LETTERE: PIÙ CHE AMORE, VITA

Chi avrebbe immaginato che il poeta dallo sguardo accigliato, dai versi incendiari e dalla volontà di ferro, Vladimir Majakovskij, abbia dedicato ad una donna lettere piene di follia e d’amore, di passione e di verità, di sincero abbandono e docilità?

Per quindici anni, dal 1915, Majakovskij fu sentimentalmente legato a Lili Brik, benché questa fosse sposata. Vivendo in tre nello stesso appartamento, questa triangolazione fu molto più che un rapporto scandaloso: fu un intreccio di vita e di arte tanto struggente quanto pura.

L’intensità amorosa non prevaricò né sminuì la portata artistica incarnata dall’opera di Majakovskij e della stessa Brik. Osip, il marito di quest’ultima, divenne infatti critico ed editore del poeta, oltre che uno dei più vivaci animatori della vita intellettuale e letteraria russa durante i tempi dell’avanguardia futurista.

Nelle lettere contenute ne L’amore è il cuore di tutte le cose (Beat ed.) esplode tutta la vitalità spirituale, creativa, intellettuale di due anime votate alla bellezza, alla sincerità, alla ricerca di una forma alternativa di esistenza a cui la coscienza ha fatto da propulsore affinché il vecchio e il marcio fossero sepolti una volta per sempre.

Leggiamo cosa scrive Majakovskij: “L’amore è la vita, è la cosa principale. Dall’amore si dispiegano i versi e le azioni e tutto il resto. L’amore è il cuore di tutte le cose. Se il cuore interrompe il suo lavoro, anche tutto il resto si atrofizza, diventa superfluo, inutile. Ma se funziona, non può non manifestarsi in ogni cosa. Senza di te (non senza di te ‘nella lontananza’, interiormente senza di te) io cesso di agire”.

La corrispondenza raccolta in questa pubblicazione è fittissima e conta lettere, biglietti, cartoline e telegrammi che i due si scambiarono tra il 1915 e il 1930, alternando tenerezza e giocosità, nostalgia e tormento, eccitazione e sospetti tra crisi, amarezze, separazioni e gelosie.

Appare evidente che fu Majakovskij ad essere il più emotivamente coinvolto in un rapporto che attraversò numerosi momenti di sofferenza assoluta, soprattutto quando altri amanti, da entrambe le parti, intervennero a rendere ancora più complicata la faccenda.

Ma il Cucciolo, come Lili Brik chiamava Vladimir Majakovskij, non si arrese alle sue stesse crisi depressive causate dal terrore di essere abbandonato: continuò a scrivere, a implorarla di non lasciarlo, a dedicarle parole di una potenza unica, a vivere con profondità e dolore una storia che nessuno avrebbe mai più dimenticato.

Il lettore è subito afferrato da un vortice di attrazione, desiderio, dolcezza, attaccamento e calore; difficilmente si potrà leggere un carteggio simile, in cui la vita e l’arte si riconoscono nello stesso slancio verso l’eternità.

Leggiamo quello che scrive Lili: “Mio caro cucciolino! Non piangere per me! Ti amo terribilmente tanto e per sempre! Verrò immancabilmente! Sarei già venuta adesso se non avessi vergogna. Aspettami! Non tradirmi!”.

E ora quello che scrive Vladimir: “Se hai preso questa tua decisione con fatica, lottando con te stessa, se vuoi tentare un’ultima volta, allora perdona, rispondimi. Ma anche se non risponderai, sarai tu il mio unico pensiero. Così come ti amavo sette anni fa, ti amo anche in questo momento. Qualsiasi cosa tu voglia, qualsiasi cosa tu ordini, io lo farò sull’istante, lo farò con entusiasmo. Com’è terribile separarsi quando si sa che si ama e che si è consapevoli della separazione”.

Lo stile è informale, non c’è alcuna intenzione di lasciare ai posteri una testimonianza pensata solo per dare dimostrazione di un particolare genere letterario. Questo fa sì che ciò che leggiamo in queste lettere o cartoline è frutto di impeto e di spontaneità, di vivacità ed energia inarrestabile: ci consegnano prospettive che altrimenti sarebbero rimaste al buio. 

È anche possibile, leggendo queste pagine, entrare nel vivo di un’epoca storica in cui si propagarono gli incendi di una rivoluzione politica, culturale e sociale che modificò le vicende di una parte del mondo e non solo. Emergono i rapporti tra gli intellettuali, tra i critici, le posizioni del governo, le linee guida dell’editoria, i mutamenti collettivi previsti e quelli auspicati, il modo in cui era concepito il mondo al di là dei confini russi e quali potevano essere i punti di contatto con le letterature straniere.

La vita vale quanto la morte, a cui il 14 aprile 1930 Majakovskij decise di consegnarsi, quando l’unica prospettiva possibile è dar fuoco all’aria, al sangue, al respiro, alle mani, alle parole, ai passi, al cibo, all’amore e ai versi per illuminare la strada che scende verso gli inferi, qualunque sofferenza si dovrà affrontare e qualunque rivelazione si manifesterà alla fine. 

Se le parole lasciano una traccia che chi verrà dopo avrà cura di interpretare, è compito del tempo che passa far maturare dentro quelle stesse parole le ragioni, le immagini, le sensazioni, le paure, le incertezze, le vertigini di esistenze che hanno avuto compimento anche attraverso le parole.

Vladimir Majakovskij e Lili Brik, scrivendo con l’onestà di chi vive la vita con il privilegio di averne sempre consapevolezza, ci hanno consegnato una traccia indelebile che ha il valore di una preziosa testimonianza emotiva, culturale e storica.

Luciana De Palma

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