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L'isola che non c'è l'abbiamo creata con la plastica

L'isola che non c'è l'abbiamo creata con la plastica
Le fotografie spesso viste di immondi conglomerati di plastica galleggiante ci fanno immaginare qualcosa di compatto. In realtà è una "zuppa" inquinata che dobbiamo ancora capire come eliminare
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Gli oceani sono il grande regolatore del clima, straordinari fornitori di proteine per la nostra alimentazione, con la fotosintesi del plancton e delle alghe contribuiscono per circa il 50% alla produzione di ossigeno consentendo al Pianeta di respirare. Tra terra e mare c’è una interdipendenza inscindibile e la salute dell’uno è fondamentale per la vita dell’altra. Ma se la Terra soffre, neanche gli Oceani stanno troppo bene. La loro malattia principale si chiama inquinamento e il patogeno più influente è la plastica, che conta per il 73% dei rifiuti finiti negli oceani ed è responsabile del 98% dei danni. Eleonora Polo nel suo libro L’Isola che non c’è. La plastica negli oceani tra mito e realtà ci prende per mano e ci spiega come e perché ci stiamo facendo del male e quanto sia difficile riparare il male fatto. Il cuore del racconto sono le isole di plastica, che sono assai diverse da come le immaginiamo.


Le fotografie spesso viste di immondi conglomerati di plastica galleggiante ci fanno immaginare qualcosa di compatto e galleggiante, tanto che a volte mi sono chiesto come mai non si provi a raccogliere quei rifiuti per poi distruggerli o riciclarli. In realtà le isole non sono isole, non c’è niente di compatto, sono immense aree degli oceani dove i primi quaranta metri di acqua sono una brodaglia opaca piena di pezzi, pezzetti e pezzettini di plastiche varie. Ce ne sono cinque per così dire certificate, due nel Pacifico, due nell’Atlantico, una nell’Oceano Indiano più una in formazione nel Mare Artico. In totale circa 25 milioni di chilometri quadrati, una estensione pari a dieci volte il Mediterraneo.

Il problema più grave è che questo brodo plasticoso blocca la fotosintesi, determina un aumento dell’anidride carbonica nelle acque che quindi diventano più acide uccidendo flora e fauna. Le isole, continuiamo a chiamarle così, raccolgono solo una piccola parte della plastica che lasciamo finire in mare, il resto si deposita sui fondali come un tappeto asfissiante, o si trita in microplastiche che finiscono dovunque. Eleonora Polo presenta tutti i progetti e i prodotti per ridurre l’inquinamento da plastica delle acque e la conclusione è che un sistema efficace per ripulire gli Oceani non è stato ancora trovato, e la plastica, come si sa, è dura a morire. Secondo Charles Moore, uno dei protagonisti della lotta contro l’inquinamento dei mari, una volta trovata la tecnologia giusta, ci vorrebbero mille navi impegnate 24 ore su 24 per 79 anni per ramazzare tutta quella spazzatura.

Intanto, in attesa di trovare la strada, la cosa che possiamo fare è non buttarne più, né in acqua né sulla terra.

 

L’isola che non c'è
di Eleonora Polo (Dedalo)
(Pagine 184, euro 17,50)


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