L’estate romana a Capocotta: drink, alici fritte e trasgressione nella spiaggia al Buco

di Fabrizio Roncone

Al tramonto sul litorale, nella Riserva naturale statale, ci si diverte tra il mito di Zagaja, il primo «chioscaro» che Sergio Leone ingaggiò in un film, ex pugili e autori tv

desc img

Un gruppo di aficionados a Capocotta (foto di Claudio Guaitoli)

Al tramonto, a mezz’ora da Roma, struggente macchia mediterranea e Orietta Berti a palla, labbra rosse e Coca-Cola, però soprattutto gin tonic, Negroni e Campari spritz con una goccia di Cynar per salutare il sole che affoga in un mare azzurro e piatto, dentro un’atmosfera di martellante sensualità: niente a che vedere con Formentera, aperitivi in liturgia studiata e tatuaggi alla moda, perché invece qui la scorribanda pop è autentica, il godereccio diventa pecoreccio, due chilometri di spiaggia senza pregiudizi, l’assordante rumore della libertà, il nudismo praticato quando gli svedesi ancora viaggiavano sulle slitte, il profumo dolciastro degli oli abbronzanti e quello conturbante delle alici fritte, trasgressione servita su vassoi anni Settanta, occhiate rapaci, un dolcissimo vento caldo. Capocotta. Fate ancora in tempo. Le previsioni danno cielo sereno.

Il dono di Saragat

Arrivati alla rotonda di Ostia, prendete a sinistra, superate la batteria degli stabilimenti e infilatevi nella tenuta presidenziale di Castelporziano, in quel pezzo di riserva naturale che, nel 1965, l’allora capo dello Stato Giuseppe Saragat decise di donare ai romani. Solerti funzionari comunali aprirono cinque «cancelli» e, in fondo all’ultimo, alzarono una stupidissima rete: strapparla, ed entrare, e farlo diventare il «Buco», fu inevitabile e giusto. Così stupende hostess della Pan Am, in scalo a Fiumicino, iniziarono a venirci per prendere il sole nude. Cominciò il pellegrinaggio dei gay romani ancora clandestini. Il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, «Camillino» per gli amici, arrivava tenendo per mano sua moglie, Anna Fallarino, perché le dune erano una scenografia perfetta: giochi erotici, scambio di coppie, vedo e non vedo, ma è meglio se vedo.

«Zagaja» e il primo chiosco

Un muratore, un certo Gaspare Vichi fiutò l’affare, tirò su un capanno, portò birra e panini farciti con il tonno: e poiché era balbuziente, la sua baracca divenne subito famosa con il nome di «Zagaja» (che, in romanesco, significa appunto uno che balbetta). Santuario segreto, al culto del vietato partecipava chiunque fosse di passaggio a Roma: Jane Fonda e Robert Mitchum, le gemelle Kessler e Roger Vadim, Gianni Agnelli e Claudia Cardinale. Più una fauna di giornalisti, scrittori e sceneggiatori, di teatranti che recitavano sulla sabbia e poi di visionari poeti d’avanguardia, che nel 1979 si ritrovarono per una memorabile tre giorni di reading. Quando, un pomeriggio, Sergio Leone alla cassa si trovò davanti lo sguardo truce di Zagaja, cioè del Vichi, disse: «Mai vista una faccia da bandito come la tua», e perciò lo volle nel film «Per un pugno di dollari», affidandogli il ruolo di Esteban, uno dei pistoleri del clan Rojo, quelli che Clint Eastwood stende nella strepitosa scena finale. Più di mezzo secolo dopo il luogo resiste con le sue leggende (anche lugubri: come il ritrovamento all’alba dell’11 aprile 1953 del corpo di Wilma Montesi, femminicidio d’epoca con notabili democristiani scossi e travolti) e mantiene abbastanza intatto il suo fascino fortemente indiscreto e indiscutibile: «Dar Zagaja» nel frattempo è diventato pure ristorante e non c’è più Filippo, il pitone di sette metri che viveva in tenda con il bagnino; si sono aggiunti altri due impianti come «Settimo Cielo Beach» e «Mediterranea», più vialetti curati e cartelli di Legambiente con le specie degli uccelli protetti, pedane comode e persino troppo, infatti ogni tanto arriva un vigile e scattano chiusure e sequestri.

Frequentatori di tutti i tipi

Ma poi puntualmente si riapre, quest’anno va che è una meraviglia, sia pure tra mascherine e disinfettanti ecco il solito colpo d’occhio su un’umanità stupefacente: l’aristocrazia dei coatti romani insieme a famosi notai con l’amante, ex pugili con fidanzate in bilico su zatteroni da circo e architetti alternativi, autori tivù con petti depilati e commesse disoccupate, magnifici trans che ordinano spaghetti alle vongole per cena e poi si avviano verso la riva, perché laggiù la sfera rossa è già in discesa lenta sul filo dell’orizzonte. Tutti in posa, sfrontati ed esibizionisti, mentre finiscono inquadrati dal fotoreporter Claudio Guaitoli. «Ciao Sole!». «Daje!». «A Chicca, damme un bacio!». «Franchì, alza er volume! Facce ballà!». Ed è così che il sole sparisce anche oggi pomeriggio, davanti ad abbracci rumorosi e a questa allegria a basso costo, però sincera e credibile, per un giorno ospiti di un mondo reale e non banale, di corpi inquieti e felici, tra lacrime d’amore e dolcezze inaudite. Capocotta. Via Litoranea, km 7/600. Poi vediamo se è più divertente Forte dei Marmi, o Rimini, o quel posto fichissimo dove tutti siete sempre stati, senza sapere cosa vi stavate perdendo qui.

22 agosto 2021 (modifica il 22 agosto 2021 | 22:07)