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Londra, la strada degli italiani

Londra, la strada
degli italiani

Nella skyline di Londra, il grattacielo di Renzo Piano. In una strada non qualunque, le storie di alcuni nostri connazionali. Abbiamo bussato alla loro porta e ascoltato le loro storie.

Reportage di ENRICO FRANCESCHINI  -  Fotografie di MICHELE ARDU  -  Progetto grafico di PIERO USAI

Londra - Una volta si poteva definire come una delle tante “Little Italy”.  Ora non più.  Secondo cifre del consolato, quest’anno Londra ha superato Buenos Aires, diventando la città straniera con più immigrati italiani al mondo: sono almeno 250 mila i nostri connazionali ufficialmente residenti nella capitale britannica.
E lo stesso consolato calcola che, per ogni italiano ufficialmente residente in città, ce ne sia almeno un altro che vive e lavora a Londra pur senza avere ancora trasferito qui la sua residenza. Dunque gli italiani di Londra sono probabilmente il doppio delle cifre ufficiali: circa mezzo milione di persone, una comunità così numerosa che costituirebbe la quinta maggiore città in Italia, dopo Roma, Milano, Torino e Napoli.

Una “Little Italy” niente affatto piccola. Non a caso, dovunque si vada in questa sterminata metropoli di oltre 8 milioni di abitanti, oggi si incontrano italiani: ce ne sono in tutti i quartieri, in tutte le professioni, in tutti i mestieri, come conferma fra l’altro la grande quantità di siti, blog e iniziative nei social network originati da italiani di Londra. E come sottolinea il fatto che il grattacielo più alto della città (e più alto d’Europa), lo Shard, sia disegnato da Renzo Piano: perfino il nuovo “Big Ben”, una scheggia di vetro protesa verso il cielo, è firmato da un italiano.

Per dare un’idea di quanto sia diffusa la presenza italiana lungo le rive del Tamigi, “Repubblica” ha scelto una strada londinese, anzi poche centinaia di metri lungo una strada, e ha chiesto a dieci degli italiani che vi lavorano di raccontare la propria esperienza. Sono soltanto un minuscolo campione, ma la loro testimonianza illustra un fenomeno che aumenta a dismisura di anno in anno. E aiuta a capire il paese che i nostri espatriati si sono lasciati alle spalle. Ecco le storie di Fulham road e dintorni: una “italian street” di Londra.

Il proprietario Filippo di Leonardo
7 Redcliffe Gardens

Elite Retreat

Filippo di Lenardo

“Ho 26 anni, sono originario di Treviso, vivo a Londra da quattro anni, ma ho girato molto il mondo: ho fatto le scuole superiori a Monaco di Baviera, l’università in Svizzera, poi esperienze in America e in giro per l’Europa. In Svizzera ho studiato hotel management e l’ospitalità è stata la mia passione fin da quando ero piccolo: quando avevo 5 anni ero in vacanza con i miei a New York, noi stavamo in un albergo a 4 stelle e mio padre si meravigliava che io volevo entrare nei grandi alberghi vicino alla Fifth Avenue, andavo dal portiere e gli chiedevo una brochure dell’hotel, lasciandolo piuttosto sorpreso.

L’idea per la mia attività è nata da questa passione e dal caso: arrivato a Londra mi sono iscritto a una palestra, dove ho conosciuto una persona che aveva un’agenzia di viaggi per corporation, in pratica organizzava viaggi e vacanze per grandi aziende.


Dopo un po’ mi sono guardato intorno e ho pensato di avviare un’agenzia simile per conto mio, per fare conoscere a clienti di massimo livello le eccellenze artigianali italiane in particolare nel campo eno-gastronomico. Lavoro da casa, incontro clienti nei club privati della città, come del resto fanno molti nel mio campo e in settori simili: l’ufficio non serve, bastano un computer e le conoscenze giuste. Cosa faccio in concreto? Organizzo viaggi in Italia ed eventi a Londra. Per esempio organizzo una cena a base di vini italiani per otto uomini d’affari indiani in visita a Londra, per conto di un’azienda che vuole intrattenerli nel tempo libero che trascorrono nella capitale.

Oppure organizzo una festa in una villa veneta con fuochi d’artificio e assaggi di vino per clienti che la raggiungono in elicottero da Venezia. Adesso sto programmando una gita in motoscafo sul lago di Como per alcune persone che hanno prenotato i biglietti per la finale di Champions League a Milano. Lavoro per i ricchi? Sì, ma il mio vero cliente, quello a cui più tengo, è l’Italia. Il mio scopo è fare innamorare dell’Italia le persone più facoltose del pianeta.

E perché? Perché nessun altro paese al mondo è in grado di offrire una qualità, una raffinatezza e un’originalità come il nostro. Siamo l’unico paese al mondo in cui, dal momento in cui ti svegli a quello in cui spegni la luce la sera, puoi utilizzare soltanto prodotti nazionali e tutti di una qualità senza rivali. Non dico che Inghilterra e Francia non possano offrire prodotti di alta qualità, per esempio nel campo dell’abbigliamento, dell’eleganza classica. Ma l’Italia è imbattibile in tutti i campi. E secondo me in questo non è ancora abbastanza conosciuta. Non è ammissibile che Roma abbia meno turisti che Parigi, e se questo vale in generale, vale ancora di più per il turismo d’alto bordo, per quello che ha più soldi da spendere. Mi pare giusto farglieli spendere nel nostro paese – o per prodotti del nostro paese.

Così ad esempio ho organizzato recentemente a Londra una serata per venti clienti, tutte donne, tutte al top delle loro professioni, in cui spumanti italiani venivano abbinati a gioielli di design italiano, a fragranze italiane e a tessuti italiani, per stimolare i sensi, per spingere al massimo la carica emozionale, insomma per far conoscere il life style italiano al suo meglio. Ville private, boutique hotel, aziende agricole, artigianato, macchine d’epoca, tutte cose di cui mi occupo e che voglio reclamizzare. Come mi faccio conoscere? Con il passaparola.

Con il web. E partecipando a fiere come quella di Marrakech sui viaggi di lusso, un appuntamento a cui si va solo su invito. Adesso con la mia ragazza svizzero-cipriota stiamo lanciando una nuova iniziativa, si chiama The Door, La Porta, è un club per una comunità di giovani tra i 25 e i 35 anni impegnati nel settore del lusso e dei servizi di alto livello, li facciamo incontrare una volta al mese per conoscersi e aiutarsi a vicenda. Un consiglio su dove andare a mangiare in Italia? Io sono appena stato in un posto fantastico, si chiama El Brite De Larieto, è un agriturismo vicino a Cortina, in un luogo meraviglioso, che fa una cucina ampezzana semplice, rustica, straordinaria. Italy at the best. Se uno la conosce, poi non cerca più nient’altro”.

La psicoterapeuta Paola Pomponi
24 Elm Park Lane

Psicoterapeuta esistenziale

Paola Pomponi

“Ho 60 anni, vengo da Roma, sono a Londra da quando ero ventenne. Insomma sto qui da una vita e la mia vita londinese è stata piuttosto intensa. Due vite in quarant’anni, diciamo così. Tre mariti, due lavori, un figlio, se dovessi fare un bilancio in cifre. Ma il bello di Londra è questo: che puoi sempre ricominciare. La gente non pensa che se cambi qualcosa sia necessariamente un fallimento: al contrario, può essere un arricchimento, di esperienza, di conoscenza, di culture diverse, si cambia vita come si cambia casa, spesso e volentieri.

In Italia mi ero iscritta a legge, ho conosciuto un inglese, mi sono innamorata e sono arrivata qui. Ci siamo sposati e ho aperto un’agenzia di viaggi: sembrava il business giusto, l’Italia piaceva agli inglesi e l’Inghilterra agli italiani, lavoravo nelle due direzioni. Ha funzionato per 25 anni, infatti, poi sono arrivati la Ryan Air e Booking.com e le agenzie di viaggi non sono state più così necessarie come prima. Ho chiuso l’agenzia. Mi sono iscritta all’università. Ho preso una laurea in psicoterapia e ho cominciato una nuova carriera. Cos’è la psicoterapia esistenziale? E’ una terapia con base filosofica, centrata sul dialogo con il paziente, ci guardiamo in faccia, il paziente seduto su un divano, io seduta in poltrona di fronte, si tratta di osservare se stessi, capire cosa c’è che non va, cosa va cambiato. Ogni seduta dura 50 minuti, ricevo qui a casa mia, metà dei pazienti sono italiani, gli altri stranieri.

Molti degli italiani sono giovani, sulla trentina, venuti a Londra magari all’avventura, anche con grande coraggio, ma non a tutti va bene tutto e subito, alcuni passano attraverso delusioni e sofferenze, altri provano una profonda solitudine, si scontrano con problemi di adattamento, senza la famiglia vicino, senza affetti o amicizie vere, con una scarsa o imperfetta conoscenza della lingua. Io adoro Londra, mi piacciono il clima, il cibo, il panorama, si può vivere una vita molto organizzata oppure vivere alla giornata, ognuno come gli pare. Il tempo libero è poco perché qui si corre sempre, e oltre al lavoro privato faccio un po’ di ore in ospedale per una associazione di beneficenza assistendo malati terminali. Ma vivi intensamente, vivi fino in fondo e come dicevo hai sempre un’altra scelta. E poi c’è mio figlio, che fa lo chef e lo fa molto bene, cucinare gli è sempre piaciuto, un po’ avrà preso dalla madre, so stare ai fornelli, non per niente sono un’italiana, anche se Londra è la mia nuova patria”.

L’architetto Alessandra Mantovani
75 Burnaby street

Architetti Mantovani

Alessandra Mantovani

“Ho 55 anni, le mie origini sono fra Ferrara e Verona, le città dei miei genitori, ma io sono cresciuta fra La Spezia e Genova, davanti al mare, e quella è stata la mia casa. Fino a quando, 16 anni fa, non mi sono trasferita a Londra per seguire mio marito, che fa lo shipbroker, ovvero l’intermediario fra i cantieri navali e gli armatori. Una società di brokeraggio marittimo gli aveva fatto una buona offerta, così siamo venuti qui. All’inizio a Londra un italiano può soffrire un po’ per il tempo, che non è quello del nostro paese, ma io ho subito apprezzato la libertà dal provincialismo genovese.


La sensazione che qui puoi vestire come vuoi, comportarti come vuoi e nessuno ti giudica, mentre da noi basta uno sguardo per capire che scuola hai fatto, in che quartiere vivi, che tipo di persona sei. Appena arrivata mi sono occupata di migliorare il mio inglese, poi ho conosciuto una persona che aveva bisogno di restaurare la casa ed ho ripreso l’attività di architetto che già avevo fatto per anni in Italia. Un lavoro tira un altro, ho aperto questo studio, ora siamo tre architetti, tutti italiani, e il lavoro non ci manca. C’è stato un momento di difficoltà dopo la crisi del 2008, la gente stava più attenta a quanto spendeva per una casa, ma abbiamo superato anche quello. Londra è una città fantastica, non ti puoi mai annoiare, ho amici per metà italiani e per metà del resto del mondo, apprezzo l’opportunità che ho avuto di costruire questa attività da sola, in Italia sarebbe stato molto più difficile.

E per un architetto qui è più semplice lavorare perché la burocrazia è più snella e più rapida, non ci vogliono settimane o mesi per ottenere un permesso. Morale: adoro la Liguria, ci torno volentieri, ma dopo tre giorni sono già pronta a ripartire. Il posto in cui sto meglio, adesso, è Londra”.

I proprietari Simone Carletti e Fabio Di Lecce
154 Fulham road

Bacchus Lounge

Simone Carletti

"Ho 34 anni, sono di Milano, vivo a Londra da dieci anni. Mi sono laureato in risorse umane in Italia e poi, per dirla in parole semplici, sono scappato a Londra in cerca di lavoro. A Milano mi offrivano di fare degli stage da 500 euro al mese per tre mesi che non portavano mai a un’occupazione stabile. Ho preferito venire a fare il cameriere laureato a Londra. Un giorno ho detto a Fabio, l’amico con cui convivevo: se vinco alla lotteria, apriamo un locale insieme. E così, un po’ sul serio, un po’ per ridere, abbiamo cominciato a buttare giù un business plan su come si poteva aprire davvero un ristorante.


E ci siamo resi conto che potevamo farlo anche senza vincere la lotteria. Bisognava indebitarsi, certo, ma almeno qui ti permettono di farlo: in Italia non è possibile o è difficile anche quello. Il risultato è questo wine bar dove abbiamo cominciato facendo aperitivi e aperi-cena, come si dice da noi, vino e tramezzini. Ma il cuoco, mio cugino, era così bravo che i clienti ci chiedevano sempre più di mangiare e non solo bere, così siamo diventati un piccolo ristorante. Cucina italiana tradizionale. Niente sperimentazioni. Basta con la nouvelle cuisine. Lasagne, parmigiana, fettuccine ai funghi: piatti così. E ha funzionato. Non abbiamo il congelatore.

Quando un prodotto finisce, diciamo che è terminato. La gente sembra apprezzarlo. I risultati ci hanno dato ragione. E poi io e Fabio lavoriamo. Lavoriamo duramente. Abbiamo otto persone che lavorano con noi, ma siamo i primi ad arrivare al mattino e gli ultimi ad andarcene. Spazziamo per terra. Laviamo i piatti, se non c’è tempo e modo di metterli in lavastoviglie”.


Fabio Di Lecce

“Ho 33 anni, sono romano, un ex-ragazzo di strada, un po’ scapestrato, che a scuola ha fatto poco e oggi se ne dispiace e cerco di colmare le lacune da solo. In Italia ho lavorato tre anni nei cantieri, mio padre fa il barbiere, qualcosa ho imparato da lui, a 19 anni ho cominciato a fare il parrucchiere, a 24 sono venuto a Londra e ho continuato a farlo qui. Prima nei saloni di parrucchiere piccoli e anonimi, poi siccome ero bravino in saloni sempre migliori, alla fine prendevo 180 sterline per ogni taglio di capelli. Uomini e donne.

Ancelotti, quando allenava il Chelsea, si faceva tagliare i capelli soltanto da me. Ma avevo un altro sogno e adesso insieme a Simone lo sto coronando. Il merito è un po’ nostro ma anche di questa città speciale, di questo posto che è Londra, che non volta le spalle a nessuno, non ti chiede da dove vieni, in cui hai la libertà di vestire, di amare, di comportarti come ti pare. E in cui la pressione fiscale per chi mette su un ristorantino, aggiungo e concludo, non è del 64 per cento come in Italia. Per cui speriamo di farcela e di continuare il nostro sogno. Anche senza aver vinto alla lotteria”.

Alfonso Cretella in cucina con i suoi cuochi
194 Fulham road

Ristorante Aglio e Olio

Alfonso Cretella

“Ho 69 anni, vengo da Conca de’ Marini, sulla costiera amalfitana. Ho cominciato a fare il cameriere dalle mie parti, negli alberghi della costiera, quando avevo 12 anni, per 3 mila lire al mese, e non ho più smesso, fino al 1968, quando sono venuto a farlo a Londra. Qui ho fatto di tutto, il lavapiatti, il cameriere, il cuoco, nei ristoranti italiani e in quelli cinesi, dove capitava. Ma erano anni buoni, la vita costava poco, non servivano tanti soldi per aprire un ristorante e così dopo un po’ uno l’ho aperto anch’io con qualche socio.


Di ristoranti alla fine ne avevo sei, tre li ho persi, se così si può dire, per un divorzio, mi sono rimasti questo, uno a Battersea e uno a Clapham. Questo è il migliore come posizione e come qualità, ma anche quello di Battersea, vicino al fiume e al parco, che serve solo pizza e pasta, guadagna benone, è sempre pieno di gente, specie nel weekend. ‘Aglio e Olio’ l’ho aperto nel ’96, facciamo una cucina semplice, spaghetti ai frutti di mare, tagliolini ai funghi, scaloppine, ma è tutta roba buona e fresca. Siccome non siamo lontani da Stamford Bridge, lo stadio del Chelsea, qui vengono spesso a mangiare i giocatori. E Ranieri e Ancelotti, quando lo allenavano loro, erano clienti fissi.

Con me lavora anche uno dei miei tre figli, due nati dalla prima moglie, una dalla seconda, ma la ristorazione non è la sua passione, gli piace fare il dj e in effetti è bravissimo, lavora in discoteche dove vanno 6-7 mila persone e nei migliori club, guadagna più che a stare qui con me, non posso dargli torto se un giorno vorrà vendere tutto. Tanto io non ci sarò più! In vita mia ho lavorato tanto, ora posso riposarmi un po’, gioco a tennis, nuoto, vado a vedere le partite del Chelsea. L’Inghilterra mi ha dato molto, ero un ragazzo povero e mi sono sistemato bene.


Certo qui non c’è il sole come ad Amalfi, ma non potrei più andare a vivere in Italia, a Londra ci sono tante cose da fare, il teatro, lo shopping, mentre il mare è bello ma mica posso stare seduto a guardare il mare tutto il giorno”.

Il dentista Francesco D’Aiuto
242 Fulham road

Oasis Dental Care

Francesco D’Aiuto

“Ho 42 anni, vengo da Salerno, vivo a Londra da 16 anni. Sono figlio di un dentista, sono diventato un dentista anch’io, ho cominciato a lavorare nello studio di mio padre a Salerno e sarei potuto rimanere lì. Ma dopo la laurea e la specializzazione ho vinto una borsa di studio per un dottorato di ricerca a Londra presso l’University College London, una delle migliori università d’Inghilterra, e mi sono fermato


Oggi sono uno specialista in parodontologia, cioè in cure dei problemi gengivali e sostituzioni di denti con impianti. Faccio ricerca e insegno all’università, lavoro per un certo numero di ore come medico con il servizio sanitario pubblico nazionale e faccio un po’ di ore come privato nell’ambulatorio di Fulham road. Mi ha sempre affascinato l’ambiente accademico e qui ho trovato un livello di eccellenza nel mio campo che è stimolante al massimo e che premia il merito indifferentemente dalla tua nazionalità, dalla tua età, dalle tue conoscenze. Un modo di lavorare piuttosto diverso dall’Italia, purtroppo per il nostro paese, che se cambiasse potrebbe richiamare in patria tanti ricercatori oggi dispersi per il mondo.

Ora sono capo del mio reparto e presto potrò avere la qualifica di professore. E’ una grande soddisfazione avere ottenuto tutto questo senza dover chiedere favori a nessuno. In Italia, come è noto, i dentisti hanno un altro problema: ce ne sono troppi, a causa dell’aumento dei ranghi della professione fino a quando non c’è stato il numero chiuso all’università.


C’è una saturazione che in parte è presente ovunque, anche qui, ma che da noi si avverte ancora di più. Sono sposato con un’italiana, abbiamo tre figli, amiamo Londra perché è una città vibrante, dinamica, giovane, cosmopolita e bella. E poi adesso c’è cibo italiano ovunque, i servizi funzionano, esiste un grande rispetto per il prossimo. E’ anche una città molto cara, per viverci bisogna accettarne le regole, che per professionisti della classe media come me sono le seguenti: o vai a vivere in una casa abbastanza grande nei sobborghi, come fanno molti miei colleghi, o accetti di vivere in un’abitazione piccola in città, come ho fatto io. E con tre figli, per fortuna, nel mio quartiere di Chelsea ho trovato scuole statali ovvero gratuite molto buone, perché il costo di un’istruzione privata, per di più moltiplicato per tre, sarebbe esorbitante e improponibile. Sono scuole cattoliche: per entrarci, oltre ai buoni voti, bisogna essere cattolici e noi rientriamo fortunatamente nella categoria. E la scuola è importante quanto l’ambiente che hai intorno per formare i ragazzi, per il futuro dei miei figli. Che futuro immagino per loro? Dipende. Sono nati tutti qui, ma la mia figlia più grande dice di essere inglese, quella di mezzo si definisce italiana e quello più piccolo non ha ancora deciso. Vedremo!”

Il proprietario Lucio Altana
257 Fulham road

Ristorante Lucio

Lucio Altana

"Ho 60 anni, sono di San Teodoro, provincia di Olbia. Ho fatto la scuola alberghiera e nel ’73 sono venuto a Londra per fare uno stage in un ristorante italiano. Destino ha voluto che il ristorante fosse il mitico San Lorenzo, già allora uno dei migliori ristoranti della città, quello da cui Sofia Loren si faceva portare i piatti in camera quando scendeva in un albergo della capitale.


Lorenzo e Mara, i proprietari, mi presero in simpatia, anche se non sapevo l’inglese mi nominarono quasi subito responsabile di sala perché sapevo come deve comportarsi un cameriere e come deve essere il servizio in tavola, meglio dei camerieri che avevano loro a quei tempi. E così, invece dei sei mesi previsti per lo stage, sono rimasto a lavorare lì per trent’anni, facendo carriera fino a diventare il manager del locale, in pratica il braccio destro dei padroni. Al San Lorenzo ho servito in tavola tutte le star che è possibile immaginare, basta citarne una, la più grande di tutti, la principessa Diana, che era una fedelissima. Poco per volta mi è venuto il desiderio di aprire un ristorante mio, ma i prezzi per aprirlo erano saliti così tanto che da solo non ce l’avrei mai fatta.

Finalmente, nel 2003, ho trovato un socio e insieme siamo andati a chiedere un prestito in banca. Così abbiamo aperto ‘Lucio’ e gli affari sono andati così bene che dopo sei mesi ho ricomprato dal socio la sua parte, restando unico proprietario, e dopo un anno ho restituito tutto il prestito alla banca. Ora ho uno staff di 25 persone, tutti italiani, dai cuochi ai lavapiatti. E ho una clientela di Vip come quella che andava al San Lorenzo.


Oggi seduti di là a tavola ci sono l’attrice Maggie Smith e la madre della first lady Samantha Cameron, quest’ultima viene spesso a cena anche con suo marito, il primo ministro David Cameron, e viene il proprietario del Chelsea, Roman Abramovich, viene il visconte David Linley, nipote della regina, di recente è venuta anche Veronica Lario, l’ex-moglie di Berlusconi. Il segreto del nostro successo? Ottima cucina, ambiente elegante e tranquillità. Quanto al segreto del mio personale successo, devo tutto a Lorenzo e a Mara, che ora, poverina, ci ha lasciati”.

Valentina Fazzari (seconda da destra in prima fila) e Francesca Griffith (terza da destra in prima fila) con le loro socie e collaboratrici
266 Fulham road

Casa Londra

Valentina Fazzari

“Ho 42 anni, vengo da Genova, sono arrivata a Londra venticinque anni fa e a parte qualche anno a Milano ci sono sempre rimasta. A Londra ho studiato economia all’University College London, poi ho preso un master alla London School of Economics e ho lavorato a lungo in ambito finanziario. Ma ho sempre avuto una passione per l’immobiliare e questo era il posto giusto per svilupparla. Non per niente è la città del boom del mattone, dove tutto il mondo cerca casa.


Così, parlandone con qualche amica, abbiamo pensato di provare anche noi a occuparci di questo settore e abbiamo fondato ‘Casa Londra’: un’agenzia di consulenze immobiliari, dunque non una semplice agenzia di compravendita immobiliare, bensì un’agenzia che si occupa di aiutare gli italiani a comprare o affittare una casa qui e che assiste anche in un’ampia gamma di servizi chi di loro vuole trasferirsi qui per motivi di studio o di lavoro. In Inghilterra le agenzie immobiliari sono pagate dal venditore e lavorano nel suo esclusivo interesse, senza alcun obbligo nei confronti del potenziale acquirente. Chi proviene dall’Italia può trovarsi in difficoltà durante i negoziati.

Noi aiutiamo a superarle, a selezionare la casa giusta per ogni esigenza, mettiamo in guardia contro i trucchi del mercato. E offriamo anche assistenza legale, sotto la supervisione del nostro managing director, l’avvocato Francesca Granata Griffiths, italianissima pure lei, il cognome inglese è acquisito, oltre che assistenza finanziaria e per lavori di ristrutturazione. Inoltre oggi gestiamo circa 150 proprietà di italiani che hanno comprato casa qui come investimento e vogliono affittarla. Si rompe una tubatura dell’acqua in casa, noi mandiamo qualcuno a ripararla. Insomma ci occupiamo di tutto, al punto che con certi clienti sviluppiamo un rapporto di fiducia molto stretto e continuativo.


Per loro non ci limitiamo a cercare la casa, ma cerchiamo le scuole per i figli, il medico di famiglia, la documentazione per registrare la propria residenza in consolato e così via, davvero qualsiasi cosa che riguardi il trasferimento a Londra. Naturalmente ci sono italiani che si arrangiano benissimo a fare tutto questo anche da soli, ma ci sono anche quelli che, perché lontani o per problemi linguistici o per altre ragioni, desidererebbero ricevere un aiuto in questa caccia alla casa a Londra, e ‘Casa Londra’ provvede a fornirglielo. E’ una “casa” tutta femminile: adesso siamo una decina di donne fra socie e collaboratrici, per un po’ abbiamo avuto anche un uomo nella nostra squadra, ma poverino non ha resistito. Scherzo eh, la verità è che ci troviamo bene fra noi. Siamo amiche, siamo simili, siamo unite e speriamo di continuare a crescere e a fare bene il nostro lavoro, divertendoci pure, che non guasta”.

Il proprietario Pierluigi Molinari con i suoi commessi
349 Fulham road

Luigi’s Delicatessen

Pierluigi Molinari

“Ho 75 anni, vengo da Montecatini Terme, anzi sono appena tornato da una breve vacanza laggiù: non riesco a fermarmi più a lungo, in Italia sono tutti depressi, per le pensioni o per il governo o per un’altra ragione, hanno sempre qualcosa di cui lamentarsi, invece che pensare al futuro. Io, cercando di pensare al futuro, sono arrivato a Londra nel 1960: ho fatto il cameriere per un po’, poi sono diventato capo-cameriere e infine manager di un ristorantino italiano.


Nel 1970 ne ho aperto uno mio a Parson Green, quindi ho chiuso il ristorante e nel 1973 ho aperto questo negozio di alimentari, un delicatessen come si dice qui. Vendevo prodotti italiani di qualità, cose che gli inglesi non avevano mai visto, li compravano non solo quelli di Chelsea, gli abitanti della zona, ma venivano anche da lontano, dai quartieri a sud del Tamigi.

Così a un certo punto di negozi ne ho avuti tre, ma poi due li ho venduti e mi è rimasto questo. Un tempo la clientela era di gente con i soldi ma tutti inglesi, ora qui attorno sono tutti stranieri, russi, francesi, italiani, ma sempre con i soldi, anzi con più soldi di prima. L’altro giorno è entrato un russo, ha cominciato a dire: quattro di quelle bottiglie di vino, quattro di quelle, e alla fine ha pagato un conto di 4 mila sterline. Poco prima era venuto un broker della City, ha fatto anche lui il pieno di vini e leccornie, e ha pagato 4500 sterline senza fiatare.

Abbiamo anche un reparto gastronomia, con piatti pronti che la gente può portare via, per pranzo o per cena. Vediamo un po’, oggi ho gnocchi, pasta al forno, cavolo nero con pancetta e delle belle cotolette. E poi abbiamo le uova di Pasqua e le colombe pasquali, naturalmente. Abito al piano di sopra della mia bottega: la palazzina è tutta mia, l’ho comprata tanti anni fa, quando non c’erano i prezzi folli di oggi. Passo il tempo libero a giocare a bridge, ci gioco tutti i giorni da vent’anni, sono un vero campione ormai. Ma non gioco mica di soldi, eh”.

Il parrucchiere Danilo Giangreco
353 Fulham road

Danilo Hair Boutique

Danilo Giangreco

““Ho 35 anni, vengo da Aradeo, un paesino in provincia di Lecce, sono a Londra da dieci anni. Ho iniziato a fare il parrucchiere con mio padre, che ha un negozio ad Aradeo: il mestiere l’ho imparato da lui. Mio padre facendo il parrucchiere ha avuto le sue soddisfazioni, ha una clientela affezionata, guadagna bene, ci sarebbe stato posto anche per me nel suo negozio. Ma volevo provare qualcosa di diverso, mettermi alla prova da solo, in una dimensione più grande. Prima sono andato a Milano e ho lavorato presso vari parrucchieri. Poi sono partito per Londra.

Il mio scopo iniziale era imparare la lingua e vedere come me la sarei cavata. Per sei anni ho lavorato per altri parrucchieri su King’s road, sempre qui a Chelsea, la mia esperienza si è arricchita e tre anni e mezzo fa mi sono sentito pronto per mettermi in proprio, così ho aperto questo negozio su Fulham road. Molti clienti mi hanno seguito, me ne sono fatti di nuovi. Non è facile, perché Londra, come vede chiunque la visita, è piena di parrucchieri: in certe strade sembra che ci siano solo parrucchieri e agenti immobiliari. Dunque c’è tanta concorrenza e di alta qualità. E sono altissimi i costi, naturalmente. Devi metterci tanto lavoro e non fermarti mai.

Non solo dal punto di vista dei tagli di capelli e del look: io seguo anche corsi di business e altri di social media, perché ormai è da quelli che passa il marketing. Bè, sono stato in attivo fin dal primo anno e da allora è andata sempre meglio. Ho piani per ingrandirmi, nel 2018 vorrei aprire un secondo negozio. Ora con me lavora anche Sara, la mia compagna, che viene dalla Sardegna, e abbiamo assunto 8 persone, fra cui vari inglesi: tanto per dire che gli immigrati comunitari qui non portano via il lavoro a chi ci stava prima ma creano posti di lavoro anche per loro. Si guadagna più che in Italia ma si spende di più. Però a me Londra piace, perché apprezzo il suo sistema meritocratico: io non conoscevo nessuno, ma qui con il duro lavoro si può realizzare qualunque sogno. Io e Sara abbiamo un figlio di 3 anni, intendiamo continuare così per i prossimi quindici anni e poi forse fare la spola tra Londra e l’Italia: veniamo da due posti meravigliosi, la Puglia e la Sardegna, un giorno ci piacerebbe avere una bella casa davanti al mare in Italia e tornare a Londra quando ci pare”.