazione e dei riccioli 

dei capelli, e della barba, meno accentuata. 

Per le doppie barrette inserite nella scritta, vale quanto precisato nella 

nota 7.


dagli esemplari in piombo, che portano il monogramma dei 

Serviti, alla cui congregazione Montorsoli apparteneva, 

campeggia la figura intera del Cristo in gloria, avvolto in un 

peplo, che ne cinge trasversalmente, da destra a sinistra, il 

corpo, poggiata su una nuvoletta e circondata da nubi 

disposte in un ovale, aperto nella parte superiore. Al di 

sopra del Cristo, la cui testa è contornata da un festone con 

una scritta verosimilmente connessa alla particolare 

iconografia utilizzata, ma ora del tutto illeggibile, è 

raffigurata una colomba, simbolo dello Spirito Santo; più in 

alto si intravede una piccola figura, molto logorata nel 

nostro esemplare e perciò di ardua lettura, ma che dovrebbe 

rappresentare Dio-Padre. Al margine la seguente scritta, 

disposta simmetricamente, a sinistra e a destra del Cristo: 

«ET Hl TR[E]S / / VNVM SVNT», delimitata da una circonferenza. 

Si è qui, chiaramente, di fronte ad una raffigurazione 

della Trinità; ancora una volta, dunque, un tema sacro 

associato all'immagine del Montorsoli, a sottolineare il suo 

status di religioso prima ancora che quello di artista. 

Tale medaglia di ottone, come quella di piombo, è da farsi 

risalire al secolo XVI e da attribuire anch'essa, per l'alta 

qualità esecutiva, alla mano del Montorsoli. Riassumendo, 

pur con molte caratteristiche comuni (uguale epoca di conio, 

identiche dimensioni, quasi uguali i diritti), le due medaglie 

- questa di ottone e quella di piombo descritta in precedenza 

- evidenziano due lavori ben distinti. 

3. La medaglia in ottone di Montorsoli fa parte della 

collezione della professoressa Iris Zappalà Cardia, che ringrazio 

per la sua cortese disponibilità. Alla sua famiglia 

appartiene da oltre un secolo, da quando, cioè, suo nonno 

paterno, lo scultore Gregorio Zappalà, l'ebbe in dono, secondo 

quanto lui stesso affermava, dal Municipio di Messina. 

Bisogna a questo punto ricordare che proprio Gregorio

UN'ANTICA MEDAGLIA CON L'EFFIGIE DI MONTORSOLIIN UNA COLLEZIONE... 37 

Zappalà (1833-1908) fu incaricato dal Municipio di eseguire 

la "copia fedele" che doveva sostituire nella fontana il Nettuno 

montorsoliano 9 . Artista già molto apprezzato a livello nazionale, 

egli realizzò infatti il Nettuno che attualmente torreggia 

nella fontana messinese al posto della statua originale del 

Montorsoli (ora custodita nel Museo Regionale di Messina), in 

circa un anno e mezzo, completandolo nell'ottobre del 1888 10 • 

E fu appunto in quel periodo che Gregorio Zappalà (probabilmente 

proprio lui fu anche incaricato di riprodurre le medaglie 

ritrovate) entrò in possesso della medaglia di cui si tratta. 

Egli diceva sempre - precisa la signora Iris Zappalà Cardia - 

che essa proveniva dal fonte del Nettuno, che cioè era venuta 

9 Cfr. G. MOLONIA, Una medaglia di Montorsoli, cit., p. 45 e nota 8, dove si 

citano le delibere del Consiglio Comunale relative al restauro della fontana 

e alla rimozione del Nettuno. 

lO Poco più che trentenne, Gregorio Zappalà si stabilì a Roma allo scopo 

di perfezionarsi nella scultura, a spese del Municipio di Messina. Si rivelò 

presto «artista assai versatile» che seppe far proprio «il barocchismo, 

divenuto nell'ultimo trentennio del secolo l'arte della capitale», distinguendosi 

soprattutto, anche dopo il suo ritorno a Messina, «nel campo della 

scultura monumentale» (v. L. PALADINO, La scultura dell'Ottocento nelle 

collezioni del Museo Regionale di Messina, in Miscellanea di studi ... , p. 94, cito 

alla n. 6). A Roma lo scultore messinese acquisì notorietà, operando 

intensamente fino a vincere, nel 1873, il concorso per una delle fontane di 

piazza Navona. Malgrado tutto ciò, Zappalà dovette aspettare non poco, e 

subire persino qualche delusione, prima di vedere accettato dal Municipio 

peloritano il suo Nettuno. Appena ultimata, la grande statua fu, infatti, 

ritenuta, dalla Commissione di Antichità e Belle Arti, che doveva giudicarla 

per conto dell'assessore ai Lavori Pubblici, «non consegnabile mancando 

essa di quel lavoro di rifinimento» necessario per renderla «una copia 

fedele all'originale». Ovviamente con grande disappunto dello scultore che 

era invece cosciente d'aver fatto un'opera di pregio (v. "Gazzetta di Messina" 

dell' Il e del12 dicembre 1888). È improbabile che il cavaliere Zappalà si sia 

rassegnato ad eseguire nella statua le richieste modifiche, ma dovettero 

comunque trascorrere quasi tre anni, da quel severo giudizio della Commissione 

competente, per vedere finalmente issato nell'antica fontana il nuovo 

Nettuno, che costò al Municipio 19.000 lire. Questo avvenne il19 settembre 

1891, con la partecipazione di «una folla immensa e dopo lunghe e difficili 

operazioni» (v. "Politica e Commercio" del 20 settembre 1891).


fuori rimuovendo dal piedistallo, nell'aprile del 1887, la 

statua del Montorsoli. Né si ha motivo di dubitare di quest'asserzione 

dell'illustre scultore, che si è fedelmente tramandata 

nella famiglia Zappalà. Tuttavia, resta intera la questione 

di cosa si sia allora effettivamente trovato rimuovendo il 

Nettuno, e in particolare quali e quanti oggetti, e di cosa sia 

avvenuto in seguito circa la riproduzione dei reperti. 

Per quel che concerne infine Giovan Angelo Montorsoli, è 

da escludere, a mio avviso, che - come, invece, suppone 

Molonia - l'artista abbia realizzato specificamente le medaglie 

di cui si parla «per meglio gratificare il Senato messinese», 

che con numerosi «commissioni e incarichi aveva grande 

mente valorizzato la sua opera»ll. Mi aspetterei, in tal caso, 

di leggere sulle medaglie un benché minimo segno che alluda 

esplicitamente, come era solito farsi all'epoca per situazioni 

analoghe (dediche di opere a stampa, incisioni ecc.), alla città 

dello Stretto, o al Senato locale, o a qualsivoglia opera 

messinese dell'artista fiorentino. E comunque è possibile 

ipotizzare che sia stato proprio il Montorsoli a porre le sue 

medaglie sotto il Nettuno, quasi a "firmare" l'opera, lasciandovi, 

oltre alla ben nota epigrafe incisa sul marmo, una sorta 

di sigillo, magari per affidare ai posteri, per il tramite di 

questo, la sua autentica immagine. Non è difficile credere, in 

ultimo, che un'operazione analoga, ovvero la collocazione di 

medaglie uguali più o meno a queste ora descritte, ma tutte 

con la sua effigie, egli abbia compiuto per ogni altra sua 

realizzazione, a Messina e altrove. 

Società Messinese di Storia Patria, Università di Messina. 

11 G. MOLONIA, Una medaglia di Montorsoli, cit., p. 47.


La medaglia del Montorsoli della collezione Zappalà (Messina).

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DOCUMENTI PER LA BOTTEGA 

DEI LI VOLSI DI TUSA* 

La storiografia dell'arte siciliana sembra aver acquisito 

definitivamente gli elementi che provano come l'ambiente 

nebrode-madonita, tra la fine del '500 e la prima metà del 

'600, sia stato vivacizzato dalla presenza di alcuni scultori 

e pittori di primo piano, influenti ed attivi, oltre che nei 

luoghi di origine, anche in molte altre località. D'altro canto 

una delle note più significative che sta emergendo dalla 

ricerca è l'estrema mobilità degli artisti, confutando la 

definizione di "arte provinciale" sia nell'accezione di ambito 

territoriale che in quella strettamente collegata alla 

"categoria estetica" di un oggetto. 

Alla luce di quest'ultima osservazione, la ricerca non 

può essere cristallizzata sulle conclusioni che si traggono 

studiando la produzione artistica di un solo centro, ma 

dovrebbe essere naturalmente aperta ai contributi che 

derivano dalla ricognizione complessiva della vicenda 

umana e professionale vissuta in più luoghi dallo stesso 

personaggio, opera ardua ma non impossibile. 

Oltre tutto,questo assunto metodologico scaturisce implicitamente 

dalla considerazione che pittori, scultori e 

maestranze vivevano i loro frequenti trasferimenti con 

estrema naturalezza per due ordini di fattori: l'uno dovuto 

" Presentato dal Socio Prof. Camillo Filangeri.

42 ANGELO PETTINEO 

alla difficoltà di reperire nell'ambito di una sola comunità 

quel numero minimo di commesse necessarie al loro 

sostentamento; l'altro indotto dall'apprezzamento che riscuoteva 

l'opera di qualche artista, assurto ad improvvisa 

notorietà presso la committenza e coinvolto positivamente 

dagli incarichi che gli si offrivano dovunque per la fama 

che lo precedeva. 

Ad esplicazione di quanto si è premesso torna utile, 

ancora una volta, focalizzare l'attenzione sul ruolo svolto 

dai Li Volsi di Tusa, scorrendo succintamente la letteratura 

che li ha recuperati dall'oblio ed arricchendo il nostro 

bagaglio conoscitivo di alcune notizie inedite sull'attività 

di Mastro Giuseppe, progenitore del ceppo tusano ed 

anello di partenza per avviare una riflessione più circostanziata 

sulla sua discendenza. 

Ad aprire il sipario su questa famiglia di artisti fu il 

rigore filologico di Gioacchino Di Marzo che, oltre ad 

ipotizzare una parentela con i Li Volsi di Nicosia ne 

individuava l'intrinseco valore di plasticatori, additando la 

decorazione a stucco della chiesa madre di Isnello (1600)1. 

Su questa scia Enrico Calandra nel 1938 scriveva: «la 

decorazione a stucco ... ha i maggiori rappresentanti in due 

scultori di figura: Li Volsi da Tusa al principio del Seicento 

e Giacomo Serpotta (1656-1732), massimo plasticatore e 

non solo di Sicilia»2. Questo accostamento anticipa significativamente 

la consapevolezza che l'opera dei Li Volsi 

abbia istruito la feconda stagione dei Serpotta. 

Più recentemente l'interesse verso la bottega tu sana si 

riaccende in ordine ad alcune valutazioni maturate sulla 

l G. DI MARZO, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI, Palermo 

1880-1883, p. 740. 

2 E. CALANDRA, Breve storia del/architettura in Sicilia, Bari 1938, p. 116.

DOCUMENTI PER LA BOTTEGA DEI LI VOLSI DI TUSA 43 

vicenda "scottante" delle decorazioni in stucco nel bema 

della cattedrale Cefaludense. 

Camillo Filangeri, comunicando la notizia inedita del 

trasferimento di Scipione Li Volsi da Tusa a Cefalù e rilevandone 

la coincidenza con l'inizio dei lavori di stuccatura, 

esplicita la convinzione che tali decorazioni tradiscano «tecnica 

e sensibilità visibilmente affini a quelle dei prestigiosi 

plasticatori della famiglia tusana». Inoltre auspica una 

rilfessione preventiva a qualsiasi programma di restauro 3 • 

Avvalendosi anche di questa sollecitazione inquietante, 

Teresa Viscuso si spinge oltre dicendo: «gli stucchi figurativi 

nella prima campata del presbiterio sono quelli che più si 

convengono a Scipione Li Volsi». Disquisisce poi sull'inattendibilità 

delle precedenti attribuzioni 4 • 

Da queste riflessioni prende coppo una stagione nuova 

della ricerca che porterà ad approfondimenti specifici sulle 

opere e sui componenti della famiglia. 

Nel 1983 Rosario Termotto attribuisce con riscontri documentari 

gli stucchi della cappella del SS. Sacramento nella 

chiesa madre di Collesano a Giuseppe Li Volsi s , riconducendogli 

successivamente anche quelli del presbiterio 6 • 

Nel 1990 Arturo Anzelmo ricostruisce esattamente i 

ruoli di Scipione, Francesco e Paolo per la decorazione 

della tribuna nella chiesa madre di Ciminna 7 • 

3 C. FILANGERI, La trasformazione del presbiterio e il completamento 

decorativo dai Normanni all'età Barocca, in «Documenti e testimoniaze 

figurative della basilica ruggeriana di Cefalù», Palermo 1982, pp. 93-96. 

4 T. VISCUSO, La decorazione del presbiterio nel '600, in Documenti e 

testimonianze cito pp. 101-104. 

5 R. TERMOTTO, Collesano: gli stucchi di Giuseppe Li Volsi, in «Obbiettivo 

Madonita» a. II n. 22,1983. 

6 R. TERMOTIO, Collesano. La basilica di S. Pietro, Castelbuono 1992, pp. 45, 53. 

7 A. ANZELMO, Ciminna, materiali di storia tra XVI e XVII secolo, Ciminna 

1990, pp. 92-117.


Sempre nel 1990 Antonio e Giuseppe Ragonese stendono 

un primo quadro riassuntivo delle notizie rilevate dalla 

letteratura e schematizzano la geografia operativa della 

famiglia, senza potere rintracciare l'effettiva provenienza 

del capostipite 8 . 

Camillo Filangeri nel1991 torna sull'argomento estraendo 

dal «fenomeno Li Volsi» la matrice linguistica di alcuni 

movimenti artistici europei e, recuperando alla storiografia 

nuovi elementi di giudizio, contestualizza diffusamente la 

bottega tusana nella cultura figurativa del periodo. Tuttavia 

lascia aperto l'interrogativo sull'origine di Mastro Giuseppe 9 . 

Nell'agosto 1996 una mostra sulle opere dei Li Volsi, 

promossa nel centro madonita, diventa occasione di confronto 

tra diversi studiosi, esitando ulteriori contributi sui 

alcune realizzazioni a Tusa ed in altri centrpo. Fra gli 

apporti significativi Nico Marino risolve gran parte della 

vexata quaestio sugli stucchi del bema nella cattedrale di 

Cefalù, rintracciandone, su base documentaria l'autore in 

Scipione Li Volsi ll . 

Sono questi gli estremi per un rapido excursus 

bibliografico. 

Ma quale era la misteriosa località d'origine dei Li Volsi 

di Tusa e quali parantele potevano ancora vantare altrove? 

Alla luce della letteratura esaminata ed in virtù dei 

ritrovamenti documentari ancora inediti, oggi si può attestare 

definitivamente tanto che Mastro Giuseppe provenis- 

8 A. e G. RAGONESE, La bottega d'arte dei Li Volsi scultori tusani del XVII 

secolo, Palermo 1990, passim. 

9 C. FILANGERI, Note su Tusa e i Li Volsi. A proposito delle arti figurative in Sicilia 

tra XVI e XVII secolo, in «Archivio Storico Messinese» voI. 57, 1991, p. 123. 

lO «Il Tabulario Tusano», a. VIII n. 6, 1996, pp. 9-24. 

Il N. MARINo-R. TERMOTTO, Cefalù e le Madonie, contributi di storia e di storia 

dell'arte tra XVII e XVIII secolo, Cefalù 1996, pp. 13-20.


se da Nicosia quanto che fosse fratello di Giovan Battista, 

come si evince inequivocabilmente dagli atti che ci si 

appresta a descrivere. 

Il matrimonio con Angela Cardita, collocato opportunamente 

intorno al 1585 12 , naturalizza Giuseppe Li Volsi a 

Tusa ed oltre ad attivare nuove opportunità di lavoro non 

altera la trama di relazioni che l'artista nicosiano aveva già 

curato d'intrattenere con la committenza dell'entroterra. 

A conferma di ciò che si è detto, il 3 ottobre 1597, Mastro 

Giuseppe si obbligava con un certo frate Bartolo a scolpire 

per la chiesa di San Giovanni Battista nella «terra di 

Gagliano» una statua del santo «relevata et conforme a 

quello santo esistente in questa terra di Tusa con suo 

scabello et suoi storii»13. 

Lo stesso frate Bartolo, appena due mesi dopo gli commissiona 

la statua di S. Maria del Soccorso «con lo suo 

scabello di lignami a pirficioni, sua corona dorata et con lo 

diabolo et la humagna natura refirzata di nervi..., coloriti 

in ogli la faldetta russa con lo fuxto d'argento, tanto a detta 

faldetta, quanto detto manto ... »14. 

Nello stesso periodo Giuseppe Li Volsi risulta impegnato 

nella scultura del coro per la chiesa del Monte di Pietà a 

Castelbuono 1s . 

Dalla fitta cadenza delle commesse sospettiamo che già 

a quella data l'artista si avvalesse di alcuni collaboratori e, 

12 C. FILANGERI 1991, p. 98. 

13 Archivio di Stato di Messina (da questo momento A.S.M.) Not. Filippo 

Cardita, voI. 326, f. 13. La notizia potrebbe essere indicatìva anche per 

l'analogo soggetto tutt'ora esistente nel centro madonita. Per la statua di 

Gagliano si pattuiva un costo di 41 onze. 

14 A.S.M., Not. Filippo Cardita voI. 326, f. 30. La commessa è datata al 20 

dicembre 1597 per un ammontare di 12 onze. 

15 E. MAGNANO, Castelbuono capitale dei Ventimiglia, Messina 1996, p. 212.


per la struttura della bottega, nella fattispecie concepita 

come impresa a conduzione familiare, non è difficile ipotizzare 

la presenza sin da bambini dei figli Francesco e Scipione. 

La ricostruzione dei ruoli nella produzione artistica dei 

Li Volsi a cavallo tra i due secoli si complica e si arrichisce 

quando si scopre che Giuseppe ha un fratello per il quale 

riscuote anche pagamenti e con il quale si cimenta nelle 

opere più impegnative. 

Il 30 agosto 1600 «Mag. joseph Li Volsi habuisse et 

recepisse pro manu Francisco La Scalia, veluti proc. ecc. 

S. ti Basili terrae Sancti Marci, onze 6 e tarÌ 24 in contu 

magisterio S.ti Basili, faciendi pro magistro jo. Batt. Li 

Volsi, eius fratre ... »16. 

Per San Marco d'Alunzio possediamo gli estremi che 

attribuiscono alla bottega tu sana almeno un'altra opera: 

nel settembre del 1606 Mastro Giuseppe riceve dai procuratori 

della chiesa del SS. Salvatore di quella località uno 

dei pagamenti dovuti «pro magisterio immaginis S. Mariae 

de Idria»17. Appare evidente, quindi, che i fratelli Giuseppe 

e Giovan Battista Li Volsi avessero familiarità con la 

committenza di vasto comprensorio territoriale. 

Ma su quale base ne attestiamo la provenienza da 

Nicosia? A questa conclusione induce l'inequivocabile serie 

di atti che vede entrambi gli artisti come artefici del 

fercolo processionale di San Sebastiano a Mistretta. Il 17 

marzo del 1610, per atto del Not. Giuseppe Glorioso, 

ratificato negli atti del Not. Vincenzo Credenzeri di Tusa, 

16 A.S.M., Not. Filippo Cardita, voI. 326, f. 228. 

17 A.S.M., Not. Vincenzo Credenzeri, voI. 465, f. 22, Il gruppo scultoreo, 

ancora esistente, si trova oggi presso i locali del Museo Parrocchiale e viene 

individuato dagli abitanti di questa località con la definizione di «santu chi 

va e santu chi veni». Già A. MELI, [storia Antica e Moderna della città di S. 

Marco, Messina 1984, aveva datato la fondazione della cappella al 1606.


i fratelli si obbligano ad intagliare questa vara per incarico 

del sacerdote Filippo MongiovPs. L'impresa nella quale si 

cimentano risulta particolarmente impegnativa e costringe 

la stessa committenza a dilazionare i pagamenti. In 

alcune ricevute leggiamo testualmente: «Mag. joseph Li 

Volsi, civitatis Nicoxiae et ad preso Terrae Tusae per 

ductionem uxoris habitator. .. »19. Ed ancora: «Mag. joseph 

e joannes Batt. Li Volsi fratres ... ». 

Che il fercolo processionale di San Sebastiano a Mistretta 

sia ancora quello composto dai Li Volsi è cosa molto 

probabile se non altro perchè rimanda ad elementi lessicali 

tipici del periodo, enunciando chiaramente anche peculiarità 

della bottega tu sana. Che poi in varie epoche abbia 

subito rimaneggiamenti, di cui il più recente dataa11872 20 , 

non possiamo escluderlo. Tuttavia, una prova ulteriore a 

questa attribuzione sembra derivare dal fatto che Mastro 

Giuseppe nel 1619 si obblighi presso Motta d'Affermo a 

realizzare un fercolo di misura più contenuta, sempre per 

San Sebastiano, puntualizzando nel contratto 21 molte delle 

caratteristiche e delle soluzioni già adoperate nella vara di 

Mistretta e tutt'oggi visibili. Inoltre sembra che fosse specializzato 

nella elaborazione di queste vare per San Sebastiano, 

poichè nel1598 riceveva dei pagamenti dalla committenza di 

18 A.S.M., Not. Vincenzo Credenzeri, voI. 448, f. 78. 

19 Il 21 settembre 1610 onze 48, il 26 novembre onze 12 e tarì 15, il 23 

dicembre onze 14 e tarì 15, A.S.M., Not. Vincenzo Credenzeri, voI. 448. 

Purtroppo la mutilazione del volume non ci consente di reperire gli altri 

pagamenti cui si accenna nel repertorio degli atti da cui desumiamo un 

ulteriore pagamento nell'aprile del 1611 

20 Nel retro del basamento è dipinta un'iscrizione: «Elaboratus vero et 

sculpturam Don Salvatore Marino Panormitano anno 1872». Tuttavia da un 

inventario del 1750 appare chiaro che il fercolo già esistesse con le 

caratteristiche odierne. Cfr. G. TRAVAGLIATO, Libro d'Inventari delle chiese di 

Mistretta, Mistretta 1995, p. 50. 

21 A.S.M., Not. Paolo Sangetta, voI. 422, f. 63.


Reitano «in contu magisteriu vare facture S.ti Bastiani...»22. 

Alla fine del 1610 dell'attività di Giuseppe Li Volsi in 

territorio amastratino troviamo riscontro nell'incarico sancito 

con un contratto del 6 novembre per la scultura di una 

statua di S. Andrea, da destinare ad una chiesa rurale nei 

pressi del casale di S. Stefan0 23 . 

Dimostrata la provenienza da Nicosia dell'artista, con 

immediata argomentazione sillogistica, lo riconosciamo 

nell'esecutore del coro ligneo per la matrice di Corleone 

(1584) e ci riserviamo gli approfondimenti utili ad individuarne 

altre opere in questa località. 

Accanto alla feconda attività d'intagliatore ligneo, Giuseppe 

Li Volsi figura più volte come valente plasticatore in 

stucco: si è rintracciato un suo impegno del 1614 con la 

chiesa di S. Michele a Tusa «per farci una guarnicioni di 

stucco per ingastarci un quadro dentro, quemquam 

nocchiona e designata allo muro di detta eccIesia ... »24. 

Sull'importanza di queste targhe parietali nella definizione 

dello spazio architettonico si rimanda alle considerazioni 

espresse da Camillo FilangerFs. 

In considerazione di questi ritrovamenti, trattati in questa 

sede come semplice regesto, riservandoci di aprire una 

ulteriore parentesi sulla discendenza tu sana di Mastro Giuseppe, 

sembra utile auspicare un'aggiornamento e, talvolta, 

una revisione della letteratura. La bottega tu sana rimane 

ancora decisamente da scoprire nelle numerose realizzazioni 

e nelle testimonianze archivistiche. 

c/o Facoltà di Architettura, Università di Palermo. 

22 A.S.M., Not. Filippo Cardita, voI. 326, f. 3l. 

23 A.S.M., Not. Vincenzo Credenzeri, voI. 448, f. 171. 

24 A.S.M., Not. Vincenzo Credenzeri, voI. 472, f. 80. 

25 C. FILANGERI 1991, pp. 94-95.

VALERIA SOLA 

UN ALTARE DI PAOLO AMATO PER GIOjOSA GUARDIA' 

Nella chiesa di Santa Maria delle Grazie di Giojosa Marea 

(Messina), nelle cappelle ai lati del presbiterio, sono collocati 

due altari in marmi mischi, interessanti esempi della diffusione 

di questo tipo di decorazione nella zona dei Nebrodi. 

Simili nelle dimensioni e nella composizione, entrambi presentano 

quattro colonne torti li in pietra rossa "di Libici" e 

coronamento mistilineo. L'altare della cappella a destra del 

presbiterio, già-citato daA. Barricelli e G. BongiovannP (fig. l), 

è dedicato alla Madonna delle Grazie, effigiata nella statua gaginesca 

posta nella nicchia centrale. Titolare dell'altare di sinistra 

(fig.2) è la Madonna del Carmine, raffigurata in piedi, 

reggente il Bambino con il braccio sinistro ed in atto di mostrare, 

con la destra, lo scapolare o "abitino" che i fedeli facevano 

voto di portare sempre indosso, per ottenere l'indulgenza 

promessa. Per i motivi decorativi e le cromìe impiegate, a 

girali e fiori bianchi, gialli e rossi sul fondo nero "paragone"2, 

,- Contributo presentato dalla socia Prof.ssa Teresa Pugliatti. 

l A. BARRICELLl, Arte e storia nell'antica diocesi di Patti, in ''Timeto'' n. 2, 

1988, pp. 15-71, in particolare p. 64; G. BONGIOVANNI, Cultura e manualità dei 

paliotti architettonici della Sicilia nord-orientale, in M.C. RUGGIERI TRICOLl, Il 

teatro e l'altare. Paliotti d"'architettura" in Sicilia, Palermo 1992, pp. 229- 

244; in particolare, sul paliotto dell'altare, p. 23l. 

2 "Paragone" è detto il marmo nero, di provenienza probabilmente Iigure, 

sempre impiegato in lastre nelle decorazioni palermitane a marmi mischi 

per realizzare lo sfondo sui cui fare risaltare i motivi decorativi, in marmo

50 VALERIA SOLA 

gli altari sono riferibili entrambi a maestranze palermitane, 

la cui fortuna nel Messinese è attestata del resto, come è noto, 

da altre opere a mischio come la Cappella di San Cono a Naso o 

il paliotto della cappella del vecchio Santuario di TindarP. 

Stilisticamente l'altare della Madonna delle Grazie appare 

più antico e richiama opere eseguite a Palermo nel settimo decennio 

del XVII secolo, come gli altari delle cappelle Sperlinga 

in San Domenico e Gravina in San Giuseppe dei Teatini (fig. 3)4. 

Come gran parte degli arredi delle chiese del paese, gli 

altari provengono dal vecchio centro di Giojosa Guardia, 

fondato nel 1364 da Vinciguerra Aragona sul Monte della 

Guardia e abbandonato in seguito a calamità naturali alla fine 

del sec. XVIIP. Il ritrovamento del contratto di obbligazione 

relativo all'altare della Madonna del Carmine, qui riportato, 

consente ora di precisare alcuni importanti aspetti relativi ad 

entrambe queste opere. 

bianco o policromo; con tale termine si trova indicato dalle fonti storiche 

(Mongitore) e documentarie. 

3 Cfr. A. BARRICELLI, Arteestoria ... cit., p. 64 eGo BONGIOVANNI, Cultura e manualità 

... con ivi bibliografia; S. DI BELLA, La Cappella di S. Cono a Naso ed il suo paliotto 

attraverso alcuni documenti d'archivio, in Il teatro e l'altare ... pp. 223-28. 

4 La cappella Sperlinga nella chiesa di San Domenico fu realizzata poco 

dopo il 1664 da Gaspare Guercio e Gaspare Serpotta (L.M. MAJORCA MORTILLARO, 

La cappella Sperlinga nel Pantheon di S. Domenico in Palermo, Palermo 1907, 

pp. 21-24). Alla cappella Gravina-Platamone a San Giuseppe dei Teatini, 

dedicata alla Madonna di Trapani e progettata da Gaspare Guercio, lavorò 

il marmo raro Aloisio Geraci nel 1664 (F. MELI, Degli Architetti del Senato di 

Palermo, in "Archivio Storico Siciliano" a.IV-V, 1938-39 pp. 305-470, p. 358), 

secondo il Mongitore,essa fu realizzata a spese di D. Sancio Gravina barone 

di Mazzarrone (A. MONGITORE, Palermo Divoto di Maria e Maria protettrice di 

Palermo, Palermo 1719-1720, t.l, p. 657). 

5 Il trasferimento fu deciso dopo il terremoto del 1783 e l'invasione di 

cavallette del 1784, che distrusse i raccolti; la ricostruzione iniziò nel 1786 

e durò oltre un ventennio. Su Giojosa Guardia cfr.: G. FORZANO NATOLl, Giojosa 

Guardia e Giojosa Marea - cenni storici, Mistretta 1887; G. GAETANI, Giojosa 

nella sua origine e nella sua evoluzione storica, Catania 1929; Giojosa Marea: 

storia note immagini, Giojosa Marea 1980; G. RAFFAELE, La Guardia allegra e 

Giojosa - un comune montano nella Sicilia d'età moderna, Messina 1993.

UN ALTARE DI PAOLO AMATO PER GIOjOSA GUARDIA 51 

Dal documento, rogato a Palermo il 23 febbraio 1701, 

apprendiamo che l'altare fu commissionato da Don Filippo 

Pisano, appartenente ad una delle più importanti e ricche 

famiglie di Giojosa 6 , per la Cappella della Madonna del 

Carmine della Chiesa di San Filippo Neri a Giojosa Guardia. 

Le fonti non ricordano una chiesa sotto questo titolo nel 

centro montano; si tratta certamente, tuttavia, della chjesa di 

Santa Maria delle Grazie, edificata nel 1565 dal vescovo di 

Patti Antonino I Marinto 7 , cui era annesso l'oratorio di San 

6 Esponenti della famiglia Pisano, Baroni di Santa Margherita, sono 

spesso ricordati dalle cronache locali. D. Pietro Pisano e il sindaco D. 

Simone Pisano furono tra i firmatari delle petizioni contro il Vescovo di Patti 

rivolte al sovrano nel 1693 e 1696 (G. FORZANO NATOLl, Giojosa Guardia ... , ci t. , 

p. 29); il sacerdote Cono Pisani lasciò i suoi beni per la fondazione di un 

convento nel 1693 (G. GAETANI, Giojosa ... p. 46); un Petrus Pisani c/ericus è 

ricordato dal De Ciocchis nel 1741 tra i seminaristi di Patti (G.A. DE CIOCCHIS, 

Sacrae Regiae Visitationis per Sicilia m ... acta decretaque omnia, Palermo 

1836 (741) p. 66). Verso la metà del XVIII secolo appartenenti alla famiglia 

figurano tra i maggiori redditi eri del paese (G. RAFFAELE, La Guardia ... , cito p. 

48). Salvatore Pisano, figlio di D. Ignazio Pisano Barone di Santa Margherita, 

fu vescovo di Patti dal 1773 al 1781 (G. GAETANI, Giojosa ... , cit., p. 48; N. 

GIARDINA, Patti e la cronaca del suo vescovato, Siena 1888, pp. 187-189); 

anch'egli aveva una predilezione per le cappelle rivestite di marmi, come 

appunto le Cappelle del Sacramento che fece costruire nella cattedrale di 

Patti e nella chiesa Madre di Giojosa Guardia, oggi a Giojosa Marea (N. 

GIARDINA, Patti .. cit., p. 188; il Giardina riporta il nome Silvestro Pisano 

nell'elenco dei vescovi, ma le iscrizioni da lui trascritte citano il nome di 

Salvatore). 

7 G. GAETANI, Giojosa ... , cit., pp. 35-36. ; N. Giardina, Patti ... p. 130 riporta 

invece la data 1575. Il Pirro e l'Amico (R. PIRRI, Sicilia Sacra, disquisitionibus 

et notis illustrata .. t. II, Panormi 1733 p. 796; V. AMICO, Lexicon Topographicum, 

tradotto e annotato da G. Di Marzo, Palermo 1855, voI. I p. 508) riferiscono 

che la chiesa di Santa Maria delle Grazie fu fondata poco distante dall'abitato 

negli anni della nascita del paese ad opera di Vinciguerra Aragona, 

confondendola con la chiesa di Santa Maria del Giardino, di antica fondazione, 

così detta dal nome del luogo pianeggiante ove sorgeva (G. GAETANI, 

Gioiosa .. pp.19-20). Divenuta pericolante, la chiesa del Giardino fu riedificata 

nel1670 accanto a Santa Maria delle Grazie e, con il trasferimento nel nuovo 

sito, i suoi arredi furono trasferiti nella nuova chiesa della Madonna delle 

Grazie di Giojosa Marea, compresa la venerata statua detta appunto della


Filippo Neri. Esso venne fondato agli inizi del sec. XVII8 grazie 

all'intervento del vescovo Vincenzo III Di Napoli, che lo dotò 9 ; 

il mandato di dirigerlo fu dato ai padri Filippini, il cui compito 

era quello di "docere, concionari, et pueros erudire in fidei 

elementis"lo. Nella Visita pastorale del vescovo Pietro Galletti, 

del 1724, la chiesa viene descritta come un edificio ricchissimo, 

contenente, oltre all'altar maggiore in legno dorato, otto 

altari dedicati alla Vergine del Carmelo, a Santa Maria delle 

Grazie, alla Vergine delle Feste, a San Michele Arcangelo, 

all'Immacolata Concezione, a San Filippo Neri, al Crocefisso 

e alle Anime del Purgatorio ll . Non è chiaro fino a quando vi 

rimasero i Filippini; secondo il Mongitore essi furono sostituiti 

nel1702 da chierici secolari, mentre l'Amico afferma "io mi 

seppi rimanere entrambi i ceti, e quest'ultimo [cioè i chierici 

secolari] nella chiesa di Santa Maria della Neve [Santa Maria 

Madonna del Giardino o della Neve, oggi in una nicchia della navata sinistra 

(S. MIRACOLA, Notizie sulla chiesa di S. Maria delle Grazie in Gioiosa Marea e 

sulle sue origini, ciclostile Ente Culturale "Castelluccio" -frazione Maddalena 

Gioiosa Marea, quaderno n° l s.d., pp. 2-3). Secondo G. GAETANI (Giojosa .. cit., 

pp. 35-36) la statua della Madonna delle Grazie, oggi sull'altare di Giojosa 

Marea, fu commissionata dal Marinto stesso. 

8 Atto di fondazione dell'Oratorio di San Filippo Neri presso Archivio 

Parrocchiale San Nicolò di Bari in Giojosa Marea, citato in S. MIRACOLA, Notizie 

sulla chiesa di S. Maria delle Grazie, cito p. 3. Anche in questo caso le fonti 

sono discordi: il Pirro e l'Amico (R. PIRRI, Sicilia Sacra, .. ; V. AMICO, Lexicon ... , 

cit). riferiscono che i gli Oratoriani frequentarono dal161 O la chiesa di Santa 

Maria delle Grazie per gli esercizi spirituali mentre in S. MIRACOLA è riportata 

la data di fondazione al 1618; nel 1615 in effetti sembra già attestata la 

presenza di una congregazione di chierici e sacerdoti dedicata a San Filippo, 

anche se l'oratorio fu istituito successivamente (RAFFAELE, La Guardia ... , cit., 

1993 pp. 79-80). 

9 Secondo il MIRACOLA (Notizie sulla chiesa di S. Maria delle Grazie ... , cit.,., 

p. 4) l'oratorio fu dotato di una rendita annua di circa 100 onze; secondo il 

GAETANI, (Giojosa ... p. 38), seguito dal RAFFAELE (La Guardia ... pp. 79-80) il 

vescovo assegnò alla Congregazione dell'Oratorio 1610 onze. 

lO S. MIRACOLA, Notizie sulla chiesa di S. Maria delle Grazie ... , cit., p. 4. 

11 S. MIRACOLA, Notizie sulla chiesa di S. Maria delle Grazie ... , cit., p. 4; 

RAFFAELE La Guardia ... p. 80.


delle Grazie]"12; gli studiosi locali riportano invece che i 

Filippini continuarono a reggere la chiesa fino al XIX secolo 13 . 

Quando si decise il trasferimento del paese, venne riportato 

sulla costa l'impianto del centro montano, diviso in quattro 

quartieri che prendevano il nome dalle rispettive chiese: San 

Nicolò, Santa Maria della Catena, San Giovanni Battista e 

Santa Maria delle Grazie 14 . La chiesa di Santa Maria delle 

Grazie fu la prima ad essere ricostruita ed ultimata. I lavori 

iniziarono nel 1789, e fu aperta al culto nel 1803 15 . Nella 

nuova chiesa furono trasferiti i preziosi altari in marmi 

mischi nel 1808: il trasporto di quello della Madonna delle 

Grazie impiegò Il uomini per 6 giornF6. 

In seguito al trasferimento, l'altare del Carmine si presenta 

oggi malamente ricomposto, con notevoli sconnessioni lungo 

le giunture ed alcune parti mancanti, in particolare lungo 

il contorno della nicchia e sul coronamento (fig.2 e 4); esso è 

stato privato inoltre, come vedremo, del paliotto originario, 

sostituito da un altro con ricami in argento, presumibilmente 

uno dei quattro di questo tipo acquistati nel 1812 di cui 

abbiamo notizia 17 • 

12 V. AMICO, Lexicon, cit ..... Pare che gli Oratoriani in realtà continuarono 

a reggere la chiesa fino ad oltre il trasferimento del nuovo sito, ricostruendo 

accanto alla nuova Santa Maria delle Grazie anche la loro Casa, incamerata 

con la legge di soppressione del 1870 ed oggi adibita a Palazzo Comunale 

(Brevi cenni storici di Gioiosa Marea- numero speciale del "Notiziario 

Pirainese" (ciclostile), Gioiosa Marea s.d. p. 21; S. MIRACOLA, Notizie sulla 

chiesa di S. Maria delle Grazie ... , cit., p. 5). 

13 G. GAETANI, Giojosa ... , cit., p. 38; Brevi cenni storici di Gioiosa Marea- numero 

speciale del "Notiziario Pirainese" (ciclostile), Gioiosa Marea s.d. p. 2l. 

14 V. nota 5. 

15 S. M IRACOLA , Notizie sulla chiesa di S. Maria delle Grazie ... , cit., p. 5; 

Giojosa Marea .. 1980 p. 27 nota 8. 

lG S. MIRACOLA, Notizie sulla chiesa di S. Maria delle Grazie ... , cit., p. 6; la 

statua della Madonna delle Grazie era già stata trasferita invece nel 1805 

(Brevi cenni storici ... , cit., p. 5). 

17 Notizia riportata da S. MIRACOLA, Notizie sulla chiesa di S. Maria delle 

Grazie ... , cit p.6.


Ad eseguire l'opera entro il termine di due anni si impegnò 

lo scultore Gioacchino Vitagliano, per un compenso di trecento 

venti onze. Si tratta di una tra le prime opere documentate 

dello scultore, allora trentunenne, poi attivissimo in molti 

cantieri palermitani alla realizzazione di mischi e tramischi. 

Apoche di pagamento al Vitagliano per opere fatte a Gioiosa 

Guardia erano già state rintracciate dal Meli, che non le aveva 

però ricollegate ad un'opera in particolare 18 • Si specifica che 

il disegno sarà fornito dall'architetto del Senato in carica: 

Paolo Amato. Già nel 1698 il Vitagliano aveva realizzato su 

disegno dell'Amato la fontana del Garraffo 19 • A questa data 

sono già numerosi i progetti di Paolo Amato per decorazioni 

a mischio: del1682 è il progetto della chiesa del Salvatore: del 

1684 la cappella di Libera Inferni in Cattedrale; del 1691 la 

decorazione marmo rea della Cappella della Chiesa di San 

Carlo; del 1695 la decorazione delle cappelle della chiesa di 

Santa Maria di Valverde 20 • In effetti la "firma" dell'Amato già 

era nell'impianto generale della "macchina", nelle colonne 

tortili ai lati e nel mosso coronamento, simile nelle proporzioni 

a quello dell'altare di Libera Inferni (fig. 5), di cui l'altare 

giojosano sembra quasi una versione rimpicciolita e semplificata; 

la soluzione del drappo marmoreo retto dai puttini 

richiama la analoga realizzazione del fondo della Cappella 

del Crocifisso al SS. Salvatore. Nel contratto di obbligazione 

sono dettagliatamente specificati i modelli di riferimento, 

presumibilmente forniti dal committente. È possibile che nel 

18 F. MELI, Degli Architetti del Senato di Palermo, in "Archivio Storico 

Siciliano", a. IV-V, 1938-39 pp. 305-470, p. 387; è purtroppo impossibile un 

diretto controllo della notizia poichè non viene citata alcuna fonte documentaria. 

19 F. MELI, Degli Architetti ... cit., p. 387. 

20 F. MELI, Degli Architetti .. , cit., pp. 360-361; L. BOGLlNO, La Monumentale 

Chiesa di S. Maria di Valverde, Palermo 1907, pp. 26-27. Su Paolo Amato cfr. 

M.C. RUGGIERI TRICOLl, Paolo Amato: la corona e il serpente, Palermo 1983.

UN ALTARE DI PAOLO AMATO PER GIOJOSA GUARDIA 55 

progetto dell'altare Paolo Amato abbia tenuto presente, magari 

secondo indicazioni dello stesso Filippo Pisano, anche la 

Cappella della Madonna della Grazia già esistente nella 

chiesa di Giojosa, databile stilisticamente, come già accennato, 

al settimo o ottavo decennio del XVII secolo. 

Innanzi tutto si prescrive che il paliotto debba essere 

"giusta la forma del paleo della cappella di Nostra Signora 

della Candelora esistente nella chiesa delli R.R.P.P. Teatini di 

questa città [di Palermo]", cioè del paliotto che si trova oggi 

nella sagrestia della chiesa 21 (fig. 6); questa notazione ci 

consente inoltre di conoscere la collocazione originaria dell'opera 

palermitana, che apparteneva quindi alla cappella 

della Candelora o della Purità, la prima a destra nella chiesa, 

fatta rivestire di marmi da D. Giuseppe Cicala, vescovo di 

Mazara e poi di Messina 22 • L'immagine della Madonna della 

Purità, patrona della religione Teatina, fu spedita da Napoli 

nel 1647 23 ; il Cicala "per l'affetto professato verso la Vergine 

21 Sul paliotto di San Giuseppe dei Teatini v. M.C. RUGGIERI TRICOLI, Il teatro 

e l'altare- paliotti d"'architettura" in Sicilia, Palermo 1992, in particolare p. 

116-117. L'analogia tra i due paliotti era già stata notata da G. BONGIOVANNI 

(Cultura e manualità ... , cit., p. 231), che pur senza riferimenti documentari 

riteneva giustamente il paliotto gioiosano "opera di maestranza palermitana 

tra lo scadere del '600 e i primi anni del '700". 

22 A. MONGITORE, Storia sacra di tutte le chiese, conventi, monasteri, 

ospedali ed altri luoghi pii della città di Palermo- Chiese e case dei Regolari, 

mS.sec. XVIII presso la Biblioteca Comunale di Palermo ai segni Qq E 6, cc. 

420-421. La Candelora è la "purificazione" di Maria che avviene con la 

Presentazione al tempio, e si identifica pertanto con il culto della Madonna 

della Purità; questa informazione mi è stata gentilmente fornita da P. 

Benedetto Rocco. 

23 A. MONGITORE, Palermo Divoto di Maria e Maria Protettrice di Palermo, 

tt. 2, Palermo 1719-1720; I p. 485-486: il titolo di Madonna della Purità fu 

dato a Napoli da Don Diego di Bernardo e dal teatino D. Giuseppe Caracciolo 

ad una antica immagine di Maria posseduta dal Di Bernardo; il 7 dicembre 

1641 l'immagine fu traslata con una solenne processione nella Basilica di 

San Paolo. Nel 16471a Madonna della Purità fu dichiarata patrona dell'ordine 

dei Chierici Regolari, e copie del quadro napoletano furono spedite 

presso le chiese dell'Ordine in altre città.


ed alla casa di S. Giuseppe vestì tutta la cappella di marmo a 

lavoro moderno" intorno al 1681, data riportata nella lapide 

un tempo apposta sul pavimento della Cappella, eletta a 

sepoltura familiare 24 • Il paliotto della cappella presenta la 

consueta simbologia mariana tratta dal Cantico dei Cantici e 

dal libro dell'Ecclesiaste: sono presenti sotto le arcate del 

portico, dalle quali pendono festoni di allegorici frutti, la 

luna, il sole, la stella; la ianua coeli, la fons hortorum, puteus 

aquarum viventium, la turris davidica; puntuali sono le 

citazioni botaniche quali la palma, il cipresso, l'ulivo, il giglio, 

la rosa; è presente anche il tulipano 25 • Proprio per questi 

significati allegorici il paliotto viene scelto quale modello dal 

Pisano, devoto della Madonna del Carmelo, e riprodotto con 

poche varianti; un paliotto con analoga simbologia mariana, 

riferibile a maestranze palermitane, è presente del resto, 

come è noto, anche nel vecchio Santuario della Madonna di 

Tindarj26. 

24 Notizie in A. MONGITORE. Chiese e case. ms. cit.; A. MONGITORE. Palermo 

Divoto .... cit .• voi Il. p. 194 "non dimenticato della sua chiesa di S. Giuseppe 

di Palermo. e della Cappella in essa dedicata alla Madonna della Purità. da 

lui venerata con fervido amore. mostrò il suo affetto alla Vergine con vestir 

detta Cappella di scelti marmi. lavorati a fiorame; lastricò il pavimento. che 

stendesi innanzi di essa. pur con intreccio di vari marmi. e la sua cupola con 

stucco toccato d'oro: e con questa inscrizione attestò la sua fervente 

devozione a Maria; destinando ivi il sepolcro alle ceneri de'suoi: joseph 

Cicale et Statella/ ex clericis regularibus,/post mazariensies insulas/ 

Archiepiscopus Messanensis,/ad puritatis aram/Hoc posuit amoris pignus./ 

Virginis igni/Cor tenerum/Durum suorum cineribus/ Marmor/Utraque 

haereditas maxima./Nil corde gratius/ Coelo est/o Terre/ Sepulchrali 

lapide/Gemma pretiosior nulla/. Anno domino MDCLXXXI".Attualmente la 

Cappella della Purità presenta. analogamente alle altre cappelle della 

chiesa, un pali otto rococò; non è presente inoltre la lapide sepolcrale 

riportata dal Mongitore. rimossa insieme al pavimento originario. 

25 Simbolo. secondo il Picinelli del Divino Amore e dunque attributo della 

Vergine Maria. nonchè della tristezza della Madonna per la crocifissione (M. 

LEVI O'ANCONA, The garden ofthe Renaissance. Botanical symbolism in italian 

painting, Firenze 1977 p. 390). 

26 G. BONGIOVANNI. Cultura e manualità .... cit .. p. 231.


Attualmente, come già accennato, anche la "macchina" 

marmorea giojosana presenta un pali otto non pertinente; il 

paliotto realizzato dal Vitagliano è invece quello che oggi si . 

trova nella cappella della Madonna della Grazia, a destra del 

presbiterio (fig.7). Evidentemente, quando gli arredi furono 

trasferiti dalla vecchia alla nuova chiesa, all'altare della 

titolare fu sistemato il paliotto più sontuoso. È presente 

inoltre nella palermitana cappella Cicala anche il motivo del 

drappo retto da angioletti sullo sfondo, nel quale si inserisce 

il tondo con l'immagine della Madonna della Purità. 

Nella chiesa di San Giuseppe dei Teatini Don Filippo Pisano 

trovò anche il modello per la nicchia, che volle uguale infatti 

a quella della Cappella della Madonna di Trapani, ornata di 

marmi a spese di D. Sancio Gravina barone di Mazzarrone 

intorno al 1664; viene puntualmente ripresa, con alcune 

varianti nella decorazione, la forma del modello ed in particolare 

della conchiglia al sommo. La nicchia, si specifica, 

dovrà accogliere la statua raffigurante la titolare, "al presente 

esistente dentro detta Cappella quale Imagine pure è opera di 

mano di detto stagliante"27. Per Giojosa Guardia dunque il 

Vitagliano aveva già realizzato la statua marmorea raffigurante 

la Madonna del Carmine, attualmente posta sull'altare 

(fig. 4), che oggi si presenta con le dita della mano destra 

spezzate e coperte dall'''abitino''. La statua presenta affinità 

nel panneggio e nell'espressione con altre opere del Vitagliano 

degli inizi del XVIII sec., come ad esempio la statua di San 

Domenico nella facciata della chiesa della Pietà di Palermo 

eseguita nel 1702 28 . Il piedistallo attuale, recante l'iscrizione 

27 Nelle fonti documentarie il termine "stagliante" indica l'artista o 

l'artigiano che si assumeva il compito di realizzare lo "staglio" e cioè, 

secondo la definizione del Vocabolario Siciliano-Italiano di V. Mortillaro, 

Palermo 1876, un lavoro dato o pigliato a fare, non a giornata ma a prezzo 

fermo. Cottimo. 

28 Cfr. F. MELI, Degli Architetti ... , cit., p. 387; M. S. TUSA, Architettura


"D. MARTINO CURTURILLO ANNO OOM. 1623"29 doveva reggere 

probabilmente un'altra statua della chiesa della Guardia: 

il panneggio dell'abito della Madonna, la torsione della figura 

e, soprattutto, le affinità del modellato del Bambino con gli 

angioletti reggidrappo rendono infatti inaccettabile il riferimento 

dell'iscrizione alla statua della Madonna del Carmelo. 

E' invece possibile che il piedistallo originario della statua del 

Vitagliano, o almeno parte di esso, regga oggi la statua della 

Madonna del Giardin0 30 (fig. 8): si tratta infatti di un piedistallo 

ottagonale incrostato a mischio, ora poggiante su un 

frammento pure a mischio, analogo a quello della statua della 

Madonna di Trapani a San Giuseppe dei Teatini a Palermo, 

soluzione che verrà moltiplicata da Paolo Amato nel piedistallo 

a gradini dell'altare di Libera Inferni. Non è anzi 

improbabile che i due piedistalli siano stati semplicemente 

scambiati dopo il trasferimento degli arredi, e che alla 

venerata immagine della Madonna dei Giardini sia stato 

destinato quello più ricco, che nell'altare originario sarebbe 

risultato invece coperto dal tabernacolo ligneo azzurro e oro, 

aggiunto successivamente al centro del gradino. La statua, 

che riproduce il tipo della Madonna di Trapani, particolarmente 

diffuso nei Nebrodi per il suo presunto potere 

taumaturgic0 31 , appare infatti modellata con un gusto già 

seicentesco, in particolare nella resa dei capellj32. 

Per le colonne "alla salomona" dell'altare del Carmelo, il 

modello indicato è quello della Cappella di Libera Inferni 

barocca a Palermo: prospetti chiesastici di Giacomo Amato architetto, 

Palermo 1992 pp. 157-158. 

29 A. BARRICELLI Arte e storia ... , cit.; S. MIRACOLA, Notizie sulla chiesa di S. 

Maria delle grazie ... , cit.; Brevi cenni storici di Gioiosa Marea ... , cit. p. 2l. 

30 Proveniente dalla chiesa omonima: cfr. nota 7 

31 A. BARRICELLI, La scultura dei Nebrodi, in I Nebrodi, Roma 1989, p. 188. 

32 A. BARRICELLI, Arte e storia .. , cit., p. 46, l'aveva già definita "di ascendenza 

trapanese ma dai capelli già acconciati con gusto barocco".


nella Cattedrale di Palerm0 33 , realizzata da Baldassarre 

Pampillonia su progetto dell'Amato nel 1684 34 • Le colonne, 

per due terzi in "pietra di Libici di Trapani" e incrostate di 

marmi alla base riprendono le forme consuete negli altari 

palermitani a mischi; nella parte inferiore presentano tuttavia 

non la più diffusa decorazione a mascheroni, putti e girali 

a tramischio, ma un elegante motivo a festoni che si attorcigliano 

sul fusto scanalato e dalla bicromia bianca e rossa. 

Il documento ci fornisce altre notizie sull'originario progetto 

della cappella: la balaustrata doveva essere "conforme" 

a quella allora esistente della Cappella del Crocifisso nella 

cattedrale palermitana, fatta realizzare insieme dal canonico 

Giuseppe Caetano nel 1686 35 • Alla cappella si accedeva 

mediante scalini, da farsi uguali a quelli della cappella della 

Madonna della Grazia dello stesso oratorio. Il progetto prevedeva 

anche l'integrazione della statua della Madonna del 

Carmine con altre tre figure in abito carmelitano poste 

nell'atto di ricevere lo scapolare, "con le sue vestimenti ricchi, 

e fatti proporzionati". Di queste statue non v'è traccia nelle 

chiese di Gioiosa Marea; è probabile quindi che siano andate 

perdute nel trasferimento dell'altare dal vecchio al nuovo 

centro. Gioacchino Vitagliano si impegnava a consegnare 

l'opera, escluse le figure, entro l'agosto 1701 presso la Porta 

della Doganella, ovvero a "ripa di mare" per l'imbarco della 

"macchina". Entro l'anno successivo si obbligava a consegnare 

anche le statue, e, una volta completa, il Vitagliano doveva 

recarsi a Gioiosa per "assistere" alla messa in opera. A questa 

33 In seguito alla traformazione neoclassica della Cattedrale palermitana, 

la cappella fu smontata e venduta nel 1785 al padre guardiano del 

Santuario di Cibilmanna, dove tuttora si trova (A. ZANCA, La Cattedrale di 

Palermo, Palermo 1952 pp. 280-281). 

34 Per l'uso delle colonne torti li da parte di Paolo Amato e sulla loro 

simbologia, cfr. M.C. RUGGIERI TRICOLI, Paolo Amato ... , cito 

35 C.M. AMATO, De Principe Tempio Panormitano Panormi 1728 p. 319.


nella composizione, ma preferisce quello della cappella della 

Candilora, dallo spazio scandito nettamente. Tuttavia, l'altare 

di Giojosa è comunque testimonianza importante dell'adeguamento 

della committenza "provinciale" alla cultura 

artistica della capitale, dove i marmi mischi erano allora di 

gran moda. Ricordiamo infatti che il canonico Mongitore, 

riferendosi alle cappelle citate come esempi, rileva sempre 

che esse sono "alla moderna", e ne loda i committenti e le 

spese sostenute come ad esempio l'arcivescovo Palafox che 

profuse nella cappella di Libera Inferni 4000 scudi "con non 

minor pietà che splendidezza". Del resto, come già rilevato, 

nella stessa chiesa di San Filippo a Giojosa Guardia maestranze 

palermitane dovevano avere già realizzato il fastoso altare 

della Madonna delle Grazie, a testimonianza anche della 

ricchezza della committenza locale, attestata anche da opere 

quali il paliotto argenteo dell'Assunta, pure eseguito a Palermo 

e attribuito a Pasquale Cipolla 37 • 

Non sappiamo perché Filippo Pisano decise di impiegare 

una ingente somma di denaro per la costruzione dell'altare 

della Madonna del Carmine; possiamo ipotizzare però che si 

trattasse della sua cappella di famiglia, poiché solitamente, 

come nel caso delle già citate cappelle palermitane Sperlinga, 

Gravina e Cicala, era il casato che aveva lo juspatronatus e il 

diritto di sepoltura ad intraprendere le opere di decorazione. 

A conferma della sepoltura dei Pisano all'interno della vecchia 

chiesa, nel pavimento dell'attuale Santa Maria delle 

Grazie di Gioiosa Marea è oggi murata la lapide sepolcrale del 

cIericus, datata 1730 e decorata anch'essa ad intarsio 

marmo reo (fig. 9); e sul pavimento davanti all'altare del 

37 Sugli argenti di Giojosa v. G. BONGIOVANNI, Argenti barocchi di Gioiosa 

Marea, in "Timeto" n. 3-4,1987-88, pp. 73-96; sul paliotto in particolare cfr. 

IDEM, scheda 11/135 in Ori e Argenti di Sicilia, cat. mostra a cura di M.C. DI 

NATALE, Milano 1989 e IDEM, Il paliotto d'argento riscoperto, Palermo 1989.


Carmelo si trova oggi anche la lapide di donna Anna Pisano, 

posta dal figlio Simone, come recita l'iscrizione, nel 1771 (fig. 

IO), poco prima del trasferimento nel nuovo sito, collocata 

presumibilmente in analogia alla sistemazione originaria. 

c/o Istituto di Storia dell'Arte, Facoltà di Lettere, Università di 

Palermo.

APPENDICE 

Archivio di Stato, Palermo. 

Notaio Gandolfo Cosimo vol. 4987 ff 1218r-1225r, 23 

febbraio 1701 

Joachim Vitagliano scultor marmoris m.n.c.c.n. ad omnes 

eius attractu expensis et magisteria sponte obligavit et 

obligat clerico don Philippo Pisano terrae Gioiose Guardie ad 

presens hic Panormi degenti mihi notaio etiam cognito 

presenti et stipulanti ut dicitur fare l'infrascritta opera giusta 

la forma delli capitoli del tenor che segue cioè: 

Capitoli della Macchina Marmorea da farsi per servizio 

della Cappella della Ven. Chiesa sotto titolo di S. Filippo 

Nereo nella terra nominata la Giojosa Guardia, quale cappella 

è sotto titolo di Nostra Signora del Carmine. 

Primieramente che detto stagliante che ha da fare detta 

opera marmo rea di detta cappella di Nostra Signora del 

Carmine si obbliga quella fare a tutte sue spese attratto e 

maestria e tanto di marmo pietre di diversi colori quanto di 

qualsivoglia altra cosa, che sarà di bisogno per la perfettione 

di detta opera, d'opera e professione di marmo, e scultura 

giusta la forma del disegno fatto e da farsi, e tanto del modello 

da farsi, quale habbia da essere intutto d'altezza di palmi 

vintisei, e di larghezza palmi sidici, quale misura si doverà 

pigliare circa la larghezza dal sino del plinto delle colonne 

della parte estrema di fori, e l'altezza del primo ordine cioè 

del cornicione abbasso di palmi dieci setti et il resto del 

secundo ordine di palmi novi quali insieme fanno la sopradetta 

altezza delli sopradetti palmi vintisei, con farci l'infrascritti 

operi cioè: 

In primis farci un paleo marmo reo ingastato di diversi 

pietri di colori di altezza di palmi quattro e larghezza di palmi


otto giusta la forma del paleo della cappella di Nostra Signora 

della Candilora esistente nella chiesa delli R.R.P.P. Teatini di 

questa Città, e sotto farci la pradella piena tutta di pietra 

russa del Casale delli Greci fasciata di marmura lavurata, e 

sotto detta predella farci un scalino di marmo bianco ingastato 

di diversi colori, e sopra lo detto altare farci dui gradini di 

marmo bianco ingastati e rabiscati di diversi colori con farci 

li suoi bicucchi scorniciati, e sopra collocarci una nicchia 

della grandezza per quanto ci può comodamente capire la 

immagine di rilevo di Nostra Signora del Carmine al presente 

esitente dentro detta Cappella quale Imagine pure è opra di 

mano di detto stagliante, la quale habbia esser fatta di marmo 

lavorato, e ingastato giusta la forma della nicchia di Nostra 

Signora di Trapani esistente nella chiesa di S. Giuseppe dei 

detti Padri Teatini di questa città, et a lato farci tutta quella 

opera che sarà di bisogno per insino à toccare li pilastri di 

marmo di misco ramisco lavorato, e più farci n. quattro 

colonne della misura conforme il disegno fatto da detto 

stagliante di Vitagliano sottoscitto dal Rev. Sac. D. Paolo 

Amato Ingignero et Architetto di questa città, quali colonni 

habbiano da essere tutti alla salomona della qualità come 

quelli che sono nella Cappella di Nostra Signora di Libera 

Inferni dentro la maggiore Panormitana Chiesa, conforme li 

due terzi di pietra di Libici di Trapani e lo terzo e basi di 

ognuni lavorati ingastati ed intagliati,e lo capitello di marmo 

bianco intagliato, quali colonne habbiano da essere posti una 

dopo l'altra cioè che li punti delli plinti, e capitelli, si toccano 

conforme ordinerà detto di Amato, e nel dietro farci le sue 

pilastri che richiederanno con le sue capitelli e basi, e le fundi 

con le sue brachittoni lavorati ed ingastati, e sotto le dette 

colonne farci li suoi piedistalli con suoi cimasi, e basamenti 

lavorati, et ingastati, farci li dadi lavurati e intagliati et 

ingastati conforme il detto disegno per tutti li facci, che si 

scorgeranno, e sotto farci li suoi zoccoli, e fascie per insino


all'appitamento e sopra li dette colonne farci il suo cornicione 

cioè architravo, friscio e cornice lavorati e ingastati conforme 

al sopradetto disegno, sia che la cornice habbia da posare 

sopra giurlanda della nicchia di più detto stagliante si obbliga 

farci li suoi frontispicii conforme il detto disegno, e doppo 

farci il suo finimento di marmo ingastato, ed intagliato 

conforme al detto disegno, e se sarà di bisogno allargarlo 

detto stagliante l'abbia di allargare; quale opera detto stagliante 

l' habbia da perfettionare con farci l'incancellata con 

le sue balaustri, cimasa e basa come quella che esiste al 

presente nella cappella del 55. Crocefisso nella Matrice Chiesa 

di questa città della parte dell'affacciata della grandezza 

che richiederà detta Cappella con lassarci il vacante per 

l'entrata; come pure sotto detta cancellata farci gli scalini 

conforme la cappella della Madonna della Grazia esistente in 

detta Chiesa di 5. Filippo Neri di detta Terra della Giojosa; 

quale opera detto stagliante si obbliga farla bene, e 

magistribilmente conforme richiede l'arte, e conforme le 

migliori che sono in questa città, e che detto stagliante sia 

obbligato come s'obliga a detto di Pisano stipulante a spesi di 

esso stagliante come sopra fare detta opera che sia di marmo 

statuario e che le pezzi di detta opera siano di grandezza, 

larghezza e profondità per quanto potranno venire senza 

metterci giunti nè tasselli, e che il marmo sia seguito senza 

verzi, canula, veni e macchi, e che la petra di gasto habbia 

essere ben colorita conforme sarà benvisto a D. Amato; di più 

detto stagliante si obbliga a tutte sue spese d'attratto e 

maestria di esso stagliante come sopra fare tutta l'opera 

scorniciata con farci tutti queli sentimenti che richiede 

l'Architettura, con darci li moderi detto di Amato non obstante 

che in detto disegno siano differenti con intagliarci tutti li 

membri ed ingastarli di quelli petri, che si sarà ordinato, e 

tanti nello cornicione, cornici, architravo, frontispicii, imposti, 

archi, basi, cimasi, basamenti, baccucchi di scalini et altri


e che tutta l'opera di scorniciato habbia ad essere intagliata 

ed ingastata non obstante che in detto disegno non vi fosse 

designata, e conforme sarà benvisto al detto di Amato. 

Di più che detto stagliante a sue spese attratto e mastria 

come sopra si obbliga fare tre figure di marmo bianco 

statuario con l'habiti dell'ordine del Carmine poste conforme 

ci sarà ordinato, quali debbono essere proportionati di 

grandezza conforme quella della Madonna 55.ma, quali 

ricevi no l'abito e metterli in quelle posiziuni che li sarà 

ordinato con le sue vestimenti ricchi, e fatti proporzionati, 

quali figure e tutta l'opera di gruttisca, intaglio e scultura cioè 

cartocci, pillomi, foglie ed altri habbano da essere bene 

intagliati, incavati ed ingastati con farci quelle grossezze, 

trafori e sentimenti che si saranno ordinati e che a ognino di 

quelle si habbia di fare detto stagliante il modello di creta 

benvisto al detto di Amato. 

Di più il detto stagliante a sue proprie spese attratto e 

maestria come sopra si obbliga a detto di Pisano stipulante 

fare tutta la scoltura di figure puttini festini ed altri che vi sarà 

di bisogno e ci sarà ordinato, quali habbiano ad essere 

proportionati di giusta semetria con farci quelli sentimenti, 

gesti, pa(. .. ) ed altri che si sarà ordinato, e che siano benvisti 

al detto di Amato come sopra. 

Di più che detto stagliante a sue proprie spese attratto e 

maestria sia obligato conforme s'obliga al detto di Pisano 

stipulante fare un modello di legname di altezza in tutto di 

palmi tre di tutta la sudetta opera con farci tutti li sentimenti, 

scorniciato e colonne di legname e tutta la scultura rustichi 

e rabischi di cera quali habbiano di fare nella casa e habi tazione 

di detto Amato, et habbia di finire fra il termine di giorni 

trentacinque da contarsi da hoggi innante quale modello 

habbia essere benvisto cossì al detto di Amato come a detto 

di Filippo come a detto Pietro Pisano e a don Vincenzo Maggio. 

Di più detto stagliante a sue proprie spese attratto e


maestria s'obliga a detto d. Filippo Pisano stipulante portare 

tutto il marmo pietra et altro che vi sarà di bisogno nel 

claustro di S. Cita nel convento dei PP. Domenicani di questa 

città et incominciare statim che sarà finito detto modello con 

havere da comprare da hoggi innante li pezzi di marmo che 

vi saranno di bisogno, et incominciarli a lavorare con pigliare 

tutti queli operarij che vi saranno di bisogno boni atti e 

virtuosi per fare detta opera e seguitare e finire, e non 

lasciare, e darla finita di tutto punto cioè dallo piedestallo per 

insino alle colonne inclusive tutto arrotato di paro excluse le 

figure et altri per tutto lo mese di agosto prossimo dell'anno 

presente 1701 e tutto il resto di tutta la sudetta opera fra il 

termine di anni dui cursuri da hoggi innante, e pure s'obliga 

a detto di Pisano stipulante a spese di esso stagliante portare 

e consignare tutta la sudetta opera spedita e perfetionata di 

tutto punto come sopra innante la porta della dohanella seu 

a ripa di mare di questa città di Palermo con che detto 

stagliante non sia obligato nè a casci di legname nè pigliare 

dohana ex patto. 

Di più che detto stagliante non sia obligato nè a nolo, nè ad 

altra portatura di portare tutta detta macchina insino alla 

detta Cappella di Nostra Signora del Carmine dentro detta 

chiesa di S. Filippo Neri di detta terra della Giojosa, ma 

solamente detto stagliante doppo che sarà per esso consignata 

tutta detta opera in detta porta della dohanella seu a ripa di 

mare di questa città come sopra e doppo quella per esso di 

Pisano portata in detta Cappella del Carmine di detta terra 

della Giojosa come sopra sia obligato detto stagliante come 

in virtù del presente s'obliga a detto di Pisano stipulante 

d'andare con la detta opera e assistere nella Cappella del 

Carmine ed assestare tutta la detta opera nei tempi di so pra 

espressati con li mastri muratori che sarano di bisogno per 

assestare detta opera per insino che sarà perfezionata e 

assestata di tutto punto con che detto stagliante non sia


obbligato nè a mastria di mastri muratori nè a calcina, e rina 

nè gaffi nè altro solamente assistere di presenza come sopra 

e per detta assistenza habbia da consequire altro solo che 

l'infrascritti denari inra expressati. 

Di più che la detta opera nun habbia da essere nè scantunata 

nè rutta, insino a che è obbligato detto stagliante portarla e 

consignarla in detta porta di dohanella seu a ripa di mare di 

questa città come sopra e con che (quodabiit) succedesse 

disgrazia per strata cioè in detta ripa di mare di questa Città 

per insino a detta Cappella del Carmine di detta terra che 

detta opera si rumpesse in una o più parti, in tal caso 

solamente sia obbligato detto stagliante conforme s'obliga a 

detto di Pisano stipulante a spese, attratto e mastria di esso 

stagliante accomodarli come pure caso che mentre detta 

opera si sta assestando in detta Cappella come sopra succedesse 

disgratia di rompersi o per mal a assestatura o per altro 

accidente cossì che esso stagliante come d'altri mastri e 

persone che assisteranno in assestare detta opera in tal caso 

detto stagliante sia obligato come s'obliga a detto d. Pisano 

stipulante tale ruttura et pezzatura accomodarli, e se sarà 

bisogno farli novi a tutti danni spesi et (. .. ) di esso stagliante 

exclusa per la maestrìa delli mastri muratori che assisteranno 

in assestare detta opera e non altrimenti. 

[ ... ] 

De qUibus etc. 

Quod Iustum etc. 

Et hoc pro pretio et expensis attrattu et magisterio omnium 

premissum per in dictis capitulis detto de Vitagliano teneatur 

et obligatur eum in totum uncias tricentum viginti sic de 

patto et accordio [ ... ] de quibus uncis 320 d. de Vitagliano 

dicit et fatetur habuisse et recepisse a d. Philippo Pisano 

stipulante uncias centum viginti p.g. in pecunia hodie et 

unciarum duecentum d. de Pisano dare realiter et cum 

effectum solvere promittit seque sollemniter obligavit et


obligat d. de Vitagliano stipulanti seu personae pro eo legata 

hic Panormi in pecunia [ ... ] dal primo di maggio prossimo 

futuro dell'anno presente innante à ragione di onze otto ogni 

mese con volersi e riconoscersi per ogni mese l'opera che 

haverà detto stagliante fatto a fine di andare pure estinguendo 

le dette onze centumviginti pagate d'innanti come sopra 

pro rata per spesa che si andrà facendo, talmente che non 

trovandosi finita detta opera pro concurrenti quantitate della 

rata che deve entrare detto sborso fatto di onze 120 si doverà 

scalare detta somma di onze otto il mese a quella somma che 

si potrà pagare conforme determinerà detto di Amato, e se 

perfezionata tutta detta opera et assestata come sopra si ha 

detto fatti il centro tra essi cui di esse parti haverà da rifare 

si faccia in denari contanti statim et incontinenti ex patto 

omnibus oppositionibus remissis. 

Pro quo quidem de Vitagliano stipulante eius precibus et 

complacentia [ ... ] d. Philippo Pisano stipulante de dando 

observando perfetionando finendo et adimpiendo omnia 

premissa ad que tenutus et obligatus est d. de Vitagliano d. 

de Pisano stipulanti vigore presentibus qUibus jacobus et 

joseph Serpotta fratres et Michel Rosciano m.n.c.c.n. una 

simul et insolidu se obligantes [ ... ] sponte insolidum 

fideiusserunt, seque fid(..)res presentibus stagliantes 

observatores solutores et insolidum cum dicto de Vitagliano 

se se insolidum [ ... ] obligaverunt et obligant d. de Pisano 

stipulanti [ ... ]. 

Testes Isidorus Pullicino, et jacobus Nigrino.


Fig. l - Giojosa Marea, Chiesa di S. Maria delle Grazie, cappella della 

Madonna delle Grazie (foto Brai - Publifoto Palermo).


Fig. 2 - Giojosa Marea, Chiesa di S. Maria delle Grazie, cappella della 

Madonna del Carmelo.

72 VALERIA SOLA 

Fig. 3 - Palermo, chiesa di S. Giuseppe dei Teatini, cappella Gravina ° della 

Madonna di Trapani.


Fig. 4 - Giojosa Marea, Chiesa di S. Maria delle Grazie, statua della Madonna 

del Carmelo.


Fig. 5 - Gibilmanna, Santuario, altare della Madonna di Libera Inferni (dalla 

Cattedrale di Palermo) (foto Brai - Publifoto, Palermo).


Fig. 6 - Palermo, Chiesa di S. Giuseppe dei Teatini, sacrestia, paliotto. 

Fig. 7 - Giojosa Marea, Chiesa di S. Maria delle Grazie, cappella della Madonna 

delle Grazie, paliotto. 

75

76 

VALERIA SOLA 

Fig. 8 - Giojosa Marea, Chiesa di S. Maria delle Grazie, la Madonna del 

Giardino.


Fig. 9 - Giojosa Marea, Chiesa di S. Maria delle Grazie, lapide sepolcrale di 

D. Filippo Pisano.


Fig. lO - Giojosa Marea, Chiesa di S. Maria delle Grazie, lapide sepolcrale di 

D. Anna Pisano.

CIRO D'ARPA 

NUOVI DOCUMENTI SU GIACOMO SERPOTT A: 

LA CHIESA DI SANTO SPIRITO AD AGRIGENTO" 

Il complesso monumentale del monastero delle benedettine 

cistercensi di Santo Spirito l costituisce uno degli esempi 

più antichi e significativi di quella particolare produzione 

architettonica siciliana del XIV secolo, genericamente ed 

impropriamente aggettivata dalla storiografia col termine di 

architettura "chiaramontana". Tale denominazione deriva 

dal titolo appunto dei Chiaramonte, potente e prestigiosa 

famiglia di feudatari patrocina tori di numerose architetture 

"Contributo presentato dai soci Beppe Giorgianni e Giacomo Scibona. 

lA. INVEGES, La Cartagine siciliana, Palermo 1651, p.152; R. PIRRI, Sicilia 

Sacra, Palermo 1733, vol.I, p. 73 3; V. AMICO, Lexicon Topographicum Siculum, 

nuova edizione Dizionario topografico della Sicilia, Palermo 1875, pp.63-64, 

119; G. PICONE, Memorie storiche agrigentine, Agrigento 1866, pp.475-481, 

807-808; D.M. CASSONI, Il Partenio di Santo Spirito di Girgenti in Sicilia, in 

«Rivista storica benedettina», anno XVI, n.67-31, Dicembre 1925; G. GUIOTTO, 

I monumenti della Sicilia occidentale danneggiati dalla guerra, a cura della 

Soprintendenza ai monumenti di Palermo, Palermo 1946, pp.63-64, 99- 

100,119; A. GIULIANA ALAJMO, Il più antico dei monumenti chiaramontani in 

Sicilia. L'ex Monastero di S.Spirito in Agrigento, Palermo 1948; G. ZIRRETTA, Il 

monastero di S.Spirito, in «Agrigentum», anno I, n.4, agosto 1960; G. 

SPATRISANO, Lo Steri di Palermo e l'architettura del Trecento in Sicilia, Palermo 

1972, pp.182-190; M.T. BERNINI, Il monastero di Santo Spirito nell'architettura 

agrigentina all'epoca dei Chiaramonte, Agrigento 1974; G. BELLAFIORE, Dal/'Islam 

alla Maniera. Profilo dell'architettura siciliana dal IX al XVI secolo, Palermo 

1975, pp.52,80; F. MODICA, Agrigento e il suo centro storico, Agrigento 1987, 

pp.45-49; S. BIONDI, Immagine di un monumento cittadino, Comune di 

Agrigento, Assessorato ai Beni Culturali, Quaderno n. 3.

80 CIRO D'ARPA 

sia civili che religiose realizzate in Sicilia. Infatti il cenobio 

agrigentino, detto anche la "Badia Grande", fu fondato alla 

fine del XIII secolo dalla nobile Marchisa Prefoglio, moglie di 

Federico I Chiaramonte 2 • Annessa al monastero sorge la 

chiesa omonima la quale, pur avendo subito notevoli trasformazioni 

in epoca barocca, conserva ancora tracce significative 

della sua antica costruzione. Per tanto possiamo ancora 

ammirare il sobrio portale ad ogiva, come pure riconoscere 

nell'ambiente coperto a crociera posto dietro l'attuale presbiterio, 

la parte terminale della chiesa trecentesca. Infine sul 

lato sinistro del presbiterio si affianca un locale, con duplice 

crociera costolonata, la cui destinazione originaria nel contesto 

planimetrico fu probabilmente quella di cappella 

funeraria 3 • Tuttavia la chiesa si configura come una delle 

realizzazioni artistiche più significative della cultura barocca 

piuttosto che trecentesca in quanto, come accennavamo 

precedentemente, agli inizi del XVIII secolo fu trasformata ed 

internamente configurata con partiture architettoniche che 

fanno da supporto ad un complesso apparato decorativo a 

stucco. 

Varcata la soglia del portale, il visitatore infatti avrà la 

sorpresa di trovarsi in un ambiente per nulla austero e 

medioevale, bensì ricco e luminoso per la presenza delle 

candide figurazioni plastiche in gesso e polvere di marmo 

2 Un documento del 13 21 riporta la trascrizione della donazione di beni 

mobili, denari e schiavi, fatta nel 1299 da Marchisia Prefoglio a favore del 

monastero da lei già precedentemente fondato. Il documento, trascritto 

daIl'Inveges (op. cit.) e riportato integralmente dal Cassoni (op. cit.), si 

conserva in copia pergamenacea presso la Biblioteca Pirro Marconi di 

Agrigento, in un fondo contenente altri documenti provenienti dal monastero. 

3 Dal testamento di Costanza II nipote della Prefolio datato 13 50, 

apprendiamo che la nobildonna aveva disposto che nella chiesa del monastero 

di Santo Spirito si costruisse una cappella funeraria in onore della di 

lei madre Giovanna, G. PrcoNE, Memorie storiche agrigentine, cit., p.480.

NUOVI DOCUMENTI SU GIACOMO SERPOTTA: LA CHIESA DI SANTO SPIRITO... 81 

generalmente attribuite dalla storiografia artistica a Giacomo 

Serpotta e alla sua scuola 4 • Nella nuova configurazione l'aula 

è preceduta da un profondo vestibolo coperto da volte su 

colonne al di sopra del quale trova ubicazione la tribuna, 

ovvero il coro delle religiose schermato da una gelosia in 

ferro battuto. Le pareti laterali dell'aula sono scandite da una 

intelaiatura architettonica di paraste e contro paraste di ordine 

composito che ritmano ciascuna superficie in quattro 

campate, all'interno delle quali si alternano archeggiature 

che inquadrano gli altari laterali e grandi composizioni 

plastiche a tutto tondo alloggiate nello spessore murario 

(fig. l). Una trabeazione con fregio decorato a motivi vegetali 

conclude in alto il primo ordine sopra la cui cornice si 

allineano, su entrambi i lati, gli affacci dei matrone i schermati 

da gelosie in ferro battuto. Seguono dunque i tratti terminali 

delle pareti d'ambito sui quali si aprono finestre - vere 

soltanto sullato.destro - intervallate da sculture a stucco ad 

alto rilievo (fig.2). Un soffitto ligneo piano a cassettoni 

delimita orizzontalmente con continuità il vano dell'aula e 

della tribuna s . Due pilastri, collegati in alto dall'arco maggiore, 

inquadrano l'accesso al presbiterio. Questo ambiente 

forma una cellula autonoma assimilabile spazialmente ad 

una crociera contratta perchè caratterizzata da quattro archi 

4 F. MELI, Giacomo Serpotta, Palermo 1934, vol.lI, p.35; A. GIULIANA ALAJMO, 

Gli stucchi della chiesa di Santo Spirito in Agrigento, in Atti dell'Accademia 

di Scienze eArti di Agrigento. -Anni 1948-1952, Agrigento 1953; G. CARANDENTE, 

Giacomo Serpotta, Torino 1967, pp.40-45; F. MODICA, Agrigento e il suo centro 

storico, cit., pp.78-82; W. KRONIG, Monumenti d'arte in Sicilia, Palermo 1989, 

p.398; M.G. PAOLlNI, Giacomo Serpotta, Palermo 1983, p.29; D. GARSTANG, 

Giacomo Serpotta and the Stucca tori of Palermo 1560-1790, Londra 1984, 

ed. it., Giacomo Serpotta e gli stuccatori di Palermo, Palermo 1990, pp.2 5 7- 

258. 

5 Sul lacunare centrale è riportata la seguente iscrizione: SUB REGIME 

REVERENDISSIME ABBADISSE SORORIS SERAFICE ERANCHARE DIE:DECIMA 

MAII:MDCCLVIII.


maggiori e dai bracci leggermente incassati nelle tre pareti 

d'ambito (fig.3). Il sistema è aggettivato da paraste di un 

ordine architettonico non definibile in quanto ognuno dei 

capitelli è connotato da un diverso motivo decorativo figurato. 

Sugli archi maggiori sono impostate le quattro vele 

affrescate che chiudono l'anello d'imposta della cupola, la cui 

volumetria però è illusionisticamente rappresentata da un 

trompe-l'oeil, dipinto nel 1711 dal trapanese Giacomo De 

Stefan0 6 • Delle tre pareti d'ambito incassate, quella centrale 

fa da supporto alla teatrale rappresentazione della gloria dei 

santi benedettini, mentre su quelle laterali trovano ubicazione 

coppie di portali, dei quali i due di sinistra immettono ad 

ambienti di servizio, ed i simmetrici di destra inquadrano 

pitture che, con effetto illusionistico, suggeriscono la presenza 

delle religiose dietro grate di un parlatoio. Nella parte in 

alto, gli archi maggiori individuano grandi finestre a mezza 

luna delle quali è reale solo l'apertura di destra, mentre quella 

di sinistra, dipinta, presenta alla base il vano di una cantoria 

schermata da gelosia a "petto d'oca". 

Il ciclo decorativo agrigentino è stato oggetto di approfondimento 

critico da parte di molti studiosi i cui giudizi però 

discordano sia sulla datazione che sull'attribuzione. In merito 

alla prima questione sono state formulate diverse ipotesi 

che fanno oscillare la realizzazione dell'opera tra l'ultimo 

decennio del XVII secolo ed il terzo decennio del successivo. 

Per quanto riguarda invece l'attribuzione degli stucchi, le 

posizioni critiche sono divise sostanzialmente in due correnti 

opposte, quella che individua l'autore in Giacomo Serpotta, 

pur non escludendo la presenza nel cantiere del fratello 

6 Il nome del pittore e la data di esecuzione sono apposte in margine alla 

composizione dove si leggerebbe: R. D. IAC. DE STEPH: DREP: PINX: 1711, B. 

ALESSI, Le artistiche cupole di Agrigento, in «L'Amico del Popolo», 9 giugno 

1996.


Giuseppe (F. Meli, A. GiulianaAlajmo, G. Carandente), e quella 

che nega risolutamente tale attribuzione per individuare 

piuttosto in Procopio Serpotta l'artefice di tutta l'opera (D. 

Garstang). La discordanza dei giudizi - non supporatata da 

dati documentali e quindi basata unicamente sulla lettura 

critica dell'opera - è sata alimentata dal fatto che all'interno 

dell'apparato decorativo si riscontra una evidente 

discontinuità del livello artistico degli stucchi ed una non 

sempre originale ideazione dei temi figurativi. 

Un superstite volume dell'archivio del monastero, conservato 

presso la biblioteca Pirro Marconi di Agrigento, ha 

fornito una prima traccia per la ricerca dei documenti sul 

complesso religioso. In questo volume, nell'anno 1702, risulta 

la registrazione di pagamenti a favore di alcuni mastri 

muratori a conto di lavori non ben specificati per la fabbrica 

della chiesa, indicando il nome del notaio di fiducia delle 

religiose? Qualche anno più tardi negli atti dello stesso 

notaio veniva registrato in data 23 marzo 1709 il capitolato 

d'appalto nel quale Iacabus Serpatti si impegnava con la 

badessa del monastero, Maria Crocifissa Labiso, a decorare 

interamente l'interno della chiesa 8 . Il contratto, nel quale 

viene più volte citato un disegno di progetto precedentemente 

ideato dallo stesso Serpotta e approvato dalla committente, 

riporta non solo la descrizione dettagliata di tutta la 

7 Conti del D.n Cosimo Cappadonna proc.re del monastero di S.Spirito di 

Girgenti incominciando dal p' 7bre 9a ind.l 700 per tutto agosto Xa ind. 1702 

- Libro III, cc.111r.-v., Biblioteca Pirro Marconi di Agrigento. l pagamenti 

furono registrati presso gli atti del notaio agrigentino Gaspare Cavaleri, 

Archivio di Stato di Agrigento, (da ora in poi ASAg), Fondo notai defunti, 

vo1.l266, c.162r. 

8 ASAg, Fondo notai defunti, notaio G. Cavaleri, voI. 1269, cc.263r.-267v. 

La citazione archivistica è riparata in G. COSTANTINO La quadreria Sinagra e 

il collezionismo ad Agrigento - Nuove ricerche sulle committenze artistiche, 

in La collezione Sinagra a cura di G.Costantino, Agrigento 1997, p. 32 e nota 

n.62.


obligatio, ma anche i tempi ed i modi dell'attuazione nonché 

il compenso finale pattuito. I lavori si sarebbero dovuti 

realizzare in sei lotti distinti nell'arco di sei anni, con la loro 

possibile interruzione per un anno per consentire che si 

realizzasse " .. .la pittura nella Cupola, e l'adorno nella soffitta 

... ". Per ogni lotto si davano le modalità ed i tempi di 

attuazione nonché la porzione di compenso pattuita per un 

totale di "onze mille in denari". Al Serpotta inoltre era 

richiesta la permanenza continua ad Agrigento per tutta la 

durata del lotto, e per tale ragione il monastero gli avrebbe 

pagato l'affitto " ... della casa alma ove attualmente abita ... ". 

Per tanto i lavori che dovevano iniziare dal mese di marzo del 

1709, si sarebbero così dovuti concludere nel171 5 o comunque 

non oltre il 1716. 

L'immediato avvio dei lavori di decorazione trova conferma 

nel riscontro documentario relativo alla registrazione 

(05.05.1709) del pagamento effettuato a favore del mastro 

murarioOnofrio Pennica 9 • Il compenso si riferisce ad acconci 

murari da questo realizzati dentro la chiesa " ... per comodità 

dello stucco da prepararsi...", con riferimento specifico ai 

" ... quattro nicchi della chiesa per farsi le storie nuove di 

stucco ... " e all' affacciata del Cappillone " ... per il stucco novo 

con sue statue di stucco da farsi. .. ". 

La minuziosa descrizione dei lavori, contenuta nell'incartamento 

notarile della commissione al Serpotta, descrive 

sostanzialmente quanto ancora oggi possiamo ammiriare 

all'interno dell'edificio sacro. In più viene menzionato un 

lettorino (cantoria) su mensole decorate per una delle pareti 

laterali del presbiterio, oggi non più esistente. Diversamente 

il contratto non menziona le sei figure allegoriche ubicate 

nella parte superiore delle due pareti dell'aula, che pertanto 

9 ASAg, Fondo notai defunti, notaio G.Cavaleri, voI. 1269, cc.341 r.-342r.


dobbiamo ritenere estranee al progetto originario e quindi 

aggiunte in corso d'opera. La loro non pregevole manifattura 

testimonia la presenza di più mani nella realizzazione degli 

stucchpO, già evidenziata dalla critica. A tale proposito produciamo 

un documento che chiama in causa Giuseppe 

Serpotta; si tratta di un mandato di pagamento di 30 onze, in 

dodici rate che vanno dal febbraio del 1713 al gennaio del 

1714, erogate dal procuratore del monastero presso la città 

di Palermo " ... alla Madre di Giuseppe Serpotta ... "ll. Il dato 

potrebbe interpretarsi quale compenso dovuto allo stuccatore 

per lavori eseguiti nella chiesa e da questo stornato a 

favore della madre. Una dettagliata analisi stilistica delle 

singole sculture darà certamente la possibilità agli studiosi di 

determinare quanta parte degli stucchi in Santo Spirito siano 

da attribuire alla mano di Giacomo Serpotta e quanto invece 

ai suoi collaboratori, resta assodato comunque che l'ideazione 

generale si deve ad un progetto originale del celebre scultore 

palermitano. 

La datazione, 1709, del progetto agrigentino ricade nel 

periodo più fertile dell'attività creativa di Giacomo Serpotta. 

Infatti la decorazione della chiesa si inserisce tra la realizzazione 

degli oratori palermitani di Santa Cita (1686-88, 1718- 

19) e di San Lorenzo (1699-1707), e le decorazioni nell'oratorio 

del SS.Rosario in San Domenico (prima del 1717) e quelle 

della chiesa di Sant'Agostino (1711-1728). Pertanto il ciclo 

decorativo assume una particolare importanza per il fatto 

che in esso troviamo il coerente sviluppo di alcune concezioni 

spaziali già utilizzate altrove, come pure la sperimentazione 

lO Tra gli aiuti probabilmente vi dovette essere anche il poco noto 

stuccatore agrigentino Onofrio Russo, il quale, nel 1704, era stato accettato 

come apprendista nella bottega dei Serpotta, F. MELI, Giacomo Serpotta, cit., 

p.283. 

II ASAg, Fondo notai defunti, notaio G. Cavaleri, vo1.l270, c.263r.


di alcuni temi presenti nella produzione successiva. Innanzi 

tutto le quattro scene della Natività, dell'Adorazione dei Magi, 

della Fuga in Egitto e della Presentazione al Tempio con le 

grandi composizioni allogate all'interno di profonde scatole 

prospettiche (figgA, 5 ,6, 7), "teatrini", trovano riscontro immediato 

e continuità nella produzione dello scultore palermitano 

non solo con la scena del martirio di San Lorenzo 

nell'omonimo oratorio, ma ancor più nei modelli in creta per 

i Misteri marmorei della cappella del SS. Rosario nella chiesa 

di Santa Cita (1697), e in quelli per le grandi composizioni 

dell'abside della chiesa di Casa Professa, modellate dal 

Serpotta tra il 1706 ed il 1719. Mentre le figure dei Santi 

Benedetto e Bernardo, dai morbidi panneggi, da alcuni storici 

considerate tarde derivazioni delle più mature sperimentazioni 

in Sant'Agostino, ne costituiscono invece il presupposto 

stilistico. Inoltre la teatrale composizione presente nel 

presbiterio, con il tema trionfale della Gloria dei santi benedettini 

con le figure del Padre Eterno e della colomba, simbolo 

dello Spirito Santo, circondati da angeli, serafini e cherubini 

tra squarci di raggi dorati e nubi, costituiscono nell'insieme 

una soluzione inedita nel repertorio serpottiano. Unica eccezione 

è la singola figura del Padre Eterno benedicente che 

attinge ad una iconografia già cara all'artista palermitano per 

essere stata più volte realizzata da questo sia prima che dopo 

Santo Spirito l2 • Tuttavia tra le invenzioni trovano ancora 

12 Il tema figurativo del Padre Eterno è una costante della produzione dei 

Sepotta, e di Giacomo in particolare modo. A Tale proposito cogliamo 

l'occasione per segnalare un documento inedito da noi scoperto presso 

l'Archivio di Stato di Palermo. Si tratta di un contratto, registrato presso gli 

atti del notaio Agostino Chiarella in data 21.10.1680, (vo1.l81, cc.329r- 

334r), nel quale i fratelli Giuseppe e Giacomo Serpotta sottoscrivono il 

capitolato dei lavori a stucco per il presbiterio della chiesa madre di 

Bisaquino in provincia di Palermo. L'opera, ideata dall'architetto domenicano 

Andrea Cirrincione, prevedeva una intelaiatura di paraste doriche lungo le


spazio -anche se in contesti marginali quali i capitelli - motivi 

decorativi già sperimentati altrove. Ci riferiamo soprattutto 

alle minute figure di nudi (fig.8), presenti negli altari della 

chiesa del Carmine Maggiore a Palermo (1683), come pure alle 

fantasiose decorazioni a grottesca che raffigurano motivi 

ornamentali che da fitomorfici si modificano in zoomorfici 

ed antropomorfici, presenti negli oratori di Santa Cita e San 

Lorenzo. 

La commissione del progetto per la chiesa di Agrigento 

costituisce un caso molto particolare nella produzione 

serpottiana. Per la prima volta viene richiesto all'artista un 

intervento globale per l'interno di una chiesa. Infatti il 

Serpotta sino a questa data aveva operato quasi esclusivamente 

all'interno degli spazi contenuti delle cappelle, e negli 

oratori dove la particolare disposizione perimetrale delle 

sedute per i confratelli giustifica la realizzazione di decorazioni 

che si dispiegano con continuità a 360 gradi su tutte le 

superfici utili. Diversamente l'interno di una chiesa impone 

parametri diversi con la gerarchia dei piani prospettici impostati 

sull'asse visivo ingresso-altare. Il Serpotta pertanto 

introduce un ordine architettonico che articola le pareti della 

chiesa e che regola la distribuzione dell'apparato decorativo, 

pareti del presbiterio ed una complessa struttura architettonica a cornice 

dell'altare maggiore, formata da quattro colonne tortili di ordine corinzio, 

due statue, ed altre figurazioni sia a basso come ad alto rilievo, ed a 

tuttotondo. Anche in questo altare, come in quello successivamente realizzato 

dai due Serpotta nella chiesa palermitana del Carmine Maggiore era 

previsto il gruppo scultoreo del Padre Eterno. Non siamo in grado di poter 

affermare se poi tali stucchi siano stati eseguiti dato che l'attuale chiesa 

madre di Bisaquino (primo trentennio del XVIII secolo) sostituisce una 

fabbrica precedente. Segnaliamo che la nuova chiesa presenta al suo 

interno, in corrispondenza dei bracci del transetto, due altari con ricche 

figurazioni a stucco ancora non documentate, sebbene attribuite a Giacomo 

Serpotta, V. PARRINO, Gli stucchi del Serpotta nella chiesa madre di Bisaquino, 

Palermo 1967.


operazione che rivela capacità progettuali e specifiche competenze 

mai prima d'ora mostrate e che qualificano Serpotta 

architetto oltre che scultore. Infatti l'artista imbriglia il suo 

estro creativo all'interno della logica architettonica dell'intelaiatura 

dell'ordine composito senza le usuali sovrapposizioni 

figurali. Le decorazioni plastiche che riproducono gruppi di 

angeli, putti festanti e tondi sono dislocate in figurazioni 

autonome subordinate, così pure, nelle quattro scene sacre, 

le figure sono spinte indietro all'interno delle apposite 

incorniciature che delimitano il loro spazio di azione. L'ambiente 

relativamente sobrio dell'aula inquadra prospetticamente 

la scenografica invenzione decorativa posta nel 

presbiterio, dove più dirompente è l'esaltazione dei valori 

plastici e luministici tipici della sua produzione. La complessa 

macchina dell'altare maggiore con la rappresentazione 

teatrale dell'evento prodigioso della Gloria del Padre Eterno 

e la discesa dello Spirito Santo sui santi benedettini, occupa 

tutto lo spazio disponibile attestandosi sia sul partito 

architettonico delle paraste e dell'arco maggiore, che sulla 

parete di fondo. Il tutto originariamente doveva essere 

illuminato da un sapiente e ben studiato giuoco di luci, in 

seguito alterato da trasformazioni. Al posto dell'intensa e 

diffusa luminosità oggi filtrata della grande vetrata posta 

nella lunetta di destra, doveva predominare la penombra che 

metteva in maggior risalto il plasticismo delle sculture. 

Infatti questa apertura in origine non dava direttamente 

all'esterno ma in un vano attiguo adibito a cantoria, non più 

esistente, posto tra i contrafforti presenti nel cortile del 

monastero 13 . Una illuminazione indiretta, captata da una 

!3Questo ambiente sopraelevato è documentato in foto d'epoca custodite 

presso l'Archivio fotografico del Museo Civico di Agrigento ospitato in 

Santo Spirito.


vera e propria carnera di luce nascosta dietro la parete del 

presbiterio, esaltava l'invenzione dell'irraggiamento dello 

Spirito Santo sulle figure circostanti. Alcune foto d'epoca 

infatti documentano (fig. g) l'esistenza di una misteriosa 

struttura cilindrica, armata con travi di legno, che era posta 

in posizione obliqua tra la volta della crociera del vano 

retrostante al presbiterio e la parete interposta tra questo e 

la chiesa. In corrispondenza dei suoi terminali vi erano due 

fori, uno dei quali dava all'esterno e l'altro dietro la colomba 

dello Spirito Santo 14 • Purtroppo la documentazione archivistica 

non fornisce indicazioni in merito, tuttavia non vi è ragione 

di dubitare che l'espediente sia stato predisposto dal Serpotta 

già in fase di progetto, dato che l'intera composizione del 

presbiterio ha come suo punto focale il centro dei raggi dorati 

che si irradiano dallo Spirito Santo. Inoltre l'uso di camere di 

luce nascoste, alla maniera del Bernini, trova nella produzione 

del Serpotta continuità con quanto realizzato successivamente 

nel presbiterio dell'oratorio del Rosario in San 

Domenico, con la soluzione della doppia cupola 15 • 

L'effetto teatrale messo in atto in Santo Spirito trova 

analogie nelle numerose macchine effimere progettate dai 

più noti architetti e pittori palermitani operanti tra la fine del 

XVII secolo e i primi decenni del successivo; macchine con le 

quali la complessa creazione serpottiana del presbiterio 

14 Tale congegno luminoso fu successivamente occluso dalle stesse 

religiose in seguito alla costruzione della stanza sopra il vano presbiteriale 

della chiesa trecentesca. La superstite struttura della camera di luce, privata 

così della sua funzione originaria, pertanto venne eliminata durante i 

restauri degli anni cinquanta lasciando cene però la memoria in foto di 

documentazione, oggi custodite presso il citato archivio fotografico agrigentino. 

15 M. GIUFFRÈ, Architettura e decorazione negli oratori serpottiani, in 

Giacomo Serpotta. Architettura e apparati decorativi settecenteschi a Palermo, 

a cura di L. Foderà, Palermo 1996, p.35.


della chiesa agrigentina sembra volere competere. Inoltre, a 

nostro giudizio, le singole parti che compongono l'intero 

ciclo decorativo trovano puntuali riferimenti nella produzione 

del Bernini. La figura del Padre Eterno, sospeso in alto tra 

le nubi rimanda a quella analoga del S. Andrea nella omonima 

chiesa al Quirinale, dalla quale sembra inoltre provenire 

l'idea dei gruppi di tre putti che reggono una ghirlanda 

inseriti sulla volta, e dal Serpotta riproposti sopra i quadroni 

dell'aula. Ed ancora l'idea plastico-Iuministica della Gloria 

dello Spirito Santo deriva evidentemente dalla Cattedra di 

San Pietro, dove i volti dei Padri della Chiesa sembrano 

ispirare quelli dei due santi benedettini di Agrigento. Mentre 

la postura della figura di destra richiama chiaramente quella 

della Santa Teresa nella cappella Cornaro. 

I riferimenti berniniani presenti nella chiesa agrigentina - 

particolari decorativi e camera di luce nascosta - tuttavia non 

sono sufficienti a potere avallare l'ipotesi, avanzata da alcuni 

studiosi, di un possibile soggiorno romano compiuto dal 

Serpotta 16 , dato che queste colte citazioni erano facilmente 

acquisibili attraverso la circolazione delle numerose stampe 

17 e la descrizione di coloro che poterono ammirare direttamente 

le celebri opere del Bernini 18. Tuttavia il progetto per 

16 Su un possibile viaggio a Roma del Serpotta la critica si è espressa con 

pareri discordi ora suffragandola ora negandola con argomentazioni in 

entrambi i casi convincenti ma mai documentate. Sull'argomento si vedano 

i contribui t critici più significativi di M.G. PaoIìni e dIo. Garstang, app. cit. 

17A tale proposito ci sembra particolarmente probante il caso citato del 

raffonto tra la figura del Padre Eterno del Serpotta e quella di S. Andrea del 

Bernini, infatti la prima riproduce non tanto l'originale ma l'immagine 

riproposta nelle stampe d'epoca che mostrano appunto il santo con una 

postura molto diversa. Per la comparazione si rimanda alla immagine 

riprodotta in R. WITTKOWER, Arte e architettura in Italia 1600-1750, Torino 

1972, tav.I00. 

l8Tra questi l'architetto Giacomo Amato dell'ordine dei PP. Crociferi che 

appunto trascorse molti anni a Roma presso la casa madre alla Maddalena.


Santo Spirito registra una svolta nella produzione del Serpotta, 

ed un aggiornamento, in senso romano, del suo linguaggio 

artistico, con il progressivo affinamento della sua arte che da 

decorativa va sempre più trasformandosi in eminentemente 

scultorea (Sant'Agostino). In attesa che più esaurienti apporti 

storici e documentali chiariscano le irrisolte questioni della 

sua formazione artistica e della eventualità di un suo viaggio 

a Roma, resta inalterato il giudizio espresso dalla critica che 

riconosce unanimemente in Serpotta uno dei maggiori scultori 

della cultura barocca e rococò europea. Figura artistica 

capace di sap'ere mediare la tradizione scultoreo-decorativa 

siciliana dei Gagini e dei Ferraro con quella colta di derivazione 

berniniana, rielaborando l'una e l'altra in un suo personale 

linguaggio artistico supporatato da una indiscutibile abilità 

creativa e tecnica. 

c/o Dipartimento di Storia e Progetto nell'Architettura Facoltà di 

Architettura, Università di Palermo. 

Sono noti i rapporti di collaborazione istaurati tra l'Amato ed il Serpotta in 

molte occasioni progettuali. D. GARSTANG, Giacomo Amato and Sicilia n 

Furniture in the late Seventeenth and early Eighteenth Centuries, in «Apollo», 

settembre 1986, pp.192-199,

Documenti 

ARCHIVIO DI STATO DI AGRIGENTO 

Fondo Notai defunti, notaio Gaspare Cavaleri. 

N.I - Vol.1269, cc.263r-267v. 

23-03-1709: contratto di obbligazione di Giacomo Serpotta 

relativo alla realizzazione degli stucchi dentro la chiesa su 

progetto dello stesso. 

" ... Primariamente architettare tutta la chiesa di detto Venerabile 

Monastero dall'entrata della porta pertutto il Cappellone, 

e dal pavimento sino alle soffitte, e darla tutta di stucchi 

secondo la forma, e disegno posto in carta dall'Istesso 

Serpotti; cioè dovrà fare tutta la chiesa di ordine composito, 

con sei pilatri nel Cappellone, e con altri nove nella nave della 

chiesa, cioè quattro intieri, et uno dimezzato per ogni lato di 

essa nave; ornati tutti con li suoi contropilastri o siano 

membretti dell'uno, e dell'altro lato tutti striati, o scannellati 

con sue basi, e capitelli compositi di scultura proporzionata 

all'ordine composito, sopra dovrà passarvi tutto in giro per 

tutta la chiesa l'architrave fregio, e cornice dell'istesso ordine, 

scolpiti secondo l'ordine, e le regole dell'Architettura, e 

con quelli ornamenti che mostra nel suo disegno. 

Secondariamente dovrà voltare tutti gli Archi delle Cappelle 

che sono quattro nella nave, e tri grandi nel Cappellone con 

gli ornamenti che richiede l'ordine composito, e come si 

mostra nel disegno, come anchora l'arco maggiore nella 

facciata, e nel sotto Arco, con quelli ornamenti che mostra il 

disegno e scompartimenti di fioroni scolpiti di tutto rilievo 

proportionato. 

Terzo dovrà ancora nella facciata del Cappellone fare la 

facciata di scultura cominciando di sopra l'arco sino al basso, 

ove vi farà una gloria con il padre terno di tutto rilievo 

circondato di nuvole Angeli, serafini e raggi, e sotto vi farà lo


spirito circondato di raggi, che vadano a terminare sopra 

l'Altare con le figure di due Santi Benedetto, e Bernardo e con 

Angeli e serafini e tutta la detta gloria sarà scolpita di tutto 

rilievo, di mezzo rilievo, e di basso rilievo, secondo richiede 

la proporzione dell'opera, e si mostra nel disegno. 

Quarto, doverà fare il lettorino dell'organo in un lato di 

detto Cappellone colli quattro mezzoloni scolpiti con quattro 

Arpie ò fogliagge, e festoni secondo la forma, e proportione, 

che porta il loco, e conforme alli disegni. 

Quinto dovrà nella nave compire di tutta perfezione le 

quattro Cappelle, che sono due di un lato, e due di un'altro 

colli pilastri d'ogni lato nella forma detta di sopra, e colle sue 

cimase per ogn'una, e gerlande degli Archi secondo la forma 

delli disegni di fogliagge di basso rilievo e co Angeli, e Puttini 

sopra gli Archi delle Cappelle parte di tutto rilievo, parte di 

mezzo, e parte di basso rilievo secondo la forma delli disegni; 

come anchora dovrà fare le cornici delle stesse Cappelle per 

li quadri, con una medaglia, e due puttini sopra le cornici,e li 

gradini, e menzole degli Altari, secondo si mostra nei disegni. 

Sesto dovrà nelli quattro vani della detta nave ove non vi 

sono Altari, che sono due per lato, farvi quattro quadroni con 

sue cornici e con puttini di rilievo, dentro scolpirvi quattro 

storie di personaggi,e figure, una storia per ogn'uno, secondo 

le pensieri se li daranno con figure di tutto rilievo, di mezzo 

rilievo, e di basso rilievo proportionatamente come richiedono 

le storie, e nella forma che si vede nelli disegni. 

Settimo dovrà compire, e perfetionare di stucchi quella 

parte della chiesa, che comincia di sopra sino sotto la soffitta, 

e adornare le finestre, ed intorno le grade con cornici, festoni, 

Puttini, tutti di rilievo, ed altri secondo si vede nel disegno. 

Ottavo dovrà parimente compire e perfetionare la parte 

della chiesa sotto illetterino, o sia coro all'entrata della porta, 

tutta di stucchi cioè le tre colonne liscie con sue basi, e 

capitelli di ordine composito colli sotto Archi di rilievo come


si vede nelli disegni, e secondo richiede l'Architettura, e dar 

anche di stucco liscio i lati tanto della porta, quanto del Coro 

dalla parte di sotto, e similmente nella parte di sopra, che è 

il Coro delle religiose dovrà dare di stucco liscio tutte le tre 

mura, e tutta l'opera su detta per tutta la Chiesa dall'entrata 

della porta per tutto il Cappellone, dal pavimento sino alle 

soffitte dovrà il detto di Serpotta farla intieramente di stucco 

bianco macchiato porfigno, ornato di buona architettura 

composita, e di buona scultura, parte di rilievo, parte di 

mezzo rilievo, e parte di basso rilievo secondo le regole 

dell'arte, e secondo la forma, e pensiero delli designi. 

9 Et all'incontro il monastero sudetto, e per esso la riverita 

madre Abbadessa con l'Intervento, et authorità suddetta si 

obliga di pagare al cennato di Sirpotta per mercede, e prezzo 

di tutta l'opera nel modo sopra espressato onze mille in 

denari del peso generale fra il termine di anni sei in pace, et 

de plano, cioè onze centosessantasei e tarì venti ogn'anno: 

con che sia solamente obligato esso monasterio a dar l'armiggi, 

e legname per fare li soli ponti, come sono tavole, legnami, 

travi, e corde. Tutto il remanente, che vi sarà di bisogno così 

attratto di detta opera cioè calcina, polvere di marmo, rina di 

qualsivoglia sorte, gisso pietra, ferro, corde, cannavo, et 

ogn'altra cosa, che entra nel piano delli stucchi, e delle figure, 

come ancora il fare e spingere li ponti l'havrà da fare il detto 

Serpotta a sue spese; e similmente deve farsi a spese del 

medesimo la carriata dell'acqua, e levare li sterri e polverazzi 

della chiesa, e generalmente ogn'altra cosa, che non sia 

somministrare armiggi, e legname per le ponti; che solo resta 

a carico, e spese del monasterio. 

Decimo dovrà terminarsi tutta l'opera sudetta nello spatio 

di anni sei, nel decorso del qual tempo dovrà il monasterio 

pagare annualmente secondo la ratha d'ogn'anno come sopra 

va disposto il quale prezzo deve pagarsi servendo pagando, 

in modo che finita la portione sudetta sia in obligo il monasterio


di aggiustarli subito il complimento della detta portione, con 

che sia in libertà di detto Serpotta travagliare in un anno più 

di quel che corrisponde alla sesta portione dell'opera, ma in 

tal caso il monasterio non sia obligato di pagare in detto anno 

più delle onze centosessantasei, e tarì venti, e se all'incontro 

il suo travagliare fosse in un anno meno della sesta portione, 

non sia obligato il monasterio più che alla sola rata del 

travaglio fatto. Quando però il monastrerio volesse che detto 

di Serpotta faticasse più della rata, o portione corrispondente 

ad un anno, deve pagargli il sopra più di detta rata. 

Undecimo che il tempo di detti anni sei stabilitoper compirsi 

l'opera sudetta, e farsi il pagamento delle onze > mille 

di sopra concertato deve correre dal primo dell'Istante mese 

di marzo seconda inditione 1709; con patto espresso però 

che sia in libertà del monastero di far vacare il travaglio 

dell'opera sudetta per un'anno intiero, nel quale dovrà farsi 

la pittura della Cupola, e l'adorno della soffitta: in modo che 

computato questo anno da scieglirsi quando piacerà alla 

madre Badessa, restano anni sette per compirsi l'opera; 

benchè il travaglio di detto di Serpotta deve essere nello 

spatio di anni sei, secondo la rata di sopra. E se per far detta 

pitttura, ed adorno della soffitta nel farsi li ponti, o però altro 

accidente succederà danno nello stucco già fatto, il detto di 

Sirpotta si obliga di rifarlo à sue spese nella forma concertata 

secondo era prima. 

Duodecimo che tutta l'opera sudetta sia divisa di comune 

consenso in sei portioni, che corrispondono al compartimento 

del tempo d'anni sei e si sono ratizate in questa forma cioè 

il Cappellone intiero fino all'arco maggiore dalla parte interiore 

si calcola per due portioni, il Pilastro maggiore di detto 

Cappellone nella facciata di fuori della nave con un lato della 

nave sudetta due altre portioni, e l'altro pilastro maggiore 

all'incontro della facciata come sopra con l'altro lato per altre 

due portioni.


Decimoterzo si obliga il detto di Serpotta di continuare 

l'opera per le rate corrispondenti ogn'anno subbito che sarà 

richiesto dal monasterio, e dalla madre Badessa avenire per 

travagliare e ricusando di venire puntualmente nel termine, 

che si li prescriverà da parte del monasterio sudetto, sia lecito 

all'istesso monasterio di pigliarsi altri scultori della sua 

professione a danni e spese di Serpotta per continuare l'opera 

sudetta, ne s'intenda più obligato proseguire il concerto fatto 

col medesimo, ma sia in libertà di esso monasterio di recedere 

dal contratto qui stabilito, e dall'altra parte volendo il detto 

di Serpotta continuare per le rate seguenti e mancando per il 

monasterio a dargli il soccorso stabilito, resti ancor egli nella 

libertà de recedere dalla presente conventione, e non possa 

più essere atto alla continuatione dell'opera nella forma 

concertata di sopra. 

Decimoquarto che ogni volta che occoresse al sudetto di 

Serpotta di partirsi di questa città per qualsivoglia causa sia 

obligato di lasciare in potere della madre Badessa li disigni 

fatti, le sagome, et ogn'altro preparamento per l'opera sua à 

fine di conservarsi dentro il monasterio, acciochè si habijno 

sempre pronti fin tanto, che sia terminato tutto il travaglio. 

E finalmente se ne disegni fatti dal detto di Serpotta si 

scoprisse qualche difetto, che non sia conforme le regole di 

buona scultura, ed Architettura si obliga egli di riformarlo, e 

corregerlo secondo le regole dell'Arte e di uniformare l'opera 

sua al disegno così regolato. Ed in oltre il sudetto Venerabile 

Monasterio, e per esso la detta reverendaAbbadessa si obliga 

pagare il hoero della casa alma dove attualmente abita il sudetto 

di Serpotta, o di altra casa consimile per abitazione del medesimo 

mentre travaglierà per la speditione dell'opera sudetta ... ". 

N.2 - Vol.1269, cc.341 r-342r. 

05-05-1709: registrazione di apoca di pagamento al mastro 

muratore Onofrio Pennica per lavori murari dentro la chiesa.


" ... per havere fatto quatri e larghi le finestre grandi della 

chiesa e rizzare il piede dritto del Cappillone con rizzare le 

vele di detto, e per havere dirupato tutta l'affacciata nell'altare 

maggiore con tutte le statue e di nuovo murare detta 

Afacciata per il stucco novo con sue statue nove di stucco da 

farsi, e per havere murato nell'astraco delli Campanelli, e per 

havere fatto più grande le quattro nicchi della chiesa per farsi 

le storie nuove di stucco, e per havere dirrupato illettorino 

dell'organo, e di novo rifarlo con balati grandi, ed altri 

rappezzi fatti in detta chiesa per commodità dello stucco da 

p re parars i..." . 

N.3 - Vol.1270, c. 263r. 

03-01-1714: registrazione di partita di soldi erogati dal 

Reverendo Don Giuseppe Casucci Procuratore del monastero 

presso la città di Palermo alla madre di Giuseppe Serpotta. 

"In primis somministrati alla Madre di Giuseppe Serpotta 

in ogni primo del mese onze 2.15, incominciando dal primo 

del mese di febraro 6a indizione 1713 per tutto il mese di 

gennaro 7a indizione 1714 che tutto sono mesi dodeci, che 

alla medesima raggione importano onze trenta". 

ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO 

Fondo Notai defunti, notaio Chiarella Agostino. 

N.4 - Vol.181, cc.392r-334r. 

21.10.1680: contratto di obbligazione di Giuseppe e Giacomo 

Serpotta relativo alla realizzazione degli stucchi per il 

presbiterio ed altare maggiore della chiesa madre di Bisaquino 

(PA), su progetto dell'architetto domenicano Andrea Cirrincione. 

"Capitoli da osservarsi dalli detti staglianti stuchiatori per 

la fattura, e lavora tura di stucco da farsi nello Cappellone 

della Matrice della terra di Busachino con suoi collaterali di


tutto attratto, é maggisterio da metterlo detti staglianti 

stuchiatori cioé pietra, calce viva, gesso, sarciame, scali, et 

altri, cioé chiodi, perni di ferro, palmarizzi, et ogn'altra cosa 

necessaria é per la totale effettuatione dell'opera di detto 

stucco al quale lavoro, é mastria doveranno detti stucchiatori 

assistere personalmente con tutta quella quantità di detta 

opera di stucco, per lo prezzo infra.tto. 

In p.mis detti staglianti stuchiatori s'obligano a detto Sig.ri 

D. Gius.pe La Placa di principiare dall'appedamento di detto 

cappellone di fare detta alzata per insino al dammuso cioé 

principiare il zocculo, é pedistallata di fabrica soda con sua 

base, é cimasa, ben posta, scorniciata, é perfettionata, di sua 

ossatura, dell'una, é dell'altra parte, di detta facciata li fondi 

della quale pedistallata verranno lavorata di rabbischi di 

basso rilevo, é di sopra detta pedistallata verranno tutti li 

zucculi per li quattro colonni é due statue similmente lavorati 

nelli loro fundi con rabischo di basso rilievo, é cioé lateralmente 

vi venno poste due menzelone con dui pottini sopra, 

quali mensoli venno posti sopra li suoi dui scartocci quale 

hanno origine dalli mimbretti di detta pedistallata, quali 

menzeloni doveranno essere fabricate con sua osatura di 

petra dolce, nec non li detti pottini di sopra fabricati di detta 

petra dolce, come anche li quattro colonni doveranno essere 

fabricati di petra dolce, nec non le nenzole sotto le d.e due 

statue, é dette statue doveranno essere fabricati per (la loro 

ossatura) di petra dolce in quelli manco pezzi che si potranno 

fare dummodo che habbiano da essere sodi per lo 

sustentamento, é vivi di d.a opera di sopra alli quali quattro 

colonni se li faranno la loro ossatura di petra dolce, é di sopra 

di due colonni l'arco scorniciato, é le quattro mensoli due 

delli quali di fora fora hanno origine di sopra le due colonni 

di fora, a fora, e le due menzole quale appari no di s.a dette 

statue hanno origine delle due pelastri che venno posti dietro 

le dette due statue quali l'altri venno nella sua larghezza


lavorati, e scorniciati perloche dette due statue venino d'ogni 

parte isolate sicome anche li quattro colonne venno isolate 

con suoi pilastri dietro e l'altre due colonni della parte di 

dentro su stentano il detto arco, é nelli triangoli di sopra a d.o 

arco venno posti le due bambine dell'una, e l'altra parte, é da 

s.a le d.e quattro mensole vi venno fatti li loro architravi, é 

freggi, é cornicione con q.lli movimenti, é ritrasute quali 

apparino nel disegno sotto scritto, sopra del quale cornicione 

(fatto per il primo ordine) vene posto il basamento pedistallata, 

é cimasa con la sua ossatura di petra dolce, é sopra detto 

basamento, é allato del quatrone vi venno posti dui menzilone 

con suoi grasti sopra é dui termini, nec non alli lati di d.i 

termini venno posti dui pilastri in facci delli quali vi sono 

posti dui pottini sopra delli quali pottini venno posti dell'una, 

é l'altra parte li triglifi, con suoi lagrimi sotto, é sopra d.i 

triglifi vi veni posto il suo freggio, é cornicione con suoi 

movimenti apparenti in detto disigno, et allato di d.i frisci vi 

venno due festone abracciate, da detti pottini, é sopra detto 

cornicione il quale viene composto di petra dolce (come 

sopra) vi sono posti li suoi due frontispicij torti con suoi 

festoni, é bambini sopra, é nel menso di d.i due cornicioni seu 

sopra detto quatrone, é posto una nuvolata con suoi serafini 

attorno; é il patre Eterno dummodo che detto patre Eterno 

non habbia da passare le superficie di sotto di d.o dammuso 

seu la facciola dell'arco da farsi per tutto lavorata attorno 

detta facciata come appare designata attorno in detta alzata. 

E per il quatrone s'averte che d.i staglianti stucchiatori 

doveranno lavorare di rabischo per tutto, é attorno la cornice 

di detto quatrone, quale cornice doverà essere tirata, é 

magistribilmente lavorata con sua ossatura con sua saguma, 

é sotto detto quatrone, é sopra il cornicione del primo ordine, 

detti staglianti farranno un tabbillone sprelungato 

inconformitate del desegno fatto, é sottoscritto. 

E più detti staglianti stucchiatori sono obligati di s.a vestire


sopra, é tutta la ossatura da capo, a piede nella altezza, é 

larghezza di d.a machina di calce, é polvere di marmo bene 

é magistribilmente fatta nella scoltura, é lavoratura di rabischo 

nella conformità delli lavori fatti nel disegno sotto scritto di 

tutto, di menso, é di basso rilevo, é attalento di persona 

nominanda del detto Sig.ri D. Gius.e Laplaca, è conforme 

meglio appare nello parafilo, è pianta sotto scritto dal detto 

Sig.re D. Gius.e m.ro noto é Padre Bagillero Andrea Cirrincione 

dell'ordine delli predicatori ò persona per esso nominanda, 

quali detti stucchiatori non possono ne devono appartarsi 

nelli detti disegni sotto scritti, é nel caso che occorresse 

qualche difficultà per l'altezza e larghezza del fundo di d.o 

Cappellone innante d'incominciare lopera doveranno cominciarla, 

é darsi parte del detto Sig.ri don Gius.e Laplaca acciò 

di communi consenso s'habbia da fare detta opera e particolarmente 

s'averte che de sopra detto altare e per insino 

all'arco di d.a opera doverà entrarvi tutta la costodia di 

ligname dorata per loche di novo si dice che innante s'incominciare 

detta opera detti staglianti siano obligati misurare 

prima l'altezza, é larghezza di detta custodia dorata acciò si 

sappiano deportare per non alterare, é ammodellare e accomodare 

il vacante di d.a alzata di facciata per esservi recipiente 

di detta custodia dorata. 

Di più detti staglianti s'obligano allavorare di basso e 

rilevo, é di rabischi li quattro terzi delli colonni confarne 

prima un altro disegno in carta strana, é il restante di detti 

colonni fatti alla salamona doveranno lavorarli in conformità 

dello disegno con suoi fogliame con sua basa, attica, e 

capitelli (ò corinzio, ò di Michelangelo bonarrota), é attorno 

à detta facciata una fascena lavorata per tutto dal pavimento 

di d.o Cappillone, é per insino al dammuso, é volta à detta 

facciata, é le due menzole sotto d.e statue doveranno essere 

lavorati, e stucchiati insieme con tutta la facciata nella 

conformità che appare il disegno, quali disegni insieme con

NUOVI DOCUMENTI SU GIACOMO SERPOTTA: LA CHIESA DI SANTO SPIRITO ... 101 

tutte l'altre tre disegni li detti stochiatori devono detti 

quattro carti di disegni incollarli sopra tavolette di ligname 

banriate dietro, é dette tavolette doveranno stare appresso la 

porta del Sig.re Arciprete di d.a terra per bene conservarli ad 

effetto che detti stucchiatori volendo riconoscere al spesso li 

detti disegni da detto Sig.re Arciprete l'habbij daconservarle 

per doppo ritornarle e per stare bene conservati in detta sua 

casa per non macerarli e per non perderli, é per havere 

arri conoscerli per insino alla fine di detta opera per havere 

accorrespondere con essa cossì di patto e non c. .. ) ne 

d'altromodo. 

Di più detti staglianti insolidum s'obligano à dare la loro 

jdonea pleggeria ben vista al detto sig. re D. Gius.e Laplaca di 

tutto quello dinaro che si piglieranno antecipatamente é 

dall'altro denaro che s'anderanno pigliando quali pleggi 

restano insolidum obligati non solo al denaro che preso 

s'hanno li d.i stagliant; ma anche alla perfectione, é fattura di 

detta opera cossì di patto, é non d'altro modo. 

Di più detti staglianti s'obligano al detto Sig. re D. Gius.e ut 

d.r di lavorare di stucco di tutto, é basso; é menzo rilevo li 

spichi delli quattro leonette nelli lati di d.o Cappellone con 

suoi lavori inquella quantità che nella scala delli palmi 

geometrici appare nel disegno sottoscritto, nec non lavorare 

sopra detti lunettone, é lunetta seu nella superficie di sotto 

del detto dammuso tutto lo vacante di dammuso della 

conformità di lavori sporti, pittame (7) li contorni fistoni 

fogliame, é tutto, é quanto appare in detti disegni sotto scritti 

bene, é magistrib. te lavorati tirati, é fatti con calce, rina di 

pirrera cernuta sottile è non di gesso, é coverti detti lavori di 

calce, é polvere di marmo seu constucco polito con questo 

che li sporti di tutto, é menzo rilevo fatto in detto dammuso 

habbiano, é debbiano fortificarli con chiodi di perni palmarizi 

cossì di patto e non d'altro modo- 

Di più detti staglianti s'obligano à detto Sig.e D. Gius.e ut


d.r lavorarci le due lati di d.o Cappellone con sue pilastri 

architravi freggi, è cornici nel primo ordine, è nel secundo 

ord.e li dritti seu pede dritto con sua cimasa sopra, è 

bastimento sotto, è suoi quattro finestri adornati di scultura, 

è rabischati, è suo cornicione, nec non il suo archonello fundo 

di d.odammuso, seu il primo arco magiore con sua facciola, 

è sotto arco bene scorniciati insieme con l'altro arco in menso 

di detto dammuso, è l'altro menzo arco allato di detta facciata 

cioé pilastri con suoi mimbretti con quello risalto che appare 

nella pianta, su il pilastro magiore risaltanti dal muro onzi 

dieci, cioé il pilastro d'immenzo fa risalto della linea del muro 

onzi sei e il mimbretto onzi quattro, che in tutto sono le d.e 

onzi dieci sopra le quali pilastri vengono lavorati con la sua 

intavolatura è sua gula roversa con suoi capitelli dorichi s.a 

bene lavorati con sua ossatura forti, è di s.a à detti capitelli, 

è per tutto attorno le lati di detto cappellone assettarci la sua 

architravata con li suoi sporti necessari sicome appare per la 

scala di palmi giometrici fatta nelli sopradetti disegni 

sottosctitti quale architravata nel1a parte di sotto di salta in 

vacante della linea del muro onza una è menza di sopra di 

detto architrave, con suoi movimenti necessarij viene posto 

il ferggio lavorato, è rabiscato di basso rilevo, nec non sopra 

à detto freggio, viene posta la ossatura di petra dolce sportante 

dalla linea del muro tanto quanto viene significato dal 

disegno, et altro tanto che sforgge (7) detto cornicione la detta 

ossatura deve entrare nel di dentro almuro prin.le acciò il 

risalto di d.o cornicione con suoi movimenti ne.rij stia scuro, 

cioé un palmo e menzo fuori per risalto, è altro tanto dentro 

quali cornicione, et architarvata dell'una, e l'altra parte di d.o 

Cappellone devono essere tirati è scorniciati con sua sagoma 

dritti, è magistribilmente fatti, è non serpeggiare ne essere 

torti, è ben fatti secondo, è laqualità di dj staglianti. 

Di più dj staglianti s'obligano allavorare il piede dritto 

sopra detti pilastri, è cornicione in tutta quella forma, modo,


e maniera, é sua cimasa sopra, é suoi movimenti in quella 

forma apparino designati nelli sopra detti de segni sotto 

scritti cossi di patto ne d'altro modo. 

Di più d.i obliganti s'obligano affare quattro finestri indetto 

Cappellone con sua intavolatura lavorata, é scorniciame 

attorno, nec non con suoi adornamenti collaterali à detti 

quattro finestri, é di sopra lavorare li quattro lonette con sue 

fistone attorno nec non lavorare l'arco magiore, é l'arco 

inmenzo à d.o dammuso con sua intavolatura, é gola roversa 

cossì e inconformità dello disegno sotto scritto cossì di patto, 

é non in altro modo- 

Di più detti staglianti stuchiatori s'obligano a d.o D. Gius.e 

La placa ut d.r d'osservare tutto quello é quantoé designato 

nel profilo di detta facciata dal zocculo per insino al cornicione 

dummodo che vi sia fatta tutta la sua ossatura di fabrica 

soda come nella sua pianta perconto del zocculo pedistallata 

zocculetti mensola per la statua colonna capitello mensoletta 

architravo frggio, é cornicione habbiano, é debbiano da 

essere di petra dolce della pirrera di d.a forgia rale seu 

chiappone nello oliveto phegho del IlI.e Sig.re marchese di 

Giuliana bene, é magistribilmente operati, é fatti acciò stiano 

sodi dum modo. che il terzo dello fuso della colonna non sia 

simile al disegno come appare nel profilo ma che sia detto 

terzo lavorato di rabischo come s'ha detto di sopra nec non 

ne meno si deve stare al menzolone seu alla forma di d.e 

memsole designato indetto profilo per sostento della statua 

ma deva essere nella conformità forma, et modo designato 

nella facciata, nec non li zocculi pedistallata e zocculetti seu 

li fundi di essi devono essere rabiscati di bassi rilevo cossì di 

patto ne d'altro modo e secondo la scala di palmi designati 

sopra detto profilo sottoscritto dalli sopra detti, é tutto è 

quanto s'ha rapresentato per d.i disegni, é per comp.to di d.a 

fattura si doverà stare ed'essere al talento di d.o Signore D. 

Giuseppe La placa e del molto rev. Sig.e Arciprete di d.a terra


nec non la persona nominanda per d.o Sig.e D. Gius.e cossì di 

patto ne in altro modo. 

Di più detti staglianti s'obligano ad incominciare da hoggi 

in nante continuare non lasciare, é finire tutta la detta opera 

per tutto lo mese di aprile (. .. ) 1681. 

Di più detti staglianti s'obligano di fare la sopra d.a opera 

di fabrica é di stucco conf.e é il dovere é attalento à detto 

signore D. Gius.e e per esso à persona nominanda per lo 

prezzo di (onze) centocinquanta nec non d.o signore Arciprete 

deve dare stanza e letti per d.i staglianti stuchiatori, nec non 

darci tutta quella quantità di ligname necessaria cioé trava 

stanghetti, e tavoloni per fattura di d.i ponti nec non il detto 

Signore D. Gius.e s'obliga darli la portatura franca da Pal.o in 

detta terra di Bosachino di tutta quella quantità di polvere di 

marmo e per la somma di (onze) 150 d.i staglianti cofessano 

havere l'acconto (onze) sedici e il resto lavorando pagando e 

per meglio intelligenza et accordio a d.i staglianti se lidarrà 

tt.ri dudici il giorno per soccorso dummodo (. .. ) che tutti 

l'attratti di petra calce rina gesso et altri cosi appartinenti e 

nec.rij per d.a opera di d.o Sig. e Arciprete s'obliga appagarle 

in conto di q.llo deve dare a d.i staglianti cioé inconto di d.i 

(onze) 150 inclusa anche la portatura di tutti d.i attratti cossì 

di patto ne d'altro modo".


Fig. l - Chiesa di S.Spirito, aula, parete laterale, il sistema architettonico e 

la decorazione. 

Fig. 2 - Chiesa di S.Spirito, aula, cleristorio e matrone i.


Fig. 3 - Chiesa di S. Spirito, presbiterio, Gloria dei santi benedettini (G. 

Serpotta e aiuti).


Fig. 4 - Chiesa di S. Spirito, aula, Natività (G. Serpotta e aiuti).


Fig. 5 - Chiesa di S. Spirito, aula, Adorazione dei Magi (G. Serpotta e aiuti).


Fig. 6 - Chiesa di S. Spirito, aula, Fuga in Egitto (G. Serpotta e aiuti).

110 

CIRO D'ARPA 

Fig. 7 - Chiesa di S. Spirito, aula, Presentazione al Tempio(G. Serpotta e aiuti).


Fig. 8 - Chiesa di S. Spirito, aula, capitello (G. Serpotta e aiuti). 

Fig. 9 - Chiesa di S. Spirito, la soppressa camera di luce nascosta (Agrigento, 

Museo Civico, Archivio fotografico).


SU ALCUNI INTAGLIATORI IN LEGNO A MESSINA 

NEL SECOLO XVIII 

Degli intagliatori in legno messinesi purtroppo conosciamo 

assai poco: le fonti ricordano appena qualche artefice, 

mentre gli studi non hanno ancora prestato all'argomento la 

dovuta attenzione nonostante che ci sia stata, in questi 

ultimi anni, una rivalutazione di quelle che vengono impropriamente 

definite arti minori. In verità sono stati presentati 

dei contributi che, limitatamente a piccoli centri, hanno 

segnalato opere, date e nomi da poter mettere in relazione 

con la produzione messinese l . Tuttavia essi sono lontani, 

per la loro marginalità, dal costituire un'esaustiva e specifica 

letteratura. 

La conoscenza dell'opera degli intagliatori messinesi, quindi, 

resta ancor oggi una grossa lacuna in quanto vengono 

meno sia gli elementi storici sia quelli prettamente artistici. 

Considerato ciò, si vuole riproporre all'attenzione degli 

studiosi l'argomento, sottolineando che è necessario dare in 

primo luogo priorità alla ricerca archivistica alla quale bisognerebbe 

associare, in un secondo tempo, per completezza di 

indagine, anche una ricognizione di quel patrimonio super- 

l Sugli intagliatori già noti e sulla relativa bibliografia chi scrive ha 

curato le voci nel IV volume di L. SARULLO sulle Arti minori (in corso di 

stampa).

114 SEBASTIANO DI BELLA 

stite che testimonia la produzione di questi abili artefici 

peloritani. 

Questa ricerca, limitata al solo secolo XVIII e svolta presso 

l'Archivio di Stato di Messina, vuole essere un primo contributo 

sulle tracce documentali dell'attività degli intagliatori. 

I risultati ottenuti non hanno ovviato all'ingiustificata disattenzione 

degli studi in proposito, ma hanno evidenziato, 

comunque, elementi che possono costituire punti di avvio 

per lavori futuri e di maggiore approfondimento. 

Una prima constatazione che si può fare esaminando la 

documentazione reperita è che i nostri intagliatori potevano 

contare su una consolidata tradizione non sempre limitata a 

manufatti di uso comune: infatti, per fare un solo esempio, il 

soffitto ligneo della chiesa di San Francesco di Paola di 

Messina commissionato il24 ottobre 1654 agli intagliatori Ciminale 

ed Inga, era un'opera di grande prestigio ed impegno 2 • 

Altra osservazione riguarda la versatilità degli intagliatori: 

essi potevano benissimo dedicarsi alle semplici decorazioni 

ad intaglio ed essere nello stesso tempo scultori. Il caso di 

Marco Musco potrebbe essere esemplificativo 3 • Nel 1611 

l'artista, insieme con Nunzio Cardillo, riceveva da parte della 

Cattedrale di Messina la commissione per due Crocifissi di 

legno 4 e nel 1615 assumeva l'incarico per l'esecuzione di un 

tabernacolo per la chiesa di Santa Chiara, pure della stessa 

città, opera sicuramente meno impegnativa 5 • 

A volte gli intagliatori potevano assumere lavori in proprio 

2 Archivio di Stato di Messina (ASM), Corporazioni Religiose Soppresse, 

89, ff. 117 e segg. 

3 È assai probabile che questo artista fosse parente di quel Giovanni 

Musco che nel 1667 firmava la "Madonna della Consolazione" del Museo 

Regionale di Messina, pubblicata da F. CAMPAGNA CICALA, Le icone del Museo di 

Messina, Messina 1997, p. 108. 

4 ASM, Fondo Notarile (FN), 113, f. 29 bis. 

5 ASM, FN, 114, f. 115.

SU ALCUNI INTAGLIATORI IN LEGNO A MESSINA NEL SECOLO XVIll 115 

O mettersi a disposizione dei numerosi organari 6 e dei 

"carrozzari"7 ai quali fornivano gli apparati ornamentali a 

completamento delle loro opere. 

Da queste brevi note si capisce che l'attività doveva essere 

ampia e doveva coinvolgere un buon numero di artigiani, 

soprattutto nel XVII secolo quando, sia per la disponibilità 

economica delle classi aristocratiche, sia per il nuovo gusto 

barocco, le commissioni avevano toccato punte di maggiore 

richiesta. Ma limitiamoci qui ai soli intagliatori del XVIII 

secolo, rimandando ad altra occasione il nostro interesse per 

quelli del secolo precedente. 

Fra gli intagliatori del XVIII secolo è assai noto Domenico 

Biondo, di cui il Gallo ricorda la carrozza senatoria ora nel 

Museo Regionale di Messina e la galea fatta nel17 42 nel piano 

di San Giovanni in occasione delle feste della Madonna della 

Lettera 8 . Recentemente sono state aggiunte altre notizie su 

quest'artefice circa alcuni lavori eseguiti per la distrutta 

chiesa di Sant'Andrea Avellin0 9 • 

La nostra indagine ha ampliato quanto già noto sul Biondo: 

in data 2 novembre 1738 l'artista dichiarava di aver ricevuto 

in più soluzioni ben 180 onze per i lavori, stimati dall'inge- 

6 In proposito il più antico documento da noi reperito è del 1611. A 

testimonianza della diffusione di questa attività è interessante notare che 

i documenti fanno nomi di numerosi organari, ma nessun documento, fra 

quelli rintracciati, segnala la collaborazione fra organari ed intagliatori. 

Comunque essa non deve essere esclusa in quanto sono numerosi gli organi 

antichi con fregi e decorazioni. 

7 La documentazione relativa ai fabbricanti di carrozze e di calessi, al 

contrario di quella degli organari, fa frequentemente il nome della famiglia 

Laganà che sembra avere gestito una sorta di monopolio del settore. 

8 C. D. GALLO, Gli annali della città di Messina, edizione a cura di A. Vayola, 

Messina 1881, voi IV, pp. 302 e 303-304. 

9 G. MOLONIA, La chiesa di Sant'Andrea Avellino e la "seconda Casa" dei 

teatini a Messina, in "Archivio Storico Messinese", 1987, III serie-XLI, pp. 

171,172,177.

ll6 SEBASTIANO DI BELLA 

gnere Francesco Margarita, della Biblioteca Pubblica lO • Si 

doveva trattare di un'opera di particolare importanza artistica 

considerato l'elevato compenso. 

Allo stesso intagliatore si riferisce un resoconto del 29 

gennaio 1742, relativo alle spese sostenute da Letterio Mannelli 

circa la costruzione di un calesse il cui costo complessivo 

raggiunse la somma di quasi 100 onze. Il documento registra 

diversi pagamenti fra cui quelli agli intagliatori Domenico 

Biondo e Rosario Marra, quelli agli "addoratori" Antonino 

Sorrentino e Apollonio Celesti e quelli al pittore Domenico 

Filocamo ll . 

Gli interventi del Biondo, comunque, questa volta dovettero 

essere poco importanti vista l'esigua somma incassata che 

non aveva raggiunto neanche le 4 onze. 

Ciononostante, dai materiali adoperati, dall'elenco delle 

specializzate maestranze impiegate e soprattutto dall'elevato 

costo globale si può dire che il Mannelli per il calesse di 

famiglia non avesse badato a spese. 

Il più antico documento settecentesco rintracciato durante 

la ricerca è un contratto del 14 dicembre 1702 fra il "carrozzaro" 

Camillo Laganà e l'intagliatore Giovanni Cagliari. 

Quest'ultimo si impegnava ad eseguire per 8 onze tutti i lavori 

d'intaglio di un calesse per una non specificata famiglia 12 • 

Ancora a carrozze si riferisce un atto notarile con il quale 

il4 dicembre 1741 il "carrozzaro" Placido Picciolo e l'intaglia- 

lO ASM, FN, 995, ff. 318-322. Relativi alla stessa Biblioteca sono: il 

regolamento del 1738 (ASM, FN, 995, ff. 517-518), l'elenco di tutti i libri 

donati dall'illustre Giacomo Longo (ASM, FN, 998, ff. 1042-1154). 

11 Le spese vennero annotate in due documenti: il primo riguarda i costi 

della costruzione del calesse (ASM, FN, 907, ff. 357-362); il secondo riguarda 

le spese sostenute per miglioramenti e restauri e per i quali venne nuovamente 

chiamato Domenico Biondo, mentre Antonino Sorrentino venne 

sostituito da Apollonio Celesti (ASM, FN, 907, ff. 363-365). 

12 ASM, FN, 425, ff. 268-269.

SU ALCUNI INTAGLIATORI IN LEGNO A MESSINA NEL SECOLO XVIII 117 

tore Paolo Buceti si impegnavano a fornire al principe di San 

Teodoro, Diego Brunaccini, una berlina del costo di 27 onze, 

che doveva essere "maggiormente lavorata" di quella di don 

Pietro Moncada, altro nobile messinese 13 . 

Lo stesso Paolo Buceti è nominato in un contratto del1732 

per l'esecuzione di una modesta "cona" in legno di castagno 

del costo di 2 onze, da collocare nella contrada delle Concerie 

presso il borgo di San Giovanni Gerosolimitano 14 • 

Ben altra importanza doveva avere, invece, la "machina" 

che Carlo e Paolo Grimaldi 15, padre e figlio, insieme con Pietro 

Cirino 16 , si apprestavano ad eseguire nel1714 per la cappella 

del Sacramento della chiesa di San Francesco d'AssisF7. 

L'opera concludeva, su disposizione testamentaria di un 

tal Placido Genovese, un più complesso progetto decorativo, 

in cui erano state coinvolte anche intagliatori in marmo 18 . Il 

contratto, che prevedeva una spesa complessiva di 15 onze, 

oltre a precisare i particolari decorativi della "machina", 

13 ASM, FN, 998, ff. 616-617. 

14 ASM, FN, 504, f. 259. 

15 Su questo intagliatore altra notizia relativa ad un organo eseguito nel 

1723-1724 per la chiesa madre di Alì è in S. DI BELLA, Alì la chiesa madre. La 

cultura artistica, Messina 1996, pp. 49,152 (doc. 18), 153 (doc. 19), dove 

erroneamente si legge che Paolo era padre di Carlo. 

16 Non è possibile stabilire con sicurezza se si tratti dello stesso Pietro 

Cirino ricordato dalle fonti messinesi ora come architetto ora come pittore 

Vedi: F. SUSINNO, Le vite de' pittori messinesi, ms. 1724, edizione a cura di V. 

Martinelli, Firenze 1960, pp. 128, 284; C. D. GALLO, Apparato agli Annali della 

città di Messina, (1755), ed. Messina 1985 a cura di G. Molonia, p. 35. È più 

probabile che si tratti, invece, di un caso di omonimia. Pertanto è da 

correggere S. DI BELLA (op. cit., 1996, p. 49, nota 19) che aveva identificato 

questo intagliatore con il sopra citato architetto. 

l? ASM, FN, 486, ff. 37-39. 

18 NeI1713, infatti, era stato stipulato, dall'erede del Genovese, Giovanni 

Salvo Cappellini, un contratto per decorare a marmi mischi l'altare della 

stessa cappella e successivamente quella dell'Immacolata. Vedi: S. DI BELLA, 

Notizie dei marmorari messinesi (1700-1743), Messina 1985, pp. 17 (doc. 5), 

19-20 (doc. lO).


obbligava gli intagliatori ad eseguirla in "legno di Venezia" e 

"conforme fosse di marmo bene allustrata". 

All'intaglio delle cornici pare si dedicasse Placido Buceti, 

fratello del sopracitato Paolo, che, prima del 19 novembre 

1712, data nella quale venne liquidato, aveva eseguito per la 

chiesa di Gesù e Maria in San Leone una cornice in legno di 

cipresso, su disegno di Francesco Juvarra, sicuramente il 

noto argentiere. Il manufatto, per il cui costo furono accordate 

12 onze, doveva incorniciare una pala d'altare di grandi 

dimensioni: infatti esso doveva misurare palmi 15 di altezza 

e 10 di lunghezza 19 . La stessa cornice venne successivamente 

indorata, come testimonia una nota d'archivio del26 gennaio 

1713, da Apollonio Celesti, già ricordato a proposito del 

calesse di Letterio Mannelli 20 • 

Un'altra cornice commissionata a Placido Buceti fu quella 

destinata al quadro dell'altare maggiore della chiesa di Santa 

Maria del Bosco. In questo nuovo contratto, stipulato il 17 

agosto 1735, nonostante si faccia riferimento ad un disegno 

prestabilito di non nominato autore, venivano espressamente 

richiesti, quali decorazioni della cornice, oltre agli usuali 

intagli, anche puttini e cornucopie 21 • 

Di un altro lavoro d'intaglio abbiamo notizie da un contratto 

firmato dal sacerdote Alberto Campanella, di cui non si 

conosce la parrocchia, e dall'intagliatore Giovanni Villamaci, 

anch'egli di illustre famiglia se fosse possibile provare la sua 

parentela col noto scultore Luca Villamaci. L'accordo, stipulato 

il4 gennaio 1709, prevedeva la realizzazione di un "tosello" 

in legno con piedistalli, capitelli e sei angioletti che dovevano 

reggere una corona, il cui preventivo fu di 1 onza e 6 tarì 22 • Era 

19 ASM, FN, 484, f. 125. 

20 ASM, FN, 484, f. 203. 

21 ASM, FN, 506, f. 457. 

22 ASM, FN, 302, ff. 131-132.

SU ALCUNI INTAGLIATORI IN LEGNO A MESSINA NEL SECOLO XVIII 119 

questa un'opera di piccole dimensioni (palmi 3 di altezza x 2 

di lunghezza) da porre al centro dell'altare maggiore per 

l'esposizione del Sacramento. 

Anche per gli allestimenti di apparati festivi pare che 

venissero impiegati intagliatori in legno, come lascia supporre 

il contratto del 1731 con il quale Giuseppe Controsceri, 

figlio di Alessandro, noto per alcuni suoi interventi nella 

chiesa madre di Alì 23, e lo sconosciuto Nicola Savinavicchi si 

obbligavano a fornire un arco di trionfo e duecento cornucopie 

per la festa della Madonna della Sacra Lettera 24 • Se i due 

artigiani fossero più intagliatori che "apparatori" non è dato 

saperlo; certamente, però, il loro arco di trionfo, come si evince 

dalla descrizione che ne dà il documento, doveva avere, 

appena finito, poco in comune con gli usuali apparati effimeri. 

Restano gli ultimi due documenti, ma è necessario fare osservare 

che essi si riferiscono alla scultura, sebbene, come già 

detto, la bottega di uno scultore non escludeva i lavori d'intaglio. 

Il primo dei due documenti è relativo ad una scultura di 

Santi Siracusa 25 , già ricordata dal Susinno e da Francesco 

Tramontana in una postilla all"'Iconologia" del Samperi, 

copiata successivamente da Gaetano La Corte Cailler 26 : si 

tratta del contratto di esecuzione in legno di gelso bianco 

della testa della Gigantessa, mitica fondatrice insieme col 

23 Su questo intagliatore vedi: S. DI BELLA, op. cit., 1996, pp. 30, 49 nota 18, 

59,152 (doe. lO), 153 (doce. 18 e 19). 

24 ASM, FN, 502, ff. 159-160. 

25 C.D. GALLO (Apparato, pp. 37, 96, 102, 111) ricorda questo scultore 

citandone alcuni crocifissi (perduti) in chiese messinesi. Lo scultore partecipò 

pure all'esecuzione del coro ligneo della chiesa madre di Alì insieme 

con Alessandro Controsceri ed Alberto Orlando. Vedi: S. DI BELLA, op. cit., 

1996, pp. 49 nota 18, 59, 153 (doe. 153). 

26 F. SUSINNO, op. cit., p. 94. Per il riferimento a F. Tramontana vedi: G. 

MOLONIA, Un esemplare posti/lato dell"'Iconologia", in P. Samperi, Iconologia 

della gloriosa Vergine ... , edizione a cura di G. Molonia, Messina 1990, p. XCV; 

per quello relativo a G. La Corte Cailler vedi: G. MOLONIA, Il gigante e la gigantessa, 

in Teatro mobile. Feste di Mezz'agosto a Messina, Messina 1991, p. 157.


Gigante della città di Messina, commissionata dal "credenziero 

della Metropolitana Chiesa"27. 

Lo scultore s'impegnava a provvedere anche alla decorazione 

in pittura dell'opera e a consegnarla entro il 15 luglio 

1709. Tale data è anticipata di quattro anni rispetto a quella 

segnalata dal Susinno. 

L'ultimo documento riguarda Ignazio Buceti, figlio di 

Placido, quasi sicuramente lo stesso Placido di cui la ricerca 

ha documentato due commissioni per altrettante cornici. 

Ignazio, invece, è da identificare con lo scultore in marmo di 

cui il Grosso Cacopardo nella ristampa del 1841 della sua 

Guida del 1826 segnalava diverse opere 28 . 

Con questo documento lo scultore riceveva nel 1738 

l'incarico di realizzare un Crocefisso in legno di cipresso del 

costo di 15 onze che un commerciante di vini voleva donare 

alla chiesa di Santa Maria della Pietà fuori le mura 29 . 

Purtroppo tutte le opere ricordate dai documenti devono 

essere considerate definitivamente perdute a causa degli 

eventi catastrofici che hanno colpito più volte la città e nello 

stesso tempo a causa della materia facilmente deteriorabile 

dei manufatti, per cui, se alcune opere erano sfuggite a 

terremoti e guerre, raramente si salvarono dal fuoco, dall'umido 

e dal tarlo. E non meno gravi sono state le conseguenze 

derivate dalla scarsa considerazione con cui era tenuta 

questa produzione fino a qualche decennio addietro. 

c/o Istituto di Storia dell'Arte, Facoltà di Magistero, Univo di Messina. 

27 ASM, FN, 302, ff. 153-154. 

28 G. GROSSO CACOPARDO, Guida per la città di Messina, Messina 1841, pp. 4, 

24,36,51,53,74. Ma l'erudito messinese non dimostra di conoscere bene 

questo scultore in quanto gli attribuisce due opere del probabile figlio 

Giuseppe: l"'Immacolata di marmo" e il busto di Eustachio Laviefuille. 

29 ASM, FN, 510, f. 121.

VIRGINIA BUDA 

ROSARIO SPINA 

UN ARTISTA SICILIANO TRA "MACCHIA" E LIBERTY k 

Nel 1932 Rosario Spina fece dono di tutte le opere 

presenti nel suo studio all'Accademia degli Zelanti e dei 

Dafnici di Acireale l . È un gesto che rivela generosità ed un 

legame con la propria città difficile da sciogliere nonostan- 

. te i numerosi anni di lontananza ed i contrasti avuti con i 

concittadinF; ma rivela anche, e soprattutto, il desiderio, 

innato in ogni uomo e a maggior ragione in un artista, di 

poter mantenere vivo il proprio ricordo dopo la morte. 

" Contributo presentato dal socio Dott. Giacomo Scibona. 

Considero doveroso ringraziare tutti coloro che mi sono stati d'aiuto 

durante la ricerca ed in particolare i professori Cristoforo Cosentini e 

Matteo Donato che hanno messo a mia disposizione l'ingente materiale 

posseduto dall'Accademia Zelantea. 

l Da tempo Spina aveva manifestato l'intenzione di donare tutte le sue 

opere all'Accademia; fu il canonico Vincenzo Raciti, suo amico, a convincerlo 

a fare in vita la donazione. Di questa facevano parte, oltre ai suoi dipinti, 

anche opere di altri artisti e libri, come si apprende dall'elenco stilato dal 

pittore stesso e custodito nell'archivio dell'Accademia. Di esso si può leggere 

una copia fedele in: M. DONATO, La Pinacoteca Zelantea di Acireale, Acireale 

1992 (II edizione riveduta ed aggiornata); pp. 43-46. In omaggio al generoso 

gesto di Spina nei confronti della sua città, fu dedicato da Alfio Fichera 

l'articolo Un dono alla Zelantea in "II Popolo di Sicilia", 6 maggio 1932. 

2 In apertura all'elenco succitato Spina scrisse: "Dagli acesi fui ingiustamente 

dimenticato. I soliti stolti prepotenti blasonati e gesuiti, razza 

maledetta, mi costrinsero di allontanarmi. Allontanai il corpo, ma l'anima 

vagava per ogni angolo della città che mi vide nascere, crescere ed onorato".

122 VIRGINIA BUDA 

Spina è riuscito nel suo intento se oggi, proprio partendo 

dal considerevole gruppo di opere presenti alla Pinacoteca 

Zelantea, si tenta di ricostruirne l'attività e la biografia. 

La parte più rilevante della sua produzione artistica è, 

infatti, pressoché inaccessibile, essendo custodita gelosamente 

nelle collezioni private, come accade del resto per 

molta pittura ottocentesca. 

Dopo i frequenti ed entusiastici giudizi presenti negli 

articoli delle riviste acesi dell'ultimo ventennio del XIX 

secolo, che guardavano a Spina come ad una delle più 

promettenti presenze artistiche della Sicilia orientale, si 

assiste ad un progressivo diradarsi delle notizie fino all'oblio, 

seguito alla morte, interrotto solo dalle brevi citazioni 

sui tre più noti dizionari biografici del Novecento 3 • 

Rosario, o Saru come spesso si firmava, nacque il 20 

aprile 1856 ad Acireale da Giuseppe Spina Capritti e Venera 

Raciti. Acireale era allora, insieme con Catania, uno dei 

centri di maggiore fervore artistico della Sicilia orientale. 

I pittori più apprezzati erano soprattutto ritrattisti che, 

come Antonino Bonaccorsi, primo maestro di Rosario, si 

mantenevano fermi su posizioni ancora pienamente 

neocIassiche. Le vere spinte innovatrici provenivano da 

Napoli, dove la maggior parte degli artisti siciliani compiva 

il suo apprendistato, creando così, in Sicilia, un filone 

pittorico strettamente dipendente da quello partenopeo. 

3 Si fa riferimento a: U. THIEME-F. BECKER, Allgemeines Lexikon der 

bildenden Kunstler, voI. XXXI, Leipzig 1937. A.M. COMANDUCCI, Dizionario 

illustrato dei pittori, disegnatori e incisori italiani moderni e contemporanei, 

voI. IV, Milano 1962. Dizionario enciclopedico Bolaffi dei pittori e degli 

incisori italiani dall'XI al XX secolo, voI. X, Torino 1975. I contributi più 

recenti si devono a: G. BARBERA, La Pittura dell'Ottocento in Sicilia in 

Ottocento. Catalogo dell'arte italiana dell'Ottocento, n. 21, Milano 1992. L. 

GIACOBBE in L. SARULLO, Dizionario degli artisti siciliani - Pittura, voI. II. 

Palermo 1993; pp. 512-513.

ROSARIO SPINA: UN ARTISTA SICILIANO TRA "MACCHIA" E LIBERTY 123 

Le prime notizie sul giovane Rosario le abbiamo da un 

lusinghiero articolo di Michele Tortorici Lipera, scritto nel 

1882 in occasione dell'Esposizione Artistico-Industriale 

Didattica di Messina 4 alla quale il Nostro aveva partecipato 

insieme al padre, anch'egli pittore. 

Tortorici Lipera sottolinea i progressi compiuti da Rosario, 

appena venticinquenne, rispetto ai primi quadretti 

eseguiti, ancora fanciullo, alla scuola del BonaccorsP; 

miglioramenti raggiunti grazie agli anni di studio presso 

la scuola "dell'illustre Morello" a Napoli. 

"Sono appena due anni - scrive Lipera - che trovasi a 

Napoli e i suoi quadri cominciano a non far nulla a desiderare, 

sol che si mirino alla debita distanza, e non si 

vogliano, come i vecchi quadri guardar da vicino e cercar 

in essi accordati i colori con leggiere sfumature"6. 

Confrontando due suoi disegni giovanili: il Ritratto di 

Francesco Petrarca (fig. l ), risalente all'apprendistato presso 

Bonaccorsi, ed il Nudo virile (fig.2)?, eseguito alla scuola 

di disegno di Napoli, appare evidente l'importante evoluzione 

subita dal giovane artista nel breve arco di tempo in 

cui studiò fuori Acireale. Sono entrambi studi accademici, 

4 Dal catalogo ufficiale dell'Esposizione, tenutasi dal 12 agosto al 20 

settembre, apprendiamo che il pittore partecipò con quattro quadri ad olio: 

"Penso al mio bene ch'è lontano", "Tra il figliolo e l'asino", una mezza figura 

in costume orientale ed un ritratto a grandezza naturale. 

5 "Sotto questa scuola il giovane Rosario era destinato a languire" 

leggiamo nell'articolo di M. TORTORICI LIPERA, Giuseppe e Rosario Spina 

all'Esposizione di Messina in "La Patria", 23 dicembre 1882, n. 202. 

6 M. TORTORICI LI PERA, op. cit., 1882. 

7 Entrambi i disegni fanno parte insieme agli altri citati alle pagine 

seguenti - di cinque album che Spina donò all'Accademia Zelantea ne11932. 

Cfr. M. DONATO, op. cit., 1992, pp. 179-197. 

Gli album contengono disegni per la maggior parte di sua mano insieme 

ad altri di dubbia attribuzione. Tutti sono stati da me catalogati e documentati 

fotograficamente in altra occasione.


ma al freddo e rifinitissimo ritratto del poeta, copiato 

evidentemente da una stampa, che conserva ancora una 

rigidità di sapore neoclassico, si contrappone il disegno a 

carboncino, datato maggio 1880, pregevole esempio di 

studio dal vero eseguito alla scuola di nudo. Non più 

un'immagine levigata e idealizzata fino all'eccesso, ma 

l'immediatezza dei particolari colti nella loro piena realtà. 

Questo disegno, eseguito pur sempre nel chiuso di un'accademia, 

testimonia ugualmente quel vivo desiderio di 

confrontarsi con il mondo esterno, che anima gran parte 

dei numerosi schizzi di ragazzini visti per le strade (fig. 3) 

e le scene di genere che prendevano spunto dalla vita 

quotidiana della gente più umile. 

È proprio con queste opere a carattere bozzettistico ch.e 

Spina esordì ad Acireale. Avimmo passato lo guaio (fig. 4) 

è un olio dipinto nel 1883 a Napoli - come dimostra anche 

l'idioma usato dall'autore per il titolo - col preciso intento 

di donarlo alla propria città, che gli aveva consentito, con 

un sussidio di 500 lire annue concesso dal Comune, di 

studiare all'Istituto Reale di Belle Arti tra il 1879 e il 1883 8 • 

Il dipinto rientra a pieno titolo in quel filone di pittura 

realistica e pseudo-popolare che piacque molto, soprattutto 

tra i ceti borghesi, per il tono un po' superficiale e 

rassicurante con cui certi temi a sfondo sociale venivano 

trattati. L'indagine attenta della dura realtà di vita della 

classe contadina veniva tradotta in scenette divertenti e 

graziose che, falsando il problema autentico",e scottante 

della vera miseria, non costituivano minimamente un 

mezzo di denuncia sociale. 

8 Il quadro, oggi custodito presso la. Pinacoteca Zelantea, si trovava 

esposto nella sala del Consiglio del Municipio di Acireale, come si legge in 

"La Patria", 18 agosto 1883, n. 237.

ROSARIO SPINA: UN ARTISTA SIC.ILIANO TRA "MACCHIA" E LIBERTY 125 

L'interno, abitazione e stalla allo stesso tempo, è indagato 

nei minimi dettagli: il pavimento ineguale di terra 

battuta, la pietra sbrecciata del vecchio forno o la cesta, in 

primo piano, illuminata solo a metà. La luce, quasi abbagliante 

in alcune parti, rivela per forti contrasti le forme 

compatte e sode tipiche della "macchia" napoletana e 

meridionale in genere, e si incorpora ai colori intensi e dati 

a pennellate dense di materia. Il colore, con i suoi 

cangiantismi di derivazione morelliana, diventa esso stesso 

luce: si osservi la figura dell'anziana donna che, davanti 

alla porta semiaperta, è rimasta ferma a guardare allibita 

l'interno devastato dalla recente lite. 

Nel 1884 Spina si afferma come nuova promessa dell'ambiente 

artistico acese con la melodrammatica tela 

intitolata Troppo tardi(fig. 5). Con un tono un po' svenevole 

e fortemente retorico, tipico di certa cultura ottocentesca, 

viene descritto il momento in cui un giovane bersagliere 

torna a casa e scopre di non essere arrivato in tempo per 

vedere la madre ancora viva. 

Era un dipinto che non poteva non produrre un immediato 

coinvolgimento del pubblico. Le cronache del tempo 

descrivono con enfasi la commozione di quanti si fermavano 

a guardare il gesto teatrale del bersagliere 9 • Non bisogna 

dimenticare, del resto, quanto fossero ancora vicine 

nel tempo le battaglie risorgimentali, che avevano portato 

tanti lutti, e quanto pesasse in Sicilia, dopo l'Unità d'Italia, 

la coscrizione obbligatoria. 

9 Sulla rivista acese "La Patria" del1'8 marzo 1884, n. Il, leggiamo che il 

dipinto fu esposto nella sala del Circolo dei Cittadini e che "i curiosi dinanzi 

a quel quadro si vedevano diventare seri seri quasi fossero presi da un senso 

di pietà e di un religioso raccoglimento". AI dipinto, oggi esposto nella 

Pinacoteca Zelantea, fu anche dedicata una poesia, altrettanto enfatica e 

retorica, dal nisseno Tommaso Giarrizzo; lo si legge in "La Patria", Il aprile 

1885, n. 15.


Con Troppo tardi Spina si presentò all'Esposizione nazionale 

di Torino del 1884, cominciando così a partecipare 

assiduamente a queste che erano importanti occasioni di 

incontro e di confronto per gli artisti provenienti da tutta 

la penisola. 

Nel 1887 era a Venezia con Idillio campestre (fig.6)lo. Il 

tono bonario e un po' divertito, che è proprio di Spina, 

raggiunge qui uno dei suoi esiti più apprezzabili. Serenità 

ed armonia traspaiono dalle espressioni dei due coniugi 

colti in un momento di riposo, ma ci vengono comunicate 

anche dalla natura rigogliosa, che si dispiega nelle numerose 

varietà vegetali, culminando nella grande agave con le 

sue foglie appuntite e carnose. 

Il dipinto ci trasmette un'immagine quotidiana ma idealizzata 

della campagna, facendola apparire quasi come un 

paradiSO per noi, oggi, irrimediabilmente perduto. Anche 

in questa rievocazione del mondo contadino, che fu protagonista 

quasi assoluto della pittura siciliana ottocentesca, 

tornano le masse solidamente definite alle quali Spina sarà 

sempre fedele, rimanendo estraneo all'evoluzione pittorica 

verificatasi a Napoli. 

Negli ultimi anni dell'Ottocento, infatti, si cominciò a 

praticare una pittura brillante e virtuosistica, fatta di 

pennellate guizzanti e di colori sfaldati nella luce. Diffusa 

con la presenza dello spagnolo Mariano Fortuny, essa trovò 

in artisti come Antonio Mancini, Vincenzo Irolli o Vincenzo 

Caprile degli apprezzati continuatori fino ai primi anni del 

Novecento. 

Saro Spina, però, già da allora cominciava ad uscire 

sempre più raramente dall'ambito siciliano. Si era fermato 

stabilmente ad Acireale, aprendo uno studio con Mariano 

lO Esposizione nazionale artistica. Catalogo ufficiale, Venezia 1887.


Modò ll che, come lui, aveva vissuto l'esperienza napoletana 

insieme con altri pittori coetanei, tra i quali Francesco 

Mancini e Salvatore Messina. 

È con quest'ultimo e Modò che Spina progettò un monumento, 

eseguito in cartapesta, che fu esposto in occasione 

della serata di apertura del Teatro Bellini di Acireale, nel 

giugno del 1889. 

Il monumento, rispecchiando pienamente la tendenza 

diffusa nell'arte italiana di fine Ottocento, faceva ampio 

uso della figura femminile come allegoria dei nuovi miti 

dell'Italia postunitaria; rappresentava appunto la nazione 

su un piedistallo alle cui basi erano poste tre figure 

simboleggianti l'Arte, l'Industria e la Storia, il messaggio 

non poteva essere più esplicito ed eloquente ed infatti 

suscitò grande entusiasmo nel pubblico, che chiamò alla 

ribalta i tre ideatori con grandi applausPz. 

Le richieste più frequenti, tuttavia, provenivano evidentemente 

dai privati; in Sicilia le preferenze della 

committenza erano rivolte alla pittura di paesaggio e, 

ancor di più, al ritratto. 

Quest'ultimo divenne lo strumento ideale di autoaffermazione 

per la nuova classe borghese che così aveva modo 

di esibire, spesso in maniera un po' tronfia, tutti quei 

particolari che contribuivano ad evidenziarne l'agiatezza 

economica e lo status sociale. 

Il In un articolo apparso su "La Patria" del 6 giugno 1885 viene narrata 

la visita fatta allo studio delle due giovani promesse dell'ambiente artistico 

acese. Da questa fonte apprendiamo che Spina, in quei giorni, stava 

lavorando al ritratto per "l'applaudito baritono Sig. Blasi". 

12 Il resoconto della serata e del trionfo dei tre artisti ci viene offerto da 

un articolo apparso sul "Corriere di Acireale"del4 giugno 1889; n. lO. È solo 

grazie alla descrizione che ne fa il cronista che noi possiamo avere un'idea 

del monumento; non sono rimasti, infatti, disegni preparatori dai quali 

trarre informazioni più dettagliate su di esso.


numerosi ritratti eseguiti da Spina ed esposti alla 

Pinacoteca Zelantea riproducono, per la maggior parte, 

personaggi della sua famiglia: i genitori, la moglie o se 

stesso. È purtroppo più arduo risalire a quelli che, eseguiti 

su richiesta di un preciso committente, sono oggi ancora 

inediti; risulta particolarmente difficoltoso, infatti, reperire 

le collezioni private delle quali fanno parte. 

Grazie a quei pochi proprietari che si sono mostrati 

sensibili alle mie richieste, è stato possibile giungere a 

vederne solo pochi che, comunque, bastano a darci un'idea 

esauriente dell'apprezzabile capacità ritrattistica del Nostro. 

Uno di questi è stato eseguito su seta, con una tecnica 

che ricorda molto da vicino i ritratti fotografici in quegli 

anni ormai abbastanza diffusi. È, appunto, sfumato ai 

bordi il contorno ovale che racchiude il volto di Giambartolo 

Romeo (fig.7), deputato al Parlamento nazionale, morto a 

Roma il 29 maggio 1887 a soli 43 anni l3 • Per tale motivo e 

tenendo conto della firma autografa, presente in basso, si 

può prendere l'anno della morte come termine ante quem 

per l'esecuzione dell'opera. 

La stessa impostazione "fotografica" del volto ripreso in 

primo piano, si ritrova nel ritratto di un altro personaggio 

illustre di Acireale: il Cav. Leonardo Nicolosi Vigo (fig. 8). 

L'immagine fu eseguita per la rivista "La Patria" che commemorava, 

nel numero del 17 aprile 1891, la morte del nobile 

concittadino. Rispetto al precedente, questo ritratto mostra 

un'esecuzione più sommaria e veloce, e risulta ancora più 

evidente che fu copiato da una foto del defunto piuttosto che 

13 G. Romeo viene ricordato dai concittadini come personaggio di grande 

valore umano e politico. Un articolo della rivista acese "La Patria" del lO 

giugno 1892 ci dà la notizia della cerimonia di inaugurazione del suo busto, 

eseguito dallo scultore Michele La Spina, per rendere degni onori ad un 

uomo che aveva fatto tanto per la sua città.


eseguito dal vero. Sono ad olio gli altri tre ritratti finora 

inediti, custoditi in collezioni private di Acireale. 

Due furono eseguiti intorno al 1889 per la famiglia 

Guarrera e ritraggono i fratellini Vincenzo ed Amelia. 

Seguendo il consueto schema ottocentesco, Spina conferisce 

un tono nobile ai soggetti, rispondendo sicuramente 

in tal modo alla richiesta del committente, evidentemente 

in linea con il gusto allora imperante. 

Vincenzo viene ritratto a figura intera (fig.9). Aveva 

appena dieci anni, ma sembra volesse apparire adulto con 

quella sua posa, tra lo spavaldo ed il ritroso, e l'elegante e 

severo abito scuro in forte contrasto con lo sfondo rosso 

cupo. 

Nonostante l'aspetto austero dato all'insieme, Spina si 

concentra poi sui tratti fisionomici dei bambini con un 

realismo che, soprattutto per la piccola Amelia (fig. l O), 

diventa quasi spietato. L'artista non cerca di minimizzare 

i difetti della bambina, come era pratica comune tra i 

ritrattisti accademici, e adottando una maggiore finitezza 

pittorica che distingue questo dal ritratto di Vincenzo, 

dove le pennellate risultano più libere ed evidenti, Spina 

riproduce le fattezze di Amelia curandone i minimi particolari, 

anche gli occhi lucidi e l'espressione malinconica 

forse dovuta all'insofferenza per i tempi lunghi della posa. 

Ancora una bambina è il soggetto del terzo ritratto 

(fig. Il ). Si tratta di uno dei più raffinati sotto l'aspetto 

propriamente tecnico: con estrema abilità viene resa la 

consistenza delle vesti, del raso pesante e delle trine 

inamidate, o la leggera vaporosità dei capelli biondi. Le 

pennellate rapide nella veste e date apparentemente alla 

rinfusa nei capelli, si fanno attente nel viso dolce dai tratti 

delicati e dalla carnagione rosea, per concentrarsi sullo 

sguardo un po' vago degli occhioni scuri. 

Il ritratto è datato: Catania 1897. Erano passati dall'ese-


cuzione degli oli Guarrera otto anni che, se non incisero 

sullo stile pittorico di Spina, apportarono tuttavia molti 

cambiamenti nella sua vita. 

Tra il 1884 ed il 1894 era riuscito ad ottenere un discreto 

successo ad Acireale; lo dimostrano i ritratti per personaggi 

illustri, ma anche le commissioni pubbliche: il già citato 

monumento in cartapesta per il Teatro Bellini ed il telone 

per il Teatro Margherita di Acireale l4 • 

In quegli anni il pittore continuò a partecipare alle 

esposizioni organizzate in Sicilia: con sei quadri si presentò 

nel 1890 a Catania, vincendo la medaglia d'argento alla 

grande esposizione che fu organizzata in occasione dell'inaugurazione 

del Teatro Massimo intitolato al musicista 

Vincenzo Bellinjls. 

Nel1892 portò il già noto Idillio campestre all'Esposizione 

di Palermo l6 • Questa fu allora presentata come un 

grande evento nazionale, con il quale la Sicilia dimostrava 

di essere parte attiva del progresso industriale ed economico 

del Regno d'Italia. 

La situazione italiana però non era così rosea come le 

fonti ufficiali di informazione volevano far credere. La 

forte disuguaglianza sociale e lo sfruttamento delle classi 

14 Il Teatro Margherita oggi non esiste più, ma abbiamo notizia del 

telone, che rappresentava il mito di Aci e Galatea, da un denigratorio 

articolo apparso su "La Patria" del 26 febbraio 1887, nel quale l'autore 

ignoto si scaglia contro Spina colpevole di aver eseguito una sua caricatura 

sul nuovo giornale acese "La Voce dell'Etna". 

15 I resoconti dell'Esposizione e della valida partecipazione dei pittori 

acesi, nonché delle premiazioni, vengono dati su: "Corriere di Acireale", 29 

maggio 1890, n. 22; "Corriere di Acireale", 19 giugno 1890, n.25; "La Patria", 

2l giugno 1890, n.25. 

16 Cfr. Esposizione nazionale di Palermo 1891-1892. Catalogo generale, 

Palermo 1892. "Una cosuccia bellissima" e "lavoro grazioso" viene definito 

il quadretto dal cronista dell'esposizione sul "Corriere di Acireale" del l 

gennaio 1892.


operaia e contadina avevano generato varie agitazioni 

soffocate dallo Stato con la violenza. 

In Sicilia, dopo decenni di insurrezioni fallite, si era 

giunti nel 1892 alla fondazione di un movimento parallelo 

a quello socialista, i Fasci dei lavoratori, che rivendicava 

la risoluzione della secolare e sempre più grave "questione 

meridionale" . 

Ad Acireale fu proprio Saro Spina ad essere promotore 

del fascio locale e a divenirne presidente il 15 febbraio 

1893 17 • 

La bonarietà e l'ironia con cui affrontava, nei suoi dipinti, 

le scene di vita contadina non ci devono dunque trarre 

in inganno su quella che fu la profonda coscienza sociale 

e civile di Spina. La sua partecipazione attiva al movimento 

popolare ci dimostra chiaramente che egli fu uomo di 

grande sensibilità umana oltre che artistica. 

Dopo la breve pausa ottenuta con il consenso del governo 

Giolitti, nel 1894 Crispi riprese la linea dura. I Fasci 

siciliani, come i moti precedenti, furono sciolti ed i dirigenti 

arrestati e processati. Ciò avvenne a prezzo di sanguinose 

repressioni militari nella maggior parte delle città siciliane. 

Ad Acireale tutto si limitò all'emarginazione degli 

aderenti al gruppo e Spina mal tollerò questa situazione, 

decidendo di andare a vivere a Catania e chiedendo poi, il 

27 marzo, il trasferimento definitivo del domicilio politico 

dal Comune acese 18 • 

Da allora non tornò più nella sua città natale, ma a 

Catania non dovette far fatica a trovare nuovi committenti 

17 Un resoconto più ampio ed approfondito delle vicissitudini del Fascio 

dei lavoratori acese lo si può leggere in: G. GRAVAGNO, Storia di Aci. Acireale, 

1992. 

18 G. GRAVAGNO, op. ci t. , 1992, pp. 396-404.


a giudicare dai numerosi progetti per decorazioni di dimore 

private e chiese che ci sono rimasti. 

Sicuramente molte richieste gli vennero dai paesi della 

provincia catanese e messinese; un prezioso esempio lo 

abbiamo nel Martirio di San Sebastiano (fig.12) per la chiesa 

di San Basilio di Graniti (ME), datato 1894 19 . 

Il realismo, adottato già in passato da Domenico Morelli nei 

suoi dipinti di soggetto religioso, assume in quest'opera di 

Spina toni marcatamente laici. C'è veramente poco del tipico 

patetismo, tradizionalmente legato all'iconografia di questo 

santo, nell'immagine dell'aitante giovane legato ad un albero. 

Alla figura non è stato conferito quel profondo accento di 

severità morale che Morelli dava ai suoi personaggi sacri. 

Quasi pasoliniano ci appare invece il San Sebastiano di 

Spina: un santo dei giorni nostri, che conserva intatte le 

fattezze reali del ragazzo, che il pittore scelse come modello, 

e forse anche un pizzico della sua noia, argutamente falsata 

dagli occhi rivolti convenzionalmente al cielo. 

Un'atmosfera intensa e malinconica viene conferita alla 

scena dalla folta vegetazione boschiva che vi fa da sfondo. 

Un piccolo olio raffigurante degli alberi (fig.13), oggi esposto 

alla Pinacoteca Zelantea, ne costituisce chiaramente 

uno studio preparatorio; la stessa pittura compendiaria e 

densa del fogliame scuro torna inalterata nell'opera finita, 

dimostrando ulteriormente la scelta di Spina di voler fare 

uso della libertà della tecnica macchiaiola, pur affrontando 

un soggetto religioso. 

Anche i pittori più all'avanguardia del secondo Ottocen- 

19 Un articolo del periodico catanese "Bellini" descrive con dovizia di 

particolari il dipinto che, erroneamente, viene ritenuto presente in una 

chiesa di Francavilla di Sicilia. L'articolo viene riportato per intero su "La 

Patria", l febbraio 1895, n. 1. Desidero ringraziare il Dott. Gioacchino 

Barbera per avermi segnalato la presenza del dipinto a Graniti, permettendomi 

così di ricollegarlo a quello descritto nell'articolo succitato.


to, infatti, preferirono attenersi ad un linguaggio purista 

lavorando a soggetti sacri. Forse più affini a questo atteggiamento 

dovettero essere le altre opere eseguite dal Nostro per 

la committenza ecclesiastica, però ci rimangono a testimoniarlo 

solo i bozzetti preparatori eseguiti ad acquerello. 

Spina non lavorò comunque solo per la provincia; molto 

attiva fu la sua presenza anche nel più vivace ambiente 

catanese. 

Al Museo Civico di Castello Ursino è conservato un 

piccolo olio raffigurante, in un interno, una giovane contadina 

che fila (fig.14); datato 22 gennaio 1899, il dipinto 

porta una dedica al poeta Mario Rapisardi. 

Nell'ambiente spoglio è ben visibile, appesa alla parete, 

una stampa che ritrae Giuseppe GaribaldFo. È probabile che 

l'immagine dell'Eroe dei Due Mondi sia stata inserita nel 

dipinto come evidente omaggio al poeta catanese che, per 

gli ideali civili espressi nelle sue opere, era stato molto 

ammirato da GaribaldFl. 

20 Incisioni di questo tipo, che ritraevano l'eroe risorgimentale, non 

dovevano essere degli esemplari molto rari in quegli anni. La stampa 

riprodotta nel piccolo dipinto fu sicuramente in possesso di Spina; tra i 

numerosi disegni donati dall'artista all'Accademia Zelantea, è conservata, 

infatti, una copia fedele della stampa, eseguita a matita molti anni dopo, nel 

1919. 

21 Con mal celato orgoglio il Rapisardi ricorda l'ammirazione di Garibaldi 

per il suo Lucifero, poema progressista e anticlericale. Egli stesso trascrive, 

in una sua lettera, il breve ed entusiastico messaggio che l'eroe risorgimentale 

gli inviò da Caprera nel 1877: "Ho divorato il vostro Lucifero, l'opera 

grande! Voi avete scalzato l'idolo di tanti secoli e gli avete sostituito il Vero. 

Se la metà degli Italiani potesse leggerlo e comprenderlo, Italia avrebbe 

raggiunto il suo terzo periodo d'incivilimento umano. Sulla classica terra 

d'Archimede voi avete sollevato un nuovo mondo. Coraggioso! All'avanguardia 

del Progresso noi vi seguiremo, e possa seguirvi la nazione intera 

nella grande opera di emancipazione morale da voi eroicamente iniziata. 

Accogliete un bacio fraterno del vostro correligionario". Cfr. Epistolario di 

Mario Rapisardi, a cura di A. Tomaselli, Catania 1922; p. 310.


Mario Rapisardi suscitò spesso grandi entusiasmi per la 

sua profonda comprensione dei problemi sociali e la sua 

sincera devozione agli ideali di libertà, fratellanza e giustizia. 

Molti si volsero a lui come al profeta di un avvenire di 

pace e di libertà, strenuo avversario del pregiudizio sotto 

qualsiasi forma si presentasse. Per questo motivo fu profondamente 

stimato da personaggi come Victor Hugo e 

Filippo Turati, pur non aderendo mai ufficialmente al 

socialismo, perché si sentì sempre e solo poeta e non uomo 

politico. 

Ebbe idee estremamente chiare sui moti siciliani, che 

ritenne fallimentari perché nati più da immediati bisogni 

materiali che da una coscienza sociale e politica radicata. 

Previde, infatti, la dura repressione che ne sarebbe scaturita, 

temendo per la povera gente che ne sarebbe uscita ulteriormente 

affranta; da poeta, però, esaltò l'anima di questo 

movimento, convinto che esso era un sintomo del profondo 

rinnovamento che si sarebbe verificato nel XX secolo. 

Furono dunque gli ideali umanitari e sociali, sinceramente 

sentiti, ad accomunare il poeta al pittore, al di là e 

al di sopra della fede in un partito politico. 

La pittura di Spina, così strettamente legata a quella di 

Domenico Morelli, del quale Rapisardi fu sempre un ammiratore, 

dovette incontrare i favori del poeta ed è probabile che 

anche nei confronti del pittore acese egli sia stato prodigo di 

pareri sinceri e disinteressati, come lo fu con tanti giovani 

artisti che a lui sottoponevano le proprie opere. 

Mario Rapisardi, infatti, amico dei grandi protagonisti 

della pittura siciliana come Di Bartolo, Gandolfo e Lojacono, 

fu molto vicino ai nuovi talenti catanesi, dando loro preziosi 

consigli ed esortandoli a continuare sulla strada prescelta, a 

dispetto dei frequenti insuccessi dovuti alle incomprensioni 

del pubblico. 

Appare naturale, dunque, che il poeta diventasse presto


un punto di riferimento importante per Spina, non solo 

come sostenitore di quegli stessi ideali per i quali egli 

aveva abbandonato la sua amata Acireale, ma anche come 

intermediario fra l'artista e l'ambiente culturale catanese, 

ravvivato dal fervido clima positivi sta e progressista. 

Si può considerare frutto di questi prolifici contatti iI 

ritratto di Cesare Pascarella, eseguito a penna (fig.15). 

Sappiamo infatti, da una foto scattatagli da Verga sull'Etna, 

che iI poeta romano soggiornò a Catania nel 1897 22 • 

Questo ritratto, dunque, diventa per noi una preziosa 

testimonianza della partecipazione attiva di Spina alla vita 

culturale più aggiornata, animata dalle frequenti relazioni 

che gli intellettuali catanesi ebbero con la più avanzata 

cultura nazionale e dagli scambi vivaci che ne derivarono. 

Anche a Catania, come in tutto iI Meridione, si assiste 

negli ultimi decenni del XIX secolo ad una ripresa della 

committenza privata e pubblica, sia laica che religiosa. 

Accanto al ritratto ed al paesaggio, generi sempre in voga, 

proliferò la richiesta di più ampie decorazioni per interni. 

Ancora una volta la borghesia, desiderando abbreviare 

sempre più le distanze dall'aristocrazia, ne imitava i gusti, 

arricchendo le proprie dimore di grandi cicli decorativi 

eseguiti a fresco e a tempera. 

È in questi anni che Spina dimostra la sua versatilità e 

22 A questa conclusione sono giunta più recentemente dopo aver visto 

la fotografia del Verga. In altra occasione avevo attribuito al piccolo disegno 

una data anteriore di circa lO anni sulla base di affinità stilistiche con il 

Ritratto di Giannina Pozzo eseguito, anch'esso a penna, a Torino nel 1884. 

La fotografia fa parte dell'imponente materiale fotografico trovato, nel 

1966, da Giovanni Garra Agosta nella casa di Giovannino Verga Patriarca a 

Catania. Erano 26 scatole di negativi distinte da note scritte di pugno dal 

Verga. Su una di esse si leggeva: "Monti Rossi, Pascarella e De Roberto - 

aprile 1897". Cfr. A. NEMIZ, Capuana, Verga, De Roberto fotografi, Edikronos, 

Palermo 1982; pp. 61-76.


l'ammirevole capacità di adattarsi alle tendenze artistiche 

più in auge in quello scorcio di secolo. 

In questa sua facilità di passare da uno stile all'altro - 

anche in funzione della destinazione dell'opera - c'è un 

evidente parallelismo con l'attività di un altro artista, ben 

più noto a livello nazionale, Ettore De Maria Bergler. Ci 

sono, del resto, anche scelte stilistiche in comune, che 

fanno pensare ad una conoscenza tra i due artisti, avvenuta 

forse direttamente a qualcuna delle importanti esposizioni 

di quegli anni alle quali parteciparono entrambi. Tuttavia 

non è nemmeno da escludere, per questa comunanza di 

scelte e di interessi, !'ipotesi dell'uso di repertori di immagini, 

circolanti allora in tutta Europa, alle quali possono 

essersi indipendentemente ispirati. 

Delle numerose decorazioni per interni eseguite da Spina 

ci sono noti solo i bozzetti preparatori ad acquerello contenuti 

negli album donati dal pittore all'Accademia Zelantea. 

Soffermandoci su uno di questi (fig.16) vediamo un 

gruppo di fanciulle seminude che danzano, in cerchio, 

all'interno di una cornice intorno alla quale schizzi a penna 

rossa riproducono una finta architettura con decorazioni 

in stucc0 23 • Le figure femminili dai capelli fluenti, che 

volteggiano avvolte in drappi svolazzanti (figg.17,18) 

attorniate da puttini, e l'inquadramento architettonico 

sono moduli decorativi particolarmente diffusi nell'Italia 

umbertina, caratterizzati principalmente dal forte richiamo 

a stile mi settecenteschi e barocchi. Si ritrovano spesso 

anche tra le decorazioni di Giuseppe Sciuti, uno dei pittori 

catanesi più apprezzati fuori dalla Sicilia e dal quale il 

23 Alcune note, segnate velocemente a matita dall'autore, chiariscono i 

soggetti che egli aveva intenzione di eseguire nell'opera definitiva. All'interno 

delle altre cornici più piccole leggiamo infatti: "figura allegorica" e 

"paesaggio".


Nostro fu fortemente influenzato. Si possono notare, a tale 

proposito, evidenti analogie tra l'acquerello Amore che 

bacia Venere (fig.19) ed una Allegoria con figure femminili 

di Sciuti, eseguita a carboncino e conservata alla Galleria 

D'Arte Moderna di Roma 24 • Adattandosi di volta in volta 

alle richieste ed al gusto dei committenti, Spina passa da un 

partito decorativo all'altro, trovando sempre felici soluzioni, 

frutto della notevole sapienza tecnica acquisita, ma 

anche della sua fertile inventiva. 

L'eclettismo ottocentesco non fece che rievocare stili 

decorativi passati, dall'arte classica a quella rococò. 

È un tipico esempio di decorazione in stile pompeiano 

un altro bozzetto (fig.20) dai forti contrasti cromatici: i 

rossi, i gialli ed i neri sono accostati a larghe zone interrotte 

da accurate decorazioni a grottesche e da eleganti figurine 

femminili danzanti. 

E come non andare immediatamente col pensiero alle 

decorazioni di De Maria Bergler a Villa Whitaker a Palerm0 

25 , dinanzi allo studio per decorazione di una stanza da 

pranzo, datato 1905 ? (fig.21) 

Attraverso questo trompe-l'oeil dai colori tenui, Spina 

finge la parete di un ambiente che immaginiamo affacciato 

su un giardino. Alcune piante, infatti, si intravedono al di 

là delle due porte-finestre, mentre sulla destra lo sguardo 

si perde, attraverso l'arco, nelle lontananze azzurrine di un 

paesaggio. Tra una porta e l'altra vasi di piante che, con il loro 

estremo realismo, testimoniano il continuo fluire nell'arte 

24 Per una visione d'insieme dell'opera di Sciuti rimando a: M. CALVESI e A. 

CORSI, Giuseppe Sciuti. Catalogo della mostra antologica alla Galleria d'Arte 

Moderna di Palermo. Ed. Ilisso, 1989. 

25 Per un'analisi completa della produzione artistica di De Maria Bergler 

si può fare riferimento al catalogo della mostra Ettore De Maria Bergler, 

Galleria d'Arte Moderna Empedocle Restivo, Palermo 1988.


di Spina, come in quella di De Maria Bergler, dal realismo 

macchiaiolo all'elegante linearismo del Liberty, in una piacevole 

fusione che dà vita a quel tipo particolare di decorazione 

che fu caratteristica della nostra regione e della quale De 

Maria Bergler fu rappresentante nel resto d'Italia. 

Lo stile floreale si affermò a Palermo intorno al 1900, con 

la decorazione del Grand Hotel Villa Igea; si diffonderà 

presto in tutta la Sicilia con quel suo tipico tono un po' 

fastoso e baroccheggiante conferito alle tinte delicate ed 

alle stilizzazioni proprie dell'Art Nouveau. 

La consacrazione ufficiale del nuovo stile a Catania 

avvenne nel1907 con l'Esposizione agricola siciliana 26 , alla 

quale anche Spina partecipò progettandone un manifesto 

(fig.22), in perfetta sintonia con l'impronta liberty data alla 

manifestazione, ed esponendovi, fuori concorso, ben 14 

quadri tra i quali i suoi vecchi "cavalli di battaglia": Troppo 

tardi e Idillio campestre 27 • 

Questo accostamento di dipinti, ancora pienamente 

immersi nel clima macchiaiolo, alle novità portate dal 

Liberty, potrebbe sembrare un atteggiamento anacronistico 

di Spina se non fosse invece un fenomeno allora molto 

diffuso nel Meridione. 

Il Liberty infatti fu uno stile che nacque proprio come 

nuovo modo di considerare ed affrontare qualunque problema, 

architettonIco o decorativo, improntando tutte le 

espressioni artistiche, artigianali ed il gusto in generale, 

ma ne rimase quasi del tutto estranea la pittura di cavalletto 

che, soprattutto in Sicilia, fu più a lungo legata ad 

espressioni realistiche. 

26 Si veda al proposito A. ROCCA, Il Liberty a Catania, Catania 1984. 

27 Cfr. Esposizione Agricola Siciliana, Aprile-Novembre, Guida Ufficiale, 

Catania 1907.


Spina dunque è da considerare uno dei tanti testimoni di 

un clima culturale diffuso. Continuando infatti ad esaminare 

la sua produzione artistica dei primi decenni del Novecento, 

assistiamo allo scorrere continuo da uno stile all'altro. 

Troviamo ancora il bozzetto (fig.23) per decorazione 

d'interno o per manifesto - un'altra prova per l'esposizione 

del 1907, a giudicare dall'edificio visibile sullo sfondo 

- con la figura femminile che diventa perno di tutta l'immagine 

per il suo significato simbolico, ma anche in funzione 

della struttura stessa della rappresentazione. L'opulenza 

del realismo ottocentesco, in questo caso, viene fusa a certi 

particolari dai toni piatti e larghi che si ispirano evidentemente 

al Liberty. 

Ancora ad un clima tipico degli anni a cavallo tra XIX e XX 

secolo ci riportano dei disegni a carboncino che ritraggono 

due donne dagli occhi languidi e cerchiati di nero. Una, con 

la sua corta capigliatura tanto di moda tra gli anni Venti ed 

i Trenta, (fig.24) ci dà l'esatta definizione del periodo in cui 

fu eseguito il disegno; l'altra donna (fig.25), con i capelli 

neri sciolti sulle spalle e l'atteggiamento affettato, ricorda 

molto da vicino le figure femminili del teatro fin de sièc/e 

o degli esordi del cinema muto. Lo sguardo malinconico, le 

mani strette attorno al fiore che sta portando al viso, la 

bocca semiaperta quasi ad esalare l'ultimo respiro, sono 

tutti atteggiamenti tipici delle attrici del tempo sempre 

sull'orlo del deliquio. Il raffinato disegno, che oggi si trova 

in una collezione privata, appartenne al pittore Alfio 

Guglielmina, allievo del Nostro, al quale si deve la comunicazione 

orale che ci permette di dare la paternità dell'opera, 

priva di firma, a Saro Spina 28 • 

28 Alfio Guglielmina, nato ad AciBonaccorsi nel 1911 e qui morto nel 1980, 

dopo aver studiato presso Spina, visse ed operò prevalentemente a Roma.

140 VIRGINIA RUDA 

Da queste atmosfere caratteristiche dei primi decenni 

del Novecento, si torna bruscamente al XIX secolo ed al 

clima macchiaiolo con l'olio Vendemmia (fig.26). La situazione 

ci appare idilliaca, è ancora una scena di vita contadina 

nella quale anche il duro lavoro della raccolta dell'uva 

sembra diventare una semplice occasione di svago: la 

fatica viene vissuta con il sorriso sulle labbra, e con la 

voglia di danzare e suonare, dalle figure immerse nel 

florido paesaggio catanese dominato dal maestoso vulcano. 

Ritroviamo ancora una volta, dunque, l'evasione dalla 

realtà attraverso una pittura che è pienamente macchiaiola: 

macchie informi, se guardate a distanza ravvicinata, sono 

le foglie ed i grappoli d'uva, ma anche i visi e le vesti delle 

donne, che solo in parte emergono tra i filari. 

Se fosse stato privo di data, non avrei esitato ad accomunare 

questo dipinto a quelli eseguiti negli anni Ottanta 

dell'Ottocento; in realtà è datato 1929. 

In quegli anni la Sicilia, anche se con una certa lentezza, 

viveva le profonde trasformazioni, in campo artistico, che 

erano state così rapide e travolgenti nel settentrione d'Italia. 

A Palermo Pippo Rizzo e Vittorio Corona, per mezzo 

delle mostre sindacali, avevano portato al successo il 

dirompente movimento futurista. 

L'espressionismo, intanto, si faceva avanti con forza 

tramite la nuova generazione di artisti della quale faceva 

parte il giovane Renato Guttuso. 

Eppure molti pittori rimanevano ancora fedeli ad uno 

stile puramente ottocentesco, non per scarsa informazione 

o interessamento, ma perché ormai troppo lontani da 

una mentalità e da modi stilistici così nuovi da rendere 

difficoltoso l'adeguarvisi. Del resto anche quegli stessi 

pittori che parteciparono al rinnovamento futurista, spesso 

tornarono sui loro passi, riprendendo spunti e stilemi 

del realismo ottocentesco.


Si deve tenere conto, inoltre, delle posizioni assunte 

dalla committenza che, legata ancora a modelli superati, 

decretava il perdurare del successo dei macchiaioli, che 

ancora nel Novecento continuavano ad essere molto apprezzati 

e richiesti. 

Anche Spina, dunque, poté godere di questo favore, 

come dimostra questo suo ultimo dipinto tra quelli che è 

stato possibile reperire. Dal 1931 in poi è molto probabile 

che il pittore acese non sia più stato attivo, forse proprio 

a causa di quella malattia che lo colpì mentre stilava 

l'elenco delle opere da donare all'Accademia Zelantea 29 , 

anche se la morte lo colse molto più tardi, nel 1943. 

Solo questo lascito, dunque, ci permette oggi di poter 

ricordare un artista molto apprezzato e stimato dai contemporanei. 

La scarsa fortuna critica di cui ha goduto 

nel Novecento si deve anche ai limiti dell'ambiente siciliano, 

e catanese in particolare, entro i quali egli rimase ad 

operare fino alla morte. 

Le poche partecipazioni giovanili ad esposizioni nazionali 

non potevano certo permettergli di continuare ad 

essere ricordato ed apprezzato anche fuori dalla Sicilia e 

quindi di svolgere un ruolo importante a livello nazionale 

come valido rappresentante della pittura siciliana: era 

infatti ancora molto forte allora la distinzione regionalistica 

delle scuole pittoriche. 

Ma perché continuare ancora oggi a relegarlo in un 

angolo buio dell'arte meridionale? Molti studiosi, dando 

per scontato il provincialismo asfittico di gran parte della 

pittura siciliana ottocentesca, scoraggiano chiunque tenti 

29 L'elenco risulta redatto di suo pugno solo in parte, Spina stesso precisa 

di averlo completato facendosi aiutare da qualcuno che scrisse sotto 

dettatura. Cfr. M. DONATO, op. cit., e 1992, p. 46.


di fare luce su personalità che, come quella di Spina, 

rimangono ancora nell'ombra. 

Non si pretende certo di voler eguagliare il Nostro agli 

artisti che, protagonisti delle correnti pittoriche più aggiornate, 

hanno giustamente acquistato un ruolo di primo 

piano nell'arte italiana. Si vuole piuttosto affermare l'importanza 

di una rivalutazione e di un maggiore apprezzamento 

nei confronti di un artista che, pur non protagonista 

ed innovatore, ha comunque dimostrato di possedere 

notevoli doti tecniche e di inventiva. È vivo il desiderio che 

di Spina non rimanga solo il labile ricordo trasmesso dalle 

opere fedelmente custodite dall'Accademia Zelantea. Attraverso 

quei dipinti e disegni deve, invece, rivivere la sua 

vivace personalità: l'eclettismo, la fantasiosa capacità di 

passare da uno stile all'altro, l'abilità tecnica che, insieme 

al suo entusiasmo, poté trasmettere a non pochi allievi. Tra 

questi alcuni, come il già citato Alfio Guglielmino ed i più 

noti Domenico Maria Lazzaro e Saro Mirabella, andarono a 

lavorare a Roma divenendo, nella capitale o a Catania, 

profondamente partecipi delle più moderne tendenze artistiche 

del Novecento italian0 3o • 

c/o Istituto di Storia dell'Arte, Facoltà di Lettere, Univo di Messina. 

30 In solitari come nuvole. Arte e artisti in Sicilia nel '900, Catania 1988, 

p.181, Giuseppe Frazzetto riporta la notizia degli anni di apprendistato 

condotti presso Saro Spina da questi giovani artisti che divennero le nuove 

leve della pittura siciliana del Novecento.


R. Spina, Nudo di uomo seduto, 

maggio 1880. Acireale, Pinacoteca 

Zelantea. 

R. Spina, Ritratto di Francesco 

Petrarca, 18 lugliol874. 

Acireale, Pinacoteca Zelantea.


R. Spina, Scugnizzo dormiente. Acireale, Pinacoteca Zelantea. 

R. Spina, Avimmo passato lo guaio, aprile 1883. Acireale, Pinacoteca Zelantea.


R. Spina, Troppo tardi, 1884. Acireale, Pinacoteca Zelantea. 

R. Spina, Idillio campestre, 1887. Acireale, Pinacoteca Zelantea.

146 VIRGINIA EUDA 

R. Spina, Ritratto di Giambartolo 

Romeo. 

Acireale, Collezione privata. 

R. Spina, Ritratto del Cav Leonardo 

Nicolosi Vigo, 1891. "La Patria", 

Acireale, 17 aprile 1891, n.16.


R. Spina, Ritratto di Amelia Guarrera. 

Acireale, Collezione privata. 

R. Spina, Ritratto di Vincenzo 

Guarrera, maggio 1889. 

Acireale, Collezione privata.


R. Spina, Martirio di San Seba-stiano, 

1894. Graniti (ME), Chiesa di 

San Basilio. 

R. Spina, Ritratto di bambina, 

1897. Acireale, Collezione privata.


R. Spina, Contadina, 22 gennaio 

1899. Catania, Museo Civico di 

Castello Ursino. 

R. Spina, Alberi. Acireale, Pinacoteca 

Zelantea.


R. Spina, Ritratto di Cesare PascareI/a. 

Acireale, Pinacoteca Zelantea. 

R. Spina, Progetto di decorazione di salone. Acireale, Pinacoteca Zelantea.


R. Spina, Venere e amorini. Acireale, Pinacoteca Zelantea. 

R. Spina, Donna e putti. Acireale, Pinacoteca Zelantea.


R. Spina, Amore che bacia Venereo Acireale, Pinacoteca Zelantea. 

R. Spina, Progetto di decorazione di salone. Acireale, Pinacoteca Zelantea.


R. Spina, Progetto di decorazione di stanza da pranzo, 1905. Acireale, 

Pinacoteca Zelantea. 

R. Spina, Progetto per l'Esposizione 

Agricola di Catania del 1907. 

Acireale, Pinacoteca Zelantea.


R. Spina, Volto di donna. Acireale, 

Pinacoteca Zelantea. 

R. Spina, Figura allegorica femminile. 

Acireale, Pinacoteca 

Zelantea.


R. Spina, Volto di donna. Aci 

Bonaccorsi, Collezione privata. 

R. Spina, Vendemmia, 1929. Acireale, Pinacoteca Zelantea.


DISEGNI INEDITI DI EDIFICI REALIZZATI 

DA CESARE BAZZANI A MESSINA' 

Presso l'Archivio di Stato di Terni si conservano alcuni 

disegni relativi all'attività messinese dell'architetto Cesare 

Bazzani (Roma 1873-1939), uno dei protagonisti della vicenda 

artistica italiana dei primi decenni del Novecento, apprezzato 

dai contemporanei, ma quasi totalmente trascurato 

dagli studiosi degli ultimi decenni. Recentemente, Michele 

Giorgini e Walter Tocchi hanno delineato la vicenda biografica 

e artistica dell'architetto romano in una monografia che 

rivaluta l'opera di questa personalità dimenticata 1 ; il presente 

studio, proseguendo il lavoro svolto dai due autori menzionati, 

intende approfondire il capitolo riguardante l'attività 

del Bazzani a Messina nel periodo della ricostruzione della 

città distrutta dal sisma del 1908. 

Infatti, grazie alla sua fama, nella città terremotata vennero 

commissionati al Bazzani i progetti del Palazzo del Governo 

(1913-19), della Direzione del Carcere Giudiziario (1913), 

delle due Chiese di Santa Caterina Valverde (1928) e di San 

Lorenzo (1926), dell'Ufficio delle Privative (1929) e di alcune 

palazzine su Corso Garibaldi, oltre che il restauro della 

Chiesa di San Giovanni di Malta (1913-1923). Una personalità 

·Contributo presentato dalI'Arch. Nino Principato e dal Prof. Giacomo Scibona. 

l Cesare Bazzani. Un Accademico d'Italia, a cura di M. CIORGINI, W. TOCCHI, 

Perugia 1988.

158 ELIANA PERGOLIZZI 

di rilievo, pertanto, all'interno della vicenda della ricostruzione 

edilizia nella Messina post-terremoto, che, tramite tali 

realizzazioni, ha contribuito a conferire alla città quell'immagine 

eclettica, « ... unitaria pur nella disunitarietà stilistica, 

che ne fa un caso eccezionale nel panorama architettonico 

italiano del primo Novecento»2. 

Esponente dell'architettura romana dei primi decenni del 

Novecento, i cui maggiori rappresentanti erano i vari Gaetano 

Kock, Pio Piacentini, Armando Brasipi, Guglielmo Calderini, 

Bazzani ottenne i primi riconoscimenti con la vincita di due 

Concorsi Nazionali per i progetti della Biblioteca Nazionale 

Centrale di Firenze (1902-1904) e della Galleria d'Arte Moderna 

a Roma 3 (1908-11), che gli faranno ottenere nei primi anni 

della carriera cariche di prestigio, come la nomina a Presidente 

dell'Associazione Artistica Internazionale 4 e membro di 

varie Accademie, fra cui quella di San Luca a Roma. Alla 

prolifica attività artistica si aggiunse quella politica, con la 

nomina, nel 1912, a consigliere comunale di Roma nella 

Giunta presieduta da Ernesto NathanS, che valse al nostro ad 

allargare il giro delle amicizie politiche, spesso committenti 

dei suoi lavori. 

Gli incarichi di progettazione per vari tipi di edifici (Palazzi 

2 A. PRINCIPATO, Messina capitale dell'Eclettismo, in Il Quartiere Ottavo di 

Messina. "Centro Storico Dina e Clarenza", a cura di G. MOLONIA, Messina 1994, 

pp. 93-97. 

3 Cesare Bazzani. Un Accademico ... , cit., p. 18. Sulla Galleria d'Arte 

Moderna a Roma, cfr. A. M. RACHELI, La Galleria Nazionale d'Arte Moderna di 

Cesare Bazzani e le vicende della sua costruzione. Primi risultati di indagini 

documentarie, in Roma 1911, catalogo a cura di G. PIANTONI, Roma 1980, pp. 

285-290. 

4 Cesare Bazzani, in "Annuario della Reale Accademia d'Italia", voI. I, 

1930-31, ad vocem. G. GIOVANNONI, Commemorazione di Cesare Bazzani 

tenuta il14 maggio 1939, in "Annuario della Reale Accademia d'Italia", voli. 

X-XII, 1937-1940, p. 234. 

S Cesare Bazzani. Un Accademico ... , cit., p.34.

DISEGNI INEDITI DI EDIFICI REALIZZATI DA CESARE BAZZANI A MESSINA 159 

Pubblici, Edifici privati, teatri, ponti, Chiese) per le vittorie 

ottenute nei Concorsi Nazionali di Roma e Firenze, divennero 

tanto numerosi, che « ... a voler enumerare tutte le opere da 

allora progettate e costruite da Cesare Bazzani, le quali messe 

insieme costituirebbero, loro sole, una città vastissima, 

occorrerebbe non un discorso, ma un volume ampiamente 

documentato ed illustrato»6. 

L'attività dell'architetto venne divisa da Gustavo Giovannoni 

in tre periodF: il primo, dagli inizi della carriera sino a11922, 

caratterizzato da un'architettura fresca e vivace, ottenuta 

con una rivisitazione degli stili dei secoli passati coniugati 

con caratteri decorativi desunti dal repertorio liberty; il 

secondo (1922-1925), rappresentato da un eclettismo sobrio 

e severo; infine l'ultimo periodo, in cui Bazzani, a seguito 

delle aspre critiche rivolte gli durante la Seconda Esposizione 

di Architettura Razionale (1931), si adegua al linguaggio 

propugnato dal regime fascista, mantenendo comunque 

sempre viva l'aderenza allo stile italiano dei secoli passati, 

caratteristica maggiormente apprezzata dai suoi contemporanei, 

come è dimostrato dalle parole di Marcello Piacentini: 

«Non fu un innovatore né un maestro: fu, soprattutto negli 

anni giovanili, un architetto eclettico, di gusto e mano sicura, 

un costruttore esperto, abile professionista. Seguì, negli 

ultimi anni, la evoluzione dell'architettura, ma senza una 

sentita convinzione, senza dedizione: in sostanza rimase 

sempre, fondamentalmente, irrimediabilmente classico»8. 

Il Palazzo del Governo, realizzato dal Bazzani a Messina, si 

inquadra in quello che il Giovannoni ha definito primo 

6 G. GIOVANNONI, Commemorazione ... , cit., p.237. 

7 Eadem, pp. 238-239. 

8 M. PIACENTINI, Cesare Bazzani (1873- 1939), in "Architettura", XVIII, 1939, 

p.331.


periodo di attività. L'incarico del progetto gli venne conferito 

direttamente dal Ministero dei Lavori Pubblici nel 1912 9 ; il 

palazzo del Bazzani è una di quelle opere pubbliche che 

sarebbero state assegnate ad architetti di chiara fama e 

realizzate per prime perché dessero un riferimento 

architettonico agli altri edifici destinati a sorgere lO • 

Per la costruzione degli Edifici Pubblici della città ricostruita, 

essendo limitato il numero dei funzionari del Genio 

Civile, si ricorse al Concorso d'idee sostituito in seguito, per 

accelerare i tempi, dalla commissione diretta affidata ad 

artisti di chiara fama, provenienti per lo più dal continente ll . 

Pertanto, nel 1912 il Ministero dei Lavori Pubblici affidò il 

progetto del Palazzo delle Poste al senese Vittorio Mariani; ad 

Alessandro Giunta il Palazzo della Provincia; a Marcello 

Piacentini il Palazzo di Giustizia, tutti realizzati secondo i 

dettami dell"'Architettura Ufficiale"12. 

La fantasia degli architetti venne sacrificata dalle norme 

antisismiche, che imponevano l'altezza massima degli edifici 

pubblici a sedici metri, e dall'uso del nuovo materiale: 

infatti « .. .il cemento armato non trovò a Messina gli interpreti 

che meritava, e che aveva già trovato altrove, in Francia 

soprattutto; gli architetti formatisi alla scuola dei metodi 

costruttivi tradizionali incontrarono in esso un ostacolo 

quasi insuperabile e un limite ulteriore alle loro già scarse 

9 MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI, Edifici Pubblici e case degli impiegati nei Paesi 

colpiti dal terremoto, Roma 1913, p. 47. 

IO Eadem, p.58; F. CARDULLO, La ricostruzione di Messina. 1909-1940, Roma 

1993, p. 112; F. CHILLEMI, La città del Novecento: un centro storico ricostruito. 

Edifici Pubblici, in Il Quartiere Ottavo ... , cit., pp. 112-123. 

Il F. CARDULLO, La ricostruzione ... , cit., p. 19. 

12 Per i protagonisti della vicenda architettonica messinese dopo il 

terremoto, cfr. M. Lo CURZIO, G. L. DI LEO, Messina, una città ricostruita, Bari 

1985; A. RESTUCCI, Note e spunti nell'architettura eclettica, in La trama della 

ricostruzione. Messina, dalla città dell'Ottocento alla ricostruzione dopo il 

sisma del 190B, a cura di G. CURRÒ, Reggio Calabria 1991, pp. 71-77.


capacità espressive in senso moderno, oppure un elemento 

di interferenza alla loro naturale maniera di esprimersi»13. 

Il Ministero dei Lavori Pubblici dichiarò comunque che, 

« ... pur lasciando da parte qualsiasi idea di monumentalità e 

di magnificenza, era opportuno, almeno per i più importanti 

fra gli edifici, non fossero trascurate delle esigenze di sobrio 

decoro cui devono rispondere, specie nei centri più importanti, 

quegli uffici che della attività del Governo sono la 

vivente e permanente espressione»14. 

L'incarico del progetto della Regia Prefettura e Questura 

venne affidato, come si è già detto, nel1912 a Cesare Bazzani, 

Accademico d'Italia e in quel tempo Consigliere Comunale a 

Roma nella Giunta presieduta da Ernesto Nathan. A tal 

proposito è importante sottolineare il ruolo di Gran Maestro 

dell'Oriente d'Italia rivestito dal sindaco di Roma e dunque i 

probabili rapporti di quest'ultimo con uno dei maggiori 

rappresentanti della politica messinese del tempo, il massone 

Ludovico Fulci 15 . Pertanto non è difficile azzardare l'ipotesi 

che il sindaco di Roma e Gran Maestro dell'Oriente d'Italia 

13 R. CALANDRA, Lo sviluppo urbano problema di fondo a Messina dal 1908 

ad oggi, Messina 1957, p. 16. 

14 MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI, Edifici Pubblici ... , cit., p. 33; F. CARDULLO, La 

ricostruzione ... , cit., p.18. 

15 Per la situazione politica messinese dei primi decenni del '900, cfr. A. 

CICALA, Rappresentanza politica e movimenti sociali a Messina (1900-1915), 

in "Incontri Meridionali", n. 3, 1992, pp. 97-123; A. CHECCa, Messina dal 

terremoto del 1908 al fascismo. La ricostruzione senza sviluppo, in "Storia 

Urbana", n. 46, gen. Mar. 1989, pp.161-192; G. BARONE, Egemonie urbane e 

potere politico locale (1882-1913), in Storia d'Italia. Le Regioni dall'Unità ad 

oggi. La Sicilia, a cura di M. AJMARD e G. GIARRIZZO, Torino 1987, pp.353-370; 

G. BARONE, Sull'uso capitalistico del terremoto: blocco urbano e ricostruzione 

edilizia a Messina durante il fascismo, in "Storia Urbana", n. 19, apro giu. 

1982, pp. 47-104. Per la figura di Ernesto Nathan, cfr. V. GATTO, Le gran 

maestranze di Ernesto Nathan, in Atti del Convegno di Studi su "Gran 

Maestro della Massoneria e Sindaco di Roma Ernesto Nathan. Il pensiero e 

la figura a150 anni dalla nascita", Roma 1995.


abbia influito nell'assegnazione di quest'incarico all'architetto 

vicino all'ambiente della Massoneria Cesare BazzanF6. 

Il progetto, dopo varie modifiche, venne approvato il 30 

aprile 1913, la versione definitiva venne consegnata il 16 

luglio dello stesso anno e il lavoro appaltato il 4 agosto alla 

Società Cooperative di Ravenna per un importo di 934.465 

lire!? L'area assegnata all'edificio era quella precedentemente 

occupata dalla Chiesa di San Giovanni di Malta e dall'adiacente 

Palazzo del Priore, prospiciente Piazza Unità d'Italia ad 

est e il Giardino Mazzini a sud. 

Il tema del carattere architettonico dell'edificio venne 

svolto dall'architetto « ... avendo in mente visioni tutte nostre, 

tutte italiane; sì che lo edificio, edificio di rinascita, risentisse 

quasi dello stesso alito di vita nuova e lieta che risentirono gli 

edifici della Rinascenza Italiana, che quasi fiori, sbocciarono 

fuori dai turriti castelli, dai merlati palagi. Aneliti di vita 

migliore, più lieta: desideri di cancellare nefaste orme ... 

passate»!8. 

L'edificio è a due piani: il piano terra con un alto zoccolo 

rivestito da una parete bugnata, dove si aprono le finestre 

inquadrate da lesene; zona basamentale che accoglie, nel 

centro della fronte principale prospiciente Piazza Unità 

d'Italia, l'ingresso principale in ferro battuto, decorato con 

motivi desunti dal repertorio liberty. Il piano superiore, 

rivestito da mattoni a vista intercalati da intonaco giallo-ocra, 

è diviso in tre corpi, dei quali il centrale, scandito da bifore 

16 Sui rapporti tra Bazzani e la Massoneria, cfr., Cesare Bazzani. Un 

Accademico ... , cit., pp. 55-60. 

17 MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI, Edifici Pubblici ... , cit., p. 68; F. CARDULLO, La 

ricostruzione ... , cit., p.112. 

18 C. BAZZANI,Relazione sul nuovo edificio per la R.Prefettura e Questura di 

Messina, Roma, marzo 1913, p. 7, in Archivio del Genio Civile di Messina, 

voI. 41.


e trifore incorniciate da lesene, è sovrastato nella fronte 

principale su mare da sei torrette nelle quali sono inserite 

quattro statue muliebri affiancate dagli scudi di Messina 

(fig.1). 

Interessanti appaiono anche i corpi d'angolo fra il prospetto 

principale e quelli laterali, a pianta ottagonale, di sapore 

vagamente liberty, e coronati nel cornicione da protomi 

leonine inserite in nicchie. 

Le norme antisismiche costrinsero l'architetto ad escludere 

un « ... partito grandioso ... »; pertanto egli svolse « ... il tema 

in una inquadratura lieve ma organica, armonica e leggiadra 

... »19, con decorazioni poco aggettanti. Queste, a causa 

delle norme antisismiche, dovevano essere realizzate in 

cemento armato, un materiale che Bazzani non amava. Infatti 

l'elemento decorativo per eccellenza per l'architetto era il 

marmo, e in particolare il travertino, che era dimostrazione 

della propria formazione avvenuta nell'ambito della scuola 

romana. A Messina, egli non poté fare a meno di accettare, sia 

pure malvolentieri, le norme antisismiche, non rinunciando 

agli apparati decorativi, che erano sempre presenti nella sua 

prima produzione artistica. 

Il progetto venne approvato nel luglio del 1913, ma dai 

disegni in nostro possesso, non datati, si evince che l'architetto 

aveva stilato precedentemente almeno due progettFO, 

sebbene in quello realizzato vi siano alcune modifiche di 

lieve entità rispetto agli altri due e riguardanti solo il prospet- 

19 Ibidem. 

20 Nella relazione del MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI, Edifici Pubblici ... , cit., a p. 

47 si annota che Bazzani, successivamente al progetto di massima del 

maggio 1912, aveva presentato tre progetti: il primo, i130 marzo1913, in cui 

vennero suggerite modifiche, il secondo un mese dopo, approvato, e infine 

l'ultimo progetto, il 16 luglio, in cui l'architetto aveva approntato successive 

modifiche, che vennero approvate dal Ministero.


to principale. Il primo disegno (fig. 2) riguarda il corpo 

centrale della fronte su Piazza Unità d'Italia. Le differenze 

rispetto al progetto definitivo sono quasi esclusivamente di 

carattere decorativo. I tre cancelli in ferro battuto che 

immettono nell'atrio qui sono stati ideati ad arco sovrastato 

da decorazioni a cordoli; è diversa anche la posizione delle 

quattro statue dell'attico, che nel disegno sono poste lateralmente 

a due cartigli, mentre gli stemmi, affiancati alle statue 

nel progetto realizzato, in questo caso delimitavano il cancello 

principale. Rimane invece inalterata la struttura architettonica, 

con le aperture bipartite e tripartite e i sei pilastri 

a tutt'altezza. 

Il secondo disegno (fig.3) riguarda un progetto di facciata 

molto simile a quella realizzata; anche in questo caso si 

notano alcune modifiche quasi esclusivamente di carattere 

decorativo. In questo progetto il corpo ottagono insistente su 

via Gran Priorato è sostituito da una copertura a terrazza 

sulla quale doveva sorgere, secondo gli intendimenti dell'architetto, 

il gruppo allegorico con l'Italia e Messina risorta, mai 

realizzato 21 • Nel coronamento del corpo ottagono posto a 

sud-est erano collocate statue racchiuse in nicchie, sostituite 

in seguito dalle protomi leonine. Infine, un particolare interessante 

sono i gruppi di telamoni posti alla base dei pilastri 

del corpo centrale, sistema già adoperato nel cortile interno 

del Ministero della Pubblica Istruzione a Roma, che, se 

realizzato, avrebbe forse appesantito l'intera composizione 

armonica del prospetto. 

21 Nella Relazione sull'edificio, a p.S, si legge: La zona superiore « ... ha il 

riassunto più vivace sull'angolo principale dell'edificio: la tribuna d'onore: 

sulla quale ove regolamenti lo permettessero, e lo permettessero i bilanci, 

io proporrei che sorgesse un'aurea cupoletta sovrastata da un gruppo 

allegorico, L'Italia e Messina risorta; sì che essa fosse il faro lucente della 

rinascita messinese».


L'ultimo disegno (fig.4) corrisponde al progetto realizzato 

dell'edificio, sebbene nella fase costruttiva, forse per mancanza 

di fondi, siano stati eliminati i mascheroni fungenti da 

fontane collocati nelle specchiature dei corpi ottagoni. Gli 

altri particolari decorativi, disegnati in maniera particolareggiata 

dal Bazzani, vennero realizzati secondo le direttive 

dell'architetto. Non possediamo invece alcun disegno delle 

quattro statue muliebri. Purtroppo, malgrado ricerche effettuate 

in archivi cittadini e nazionali, sono andati perduti i 

documenti relativi alla loro costruzione, e con essi la data 

della realizzazione e il nome dell'esecutore. È comunque 

probabile che, come per le decorazioni interne, il lavoro sia 

stato eseguito dall'Impresa Bazzani e da maestranze locali, 

su disegni dello stesso architetto. Il motivo delle quattro 

statue racchiuse entro nicchie collocate nel cornicione 

della facciata principale e degli stemmi ai lati di esse, è 

presente in altri edifici dello stesso periodo progettati 

dall'architetto romano. Fra questi, si ricorda il Ministero 

della Pubblica Istruzione a Roma (1913-15), il cui cornicione 

è sormontato da quattro statue in marmo, più articolate 

rispetto a quelle del Palazzo messinese. Queste ultime 

rappresenterebbero le basi su cui avrebbe dovuto risorgere 

la città e su cui poggiava una Nazione: l'Agricoltura, il 

Lavoro, la Giustizia e la Scienza. 

Data la funzione decorativa e scenografica, le statue non 

raggiungono ottimi livelli qualitativi. 

Completano la decorazione della facciata gli stemmi incorniciati 

da motivi fitomorfi di ispirazione liberty, le mensole 

decorate con motivi vegetali, panneggi finti e volute, e le 

protomi leoni ne dei cornicioni dei corpi ottagonali, figure 

ricorrenti nei repertori decorativi di numerosi edifici del 

tempo e presenti anche a Messina in numerosi palazzi 

pubblici e privati. 

Le decorazioni interne furono eseguite, come attestato da


un documento 22 , dall'Impresa Cesare Bazzani. Esse consistevano 

negli stucchi dei soffitti e nell'arredamento. La commissione 

venne affidata all'architetto il 18 agosto 1920; la 

somma autorizzata fu prevista in Lire 523.000. I lavori 

vennero ultimati il lO febbraio 1921. Il collaudo, effettuato 

nel maggio 1925 dall'ingegnere Capo del Genio Civile per i 

Servizi del Terremoto, Luigi Lo Cascio, accertò che le opere 

eseguite « ... corrispondono in massima alle condizioni contrattuali 

e che le modifiche apportate nella coloritura dei 

soffitti hanno conferito all'opere un carattere di maggiore severità, 

perché meglio armonizzano i soffitti stessi con le decorazioni 

del fregio e con l'epoca alla quale sono intonati»23. 

L'atrio (fig. 5) presenta chiari riferimenti manieristi e barocchi; 

esso viene scandito da otto colonne in pietra di Trapani, 

impostate su alti dadi, con entasi accentuata ad un terzo 

dell'altezza. Il capitello ionico, con l'abaco concavo, l'echino 

decorato con ovuli e le volute unite da drappeggi, è un chiaro 

riferimento barocco. Le colonne laterali si posano su scale 

che immettono in due portoni, entrambi affiancati da due 

cariatidi in stucco, realizzate in stile cinquecentesco. 

Dall'atrio si dipartono due scale curve a tenaglia che 

conducono al piano nobile. In questo piano, le sale di 

maggiore interesse sotto il profilo decorativo sono quelle 

ottagonali, i cui soffitti sono decorati da giochi di putti e da 

tondi contenenti figure, realizzati con una certa abilità; 

anche qui si nota quel tocco di leggerezza sottile e di 

raffinatezza che è presente in tutti i particolari decorativi del 

Palazzo, sottolineate dal colore verde azzurro della stanza. 

22 CORPO REALE DEL GENIO CIVILE, Ufficio Speciale pei Servizi del Terremoto, 

Lavori di decorazioni interne del grande Salone di Rappresentanza e locali 

annessi nell'edificio per la R. Prefettura e questura di Messina, Messina 1925, 

in Archivio del Genio Civile di Messina, val. 41. 

23 Ibidem, p.4.


In conclusione, Bazzani, fondendo in un elegante e colto 

eclettismo la freschezza di alcuni particolari desunti dal 

repertorio liberty all'eleganza delle statue del cornicione, la 

forte espressività delle protomi leonine al tocco di delicato 

cromatismo delle sale interne, ha realizzato una delle opere 

più significative edificate a Messina dopo il terremoto, grazie 

anche al tessuto urbanistico circostante che pone l'edificio 

come fondale di una vasta piazza che si affaccia « ... sul mare, 

all'imbocco del porto; la nuova costruzione è così situata in 

modo di dire la prima parola della Edilizia Ufficiale nella 

rinascita di Messina, a chi giunga dal continente, dal mare»24. 

I lavori dell'edificio subirono un rallentamento a causa 

delle difficoltà sorte sul completo abbattimento della Chiesa 

di San Giovanni di Malta; infatti la Prefettura, secondo le 

disposizioni date dal Ministero dei Lavori Pubblici nel 1910, 

doveva estendersi anche sulla parte dell'isolato 403 occupato 

dalla tribuna della Chiesa che doveva essere abbattuta 

(fig.6)25. 

Ma, a seguito delle proteste della Sovrintendenza dei 

Monumenti di Palermo, che aveva sottolineato l'importanza 

24 C. BAZZANI, Relazione ... , cit., p. 4. 

25 Il sisma del 1908 aveva causato il crollo delle navate e di parte del 

prospetto principale della chiesa, che venne demolito pochi giorni dopo il 

disastro, ma aveva lasciato intatta la zona absidale e due cappellette ad essa 

adiacenti, demolite negli anni venti. Sulla conformazione esterna ed interna 

della Chiesa di San Giovanni prima del terremoto del 1783, cfr. il Libro della 

Visita ai beni e commende del Gran Priorato di Sicilia, 1749, trascritto da G. LA 

CORTE CAILLER nel 1912 e conservato presso la Biblioteca Regionale di Messina 

(F.N. 207 Ms.). Dal manoscritto (p.38) si apprende che il sarcofago del 

Maurolico si trovava nella cappella di S. Giovanni. Altre notizie sulla chiesa si 

trovano in G.E. CALAPAJ, La Chiesa di San Giovanni Battista detta di Malta in 

Messina, in "Annales de l'Ordre Souverain Militaire de Malte", ott.-dic.1968-N. 

IV; G. FOTI, Storia, Arte e tradizione nelle Chiese di Messina, Messina 1983, pp. 

385-391; V. DI PAOLA, I cavalieri di Malta e la città di Messina, in Il Quartiere 

Ottavo ... , cit., pp. 414-419; F. PAOLINO, Giacomo Del Duca. Le opere siciliane, 

Messina 1990, pp.17 -29, con bibliografia precedente.


artistica e storica del tempio, nel1913 venne commissionato 

al Bazzani lo studio « ... di un tempietto o cappella da costruire 

con pregio d'arte, in un angolo del vecchio recinto della 

Chiesa»26. L'architetto, a seguito di accordi intercorsi con il 

Soprintendente del tempo, Antonio Salinas, diede quindi 

incarico all'architetto Francesco Valenti di eseguire i rilievi 

dei resti del Santuario e nel 1915 circa presentò un progetto 

di massima dal quale risultava che non sarebbero stati 

conservati integralmente i resti della Chiesa, « ... ma bensì il 

fronte posteriore, lungo circa 28 m, per una profondità di 

m.6,50»27. 

Successivamente, dopo varie vicende, il Bazzani, che in 

passato si era già confrontato con problemi di questo genere 

con i progetti delle facciate di San Lorenzo a Firenze (1903) 

e di Santa Maria degli Angeli a Roma (1913), compilò un 

progetto definitivo di restauro che venne approvato dal 

Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici il12 giugno 1923 28 . Il 

nuovo progetto comportava la conservazione della cappella 

maggiore e delle sale ad esso adiacenti. 

I lavori di restauro della Chiesa e quelli di ultimazione del 

26 MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI. Edifici Pubblici ...• cit .. p. 68; Raccomandata 

del Ministero dell'Istruzione indirizzata al Sovrintendente dei Monumenti 

di Palermo. datata 27 aprile 1915. in Archivio della Soprintendenza per i 

BB.CC.AA .• Sezione Beni Architettonici di Messina. fascio relativo alla chiesa 

di San Giovanni di Malta. 

27 Raccomandata del Soprintendente di Palermo indirizzata al Ministro 

della Pubblica Istruzione. datata 25 giugno 1915. in cui il Soprintendente si 

lamenta di avere appreso direttamente dal Bazzani la notizia della demolizione 

della cappella di San Giovanni. con la conseguente conservazione del 

solo coro. trasformato dopo il sisma in cappella. In Archivio della Soprintendenza 

per i BB. CC.AA .. Sezione Beni Architettonici di Messina. fascio 

relativo alla chiesa di S. Giovanni di Malta. 

28 CORPO REALE DEL GENIO CIVILE DI MESSINA. Lavori di decorazione e di 

completamento del Prospetto verso ovest dell'edificio della R. Prefettura di 

Messina. Messina. marzo 1926. in Archivio del Genio Civile di Messina. 

val. 41.


prospetto verso ovest della Prefettura vennero affidati all'Impresa 

Giacomo Martello e ultimati il 31 gennaio 1926. La 

superficie totale del terreno disponibile risultò pertanto di 

mq. 5.640; di questi, mq. 3.600 vennero occupati dall'edificio, 

mq. 250 dalla Chiesa, mq. 120 dal cortile, mq. 1280 dal 

giardino 29 • 

Della Chiesa sono stati rintracciati tre disegni riguardanti 

il prospetto ad est, progettato dal Bazzani. Due di essi, non 

datati, sono diversi dalla facciata realizzata; se ne desume 

quindi che riguardassero un progetto di restauro precedente 

quello del 1923. Il primo disegno (fig.?) riguarda una visione 

d'insieme della facciata della Chiesa e del prospetto a sud del 

Palazzo del Governo. Si noti come fosse stata prevista una 

minore distanza tra il nuovo edificio e i resti della Chiesa. 

Inoltre il progetto prevedeva la demolizione del secondo 

ordine, che pure si era conservato quasi completamente 

integro dopo il sisma. La facciata era costituita da un corpo 

principale, aggettante rispetto a quelli laterali, al quale si 

accedeva tramite una scalinata; esso era costituito da un'arcata 

sostenuta da colonne doriche, dalla quale si entrava nel 

portale principale, terminante ad arco e chiuso da una grata 

(fig.8). È probabile che tale portale fosse l'arco di ingresso 

della cappella posta dietrà l'originario coro della Chiesa, 

trasformato dopo il sisma del 1908 in cappella 30 • Infatti, tale 

progetto di restauro prevedeva una sola campata nella fronte 

prospiciente la via San Giovanni di Malta, e non la conservazione 

delle due campate previste nel progetto del 1923. 

Si noti infine come la facciata fosse stata prevista con 

forme architettoniche completamente diverse da quella realizzata 

nel 1923-1926. Se si confronta questo progetto con la 

29 Ibidem. 

30 G.LA CORTE CAILLER, Libro della Visita ... , cit., p.16.


facciata della Chiesa precedente il terremoto del 1908 31 (fig. 

9), si nota un'aderenza quasi fedele da parte del Bazzani 

all'assetto originale del prospetto principale di San Giovanni, 

con l'esclusione del secondo ordine; assetto che verrà completamente 

stravolto nel progetto realizzato. Di quest'ultimo 

sono stati rintracciati il disegno della facciata (fig. l O) e il 

particolare della cancellata posta fra il prospetto ad ovest 

della Prefettura e i resti della chiesa (fig. Il ). La facciata, così 

come noi oggi la vediamo, è caratterizzata da un corpo 

centrale aggettante rispetto a quelli laterali, coronato da una 

trabeazione a timpano decorato con uno stemma. Il portale 

architravato è delimitato da lesene doriche ed è sormontato 

da un lunettone vetrato. I corpi laterali sono scanditi orizzontalmente 

da una cornice marcapiano; nel piano terra prendono 

posto due finestre chiuse da grate, mentre il piano 

superiore è decorato da specchiature rettangolari. Il progetto 

originario prevedeva un tetto a spiovente, sostituito in 

seguito da una copertura a terrazza, e una cella campanaria 

soprastante il tetto, non realizzata. 

Le altre opere pubbliche realizzate da Bazzani a Messina 

sono il Carcere Giudiziario (1913) e il Palazzo delle Privative. 

Di entrambi gli edifici non possiedo i disegni sui progetti né 

le relazioni dell'architetto; presso l'Archivio del Genio Civile 

di Messina ho rintracciato la relazione sul Palazzo delle 

Privative stesa dall'ingegnere Capo del Genio Civile, G. Cantella 

nel 1929 32 , e i disegni dei prospetti, anch'essi firmati dal 

Cantella, che pertanto non verranno discussi in questa sede. 

31 Nel volume di G. FOTI, Storia ... , cit., a p. 388, fig. 150, è pubblicata 

un'immagine fotografica della facciata della chiesa subito dopo il terremoto 

del 1908. 

32 G. CANTELLA, Relazione dei lavori di costruzione dell'edificio per l'Ufficio 

Forestale e Metrico in Messina, Messina 1929, in Archivio del Genio Civile di 

Messina, val. 47.


Al contrario, esiste molto materiale documentario su altri 

edifici realizzati dal Bazzani a Messina, e precisamente sulle 

Chiese di Santa Caterina Valverde e di San Lorenzo 

(popolarmente denominata del Carmine). 

La commissione all'architetto del progetto delle due Chiese 

venne conferita dall'Arcivescovo Paino, promotore di una 

rinascita religiosa della città, anche grazie agli accordi e alle 

convenzioni stipulati con Mussolini. 

La costruzione degli edifici religiosi nella città dello Stretto 

rientra nella politica di Mussolini, che, per consolidare il 

proprio potere in una città tradizionalmente avversa al 

fascismo, si appoggiò alle forze clericali e moderate, sostenute 

dall'Arcivescovo. A questi, d'altro canto, interessava 

consolidare i rapporti con il Duce, in modo da ottenere le 

sovvenzioni necessarie per la ricostruzione delle Chiese e 

degli Istituti religiosi nella città terremotata, opera precedentemente 

trascurata dalle classi egemoni locali di tendenze 

laiche ed anticlericali 33 • 

Anche per quanto riguarda lo stile delle nuove Chiese sorte 

nella città ricostruita, così come era accaduto un decennio 

prima nel campo dell'edilizia civile, non si nota da parte della 

committenza un'apertura verso i nuovi linguaggi architettonici 

sperimentati nelle maggiori capitali europee. Anzi, l'Arcivescovo 

preferì uniformarsi, per la scelta degli architetti incaricati 

di progettare le nuove Chiese, ai governi locali che lo 

precedettero, caratterizzando gli edifici della città con quella 

"Architettura Ufficiale" di cui si erano fatti interpreti architetti 

e decoratori provenienti per lo più dalla scuola romana 34 • 

33 Sui rapporti tra Mussolini e L'Arcivescovo Paino, cfr. G. BARONE, Sull'uso 

capitalistico ... , cito p. 56. G. BARONE, Egemonie ... , cit., p. 362; A. CHECCa, 

Messina ... , cit., pp. 176-177. 

34 Per avere un quadro completo sui protagonisti della scena artistica 

messinese dei primi decenni del novecento, cfr. E. NATaLI, Le arti figurative

172 ELIANA PERGOLIZZI 

Pertanto, la commissione dei progetti delle chiese del 

Carmine e di Santa Caterina all'architetto che aveva realizzato 

uno degli Edifici Pubblici più rappresentativi della città, 

deriva probabilmente dall'esigenza di Monsignor Paino di 

rispettare quell'architettura sobria e decorosa, in scala non 

monumentale, dell'edilizia civile cittadina. 

La Chiesa di Santa Caterina Valverde, realizzata nel 1928 

dall'impresa Martello, si affaccia su via Garibaldi ad angolo 

con via del Vespro (fig.12). Occupa l'isolato 283 del Piano 

Regolatore ed un'area complessiva di mq. 1750. Di questi, 

mq. l 020 sono occupati dalla Chiesa:, mq. 30 dalla torre 

campanaria, mq. 500 dalla Sagrestia, mq. 200 dal cortile 

interno 35 . Plani metricamente ha una forma a croce latina, a 

tre navate. È sormontata da una cupola divisa in otto spicchi 

ergentesi su un tamburo ottagonale, sul quale prendono 

posto otto aperture vetrate di forma circolare. Il portale 

principale su via Garibaldi, « .. .incastonato frontalmente a 

guisa di esedra»36 e « ... preceduto da una gradinata esterna 

per dare risalto al sacro edificio ... »,37 è affiancato da paraste 

binate in stile composito impostate su alti dadi ed è sormontato 

da un'arcata contenente una lunetta vetrata. L'intera 

fronte è coronata da una « ... sobria trabeazione a timpano 

... »38, decorata con uno stemma. 

I fianchi e la parte posteriore riprendono il partito architettonico 

frontale, ma in modo più sobrio, mentre maggiore 

a Messina negli anni venti e trenta, in Messina negli anni venti e trenta, a cura 

di M. Lo CURZIO, S. FEDELE, Una città meridionale tra stagnazione e fermenti 

culturali, a cura di M. Lo CURZIO, S. FEDELE, R. BATTAGLIA, M. D'ANGELO, Messina 

1997, pp. 421-433. 

35 C. BAZZANI, Relazione sulla Chiesa di Santa Caterina Valverde in Messina, 

Roma 1926, Ufficio Tecnico Arcivescovile di Messina, fasc. 150, p. 6. 

36 Eadem, p. 3. 

37 Eadem, p. 4. 

38 Ibidem.


vivacità decorativa e stilistica si riscontra nel campanile, a 

pianta quadrata, con la cella campanaria racchiusa da quattro 

spigoli sporgenti, che vanno restringendosi in alto in forme 

lobate, riprendendo stilemi barocchi e rococò (fig. 13). 

E infatti lo stesso Bazzani, nella relazione al progetto, dichiara 

che per "le forme" da dare all'edificio si rifece « ... soprattutto 

a quelle che amò ed usò il grande architetto messinese 

settecentesco, lo juvarra, volendo quasi rendere un omaggio, 

per quanto modesto, al ricordo della sua grande arte, che 

benché spesso classicamente castigato, dà adito a liberi svolgimenti 

bene addicente si alle moderne esigenze e gusti»39. 

E, mentre per il Palazzo della Prefettura lo stile architettonico 

adoperato era cinquecentesco all'esterno, e barocchetto nelle 

sale interne, per le due chiese Bazzani riprende con altrettanta 

disinvoltura il linguaggio rococò dello juvarra, traducendolo 

in uno stile personale e moderno. 

E in effetti a Santa Caterina, vi sono alcuni riferimenti alle 

opere dello juvarra, che l'architetto romano aveva avuto modo 

di conoscere grazie ai numerosi incarichi che lo portarono 

in varie città della penisola, e tramite i disegni del messinese 

conservati nell'Accademia di San Luca a Roma, di cui anch'egli 

era membro. La trabeazione a timpano decorato al centro 

dallo stemma riprende quella della basilica di Superga, così 

come il campanile richiama, anche se in forme più semplificate, 

quello della suddetta basilica, dalla quale il Bazzani 

mutua persino le fiaccole poste ai lati della cella campanaria. 

Anche gli angeli suonatori di trombe posti a coronamento 

della lunetta del portale principale (fig. 14) riprendono un 

motivo ricorrente negli edifici religiosi del Sei-Settecento, e 

in particolare la facciata della Chiesa di Sant'Andrea a Chieri, 

progettata dallo juvarra. 

39 Eadem, p. 3.


Dai disegni rintracciati si desume che la ditta appaltatrice 

dei lavori abbia eseguito fedelmente il progetto del Bazzani, 

anche nei più minuti particolari decorativi. E, d'altro canto, 

non sono stati rintracciati altri disegni sulla Chiesa che 

rappresentino progetti non realizzati. L'unico progetto non 

attuato riguarda il campanile, che originariamente il Bazzani 

aveva ideato in ferro battuto, con forme sinuose caratterizzanti 

dello stile Liberty(fig.15); ma quest'idea, più originale rispetto 

a quella realizzata, venne accantonata dall'architetto, forse 

proprio per essere il più fedele possibile all'architettura 

juvarriana. 

Attraverso un esame stilistico sia dei disegni, sia dei 

particolari decorativi dell'edificio, si può notare che, malgrado 

Bazzani abbia voluto rifarsi allo stile dello Juvarra, vi sono 

delle caratteristiche che possono essere definite di stile 

"bazzaniano", in quanto tipiche della sua produzione. 

Molti particolari decorativi sono simili a quelli presenti in 

altri edifici, non solo religiosi, progettati dal Bazzani a 

Messina e in altre città della penisola. I capitelli in stile ioni co 

dalle cui volute si diparte un festone sono simili a quelli 

presenti nell'atrio del Ministero della Pubblica Istruzione a 

Roma; e ancora, lo stemma dal quale si dipartono cordoli, 

posto sia sul campanile che sui coronamenti delle facciate 

della Chiesa, è un elemento caratterizzante della produzione 

dell'architetto, presente in quasi tutte le sue opere e, a 

Messina, sulla fronte di Piazza Unità d'Italia della Prefettura 

e nella facciata della Chiesa di San Giovanni di Malta. 

L'altra opera pubblica progettata dal Bazzani a Messina è 

la Chiesa di San Lorenzo (fig.16), realizzata dalla ditta 

Interdonato nel 1924-1926 4°. Essa occupa l'isolato 214 ed 

40 FED. PROVo FASCISTA DI MESSINA, Le opere del fascismo per la ricostruzione di 

Messina, Anno 1- Anno X, Messina1932, p. 35.


un'area di mq. 2000; ha una dimensione di m. 70 sulla fronte 

principale e una profondità di m. 30. Ha una pianta a croce 

greca, con quattro cappelle di forma ellissoidale negli spigoli. 

Fra le opere del Bazzani, questa è, a mio avviso, la più 

originale, sia sotto il profilo architettonico, sia decorativo. 

Anche qui, come nella Chiesa di Santa Caterina, il portale 

principale, posto su una gradinata, è coronato da un'arcata 

contenente una lunetta vetrata, ed è affiancato da paraste in 

stile composito; e anche qui il coronamento è caratterizzato 

da un timpano, anche se spezzato al centro per accogliere la 

statua della Madonna del Carmelo a cui è dedicata la Chiesa 

(fig.17). Lo stesso motivo viene ripetuto negli altri prospetti; 

mentre gli spigoli ellissoidali e la cupola sono coperti da 

calotte emisferiche ornate da aperture circolari vetrate sormontate 

da un arco spezzato al centro. 

Anche l'interno, coperto con volte a botte e decorato da 

cartigli, festoni, stemmi, presenta una maggiore vivacità 

rispetto alle forme più classiche della Chiesa analizzata 

precedentemente. 

Per quanto concerne l'interno di questo edificio, è stato 

rintracciato un disegno riguardante un altare, che conferma 

che anche questi particolari decorativi siano stati progettati 

dal Bazzani. Il disegno dell'altare in questione (fig.18), non 

realizzato, presenta forme neobarocche, con putti reggicartiglio, 

festoni, conchiglie e un arco spezzato al centro. 

Evidentemente in questo progetto avrà influito la commissione 

all'architetto romano dell'Altare di San Gaetano nella 

Chiesa di Sant'Andrea della Valle a Roma (1907), sebbene in 

quest'ultimo la decorazione sia più abbondante (fig.19); per 

quanto riguarda la chiesa messinese, l'architetto avrà dovuto 

obbedire alle norme antisismiche, che vietavano, sia per 

l'esterno che per !'interno degli edifici, una decorazione 

abbondante, e, per il materiale da adoperare, imponevano 

stucchi per gli interni e cemento armato per gli esterni.


Anche per questa chiesa, riguardo allo stile architettonico, 

Bazzani fa riferimento « ... alle forme che predominarono 

nella vecchia Messina scomparsa, a quelle sobrie e pur 

fastose del Settecento, e con un fondamento classico di un 

ordine corinzio principale esterno e di un ordine nuovo 

principale interno ... »41. Nell'edificio notiamo alcuni dettagli 

sia stilistici che decorativi che denunziano lo stile 

inconfondibile dell'architetto romano: gli stemmi e i festoni, 

leitmotiv di tutta la sua produzione, e ancora gli archi 

spezzati al centro, le fiaccole, già segnalate nell'altra Chiesa, 

sono caratteristiche dell'architettura del Bazzani, che riesce 

a fondere nelle sue opere i vari stili architettonici trasferendoli 

in un linguaggio assolutamente personale. Pertanto, 

anche negli edifici destinati al culto, l'architetto attua il suo 

ideale di architettura tradizionale, recuperando le forme artistiche 

del passato e storicizzandole nel nuovo contesto urbano. 

Rispetto alla produzione del Bazzani, le due chiese messinesi 

si collocano nel secondo periodo di attività, in cui 

l'architetto abbandona la freschezza e vivacità delle prime 

opere per approdare a un eclettismo sobrio e severo, caratterizzato 

da forme semplificate e da una decorazione meno 

abbondante. Eppure, mentre nelle opere romane Bazzani 

adotta perfettamente questo linguaggio austero, nelle città di 

provincia l'architetto tende ad indulgere verso quelle forme 

e quelle decorazioni adoperate nella sua prima produzione, 

come è dimostrato dalle due chiese messinesi. 

Uno degli edifici religiosi realizzati dal Nostro paragonabile 

alla Chiesa di Santa Caterina, è la Chiesa di Santa Maria degli 

Angeli ad Assisi (fig.20), quasi contemporanea alle due chiese 

41 La Relazione sull'edificio compilata dal Bazzani nel1924 oggi non è più 

reperibile negli Archivi dell'UTA. Pertanto ho citato la relazione dai seguenti 

volumi: G. FOTI, Storia ... , cit., p. 287; C. NICOTRA, Il Carmelo messinese, Messina 

1973, pp.81-82.


messinesi. E infatti, possono essere notati alcuni raffronti 

stilistici tra la chiesa assisiate e quella messinese, soprattutto 

nella citazione del campanile, il cui coronamento è molto 

simile a quello del campanile di Santa Caterina. Ma, anche 

nell'ambito degli edifici religiosi, si può notare la differenza 

non tanto di stile, quanto di scala delle opere messinesi, già 

evidenziata da altri studiosi nell'ambito delle realizzazioni 

civili 42 • 

Infatti, negli edifici messinesi, Bazzani non rinuncia al suo 

stile monumentale e tradizionale, ma, pur ottemperando alle 

norme antisismiche, si limita a rimpicciolire l'edificio; ottenendo 

comunque un buon risultato, in quanto gli edifici da 

lui realizzati a Messina possiedono una freschezza e una 

vivacità ben diverse dal linguaggio forse un po' carico e 

appesantito delle altre opere realizzate in altre città della 

penisola. Pertanto, grazie a un pastiche stilisti.co ben dosato 

e alla posizione urbanistica, che pone l'una come quinta 

scenografica di una delle maggiori arterie cittadine, la Via 

Cavour, e l'altra alla fine del Corso Garibaldi, le due chiese 

possiedono una precisa connotazione stilistica che le fa assurgere 

al rango di opere di grande valore storico ed artistico. 

Merita, infine, un accenno la progettazione degli edifici 

privati. Infatti, presso l'Archivio di Terni si conserva un 

disegno firmato dal Bazzani riguardante il prospetto a sud 

di due delle quattro palazzine private poste ad angolo tra 

via Garibaldi e via Fata Morgana (fig. 21). Con la descrizione 

di queste palazzine si avvia il discorso sulla ricostruzione 

privata messinese, non dissimile a quella pubblica riguardo 

alla scelta degli architetti 43 . 

42 A. RESTUCCI, Note ...• cit .• p. 73. 

43 Sulla edilizia privata messinese dal 1908 al1930 cfr. F. CHILLEMI. La città 

del Novecento ...• cit.. pp. 123-139.


Infatti, a differenza delle altre città della Sicilia, come 

Palermo, Trapani, Catania, Messina non presenta, ad eccezione 

di alcuni edifici in viale della Libertà e in via Consolare 

Pompea, palazzi privati in stile Liberty. Questo stile, infatti, 

non figura nella città dello Stretto; mancavano le condizioni 

economiche e sociali che avevano favorito in altre città, come 

la Palermo dei Florio, lo sviluppo di un'architettura modernista, 

grazie all'opera svolta da architetti come Ernesto Basile, 

autore a Messina della Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele 

II (1928-1932), delle palazzine di Piazza del Popolo e della 

Villa Florio in via Consolare Pompea 44 . 

Alcuni villini privati, soprattutto per la freschezza di 

alcuni particolari, sono degni di essere menzionati nella 

produzione liberty dei primi anni del Novecento, ma la 

maggioranza delle palazzine costruite nelle maggiori arterie 

cittadine rispondono allo stile dei secoli passati: o tardo 

gotico, come si nota nella Palazzina Loteta progettata da Gino 

Coppedè, o con desunzioni dal manierismo o dal barocchetto, 

come è il caso del Palazzo Cerruti insistente su via Garibaldi, 

attribuito al Coppedè 45 , o infine classicheggianti, come è 

esemplato dalle palazzine progettate da Bazzani. 

Queste costruzioni, che occupano l'isolato 464 del Piano 

Borzì, a mio avviso vennero progettate dal Bazzani negli anni 

compresi tra il 1924 e il 1928, in cui l'architetto attendeva alla 

44 A. INDELICATO, L'architettura liberty a Messina, ovvero breve storia di 

un'occasione perduta, in AA. VV., Il Liberty a Messina, Villa San Giovanni, 

1985, p.66; sull'opera del Basile la bibliografia è piuttosto ampia. Cfr. P. 

PORTOGHESI, G. PIRRONE, F. BORSI, Ernesto Basile architetto, Edizioni della 

Biennale di Venezia, Venezia 1980, con bibliografia precedente. 

45 Sull'architetto Gino Coppedè, cfr. R. BOSSAGLlA, M. COZZI, I Coppedè, 

Genova 1982, con bibliografia precedente. Sull'attività messinese di Gino 

Coppedè, cfr. A. PRINCIPATO, Le architetture messinesi di Gino Coppedè, in 

"Peloro '92- Tema 48", Messina 1992, pp.47-70; F. CHILLEMI, La città del 

Novecento ... , cit., p. 129.


costruzione delle due chiese messinesi; esse riprendono le 

dodici palazzine realizzate nel 1923-24 dall'architetto nel 

quartiere fra via De Rossi e Via Nibbj a Roma (fig.22), sia per 

la conformazione esterna che per la decorazione sobria della 

facciata, caratterizzata da pochi particolari decorativi, come 

festoni, stemmi dai quali si dipartono cordoli, conchiglie, 

finestre sormontate da timpani spezzati, caratterizzanti il 

repertorio di Bazzani. Una decorazione semplice e sobria, 

pertanto, informa tali edifici, a differenza delle soluzioni 

formali più sontuose adottate dall'architetto nelle ville e 

palazzine residenziali, commissionate da famiglie nobili o 

altoborghesi, non presenti a Messina. 

Ma le palazzine di Bazzani su Corso Garibaldi hanno il 

merito di rappresentare uno dei primi esempi moderni di 

edilizia "funzionale", che diedero esempio alla futura residenza 

privata della città dello Stretto. 

c/o Istituto di Storia dell'Arte, Facoltà di Lettere, Univo di Messina.

180 

'-- ........ 


Fig. l - Messina, Prefettura prospetto su Piazza Unità d'Italia. Foto d'epoca 

(Soprintendenza ai BB.CC.A.A., Sezione Beni Architettonici di Messina). 

Fig. 2 - Messina, Prefettura. Prospetto su Piazza Unità d'Italia. Progetto non 

realizzato (Archivio di Stato di Terni).


Fig. 3 _ Messina, Prefettura. Prospetto su Piazza Unità d'Italia. Progetto non 

realizzato (Archivio di Stato di Terni). 

Fig. 4 _ Messina, Prefettura. Prospetto su Piazza Unità d'Italia. Progetto 

realizzato (Archivio di Stato di Terni).


Fig. 5 - Messina. Prefettura. Atrio. Foto d'epoca. (Archivio fotografico dell'Archivio 

Storico del Comune di Messina). 

Fig. 6 - Messina. Chiesa di San Giovanni 

di Malta dopo il terremoto 

del 1908. Prospetti su via Placida e 

su via San Giovanni di Malta (Archivio 

fotografico del Museo Regionale 

di Messina).


Fig. 7 - Messina. Chiesa di San Giovanni di Malta. Progetto non realizzato 

(Archivio di Stato di Terni). 

Fig. 8 - Messina. Chiesa di 

San Giovanni di Malta. Particolare 

della facciata. Progetto 

non realizzato (Archivio 

di Stato di Terni).


Fig. 9 - J. Houel, Piazza di San Giovanni, 1782-1787, particolare della Chiesa 

di San Giovanni di Malta, Messina, collezione privata. 

Fig. 10- Messina. Chiesa di San Giovanni di Malta. Facciata. Progetto realizzato 

(Archvio di Stato di Terni).


Fig. Il - Messina. Chiesa di San Giovanni di Malta. Particolare della cancellata 

posta fra la Chiesa e la Prefettura; disegno datato 1925 (Archivio di Stato 

di Terni). 

Fig. 12 - Messina. Chiesa di Santa Caterina Valverde. Disegno della facciata 

realizzata (Ufficio Tecnico Arcivescovile di Messina, fase. 150).


Fig. 14 - Messina. Chiesa di Santa 

Caterina Valverde. Particolare 

della facciata (Archivio di Stato 

di Terni). 

Fig. 13 - Messina. Chiesa di Santa Caterina 

Valverde. Particolare del Campanile 

(Archivio di Stato di Terni).


Fig. 15 - Messina. Chiesa di Santa Caterina Valverde. Progetto non realizzato 

del campanile (Archivio di Stato di Terni). 

Fig. 16 - Messina. Chiesa di San Lorenzo. Disegno della facciata (Archivio di 

Stato di Terni).

188 

Fig. 18 - Messina. Chiesa 

di San Lorenzo. Particolare 

di un altare non realizzato. 

Datato 1925. (Archivio 

di Stato di Terni). 


Fig. 17 - Messina. Chiesa di San Lorenzo. 

Particolare della facciata (Archivio 

di Stato di Terni).


Fig. 19 - Roma. Chiesa di Sant'Andrea 

della Valle. Disegno dell'altare 

di San Gaetano, 1907 (da 

Cesare Bazzani. Un Accademico 

d'Italia, a cura di M. GIORGINI, W. 

TOCCHI, Perugia 1989). 

Fig. 20 - Assisi. Chiesa di Santa Maria degli Angeli (1928).


---,---- 

Fig. 21 - Messina. Prospetto meridionale di due palazzine poste ad angolo 

fra Piazza juvarra e via Fata Morgana (Archivio di Stato di Terni). 

Fig. 22 - Roma. Prospetto principale di una delle palazzine fra via De Rossi 

e via Nibbj; 1923-1924.

INDICE 

VIRGINIA BUDA 

ROSARIO SPINA UN ARTISTA SICILIANO TRA "MACCHIA" E LIBERTY 

CIRO D'ARPA 

NUOVI DOCUMENTI SU GIOACOMO SERPOTTA: 

LA CHIESA DI SANTO SPIRITO AD AGRIGENTO 


SU ALCUNI INTAGLIATORI IN LEGNO A MESSINA NEL SECOLO XVIII 


PERMANENZA DI CARATTERI MEDIEVALI NELLE CHIESE 

DI ETÀ CONTRORIFORMISTA NELL'AREA DI MESSINA 


DOCUMENTI PER LA BOTTEGA DEI LI VOLSI DI TUSA 


DISEGNI INEDITI DI EDIFICI REALIZZATI DA CESARE BAZZANI A MESSINA 


UNA MEDAGLIA CON L'EFFIGIE DI MONTORSOLI IN UNA COLLEZIONE 

PRIVATA MESSINESE 

VALERIA SOLA 


pag.121 

79 

" 113 

5 

" 41 

" 157 

" 31 

" 49

archivio storico messinese 72 - Società Messinese di Storia Patria

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