Abbracciavo ogni giorno le curve architettoniche dello Stadio Flaminio, quando con il motorino mi avvicinavo rapido dal viadotto rettilineo. Quella era la mia prima visione dell’opera di Pierluigi Nervi, sintesi tra una struttura fatalmente architettonica e un’intuizione costruttiva dello spazio statico: costruire forme in cui costruire il gioco. Ora invece resta un’unico spettacolo di desolante abbandono e romantica solitudine, manifesto di un’esigenza di ripensamento dell’esistente e di
nuova gestione del nuovo – ­vedi Tor di Valle. Così l’attualità del tema e l’impegno “sportivo” dell’ingegnere-architetto Nervi, pre e post intervento romano, è testimoniato dalla mostra di progetti di stadi attraverso elaborazioni grafiche originali, fotografie e modelli costruttivi. Architetture smisurate come le urla dei tifosi da contenere, ferrocemento solido come la difesa strenua di una squadra, disegno dello spazio come fosse l’assist del fantasista. Dal primo a Firenze all’ultimo in Kuwait, passando per Rio de Janeiro e Taormina. In tutto 10, numero di talento e genialità.