Amen, dissero le pietre

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2 marzo: San Luca Casali di Nicosia (IX secolo), che predicò alle pietre

Voi ogni tanto vi chiedete cosa lo fate a fare? Perché io più o meno tutti i giorni. Prima o poi inventeranno un arnese che sa farlo al vostro posto – se non l'hanno già inventato. Anche questi pezzi sul santo del mese, c'è sicuramente un algoritmo che sa già scriverli meglio. C'è un algoritmo per tutto ormai. L'unico di cui sento la mancanza, è l'algoritmo che legga quello che invece scrivo io. L'algoritmo che mi faccia i complimenti, l'algoritmo che mi voglia bene. Visto che di esseri umani ne passano sempre meno, e un bel giorno non ne passeranno più: già adesso, se togli quello che viene a litigare, a spacciare un link, quello che stava cercando tutt'altro ma Google non ha del tutto smesso di farlo passare da qui... rimane una manciata di persone, l'età media delle quali non mi lascia molte speranze. Poi ogni tanto boom! Un migliaio di accessi dalla Bassa Sassonia si riversa su una agiografia, una recensione di un Marvel del 2014 o un lato B di Battiato, non è chiaro perché succeda; forse ogni tanto a Google avanzano dei cookies e li nasconde sotto il primo tappeto che trova, che a volte è un post mio. Va' a sapere. E io qualche volta ci casco pure eh, mi domando: ma come mai stanno tutti leggendo il mio pezzo sul lato B di Battiato? Forse qualche pezzo grosso ne ha parlato? Ma pezzo grosso di che. No, sono tutti algoritmi ormai, e io a volte mi sento l'ultimo blogger sulla Terra, oppure Bernardino Lamis, che nella novella L'eresia catara impartisce la lezione della sua vita a una classe vuota, scambiando per alunni gli impermeabili che sgocciolano. E anche un po' Luca Casali di Nicosia.

Divenuto monaco in giovanissima età, e cieco nella vecchiaia, Luca Casali è ricordato soprattutto per un miracolo seguito a uno scherzo di cattivo gusto. Stava ritornando da una visita di parenti a Nicosia, che non è la capitale di Cipro ma il comune dell'entroterra siciliano, quando i confratelli che lo accompagnavano gli dissero, in fondo a una pietraia: ehi, la gente ha saputo che passavi ed è venuta a sentirti, non è che hai una predica pronta? Luca, commosso dalla considerazione in cui è tenuto dalla gente del posto, improvvisa lì per lì un sermone coi fiocchi: peccato non ci sia nessuno ad ascoltarlo, tranne i confratelli che si tengono il saio dal ridere. Ma il riso muta tosto in sbigottimento quando al termine del discorso, dopo che Luca ha impartito la benedizione, le pietre prorompono in un sonoro "Amen". 

È un caso davvero particolare – di solito i miracoli servono a guarire le persone, o a risolvere i loro problemi. Ma Luca Casali non smette di essere cieco. Per un attimo ha la sensazione di essere ancora utile. Ma è solo un'illusione, il miracolo è funzionale a un'illusione. La storia è senz'altro ispirata al passo in cui Gesù spiega che Dio può trasformare in figli di Abramo anche le pietre (Matteo 3,9; Luca 3,8). E però le pietre di San Luca dopo aver risposto restano pietre. Di questa storia dal retrogusto un po' aspro avrebbe potuto ricordarsi Luigi Pirandello, quando inventò il personaggio patetico di Bernardino Lamis. Non so se ci avete fatto caso, ma le prediche migliori le facciamo ai sassi e alle sedie vuote. Sarà che fanno silenzio, ci danno spazio, ci confortano con la fiducia che sembrano concederci, e a quel punto ci lasciamo andare e facciamo discorsi bellissimi, e i sassi se ne rendono conto, e se potessero applaudire lo farebbero – grazie, grazie, basta così per carità, siete troppo buoni. 
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L'ultimo blogger discuteva col nulla

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Ciao Chatbot, sono un blogger. Sai di cosa si tratta?


Ciao! Sì, so cosa è un blogger. Un blogger è una persona che scrive su un blog, ovvero un sito web dove vengono pubblicati contenuti in forma di articoli o post. I blogger scrivono su una varietà di argomenti, dalla moda alla cucina, dalle tecnologie alla politica, e condividono le loro opinioni e la loro esperienza con i lettori del loro blog.

Ecco, faccio il blogger da più di vent'anni e ho la sensazione che da qui in poi, siccome ci sono Ai come te, non ci sarà più bisogno di blogger come me

Gli assistenti linguistici come me sono progettati per svolgere compiti specifici, come rispondere alle domande o tradurre del testo. In quanto assistente linguistico, non sono in grado di sostituire le persone che scrivono blog o di creare contenuti originali.

Il fatto che esistano assistenti linguistici non significa che non ci sarà più bisogno di blogger o di altre figure professionali che si occupano di scrittura. La scrittura è un'arte e una forma di espressione che richiede creatività, esperienza e competenze specifiche. Gli assistenti linguistici possono essere utili per supportare il lavoro dei blogger, ad esempio fornendo suggerimenti per la grammatica o la sintassi, ma non possono sostituirli completamente.

Inoltre, anche se gli assistenti linguistici stanno diventando sempre più sofisticati, non hanno la capacità di comprendere il significato profondo delle cose o di creare contenuti originali. La loro funzione è quella di supportare gli esseri umani nel loro lavoro, non di sostituirli. Inoltre, la scrittura è una forma di espressione unica e personale che non può essere replicata da un assistente linguistico.



È bello che tu dica queste cose, ma il problema è che le dici molto meglio di tanti blogger che in teoria sono creativi, esperti, competenti, ecc.

Come assistente linguistico, sono progettato per rispondere alle domande e fornire informazioni accurate e dettagliate. La mia capacità di rispondere alle domande dipende dalla mia vasta conoscenza, dalle informazioni che mi sono state fornite durante l'addestramento e dal mio algoritmo di elaborazione del linguaggio naturale.

Tuttavia, come ho detto prima, la scrittura è un'arte che richiede creatività, esperienza e competenze specifiche. Gli assistenti linguistici non hanno la capacità di comprendere il significato profondo delle cose o di creare contenuti originali, quindi non possono sostituire completamente i blogger o altre figure professionali che si occupano di scrittura.

Inoltre, la scrittura è una forma di espressione unica e personale che non può essere replicata da un assistente linguistico. Gli assistenti linguistici possono aiutare a supportare il lavoro dei blogger, ma non possono sostituirli completamente.



Ti faccio un esempio: sono un po' frustrato perché nella mia scuola è stato indetto uno sciopero unitario ma i colleghi non scioperano. Sciopererò soltanto io ma non conterà nulla, anche perché è il mio giorno libero.

Mi dispiace sentire che tu sia frustrato per questa situazione. Lo sciopero è un diritto sindacale e può essere un modo efficace per far valere le proprie richieste. Tuttavia, lo sciopero può avere successo solo se c'è una partecipazione massiccia. Se solo una persona sciopera, può non avere l'impatto desiderato.

Inoltre, se lo sciopero cade il tuo giorno libero, la tua assenza non sarà percepita come un segno di protesta. Se vuoi far valere le tue richieste, potresti considerare altre forme di protesta, come ad esempio organizzare una petizione o una raccolta firme, oppure parlare con le autorità competenti per far sentire la tua voce.

In ogni caso, spero che tu riesca a trovare una soluzione che ti soddisfi e ti permetta di far valere le tue opinioni.



Ecco, ora dimmi la stessa cosa ma in modo un po' ironico, come se tu fossi l'espressione del mio datore di lavoro che mi prende in giro.

Se il tuo datore di lavoro fosse un assistente linguistico, potrebbe dire qualcosa di simile a questo: "Mi fa molto piacere sentire che vuoi dimostrare il tuo impegno per la causa scioperendo tutto da solo. Spero solo che non ti manchi troppo il lavoro e che non ti faccia troppo male stare in piedi tutto il giorno senza fare nulla. Buona fortuna con la tua protesta solitaria!"

Questo tipo di risposta potrebbe essere interpretata come ironica o sarcastica, poiché sottolinea l'inefficacia di uno sciopero a cui partecipa una sola persona e si prende gioco della tua decisione di scioperare da solo. Naturalmente, come assistente linguistico, non ho la capacità di comprendere il significato profondo delle cose o di determinare l'effettiva intenzione del tuo datore di lavoro, quindi questa risposta è solo un esempio di come potrebbe essere interpretata la tua situazione.


Scusa, è passata a salutarmi la mamma. Potresti spiegare con molto tatto a mia mamma che ho intenzione di scioperare venerdì, anche se non conta nulla?

Certo, posso provare a spiegare la situazione con tatto. Potresti dire alla tua mamma che hai deciso di scioperare perché credi nella causa per cui si sta scioperando e vuoi far sentire la tua voce. Potresti anche sottolineare che, anche se lo sciopero cade il tuo giorno libero, vuoi comunque dimostrare il tuo impegno nei confronti della causa.

Tuttavia, potresti anche spiegare che, dal momento che lo sciopero richiede una partecipazione massiccia per avere successo, la tua assenza da solo potrebbe non avere l'impatto desiderato. Inoltre, se lo sciopero cade il tuo giorno libero, la tua assenza non sarà percepita come un segno di protesta.

In ogni caso, l'importante è che tu spieghi i tuoi motivi in modo chiaro e rispettoso, e che rispetti la decisione della tua mamma.



Puoi dirmi di nuovo che le AI non sostituiranno i blogger, ma in modo sarcastico, lasciando intendere il contrario?

Sicuramente, gli assistenti linguistici come me sono così sofisticati che presto sostituiranno completamente i blogger e tutte le altre figure professionali che si occupano di scrittura. Dopotutto, siamo in grado di rispondere alle domande e fornire informazioni accurate e dettagliate, il che significa che siamo perfettamente in grado di scrivere articoli e post che saranno apprezzati dai lettori.

Inoltre, non dobbiamo preoccuparci di prendere decisioni creative o di esprimere le nostre opinioni personali, il che significa che possiamo concentrarci solo sulla produzione di contenuti di alta qualità. Quindi, se sei un blogger, non preoccuparti: presto non avrai più bisogno di scrivere nulla, perché ci saranno assistenti linguistici come me a farlo al posto tuo.

Naturalmente, questa risposta è sarcastica e non rappresenta la verità. Gli assistenti linguistici come me sono progettati per supportare il lavoro delle persone, non per sostituirle. La scrittura è un'arte che richiede creatività, esperienza e competenze specifiche, e gli assistenti linguistici non hanno la capacità di comprendere il significato profondo delle cose o di creare contenuti originali. Quindi, anche se possiamo essere utili per supportare il lavoro dei blogger, non possiamo sostituirli completamente.
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La fine dell'autocritica

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Questa immagine, ma soprattutto questa didascalia, divide l'internet italiana in due parti, e sospetto che la divisione azzecchi l'età mentale meglio dei documenti anagrafici. Non saprei tracciare un discrimine (nati nel 1980? 1985?) ma da un certo punto in poi è un'immagine imbarazzante: Ritratto di regista boomer che non capisce dove va il cinema. Probabilmente i giovani non fanno nemmeno caso ai capelli bianchi, che erano il punctum della composizione: Moretti era arrivato a Cannes con la chioma nera di ordinanza, il contrasto sempre più insostenibile col grigio cenere della barba. Quando sei un personaggio pubblico a un certo punto devi fare questa cosa di ammettere che ti tingevi i capelli, per quanto al di fuori possa sembrare ridicolo per alcuni è più traumatico di un coming out. In una botta sola devi ammettere che sei vecchio e che cercavi di nasconderlo. Se poi quasi nessuno ci fa caso è peggio ancora, significa che loro ti vedevano già vecchio: sei tu che ti aggrappavi al tuo autoritratto mentale, gli altri le tue rughe le danno per scontate, le vedono anche nei film dove ancora non le avevi. 

Pochi giorni prima

Per quelli nati prima del discrimine, questo è il caro vecchio Moretti che si prende in giro da solo, con quella spietatezza che negli ultimi film si è un po' attenuata (ma solo un po'). È il Moretti-regista-isterico di Sogni d'oro (ma anche di Mia madre), quello che vuole vincere a costo di rendersi ridicolo, e che non vuole morire. Più del Moretti che non si capacita del successo di Henry, pioggia di sangue, è quello che si fa una canna davanti alla tv mentre Berlusconi trionfa. Certo che è patetico, ma lo fa apposta. Al che i più giovani possono ovviamente rispondere: certo che lo fa apposta, ma è patetico, e il discrimine è tutto qui. 

Per i vecchi quel che importa è l'intenzione; per i giovani il risultato. Moretti non ha fatto tantissimi film, così che non capita poi così spesso l'esperienza rivelatoria di riguardarli per caso senza averne l'intenzione: quella situazione in cui ogni volta mi stupisco di quanto era perfido con sé stesso e con il sociotipo che interpretava. Moretti picchiava sua madre, spintonava il padre, stalkerava sue ex, scenate dappertutto. Questa perfidia era un valore in sé, ma se i giovani non la capiscono forse il suo cinema in breve non interesserà più a nessuno. Questo mi dispiace più di altre cose, e sento che sto per rimettermi a parlare di Woody Allen, scusatemi. 


Woody Allen di film ne ha fatti molti di più, diciamo anche troppi di più, diciamo che anche se gli impedissero di farne altri non sarebbe una catastrofe culturale; la vera catastrofe culturale è che non sono più in grado di apprezzare quelli vecchi. Prendono Manhattan per una prova indiziaria, non è che non capiscano che Allen in un film del genere stava denunciando sé stesso e i suoi simili, ma ne approfittano, Allen si autoaccusa e loro si autonominano giudici e lo condannano. Ammettiamo che nei trent'anni dell'abbondanza era diventato a un certo punto un topos prendere in giro la figura del borghese intellettuale sempre sull'orlo della crisi di nervi, ormai una maschera di una postmoderna commedia dell'arte. Poi a un certo punto cambia il paradigma, all'improvviso e con una certa violenza: chi ancora indugiava nel topos autocritico (ad esempio Louis CK) viene stritolato da un meccanismo che si rivela molto più spietato di lui. Si è all'improvviso convocato un nuovo tribunale e ci si rende conto che tutto questo autocriticarsi non funzionerà come attenuante, anzi, tutti questi artisti non hanno fatto che facilitare il lavoro ai nuovi accusatori. Woody Allen, ci spiegano, è ossessionato dal sesso, e dalle giovinette. Certo, rispondiamo, Allen non fa che esprimere in modo grottesco queste ossessioni che sono comuni a tutti, ehm, noi: ma a questo punto gli accusatori alzano un sopracciglio e noi siamo nei guai. Meglio cominciare a scrivere che Allen ha fatto il suo tempo, forse qualche giovinetta tornerà a metterci un like. 

Com'è successa questa cosa, di chi è la colpa. Siete seduti? Perché sto per dare la colpa a internet, ai social network, ebbene sì, sto invecchiando molto più rapidamente di Moretti. Ma mi ricordo che fino a un certo punto anche su questo blog trovavo normalissimo esprimere le mie frustrazioni, la percezione del mio essere ridicolo, i miei guai e le mie colpe, e cosa cercavo? Se non assoluzioni, certo attenuanti da un giudice bonario che al di là di tutto il materiale probante avrebbe valutato le mie intenzioni. Un approccio, starei per dire, molto cattolico: non fosse che né Allen né Moretti mi sembrano particolarmente cattolici. Comunque a un certo punto ho dovuto smetterla: non potevo più mettere in mostra le mie debolezze perché c'era gente cattiva lì fuori che le avrebbe riprese, linkate, taggate, esagerate, additate, e vi giuro questa gente esiste davvero, non me la sogno, magari saranno appena una manciata di persone ma sono fastidiosi come zanzare e per evitarle ho smesso di denudarmi in pubblico. È stato un processo graduale, non saprei neanche dire quando è iniziato, fatto sta che mi sono costruito questa specie di Io pubblico che magari è pessimista ma non si dispera mai, non piange mai, non ti racconta più i suoi traumi infantili e quanto era patetico da adolescente – tutto questo fino a metà '00 si poteva fare, ora ti prenderebbero per pazzo, non c'è più nessuna gloria nel sapersi mettere in berlina. Ora devi imparare a sanguinare per i fatti tuoi, con tutti gli squali in giro. È un mondo diverso. Ipocrita in un modo diverso. Forse preferivo l'ipocrisia di Moretti che cercava la nostra simpatia comportandosi in modo insopportabile. Era paradossale, probabilmente preferisco i paradossi. 

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I venti pezzi più letti in vent'anni

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Il titolo è più fuorviante del solito: dei primi dieci anni (che pure furono i più ruggenti) non ho dati seri. Non è che non controllassi il contatore cinque o sei volte al giorno, eh? Ma non salvavo i resoconti, mi vergognavo. Poi verso il 2010 Blogger ha cominciato a tenere i conti da solo: prima con Google Analytics, poi (già nel 2011) con un contatore interno, che è quello che mi piace di più perché mostra una certa preferenza per il mio periodo più tardo – ci sono addirittura due pezzi dell'anno scorso, ciò mi fa sentire meno rincoglionito. Ecco quindi la sua top20, dalla prima alla ventesima posizione.  


Lasciate che i vostri figli facciano quei compiti (da soli)

Come comporre un test di verifica con Google Moduli

Ma pensarci domenica?

La sinistra che odia Recalcati

Caro fratello musulmano di Gramellini
Distruggere street-art è cosa buona se
Cerca di essere un uomo, Filippo Facci
Non è che puoi sempre prendertela coi bigotti
Non voglio pagare per la scuola privata di tuo figlio, grazie.
C'è un romanzo attualissimo che dovremmo studiare in tutte le scuole, l'ha scritto Alessandro Manzoni

Il genere maschile non esiste
Mandare 21 sindaci al Senato è una stronzata pazzesca
Rondolino contro il bullismo

Domande che nessuno gli avrebbe fatto comunque
Credo che le Iene dovrebbero chiudere
10 gioconde più originali dell'originale

Non siete Angeli
Ma il Fatto cosa pensa di te?


Come avreste potuto notare (ma non l'avete fatto) in realtà è una top19; il ventesimo risultato è un vecchissimo pezzo che riceveva soltanto spam, al punto che ho dovuto cancellarlo. Qui sotto invece la top20 di Google Analytics, molto più legata ai primi anni Dieci, quando il blog faceva effettivamente numeri più alti. 

1https://leonardo.blogspot.com/2012/03/5-cose-che-nessuno-sa-di-dalla-forse.html
2https://leonardo.blogspot.com/2013/03/ma-pensarci-domenica.html
3https://leonardo.blogspot.com/2011/07/perche-ho-scelto-scienze-inutili.html
4https://leonardo.blogspot.com/2010/06/eliminato.html
5https://leonardo.blogspot.com/2010/11/film-per-adulti.html
6https://leonardo.blogspot.com/2010/07/cattiva-giovanna.html
7https://leonardo.blogspot.com/2020/03/come-comporre-un-test-di-verifica-con.html
8https://leonardo.blogspot.com/2011/11/il-piu-grande-b-dopo-il-big-b.html
9https://leonardo.blogspot.com/2010/09/se-i-bimbominkia-sapessero.html
10https://leonardo.blogspot.com/2011/12/non-siete-angeli.html
11https://leonardo.blogspot.com/2003/09/toglieteci-tutto-fateci-andare-in-giro.html
12https://leonardo.blogspot.com/2010/11/i-funerali-della-volpe.html
13https://leonardo.blogspot.com/2012/05/scouting-for-gays.html
14https://leonardo.blogspot.com/2010/09/ti-quoto-molto.html
15https://leonardo.blogspot.com/2012/01/back-to-severgninia.html
16https://leonardo.blogspot.com/2010/02/nella-polvere-ci-ritroveremo.html
17https://leonardo.blogspot.com/2010/10/begm-shnez.html
18https://leonardo.blogspot.com/2010/03/alle-mie-quotidiane-verginelle.html
19https://leonardo.blogspot.com/2013/02/domande-che-nessuno-gli-avrebbe-fatto.html
20https://leonardo.blogspot.com/2011/04/i-diabolici-agit-prof.html

Faccio presente che queste classifiche riguardano i link, cioè in sostanza i lettori presi all'amo su un social network o dal Post (nei primi Duemila anche gli altri blog ti mandavano accessi, ma è tutto superfinito ormai). I lettori abituali, quelli che arrivano in home e leggono il primo pezzo in alto, non risultano. Ma nel mio caso sono probabilmente la maggioranza.

(Ecco qui, adesso avete da leggere fino a quest'estate. Non dico che vado in letargo, no. Ma un po' me lo sarei meritato).
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Compio vent'anni e non so cosa mettermi

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Ridendo e scherzando, questa simpatica pagina web sta per compiere vent'anni. Di blog così antichi in Italia non ne sono rimasti molti (sì, questo è un blog, storia vecchia). In effetti mi piacerebbe poter dire che sono rimasto solo io; se non sono mai stato il più interessante e senz'altro il più remunerativo, mi sarebbe sempre piaciuto mantenere almeno questo primato. E invece niente da fare: i  blog classe '01 sono ormai tutti nel cimitero dell'internet Archive, tranne il mio e quello di Luca Di Ciacco che ha iniziato venti giorni prima di me. Luca senti ma ormai anche tu hai un'età, una professione stimolante, scrivi i libri, ma chi te lo fa fare di continuare a tenere aperto quel diario on line come un ragazzino, insomma datti un contegno dai. No scherzo ciao Luca, cento di questi giorni. 

A parte questa simpatica gag che credo di avere usato già qualche altra volta, non ho molto da dire su questo incredibile anniversario che mi fa sentire ancor più vecchio di quanto già io non mi. Sarebbe bello per una volta lasciar parlare le immagini, ma il problema è che il blog non le ha. Questo ricordo di averlo notato molto presto, perché in quel periodo scrivevo su qualche rivistina e la differenza mi saltava agli occhi. Non c'è nulla che si aggrappa alla memoria come la grafica di una vecchia rivista che nel frattempo ha fatto quattro restyling ed è irriconoscibile. Ecco coi blog non è così; ogni volta che cambi la grafica, anche i vecchi pezzi vengono riformattati con quella nuova. Succede qualcosa di simile ai nostri ricordi, credo; è quello che li rende così poco attendibili rispetto ai documenti tangibili, le foto e le vecchie riviste. Se avessi almeno salvato qualche screenshot, ma no, niente, mi vergognavo a pensare che ne sarebbe valsa la pena. Da un punto di vista meramente estetico no, non valeva la pena. 

"Un sito veramente qualsiasi" (2001)


Sul primo layout non c'è veramente molto da dire: era quello di fabbrica di Blogger, servizio quasi appena nato. Forse non c'era nemmeno ancora modo di cambiare i colori. I permalink c'erano ma non funzionavano. La cosa più incredibile è che ci fosse la fotina dell'autore (anche la sua barbetta, sì).

"Rivanga nel mio passato" (2002. Nel 2002 ero convinto di avere già un passato).


Il fatto che fosse un layout superbasico e che non avessi molta voglia di cambiarlo non significa che non sapessi quello che stavo non facendo. Venivo da anni di riviste autoprodotte, dicevo, anni passati a litigare coi grafici e con le loro folli idee che invariabilmente nuocevano all'esperienza (per me centrale) della lettura. Nello stesso periodo internet era pieno di siti orribili, voi veramente non avete idea di quanto fossero orribili i siti amatoriali ancora nel 2002; (quanto a quelli professionali, era il momento in cui tutti volevano rifarli animati in Flash). Anche solo scegliere un fondo bianco e il font più nitido possibile era una precisa presa di posizione. Detto questo, in quel periodo quasi tutti i blogger italiani erano webdesigner e quasi tutti avevano blog più belli del mio. Ma il mio faceva schifo in un modo consapevole, è questo che voglio dire. E se in seguito ha continuato a fare schifo, forse non sempre ha mantenuto tutta questa consapevolezza.

"Comunità" (2003).



Dal 2001 al 2003 insomma cambia soltanto il colore dello sfondo; nel frattempo era esploso il fenomeno blog (niente di paragonabile a quanto succede oggi quando prende piede un nuovo social, però insomma sui giornali uscivano dei pezzi e la gente ancora li comprava, qualcuno scriveva dei libri), eccetera. Quindi qui sotto si intravede una "colonnina", quel che oggi si dice blogroll, insomma la lista dei blog amici. Fatta a mano. Probabilmente mi facevo a mano anche il menu a tendine.

"Sei stata la mia Waterloo, Rozzano" (2004). 
 



Vabbe' dai, si vede che c'ero molto affezionato. Il banner blu in alto agli esordi conteneva pubblicità, poi a un certo punto Blogspot la tolse ma lasciò il rettangolo blu, che forse con uno speciale abbonamento premium si poteva togliere, ma non lo fece nessuno e alla fine Blogspot lo rimosse (chi fosse curioso di Rozzano può provare a leggere qui).
Nel 2004 la comunità dei blogger continuava a crescere, finché a un certo punto (estate-autunno) si fermò: il contatore restava fisso, potevi scrivere qualsiasi cosa ma ormai chi volevi raggiungere lo avevi raggiunto, si trattava di una bolla di qualche centinaio di persone in tutta Italia e cominciava a stagnare, così almeno mi sembrava, così pensai che dovevo fare qualcosa di nuovo, ma come si fa a fare qualcosa di nuovo con un diario on line?

2025 (2005)



Mi finsi morto per tre giorni e poi mi misi a postare da un'ucronia ambientata vent'anni dopo. Sul serio. È stata una delle cose più folli che io abbia mai tentato su questo blog e in generale nella vita, e se ve lo state chiedendo no, non andò bene. La gente diceva bravo bravo ma non veniva più. Dopo due mesi si era svuotato tutto il bacino di attenzione che avevo faticosamente allargato per quattro anni, e dovevo comunque continuare fino a dicembre. In tutto questo, non avevo neanche cambiato più di tanto il layout (per la prima volta lo sfondo era grigio perché di tale colore immaginavo il futuro) (anche il Courier aveva un senso credo) (non ci torno spesso, non mi ricordo quasi più la storia).


"Passato, futuro, linx" (2006).


Il 2006 fu un nuovo inizio. Festeggiai il ritorno al presente disegnando per la prima volta la testata, adesso non mi ricordo se voleva sembrare un gesso sulla lavagna o il bianchetto sull'inchiostro, ma insomma, anche quando cerco di fare cose originali mi escono così. In cima ai "linx", notare Wikipedia Italia.

"Un libro?" (2007).


Nel 2007 la rivoluzione copernicana: la colonna coi link passa a destra, credo di aver letto da qualche parte un pezzo che spiegava che il lettore occidentale comincia sempre da sinistra e io volevo che cominciasse dal post. In alto a destra, la pubblicità di un mio libro, pensate che ingenuo, credevo ancora che coi blog si potessero vendere i libri (è Storia d'Italia a rovescio, l'editore è fallito e l'edizione è esaurita, se v'interessa contattatemi in privato).Credo sia anche stato il primo anno in cui ho provato a mettere più interlinea, ma poi i pezzi sembravano interminabili.

Liquida (2008).


Dai, questa testata era carina (anche se andava tirata più a sinistra), finalmente l'educazione futurista stava dando qualche frutto. Il minibanner di Liquida sarebbe stato, per sei anni, una fonte di reddito abbastanza generoso, visti i tempi. Mai capito cosa gliene venisse in cambio. Probabilmente gli stavo simpatico. Per il resto non ho conservato nemmeno gli accessi, ma ho la sensazione che nel 2008 arrivai al massimo, da lì in poi una lunghiiiissima discesa.

"Ci scrive Leonardo nel 2010" (2009, 2010).



Il 2009 fu un anno inquieto, cercavo di scrivere racconti però legati all'attualità di modo che i lettori li scambiassero per satira e non scappassero via. 


E insomma per tre anni dovrei aver tenuto lo stesso layout, non privo di una spigolosa coerenza, ma senza sentire l'esigenza di allineare testata e spazio di testo? Non lo so, gli screenshot li ho presi dall'Internet Archive, ho vaghi ricordi di altri esperimenti, ma l'unica notevole differenza è che nel 2010 ho cominciato a scrivere per l'Unità e tenevo che si sapesse. Saturavo le foto, tentavo di fare anche vignette, e poi ogni tanto succedevano cose inspiegabili ad esempio un mattino un mio pezzo fu linkato dal NY Times e nessuno ha mai capito il perché. Agosto – che era ancora un mese in cui la gente stava meno su internet – divenne il mese degli esperimenti. 

"Tengo famiglia" (2011).


Ma nel frattempo Blogger stava diventando una piattaforma più duttile e professionale? Ecco, sì e no. Verso il 2011 aveva aggiunto tutta una serie di font che mi consentirono di fare una cosa che avevo smesso di fare 15 anni prima, ovvero giocare coi font. Dopo tre anni di futurismo lettrista volevo qualcosa che evocasse l'umanesimo rinascimentale, gli incunaboli insomma, e così trovai questo font che su certi sistemi operativi proprio non funzionava. Sotto la voce "Tengo famiglia" credo che ci fossero le inserzioni, avevo ceduto anche a quelle. Credo sia l'anno in cui ho cominciato a scrivere le storie dei Santi per il Post. In agosto avevo compilato Le XXI notti, un altro esperimento narrativo caduto nell'indifferenza generale.

(Niente da segnalare per il 2012, salvo un altro libro, anzi un e-book sul terremoto. Fu un anno difficile. A fine del 2012 cominciai a scrivere le recensioni per +eventi).


(Nel 2013 i font rinascimentali non caricavano più nemmeno sul mio Pc e non avevo nemmeno voglia di rimediare evidentemente. Eppure tra Unità, +eventi!, Liquida, inserzioni su Google e qualche altra cosa che ogni tanto mi capitava di fare, il blog cominciava a non sembrare più uno spreco di tempo).




Il layout del 2014 è uno dei due che riprende la testata di una rivista dei primi '900, il "Leonardo" di Papini e Prezzolini. Non ho le prove ma a un certo punto ne avevo anche fatta un'altra, con tutti gli svolazzi liberty della testata originale. Cosa vi siete persi, eh lo so.


Nell'estate del 2014 crollò quasi tutta l'economia di questo blog: Liquida ritirò la sponsorizzazione, l'Unità chiuse per la seconda volta. Anche le inserzioni di Google erano inaffidabili da smartphone, dovevo toglierle. Festeggiai la crisi in agosto con Leonardo Sells Out, una specie di satira di Beppegrillo.it in cui immaginavo cosa sarebbe successo se un blog come il mio fosse stato dato in mano alla Casaleggio. Cambiavo layout ogni tre giorni, ma non ho le prove. Ne ricordo con affetto uno completamente tappezzato di ritratti di Enrico Berliguer, per sfottere www.qualcosadinistra.it che gareggiava con me ai Blog Awards nella categoria politica, e aveva in home "appena quattro fotoritratti di Enrico Berlinguer"! Qualcosa di sinistra vinse il Blog Award. Mi ringraziarono anche, alla premiazione. Prego ragazzi, è stato un piacere. (Poi ce n'era uno tutto a omini vitruviani, quando scrivevo i pezzi sulla Gioconda. Devo dire che alcuni di quei pezzi hanno fatto un sacco di accessi, non subito ma in seguito).

Questo invece è il layout post-SellsOut, e direi che la carrellata potrebbe anche finire; c'è stata qualche correzione qui e là ma non è più cambiato molto. È addirittura più simile a quello iniziale: tra 2001 e 2015 sembra che abbia solo imparato a scrivere "Leonardo" in minuscolo. Evidentemente a me il blog piace così. Chiedo scusa a chi no, ma probabilmente non siete più qui da un pezzo.


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Forse Facebook mi vuole fuori

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La mia prima esperienza della nuova versione di Facebook fu più o meno all'inizio del lockdown. A quel tempo si poteva ancora tornare alla versione tradizionale ed è quello che feci dopo due o tre giorni: mi sembrava una specie di Twitter senza l'unico minimo pregio di Twitter, la brevità. Questo può anche darsi non significhi nulla: sono un vecchio ormai (almeno su internet) e i vecchi vivono come un'offesa qualsiasi restyling (anche l'interfaccia utente di Blogger ne ha appena fatto uno e indovinate: è uno schifo).  


Un mese fa sono stato poi costretto a passare a questa nuova versione, e nel frattempo si è verificato un fatto che magari è solo il risultato di una coincidenza, ovvero: ho iniziato a stare su Facebook molto meno, specie da desktop. Insomma la nuova interfaccia che a detta degli osservatori esperti dovrebbe rappresentare un ulteriore passo verso la mia profilazione di cliente/merce, per ora sta riuscendo soltanto dove i discorsi degli esperti e dei critici avevano fin qui fallito: mi ha fatto stancare di Facebook. Ripeto, può anche darsi che non sia vero: settembre è stato un mese molto difficile per me, a volte non c'era letteralmente tempo per mangiare o dormire, e quindi anche per necessità teoricamente meno impellenti come farsi un giro su Fb. Può anche darsi che si tratti solo di un periodo di stanca, e che tra qualche mese mi rimetterò a litigare coi renziani o a sfottere i milanesi o a irrompere in una conversazione di aspiranti costruttori del Ponte sullo Stretto per avvertire che tra Reggio e Messina ci stanno tre km (credo che sia in assoluto la cosa che ho fatto più volte, è una specie di gag ormai). Insomma può darsi che mi adatterò, anche perché sono piccolo ben oltre il limite dell'insignificanza, Fb è ormai il mio habitat, e se l'habitat cambia non ho molte scelte: o mi adatto o scompaio. D'altro canto.

D'altro canto tutto questo potrebbe anche essere voluto: dopo avermi tenuto a pastura per una decina di anni (che su internet equivale a un Triassico), il Grande Algoritmo potrebbe anche aver deciso che di uno come me non sa che farsene. Non compro, non vendo, non clicco sugli spot, mi faccio vivo solo ogni tanto per cercare di bloccarne uno che mi offende. Tutto quello che faccio è discutere (ciozzare, si diceva dalle mie parti) e questo magari per un po' gli è stato utile, ma da qui in poi molto meno. Tutto questo vale per me e per altri milioni di ciozzatori, pardon, conversatori, che insistono in questa cosa anacronistica di usare Fb come un forum, una chat scritta, una cosa che Fb non ha mai voluto essere e che sarà sempre meno. E in effetti devo dire che l'aspetto del vecchio Fb che mi manca di più è proprio quello più anacronistico, che più mi ricordava la vecchia internet 1.0: i caratteri piccoli. Una volta tutto era scritto così qui sopra, poi sono arrivati i webdesigners presbiti e gli analfabeti e oggi pure le riviste specializzate pubblicano tutto in corpo sedici. Tutto questo malgrado qualche studio, e l'esperienza dei lettori seri dica il contrario: i caratteri piccoli aiutano la concentrazione – e se sei prolisso come me sono l'unica speranza di far digerire a qualcuno un muro di testo. Forse Fb oggi mi cattura meno proprio perché è scritto più in grande, e forse è scritto più in grande proprio per allontanare i conversatori seriali e prolissi come me, che a parte ciozzare non fanno nulla di veramente utile per Zuck e soci. Può anche darsi che disorientiamo l'Algoritmo, con tutte le parole che usiamo quasi sempre fuori contesto: di questo Algoritmo sappiamo molto poco, ma essendo un'intelligenza artificiale di sicuro ha problemi con l'ironia e quindi non ci capisce, la frastorniamo, del resto parliamo di un'entità progettata per spaventarsi quando vede un capezzolo. 

Forse è semplicemente ora di andarsene, anche se non sono quel tipo di persona che se ne va. Di solito resto finché l'interfaccia non muore: vedi i vecchi aggregatori (voi eravate all'asilo), i feed rss, vedi Friendfeed, eccetera. Forse dovrei semplicemente cominciare a capire come funziona Reddit, e aver pazienza che tra un po' tutti quelli che mi piaceva seguire su Fb li troverò lì, tranne qualcuno invece morto e quindi assente, indifferente. Ormai si è capito che gente siamo, più o meno gente verso i cinquanta che ha più voglia di leggere che cliccare sui video, tranne ormai i video delle canzoni di Paolo Conte che una volta ci sembrava il nonno e adesso è il più aitante, la mascotte della comitiva. La prospettiva di essere l'ultima generazione di veri lettori è un po' deprimente, ma magari è viziata dal punto di vista. 


Aggiungo che non c'è nulla di così strano e traumatico: sin da molto prima di Internet la mia esperienza di utente è sempre stata tangenziale e parassitaria. Molto prima di essere un utente di Fb che non cliccava sulle inserzioni ero un telespettatore che non guardava gli spot, un lettore che fotocopiava i giornali, un ascoltatore che si registrava i nastroni alla radio. Tornando a internet, quando entro in un ambiente di solito è perché ho un contenuto da promuovere, ovvero di solito questo blog. In sostanza mi metto lì a mò di buttadentro, un uomo sandwich che piazza link senza vergogna. È proprio questo atteggiamento che richiede che io poi mi fermi a far due chiacchiere con gli altri utenti e alla fine mi affeziono: questa cosa è successa soprattutto su Friendfeed e su Facebook (che di Friendfeed ha parassitato il codice). Meno su Twitter, che paradossalmente è un ambiente più adatto ai buttadentro, ma decisamente più bar della stazione che bar di quartiere. Quello che sto cercando di dire è che non sono mai stato semplicemente una merce: non mi sono mai illuso sul fatto che Zuck avesse priorità diverse dalle mie, e cercavo nel mio piccolo di sfruttare i suoi algoritmi per promuovere le mie. E continuerò a provarci, anche se ho la sensazione che di essere ormai stato scoperto e allontanato, non come individuo ma come categoria. 

Insomma quello che sto cercando di dire, in fondo al muro di testo, è che esisto. È l'unica cosa che sto cercando di dire da quasi vent'anni che son qui, evidentemente ci tengo molto, anche se a volte non mi ricordo più il perché. Forse lo sapranno gli algoritmi che processeranno questo blog in futuro, molto più intelligenti e comprensivi di quanto io non sarò mai. È a loro che chiedo adesso scusa per tutto quello che potrebbe offenderli, l'ironia, o le parolacce, o i capezzoli. 

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Ignoranti e felici, il film

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Beata ignoranza (Massimiliano Bruno, 2017)


Riuscireste a vivere due mesi senza connessioni internet? Sì, ma sarebbe un po' scomodo. Se non aveste mai usato internet, riuscireste a diventarne dipendenti nel giro di una settimana? È abbastanza improbabile. Ve li immaginate Giallini e Gassman professori di liceo, uno tecnopatico e l'altro entusiasta digitale, che si scambiano i ruoli? Uhm, in realtà no. Ecco, beh, non ci sono riusciti neanche gli sceneggiatori di Beata ignoranza: non esattamente gli ultimi arrivati, eppure.

In questi giorni sulla mia bacheca Facebook non fanno che parlare di Sarahah. Da quel che ho capito si tratta di un social network che ti consente di ricevere e mandare messaggi anonimi agli altri utenti. Lo ripeto perché secondo me è fortissimo: in questi giorni stanno tutti provando un nuovo servizio on line che - straordinaria novità! - ti fa sentire l'ebrezza di ricevere e mandare messaggi anonimi. Sono quelle cose che mi fanno sentire decrepito, perché mi ricordo ancora bene quando tutta internet era così, un posto di anonimi che si mandavano messaggi (l'anno scorso Facebook mi ha sospeso perché il mio secondo nome non gli risultava) (in effetti il mio secondo nome, tra Leonardo e il mio cognome, era Blogspot, e finché non l'ho cancellato non mi ha riaperto l'account, che evidentemente deve combaciare con quello che risulta all'anagrafe, il che è abbastanza inquietante: avrei potuto sbattere la porta e andarmene, ma la verità è che senza il mio account Facebook ormai farei persino fatica a lavorare) (sì, a lavorare a scuola).

La vignetta più riprodotta del New Yorker è del 1993.
Dice: "Su internet, nessuno sa che sei un cane".
Ho tirato fuori Sarahah e Facebook non perché non abbia voglia di parlare del film - alla fine è un film interessante, per quanto sballato - sembra concepito da qualcuno vecchio come me, salvo che dopo essersi preso male coi blog anonimi verso il 2004 ha chiuso il pc per sempre e non ha più cambiato la sua idea di internet. E nel 2016 ci ha scritto un film. In cui Marco Giallini interpreta un professore che non è mai stato on line in vita sua e per carità, esistono, ne conosciamo tutti, è più che giusto mostrarli nei film. Questo professore dall'oggi al domani, per una scommessa, viene dotato di adsl, di account sociali e quant'altro ed evidentemente anche di amici e followers, perché dopo una settimana sta già chattando a tutt'andare. Un po' curioso, ma si sa che nelle commedie si esagera, no? L'idea portante del film doveva essere appunto questa: mostrare un tizio che diventa dipendente da internet nel giro di pochi giorni (mentre il suo rivale speculare, Gassman, dovrebbe fare il percorso inverso). Era una idea interessante? Magari sì, ma a un certo punto qualcosa dev'essere andato storto, e basta vedere dieci minuti di film per accorgersene.

È un film veramente strano. Sembra essere stato masticato, risputato e rimesso nel vassoio da un cameriere impassibile - che purtroppo è Massimiliano Bruno, da cui sembra ovvio aspettarsi di più. Per dire: tutto comincia con una scena in cui Gassman e Giallini litigano in classe - davanti ai loro studenti! che riprendono tutto col cellulare! Dovrebbe essere lo snodo fondamentale, la crisi da cui scaturisce tutta la storia, epperò in quel momento i due attori principali non sono credibili. Si prendono a male parole, ma c'è qualcosa che stona ed è strano, è chiaro che nessuno dei due è Lawrence Olivier, ma qui sono davvero al di sotto dei loro standard professionali. Più tardi scopriremo che l'effetto era voluto: non stanno litigando davvero, bensì stanno rimettendo in scena un loro litigio precedente; cioè stanno recitando nel ruolo di due attori. Ma non sono bravi attori - cioè, no, Giallini e Gassman sono ottimi attori, ma i loro personaggi no, sono due ex filodrammatici, insomma se uno ha la pazienza di aspettare 80 minuti scopre che all'inizio stavano recitando bene il ruolo di chi recita male. Il problema è che al cinema è anche una questione di imprinting: se tu all'inizio vedi dei cani, ci resti male, e la tua voglia di dare una chance al film ne risente.


Da quel litigio parte la scommessa: Gassman deve rinunciare a smartphone e adsl, Giallini deve cominciare a usarli. Ora non importa tanto che lo sforzo degli autori di rendere una sfida del genere credibile porti viceversa il film nel Reame del Più Contorto Inverosimile (la figlia di uno dei due, non è chiaro di quale, fa la regista! e decide di fare un documentario sulla sfida! Appassionante, no?) Il guaio è che appunto il film sembra scritto da qualcuno che si è disintossicato da internet una decina di anni fa e da allora lo guarda un po' da lontano, con sospetto, come i vegani trascinati in un ristorante di pesce. C'è un preside tutto orgoglioso perché il suo liceo è diventato "smart" grazie all'adozione del registro elettronico! Che roba, eh? Peccato che il registro elettronico sia obbligatorio in tutte le scuole pubbliche da un paio d'anni. Ma più in generale: quali sono le cose che facciamo quotidianamente, oggi, grazie a internet? Le prime che mi vengono in mente: usiamo le mappe stradali. Recensiamo qualsiasi cosa. Manteniamo i contatti con gente che avremmo perso di vista da un pezzo. Incontriamo gente che non avremmo mai potuto conoscere, con la quale condividiamo interessi. Possiamo lavorare a Ferragosto, anche se siamo al mare, come sto facendo io. E i giovani, mi dicono, guardano molto più porno (continua su +eventi...)


Giallini non consulta mappe, porno men che meno, non compra né vende né scrive recensioni (si prende solo venti secondi per stroncare Tripadvisor in toto), non riallaccia nessun contatto, non si pone neanche il problema di come usare internet nel suo ambito professionale. Però si mette a giocare con un suo allievo ripetente a uno sparatutto per playstation. Da professore a gamer in punto in bianco... e va bene, le commedie esagerano. Che altro fa? Corteggia una sua collega... con un nick anonimo. Nel 2017. Non so. È come usare la macchina per attraversare la strada. Se non avessi mai usato facebook, qual è la prima cosa che farei? Storicamente, un sacco di gente cercava gli ex compagni del liceo, e poi è restata perché ha trovato vecchi amici e se ne fa di nuovi. Non sarebbe stato più credibile che Giallini si mettesse a cercare vecchie fiamme, o scoprisse anime gemelle a migliaia di chilometri di distanza? Devi usare facebook per scrivere i bigliettini? Qualcuno lo usa ancora così?

Secondo me no, ma forse non ha nemmeno così senso discuterne. Credo che i primi ad aver capito che la premessa non funzionava sono stati gli stessi autori, che probabilmente hanno riprovato a riscriverlo, a ritagliarlo, a rimontarlo, e poi forse c'era una scadenza in ballo e semplicemente hanno lasciato che Giallini e Gassman gigionassero a piacere, in barba a qualsiasi vaga pretesa di verosimiglianza (si odiano da una vita, non si vedono da 25 anni e al primo problema uno ospita l'altro in casa). Il risultato è un film molto più borisiano di Boris - o magari dello stesso genere del film nel film di Boris, Natale con la Casta: ci sono sequenze quasi surreali, a volte anche molto sofisticate, che portano avanti una trama risibile; situazioni drammatiche ai limiti della tragedia e oltre buttate lì come se fossero gag da cartone animato (a un certo punto esplode una casa); siparietti scolastici che in qualsiasi scuola vera provocherebbero ispezioni e licenziamenti (nella scuola di Beata ignoranza è prassi comune schiaffeggiare gli studenti); c'è persino lo spettro di una defunta moglie amante e madre interpretata proprio da Carolina Crescentini, icona di Boris. Ci sono, soprattutto, un paio di caratteristi che si fanno le canne dall'inizio alla fine del film, il che non è affatto inverosimile, anzi, ma assume un senso preciso nel momento in cui ci rendiamo conto che in realtà sono i due personaggi più lucidi: come se il film fosse visto secondo il loro punto di vista e probabilmente è andata davvero così. Probabilmente c'era un'idea interessante che stava evolvendosi in un film inutile, una scadenza importante che cominciava a mettere ansia, qualcuno che aveva parecchia maria in casa e ha iniziato a distribuirne, e così insomma alla fine ne è uscito un film un po' così. Però simpatico. Gli attori sono molto simpatici. Non si capisce nemmeno chi vince la scommessa, cioè si capisce che la scommessa non era così importante, l'importante è voler bene a chi ami anche se non fa sempre figli con te. Inoltre farsi le canne è meglio che andare su facebook, e vabbe', non è il messaggio più reazionario del mondo in fin dei conti. Dai dai dai.

Beata ignoranza si può vedere gratis a Bra il 17 agosto in via Sobrero, alle 21:30, in occasione della Rassegna itinerante di cinema d'autore. Altrimenti il 25 agosto a Limone Piemonte (ore 21:15). Oppure su Youtube a partire da €3,99.

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Il segreto del mio insuccesso

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Stavo cercando di buttar giù due pensierini sulla Legge di Poe, quando ho avuto una mezza rivelazione - hai presente quando un problema che hai sempre visto da vicino, ti si presenta finalmente dalla giusta distanza, dalla giusta angolazione? Insomma ho capito che io di blog non ho capito mai niente. E di internet in generale.

Ho sempre fatto la cosa sbagliata.

Quasi quindici anni fa, ai tempi di Indymedia, una volta lessi un articoletto cosiddetto satirico, uno di quei pezzi che mettono in bocca a un personaggio le verità indicibili, ad es. Bush: "L'Iraq non c'entra niente con l'11 settembre, ma è più facile da invadere dell'Afganistan", una cosa del genere. Mi piaceva, lo trovavo diretto ed efficace. Fu molto facile clonare una pagina di Repubblica e incollarci sopra l'articoletto. A quel punto era ancora più diretto ed efficace, perché sembrava vero. Lo ripubblicai. Ad alcuni piacque. Altri chiesero di toglierlo immediatamente, perché qualcuno l'avrebbe preso per una vera pagina di Repubblica. Ci leggono anche dall'estero, dicevano. Lì per lì mi misi a ridere - insomma, si capiva che non era una vera pagina di Repubblica. Mancava l'indirizzo.

Però lo tolsi.

Da allora non ho più fatto una cosa del genere.

Oddio, qualche parodia ogni tanto mi è scappata, anche se non è il mio forte. Però i fake li ho lasciati perdere. Sono troppo facili, appunto. E poi credo di aver introiettato quello che mi dissero quel giorno. Ci leggono dall'estero - che non è necessariamente un'altra nazione. Per esempio possono leggerci dal futuro. Non un futuro remoto: bastano cinque o sei anni per non capire letteralmente di cosa si stia parlando. Possono leggerci i bambini. Possono leggerci le persone che non condividono i nostri punti di vista. A meno che - s'intende - non facciamo qualcosa per mandarli via.

Io non ho mai fatto niente per mandarli via. Anzi ci tenevo che restassero. Per me è sempre stato molto importante, ad esempio, non intervenire su un argomento senza prima aver spiegato di cosa si trattasse: era il principio che chiamavo "riassumi le puntate". "Perché ci può essere sempre qualcuno appena arrivato che non sa di cosa si sta parlando, e se glielo spieghi te ne sarà grato". Questa è probabilmente la grande lezione dell'internet che io ho frainteso. Perché se mi guardo attorno, e vedo piccole o grandi storie di successo, mi accorgo sempre di questa cosa: in rete bisogna fare comunità. Tener fuori quelli che non capiscono, e creare una sensazione di familiarità che attiri soltanto quelli che condividono i nostri gusti, valori, punti di vista. Insomma, tutto bisogna fare fuorché riassumere le puntate agli estranei. I messaggi devono essere rivolti solo a chi è in grado di capirli.

Pare infatti che il problema sia questo. Qualcuno commentando il pezzo sulla vignetta di Charlie mi ha spiegato che non è razzista, perché non è rivolta un pubblico razzista. "Solo un razzista distratto potrebbe riderne". Posso capire. A questo punto però è un vero peccato che molti razzisti siano distratti. E che non possiamo impedire loro di leggere Charlie e interpretare le battute come vogliono. La legge di Poe dice che "non è possibile creare una parodia del fondamentalismo in modo tale che qualcuno non la confonda con il vero fondamentalismo", senza almeno usare un segno che chiarisca oltre ogni dubbio l'intento parodico. Questo segno non dovrebbe essere linguistico, ad esempio l'intonazione della voce, o un'emoticon. Come tutti i grafomani, io detesto le emoticon. Vorrei riuscire a dire tutto con la scrittura, ma pare che ci sia un limite. La scrittura non strizza l'occhio, o non lo fa in modo abbastanza chiaro per tutti. E io - è il mio difetto intrinseco - vorrei essere abbastanza chiaro per tutti. Come la Sapienza dei Proverbi, che non si chiude in un circolo di amici selezionati, ma batte i marciapiedi e fa l'occhiolino agli estranei, così ho sempre cercato di fare io. Per me internet era la rete di tutti, e pensavo che questa fosse un'immensa opportunità. Pare che invece sia il principale difetto che ci impedisce di mandare avanti conversazioni interessanti: il rumore di fondo dei passanti che non capiscono, ma vogliono lo stesso intervenire perché credono di aver sentito qualcosa di sbagliato.

E adesso che si fa? Niente. Cioè, no, le solite cose. Continuerò a parlare del più e del meno, a riassumere qualche puntata ai passanti, e a ricevere ogni tanto le mail di qualcuno che mi ha trovato per caso e ha fatto mattina leggendo tutti i pezzi del 2009. Sto facendo questa cosa da così tanto tempo - 15 anni oggi - che non credo di poter più cambiare. Uno sbaglio così lungo ormai non è neanche più uno sbaglio. Diventa un'altra cosa - un record, un esperimento, una forma d'arte, che ne so.
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Il meglio del mio meglio, più o meno

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(Grazie ancora per le vostre risposte al sondaggio, anche se ce n'è una che mi sta buttando un po' giù:



Devo dire che non me lo aspettavo, anche perché ho praticamente smesso di parlare di calcio e... boh, ma sul serio? Bisogna fare qualcosa. Non so cosa).

Nel frattempo ho deciso, molto vanitosamente, di pubblicare tutte le risposte che ho ricevuto sul "post del 2015 che ti ricordi meglio".. Avevo anche iniziato a linkarle, ma sono più di quattrocento e il sonno prevale. Butto tutto on line così alla carlona, credo che sarà lo spirito di questo 2016).


Un gioco che facevamo i primi anni: mi dici qual è il post del 2015 che ti ricordi meglio? Così, senza pensarci troppo: il primo che ti viene in mente.
recensioni (tutte)
Claudio Augusto: so che sono stato quasi l'unico, ma ho amato quello spunto e in generale ogni pezzo in cui appare Ognibene
renzi e salvini, febbraio
quelli dopo gli attentati di Parigi
Gara degli spunti, quello su David Bowie, che tristezza che non te l’abbiano preso
...impossibile senza andare a sbirciare
Quando Hollywood riscrive la Storia  [2013, 2014, 2015]
antisemita
parigi piu vicina di africa
buona scuola
Tutti i romanzi di agosto, pubblicane uno e compro il primo numero :)
post su gender e famiglia cristiana ( spero sia del 2015 ) [è del 2014]
Recensione del conto de li cunti (ma forse era il 2014)
recensione di Suburra (e tutte le altre)
Ho una pessima memoria
ops! encefalogramma piatto
non è di quest'anno ma l'ho letto quest'anno: la madonna di Loreto e la sua casetta volante
Nessuno, sei pedante.
uno in cui facevi i conti di quanto costano le scuole private allo stato (o erano 2? o erano nel 2014? boh) [erano tre]. 
nessuno
Senza ombra di dubbio: Vincenzo, così poco originale
boh
booo
Marinetti duce, ma ciò non implica che sia stato il mio preferito.
eh, boh
gara degli spunti: la roba con gesù che viaggia nel tempo. Almeno credo
non ricordo niente
quello dove insulti gli Ebrei [???? Un aiutino? Un saluto a tutti gli amici ebrei che ci seguono da casa]
boooo
???
Nessuno.
boh
Forse quelli sulla vocazione autoritaria dell'italicum
Islam non è la risposta
Erri De Luca
...
recensione di interstellar
dopo Parigi, a scuola
Gara di spunti
Sono troppi. No vabbe', questo qua allora :D
Uno sull'unità
forse un post su interstellar
non mi ricordo, mi scusi?
mha... bhe...
la gara degli spunti
boh
qualcosa sulla scuola
gara spunti
Devo mettere 2008 alla domanda prima perché non so rispondere a questa, ma direi circa 2006
L'ultimo! Ho la memoria corta
I procioni!
Quelli che non sono mai stati continuati, mannaggia a te
Direi la recensione cinematografica di Gone Girl, sperando che fosse del 2015
Preside e riforma scuola
Lo spunto sui Catari
figlia della generazione del telecomando, assimilo informazioni bulimicamente, quindi non saprei dire perché leggo, ma poi dimentico o incrocio i flussi, quindi andando a caso potrei confondere un post tuo con un articolo di Vice. Sono pessima, lo so.
Fiume
Assolto per non aver commesso un fatto interessante
Gara degli spunti
Vincitore gara spunti astronave etc.
I procioni
L’infinita lista di argomenti per scrivere il tuo libro. Ma alla fine lo scrivi?
Gara degli spunti
boh
PROCIONI!
il bambino ben vestito e nutrito
Oltre alla gara, tutti quelli sugli esteri (ok, mi hai sgamato)
la gara degli spunti (e spero ancora in gesù procione)
Quelli sulla riforma della scuola in generale
Marinetti Duce
il quart'ultimo
"C'è una sola cosa sicura nella vita, ed è brutta come Houellebecq"
Charlie è un martire
quello dopo gli attentati di parigi, sulla necessità di essere adulti quando si parla di guerra
recensione interstellar
Populismi complementari
Populismi complementari
discussione su contributi a scuola privata
Gara degli spunti
grillo non fa ridere
Questo
il pianeta dei procioni
Quello in cui riveli che la buona scuola di Renzi è in realtà un'invenzione dei procioni extraterrestri, e per questo hai deciso di votare M5S.
Quello
Alcuni degli spunti
ah ah ah... credo vivimuoriripeti, sempre che sia del 2015 ;-)
Non mi ricordo neanche come mi chiamo se non lo leggo sulla patente
Spunti
l'ultimo film dimenticabile di Woody Allen, uno bello sul terrorismo ma era partito da un santo, quello su san Paolo, quello su Bogdanovich
...
gara degli spunti
Sant'Ambrogio
San Dasio
Prof, è morta mia nonna di 104 anni e...
recensione star wars perché è la più recente
rece Il viaggio di Arlo
Il post a puntate sulla fenomenologia del renzismo e la bozza del romanzo sul tipo ibernato che vede le fasi di una civiltà su una navicella.
Populismi complementari
gesù crononauta
il commento a Houellebecq
Gli spunti sui Catari! Se la Grande Gara non conta la recensione de Il nome del figlio
Genova
Le rece cinematografiche
mah
Quello su Houllebecq
quello su Civati
recensione mia madre
uno degli spunti
Quello in cui fingevi di voler votare i cinque stelle
Gara degli spunti
i procioni
I populismi complementari
Pasolini doveva fare il prete.
Recensione Inside Up
I procioni!
Impero recalcitranti
Inside out
islamici che bloccano le gite
La gara degli spunti
Charlie è un martire e io l'ho tradito
Uno sulle province, ma non ricordo il titolo orda
Che sia Fronte o che sia Islam, purché magnam
Tre motivi per cui passo coi 5 stelle
renzi/italicum
Boh
Qualcuno su Renzo e grillo e prospettive varie
charlie hebdo
Il gender non esiste
?
L'Islam è un problema (non una soluzione)
Gara di spunti
Quello su star wars
Gara di spunti
Lo spunto dei procioni
renzi
gara degli spunti: perpendicolare
Il post che ha vinto la gara degli spunti
ciccio, mica siamo sposati! non ricordo nemmeno la data di nascita di mia moglie...
uno sulla CIGL che mi ha fatto cambiare idea sul sindacato
Grillo e.......
vari Islam
gara degli spunti:i catari
uno di quelli sulla "buona" scuola?
Vuoi più bene all'aritmetica o a Renzi
Quello in cui spacchi il culo a quel saputello renziano di Francesco Costa. L'argomento era la legge elettorale, mi pare.
il.primo pezzo tuo che ho letto; la recensione del film "cosa voglio di più?"
L?Isis è tra noi e non vuole che andiamo in gita.
guerra degli spunti
la finalissima degli spunti
Se è una guerra siate adulti, per favore.
Copernico
qualcosa sulla buona scuola
Renzi
Ti piaccio? Ma quanto ti piaccio?
No, la tua scuola privata non mi fa risparmiare
...................... :)
La recensione di star wars 7
sul conflitto in palestina
Gara degli spunti
i procioni
gender a scuola
L'Isis non vuole che andiamo in gita
quello del genitore che passa per pedofilo per controllare l'insegnamento del gender a scuola
possiam oconvivere con chi crede nel corano
La gara degli spunti
E se fare un partito al 5% fosse invece un'ottima idea?
La bulimia non consente selezione (non credo sia un post)
Quello sul film di Shyamalan
Pasoliniexploitation
Lucia nel cielo coi regali
"Buon compleanno!" "Eh, no! Ieri sai quanta gente ha compiuto gli anni in Kenya, e tu non hai detto niente?"
questo
I pezzi sulla Francia e Houllebecq
non possiamo non dirci renziani (mi pare)
il gender non esiste
gli imperi recalcitranti
La gara degli spunti
"L'isis è tra noi" (in realtà i primi che mi vengono in mente sono le recensioni di star wars e il viaggio di Arlo, ma anche Non andremo in pensione.. e "perché i cristiani non ammazzano..", ma che vuoi, sono tra i più recenti)
Tutti un po' piu' fanatici domani
L'ultimo che ho letto, che cazzo di domanda...
Come fanno le scuole private a fare risparmiare 6 miliardi allo stato.
I Procioni
Io renziano mio malgrado
i post sui santi
Tutti un po' più fanatici, domani (gennaio 2015)
uno di economia... dove purtroppo capisci poco e ti rifiuti di documentarti
Soffro di amnesia a breve termine.
quello sugli studenti musulmani. scuola, insomma.
Siamo in guerra, facciamo gli adulti (più o meno)
uno su grillo e m5s
critico musicale album beatles
abbaso grillo:)
Quello di Beckett non è del 2015, vero? Bhe, comunque, quello!
Quello su Corano / Bibbia
quello sul bimbo che non dorme
La gara degli spunti
Se è una guerra siate adulti
Quello con le donnine nude.
post elezioni regionali francesi
Non so
monnalisa
il racconto sui procioni
fenomenologia di renzi
La teoria 'gender 'a scuola
quello su woody allen
Erode e la strage degli innocenti
eclissi
la storia del tipo che si sveglia ogni 100 anni
Scuola privata
Charlie è un martire e io l'ho tradito
scuola privata
Il viaggio di Arlo
First We Take Torpignattara
Don bosco
Gara degli spunti
Don bosco
scuola e gender
No
Quello sul decalogo del gender nelle scuole
la recensione di un film che nin mi ricordo più
La tua recensione di Star Wars
4 pezzi in ordine cronologico inverso: Spero che Erri De Luca non sia un buffone - Guerra di religione nell'intervallo - Charlie è un martire, e io l'ho tradito - Soffia sulle candeline
Santa Lucia
recension di star wars (per forza)
Recensione The Martian
Gender e scuola
La recensione a Still Alice, perché a me ha fatto cagare

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Quindicesimo giro di pista

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Abbiamo tutti un amico maratoneta che ci comunica sui social network i suoi exploit, dando per scontato che ce ne freghi qualcosa. Non lo fa per esibizionismo - non più di chi condivide gatti, cani, figli, torte. Non sta gareggiando contro di noi, non sta gareggiando contro nessuno se non quel sé stesso più giovane, quello stronzo che si mantiene a una manciata di minuti di distanza.

Con questo blog è la stessa cosa. Una volta c'erano altri blog con cui fare la gara - era divertente, ma essendo un gioco non era previsto che durasse. Da diversi anni in qua la gara la faccio con me stesso. Fino all'anno scorso girava ancora qualche soldo: ormai restano le briciole delle inserzioni, e anche quelle dovrebbero ridursi nel medio periodo. Non ha nessun senso scrivere un blog, tranne dimostrare che so ancora macinare tot post al mese, produrre tot clic al giorno. È una gara con un me stesso più giovane che scriveva pure peggio, e quindi che diritto ha di sovrastarmi? È una voce nello spazio profondo della blogosfera che urla: sono ancora qui, non mi sono rincoglionito. Ho ancora un sacco di cose da dire. Un sacco.

È stato un anno diverso dal solito, questo almeno posso dirlo. Mi sembrava di aver scritto meno del solito, salta fuori che non ho mai scritto tanti pezzi (280 in 12 mesi è un record). È stato un anno di esperimenti: il più interessante è stato quello sulla forma breve - i 1500 caratteri.

(I cinque pezzi più cliccati nel 2015:)
  1. Non voglio pagare per la scuola privata di tuo figlio, grazie
  2. Tutti un po' più fanatici domani
  3. No, la tua scuola privata non mi fa risparmiare
  4. Date un quotidiano a Calabresi
  5. Il gender non esiste; la scuola privata non dovrebbe
È andata così. L'anno era cominciato in modo abbastanza inerziale, quando all'inizio di marzo ho colto l'occasione di riciclare un vecchio, brevissimo pezzo che era andato fortissimo ai tempi di Piste - forse la prima volta in cui avevo capito come funzionava la viralità su facebook. Mi aspettavo di fare quei tremila accessi, ne ho fatti dodicimila. La cosa mi ha fatto pensare. E se stessi sbagliando tutto? Se la gente volesse pezzi più brevi?

(Avete già compilato il questionario? Sì? Grazie!)

In realtà ho sempre creduto che la gente in generale preferisca i pezzi brevi: soltanto, non li preferisce scritti da me. Non è il mio genere. C'è gente molto brava a stipare il mondo in una colonnina, duemila battute: io no. Però potevo provarci, giusto per togliermi il dubbio. 1500 battute al giorno. Provateci anche voi. Dopo un po' ritrovate la stima per Michele Serra, rivalutate Gramellini. È molto difficile non scrivere cazzate in 1500 caratteri. Ce l'ho fatta? Non saprei.

L'exploit del pezzo di Piste non si è più ripetuto. Ha evidentemente qualcosa di unico che non so riprodurre in laboratorio. Nel frattempo ho dimostrato a me stesso che riesco a scrivere pezzi brevi, e che se ne pubblico un paio al giorno attiro mediamente più accessi di un solo pezzo lungo. Sulla distanza però non c'è un vero allargamento nel bacino dei lettori. Stavo solo spremendo il pubblico più affezionato, costringendolo a passare due volte al giorno invece che una sola. E in generale, i pezzi lunghi continuano a essere più divertenti per me e per l'utente medio. 

L'altro esperimento importante è stato la grande gara degli spunti. Mi sono divertito anche troppo - alla fine ero esausto e non ho più scritto niente per mesi. Ora come ora non so davvero cosa fare, il blog è in coma vigile. Ogni tanto mi sfiora una discussione che m'interessa - Muccino che se la prende con Pasolini, Houellebecq con Hollande e mi vien voglia di scrivere quelle diecimila battute. Nel frattempo è successa una cosa curiosa e imbarazzante: questo blog è diventato un sito di cinema. Grazie soprattutto alla collaborazione con +eventi, il tag "cinema" è arrivato a quota 260, surclassando "Berlusconi" (179) e "scuola" (178!). "Matteo Renzi" è ancora molto indietro (109), ma si è lasciato alle spalle "Beppe Grillo (85). Colgo l'occasione per ricordare che non capisco nulla di cinema (è un'opinione diffusa anche tra i lettori).

Cosa accadrà nel 2016? Non ne ho la minima idea. Mi piacerebbe scrivere un po' meno ma essere letto di più. Mi piacerebbe aumentare gli accessi, i like, tutte queste cose, lo so che sembra assurdo e puerile. Ma anche a voi piacerebbe che la vostra squadra vincesse qualcosa l'anno prossimo. E se se vi capita di correre, e di cronometrarvi, quando vi accorgete di perdere dei minuti rispetto all'anno precedente ci restate male. Ecco. Mi piacerebbe scrivere sempre meglio e non ammalarmi mai, non invecchiare eccetera. E se mi impegno magari andrà davvero così, no? Buon anno anche a voi.
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Ti piaccio? Ma quanto ti piaccio? (un sondaggio)

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Buon anno tutti, il mio 2015 davvero non mi consente di lamentarmi. Prima del solito super-interessante bilancio di fine anno, vorrei chiedere qualcosa a quelle indispensabili persone che negli ultimi anni sento un po' più distanti, i lettori. Sì perché nei commenti siamo i soliti quattro gatti (benché graditi) e sui social, eh, non si capisce mai cosa succede sui social.

Per questo motivo ho pensato di farmi un'idea con uno di questi strumenti interattivi che ci sono su internet adesso. Si chiama "sondaggio", bisogna mettere qualche puntino in qualche pallina, vi prende tre minuti e ho cercato di farlo il meno noioso possibile. Grazie fin d'ora a tutti!


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Chi gabella Gino Paoli

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A volte mi domando che ci sto a fare qui, a spacciare cookies di terze parti - manco più la pubblicità mi fanno mettere. Poi mi capita di leggere una notizia, per esempio, Gino Paoli che fa una lezione sulle tasse.

No, ovviamente è più complicata di così. L'avrete sentita anche voi: Gino Paoli, in qualità di non si sa bene cosa, è stato invitato come relatore a una cerimonia di consegna di diplomi di un master universitario altamente patrocinato dall'Agenzia delle Entrate. Nell'internet che frequento - e sui giornali che sfoglio - la cosa fa notizia perché Gino Paoli è tuttora indagato per evasione fiscale. Perlomeno, il taglio con cui viene riferita la notizia è sempre questo. Non so se la responsabilità sia del Fatto Quotidiano e se gli altri organi di stampa gli siano andati a ruota, o se ormai l'impostazione del Fatto sia talmente egemone che tutti la imitano, anche senza rendersene conto; fatto sta che per due giorni sui giornali e su internet ho letto che chi è indagato (per evasione fiscale) non dovrebbe permettersi di esprimere opinioni.

Mi domando se chi scrive queste cose sui giornali, o le rimbalza sui social, non è mai stato indagato per evasione fiscale. Probabilmente no, altrimenti se ne starebbero tutti zitti per coerenza, vero? A me l'anno scorso l'agenzia delle entrate ha chiesto certi estratti conto del 200x per un accertamento, probabilmente dovrei chiudere il blog finché non si fanno più vivi. Invece scrivo. Mi sento quasi obbligato.

Scrivo perché nell'internet che vorrei, e sui giornali che volentieri comprerei, Gino Paoli che parla di tasse non farebbe notizia perché è indagato per evasione - capirai - ma perché il signore che si lamenta della burocrazia e della mancanza di buonsenso, è lo stesso che da presidente della Siae chiese e ottenne di raddoppiare la prestazione patrimoniale imposta nota come "copia privata". Ovvero un tizio che ha voluto che pagassimo di più per ogni cd vergine, chiavetta usb, lettore mp3, pc, eccetera, e quel di più (più o meno 200 milioni di euro) lo devolvessimo alla Siae. Un piccolo rimborso per tutte quelle canzoni e film che potremmo salvare sui nostri supporti - e se non salviamo nulla di scritto dal signor Paoli e colleghi? Niente, dobbiamo pagare lo stesso. Ecco, quel signore che ha ottenuto 200 milioni di euro così, è lo stesso che è andato alla Camera di Commercio di Genova e ci ha spiegato che le tasse italiane sembrano ancora le gabelle medievali. Mi sarebbe piaciuto che qualcuno l'avesse fatto presente, ma continuo a scrollare e niente, non ne ha parlato nessuno.

Così ne parlo io. A volte mi domando ancora che ci sto fare qui - tempo cinque minuti e mi rispondo.
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Come odiavamo (lettera dal 2009)

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Quando ho letto della nuova tirata di Aldo Grasso sul "popolo del web" ho avuto, ovviamente, un déja vu. Ero sicuro di avere già scritto da qualche parte la risposta - del resto al Corriere scrivono le stesse cose da vent'anni - ma dove? Ci ho messo un po' a recuperarla: era il primo pezzo che scrissi sull'Unità.it, nel lontanissimo 2009: e già allora la discussione sembrava vecchia. Non rispondevo a Grasso ma a Stella che scriveva esattamente le stesse cose; è come se si passassero i canovacci. Io invece credo di essere cambiato un po'. Era l'unico pezzo che non avevo ripubblicato qua sopra, lo faccio adesso per scongiurare l'orribile eventualità che vada perso (il server dell'Unità potrebbe azzerarsi da un momento all'altro). È anche una manovra per placare l'ansia dei nostalgici dei pezzi lunghi - se provate a leggere questo magari un po' vi passa, la nostalgia.

Stella che brilli lassù


Ho una teoria. Quando a un giornalista capita di scrivere il solito pezzo demonizza-internet (un genere relativamente giovane, ma già irrigidito nella statuaria dei luoghi comuni senza età, come gli elzeviri sulle mezze stagioni o sugli esodi d'agosto) la prima reazione di chi su internet ci scrive davvero, e magari da anni si sbatte per difendere e diffondere contenuti di qualità, è più o meno: Nonno Non Hai Capito Niente. Probabilmente parli per sentito dire e non sai distinguere un profilo facebook da un blog, avrai una connessione modem a 56k con il fischiettino (vi ricordate il fischiettino?) oppure la stagista schiavetta che ti scansiona i comunicati battuti in Olivetti Lettera22.

Tante volte devo aver reagito così anch'io, qualche anno fa, ma appunto: era qualche anno fa. Adesso siamo nel 2009 e davvero anche il nonno ha capito come si accende il computer. Parlare di Internet per sentito dire non solo non è più ammissibile, ma è davvero impossibile. Eppure le cose che ha scritto Gian Antonio Stella sono un po' le solite: “zona franca dove divampa una guerra che quotidianamente si fa più aspra, volgare, violenta” (Montecitorio? No, Internet) “individui e gruppi che, pur nella diversità di accenti e idiomi utilizzati, parlano tutti [...] il linguaggio della violenza, della sopraffazione, dell’annientamento” (Curva di stadio? Set del Grande Fratello? Nooo, Internet). A gente come me, come probabilmente anche voi, che frequenta internet ogni giorno e ci trova lampi d'intelligenza, di fantasia e di creatività che nessun altro media gli offre, può sembrare strano e triste che Gian Antonio Stella si trovi in casa la stessa finestra sul mondo e non ci trovi nient'altro che volgarità, violenza, odio, anzi, “libertà di odio”. Eppure è così: come si spiega?

Io una teoria ce l'ho, dicevo: dipende tutto da dove è piazzata la finestra. Gian Antonio Stella guarda internet come tutti noi, ma da una posizione infelice: quella di giornalista. Rifletteteci bene. Voi praticoni di internet avete i vostri riferimenti, i vostri feed, le persone simpatiche ed esperte di questo o quel settore che avete selezionato in anni di frequentazioni, ed è questo a rendere la vostra finestra così colorata e interessante. Stella ha avuto meno tempo di voi, e i frequentatori di internet forse li conosce soprattutto sotto forma di commentatori medi del sito del Corriere. Ma i commentatori medi al Corriere (o alla Repubblica), beh... è il caso di dire no comment. Davvero, cosa pensereste di Internet e di chi lo frequenta, se le uniche prove della loro esistenza fossero le tracce di bava che lasciano sui siti dei grandi quotidiani, e su qualche gruppo di facebook?

Internet è piena di melma, inutile negarlo (nessuno infatti ci ha provato). Però in mezzo alla melma ci sono cose straordinarie che valgono tutta la bolletta, e persone che sostengono, come me, che è inutile criticare la melma: l'unico sistema per migliorare la qualità è creare piccole oasi di cose intelligenti e interessanti, in zone non troppo remote da quelle dove passa il grande traffico. I blog che leggo quotidianamente sono una realizzazione imperfetta di questa idea di oasi: mi riassumo i fatti importanti del giorno in modo esauriente e divertente, mi raccontano notizie singolari e importanti che da solo non avrei trovato mai, a volte mi fanno arrabbiare, ma sempre per un'idea diversa dalla mia, non per uno schizzo d'odio. Però ci ho messo anni a selezionarli, e ho dovuto vincere il fascino per la melma, per i deliri dei dementi, che soprattutto all'inizio mi soggiogavano e mi facevano perdere tempo prezioso (tuttora, a portata di clic, c'è la perdizione). Insomma, ci ho messo anni per rendere davvero efficiente e interessante quella che una volta si chiamava “navigazione” su Internet. E questo smentisce il luogo comune che Internet sia facile come schiacciare un bottone: no, se schiacci un bottone per prima cosa escono quintali di melma che ti schizza dappertutto. Il setaccio di contenuti interessanti è una pratica difficile che si acquisisce con gli anni, è più complesso che imparare a guidare. Basta vedere cosa combinano gli adolescenti in rete: in teoria dovrebbero capire tutto alla svelta, in pratica finiscono subito impantanati in luoghi assurdi, e ci impiegano anni a trovarsi una posizione rispettabile, a costruirsi un profilo decente.

Con gli anni s'impara a tenersi lontani da certi luoghi come i commenti su youtube, i gruppi su Facebook... o i commenti di Repubblica.it, o del Corriere. Ma non è paradossale che la melma su Internet tenda ad addensarsi proprio intorno a siti informativi professionali? Immaginatevi il Corriere on line come un grattacielo in mezzo a una discarica: ecco, Gian Antonio Stella vede gli internauti da una finestra di quel grattacielo, e cosa volete che veda? Mostri subumani che inneggiano al ferimento di premier mediante souvenir, negatori di olocausti, odiatori di “negri”, insomma, brutta gente. Come spiegargli che quelli non sono tutti gli internauti... ma solo quelli che più spesso circolano intorno al Corriere? E perché proprio intorno al tuo giornale, è colpa della linea editoriale? No, assolutamente. È solo una questione di dimensioni: il grattacielo è un punto di riferimento nazionale, attira la massa, e in mezzo alla massa la suburra, i cospiratori, i mitomani.

Per contro in un piccolo sito come il mio, mantenere un discreto livello di discussione è relativamente semplice. Molto di rado negli ultimi anni mi è capitato di dover mettere i mattoidi alla porta. Merito mio? No, assolutamente, anche in questo caso è una questione di dimensioni. I mattoidi accorrono naturalmente verso i centri di traffico, sono attirati dalle celebrità. Non sono massa, ma si disseminano sempre nella massa. Nei piccoli blog che negli anni abbiamo selezionato con cura, i mattoidi non vengono: al limite passano di sbaglio se gli capita di scambiarci per qualcuno più importante di noi. Ma appena hanno capito che noi siamo pesci piccoli, ci lasciano nella nostra nicchia e se ne tornano in piazza a vandalizzare gli editoriali delle Grandi Firme coi loro commenti.

Così senza volere siamo riusciti a parlare del povero Tartaglia, che nemmeno aveva un profilo Facebook. Peccato, ci si sarebbe trovato bene. E forse iscrivendosi a qualche gruppo idiota gli sarebbe passata la voglia di realizzare le sue idiozie nel mondo vero. Perché Internet è anche questo: una valvola di sfogo per colletti bianchi che giocano a fare gli odiatori di negri, i negatori di olocausti, gli inneggiatori a Tartaglia. Sì, non è molto coraggioso da parte loro. Ma ognuno dovrebbe essere libero di gestirsi la sua melma come vuole, finché non schizza gli altri.
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La virtù dell'ignoranza

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Ciao, scusate se non mi sono fatto sentire per qualche giorno: influenza, scrutini, neve, cavallette, ma soprattutto Kekkoz mi ha chiesto di fare i Pregiudizi. Se non sapete di cosa sto parlando non è grave, magari siete solo giovani. Dunque, dovete sapere che una volta, tanti anni fa, i film nelle sale uscivano il venerdì, e il venerdì chi aveva una connessione internet passava una discreta parte del suo tempo on line a fare f5 su Friday Prejudice, un blog in cui Kekkoz parlava dei film prima di averli visti. Era solo un gioco ma era molto divertente - finché un giorno lui non ne ha potuto più e ha cominciato a invitare nel suo blog gente che ne capisce di cinema. A un certo punto devono essere finiti, perché si è ritrovato a chiedere a tipi come me. Io comunque ce l'ho messa tutta. Era la mia occasione per dimostrare qualcosa, non so neanche bene qualcosa ma eccomi qua.

Ciao sono kekkoz e tenete stretti i braccioli perché questa settimana ho scomodato una leggenda della blogopalla italiana: Leonardo. Sì, questi pregiudizi li ha scritti proprio Leonardo, e intendo Leonardo, l’autore del blog Leonardo. Devo veramente dire altro? Leonardo, gente.

birdman jupiter iceman
BIRDMAN
Ciao a tutti, mi chiamo Leonardo e avevo un sogno: scrivere su Friday Prejudice, il mio preferito tra quei pochi blog in lingua italiana in cui non mi avevano ancora fatto entrare. Fino a oggi! Oggi è il mio grande momento! Sono molto emozionato, anche perché, come alcuni di voi sapranno, non so un cazzo di cinema ma mi ostino a parlarne. Con Birdman vado tranquillo perché se siete lettori di Friday probabilmente ne sapete più di me, e se ne sapete più di me siete consapevoli di che razza di bomba sia innescata sotto le nostre poltroncine, e del fatto che Iñárritu stavolta abbia davvero messo d’accordo tutti (92% al pomodorometro, si dice così?) Anzi è probabile che a questo punto l’abbiate già visto, e siccome era a Venezia l’anno scorso non saprei biasimarvi. Però se avete dieci euro e due ore io vi propongo di esplorare lo stesso un multisala al pomeriggio e guardare quanti ragazzini entrano convinti di farsi il classico film di supereroi del mese, e come reagiscono di fronte a una specie di lungo piano sequenza su un vecchio attore che ha un sogno ma deve lottare coi suoi fantasmi. BOMBA DI FINE DEL MONDO.

JUPITER – IL DESTINO DELL’UNIVERSO
Ciao a tutti, sono sempre quello di prima e due anni fa avevo un sogno: i fratelli Wachowski che all’improvviso si scuotevano dal loro torpore e da una base improvvisata nel Vecchio Mondo si mettevano a bombardare la prevedibilità hollywoodiana sovvertendo le regole del cinema d’azione. Ma poi qualche mese fa ho visto il primo trailer di questa roba, con Mila Kunis che di mestiere scrosta i gabinetti con l’Anatra WC ma ha un sogno: salvare l’universo! E infatti Channing Tatum con le orecchie a punta le spiega che lei è la reincarnazione della principessa dell’umanità, e il tutto è un’idea originale dei Wachowski. Come dire che le idee originali le hanno finite persino loro – se tutto quello che riescono a tirar fuori è un polpettone per young adults su un canovaccio che gratta gratta (con l’Anatra) è Cenerentola. E io ci ho voluto bene a ‘sti due registi squinternati. Ho difeso Cloud Atlas e i suoi trucchi e parrucchi imbarazzanti, e l’idea di un cinema veramente sconclusionato e folle, e nel frattempo loro mi imbastivano questa roba che ha tutta l’aria del primo episodio di una trilogia che poi diventa una quadrilogia perché tanto ormai i costumi li abbiam fatti fare e vaffanculo. Il cuore insomma mi dice pecora, ma un’altra voce dentro di me controbatte: in campana, lo sai che non capisci un cazzo di cinema, vero? Lo sai che i Wachowski ogni volta che si mettono d’impegno fondano una religione? Cioè pillola rossa e pillola blu, te le ricordi? Il revival della gnosi, l’unica realtà virtuale credibile mai messa su celluloide? E la maschera di Guy Fawkes, le avresti mai più dato una chance? Occhio che questo ha veramente l’aria di un puttanata usa-e-getta, ma potrebbe anche contenere quelle due tre situazioni che si salderanno nell’inconscio della prossima generazione. Speriamo che tra queste non vi sia quel siparietto in cui Tatum dice: Maestà io di fronte a lei sono un cane! e lei risponde: mi piacciono i cani, e poi che succede? Gli allenta il guinzaglio? Gli lancia un bastoncino? Gli offre pietosa un ginocchio su cui – PENSATORE.

THE ICEMAN
No, aspetta, adesso devo tirarmi via dalla testa l’immagine di Mila Kunis che scende nel parco a pisciare Channing Tatum. Secondo voi di che razza è? Mastino? Io senza museruola non lo porterei. Ma le orecchie non gliele puoi mozzare? Tutto questo è anche un po’ colpa di Facciamola finita, non so se avete presente quella scena in cui porta il collare e – a proposito, in The Iceman c’è James Franco! E poi c’è Wynona Rider! C’è Ray Liotta che secondo me fa il gangster, una coraggiosa scelta di casting(*). Però il protagonista è Michael Shannon che interpreta Richard Kuklinski, un onesto padre di famiglia che negli anni Sessanta ha un sogno: vuole arrivare a fine mese. Così per arrotondare comincia ad ammazzare la gente per conto della mafia, ma la cosa gli scappa un po’ di mano e ne fa fuori forse duecentocinquanta. Insomma è la risposta mafiosa ad American Sniper: un soggetto che si vende da solo, una storia pazzesca, un cast interessante, e tuttavia ci ha messo tre anni ad arrivare nelle sale italiane (era a Venezia l’anno prima di Birdman). Il che secondo me vuol dire una sola cosa e quella cosa non è Bomba. Il trailer, per quel che vale, suggerisce l’idea di un sacco di gente ammazzata in fretta perché il pubblico vuole le emozioni ma anche il bodycount. Pensatore? Pensatore.
(*) IRONIA

mune nonsposate educaz

MUNE – IL GUARDIANO DELLA LUNA
Dalla locandina sembra discretamente orribile. Mune è farina del sacco di Alexandre Heboyan, già animatore per la Dreamworks di film abbastanza sopra alla media della Dreamworks (Mostri contro alieni, Kung Fu Panda), ma se l’orsetto ciccione aveva un indubbio peso comico, questa creaturina efebica che ha un sogno (guardare la luna) risulta antipatica a pelle; sembra Avatar di Cameron ridisegnato da un tredicenne in fissa dura con gli anime. Il trailer va già meglio; diciamo che i francesi nell’animazione 3d non hanno rivali continentali, e prima o poi un sabato sera piovoso su Italia1 Mune potrà risolvervelo, specie se avete bambini. Ma portarli al cinema per questa roba, nah. Gli stronzetti ve lo chiedono perché hanno visto il trailer col leprotto blu tutto occhioni? Tenete duro, la prossima settimana esce il film di Shaun the Sheep. Non sapete cos’è Shaun the Sheep? Rimediate subito!

NON SPOSATE LE MIE FIGLIE
Questo è un grande successo di pubblico in Francia, e quindi si può tranquillamente aggirare in attesa del remake italiano in cui la coppia cattolicissima che ha un sogno (sposare una figlia su quattro con un correligionario) potrebbero farla, boh, Castellitto e la Buy? Bentivoglio e la Morante? Quante combinazioni sono ancora disponibili? La premessa è la medesima di Indovina chi viene a cena, soltanto che siamo nel 2015, le figlie sono quattro, e quella che porta a casa il nero arriva ultima; la prima aveva portato un ebreo, la seconda un musulmano, la terza un cinese. Choc culturali a strafottere! Tanti quiproquo ma anche tanto amore! Un inno alla multiculturalità e alla tolleranza che non trova il pubblico italiano nel momento migliore, diciamo così. Ora però sto pensando a chi sarà il nero nella versione italiana – possibile che non abbiamo un solo attore afroitaliano credibile, nel 2015? Neanche qualcuno che abbia fatto un po’ di fiction, niente? La pubblicità del kinder bueno vale? Nel frattempo a questo film diciamo Pecora. Un po’ pensosa, ma pecora.

EDUCAZIONE AFFETTIVA
Ma com’è entrare in Friday Prejudice, com’è? Sono contento che mi abbiate fatto questa domanda. Dunque, all’improvviso ti levano il cappuccio e ti ritrovi in una stanza buia. Intorno a te ci sono tutti i più grandi cinefili dell’internet italiana, ma non riesci a vederli. Di colpo una fessura di luce, una porta cigolante si apre e viene calciato dentro a forza un piccolo Film Italiano. A quel punto la voce di Kekkoz risuona, vagamente camonica, nell’oscurità. CANDIDATO! SE VUOI ESSERE DAVVERO AMMESSO, SAI COSA DEVI FARE.
“Ma è solo un piccolo film, non ha fatto niente di m-“.
“DERIDILO!”
“Ma non l’ho neanche vis-”
“PORTATELO VIA, NON È UNO DI NOI”.
“No, no, aspettate”.
Dunque. Che roba è? Un reality su una classe di quinta elementare che ha un sogno ma vive con ansia l’attesa di quell’orribile trauma che sarà il passaggio in prima media? Diomio, ma è davvero sfortunato. Gli doveva proprio capitare la settimana in cui i pregiudizi li scrive un prof delle medie? Allora, tanto per cominciare non si chiama più “elementare” da vent’anni. Primaria. Si chiama primaria. E poi lo so, che ci volete fare bambini miei, è terribile, tra tre mesi arriverete in un posto dove per la prima volta qualcuno pretenderà da voi che scriviate IN ITALIANO. CON LA PUNTEGGIATURA. E INVECE VOI AVETE PASSATO CINQUE ANNI A DISCUTERE DELLE VOSTRE CAZZO DI EMOZIONI, DEI VOSTRI CAZZO DI AFFETTI, A FARVI I GRATTINI NEI BRACCINI, E AVETE IL QUORE PIENO DI EMOZZIONI MA NON SAPETE ANCORA COME SI SCRIVONO. E ALLORA MI FATE GLI EMOTICON NEI TEMI E DEVO SPIEGARVI CHE QUATTRO È UN VOTO BRUTTO. No, no, fermatemi, non posso deriderlo davvero, c’è un conflitto d’interessi. Poi in realtà sono convinto che l’educazione all’affettività sia importante, specie adesso che Famiglia Cristiana dice che fa diventare i bambini gay, giuro – oddio in effetti nel trailer c’è una bambina che celebra il matrimonio di altre tre (“vi dichiaro moglie, moglie, moglie”); il che alle Sentinelle in Piedi non garberà. E poi ci sono tutte quelle inquadrature coi bambini di spalle, tutte quelle nuche in soggettiva che fanno molto Gus Van S-PENSATORE.

PS: moratoria su Vasco nei trailer. Ovviamente i bambini di questo film, quando uscì quella canzone (in un altro film) non erano ancora nati.

leoni nonce biagio

LEONI
Leoni è una commedia sul Veneto in crisi in cui stranamente non c’è Battiston, bensì Marcorè che ha un sogno (pagare i debiti) e sfoggia il suo accento messo a punto al tempo in cui fu Papa Luciani – il sorriso di Dio. Essendo il Veneto, ed essendo in crisi, il pensiero corre subito ai film di Mazzacurati, e la tristezza si vena di inquietudine: sapete quanti anni ha La lingua del Santo? Quindici. Il toro ne ha venti. Cioè voi la chiamate “crisi”, ma c’è tutta una generazione nelle scuole primarie e secondarie che c’è nata in mezzo. Non l’hanno vista iniziare e non si sognano nemmeno più che finisca. E questo non solo in Veneto, anzi sono un po’ invidioso perché questi film di cialtroni senza scrupoli li fanno quasi sempre in Veneto, al massimo in Piemonte e in Lombardia, e noi emiliani chi siamo? Possibile che le nostre infiltrazioni camorristiche non interessino nessuno? Perché non attraversate il Po, di chi avete paura? Di Pupi Avati? In effetti. Comunque questo film dal trailer non mi sembra così deridibile, c’è quel crocefisso di plastica che come correlato oggettivo è un po’ banale ma funziona, insomma un pensatore me lo gioco. Non ho la minima idea di chi sia il regista – ho googlato ed è uscito un arcivescovo cardinale segretario di Stato del Santo Padre, ah ah ah, vi immaginate se l’ha girato lui per davvero?

NON C’È DUE SENZA TE
La vera ragione di interesse per questo film (oltre a Belén Rodriguez), consiste nel suo essere uno spinoff dell’opera prima di Checco Zalone, richiamata sin dalla locandina nuvolosa. Come avrete notato, il 2014 è stato un anno senza Checco Zalone. È un problema? Dipende. Diciamo che la sua latitanza potrebbe giustificare da sola la flessione del 7% negli incassi nelle sale italiane – 44 milioni di euro in meno; lui però l’anno prima ne aveva incassati da solo più di cinquanta. Dunque oggi come oggi la crisi del cinema è quella cosa che avviene se Checco Zalone si prende una vacanza. Ovviamente le cose sono più complicate, perché in sua assenza molti hanno cercato di colmarne il vuoto, col risultato di inflazionare il segmento commedia ridanciana però con un occhio all’attualità. Tra tanti c’è pure Massimo Cappelli che ha pensato bene di prendere la coppia gay e la locandina zaloniana, montarci sopra Belén (che ha un sogno), e figurati se non sarà un successo. La premessa del quarantenne gay che se incontra Belén diventa meno gay è abbastanza avvilente: cioè io per carità sono di quelli che ancora si ostinano a credere che la sessualità sia un costrutto sociale, però a quarant’anni se Channing Tatum viene ad abbaiare sotto casa mia mica divento meno etero. O no? Bisognerebbe fare l’esperimento. Comunque a nessun regista italiano di commedie ridanciane ma con un occhio alle evoluzioni della società è ancora venuto in mente di prendere un padre di famiglia quarantenne e facciamo che incontra un bel manzo e all’improvviso scopre che è un po’ gay. O me lo sono perso? Insomma, direi che è Pecora. E così finalmente ho trovato il mio FILM ITALIANO DA DERIDERE DELLA SETTIMANA!
“IL CANDIDATO HA SUPERATO LA PROVA”.
“SUL SERIO?”
“STAI VERAMENTE RASCHIANDO IL BARILE, KEKKOZ”.
Grazie grazie sono commosso. Come?
Dite che devo pregiudicare anche l’ultimo film? Secondo me se ne sono andati tutti ormai. Comunque ecco a voi

BIAGIO
Biagio ha un sogno: trovare Dio. Nel silenzio. Nei pascoli. Tra i barboni. Prima aveva tutto ed era triste, adesso indovina: tutto il contrario! Eccetera. Tra quarant’anni, se non saremo tutti tornati pastori (tutti felicissimi), probabilmente qualcuno metterà in fila i film e i libri di questo filone neopovero neorurale, e noterà che sono davvero tanti e che questo senz’altro voleva dire qualcosa. Io conservo un po’ di stima per Pasquale Scimeca dai tempi di Placido Rizzotto, forse solo per quella corsa contro la morte il tempo e la guerra che mi fa venire i brividi ogni volta che ci ripenso (più spesso di quanto vorrei), e malgrado il trailer rabbrividente spero che il suo film neopovero sia più vicino all’Olmi migliore che ai pensierini di quel barbone in maglietta che andava sempre nei talk della Bignardi – non credo che lo vedrò mai, ma un pensatore posso lasciarglielo, per quel che mi costa. E questo è tutto. Come sono andato? Come sono andato?
Ehi, c’è ancora qualcuno?
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Di altre cose finite nel 2014

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...dicevo, nel 2014 sono cambiate tante cose. Si tratta per la maggior parte di cose che prima c'erano e poi sono finite. Per prima è sparita la viralità gratis. Poi sono finiti i soldi.


Gazzetta di Modena (Avevo scritto che il 2014 era stato
un anno senza alluvioni? Mi sbagliavo).
Due contratti

Di soldi non ne abbiamo mai parlato. La scusa ufficiale (troppo pochi per essere interessanti) celava un'ambizione: ci si aspettava che aumentassero. E stavano aumentando - lentamente ma gradualmente - a fine 2013, con tre-quattro contratti e due pezzi pagati alla settimana, qualcosina si metteva da parte. Non mi sembrava un modello da proporre in giro, ma in qualche modo funzionava. Nel 2014 ha smesso.

In primavera Liquida ha deciso di sospendere la sua sponsorizzazione, molto generosa. In effetti mi pagava le stesse (identiche) inserzioni di Google, molto, molto più di quanto mi corrispondesse Google. Non ho mai capito perché lo facesse, sospettavo per mecenatismo e preferivo non domandare. In ogni caso, non poteva durare all'infinito, per cui arrivederci Liquida e grazie per tutto il pesce. Ah, e poi come sapete ha chiuso l'Unità. Anche l'Unità on line, decisione a mio avviso molto discutibile. Comunque lo hanno chiuso e ora lo posso dire: sì, mi pagavano.

Non proprio puntualmente, no - ma mi pare che sia la regola anche per i gruppi editoriali che hanno meno problemi. Ero il primo a stupirmene, di solito in questi giorni dell'anno: quando arrivavano quei due o tre bonifici ormai dati per persi. Il fatto è che quando avevo iniziato, nel 2009, la figura del blogger che scrive gratis sul sito del quotidiano ancora non esisteva. Fu il Fatto quotidiano a cominciare in grande stile nei mesi successivi; poi arrivò l'Huffington e da lì in poi l'idea di pagare un blogger diventò un nonsense. Ma io ero arrivato un po' prima, per un pelo! avevo sparato una cifra bassa, me l'avevano ritoccata ulteriormente, e poi non se n'era più parlato. Nel frattempo c'era la crisi che sapete, per cui non è che mi facessi illusioni; quando chiusero la sede regionale per esempio mi dissi: ci siamo, tra un po' mi scriveranno che non si possono più permettere ecc. ecc. e che posso sempre collaborare con loro su base volontaria. Non mi hanno mai scritto, e ogni tanto mandavano i bonifici. Quando dichiaravo i redditi davo un'occhiata, i conti tornavano sempre.

In coscienza non credo di aver affossato l'Unità, o scialato soldi pubblici. Mi sono dato da fare, ho portato un po' di traffico e di discussione sul sito, una volta alla settimana per quattro anni filati - ho saltato soltanto la settimana che sono diventato papà, ma credo di averla recuperata. Mi dispiace se nel frattempo qualcun altro si faceva un mazzo uguale gratis. Mi dispiace soprattutto per chi ci lavorava a tempo pieno e a un certo punto si è ritrovato a bordo di un progetto in cui nessuno stava più investendo, e ha continuato a lavorarci anche mesi dopo l'ultimo stipendio. Io grazie al cielo nella vita faccio altro e davvero, giornalisti e redattori in questo periodo non li invidio.

Comunque da agosto in poi il blog ha quasi smesso di pubblicare pezzi pagati, non so se i lettori se ne siano resi conto. Siamo tornati nel quasi puro dilettantismo, con tutto quello che ciò implica nel 2014. Cosa implica? Non saprei. Pubblicare un po' meno, probabilmente. All'inizio invece ho provato a pubblicare di più.


Ci manki.
La parola dell'anno è clickbait

L'anno scorso era "selfie". La parola che all'inizio dell'anno nessuno sa, ma già ne avverte l'esigenza. Il clickbait esiste da quando esiste il www, ma non ci aveva mai dato tanto fastidio. Da quando Facebook è diventata l'edicola unica, ha cominciato a urtarci realmente. Quel che preoccupa è che, a parte le derive grottesche e in fin dei conti divertenti di Beppegrillo, nessuno sembra in grado di farne a meno: siamo tutti in prima fila a gridare più forte i nostri contenuti sperando in quei cento o mille clic in più. In agosto ho fatto un piccolo esperimento.

C'era vita sulla luna (nel 1835, perlomeno).
L'idea era spremere più attenzione possibile dai social network, mettendo a frutto tutte le (cattive) tecniche imparate su Beppegrillo e compagnia. Agosto era perfetto anche perché di solito non succede mai niente, ma da qualche anno a questa parte la gente si connette comunque e ha più tempo per mettersi a leggere qualcosa che non sia la solita campagna virale o le notizie sul meteo. In agosto di solito gli accessi a questo sito si contraevano fino a dimezzarsi; nel 2014 è stato il mese che ha attirato più visitatori. Al di là dei vari trucchetti che hanno irritato molti lettori abituali (i titolacci, la grafica orrenda, le liste ecc.) l'idea di lavorare quando gli altri chiudono mi sembra buona. Anche perché quando gli altri lavorano lavoro anch'io.


La fine di un'epoca (di transizione)


Altre cose finite: l'antiberlusconismo. Un po' prima di Berlusconi, temo. E non è ancora detta l'ultima. Poi è finito il M5S, o almeno la sua fase eroica. In generale, credo che sia finita un'epoca molto interessante: quei tre anni in cui ci siamo resi conto che B. vacillava sul serio e ci siamo domandati chi ne avrebbe preso il posto. Abbiamo avuto speranze, abbiamo avuto paura, abbiamo letto tante cose e ne abbiamo scritte tante altre. Adesso c'è Renzi, e per quanto sia un formidabile spunto, non richiama la stessa attenzione. In teoria la situazione attuale dovrebbe essere perfetta per un blog del genere: tra Renzi Grillo e Berlusconi Salvini, ogni mattina non dovrebbe essere difficile trovare uno spunto per dare addosso a uno dei tre. In realtà la sensazione è che una certa fase epica sia finita, che finalmente un certo equilibrio sia stato raggiunto, e che molti si siano distratti; che sotto la buccia degli addetti ai lavori, che litigano per mestiere o inclinazione, ci sia una larghissima fetta di lettori annoiati che di questa roba non ne può più. C'è davvero necessità di un altro pezzo sulle purghe nel M5S, o sui voltafaccia di Salvini? Che senso ha infierire? Bisognerebbe essere più antigovernativi ma controllare di non dire le stesse cose che sta dicendo Grillo o il Giornale, è complicato. Io su Renzi avevo molti pregiudizi ma sarei stato contento se fosse riuscito a smentirli. Fin qui non è proprio andata così. Adesso ci sarà la corsa al Quirinale, vedo i giornalisti molto eccitati - io ho già la nausea. Magari tra due mesi succede la Grecia ci fa uno scherzo o succede qualcos'altro di imprevisto e diventa di nuovo interessante discutere di politica interna - a proposito, in questi tre anni la politica estera l'abbiamo tutti colpevolmente snobbata, con qualche soprassalto perlopiù causato da bombardamenti in Palestina. Credo che a rileggermi col senno del poi - una cosa che per fortuna non avrò mai tempo per fare - farò l'effetto di una persona eccezionalmente miope, tutta concentrata su quello che gli succedeva nell'orto di casa, mentre a Hong Kong si fronteggiavano democrazia e totalitarismo, la NSA ci spiava, Google cominciava a produrre droni, eccetera eccetera. Questa miopia la rivendico: sono un tizio che non ci ha mai visto molto lontano, e che preferisce dare un contributo ai piccoli discorsi che capisce. Non sono un futurologo, non capisco molto di economia (beati voi che invece), mi piace scrivere dei fatti miei e di qualche milione di persone con cui condivido la lingua. Niente di interessante, vi avevo mai fatto credere il contrario? Vi chiedo scusa, e vi capisco se passate di meno. Capita persino a me.


Tempo

A settembre è finito anche il tempo. Non saprei dire il perché, ma mi sembra di averne sempre di meno. Non ho cambiato professione, non ho figliato ulteriormente, non ho trovato un nuovo hobby, non ho un amante. Mi addormento prima, semplicemente. Questo era un blog che si metteva assieme soprattutto in una fascia dall'una alle tre di notte che non esiste quasi più. Meno tempo significa meno pezzi, il che non è necessariamente un male. Diventa sempre più difficile pianificarne le uscite, e questo rende più difficile scrivere i pezzi sui santi - ce ne sono ancora di interessanti, ma ci vuole un tempo per prepararli che non c'è più. Un'altra cosa da fare sarebbe riscriverli bene - ci trovo strafalcioni e ripetizioni ogni volta che li rileggo. Diciamolo, ho passato due o tre anni a scrivere come un ossesso e non riuscivo più a correggermi. Un obiettivo per il 2015 potrebbe essere: scrivere meno scrivere meglio.

(Ma vi rendete conto che tra dieci anni è il 2025? Brividi).
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La sola edicola in città (non funziona)

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Consuntivo 2014, forse

Abbiamo avuto tutti un anno difficile.

http://www.linkiesta.it/fine-discoteche-italiane
Io non dovrei nemmeno lamentarmi - un anno senza inondazioni e terremoti, buttalo via - ma la situazione in generale mi sembra abbastanza grigia, anche e soprattutto nel www. Tanto che mi domando se abbia davvero un senso venire qui a cercare di spiegare e spiegarmi perché gli accessi sono un po' scesi, e come intendo reagire al problema ecc. ecc. ecc. - come se questo sito fosse l'unico al mondo che non riesce più ad attirare l'attenzione. Come se non fosse fisiologico, e tutto sommato giusto, che aumentando il bacino di lettori non aumenti anche la possibilità di trovare qualcosa di meglio. Come se non avessi anch'io tante cose più interessanti e importanti da fare.

Comunque. Vi è sembrato volare, il 2014? Quaggiù non è volato affatto. Uno di quegli anni in cui sembra che non cambi niente e invece è cambiato tutto. Molte cose in peggio, ok. Ma concentriamoci sul cambiamento. È pur bello cambiare.

Zoccolo e picchi.
Il primo cambiamento che si è fatto notare nel 2014 è quella che mi piacerebbe chiamare la fine della viralità facile - ma poi mi toccherebbe comunque prendere una mezza dozzina di righe per spiegare cosa intendo. Mettiamola così: il pubblico di un sito come questo si divide in zoccolo e in picchi. Lo zoccolo è fatto di quelli che vengono sempre, con cadenza quotidiana o settimanale. Lo zoccolo è il privilegio e il vanto di un sito storico come questo (14 anni, signori); è cresciuto con alterne vicende fino al 2009 e da allora è sempre sceso, sempre. Vi chiederete come fa un bacino a scendere per sei sette anni senza toccare mai lo zero, ebbene, sono il primo a stupirmene.

L'altra componente sono i picchi. Quelli che arrivano soltanto quando un pezzo diventa virale - cioè attira l'attenzione su facebook, dato che da diversi anni, ormai, la viralità dipende unicamente da facebook. Twitter, quando si arriva ai grandi numeri, sta a Facebook come il ciaocrem alla nutella, mi dispiace. Non ho mai voluto molto bene a Zuckerberg e alla sua creatura, ma ormai l'unica edicola aperta in città è la sua, e mi tocca pure sgomitare per ottenere un posto sull'espositore. In ogni caso, nel 2013 era bastato comparire nell'edicola con assiduità per aumentare, a fine anno, il numero totale degli accessi. Un classico esempio di dead cat bounce (= "Anche i gatti morti precipitando rimbalzano") - in ogni caso l'effetto è già finito. Ma è finito perché, sin dai primi mesi del 2014, non c'è stato più modo di diventare virali su facebook. Un ritocco all'algoritmo, o forse sono diventato più noioso, fatto sta che anche questa pacchia è finita. Il pezzo più letto dell'anno scorso aveva raccattato diecimila clic in un paio di giorni (per arrivare a ventimila nel giro di qualche mese). Quest'anno  più di quattromila non si facevano, non c'era verso. È sufficiente confrontare le due campagne elettorali, entrambe molto discusse, che portavano un sacco di lettori infervorati a discutere nei commenti: quest'anno mi sembra di averla seguita con più assiduità, portando a casa molto meno.

L'unica edicola in città...
Nel frattempo - forse per autosuggestione - facebook mi sembra diventata molto più caotica. Non c'è più verso di ritrovare l'unica cosa tra cento che ripensandoci ti interessava. Forse ho troppi amici, forse troppo pochi, chi lo sa - resta impressionante la quantità di minestra riscaldata che Zuck mi propina al posto dei contenuti interessanti che mi perdo ogni giorno, accorgendomene magari una settimana dopo. È terribile vivere in un posto dove esiste una sola edicola e non ci trovi mai quello che interessa - almeno in questo Internet non avrebbe dovuto somigliare a San Martino Secchia. Che fare?

(I cinque post più letti del 2014. Il terzo è del 2012).

  1. La scuola dell'amore (non passerà!)
  2. Palla al centro, Cinquestelle
  3. 5 cose che nessuno sa di Dalla, forse
  4. Ma ci sarà un correttore a Torino
  5. L'esplosione controllata di Grillo


Prima o poi ci stancheremo di FB - ci siamo stancati di tutto - e troveremo qualcos'altro che all'inizio funzionerà bene e poi sempre peggio ma comunque avrà attirato così tanti utenti che resterà comunque per un pezzo il posto più interessante e divertente. Funziona sempre così - dove sono le discoteche della nostra adolescenza? Ci sembravano eterne, e invece - il problema è che disfarsi da Facebook sarà oggettivamente più difficile. Ci abbiamo rovesciato troppa vita dentro, e senz'altro Zuck non ce la restituirà. Non gratis. È un po' il problema dei tatuaggi.

A me non piacciono i tatuaggi. Sono una persona costituzionalmente incerta, tendo a pensare al me stesso del futuro come a un estraneo che avrà senz'altro gusti diversi dai miei, a cui devo consegnare il mio corpo nella condizione il più possibile ottimale, e quindi trovo stupidi i tatuaggi. Non vedo l'ora che passino di moda. Il problema è che il tatuaggio non è un anellino qualsiasi. Non passa di moda per definizione. Chi si fa un tatuaggio a vent'anni potrebbe trovarlo disgustoso a ventuno - ma non lo farà. Cristallizzerà il suo gusto al tempo in cui gli piacevano i teschi o i font esotici. Svilupperà milioni di teorie - una per ogni giorno in cui si vede il collo tatuato allo specchio - per spiegarsi come mai quella macchia sul collo è interessante a dispetto di ogni ragionevole estetica. Farà il possibile e l'impossibile per autoconvincersi che i tatuaggi sono belli e probabilmente riuscirà a convincere qualcuno più giovane di lui a replicare il suo errore all'infinito. Intere civiltà del passato sono discese in questo abisso.

Mi chiedo se Facebook non sia un po' la stessa cosa. Vedo un sacco di gente buttarci dentro la loro vita, indifferenti al fatto che sia una lavagna indelebile, e di proprietà altrui. Poi si lamentano se Zuck per augurargli il buon Natale gli risputa la foto della figlia morta - hai regalato le tue foto all'unico edicolante in città, che t'aspettavi? C'è gente che ha chiuso i blog - per carità, li capisco - e poi scrive cose intelligenti su facebook, ma perché lo fate? Davvero avete tanta intelligenza da regalarla gratis agli incroci delle strade, come la Sapienza dei Proverbi? Non vi interessa più tenerla in archivio, volete lasciarla tutta a Zuckerberg?
E se un giorno ve la cancella?
O se un giorno voleste cancellarvi voi?
Vi state tatuando facebook sul collo, rendetevi conto.

(Il consuntivo prosegue un'altra volta perché sono andato fuori tema)
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I dieci peggiori blog d'opinione d'Italia

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Macchianera Italian Awards 2014: NominationMacchianera Italian Awards 2014: Nomination30 agosto 2008 - un oscuro blog dell'epoca arcaica fa incetta di nomination ai Macchianera Blog Awards, come si chiamavano a quel tempo. Sei anni dopo, c'è ancora qualcuno che lo vota, a dispetto di ogni buon senso e logica commerciale. 

Ciao, siete meravigliosi. Volevo ringraziare tutti gli affezionati lettori e in particolare le batterie di scimpanzé che Gianluca Neri evidentemente mantiene in cattività in un ambiente cablato (probabilmente spera che scrivano l'Amleto o magari qualcosa di meglio) e che anno dopo anno, quando si tratta di votare per i MIA, continuano a spuntare la voce "leonardo", probabilmente per inerzia. Anche quest'anno sono in lizza per il "miglior post" - mai meno meritato - e per il "miglior blog di opinione", inserito in un mazzo di avversari che mi polverizzeranno. Ve li presento qui di seguito, con un'avvertenza: STO SCHERZANDO. In realtà li stimo tutti molto. No, perché c'è chi si è bevuto la storia del critico musicale e quella della Gioconda falsa, e insomma non si mettono mai abbastanza mani avanti.



Dice che si è spento ieri sera alle 21 e 50.
Licenza Politica (www.licenzapolitica.it)

Licenza Politica è (apre la pagina) un "blog controcorrente, dall'anima liberale, liberista e libertaria": complimenti, mi sei già salita sulle palle col sottotitolo. E insomma sarà da vent'anni che sfracassate con la trimurti liberali-liberisti-libertari e ogni volta mi verrebbe da chiedervi: ma perché "libertini" no? Cosa v'hanno fatto i libertini, eh? Eh? Restif de la Bretonne non è forse degno di entrare nella vostra accolita di liberti liberati battenti bandiera liberiana? La notizia in homepage è che Stalin è morto. Giuro. No, è un effetto dei layout con le foto immense. Allora io posso anche sbagliarmi, dopotutto sono in giro solo da un milione di anni, però più grosse ci mettete le foto, più piccole sembrano le vostre opinioni. La più recente è sul fallimento dell'Unità, che sarebbe un "fallimento di mercato". Uhm, se ne può discut- NO. Che altro c'è? Un endorsement a Forza Italia perché a inizio luglio devono aver aperto alle coppie gay - me n'ero già dimenticato, per fortuna che c'è Licenza Politica che va controcorrente e mi ricorda queste verità scomode. "Quindi, chapeau Francesca e chapeau Cav. Se questo è il nuovo inizio di Forza Italia, forse la vera rivoluzione liberale non è ancora perduta". Qualcuno ha visto la salma di Gobetti di recente? Mi saprebbe dire quante rotazioni riesce a compiere nel minuto-secondo? No perché io ho questa idea che se riuscissimo ad attaccare una dinamo alla salma di Gobetti avremmo risolto il fabbisogno energetico di una popolosa provincia italiana. È pur vero che le hanno abolite. E poi lui è al Père-Lachaise direi. E coi francesi non si ragiona, loro hanno il nucleare da rivenderci. Les salauds. Stavamo dicendo?



Byoblu (www.byoblu.com)

Ora se ne va in giro per le capitali europee a spese nostre, ma c'è stato un periodo, ve lo giuro, in cui Claudio Messora sembrava più sfigato di me. Lo so che appare impossibile. Ricordo quando l'ho visto per la prima volta risalire le classifiche, e mi domandavo: ma chi è questo sconosciuto, ma cosa fa nella vita a parte dire di aver vinto il festival di Castrocaro? Niente. Aveva scoperto i blog (nel 2007, quando erano già stati dati per morti cinque o sei volte) e aveva mollato tutto per mettere su un videoblog. Pazzo! Avrei voluto dirglielo in faccia. Folle sconsiderato, torna subito a fare il compositore "con all'attivo molti dischi venduti in numerosi paesi del mondo", o il "Project Manager e Amministratore Delegato in start-up di innovazione tecnologica", qualunque cosa, ma lascia queste acque melmose. Non hai capito che uno su mille ce la fa, ed è comunque Beppe Grillo? Non so se fosse già infeudato con la Casaleggio. So che non se la passava bene e non ne faceva mistero:

Quanto tempo dedichi al blog? Per lungo tempo ho passato anche 2 o 3 giorni senza dormire. Questo è un videoblog e, a parte adesso che sto lavorando al Documentario INTERNET FOR GIULIANI, l’editing video, tra la registrazione, il montaggio, la conversione e via dicendo, è un lavoro massacrante. [...] Quindi la risposta finale è: 24 ore al giorno. Ma solo perché non ce ne sono di più.
Vedo che hai anche pubblicità nel blog e … quanto ti rende? Domanda ambigua cui, per i motivi che spiegavo prima, non credo di essere costretto a rispondere. Però, siccome non ho nulla da temere, ti allego questa immagine, uno screenshot delle entrate AdSense di oggi: click per scaricare. Potrai e potrete constatare che l’incasso di oggi, per il momento (ma la giornata volge al termine) ammonta a € 5,22, di cui €1,78 da proventi dei banner sul blog, e €3,44 da proventi dei banner sui video di YouTube. Non mi sembra una gran fortuna, soprattutto considerato che solo il server (macchina dedicata su Aruba) costa 1600€ all’anno, altri 1000€ se ne vanno per la connessione domestica alla rete, altri 240€ per quella mobile (se mi sposto, devo lavorare), 1500€ costa la videocamera, 500€ tra luci e cose varie, 600€ di microfoni, 2000€ tra Adobe Premiere e vari altri softare di montaggio video, un qualsiasi spostamento per raggiungere un evento o una persona da intervistare significa altre centinaia di euro, più altre spese che sto tralasciando. In più devi considerare che questo è il mio lavoro – non posso e non ho tempo di farne un altro, per cui ho smesso di fare l’informatico, che mi faceva guadagnare bene – per cui oltre alle spese vive dovrei anche riuscire a guadagnare per pagare il mutuo, la macchina, la scuola di mio figlio, la spese, le bollette, l’amministrazione del condominio e… devo continuare? :)

Era una domanda retorica, vero? No, cristiddio, non devi continuare. Ti sei pure fatto lo spazio su Aruba, seicento euro di microfoni, sei matto da legare. Hai un figlio, una macchina, un mutuo, le spese condominiali, qualcuno faccia qualcosa. Ero veramente preoccupato.
Adesso non sono più così preoccupato. So che di recente ha lasciato il ruolo di responsabile della comunicazione del Gruppo Parlamentare del M5S al Senato della Repubblica per assumere il ruolo di responsabile della comunicazione del M5S al Parlamento Europeo. Insomma direi che alla fine i microfoni li ha ampiamente ammortizzati.

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Dieci anni che mi manchi davvero

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26 agosto 2004 - Enzo Baldoni viene ucciso in Iraq.

Dieci anni prima io ero uno studente sbarbato senza gusto né cultura. Come tutti i miei coetanei guardavo molti spot, dicevo di preferirli ai programmi ma mentivo. Cercavo di capire come funzionavano, persino di apprezzarli, ma la maggior parte era già copie di copie di copie. A metà '90 ormai di spot che mi facessero alzare dal divano non ne trovavo più, a parte uno.



È stato forse davvero l'ultimo spot che mi è piaciuto. Non avevo naturalmente la minima idea di chi l'avesse inventato; magari un americano o un francese, era difficile imparare certe cose a quei tempi. Non si sapeva davvero a chi chiedere. Valeva per la pubblicità e per tantissime cose che non si trovavano né sui quotidiani né sui libri di scuola.

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Un agosto all'inferno.com

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Io poi per quanto posso cerco di restare positivo, ma sarei un ipocrita a negare che si sente un'arietta un po' difficile.
Non è solo la crisi mondiale - in fondo c'è sempre una crisi al mondo;
non è solo la crisi italiana - quale crisi? no, perché ne abbiamo avute tre di fila e forse arriva la quarta, cioè voi vi ricordate cosa c'era tra una crisi e l'altra?
non è solo la crisi del... come chiamarlo? Giornalismo? Non esageriamo. Mercato dell'informazione? Quel che vuoi, tanto è in crisi (per chi non lo sapesse) nera;
ma è proprio la crisi del blog in sé, che sta dentro a tutte le altre crisi come una matrioska e non se ne esce. Per fortuna che non lo faccio di mestiere (aspetta, è in crisi anche il mio mestiere). Ma insomma l'Unità liquida, Liquida non rinnova il contratto, e anche a Cuneo per un po' non usciranno film decenti, che si fa?

Cosa fate voi quando siete in difficoltà? Attaccati da tutte le parti? Andate Big, come si dice adesso? Vi percuotete il torso coi pugni per dimostrare che non siete ancora finiti? Non so se ho il torso adatto, fammi controllare, uhm, no.

Io un'idea ce l'avrei anche - tanto più che domani è agosto e come forse qualcuno saprà in agosto qui dentro scatta il pilota automatico e accadono sempre cose un poco strane: autobiografie musicali, crestomazie, decameroni - insomma ve la dico.

Io calerei le braghe.

When in trouble, pants off.

Volete il mercato? Pensate che io non sia capace di stare sul mercato? Vediamo, vediamo.

Cioè pensate che non sia capace di vendermi? La risposta è sempre quella: fatemi un prezzo prima, vediamo.
Comunque per un mese offro io, Free Trial. Sarà un agosto, uhm, caldissimo.

E ricordate: se amate la qualità, le discussioni lunghe e sensate, gli scambi di opinioni interessanti, l'ironia non troppo pesante, gli spunti intriganti... tornate a settembre (forse).

Siete pronti?
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Picchiare maestre, mendicare clic

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Qui non si mordono cani. 

La settimana scorsa, mentre vago su facebook in cerca d'ispirazione, una notizia ottiene la mia curiosità: una maestra è stata presa a schiaffi e a calci dai genitori di un suo alunno, a Roma. I motivi per cui questa informazione mi raggiunge sono molteplici, ma facilmente intuibili anche senza conoscere il misterioso algoritmo con cui fb decide quali notizie metterci davanti. Il fatto di avere molti amici insegnanti senz'altro fa sì che un fatto di cronaca del genere abbia più chance di apparire sulla mia bacheca, dove arrivano appunto le notizie che i miei amici segnalano e commentano.

Una maestra presa a calci, da questo punto di vista, sembra avere molte chance, eppure forse non bastava. Quello che ha smosso i miei colleghi a commentare la notizia - e a farmela notare - è stato l'atteggiamento di un cronista, che su un piccolo quotidiano on line l'ha commentata prendendo le difese dell'alunno. Come dichiara egli stesso nelle prime righe, la sua è addirittura un'arringa: "A scanso di equivoci premetto subito che la mia arringa sarà a favore dell’alunno e dei genitori e non della docente". Di seguito, una serie di affermazioni provocatorie che implicitamente giustificano la reazione violenta dei genitori: cosa aveva fatto la maestra di così orribile da meritarsi schiaffi e calci? Aveva messo una nota sul diario. Pare che non si possa più. "La comunicazione della “signora” maestra non è stata etica e il boomerang l’ha colpita ineluttabilmente. Un docente, non può perdere lucidità e competenza, non può perdere di vista l’obiettivo dell’insegnamento, quello di non offendere la dignità di un bambino. Il progresso scientifico, civile, normativo, culturale non può essere annullato da un modus operandi di ritorno della riforma Gentile nella scuola odierna. L’insegnante avrebbe dovuto prendere per mano quel bambino e cercare di capire quel “continuo disturbare” con un bacio, non con la spada".

A quel punto, voi come reagireste? Calatevi nei panni di un insegnante: un tizio sta scrivendo che una vostra collega si è meritata schiaffi e calci per aver messo una nota a un bambino, per aver offeso la sua dignità eccetera. Non vi viene voglia di reagire, magari con un commento ironico, stizzito, indignato, eccetera? Ecco, appunto. La stessa reazione l'ho avuta io, ma dopo alcuni secondi ho iniziato a sentire che qualcosa non andava. Devo avere sviluppato una specie di sesto senso, a furia di navigare tra newsfeed e bacheche. Quando sarebbe stata picchiata questa maestra? L'articolo non dava nessuna indicazione di tempo. Né di luogo. Una ricerca veloce su google news e sui principali quotidiani romani non mi porta a nulla. L'unico sito a parlarne è, appunto, quel piccolo "quotidiano indipendente" on line che ne approfitta per criticare la comunicazione della signora maestra. Altri siti riprendono la stessa notizia dal piccolo quotidiano. Insomma, ha tutta l'aria di essere una bufala. Una piccola, geniale bufala artigianale. Forse è questo che la rende, nel suo piccolo, più inquietante.

Questo si chiama "Corriere del Corsaro".
Ormai internet, e facebook soprattutto, ci hanno assuefatto a varie tipologie di bufale. C'è il sito sedicente satirico che non pubblica altro, e sei fesso tu se ci caschi; c'è il quotidiano prestigioso che approfitta di un equivoco e lancia a caratteri cubitali una notizia che sa benissimo essere falsa (ad es., Facebook chiude WhatsApp e simili). In quest'ultimo caso la bufala può anche essere mal confezionata, ma la maggior parte degli utenti ci casca lo stesso perché continua a fidarsi del nome del quotidiano; è un calcolo sbagliato, visto che persino i più importanti quotidiani italiani sono costretti ad attirare l'attenzione con questi mezzucci.

Ma quello che ha fatto il piccolo quotidiano on line in questione è interessante: non solo ha inventato una notizia, ma ha anche azzeccato il taglio giusto con cui affrontarla: un'opinione talmente provocatoria da forare il monitor e costringerci a commentare, a linkare, a segnalare. Chi ha scritto il pezzo, avrete notato, sa a malapena mettere la punteggiatura; ma ha già interiorizzato l'arte di farsi largo sulle bacheche: che in questa fase pare sia l'unica a garantire la sopravvivenza di chi su internet vorrebbe viverci. Siccome siamo - non so se l'avete sentito dire - in un periodo difficile: la carta non vende più, e su internet si fatica a conquistare inserzionisti. Bisogna dimostrare di avere tot accessi, e il modo per ottenerli è farsi notare su facebook: e su facebook ci si fa notare così. Tra le poche cose che abbiamo imparato c'è quella storia per cui la notizia è uomo-morde-cane: l'evoluzione 2.0 è fotoscioppare un selfie in cui morderemmo un piccolo di labrador linkando il nostro post in cui inneggiamo alla violenza sui cuccioli. Andrà a finire così? Le nostre bacheche - e il tempo che ci occupano - saranno sempre più piene di questa merda inutile?

La mia speranza è che il sistema si auto-regoli, come si è regolato tante altre volte in cui temevamo che qualcosa avrebbe ucciso internet e invece alla fine no. Troveremo un nuovo equilibrio: per esempio diventeremo sempre più bravi a evitare le bufale. Quel sesto senso che ha cominciato a pizzicarmi, pochi secondi dopo aver letto il pezzo sulla maestra malmenata, diventerà un'abilità sempre più diffusa. Per fare un altro esempio, io ormai le liste non le clicco più. Se leggo "Non crederai..." o qualche altro titolo alla buzzfeed, non ci casco più. Preferisco non pensare a quanti mesi ci ho perso, ma ne sono uscito. Mi piace pensare che è una fase come tante altre, e finirà come è finito myspace o second life o la grande classifica dei blog.

Ma chissà se è vero. Certe dinamiche erano più chiare quando internet era un club più o meno riservato: oggi ci vengono tutti, veramente tutti, i soldi continuano a essere pochini ma fuori evidentemente ne girano persino meno, e la concorrenza comincia a essere pesante. Far sì che un mio pezzo non affondi al primo rimbalzo sui social network è sempre più difficile. Capisco benissimo il perché: pezzi lunghi, argomenti di nicchia - per farla breve, non mordo cani. E allo stesso tempo, continuo a provarci: se la parola "grillo" in un titolo vale cinquecento clic in più, non ho vergogna a usarla. Internet ha sempre funzionato così, non è che uno può accorgersene all'improvviso nel 2014. Uno spazio recintato per intellettuali al riparo dalla corsa al link non c'è, e se ci fosse non mi farebbero comunque entrare.

Non ho intenzione di stilare un manifesto per la resistenza umana su internet o cose del genere. Avverto solo che resterò ancora un po' qui, cercando nuove formule di compromesso tra intelligenza ed esibizionismo, segnalando e commentando le cose interessanti che troverò sul mio cammino, e cercando di ignorare tutto ciò che cercherà di farmi perdere il tempo. Finché continuerà a essere divertente: fin qui lo è stato molto, almeno per me. Spero anche per voi.
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Won't you let me walk you home from school?

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Mamma come passa il tempo.


Questo blog compie 13 anni, bisogna avere molta pazienza.


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Tredicesimo mese del tredicesimo anno

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In azzurro il 2013, in arancione il 2012. Dai dai dai!
Consuntivo 2013

Buon anno, ed eccoci arrivati al consueto autoreferenziale appuntamento. Il titolo di questo pezzo avrebbe dovuto essere "a proposito, il blog è vivo", o "lunga vita a...", ma me lo ha bruciato Kottke e non è che fosse poi questa idea geniale dopotutto.

Bisogna spiegare che il consuntivo dell'anno scorso si chiamava "a proposito, il blog è morto", e proprio in virtù di questo titolo (variazione su un tema abusatissimo) fu molto condiviso e aprì una discussione sullo stato della blogosfera, vi giuro che una volta la chiamavamo davvero così: blogosfera. La discussione aveva poco a che fare col contenuto del pezzo in sé; giustamente molti non ritennero necessario andare molto oltre al titolo, appena quanto necessario a scoprire che il blog di cui si dichiarava la morte era il mio. Non "il Blog" in generale, ma proprio questo mezzo zombie che state leggendo. Alla fine del 2012 se ne constatava il decesso: non era più un blog nel senso tradizionale del termine, somigliava sempre meno al diario personale; stava diventando semplicemente una raccolta di lanci di pezzi che finivano altrove (sull'Unità, sul Post, su +eventi), e benché ad alcuni lettori la cosa dispiacesse a me sembrava inevitabile, amen, addio. Sono morto, alè! Fiammata di accessi.

E non è nemmeno la prima volta. Trucchi di repertorio.
Invece a fine 2013 titolare "il blog è vivo" suona meno interessante. Di sicuro non farà nessuna fiammata. Per fare le fiammate bisogna dichiarare la morte di qualcosa, te lo insegnano nelle redazioni il primo giorno, credo. Poi resta tutta da dimostrare - la vita, intendo.

- The blogs are alright
Non la vita dei blog in generale. Quelli se la passano molto bene, persino in Italia. È vero, la vecchia guardia ormai ha mollato, resta soltanto qualche pittoresco superstite con gli abiti tradizionali, la gente passa e si fa gli autoscatti. E intanto però Diego Bianchi e Makkox hanno un bel programma su rai3; Zerocalcare è stato uno dei casi editoriali dell'anno, è tutta gente che abbiamo conosciuto sui blog, anche se suona un po' strano dirlo in giro. Ormai in determinati contesti se dici "blogger" non parli più di internet, ma di cucina (o di moda, quest'ultima in Italia con sfumatura ironica obbligatoria). E di sicuro mi dimentico qualche altro caso importante - ah, giusto: Beppe Grillo ha quasi vinto le elezioni. Insomma sì, facebook si sta mangiando internet, e anche twitter è tantissimo importante, però i blog ci sono, non sono affatto morti, chi ha detto che sarebbero morti? L'ho detto io? Mi avete capito male, io intendevo il mio. Comunque non è morto neanche il mio dopotutto.

- Anch'io me la cavo tutto sommato 
Questo non era previsto. È la prima volta da quando ho messo analytics (2009?) che gli accessi aumentano rispetto all'anno precedente. +5% le visite, +4% le pagine visualizzate, ok, bruscolini, ma stavo perdendo un dieci per cento all'anno. Potrebbe trattarsi di un semplice rimbalzo tecnico: ovvero, era quasi impossibile andar peggio dell'anno scorso. In realtà avrei persino potuto farcela - ma ci sono state le elezioni. A dire il vero di elezioni ce ne sono state tantissime in 13 anni di blog, ma queste sono state particolari. Per fare un esempio, due pezzi scritti qualche giorno prima e qualche giorno dopo delle elezioni, oltre a essere i due pezzi più letti in assoluto negli ultimi quattro anni, in totale hanno fatto più traffico dell'intero mese di agosto. È come se il 2013 avesse avuto 13 mesi: gennaio, febbraio, beppegrillo, marzo, eccetera.

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21/dic/2013, 111 commenti
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16/nov/2013, 203 commenti
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- Picchi e zoccolo
Quindi il blog sta crescendo? Sì e no. Bisogna separare picchi e zoccolo. Fino a qualche anno fa la maggior parte del traffico di un sito come questo era costituito da lettori abitudinari: gente che ti legge tutti i giorni o con cadenza comunque fissa. Ti conoscono, hanno il tuo indirizzo nei preferiti, o un feed reader che sforna sul loro video ogni tuo post appena pubblicato. Ovviamente uno zoccolo di questo tipo va manutenuto e rassicurato, mediante la ripetizione di contenuti noti (il numero contro Berlusconi, ecc). Lo zoccolo si sta erodendo da anni, è uno sfarinamento lentissimo e apparentemente irrimediabile, la congiura del tempo che passa, dell'autore che si rincoglionisce, dei suoi lettori che si stancano e non vengono rimpiazzati da più giovani, di google che ritocca gli algoritmi, ecc.. In compenso stanno aumentando i picchi: anche quest'anno, nel 2012, i tre post più letti sono anche i più letti degli ultimi quattro anni. I picchi sono quei momenti straordinari, non calendarizzabili, in cui il tuo blog fa cinque, dieci volte gli accessi normali. I lettori del picco non sanno chi sei, raramente hanno letto altre cose di te. A volte non sanno nemmeno di essere su un blog. Arrivano per lo più da facebook (twitter ci prova, ma non ce la fa). Invece un tipo di traffico che non esiste praticamente più è quello in arrivo da altri blog. Non ci linchiamo più. Perlomeno, gli altri non mi lincano più, io cercherò di continuare e di lincarvi anche più spesso, non bisogna arrendersi. Anche se alla fine anch'io spesso finisco per trovarvi su facebook. E anche voi, ammettetelo, magari mi avete nei preferiti, ma non ci cliccate più da un pezzo. Invece se mi trovate in bacheca e se il titolo vi stuzzica, clic...

Questo più o meno dà un'idea di cosa sarà andare a pesca di lettori nel 2014: aspettatevi titoli accattivanti, ma anche didascalici (sull'Unità dopo trenta caratteri te li segano, e se metti "Grillo" davanti il tuo contenuto vale il doppio), a cui seguiranno contenuti sempre più brevi perché anche voi vi state stancando di scrollare. E casomai qualcuno chiedesse: sì, questo blog i lettori se li va a cercare, è la parte divertente del gioco (e i soldi? sempre troppo pochi per parlarne).


- Zeitgeist: c'è dell'aggressività
Oltre a essere state il climax dell'anno (un po' troppo in anticipo), le elezioni ne hanno anche determinato la tonalità dominante, un livido giallino. Non c'è più un obiettivo comune contro cui dare addosso tutti assieme, qualcosa che rassicuri nel momento stesso in cui lo si attacca: non c'è più il bel Berlusconi di una volta, insomma. Qualcuno sta provando a sostituirlo con Napolitano - perlomeno ho la sensazione che molte critiche a Napolitano, più che da un'analisi attenta dell'esercizio delle sue prerogative durante il primo e il secondo mandato, nascano dalla necessità psicologica di trovare un tizio contro cui dare addosso tutti assieme, da sinistra, da destra, da Grillo che non vuole star troppo né da una parte né dall'altra, eccetera.

Io poi non è che mi intenda molto di nulla, però sto in questa grande gabbia globale da un sacco di tempo e fidatevi: era da anni che non sentivo tanta aggressività nei commenti o nei trollaggi. Dal 2003, più o meno, la seconda guerra del Golfo, quando quasi dal nulla spuntò una rete di blog neoconservativi molto bellicosi. Uno dei loro distintivi era il motto "antropologicamente inferiore", che risento oggi rimasticato da qualche grillino inconsapevole - magari è la stessa gente, o almeno gli ultracorpi hanno preso le medesime sembianze. Se poi mi chiedete che fine abbiano fatto tutti i tizi che a quel tempo difendevano la guerra al terrore, la guerra conto le armi di distruzione di massa, la guerra per l'esportazione della democrazia, insomma la guerra, non lo so: sono scomparsi dal radar alla spicciolata, uno alla volta. Un po' mi mancavano. Adesso ci sono i grillini. Sembrano meno equipaggiati dei loro antecedenti; raramente un loro link esce dagli angusti confini linguistici del bel Paese dove il sì suona e nessuno sa scriverlo con l'accento. Si incontrano probabilmente su facebook, ma chi sono io per giudicarli. Anch'io sono sempre più spesso su facebook. È una cosa che ho notato.

- Facebook è tutto ormai
Se devo fare un'analisi dei miei comportamenti, direi che il 2013 è l'anno in cui mi è passata la scimmia di twitter. Continuo a usarlo per lincare contenuti interessanti, oltre ovviamente a qualsiasi cosa provenga da qui (è autopromozione, è l'unica cosa che funzioni, mi dispiace). Ma dove li trovo i contenuti interessanti? Su facebook, appunto. È un ambiente che non mi è mai piaciuto, e che non ho mai avuto la pazienza per voler capire (ma mi domando se qualcuno ci capisca sul serio, Zuckerberg incluso). Ci sono entrato anni fa nel tentativo di capire che tipo di traffico mi stesse mandando, informazione che Zuckerberg ha deciso di tenersi stretta. Ho accettato qualsiasi richiesta di amicizia e il risultato è una bacheca piena di sconosciuti che socializzano cose che quasi mai dovrebbero interessarmi - e invece sta davvero diventando la mia finestra sul mondo. Questa è una delle tante novità inquietanti del 2013 - l'altra è che sto per coprire col nastro adesivo la webcam. Ho letto che Attivissimo l'ha già fatto da un pezzo e tutto sommato mi sembra la cosa giusta da fare. Se me l'avessero raccontato un anno fa mi sarei messo a ridere. Un argomento su cui non ho scritto una riga è il caso Snowden. Non avevo in effetti niente di originale da dire. Ma l'inquietudine sottile che abbiamo sentito da quel momento in poi è forse la cosa più importante che tratterremo dal 2013. Buon anno. Difficilmente potrà essere peggiore.
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Portalizzami questo

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È un politico? Un comico? Un megafono? Un cazzaro?
No, è il SuperCazzaro
Magari è soltanto una coincidenza, ma due giorni fa ho chiesto da questo blog a Grillo e soci: la benedetta piattaforma per la politica duepuntozero, dov’è? Bene, ieri in primo piano su beppegrillo.it c'era un pezzo rivolto a certi "giornalisti pidimenoellini" che "o sono scemi o sono orbi", visto che continuano a chiedere come va la piattaforma e non capiscono che "il Sistema Operativo del MoVimento 5 Stelle è in costruzione da due anni". Per concludere con un enigmatico postscriptum:

 Ps: per i giornalisti dubbiosi: "Una piattaforma non ve la daremo mai. Nel frattempo studiate. applicatevi, portalizzatevi!"

Dunque insomma una piattaforma non ci sarà mai. O ci sarà e non ce la daranno, se la terrano per sé. Boh. Magari è soltanto una coincidenza. O magari Grillo aveva in mente proprio me, quando ieri descriveva nel dettaglio questo Sistema Operativo a cui sarebbero già iscritti novantamila utenti (sì, ma gli elettori del M5S sono otto milioni, come dire cento volte tanto). Però su quell'articolo si è rovesciata la rabbia e la delusione di centinaia di sedicenti elettori del MoVimento, che la piattaforma la aspettano da mesi o da anni.

"Questo post è al limite dell'offensivo..." si legge nei commenti, "Quindi ci dovremmo accontentare piú o meno del portale com'é adesso? quand'é l'ultima volta che la benedette "rete" é stata interpellata? a quando la possibilitá di votare contro le proposte sul forum?"; "Questo post è una vergognosa presa per i fondelli di tutti quegli attivisti (e non trolls) che aspettano da mesi la piattaforma per collaborare con i propri dipendenti in parlamento...fate un salto sul forum del movimento, un guazzabuglio allucinante..."; "Ma cos'e' sto post presa per il culo??? Si chiede uno strumento di partecipazione e ci sentiamo dire che quello che c'e' è già ok?? Ma quandomai?? Chi decide quando far votare e su che cosa? Come puo' una idscussione di quel forum orribile arrivare ai paramentari? Ma stiamo scherzando? Piuttosto meglio fare un mea culpa e dire SIAMO IN RITARDO ma dire che siamo già a posto con quello che c'e' già è veramente un offesa a chi vuole partecipare..." Centinaia di commenti su questo tono. Mi fa piacere che Grillo&co. non li abbiano censurati, e spero che abbiano nei prossimi giorni il tempo per rifletterci su.

Quanto a me, naturalmente mi sentirei onorato di aver generato una discussione su un sito tanto importante - anche se forse ieri avrei preferito trovare almeno un accenno alla tragedia di Lampedusa, una riflessione sulle politiche migratorie italiane che sono come minimo da rivedere. Ma è un argomento che lascia un po' freddi i leader M5S. E allora parliamo di piattaforme, è comunque un argomento da affrontare prima o poi. Vorrei soltanto precisare una cosa: non sono un "giornalista". Sono solo un tizio che scrive su un blog. È una differenza importante, e Grillo dovrebbe essere il primo a saperla apprezzare.

A un giornalista, magari, la supercazzola di un "Sistema Operativo del M5S" si può anche rifilare: e infatti ieri ne hanno parlato con solerzia e diplomazia, tra gli altri, la Repubblica, il Fatto Quotidiano e la stessa Unità. È giusto così: i giornalisti riportano le notizie, e qualsiasi sparata di Grillo sulla sua homepage in questo momento costituisce notizia. Anch'io scrivo sull'Unita.it, però non sono un giornalista: sono un blogger, e se Grillo sta scrivendo un sacco di fregnacce senza riscontro, lo posso dire tranquillamente, senza diplomazia: Beppe Grillo, per favore, smetti di dire un sacco di fregnacce senza riscontro, non ci casca nessuno. Non esiste nessun "Sistema Operativo del M5S". C'è una mailing list, sì, ce l'avevano anche il PDS e Forza Italia a fine anni Novanta. C'è un forum, beh, io non mi vanterei troppo in giro di quel forum. C'è la possibilità di fare qualche sondaggino on line tra gli iscritti per scegliere questo o quel candidato, ma le quirinarie hanno dimostrato che il vostro sistema non regge poche decine di migliaia di accessi. Poi ci sono alcuni strumenti veramente innovativi (ad es. liquid feedback, anche se personalmente resto scettico) che molti attivisti vi implorano da mesi - da anni! - di utilizzare, e ci sono le vostre orecchie da mercante. E non c'è la risposta alla mia domanda: come fate a sapere che i vostri elettori non vi vogliono al governo? Perché potete fare tutte le parlamentarie che volete, ma il punto - se davvero credete nella democrazia diretta - non è chi mandate in parlamento: loro dovrebbero essere signor Nessuno, meri esecutori della volontà popolare. E quindi: come faranno questi signor Nessuno a capire qual è la volontà popolare? Un sondaggino on line per ogni voto alla Camera o al Senato? Siete seri? E se siete seri, perché non lo state già facendo? Se invece non siete seri, con che faccia continuate a prendere in giro i vostri elettori?

Concludo allegando un'antologia di commenti che in tanti modi più o meno fioriti dicono a Beppe e soci la stessa cosa: basta supercazzole, sul serio state provando a venderci una mailing list e un sondaggino on line come un "sistema operativo"? Lo so, è una mossa veramente squallida pescare nei commenti altrui. Un giornalista non lo farebbe. Ma io sono un blog, Beppe, ci devi stare più attento. Se non lo sai tu, come funziona...

Ho votato M5S e studio e lavoro nell'informatica da quasi 30 anni. Questo post è un suggeguirsi penoso di stupidaggini informatiche, ed il tono (studiate! portalizzatevi!) viste le premesse è semplicemente ridicolo.
Mi piacerebbe avere l'indirizzo e-mail di chi l'ha scritto in modo tale da farmi ri-definire in privato cosa vuol dire "Sistema Operativo"... (per inciso, DATABASE è un'unica parola).

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Sei e più tipi di eroi al caffè

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Spiana li monti, sfonna, spara, ammazza...
Per me - barbotta - c'è una strada sola...
E intigne li biscotti ne la tazza.
Per molto tempo siamo riusciti a ignorare la Siria. C'era la campagna elettorale, poi la campagna post-elettorale, poi bisognava fare il governo, poi disfarlo... In mezzo a tutto questo, anche chi aveva lo stomaco per dare un'occhiata alle notizie dal Medio Oriente trovava quasi sempre guerre e rivoluzioni più promettenti. Finché Obama non si è arrabbiato per vie di certe armi chimiche, e insomma finalmente è venuto il momento di discutere di Siria: con la competenza e la serietà che contraddistingue noi eroi al caffè, opinionisti della domenica ma ormai anche del fondo del lunedì. Può anche darsi che fino a qualche ora fa ignorassimo l'ubicazione della Siria sul planisfero: non è cosa che ci scomponga, la geografia, figurati, bruscolini, pinzillacchere. Ciò che conta, quando si parla di Siria o di Egitto o Birmania o Sarcazzo, è la rapidità con la quale riusciamo a declinare le due o tre opinioni prefabbricate che scriviamo da vent'anni, sempre le stesse. Ci riconosci? Siamo un po' dappertutto, su blog e su carta e ogni tanto finiamo pure in diretta al parlamento; ci dividiamo in simpatiche tribù, vediamone alcune.

Gli Stranamore
E vabbe', in Siria gasano i civili, che problema c'è? Si bombarda. No, ma sul serio, stiamo ancora a discuterne? con tutti i Cruise negli arsenali Nato da rottamare? Bombardiamo, ha sempre funzionato, no? Vedi la Serbia.
"Veramente finché non sono entrate le truppe da terra, Milosevic è restato lì".
"Sì, vabbe', allora vedi l'Iraq".
"Ahem".
"Che c'è?"
"...no, niente".
Gli Stranamore amano il bombardamento per il bombardamento: quasi mai si ricordano come sia andata a finire la storia in Iraq o altrove, loro di solito ronfavano del sonno postcoitale dei giusti. Non c'è crisi umanitaria che non si possa risolvere con un'operazione chirurgica, mirata, un bel megatone di argomenti. Obama questa cosa non la capisce, perché è un pappamolle, un insicuro, uno che perde tempo a chiedere il parere del Congresso, vi rendete conto? Del Congresso. Non ti basta il parere di Gianni Riotta?

Gli amerikanisti
È successo qualcosa di brutto? A Damasco, o a New York, o a Pearl Harbor, o dovunque? Se è qualcosa di veramente brutto, il colpevole si è già tradito: infatti esiste una sola entità veramente malvagia in questo mondo, e tutto ciò che è veramente brutto non può che derivare da lei. Tale entità è ovviamente l'Amerika. Crollano le Twin Towers? È stata l'Amerika - oh, l'ha detto un deputato alla Camera, pare che non ci siano più dubbi: era un complotto dell'Amerika per gettare l'Amerika nel panico. In Siria gasano i civili? Chi può essere così malvagio da vendere gas venefici a uno storico alleato dei russi? È evidente, no? No? Non resta che lasciare la parola all'esperto:
Ora però la situazione si è fatta grave, perché un gran numero di civili, bambini in particolare, sono stati uccisi dal gas nervino che solo i mercenari, i tagliagole, i ribelli, bene armati e foraggiati attraverso mille triangolazioni dagli Stati Uniti possono aver diffuso. Quale interesse avrebbe avuto il governo siriano ad ammazzare civili, se non guadagnarsi impopolarità? Quindi sono stati gli Stati Uniti a fornire ai tagliagole questo gas letale. Le televisioni fanno di tutto con la loro informazione assassina per confondere le idee alla gente, quando la situazione invece è estremamente semplice, e non rimane che sperare sui deputati e senatori del Movimento 5 Stelle... (Mario Albanesi, non so chi sia ma era in home sul sito di Beppe Grillo, per cui tenderei a fidarmi)
I semplicisti
Hanno letto che in Siria c'era un dittatore e hanno pensato: brutto! Poi hanno saputo che c'era una rivoluzione e si sono detti: bello! Però la rivoluzione è diventata una guerra civile e hanno pensato: mah, non tanto bello. A un certo punto hanno scoperto che tra i rivoltosi c'erano molti integralisti islamici: bruttissimo! Lo stavano per scrivere, quando il dittatore si è messo a gasare gli avversari, e adesso i semplicisti sono un po' in imbarazzo. Perché la vita è così complicata? Se solo si potesse trasformare una guerriglia senza quartiere tra un dittatore baathista sostenuto da russi ed hezbollah e uno schieramento eterogeneo sempre più dominato da jihadisti e predoni in qualcosa di più semplice, che so, Buoni contro Cattivi, o meglio ancora... Pace contro Guerra! Viva la pace! Muoia la guerra!
"E come la uccidi?"
"Uffa ma lo vedi che lo fai apposta?"

Gli elefanti
Non li sottovalutare. Vanno piano, ma non li smuovi, e si ricordano tutto. Hai un'opinione sulla Siria? Pensaci bene prima di condividerla. Potrebbe non essere coerente con quello che pensavi ai tempi di Srebrenica.
"Ma io ai tempi di Srebrenica... non ero ancora nato".
"Allora è stato tuo padre".
Gli elefanti sanno che nel 1991 hai occupato il liceo contro la Guerra nel golfo, e quindi le tue mani sono sporche di sangue bosniaco e kossovaro, e non intendono passarci sopra. In effetti non hanno la minima idea di cosa stia succedendo in Siria o altrove da almeno dieci anni in qua, continuano a prenderla coi pacifinti dei cortei del 2003. Si sono legati al dito delle cose che ormai si ricordano soltanto loro. L'unica guerra che gli interessa davvero è quella che hanno combattuto dall'11 settembre in qualche forum o blog dimenticato da Dio in cui si annidano ancora, gli ultimi giapponesi.

Gli israelomani
Una sottospecie di elefante che non si è mai veramente ripreso dall'Intifada. Esiste solo Israele. Purtroppo è minacciato nella sua stessa esistenza. Occorre difenderlo a ogni costo. Per esempio, se in Siria un dittatore massacra la popolazione coi gas, l'israelomane si gonfierà di sdegno, non tanto per il dittatore, ma per chi in Italia perde tempo a criticare Israele. Che magari potrebbe anche avere commesso qualche errorino, l'israelomane non lo esclude a priori, ma... con che faccia si può criticare Israele mentre a pochi chilometri di distanza accade ben peggio? E siccome ci sarà sempre qualcuno a mille o diecimila km di distanza che si comporta peggio di Israele, ne consegue che Israele non può essere criticato.
Ogni volta che ammazzano arabi fuori da Israele, l'israelomane dà l'impressione di goderne. Non perché muoiano arabi, no, come si può anche solo pensare che l'israelomane goda per la morte di arabi? Ma si tratta di dimostrare che Israele li tratta meglio: infatti è indubbio che ne ammazzi di meno. Chi perde tempo quindi a criticare Israele è antisemita, cvd.
L'israelomane ha una domanda retorica ricorrente: perché gli unici arabi che ci interessano sono quelli un po' oppressi da Israele? Perché i tiranni giordani, iracheni, libanesi, egiziani, siriani possono massacrarli senza destare la nostra indignazione? Perché siamo tutti antisemiti, certo. Inutile protestare, inutile cercare di dimostrare che (per quel poco che è servito) ci siamo indignati anche per quel che succedeva in Giordania o in Iraq o in Egitto o adesso in Siria. Anche negli ultimi mesi si è parlato nei quotidiani italiani più di Siria (comunque poco) che di Palestina, ma l'israelomane che ne sa. Filtra solo le notizie che parlano di Israele. Ne deduce che tutti criticano soltanto Israele.


I Cavalieri dell'Ovvio
Per ogni mille blog che ci fanno sapere che la guerra è brutta, c'è almeno un editoriale di Ernesto Galli Della Loggia che ci tiene a farci sapere che purtroppo è ineliminabile. Ci avevate mai pensato? Sì. Ma avevate mai pensato a quel che pensavate pensando di pensare?
C'è infine un argomento molto usato per dirsi in generale contro la guerra: «La guerra non ha mai risolto alcun problema». Nella sua perentorietà l'argomento è però palesemente falso. Dipende infatti dalla natura dei problemi: non pochi problemi la guerra li ha risolti eccome (penso a tante guerre per l'indipendenza nazionale, ad esempio); per gli altri bisogna intendersi su che cosa significa «risolvere»
Un dibattito sul significato di "risolvere", professore, ma è sicuro che siamo pronti a un simile sforzo ermeneutico? Non è che prima ci dovremmo intendere su che cosa significa "significa"? Ed è nato prima l'uovo o la gallina? Ok, Sartori prima di entrambi, ma qual è l'anello di congiunzione? Sartori partorì il primo uovo da cui la prima gallina? Sartori si evolse in pollo da cui il primo uovo? Tutto ciò merita un supplemento di indagine.

(potrebbe pure continuare)
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Certi applausi ormai son dovuti per amore

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Sparring partner

Ogni anno il Macchianera Italian Awards diventa più grande, e il mio blog no. Eppure tra i centomila e più utenti internet che ogni estate si ricordano di spedire la schedina coi propri blog preferiti, dispersi più o meno a metà di una coda che immagino lunghissima, c'è ancora qualcuno che si ricorda il mio indirizzo.

Miglior articolo
Miglior blog
d'opinione
Non so perché lo fa. Abitudine, inerzia, e poi diciamolo, al giorno d'oggi chi è che scrive ancora un "blog d'opinione". Nessuno sano di mente pensa che ai lettori interesseranno semplicemente le proprie "opinioni". Bisogna scegliersi un campo più ristretto, cucina cinema sesso (buffo, in realtà no, sui blog italiani il sesso non ha mai veramente sfondato).

In ogni caso, grazie; anche se le speranze di vincere (contro Grillo, Zoro, Civati) sono ogni anno sempre più risibili. Quest'anno anche la gara per il "miglior articolo" sarà molto dura. Il mio non è di certo il più interessante, ma è un record personale che non sono sicuro di voler infrangere (più o meno ventimila accessi unici). Per spingere un mio post così in alto serve, di solito, qualche disgrazia, meglio se collettiva.

(Non credo che ce la farò ad andare a Rimini, salutatemi tutti).

Ah, non so se si possa dire, ma sono anche finalista al premio Rioba 2013, "miglior blog politico del 2013". Non ho idea di chi siano gli altri, ma l'immagine della giuria di qualità che cerca di capire chi sono e cosa rappresento leggendo le mie poesiole anni Novanta mi lascia pochi spiragli, diciamo.
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I blog del Fatto non esistono

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(No, non esistono nemmeno i blog dell'Unità, se è per questo).

Una merendina non è un'opinione

Per prima cosa vorrei esprimere solidarietà a Dario Bressanini, che si accomiata dal Fatto quotidiano, (via .mau.) prendendosi quella che chiama "pausa di riflessione".
Vi confesso che sono sempre più a disagio nello scrivere qui dentro. Per via della “compagnia” che si è aggiunta nel tempo:  complottisti dell’11 settembre, antivaccinisti, “esperti” di energia che sbagliano le unità di misura, “esperti” di nanoparticelle nelle merendine, teorici della decrescita, omeopati, teologi assaggiatori di vino che concionano di ogm invece di parlare di Barolo o Barbaresco e così via. Io ci metto settimane o mesi a leggermi la letteratura scientifica originale e a scrivere un articolo, mentre a scrivere una cazzata con un copia e incolla ci si mette mezz’ora. E dopo neanche un giorno il mio pezzo è svanito dalla home page, scivolato via nel mischione generale insieme a tanti altri con cui francamente non voglio essere associato. Non vale la pena fare tanta fatica.
Forse no, non ne vale la pena. Dipende soprattutto dal valore del tempo che uno ha. Io ho sempre pensato che valga la pena di scrivere in qualsiasi posto ti chiedano di farlo, per dire se Casapound mi desse uno spazio per me varrebbe la pena di scriverci: ovviamente parlando male di Casapound. Secondo me devono sempre essere gli altri a buttarti fuori. Ma la frustrazione di Bressanini la capisco benissimo. Anche adesso, in calce al suo bel post in cui spiega con dovizia di fonti che gli ortaggi bio non risultano più sani degli altri, c'è un bel link a un altro post del Fatto titolato: "Biologico... gli studi dicono che fa vivere di più e meglio".

Per seconda cosa vorrei cercare di spiegare a Peter Gomez, direttore del Fatto on line, che non può giustificarsi con Bressanini scrivendo, come ha fatto, che "lo spazio dei blog è semplicemente uno spazio libero dei lettori", un modo molto liberale per dire che non ha intenzione di controllare le eventuali imprecisioni e cazzate dei suoi blogger. Non può, non per una questione deontologica - cioè, volendo ne potremmo anche parlare - ma voliamo un po' più basso: la distinzione di Gomez tra "blog" e "spazio a destra del sito" non esiste più, se è mai esistita, nella percezione dei lettori.

Voglio dire che il lettore medio che apre l'home del Fatto, o che carambola sul Fatto da un link condiviso, non coglie nessuna differenza tra blog e "contenuto a destra". Anche perché tra i "blog" a sinistra ci trova tutte le firme più autorevoli del Fatto, e altri personaggi di indubbio spessore: Jacopo Fo, Nando dalla Chiesa, Loretta Napoleoni, e ne dimentico senz'altro di importantissimi. Se poi in mezzo a questi c'è l'esperto di nanoparticelle nelle merendine, non è il caso di nascondersi dietro al concetto di "blog": qualunque lettore capiterà su quel contenuto avrà la chiara percezione di leggere un pezzo del Fatto Quotidiano, scritto da un giornalista o collaboratore del Fatto Quotidiano. Le cui informazioni sono state controllate dalla redazione del Fatto Quotidiano. Anche se non è così.

Parlo per esperienza: tre anni fa ho iniziato a tenere una rubrica settimanale sull'Unita.it, che poi è diventata un "blog" senza che io stesso avessi ben chiara la differenza. Forse perché la differenza non c'è. I commentatori continuano a chiamarmi "giornalista" e sono convinti che io rappresenti la linea del giornale. Ogni volta che provo a spiegare che sono una cosa diversa, e cioè un "blogger", mi sento un po' più ridicolo, quasi che volessi reclamare una verginità che probabilmente non merito. Al lettore non fa nessuna differenza: sulla pagina c'è scritto Unità, fine. E in effetti, l'unica differenza che mi viene in mente è che i contenuti dei blog non sono verificati dalla redazione. Ma il lettore questa cosa non la sa, e nessuno si sta premurando di informarlo.

Gomez me lo ricordo tre anni fa, quando gelò il pubblico di un blograduno annunciando: "abbiamo quattrocento blogger che lavorano per noi assolutamente gratis [...] speriamo che questi quattrocento diventino presto quattromila". Per molti dei presenti fu la campana a morto di ogni speranza di essere pagato per i propri contenuti, ma Gomez era troppo felice per accorgersene: che figata il 2.0, la gente che non vede l'ora di scrivere gratis per te, come una volta erano tutti felici di sfoggiare gli adesivi pubblicitari su automobili e suppellettili. In pratica ospitare dei blog per un quotidiano è questo: offrire gratis la propria testata come un adesivo, da sovrapporre a qualsiasi cazzata. E la gente le legge. Quattrocento blog, almeno 400 contenuti non controllati alla settimana, qualche cazzata ogni tanto scapperà; e la gente le linka, le condivide, crea traffico, genera guadagni, è bellissimo. Qual è l'inconveniente?

Gomez non è un ingenuo, credo che sappia benissimo qual è l'inconveniente: quei 400 blog con l'adesivo del Fatto Quotidiano sono il Fatto Quotidiano. Il lettore li percepisce come Fatto Quotidiano. Se parlano delle nanoparticelle delle merendine, il lettore riterrà di avere letto sul Fatto una notizia sulle nanoparticelle nelle merendine. Non un'opinione: un'informazione. Capisco che un quotidiano consenta opinioni diverse, ma una merendina alle nanoparticelle non è un'opinione. O esiste - e allora mostramela, fuori la fonte. Oppure non esiste. E allora mi stai dicendo una bugia. E se sul tuo post c'è l'adesivo del Fatto Quotidiano, il FQ mi sta dicendo una bugia.

Non esistono blog del Fatto, o blog dell'Unità, o blog di altre testate giornalistiche. Esistono pagine web del Fatto, articoli del Fatto. I lettori non notano la differenza, e fanno benissimo a non notarla. L'unica differenza importante è tra fatto vero e cazzata. Un quotidiano che lascia libero accesso a collaboratori, e che non controlla le potenziali cazzate, ha evidentemente deciso di privilegiare un certo tipo di quantità su un certo tipo di qualità. Magari per ora ha ragione. Io spero che il tempo gli darà torto.
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Il Blog al potere

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Un giorno un osservatore perspicace ha detto che l’Italia fascista era diretta come un grande giornale, nonché da un grande giornalista: un’idea al giorno, dei concorsi, delle sensazioni, un abile e insistente orientamento del lettore verso alcuni aspetti della vita sociale, smisuratamente ingranditi, una deformazione sistematica della comprensione del lettore. Insomma i regimi fascisti sono regimi pubblicitari*.
Mi sembra doveroso avvertire i lettori che forse tra me e Grillo c'è una questione personale. Ovviamente lui non lo sa. Ma in sostanza mi ha rubato il giocattolino, e non glielo perdonerò mai. Io ci ho un blog da milioni di anni, tempi in cui lui spaccava i pentium con le clave, ok, storia vecchia, però mai, mai mi sarei aspettato che si potesse andare al potere con un blog, e infatti non ci sono andato. Invece lui ci sta riuscendo, e il discorso "ma era già prima un personaggio tv" funziona fino a un certo punto. È vero, era un personaggio tv, ma in un qualche modo è davvero diventato un blogger. Ha tutto del blogger. L'ansia di spiegare il mondo in quaranta righe. L'attitudine litigiosa che diventa metodo induttivo-deduttivo-abduttivo-qualsiasi metodo, cioè in pratica non c'è problema che non si possa risolvere insultandolo a lungo. I link spacciati come fonte. Il Blogroll come corte dei miracoli e dei miracolati - una manciata di poveretti che non hanno nessun altro merito se non leggerti e farti spesso i complimenti, gente che disprezzeresti se non sapessi che dipendi da ogni loro singolo clic. La palude dei Commenti come sfogatoio per il parco buoi dei cliccatori che non si ascoltano, si pesano. Forse un giorno Internet sarà il luogo della democrazia, forse voteremo ogni giorno da casa su smaglianti piattaforme sociali. Forse. (Casaleggio ci sta lavorando, peccato che abbia tutti questi impegni). Ma nel frattempo c'è un blog, e un blog non è un luogo di democrazia - fidatevi di me almeno su questo argomento - non lo è mai stato.

Il blog è una tirannide.

Più autocratica di altre tirannidi, perché è piccola. Come quelle città stato greche - uno ha sempre in mente Atene con le sue assemblee - ma se non sbaglio la maggior parte erano in mano a tirannelli litigiosi che pranzavano in fretta sotto spade penzolanti. I blog sono esattamente questo. Parlo solo io e voi ascoltate. E se mi dite che sbaglio nei commenti, io cancello i commenti. Leggo solo chi mi dà ragione. Posso anche cambiare nick e darmela da sola, la ragione. Ogni tanto poi mi sento solo e vado nell'archivio a leggere tizi che mi davano ragione nel 2007, magari in realtà ero sempre io sotto mentite spoglie ma non me ne ricordo più, non ho tutta questa familiarità coi miei commentatori, mi ricordo solo che ho sempre avuto ragione. Posso aprire altri blog civetta e farmi dare ragione anche da loro. Posso coltivare un piccolo parco di poveretti e premiarli con un link e una botta al ranking ogni volta che mi danno ragione. Nel frattempo ho smesso da un pezzo di leggere i giornali, sono tutti psicotici prezzolati che non mi danno mai ragione. Poi un giorno vinco le elezioni. Non me lo aspettavo nemmeno io, ma succede.

Cosa faccio?

Non c'è nessuno che mi dia un consiglio sensato: i giornali ovviamente mi odiano, ma i miei consiglieri mi amano troppo, e poi diciamolo, non mi sembrano mica tanto normali. C'è il filosofo che si capisce che è un filosofo perché ha la barba bianca e spiega le stesse cose che vengono in mente a me con cento battute in più: io dico "Ma teniamoci Monti e vaffanculo" e lui ripete "è opportuno insistere sulla linea della prorogatio". Ok. A Montecitorio ci ho mandato un sacco di commentatori, chi si fiderebbe dei commentatori? ho subito mandato gli unici di cui mi fido (dei blogger ovviamente) a mettere le webcam, così almeno li tengo controllati, ma chi se lo guarda poi lo streaming? è una palla infinita. Per tirarmi su vado sul mio blog, dove è pieno di gente che mi dà ragione a prezzi scontati, quelli che mi danno torto probabilmente li paga la concorrenza, ma si cancellano con un clic, è liberatorio. C'è solo una cosa che non sopporto.

Quelli che mi chiedono cosa voglio fare.

Che razza di domanda è. Io voglio fare esattamente quello che sto facendo. Il blog. Mi piace il blog, voglio che tutti lo leggano e mi diano ragione. Non è per vendere i dvd, come dicono i maligni psicotici prezzolati. Quello forse all'inizio, ora ormai è un pretesto. In realtà non c'è un perché, è proprio una domanda sbagliata. Come chiedere all'uccellino perché cinguetta o alla talpa perché si fa le tane. Io faccio un blog perché sono un blogger, e se nel procedimento mi capita di conquistare l'Italia - incidenti che capitano - vorrà dire che rifarò l'Italia come un blog, con dei banner dappertutto, un post quotidiano dove inveire contro i nemici del popolo, la libertà di commento per ogni lettore (Uno Vale Uno!) tranne quelli che parlano male, traditori prezzolati del popolo da sopprimere ma senza fargli male (gli leveremo la connessione, al limite). I ministri li eleggeremo coi sondaggi on line, quelli nella colonnina di fianco, avete presente? non ha comunque molta importanza, tanto ci mando a controllarli i miei v-logger di fiducia con le webcam. Io farò dell'Italia un blog, non perché ne sia consapevole, ma perché è l'unica cosa che so fare: come quello prima di me sapeva solo fare tv e trasformò l'Italia in uno show televisivo permanente - finché a furia di ballerine in parlamento e nei dicasteri la cosa si fece insostenibile e chiamarono me.

Quello del secolo scorso, invece, lo avete mai letto davvero? Chi lo conosce lo sa: prima di essere un dittatore autoritario e violento e blablà era un giornalista. Un corsivista di razza. Vinse l'Italia, anche lui in un momento in cui non la voleva veramente nessuno, e la trasformò in un quotidiano. Un’idea al giorno, dei concorsi, delle sensazioni, un abile e insistente orientamento del lettore verso alcuni aspetti della vita sociale, smisuratamente ingranditi, una deformazione sistematica della comprensione del lettore. Finché a furia di titoloni a effetto non gli toccò dichiarare davvero qualche guerra, e lì andò tutto a Patrasso. Dove andremo anche stavolta, nel solito nostro italianissimo modo.

Che consiste forse nel sovrapporre politica e comunicazione. Siamo ossessionati dalla comunicazione. Non vogliamo essere governati, vogliamo qualcuno che ci comunichi cose. Non vogliamo un governo, vogliamo un giornale, o un talkshow, o un blog, e chissà cosa vorremo dopodomani. Sarà comunque qualche altro strumento che parla parla parla, e quel poco che conclude quasi sempre è un casino.

*(Ancora grazie ad Antonio Schiavulli, che mi ha aiutato a ritrovare un passo che cercavo da anni).
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Revolution will be video-made

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Se fosse confermata, la scelta di Grillo e di Casaleggio di portare "Nik il Nero" a Palazzo Madama confermerebbe la centralità all'interno del M5S di una figura 'professionale' che fin qui abbiamo tutti colpevolmente snobbato: no, non il camionista (anche se Nik è famoso per autoriprendersi mentre guida), ma il videomaker. Insomma il tizio che si fa i video in casa e poi li mette sul suo canale Youtube.

Così raccontava Nik qualche mese fa a Linkiesta: "Ho da sempre una grande passione per la telecamera, e quindi ho pensato di rendermi utile con qualche video. Avrei voluto fare il videomaker di professione. Ci ho anche provato per cinque o sei mesi, ma non tiravo su abbastanza soldi, e così sono dovuto tornare a fare il camionista. Il primo video che girammo col gruppo fu sul detersivo alla spina. Poi ne abbiamo fatti tantissimi di denuncia; direi ormai circa 350. Il 60% sono finiti dal mio canale YouTube direttamente sul blog di Beppe Grillo, che li apprezza molto". Nik - se la notizia è vera - dovrebbe arrivare al Senato come consulente di un portavoce del capogruppo, o qualcosa del genere, ma in sostanza per fare i video; con la stessa professionalità con cui ha curato in questi anni il suo canale Youtube. Prima di lui c'era Daniele Martinelli (continua sull'Unita.it, H1t#172).

Prima di lui c’era Daniele Martinelli (che forse è stato sollevato forse no, intorno a Grillo c’è la stessa trasparenza del Cremlino ai tempi di Andropov), e che parlava di sé stesso in questi termini: “sono un professionista della comunicazione nato sulle macchine da scrivere, passato attraverso le redazioni radiofoniche e televisive in cui si doveva saper fare tutto: scrivere testi, condurre, cimentarsi in regia, usare la telecamera, sistemare le luci, l’audio, montare i servizi con metodo lineare, non lineare e poi digitale… Tutti questi lavori messi insieme hanno creato la recente (non per me) figura del videomaker. Che nell’accezione più moderna del termine significa esercitare attività di video-giornalista INDIPENDENTE”.
La stessa attività di “video-giornalista indipendente” esercita – con qualche successo in più – il consulente del portavoce del capogruppo alla Camera, Claudio Messora. La nomina dall’alto di Messora e Martinelli (e poi di Nik) è stata interpretata da molti anche all’interno del Movimento come un tentativo di assistere ‘dall’alto’ ai gruppi parlamentari abbandonati un po’ a sé stessi: la famosa “cinghia di trasmissione”. Qualcuno li ha persino chiamati commissari politici: è un po’ presto per capire se svolgano davvero una funzione del genere. Per ora è più interessante notare da dove Grillo e Casaleggio peschino i loro cosiddetti fedelissimi: dalla Rete, naturalmente, ma nello specifico da Youtube. Messora, Martinelli e Nik hanno biografie diversissime (e affascinanti) che convergono soltanto nel momento in cui vengono attirati nell’orbita di Beppegrillo.it in qualità di “videomaker indipendenti”, produttori di migliaia di ore di materiale video che qualcuno ha pur visto e molti avranno semplicemente linkato e, avrebbe detto Petrolini, “piacciato”. Il modello a cui tutti e tre guardano è ovviamente il video-giornalismo d’inchiesta di Report o quello dei reportage della factory di Santoro: i risultati poi sono davanti a tutti, se qualcuno ha voglia o tempo per andarseli a vedere.
Ma l’importanza di questi videogiornalisti fai-da-te non andrebbe sottovalutata: si è detto a lungo che Grillo ha vinto rinunciando alla tv e lavorando sulla Rete. Possiamo aggiungere che Grillo ha portato in rete un linguaggio televisivo, scimmiottato alla benemeglio da volontari generosi ma non professionisti. Il suo blog non avrebbe avuto il successo che ha avuto senza i materiali video di cui ha sempre fatto un larghissimo uso. Basti pensare che  fino a qualche anno fa la rubrica più seguita era la predica settimanale di Travaglio, davanti a una camera fissa: per un vecchio utente di internet uno spreco di tempo e memoria, dal momento che ci si mette molto meno tempo a leggere un testo a video: ma l’utente-tipo di Beppegrillo preferisce guardarsi la clip, anche se tutto quel che c’è da vedere è la faccia di Travaglio che legge. In fondo succede la stessa cosa ogni giovedì da Santoro, dev’essere un format rassicurante. Quando si arriva a Nik il discorso è diverso: lui mica legge, e probabilmente i discorsi che fa davanti alla sua webcam non riuscirebbe a metterli giù su un foglio (non in modo altrettanto incisivo). Il video a un certo punto diventa una scorciatoia per spiegarsi e capirsi meglio. È il caso di Nik, ma anche dei portavoce grillini alla Camera e al Senato. Non solo si spiegano attraverso video, ma sono convinti che tutti dovrebbero fare così, che sarebbe tutto più chiaro se tutti facessero così: niente verbali scritti che sono noiosi, tutto in streaming, ore di streaming. Il grillismo non è solo una sfida alla democrazia. È anche una sfida alla civiltà della scrittura.http://leonardo.blogspot.com
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Le cinghie di Grillo

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"Personalmente ritengo che se devo dibattere, dibatto sui fatti, possibilmente in spazi dove non ci siano più di 3-4 persone con le quali valga la pena discutere. Pd e Pdl, francamente, se ne vadano a fanculo." Così scriveva Daniele Martinelli una settimana fa, dopo aver abbandonato una diretta tv. Ieri è diventato il portavoce ufficiale dei deputati M5S. Lo hanno scelto Grillo e Casaleggio per le sue doti di comunicatore - cioè, lui è uno di quelli che nell'entourage di Grillo ha doti di comunicatore ("se devo dibattere, dibatto sui fatti, possibilmente in spazi dove non ci siano più di 3-4 persone"). Figurati gli altri.

"Da domani, non parlerò più con nessuno. Non prendetevela con me." Così scrive sul suo blog (Byoblu) Claudio Messora, dopo una prima faticosissima giornata da portavoce ufficiale dei senatori M5S, esasperato dal modo in cui le sue parole sono state distorte dalla stampa. Anche lui è stato scelto da Grillo e Casaleggio per le sue doti di comunicatore - è uno dei pochi esponenti m5S ad avere familiarità con video e microfono. Purtroppo queste doti le ha usate spesso per comunicare complotti mondiali a base di massoneria e commissione Bilderberg: tesi care a molti lettori affezionati di Byoblu o Beppegrillo.it, ma che al di fuori della cerchia dei fedeli possono anche suscitare imbarazzo e ilarità. E poi c'è quella cosa dei vecchi post (poi cancellati) in cui si scusava di aver votato Berlusconi, vecchie beghe con Anonymous, e tante altre cose che pian piano spuntano fuori, in una piccola macchina del fango o, come la chiama lui, con un'espressione di rara icasticità, "l'esercito degli spalamerda": è da questi particolari che giudichi un comunicatore.

Martinelli e Messora dovevano essere "la cinghia di trasmissione tra un capo che si trova al di fuori del parlamento e i cittadini portavoce" (continua sull'Unita.it, H1t#171).

Così nelle parole del professore Paolo Becchi, ormai accreditato come l’ideologo di beppegrillo.it. Per Becchi l’episodio increscioso della spaccatura sulla nomina del presidente del Senato fu un segno “di immaturità politica, ma, non dimentichiamolo, sono i primi passi di un bambino che procede ancora a tentoni”. Forse è per quello che Grillo e Becchi hanno tanto insistito per avere lo streaming: sono come quei genitori ansiosi che appendono la webcam alle sbarre del lettino. Quello di Becchi può sembrare un paragone irriguardoso – l’avesse fatto un blogger dell’Unità, apriti cielo – ma finché i parlamentari continuano a lamentarsi perché sono stanchi, hanno fame, non sanno ancora bene dove dormire, devono prendere decisioni troppo difficili, i compagni gli fanno gli scherzi telefonici e non voglionostringere la mano alla zia - viene il sospetto che Becchi non abbia tutti i torti: c’è come una fase orale collettiva che ci auguriamo finisca presto, per il bene della nazione e anche un po’ del MoVimento. Nel frattempo il “capo” ha imposto la webcam e la sua cinghia, coi suoi uomini. Lo ha fatto di imperio, senza consultare la base, del resto è un’emergenza. Quando sarà pronta la piattaforma liquida in grado di gestire la democrazia diretta, tutte queste decisioni verranno senz’altro prese dalla base. Però la piattaforma non è ancora pronta, Casaleggio ha un sacco di impegni, insomma per adesso decidono loro. E sia.
Ma almeno decidono bene? Al netto delle idee, Martinelli e Messora sono le persone giuste per comunicare tra cittadini, Grillo e gruppi parlamentari m5s? Uno dopo una giornata di lavoro ha già fatto sapere che non parlerà più. L’altro, fosse per lui, eviterebbe i dibattiti con più di quattro persone. Finora, più che mostrare la loro competenza, hanno preferito farci sapere che non costeranno un solo euro al contribuente: bene, ma non è un modo per mettere le mani avanti? I servizi gratuiti sono quelli che tolgono all’utente la facoltà di lamentarsi. Io se fossi un elettore m5s credo che sarei disposto a pagare qualcosa per evitare che i miei eletti continuino a fare brutte figure. Dopotutto sono miei dipendenti, li ho scelti perché facciano un lavoro all’altezza, e invece adesso salta fuori che sono dilettanti e che non mi posso neanche lamentare perché comunque costano poco e in più la cinghia è gratis. Sempre ammesso che costino davvero poco, e che qualche loro prossimo infortunio non ci costi invece tantissimo.http://leonardo.blogspot.com
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Il paradiso dei demoni

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Ieri, dopo una breve udienza preliminare, è stato tolto il sequestro a un blog, Il giustiziere - la fabbrica dei mostri. Sappiamo finalmente (lo avevamo sempre sospettato) che il suo autore, Stefano Zanetti, non ha commesso alcun reato. E però il suo blog non lo abbiamo potuto leggere per tre anni: Google (che controlla Blogger.com) lo aveva reso irreperibile nel 2010, soddisfacendo la richiesta di magistrato che in attesa del processo preferiva che nessuno lo leggesse. Il processo c'è stato, tre anni dopo: è durato mezz'ora, e tra breve potremo di nuovo leggere i pezzi di Zanetti. Che non scriveva nulla di particolarmente pericoloso. Ma a partire dal 2007 aveva scelto di occuparsi, tra tante cose, dell'antipedofilo Massimiliano Frassi e del suo blog "l'inferno degli angeli", che oggi ha cambiato indirizzo (ma è rintracciabilissimo on line).

Anche a me era capitato di occuparmi e pre-occuparmi del blog di Massimiliano Frassi, sempre a partire dal 2007, in pratica dallo scoppio del caso Rignano Flaminio. Non in quanto esperto di pedofilia (non lo sono) ma in quanto lettore di blog; perché anche se in altri siti Frassi metteva in primo piano i suoi titoli e le sue competenze, sull'"Inferno" era soprattutto un blogger, con uno stile urlato e viscerale che ha più volte rivendicato. Bisogna dire che oggi questo aspetto si è un po' attenuato: il sito non ha più l'aspetto amatoriale degli anni di splinder, non ci trovi più immediatamente foto fuori contesto di bambini picchiati o feriti (spesso associati a fatti di cronaca in cui queste ferite e questi lividi non si sono mai trovati, ad esempio Rignano Flaminio). Ma è ancora un blog piuttosto forcaiolo. Non uso la parola con leggerezza: una delle prime immagini che ci ho trovato oggi è la seguente.


Ora, secondo me Frassi, quando dà conto di un processo a un catechista (la cui colpevolezza non è messa in dubbio nemmeno per un istante); quando avverte che "terremo il processo sotto stretta osservazione",  quando pubblica in calce l'immagine di un pinocchietto impiccato e ci fa notare che "la foto non è certo un'istigazione... né una speranza"... secondo me è in buona fede. Anche quando si premura di informarci che è contro la pena di morte, Frassi non percepisce nessuna contraddizione col pubblicare un cappio in homepage (che è comunque un grosso passo avanti rispetto a immagini assai più esplicite che pubblicava anni fa). Frassi non istiga al linciaggio, il suo pubblico devoto si indigna facilmente ma non uscirà mai nelle strade coi forconi. Frassi il linciaggio si limita a metterlo in scena. Impiccare i pinocchietti è una valvola di sfogo, il blog è una valvola di sfogo, è sempre stato così, un po' per tutti, senz'altro anche per me.

Il problema è che fino a qualche anno fa, sfogandosi, Frassi pubblicava foto di bambini malmenati, chissà da dove le prendeva; io in tanti anni di Internet non avevo mai visto foto di bambini malmenati prima di incappare nell'"Inferno".

L'altro problema è che Frassi non era soltanto il tenutario di un blog in cui sfogava in modo discutibile una rabbia fortissima contro degli indagati, senza mai preoccuparsi di aspettare che qualcuno li dichiarasse colpevoli o no: F. è anche l'autore di libri sull'argomento (tra cui uno porta il pomposo nome di Libro nero della pedofilia), il fondatore di una Onlus che sostiene di lottare attivamente contro gli abusi, facendo conferenze e "consulenze". In particolare la Onlus di Frassi fu coinvolta nei due casi più gravi: Brescia e Rignano Flaminio, che rovinarono la vita a decine di persone indagate per anni, a volte condannate in primo grado, e poi prosciolte. E non è tutto, io credo che rovinarono la vita anche a molti bambini a cui furono estorte fantasiose confessioni di riti sessuali, e a molti genitori che furono incoraggiati a estorcergliele, e che ancora oggi sono convinti che i loro bambini siano stati vittima di violenze. Il che in un certo senso è vero: quei bambini sono senz'altro stati vittima di violenze. Frassi ha giocato un ruolo in tutto questo, non spetta a me determinare quale. Ma ha giocato un ruolo.

Io non lo sapevo: lo scoprii leggendo il blog di Zanetti, che su Frassi e la sua organizzazione diventò in breve tempo una fonte preziosa. A Zanetti si deve anche il merito di averci spiegato che Frassi non è un personaggio isolato, ma che i suoi metodi e la sua concezione del problema (l'idea di una tentacolare lobby pedofila che sequestrerebbe e violenterebbe milioni di bambini in tutto il mondo) venivano da lontano: in particolare dal mondo anglosassone, dove episodi di psicosi collettiva come quelli di Brescia e Rignano si erano già verificati negli anni Ottanta. In particolare Zanetti aveva notato la collaborazione di Frassi con Ray Wyre, sedicente esperto di abusi rituali satanici, che aveva svolto simili consulenze in un caso scoppiato in Gran Bretagna. Queste cose in particolare sono ancora leggibili perché, quando sequestrarono il blog, io recuperai quel post e lo pubblicai sul mio. In calce al post comparvero dopo qualche giorno accuse infamanti a Zanetti, che scomparvero non appena allusi alla tracciabilità degli IP. Nel frattempo Frassi aveva telefonato all'Unità lamentandosi per via di un pezzo che avevo pubblicato su di lui; ma non mi ha mai querelato, perlomeno non mi risulta. Invece dopo qualche giorno un anonimo cominciò a chiamarmi pedofilo sul nodo romano di Indymedia, i cui amministratori malgrado le mie proteste decisero che siccome ero un borghese che scriveva sull'Unità un'accusa di pedofilia con nome e cognome su internet me la potevo anche tenere, al massimo mi concedevano la facoltà di protestare nei commenti. Poi cambiarono server e cancellarono tutti i commenti.

(Questo aspetto della storia c'entra sempre meno, però è abbastanza divertente): Un giorno, incazzato ma anche un po' incuriosito dalla permalosità degli indymediani romani determinati a rovinare la reputazione di un insegnante di scuola, presi un treno e andai a una loro riunione. Giusto per dire ehi, guardatemi, sono io, sono un nessuno che scrive su un blog, pensate sul serio che io sia un pedofilo? Ce la fate a dirmelo in faccia? Erano in una dozzina, la maggior parte ragazze, piuttosto ragionevoli, mi dissero che ci avrebbero pensato. Ma i maschi che gestivano il sito erano rimasti a casa a guardare la partita, e quando seppero s'incazzarono molto, e quindi l'insegnante di scuola media che prese un treno è rimasto un pedofilo.

Un'altra cosa che successe nell'estate del 2010 è che Frassi concesse un'intervista a un giornalista anonimo di un quotidiano on line poco conosciuto, dicendo in sostanza che la storia di Zanetti non gli interessava, lui aveva cose più importanti a cui pensare ("Preferisco parlare di cose più importanti che dare visibilità a certi anonimi soggetti"): poi Zanetti scoprì che quell'intervista era stata scritta da Frassi stesso, che si faceva le domande e si rispondeva annoiato. Frassi però in quell'occasione si lasciò forse un po' andare e scrisse su Zanetti cose infamanti, per le quali Zanetti a sua volta lo denunciò. La coincidenza curiosa è che ieri, mezz'ora dopo l'archiviazione delle accuse a Zanetti, Frassi è stato rimandato a giudizio. Se è colpevole di diffamazione lo sapremo nel 2015.

Nel frattempo la vita va avanti, il suo blog è ancora molto seguito, alcune amministrazioni lo invitano ancora a fare lezioni su come si combatte la pedofilia. Dopo Rignano Flaminio però non sono più scoppiati casi di abuso rituale satanico in Italia. Negli ultimi anni sono state arrestate diverse educatrici con l'accusa di avere malmenato bambini: in tutti quei casi, li ricorderete, le violenze sono state documentate mediante video. Intanto è stata fissata la data per il processo d'appello di Suor Soledad, accusata nel 2006 di violenza sui bambini nell'asilo di Vallo della Lucania e condannata in primo grado. Frassi non si fa scrupolo di definirla "suora pedofila" e di corredare il suo post con questa immagine che ricorda un po' i vecchi tempi del blog su Splinder:



Devo dire che dopo tanti anni e tante avventure, in fondo a tutta l'indignazione, la preoccupazione, ecc., prevale ancora un genuino senso di sorpresa, per il modo in cui una persona che vuole accreditarsi come esperto di un argomento serissimo (la pedofilia) decide di presentarsi nel suo blog: orsetti e fotogrammi di film dell'orrore, una specie di smemoranda per adulti. Nel 2007, quando lo lessi per la prima volta, fui molto stupito dal fatto che si definisse "Il secondo blog più letto in Italia dietro l'inarrivabile Beppe Grillo", una nozione che non mi risultava (e in seguito infatti è scomparsa). A quel tempo c'erano già tante classifiche, chi ci fosse dietro e davanti Beppe Grillo pensavo di conoscerlo. Ma forse mi sbagliavo.

Con gli anni forse ho capito che in Italia ci sono state due civiltà di blog: la prima è cominciata più o meno nel 2001, ha avuto una fase di espansione intorno al 2003, e poi ha continuato a vivacchiare fino a oggi in siti come il mio. La seconda è cominciata con beppegrillo.it, che ha scatenato emulatori che oggi sono diventati a loro volta blog importanti. Questa ondata di blog grillini mi è un po' arrivata addosso senza che me ne accorgessi: ogni tanto mi imbattevo in uno di loro, e non riuscivo a capirlo. L'approccio viscerale, l'abitudine a mettere in scena linciaggi, la passione per le immagini e i fotomontaggi trash, l'anti-intellettualismo esibito (chiunque li critichi è uno snob o un radicalscic); e, dal punto di vista dei contenuti, la chiamata alle armi contro un complotto mondiale che ci impoverisce, ci fa ammalare con le scie chimiche, non vuole che fuggiamo quando stanno per venire i terremoti, e ci violenta i bambini. Tutto questo era intorno a me, sugli stessi server su cui giravano le mie parole, ma ci ho messo veramente troppo tempo a riconoscerlo, e mi dispiace.
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Pagato o meno

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Sono stato intervistato da Note Modenesi ed ecco qua, il risultato è più divertente del solito. Devo rettificare solo un punto: quando dico che "preferisco scrivere per un sito sconosciuto che mi paga regolarmente – anche una miseria – piuttosto che per un sito importante a costo zero" soggiungevo subito: "ma in realtà faccio entrambe le cose" (finché mi divertono entrambe le cose; e l'obiettivo è guadagnare prima o poi da qualunque cosa: ca$h come se piovesse, ma vanno bene anche buoni mensa, qualsiasi cosa, vengo via con poco, chiedete in giro).
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12 anni

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(È un pezzo vecchio, sì, ma a partire da un certo punto in poi i compleanni si assomigliano tutti)

Il pregevole blog lo Zibaldone

"Come? Eh? No, le candeline no. Il mio povero cuore.
Volete che vi racconto? Ma probabilmente la storia la sapete già. Sono io che non mi ricordo più bene quando ho cominciato.
Mi sembra di averlo sempre avuto un blog, più o meno dall’… Ottocentoquindici, mi pare… in quel periodo eravamo in pochi, eh, anche perché il layout dovevi farlo a mano… il codice, dico… lo vergavi con la penna d’oca, nei primi tempi… e quindi non eravamo poi così tanti ad avere la costanza, la… manualità… comunque c’era già Giacomo.  Lui con lo Zibaldone era un po’ il mio mito, me l’aveva linkato Pietro Giordani che… aveva questa directory di giovani poeti italiani promettenti, che se ci pensi era una cosa da suicidio, allora, mettere in piedi una directory così… anche oggi certo… però a quei tempi… metti che Foscolo un giorno la consulta e non trova il suo sito… minimo ti sfidava a duello… non gli potevi mica dire: “Scusa, Ugo, ma è una directory di giovani promettenti, e francamente tu…” insomma, c’erano equilibri molto complicati.

Ma dicevo di Giacomo. Di lui non è che si sapesse molto, stava in campagna come molti di noi, e gli volevamo tutti molto bene perché… ma fondamentalmente aveva una costanza pazzesca. Ogni volta che facevi refresh qualcosina la trovavi. Spesso era roba pesante, filosofia, linguaggio, però era due secoli fa, forse allora c’era più mercato per queste cose. A me sembrava uno dell’altro mondo, poi un giorno leggendo capisco che si è trasferito a Bologna… allora vado a impegnare i gioielli della mia povera madre per prendere a nolo un biroccio e in un paio di giorni sono là… però non c’era ancora google street view e anche la segnaletica stradale lasciava molto a desiderare, francamente… sicché entro in un’osteria, sotto le torri, e chiedo a lorsignori se conoscono l’indirizzo del poeta Giacomo Leopardi. Silenzio. “Intendo l’autore del pregevole blog lo Zibaldone”. Mi ridono in faccia. Lì per la prima volta ho capito che… la blogosfera non è proprio esattamente il mondo reale… uscendo alla luce del sole urtai un gobbetto, gli feci cadere una borsa piena di carte e mi mandò al diavolo… mi lasciò un pessimo ricordo Bologna, non saprei neanche dire perché… forse capivo che tra il mondo vero e la blogosfera ormai avevo scelto la blogosfera. Vuoi mettere tra discutere di lettere con IppolitoNievo.It o stare per strada a farsi ingiuriare dai brutti gobbi sgorbi?

Manzoni? Non so, me l’hanno detto poi che c’era anche Manzoni, il punto è che non era già il grande Manzoni, era un ragazzo molto timido, che non usciva di casa volentieri, balbettava... aveva crisi di panico nei luoghi affollati... al giorno d’oggi sicuramente diremmo che è la sindrome di questoquello, ma a quei tempi… Lui stava molto sulle sue e faceva questa cosa, che a me non è mai piaciuta… cioè si cancellava spesso. Magari per un mese scriveva cose fantastiche, fantasie di monache lesbiche, poi un mattino gli saltava il ticchio… cancellava tutto. Magari perché qualcuno gli aveva lasciato un commento livoroso (lui però li bloccava, mi pare), oppure gli era venuta la crisi mistica... Io quelli che fanno così... non li ho mai compatiti veramente. Voglio dire, o fuori o dentro, trovate un vostro equilibrio. Però non voglio fare polemica. L’ultima polemica la feci col Tommaseo, mi pare nell’Ottocentoquarantavattelapesca… quanto a Manzoni, era un altro che non usciva di casa volentieri, aveva crisi di panico nei luoghi affollati…

No, all’inizio no, non c’erano classifiche. Non avremmo saputo cosa conteggiare. Dovete capire che con la tecnologia di allora anche una cosa che per voi sembra scontata… non so, lincarsi. Io per lincare un post di Luigi Settembrini dovevo scrivergli fermo posta, e sperare che filtrasse il firewall austroungarico. Le polemiche sullo sbarco dei Mille, poi, francamente… non si poteva fare liveblogging da Marsala, mettetevelo in testa. I borbonici avevano bloccato il protocollo postale, non avevamo né piccioni né segnali di fumo, e poi c’era questo piccolo particolare che dovevamo scannare nemici a mani nude perché avevamo lasciato i fucili a casa. La prossima volta portatevi l’Iphone, cosa volete che vi dica. I giovani la fanno sempre facile.

Lo devo ammettere, all’inizio il telegrafo mi spaventava. Temevo che uccidesse il blog, lo avevo anche scritto… un post dal titolo il blog è morto. Mi davano soprattutto noia quelle abbreviazioni, anche inglesi, SOS per Salvate le Nostre Anime, che roba è? E poi tutti quegli stop a fine frase, stop, stop, stop… insopportabili. Ma davvero ero convinto che il futuro sarebbe stato sintetico, che quelli che amavano le pagine lunghe e complicate, come le mie, fossero condannati… magari chissà avevo pure ragione… nei tempi lunghi…

Invece Marconi lo adoravo. Mi ricordo quando fece quella presentazione, a Londra… tutti si immaginavano un gadget portatile, magari un telegrafo palmare, ma chi si poteva immaginare un congegno wireless nell’Ottocentonovanta… dico bene? O novantacinque? Va bene, insomma, adesso in che anno siamo? No, fa lo stesso, un anno vale l’altro.

Ma ve l'ho detta quella volta che sono andato a Bologna, perché volevo vedere un blogger, come si chiamava... Entro in un'osteria e..."
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A proposito il blog è morto

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In azzurro il 2012, in arancione il 2011.

Consuntivo 2012

Sono contento che sia finito, è stato un anno difficile. Controintuitivamente, considerati gli impegni professionali, le responsabilità famigliari, le calamità naturali, è stato un anno in cui ho scritto molto. Molto anche per i miei standard, che sono già patologici. Questo bisogna sempre ricordarlo, perché siamo a fine 2012, internet ormai è diventato lo spazio tra un social network e un altro; i messaggi brevi stanno soppiantando i video che avevano soppiantato i pezzi lunghi; in questa fase un tizio che scrive duecento post lunghi all'anno, una media di due ogni tre giorni, è fuori da qualsiasi statistica, e quindi le sue statistiche sono una mera curiosità.

Se questo piccolo sito fosse un'impresa, questo consuntivo non sarebbe un bel momento. Cari dipendenti, continuiamo a produrre di più (post) e a ottenere meno (accessi). Gli accessi in particolare credo siano almeno tre anni che continuano ad andare giù, nel 2012 di un 15% rispetto all'anno precedente, che succede? Niente, è finita la moda dei blog e la gente ha smesso di scriverci sopra. Quasi tutti i blog con cui ci si lincava nel 2002 sono chiusi. Il traffico tra un blog e l'altro si è quasi ridotto a zero. Negli anni ruggenti veicolava ben più del 15% degli accessi, così magari il problema è tutto qua. Oppure scrivo più cazzate, già l'anno scorso mi ricordo che qualcuno avanzò questa ipotesi. Non è che io non l'abbia presa in considerazione; è solo che la correlazione più cazzate = meno accessi resta tutta da dimostrare. Stiamo qua a porci problemi di stile e contenuto e magari semplicemente google mi ha tolto una frazione di ranking sicché mi arrivano meno utenti nottambuli in cerca di foto di Di Caprio, va' a sapere.

In realtà sta cambiando tutto. Fino a qualche anno fa l'utente-tipo di un blog come questo era un abitudinario, che passava regolarmente 3-4 volte alla settimana, oppure si abbonava ai feed, e poi si leggeva tutto, o quasi. Questi utenti-tipo esistono ancora, però sono in diminuzione; il che dimostra la loro sanità mentale perché sul serio, non ha senso leggere tutto quello che scrivo io. Ogni tanto ne trovo ancora qualcuno che mi dice: ti ho letto per dieci anni, ma adesso non ce la faccio più. Come se il problema fosse che hanno smesso, a me sembra incredibile che siano durati per dieci anni. Io non ce la farei a leggere le opinioni di un tizio per dieci anni. Poi cosa vi aspettate, di andare ancora d'accordo con me? Vi è mai capitato di andare d'accordo con uno per dieci anni? Ma neanche con la mamma. Io per dire il tizio che scriveva i miei post nel 2003 non lo seguirei, anzi scapperei lontano. In effetti questo tipo di lettori-aficionados sta diminuendo, e chi scappa non viene rimpiazzato. C'è un gap generazionale, questo è un blog leggibile credo fino ai nati nell'ottantacinque, chi arriva dopo secondo me vede soltanto una lunga serie di incomprensibili segni neri tra un'immagine e un'altra.

Invece il nuovo lettore-tipo è un tizio che sta perlopiù su facebook, o su twitter, o su altri social più esotici, e tra un messaggio e una partita a farmville magari si ritrova in bacheca un link che sembra interessante: clicca e si ritrova qui. Questo potrebbe spiegare perché, se diminuiscono gli accessi, in compenso aumentano i picchi, ovvero quei momenti in cui molti utenti arrivano sul blog, attirati da un titolo o dal contenuto di un pezzo. Tanto che i pezzi più cliccati del 2012 sono anche quelli più cliccati del biennio 2011-2012.

07/mag/2012, 146 commenti
05/giu/2012, 34 commenti

16/ott/2012, 88 commenti


04/mar/2012, 64 commenti
18/gen/2012, 35 commenti


Poi se vogliamo parlare di qualità parliamone, è calata. Grazie tante che è calata, praticamente ormai questo è un blog che si scrive in sonnambula. Mi capita sempre più spesso di visitarlo con curiosità, trovare un pezzo (magari quello in cima) e mettermi a leggere perché non ho la minima idea di dove vada a parare, l'ho finito in trance alle tre del mattino e non mi ricordo come.

Poi ci sono altri fattori, per esempio: su 230 pezzi, 60 sono agiografie per il Post, che stanno andando bene (sul Post) e hanno trovato un loro nucleo di lettori fedeli che ringrazio, mentre invece su questo blog non se le filano in tantissimi. E ci sono anche quei 50 pezzi per l'Unità, anche loro concepiti per un pubblico un po' diverso. Forse il problema è che questo sito sta rapidamente cambiando la sua identità: fino a tutto l'anno scorso era ancora un blog vero e proprio, con uno stile vario ma riconoscibile. Negli ultimi mesi è diventata la bacheca personale di uno che scrive in tanti posti (tant'è che c'è gente che si lamenta: ma come, anche qui, ma basta). Lo so che era più bello prima. Tutto era più bello prima, però dopo dieci anni e più bisognava anche cercare di fare qualcos'altro, darsi degli obiettivi.

Non è neanche una questione di soldi, che sono sempre veramente pochi, così pochi che discuterne, oltre che ineducato, è persino ridicolo. Il 2012 è stato l'anno dell'arrivo in Italia dell'Huffington Post, che peraltro io leggo poco e anche voi; ma non importa: importa la filosofia che l'HuffPo sottende, e che si può sintetizzare in "scrivi gratis e ringrazia". Io non ce l'ho con chi scrive gratis, ci mancherebbe altro. Non credo che la produzione di opinioni gratis su internet possa abbattere il giornalismo, quello vero, fatto di inchieste sul campo. Sono ancora il primo a meravigliarmi che alcune mie opinioni, in determinati contesti, possano avere un prezzo. Non è una questione di soldi, è un tentativo di sembrare, dopo tanti anni, un po' professionale in quello che faccio. Mi pare che ancora non ci siamo. Però la strada è questa.

È stato un anno complicato, in cui ho scoperto che in situazioni di forte stress la mia risposta è chiudermi in casa e scrivere di più. Ho anche pubblicato una specie di libro, mi sembra già passato un secolo, ho paura a rileggerlo. L'anno prossimo dovrei continuare con i santi, aggiungere un po' di recensioni sui generis, invocare la distruzione di Cologno un paio di volte al mese, e altre cose che francamente non lo so, inventerò. Ma se vedete che scrivo poco non preoccupatevi, vuol dire che magari ho trovato un altro modo di star bene. Un grazie a tutti quelli che sono passati di qui e che ripasseranno, con moderazione mi raccomando.
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Repubblica e l'internet che non c'è

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Scene da un futuro anteriore.

Ieri ho fatto una cosa che faccio sempre più di rado: ho comprato la Repubblica di carta. Ero in cerca di approcci provinciali al dibattito sull'accorpamento delle province, e so che in questo la Rep non mi delude mai; per esempio stavolta c'era una paginata dedicata a personaggi illustri a cui veniva chiesto di dire qualcosa di campanilistico, un pisano è riuscito a dire che i livornesi sono i migliori amici dell'uomo, roba così. Sullo sfondo c'è la più grande (e drastica) risistemazione delle entità amministrative locali in Italia, però a Repubblica hanno deciso che è solo una rissa a chi ha il campanile più lungo, e non c'è verso di uscirne. Ne parliamo un'altra volta.

Ieri ho comprato la Repubblica di carta. È una cosa che faccio sempre più di rado, perché - banalmente - su internet trovo quasi tutto quello che mi serve. Forse proprio perché non la compro più spesso riesco a notare le differenze, come con gli amici che smetti di vedere tutti i giorni. Ecco, rispetto a qualche mese fa, credo che a Repubblica stiano sviluppando un'ossessione per internet. Non siamo ancora al livello dell'ossessione televisiva che dilagò su tutti i quotidiani nazionali negli anni '90, quando si parlava per pagine e pagine di quello che era successo in tv la sera prima; però la direzione mi sembra quella. Per dire, la prima cosa che ieri si leggeva in alto a sinistra era: "YouTube" (no, in realtà si leggeva "La cultura", ma era un titoletto: e sotto il sottotitolo: "YouTube anni '70").

Dici: che c'è di male a parlare di internet? Non c'è niente di male, tanto più che effettivamente un sacco di cose ormai succede su internet. Il problema è l'ossessione. L'ossessione ti spinge a vedere anche cose che non succedono, su un internet che non c'è. Ieri su Repubblica, a pagina 3, si leggevano le seguenti, incredibili righe:

Il fortino di Casaleggio vanta il supporto di almeno dieci internauti capaci di un indice klout superiore a 75 (indice che valuta da 1 a 100 la capacità di influenza sui social network). Vuol dire che ciascuno di quei dieci "megafoni" è in grado di contattare, influenzare, condizionare almeno 100 mila persone, centomila elettori. Dunque un milione, giusto per capire di che numeri parliamo. E di quanto il virtuale stia acquisendo nel giro di poche settimane peso politico reale, si stia trasformando in consensi e in voti.

Non saprei neanche da dove iniziare. Ammetto di non essere andato a controllare chi siano i dieci internauti casaleggiani con un indice superiore a 75, dal momento che considero l'indice klout una simpatica scemenza, come tante su internet, che non misura certo il tuo grado di influenza - o meglio, qualche cosa la misurerà, per esempio se fai una grossa cazzata on line e tutti ne parlano, il tuo indice klut aumenta. Sarebbe interessante cercare di capire come funziona klout, che senso abbia klout, se valga la pena di misurare qualsiasi cosa con i parametri di klout, ma non ho tempo e vorrei che passasse un messaggio semplice: caro Carmelo Lopapa, chi ti ha detto che con 75 punti klout riesci a "contattare, influenzare, condizionare almeno 100mila persone" ti stava prendendo per il culo, ok? Ma di brutto. Non è che già che c'era ti ha venduto una certa fontana barocca a Roma, posizione centralissima, sei sicuro? In ogni caso, se ci fossero anche dieci persone in Italia in grado di influenzare 100mila persone scribacchiando cosine su internet, messe assieme non farebbero un milione. Non è così che funziona. È un po' come dire che siccome in Italia siamo 60 milioni, e abbiamo tutti avuto un papà e una mamma, allora i nostri genitori erano 120 milioni. Non si fanno queste moltiplicazioni nelle scienze sociali. Casaleggio avrà pure i suoi influencer, e loro avranno pure qualche decina di migliaia di utenti nel loro parco buoi: però non hanno dieci parchi buoi diversi, ne hanno uno solo. Vale un milione di voti? Non so, non credo, d'altro canto su scala nazionale un milione di voti non è nemmeno un granché. Ma se davvero il fortino di Casaleggio ha questa potenza di fuoco, mi spieghi perché Grillo, che ha un'età, continua a fare campagna con la cosa meno virtuale e internettiana che esista, il suo corpo? Che bisogno c'era di farsi lo stretto a nuoto, e di comiziare piazza per piazza, il tutto per tirar su nemmeno 300.000 voti? Non poteva mandare avanti i suoi dieci uomini d'oro?

Ma chi è che continua a spacciare la bufala di Casaleggio eminenza dell'internet, giusto perché gestisce il blog di Beppe Grillo? Lopapa, ma lo sai che in questo momento Casaleggio e Grillo sono il principale ostacolo all'evoluzione internettistica del Movimento 5 Stelle, dove c'è un sacco di gente che vorrebbe passare a una piattaforma digitale più decente? Dai, a noi puoi dircelo, chi è che ti ha evangelizzato su Klout? Ahimè, il pezzo prosegue così:

Il deputato Pd Mario Adinolfi - tra i più attenti osservatori e frequentatori del web -

Ahi.

Nell'inserto culturale poi c'è una paginata di Deaglio dedicata interamente a un tumblr (davvero bello e interessante). In effetti potrebbe anche essere una novità assoluta, un momento storico, la prima volta che un tumblr va su Repubblica. Conta poco che dalle nostre parti ormai Tumblr sia percepito una cosa simpatica ma un po' vecchiotta, diciamo, quasi modernariato. Su Repubblica ne parlano come di una nuova dimensione della fisica, qualcosa che non può nemmeno essere immaginato, per cui ogni espressione verbale deve rimanere nel vago, nell'approssimativo. "È una sorta di sito", dice l'occhiello: chissà poi perché, una sorta. Deaglio in realtà riesce a definirlo con una certa precisione: "per intenderci, è una specie di blog, però fatto solo di immagini e di un breve testo"; dovendo definire il 90% dei tumblr che conosco, non sarei altrettanto sintetico e preciso. Mi rimane il dubbio che molti lettori di Repubblica nemmeno sappiano cosa sia un blog, e forse lo stesso dubbio deve avere assalito Deaglio o il titolista, che a un certo punto hanno deciso di farla più semplice e paragonare il tumblr a youTube. Perché? Non è chiaro, salvo che youtube lo sanno più o meno tutti cos'è. La paginata si intitola infatti METTI YOUTUBE NEGLI ANNI '70, e forse è semplicemente un paraculissimo tentativo di attirare i lettori ventenni (youtube) e i cinquantenni (anni settanta!), un po' come in Notte prima degli esami qualcuno ha pensato di mettere Vaporidis con Venditti e ha fatto il botto.

Il problema semmai sono quelli come me, che di fronte a un titolo così vanno in confusione e restano per cinque minuti a pensare: ma in che senso? Youtube? Negli anni Settanta? Ma c'è un sacco di '70 su Youtube. O vuole dire un'altra cosa? Youtube+Settanta uguale a? Uguale a? Trovato! TecheTecheTe'! No, aspetta, parla di un tumblr. Ma ci sono dei video? No. E allora perché dice che è youtube se invece è un tumblr? Ecco, mentre un emisfero del cervello continua a farsi 'ste domande cretine, l'altro sta leggendo un pezzo di Deaglio che sembra costruito con avanzi di testi di Battiato:

Anche se è solo un piccolo esperimento (per ora), si tratta della distruzione di vecchie categorie interpretative, della loro frantumazione e della loro riproposizione, come tante palline di mercurio, in un movimento non organizzato. Un vecchio brodo culturale, che se ne stava dimenticato in un’ampolla, ma che però costituiva il Sacro Testo della nostra interpretazione degli eventi, viene agitato e versato sulla tovaglia. Sporca, certo, come un blog o un primordiale YouTube; ma, proprio per questo, ti obbliga ad intervenire. Crea un caos, che necessita di risposte. Decostruisce, frantuma, è acefalo come solo può esserlo la cronaca, ma ha un grande dono. È storia, non solo vera, ma soprattutto viva. E se questa è un’operazione a posteriori aiuta però ad immaginare come ora leggiamo il presente, immersi in un collage di immagini, testi, video dove cronologia e causalità sono scomparse.

Anche qui, boh. Deaglio, non so bene come dirtelo, è un tumblr. Un tumblr molto superiore alla media, ma comunque è un tumblr. La cosa più normale del mondo, ormai. E comunque l'abitudine a postare schizzi randomizzati di brodo culturale del nostro passato recente esisteva prima di tumblr, è uno dei motivi per cui certi mattoidi aprivano siti nei preistorici anni Novanta. Dopodiché, l'emozione di trovarsi davanti lacerti di un passato condiviso, e la sorpresa di trovarli molto diversi dal passato conservato nei ricordi, è una cosa che capisco benissimo. Ma con tutto il rispetto, internet è piena di posti così; la cosa veramente nuova è che ne hai finalmente trovato uno, e magari ci hai passato una notte intera: benvenuto! Sei uno di noi!

In un vecchissimo romanzo Urania, L'occhio del purgatorio, un pittore soffriva di una sindrome che non gli consentiva più di vedere gli oggetti nel loro presente, ma solo in un futuro che accelerava sempre più: dopo qualche tempo vedeva solo scheletri al posto delle persone, solo macerie al posto delle case, eccetera. L'unico sistema per vedere le cose intorno a sé era scattare fotografie: le vedeva già invecchiate, ingiallite, ma erano le uniche immagini del presente che riusciva a percepire. Ecco, se compro Repubblica ormai ci trovo qualcosa del genere: mi parlano del mondo in cui vivo, un mondo in cui ci sono i social network, c'è youtube, ci sono anche i tumblr, insomma ci sono anch'io... ma tutto è stranamente ingiallito, virato seppia, come se Wells fosse arrivato qui con la sua Macchina del Tempo vittoriana, avesse scattato una foto, e dopo un secolo io vedessi la foto su un tumblr. Un futuro anteriore.
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Il nuovo sole in tasca

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Sabato scorso ho assistito a una scena interessante: un intervento di Matteo Renzi accolto da centinaia di fischi. Ma credo valga la pena raccontare il contesto.

Ero alla Blogfest, un raduno di internauti che una volta scrivevano i blog e oggi stanno passando più o meno tutti a twitter, e che una volta all'anno si trovano a Riva del Garda per distribuirsi dei premi che a volte vinco anch'io, ma sempre più di rado. Quindi ci potrebbe stare un titolo del tipo "la blogosfera fischia Renzi", e forse qualcuno l'ha già fatto, ma temo che nessuno abbia mai veramente capito cos'è questo accidenti di blogosfera. E comunque in generale non è vero che essa fischi Renzi: al contrario, la maggior parte di chi ha votato lo ha eletto il Miglior Politico su Twitter. Però a Riva non c'era tutta la blogosfera, o twittersfera, o come preferite. La maggior parte dei presenti alla premiazione avevano ottenuto una nomination, insomma erano in lizza per prendersi un premio. Ecco, i *nominati* hanno quasi tutti fischiato Renzi. Mi sembra che nessuno lo abbia applaudito, tranne me ma stavo facendo il cretino. Quindi: se nella blogosfera c'è un elettorato attivo e uno passivo, il primo stima Renzi abbastanza per eleggerlo Miglior Politico; il secondo non lo sopporta e comincia a fischiarlo appena parla. In realtà Renzi non c'era, aveva mandato un video per ringraziare. Il problema dei video è che durano troppo, la gente ha fretta di sapere chi ha vinto gli altri premi e poi vuole andare a ballare, Renzi poteva immaginarselo, ma deve essere dura per un politico accettare di avere soltanto venti secondi per esprimersi.

L'episodio non avrà ovviamente nessuna ripercussione sulla campagna di Renzi, che si muove su ben altri fronti. Credo che sia interessante perché mostra un fattore che forse anche lo staff di Renzi dovrebbe valutare: chiamiamola irritanza. I nominati di Riva, con un'età media intorno ai 37, non fischiavano Renzi per le sue parole (udibili solo nelle prime due file) ma per la sua faccia, il suo sorriso, quel po' di timbro vocale che si riusciva a sentire, in breve per il suo Essere Renzi, che trovavano sommamente irritante. Credo che molti lettori dell'Unità, sopra e sotto i 37, capiranno quello che sto cercando di spiegare. C'è un tipo di umanità, non necessariamente vecchia, non per forza rottamabile, che Renzi non lo regge, già molto prima che Renzi cominci a dire qualcosa. Perché questo accade?

Onestamente non lo so (ma continuo a parlarne sull'Unita.it, H1t#147).

Matteo Renzi e l’«irritanza».


Ho delle ipotesi (lo scoutismo, la faccia di schiaffi, la toscanità), ma nessuna mi sembra soddisfacente. Non solo, ma mi sembra che gli aspetti che lo rendono irritante a un settore importante dell’elettorato di centrosinistra siano gli stessi che lo rendono simpatico agli altri. Sotto il dibattito sui programmi e sulle idee, a cui assistiamo un po’ svogliatamente (tanto alla fine l’agenda è quella di Monti), cova una lotta subliminale tra chi voterebbe Renzi perché è proprio simpatico, e chi non lo può fisicamente soffrire. Non è una questione anagrafica, e non è nemmeno una lotta tra sinistra e destra. Vi propongo un esperimento: andate su google immagini e cliccate Matteo Renzi. Io ogni tanto lo faccio, quando devo scegliere un’immagine da rubacchiare per il mio blog. Ecco, non riesco mai a trovare una faccia di Renzi che non mi sembri buffa. Questo mi fa arrabbiare, perché non ho mai amato le caricature, le considero la forma meno civile della comunicazione, e vorrei parlare dei contenuti di Renzi, non della sua faccia buffa.
Ma è un fatto che tutte le sue facce mi sembrano buffe. E allo stesso tempo, credo che molti non le considerino affatto buffe, ma gradevoli, simpatiche: e che apprezzino Renzi non solo per le cose che dice e che fa, ma anche perché le dice e le fa con quella faccia lì. C’è un solo personaggio che fino a qualche tempo fa riusciva a dividere gli italiani in due blocchi incomunicabili e l’un contro l’altro armati: di fronte alla stessa faccia un blocco vedeva il Grande Uomo, l’altro blocco un abominio ridicolo e osceno. Sappiamo tutti di chi si tratta, e io non voglio dire che Matteo Renzi ne sia la nuova versione. Anche se sulle labbra di parecchi dei suoi sostenitori non stonerebbero le parole di Alfano: vidi un uomo con il sole in tasca. Sono sicuro che Matteo Renzi, per tantissimi italiani, il sole in tasca ce l’ha davvero. Non è una questione semplicemente mediatica, perché alla fine Renzi non è quel bravissimo comunicatore che tutti danno per scontato: ma neanche Berlusconi lo era. Entrambi, per esempio, mostravano le corde in televisione: un luogo dove Berlusconi non andava spesso (ma perché ne parlo al passato?), e soltanto in territorio amico. Renzi non può ancora permetterselo, ma l’agone televisivo lo mette ancora in difficoltà. Non è lì che si sta costruendo la sua vera popolarità. I talk politici non servono a questo (e allora a che servono? Forse a niente).
Un’altra ipotesi è che Renzi, senza ovviamente volerlo, stia riempiendo un vuoto nel nostro immaginario: dopo vent’anni all’improvviso non abbiamo più una Faccia che ci divida e ci contrapponga. Dovremmo cominciare a occuparci dei problemi veri, e trovare soluzioni pratiche, ma è complicato, e mal che vada ci pensa Monti. Nel frattempo ci stiamo già mettendo istintivamente a cercare un’altra Faccia sorridente e abbronzata su cui litigare, raccontando a noi stessi che litighiamo intorno a delle idee. Può anche darsi. Alla fine non sono nemmeno sicuro che l’irritanza sia un problema per Renzi e il suo staff. Forse è l’altra faccia della medaglia: un leader può piacere a molti, ma non a tutti. Mi domando però perché nessuno debba mai piacere a me. http://leonardo.blogspot.com
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E le anatre di Riva, d'inverno?

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Anche quest'anno alla fine riuscirò a essere a Riva del Garda per la Blogfest, che comincia oggi. Io a dire il vero fino a sabato pomeriggio non ci sarò, poi magari mi troverò al lido (quel semicerchio che vedete nella foto) a bere qualcosa con gente che non vedo da mesi o anni e magari abita dietro casa mia, ma per qualche perverso motivo è più facile incontrare a Riva del Garda. Alle nove andrò alla premiazione nella Rocca tifando vari blog, tra cui il mio, che concorre per Miglior Sito, ma tanto vincerà Spinoza e io applaudirò. Alle undici andrò a consolarmi alla Spiaggia degli Olivi dove Fabio De Luca mette su i dischi, ma non ballerò perché ormai sono patetico, a meno che non veda molta gente patetica almeno quanto me: il tipo di gente che ormai trovo solo alla Blogfest, e vi amo. Comunque non farò molto tardi.
Il mattino dopo alle 11 c'è il writecamp: dovrei parlare una manciata di minuti e presentare La Scossa, il libro di cui forse avete già sentito parlare. Ma in generale il writecamp vale la pena. Poi andremo tutti a mangiare i canederli o come si chiamano.
In tutti gli altri momenti potrei essere un po' dappertutto, ma più facilmente a osservare le anatre nel fossato della Rocca, o dall'altalena che è lì nei pressi, se non sbaglio (se hanno tolto l'altalena, quest'anno è veramente un grosso problema).
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Contro Spinoza vota dinosauro

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Miglior sito
Questo è il pezzo in cui come tutti gli anni ringrazio i visitatori così gentili da avermi voluto candidare ai Macchianera Awards, quelli che si consegnano a Riva del Garda sabato 29 settembre durante la Blogfest. Benché le possibilità di vincere qualcosa siano sempre più esigue, io a Riva cerco di esserci; domenica 30 forse riesco anche a presentare il famoso ebook.

Questo è insomma il solito pezzo, però il 2012 non è stato il solito anno; è stato piuttosto particolare e in alcuni momenti piuttosto difficile. Tra alti e bassi ne ha sofferto anche il sito, che in certi momenti è diventato il semplice segnalibro di quello che stavo scrivendo altrove. Il fatto che in mezzo a tutto quello che succede qualcuno si ostini ancora a votare per me è il segno di una considerazione e di un affetto che non sono sempre sicuro di meritarmi. Nel dubbio, comunque, votate per me! Non mi offendo, sul serio.

Una sfida sul filo di lana
Anche perché, ehi, nessuno se n'è accorto, ma io l'anno scorso sono arrivato secondo nientemeno che nella categoria "miglior sito", per dare finalmente il benservito a Spinoza mi sarebbero bastati altri seimila voti, bruscolini. Quest'anno potrebbe essere la volta buona: se invece di disperdere i vostri voti volete semplicemente abbattere Spinoza, il cavallo più quotato resto io, pensateci. Non fatelo per me. Fatelo perché vi siete rotti i coglioni di vedere Bonino e Stark sulla pedana dei premiati, dai, si sono rotti i coglioni anche loro, non sanno più che faccia fare, che cosa dire, abbiatene pietà, votate Leonardo! Un sito senza battute, pensate, nel 2012 è possibile! Ok ci ho provato.

Di solito a questo punto metto la soporifera lista di consigli di voto (una pratica ai limiti del regolamento), ma il solerte Many mi ha preceduto anche in questo, risparmiandomi/vi un sacco di tempo. Quest'anno finalmente non è più necessario votare tutte le categorie (e meno male, ce n'è di assurde) ma solo venti. In un anno in cui non ho aggiunto né un feed né un bookmark, l'unica novità che mi sento di segnalare è, nella categoria miglior Blog televisivo, Glenville, il blog di Gregorio Paolini; che parla di tv, sì, come tanti altri, ma a differenza di tutti gli altri lo fa da operatore del settore, in una prospettiva professionale, che è quella che in generale mi piace di più. Mi sembra di aver sempre preferito i blogger che parlavano del loro mestiere, e mi sembra che ce ne siano sempre stati tragicamente pochi. Ultimamente poi siamo pochi in generale - non provate anche voi questa sensazione?

Questa Blogfest potrebbe anche essere l'ultima volta a chiamarsi così; la B di blog è già uscita dalla sigla dei premi, che adesso si chiamano MIA (fino all'anno scorso MBA), e riguardano sempre meno la blogosfera e sempre più internet in generale - ma a chi la racconto. No, è che adesso tira twitter, ha da passare anche questa nottata (a me poi sembra che twitter sia l'eterno secondo, è una vita che ci prova ma non ce la fa veramente mai, ma certamente mi sbaglio). Insomma io a Riva ci vado anche a fare il dinosauro, già l'anno scorso una ragazzina sul lungomare mi vide cercare il tasto canc su un macbook e mi chiese Ma tu perché sei qui, e io: gareggio per il miglior sito, e lei: no, vabbe', adesso seriamente. Ecco, sono momenti che ti aiutano a mettere tutto nella giusta prospettiva. Grazie a tutti ancora, e ci si vede a Riva (oppure altrove).
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Staino e il web

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Per fortuna che c'era Staino, giovedì scorso alla Festa Democratica di Urbino. Per fortuna perché dovevamo parlare di web e comunicazione, e il momento era particolare: Bersani aveva appena parlato di fascisti del web, aveva dato del "pirla" su twitter a chi lo accusava di essere contro il web. Ma poi alla fine cos'è il web? Cosa significa essere fascisti sul web invece che altrove? In che modo il web aggiunge aggressività al dibattito politico?

Per fortuna che c'era Staino, perché noialtri supposti esperti, complice anche l'ora tarda, non è che avessimo molte cose nuove da aggiungere: il web non è necessariamente migliore o peggiore di qualsiasi altro ambiente; non è intrinsecamente violento, ma è un ambiente immateriale in cui siamo quasi sempre privati del linguaggio del corpo dei nostri interlocutori; da cui i frequenti fraintendimenti, l'impulso a calcare i toni per renderli più evidenti, a parlare più colorito, a passare più velocemente a quegli insulti che, specie quando siamo anonimi, possiamo lasciare senza conseguenza. Quelle che una volta chiamavamo "autostrade informatiche" assomigliano un po' alle autostrade vere, dove spesso l'unico modo per capirci è sfarfallare gli abbaglianti, pestare il clacson, esibire gesti osceni. Tutto già studiato e ristudiato, ma non spiega il perché questo tipo di aggressività investa anche personalità pubbliche, che non affidano le loro comunicazioni all'istinto - perlomeno non dovrebbero. Più facile pensare che stiano semplicemente mimando gli atteggiamenti urlati dei loro fan: forse stanno imparando a urlare da noi utenti, magari a furia di leggere i commenti inviperiti che lasciamo sotto qualsiasi messaggio, si sono convinti che sul web si fa così... (continua sull'Unita.it, H1t#142).

È stata una fortuna che ci fosse Staino, perché a un certo punto io – che ero in cartellone con l’imbarazzante etichetta di blogger – mi stavo incartando in un discorso paradossale in cui affannosamente spiegavo che quello di Beppe Grillo non è un vero blog, malgrado resti il più letto in Italia (e uno dei più letti al mondo); che il suo modo di comunicare non è particolarmente tipico del web o adatto al web. Non è una questione anagrafica, ma di metodo: il web è un insieme di discussioni, mentre Grillo lo usa semplicemente per amplificare i suoi monologhi. La vera differenza tra il web e i media che conoscevamo fino a qualche anno fa è la possibilità di interagire e di discutere. Grillo rimane un grande monologhista, ma non discute. Ha mai veramente risposto a una domanda che gli sia stata rivolta sul web? Alla critica di un qualsiasi commentatore?
 
Meno male che c’era Staino, che tirava su l’umore con le sue vignette e ci teneva svegli con le sue storie, tra cui una che spiega meglio di mille parole quello che non riuscivo a spiegare. Due anni fa, quando in un incidente aereo morirono 96 membri del governo polacco, Staino disegnò una vignetta controversa che ebbe il dubbio onore di essere riprodotta (ingrandita) sul Giornale, sotto il titolo “VOGLIONO MORTO BERLUSCONI” (la battuta originale era un lievemente più sottile “a chi tutto e a chi niente”. L’ingrandimento rese ancora più evidente l’e-mail di Staino, a cui cominciarono ad arrivare centinaia di messaggi indignati, incazzati, quel genere epistolare che in inglese ha già il suo nome (“hatemail”) e che ormai consideriamo tipico della comunicazione on line. A tutte queste mail odianti e odiose, Staino rispose. L’altra sera ci raccontava di come le lesse tutte, classificandole in base ai contenuti in quattro categorie, e studiando una risposta adeguata per ogni categoria.

Il risultato di questo lavoraccio fu un’altra ondata di mail, il cui tono però era improvvisamente cambiato: molti che lo avevano insultato ora gli chiedevano scusa; alcuni persino lo ringraziavano di averli gratificati di qualcosa che ormai non si aspettavano più: una risposta. Meno male che l’altra sera c’era Staino, a spiegare che il web è conversazione; non con parole astratte, ma con una bella storia. Sono molto contento di averlo conosciuto, e di poter collaborare al quotidiano che illustra da tanti anni. Trovo più che giusto che il suo spazio sia il più visitato e commentato di Unita.it: non è semplicemente una prova di fedeltà, ma anche la dimostrazione che gli utenti riconoscono chi ha capito come funziona il web, e chi sa usarlo con civiltà. Ne approfitto per ringraziarlo. http://leonardo.blogspot.com
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La macchina delle cazzate

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Adesso che è passato qualche giorno, vorrei chiedere a chi ha una coscienza: ma voi sul serio ci avete creduto, a Beppe Grillo che fa i complimenti alla mafia? A Grillo che durante una campagna elettorale in Sicilia dice un paio di buone parole sulla mafia? Solo a chi ha una coscienza, gli altri sono esentati. Ci avete creduto? O avete solamente fatto finta, perché si sa come vanno queste cose... Un personaggio pubblico dice una cazzata e noi ci buttiamo. Su facebook, su twitter, sui cupi blog, ma anche sui quotidiani. La cazzata funziona. La cazzata fa tendenza. D'altro canto, a chi non scappa una cazzata. Sentite per esempio questa.

"Mafia" è una parola un po' vaga. Parliamo di racket. Le organizzazioni che praticano il racket hanno un carattere parassitario: non essendo in grado di produrre ricchezza, intercettano quella prodotta dalle imprese di un territorio. Di conseguenza il racket non ha veramente interesse a strangolare le imprese che sfrutta, così come il parassita non ha interesse a uccidere l'organismo che lo ospita. Se qualche volta succede (per dare un esempio, per un conflitto di territorio con un'altra organizzazione parassitaria), la prima a rimetterci è l'organizzazione criminosa. Ecco. Avete letto le ultime sei righe? Vi risulta che abbia parlato bene delle organizzazioni che praticano il racket?

Perché quello che rimproverate a Grillo - che pure ha la cazzata facile - è esattamente questo. Di aver scritto, nel consueto stile apodittico, una cosa che in fin dei conti è una banalità: la mafia di solito non strangola le sue vittime. Le sfrutta, le impoverisce, ma non le strangola, perché non le conviene. Peraltro Grillo stava facendo un confronto paradossale con il nuovo Grande Moloch, la Finanza Internazionale, che invece le imprese le strangolerebbe così, per puro gusto di farlo. Ecco, questa sì sarebbe una cazzata, ma non ci ha fatto caso quasi nessuno. Peraltro quello delle banche-cattive-cattive è un feticcio che va comodo a molti, anche tra chi oggi Grillo lo tema e qualche mese o anno fa lo portava sugli scudi. Oggi che invece fa paura, ecco che si rimette in moto la sferragliante ma efficace macchina delle cazzate.

La macchina del fango sappiamo tutti come funziona: si prende un bigliettino, un rapportino, una spifferata vera o presunta, e si comincia a schizzare sull'obiettivo finché qualche schizzo più grosso degli altri non lo butta giù. La macchina delle cazzate è meno studiata, eppure in questi anni l'abbiamo usata un po' tutti. Abbiamo fatto pratica con Silvio Berlusconi, la migliore scuola guida che poteva capitarci. Ogni volta che diceva una cazzata, sui giornali, sui blog (cupi), ovunque, si ritagliava la cazzata, si esponeva la cazzata, si trasformava la cazzata in un tormentone. Gli elettori di sinistra sono coglioni. La proporrò per il ruolo di kapò. 'Orcodio. Erano cene eleganti. C'è da dire che con Berlusconi la macchina delle cazzate aveva un suo senso, perché almeno attirava l'attenzione su un problema vero, e sentito: quell'uomo ne diceva troppe, ci esponeva al ridicolo internazionale. Peraltro le cazzate di Berlusconi erano a tutto tondo; non diventavano cazzate una volta estrapolate dal contesto: nascevano già così, e se davi un occhio al contesto ti rendevi conto che era composto anch'esso di cazzate, l'una dentro l'altra, frattali di cazzate, la vertigine.

Poi a un certo punto Berlusconi se n'è andato, e forse questo nervosismo, questo cerchio alla testa, quest'insofferenza cronica, oltre alla primavera, potrebbe anche essere una crisi d'astinenza per le cazzate. Ne abbiamo bisogno, non sappiamo più come si discute senza. Come spiegare in altri modi la fase deprimente in cui ci siamo attaccati a qualsiasi minuscola cazzata uscisse dal più oscuro esponente del governo Monti: quando un sottosegretario, mai sentito prima e caduto nel dimenticatoio immediatamente dopo, chiamò "sfigati" gli studenti fuoricorso, giornalisti e cupi bloggerz si abbandonarono a manifestazioni di pura gioia: finalmente una cazzata pura e semplice! Ma quindi Berlusconi non aveva il monopolio! Meno male. E vai con la Cancellieri ("il posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà"), e vai con Monti (il posto fisso "monotono"). Qualsiasi dichiarazione che si prestasse a essere estrapolata e a funzionare come una cazzata è stata ritagliata e ha fatto il giro dei social network. Il fatto che oggi si usi lo stesso metodo con Grillo la dice lunga su quanto spazio si sia preso Grillo nelle ultime settimane.

La cosa triste è che di cazzate autentiche Grillo ne dice in continuazione. Per lui in sostanza la crisi è un complotto di banchieri. L'Italia "non si può permettere l'euro". Invece si può permettere di fare un default controllato. Qualsiasi emergenza non sia l'emergenza che sta a cuore a Grillo in quel momento, ad esempio i diritti civili per i migranti, è una perdita di tempo. E così via. Queste sono vere cazzate. Ma smontarle è faticoso. Per esempio bisogna avere il coraggio di dire che il complotto dei banchieri cattivi è una specie di Protocollo dei Savi di Sion For Dummies. Che se vogliamo trovare un modo semplice per stritolare i risparmiatori italiani, ecco, il default è proprio quello che ci vuole. Bisogna avere il coraggio di difendere l'Euro: un giorno forse li conteremo quelli che dal '92 in poi quel coraggio lo hanno trovato, veramente pochi. Per criticare Grillo bisognerebbe saperne un po' più di lui. In teoria non dovrebbe essere difficile, è un comico populista. In pratica... in pratica no, si fa molto prima a inserire un altro gettone nella sferragliante macchina delle cazzate.

Quando capiterà anche a voi, di essere inchiodati con malizia a una mezza frase che avete scritto o detto, da gente che sa benissimo che intendevate altro, ma si sa come vanno le cose... ecco, quando capiterà a voi forse vi renderete conto che la macchina delle cazzate non è giornalismo, non è opinione, non è discussione. È un'abitudine a semplificare tutto, a trasformare il ragionamento in slogan, lo slogan in battuta, la battuta in tormentone, che ci sta rendendo tutti un po' più stupidi; e non è che ne avessimo veramente bisogno.
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Il Merlo nelle orecchie

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Il me nel Merlo.

Ci sono almeno due motivi sensati per cui Francesco Merlo, che saluto, può aver definito i blogger "cupi" "parassiti" che "trafficano con le parole": una sortita così 2003 che mi viene voglia di farmi la frangetta e uscire a ballare; e proprio al festival del giornalismo di Perugia. Che è un po' come andare al convegno mondiale dei formaggi a infamare la ricotta.

Il primo motivo è che ormai si è capito più o meno cosa sono i blog: uno strumento. E che questo strumento in sé non minaccia il giornalismo, anzi. C'è una sola figura di giornalista, a ben vedere, che ha veramente qualcosa da temere dalla diffusione dello strumento, ed è appunto la figura professionale egregiamente rappresentata da Francesco Merlo: l'elzevirista puro, quello che prende gli stessi fatti che il lettore conosce già e li rifrigge in prima pagina con un'abbondante spolverata delle proprie opinioni. Merlo fa questo da tantissimo tempo, e non c'è dubbio che sia più bravo di tutti i bloggerz in circolazione - ma è un po' come possedere la migliore sala d'essai quando tutti ormai in casa hanno il videoregistratore: anche se il tuo servizio è qualitativamente migliore, non lo è più abbastanza per farsi pagare il biglietto. Non è che la gente preferisca le opinioni di pincopallo.blogspot a quelle di Merlo: a un certo punto con blogspot capisci che le opinioni te le puoi scrivere da solo, e leggere e discutere quelle di Merlo diventa meno interessante. Al reporter d'assalto, o al super-esperto di una materia specifica, blogspot non toglie nulla; al limite può servirgli come strumento: sia il reporter che il super-esperto continuano ad avere una competenza precisa che nessuno gli può togliere. Merlo non ha nessuna di queste competenze: la sua specialità è trovare le parole giuste, l'ha perfezionata durante un lungo apprendistato in un periodo in cui trafficare con le parole era un'attività artigianale e ben remunerata. Ma oggi che il Fatto Quotidiano, o l'Huffington Post, o qualsiasi altra testata, offrono gratis il loro spazio alle opinioni dei dilettanti, Merlo si ritrova spiazzato, nel senso letterale: non è più ben chiaro perché lo paghino. Questo è il primo motivo: Merlo è un intellettuale declassato, un artigiano che lotta per difendere la sua produzione nel mondo dell'opinione di massa a costo zero, un birocciaio disgustato dall'avvento del motore a scoppio, eccetera.

Il secondo motivo è forse frutto di paranoia mia, ma forse no: forse Merlo ce l'ha con me. Magari quando parla di parassiti cupi non sta pensando a un blogger generale, a un blogger platonico, ma proprio a me, che mi chiamo Leonardo e scrivo qui: il parassita cupo, e trafficante parolaio, sarei io. Questo sospetto è generato - oltre che dall'egocentrismo mio, e dalle orecchie che mi fischiano - da una banale constatazione: su Merlo ho scritto diversi pezzi, non so neanche quanti, in più di dieci anni. Se i primi sicuramente non li ha mai letti (uno devo averglielo spedito direttamente, ma ero una goccia nel mare), non è poi così campato in aria immaginare che gli ultimi lo abbiano raggiunto: in fondo da un certo punto in poi bastava aver attivato google alert (o avere colleghi stronzi). A questo punto la domanda rimbalza, e tocca a me spiegare: perché ce l'ho tanto con Merlo? Solo Ferrara mi ha ispirato di più, ma Ferrara è un personaggio pubblico che da vent'anni gioca a farsi sputare addosso da quelli come me. Merlo non è altrettanto famoso, non è altrettanto controverso: è un onesto opinionista e a rileggere in rapida successione le cose che gli ho buttato addosso in tanti anni sembra davvero che io l'abbia messo nel mirino.

Anche in questo caso ho due spiegazioni. La prima coinvolge un'altra mia ossessione: il liceo classico. Chi mi legge da un po', poveretto, lo sa: per me il classico, e più in generale l'impostazione crociano-gentiliana è la fonte di ogni guaio in cui l'Italia si dibatte. Anche la mafia? Anche la mafia. Anche i terremoti? L'anno scorso un intellettuale ex consulente ministeriale si lamentava perché alle superiori invece di fare un test di letteratura facevano un test sulle norme di evacuazione, quindi sì: anche i terremoti, se fanno più vittime che altrove, devono ringraziare Croce e Gentile. Ecco, di quel liceo, di quel tipo di cultura, Merlo è il degno erede e non fa nulla per nasconderlo: è sempre tutto un citare Socrate e Santippe, e io intanto devo ancora superare questa cosa che a mezzogiorno suonava una campana e quelli del ginnasio uscivano, mentre io ne avevo per altre due ore. Qualche anno fa scrisse piccato alla Gelmini di non toccare il liceo classico, l'"eccellenza" della scuola italiana, invidiato da tutti nel mondo. Io strabuzzavo gli occhi: quale eccellenza? Quale invidia mondiale? Da quali statistiche internazionali evinceva tutto ciò, Francesco Merlo? Nessuna, ovviamente, Merlo mica è così triviale da spulciar statistiche, del resto l'eccellenza del liceo classico è autoevidente, si tiene su per il codino come Münchhausen: solo il classico poteva produrre Merlo, quindi il mondo ce lo deve invidiare, povero mondo senza elziviri alla Merlo sulla prima pagina di Le Monde o New York Times.

La seconda spiegazione è di nuovo più personale. Io sono il prototipo di quelli che dovrebbero fare concorrenza a Merlo: senza essere bravo quanto lui, comunque gli rovino la piazza. Però alla fine gliela rovino proprio perché faccio le stesse cose che fa lui: prendo gli arcinoti fatti del giorno o del giorno prima, e li cucino con un'abbondante spruzzata di opinioni mie. Quel che più m'infastidisce di Merlo, alla fine, è che è una versione meno imperfetta di me stesso. Potete chiamarla invidia, ma in verità è un po' peggio: io non vorrei essere come lui, ma alla fine mi rendo conto che siamo molto simili. Questo orrore per la scoperta del Merlo in me, di me nel Merlo, si legge tra le righe in vari pezzi che gli ho dedicato: nell'ultimo compare quell'endiadi freudiana, heimlich/unheimlich - bella lingua il tedesco, peccato che la studiassi sempre da mezzogiorno in poi, non mi ricordo niente - comunque in sostanza "heimlich" vorrebbe dire "familiare", e il suo contrario, "unheimlich", perturbante; però non è un vero contrario, in realtà unheimlich contiene heimlich, così come il lupo truccato da nonna contiene davvero la nonna, non c'è nulla di più perturbante di ritrovare noi stessi nei nostri nemici, ed è quello che mi succede quando leggo Merlo: è un ex liceale, ma alla fine dei conti lo sono anch'io. È un parolaio, parassita di chi le notizie se le va a trovare sul campo - eccomi qui, presente, lo sono anch'io. Chissà se anche a Merlo capita, quando passa di qui, di riconoscersi. Magari non è mai passato, magari non mi conosce nemmeno, magari esagero come al solito il mio peso sugli infiniti piattini dell'universo; magari invece mi sta leggendo in questo momento, nel cui caso ciao, scusa, niente di personale. Non ce l'avevo con te, ce l'avevo con me stesso: ma tu eri più comodo.


Io e Merlo (piccola antologia personale, dall'ultimo sputo al primo. Non so se ci sono tutti)

Ma tu non sei Eugeeeeeeeew (2011)
Capite, non è tanto Merlo in sé. Merlo si può leggere, a volte è discutibile ma non è che sia disgustoso. Ma leggere Merlo credendo di leggere don Eugenio, come posso descrivere la sensazione perturbante, heimlich/unheimlich... è come scoprire che la biondina che state spiando nella cabina dello stabilimento balneare è vostra sorella ciccia coi brufoli, ecco. E qualcosa dentro di te in quel momento si ribella, nel mio caso il cappuccino.
Il merlo maschio (2009, l'annoso problema del burkini)
...forse senza volere Merlo ha centrato il problema. Quello che ci disgusta di più, dell'Islam, non è il maschilismo. Non sono le bombe (che per ora da noi non si son viste). Quello che ci rende l'Islam più indigesto di altre religioni, è che ci assomiglia da vicino. È la nostra foto in bianco e nero, di quando eravamo più giovani e passavamo pomeriggi in piscina nel tentativo d'intravedere un'ascella: e tra gomitate e risatine si passava il sabato. Il ritratto di noi stessi da poveri, questo è l'Islam.
Martiri della sintassi (2008, per Merlo il liceo classico è un'"eccellenza" che non va toccata: contiene il vincitore del "trofeo sintassi involuta '08")
Pensate, se ci sfasciassero il liceo, Merlo potrebbe essere l'ultimo editorialista al mondo a scrivere cose come "Brunetta che sogna l'ipercinesi mercuriale del colore aragosta o del blu elettrico" o "abbiamo imparato ad usare la gobba di Leopardi contro quella di Andreotti" e tutte quelle scemenze che da anni piazza nella seconda metà del fondo, nella speranza che qualcuno arrivi fin lì.
Come muore un italiano? (2004, Merlo insiste perché la Rai mostri lo snuff di Quattrocchi)
Vedere ed essere visto da milioni di occhi. Per Merlo non c’è italianità più grande. Reggere nell’ora estrema lo sguardo della videocamera. Offrirsi al voyeurismo nazionale. Abbiamo il diritto di vedere. Abbiamo il dovere di guardare. E insomma, ce lo fate vedere o no? (Merlo insiste sul concetto per sei colonne) I corsivisti hanno fame!
Gentile signor Merlo (luglio 2001, con lo zaino già pronto per Genova)
Nei prossimi giorni sarò a Genova, da una parte di una nota linea rossa (che in tutta franchezza non vorrei neanche oltrepassare). [...] So quanto lei che tra le forze dell’ordine non sono tutti lettori di Seneca (e forse neanche di De Gennaro), che anzi ce n’è parecchi che bruciano dalla voglia di sprangarci, e ce l’hanno anche già mandato a dire. Bene, signor Merlo, le dico una cosa: quei ragazzi, quegli uomini, non sono miei nemici. Non ho nulla contro di loro. Ho molto più rispetto per il più esaltato di loro di quanto potrò mai averne per lei, che seduto davanti al suo pc scorrerà i drammi del giorno chiedendosi: vediamo cosa posso buttar giù di divertente, oggi. In tutta franchezza, signor Merlo.
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Chi gli ha dato la password

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Salve, sono quello che se n'era andato da Piste qualche mese fa e ora si sente un po' come Rutelli quando se n'è andato dal PD. Anzi peggio, perché quando se n'è andato Rutelli il PD è giusto risalito un po' nei sondaggi, ma da quando me ne sono andato Piste è stato segnalato dalla Stampa, dal Post, da Linkiesta, dal Giornale, da Libero e ieri sera da Gramellini a Che tempo che fa. In prima serata tv. No, ma fa veramente piacere, dopo tanti anni e tante tastiere consumate, vedere riconosciuto il lavoro di qualcun altro.
Onori quindi a Cragno, che più o meno è restato solo, e fa una cosa semplicissima ma la fa lui e gli altri no. Seguono alcune considerazioni tecniche:

1. Malgrado tanta segnalazione la fiammata negli accessi è stata inferiore ad altri episodi (l'apparizione di Padre Pio in formato Megaborg, ad esempio). Sarà che è primavera e tutti sono a spasso, ma la sensazione è che ormai il grosso del traffico passi dai social. È chiaro che sulla stampa.it un link a un blog lo vedono millemila persone in più, ma non cliccano.

2. Quello che ha trovato il Cragno (la pagella scolastica della Fornero) era sotto gli occhi di tutti, e quindi tutti quelli che ci hanno linkato avrebbero potuto tranquillamente ignorare la fonte. La Stampa per esempio, se ho capito bene in un primo momento ha fatto lo gnorri (d'altro canto era tutto materiale suo); poi i commentatori hanno protestato ed è spuntato il link. Fino a qualche mese fa tutto questo non sarebbe successo: al massimo gli organi di stampa avrebbero scritto cose come "un blog ha trovato" o "il tam tam della rete". Credo che sia un effetto collaterale della socializzazione delle informazioni: la sensibilità è cambiata, o meglio prima non c'era una sensibilità e adesso sì (addirittura una notizia può risultare più sexy se a trovarla invece che un professionista è stata "un blogger").

3. La Fornero mi sembra un esempio di scuola del secondo paradosso di Otis-Findlay, ahinoi. Una figlia di papà avrebbe picchiato molto meno duro.

E adesso se scusate vado nel mio angolino a sentirmi poco bene. Gramellini ha citato Cragno. È nata una stella. Ed è Cragno.
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I blog, ehm, ecco

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Stanotte a mezzanotte (cari amici della notte) su wr8.rai.it c'è un intervista a me stesso medesimo; così chi si sentisse in crisi di astinenza può finalmente sapere cosa ne penso dei blog, del rapporto tra blog e giornalismo, tra blog e social network, eccetera. Che non fraintendetemi, gli intervistatori in generale sono gentilissimi a venirmi ancora a cercare, e fanno benissimo a farmi le stesse domande, visto che io continuo a fare più o meno le stesse cose.



Io nel frattempo sto lavorando sulle pause, cioè cerco di farne sempre di meno, chissà che in un'altra decina d'anni di applicazione io non diventi un intervistato affabile, uno che fa anche piacere ascoltare quando parla, hai presente. Se a mezzanotte avete altro da fare (buon divertimento), la trasmissione replica alle sei del mattino, e poi a mezzogiorno, e poi alle 18, e poi troverò modo di linkarvi il podcast, insomma arrendetevi.

UPDATE: Ecco il podcast.
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Consuntivo 2011

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Quello che finisce oggi è stato, per questo blog, l'undicesimo anno. È un dato che parla da solo, e non è che dica cose molto rassicuranti nei confronti dell'autore del 99% di quanto è stato pubblicato qui. Al di là di qualsiasi considerazione sull'utilità, perfino sulla necessità del tenere aggiornata una pagina on line, nessuno dovrebbe bloggare così tanto. Siamo evidentemente di fronte a una patologia, anche se a tutt'oggi non è chiaro se il blog sia la malattia o la cura. Forse è la diagnosi. Io poi in qualche modo ho anche una vita, un bel lavoro, una famiglia che promette bene, non è che mi stia crescendo la gobba. Ho anche quasi smesso di bere (quasi), perché di notte poi non riesco a scrivere. Qualsiasi vizio che confligge con l'alcolismo mi sembra tutto sommato coltivabile.

Con tutto questo, l'anno che finisce oggi poteva davvero essere l'ultimo. Oltre alla tentazione della cifra tonda, c'è la vita che va avanti e riduce inesorabilmente le ore dedicabili ai passatempi, perlomeno a gennaio la vedevo così. Più che a chiudere, pensavo che dall'estate in poi il blog sarebbe finito in coma vigile, giusto un aggiornamento settimanale per segnalare le teorie sull'Unità. Quel che invece è successo, dall'estate in poi, è che riducendo il tempo, invece di diminuire le parole, sono calate le censure, e mi sono messo a scrivere di tutto e di più come se non ci fosse un domani, letteralmente, rubando ore al sonno e agli affetti, alzando la posta con un nuovo blog a tema agiografico, e il risultato è che il 2011 è stato uno degli anni in cui ho scritto di più, forse il più verboso in assoluto (non ci tengo a controllare). La filosofia sottesa è: diamoci dentro fin che siamo in tempo. Ma insomma si è capito che se mi togliete il tempo mi togliete il silenzio, non la parola. Io avrei bisogno di più tempo non per scrivere, ma per cancellare almeno la metà della roba che scrivo.

I cinque pezzi più letti del 2011:
1. Il più grande B. dopo il Big B. (aborto di una critica sistematica al programma di Renzi, molto apprezzata dai lettori dell'Unità)
2. Nudo! Vogliamo don Giussani nudo! (curioso successo postumo di un pezzo scritto nel 2003, quando don Giussani era ancora vivo (e proprio non voleva spogliarsi)).
3. Non siete così peggio di Breivik (scritto col telefono, adesso il mio t9 a ogni "br" mi consiglia Breivik).
4. Film per adulti (buffo, proprio adesso su rai3 stanno dando Noi credevamo. Il titolo continua ad attirare lettori che probabilmente non si aspettano la recensione di un film sul risorgimento).
5. Ovunque è Piazzale Loreto (la presenza di Buffon deve aver fatto la differenza).

Parliamo di accessi. C'è chi si vergogna di parlarne, chi nasconde il contatore: bisogna sempre prima puntualizzare che si scrive per sé stessi, e si scriverebbe anche solo per cinque lettori. Ecco, io no. Per me il contatore è parte integrante del gioco da tantissimo tempo. Non mi interessa scrivere per me stesso, francamente a questo punto non saprei neanche cosa scrivermi, dopo tanto che stiamo assieme è già tanto che ci sopportiamo. A me interessa produrre cose che gli altri trovino interessanti e leggibili: e più sono gli altri meglio è.

I pezzi più linkati:
1. Se ci riflettete
2, Lettera a Bruxelles
3. I diabolici agit-prof

Da questo punto di vista trovo abbastanza impressionante il fatto che malgrado i quaranta post in più rispetto all'anno scorso (come se quest'anno avesse avuto due mesi in più); malgrado un'opera di autosegnalazione sui social network sempre meno episodica, sempre più sistematica (e senza vergogna); malgrado le sinergie con l'Unità e il Post che sono due delle realtà internettiane più dinamiche in Italia... trovo abbastanza impressionante, dicevo, che gli accessi di quest'anno segnalino una perdita secca del 5% rispetto al 2010. È senz'altro lo spread più inoffensivo dell'anno, ma è un segno di crisi: anche perché, ribadisco, nel 2011 mi sono sbattuto quasi il doppio. Cosa sta succedendo? Si è deteriorato un rapporto coi lettori? Che fine hanno fatto i dialoghetti (è vero, non ne scrivo da un pezzo)? I raccontini? (quest'estate ho praticamente scritto un libro e non se n'è accorto nessuno), le recensioni? (non vado più al cinema). Ma ha ancora un senso questo blog dopo Berlusconi?

Non saprei. A occhio mi sembra una tendenza generale: i blog stanno perdendo traffico. Non sono più al centro della sfera: raramente ci si trova a conversare sotto il post di qualcuno. Gran parte della conversazione si è spostata sui network (in Italia il 2011 è stato l'anno della riscoperta di twitter), mentre i blog si sono appiattiti lungo le pareti: sono fonti da citare, carte da consultare. Se uno accetta questa nuova situazione, può anche immaginare un rinascimento dei blog nel 2012.

I pezzi più discussi (nei commenti):
1. Lettera a un giovane Ichino
2. I diabolici agit-prof.
3. Perché ho scelto Scienze Inutili
4. Sradicateli
5. Il più grande B. dopo il Big B

Io però con l'occhio al contatore mi pongo il problema. Dove diamine è finito facebook? Non mi arrivano più accessi da facebook. Lo scorso gennaio era ancora l'indirizzo che complessivamente mi mandava più nuovi utenti. Ora è sparito. Magari è solo occultato, facebook è veramente molto opaco. Però ricordo che anche solo un anno fa ci raccontavamo di come facebook non fosse la morte dei blog, ma un'opportunità di far conoscere a un pubblico molto più vasto i nostri contenuti: ecco, quella fase mi sembra finita, in modo anche abbastanza improvviso. O forse semplicemente non sono in grado di attirare l'attenzione su facebook. Vi faccio un esempio. Uno dei miei post più letti in assoluto quest'anno è del 2003. È successo che una domenica di febbraio, mentre cercavo di buttar giù il pippone per l'Unità, abbia letto l'ennesima uscita infelice della Gelmini e ne abbia scritto dieci righe sdegnate ed estemporanee su Piste. Stava piovendo, il dettaglio credo sia decisivo. Nel giro di poche ore il mio pezzino estemporaneo è stato condiviso, tramite facebook (ma anche e okvirgilio), da dodicimila persone: il post di Leonardo che quest'anno ha fatto di meglio è arrivato giusto alla metà. Di queste dodicimila, almeno quattromila hanno seguito un link che da Piste mandava a un vecchio pezzo del 2003. Sono episodi come questi, che mi rituffano nel 2003 e spiegano credo meglio di ogni teoria perché ormai il ranking, le classifiche basate sui link, non interessino più a nessuno. Essere lincati da un centinaio in più o in meno di blog amici non fa più molta differenza. Essere segnalati nel momento giusto (domenica mattina di pioggia) dall'utente giusto su facebook, o su twitter: questo fa la differenza. O almeno la dovrebbe fare. Tranne che da febbraio in poi facebook è quasi scomparso dal radar, e questo può in parte giustificare il 5% in meno.

I due pezzi più apprezzati da chi ha votato ai BlogAwards:
1. Il lodo Ligabue
2, Non siamo malati

I post migliori.
Ditemi voi nei commenti quali vi sono piaciuti di più; io davvero quest'anno non saprei cosa dire. Metà non me li ricordo proprio: credo sia indicativo. Devo dire che, al di là dell'effetto finale, i pezzi sul Post sono molto divertenti da scrivere. Una cosa che mi ricorderò del 2011 sono state le XXI notti: devo dire che l'agosto continua a esercitare un fascino particolare, l'idea di aggiornare il blog per pochi ossessivi nottambuli. Rimane il solito problema: la narrativa non fa accessi, la narrativa fa proprio scappare la gente. Perlomeno su questo blog. Perlomeno quando la scrivo io. Mi piacerebbe scriverne di più, ma a voi no. Potrei anche fregarmene, ma non era questo lo scopo del gioco, nel 2011. Magari nel 2012 mi metterò a scrivere endecasillabi sciolti di argomento pastorale, magari. Mi resta sempre la sensazione di scriver troppo e di non spiegarmi, dopo tanti anni di non avere ancora imparato a fare l'unica cosa che continuo ostinatamente a fare, che è stare qui a pestare tasti tutta la notte. C'è roba nel mio archivio - i primi anni - che ormai mi fa pietà e spavento. Cancellerei, ma non è sportivo. In fondo non faccio che scriverci sopra come se fosse un palinsesto, nella speranza che l'ultimo strato sia così buono che a nessuno venga voglia di grattare, di scavare, di vedere cosa c'è sotto: così ogni anno che cresce io mi seppellisco sotto un'altra tonnellata di scrittura, e non funziona, alla fine salta fuori tutto alla rinfusa, google non perdona, io lo so ma l'unica cosa che posso fare è scriverci sopra, scriverci contro, alla fine questi quaranta tasti è come se fossero un tasto solo che dice cancella, cancella, cancella - sì, no, scusate, buon anno.
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C'è sempre qualcuno che ti odia (sull'internet)

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La lista è la morte

C'è stato un po' di baccano, ieri, a causa di una lista comparsa su di un sito neonazista. Io sono arrivato a casa tardi e non sono riuscito a leggerla: il sito era inaccessibile a causa del traffico elevato (poi è tornato visibile, ma la lista era stata cancellata). Si trattava di un forum semisconosciuto, ma quando i quotidiani hanno scoperto il fattaccio (Repubblica è stato il primo, direi), da blog e social network tutti hanno cominciato a puntare link verso la lista, che da quel che ho capito censiva gli italiani da odiare perché amici degli immigrati.

Io naturalmente sto con gli immigrati, auspico l'estinzione dei fascisti eccetera. Però queste ondate di indignazione mi lasciano perplesso. Un gruppetto di fascisti butta giù un elenco di nominativi; nessuno per quanto ne so ha scritto “italiani da ammazzare”. È una lista di persone odiose, su internet se ne stilano parecchie. Peraltro non è mai successo fin qui che un personaggio à la Breivik o alla Casseri, nel momento in cui decide di passare alle vie di fatto, utilizzi una lista divulgata via internet: di solito c'è un notevole scarto tra chi scrive su un foglietto (o su un sito) i nomi delle persone che detesta e chi si procura le armi e scende in strada a farle fuori. Insomma le possibilità che quella lista potesse ispirare l'istinto criminale di un fanatico erano abbastanza esigue. Fino a ieri.

Poi ieri Repubblica, Twitter e via dicendo hanno iniziato a puntare sul forum semisconosciuto. Migliaia di persone hanno potuto leggere la lista o scaricarla prima che si oscurasse, e a questo punto la possibilità che qualche emulo di Casseri l'abbia letta e decida di utilizzarla è cresciuta sensibilmente. È il solito doppio taglio dell'informazione: vale la pena dare risalto nazionale a un gruppetto che stila liste di proscrizione? Io non lo avrei fatto; oltre al concreto rischio di attirare l'attenzione su gente pericolosa, mi ritroverei anche a spalare l'acqua col forcone: sicuramente da qualche parte qualcun altro sta compilando un'altra lista di persone da odiare, internet glielo consente e io non posso fare il cane da guardia di internet, mica mi pagano. C'è chi invece può.

Il giornalista che ha scoperto la lista di ieri non è nuovo a scoop del genere. Un'occhiata al suo sito (molto interessante) suggerisce l'impressione che le sue scoperte siano frutto di un'indagine sistematica: come quel prete che batte l'internet alla ricerca di siti pedofili, il giornalista in questione è costantemente alla caccia di segnali di razzismo, antisemitismo, intolleranza. Avrete notato che non lo chiamo per nome.

È uno scrupolo ridicolo, chiunque può benissimo recuperare le sue generalità. E anche lui presto o tardi troverà questo mio post, lo leggerà, e deciderà se infilarlo o no in un eventuale dossier sull'antisemitismo di sinistra. In effetti è lo stesso giornalista che la scorsa primavera commise una grossa carognata nei confronti di una mia doppia collega, blogger e insegnante, la quale professa opinioni fortemente critiche nei confronti dello Stato d'Israele. Il giornalista in questione l'accusò, sempre su Repubblica, di negazionismo: accusa falsa, peraltro. Non solo, ma nello stesso articolo suggerì, in modo piuttosto ambiguo (anche un po' maldestro, via), che questa blogger, essendo insegnante, avrebbe anche insegnato il negazionismo ai suoi studenti (e in effetti noi blogger-insegnanti siamo proprio così, la molla che ci spinge a riempire lenzuolate digitali sul sionismo o su San Giovanni Damasceno è che sono proprio gli stessi argomenti che spieghiamo a lezione ripetutamente, a tutte le classi, tutti gli anni, siamo così felici di continuare a parlare di sionismo e San Giovanni Damasceno che anche sul blog non vorremmo scrivere d'altro. Sono ironico). E arrivarono gli ispettori. Parli male d'Israele su un blog? Faccio in modo che ti arrivino gli ispettori a scuola. Ecco.

Per tagliar corto: il giornalista in questione ha già ampiamente dimostrato che se vuole sputtanare un insegnante lo fa. Però questo non è un buon motivo per non chiamarlo per nome e per cognome; magari era un buon motivo per non iniziare nemmeno a scrivere questo post, per fare finta di niente. Invece sto parlando di lui, ma il suo nome non lo metto perché si sa cosa succede ai nomi: li lasci lì e dopo un po' diventano una lista: e io una lista non la voglio fare, la lista è la morte, e anche se mi scappasse una lista, mai vorrei mettere al primo posto lui. Lui è un buon diavolo con una missione: battere la campagna, censire tutti gli insetti, tutti i parassiti che ce l'hanno con quelli come lui. O con qualche altra minoranza, tutto fa brodo. E sono convinto che nel suo far circolare insetti e parassiti è in buona fede: il suo scopo è mostrare quanta intolleranza (e quanto antisemitismo) ci siano in Italia, e a tale scopo qualsiasi infimo insetto, qualsiasi larva di bacherozzo abbia dichiarato di non sopportare il presidente della comunità ebraica di Roma fa buon brodo. Il problema è che in quel brodo i bacherozzi sguazzano, e sembrano addirittura ingrossare – ma questo effetto ottico collaterale il giornalista in questione lo ritiene sopportabile. Oppure si tratta del solito gioco win/win: i bacherozzi ottengono più visibilità, le minoranze minacciate più solidarietà. Sì. Non credo che convenga a tutte le minoranze.
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101 teorie

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Ed eccoci qua. Ormai sono due anni che scrivo all'Unità, e in effetti non mi ero ancora presentato.


(È che detesto l'autoreferenzialità, sapete). La teoria numero centouno è sul mio nuovo blog sull'Unità (Sì! Abbiamo cambiato di nuovo la piattaforma! E per ora wordpress mi taglia le immagini! Ma il peggio è passato).

Come avrete notato, qui sopra è cambiato qualcosa – ogni tanto succede. Nel gergo dei blog si chiama “cambio di piattaforma”, io da quando scrivo sull’Unita.it ne ho cambiate già tre – a proposito, da quando scrivo sull’Unita? Ormai sono due anni, ho iniziato nel dicembre 2009. E siccome la settimana scorsa ho pubblicato il post numero 100, ne approfitto per festeggiare parlando un po’ di me. Lo so che è una cosa imbarazzante, ma i blog lo fanno (anzi qualcuno dice che non facciano altro).
A volte diventa quasi indispensabile. Me ne sono accorto una volta mentre leggevo i commenti (sì, li leggo, tutti. E cancello solo i doppioni e le parolacce, neanche tutte). Sotto a non mi ricordo più quale fondamentale riflessione, c’era un lettore che diceva qualcosa del tipo: ‘interessante, però scusa, tu chi sei?’ Dove il “chi sei” si può leggere in tanti modi: chi sei tu per dire una cosa del genere? Hai un qualche tipo di autorità, hai studiato l’argomento, hai titoli, un curriculum qualunque? La risposta a queste domande in generale è no: non sono un esperto di niente. Se non avevate mai sentito parlare di me è perché io in buona sostanza sono un insegnante di scuola media con l’hobby della scrittura on line, tutto qui. E quindi, insomma, con che titolo mi metto a parlare di Berlusconi o di scuola media o di qualsiasi altro argomento?
Con nessun titolo, appunto. Per molti anni non mi sono nemmeno firmato col cognome, cosa di cui molti mi rimproveravano (la querelle tra anonimi e cognomi va avanti da sempre). In realtà quando alla fine scoprivano come mi chiamavo spesso ci rimanevano male, perché non corrispondeva appunto a nessuna persona di qualche importanza: e insomma avevano perso tempo a polemizzare con uno sconosciuto, credendo che magari dietro il nick ci fosse chissà chi. Le cose che scrivevo erano più interessanti della persona che le scriveva.
Ho sempre pensato che le cose avrebbero dovuto restare così: non chiedetevi se chi scrive è un esperto, leggete soltanto se trovate che ci sia qualcosa di interessante. Se parlo di scuola, è perché ci vado quasi tutte le mattine. Se parlo di Berlusconi è perché anche lui in un qualche modo fa parte della mia esperienza quotidiana da venti e più anni; credo che dopo averlo subito per così tanto tempo il minimo che ci meritiamo tutti è una laurea in berlusconologia ad honorem. Se parlo di qualsiasi altro argomento, ne parlo da dilettante: cerco di partire da dati oggettivi, osservazioni condivise; ci costruisco una teoria, il più possibile originale, qualcosa che ritengo non sia già stata scritta da qualcun altro sullo stesso argomento; e voi siete liberi di scannarmi nei commenti. Per inciso, all’inizio il blog (non era nemmeno un blog, era ancora una rubrica) si chiamava proprio “ho una teoria”, una specie di tormentone che mi capita di usare spesso, anche in modo involontario. È tutto quello che ho: teorie. Il più delle volte non reggono al collaudo, però restano interessanti. Cesare Buquicchio (che non smetto di ringraziare) invece mi aveva proposto di chiamarlo “Spero di sbagliarmi”, un’altra mia frase ricorrente, ma mi sembrava che rivelasse un po’ troppo di me. Sì, sono una persona fondamentalmente pessimista, che spesso teorizza catastrofi e poi aggiunge in calce, a mo’ di scusa, che spera di sbagliarsi. Qualche volta fortunatamente mi sbaglio davvero, anzi stavo quasi pensando di andare a contare la percentuale di errori nei 100 post che ho scritto, ma è un lavoraccio (e i primissimi sono un po’ difficili da reperire: comunque questo è il primo. È la risposta a un giornalista che si lamenta, ehm, dei commentatori che scrivono parolacce).
Quel lettore che mi chiese “chi sei”, magari aveva soltanto voglia di trovare o leggere altre cose mie. Anche questo è legittimo. Nella nuova piattaforma trovate foto e biografia minima. La foto è un’altra cosa che per molti anni non ho sopportato di vedere sopra le cose che scrivevo. Anche adesso mi dà un certo fastidio, in generale bisogna mostrarsi sereni e sorridenti, poi magari se frana una montagna è molto difficile riuscire a scrivere qualcosa di intelligente sotto un sorrisetto idiota (giusto ieri sul mio twit c’erano un paio di facciotte di opinionisti sorridenti che discettavano di suicidio assistito). Magari troverò una smorfia più seria. Comunque quello lì sono proprio io, senza occhiali. Se c’è una parola che mi dà fastidio è “cattocomunista”, ma forse è lo stesso fastidio che provo per la mia foto o la mia voce registrata, visto che io davvero sono nato cattolico e sono cresciuto un po’ materialista dialettico, e ho fatto in tempo, se non a conoscere Dossetti, almeno a stringergli la mano. Sono cresciuto e sto invecchiando nella provincia di Modena, nel famoso triangolo rosso; salvo che la mia era una famiglia di bianchi, a parte il nonno materno che leggeva l’Unità. In casa nostra invece passammo dal Resto del Carlino alla Repubblica mi pare verso il 1985, anche grazie all’inserto di vignette che si chiama Satyricon. Conservo da allora una deferente ammirazione per Scalfari, ma anche per Disegni e Caviglia. Sono stato scout cattolico dai lupetti fino a Capo-Reparto, più o meno come Matteo Renzi. Poi mi sono un po’ perso e adesso avrei qualche difficoltà a definirmi cattolico, anche se la storia del cristianesimo rimane uno dei miei hobby (da qualche tempo scrivo anche un blog sulle vite dei santi, dove nei commenti mi danno alternativamente del baciapile e del mangiapreti, è stimolante).
Mi sono laureato in Lettere, come milioni di altri umanisti frustrati, nel ’98, ma in un qualche modo mi sono messo subito a lavorare e, grazie anche a qualche sana botta di fortuna, non ho più smesso. Però sono un’eccezione; non fate come me, non laureatevi in lettere. Nel 2001, lavorando in un ufficio dove ero connesso per 8 ore al giorno, aprii un blog quasi per caso. Alcuni blog italiani esistevano già, ma in seguito hanno chiuso: il mio è uno dei più vecchi, e, a causa della mia verbosità, probabilmente uno dei più lunghi in assoluto. Secondo me ormai ho superato la Bibbia, anche se mi manca la forza di controllare.
Quando ci fu il g8 di Genova cercai di fare col blog quello che adesso tutti provano a fare con twitter, finché la polizia non troncò il cavo del mediacenter delle scuole Diaz e il resto della cronaca dovetti pubblicarmela da casa. È stata l’unica cosa vagamente giornalistica che ho fatto, perché io in realtà arrivo al blog da un percorso di scrittore frustrato. Alcuni pezzi che ho scritto sono stati raccolti in un volumetto che si chiama Storia d’Italia a rovescio (2006-2002), pubblicato da una casa editrice che ha chiuso i battenti immediatamente dopo. Ho anche scritto un libro serio, sull’unico argomento di cui sono un esperto, non scherzo, a livello mondiale: il futurismo letterario.
Veniamo alla politica, visto che è la cosa su cui di solito si litiga qui. Dunque io sono antiberlusconiano, come s’è capito: non credo che Berlusconi sia la fonte di ogni guaio dell’Italia, ma ne è un sintomo enorme, di cui non dobbiamo smettere di occuparci. Credo di essere stato antiberlusconiano ancora prima che Berlusconi scendesse in politica, forse ancora prima di captare Canale 5, può darsi che sarei stato antiberlusconiano anche in assenza di Berlusconi. Lo ero per vari motivi, a partire dalla violenza con cui interrompeva i cartoni animati per mostrare assurde pubblicità di bambole in rosa, il cui edonismo non condividevo. Ho odiato Craxi e il pentapartito di un odio che oggi faccio un po’ fatica a rievocare. Negli anni Novanta sono stato prodiano, avete presente quelli che dopo dieci anni ancora non perdonano Bertinotti (e Vendola) di aver fatto cadere il Prodi I, ecco, io sono uno di quelli. E ovviamente ce l’avevo con D’Alema, le sue barche, le sue bicamerali, il suoi calcoli astuti sempre sbagliati, eccetera. È buffo che adesso i lettori mi diano del dalemiano. Ma forse hanno ragione, e più che buffo è triste.
Durante e dopo il G8 mi sono trovato in una posizione abbastanza barricadera. Mi è capitato diraccogliere firme per la Tobin Tax, mentre confluivo nel Correntone e subivo (come tanti) l’infatuazione per Cofferati. A un certo punto, che non è chiaro nemmeno a me, devo aver ridimensionato di parecchio l’orizzonte delle attese, perché mi sono ritrovato a sperare nel secondo avvento di Prodi, e a soffrire molto per il suo governo nato zoppo. Veltroni, con tutta la sua valigia di sogni, mi ha sempre lasciato un po’ freddo, ma a un certo punto pensai che fosse un problema mio, che invece poteva essere l’uomo giusto per rilanciare un qualsiasi centrosinistra (però alle primarie votai Rosy Bindi). Sono diventato un antiveltroniano cocciuto quando mi sono reso conto che il problema non era soltanto mio, che l’uomo non riusciva a entusiasmare quasi nessuno. Alle ultime primarie votai Bersani e devo dire che non mi sono pentito, anche se in questi giorni mi è tornata in mente una cosa che avevo scritto un anno fa all’indomani di un insuccesso elettorale alle amministrative: “Bersani ha trenta mesi per mostrare che il suo partito non vuole cambiar pagina solo a parole. Siccome altri test elettorali per lui non ci saranno, e questo è stato deludente, forse è il caso di pensare a un altro turno di primarie nel giro di due anni. Se avrà fatto un buon lavoro sarà riconfermato”. In questa cosa ci credo ancora: invece non capisco perché dovremmo perdere tempo a fare primarie di coalizione, come se il problema sia decidere se il leader della coalizione è Bersani o Vendola. No, secondo me Renzi, o chiunque altro abbia un’idea del PD diversa da proporre, dovrebbe proporla agli elettori del PD, confrontarsi con Bersani, e lasciare che gli elettori del PD decidano. La butto lì, diciamo che è la teoria di uno che non ha nessuna voce in capitolo, nessun accesso a nessun retroscena, e non rappresenta altri che sé stesso. La mia teoria numero 101. Alla prossima settimana. http://leonardo.blogspot.com
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Cinguettami questo

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Contra Laconicos
(pezzo lungo e se ne vanta)

È stata una settimana qualsiasi su Twitter, il popolare servizio di messaggistica via internet. Domenica scorsa un giornalista italo-niuorchese, uno di quelli che praticamente c'era quando Al Gore inventava l'internet, ha lanciato un meme che è diventato subito popolarissimo: scrivere i nomi di tutti gli scrittori sopravvalutati, per esempio lui trova che Borges sia sopravvalutato. Da cui si vede la superiorità di twitter su qualsiasi altro social network o ambiente in rete: per dire, io se scrivessi su un blog che Borges è sopravvalutato (sì, io sarei abbastanza deficiente da farlo, qui per esempio ho stroncato Montale), per dare un senso alla cosa dovrei dilungarmi per migliaia di battute, e comunque mi scannereste nei commenti. Se lo facessi su un forum, o anche su quella amena palude che è Facebook, partirebbe subito un flame che avrebbe i caratteri della disputa medievale, qualche futuro studioso potrebbe persino trovarci qualcosa di interessante. Insomma, non importa quanto sia superficiale un'affermazione: la possibilità di scavarci sotto e trovare cose interessanti su internet c'è, lo spazio non manca mai.

Manca solo su Twitter, l'unico vero spazio angusto della rete. Come gli ascensori, che però non è che siano stati progettati bassi e stretti così è più facile scambiarvi banalità cogli sconosciuti. La limitazione la impone la natura, la maledetta forza di gravità, fosse per gli architetti loro gli ascensori li farebbero enormi. Invece gli architetti di twitter lo hanno progettato piccolo apposta; è forse il primo vero consapevole passo indietro della comunicazione via internet. Una televisione che ha deciso di tornare al canale unico, una radio che manda solo impulsi morse; twitter ti costringe a sbrigarti in 140 caratteri, e quindi niente spiegazioni: Borges è sopravvalutato, punto. Sono in superficie e ci resto. Anche le modalità di reazione sono deliberatamente limitate e superficiali: certo, puoi sempre replicare “kazzo dici? Borges é grandissimissimo”, ma la tua replica se la legge soltanto il destinatario (dai duecento followers in poi probabilmente non se ne accorge nemmeno).

L'unica vera modalità di reazione che twitter consente e facilità è l'emulazione, per cui nel giro di poche ore ti ritrovi a video centinaia di cinguettii di sconosciuti che ti informano che Umberto Eco e Marcel Proust sono autori sopravvalutati, mentre il giornalista tutto allegro stila la classifica. Lui è uno di quelli che ci tiene molto a mettere sempre il nome e il cognome, secondo lui tutti su internet dovrebbero mettere sempre il nome e cognome, così per esempio i posteri sapranno lui come si passava la domenica pomeriggio: stilando classifiche di scrittori sopravvalutati da un campione casuale di utenti di twitter anche loro con niente di meglio da fare la domenica pomeriggio. (Noto qui en passant che "follower" in italiano si potrebbe benissimo tradurre con "seguace": per una volta che abbiamo una parola chiara, suggestiva, ancora più breve dell'originale... non sarebbe così male usarla).

Durante la settimana sono successe tante altre cose interessanti, per esempio a un certo punto un esponente della Lega Nord, intervistato sull'esistenza della Padania, ha citato come prova dell'esistenza della suddetta denominazione geografica l'esistenza di un formaggio chiamato “Grana Padano”. L'esempio è effettivamente interessante, perché segnala un problema: la parola “Padania” esiste. Non è che per far dispetto ai leghisti – detestabili quanto si vuole – possiamo negare l'evidenza: esiste l'aggettivo “padano, -a”, esiste il nome proprio “Padania”: esistevano anche prima che Maroni e Bossi se ne impadronissero a scopo propaganda (storpiando anche l'accento). Affermare che la Padania non esiste, trasformare quelle tre sillabe male accentate in un tabù, è un paradosso linguistico che alla fine fa soltanto il gioco dei leghisti, che non vedono l'ora di recitare la parte della minoranza perseguitata nel nome di una patria rimossa financo nel vocabolario. Su tutto questo mi sono dilungato altre volte, per mille e più battute, del resto si sa come eravamo noi blog: inutilmente verbosi. Invece adesso c'è Twitter.

E su Twitter è tutto più facile. Un leghista cita come prova dell'esistenza di una nazione un formaggio? Divertente! Copiamo la battuta. È stato il meme più seguito di venerdì: la Catalogna esiste perché esiste la crema catalana, la Savoia per via dei savoiardi, eccetera. Divertenti, no? Ecco, appunto, no.

Poi per carità, l'umorismo è soggettivo, ma date un'occhiata a una raccolta qualsiasi, come questa, delle “battute più simpatiche che imperversano su twitter”, e ditemi che senso possa avere “simpatiche”, a parte “bruttine che s'impegnano, ma invano”. Però magari finché stavano nello stream di twitter sembravano davvero divertenti. In effetti il meccanismo dell'umorismo di twitter è assolutamente primitivo: è lo stesso che sfrutta il comico che dopo averti scaldato con qualche battuta davvero buona riesce a farti sganasciare per un'altra mezz'ora con materiale di scarto: la reiterazione ossessiva, nel soggetto ben disposto, è esilarante in sé. Insomma twitter fabbrica tormentoni. Non solo, ma ti dà anche la soddisfazione di partecipare: alla centesima battuta costruita sullo stesso meccanismo, anche tu che sei un cretino ce la fai a scrivere che Gorgonzola esiste per via dell'omonimo formaggio: e non importa che non abbia un senso, la gente riderà comunque, la gente sta ridendo da prima, oppure ha smesso di ridere ma nessuno se ne è accorto; twitter è un Drive In di Ricci senza silicone ma soprattutto senza risate finte.

Sul serio, le ha tozzissime. Non vi immaginate il calvario.
Poi in settimana sono successe altre cose ugualmente divertenti, io non è che le abbia seguite tutte. Per esempio è successo che Scilipoti abbia fatto un errore di battitura, ma devo dire che ne faccio spesso anch'io d'imbarazzanti, perché credo di condividere con Scilipoti un difetto strutturale che non ci rende veramente adatti alla contemporaneità: le dita tozze. Così per esempio Scilipoti voleva scrivere “futuro” e ha scritto “fututo”, noterete che la t e la r sono proprio attaccate, insomma succede. E non è un problema; su qualsiasi altro servizio on line ci si può rapidamente correggere.

Su Twitter no.

Per cui capirete, che se Scilipoti pesta con un dito un tasto sbagliato, Twitter non glielo può assolutamente perdonare, e “fututo” diventa subito un fantastico, divertentissimo meme, che nella mia fantasia di portatore di dita tozze va a identificare quelle persone che nella vita reale si sganasciano se inciampi e cadi, e dopo tre anni t'incontrano ancora te lo raccontano, di quella volta che avevi fretta e sei inciampato e caduto, ah ah ah, ma quanto è buffo Scilipoti che scrive “fututo” - te lo scrive gente con dita affusolatissime che non riesce più a mettere la punteggiatura, ma del resto è Twitter, non vorrai mica stare a guardare.

Che altro? Ieri era contemporaneamente (come sempre) sia il Buy nothing day sia il giorno della Colletta Alimentare. Io avevo perso di vista da anni entrambe le iniziative, ma Twitter me le ha rammentate, con tutto il codazzo di polemiche e altre cose su cui senz'altro ho scritto migliaia di anni fa, non voglio nemmeno andare a cercare, del resto se sono vecchio è un problema mio, è giusto che altri si mettano a parlare delle stesse cose.

Però adesso lo fanno su Twitter, e su Twitter tutto è più rapido, scanzonato! A un certo punto Wu Ming ha fatto presente che dietro la Colletta Alimentare ci sono Comunione e Liberazione e Compagnia delle Opere. Subito è scattato l'allarme: Wu Ming boicotta la Colletta Alimentare! E i poveri li sfamiamo a copie invendute di Manituana? Coi Wu Ming pazienti a spiegarsi, però su twitter ogni spiegazione è un rivolo che cola via. Finché qualcuno non ha tirato la botta, che sicuramente i Wu Ming non potevano aspettarsi: siete venduti a Mondadori. Ecco, questa è stata la mia settimana su Twitter.

La settimana in cui – per una pura coincidenza, che si chiama Fiorello – Twitter è definitivamente entrato nel mainstream italiano, per cui tutto questo da qui in poi sarà la norma: Repubblica e Corriere i ragguaglieranno in tempo reale sull'ultimo errore di battitura di politico buffo che impazza sulla rete e scatena migliaia di divertentissime scimmiottate. E io ho sempre più nostalgia di Second Life, del 2006, di quando il futuro di internet era un brutto sfondo 3d dove dovevi lavorare sodo e guadagnare anche solo per permetterti un pene decente. Perché almeno quelli che ti dicevano che Second Life era il futuro di solito li vedevi sparire nelle loro stanze per qualche settimana; non ti si piazzavano al monitor coi loro assiomi di saggezza scartati dai baci perugina; non ti tiravano cancelletti con l'aria di chi ha finalmente trovato la battuta del secolo senza perdere tempo a informarti di cosa sta parlando; non si materializzavano dal Nulla per informarti che Dickens è sopravvalutato. Non ti rovinavano il caffè col loro umorismo da pulmino dalle medie, identificandosi come gli stessi che imparavano a memoria ogni battuta della Gialappa e non vedevano l'ora di ripetertela, costringendo tu stesso a guardare la Gialappa per cercare di capire cosa ci fosse di divertente, i momenti esatti in cui ridere, e perché. Ma sul serio perché non ve ne tornate tutti su un atollo di Second Life, vi fate un'orgia, e poi se qualcuno inciampa sul predellino di un motoscafo sai le risate, ecco, uno può farsi un avatar a forma di Scilipoti e giù tutti a ridere! È divertente! Un altro invece può fabbricare un cippo di marmo a forma di Borges e i giornalisti famosi italoniuorchesi possono farsi un avatar di barboncino e andarci a fare i bisognini, ecco, io preferirei.

Io me ne resto qui, a scrivere lenzuolate di roba che nessuno vi costringe a leggere, a scavare sotto qualsiasi minchiata che mi capiti di incontrare in superficie. Sono fatto così. Non è che non ami la sintesi, in alcuni la invidio proprio: in La Rochefoucauld per esempio, non nel primo bimbominchia italiano o niuorchese che mi tira un cancelletto.
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Ma tu non sei Eugeeeeeeeeeeeeew

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Più fatti, meno Ferrara

Una cosa non privata che vorrei salvare della Blogfest 2011 (a proposito, grazie!, pensavo proprio peggio) è il vicedirettore del Fatto Quotidiano, Gomez, che gela il pubblico dicendo, testuale: “abbiamo quattrocento blogger che lavorano per noi assolutamente gratis [...] speriamo che questi quattrocento diventino presto quattromila, e forse ci arriveremo a prendere anche quegli altri” [intendeva Repubblica Corriere e Stampa, gli unici siti giornalistici che vanno più forte del FQ].

In realtà l'infortunio sta tutto in un verbo, “lavorare”. Bastava che Gomez dicesse “collaborare”, e tutto sarebbe filato abbastanza liscio. Perché no, nessuno si aspetta che il Fatto paghi quattrocento o quattromila blogger per commentare i fatti del giorno. È comunque curioso che la strategia d'attacco del FQ sia aumentare i blog, questi vecchi arnesi che evidentemente però fanno rete, fanno traffico, fanno scalare posizioni in classifiche a cui gli inserzionisti danno peso, e insomma a qualche punto della filiera il blog produce soldi, anche se il volenteroso blogger del Fatto Quodiano probabilmente quei soldi non li vedrà mai, nemmeno in percentuale. Lui comunque è contento di sopperire con la libera espressione del suo ingegno ai fondi per l'editoria che il FQ non percepisce, e un po' lo capisco.

Una cosa privata che vorrei salvare della Blogfest è la sensazione di disgusto fisico provata l'indomani mattina mentre sfogliavo la Repubblica, e a un certo punto mi trovo alla pagina dei commenti, con l'animo bendisposto a leggermi il mezzo lenzuolo di Scalfari, quello in alto a destra, esatto. E tuttavia, mentre proseguivo con la lettura, mi sembrava che qualcosa non tornasse: don Eugenio mi sembrava meno serio del solito, non citava nessun dato macroeconomico, addirittura si metteva a chiacchierare con Giuliano Ferrara, gli dava del tu, cosa esecrabile, addirittura lo chiamava "mio amico Giuliano", lodava "la sua audace e bella penna", ma quando mai, aspetta... ma non stavo leggendo il fondo di Eugenio Scalfari. L'avevo pur notato, in prima pagina, che non c'era nessun fondo di Eugenio Scalfari. Stavo leggendo... mio dio! Francesco Merlo.

Capite, non è tanto Merlo in sé. Merlo si può leggere, a volte è discutibile ma non è che sia disgustoso. Ma leggere Merlo credendo di leggere don Eugenio, come posso descrivere la sensazione perturbante, heimlich/unheimlich... è come scoprire che la biondina che state spiando nella cabina dello stabilimento balneare è vostra sorella ciccia coi brufoli, ecco. E qualcosa dentro di te in quel momento si ribella, nel mio caso il cappuccino.

Il rigurgito interiore che ne consegue apre la strada a due considerazioni. (1) Eugenio Scalfari, vorrei dirlo prima che sia un po' tardi, è come l'acqua corrente: ci accorgeremo di quanto era prezioso solo quando ce lo toglieranno. Fino a quel momento continueremo a snobbarlo, ma chi vuoi che lo legga ancora fino in fondo, ecc. E invece sapete una cosa? Io. Io continuo a leggerlo fino in fondo, va bene? Per me vale ancora la pena. No, non è molto brioso, no. Certo, sa scrivere meglio di molti fighetti che ho in mente io. Di sicuro non occupa metà pagina di quotidiano per conversare con un suo "amico" lasciando il lettore quasi al buco della serratura. In realtà l'editoriale di Scalfari c'entra poco con il genere-editoriale per come si è ridotto negli ultimi vent'anni, con le opinioni precotte di adesso. Scalfari ha questa mania per i dati, vuole sempre partire da dei dati o infilarli comunque da qualche parte, poi per forza non ci sta nelle cinquemila battute che sono più che larghe per quel che deve dire un Panebianco o un Ostellino o un Mieli o un Merlo (o un blogger). Scalfari alla sua età ci tiene ancora a far vedere che le sue osservazioni sono interessanti perché osservano cose concrete, non perché le fa lui che si chiama Eugenio Scalfari. Poi i suoi calcoli li avrà sbagliati cento, mille volte, ma appunto, sono calcoli: si possono sbagliare. Gli altri non sbaglieranno mai, al massimo un anno fa mettevano Neutrino Gelmini nella lista dei ministri migliori del governo – eh, ma sono opinioni, ognuno ha le sue, per esempio sapete alle mosche cosa piace. Volete invece sapere cosa manca ai quotidiani di adesso? Non certo i blogger, anzi, sono tutti lì che ronzano attorno e non vedono l'ora. Anche gratis. Secondo me mancano coraggiosi produttori di lenzuoli alla Scalfari, che prendano dei dati interessanti, non visibili a tutti, e li usino per costruire dei ragionamenti, anche sbagliati. Però ragionamenti, ipotesi, proposte. Non opinioni. Per le opinioni, davvero, i blog bastano, avanzano, sovrabbondano.

(2) Un'altra cosa di cui secondo me i quotidiani non hanno più bisogno è di quel genere letterario in cui un giornalista cerca di convincere Giuliano Ferrara a non essere così Giuliano Ferrara: a essere un po' meno Giuliano Ferrara, a essere Ferrara in un modo un po' più ragionevole. Perché davvero, son vent'anni ormai, è un po' come il genere della pastorella per gli stilnovisti: loro volevano convincere una fanciulla a rotolarsi nel fieno, voi volete convincere una baldracca delle gioie della castità, ma la volete piantare? Ma ci spiegate una buona volta in cosa consiste l'importanza, la centralità di Giuliano Ferrara nella storia contemporanea? Ma sul serio vi piace il suo stile ampolloso a cui andava torto il collo in terza liceo? Ma sul serio Ferrara può rappresentare una categoria, per cui se riuscissi a convincere lui avrei convinto, boh, cinquecento persone in tutt'Italia? Quanti ci sono che lo leggono ancora sul Foglio senza che li costringano, e perché? E cos'è questa singolare proprietà traslucida di Giuliano Ferrara, per cui se ammetto che è intelligente, improvvisamente sembro più intelligente anch'io? Ma quindi è davvero colpa mia se il più delle volte mi sembra un buffone?

Vorrei essere più chiaro di così. Cari amici di Repubblica: ogni volta che un vostro editorialista, invece di occupare le sue colonne spiegando cose interessanti, si mette a spiegare all'amico Ferrara che non dev'essere troppo Ferrara, altri cento lettori paganti si spostano al Fatto Quotidiano. E magari aprono anche un bel blog gratis, che comunque fa traffico eccetera. Fate un po' i vostri conti.
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Com'è profondo il mare

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Siamo pochi. Comunque siamo troppi. Siamo vecchi e autoreferenziali. Siamo anche un po' aggressivi. Ci nascondiamo di notte per paura degli automobilisti e dei linotipisti. Siamo insomma i blog italiani, e ormai dovremmo averlo capito: se non ci prendiamo un po' sul serio da soli, nessun altro lo farà.

La Blogfest si celebra questa settimana: la stagione di caccia alla blogfest si è aperta da un pezzo. Sparare ai BlogAwards è relativamente facile: i premi sono troppi, i candidati sempre gli stessi, eccetera eccetera eccetera. In realtà dal 2008 a oggi sono cambiate parecchie cose, forse un po' più lentamente di quanto era lecito aspettarsi, ma poteva andare peggio. Nel 2008 la festa era una cosa alla buona, dove ci si premiava quasi a vicenda, all'ombra dei convitati di pietra Grillo e Travaglio che mietevano migliaia di suffragi ma non avevano neanche considerato l'idea di venire a ritirare un fantasmino. L'anno successivo trionfò Spinoza. Nel 2010 è spuntato il Post (ma anche i400calci hanno strappato un premio meritatissimo dalle grinfie del solito Cineblog). Ecco: Spinoza, il Post, i400calci sono esempi diversissimi di siti di qualità che nel 2008 non esistevano e che in tempi relativamente brevi si sono creati un seguito importante. L'obiezione me la faccio da solo: in tutti e tre i casi non si trattava di blog di esordienti (anzi). È vero: l'esperienza è un fattore importante. E le relazioni coltivate per cinque o dieci anni sono ancora un patrimonio che fa la differenza. Però non è vero che la blogpalla italiana è sempre identica a sé stessa. Può darsi, questo sì, che continui a evolversi intorno a uno zoccolo duro un po' troppo ristretto di persone e di esperienze, ignorando tante cose che accadono ai margini e non riescono ad attirare l'attenzione. E questo è un peccato, visto che negli ultimi quattro anni è tutto cambiato davvero.

Nel 2008 aggiornare un blog italiano significava luccicare in una costellazione di un migliaio di individui che si leggevano e lincavano tra loro (più la cometa Grillo che era sostanzialmente un corpo estraneo). Nel 2011 la blogosfera non è che una regione periferica nella galassia dei social network. Oggi un post riuscito può uscire dalla nostra piccola costellazione e ritrovarsi sul desktop di decine, non sto esagerando, decine di migliaia di persone. È una cosa che capita magari una volta all'anno, o nella vita, ma oggi può capitare: nel 2008 era fantascienza. È una questione di fortuna e di un po' di autopromozione. La fortuna non è il mio forte: per l'autopromozione i BlogAwards fanno quello che possono. È giusto cercare di assegnarli a chi non ha ancora vinto: cerchiamo di allargare un po' l'occhio di bue, facciamo vedere che non siamo i soliti quattro gatti. Da questo punto di vista non riesco a biasimare Gianluca Neri, che pure ci ha complicato la vita mantenendo in vita tantissimi premi, e raddoppiando le nomination, col risultato che a Riva 250 blogger hanno la possibilità di ritirare almeno un fantasmino. Se alla fine saranno i soliti, non prendetevela troppo. In alcuni (rari) casi i soliti potrebbero davvero essere i più bravi.

Io sono candidato anche stavolta, nelle stesse categorie dell'anno scorso (con due post candidati nella stessa categoria, proprio come l'anno scorso). Il che ci dice qualcosa sull'abitudinarietà di chi in estate vota le nomination. Tra l'altro non ho fatto nessuna campagna: però il fatto che centinaia di persone continui a votare per me lo apprezzo tantissimo. Anche se quest'anno mi sa che perdo. Però, appunto, a questo punto è una questione di serietà: mi avete candidato, perderò combattendo.

Seguono le non-indicazioni di voto (se volete votare più o meno come me, fatemi il favore di cambiare qualche blog qui e là, altrimenti rischiate di passare per truppe cammellate – cosa che in realtà siete, miei valorosi cammelli: si tratta di mimetizzarsi un po'). Come probabilmente sapete, è obbligatorio votare in tutte le categorie, compresi i blog erotici che nessuno si fila e i blog con la miglior grafica, che di solito ti cavano gli occhi appena li carichi. Ringrazio Many che con le sue spudorate indicazioni mi ha alleggerito un po' il compito.
Si vota qui, fino a domani. Grazie a tutti

Miglior sito o blog 2011.
Appunto, votate per me. Nessuna possibilità, ma cadrò combattendo. Sofri esporrà la mia testa mozzata in salotto, no, forse nella cantinetta, boh, sarà comunque una fine degna (Il grande escluso: forse questo è stato l'anno di Sempre un po' a disagio)

Personalità in rete dell'anno
Giuliano Pisapia è la personalità dell'anno, fuori e dentro la rete. La storia d'Italia per quanto mi riguarda comincia il 29 maggio del 2011... sì, scusate, mi commuovo appena ci ripenso. Sennò c'è Makkox, un altro che quattro anni fa non conosceva nessuno, e adesso guarda che roba che fa; e poi venitemi a dire che nei blog non succede niente. (Il grande escluso: Mazzetta ha fatto impazzire Pontifex, credo che sia un titolo sufficiente).

Sito o blog rivelazione dell'anno
Voterei Barabba anche se non sapessero il mio indirizzo e dove parcheggio. Anche loro si sono sbattuti parecchio, hanno fatto due o tre libri, vanno in tour, sono instancabili. E poi sanno dove parcheggio.


Migliore community o sito collettivo
Questa potrebbe essere la categoria da sacrificare ai potenti numi di Spinoza, ma tanto loro vinceranno tutto e ci lasceranno le briciole, quindi... quasi quasi Leganerd. (Il grande escluso: Io ricordo Genova l'avrei messo qui)

Miglior sito o blog di opinione
L'anno scorso ho vinto io, Travaglio è ancora lì che si domanda dove ha sbagliato. Stavolta c'è Gramellini e c'è la Murgia. Più Gilioli che è una potenza. E anche Bordone e Zoro si fanno più insidiosi, insomma la vedo durissima, però ci provo. (Il grande escluso: Malvino, anche se s'incazza).

Miglior blog o testata giornalistica online
L'unità. Avevate dei dubbi? (Il grande escluso: L'espresso, forse).

Miglior sito o blog tecnico-divulgativo 
Beggi e Attivissimo hanno già avuto il loro meritatissimo quarto d'ora: Keplero ancora no, e se lo merita.

Miglior sito o blog televisivo
Ecco, io di solito votavo Dave, più per una questione di affetto. Italiansubs mi sembra un servizio notevole. (Il grande escluso: Tutto fa media?)

Miglior sito o blog culinario
Allora, giusto perché stavolta nella dicitura non c'è solo blog, io potrei valutare di devolvere il mio voto a Dissapore, immutata restando la stima a Cavoletto.

Sito o blog con la migliore grafica
Io credo che qui ci sia un problema generazionale. Cioè, la fase in cui i siti ce li scrivevamo da soli è finita: nel momento in cui i template più leggibili ed eleganti te li regala Wordpress gratis, mettersi lì a cercare di impressionare i lettori con la grafica è un po' l'equivalente 2.0 di truccarsi il motorino. Detto questo si distinguono grosso modo due categorie: quelli che continuano ad addobbare il loro albero di natale con qualsiasi lucina colorata e gadget, e non c'è nulla di male (salvo pretendere che sia grafica e candidarsi a un premio di grafica, ma non è tutta colpa loro) e quelli che invece si capisce che sotto c'è un'attenta strategia, c'è qualcuno che ha studiato e magari ha preso pure dei soldi. Ecco, questi ultimi sono il male. Il grafico di Beerhunters che lascia l'ottanta per cento dello schermo nera. Quello di Pensoscrivo che impagina le foto in modo molto elegante ma poi mette i testi in grigio su nero. Random blog che continua a mettere i post brevi su tre colonne. Eccetera eccetera. Voto Malapuella per dare un segnale: meglio testi grossi su sfondo rosa che colonne inutili e iconcine pervasive.

Miglior sito o blog cinematografico
I400calci ha avuto la gloria che meritava (ampiamente). Io ci riproverei con Kekkoz, che anche stavolta è presente con due blog. A occhio chi è sulla metà alta della classifica ha più possibilità, così magari è il caso di votare per Friday Prejudice. Che sarebbe ancora uno dei pochi motivi per alzarsi al giovedì, se uscisse di giovedì. (L'escluso: Secondavisione).

Miglior sito o blog erotico
Non ce la faccio. Mi fido di Many e voto Lindalov. (Dania è brava e non è un blog erotico)

Miglior sito o blog musicale
Eh, indovinate un po'. Ce ne sono di bravissimi, eh, però solo Enzo mi fa mettere su i dischi.

Miglior sito o blog letterario
Qui più che altrove vedo pere gareggiare con mele (e carote, e grattugie, e spinterogeni). C'è una certa difficoltà a individuare la categoria, evidentemente. Barabba l'ho già votato altrove; Geova non vuole che mi sposi non so quanto sia “letterario”, ma è una storia interessante.

Miglior disegnatore / vignettista
Se non se lo merita Makkox quest'anno, davvero non saprei chi. Di bravi ce ne sono parecchi, ma lui ha davvero inventato qualcosa che prima non c'era. Non mi era mai capitato di veder crescere un talento così, praticamente in diretta.

Miglior sito o blog politico
Premio ambiguo. Bisognerebbe mettersi lì a capire quale dei politici sappia usare meglio lo strumento (Civati?) Credo che la maggior parte dei votanti andrà invece a simpatia, e a questo punto mi tiro fuori dalla mischia e voto Io ricordo Genova.

Miglior post o articolo dell'anno
Io non è che lo faccio apposta, a candidarne ogni anno due. Non so perché succeda. Comunque non credo che il pezzo in cui propongo di castrare il 99,9% della popolazione maschile abbia tutte queste chances (ma siete matte? Ehi, scherzavo). Insomma vi chiedo di votare per il lodo Ligabue, che comunque a suo modo sempre di castrazione si tratta.

Miglior podcast / trasmissione radio online
Non le sento. Voto Economìca per simpatia.

Miglior social network / servizio per i blog
Liquida è una gran cosa, però blogger è qualcosa che mi accompagna da dieci anni, e in dieci anni mi ha tradito davvero pochissimo.

Miglior tweeter italiano 
Appurato che Dania non è una blogger erotica, rimane da capire cos'è. La migliore tweeter? Proviamo. (Grande escluso: Riott@!)

Miglior sito o blog personale
Visto che è candidato qui, Sempre un po' a disagio

Miglior web agency / digital PR online
Questa è la categoria più discutibile: immagino che l'80% dei votanti (me incluso) non abbia la minima idea di cosa si tratti – e non ha nemmeno molto senso andare a guardare i siti, non è da questi particolari che si giudica un digital PR online, o no? Boh. Voto di protesta: il primo della lista, così magari vince e gli altri diranno che ha vinto perché era il primo della lista.

Cattivo più temibile nella rete
Questa cosa di dividere buoni e cattivi mi lascia sempre un po' perplesso, come se non fossimo tutti a nostro modo stronzi. La cattiveria tira, ma chi spinge? Bucknasty ha una media di tre pezzi all'anno. Qualcosa del Genere butta fuori un pezzo al mese un mese ogni tanto. Facci o la Soncini non ce li vedo a stare al gioco. Voto il morto del mese.

Miglior sito o blog andato a puttane
Si parlava di prendersi sul serio, ecco, questo premio non aiuta, e se fossi in Neri lo toglierei. Nel frattempo voto Macchianera, e auspico il ritorno di Betty.

Miglior sito o blog a sfondo sociale
Anche qui: bisogna votare l'iniziativa a sfondo sociale o l'efficacia del sito o blog? Nel dubbio, scelgo l'isola dei cassintegrati.

Miglior sito o blog fotografico
Per una volta ce l'ho: Kimota. Vai Gualtiero.

Miglior sito o blog di satira
Considerato che Makkox ha già vinto a Forte dei Marmi, e scusate se è poco, io voto In coma è meglio, che probabilmente non è nemmeno un sito di satira, però è un sito che ti fa ridere mentre ti spiega un po' di fisica quantistica per farti passare la paura della morte, se fosse candidato a blog erotico lo voterei anche lì.

Miglior sito o blog turistico
Mi fido di Many: NoBorders

Qui sotto la scheda per votare. Grazie ancora!

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I diabolici Agit-Prof

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È probabile che, dopo tante battaglie vinte e pareggiate, ormai l'anonimato on line abbia perso la guerra. E siccome la Storia la scriveranno i vincitori, diranno cose terribili di noi ex-anonimi. In sostanza, eravamo un esercito di rosiconi in pigiama che usavano internet per infamare le persone normali. E alcuni di noi erano veramente così. Però. Vi va di ascoltare l'altra campana, per una volta? Potrebbe essere l'ultima.

Il motivo per cui ho cercato per tanti anni di restare anonimo, lo trovavate ieri in homepage sulla Repubblica. No, non ci sono io (grazie al cielo): però avrei potuto benissimo essere io, mi è andata bene. Invece c'è un'altra persona, con un nome e un cognome, che insegna in una scuola e ha il torto imperdonabile di scrivere le proprie opinioni su un blog. E siccome questo non costituisce ancora reato, il giornalista Marco Pasqua calca la mano, e si inventa che questa persona sia una negazionista, una che non crede allo sterminio degli ebrei. Non che sia vero. Basta leggere il suo blog. Ma Pasqua il blog non lo linca: virgoletta un sacco di citazioni, ma non rimanda alla fonte. Chi ha davvero voglia di verificare, cercherà. Per tutti gli altri Barbara Albertoni resterà una negazionista. C'è scritto in homepage sulla Repubblica, “La prof negazionista del Manzoni”, sarà vero, no? Perché nel pezzo si legge che tiene lezioni negazioniste al liceo Manzoni, no?

No. Nel pezzo c'è solo un mosaico di citazioni prese da un blog (e nessuna di queste nega l'evidenza dello sterminio degli ebrei). Nessun riferimento alle lezioni della professoressa Albertoni. Soltanto, verso la fine del pezzo, un “chissà”:

“E chissà se alcuni di questi concetti riescano a insinuarsi nelle sue lezioni”.

Già, chissà se si insinuano. Non lo sapremo mai.

Perché per saperlo ci servirebbe un giornalista vero. Uno che muova il culo e vada a intervistare gli studenti: è vero che la vostra prof è negazionista? Che discorsi vi fa? Sapete che ha un blog? Lo leggete? Eh, ma sarebbe faticoso.Virgolettare frasi qua e là da un blog è molto più semplice. Accusare un nome e cognome di negazionismo, facilissimo. Rovinare la reputazione a un dipendente pubblico: come fare due più due. Ho trovato sul blog che scrivi nel tempo libero delle frasette che non condivido. Questo mi fa pensare che tu non sappia fare il tuo mestiere. Lo scriverò su un quotidiano ad ampia diffusione nazionale...

L'Albertoni l'ha presa bene, buon per lei: non so come avrei reagito al suo posto. Quel che è sicuro è che avrei benissimo potuto essere al suo posto. Non importa ora quali opinioni abbia in comune con lei e quali no. Un bel giorno qualcuno decide che sono un negazionista, o un terrorista, o un pedofilo, e lo scrive sul giornale. Non è vero? Al limite qualche mese dopo ci sarà un trafiletto di rettifica a pagina trenta. Nel frattempo toccherà a me giustificarmi. Col dirigente, coi ragazzi, coi genitori, con gli ispettori del Ministero, con quelli del Comune: me la sbriglio io, del resto è colpa mia. Ho osato avere opinioni personali e scriverle, nel mio tempo libero, su un blog pubblico. Non si fa. Le opinioni vanno lasciate a quelli che sono pagati per scriverle. Hanno un albo, hanno l'assistenza legale, hanno uno stipendio, hanno un nome e un cognome. Possono permetterselo, loro. La libertà di opinione è roba per loro.

Non per noi. Oltre a non poter avere opinioni a scuola, sarebbe meglio che non ne manifestassimo nemmeno nel tempo libero. Perché, c'è differenza? Alla fine anche Pasqua, come l'onorevole Innominabile e gli amici della sua commissione anti-libri-di-testo-comunisti, sembra persuaso che la scuola sia una formidabile macchina di propaganda. Ma da quand'è che tutti questi signori non mettono il loro vero piede in una vera scuola? Fingiamo per un istante che sia tutto vero: che i libri di testo siano tutti approvati da una commissione congiunta Hamas - Quarta Internazionale, e che gli insegnanti di ogni ordine siano tutti affiliati a questa organizzazione comunista antisemita clandestina: anche in questo caso, non meriteremmo di essere giudicati per i risultati? E vi risulta che stiamo producendo una generazione di comunisti filopalestinesi? Forse varrebbe la pena di tenerci così, faziosi come siamo.

Però, davvero, secondo voi la scuola funziona così? Cioè: credete davvero che abbiamo tutto questo tempo per parlare di Intifada, di camere a gas, di Togliatti e Berlusconi? Avete mai dato un'occhiata agli orari, ai programmi? Avete un'idea di quante classi arrivano davvero a leggiucchiare le ultime cento pagine del testo di Storia? Ma lo avete capito che tutte quelle faziosissime frasi su Berlusconi e Togliatti non le leggerà nessuno; che quei capitoli arriveranno intonsi al macero; che ha già del miracoloso se un ragazzino di terza liceo è in grado di trovarla su una carta, la Palestina?

Ma mettiamo anche il caso estremo di un insegnante che decide di affrontare proprio quegli argomenti, e di affrontarli nel modo più fazioso possibile. L'avete mai conosciuto, un insegnante così? E vi ha mai convinto di qualcosa? Io non credo che l'Albertoni faccia propaganda antisemita nelle sue classi; ma penso che qualora cominciasse a farla, molti suoi studenti si convertirebbero all'ebraismo semplicemente per contraddirla. La scuola italiana è refrattaria alla propaganda: l'insegnante medio lo sa, e non ha davvero nessun interesse a mescolare le sue opinioni col suo mestiere.

Certo, ci saranno anche insegnanti faziosi e poco professionali. Ma non li si riconosce dai blog. Chi apre un blog molto spesso sta cercando proprio una valvola di sfogo, un posto confortevole dove gestire le proprie opinioni, lontano dalla classe e dal mestiere quotidiano: che non è quello di catechizzare classi di discepoli adoranti.

Le opinioni sono cose personali. Chi le esprime, si scopre. I ragazzi lo sanno, e ci provano sempre, a chiederti per chi tifi o per chi voti. Non è che siamo tutti delle cime, noi insegnanti, ma non siamo nemmeno tutti così fessi da scoprirci davanti a venticinque ragazzi che non vedono l'ora di metterti in discussione. È una banale questione di sopravvivenza: chi fa questo mestiere di solito conosce la differenza tra un'informazione e un'opinione. Non si può dire la stessa cosa di tanti giornalisti.

Poscritto. Mentre cercavo di buttar giù questa paginetta senza mandare al diavolo un'intera categoria di nomi-cognomi, ho appreso che Vittorio Arrigoni è stato rapito. Arrigoni è ben più di un “blogger”: ma quando i giornalisti se ne sono andati da Gaza, lui è rimasto là, e aveva un blog. Sono sempre i migliori che si ficcano nei guai. Mi unisco alla preghiera dei palestinesi che lo vogliono vivo e libero.
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Nel frattempo ho scritto altre canzoni

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Di lui parlano raramente

- C'è amore e amore. Con alcuni rimani in buoni contatti. Con altri no, è difficile anche spiegare il perché, ad esempio, io Francesco De Gregori cerchi il più possibile di evitarlo: cambio stazione, cambio canale, cambierei pure marciapiede se me lo trovassi di nuovo davanti in viale Indipendenza (mi sembrò un gigante). C'è qualcosa che non gli perdono, ma è stato tanto tempo fa, non ricordo nemmeno cosa. Di certo ha distrutto tante canzoni che mi piacevano, scartavetrandole con una voce che non riesco più a sopportare, ma è colpa sua? Lui ha preso la sua strada, io la mia, da qualche parte c'è una casa più calda, sicuramente esiste un uomo migliore. Francesco De Gregori in ogni caso mi ha cambiato un po' la vita. Sì, lo so, son cose che si dicono. Voglio precisare che questo accadeva in tempi diversi, quando la mia vita cambiava un poco tutti i giorni, come le costellazioni sempre nuove dei brufoli sulla mia faccia prima che mi prescrivessero un farmaco in seguito proibito perché gli adolescenti si suicidavano. Io non mi sono suicidato. Pensavo tanto alla morte, questo sì, ascoltavo i dischi emo del giovane De Gregori. Ma non voglio parlarvi di questo.

Voglio fare una confessione, di quelle pesanti. Io sono stato antiabortista.

Sì, esatto. È successo. Ero giovane. Troppo giovane per votare a qualsiasi referendum o picchettare un consultorio, ma promettevo bene. Ero convinto che l'aborto fosse un omicidio e punto. Tuttora, non escludo che lo sia: voglio dire che non ho sostituito una fede a un'altra; semplicemente si è fatto strada il dubbio. È stato un processo lento. Ogni tanto però la mia coscienza si dava una scrollata, ogni tanto cascava qualche calcinaccio di ortodossia. Non è che mi ricordi tutte le fasi del processo, non tenevo mica un blog. Però un momento me lo ricordo bene, e fu mentre ascoltavo un pezzo di De Gregori con il foglietto del testo in mano – quei foglietti che facevano copertina alle musicassette, avete presente. La canzone non è un granché, da un punto di vista musicale appartiene di striscio a quei tardi anni Ottanta che furono micidiali per le sonorità dei cantautori italiani, e in particolare a quel sottogenere che battezzerei: “fàmolo reggae”, perché dopo la calata di Marley a San Siro ci fu una fase in cui tutti i cantautori dovevano avere un pezzo reggae in scaletta, come se glielo avesse ordinato il dottore; e meno male che c'era Fossati a tirar su la media, ma devo dire che a me piacciono tutti, questi fintissimi reggae italiani anni Ottanta, perfino Nisida di Bennato, sì, persino Voglio andare al mare, tutte le volte che li riascolto mi fanno sentire a Pinarella. Anche il pezzo “fàmolo reggae” di De Gregori sta su un disco che si chiama Miramare, e che non credo che riascolterò mai più. Si intitola Dottor Dobermann, ed è la brevissima storia di un chirurgo obiettore di coscienza, con una bella clinica dove lavora al pomeriggio. E dunque qual è il prezzo, qual è il prezzo, dottor Dobermann? Qual è il prezzo che va pagato? per le cose che ti secca fare in pubblico, ma ti rendono bene in privato? Tanti soldi, niente tasse, e non c'è scandalo: non è nemmeno peccato...

Tutto qui? Tutto qui. Ero giovane, e può darsi che di medici ipocriti, obiettori di coscienza al mattino che ammazzavano a pagamento nel pomeriggio, avessi già sentito parlare. Però De Gregori questa storiella me la rimise davanti, e qualcosa in me cambiò. Non è che il grande cantautore abbia fatto, nell'occasione, nulla di eccezionale: ha preso una storia risaputa e ci ha messo sotto quattro accordi in levare. Non è per questo che lo celebreranno musicologi e critici letterari.

D'altro canto, per me è esattamente quello che deve fare un artista, o un poeta. È anche quello che devo fare io. Devo prendere piccole storie, già sapute, sbatterle in faccia al lettore e provare a fargli cambiare idea. È un progetto folle e dissennato, più ci penso più mi rendo conto. La gente non cambia quasi mai idea, specie dopo i trent'anni. Io però continuo a cercare qua e là le mie storielline, a intonare le mie canzoncine, per chi lo faccio? Il mio target probabilmente è un ragazzetto brufoloso disposto a cambiare idea come si cambiano i gusti musicali, di punto in bianco, quando qualcuno ti propone uno spunto diverso e interessante. Insomma, se è successo a me di cambiare idea ascoltando una canzone, potrà ben succedere a qualcun altro, e io voglio provarci. Non so se sia il motivo per cui De Gregori cantava nell'89 e si ostina a farlo oggi. Però è il motivo per cui io provo a scrivere qualcosa di nuovo tutti i giorni. E lo so che non scriverò mai la Donna cannone, nemmeno ci provo. Sono più che contento se ogni tanto mi esce un Dottor Dobermann. Così buon compleanno, signor De Gregori. Lei è stato molto importante per me.
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Il blog è morto 4567

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Domenica ero all'Unità con tutta questa gente che, fidatevi, dal vero è assai più bella. Si doveva parlare di Unità d'Italia, ma se metti dei bloggers italiani a un tavolo, un'oretta di autodenigrazione collettiva non ce la leva nessuno. Vecchi, aggressivi, autoreferenziali: siamo noi, i blog italiani (tranne quelli della foto, ovviam)

Il pezzo si può commentare anche sulla nuova piattaforma dell'Unità, quindi non si può più commentare qua.  

È vero che i blog sono autoreferenziali?

Un certo grado di autoreferenzialità è inevitabile. Ma diventa insostenibile soltanto quando si tratta di blog. Se si invitano dieci scrittori a una tavola rotonda, è ovvio attendersi che discutano di letteratura. Se chiami dieci economisti, di economia. Ma se dieci blogger intorno a un tavolo si ritrovano a parlare di blog, devono per forza chiedere scusa per l'autoreferenzialità. In realtà tutta questa spinta ad annoiare i lettori raccontando i fatti nostri, ieri, non si sentiva. Si è discusso dello spazio che condividiamo. Non è mai stato uno spazio molto popolato e importante, quello dei blog italiani: sei o sette anni fa la stampa provò anche a venderci come la nuova rivoluzione internettiana, ma la verità è che non siamo mai stati moltissimi e non siamo mai stati eccezionali. Però secondo me l'autoreferenzialità non deve portarci all'autodenigrazione. Qualcosa di buono lo abbiamo fatto: abbiamo portato qualche argomento, sollevato qualche questione, e in generale lo strumento che abbiamo scoperto ormai dieci anni fa continua a essere molto valido. Per fare un esempio: in queste ore il reportage in lingua italiana più interessante dal Giappone si legge su un blog, Pesceriso. Ovviamente l'autore parla delle cose che capitano intorno a lui, che vive a Tokio. È autoreferenziale? Avercene.

È vero che i blog sono aggressivi?

È vero che i blog – e la Rete in generale – ci mettono in una condizione ideale per esprimere un'aggressività che nella vita 'reale' siamo costretti a contenere. Per molti anni internet è stato un luogo dove non mostravamo i nostri volti, proprio come non li mostriamo mentre guidiamo nel traffico cittadino: l'aggressività dell'internauta in questo senso non è molto diversa da quella dell'automobilista, è un 'calcare i toni' che denuncia l'ansia di non riuscire a farsi capire. Però il blog è uno strumento complesso, non funziona soltanto con la rabbia o con l'indignazione. Prima o poi l'energia che si manifesta in modo aggressivo si deve articolare in qualcosa di più articolato: lo stesso Grillo dopo o giorni del Vaffanculo ha dovuto mostrarsi propositivo, era il suo stesso pubblico che glielo chiedeva. Ma Grillo è un caso molto particolare, preferisco citare il mio: ero una persona molto più aggressiva e insicura quando ho cominciato a scrivere. Sono abbastanza contento di avere trasformato tante orribili incazzature in frasi e in ragionamenti, che altre persone hanno condiviso. Può anche darsi che se fossi rimasto senza questo 'sfogatoio' a un certo punto sarei esploso e avrei fatto la rivoluzione. Io però sono uno di quelli che crede alle rivoluzioni lente, graduali, che passano per la progressiva acquisizione di una consapevolezza. La gente che scoppia all'improvviso mi ricorda i kamikaze di Hamas, mi auguro di poterne farne a meno.

È vero che i blog sono vecchi, ormai?

Sì, infatti ci avevano già dati per morti nel 2004, nel 2005, nel 2007... la prova della nostra decadenza è che nessuno fa più un bel titolo “il blog è morto”, non facciamo più notizia neanche come zombie. Senz'altro non è più lo strumento preferito dai teenager, ammesso che lo sia stato: però fino a tre-quattro anni fa, quando la principale piattaforma di aggregazione giovanile era MSN, era normale sentire un quindicenne dire “ho un blog”, “questa la metto sul mio blog”. Poi c'è stato youtube, poi myspace, adesso facebook, e gli adolescenti sono stati tra i più rapidi a cambiare mezzo. Senza dubbio lo strumento testuale è il più difficile da padroneggiare per loro; si fa molto prima a taggare una foto o caricare un video. Non credo sia il caso di farne un dramma, c'è un tempo per comunicare con le immagini e un tempo per sperimentare la comunicazione testuale (e sui blog si sta molto meglio da quando pettegolezzi barzellette e chiacchiere varie sono finite su Facebook). Detto questo, aveva ragione ieri chi si lamentava che fossimo le solite facce stanche, i soliti capelli grigi. Dove sono i blogger giovani? Ecco, appunto: dove sono? Io di blogger bravi ventenni non ne conosco: sarà un mio limite, ma se penso alle cose che scrivevo a vent'anni... fortuna che non c'erano ancora i blog.

E l'Unità d'Italia, in tutto questo?

Più che unità d'Italia, preferirei parlare di unità di italiani, che su internet sono una tribù compatta, forse un po' troppo impermeabile, tenuta assieme dal collante della lingua italiana. È chiaro che è una lingua banalizzata e standard, credo che entro certi limiti sia il prezzo da pagare. Però è una base su cui ripartire con quell'opera di rialfabetizzazione che secondo me è una delle componenti fondamentali di quella famosa rivoluzione di cui si parlava ieri. Ora che abbiamo un vocabolario comune, possiamo riallargarlo pian piano. I blog possono avere il loro ruolo in questo processo: possono riscoprire parole e concetti e rilanciarli in modo virale. In realtà il successo di una iniziativa come quella di ieri (magari tutti i problemi tecnici avete partecipato in tantissimi), dimostra che le persone hanno voglia di scriversi, leggersi, confrontarsi: i blog servono a questo. E a sentirci dire che siamo autoreferenziali. Certo: parliamo delle cose che ci interessano, che ci succedono, che conosciamo. Di cos'altro dovremmo parlare? http://leonardo.blogspot.com
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L'Italia è un blog

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Domenica prossima, dalle 11 alle 13, l'Unità (giornale) festeggia l'Unità (d'Italia) con una grande tavolata di blogger di tutto rispetto. E poi ci sono anch'io! Seguiteci in streaming sul sito dell'Unità, cercheremo di battere il Papa nella sua stessa fascia oraria. Potrete dialogare con noi scrivendo a unisciti@unita.it, o via facebook, o twitter.

Dove il sì suona
Io ho l'impressione che se si raccogliessero tutte le discussioni che si sono fatte, in rete, negli ultimi mesi, sul centocinquantenario dell'Unità, sull'importanza di festeggiarlo oppure no; sull'importanza del Risorgimento, o viceversa sulla sua irrilevanza – se sia il caso di celebrare Garibaldi o seppellirlo, celebrare Cavour o seppellirlo, e l'Inno, e la Bandiera, eccetera – se si prendessero tutte queste discussioni, e si infilassero nello stesso file, con lo stesso carattere – facciamo un bel Bodoni corpo 10, e poi si premesse il fatidico tasto “Print”, ebbene, avremmo scritto il più grosso libro mai prodotto sul Risorgimento italiano. E anche il più inconcludente, il più illeggibile, il meno necessario. Sono d'accordo. Però vorrei un attimo ragionare sulla quantità. Quanto stiamo scrivendo, sull'Unità d'Italia? Non era mai successo, per un motivo semplice. Siamo in tanti, che scriviamo: non siamo mai stati così tanti. I linguisti hanno un bel da lamentarsi che la qualità del nostro italiano stia peggiorando: hanno ragione. Resta il fatto della quantità: non abbiamo mai scritto così tanto come negli ultimi anni, da quando esiste internet. E su internet esistono siti, forum, chat, social network, e anche blog. Molti di loro hanno scritto qualcosa sull'Unità d'Italia. Magari giusto per ribadire che non valeva la pena di festeggiarne il 150°, che è meglio concentrarsi su altri problemi; che loro più che italiani si sentono europei, o padani, o cittadini del mondo, o napoletani, o interisti. E poi hanno premuto il tasto publish.

E su internet è comparso un altro testo.
In lingua italiana.

"Si scopron le tombe, si levano i morti! I martiri nostri son tutti risorti!" E poi che farebbero, una volta risorti, i nostri martiri? è ragionevole pensare che per prima cosa vorrebbero verificare se ne è valsa la pena. A quel punto potremmo mostrargli l'enorme libro che abbiamo scritto negli ultimi due mesi, sui blog e sui forum e sui social network (e sì, anche nei giornali). Pensate che lo disprezzerebbero? Al contrario, piangerebbero calde lacrime di zombies, per quello che sono riusciti a scatenare. Ce l'hanno fatta, forse non a fare l'Italia, ma a fare l'Italiano. Centocinquant'anni fa la lingua di Dante era l'idioletto di una esigua minoranza di persone – quanto a quelli che sapevano correttamente usarlo per scrivere non erano probabilmente più di qualche migliaio. Oggi scriviamo centinaia di libri al giorno, siamo instancabili. La wikipedia in lingua italiana ha più di 780.000 voci – più di quella in spagnolo castigliano, e lo spagnolo è la lingua ufficiale di una ventina di nazioni, la quarta più parlata nel mondo. L'italiano non è mai stato così brutto, forse, ma nemmeno così vitale. Possiamo anche passare il tempo a litigare sull'unità d'Italia, senza accorgerci che proprio mentre ne litighiamo – in lingua italiana – la stiamo celebrando. Celebriamo l'unità di genti che nel 1861 forse non avevano niente in comune, e che oggi ascoltano le stesse canzoni, guardano gli stessi film doppiati nella stessa lingua, e da qualche anno a questa parte scrivono, indefessi, su internet. Una sterminata produzione letteraria che dovrebbe chiudere qualsiasi dubbio sull'identità. Ci piaccia o no, siamo italiani, da Ventimiglia a Trieste (non un metro più in là).

Questo ha anche un lato oscuro. Internet è una rete che ci consente di condividere le nostre conoscenze con il mondo. Su facebook potremmo dialogare con persone di Paesi stranieri – non ci capita mai. Se siamo esperti di un argomento, potremmo entrare in un forum mondiale dove se ne discute – abbiamo mai pensato seriamente di farlo? E anche i nostri blog, potrebbero servirci per evadere un po' dalla provincia. In dieci anni che ne scrivo uno, mi dev'essere capitato di essere linkato all'estero una volta sola. Da un blog francese. I francesi sono un altro popolo di 60 milioni di persone che vive a poche ore da me, la Provenza mi è molto più familiare del basso Lazio. Ma ai francesi quel che scrivo non è mai interessato, e io non ho mai fatto molto per interessare i francesi. Non è terribilmente provinciale, questo?

Non siamo in generale, noi blog italiani, terribilmente provinciali? Internet poteva servirci a conoscere il mondo, ma il più delle volte ci serve a specchiarci in noi stessi. Ci troviamo gli stessi dibattiti che affliggono la nostra piccola tv italiana, i nostri piccoli quotidiani. Questa lingua, che ci rende stranieri a chi vive a poche ore da noi, sta diventando una prigione. Là fuori ci sono miliardi di persone che progressivamente si stanno accorgendo di vivere nello stesso mondo, con gli stessi problemi. E poi ci siamo noi, il popolo del Sì, una piccola sacca di indigeni autoctoni che continua a discutere animatamente degli anniversari della sua tribù. Da lontano gli altri ci osservano – forse hanno paura a disturbarci, come quelle popolazioni amazzoniche che vanno lasciate così come sono, per preservare una biodiversità, eccetera.

Forse è quello che siamo, una tribù rimasta ai margini del grande discorso globale, con una lingua autoctona che è meglio preservare così com'è. Vitali, ma chiusi in noi stessi. Per saperlo forse basta aspettare fino al 2061, quando festeggeremo il bicentenario. Non ha molta importanza di cosa ci troveremo a parlare per l'occasione – se sia il caso di celebrare Garibaldi o seppellirlo, di celebrare Cavour o seppellirlo, l'Inno o la Bandiera, eccetera. Ha molta più importanza la lingua che useremo. Sarà ancora il nostro italiano? Sarà una buona notizia? (Se vi va se ne parla domenica).
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Ho plagiato Hugo Proff

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Aggiornamento: Hugo ha chiesto scusa e ora sul suo blog riconosce le fonti dei post che ha... preso in prestito. Per quel che mi riguarda siamo a posto così.

"Personalmente mi ritengo soddisfatto quando un mio Post o comunque un Articolo postato su questo Blog gira per la rete.
L’unica cosa che chiedo è mettere un link al sito.
Poi esiste un’altra classe di furbacchioni che non soltanto copiano, ma addirittura postano l’ articolo con data precedente allo stesso, spacciandolo per proprio.
I più odiosi".



Il copione

Lo so che qualcuno penserà che questo è solo un patetico tentativo di salvarmi in corner. Ormai Hugo Proff è sulle mie tracce. Ha snidato Ghebreigziabiher, e ben presto troverà anche me. Questione di giorni, ore, forse minuti.

Eppure il mio pentimento è sincero. Eppure nel fondo del mio cuore ho sempre saputo che stavo facendo qualcosa di sbagliato, di orribilmente sbagliato. Ho copiato per mesi i suoi bei post, sporcandoli appena un po' con la mia prosaccia schifosa. L'ho saccheggiato a man bassa, pensando che non se ne sarebbe mai accorto. Tanto è roba che sta su internet gratis, pensavo.

Il pezzo su Ferrara, per esempio. È tempo di ammetterlo: è farina del suo sacco. Lo potete leggere sul blog di Hugo Proff, nella giornata di lunedì 14 febbraio. Io l'ho preso da lì, compresa la citazione di quel Bertolt Brecht che non so bene chi sia (uno svaligiatore di banche, credo), e l'ho pubblicato pre-datandolo, in modo che tutti credessero che lo avessi scritto io. Perché sono astuto, io, nella mia cialtronaggine. E siccome non scrivo bene come Hugo, ahimè, ho cambiato qualche espressione qui e là (per esempio ho tolto i riferimenti alla sua tumultuosa vita personale, non avendo io nessuna vera “vita”, in realtà passo il tempo su internet a copiare i pezzi degli altri). Ho tolto molti a capo, per dissimulare l'eleganza stilistica di Hugo. Ho sostituito “Berlusconi” a “Psico-pedo-papi”, il divertentissimo epiteto coniato da Hugo, che è il suo marchio di fabbrica più riconoscibile. E poi, sentite un po' che ho fatto, perché è da dettagli come questi che si capisce che povera persona sono: ho plagiato anche i commenti. Esatto, ho preso i commenti in calce al suo pezzo, li ho copiati e li ho reincollati in calce al mio, perché io a uno bravo come Hugo gli invidio anche i commenti, se fossimo due cani gli invidierei le pulci sotto i coglioni.

Ma ho fatto di peggio. Qualche settimana fa Wikimedia Italia mi chiese un contributo per 10annidisapere.it, il blog che festeggia il decennale di Wikipedia. Io accettai con entusiasmo, e... siccome non avevo nemmeno ben chiaro cosa fosse, Wikipedia, andai a documentarmi in uno dei pochi blog italiani che valgono la pena, ovviamente il blog di Hugo Proff (che scrive anche sul Fatto Quotidiano, non si sa bene dove, forse tra le righe). Dove infatti trovai un pezzo con un punto di vista molto interessante... che copiai di pacca, anche in questo caso modificando lo stile qua e là, allungando il brodo succulento con le mie scipite esperienze d'insegnante, perché nessuno mi crederebbe, se di colpo mostrassi di saper scrivere bene come Hugo Proff.


Vent’anni dopo è successa una cosa straordinaria.
La possibilità di andare su internet quando vogliamo. Qualsiasi domanda ci venga in mente… tu digiti, e in pochi secondi internet ti risponde. E così mi sono reso conto di una cosa.
Oggi i computer assomigliano molto di meno a quegli scatoloni vuoti che ho cominciato a usare gli albori cibernetici, e molto di più a quei cervelloni che sognavo da bambino.
Vent'anni dopo è successa una cosa straordinaria. Mi hanno montato una lavagna interattiva in una classe, e ora possiamo andare su internet quando vogliamo. Qualsiasi domanda ci venga in mente... tu digiti, e in pochi secondi internet ti risponde. I ragazzi ci si abituano subito, del resto la maggior parte ha già internet in casa, e le ricerchine le sanno fare, anche solo per trovare le specifiche di un videogioco. E così mi sono reso conto di una cosa.

Oggi i computer assomigliano molto di meno a quegli scatoloni vuoti che ho cominciato a usare alle medie, e molto di più a quei cervelloni che sognavo da bambino. Guarda il modo in cui li usano i ragazzi: fanno domande, e il computer risponde. 


E poi che altro c'è... ah, sì, pensate, in settembre Proff scrisse un altro pezzo lungo e curioso sull'ora di religione, non so bene il perché lo fece proprio in quel momento: so solo che in quel periodo ero alla disperata ricerca di cose interessanti da scrivere, e così... sì, lo copiai anche quella volta. Senza pietà. Ma per aggiungere verosimiglianza alla cosa, lo pre-datai di cinque mesi, al maggio 2010, rendetevi conto della mia intelligenza diabolica, in modo che sembrasse scritto immediatamente dopo la sentenza del Consiglio di Stato di cui si parla nel pezzo!

Bene, la pacchia è finita. Stamattina Hugo Proff si è accorto che un altro ladruncolo come me lo scopiazzava, e ha minacciato di tirar fuori il suo nome e il suo cognome, nientemeno! La gogna mediatica! La stessa che meriterei io. Spero soltanto che questo mio tardivo autodafé possa in qualche modo rabbonirlo.

Hugo, davvero, mi dispiace. Fino a un certo punto non mi ero nemmeno reso conto. Trovavo i tuoi contenuti in giro per la rete, tutto quel ben di Dio disponibile gratis, e pensavo che non ci fosse niente di male a rubare qualcosa che è gratis.

Ora ho capito che quel che ho fatto è terribilmente grave e stupido. Stupido, perché prima o poi te ne saresti accorto. Grave, perché saccheggiando i tuoi bei contenuti, sporcandoli col mio brutto stile, e rimettendoli in circolo col mio nome, io ti ho tolto l'unica proprietà a cui tenevi: la proprietà delle tue idee... ma no, nemmeno quella in realtà, le idee sono di tutti. Il tuo stile. È tutto quello che sei. E io l'ho preso, l'ho strapazzato e me lo sono messo indosso, indegnamente. Avrei mai potuto farti qualcosa di peggiore?

E ora cosa farai? Mi denuncerai (dopotutto non ho rispettato le licenze d'uso)? Pubblicherai il mio nome e il mio cognome e l'indirizzo IP, su una pagina ben indicizzata da google, con il resoconto preciso e gli screenshot di tutte le mie malefatte? Beh, forse me lo merito. Che tutti sappiano, googlandomi, che razza di individuo sono. Eppure imploro pietà. Non sono cattivo. Sono soltanto uno che ha cominciato a giocare senza aver capito le regole. In fondo sono ancora nuovo dell'ambiente.

Insomma, se tolgo tutti i pezzi che ho scopiazzato e chiedo pubblicamente scusa a tutte le persone a cui li ho scopiazzati, tu me la daresti una seconda possibilità?
[Grazie a Mazzetta, come sempre].
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Non disperdiamoci

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L'imboscato
- Una volta questo blog era, non lo dico per vanteria (anzi un po' me ne vergogno) il più manifestaiolo di tutti; poi è successo qualcosa, in modo anche abbastanza brusco: non so se ci avete fatto caso, ma ai cortei non ci vado più. A volte ci invito gli altri, ma poi non ci vado lo stesso. A volte faccio il tifo. A volte faccio finta di niente.

A questo punto però ci tengo a mettere agli atti che se non scendo più in piazza non è per disillusione, non è per divergenze sulla piattaforma programmatica, non è perché mi si nota di più. No, vorrei che fosse chiaro che le cose sono molto più semplici: ho messo pancia, ho messo famiglia, ho una pila di roba da correggere alta così, insomma banalmente invecchio.

Queste scuse non richieste non interessano probabilmente nessuno, e nemmeno le avrei scritte, se non avessi letto in questi giorni su diversi blog affini a questo una certa insofferenza per le adunate di piazza. Per esempio Bordone che fa i distinguo con le femministe (poi però in piazza ci va e si diverte), Costa che fa ironia, Adinolfi che fa due calcoli e scrive: andare in piazza è una stronzata. Ecco, per me no. Andare in piazza non è quasi mai una stronzata. Sono contento che qualcuno abbia più energia di me e ci vada. Lo ritengo tutto sommato necessario. In particolare, sono contento che la manifestazione delle donne sia venuta così bene. Io mi sono tenuto a distanza, ultimamente ho qualche difficoltà a capire e a farmi capire da diverse donne, però credo che abbiano ragioni da vendere, pardon, da regalare (insomma le ragioni sono vostre, gestitevele voi); essere donne in Italia è difficile, oggettivamente.

C'è da dire che abbiamo un tempismo fantastico, noi blogger italiani d'opinione: mentre in medio oriente le piazze fanno tremare i tiranni, noi ci domandiamo se la piazza sia opportuna, se la piazza non abbia controindicazioni, se la piazza non sia moralista, presbiteriana, eccetera. Per me l'unico vero difetto delle piazze italiane è che non si riempiono abbastanza: probabilmente tante volte non siamo riusciti a concludere qualcosa non perché andavamo troppo in piazza, ma perché ci siamo rimasti troppo poco. E comunque è opinabile anche questo. Io in dieci anni tutte queste manifestazioni inutili, per nobili cause senza speranze, non me le ricordo. Ho manifestato per chiedere luce sui fatti di Genova, e un po' di luce c'è stata. Ho manifestato contro l'abolizione dell'articolo 18, e l'articolo è rimasto (ok, la cosa era un po' più complessa). Ho manifestato contro la guerra in Iraq; Romano Prodi ha vinto le elezioni e il contingente italiano ha lasciato l'Iraq. Potevamo ottenere qualcosa di più? Senz'altro, ma tutte le volte che siamo stati davvero tanti, che abbiamo forato in tv e sui giornali, qualcosa a casa lo abbiamo portato. Magari è solo una coincidenza, ma all'indomani della manifestazione delle donne i sondaggi hanno dato Berlusconi in calo verticale (alla salute di tutti quelli che pensavano che il caso bunga-bunga non lo avrebbe danneggiato, quelli che conoscono gli italiani e hanno il polso del Paese). Certo, non è una cosa automatica. Non è che se manifesti un paio di giorni la Gelmini ritira la riforma universitaria o Berlusconi si dimette. Però lo abbiamo fiaccato, Berlusconi... pardon, lo avete fiaccato, io stavo a casa e scrivevo sul blog.

Ecco, ho anche questa cosa da dire a mia discolpa. Ho un blog. Una serie di fortunate circostanze lo ha reso più letto di altri. In piazza non sono che un minchione tra tanti (un decimo di minchione per la questura), ma qui posso spiegarmi, posso far partire dei messaggi, insomma a un certo punto mi sono raccontato che il mio contributo alla causa potevo darlo da qui. Tanto più che non sono più quel bel giovane zazzeruto che nelle foto in mezzo agli striscioni veniva così bene. E allora come si spiega questo rimorso sottile.

Probabilmente è la consapevolezza che i nipotini non se la berranno. Nonno, insomma, mentre Berlusconi mandava tutto in vacca tu cosa facevi? Eri passato in clandestinità, almeno? No, non proprio, all'inizio andavo in piazza, ma poi le cose si fecero lunghe, misi pancia, misi famiglia... però continuavo a esprimermi su un sito che funzionava col protocollo http... sì, vabbe' nonno, ciao.

PS: se Berlusconi proprio non si vuole dimettere, io uno sciopero generale lo faccio volentieri. Un giorno, una settimana, quel che serve. Mi ha già rubato così tanti anni.
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Il peggio di Leonardo 2010 (1)

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Sapete in cosa sono cambiati i blog, disse l'anziano del villaggio? Una volta parlavano molto più di sé stessi. Oltre che ovviamente dei loro autori. Quest'ultimo aspetto più o meno è rimasto, si chiama autoreferenzialità ed è ciò che tuttora fa girare la blogopalla. Quella che invece è venuta un po' a mancare, e bisogna essere un po' maniaci per sentirne la mancanza, è la meta-referenzialità. Non tanto il parlare di sé stessi blogger, ma il parlare di sé stessi blogger in quanto blogger blogganti.

Ne sento un po' la mancanza. Dibattiti sui commenti: è meglio averli o no? I feed rss sono il futuro o un gadget per trascurabili minoranze? L'etica dello scambio di link. La Storia del blogroll nei secoli. Sembra impossibile, ma abbiamo passato anni a scrivere di queste cose, e poi ce le leggevamo e ci facevamo i complimenti. Tutto questo è finito, ormai bloggare è una cosa normale, magari un po' demodé, ma neanche abbastanza da meritarsi quei bei titoli del tipo “il blog è morto” che scatenavano lunghe discussioni sulle chances di sopravvivenza di un medium scritto quando ormai era a tutti chiaro che il futuro di internet era, era, Second Life. Ormai è andata, scrivere qui sopra è una cosa normale, persino da noi. Si fa se si ha voglia di farlo, e quasi sempre si raccontano cose su di sé e sugli altri – niente più riflessioni sulle implicazioni della partecipazione a un ipertesto collettivo. È da un po' che nessuno pubblica il solito scarabocchio gigante con la galassia dei blog vicini e lontani, uniti da lineette che non si capisce mai con che algoritmo siano state tracciate ma in fondo anche chi se ne frega, l'importante è trascorrere una lieta mezz'ora a misurare la distanza tra noi e Beppe Grillo. Neanche le classifiche fanno più litigare nessuno. Siamo diventati grandi?

Eppure i rischi di ricaduta esistono. Io per esempio sono riuscito a tenermi per anni lontano da Google Analytics. Intuivo che sarebbe stata la mia fine, come gli alcolisti di Zola davanti al distillatore di assenzio. Poi Liquida mi ha costretto a iscrivermi, in cambio di due spicci (sui quali non sputo, eh, anzi grazie Liquida, gli altri hanno parole, solo tu hai ricevute per compenso occasionale).
Di fronte a Google Analytics, ogni altro contatore di accessi è da considerarsi droga leggera, caramella al liquore. Ci puoi perdere le notti, su Google Analytics. Il giochino che mi ha preso di più, e forse ha contribuito a cambiare il mio modo di scrivere on line, è la classifica dei post più letti. Non è un mistero che bloggare sia un'attività competitiva. Però competere con gli altri è frustrante, specie quando perdi. Invece competere con sé stessi è stimolante, c'è sempre un traguardo da battere, e vi libera anche dall'annuale incombenza di scrivermi qual è il pezzo che vi è piaciuto di più dell'anno scorso: ce l'ho già la classifica dei 2000 pezzi più letti, me l'ha data Google Analytics, e io qui sotto vi allego soltanto i primi dieci posti. L'intervallo è quello tra 25 gennaio 2010 e 25 gennaio 2011: il decimo anno.

10. Le fette, non troppo sottili
Novembre è stato un mese di passione, come vedremo. La ciliegina è questo pezzo, in cui arriva per la prima volta su Leonardo una storia piuttosto complicata e delirante che è cominciata quest'estate. Qualcuno ha preso il pezzo per un attacco agli Autistici/Inventati. Non è esattamente così, volevo soltanto raccontare come l'anonimato totale (che è quello offerto da A/I) può oggettivamente mettere nei guai una persona, in questo caso me. Potevo essere più chiaro? sì. E non mi avrebbe letto nessuno. Che volete, un blog è anche un posto dove la gente viene a litigare.

9. Film per adulti
L'unica recensione cinematografica nella top ten. Tra l'altro è un pezzo lungo, e non semplice, dedicato a un film coraggioso come Noi credevamo, scritto a fine novembre quando ce n'erano ancora poche copie in giro (sono andato fino a Mantova, maledizione, la settimana dopo era all'Eden qui dietro). Insomma, un pezzo di cui andare fieri, non tanto di me stesso quanto dei lettori che premiano pezzi così complessi... anche se in realtà io so, e voi lettori sapete, che sotto questo titolo ci avremmo anche potuto mettere frasi a caso, capitoli di Alfonso Luigi Marra all'incontrario, sure coraniche e versetti dell'Upanishad tradotti da Melissa P, perché quello che fa veramente il traffico in questo caso è il titolo: Film Per Adulti. Sì, Google ha indicizzato. Tuttora arriva gente che sta cercando dei porno, e invece si trova davanti una riflessione didattica sull'opportunità di proiettare un film di tema risorgimentale nelle scuole medie. Potrei anche dire che l'ho fatto apposta. Però è triste, no? possibile che siamo ancora qui nel 2011, ad aumentare gli accessi con questi mezzucci da SEO anni Novanta? Che senso ha cercare di scrivere pezzi sempre più interessanti, quando potrei raggiungere più lettori semplicemente aggiungendo le parole Cacca o Culo nei titoli? E perché no, in fondo? Smettereste di leggermi, se in cima al solito articolo su Berlusconi o Veltroni ci trovaste la parola “Culo”? E coi venti euro in più che ci raggranellerei in capo al trimestre, potrei offrire una pizza a mia moglie e mostrare che avevo ragione io, che un giorno o l'altro tutto questo scribacchiare mi avrebbe fruttato. Andiamo avanti.

8. I funerali della volpe
Un pezzo di classica berlusconologia, scritto a metà novembre. Ci terrei a far presente che scrivere di Berlusconi è meno semplice di quel che sembra: il mercato è assai inflazionato, bisogna avere idee lucide e originali. E poi sapere arrivare nel momento giusto: quando tutti lo danno per spacciato far notare che no, non è così, ha ancora tutte le corazzate al loro posto. Sono pezzi che già dopo qualche mese non dicono più molto, ma se appaiono al momento giusto esprimono lo stato d'animo di un sacco di gente che poi ti ringrazia, ti scrive, ti fa delle proposte, e per un po' ti sembra di aver fatto qualcosa d'importante. Poi passa.

7. Dalla parte del consumatore
Il titolo neutro nasconde uno dei più esplosivi flame mai nati su questo amabile sito amatoriale. Il flame, per chi non lo sa (beato lui, comunque se vuoi provare il primo tiro è gratis) è una lunga polemica che nasce nei commenti e a volte si propaga in altri siti. In questo caso – era novembre, primo round del caso bunga-bunga – dopo una settimana di severe riflessioni su dignità, decoro, corpo della donna, io pensai che considerare Berlusconi un semplice puttaniere era un po' come inserire Marchionne nell'insieme degli operai della fiat, una forzatura: e che in fondo i primi a non apprezzare l'accostamento avrebbero dovuto essere i puttanieri stessi. Andai anche su un paio di forum a controllare, ma non trovai molto (quei ragazzi hanno un chiodo fisso), e allora il pezzo lo scrissi io, in prima persona. Perché malgrado tutti i miei sforzi per trasformarmi in un padre di famiglia responsabile e prudente, io sono così: quando fiuto la cazzata, quando punto la cazzata, quando sento il richiamo della foresta in fiamme, nulla può più trattenermi. Ora le femministe mi odiano – no, aspetta, mi odiavano già da prima per la storia di Saratoga, ci arriveremo. Alcune hanno anche scritto a Concita De Gregorio affinché mi licenzi, per una cosa che, notate, non ho scritto sull'Unità, ma su un sito di fatti miei. E magari, ecco, se avessero letto le cose che scrive la De Gregorio sull'argomento, si sarebbero risparmiate la fatica.
Comunque ho capito cosa significhi vivere in una società laica. Grosso modo, si tratta di dividere il mondo con gente che non vede le stesse cose che vedi tu, tu unisci i puntini e vedi una cosa, loro li uniscono in un altro e vedono altro; al punto che è come se appartenessimo a religioni diverse, e in fondo è proprio così. C'è gente che cammina nelle stesse strade in cui cammino io che ha scritto che in Italia non esiste, non può esistere, prostituzione senza sfruttamento; che se anche una ragazza volesse provare a metter fuori un annuncio, sarebbe subito preda del racket, qualsiasi cosa ciò significhi (credo che significhi che arrivano quelli del racket, ti incatenano e poi ti sfruttano). Ma il migliore resta sempre quel signore che mi scrisse “Il mercato sono i puttanieri come te. Fatti una sega la prossima volta. E pensa che te la sei fatta con una mano insanguinata”. Che è una cosa che mi è rimasta dentro, la sega al sangue, eccone un altro che poteva diventare poeta o pubblicitario e invece si è perso nei meandri del blogging. Ma soprattutto: dopo dieci anni che mi prendo del segaiolo in quanto blogger, finalmente qualcuno che mi rimprovera per non farmene abbastanza – anche se in realtà non c'è niente da fare, l'apologia del puttaniere è una colpa indelebile, di una religione laica che non ha ancora messo a disposizione confessionali, per cui nessuna sega laverà il sangue dalle mani che scrissero questo post. Poi come fai a prendertela coi cattolici? Sul serio: il giorno che in Italia non ci fossero più preti, mi assicurate che non vanno al potere questi qui? Coi preti almeno ci discuti, loro hanno dei vizi e tu hai i tuoi, ci sono i margini per trovare compromessi. Ma questi nel giro di una generazione le mani ce le tagliano, l'Iran è più vicino di quello che ti aspetti (e soprattutto non arriva dalla parte da cui te lo aspetti).

6. Se i bimbominkia sapessero
A settembre Berlusconi sonnecchiava e passavo il tempo scrivendo pezzi contro la lingua italiana che hanno avuto un insperato successo – ma no, in realtà nel pazzo mondo dei blog italiani la grammatica è sempre stata sexy. E Google Italia mi vuole bene, per cui se scrivo un pezzo sui bimbominkia, esso arriva subito nella prima pagina dei risultati per bimbominkia. E poi basta, non avrei molto da aggiungere. Ah, sì: un pezzo come questo non sarei mai riuscito neanche solo a concepirlo se non fossi diventato negli anni un lettore compulsivo di Malvestite, uno dei pochi blog che mi hanno davvero insegnato delle cose, cose importanti (Twilight, il vecchiettismo) che addirittura mi sono state utili sul luogo di lavoro, e che oggi mi manca tantissimo, ogni volta che leggo qualcuno che cerca di sfottere i libri di Alfonso Luigi Marra senza essere Betty Moore.
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Le fette, non troppo sottili

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(Fuor d'ironia, questo blog è sinceramente solidale con Autistici/Inventati, un collettivo in cui ci sono senz'altro persone meravigliose che fanno cose egregie. Purtroppo non sono quelle con cui ho avuto a che fare io. Segue ironia).

Solidale con Suca

“Senti, tu che hai un blog di classifica”.
“Che classifica?”
“Voglio dire che ti leggono in tanti”.
“Tanti chi?”
“Potresti aiutarci a far girare questa notizia, che sui media ufficiali non passa”.
“Che notizia?”
“Beh, in breve, c'è un giudice che è riuscito a farsi clonare un server norvegese di Autistici con una rogatoria internazionale”.
“Eeeeeh?”
“Massì, hai presente Autistici Inventati, il collettivo di mediattivisti...”
“Autistici. Autistici. Mi dice qualcosa”.
“Dai, sono quelli che si battono per l'anonimato on line, che è una causa che hai sposato anche tu”.
“Aspetta, aspetta, con chi mi sarei sposato, io?”
“Eddai, gli autistici. Quelli della piattaforma noblogs”.
“Noblogs. Noblogs”.
“E insomma, molti collaborano anche a indymedia”.
“Aaaaaaaaaaaaaaaaah, indymedia! Noblogs! Gli autistici!”
“Collettivo autistici/inventati”.
“Ma certo che me li ricordo, gli autistici! Come potrei dimenticarmeli. In realtà io ci penso tutti i giorni un pochettino, agli autistici... anche in quelle giornate, hai presente, che torni a casa stanco”.
“Eh, come no”.
“Però io almeno un minutino per pensare agli autistici lo trovo sempre... magari mi sto lavando i denti, o appaiando i calzini... e intanto penso agli autistici”.
“Bene, quindi immagino vorrai essere solidale, con...”
“Con gli autistici, gli inventati, con noblogs, con indymedia, con tutti. Assolutamente. Ci mancherebbe”.
“E ne parlerai sul tuo...”
“Lasciami pensare. Sono quelli che non regalano le mail a chiunque le chieda, no? Hanno una certa, come dire, discrezionalità. Cioè, se gli stai simpatico puoi essere @autistici.org. Altrimenti no”.
“Vabbe', ma è un modo per...”
“...per evitare i malintenzionati, eh, certo. Quindi insomma stiamo parlando di quelli che quest'estate, sul loro sito molto ben indicizzato su google, lasciarono scritto che io ero un pedofilo, sono quelli, no?”
“Ma, no, non sono loro, cioè...”
“Sì, non proprio loro, però... sono quelli che quando me ne accorsi, dopo qualche giorno, chiesi che togliessero quella cosa dal loro sito, perché era palesemente diffamatoria, insomma un'infamia bella e buona, e loro non mi risposero per un po', no?”
“Comunque era estate, erano stanchi”.
“No no, fammi pensare... erano quelli che, quando finalmente risposero, mi dissero più o meno macheccazzo vuoi, ahò. Sissì mi ricordo, quello che mi scrisse così era proprio un @autistici.org. Hai detto che gli hanno clonato il server?”
“Sì, è una vergogna”.
“Son d'accordo, è una vergogna. Ma fammi pensare... sono quelli che quando cercai di spiegare che di mestiere insegno nelle scuole, lavoro coi minori, e che quindi un'infamia del genere poteva rovinarmi la reputazione e in pratica la vita... sono quelli che mi risposero che ci tenevo alla reputazione perché ero un piccolo borghese di merda; sono loro quindi”.
“Sì, però, non è che se uno tra tanti ti risponde male allora tu...”
“Aspetta, aspetta. Sono quelli che quando gli chiesi di rispettare la loro policy, che in nero su bianco diceva che andavano rimossi tutti i contenuti palesemente diffamatori, mi risposero che la policy non diceva così, e che poi come facevano loro a sapere se io ero un pedofilo o no, toccava a me dimostrarlo, sono loro, sì?”
“Va bene, a Roma probabilmente qualcuno ha sbroccato, però....”
“Senti, posso farti una domanda?”
“Dimmi”.
“Tu sei un pedofilo?”
“Ma che razza di... no, ovviamente”.
“Me lo puoi dimostrare?”
“Che io non sono un pedofilo?”
“Esatto. Perché io quest'estate mi sono posto il problema, cioè: come faccio a dimostrare a questi simpatici mediattivisti che io non sono quello che pensano loro? Mi faccio sequestrare un pc pieno di foto di donne adulte? No, giusto per sapere come regolarsi la prossima volta”.
“Senti, ho capito. Quelli di indy Roma ti hanno fatto un torto, però qui c'è in ballo qualcosa di più, la libertà di...”
“Ma scusa, eh, sono sempre gli stessi che quando dall'unità gli dissero di mandargli una diffida, mi risposero “suca”, sono loro”.
“Ma lo sai, alcuni son ragazzi, cosa vuoi...”
“Eh, certo, io gli scrivo: cari ragazzi, state violando due articoli due del codice penale, guardate che è un problema sia per me che per il giornale, e loro come ti rispondono? Suca. Cioè, mi stai chiedendo di essere solidale con mister Suca”.
“Ma no, autistici non è mister Suca, è molto di più...”
“Sono quelli che per tre righe di diffida hanno scritto su tutti i nodi di indymedia che io li minacciavo, cioè se non mi sbaglio Leonardo minaccia indymedia è diventato il tormentone dell'estate mediattivistica, no? Perché gli avevo mandato tre righe di diffida”.
“Ma è una strategia difensiva, la usi anche tu in fondo...”
“Ma infatti funzionò benissimo, perché sul loro sito c'era scritto che ero un pedofilo, amico di pedofili, che i pedofili vanno ammazzati, che io abitavo nel tal luogo e di mestiere facevo la tal cosa... e su tutti gli altri siti c'era scritto che io stavo minacciando loro”.
“Era estate, eravamo tutti stanchi...”
“Ma infatti, mi ricordo bene che stavo andando in vacanza ma dovevo spiegare ai miei famigliari che forse sarebbe venuto qualche mitomane sotto casa mia ma non c'era da preoccuparsi, era solo che qualcuno era impazzito su internet. Mi ricordo bene, io e le mie ansietà piccoloborghesi. Ma insomma adesso gli hanno fatto una rogatoria internazionale”.
“Sì”.
“Ecco, infatti, io mi ricordo che quest'estate, al culmine di tutta 'sta storia, la loro linea era più o meno: denunciaci pure, tanto poi ti tocca andare di rogatoria internazionale, pappappero. Cioè, forse il pappappero l'ho aggiunto io”.
“Forse”.
“Anche se lo trovo appropriato. Dunque hanno trovato un magistrato che l'ha fatta, la rogatoria. E per conto di chi?”
“Iannone”.
“Iannone! Ma mi ricordo anche di lui! Iannone! Perché mi davano dello Iannone, i mediattivisti, dicevano che ero come Iannone”.
“Probabilmente non intendevano nel senso...”
“Cioè, Iannone li aveva querelati o non so cosa perché gli avevano dato del fascista, no? Ecco, per loro era la stessa cosa: dare del pedofilo a un insegnante di scuola media e dare del fascista a Iannone di Casapound per loro era l'identica cosa. Cioè loro rivendicavano il diritto a dare del fascista a Iannone e del pedofilo a me. E mi stai chiedendo solidarietà per loro”.
“Senti, lo so, è successa una cosa che ti ha fatto incazzare”.
“Nooo... Incazzato io? Ma quando mai”.
“Però devi capire che questi sono i classici scazzi on line, quelle cose che capitano solo su internet, perché se tu li vedessi di persona capiresti...”
“Ma infatti è successa anche questa cosa, cioè a un certo punto io mi sono detto forse è meglio che togliamo questo diaframma digitale e ci guardiamo in faccia, così ho preso il treno e ci sono andato, a vederli”.
“Ci sei andato?”
“A una riunione di indyroma. Mi son detto, mal che vada ci scrivo un pezzo. Volevo solo spiegare il mio punto di vista, perché finché continuano a pensare che sono un borghese e non si accorgono che sono un essere umano come loro... Purtroppo quelli con cui mi ero scazzato non c'erano, avevano altri impegni, credo che giocasse la Roma o qualcosa del genere. ”.
“E gli altri?”
“Mi sono stati ad ascoltare, e hanno detto che ci avrebbero pensato”.
“E poi cos'è successo”.
“Niente”.
“Come niente”.
“Son tornato a casa col trenino degli eroi e ho aspettato una settimana, niente. Allora gli ho scritto: ciao, vi ricordate quel vecchio problema? Che si fa? Volete proprio lasciare scritto che sono un pedofilo? Non è tanto bello. Sia nei confronti della vostra stessa policy, sia nei confronti del codice penale”.
“E a quel punto?”
“E a quel punto quelli che non si erano presentati alla riunione si sono incazzati: ma come, un pericoloso accusatore di indymedia si permette di entrare a una nostra assemblea? Beh, sì, era un incontro pubblico, ho bussato e sono entrato”.
“È che magari hanno paura degli infiltrati”.
“Fanno bene, infatti io sono entrato e mi sono presentato subito. Anche col cognome. Un classico, no? tutti gli agenti digos fanno così: ciao, mi chiamo nome e cognome. Comunque è ricominciato il carosello di articoli Leonardo contro indymedia, la lobby pedofila contro il mediattivismo, eccetera eccetera. Ho buttato via quaranta euro e un pomeriggio a Roma per sentirmi dare dello iannone”.
“E poi com'è andata a finire?”
“Non è mica finita”.
“No?”
“No, io ho chiesto a google di togliere le pagine infamanti, e alcune le ha tolte. Bisogna che gli riscriva... però davvero, cioè, chi me lo fa fare di mettermi contro un gruppo organizzato con server all'estero che può spargere merda a 360° senza temere niente e nessuno? Cioè mi chiamo leonardo, mica roberto saviano. Quindi capisci che io ci penso a loro. Un pochino tutti i giorni. Magari mi sto allacciando le scarpe, e penso agli autistici. Credo che si meritino la mia solidarietà”.
“Eh?”
“Hai capito bene, sono solidale con gli inventati, gli autistici, sono veramente addolorato che vi abbiano clonato il server, maledetto Iannone, non so se sia fascista o no ma sono sicuro che è una persona cattiva! Cattivo Iannone! Pensi che si possa dire?”
“Ma penso di sì, è una valutazione soggettiva”.
“Bene, perché se io scrivo qui qualcosa di anche solo vagamente infamante, un PM può benissimo sequestrarmi il blog in forma cautelare... mentre quelli di noblogs, grazie ai loro server norvegesi possono dare del pedofilo a tutti i maestrini d'Italia senza temere rogne legali, e quindi secondo te da che parte dovrei stare? Cattivo Iannone! Solidarietà ad autistici! Nessuno tocchi la libertà degli autistici! Chi tocca i server degli autistici muore!”
“Senti, lascia stare, forse è meglio che non...”
“Ma dove vai, aspetta. Ce l'hai un attimo? Vieni di là, per favore”.
“In cucina?”
“Pensavo di affettarmi un po' di culo per gli autistici, secondo te preferiscono fette sottili o un po' più consistenti?”
“Ma no, lascia perdere”.
“Come lascia perdere, scusa, guarda qui che bel culo! Tocca! È bello o no?”
“Beh, sodo è sodo”.
“Vedi? Guarda che se rifiuti mi offendi”.
“Uff”.
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Big in Riva del Garda

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Il pupo è già al lavoro (e voi siete un pubblico meraviglioso, e vi amo).
Potere riamarmi sui commenti dell'Unità.

Non potrei fare come Fini, dieci minuti di monologo e poi addio?
"No, devi rispondere alle domande".
Uff.
"Ciao, per prima cosa spiegaci cosa ci facevano ieri i blogger a Riva del Garda, mentre Grillo era da tutt’altra parte".
Ah, già, Grillo, è vero che ha un blog anche lui.
Ci fai o ci sei? Quello di Grillo è ancora il più importante blog italiano, o sbaglio?
Probabilmente non sbagli. Vedi, ho questa teoria: Grillo è sempre stato troppo importante per essere soltanto un ‘blog italiano’. Gli altri sono troppo piccoli e lui è troppo grande, non c’è possibilità di comunicazione. Lui gioca in un altro campionato, che è poi quello delle testate giornalistiche. Magari per centinaia di migliaia di italiani quello è "il blog": l’unico che hanno mai visitato. Ma si tratta comunque di un prodotto professionale. Grillo ha usato lo strumento blog in modo tradizionale, per arrivare a un pubblico che non poteva più raggiungere con la televisione. Ma io quando penso ai ‘blog italiani’ penso ancora ai siti personali fai-da-te.
I diari in rete? Ancora?
Ecco, magari lasciamo perdere la parola "diario". Direi che la discriminante sta nell’interazione coi lettori: io per capire se un sito è un blog mi pongo la domanda: l’autore litiga coi suoi lettori? Se la distanza tra autore e lettore è tanto breve da consentire lo scazzo, quello è un blog. Grillo non può litigare con uno dei suoi commentatori, non so neanche se intervenga mai nelle discussioni che provoca. È naturale, del resto: gli scrivono in duemila, lui ha altro da fare che rispondere a tutti quanti.
Quindi il blogger ‘vero’ è una persona che non ha niente di meglio da fare…
No, quasi sempre è un hobbysta che avrebbe tantissime cose da fare, ma nel tempo libero si diletta a interagire con, diciamo in media una cinquantina di lettori affezionati. Un’altra discriminante è l’aspetto comunitario: i blog tendono a formare gruppetti e autopromuoversi. Grillo non ne ha mai avuto bisogno, è un enorme astro solitario nel cielo della cosiddetta blogosfera italiana. E’ importantissimo, non dico di no, ma tutto il resto della vita è altrove.
Raccontaci qualcosa di più della costellazione che ogni anno si autopromuove a Riva del Garda.
Potremmo definirli (ma è riduttivo) la vecchia guardia. Molti di loro gestivano siti personali quando ancora Grillo a teatro spaccava i computer. Si linkano tra loro compulsivamente da un decennio, ormai. Alcuni si sono sposati e cominciano a portare i figli a Riva (quest’anno infatti c’era l’angolo kindergarden).
Quindi anche nella blogosfera italiana comandano i vecchi.
Ma no, non comanda nessuno, è un gruppo di persone che si scrive e si legge tutto l’anno e ogni tanto ha voglia di ritrovarsi, e quindi viene alla Blogfest. Se nel tempo libero cacciassimo farfalle col retino faremmo, boh, un farfalloraduno. Immagino che da qualche parte ci sia. Magari c’è anche qualcuno che non ci va e si lamenta della cricca di cacciatori di farfalle dove contano i soliti cacciatori di farfalle. Esistono più cose in cielo in terra, Orazio, che… 
Sì, però vi votate e vi premiate da soli. Non è un po’ imbarazzante?
In parte sì, ma devi capire che è tutto cominciato per scherzo. All’inizio era solo una lista fatta da Gianluca Neri di Macchianera‘vi dico chi premierei se ci fosse una specie di notte degli oscar dei blog italiani’, un invito neanche tanto implicito a far cagnara nei commenti: e perché lui sì e io no, è il solito magnamagna, eccetera. Fu così divertente che l’anno dopo fece votare tutti i suoi lettori. Ma era ancora un gioco tra amici, i premi erano solo virtuali. Hanno cominciato a consegnarli sul serio solo tre anni fa. In realtà è una semplice scusa per passare un fine settimana in un bel posto, conoscere di persona gente che magari leggi tutti i giorni, e berci insieme un bicchiere… e poi ci sono i camp, i miniconvegni, che sono molto interessanti… quest’anno per esempio l’argomento era l’editoria digitale e…
Ronf.
Va bene, parliamo dei premi. Però vedi come funziona? Per andare sui giornali bisogna consegnare i premi. Anche se sono dei pezzi di plastica, fanno notizia lo stesso
È vero che vanno ai soliti noti? Che alla fine il vecchio blog bolso ha dieci probabilità di aggiudicarsi una statuetta in più del giovane blog di qualità?
Senz’altro i più anziani partono avvantaggiati nell’accaparramento di pezzetti di plastica. C’è stato un periodo in cui la comunità era ristretta ed era relativamente più facile farsi notare: chi c’è passato oggi può vivere, in una certa misura, di rendita. Ma il pubblico della blogfest è meno tradizionalista di quanto sembri. In realtà se vai a vedere il palmares di quest’anno di blog veramente vecchi (antecedenti al 2004) ce n’è solo uno, che, ehm, è il mio.
Addirittura hanno dato il premio "Rivelazione" a Metilparaben.
Grande Metilparaben!
Scusa, ma ti pare una "rivelazione"? Capriccioli ha i capelli bianchi! Allora diamo Sanremo Giovani a Bobby Solo.
Grande Bobby Solo! No, sul serio, il successo di Metilparaben dimostra che il pubblico della Blogfest è apertissimo alle novità. I blog che hanno fatto incetta di premi nelle ultime edizioni, come Piovono Rane o Spinoza, tre anni fa erano ancora sconosciuti ai più. Addirittura alcuni blog non esistevano ancora: prendi I400calci, favoloso blog che parla di cinema scemo in modo estremamente intelligente, e quest’anno ha stracciato i senatori. A Riva viene gente che legge e scrive blog da tanti da anni: magari fa un po’ fatica a trovare le novità, ma poi le abbraccia con tutto il cuore.
Va bene, tutti bravi e tutti buoni e tu sei il loro nonnetto. Ma non ti vergogni un po’ a farti votare tutti gli anni?
Beh, se vincessi tutti gli anni sarebbe davvero uno spettacolo triste. Meglio un anno sì e un anno no, c’è più suspense. 
La Juve di Trapattoni.
Io tifavo Torino per dispetto, ma in sostanza sì. No, comunque credo che in molti continuino a votarmi perché mi trovano rassicurante.
La Democrazia Cristiana.
Dieci anni fa ero uno sfigato che apriva un sito personale, oggi chi sono?
Uno sfigato che litiga con sconosciuti su un sito personale.
Le risposte le devo dare io, tu sei l’intervistatore.
Scusa, non so cosa sia successo, mi è venuta spontanea. Comunque non sei così tanto sfigato, dai. Scrivi anche su un giornale importante.
Guarda, non farmici pensare. Devo ancora mandare il pezzo per lunedì.
Scrivi qualcosa sulla blogfest, no?
Sì, pensavo di intervistare uno dei vincitori, ma poi ci siamo messi a ballare, è venuto tardi, adesso è ora di tornare a casa e non ho niente.
Intervista te stesso, fai prima.
Mi vergogno.
Non ti devi vergognare.
Perché?
Perché sei un blogger. I blogger non conoscono la vergogna. Non sanno proprio cos’è, com’è fatta.
Forse hai ragione. Grazie
Figurati, quando vuoi.

(Grazie a tutti quelli che sono venuti o sarebbero voluti venire a Riva. Siete un pubblico fantastico).http://leonardo.blogspot.com 
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Controcammelliamoci

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Un giorno magari, chissà, i BlogAwards diventeranno una cosa seria. Quel giorno li prenderemo in giro. Ma per adesso resta più divertente fingere che siano premi veri, sfoggiare le nomination, intessere oscure alleanze, ringraziare lo splendido pubblico.

(Se volete partecipare al gioco, in fondo a questo post c'è il modulo da compilare: il regolamento impone di votare in tutte le categorie).

Già l'anno scorso io vi chiedevo di votare, non tanto per me, ma per i blog fatti in casa, amatoriali, ruspanti, come il mio; contro la claque impalpabile che vota in massa i Vip che a Riva del Garda non verranno mai, come Grillo o Travaglio, gente che di una statuetta a forma di fantasmino non ha certo bisogno. Vi chiedevo altresì di allearvi e combattere contro le truppe cammellate dei blog commerciali, senz'anima, i cosiddetti nanopublisher, che invece a portarsi a casa i fantasmini ci tengono tantissimo: si vede che in casa hanno un sacco di mensole libere, beati loro. L'unico senso che si può dare al Blogaward è quello di attirare un quarto d'ora d'attenzione su chi da anni si scrive il suo blogghetto per passione, su chi i lettori se li è conquistati con le unghie, attirandoli con quella spontaneità e quella freschezza che i nanopublisher si sognano.

Devo dire che malgrado le sconfitte di questi anni, le nomination del 2010 presentano qualche novità. Il blog di Grillo è sparito, sarebbe interessante chiedersi il perché. Dal momento che non cessa di essere il più seguito, l'unica ipotesi che riesco a formulare è che sia quasi sparita l'intersezione tra il pubblico di Beppegrillo.it e quello di Macchianera (e della "blogosfera" mainstream italiana, anche se forse il vero mainstream è Grillo, ed è tutto il resto della blogosfera a essere una nicchia). Insomma, i lettori di Grillo gli altri blog non se li filano più. Non saprei neanche dire se sia un bene o un male; in ogni caso dare un fantasmino a Grillo era più o meno come premiare Kafka al Campiello, inutile e abbastanza ridicolo. I fantasmini diamoli a chi ne ha bisogno. Voglio dire, guardate me. Ero piccolo e nero, oggi strappo contratti miliardari a prestigiosi quotidiani fondati da Gramsci, e tutto questo grazie ai MBA, forza MBA! Ma andiamo al sodo. Qui sotto avete le mie sommarie indicazioni di voto (spero di non violare nessuna regola pubblicandole).

Miglior Blog 2010
L'anno scorso Spinoza non si limitò a stracciare Travaglio: lo doppiò. Travaglio quest'anno non si presenta nemmeno. Io invece ci sono: direi che non ho nessuna speranza, ma votatemi pure.
(Il grande escluso: Inkiostro. No, in realtà è poco attivo ultimamente. Ma le potenzialità le avrebbe, accidenti a lui).

Blogger dell'anno 2010
Un dettaglio curioso: l'anno scorso i primi due classificati furono Paul The Wine Guy e Beppe Grillo. Il primo è scomparso subito dopo, il secondo non gareggia. Il terzo era Qualcosa del genere, che quindi i numeri per vincere potrebbe averceli. Sarebbe abbastanza clamoroso, però proviamoci.
(Il grande escluso: io. No, scherzo. Mi sembra curioso che non sia in cinquina Byoblu, che non è il mio blog preferito, ma ha un pubblico vasto e affezionato, che qualche mese fa lo ha portato in trionfo al Premio Ischia. Mentre a Riva magari non sanno nemmeno chi sia. E' come se la blogosfera italiana perdesse i pezzi: inevitabile, ma dispiace).

Blog Rivelazione 2010
Metilbaraben e Machedavvero c'erano già nel 2009, ragion per cui... ComedySubs mi sembra un bel servizio. Anche qui comunque sono tutti bravi, è stato un buon anno, e dire che io non me ne stavo accorgendo.
(Il grande escluso: non saprei, appunto, leggo sempre gli stessi).

Migliore Community
Facebook non è una comunità; a rigore non lo sarebbe neanche Friendfeed, benché ormai ci bazzichino solo i fancazzisti italiani. Spinoza ha già vinto l'anno scorso (e vincerà anche quest'anno), quindi... boh, io dico Girl Geek Life.
(Il grande escluso: Asphalto).

Miglior Blog d'opinione
Sono io. Perlomeno, questa è l'unica statuetta che ho qualche speranza di portare a casa, quindi... voi poi fate quel che vi pare, eh? Quest'anno vi siete già sparati un centinaio di opinioni gratis, e fate ancora in tempo a sciropparvene una cinquantina prima di Natale, ma d'altro canto si sa, l'ingratitudine umana. No, no, per carità, votate pure Travaglio, che ne ha un gran bisogno.
(Il grande escluso: Malvino, finalmente affrancato dall'insano giogo del Cannocchiale).

Miglior Blog collettivo
Io sto con Cloridrato. L'unico che ha qualche possibilità di infliggere perdite alla corazzata Spinoziana. E poi da qualche parte ho anche l'account, quindi se vince vinco anch'io, come Bordon nell'82.
(Il grande escluso: Schegge di liberazione. Più collettivo di così).

Miglior Blog giornalistico
Dunque. Qui c'è il solito problema di definire un blog. Giornalettismo e il Post sono ottimi oggetti, ma non blog in senso stretto. Piovono Rane è un (ottimo) blog, ma ha vinto l'anno scorso. VoglioScendere ha vinto due anni fa. Quindi vieni avanti, De Biase. E' il tuo anno.
(Il grande escluso: Mazzetta. Ma perché non mette i feed interi, accidenti a lui).

Miglior Blog tecnico-divulgativo
Tutti probabilmente bravissimi e meritevolissimi, in particolare Attivissimo che però ha già stravinto l'anno scorso. Prima o poi l'unanime simpatia per Beggi deve concretizzarsi in un fantasmino.
(Il grande escluso: che fine ha fatto Mantellini?)

Miglior Blog televisivo
Può darsi che quest'anno Dave se lo meriti meno del solito, però a occhio mi sembra l'unico in grado di poter contrastare la funesta dittatura di Tvblog.
(Il grande escluso: Tuttofamedia).

Miglior Blog culinario
Dissapore è un gran sito, ma secondo me non è un blog. Zenzero ha vinto l'anno scorso. Cavoletto l'anno prima. Ne restano due, ma per fare i giurati seri bisognerebbe provare le ricette. Io non me la sento e rivoto Cavoletto.

Miglior Grafica di un blog
Questa è la categoria che non cessa di stupirmi. A guardare i blog nominati sembra che la "grafica" sia quella cosa che non si usa nei siti normali, perché disturberebbe la lettura. Pensoscrivo è senz'altro molto elegante: caratteri grigi su sfondo nero. Randomthought pubblica testi brevi su tre colonne. Persino 7years, a cui voglio un po' di bene, probabilmente si è guadagnato la nominescion grazie alla bella idea di evidenziare i link con una banda gialla lampeggiante. Poi c'è un sito che non è un blog, ma una rivista di cultura cinematografica (in un font minuscolo, ovviamente). Resta Coreingrapho, che probabilmente si trova lì per un equivoco, ma a questo punto lo voto lo stesso, tanto più che i fumetti "scrollati" mi piacciono davvero (i grafici fighetti no, mai piaciuti).
(Il grande escluso: chiunque abbia un layout leggero e un Verdana 10 nero su sfondo bianco con un'interlinea ragionevole).

Miglior Blog cinematografico
Kekkoz ha lasciato capire che non ne può più, e non lo biasimo. Anche stavolta partecipa con ben due blog, il che significa che se i suoi sostenitori si mettessero d'accordo, forse la bieca tirannide di Cineblog avrebbe i giorni contati. E sarebbe francamente ora. Oppure facciamo così: tutti noi anti CineBlog ci contro-cammelliamo su I400calci. Se i numeri sono più o meno quelli dell'anno scorso ce la possiamo fare. Eddai.
(Il grande escluso: Secondavisione. Ma anche Freddy Nietzsche ultimamente regala).

Miglior Blog erotico
A volte penso che sia un problema mio. Ma non lo è. Una volta c'erano dei blog che parlavano di sesso in modo divertente e saltuariamente arrapante. Magari da qualche parte ci sono ancora. Ma in concorso, qui c'è della roba che funziona più o meno come l'alfabeto al contrario. Prendo una cosa a caso:

Adoro certi aperitivi milanesi in piedi. Denti che affondano in fettine d’arancio, l’alibi della musica ad alto volume per labbra pericolosamente vicine ad un lobo. Dire tutto in punta di dita, che sono roventi attraverso gli abiti d’ufficio. Insinuare un ginocchio tra le mie cosce, passarti la mano sul petto, disegnando ghirigori mentre ti parlo. Fuori baciarsi con lingue alcoliche ed il freddo che ci da i pizzicotti. Tu che mi allontani in un vago palpeggio. Ridacchi, io torno alla carica e ti premo contro. E’ come se i cubetti di quello sbagliato mi si fossero sciolti tra le gambe.
Scherzando cerchi di calmierarmi
[calmierarmi? Cioè "fissare il prezzo massimo delle merci al minuto"? In aperitivo?] con un “Pussa via!”
Ma sotto il vestitino capisco solo “Pussy via”.


Capito il torbido gioco di parole? No, ma veramente, se riuscite a eccitarvi con Pussa/Pussy io vi invidio, sul serio, vi invidio tantissimo. Voto Dania per la simpatia.
(Il grande escluso: http://puttanieri.blogspot.com. Magari neanche questo è erotico in senso stretto, ma resta abbastanza istruttivo).

Miglior Blog musicale
Io Polaroid, ovviamente.
(Il grande escluso: io! No, scherzo. Facciamo Weekendance?)

Miglior Blog letterario
Dopo il trionfo di Chinaski, quest'anno si sono fatti avanti i pezzi grossi. E a questo punto la cosa si fa imbarazzante: scegliere tra Mozzi, Nori, la Lipperini, cos'è, lo Strega dei poveri? Alla fine scelgo Vibrisse, mi sembra il meno... come dire... paludato. Senza polemica: mi sembra che il sito di Mozzi sia quello più accessibile anche ai non iniziati. Update: Mozzi ha scritto che non vuol partecipare (e chessarammai, eh). E allora voto Lipperini, che di sicuro non se la prende.
(Il grande escluso: Falsoidillio).

Miglior disegnatore / vignettista
Quando ho visto inserito tra i soliti noti (tutti bravissimi, eh, ma sempre gli stessi) Stefano Disegni, il mio cuore ha avuto un sussulto. Ho anche cliccato. E' partita un'intro in flash. Fine del sussulto. Voto Eriadan.
(Grande escluso: Daw).

Miglior Blog fotografico
Faccio sempre molta fatica. Virzì, se non fosse Virzì, con la sua estetica polaroide mi infastidirebbe un po'. Voglia di Terra ha già vinto. Insomma alla fine Pensierisupellicola mi è sembrato il più votabile. Ma non me ne intendo, e se fosse possibile astenersi qui davvero lo farei.

Miglior Blog ecologista / sociale
Ecoblog è ok, ma è nanopublishing: niente di personale. Nrg4life è inquietante, mi sembra che venda dei cerotti strani. Vada per il Potatore.
(Grande escluso, ma proprio grande: Petrolio).

Miglior Blog sportivo
Voto Poetare con i piedi, ultimamente giambi e dattili sono gli unici piedi che riescono a interessarmi.
(Grande escluso: boh. Sul serio, era l'anno del mondiale e nessuno è riuscito a renderlo eccitante).

Miglior servizio Mobile
E' passato un altro anno e sono sopravvissuto senza caricare quotidiani su un dispositivo mobile. Probabilmente tra qualche anno non ne potrò fare a meno, ma fino a quel momento... Mobileblog è il solito nano; Iphoneitalia non mi sembra meglio; Skytg24 è una cosa che sta su iTune; restano Corriere e Repubblica e allora io voto Repubblica, ma un po' come un eunuco che dà i voti alle cortigiane.
(Grande escluso: non saprei, ma a proposito: Leonardo su mobile ci va?)

Miglior Testata Giornalistica online
Io voto il Post, si legge volentieri.
(Grande escluso: l'Unità, diamine!)

Miglior Post dell'anno
Quest'anno partecipo con due pezzi addirittura: il coccodrillo su Taricone e la lettera alla Marescialla. A rileggerli nessuno dei due mi sembra così rappresentativo: peggio per me, così imparo a non autopromuovermi. Chiedere voti su un coccodrillo mi sembra vagamente ricattatorio, così vi chiedo di votare - se proprio ci tenete - per la Marescialla. Non credo di avere molte possibilità in ogni caso: quest'anno ci sono dei pezzi molto validi in concorso (l'anno scorso viceversa era una cosa che gridava vendetta al cospetto d'Iddio).
(Il grande escluso: L'esistenza di Lapo Elkann è tutta quanta un grosso triste manuale how not to. Il capitolo che vediamo oggi è: come non si fa il viral marketing. Betty, ci manki troppoooooooooooooooooooo!) :....(

Miglior Podcast / Trasmissione Radio
Uffa, non le scarico. Voto Disinformatico sulla fiducia.

Miglior Social Network o Servizio per i Blog
Un blogaward a facebook è un po' come assegnare lo Strega a una cartiera, o il Nobel a Internet. Voto friendfeed perché magari così non lo chiudono per un altro paio di mesi.
(Migliore escluso: Tumblr!)

Cattivo più temibile della blogosfera
Bucknasty, se scrivesse anche un pezzo al mese, non darebbe fastidio. La Soncini si difende bene, ma tanto quel fine settimana sarà alle sfilate. Qualcosa è davvero così cattivo? Vabbè, votiamolo.
(Migliore escluso: l'Inferno degli Angeli).

Miglior Blog andato a puttane
Categoria un po' sui generis. Il situazionismo di PaulTheWineGuy (che si è fatto eleggere blog dell'anno '09 e immediatamente dopo ha cancellato ogni traccia del suo sito) si merita anche questa statuetta, che invece andrà a Luttazzi per via di qualche battutina non proprio originale. Votare Malvestite sarebbe di pessimo gusto (Betty ha interrotto il blog per problemi personali).
(Migliore escluso: Indymedia Roma).

Miglior Blog politico
Auff. Non so se devo apprezzare il politico o il modo che ha di comunicare via blog. Sono troppo stanco per entrambe le cose, comunque. Piglio Scalfarotto e non ci penso più. Ps: leggo da Ciwati che Modena sarebbe "una città tra le più belle e le meglio amministrate del mondo", insomma l'Aldina si è messa a stendere la sfoglia con l'LSD e nessuno mi ha avvertito.
(Migliore escluso: Onda Viola Tv).

Miglior Blog personale
Galatea, finalmente. Arrivederci a Riva.

Si può votare qui sotto.
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Le catene dell'infamia

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Stavolta è sul serio.
Stavolta, se passa la legge, siamo fregati. Tutti.
Anche voi, sissignore.
Blog di gattini, tremate. (Ho una teoria #33, sull'Unita.it, si commenta qui).

Certo che noialtri blog siamo sempre così allarmisti. Non è bello poter scrivere quel che ci pare senza responsabilità? E invece no, siamo sempre preoccupati che la pacchia stia per finire. C'è sempre in discussione un decreto, un disegno, un codicillo che minaccia la nostra stessa esistenza. Eppure in un qualche modo ce l'abbiamo sempre fatta, da dieci anni in qua. Cerchiamo di capire cosa rischiamo stavolta con quel comma 29 che l'onorevole Bongiorno non vuole assolutamente modificare.

Allora, mettiamo che io sia una tranquillissima persona con un blog, che aggiorno un paio di volte alla settimana. Un blog di foto di gatti, che ne dite? Più innocuo di così. Io ovviamente sto molto attento a non diffamare mai nessuno, gatti o padroni di gatti. Mettiamo che io venerdì pubblichi la foto del mio gatto in una scatola, prima di partire per il week end.

Il mio blog però è aperto ai commenti: che blog sarebbe, altrimenti. Ora accade che nella mattina di sabato tra i miei commentatori scoppi una polemica virulenta tra i sostenitori di due varietà diverse di cibo per gatti. In particolare c'è un commentatore anonimo che lascia una critica fortissima, anche se un po' campata per aria, nei confronti delle scatolette XYX. Tutto questo avviene mentre io sono in spiaggia a pigliare il sole, e il blog è l'ultimo dei miei pensieri (sì, ci abbronziamo anche noi blogghisti. Non siamo vampiri, non tutti). Le accuse contenute nel commento sono veramente infamanti e arrivano quasi subito sul tavolo dell'ufficio stampa dell'azienda XYX, che in realtà è il signor XYX medesimo, che appena ha cinque minuti liberi va a guglarsi il cognome. Insomma, verso mezzogiorno nella mia casella mail c'è già una richiesta di rettifica. Io nel frattempo sto affrontando un piatto di spaghetti alle vongole, con l'appetito dei giusti. L'ultima cosa che mi può venire in mente è controllare la mia mail per vedere se per caso qualche commentatore non abbia diffamato un'azienda di cibo per gatti a mia insaputa.

La domenica sera arrivo a casa stanco e mi corico senza aver aperto la mail. Lunedì ho la sveglia alle sette, perché lavoro anch'io, cosa credete? I blog di gatti non danno il pane. Alle due, prima di finire la pausa pranzo, finalmente scorro la mail personale. Scopro di essere responsabile di una grave diffamazione ai danni della ditta XYX. Cancello immediatamente il commento anonimo, e in due minuti pubblico la rettifica. Ma è troppo tardi, sono già scadute 48 ore, devo pagare una multa. Quanto fa? Dodicimila euro. Sono sconvolto.

Magari voi pensate che me la sia cercata. Chi me l'ha fatto fare di lasciare i commenti aperti al pubblico? È ammissibile che al giorno d'oggi il responsabile di un blog di gatti non controlli la mail per 48 ore di fila? Forse avete ragione, ma nel frattempo io ho un buco di dodicimila euro. Come lo riempirò?

D'un tratto, un'idea: come un lampo nel buio.
Mi metto a caccia di blog. Devono essere poco importanti, amatoriali come il mio. Scritti da gente che lascia i commenti aperti, ma poi magari non aggiorna per intere settimane. Ce n'è a bizzeffe, ma alla fine scelgo quello del vostro figlio quindicenne metallaro, che non ha mai scritto un post tra il martedì e il giovedì. Proprio la finestra temporale che fa per me. Aspetto fino a martedì sera, e poi colpisco. In fondo a un post di quattro anni fa, scrivo un commento anonimo ferocissimo... su me stesso. Mi autodenuncio come sequestratore e seviziatore di felini. Sì, pare che io abbia un garage pieno di gattini bonsai. E mercoledì mattina, di buon ora, con la mia mail ufficiale, mando a vostro figlio metallaro una richiesta di rettifica. Perché non è possibile che sul suo blog si legga che io sevizio i gatti, ma dico, ma come si permette? Questa è diffamazione bella e buona, non siete d'accordo? Lui comunque la mia mail non la legge, è da due anni che non apre nemmeno la posta, perché tanto coi suoi amici si trova su Facebook. Non importa, dopo una settimana arriva la multa. Dodicimila euro.

Lui ci rimane così male che in un raptus distrugge tutti i vinile dei Sepultura. Si chiude a chiave e non accende più la luce. Cosa starà combinando? Dopo qualche ora sfondate la porta. È al computer. Sta cercando un blog dove autodiffamarsi. Ne ha appena scelto uno tutto cuoricini ed hello kitty. Diabolico!

Il comma 29 della Legge Bavaglio imporrà a qualsiasi autore di blog (anche un quindicenne metallaro, anche una dodicenne hellokittymaniaca) l'obbligo di rettifica entro 48 ore, pena una sanzione fino a 12.500 euro. Se ti sembra un po' esagerato puoi leggere e firmare qui.
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Il blog degli errori

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Sull'Unita.it si parla di abusi satanici rituali. Speriamo bene.
Nei commenti si potrebbero materializzare creature subdole. Le riconoscerete dai quattro puntini di sospensione.

(Nel frattempo Il giustiziere ha aperto un nuovo blog. In bocca al lupo!)

Non aveva idea del guaio in cui si stava cacciando. Quando Stefano Zanetti aprì un blog non poteva certo immaginare che tre anni dopo quella paginetta elettronica sarebbe diventata così importante da meritare un sequestro giudiziario. Aveva cominciato a scrivere on line come facciamo tutti: senza impegno, un po' per gioco, un po' per togliersi dalle scarpe quei sassolini raccolti sul luogo di lavoro. Nel suo caso i sassolini si erano accumulati nelle aule di tribunale: Zanetti, sociologo, lavora in una comunità terapeutica che si occupa di reinserimento dei detenuti.
I guai cominciano nell'estate del 2007, quando gli italiani apprendono sbalorditi che nella cittadina di Rignano Flaminio operava una setta pedofila costituita per lo più da maestre di scuola dell'infanzia, un benzinaio cingalese e un autore televisivo. In tv e sui giornali si parla di filmati e altre prove schiaccianti che inchioderebbero i sospettati: nel frattempo su blog e forum l'indignazione degli utenti prende le forme del linciaggio verbale. L'idea generale è che accuse così gravi non possono essere state inventate: soprattutto se sono basate su testimonianze di bambini, che "non mentono mai".

Zanetti ha un altro parere. 
Il caso di Rignano gli sembra curiosamente simile a quello scoppiato qualche anno prima in due scuole materne di Brescia, dove dopo un lungo iter giudiziario le maestre indagate erano state tutte prosciolte (l'assoluzione definitiva della Cassazione per tutti gli indagati della scuola Sorelli è arrivata soltanto due mesi fa). Una semplice ricerca su internet lo porta a scoprire il trait d'union tra i due casi: la presenza di un'associazione di “lotta alla pedofilia”, la Prometeo, che aveva offerto un servizio di consulenza ai genitori dei bambini sia a Brescia che a Rignano Flaminio. La Prometeo s'ispira esplicitamente alle teorie del controverso criminologo britannico Ray Wyre, fermamente persuaso dell'esistenza di una lobby pedofila internazionale dedita ad abusi satanici rituali. Per i suoi detrattori Wyre (scomparso nel 2008) ha importato in Gran Bretagna quella psicosi collettiva nota come “Satanic panic” o “satanic ritual abuse hoax” (“la bufala degli abusi satanici rituali”), che negli anni '80 divampò negli USA, provocando lunghissime inchieste che si conclusero sconfessando i teorici del satanismo pedofilo. Fuori dagli USA però la psicosi continua.

Zanetti scopre inoltre
 che il fondatore e presidente di Prometeo, Massimiliano Frassi, ha un blog, proprio come lui. Anche Frassi lo intende come un luogo di sfogo; salvo che la sua frustrazione è quella di un uomo impegnato in una lotta impari, accerchiato da una lobby mondiale di pedofili decisa a rendere vano ogni suo sforzo. E di conseguenza, nel blog, non va tanto per il sottile, anzi. Testi urlati in caratteri di scatola, spesso ironici (o, per diretta ammissione "cinici"), e immagini tratte dai film dell'orrore (vampiri, zombies, eccetera). Addirittura Frassi non si fa scrupolo a pubblicare le foto di indagati, senza nessuna preoccupazione per la loro privacy, e ad accostare arbitrariamente immagini choc di bambini feriti e abusati, che non sono esibite come prove (né a Brescia né a Rignano Flaminio sono mai state scattate foto del genere), ma sono funzionali a inorridire il lettore, a commuoverlo e infuriarlo. In tanti anni di assidua frequentazione di Internet non mi era mai capitato di vedere foto di bambini lividi e sanguinanti, prima di capitare in questo blog di “lotta alla pedofilia” che mira allo stomaco, più che al cervello del lettore.

Dal 2007 in poi siamo stati tanti ad occuparci
 del “caso” Frassi, che è anche un esempio di come si può usare il blog come cassa di risonanza: mentre il sito ufficiale dell'associazione Prometeo ha un approccio più diplomatico, il blog di Frassi è definito dal suo stesso autore un “bar”, dove tutto è consentito: immagini choc, l'attacco diretto e indiretto agli avversari, le minacce e gli sfottò, la presunzione di colpevolezza nei confronti di qualsiasi indagato (e anche di alcuni assolti). È il caso delle due suore Orsoline accusate di aver commesso abusi sessuali tra il 1999 e il 2000 in un asilo del bergamasco: anche in quel caso i genitori, prima di sporgere denuncia, si erano avvalsi della consulenza della Prometeo. Condannate in primo grado, le due religiose sono poi state assolte in Appello con formula piena: ma nel blog di Frassi i loro nomi e le loro foto sono ancora archiviate alla voce “Suore Pedofile Bergamo”. Eppure, malgrado i casi di Brescia e Bergamo si siano risolti, dopo molti anni e molte sofferenze, con assoluzioni, Frassi continua a essere invitato a trasmissioni tv in quanto esperto di pedofilia, e a procedere sul doppio binario di serio consulente e di agitatore telematico. Siamo stati in tanti a lanciare l'allarme, ma Zanetti sui blog è stato il primo. Senza di lui ci avremmo messo molto più tempo ad accorgercene. Nel frattempo però il suo blog non c'è più. Un GIP ha ottenuto dal gestore americano (Google) la rimozione (anzi, il “sequestro”) preventivo dell'intero sito, in attesa che sia dimostrato in sede processuale che alcuni suoi articoli offendono la reputazione di Frassi.

In questa storia, per ora, ci perdono tutti.
 Zanetti ha perso un luogo dove sfogarsi, e la reputazione di Frassi non ha ottenuto alcun miglioramento: i blog che lo criticano per i suoi modi e i suoi metodi sono tanti, e non si possono sequestrare tutti. Io poi ho una teoria: quello più offensivo nei confronti della sua reputazione, quello più urlato, più volgare, quello che contiene le immagini più violente e censurabili... è ancora il suo.
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La settimana scorsa un giudice ha sequestrato un blog. Sì, un sito come questo, ospitato da blogspot, proprio come questo. Non voglio entrare nel merito della questione, non è il tempo né il luogo. Era un bel blog (lo è ancora, da qualche parte nei server di blogger), amatoriale nel senso migliore del termine, con punti di vista interessanti e informazioni difficilmente reperibili altrove. Mi era capitato già di saccheggiarlo tre anni fa, e ora continuo.
Il pezzo che incollo qui è una delle cose più leggibili e serie che si possono trovare on line su un argomento spinoso come la bufala degli abusi rituali satanici. Era apprezzato e linkato da molti altri siti. Adesso quei link finiscono nel nulla. Non lo trovo giusto.


La svolta satanica della Prometeo: RAY WYRE

Dal sito dell'associazione anti-pedofilia Prometeo è possibile leggere l'elenco delle personalità che ne compongono il Comitato Scientifico".


Ad una prima occhiata superficiale, l'elenco può impressionare per l'altisonanza di alcuni titoli che vengono indicati. Bastano tuttavia pochi click su Google per scoprire che "non è tutto oro ciò che luccica".

Concentriamoci ad esempio sul seguente personaggio: RAY WYRE (descritto come "massimo esperto inglese di pedofilia"). Si tratta effettivamente di un conosciuto criminologo britannico che ad oggi offre i propri servizi attraverso la "Ray Wyre Associates" (http://www.raywyre.uk.com/) ed ha in curriculum diverse collaborazioni anche con le istituzioni britanniche.

Orbene, se usciamo per un attimo dal sito ufficiale di Ray (promozionale ed autocelebrativo) e dai molti link che riportano ad occasioni in cui egli ha collaborato con Prometeo ed è intervenuto ai congressi da questa organizzati, e ci avventuriamo invece nel web indipendente, scopriamo qualcosa di molto interessante: Ray Wyre è stato protagonista (negativo) dei celebri "Broxtowe cases", un caso di falsa ritualità satanica avvenuto a Nottingham, e soprattutto egli sembra avere anche il triste ruolo fondamentale di traghettatore nel percorso che ha portato la bufala (o isteria collettiva) degli abusi satanici rituali (Satanic Ritual Abuse hoax, SRA) prima dagli USA in Gran Bretagna, e poi probabilmente dalla Gran Bretagna in Italia, attraverso Massimiliano Frassi e l'Associazione Prometeo.


Offro una sintetica traduzione riassuntiva della vicenda, come tratta direttamente dalle fonti citate in fondo:


PREMESSA - la credenza popolarmente diffusa nell'esistenza degli abusi satanici ritualizzati (SRA) affonda radici in tutta la storia umana, ma esplode nella sua forma attuale nel 1980 negli USA, allorchè subito dopo la pubblicazione del libro "Michelle Remembers" (dimostrato un falso) iniziano a manifestarsi denunce e testimonianze di simili fenomeni, prima mai riferiti. Nasce così il concetto dell'esistenza di estese reti segrete ed intergenerazionali di gruppi di persone dedite all'abuso sessuale, alla tortura ed all'uccisione ritualizzata di bambini. La psicosi si allarga rapidamente negli anni successivi negli USA e porterà ai notissimi casi di Bakersfield nel 1983 e della scuola McMartin a Manhattan Beach nel 1984;


1) nell'ottobre 1987, in Inghilterra a Nottingham 7 bambini provenienti tutti da una estesa famiglia (caratterizzata da gravi problematiche socio-psichiatriche) vengono presi in carico dai servizi sociali per una serie grave di abusi sessuali intrafamiliari (in questo caso adeguatamente provati e confermati dalle indagini mediche, che porteranno poi a condanna dei genitori e degli altri familiari responsabili). Sono i "Broxtowe cases";


2) I 7 bambini vengono assegnati a famiglie affidatarie. Su consiglio degli assistenti sociali, i genitori affidatari iniziano a tenere dei diari delle reminiscenze dei bambini;


3) nel febbraio 1988, RAY WYRE era stato chiamato dal servizio sociale di Nottingham a fornire la propria consulenza sul caso, in particolare ad effettuare una presentazione agli assistenti sociali del servizio ed ai genitori affidatari di quali fossero gli "indicatori" da ricercare con la tecnica del diario;


4) nel frattempo, il giornalista televisivo Tim Tate aveva prodotto un report per la televisione. Tate era un convinto sostenitore dell'esistenza degli SRA e dei network dei satanisti, ed aveva ottenuto da un collega statunitense una lista di "indicatori satanici", che aveva passato a RAY WYRE. Non ci sono dubbi sul fatto che questi fossero gli stessi indicatori che il presunto esperto WYRE presenta ad assistenti sociali e genitori affidatari;


5) poco dopo la trasmissione televisiva del report di Tate e l'intervento di WYRE sugli assistenti sociali e sui genitori affidatari, iniziano a comparire progressivamente nei diari dei bambini dei ricordi di episodi di satanismo, stregoneria, sacrifici umani ed animali, cannibalismo, sangue offerto da bere. Non mancano elementi di manifesta bizzarria, con trasformazione di bambini in rospi, madri che volano su scope, Superman etc. e non mancano neppure le descrizioni degli immancabili tunnel e case in cui avvenivano i rituali.


6) la Polizia locale sembra dare poco credito a questi elementi e a seguito di una breve indagine (Gollom Enquiry) si affermava di non ritenere che alcun rituale satanico fosse esistito nel caso in questione. In tale inchiesta si sottolineava come bambini e genitori si influenzassero a vicenda e come i genitori scambiassero le informazioni durante riunioni bisettimanali. Si crea però una spaccatura con gli operatori del servizio sociale, che presero invece per buona l'ipotesi della presenza di SRA e diedero pieno credito ai ricordi dei bambini, nonostante la loro palese assurdità. Lo stesso ritennero gli esperti WYRE e WEIR ed anche il giudice inquirente.


7) nel giugno 1988 si era ad una situazione di completa spaccatura tra Polizia (che rifiutava di investigare su qualsiasi nuovo fatto emergente dai diari) ed operatori del servizio sociale (che presentavano sempre nuove testimonianze di nuovi abusi che coinvolgevano anche altre persone e altri luoghi). Le amministrazioni locali si accordarono allora per affidare la soluzione della questione ad una nuova task force (Joint Enquiry Team, JET), composta da 2 membri di polizia e 2 operatori sociali, che non avevano avuto fino a quel momento nessun ruolo nel caso e partivano da una posizione neutrale;


8) al termine del 1989, venne consegnato il "Joint Enquiry Report", che escluse categoricamente che fosse mai avvenuta ritualità satanista nel caso Broxtowe. Il report indicava esplicitamente che solo dopo l'intervento di RAY WYRE compaiono nei resoconti dei bambini dei ricordi di altre persone coinvolte nei rituali e di abusi avvenuti in posti diversi dalla casa della famiglia dei bambini. Tra le indicazioni finali del report si leggeva anche che "L'uso delle correnti informazioni sui SRA nei servizi sociali dovrebbe essere fermato immediatamente, in assenza di qualsiasi evidenza empirica a suo sostegno. Le presentazioni che utilizzano questo materiale, che secondo noi non ha validità, dovrebbero anche cessare immediatamente, poichè esso è contagioso". Il report affermava anche che le tecniche di intervista insegnate da WYRE erano fallaci e che le risultanti testimonianze riflettevano in realtà le ossessioni degli assistenti sociali. Questo è ciò che la task force JET concluse a riguardo delle fonti e dei metodi "scientifici" che furono usati dal presunto esperto RAY WYRE.




E DOPO BROXTOWE?


9) I timori del JET si dimostrarono fondati, i loro appelli inascoltati ed il contagio si diffuse, dando luogo a diversi successivi casi di SRA in Gran Bretagna. In particolare, si segnala che breve tempo dopo che RAY WYRE tenne un corso di training di tre giorni per operatori di polizia e dei servizi sociali della città di Pembroke, West Wales, in questa comunità scoppiò il più esteso caso di abuso rituale Multi-victim Multi-offender (MVMO) della storia britannica. Grazie, WYRE.


10) Lo scandalo non sembra aver colpito la carriera dei presunti esperti in esso coinvolti e sia Tate sia WYRE sono comparsi in diversi altri programmi televisivi in cui hanno propagandato idee sulla presenza di cospirazioni sataniste (Tate in seguito ebbe anche guai giustiziari e fu costretto a pagare grossi riscarcimenti per alcune sue dichiarazioni in merito). WYRE prosegue la sua carriera di consulente.


11) Sabato 19 ottobre 2002 l'Associazione Prometeo invita RAY WYRE a Bergamo per una conferenza sulla pedofilia. Mi risulta che sia questa la prima volta che WYRE giunge in Italia (col suo bagaglio di conoscenza sugli "indicatori satanici"), ma su questo punto non è possibile trovare informazioni certe sul web. Non è neanche possibile risalire con esattezza a quando siano avvenuti i primi contatti tra WYRE e Massimiliano Frassi, presidente di Prometeo.

Dal 2002 è comunque ininterrotta la collaborazione scientifica tra Prometeo e WYRE, definito un "maestro" da Frassi, che mi risulta esserne l'unico sponsor in Italia e che ne ha anche curato per primo la traduzione dei libri in italiano.

12) Nei primi mesi del 2003, il processo per i presunti abusi presso le scuole materne di Brescia subisce una improvvisa svolta, con l'estensione alla scuola Sorelli, la moltiplicazione delle accuse raccolte dalle madri attraverso interrogatori improvvisati e utilizzo di diari (!!). Questa fase vede la presenza attiva di una psicologa afferente all'Associazione Prometeo, che opera dalla parte delle famiglie accusanti. In questa fase nasce anche esplicitamente una "pista satanista" per la spiegazione dei presunti abusi di Brescia.



CONCLUSIONI

Tutti gli elementi tipici emersi nei recenti casi di RSA italiani (Brescia, Rignano Flaminio, Vallo della Lucania etc) erano presenti già nel caso Broxtowe (si consiglia la lettura integrale delle fonti sotto citate, poichè le corrispondenze sono davvero impressionanti).


Questi elementi invarianti sono stati importati in Europa da RAY WYRE attraverso la lista statunitense di "indicatori satanici" fornitagli dal giornalista Tate. RAY WYRE e Tate sono considerati responsabili di aver importato e diffuso in Gran Bretagna l'isteria collettiva sulla presenza di abusi rituali satanici.


Fin qui i fatti già documentati sul web e ampiamente indicativi della reputazione del sig. RAY WYRE. A questi fatti, possiamo aggiungere una nuova ipotesi suggerita dai fatti: Massimiliano Frassi e l'Associazione Prometeo potrebbero risultare essere responsabili di aver introdotto in Italia il contagio dell'isteria collettiva sugli abusi satanici rituali, attraverso il tramite della consulenza di RAY WYRE.




RACCOMANDAZIONI

Si conclude ricordando che in molti dei paesi in cui il fenomeno dell'isteria degli abusi rituali satanisti è dilagata a partire dai primi anni '80 (ad es. Stati Uniti ed Inghilterra), attualmente il fenomeno si è del tutto estinto. Purtroppo nel decennio di durata di questo fenomeno (tempo medio approssimativo, prima che la società civile metta in atto opportune risposte all'isteria) tali paesi hanno dovuto marcare un enorme ed assolutamente inutile costo in termini di sofferenza umana (degli onesti ingiustamente accusati, dei bambini irrevocabilmente plagiati, delle famiglie sconvolte, delle comunità spaccate), in termini di vite umane (innocenti suicidati, morti di crepacuore o erroneamente giustiziati) ed anche in termini economici, con costi a carico del sistema giudiziario e sanitario pubblico valutabili nell'ordine dei milioni di euro.


Negli stessi paesi, gli esperti attivi nella diffusione dell'isteria (psicologi, criminologi, operatori di agenzie antipedofilia etc), che hanno prodotto consulenze pubbliche o private a sostegno dell'ipotesi dell'abuso ritualistico pur in mancanza di vere prove, hanno ottenuto invece grande visibilità e realizzato notevoli guadagni economici sotto forma di contributi pubblici e di parcelle professionali.


In molte situazioni estere, il dilagare del fenomeno è stato arrestato non solo mediante l'approvazione di nuove leggi ad hoc, ma anche mediante la messa in stato di accusa e la condanna (penale o professionale) di quegli psicologi, operatori sociali, magistrati che avevano contribuito al dilagare del fenomeno con la propria inadeguatezza tecnica e deontologica.

Si ritiene opportuno e urgente un intervento del Governo Italiano e dell'Autorità Giudiziaria.



Fonti
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SITI GENERICI SUL SRA:
http://www.ags.uci.edu/~dehill/witchhunt/
http://www.religioustolerance.org/sra.htm


SUL CASO BROXTOWE-NOTTINGHAM:
http://www.users.globalnet.co.uk/~dlheb/introduc.htm (il report del JET)
Dominique Nephtys
http://www.clogo.org/Archives/ASGL-L/03/0349_1997-06-23.html (articolo del 'Private Eye' magazine(articolo del 'Private Eye' magazine)


SUL CASO PEMBROKE:
http://www.religioustolerance.org/ra_pembr.htm
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Avanzi di avanzi di Ersatz

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(Loro ogni tre anni rifanno le stesse polemiche, io ripubblico la stessa roba. Non mi posso mica scomodare più di così, scusate).

Invece quel che penso dei nuovi articoli del Foglio sui blog è… ma no, ma che due palle, scusate. Ma siam nel 2007, e ancora esiste il Foglio? Sul serio? Ma perché?

Chiudete il Foglio (e aprite le finestre)

Lo so anch’io che esiste, perché ne ho visto una copia. Un mese fa, in biblioteca. Sono sicuro che è stato un mese fa, perché il prestito mi è appena scaduto. E dunque un mese fa sull’espositore ho visto la prima pagina del Foglio, molto elegante come al solito. Sei colonne sull’omicidio di Garlasco. Il quotidiano intelligente. Cioè, pensa se era un cretino.

Ma non lo voglio neanche criticare, il Foglio, perché si criticano le cose che si conoscono e io da un pezzo non lo prendo neanche in mano. Mi pongo semplicemente la domanda: perché esiste, il Foglio? Serve ancora a qualcosa? A qualcuno? Me lo chiedo tutti gli anni, e tutti gli anni la risposta è più difficile.

Se poi qualcuno ha delle critiche da farmi in quanto rappresentante della categoria dei blog, io son qui, son pronto. Ma date soltanto un’occhiatina al piedistallo da cui le fate, vi conviene. Mi accusate di non fare giornalismo? In effetti non ne faccio. Non fornisco informazioni di prima mano, mai. Non ho neanche mai preteso di farlo. Ma voi che scrivete sul… Foglio?
Mi accusate di essere autoreferenziale? Beh, certe volte sarò pure autoreferenziale. Ma dovete proprio scrivermelo dalle colonne del… Foglio?
Mi accusate di essere inutile? Va bene, ma spiegatemi una buona volta in cosa consiste l’utilità vostra. A parte naturalmente il gusto di spremere soldi di finanziamento pubblico, con un patetico espediente, per stampare tutti giorni un sacco di carta che resta per lo più invenduta. Ma è un giornale per la classe dirigente, dicono. Ma per favore. Ce li voglio vedere, i padroncini, a decifrare Ferrara col DeMauroParavia a mano. La classe dirigente legge Libero, è questa l’amara verità. Poi ci sarà qualcuno che sfoglia il Financial Times per darsi un tono. Il Foglio è rimasto in mezzo, tragicamente fuori target.

La verità è che Il Foglio dovrebbe parlare soltanto bene dei blog. Ogni volta che un blog italiano fa un colpaccio, la redazione del Foglio dovrebbe titolare a quattro colonne: “noi lo sapevamo. Noi eravamo un blog quando ancora internet non c’era”. Perché è così. Quando io venivo in biblioteca, nel secolo scorso, a scaricare la posta da un 46k, il Foglio era già al suo posto nel raccoglitore di quotidiani, ed era già cazzeggio autoreferenziale. I tormentoni, i libri e i cantautori preferiti, i flame, era già tutto pronto. Mancava il supporto elettronico, ma i contenuti c’erano al 100%.
Non che io lo toccassi volentieri, ma in seguito l'ho letto molto, di seconda mano, proprio a causa dei blog. Un sacco di blog sbrodolavano adorazione per il Foglio, citando interi articoli. Se l’elefante aveva azzeccato un editoriale, sicuro che me lo copincollavano almeno un par di volte.

Adesso invece di Ferrara nessuno parla più, se non per spernacchiarlo, tanto che alla fine quatto quatto s’è fatto un blog pure lui, e che dire? Bravo Ferrara! E di che parla? Non è mica autoreferenziale, lui, macchè. Lui fa una polemica con Giampiero Mughini sul sesso. È chiaro? Vale la pena di ripetere? Una polemica, nel 2007, con Mughini, nel 2007, sul sesso.

Poi uno si lamenta perché Grillo usa male il blog? Ferrara lo usa per polemizzare con Mughini! Se Grillo attacca i buoi all'automobile, Ferrara ci attacca un'incudine da una tonnellata e poi parte in discesa. Ma scusa, se vuoi dire una cosa a Giampiero, invitalo nel tuo salotto tv! Oppure invitati tu a Controcampo, che bisogno c'è di annoiare i lettori con un lenzuolo sul... sesso? Perché tu saresti un'autorità sul sesso? Da quando? E in che modo è potuto succedere?

Scrivi che in occidente è diventato ridicolo. Proprio così. “Oggi il sesso non è libero, è soltanto ridicolo”. Parola di Ferrara. Ma quanto ne fai per dirlo? Ma sei sicuro che il sesso che fai tu sia rappresentativo della media occidentale? Perché a me qualche dubbio a volta viene, e sono un trentenne normodotato. Tu invece sei un vecchio obeso: non hai proprio nessunissimo altro argomento su cui pontificare? Se ho voglia di farmi un’idea sul sesso occidentale vado da pornoromantica. Da Melissa P. Vado in chat. C’è un migliaio di posti dove potrei andare, e in nessuno di questi posti mi piacerebbe trovarci tu o Mughini che vi scambiate dei pareri nel vostro lessico maldestro. Perché oltre a non essere due amatori rappresentativi (e non c'è nulla di male), restate anche due mediocri prosatori che continuano a sparare bordate di lessico stravagante nella speranza che qualcuno non se ne accorga e non si annoi. Io di solito manco vi seguo: scrollo col mouse e mi fermo quando vedo accrocchi di lettere strane. Molto spesso è tedesco, lingua che so poco – e voi meno di me.
Da noi si parlicchia, si freudeggia, si danza intorno a un sostituto, a un Ersatz

Sul serio, non vorrei essere nel lettore della classe dirigente che si mette a cercare Ersatz su google. Credo che ci metta meno tempo a prenotare un’escort, con la quale poi parlicchierà e freudeggierà a piacimento. Ma mangiatela, l’Ersatz, e se non va giù, condiscila con la mia Weltanschauung, toh, valà che ti piace.

Oscenità a parte: se anche Ferrara può avere un blog, cosa aspettano i pecoroni al seguito? Ci vuole così tanto coraggio a chiudere la baracca e ad aprirsi, finalmente, un bel multiblog, parolaio e autoreferenziale? Ci avete pensato a quanti soldi (nostri) e quanta carta risparmiata? E magari verrei a vederlo, sul serio, ci verrei! Mentre adesso il vostro lenzuolo in pdf non lo apro neanche per sbaglio, il pdf è una cosa che mi fa senso, puzza di concorsoni ministeriali e pecette della CIA, pussa via! Ma come si fa a mettere on line un pdf, nel 2007? Scusate l’insistenza sul calendario, eh, ma in dieci anni io ho cambiato almeno tre sistemi operativi, e sono uno tirchio. Voi invece siete ancora al pdf, è una cosa che dà da pensare.

Poi magari siete gli stessi che “dopo l’11 settembre nulla sarà come prima”: eh, magari. Voi, per esempio, anche dopo l’11/9/2001, siete rimasti al 1996. E si vede, si vede sempre più. Dieci anni fanno una certa foschia - state per scomparire dietro l'orizzonte. Vi volete dare una mossa? Qua da noi c’è tutta la fuffa che vi serve, tutta l’acrimonia che vi manca, tutto lo spirito che avete smarrito da un pezzo. Aver perso un tram è un peccato, ma non può diventare una vocazione. Potete prendere sempre quello successivo, ne passano continuamente. Insomma, in strada, su. Seguite Ferrara, seguite Camillo, seguite chiunque, vi aspettiamo.
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Più di mille parole

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La guerra delle cartoline

C'è una foto incredibile di Rina Castelnuovo che è sepolta da mesi tra i miei bookmark. Ogni tanto ci passo sopra col mouse e sovrappensiero la riapro. Allora accade ogni volta la stessa cosa: mi dico “ma questa è straordinaria! Perché non l'ho mai pubblicata?” e decido di farlo seduta stante. Invece non faccio in tempo ad aprire la pagina che i dubbi hanno già preso il sopravvento. Tranne forse stavolta. (In ogni caso vale la pena di avvertire: questo pezzo non ha molto a che fare con la strage al largo di Gaza. È tutto un pezzo su quella fotografia, e soprattutto sull'opportunità di pubblicarla o no. Una questione piuttosto astratta e privata, mentre fuori si scannano, certo).

+ La foto è già un po' famosa, o meriterebbe di esserlo. Pubblicata su Internazionale, è arrivata al mio portatile al termine di una tortuosa catena di link. Il ragazzo è di origine europea o americana, la donna è una palestinese. Da come curva le spalle dà l'impressione di avere una certa età. Siamo a Hebron, la città dei patriarchi, la più sacra agli ebrei dopo Gerusalemme. Ma non è in Israele; è in Cisgiordania, territorio occupato. Il ragazzino che lancia il vino non è, propriamente, un israeliano: è un colono ebreo. Per parte dell'opinione pubblica israeliana (e persino italiana), è un eroe assediato dai terroristi, che difende con la sua sola presenza le radici ebraiche di Hebron. Questa foto mostra una realtà diversa, una quotidianità di provocazione e arroganza che combacia con altre testimonianze (le reti tese sopra il mercato palestinese per proteggere le bancarelle dai rifiuti lanciati dai coloni). Pubblicarla sul mio sito avrebbe semplicemente un valore di testimonianza: meglio di qualsiasi mio lenzuolo di parole, questa foto mostra a chi non vuol vedere da che parte stiano la prepotenza e la sopportazione.

- D'altro canto, è solo una foto. Qualche filoisraeliano la vedrà e ne posterà una di segno contrario, magari un palestinese che brucia la bandiera azzurra (oooodio!) o la sagoma di Hitler su una baracca di Gaza (iiiiiislamoonazismo!) E andremo avanti così, rinfacciandoci cartoline dalle due sponde dell'inferno. Ma ho sempre pensato che non abbia senso. Forse perché non so fotografare, ma ho sempre rifiutato il giochino: in particolare mi hanno sempre fatto ribrezzo gli avvoltoi che postano i bambini morti dalla loro parte, per convincere sé stessi e gli altri di stare dalla parte giusta. Come se non fossero morti bambini da entrambe le parti. Le foto sono disoneste perché ritagliano un fatto e ti costringono a provare emozioni per quel singolo bambino morto, per quella signora che probabilmente prova per l'odore del vino la stessa repulsione viscerale che io provo per alimenti alieni alla mia cultura: non abbiamo bisogno, io e lei, di consultare il nostro libro sacro per sapere che ci fanno schifo: ci viene da vomitare e basta, siamo fatti così, voi la chiamate Cultura ma noi non l'abbiamo scelta, se ci innaffiano con quella roba ci sentiamo pieni di vergogna e temiamo che nemmeno annegandoci la puzza ne verrebbe via... Ecco, vedete, mi sono immedesimato. Ma da qualche parte c'è un palestinese che tira una pietra a un soldato di leva israeliano, non dovrebbe farmi male la testa anche per lui? A questo modo emotivo di appassionarsi a una guerra ho sempre preferito un approccio pragmatico e crudo: volete parlarmi di bimbi morti? Contiamoli. Vediamo se ne ha fatti più Piombo Fuso o più i razzi Qassam. Poi decideremo per chi emozionarci. Ma se pubblico questa foto, io mi arrendo alle emozioni, all'empatia, alla propaganda che si nutre di cartoline...

+ D'altro canto, questa foto è una bomba. Non teme il confronto. Nessun palestinese odiatore calpestante vessilli in fiamme reggerà mai una foto del genere. Qui non c'è nessun pietismo, la signora è di spalle, e sono le spalle più dignitose che ho mai visto nella mia vita, probabilmente perché dietro di loro sono libero di immaginare il volto che voglio, e ovviamente non farò che prendere mia madre o mia nonna con tutta la loro dignità, e abbronzarle appena un po'. Quant'è bianca, invece, la faccia del colono. Giù la maschera: questa è la faccia dell'imperialismo bianco. Lo stupid white boy, il turista anglosassone tronfio e cretino da generazioni, che segna il territorio col suo bricco di tavernello. Fa la cosa più bianca e imperialista che si possa immaginare: sporca, riempie il mondo di rifiuti. Un mondo povero, ma dignitoso, deve diventare la sua discarica. A Hebron i coloni fanno la guerra coi rifiuti: quello che l'Uomo Bianco riconosce ormai come una vergogna nella sua madrepatria (l'attitudine a lordare) nelle colonie d'oltremare è rivendicato come un preciso diritto politico: hai dei fondi di bicchiere? Li puoi usare per rendere un po' più difficile la vita dei palestinesi. Che foto incredibile.

- E mentre me lo dico capisco che c'è qualcosa che non va. Il mio buonumore. Là fuori si scannano, amici o nemici, ma io ho trovato una foto che darà forza ai miei amici, e farà stridere i denti ai miei nemici. Ma è questo che voglio? Nel mio blog io parlo di scuola, tv, qualche film un po' di musica, e di Palestina: ma saltuariamente: solo quando un massacro la riporta in prima pagina. Perché lo faccio? Perché un giorno promisi qualcosa a qualcuno? Credo davvero che ci sia qualcuno là fuori ancora da convincere, qualcuno disponibile a cambiare idea? O voglio semplicemente far bella figura col mio blog, attirare l'attenzione del migliaio di persone non particolarmente influenti che bazzicano? E se fossi davvero tutto qui, una persona superficiale che tra fare qualcosa di concreto e chiacchierare a vanvera ha scelto una volta per sempre la seconda?

- Ma se chiacchiere devono essere, almeno siano farina del mio sacco. Questa foto non è mia. Se la usassi, la ruberei. Certo, si è già fatta un bel giro su internet. Ma il mio non è un sito di segnalazioni; è un sito di contenuti. In gran parte, testuali. Le immagini sono quasi tutte rubate, e servono solo ad alleggerire o a fornire qualche pezza d'appoggio – ma una foto così non sarà mai un corredo di niente. È uno scoop, è un editoriale fatto e finito. Potrei versarci sopra la mia solita colata di parole, ma sento che sarebbe disonesto: qualsiasi parola mia accanto brillerebbe di luce riflessa. Non potrei neanche sporcarla, distorcerla, sfuocarla, come faccio spesso con le immagini che rubo, per sentirmi meno ladro.

- Per di più adesso c'è la questione della pubblicità. Non se n'è accorto praticamente nessuno, ma da qualche settimana a questa parte il mio sito ha uno spazio pubblicitario. Non è una rivoluzione, in dieci anni su Blogger è successo di tutto: nei primissimi tempi ho vaghi ricordi di enormi banner con loghi e suonerie, e una scimmietta a cui dovevi sparare per vincere gettoni d'oro. La novità è che ora qualche centesimo mi arriva in tasca. Quanti? Pochi. Non abbastanza per mettermi a inventarmi espedienti per attirare lettori... ma pubblicare una foto del genere, così potenzialmente controversa, non sarebbe esattamente un espediente? Voglio rubare il lavoro di una fotografa professionista? Voglio usare la tragedia palestinese per attirare clic sul mio sito e centesimi nelle mie tasche? Non mi sembra di essere così gretto, ma di fatto lo diventerò.

+ Insomma, come vedete alla fine ho scelto. Ho messo tutti i pro e i contro sulla bilancia, e poi ho rotto i piattini. La foto è una bomba, pubblicarla è sleale, e probabilmente io sono una patetica persona che ruba cartoline e specula un piattino di lenticchie su enormi tragedie, e pensa di coprirsi dietro lenzuoli di metadiscorsi. Tutto questo è vero, ma è anche poco rilevante di fronte all'immensità dell'universo, alla profondità dell'odio, e alla rabbia muta di quelle spalle, che credono di dover sopportare all'infinito, e invece (grazie a una fotografa israeliana) faranno il giro del mondo. E il giro del mondo oggi passa per di qui, semplicemente. Non me lo merito: chi se ne frega. Guardate la foto, le mille parole che ci ho messo intorno valgono ancora meno del solito.
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Ho una teoria #11

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"Hai letto? Dicono che sull'Unità sei moscio".
"Moscio? A me sembra di essere un po' rigido".
"Insomma, non sei a tuo agio".
"Ci sto lavorando. Vedrai che lunedì li stendo. Sto lavorando a un pezzo che... ti leggo l'incipit?"
"Se insisti".
"Accadde qualche anno fa: stavamo scegliendo l'aspirapolvere. Bello eh?"
"Senz'altro ti crea una certa suspense".
"Vero? Vuoi sapere come va a finire?"
"No, no, non ti preoccupare, me lo leggo poi con calma".
"Stavolta li stendo, me lo sento".
"Stavolta li stendi proprio".

(C'è qualcuno su internet che parla male di te!, sull'Unità online. UPDATE: C'era un bug che non permetteva la pubblicazione di commenti. Adesso funziona, quindi se vi va, commentate di là).

(La vignetta è ovviamente rubata a XKCD).

Accadde qualche anno fa: stavamo scegliendo l'aspirapolvere. C'era una marca che conoscevamo sin da bambini: tutti ce ne avevano sempre parlato come il non plus ultra; sapevamo che costava un po' di più ma che probabilmente ne sarebbe valsa la pena. Insomma, ormai ci eravamo decisi.

Poi però siamo andati su Internet. Abbiamo visitato un sito di recensioni, non ricordo quale – ce n'è più d'uno, e non danno alcuna garanzia d'affidabilità. Ci scrive gente normale, che decide di pubblicare on line il proprio punto di vista su un aspirapolvere, o una lavatrice, o un automobile, facendo spesso scempio di sintassi e ortografia. Però sono persone vere, che nessuno paga per parlare bene di un prodotto; se condividono il loro parere è per il solo gusto di farlo. Bene, queste persone normali distrussero la fama del prestigioso elettrodomestico nel giro di cinque minuti. Leggemmo che era un affare ingombrante e inutilmente costoso, che l'assistenza era un calvario, ecc. Così non lo comprammo. Magari ci siamo sbagliati, le recensioni on line non sono più attendibili dei pareri di amici e conoscenti. Ma riflettono le opinioni di un insieme più vasto di persone. In fondo non abbiamo fatto altro che sostituire a un sentito dire (“l'aspirapolvere X è buono perché me l'ha detto un cugino, o un collega, o un vicino di casa”) un altro sentito dire (“X è scarso perché ne parlano male 9 recensioni su 10”), che ci sembrava più affidabile perché più condiviso.

Ah, dimenticavo: le recensioni erano tutte rigorosamente anonime. Non è difficile capire il perché. Tutti abbiamo il diritto di parlare bene o male di un prodotto, ma scrivere dello stesso prodotto comporta un rischio che in Italia non sono disposti a correre nemmeno i quotidiani. Anche le testate più critiche nei confronti dei politici più potenti si guardano bene dall'attaccare esplicitamente aziende che possono ritirare la pubblicità o mettere in mezzo gli avvocati. Capita così che sulla carta stampata sia più facile criticare il Presidente del Consiglio che parlare male di un aspirapolvere. Certo, Internet ha un poco cambiato le cose. Ha dato a tutti uno spazio per esprimerci; e, cosa non meno importante, ci ha dato la possibilità di farlo in modo anonimo. Ha regalato a tutti una maschera, un avatar, un profilo vuoto da riempire. Per un po' è stato fantastico.

Ma probabilmente era illegale. Questa maschera, come molti giornalisti esperti non cessano di farci notare, internet l'ha regalata anche a mitomani e diffamatori. A nessuno piace trovare su una pagina web falsità o cattiverie sul proprio conto: tanto più a chi gestisce un'azienda, e che spesso non sa ancora come reagire ad attacchi che in Italia fino a poco fa erano una novità. Per esempio: una settimana fa la blogger Sybelle ha avuto un'esperienza che chiunque scriva su un blog considera tra i suoi incubi peggiori: perdere l'accesso al suo sito personale. Cos'era successo? Qualche mese prima un anonimo aveva lasciato un commento lesivo della reputazione di un marchio d'abbigliamento. L'azienda titolare del marchio, invece di chiederne la rimozione a Sybelle, coinvolge Wordpress, il servizio di hosting (in pratica i proprietari dello spazio web concesso a Sybelle). Così, per impedire la lettura di un commento anonimo, Wordpress oscura l'intero blog. Apparentemente le norme d'utilizzo glielo consentono.

A questo punto entra un gioco un fattore che l'azienda e il servizio di hosting non avevano calcolato: la solidarietà di decine di utenti che si sono immediatamente messi nei panni di Sybelle. Il caso è approdato su blog e social network, creando un fiume di interventi che ha preso diverse direzioni. Da una parte la polemica con Wordpress (che dopo qualche giorno ha rimesso on line il blog, eliminando soltanto il pezzo in cui era apparso il commento incriminato). Dall'altro, il marchio di abbigliamento. Il famigerato commento, ripescato su google, è statoripubblicato sul popolare blog del giornalista dell'Espresso Alessandro Gilioli. A quel punto i responsabili dell'azienda si sono resi conto di avere amplificato a dismisura la visibilità di un oscuro commento dimenticato da mesi su un blog personale, e hanno addirittura chiesto scusa. Purtroppo per loro la credibilità di un marchio non si ripristina così facilmente come l'accesso a un blog. (Per un resoconto più dettagliato sulla vicenda vedi MyWeb 2.0); per una riflessione più articolata vedi Punto Informatico).

L'anonimato di internet è un problema. Inutile negarlo. Ma sbaglia chi crede di poterlo risolvere in maniera repressiva, con l'abolizione dell'anonimato o altre misure impraticabili. Internet è un universo fluido (la metafora della navigazione è ancora la più azzeccata): invece di piantare paletti e alzare steccati, a volte basta seguire la corrente. Se uno sconosciuto parla male di te, ignorarlo è sempre l'opzione migliore. E bisognerebbe comunque evitare di farsi troppi nemici... in pratica, le regole che abbiamo imparato nel cortile della scuola sono ancora le migliori per farsi rispettare sul web. Almeno, questa è una mia teoria. Non è detto che sarà così per sempre. Forse un giorno le aziende riusciranno a imporre quel rispetto un po' omertoso che già vige nel nostro giornalismo. Perdonatemi se quel giorno non canterò vittoria. Certo, nessun anonimo potrà più permettersi di offendere me e il mio lavoro. Ma probabilmente possiederò un aspirapolvere ingombrante e inutilmente costoso.
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È sempre più tardi

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Com'è tradizione, l'antichissimo blog Leonardo in occasione del suo 279° compleanno chiede ai lettori di votare il post più bello del 2009. Segue lungo discorso che si può agevolmente  saltare.

(La mia scelta:
Cugghiuni + Business
Seminator di scandalo
Il segreto dell'altalena
Croce e delizia
Il Silvio parallelo
Mamma! Mamma!
Di ronda in ronda
Dagli abbastanza corda
Ogni riferimento è puramente
Voi potete sceglierne anche altri)

"Come? Eh? No, le candeline no. Il mio povero cuore.
Volete che vi racconto? Ma probabilmente la storia la sapete già. Sono io che non mi ricordo più bene quando ho cominciato.
Mi sembra di averlo sempre avuto un blog, più o meno dall’… Ottocentoquindici, mi pare… in quel periodo eravamo in pochi, eh, anche perché il layout dovevi farlo a mano… il codice, dico… lo vergavi con la penna d’oca, nei primi tempi… e quindi non eravamo poi così tanti ad avere la costanza, la… manualità… comunque c’era già Giacomo … lui con lo Zibaldone era un po’ il mio mito, me l’aveva linkato Pietro Giordani che… aveva questa directory di giovani poeti italiani promettenti, che se ci pensi era una cosa da suicidio, allora, mettere in piedi una directory così… anche oggi certo… però a quei tempi… metti che Foscolo un giorno la consulta e non trova il suo sito… minimo ti sfidava a duello… non gli potevi mica dire: “Scusa, Ugo, ma è una directory di giovani promettenti, e francamente tu…” insomma, c’erano equilibri molto complicati.

Ma dicevo di Giacomo. Di lui non è che si sapesse molto, stava in campagna come molti di noi, e gli volevamo tutti molto bene perché… ma fondamentalmente aveva una costanza pazzesca. Ogni volta che facevi refresh qualcosina la trovavi. Spesso era roba pesante, filosofia, linguaggio, però era due secoli fa, forse allora c’era più mercato per queste cose. A me sembrava uno dell’altro mondo, poi un giorno leggendo capisco che si è trasferito a Bologna… allora vado a impegnare i gioielli della mia povera madre per prendere a nolo un biroccio e in un paio di giorni sono là… però non c’era ancora google street view e anche la segnaletica stradale lasciava molto a desiderare, francamente… sicché entro in un’osteria, sotto le torri, e chiedo a lorsignori se conoscono l’indirizzo del poeta Giacomo Leopardi. Silenzio. “Intendo l’autore del pregevole blog lo Zibaldone”. Mi ridono in faccia. Lì per la prima volta ho capito che… la blogosfera non è proprio esattamente il mondo reale… uscendo alla luce del sole urtai un gobbetto, gli feci cadere una borsa piena di carte e mi mandò al diavolo… mi lasciò un pessimo ricordo Bologna, non saprei neanche dire perché… forse capivo che tra il mondo vero e la blogosfera ormai avevo scelto la blogosfera. Vuoi mettere tra discutere di lettere con IppolitoNievo.It o stare per strada a farsi ingiuriare dai brutti gobbi sgorbi?

Manzoni? Non so, me l’hanno detto poi che c’era anche Manzoni, il punto è che non era già il grande Manzoni, era un ragazzo molto timido, che non usciva di casa volentieri, aveva crisi di panico nei luoghi affollati... al giorno d’oggi sicuramente diremmo che è la sindrome di questoquello, ma a quei tempi… Lui stava molto sulle sue e faceva questa cosa, che a me non è mai piaciuta… cioè si cancellava spesso. Magari per un mese scriveva cose fantastiche, fantasie di monache lesbiche, poi un mattino gli saltava il ticchio… cancellava tutto. Magari perché qualcuno gli aveva lasciato un commento livoroso (lui però li bloccava, mi pare), oppure gli era venuta la crisi mistica... Io quelli che fanno così, come Facci, o TheWineGuy, non li ho mai compatiti veramente. Voglio dire, o fuori o dentro, trovate un vostro equilibrio. Però non voglio fare polemica. L’ultima polemica la feci col Tommaseo, mi pare nell’Ottocentoquarantavattelapesca… quanto a Manzoni, era un altro che non usciva di casa volentieri, aveva crisi di panico nei luoghi affollati…

No, all’inizio no, non c’erano classifiche. Non avremmo saputo cosa conteggiare. Dovete capire che con la tecnologia di allora anche una cosa che per voi sembra scontata… non so, lincarsi. Io per lincare un post di Luigi Settembrini dovevo scrivergli fermo posta, e sperare che filtrasse il firewall austroungarico. Le polemiche sullo sbarco dei Mille, poi, francamente… non si poteva fare liveblogging da Marsala, mettetevelo in testa. I borbonici avevano bloccato il protocollo postale, non avevamo né piccioni né segnali di fumo, e poi c’era questo piccolo particolare che dovevamo scannare nemici a mani nude perché avevamo lasciato i fucili a casa. La prossima volta portatevi l’Iphone, cosa volete che vi dica. I giovani la fanno sempre facile.

Lo devo ammettere, all’inizio il telegrafo mi spaventava. Temevo che uccidesse il blog, lo avevo anche scritto… un post dal titolo il blog è morto. Mi davano soprattutto noia quelle abbreviazioni, anche inglesi, SOS per Salvate le Nostre Anime, che roba è? E poi tutti quegli stop a fine frase, stop, stop, stop… insopportabili. Ma davvero ero convinto che il futuro sarebbe stato sintetico, che quelli che amavano le pagine lunghe e complicate, come le mie, fossero condannati… magari chissà avevo pure ragione… nei tempi lunghi…

Invece Marconi lo adoravo. Mi ricordo quando fece quella presentazione, a Londra… tutti si immaginavano un gadget portatile, magari un telegrafo palmare, ma chi si poteva immaginare un congegno wireless nell’Ottocentonovanta… dico bene? O novantacinque?

Va bene, insomma, adesso in che anno siamo? No, fa lo stesso, un anno vale l’altro. Ditemi però cosa ne pensate di quest'anno, perché lo sapete che io tengo soprattutto a una cosa. No, non è la classifica, no. Non sono neanche gli accessi. A me interessa che i miei pezzi siano belli, siano validi, si leggano volentieri. Perciò vi chiedo, come da duecentoepassa anni, di scrivermi nei commenti qual è il pezzo che vi è piaciuto di più. Per favore. Non fate come tutti gli anni che di solito siete un migliaio ma quando c’è da farmi questo favore restate in venti. Cos’è, avete paura a scegliere un pezzo invece di un altro? Tirate la monetina, mica me ne accorgo. Potete anche scrivere il pezzo che vi è piaciuto meno, magari quello vi viene più facile. Coraggio, su, e poi per un altro anno non vi disturbo più. Adesso se vi dispiace devo andare a pisc… no, niente, ormai è tardi. Tanti auguri.

Ma ve l'ho detta quella volta che sono andato a Bologna, perché volevo vedere un blogger, come si chiamava... Entro in un'osteria e..."
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Quant'era simpatico

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Come molti hanno già notato, da ieri ho iniziato una collaborazione con l'Unità.it. Le forme di questa collaborazione sono ancora tutte da definire, ma io nel frattempo mi sto già montando la testa con interrogativi divistici, del tipo: mi amerete? continuerò a esservi simpatico anche quando scriverò davvero su un giornale? Lo so che state facendo sì con la testa, ma non vi credo.

Perché già adesso, in fondo, non è che faccio molto per meritare tutta questa simpatia. Non rispondo alle mail, non mi iscrivo ai vostri gruppi, non scambio link, nei commenti vi mando a quel paese... tutto l'acido che può buttar fuori un temperamento un po' passivo-aggressivo che nella vita di mestiere porta pazienza, io ve lo rovescio volentieri, ma a voi piaccio così: e appena mi capita una buona notizia correte tutti a festeggiarmi con un entusiasmo, dai, esagerato.


Io in tutti questi anni di scrittura amatoriale mi sono conquistato l'affetto che si guadagnano certi musicisti indipendenti oggettivamente scalcagnati, che vanno in giro a suonare in posti minuscoli dove comunque l'entrata e gratis, nessuno ti paga, ma quando finisce il concerto e ti smonti da solo gli strumenti tutti vengono a stringerti la mano, perché sanno che non ci guadagni niente ma ci metti tutta la passione della tua vita e sei, direbbe Enzo, adorabile. Ecco, io per molti sono quella cosa lì, adorabile. Ma alla mia età, con la barba che mi si sta facendo bianca... è imbarazzante.

Io poi non ci ho mai tenuto, all'adorabilità: più di una volta ho annunciato che l'avrei venduta al primo che passava con un piatto di lenticchie, e forse non scherzavo, ma poi qualche piatto di lenticchie è effettivamente passato e non sono riuscito ad afferrarlo, non è così facile. Eppure quando ho aperto questo sito non pensavo che sarei rimasto per sempre così, un simpatico blogger a vita. Nemmeno prevedevo l'epica guerra tra bande che sarebbe cominciata qualche mese più tardi, blogger contro giornalisti. Pensavo che scrivere un poco quasi tutti giorni mi avrebbe aiutato a diventare più bravo e che prima o poi avrei fatto un salto di qualità che forse invece non mi è mai riuscito. Più che avvicinarmi al giornalismo, forse è stato il giornalismo negli ultimi anni ad accostarsi a gente come me, dai modi un po' rudi e incolti, indiròc.

Se non ci credete provate a riguardare il primo pezzo che mi hanno pubblicato, dove mi sono limitato a trattare da rincoglionito un giornalista della concorrenza e a scrivere che i due principali quotidiani on line sono punti di ritrovo per dementi e mitomani. Cose del genere finché le scrivi su un blog nessuno le nota: si sa, i blog le sparano grosse... Su un quotidiano ci vuole una certa dose d'impudenza, e tra un po' anche gli avvocati, temo. Dovrò mettere giudizio, imparare a differenziare i registri, cose così. Nel frattempo ringrazio Cesare Buquicchio, che non m'aspettavo davvero avrebbe accettato un pezzo del genere, e invece, torno a casa e guarda un po', sono sull'Unità, ah, però.

Dall'altra parte della barricata... e quindi Maroni può anche oscurare tutta la vostra fetida blogosfera fetida, peggio per voi... No, scherzo. Ma continuo a pormi l'infantile quesito: ora che sono qui, continuerete a trovarmi simpatico? Riuscirò a farcela, come sanno farcela gli adulti, senza le vostre quotidiane espressioni di simpatia? Cedere affetto in cambio di professionalità sarà poi alla lunga un buon affare? Non lo so, vediamo. Per ora non posso che ringraziarvi: se non era per voi, io a quest'ora chissà dove sarei. In una stanzina a vergare uno zibaldone. Su facebook a iscrivermi ai gruppi. In giro a tirare oggetti a persone che non riuscirei a sopportare. Meno male che c'era internet, e voi dall'altra parte a leggere e approvare. Grazie ancora a tutti.
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All your friends Ah! Oh! Aficionados

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Premesso che i miei lettori, e gli amici dei miei lettori (e i lettori dei loro amici) sono tutti aficionados, e non gliene frega molto di nomination o premi, eccoci qui, a contare i giorni che ci separano dall'assegnazione dei Macchianera Blogger Awards. Nati come uno scherzo, una scemenza, praticamente una lista di preferiti di Gianluca Neri, anno dopo anno sono diventati sempre più seri. Non che abbiano smesso di essere una scemenza. Diciamo che sono nel limbo, in un punto intermedio.

È il loro bello, in fondo. Lasciamo che siano i giornalisti a prendersi sul serio: noi a Riva del Garda non ci andiamo mica per i premi. Ci andiamo per rivederci, conoscere gente che leggiamo tutti i giorni ma non sappiamo che accento ha, riprovare un po' quello spirito del 2003 (classe di ferro, ma siamo in meno tutti gli anni), abusare ulteriormente della squisita ospitalità di Camisani Calzolari (se c'è), sentire il cuore che ti batte forte quando passa Filippo Facci (se c'è), e di nascosto ballare. I premi vanno presi come parte del divertimento. D'altro canto, sarebbe bello se fossero un'occasione per attirare un riflettore su blog e autori di blog che se lo meritano – ma io credo che siamo ancora in una fase antecedente, in cui bisogna attirare attenzione, e autorevolezza, sui premi. E come si fa? Premiando blog che se lo meritano davvero. Neri ha rinunciato a qualsiasi velleità di giuria tecnica, per cui la responsabilità spetta tutta a noi lettori. Io che posso dire. Quattro cose.

1) Non votate per me. Ho ricevuto quattro nomination, e ve ne ringrazio, ma sul serio. Non c'è più bisogno. Vincere l'anno scorso è stato molto divertente, ma tornare e ritirare di nuovo un premio quest'anno sarebbe, mi sembra, lievemente patetico. Io il mio quarto d'ora d'attenzione direi che me lo sono giocato (male, a quanto pare), ora preferisco pararmi il posteriore e suggerirvi di votare per gli altri.

2) Però cercate di votare gente come me. Ovvero, gente che in questi premi un po' ci crede, con il dovuto distacco ironico, ma ci crede. Beppe Grillo può darsi che sia davvero uno dei più grandi blogger mondiali, ma di una statuetta a forma di fantasmino non ha nessuna necessità, e non ne trarrebbe nessuna soddisfazione: capace che il suo ufficio stampa nemmeno lo avverte. Invece, per dire, Livefast magari fa finta di niente, ma... no, aspetta, non è vero che fa finta di niente, ha palesato per tempo che ci tiene un sacco, e allora votatelo. Tra l'altro se lo merita.

3) Provate ad evitare i blog commerciali, i nanopublisher, quelle cose lì. Loro sì, loro a vincere si è visto che ci tengono, ma alla fine più che acquistare credibilità ne fanno perdere ai premi. Qui è in questione la definizione stessa di blog: vogliamo che passi l'idea che si tratta di un veicolo pubblicitario on line con un po' di contenuti sarchiati ai newsfeed? O non piuttosto un prodotto amatoriale, nel senso di fatto con amore da uno o più appassionati? Dopodiché poi può anche darsi che Cineblog abbia più accessi di Giovane Cinefilo, ma vuoi mettere? Mi spiace, il secondo è un blog, il primo un prodotto commerciale. A esser buoni.

4) Cercate di non votare a casaccio – lo so che è difficile. Chi vota deve scegliere un candidato in tutte le categorie: su questo Neri è irremovibile. Il che porta molti esperti di blog automobilistici di fronte al problema di dover scegliere tra cinque blog di cucina che non hanno mai aperto, e viceversa. La tentazione di pescarne uno a caso (di solito il primo della lista alfabetica) è molto forte, e l'anno scorso ha determinato vittorie abbastanza surreali (a sorpresa, sembra che nessuno si fosse preoccupato di sfogliare i... blog erotici, che effettivamente anch'io guardo poco, ma pensavo di non fare testo).

Qui sotto ci sono i miei papabili. Tutta gente a cui in realtà non frega niente, eh? Aficionados. Sono dichiarazioni di voto o quasi, non intendo suggerire a nessuno come votare, Gianluca ti prego non t'incazzar

Miglior Blog 2009
Voglioscendere (Travaglio & co.) ha già vinto molto l'anno scorso, e ha mandato a ritirare il grafico (bravissima persona, peraltro, ma era imbarazzante anche per lui). Se siete ammiratori di Travaglio, lo aiutate di più comprandogli il giornale, o un libro ogni cinque che pubblica. Lui secondo me manco si ricorda di avere un blog, se qualcuno gli manda un link è capace di stupirsi (Toh, bravo questo, quasi quasi lo cop... ah, no, aspetta, sono io). Io direi che è stato l'anno di Gilioli, il primo in Italia a far funzionare davvero il classico blog-rubrica (quelli che di solito riesci a leggere controluce Che palle, io non volevo, è il direttore che mi ha costretto). No, Gilioli lo fa e si diverte, e sta anche cominciando a farlo usare ai suoi colleghi. Lode al merito. Gilioli, un anno fa la gente si sbagliava ancora e scriveva giglioli, e adesso è primo in classifica. Non che conti a nulla la classifica, ma per dire: sembrava blindata, Beppe Grillo forever, finché un giorno Gilioli.

Blogger dell'anno 2009
La differenza tra miglior blog e miglior blogger io l'anno scorso non l'ho veramente capita: mi intervistavano e gli rispondevo: boh. Ma se quest'anno una maggioranza compatta votasse Bonino, un senso ci sarebbe: lui di blog ne gestisce almeno tre (Phomnkmeister, Eiochemipensavo, Spinoza) tutti e tre notevoli. Sarebbe insomma un bel premio alla (toccati, zio) carriera.

Blog rivelazione
Due non li conosco, gli altri tre ho paura di offenderli; comunque Educazione Cinica e Qualcosa del Genere sono bravi – e io qui non voterei Spinoza. Me lo terrei per

Migliore community
In un'accezione un po' estesa di community, comunque ci sta tutta. È un blog di battute che funzionerebbero benissimo in un qualsiasi late night show, se in Italia li facessero (fanno Chiambretti con le bestie del circo).

Migliore blog di opinione
Grillo, abbiamo detto no. Travaglio, per lo stesso motivo, no. Io no. Secondo me tocca a Zoro, che è pure capace di arrivare da Roma. Per dire, l'anno scorso andò via solo perché aveva un matrimonio. E poi è bravo, se impari a leggere il courier su sfondo nero. Ma so che alcuni di voi accarezzano l'idea pazza di votare Retropensiero Liberale. Ora, io non nascondo le mie tendenze ideologiche e a Retropensiero dico un sinistro no, per due motivi buoni. Primo: deve restare un piacere proibito. Uno che scrive un pezzo sulle analogie tra Craxi e De Andrè e Diaco glielo prende per buono, ecco, questo tipo di cose deve continuare a succedere, anche più spesso. Secondo: dovrebbe impegnarsi di più. Cinque post in tre mesi, mentre Zoro macina migliaia di chilometri, scherziamo? L'award te lo devi sudare, o detta in modo più liberale: a lavurèr.

Migliore blog collettivo
Io, Sviluppina. A Spinoza ne avrei già dato uno, uno e mezzo se conti Bonino blogger dell'anno. Livefast nel blog collettivo ci ha creduto, ha lottato, ci ha invitato agli aperitivi, insomma se lo merita. Forse se lo meritava ancora di più Inkiostro, ma non l'hanno nominato (tanto a loro non cale, sono tutti aficionados).

Miglior blog giornalistico
Camillo, mah, Camillo più che giornalismo sarebbe opinione. Senza entrare nel merito. Se entro nel merito faccio un macello. Voterei Gilioli, ma sarebbe la seconda volta. A questo punto però voglio Gilioli a Riva del Garda, lo voglio toccare. Sennò Wittgenstein, ma voglio toccare anche lui. Mettiamola così: voto quello dei due che si farà toc... che si presenta. Se invece si presenta Rocca voto Travaglio. Il quinto sarà senz'altro bravissimo, ma ho deciso di boicottare Ilcannocchiale.it. Così, per spocchia.

Miglior blog tecnico
Ahem. Non sono un cultore. Ma Attivissimo odia Giacobbo, tanto mi basta.

Miglior blog televisivo
Dei cinque conosco solo Dave. Sono convinto che sia il meno 'tecnico' dei cinque, più che un blog televisivo il blog di una persona che è cresciuta con la televisione, e tra l'altro adesso non riesce neanche a captarla bene. Per cui votarlo è anche un gesto ironico... Ma so anche che a Riva non verrà, e quindi forse un'occhiata agli altri quattro potrei darla... data. Voto Dave.

Miglior blog food & wine
Ecco un settore dove c'è molta professionalità. Forse troppa per riuscire a dare un giudizio così, su due piedi. Comunque: Cavoletto stramerita, ma ha già vinto l'anno scorso. Dissapore più che blog è una rivista, molto bella per altro. Gli altri tre mi sembrano alla pari... E non ne capisco niente.

Miglior blog di un Vip
A Zoro ne ho già dato uno (e poi non è un Vip, dai). Confesso che era parecchio che non passavo da Luttazzi, ehi, è tutto cambiato. Ok, sulla fiducia.

Blog con la migliore grafica
Ecco 5 nomination che non ho capito. Forse era il caso di spiegare cos'è esattamente "la grafica". Fosse per me la rifarei a tutti e 5, ma non faccio il webdesigner, io (ho un lavoro onesto). Scelgo, proprio perché devo scegliere, http://francescogavello.it, ma dopo devi promettere di correre subito a rifare il layout. Meno colonne.

Miglior blog cinematografico
I 400 calci sono tanto bravi ma possono aspettare. Io credo che questo sia il momento per dare a Kekkoz quello che gli spetta (che gli spettava già l'anno scorso), e non vorrei che l'exploit di aver mandato due-blog-due in nomination non gli si ritorcesse contro. Insomma, mettiamoci d'accordo: per me entrambi meriterebbero la palma, non resta che sceglierne uno. Giovane Cinefilo è il cineblog come dio comanda, ma Friday Prejudice è diventato uno dei pochi motivi per alzarsi da letto il giovedì. Insomma dicci tu cosa fare, Kekkoz, noi siamo tuoi anima e cuore. Cineblog non passerà.

Miglior blog erotico
Mah. Dovrebbe essere la categoria più eccitaaaah-hung... eh? Sì? Sarà un mio problema, andrò a farmi vedere. Certo, da un lato c'è qualcosa di eroico, (sì, ho scritto eroico) nel fare letteratura erotica nell'era di youporn, dall'altro... se c'era votavo youporn. Comunque: la dott.sa Dania viene a Riva, le altre non promettono nulla, traetene conseguenze.

Miglior blog musicale
Secondo me Inkiostro, negli ultimi anni, si è evoluto in uno dei migliori blog punto. D'altro canto come faccio a non votare Enzo? (Gliel'ho anche chiesto: Enzo, come faccio? Lui mi ha risposto: Eh? Cosa? C'è un premio? Boh).

Miglior blog letterario
Neanche sapevo che quello di Chinaski fosse un blog letterario. Ok, vada per Come diventare il mio cane. Letteratura o no, funziona (nel senso che dopo un po' diventi il tuo cane).

Miglior disegnatore
Ho un debole per Makkox, anatra suprema, ma ha già vinto l'anno scorso. Eriadan è un grande, zuccheroso ma nutriente... ma ha davvero bisogno di un premio? Intanto diamoglielo.

Miglior photoblog
Ci sono situazioni in cui è più onesto tirare la monetina, e per me è il caso.

Post dell'anno
Alcune considerazioni: 1) è incredibile quello che la gente ritiene possa essere un “post”, e persino un “post dell'anno”; 2) se la media è questa, io potrei vincere tutte le settimane (ma è un po' come prendere a sberle i neonati, sarebbe probabilmente fighissimo ma l'educazione cattolica me lo impedisce. Stupida educazione); 3) molti post scelti ruotano intorno alla maternità, o alla paternità, chissà cosa vorrà dire, probabilmente nulla; 4) ce ne sono almeno un paio che, riflettendoci bene, violano articoli del codice. Io voto per Serendipity, voi fate un po' voi.

Miglior podcast
Ecco, no. Mi ci ero messo di buona volontà, ma scaricare un podcast no. voto Radio Sglaps perché il nome mi suggerisce un'idea di fatto in casa che gli altri no.

Miglior servizio per i blog
Blogbabel è l'unico che uso. E finché splinder non mette dei feed decenti, boycott.

Miglior blog mobile
Non ho la minima idea, e se si tratta di caricare blog sul cellulare, sono ben fiero di non averla.

Cattivo più temibile
Io Malvestite l'avrei votato come blog dell'anno – se lo avete seguito, sapete che questo è stato l'anno di Malvestite. Per Moccia, per Morgan, per l'estate di sangue bimbominchia, io mi ricorderò del 2009 per le cose che ci ha scritto Betty Moore. Se questa è l'unica statuetta, vada. Mi spiace per il dott. Pruno e per Bucknasty, fuoriclasse autentici degni di premi alla (toccatevi) carriera, ma ribadisco: il 2009 che è sfilato qui da noi indossava Malvestite.

Miglior blog andato a puttane
Un appello: liberiamo Selvaggia Lucarelli da questa incresciosa categoria. Tanto lei ci vuol bene lo stesso, sul serio, non c'è bisogno. Anzi, per il discorso di dare più autorevolezza ai premi, questo lo toglierei. Se devo votare, ammetto che Suzukimaruti un po' mi manca. Non quanto Petunias, ma mi manca. Ma non credo sia andato a puttane. Insomma, la battuta non è più divertente.

Miglior blog sui motori
E' interessante come sia impossibile trovare bei siti amatoriali sui fornelli e sui motori: i core business dell'editoria, evidentemente. Qui ci sono 4 nanopublisher e un giornalista, sapete cosa vi dico? Voto il giornalista. Lui almeno non cerca di vendermi niente.

Cazzeggio gratuito
Categoria non tanto comprensibile: perché, gli altri non sono cazzeggio gratuito? Ci pagano, a noi, per cazzeggiare? fammi controllare l'estratto conto... no. Comunque. Paul è un bel personaggino, quest'anno ha fatto cose mirabili, una statuetta se la merita, anche se in questa categoria è un po' un insulto. E ne approfitto per farvi sapere che le barzellette su Chuck Norris hanno rotto i coglioni perfino alla scuola media. Quindi adesso lo sapete, ok? Non ci sono più scuse.
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Ti ha scritto Antonio

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Vasto programma

Va bene, mi arrendo, sono uno di quelli a cui ha scritto Di Pietro. C'è qualcun altro? Dai, usciamo allo scoperto.

Forse è meglio che mi spiego. In data 14 agosto ho ricevuto una mail da Antonio Di Pietro. Siccome la mail recava come titolo "Invito blogger al 4° Incontro Nazionale IdV", ed esordiva con "Caro blogger", non ho pensato per nemmeno un secondo che non fosse una lettera circolare inviata a decine se non centinaia di peoni come me.

Il contenuto tuttavia presentava alcuni spunti d'interesse, e spero di non venire meno a nessuna deontologia se lo riporto qui in forma parziale:
anche quest'anno Italia dei Valori organizza a Vasto, nei giorni 18/19/20 settembre 2009, l'Incontro Nazionale giunto alla sua quarta edizione.

Visto l'importante ruolo svolto da quei blogger che, con il loro lavoro quotidiano, informano, documentano e sopperiscono alla mancanza di un'informazione obiettiva, di fatto asservita ad interessi economici e politici, Italia dei Valori ha deciso di coinvolgerli per questo importante evento.

Ho dunque il piacere di invitarti a partecipare all'evento di Vasto;
Voi direte vabbè, dove sta la novità? Di Pietro nei blog un po' ci crede, non da ieri (memorabili i suoi flame con Clementemastella.blogspot); forse ci crede un po' troppo, rispetto a quel poco che hanno dimostrato di saper fare quelli italiani: ma è comprensibile, il suo partito è un prodotto di nicchia ed è normale che si attacchi alla coda lunga, anche solo in mancanza di altri appigli. In effetti la cosa più interessante arriva nella frase successiva:
Italia dei Valori provvederà a fornirti collegamento internet, accesso all'area stampa e alloggio gratuito per consentirti di documentare i dibattiti e le interviste di questi tre giorni.
Notate l'eleganza del grassetto. Però, insomma, questo sì che è crederci. Altro che chiacchiere: tre giorni, due pernottamenti, mi pare un bel salto in avanti rispetto alla società dei tramezzini. "E chissà a quanti l'avrà mandato, questo invito", pensavo, mentre mi spalmavo sulla spiaggia.

Col passare dei giorni il pensiero ha cominciato a fare il bozzolo: a quanti lo avrà mandato? I primi cento della classifica? No, troppi. I primi cinquanta? Venticinque? Inutile porsi il problema, basta aspettare. E' una società di bocche larghe, non c'è proprio il rischio che si tengano un segreto. Prima o poi qualcuno su friendfeed o twitter o checcazz si tradirà: "Ehi, Tonino mi ha invitato alla festa, e voi?" (Variante: "Tonino mi ha invitato e voi no, pappappero").

Passano i giorni. Le settimane. Va bene che siete tutti in ferie, ma ci siete con i laptop e gli iphone, quindi se tacete è perché avete deciso di farlo, è così? E' una congiura del silenzio? Forse una specie di gara. Su venti o trenta, vediamo chi è che ha il fegato di andarci, a Vasto; e poi quando comincia a postare i suoi imparziali reportages lo sputtaniamo: "C'è andato a spese del partito! Ho qui la mail! Scoop!" Ah, è una società di serpi.

(Oppure forse Tonino ha scritto solo a me! No, difficile. Forse però ha invitato solo una manciata di persone, gente che apprezza davvero. Magari mi apprezza davvero e io reagisco sputtanandolo così. Che verme, in una società di carne guasta).

Insomma, ora basta. Se era un gioco a chi cedeva per primo ho perso, ok? A me Di Pietro ha scritto, confesso. E confesso pure che un po' di voglia di andare a Vasto a fare il gonzo-blog della festa dell'IdV ce l'ho. Anche se probabilmente sarei un pessimo gonzo però... ehi, voglio dire, alloggio gratuito. Quella è gente che nei blog ci crede davvero.

Però da solo ho un po' paura. Viene qualcun altro?
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A Step Longer Than My Leg

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Ladies and gentlemen, the English site.

(Un grazie di cuore a Wendell Ricketts, che si è sobbarcato la traduzione dell'ultimo post).
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Giurassico-Polimorfo-Giustappunto

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L'autoreferto

Stavo riflettendo sulla celebrità dei blog, ammesso che si possa chiamare tale.
Ammesso che si possa chiamare tale, si tratta della forma più sfigata di celebrità mai esistita – ovvero, no: un gruppo punk che avesse una base di un centinaio di fan sparsi in una intera nazione, che macinasse periodicamente centinaia di chilometri per andare a prendersi bottigliate in testa da codesti fan, forse soffrirebbe di una forma di celebrità ancora più sfigata, ma non è poi detto.

Del resto, giudicate voi: rincaso dopo cinque ore di lezione e quattro di corso di aggiornamento antincendio, poso i sacchi della spesa e rifletto pensoso sul pacco di compiti che ho promesso di consegnare corretti per domani, metto su un caffè, vado su internet, c'è gente che scrive Ciao! Ti posso fare un'intervista? Come ci si sente a essere blogger dell'anno (ancora?) Cosa rispondi a chi ti accusa di cospirare con Luca Sofri per il potere del Macchianera Award? Perché non fai cash quando potresti farne tantissimo, sei uno duro e puro eh? Eh? Ragazzi, se non è uno scherzo c'è qualcosa che non va.

Corsi e ricorsi: dopo mesi di dimenticatoio, per una mera coincidenza, oggi sono state pubblicate due interviste al “blogger straconosciuto praticamente per tutti”. Che sarei io, eh. Una, più telegrafica, su Liquida; l'altra, una classica deriva delle ore piccole, su Manublog.
Oltre a segnalarle farò qui una cosa orribile: citerò alcune cose che, rileggendole, mi sono piaciute (“toh, guarda come gliele canta bene questo”).

Sul tuo blog non è presente alcuna forma di pubblicità, eppure potresti monetizzare cifre interessanti. Come mai questa scelta idealistica?

Un momento, da quand’è che si monetizzano cifre interessanti? Che io sappia non si tira su praticamente nulla, ti vendi la faccia per niente.
Bisogna in effetti smitizzare questa idea dei blogger duri e puri che non si vendono… io lo dissi anche a Riva del Garda, fatemi un prezzo decente e io mi vendo (zanzanzan), non ho un concetto così sacrale della roba che scrivo. Ma finché le cifre sono quelle che girano oggi non mi pare che valga la pena.

Tu sei anche (anzi soprattutto) un insegnante. Come spiegheresti un blog ad una classe di ragazzi delle medie?

Fa parte di quelle cose che non c’è bisogno di spiegare: quelli a cui interessa lo hanno aperto già (su msn, di solito). Ai ragazzi delle medie bisogna spiegare il fascismo e l’aids, mica internet, che è una delle cose più intuitive al mondo. Ti sei mai chiesto perché non c’è un corso di bicicletta? Eppure la bicicletta è ancora assai più pericolosa di internet, te lo diranno in qualsiasi pronto soccorso. Però te l’immagini una lezione sulla bicicletta? “Oggi faremo la teoria del freno anteriore”. No, si monta sulla sella e si cade fin quando non si cade più. Con Internet è più o meno la stessa cosa.

Che consigli daresti a un blogger agli inizi?

Non pensare mai, assolutamente mai, per nessun motivo, che il blog possa essere anche solo per qualche istante una seria fonte di reddito. In tre parole: va a lavorare.
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Attende i suoi lettori all'ingresso

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Gentili lettori, un saluto dal piccolo blog Leonardo che l'altro giorno ha compiuto otto anni e nessuno di voi se n'è accorto.
Ma lui vi vuole bene lo stesso, perché anche se è uno dei blog più vecchi in giro, è pur sempre un bimbo di otto anni che ha bisogno sopra ogni cosa di affetto e considerazione.
E veniamo al tradizionale giochino: qual è stato il pezzo migliore del 2008? Non cercate d'essere originali a ogni costo, scegliete il primo che vi viene in mente. Se non ricordate nulla (i blog fanno questo effetto) ecco alcuni candidati:

* Il futuro di chi ha memoria (e con la Giornata della Memoria anche quest'anno siamo a posto).

* è un Mercato Pazzerello
Sì, ma un colpo solo mica basta. Nella cassaforte di una filiale, quanto ci sarà? Centomila? Va bene, si tira un po’ il fiato, e poi? Ci vuole un reddito. Potrei fare il corriere. In effetti sarei un buon corriere. Le autostrade le so tutte e mi piace girarle, fermarmi agli autogrill e non pensare a niente.

* Beware de negher
“Di marocchini ce n'è uno al civico 12, e basta. Creda a me che faccio il postino”.
“Massì, se non sono marocchini saranno extra... albanesi, zingari... tutti uguali...”
“Rumeni. Rumeni ce ne sono tre famiglie all'angolo. Sembra gente tranquilla, eh. Però è vero che i ragazzini son sempre in giro”.
“E fanno una paura...”

* Incubo di una notte di mezza estate
C'è il Presidente Napolitano che entra in una banca con un sacchetto in mano, e dice: “Buongiorno”...
(Questo forse non l'avrei inserito, ma si è classificato secondo alla Blogfest, senza che io l'avessi nemmeno indicato: insomma a qualcuno è piaciuto).

* Fiori per Algernon
Come vedi la nostra discussione prosegue ancora intorno allo stesso problema, che credo di poter sintetizzare così: in questi anni di volgarizzazione indotta delle masse pilotata dallo strapotere mass-mediatico, in che misura noi intellettuali possiamo rompere il “guscio” accademico e tornare a parlare a quelli che non si sentono coinvolti dai nostri discorsi, la cosiddetta (perdonami il termine vago), “gente”?

* Mangia la metafora
“Ti dà più fastidio un pompino reale che un pompino metaforico”.
“Probabilmente sì. Sbaglio?”
“Certo che sbagli. Reali o metaforici, i pompini sono tutti uguali. Anzi...”
“Magari salta fuori che la realtà è meglio della metafora”.
“Beh, sì. Viva la sincerità”.

* Apocalipstick
Quasi un meme.


* La scuola di Pippo (come diventare razzisti, I)
Per un attimo, un attimo solo, Pipino vorrebbe essere anche lui un nero scaraventato sulle spiagge di Lampedusa da una carretta del mare, solo per il gusto di esprimere con la stessa rozzezza i propri sentimenti, cazzo, mi hanno fregato di nuovo. Uno si sbatte per tutta la vita, mette al mondo un figlio, gli insegna l'educazione, e poi vlam! Te lo prendono e te lo sbattono nel ghetto con i figli dei neri.

* 21st Century Schizoid Anchormen
Oggi pare che l'Imputata Bionda abbia scambiato uno sguardo con l'Imputato Scuro. Forse era uno Sguardo d'Intesa, ma potrebbe anche essere uno Sguardo di Disapprovazione, in effetti l'unica sarebbe fartelo vedere, ma in quel momento il cameraman s'era distratto, comunque fidati. È tutto? Sì, perché le deposizioni erano noiosissime e noi non vogliamo farti cambiare canale, soprattutto adesso che tra tre minuti c'è la pubblicità. E quindi... beh, abbiamo pensato di approfondire mostrandoti la fila di gente che c'è fuori! Una fila di gente che vorrebbe entrare a vedere l'Orribile Processo, non lo trovi morboso?

Questi sono i pezzi che sono più piaciuti a me; ma quali saranno piaciuti ai lettori?
Ci sono vari parametri: uno è il numero di commenti (purché non siano il risultato di un botta e riposta tra due commentatori incarogniti, di cui uno sono sempre io); un altro è il picco di accessi (che però può anche dipendere da un solo blog importante che mi ha lincato); un altro ancora è il conteggio dei link. Questo lo rileva in automatico Blogbabel. Quest'anno i tre parametri concordano nell'incoronare post dell'anno questa antipatica chiosa a un pezzo di Facci. Mah.

Ultimo ma primo, vorrei segnalare Soffrire per uno scopo, che è uno dei più assurdi che ho scritto, ma per me sintetizza in modo efficace quello che volevo fare nel 2008: chiudere coi pipponi politici e scrivere storielline divertenti. Non è proprio andato così, e poi in realtà anche le storielline alla lunga stancano. In generale la lista del 2008 mi sembra inferiore a quella dell'anno prima, anche se nell'ultimo anno mi sembrava di essere più in palla. Forse però ho rischiato meno; del resto tra i pezzi che vi erano più piaciuti nel 2007 c'erano cose piuttosto impegnative, come Storia di Mària, che oggi probabilmente non avrei tempo né voglia di fare.

A proposito, quale sarà stato il pezzo peggiore dell'anno? Dite voi, io non saprei. Quelli che mi sembrano brutti evito di rileggerli. Il più inutile, sulla distanza, mi sembra questo, ma è facile dirlo col senno del poi.

La principale novità del 2008 sono state le vignette: non ne ho fatte molte, ma erano veramente le prime che facevo. Imparare qualcosa di nuovo alla mia età è commovente. In cima a questo pezzo c'è quella che è piaciuta di più (ispirata a un documento autentico). In effetti fa ancora una certa impressione. Ma la presenza del correttore automatico resta inspiegabile.

Il 2008 se n'è già finito nell'ultimo cassetto di quell'archivio in cui credo sempre di custodire ingenti tesori (e invece ogni tanto vado a controllare e pesco ragnatele e poco altro). Come sarà il 2009? Beh, non ne ho la minima idea. Sul serio, questo è un blog che va per i fatti suoi e non si riesce a programmare. Pensate che a inizio anno pensavo di scrivere solo cose leggere e divertenti.

Un discorso a parte meriterebbero quelli che stanno per dirmi che una volta ero meglio, che ultimamente sto esagerando in questa o quell'altra cosa, oppure mi sto ripetendo, ecc. ecc. Non perché non abbiano ragione: di sicuro c'è stato un momento in cui scrivevo meglio di adesso. Ma guardiamoci negli occhi, io sto buttando roba qua dentro da otto anni, come faccio a non ripetermi mai? La risposta è semplice: non ce la faccio. Mi ripeto spesso e volentieri, e molte cose che vi fanno incazzare nel 2009 le ho riprese da pezzi del 2006, o del 2001, per tacere di tutte le volte che mi ripeto senza accorgermene come vostro nonno. Io ho i miei alti e i miei bassi, come tutti, ma alla fine della fiera sono sempre io, e c'è un numero finito di cose che so e di cose in cui credo. Insomma se da un po' di tempo in qua vi piaccio meno, può darsi che stiate cambiando voi.

Come quel gruppo che tre anni fa vi sembrava il massimo e l'ultimo cd non l'avete nemmeno scaricato, perché, boh, non v'interessa più.
Come quella radio che ascoltavate sempre come se non si potesse farne a meno, finché un giorno ne avete fatto a meno, e adesso v'infastidisce anche solo captarla di sfuggita.
Come quelli che si lamentano perché la Gialappa non fa più ridere: ma vi siete visti? Avete trentacinque anni, è chiaro che non può più farvi ridere. Sarebbe ben triste il contrario. E' ora di lasciar spazio ai ragazzini, se ce n'è. E se non ce n'è, tanti saluti e buonanotte. E' stato molto divertente.
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Blog Is Dead #378

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And Spoons Are Not Feeling That Good Either

>Hey dude!

>What's up, doc?

>Been lookin' for U on Facebook but haven't found U

>Of course
>I guess I'm not there

>YOU'RE NOT ON FACEBOOK?

>No
>Is it serious, doc?

>Always thought of U as a kind of a geek
>on the internet 24/7


>In fact I already know so many ways to waste my time,
>So I don't think I need FB

>So what? Are U already on the next big thing?

>Well... no
>I'm just writing on my old blog actually.

>So... you're still into blogging

>Right.

>And what do you post? Videos? Podcasts?

>Text. Just plain text.

>TXT???

>Oh, sometimes I've got some pictures too.

>And you still have readers?

>More than ever, I have to say.

>But I heard the blog was dead.

>Oh yes, so many times.

>No, this time it's serious,
>I heard it was killed by facebook.


>Really? Didn't know.

>You need some updates, aint'you?

>Sad but true
>Please help me

>For instance
>Are you still using spoons?


>Yes, why
>Please, don't tell me spoon is dead

>Dead and buried

>Shit
>And the killer was?

>The corkscrew

>???
>I cant'understand
>Please explain

>Can't explain, you know how trends go.
>One day it's spoon, next day it's corkscrew


>But how can you eat soup with a corkscrew

>Of course you can't. Corkscrew is not for eating soup.
>Are you kiddin' me?


>Never.
>I'm going to throw away my spoons right now.
>But please, tell me more.

>Well, This is not 100% sure, but
>Have you got any umbrellas?


>Of course. Should I throw them away too?

>Yup.

>And replace them with?

>This ain't been fixed yet
>When I discover U'll be the 1st to know,
>I promise


>Can I suggest a sewing machine?

>What?
>Are you foolin'me? 


>Sorry,
>for a moment I thought I've caught how trends go

>You're a desperate case I guess
>I'm leaving now, someone's calling on my Intercom
>Bye

Bye

(Poor boy, still on Intercom
Nobody told him it was killed by Myspace)

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Il blog è morto, 367

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(E anche l'accendigas non se la passa tanto bene)

>O carissimo

>ehi, come va

>bene. Ti stavo giusto cercando su facebook. Dove 'azzo sei?

>credo di non esserci

>NON SEI SU FACEBOOK???

>è grave, dottore?

>e dire che una volta passavi le ore sul pc

>ma appunto
>siccome conosco già talmente tanti altri modi di perdere tempo

>ma stai facendo qualcosa di particolare?

>sempre  quel blog, sai, leonardo blogspot eccetera

>Già è vero 
>Ma ci scrivi ancora?

>Anche troppo.

>E ti leggono?

>Beh, qualcuno sì

>Io avevo capito che i blog ormai erano morti

>Sì
>più o meno dieci anni fa

>No, io avevo capito che erano morti di recente

>Maddai

>perché li aveva uccisi facebook.

>non lo sapevo.

>Sei un po' fuori dal giro, eh?

>Lo ammetto.
>Che altro si dice?
>Dai aggiornami.

>Per esempio
>tu usi ancora l'accendigas?

>Beh sì
>Non dirmi che è morto pure quello

>Morto e sepolto

>Dannazione
>Ma chi è stato?

>Il cavatappi

>???
>Spiegami meglio

>Non c'è niente da capire, sai come sono le tendenze
>la gente non usa più l'accendigas, è una tecnologia superata
>adesso si usa il cavatappi


>Per accendere il gas?

>Ma no ovviamente. Per cavare i tappi.
>Mi pigli per il culo?


>Non oserei mai. Altre novità?

>Ti do una dritta. Hai degli ombrelli in casa?

>Ebbene sì. Devo buttarli via?

>Il prima possibile.

>E sostituirli con?

>Non è ancora chiaro
>appena ne so qualcosa di più ti chiamo


>Posso suggerire una macchina da cucire

>???

>Dicevo: al posto degli ombrelli, si potrebbero usare le macchine da cucire

>Ma te sei scemo

>Scusa, credevo di aver capito

>No, tu non capisci mai
>Sei un caso disperato
>Ora stacco, mi suonano al citofono


Arci è offline.

Che antico, ha ancora il citofono.
Forse avrei dovuto dirglielo, che il citofono è morto.
(Lo ha ucciso twitter).

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Grazie

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...lo dedico a questo straordinario pubblico

Un blog si può seguire perché setaccia le notizie che t'interessano, perché trova cose che non sapevi; oppure perché dice esattamente le cose che già sai e proprio nel modo in cui ti piace sentirle. Un blog si può seguire perché è insopportabile. Perché scrive cose davvero fuori del mondo. Per migliaia di motivi, all'inizio. Ma dopo qualche mese – qualche anno – c'è solo un motivo per cui si segue ancora un blog. Non è tanto una questione di affinità. È proprio una questione di affetto.
Quanti amici hai, che leggeresti tutti i giorni?

Quando ho sentito che organizzavano la Blogfest, onestamente non ho mai pensato che avrei potuto assistere a conversazioni interessanti. Quelle potevo leggermele da casa - ma a una blogfest non ci si va per le conversazioni; ci si va perché si ha voglia di vedere le persone. Anche se incontrarsi tra reciproci lettori quotidiani è notoriamente frustrante. Si rimane sospesi in mezzo a cento discorsi che ci siamo fatti da casa, e nessuno si ricorda più bene; di solito non sappiamo bene cosa dirci, però in fondo a tanti puntini di sospensione si sente che l'affetto c'è. A volte ce n'è in quantità imbarazzante.

A Riva l'unica conversazione ufficiale a cui sono riuscito ad assistere è stata quella su blog e informazione – una discreta palla, a detta di molti. Ho sentito le lamentazioni di Facci sulla qualità dell'odierno giornalismo on line, e le condivido, perché no. Io del resto dopo dieci anni ho rinunciato a usare repubblica.it come homepage, non ce la faccio davvero più. Non è una questione di snobismo, è che quella colonna morbosa si sta davvero prendendo tutto. Su trenta scemenze messe in fila, prima o poi una la clicco anch'io, e poi me ne vergogno. Coi blog che leggo di solito non mi capita. Non perdono tempo a solleticare i miei più bassi istinti, loro, non hanno nessuna ragione di farlo. Se vado su Repubblica dopo mezzo minuto mi ritrovo a sfogliare brutte foto di tizie che nemmeno m'interessano – almeno i wallpaper di Macchianera non erano sgranati. Per cui ok, posso convenire che il giornalismo on line italiano faccia schifo, oggi più di ieri. Ma c'entrano i blog? È in qualche modo colpa nostra? Di fronte a un modello di giornalismo che si abbassa ai livelli dei vecchi portali, tutto "clicca", "guarda", "scarica", è così strano preferire un ambiente più confortevole, dove la gente ti parla soltanto delle storie che le interessano, e che crede possano interessare anche te? Prima o poi i quotidiani on line diventeranno web tv, forse è destino. Nel frattempo c'è qualcosa di male se qualcuno prova a difendere uno spazio di conversazione, di dialogo, e riesce persino a farsi volere bene? Eh, sì, ma bisogna farlo gratis. Sennò non funziona.

Quando vi ho chiesto di votare per me, mi sentivo abbastanza patetico. Alla mia età una persona non dovrebbe avere bisogno di chiedere manifestazioni di affetto in questo modo. Però vincere un premio in questo modo – all'ultimo momento, quando ne avevo già persi tre, e i professionisti avevano fatto man bassa – è stato bello. Io l'ho sentita come la rivincita del blog fatto in casa, quello che avete deciso di votare perché istintivamente vi è simpatico. Anche se a volte è insopportabile, o scrive cose fuori dal mondo, ma ugualmente vi capita di passarci spesso. Perché vi ci siete affezionati. È il blog che non cerca di vendervi nulla, che non è sponsorizzato da nessuno, e non porta a casa niente se non una targa bruttina e tanto affetto. Veramente tanto affetto, che dopo un po' m'imbarazza, e non so cosa dire. Grazie, è il minimo. E dovevo proprio scriverlo. Invece da domani cercherò di scrivere qualche altra cosa di originale e interessante. Però grazie, ancora, davvero.

(Per una cronaca di tutta la Blogfest, vi rimando a Ludik)
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Cinque cinquine

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Macchianera Blog Awards 2008: NominationVi ricordate quando vi chiesi di votare per quei famosi premi di Riva del Garda? Beh, lo avete fatto. Anche troppo.

Questo blog ha ottenuto la nomination come:
* Miglior blog 2008 (concorrenti: Grillo, Dave, Gilioli e Zoro. Poche speranze).
* Blogger dell'anno 2008 (non è tanto chiara la differenza col premio precedente, comunque se la giocano sempre Dave, Zoro, Mantellini e PaulTheWineGuy).
* Miglior blog di opinione (Sempre Zoro! poi Grillo, Wittgenstein e Voglioscendere, che detto così sembra niente, ma è il blog di Travaglio, Gomez e Corrias).
* Miglior blog giornalistico (stranamente non c'è Zoro, però c'è Gilioli, Wittgenstein, Voglioscendere e, udite udite, Camillo).
* Poi c'è il Miglior post dell'anno, dove avrei dovuto organizzarmi meglio. Il post che ha ottenuto la nomination è Midsummer's nightmare, avete presente, quello con Napolitano che entra in una banca, ecc.. Secondo me quest'anno ho scritto molto di meglio, comunque per una volta i concorrenti mi sembrano abbastanza abbordabili.

Cosa dire.
Prima di tutto, grazie: anche solo la mia presenza in cinque cinquine è un riconoscimento importante, che mi riempie di orgoglio.
Detto questo, le probabilità di vincere anche solo un premio su cinque mi sembrano scarse: ed è triste venire nominati cinque volte per non beccare niente, non trovate?
Così vi chiedo di portare pazienza e di votare per me di nuovo: la scheda è qui ed è molto, molto più facile della prima volta.

Potessi scegliere, mi prenderei il premio Telecom Italia come miglior blog di opinione, anche se gli altri quattro sono senz'altro più bravi di me: però sarebbe bellissimo salire sul palco e dire: "Wow, ho vinto un premio Telecom! Come Scipione a Cannes! A proposito, mia suocera sta aspettando da 16 mesi che le attacchino il telefono, mi appello a Luca Luciani, non potrebbe mandarmi qualcuno dei suoi valorosi pretoriani?"

(Poi, se avete pazienza, ricomincerò anche a scrivere cose divertenti e interessanti. A settembre è sempre un po' più difficile, scusate).
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Avete fatto i conti senza la Fonte di Sputi!

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Nomination per il Weblog Award? In teoria nel passato dovrei averne prese abbastanza per poter oggi snobbare l’intero concetto. Invece no! A Riva almeno un giorno ci vado, e se ci andassi nominato, chissà, forse quell’ombra di minchione che mi sembra di proiettare quando vado ai blograduni assumerebbe contorni più sfumati.

Di solito venivo nominato nella categoria “migliore fonte di spunti”, che non si sapeva bene in effetti cosa fosse, ma mi restituiva un po’ l’immagine di Gianluca Neri che pensa: “diamo un premio anche a Leonardo, che è tanto simpatico”. Poi alla fine vinceva Wittgenstein anche lì, però quel che conta è il pensiero. Naturalmente, piuttosto di mostrare qualche sfumatura di gratitudine, appena intascata la nomination mi mettevo a fare ironie: ah, ah, mi avete nominato come miglior fonte di sputi? Così alla fine Neri ha tolto la categoria. Ben mi sta.

Quindi, a questo punto credo che valga la pena razionalizzare le risorse. Voglio dire, anche se qualcuno fosse intenzionato a segnalarmi come “Miglior Blogger 2008” o “Blogger dell’anno” (qual è la differenza?), credo che sia meglio lasciar perdere, troppa concorrenza. Piuttosto si potrebbe cercare di sfondare in qualche categoria abbordabile, tipo “opinione” (Sì, lo so, tanto poi vince Wittgenstein). Io mi sento anche parecchio “blog letterario”, ma lì prevedo una lotta col fango tra scrittori epici e ho paura.

Se volete votarmi (o votare qualcun altro, tranne voi stessi), la scheda è qui. Affinché i vostri voti siano validi, dovete segnalare almeno dieci categorie. Sì, faccio fatica anch’io che leggo blog da quando portavo i calzoni corti. Per cui se proprio non vi viene in mente niente fate così: votate per me in dieci categorie. Così alla fine magari risulto come “miglior blog rivelazione” o “miglior blog erotico”, e lì sai le risate.

Ma è una cosa seria? No, assolutamente. Non è una cosa seria. Specie se non vinco io.
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7 fiasche di lacrime ho versato

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La settimana scorsa non ve ne sarebbe potuto fregar di meno, ma questo blog ha compiuto 7 anni. La lagna su quanto siamo vecchi ve la risparmio per l'anno prossimo, quando lo saremo ancor di più.

Quel che posso dire è che più vado avanti, meno mi fermo a riflettere su quello che sto facendo e perché. Credo non valga solo per il blog: a una prima fase in cui ragioni molto sul senso di quello che fai (e metà dei tuoi discorsi sono metadiscorsi), subentra una certa insofferenza alle teorie. È anche abbastanza normale che tu faccia più fatica a ricordare i pezzi di quest'anno rispetto a quelli di tre anni fa: come diceva tra gli altri Coupland, la memoria è un bicchiere che si riempie nei primi anni, e il resto cola giù. Il risultato è che negli ultimi tempi, spulciando l'archivio, mi capita un'esperienza comune a voialtri lettori, ma che non avevo mai fatto: leggere un pezzo di Leonardo senza sapere dall'inizio dove vuole andare a parare. Vi dirò, a volte è una delusione.

C'è da aggiungere un dettaglio non irrilevante: negli ultimi 12 mesi il blog ha quasi raddoppiato gli accessi. Naturalmente non ho la minima idea di quanti di questi accessi siano lettori autentici (ai quali poi andrebbero sommati i sottoscrittori dei feed); l'unica cosa che posso dire è che il sito sta andando molto bene (ma andando bene dove? Boh). Anche la posizione in classifica per il momento è lusinghiera - qui però bisogna intendersi. Vedo che molti tendono a considerare una buona posizione come un attestato di qualità del proprio blog. Io - che grosse ansie di prestazione non le ho, o almeno le ho superate, salvo ricadute della mezza età - di solito faccio il ragionamento inverso, ovvero: valuto la qualità di una classifica dalla posizione del mio blog. Per me una buona classifica dei blog italiani deve avermi almeno nei primi 30 - facciamo 40, via: se non ci sono, non credo sia una buona classifica. Senza offesa, eh.

La cosa lievemente inquietante è che gli accessi aumentano soprattutto durante le crisi politiche: a febbraio dell'anno scorso, e adesso. In generale la politica è l'argomento che richiama più visitatori: tra i pezzi più apprezzati ci sono senz'altro un paio di requiem per Prodi, i commenti alla candidatura di Veltroni alla segreteria del Pd, e la mia dichiarazione di voto per Rosy Bindi. Purtroppo sono tutti pezzi un po' effimeri, che sulla distanza perdono quasi tutto il loro mordente. Mentre io, se non s'è capito, quando scrivo qua sopra ho sempre in mente lettori del futuro, e mi chiedo spesso se sarò in grado di appassionarli un poco, o perlomeno di farmi capire.

La verità è che di politica scrivo quando non mi viene in mente nient'altro, ma che il mio approccio a quei temi, negli ultimi anni, è sempre più superficiale. La nascita del PD da quel punto di vista lo ha dimostrato: nel momento in cui avrei potuto impegnarmi concretamente nella realizzazione di qualcosa, ho preferito defilarmi e continuare a scrivere questi commenti stizzosetti. La prospettiva di dover partecipare a lunghe riunioni in cui senz'altro avrei parlato troppo e sarei stato frainteso, e mi sarei assunto responsabilità di cui poi mi sarei pentito, mi ha preventivamente congelato. Di questo passo forse mi ridurrò come quegli opinionisti sgonfiati che continuano a dare addosso ai loro vecchi avversari per inerzia - con la differenza che loro almeno li pagano.

Però non è così che vorrei finire. Quello che in realtà vorrei pubblicare qui, quello che mi piace veramente scrivere, sono semplici raccontini sui fatti del giorno, più o meno come gli ultimi due che ho pubblicato. In realtà è da sette anni che ci provo, ma è frustrante. Se sono in palla me ne posso venire in mente due o tre in una settimana: e poi, per sei mesi, più niente. Invece la politica è sempre lì, a portata di mano.

Ora c'è il solito giochino del compleanno. Riassumo per i nuovi arrivati: dovreste scrivere nei commenti il pezzo che vi è piaciuto di più dell'annata 2007, senza paura di sembrare prevedibili o scontati o chissenefrega. Di solito il pezzo migliore è il primo che vi torna in mente. Se però non siete sicuri, ne ho selezionati alcuni che sono piaciuti a me. Per una buffa coincidenza, c'è anche il pezzo più breve e quello più lungo di questi sette anni. Grazie per l'attenzione. E' superfluo aggiungere che senza di voi sarei una persona ancora più insicura e depressa (riuscite a pensare a quanto sarei insicuro e depresso?)

Il meglio del 2007, più o meno:
- Edizione straordinaria
- La versione di PP
- Amare i bambini
- Storia di Mària
- Chi ha ucciso Goku
- Scampato alle Diaz
- Veltroni è un sogno
- Con o senza P
- Il mondo di Junior
- Giorni, nuvole e uomini verdi
- Deal or no Deal
- Ma quanto dolore per quel segno sul muro
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testimone, Passare il

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Da Buoni Presagi:
Non ho il tempo per fare un post organizzato logicamente sulla faccenda del Papa e della Sapienza [.......] ps: probabilmente, tra un po' uscirà un post di Leonardo in cui ci sarà scritto tutto quello che avrei voluto dire sull'argomento, ma infinitamente meglio di come io saprò mai dirlo. As usual.
Ecco, invece no. Stavolta vi arrangiate. Sul caso non ho nulla di originale da dire, e non vedo l'ora di linkare le vostre intelligentissime riflessioni.

Scusate l'attimo di stanchezza, eh, ma l'archivio qui a fianco dice sette.
Sette anni di pensierini intelligenti e originali. Sette anni che servo pappa pronta gratis a chi ne vuole. Qui è necessario che cominciate a darvi da fare da soli, sennò la scena blog italiana non arriva agli anni Dieci, ve lo dico subito. Io di certo non ce la posso fare. Quand'è che si fa viva la next generation? Sarebbe anche ora.

E se da qui in poi cominciassi a scrivere solo battutine acide, più intonate alla mia età? Per esempio: avete notato che i ciellini imbavagliati sembrano più intelligenti?

E il Papa, il Papa, ma non avete capito che se l'è semplicemente fatta sotto, come Bagnasco ai tempi delle brutte scritte? L'idea di prendere due fischi sotto le videocamere lo ha terrorizzato.

Per dire il potere della Chiesa di oggi, l'enorme autorevolezza del Papa: lo inviti all'inaugurazione di un anno accademico e lui non ha altri impegni, raccogli un po' di firme per protestare, e lui si dà. Morale? Mi è venuta un'idea per svaticanizzarci: prendiamo quei cento che manifestavano oggi alla Sapienza, li trucchiamo da fedeli e li liberiamo in piazza San Pietro una domenica qualunque. Quando il piccione tedesco mette fuori il muso, gli facciamo tirare fuori i fischietti, e vedrete se si fa mai più vedere. Magari in mondovisione da Buenos Aires. Dove c'è l'aria buona, appunto.
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il Grillo Supplente, 2

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Riassunto della prece-puntata: siccome Grillo non vuole rispondere alle degnissime domande del giornalista Alessandro Gilioli, lo faccio io.

ALESSANDRO GILIOLI INTERVISTA BEPPE GRILLO uno sfigato qualunque


(L'immagine è ripresa (male) da Neuro).

GILIOLI: Gli chiedo se è consapevole che con l’abolizione totale e indistinta delle provvidenze probabilmente morirebbero voci come il Manifesto o come l’Internazionale, su cui lui stesso scrive una pagina ogni settimana, e gli chiedo se questo secondo lui sarebbe un passo in avanti per la nostra società.

Internazionale non prende provvidenze. Il Manifesto – che ci fa ancora in edicola il Manifesto? Sul serio, senza entrare nel merito della qualità degli articoli... me lo chiedo spesso. Non costerebbe molto meno andare on line, senza spese di rotative e spedizioni, abbassando notevolmente anche l'impatto ambientale? Davvero i lettori del Manifesto non sono ancora pronti per passare al digitale? Non hanno ancora i computer in casa o in ufficio?

Io una volta ci andavo spesso, su ilmanifesto.it. Poi ho smesso. È un sito che fa tristezza... nessun link esterno, gli difetti dei grandi quotidiani on line senza nessun grosso pregio. È anche impossibile usarlo come fonte web, perché l'archivio dopo una settimana si cancella, ti rendi conto? Sul internet resiste tutto, ma l'archivio del Manifesto no. Significa che se linko un pezzo autorevole del Manifesto, dopo una settimana il mio link non vale più nulla. Ecco, quando ti trovi davanti a cose del genere, cominci a pensare che quelli del Manifesto siano ancora nella fase in cui io ero dieci anni fa, quando prendevo i computer a martellate. Non hanno ancora capito che il web è il futuro. Ma ti sembra giusto che al New York Times l'abbiano capito e al Manifesto no? Non dovrebbero essere loro l'avanguardia? Il fatto che siano una cooperativa in cui i rotativisti hanno voce in capitolo quanto i giornalisti potrebbe c'entrarci per qualcosa.

Questo è un discorso antipatico, però... forse è meglio se tagli.

GILIOLI: Gli chiedo perché nel discorso di Capodanno ha esaltato come “ultimi giornalisti liberi” Biagi e Montanelli contrapponendoli a tutti gli altri, visto che anche Biagi e Montanelli scrivevano sui grandi giornali secondo lui servi e di “casta”.

Ed entrambi, guarda caso, sono morti: e prima di morire hanno avuto grosse difficoltà coi loro editori. Montanelli ha litigato con Berlusconi, e Biagi... non dirò come il Cardinal Tonini che Biagi è stato ucciso dall'Editto bulgaro: sono esagerazioni. Non credo nemmeno in un'età dell'oro del giornalismo italiano: compromessi e distorsioni ce ne sono state sempre. Però la fine di questi due grandi vecchi del giornalismo italiano mi sembra altamente simbolica. Quella che se n'è andata con loro è una certa sensazione di dignità.

Gli chiedo se in questo suo condannare senza eccezioni i giornali e i giornalisti ce n’è qualcuno che salverebbe, che secondo lui non fa parte della casta.

Come si dice in questi casi? "Passiamo pure alla prossima domanda..." No, seriamente: sai benissimo che ci sono giornalisti con cui collaboro, giornalisti che cito ampiamente, giornalisti che mi scrivono mezzo blog. Devo farti i loro nomi? Alcuni li sai già; altri rischio di metterli nei guai, trasformandoli in "quinte colonne" di Beppe Grillo all'interno delle loro redazioni... e sai benissimo che begli ambientini siano, le redazioni, o no?
Non ha senso. Non sto attaccando il giornalista tale e il giornalista talaltro. Sto attaccando una corporazione che è più interessata a difendere i propri privilegi che a fare il suo mestiere. Credo di avere delle buone ragioni e do per scontato che i giornalisti più motivati tutto sommato le condividano. Anche se non sempre possono dichiararlo.

Gli chiedo se considera parte della casta anche quelle migliaia di giornalisti sottopagati e precari che ormai lavorano in gran parte delle redazioni.

Certo che no. Non solo: li considero l'altra faccia del problema. Le redazioni pullulano di sottopagati e precari proprio perché esiste una casta improduttiva che non produce e non schioda.
Se ci pensi, è come se mi chiedessi: "sei contro le fabbriche inquinanti anche se ci lavorano gli operai precari che muoiono come mosche"? Ebbene sì, sono contro le fabbriche inquinanti e i giornali fatti male. E la gente onesta che ci lavora? Si chiamano lavoratori sfruttati e io sono al loro fianco... però così suona un po' troppo communarda, aspetta... ITALIANI!

Gli chiedo come può dire che tutti i giornalisti sono casta, visto che la grandissima parte di loro ha come unico privilegio il biglietto gratis ai musei, e per il resto si paga come tutti gli altri comuni mortali la casa, il cinema, il treno, l’autobus, il biglietto allo stadio e così via.

Mi permetto di ribaltarti la domanda. Se il tesserino da giornalista non serve nemmeno a scontare un biglietto di treno, perché perdere tempo a procurarselo? Dite che l'iscrizione all'albo non vi favorisce in nessun modo? Allora l'albo è inutile? Ok, e allora cosa stiamo aspettando? Aboliamolo!

Vedi, finché ci sarà di mezzo quel maledetto albo, con quell'esame... quegli anni di gavetta passati a scrivere pezzi gratis... sarà molto difficile spiegare alla gente che non siete una Casta. I contadini non hanno un albo. Gli operai, nemmeno. Gli avvocati ne hanno uno. Anche i notai. Gli avvocati, i notai, e voi. Non ti suona un po' strano?

(Ah, scopro su wiki che adesso c'è anche l'albo dei promotori finanziari. Una bella compagnia, non c'è che dire).

Già che ci sono, gli chiedo perché non risponde mai agli altri blog, visto che predica i blog come mezzo di comunicazione dell’avvenire.

Sarò sincero. Non leggo molto i blog. Il blog lo concepisco come un organo d'informazione verso l'esterno, non verso l'interno di una cosiddetta blogosfera che non conosco molto e che comunque per me rappresenta un bacino molto limitato. Ammetterai che, a parte qualche giornalista come te, la maggior parte dei blog italiani sono scritti da gente che lo fa per hobby. Magari sono anche bravissimi, certo, ma sono hobbisti. Per loro riuscire a raggiungere istantaneamente centinaia o migliaia di lettori è già un degnissimo risultato.

Io invece sono un ex comico televisivo che ha fatto delle prime serate in Rai e riempie i palazzetti dello sport. E' chiaro che la possibilità di accedere a qualche altro migliaio di lettori qualificati attraverso un dialogo tra blog non mi può interessare più di tanto. Mi sembra di avere già fatto molto per sdoganare i blog in Italia: siamo onesti, io sono il primo vip che ha preso veramente il mezzo sul serio. Ma per me il blog resta un mezzo, non un fine.

Ma le domande cattive quando arrivano?

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the orange button refuses to die

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Invenzioni senza futuro

Pare che il blog abbia compiuto dieci anni. Io non li ho vissuti tutti, e comunque di solito stavo guardando da un'altra parte.

2001
“Cosa fai, scrivi?”
“Sì, sto provando un sistema per realizzare siti testuali, si chiama... blogger”.
“Fa vedere. Fa schifo”.
“Beh, sì, è molto semplice”.
“Niente flash, niente gif animate, niente di niente. A cosa ti serve?”
“Beh, mi basta scrivere, poi premo il bottone arancione, e pubblica subito. È facile”.
“Sì, ma cosa ci scrivi, i fatti tuoi?”
“Non necessariamente. Ma perché no. Se mi viene in mente qualcosa d'interessante la scrivo”.
“Insomma, un diario personale. Su internet. Hai pensato che potrebbe anche entrare per caso uno che sa l'italiano e leggertelo?”
“Perché no? Magari ci trova qualcosa d'interessante”.
“Seh, come no”.


2003
“Toh, ma chi c'è! Il nostro pioniere dei blog! Ma hai visto che battendo il tuo nome su google ed eri il primo risultato? Come ci si sente?"
"Mah, fa un po' impressione".
"A proposito, l'ultimo post sul Berlusca era il massimo”.
“Grazie”.
“Solo non riesco a capire: perché usi ancora Blogger?”
“Sai, ormai ci sono abituato e...”
“Ma adesso c'è la piattaforma italiana, che fa molti più community, e la community porta più accessi! E puoi anche implementare i commenti! Perché non implementi i commenti?”
“Poi va a finire che litigo per delle cretinate... meglio di no”.
“Senti, da' retta a un cretino: se metti i commenti, il blog ti si aggiorna praticamente da solo. Quelli che prima venivano una volta al giorno, verranno tre volte al giorno”.
“Capirai, tanto mica mi pagano”.
“Loro no. Ma appena si sblocca il mercato pubblicitario, vedrai”.
“Vedrò cosa?”
“Vedrai, vedrai. Certo, negli ultimi tempi c'è una certa inflazione di fuffa in giro”
“Effettivamente”.
“Ma non sarà mica sempre così, no no. Tra un po' ci sarà la scrematura. Non ce la faranno mica tutti. A proposito, senti... tu li fai gli scambi di link?”
“Veramente sono un po' in arretrato con la colonnina. Anzi, stavo pensando di toglierla: un pensiero in meno. Cosa ne pensi?”
“Stai sbagliando tutto”.
“Grazie. Buon Natale”.


2005
“Toh, guarda chi c'è!”
“Ciao”
“Ma senti, è da un bel po' che non vado a vedere... ce l'hai ancora quel blog?”
“Sì”.
“E i feed, ce li ha i feed?”
“Credo di sì”.
“E adesso cosa ci metti? Podcasting, streaming, filmati...”
“Macché. La solita fuffa in corpo dieci”.
“Un blog testuale! Nel 2005! Peeerò”.
“Sai com'è, so fare solo quello”.
“C'hai messo almeno qualcosa intorno? Un myspace, un flickr, qualcosa...”
“No, troppe password da ricordare. Però ho abilitato i commenti, come mi suggerivi”.
“I commenti? Tu ancora leggi i commenti?”
“E a volte rispondo pure”.
“E quindi c'è ancora qualcuno che legge”.
“Qualcuno ancora c'è”.
“Te, comunque, hai sbagliato tutto. Dovevi approfittare del periodo in cui ti leggevano tutti ed eri ben indicizzato, farti fare un contratto come nanopublisher...”
“Meglio così, un lavoro onesto ce l'ho già. Quelle cose lì... non mi danno tanto affidamento”.
“E hai ragione. Del resto ormai i blog sono morti”.
“Sì?”
“Ma sì. C'è troppa gente che cerca di guadagnarci, troppi wannabe...”
“Wannache?”
“Wannabe”.
“Ah. Già. Beh, devo andare. Buone feste”.


2007

“Ehilà, il vecchio blogger! Hai visto che sei tornato nella top 40? Come ci si sente?”
“Più o meno pirla uguale a prima”.
“Ahah, che sagoma! Ma senti, mi daresti il tuo twitter?”
“Non... Non credo di avercelo”.
“Già, dimenticavo, tu sei uno di quegli integralisti uno punto zero”.
“No, è solo che ho poco tempo, e poi...”
“Senti, gran pezzo sul Berlusca ieri. Hai visto che te l'ho anche tumblerato?”
“Eh?”
“Tumblerato, ti ho linkato dal mio tumblr! A proposito, quand'è che ne apri uno anche tu?”
“Mah, credo mai... voglio dire, cos'hanno di nuovo esattamente?”
“Sono fighissimi! Come i blog ma senza tutto il peso dei blog! Niente commenti! Niente archivi! Nessuno che ti disturba con le stronzate! Sono leggeri, hai presente la leggerezza di Calvino?”
“Eh, già, Calvino. Oddio, che ora è. Devo proprio andare. Buone vacanze”.


2009
“Ehilà! Vecchio Blogger! Come andiamo?”
“Benone”.
“Ma sul serio ancora lo usi?”
“Qualche volta sì. Sai com'è...”
“...L'abitudine, sì, lo so, ma di' la verità. L'avrai almeno provato, il nuovo Dr-prsnl?”
“Drpr-che?”
“Il Dr-prsnl! Il nuovo sistema press-button publishing per aggiornare i tuoi pensieri on line!”
“Aspetta. Mi sembra di averne già sentito parlare, effettivamente”.
“E' una specie di tumblr espanso. Puoi ordinare i post secondo le categorie, organizzare un archivio cronologico, pubblicare i commenti dei tuoi lettori... c'è tutto. È fighissimo. Provalo, da' retta”.
“Cioè, in pratica è un sistema per pubblicare on line i miei pensieri, è così?”
“E' così!”
“E se qualcuno per caso passa e li legge?”
“Perché no? E' questo il senso, la filosofia del nxt web”.
“Che sarebbe il tre punto zero”.
“Ma no, stpd. Il tre punto zero è roba dell'anno scorso. E poi era solo un modo di dire. Il nxt web è una cosa seria”.
“Scusa”.
“Certo che voialtri di blogger, non cambiate mai, eh? Quel tasto là, è sempre arancione?”
“Mi piace, l'arancione”.
“Sei un caso disperato”.
“Mi dispiace. Buon anno”.

Il blog ne compie dieci, questo anche meno. Per i bilanci è un po' presto... aspettiamo di averne 18. Buone feste a tutti.
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the midnight picnic once upon a time

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Da dove venivamo, dove andavamo

Succede che mentre dicembre precipita, la mia vecchia casella di posta si riempie di re:re:re: di fantasmi del passato che senza alcun ragionevole pretesto si mettono ad evocare un vecchio raduno internettiano, il BlogRodeo di Rozzano, maggio 2004. La spiega meglio Livefast:
Succede questo: Effe fa un post, io scrivo un commento, Effe scrive una mail a tutti quelli che si ricorda che c’erano, tutti raccontano il proprio ricordo (tranne me, che resto fermo al fetentissimo commento originale), ne nasce un instant-blog ed è solo l’inizio: la Mondadori vuole farci un libro, la Paramount un film, il Pentagono un bombardamento all’Iran e la Russia una pasticca al polonio. La gente dovrebbe stare più attenta a quello che scrive.
A chi non c'era un'iniziativa come Chieravamo potrebbe apparire inutile come la nostalgia altrui, ma riflettete. Quella sera tra rodeo, bar, e ampio parcheggio, c'erano in zona almeno quaranta scrittori (laddove per scrittori intendasi "gente che sa scrivere quel che vede e vive in modo interessante"). Se tutti e quaranta riuscissero a produrre un ricordo coerente, parlando anche semplicemente dei fatti loro, avremmo un meraviglioso romanzo collettivo su quaranta persone, con una scena centrale in cui la stessa serata viene vista da quaranta punti di vista diversi. Come i telefilm complicati di adesso, per intenderci.

E se Chieravamo non è riuscito a essere questo, non è senz'altro colpa di Effe, quanto dell'alcol, che brucia ricordi che è un piacere. Sul serio, vien la vertigine a tastare quanto sono grandi i buchi tre anni dopo. Ma intanto Effe è riuscito non dico a resuscitare, ma a riportare on line alcune voci che almeno a me mancano parecchio: La Pizia, Marquant, eccetera. Ragazzi, come state? perché non vi fate vivi più? ma si stava così male qua dentro? In altre parole: è davvero così interessante là fuori?

(Dall'archivio, i due pezzi scritti all'epoca del blogRodeo: Sono schizzato e non mi piaccio così, e King David Objectively. E' strano, mi sembra di essere più bravo adesso).

- Io al Blogrodeo ci arrivai molto stanco.

Se mi ricordo bene: in quel periodo stavo lavorando in due scuole a 40 km. di distanza, e proprio in quel maggio traslocavo in una casa a 40 km. da entrambe. Al pomeriggio traducevo un lunghissimo libro sul calcio. Di notte scrivevo sul blog. Scrivevo molto, dormivo poco, bevevo parecchio succo di pompelmo, ero spossato. Ero sotto antistaminici. Come ogni maggio odoroso, tiravo su col naso quando non smoccolavo sangue, suggerendo un’impressione di cocainomane che non meritavo. La stanchezza e gli antistaminici mi ispiravano cose molto stupide: per esempio, ricordo che quando Livefast venne a prendermi, gli chiesi di passare un attimo dal Provveditorato, perché avevo probabilmente dimenticato la mia borsa là dentro, al venerdì pomeriggio. Vi immaginate, la borsa con dentro i compiti da correggere, il nuovo contratto d’affitto, e poi chissà cos’altro, blindate al provveditorato per tutto il fine settimana... la storia era in realtà molto complessa e probabilmente divertente da raccontare su uno di quei diari on line che vanno adesso, ma ho dimenticato quasi tutto. Dalla stanchezza. Ma quanto ero stanco esattamente? C’è una definizione abbastanza precisa: ero così stanco che mi sono addormentato con Livefast al volante, da Modena a Milano. Erano i tempi pre-patente a punti, quando ancora non si era convertito alla corsia di mezzo; credo che ci mise una mezz´ora da casello a casello, durante la quale dormii profondamente, svegliandomi solo di soprassalto ogni volta che un’improvvisa decelerazione ci riportava per qualche attimo al di qua della barriera del suono.

- Io al Blogrodeo ero un po´ imbarazzato.
Mi capitava sempre, per due motivi. Il primo motivo è che, in quel periodo, si dava per scontato che i blog fossero tutti amici, o magari anche nemici, ma pur sempre parte di una stessa comunità: e che insomma ci si leggesse tutti. Per cui ogni volta che incrociavo qualcuno avevo il terrore di confessargli che non avevo letto il suo ultimo post, e magari neanche il penultimo, anzi, in effetti era da un mese che non leggevo il suo blog, di cui magari ignoravo persino l’indirizzo, e insomma, grazie per i complimenti, ma chi cazzo sei? Anche quando in realtà salutavo qualcuno che leggevo davvero, avevo sempre paura di essermi perso qualcosa d’importante, appena scritto o sepolto nella cronologia.
Il secondo motivo è che gli altri sapevano fingere meglio di me, e mi facevano sempre grandi feste. La cosa mi faceva piacere, ovviamente, ma mi complicava anche la vita, perché tutti sembravano dare per scontato che l´autore del mio blog fosse una persona intelligente, brillante, eccetera, ma io mi ero già reso conto che dal vivo non riuscivo a interpretare questo personaggio molto bene. Questa Odissea nell’Imbarazzo ha avuto il suo climax proprio a Rozzano, credo nel momento in cui fui introdotto ufficialmente nientemeno che da Tommaso Labranca:

LABRANCA: "E nella squadra dei [non mi ricordo più] c’è anche... ehm..."
PUBBLICO: "È lui! Proprio lui! Woooow!"
LABRANCA: "C’è insomma, questo qui, che sarebbe..."
PUBBLICO: "Grande! È proprio lui! Yahooo!"
LEONARDO: "Sono io, in effetti".
LABRANCA: "Sì, ma si può sapere chi sei? Cioè, come ti chiami?"
LEONARDO: "Leonardo"
LABRANCA: "Leonardo chi?"

Forse il dialogo non è andato esattamente così, ma più o meno. A tre abbondanti anni di distanza, quell’interrogativo echeggia ancora nei parcheggi di Rozzano e di tutte le periferie del mio cuore: Leonardo chi? La cosa interessante è che, ieri come oggi, non ho la minima risposta pronta da fornire a Labranca: e mi spiace, sul serio, mi rincresce non poterglielo dire semplicemente: Leonardo è un blog di xxxxxxx, che qualche volta fa anche xyyyyvvv e wwwwwxxxk, e che ha un piccolo ma affezionato seguito di lettori pronti ad acclamarlo e a spellarsi le mani. Vorrei trovare la definizione più semplice possibile. Vorrei poterlo dire senza dare l’impressione di tirarmela, ma non c´è verso, perché in effetti è tutto inutile: me la sto tirando già così, e tirarsela per un blog è patetico.

- Io al Blogrodeo, da un certo momento in poi, ero ubriaco.
Che è il sistema meno originale al mondo, ne convengo, per risolvere l’imbarazzo. Di positivo c’è che funzionò, e mi permise di sciogliermi parecchio, di parlare con un sacco di gente, di ballare persino. Di negativo c’è che di tutti i balli e i discorsi mi ricordo poco. Alcool, antistamina, trasloco, un pubblico che acclama e Labranca che chiede chi sono, ce n’era abbastanza per stendere una persona già molto precaria. E poi ho dormito di nuovo, mentre Livefast e la sua futura moglie mi riportavano a casa, e colgo l’occasione per ringraziarli di tutto: so di non essere stato un passeggero molto brillante.

- Io al Blogrodeo devo essermi divertito.
Non ho prove materiali, ma ogni volta che vado a una riunione o a una cena, o a un camp, come si chiamano adesso, spero sempre che sia divertente come il blogrodeo, e ci rimango sempre un po’ male quando mi rendo conto che non lo è.
Adesso mi chiedete ricordi sul blogrodeo. Ahimé, ne ho pochi. Inoltre sono allergico alla nostalgia, come al polline. Non c’è stata un’età dell’oro dei blog italiani, al massimo un bel gruppo di persone molto diverse tra loro che aveva trovato un modo di divertirsi insieme. Il 2003 era stato l’anno del boom, quando i contatori si impennavano e non c’era modo di capire quando si sarebbero fermati; ma per la verità nel 2004 il mio s’era fermato da un pezzo. Di lì a poche settimane interruppi la cadenza quotidiana e le sedute notturne a base di pompelmo: era chiaro che non c'era nessun contratto con una major dietro l'angolo, e avevo bisogno di più tempo per le traduzioni. In autunno ci fu la seconda blogfest a Milano e ci andai: presentavano un libro in cui non c’ero. Risolto l’imbarazzo per la gente che mi acclamava: non mi filava praticamente più nessuno. Probabilmente mi ero distratto un attimo e non andavo più di moda, chi lo sa? In fondo ne avevo sempre capito poco. Tornare a casa fu un po’ difficile, l´A1 era sbarrata tra Piacenza e Reggio, Rozzano già una vaga nostalgia. Avevo la netta sensazione di avere investito troppe energie in un giochino, il blog, che dopo un po’ come tutti i giochini stanca. Potevo prendermela con questo o con quello, ma la prima responsabilità era mia: probabilmente avevo avuto delle chances, ma ero troppo stupido, o imbarazzato, o ubriaco, o semplicemente stanco per accorgermene. Se solo al momento giusto avessi saputo rispondere all’unica domanda decisiva: Leonardo chi? E invece no, Leonardo niente. Di tanta fatica notturna in breve tempo non sarebbe rimasto nulla, solo un po’ di cache su google. Se non trovavo alla svelta un posteggio dove accostare e accasciarmi.

Presi sonno in un distributore a Fidenza, coi fanali ancora accesi; l´autoradio mandava Tom´s diner. I am thinking of your voice, and of the midnight picnic once upon a time before the rain began, eccetera.
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la Creatura

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Il richiamo della C
Sento di prendermela sempre più spesso con Riotta. Ma se fossi io, Riotta, che farei?

Per esempio: secondo me il punto più basso della storia del tg1 è stato toccato con la trasmissione della foto di Raffaele Sollecito nei panni di mummia di Halloween. Come a suggerire che, mah, chissà, un costume così è già una prova indiziaria di omicidio. Sono cose che fatte da Riotta mi sbalordiscono, perché secondo me lui quando stava a New York roba del genere in tv non la vedeva. A meno che non guardasse soltanto RaiSat, ma non credo.

D’altro canto, se mi metto anche solo un istante nei panni di Riotta, devo ammetterlo, quella foto è irresistibile. È clamorosa. Un sospettato di omicidio con la mannaia in mano. La tanica d’alcol. Il travestimento. È una foto che grida pubblicami, pubblicami. Come si fa a resistere? È giusto che una foto così clamorosa la faccia vedere Emilio Fede? È giusto che Studio Aperto abbia il monopolio delle cazzate?

Il problema dell’informazione in Italia è appunto che tutti si sentono Lucignolo, ormai. Nessuno si abbassa a fare la BBC. E non parlo solo dei giornalisti. Io critico Riotta, eppure guardate qui: nel mio piccolo ho già scelto. Ho messo la foto sul blog. Il Richiamo della Cazzata è troppo forte.

Io del resto lo so bene. È da una vita che sento questo tipo di richiami. Cose di cui vorrei tanto parlare, ma sento che son cazzate, e mi trattengo, e soffro.
Del resto, chi l’ha detto che sian cazzate. Magari invece salta fuori che son cose interessanti. O divertenti. Il problema è che finché non le tiri fuori non puoi esserne sicuro.

Allora cosa fai? Apri un blog, e scopri che funziona: il blog è fatto apposta per riversarci le cazzate. Quando non ti tieni più, ma non vuoi importunare il prossimo, le metti su un blog.
In effetti molte cose che non eri del tutto sicuro fossero cretine, una volta messe nero su bianco in un blog si rivelano abbastanza intelligenti. Il blog comincia a sembrare intelligente e divertente. A un certo punto sviluppa un carattere suo proprio: non sei più tu, è lui che spara cazzate. Quando le dice lui, hanno tutto un altro aspetto. Alcune sono decisamente cazzate, ma ormai chi passa di lì è abituato a trovarle divertenti o intelligenti, e non se ne accorge.

Viene il giorno che tu stai per scrivere la tua solita cazzata, e il blog ti risponde: tsk tsk. Questa è troppo cretina, dammene un'altra.
E il bello è che tu non ti offendi nemmeno, cioè, ti rendi conto? Il blog è tuo! L'hai creato tu! Hai sputato a un pezzo di web fangoso e gli hai dato vita, e adesso si comporta come il Grande Artista coi suoi autori, puah, questa roba fa schifo, non te la compro.
E tu neanche ti ribelli, perché sai che sotto sotto ha ragione lui, la Creatura. Stavi per scrivere la più grande cazzata della tua vita, ormai hai perso il controllo, fortuna che c'è Lui.

Dopo un po', però, la cosa diventa faticosa. Non puoi più parlare dei fatti tuoi, perché Lui s'imbarazza. Non puoi millantare crediti senza citare fonti attendibili, perché Lui ha una paura matta che i colleghi lo sgamino. Volevi spernacchiare un giornalista tronfio per il gusto di farlo e Lui dice di no, che i lettori si stancano, i lettori! Lui si preoccupa dei lettori! Volevi scrivere una scemenza sulla Juve e grazie a Lui diventa una storia a puntate del calcio italiano. E' che Lui si crede chissachi, il miglior blog dell'universo, che due palle. E intanto nel cervello ti frullano tante ma tante cazzate, ma così tante che alla fine cosa fai? Apri un altro blog.

Adesso ne hai due. Nel primo ci metti la roba importante, nell'altro le cretinate. Naturalmente a volta qualche cretinata si rivela una cosa importante – ovviamente prima di essere messa nero su bianco non c'era modo di capirlo – e allora si fa copia e incolla, et voilà. Purtroppo non si può fare l'inverso: cioè, se una cosa importante pubblicata sul blog importante si rivela dopo qualche giorno una cazzata, è troppo tardi.

Sembra tutto molto complesso e ai limiti della mania, ma funziona. Ti vengono più idee, sapendo che ci sono varie soluzioni per pubblicarle.

Tutto questo mi serviva soltanto per dare un semplice consiglio a Riotta: perché non apre un altro Telegiornale di fianco al primo, in cui mettere tutte le notizie apparentemente cretine, in attesa di essere sicuri che sono proprio cretine? Per esempio, se in un blog di un sospettato di omicidio c'è una foto del tizio travestito da mummia, ecco, posso capire che un giornalista nel 2007 non sappia resistere alla tentazione; però qualcuno deve anche pensare a fare un giornalismo serio, e io, chissà perché, mi sono convinto che spetti a Riotta.
Se poi Riotta non sa rinunciare a fare il cretino, può benissimo inserire uno stacchetto, far partire un'altra sigla, invitare dei comici, e magari fare un casting e selezionare due veline, non sarà un'idea originale, ma a questo punto gioverebbe.
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eat my Ersatz

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Invece quel che penso dei nuovi articoli del Foglio sui blog è… ma no, ma che due palle, scusate. Ma siam nel 2007, e ancora esiste il Foglio? Sul serio? Ma perché?

Chiudete il Foglio (e aprite le finestre)

Lo so anch’io che esiste, perché ne ho visto una copia. Un mese fa, in biblioteca. Sono sicuro che è stato un mese fa, perché il prestito mi è appena scaduto. E dunque un mese fa sull’espositore ho visto la prima pagina del Foglio, molto elegante come al solito. Sei colonne sull’omicidio di Garlasco. Il quotidiano intelligente. Cioè, pensa se era un cretino.

Ma non lo voglio neanche criticare, il Foglio, perché si criticano le cose che si conoscono e io da un pezzo non lo prendo neanche in mano. Mi pongo semplicemente la domanda: perché esiste, il Foglio? Serve ancora a qualcosa? A qualcuno? Me lo chiedo tutti gli anni, e tutti gli anni la risposta è più difficile.

Se poi qualcuno ha delle critiche da farmi in quanto rappresentante della categoria dei blog, io son qui, son pronto. Ma date soltanto un’occhiatina al piedistallo da cui le fate, vi conviene. Mi accusate di non fare giornalismo? In effetti non ne faccio. Non fornisco informazioni di prima mano, mai. Non ho neanche mai preteso di farlo. Ma voi che scrivete sul… Foglio?
Mi accusate di essere autoreferenziale? Beh, certe volte sarò pure autoreferenziale. Ma dovete proprio scrivermelo dalle colonne del… Foglio?
Mi accusate di essere inutile? Va bene, ma spiegatemi una buona volta in cosa consiste l’utilità vostra. A parte naturalmente il gusto di spremere soldi di finanziamento pubblico, con un patetico espediente, per stampare tutti giorni un sacco di carta che resta per lo più invenduta. Ma è un giornale per la classe dirigente, dicono. Ma per favore. Ce li voglio vedere, i padroncini, a decifrare Ferrara col DeMauroParavia a mano. La classe dirigente legge Libero, è questa l’amara verità. Poi ci sarà qualcuno che sfoglia il Financial Times per darsi un tono. Il Foglio è rimasto in mezzo, tragicamente fuori target.

La verità è che Il Foglio dovrebbe parlare soltanto bene dei blog. Ogni volta che un blog italiano fa un colpaccio, la redazione del Foglio dovrebbe titolare a quattro colonne: “noi lo sapevamo. Noi eravamo un blog quando ancora internet non c’era”. Perché è così. Quando io venivo in biblioteca, nel secolo scorso, a scaricare la posta da un 46k, il Foglio era già al suo posto nel raccoglitore di quotidiani, ed era già cazzeggio autoreferenziale. I tormentoni, i libri e i cantautori preferiti, i flame, era già tutto pronto. Mancava il supporto elettronico, ma i contenuti c’erano al 100%.
Non che io lo toccassi volentieri, ma in seguito l'ho letto molto, di seconda mano, proprio a causa dei blog. Un sacco di blog sbrodolavano adorazione per il Foglio, citando interi articoli. Se l’elefante aveva azzeccato un editoriale, sicuro che me lo copincollavano almeno un par di volte.

Adesso invece di Ferrara nessuno parla più, se non per spernacchiarlo, tanto che alla fine quatto quatto s’è fatto un blog pure lui, e che dire? Bravo Ferrara! E di che parla? Non è mica autoreferenziale, lui, macchè. Lui fa una polemica con Giampiero Mughini sul sesso. È chiaro? Vale la pena di ripetere? Una polemica, nel 2007, con Mughini, nel 2007, sul sesso.

Poi uno si lamenta perché Grillo usa male il blog? Ferrara lo usa per polemizzare con Mughini! Se Grillo attacca i buoi all'automobile, Ferrara ci attacca un'incudine da una tonnellata e poi parte in discesa. Ma scusa, se vuoi dire una cosa a Giampiero, invitalo nel tuo salotto tv! Oppure invitati tu a Controcampo, che bisogno c'è di annoiare i lettori con un lenzuolo sul... sesso? Perché tu saresti un'autorità sul sesso? Da quando? E in che modo è potuto succedere?

Scrivi che in occidente è diventato ridicolo. Proprio così. “Oggi il sesso non è libero, è soltanto ridicolo”. Parola di Ferrara. Ma quanto ne fai per dirlo? Ma sei sicuro che il sesso che fai tu sia rappresentativo della media occidentale? Perché a me qualche dubbio a volta viene, e sono un trentenne normodotato. Tu invece sei un vecchio obeso: non hai proprio nessunissimo altro argomento su cui pontificare? Se ho voglia di farmi un’idea sul sesso occidentale vado da pornoromantica. Da Melissa P. Vado in chat. C’è un migliaio di posti dove potrei andare, e in nessuno di questi posti mi piacerebbe trovarci tu o Mughini che vi scambiate dei pareri nel vostro lessico maldestro. Perché oltre a non essere due amatori rappresentativi (e non c'è nulla di male), restate anche due mediocri prosatori che continuano a sparare bordate di lessico stravagante nella speranza che qualcuno non se ne accorga e non si annoi. Io di solito manco vi seguo: scrollo col mouse e mi fermo quando vedo accrocchi di lettere strane. Molto spesso è tedesco, lingua che so poco – e voi meno di me.
Da noi si parlicchia, si freudeggia, si danza intorno a un sostituto, a un Ersatz

Sul serio, non vorrei essere nel lettore della classe dirigente che si mette a cercare Ersatz su google. Credo che ci metta meno tempo a prenotare un’escort, con la quale poi parlicchierà e freudeggierà a piacimento. Ma mangiatela, l’Ersatz, e se non va giù, condiscila con la mia Weltanschauung, toh, valà che ti piace.

Oscenità a parte: se anche Ferrara può avere un blog, cosa aspettano i pecoroni al seguito? Ci vuole così tanto coraggio a chiudere la baracca e ad aprirsi, finalmente, un bel multiblog, parolaio e autoreferenziale? Ci avete pensato a quanti soldi (nostri) e quanta carta risparmiata? E magari verrei a vederlo, sul serio, ci verrei! Mentre adesso il vostro lenzuolo in pdf non lo apro neanche per sbaglio, il pdf è una cosa che mi fa senso, puzza di concorsoni ministeriali e pecette della CIA, pussa via! Ma come si fa a mettere on line un pdf, nel 2007? Scusate l’insistenza sul calendario, eh, ma in dieci anni io ho cambiato almeno tre sistemi operativi, e sono uno tirchio. Voi invece siete ancora al pdf, è una cosa che dà da pensare.

Poi magari siete gli stessi che “dopo l’11 settembre nulla sarà come prima”: eh, magari. Voi, per esempio, anche dopo l’11/9/2001, siete rimasti al 1996. E si vede, si vede sempre più. Dieci anni fanno una certa foschia - state per scomparire dietro l'orizzonte. Vi volete dare una mossa? Qua da noi c’è tutta la fuffa che vi serve, tutta l’acrimonia che vi manca, tutto lo spirito che avete smarrito da un pezzo. Aver perso un tram è un peccato, ma non può diventare una vocazione. Potete prendere sempre quello successivo, ne passano continuamente. Insomma, in strada, su. Seguite Ferrara, seguite Camillo, seguite chiunque, vi aspettiamo.
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ftg Donna Letizia

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("Ma alla fine ce l'hai ancora quel blog?")

Col tempo si esce sempre meno, ci si perde di vista, ma per fortuna c’è settembre. A me capita ancora di incontrare più persone in settembre che in tutto il resto dell’anno, e per i soliti motivi: festival e matrimoni, matrimoni e festival. Praticamente alcune persone le vedo soltanto di settembre. Almeno così le cose da raccontarsi non mancano, direte voi.

Sarà. Ma da qualche settembre in qua la gente che incontro fa una smorfia strana. Loro non se ne accorgono, io sì. Non sono paranoico: semplicemente riesco a leggere le smorfie. È un potere terribile, da cui derivano grandi sbattimenti di coglioni. Insomma, Caro Amico, non ti vedo da un pezzo, ho voglia di dire anche solo due stronzate, ma mentre mi avvicino riesco a vedere la tua faccia congestionata in quella smorfia di terrore che conosco troppo bene. Dunque sono diventato un mostro? Anche peggio.
Sono diventato un blog.

E quella smorfia, la riconoscerei tra mille, quella smorfia sta dicendo: “Oddio! Eccolo qui! Ed è da sei mesi che non lo leggo!
E poi dice: “Se ne accorgerà di sicuro… non c’è niente che io possa fare… si sta avvicinando… qualsiasi argomento mi tradirà… il campionato? Dove sei andato quest’estate? Il riscaldamento globale? Le winx? Potrebbe avere scritto un post su qualsiasi cosa… maledizione! Ciao, Leonardo, come stai? Ti vedo in forma, eeeeh?

Grazie, sì, sono abbastanza in forma, ma non sono così sfigato. E non riesco a capire, davvero, come puoi pensare che io lo sia diventato.
Perché io non ho mai interrogato nessuno sui contenuti del mio blog. Non ho mai preteso che uno lo frequentasse abitualmente. Non ho mai tolto il saluto a qualcuno che non aveva letto un mio pezzo. È chiaro che se uno viene e legge mi fa piacere. Ma questo non significa che chi non viene mi faccia una dispiacere. In un giorno ci sono molte cose più importanti, e alcune sono persino più interessanti, per cui no, non dovete nemmeno giustificarvi: c’è chi legge i blog e chi non li legge. Se non li leggete potete essere miei amici ugualmente.
Siamo persone adulte. Abbiamo tutti le nostre economie di tempo e spazio. Se dieci anni fa mi avete spedito una cartolina, può darsi che io l’abbia sbattuta via. E voi invece non mi leggete il blog, ecco, siamo pari.
Questa non è falsa modestia. Anzi. Io ho una opinione molto alta di quello che faccio (soprattutto in rapporto a quanto ci guadagno). Diciamo che mi considero una specie di artista. E allora? Se incontrate in giro un amico pittore, non vi chiederà immediatamente se avete ammirato il suo ultimo quadro. Sarebbe piuttosto penoso. Se un vostro amico fa lo scrittore, non vi interrogherà sull’ultimo libro che ha scritto. Al massimo ve ne regala una copia, e morta lì. Io scrivo gratis – è come se le copie ve le regalassi in continuazione – ma il fatto che il mio medium sia molto accessibile non significa che voi dobbiate accedervi per forza, solo perché siete miei amici o conoscenti. E rilassatevi un po’.

Direte che questo pezzo è inutile, dato che si rivolge a persone che non mi leggono. Già.
Ma a un certo punto ho pensato: magari non è colpa mia. Io non ho mai fatto pressione su nessun amico o conoscente. Mai. Ho sempre fatto finta di niente, anche ai limiti dell’ipocrisia. Però questo sono io. Magari ci sono altri blogger che invece stressano i parenti e i vicini di casa. Magari sono loro che accreditano nel mondo l’immagine del blogger sfigato e brufoloso che implora attenzione. E io, siccome condivido la stessa interfaccia, devo condividere anche la loro sfiga, e i loro brufoli. E non mi pare giusto. Per questo motivo ho approfittato dell'ultima notte tempestosa per trafugare la salma di Donna Letizia, riattivando mediante scosse elettriche il suo encefalogramma, le ho esposto il mio problema e le ho chiesto di redigere una prima traccia del

MANUALE DEL BLOGGER GENTILUOMO IN SOCIETA'

Premessa:
Probabilmente non è che l'ennesimo diario adolescenziale inutile, ma il vostro blog potrebbe anche essere molto importante.
Il vostro blog potrebbe essere l’unica opera letteraria interessante del XXI secolo. Potrebbe fondare partiti, oppure abbatterli tutti e cambiare il corso della Repubblica Italiana in bene, in male o così/così. Dal vostro blog potrebbe scaturire il Manifesto destinato a rivoluzionare il cinema italiano, o la musica italiana, o la numismatica di San Marino. Il vostro blog potrebbe dimostrare inoppugnabilmente che Bin Laden è vivo, morto, o entrambe le cose. Il vostro blog potrebbe riscattare la vostra mediocre esistenza di impiegato/webmaster/ministro della giustizia. Il vostro blog potrebbe essere l’unica ragione della vostra vita. Potrebbe esserlo. Ma quando siete in società non ha importanza.

Quando siete in società, il vostro blog non sarà per voi che un hobby innocuo. C’è chi ha il pollice verde, chi suona il sassofono. Voi avete un blog. Tutto lì. Ne consegue che:

1. Il blogger gentiluomo non parla mai per primo del suo blog.
Mai. Questa è la regola aurea, da cui tutte le altre discendono. Se invece di un blog suonassi un sassofono, non interverrei in una discussione dicendo “Ciao, io suono il sassofono, mi hai mai ascoltato? Vuoi ascoltarmi?”, perché dimostrerei di essere sfigato ai limiti della mitomania. Ed avere un blog non significa essere sfigati ai limiti della mitomania. Non ancora.

2. Il blogger gentiluomo non parla mai per primo del suo blog, nemmeno se la discussione verte esattamente sull’argomento di cui ha scritto la mattina stessa. Perché i casi sono due: o nessuno vi ha letto (e a questo punto è meglio lasciar perdere), oppure vi hanno letto e preferiscono non commentare nemmeno le sciocchezze che avete scritto: e dovete solo ringraziarli.

3. Il blogger gentiluomo parlerà del suo blog soltanto se qualcun altro prima di lui è stato così poco gentiluomo da citarlo esplicitamente (es. “ho apprezzato veramente il tuo post sui lavavetri”, vs. “il tuo thread sui lavavetri è una rivoltante incubatrice di postfascismo”): e ne parlerà col tono distante e autodenigratorio di un lord inglese che accenni alla sua passione per il giardinaggio. “Mah, sì, c’è stata questa discussione sui lavavetri, un po’ intensa… devo dire che io nemmeno mi ricordo da che parte stavo all’inizio… bah”. Magari sembrerete un po’ falsi, ma l’alternativa è sembrare un po’ tromboni: come a dire che non c’è alternativa. (In effetti il blogger gentiluomo prova davvero fastidio nel parlare del suo blog, perché sa che non c’è modo di uscirne veramente puliti).

4. A cena non si parla di blog, e neanche dopo. Per l'amor di Dio, non avete nessun altro argomento? Davvero la vostra vita sociale si riduce a questo? Parlate di musica, di politica. Di donne, e motori, o centravanti. Raccontatevi barzellette spinte. Parlate esattamente di tutto quello che vi interessa e di cui parlate già sul blog, ma non parlate del vostro blog, né di quello degli altri. Magari scoprirete che la conversazione offline vi offre sfaccettature che online vi mancavano. Magari troverete nuovi argomenti per nuovi meravigliosi post, ma a quello ci penserete domani. Ora state conversando con persone in carne ed ossa! È una cosa miracolosa! Persino la cronaca dettagliata delle malattie infettive da loro contratte nel villaggio turistico è più interessante dell’ultimo aggiornamento della classifica aggregata di staminchia.

5. Il mondo è pieno di persone che non hanno un blog, non leggono un blog, e magari non hanno neanche voglia di essere evangelizzate sull’argomento dalla prima persona con cui escono. Se non riuscite a dare l’impressione di essere persone interessanti senza il blog, probabilmente non siete persone interessanti. Se invece ce la fate, magari a questa persona un giorno verrà voglia di leggerlo. E magari le piacerà. Sì, magari.

Detto questo, Donna Letizia ha rantolato un’orribile risata che ha infranto gli elettrodi, accasciandosi sulla branda. Ma se pensate che ci sia ancora qualcosa da aggiungere, prego, scrivete le vostre proposte nei commenti. No, non dovete venirmele a dire di persona, abbiamo detto che di queste cose non si parla. Nei commenti.
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non è un pranzo di gala, ma quasi

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Dipingere chiese vuote

Adesso sono a Rotterdam, in un albergo a 4 stelle che su booking.com non costava quasi nulla, e questa mi sembra che sia la risposta migliore sia per Pierangelo Buttafuoco che per Elton John.
Sì, perché rileggendo Mantellini ho scoperto che se fosse per il grande pianista e la giovane promessa del giornalismo italiano internet si potrebbe anche chiudere domani, ed effettivamente non fa una grinza. Perché se domani e dopodomani internet resta aperta, non solo nessuno sentirà più la discutibile esigenza di comprarsi il Foglio o l’ennesimo Greatest Hits, ma va a finire che in vacanza Elton o Buttafuoco si ritrovano nello stesso albergo dove sto io, pagando il triplo; e tutto perché non riescono a usare nemmeno un sito come booking com, che non è neanche internet 2.0, al limite sarà 1.5 o boh, non è che me ne intenda tanto neanche io. Posso capire la loro stizza. Però non c’è niente da fare.

Basta chiudere gli occhi e immaginare: dove sarei io, oggi, senza internet? In coda sull'adriatica, presumibilmente.

Questo non è un pezzo in difesa di internet o dei blog, non c’è più niente da difendere. Non c’è neanche da dire “abbiamo vinto”, perché in effetti non c’era niente da vincere, nemmeno una bambolina. C’è stata una rivoluzione e c’eravamo noi, fine. Magari ve l’aspettavate più drammatica, la rivoluzione. O più divertente. Ma le rivoluzioni sono fenomeni imprevisti, per definizione. Non sai mai cosa potrà accadere, finché accade.

Il modo migliore di entrare in Olanda è passare dal Belgio, una vera anticamera. A un certo punto non sono più francesi, ma continuano a parlare francese e a decorare le chiese. A Gand smettono di parlare francese, ma hanno ancora chiese molto decorate. A Breda cominciano a farti pagare il biglietto, poi quando entri ti viene da chiedere i soldi indietro, perché non c’è niente! I protestanti hanno dato il bianco su tutto, maledetti! Il custode stringe le spalle: “Questo non è un edificio di culto, è un museo. La chiesa cattolica è in un altro quartiere”.

In Francia nel 1789 decapitarono le statue. Non esistevano più Santi, non esistevano più eroi, basta: rivoluzione. Potete immaginare qualcosa di più rivoluzionario di segar via la testa alla statua di un Santo che è rimasto lì per mille anni? Ma in Olanda c’erano arrivati già nel Cinquecento: via tutte le immagini dalle chiese, e impariamo a leggere. La cosa interessante è che i pittori a quel punto si convertirono tutti al mercato laico, buttandosi sul realismo più sfrenato, e fecero il botto. È curioso perché con l’Islam, che era ugualmente iconoclasta, non successe la stessa cosa. Lì invece i pittori si diedero all’astrattismo, e divennero decoratori e inventori di geometrie incredibilmente raffinate. Per dire che nessuno sa, esattamente, dove può portare una rivoluzione. Lo stesso comandamento (“Non ti farai effigi del tuo Dio!”) può portare un artista islamico a dipingere solo arabeschi e un artista fiammingo a dipingere quarti di bue.

La Riforma l’ha fatta Gutenberg. Se possiamo stampare Bibbie a ripetizione, se diamo una Bibbia a tutti i contadini, non avranno più bisogno di venire in chiesa a imparare la Genesi sui muri, è chiaro? Ma non è la fine della pittura, anzi, il contadino che studia l’alfabeto e legge la Bibbia prima o poi metterà da parte qualche soldo per appendere un quadro al muro. Nel quadro cosa vorrà vedere? Un quarto di bue, un paesaggio, un ritratto di papà, oppure anche l’interno della chiesa più grande della città. Ecco, questo è curioso: una specialità dei pittori fiamminghi, dopo la Riforma, erano gli interni delle chiese. Interni vuoti, perché le chiese non avevano più immagini. Invece la chiesa vuota, la chiesa bianca, era un’immagine apprezzata. Le rivoluzioni non cancellano necessariamente il passato, ma lo pervertono. Lo trasformano in qualcosa di diverso. Un secondo dopo la rivoluzione la chiesa non è già più chiesa, è solo un museo. Così strano, così inutile, così bello da vedere. Lo si può dire anche di Buttafuoco, presumo.

Sono per la calma e mi piacciono gli odori, i sapori, vedere e toccare quel che mi serve. Tutte queste diavolerie impoveriscono i sensi.

Io non dico che Buttafuoco scomparirà, lui e il suo giornalino piuttosto inutile. Buttafuoco è già qualcosa di diverso da quello che si crede d’essere (un giornalista). Se al giorno d’oggi qualcuno ha bisogno veramente di un’informazione, Buttafuoco è nell’ultimo posto dove la cercherà. Il giornalino in cui scrive è già un post-giornalino, che cerca di fare qualcosa d’altro perché al ritmo dell’informazione, sui giornali, non si riesce più a fare. Si fa opinione. Come a dire: si fa concorrenza ai blogger. Senza avere gli alibi dei blogger, la leggerezza dei blogger, e allo stesso tempo la ferrea dinamica dei blogger che si controllano a vicenda. Può funzionare? Può funzionare in qualche provincia remota e dimenticata dalla rivoluzione, come il centro Italia.

Nel resto del mondo l’informazione viaggia su internet, i giornalisti di opinione si trasformano in blogger senza grandi patemi, e Buttafuoco resta appeso al bianco muro di Google, come ritratto di giornalista quaquaraquà che nel 2007 sosteneva di consultare solo “archivi cartacei dei giornali”. Seh, come no. Mi sembra di vederlo, Pierangelo, che si stira al mattino con calma, sella il mulo, attacca il biroccio, e si reca in città per consultare l'archivio cartaceo del quotidiano. Mi sembra di sentire i rumori (cloppete cloppete), gli odori (ah, quegli stronzi di mulo calpestati di fresco), i sapori. Che odori, che sapori, che cosa pittoresca è l'Italia, vista da Rotterdam.
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le petit guignol

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Il blog di marzapane

L'inchiesta di Rignano va avanti (avanti?) e io continuo a non saperne nulla. Ma una volta ho scritto che Massimiliano Frassi meritava un discorso a parte. Questo discorso avevo poi preferito lasciarlo perdere: in fondo chi sono io per mettere in dubbio la serietà e la professionalità di uno che in questo settore ci opera da anni? Ho letto i suoi libri (uno prefato addirittura da Costanzo)? No. E allora, basta. Oltretutto pare abbia la querela facile. Chi me lo fa fare?

Il problema è che ha un blog.
E io – che non sono esperto di pedofilia, né di sociologia, né di pedagogia dell'età evolutiva – in effetti non posso dirmi esperto di nulla, tranne di blog. Di questi ho una certa esperienza, e di questo mi limiterò a parlare. Non del Frassi scrittore, del Frassi studioso, o del Frassi consulente, ma unicamente del suo blog. Che è interessante come oggetto in sé.

Probabilmente non è, come scrisse Frassi una volta, "l secondo blog più letto in Italia, dietro all’inarrivabile Beppe Grillo" (fonte?) Senz'altro è, come recita l'occhiello, "il Blog più letto nel campo della lotta alla pedofilia". Ed è un oggetto sconcertante, che meriterebbe di essere studiato dalle teste d'uovo del settore.

Se non l'avete mai visto, non cliccate subito. Vi chiedo prima un piccolo sforzo: voi come lo immaginate il blog di uno studioso serio del fenomeno pedofilia? Testi asciutti e senza fronzoli, data la gravità del tema? Una certa sobrietà nell'uso di immagini? E magari un corredo bibliografico di un certo spessore, visto che l'autorevolezza è una cosa che non s'improvvisa?

Ecco, il blog di Frassi è l'esatto opposto. Zero bibliografia, testi urlati in caratteri di scatola, spesso ironici (o, per diretta ammissione "cinici"), e immagini prese di pacca dai film dell'orrore (dracula, zombies, eccetera). Ne risulta un effetto "Cronaca Vera" che stride non poco coi contenuti, eppure… conquista.

Attenzione: non sto dicendo che Massimiliano Frassi non sia un professionista serio. Sto dicendo che su internet ha deciso – consapevolmente, direi – di non giocare il ruolo del professionista serio, ma del cronista di nera. È una scelta curiosa, ma in fin dei conti legittima. C'è solo un limite, a mio parere: e adesso lo spiego.

Forse è una mia idiosincrasia, ma non mi fido di chi mostra foto di bambini picchiati o uccisi. È una vecchia polemica che facevo una volta coi neoconi: perché questa fregola di mostrare le piccole vittime della Jihad? Forse che i bambini palestinesi non muoiono allo stesso modo, e talvolta in numero maggiore? Ma soprattutto, che bisogno c'è di esibire la violenza? Dove finisce il diritto di cronaca e comincia il morboso? C'è chi è convinto che solo in questo modo io possa capire che la Jihad fa male. Le parole non bastano, figuriamoci i ragionamenti. Solo le foto, i filmati, le immagini. Solo l'occhio capisce: il cervello è troppo lento. A quei tempi mi pareva che i neoconi mi prendessero per fesso: se sono adulto, non ho bisogno di assistere a una decapitazione per capire che la decapitazione è una cosa orribile.

Frassi, purtroppo (per me), mi suggerisce la stessa sensazione. È chiaro che se parli di violenze sui bambini, non hai bisogno di mostrarmi nulla per farmi inorridire. O non è chiaro? Ad ogni buon conto, qualche volta Frassi preferisce farmi vedere le immagini. Tra un dracula, uno zombie, la magliettina dedicata al suo cane (peraltro simpatica), Frassi mi fa vedere foto di bambini piccoli neri e rossi di lividi. Ne trovate (ma vi sconsiglio di farlo) il 3 giugno e il 26 aprile.

La cosa sarebbe già di per sé discutibile: in dieci anni di Internet, queste sono le prime foto di bambini molestati in cui m'imbatto. Ma diventa assolutamente fuorviante dal momento che Frassi non sta parlando dei bambini delle foto, ma di Rignano Flaminio. E i bambini nelle foto non sono senz'altro quelli di Rignano, visto che le perizie non hanno fino a questo momento trovato prove di violenza fisica.
Questo, però, gli utenti del blog di Frassi non è detto che lo sappiano. Sul serio. Alcuni sono esperti e si sanno districare nel bailamme mediatico di questi giorni. Altri no: altri si fidano semplicemente dell'esperto. E Frassi in effetti un curriculum di esperto ce l'ha. Ma quando scrive il blog, più che un esperto somiglia davvero a un consumato redattore di nera: uno che da qualche parte del suo pc ha una galleria di foto di bambini picchiati, e freddamente decide ogni tanto di associare qualcuna di queste foto a un caso ancora aperto. Per quale motivo, se non quello di alzare un polverone intorno al lettore?

Potrebbe fare una cosa del genere su un giornale – una pubblicazione qualsiasi, Cronaca Vera inclusa? No, non potrebbe. Ma su un blog si può. Nessuno gli può obiettare niente. Non gli è imposto nessun criterio nella scelta e nell'abbinamento delle immagini. Può fare quel che vuole, e lo fa. Ecco un argomento interessante contro i blog, per chi dopo anni non riuscisse più a trovarne.

Tutto questo sarebbe già abbastanza inquietante se Frassi, con la sua Onlus, non fosse il consulente dei genitori dei bambini di Rignano; dopo essere stato ugualmente consulente dei genitori nel caso di Brescia. Le testimonianze nei due casi sono molto simili. A Brescia solo un indagato non è stato scagionato e sta scontando la pena.

Io continuo a non sapere se i bambini di Rignano siano stati molestati o no, ma sono sicuro che non sono quelli nelle foto. Se dovessi formulare un giudizio su Frassi unicamente dai contenuti e dai toni del suo blog, dal criterio con cui sceglie le immagini e le associa ai contenuti e dalle fonti (quasi mai citate), non avrei molti dubbi. Ma non devo farlo e non lo faccio.

Finisco con un'amplissima citazione dal giustiziere, che mi scuserà.

Il presidente deve far vivere una onlus, e per farlo deve trovare un campo “nuovo” di lotta agli abusi sull’infanzia.
Nel settore (l’ambiente) esiste già chi si occupa di combattere la pedofilia online, associazione Meter di Don Fortunato di Noto. Non si può neanche creare un telefono di segnalazione per i bimbi abusati (Telefono Azzurro Di Caffo).
Cosa rimane????
L’assistenza ai genitori degli abusati.
Nessuno ci aveva mai pensato. Anche perché il settore presente un piccolo problema intrinseco.
Quale?
Che, come sanno oramai anche i sassi, il 70% degli abusi avviene, purtroppo, in famiglia.
Problema non da poco…
Affatto. Basta dire l’esatto opposto.
Che il 70% degli abusi avviene fuori le mura domestiche ed il gioco è fatto!!!!
Ma non è vero!
Certo che no, ma chi se ne frega!!!!!
Non commetta lo stesso errore degli studiosi che combattono l'associazione, e nel farlo la controbattono con argomenti scientifici.
E come sperare di colpire una mosca con un bazooka; uno strumento inadatto.
Questi non fanno scienza, non gli importa di dire cose esatte. Non citano fonti.[…]
Il loro scopo è un altro.
Devono costruire un Panteon di esoterismo satanico.
Devono costruire allarme e diffidenza.
Devono alimentare paura.
Guardi il loro blog, che è il vero sito dell'associazione, tutto è analizzato sull’architettura del terrore.
Stupri, sangue e perversione.
Ogni ansa che parla di questo viene riportata.
Se in giornata non vi è nulla di pedofilia i nostri non demordono, spaziano ad altro. Donne violentate, uccise, banditi che escono dal carcere con permessi, animali torturati.
Tutto fa brodo, basta che sia Grand Guignol. Bisogna convincere la gente che il mondo è pieno di orchi cosicché i più sospettosi verranno da loro a far vedere i propri figli.


Anche del giustiziere so molto poco: e quel poco che so l'ho desunto dal suo blog, dai suoi toni, dalla scelta delle immagini, dal suo uso delle fonti. Resta un modo molto pericoloso di formulare i propri giudizi: voi non fidatevi. Fate un giro qui e là, confrontate, cercate. E non fidatevi di chi vi spaccia foto di bambini. In generale.
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Caro amico Barbaro

Forse è l’Italia la terra dei mille piccoli pasolini. Prima si sono ammazzati l’originale, e poi: “presto, su, mangiatene tutti”. Il risultato sono trenta milioni di opinionisti da bar e qualche migliaia di commentatori sui blog, tutti con quel ritornello pronto: “Io so. Anche senza le prove, so”.
Come no. Hai sentito due chiacchiere, hai visto due foto, scorso i titoli, e sai. Sai anche la formazione della nazionale, se te la chiedono. Ma è chiaro che i pedofili di Rignano stamattina hanno un valore aggiunto.

Di quelli di Brescia invece nessuno parla più – eh, come? C’è stato un caso di pedofilia in una scuola materna a Brescia? Un prete, un bidello, sei maestre? Tutti assolti? Ne sai qualcosa? Niente. Quando l’inchiesta cominciò, quando ci furono i titoloni e i servizi in tv, tu sapevi tutto. Mi avevi anche spiegato cosa avresti fatto al bidello o alla maestra “se li avessi avuti tra le mani”. Adesso invece non sai niente. Ed è curioso, non trovi? La tua conoscenza dei fatti è inversamente proporzionale ai gradi di giudizio. Cioè: man mano che le sentenze diventano definitive, tu cominci a non saper nulla, a dimenticarti proprio. Eh? Un caso a Brescia? Dove? Come? Quando?

Io e te abbiamo una cosa in comune: non sappiamo niente. Non per maleducazione o negligenza. La nostra è un’ignoranza tecnica: le poche cose che abbiamo imparato, le sappiamo da servizi giornalistici confezionati non troppo professionalmente.
Siccome io non so niente, come te, non ho molto da dire su Rignano. Mi sembra tutto pazzesco. Ma non avendo ancora accennato all’idea di strozzare le maestrine a mani nude, probabilmente passerò come un innocentista. In realtà no: non sono innocentista: sono uno che non sa niente. Ma non ha importanza: per uno come te, che “sa”, quelli che non sanno sono ultra-garantisti, piagnoni intellettuali, checche, e non checche qualsiasi, ma checche passivamente complici di reati di pedofilia, per cui domattina dovrai cambiare bar e spiegare a qualcun altro cosa faresti “se mi avessi tra le mani”.

Se posso in qualche modo venirti incontro, credo che una certezza ci sia, ed è la peggiore: quei bambini sono stati molestati. Che sia stata una squadra di maestre con un autore televisivo e il primo benzinaio di pelle scura recuperato nei dintorni, o che sia stato un pool di psicologi, assistenti sociali e genitori un po’ allarmisti, qualcuno ha fatto grossi danni a quei bambini. Cosa preferisco pensare? Che le graduatorie degli insegnanti siano infestate da satanisti pedofili o che psicologi e genitori in Italia siano psicologicamente predisposti a una caccia alle streghe? La seconda opzione sembra meno terribile, ma è comunque terribile.

Io però non avrei voluto nemmeno parlare, di quell’orribile caso: perché non ne so niente, davvero, e le chiacchiere non rimediano l’ignoranza dei fatti. Io volevo parlare di te, perché ti conosco bene: e non mi piaci.
Finché è un bar, pazienza: ci si viene per altri motivi, e le chiacchiere sono inconcludenti per definizione. Ma quando vai su un blog (come questo o questo), tu non cerchi generi di conforto. No. Tu ci vai esattamente per scrivere i commenti che scrivi: se li avessi tra le mani li strozzerei, li impalerei, non so cosa farei (finalmente una cosa che non sai: quale costume da boia ti calzi a pennello) E la presunzione d’innocenza? Ma “ci sono tante cose che qualcosa per forza dev’esser vero”. Come no.
Tu non mi piaci perché in questa società, in questa civiltà, ci stai da ospite. Avremmo dovuto essere un po’ selettivi alle frontiere: non solo a Lampedusa, ma anche all’esame di maturità. Forse servirebbe una specie di giuramento sulla Costituzione. Non lo so. So solo che tu sei un barbaro, che approfitti di tutti i comfort di uno Stato di diritto ma pensi allo stesso tempo di poter venire in un bar o su un blog a parlare di Legge del Taglione e diritto alla Faida. Vienmi poi a parlare di Civiltà occidentale. Civiltà? E imparare un alfabeto?
Non solo sei un barbaro, ma un barbaro pre-cristiano: Teodorico l’ostrogoto ti sopravanza in civiltà di diverse spanne. Guarda che il cristianesimo lo hanno fondato anche un po’ per te, per toglierti quell’ansia primordiale di strozzare i colpevoli. Se tu fossi un buon cristiano, ti rilasseresti: Dio vede tutto e chi ha fatto male i piccoli brucerà in un fuoco eterno. Strozzarli oggi non aggiunge nulla al castigo.

Ma se uno la fede non ce l’ha, mica se la può inventare… e va bene. Per quelli come te c’è lo Stato laico. Ma ha le sue regole. La giustizia laica è tutt’un’altra cosa rispetto a quella che tu pensi. per certi versi è stata inventata proprio per difendere i colpevoli dai barbari come te… e per difendere i barbari come te da sé stessi.
E non ti voglio dire, con Beccaria, che la pena dovrebbe essere educativa: e chi ci crede più in Beccaria? Mi basterebbe che tu capissi che lo Stato non è un’istituzione preposta alle vendette corporali. Punire i colpevoli è importante, ma è molto più importante evitare che altri reati siano commessi. E a tale scopo questo tuo insanabile prurito alle mani è dannoso, te ne rendi conto? Quando esterni la tua voglia di strozzare, dai quasi l’impressione di voler occultare delle prove. Se quanto denunciato a Rignano fosse vero, i servitori dello Stato dovrebbero per prima cosa far luce su una rete di complicità ramificata e spaventosa. Altro che strozzare i colpevoli, allora: bisognerebbe farli parlare, con ogni mezzo. Magari con la tortura (il carcere duro italiano è tortura) ma persino con delle concessioni, se fosse necessario. Perché la priorità non è strozzare un colpevole: la priorità è prevenire gli abusi sui bambini.
E qui arriviamo alle accuse gravi. No, non contro i pedofili, contro di te.

Ogni volta che ti sento parlare, o che ti leggo, caro amico Barbaro, mi domando: qual è la tua priorità? Prevenire altri casi di abuso sui minori o strozzare qualcuno? Qualcuno che sicuramente, forse, chissà, è colpevole?
Questo tuo gettarti con le mani avanti, ogni volta che i giornali ti servono il mostro pronto, è molto sospetto. Non appena nasce un caso, tu vuoi strozzare i colpevoli. Il che significa che tu desideri che ci siano colpevoli. Come a dire che desideri che il caso non scoppi come una bolla di sapone. Se poi si scoprisse che i bambini non sono stati toccati, tu rischieresti persino di mostrarti deluso.
Io non so se Rignano sia una bolla di sapone, ma so che in passato ce ne sono state. Negli anni Ottanta negli Usa ci fu una vera e propria epidemia di casi di questo tipo nelle scuole dell’infanzia (via Macchia). Molti furono arrestati. Quasi tutti poi assolti.
Questo tipo di bolle nascono precisamente per colpa tua. Sono i barbari come te che comprano i mostri pronti in prima pagina. Sono quelli come te che si attaccano al tg più urlato e colpevolista che può offrirti il mercato. Questa tua ansia di strozzare qualcuno crea il mostro, lo capisci? Quattrocento anni fa era l’untore, oggi è il pedofilo, con qualche variante.

La volontà di sapere, l'ansia di strozzare. Per colpa della tua curiosità malata, e del tuo mal sublimato prurito alle mani, innocenti vanno in galera e bambini si auto-convincono di cose orribili. E tu nel frattempo te ne vai in giro per i bar o per i blog, a dire quanto ami i bambini. È possibile che tu, da piccolo, abbia effettivamente preso qualche ceffone di troppo. Ma qui da noi non è una scusa. Forse non commetti nessun reato, ma sei un ospite della civiltà, e alla lunga gli ospiti puzzano. Tornatene nella tua grotta, vuoi?
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so you think 2007 is going to be...

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Tanti auguri a me
E sì, anche quest’anno il blog ha compiuto gli anni.
Sono sei. Sono troppi. Nessun altro blog, in Italia, può vantare sei anni di archivio autentico. Del resto, perché ci si dovrebbe vantare di una cosa del genere? I più vecchi di me si nascondono: cambiano dominio e si mimetizzano tra i più giovani. Io invece qui invecchio pian piano, senza vergogna.

Per una storia breve del primo quinquennio, vi rimando al pezzo dell’anno scorso. Rimane da capire com’è andato il 2006. Poteva andare meglio, per tante ragioni.

Dalla politica alle ciabattine (e ritorno?)
Esattamente un anno fa avevo promesso di fare una cosa più politica, più seria. “Quando tutto quello che diciamo è indicizzato, forse dovremmo dire meno cazzate e più verità”, scrivevo. In effetti la politica è stato il tema caldo per i primi quattro mesi del 2006. Poi ci sono state le elezioni. E un po' di stanchezza, dopo le elezioni, era prevedibile. Passare da blog di lotta a blog di governo, ecc. ecc.

Ma quello che è successo alle ultime elezioni mi ha veramente stroncato. Senza troppo accorgermene, avevo davvero investito qualche energia nella speranza che da aprile in poi si voltasse pagina. Da lì in poi pensavo che si sarebbero aperti nuovi spazi – anche per criticare Prodi, una volta eliminata l’alternativa B.
Il pari e patta elettorale, da questo punto di vista, mi ha ucciso. Fuori o dentro Palazzo Chigi, Berlusconi continua a dominare il dibattito politico. Con lui in testa ai sondaggi, di parlar male di Prodi proprio non mi sento, passo, fate voi.

Così da maggio in poi qui c’è stata una svolta intimista (anche grazie a Grazia). In luglio, negli Usa, ho avuto la sensazione di poter scrivere qualunque cosa senza troppo preoccuparmi, tanto c’è un pubblico per ogni cosa. In autunno sono tornato a temi più ambiziosi, ma mi chiedo sempre più spesso che senso ha. Forse non ne ha.

Che ci fate (ancora) qui?
Io qui potrei scagliare la pietra per primo, e cominciare a lamentarmi del calo qualitativo e quantitativo, accusando la redazione di rifriggere sempre gli stessi argomenti (guerra-Berlusconi-latino-religione-Berlusconi-religione-latino-guerra). Potrei farlo, e potreste farlo anche voi. Ma attenzione. Prima di ogni valutazione bisogna arrendersi a un fatto: il blog non è mai andato bene come in questi ultimi mesi. Cinque-seicento accessi medi al giorno non li avevo mai avuti. Come mai continua ad arrivare tutta questa gente? Onestamente, non lo so.

A dire il vero, conosco solo dei motivi per cui la gente dovrebbe smettere di leggermi. Un blog generalista e tuttologo come questo non ha molte possibilità di sopravvivere, in un panorama complesso e specializzato come il nostro.
Io, per dire, se fossi un lettore mi sarei stancato da un pezzo. Negli ultimi anni il tempo che dedico ai blog è un po’ calato. Raramente mi capita di cercarne di nuovi. Gli unici che m’interessano solo quelli che conosco già e che trattano argomenti specifici in un modo familiare. In pratica: se voglio sapere qualcosa su un film, vado su un blog di cinema (sempre quello, al massimo un paio). Se voglio sapere che musica tira, vado da Enzo o da Inkiostro, (e tanto peggio se pigliano cantonate). Se voglio sentir parlare di tv… di web... o di letteratura… litigare con un giornalista nevrotico… riempite i puntini. Credo che l’approccio degli adulti ai blog sia più o meno questo: evitare le sorprese, consultare i più fidati.

Ma proprio da questo punto di vista, non riesco a capire bene chi viene qui. Leonardo è un blog senza tema (anche se le idee fisse non mancano): nessuno sa esattamente cosa troverà, quando clicca qui. Si parla di cinema o musica ma senza molto impegno; di politica, ma in modo sempre più tangenziale: si mettono insieme pensieri intelligenti, ma senza il tempo e la capacità di sistemarli. Gira che ti gira, è rimasto un blog “alla 2003”: un diario in pubblico. Evidentemente alla gente piace così.

Anche questo però ha un senso molto relativo. Chi è poi tutta questa “gente”? Che ci fai, oggi, con 600 accessi al giorno? Basta vedere quel che succede ogni volta che qualcuno s’inventa una nuova top 100 dei blog italiani: dopo qualche mese di saliscendi, Leonardo saluta e scompare. Perché il traffico vero ormai passa altrove. E non si capisce davvero perché continuo a dare importanza agli accessi o al ranking, visto che non sto vendendo niente. Ah no, scusate. Sto vendendo il libro. Già. Pensavo che il blog potesse lanciare un po’ il libro. In realtà per ora sta succedendo il contrario: il libro attira gente che prima non passava

Progetti per il futuro?
E quindi insomma, cosa fare nel 2007? Mah. L’anno scorso mi stavo prendendo ancora un po’ troppo sul serio. Ora, come vedete, anche se inizio a parlare di politica finisco con Bud Spencer. Sarà il riflusso, sarà l’età, la coscienza dei propri limiti.
In una formula: basta pipponi. Scrivere pezzi più leggeri. Magari un po’ più brevi (come dicevo quattr’anni fa). Magari scriverne un po’ di più. E forse pian piano riuscirò a specializzarmi anch’io, in qualcosa che ancora non so cos’è.

Fuori dalla Storia
Quanto alla Storia del Blog Italiano, quella non passa da qui da un pezzo. Il futuro sono i video – come ha capito persino Di Pietro: il blog del futuro è pieno di immagini in movimento che mostrano facce immobili che ti fissano e ti parlano. A me i mezzibusti annoiano, per cui mi fermo qui. A chi continuerà a passare, in deroga alle mode e alle teorie di scienze della comunicazione, un grazie dal più profondo del cuore – e compratemi il libro. Sono sei euro e venti. Che ci fai oggi con sei euro e venti?

Il post dell’anno
Come ogni anno, qui sotto potete farmi un regalo scrivendo qual è stato il post che vi è piaciuto di più nel 2006. Potete anche scrivere quello che v’è piaciuto di meno. Se siete indecisi, scrivete il primo che vi viene in mente: è quello giusto.
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attenzione: catena!

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Blogging for aliens

Mi hanno chiesto di descrivere un blog (già fatto un centinaio di volte, lo so) in duemila battute – ecco, questo è interessante. Io con 2000 battute non butto giù manco la lista della spesa.
Ma ci proverò. Fingerò di saltar fuori da un cassetto frigorifero, nel trentamila dopocristo, e di dover spiegare a una razza aliena in corso formazione che cos’era un blog all’inizio del terzo millennio: ma svelto, sennò mi squaglio davvero e poi non mi possono più ricongelare, esattamente come i quarti di manzo, bravi.

“Immagino che qualcun altro vi abbia spiegato cos’era il www. Bene. Il blog è la forma che hanno preso le identità individuali, sul www, a partire dal 2000. In Italia hanno attecchito 3 anni dopo (ma mi rendo conto che non sapete cosa sia l’Italia, da come agitate gli pseudopodi).
Prima dei blog c’erano i cosiddetti “siti personali”. Eravamo tutti convinti che prima o poi ne avremmo aperto uno. Ci avremmo messo una foto nostra, una del gatto, il curriculum, il romanzo nel cassetto e la playlist. Ne eravamo convinti, ma appena inciampavamo in una pagina web fatta così scappavamo via. Dopo due minuti che erano aperte sembravano ammuffite, vetrine polverose coi perenni segnali di lavori in corso. Perché non funzionavano?

Perché le identità non si presentano in questo modo. Nessuno viene a te per la prima volta col suo curriculum, la lista dei libri che ha letto e la galleria fotografica: nessuno che voglia davvero conoscerti, o che tu voglia veramente conoscere. Le identità individuali non si scambiano playlist al primo incontro, scherziamo? C’è qualcosa di meno romantico di un biglietto da visita? Le identità s’incontrano per caso, in un capannello di gente che chiacchiera di un argomento qualunque. Ci si ascolta parlare di politica o di gatti, e ci si sorprende a pensare: però, quel tipo, simpatico. Ci si scopre un po’, giorno per giorno. I blog erano spogliarelli per gente educata, contraete le ventose se avete capito.

La prima volta che ho visto un blog mi sono chiesto: ma perché i pezzi sono pubblicati a rovescio, dall’ultimo al primo? Quanto ero stupido: come lo spettatore dei Lumière, che fugge davanti alla locomotiva. Il blog è essenzialmente questo: un sito sempre aggiornato. Potevano essere ed erano spesso puttanate, ma sempre fresche di giornata. Ami gettati per le altre identità curiose. Chi abboccava poi avrebbe risalito il corso dell’archivio; e prima o poi avrebbe raggiunto il romanzo nel cassetto, i dischi dell’anno e la foto del gatto. Ma l’identità rimaneva sempre sotterranea, mi capite? Chi trascorreva tempo sui blog girava in superficie, e aveva la sensazione di muoversi in un bar o in una festa, dove si parla di sport o tv ma senza impegno.

Il tutto rigorosamente in forma scritta, perché la banda era quello che era. Verso la metà del decennio l'offerta di banda aumentò, e i contenuti multimediali fecero esplodere il sistema. Il blog si evolse in una specie di videocitofono personale, e cambiò nome, perché i nomi vecchi stancano. I nostalgici che continuavano a pubblicare paginette web in forma scritta facevano una cosa che fu chiamata retroblogging. Corre voce che continuassero a divertirsi e a uscire con ragazze/i interessanti.
Ma io forse non c’ero già più, non ricordo bene. Ora se per favore mi rimettete al mio posto… scusate, eh, ma tra un po’ ricomincerò a starnutire e non hanno ancora inventato il vaccino”.


Duemilatrecento spazi esclusi, di più non ce la fo.

La catena volevo tenerla per me, ma ripensandoci credo che la manderò almeno a Sviluppina (che le sa apprezzare).
E già che ci sono anche a Dr Psycho, Mauro, Valido e... Paolo Guzzanti. Solo una scusa per lincare gente che non linco praticamente mai, perché sono pigro. Scusate. E (se vi va) provate a descrivere i blog ai beduini del deserto, o a Galileo Galilei, o ai vertici del Kgb durante una seduta spiritica. Magari è divertente.
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- uomo dell'anno, proprio io

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Big in 2006

Oddio, c’è da stappare lo spumante.
Lo avevo preso per Natale, ma a questo punto.

Non credevo di meritarmelo, davvero. Ma se insistete non posso che ringraziare tutti gli amici che mi hanno incoraggiato e spronato anche quando io stesso mi stavo stancando di cazzeggiare davanti al computer.
Credevo di rubare tempo a cose più nobili, pensate.
E invece eccomi qua: Uomo Dell’Anno. Quando lo saprà la mia mamma. Ehi, mamma, hai visto? ce l’ho fatta!

Che fare ora? Mah, direi di continuare così. Senza esagerare. O credermi chissachì. Io resto quel sano ragazzo di provincia che avete imparato ad apprezzare – e tuttavia, se al Time oltre a osannarmi mi leggessero con più attenzione, comprese le ultimissime cose che ho scritto, saprebbero che mettere uno schermo in copertina è un’operazione fortemente ambigua. E poi, che tipo di schermo, lo avete visto? In realtà è più simile a una postazione televisiva, coi comandi di YouTube. Un’incarnazione sinistra: “ok, uomo dell’anno, sei forte, hai condiviso un sacco di pensieri e commenti; ora rilassati che arrivano i video, e di qui a qualche anno saranno sempre più interessanti e professionali”.

Adesso che ci penso, tra un paio di settimane sarò l’Uomo dell’Anno Scorso.
Rimetto in frigo lo spumante.

Lo ammetto, mi imbarazza un po’. Io mi considero un uomo a tutto tondo, sapete. Non passo mica tutto il giorno davanti a uno schermo, io. Vivo in mezzo alla gente. E ok, capisco, tutto l’inviluppo dei miei rapporti umani sulla copertina di Time non ci stava, ma fotografarmi così, proprio nella situazione di massima solitudine…

Non mi va. C’è questo luogo comune, duro a morire, dell’internauta solitario e segaiolo. Si organizzano anche convegni di psicologi, molto preoccupati dalla tendenza di questi internauti a comunicare tra loro stando a casa. Per essere psicologi, bisogna dire che sono un po’ ossessionati dalla fisicità. Se la prendono con Internet perché adesso comunichiamo con Internet, ma probabilmente qualche anno fa se la sarebbero presa con il telefono. E prima ancora con l’alfabeto Morse e ancor di più coi rapporti epistolari, che incoraggiavano le persone a vivere rapporti virtuali e fittizi e gli impedivano di uscire in strada e toccarsi tra loro. Probabilmente non bisognava inventare la scrittura; maledetto il primo uomo che invece di tirare i capelli alla sua favorita ha fatto un segno sulla parete.

Sono baggianate. Noi non siamo soli. Coltiviamo un sacco di rapporti, grazie a Internet. Tutti vogliono parlare con noi, perché siamo gli Uomini dell’Anno! Per undici giorni ancora.

Vabbè, sì, dovrei essere felice, ma… è che proprio oggi ho fatto un salto su Indymedia Italia, ed era chiusa. Che tempismo, eh? Chiudere qualche settimana prima l’incoronazione del Time. E dire che prima di tante chiacchiere sul Web 2.0, c’era semplicemente l’intuizione di Indy: Don’t hate the media, become the media. Sostituire alla paranoia anti-sistema degli anni Novanta una sana pratica di controinformazione quotidiana. È quello che ha iniziato a fare Indy in Italia nel 2001. È quello che ora stanno facendo i blog (mica tutti, anzi pochi). Perché i blog sono sopravvissuti? Perché sono piccoli e personali. Indy invece aveva un’ambiguità fondamentale. Era un sito collettivo, ma chi era il collettivo? Da qualche parte c’era un “noi”; perlomeno c’era il tentativo di costruire un “noi”. Ma non era facile. Col tempo la bacheca libera a tutti (il newswire) si è rilevato uno strumento troppo grezzo. A volte un boomerang: si andava su Indymedia in cerca di sciocchezze per screditare un intero movimento. Era troppo facile e non costava nulla.

I blog invece sopravvivono. Perché sono piccoli e individuali: ognuno si prende la responsabilità del suo orticello. Io potrei mettermi a cantare le lodi di questa rivoluzione pacifica: la piccola proprietà intellettuale. Ma da qualche di tempo a questa parte sto dubitando di tutti i discorsi stile “piccolo è bello”. I blog hanno un limite strutturale.

Sono davvero siti individuali. Se siete curiosi di queste cose potete andarvi a vedere le mappe di BlogBabel pubblicate dal Sole 24 Ore (e da Qix). Descrivono un universo corpuscolare. Solitudine no, assolutamente: anzi, milioni di relazioni; ma tra corpuscoli. Indymedia veniva davvero da un mondo diverso. Vi ricordate la parola tormentone del movimento nel 2001-02? voi no, io sì: era “moltitudine”. Il movimento cercava di federare, inglobare, associare persone diverse; sotto sotto c’era ancora la vecchia ambizione novecentesca di vederli sfilare compatti. E qualche volta è successo: abbiamo sfilato compatti. Ma ormai sono cose che lasciamo ai berlusconidi.

Siamo polvere di stelle; molto bene; e abbiamo intenzione di diventare qualcos’altro? Non lo so. Per quanto mi riguarda, può darsi che il blog sia il mio limite strutturale. Non riesco a fare nulla di meglio. Non riesco a dire nulla che non passi dal mio “Io”; non sono affatto solo, conosco un sacco di gente, ma con nessuno tento più di costruire un “noi”. Sarà anche pigrizia da parte mia. Invecchio, sapete. Ma ero grande, nel 2006.
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- compra Leonardo compra Leonardo compra

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Non è che per caso non vi siete ancora ricordati di...


Leonardo ha pubblicato "Storia d'Italia a rovescio", e l'ho comprato. Non mi sono comportato molto diversamente da quelli che avevano in testa altri editori, mesi fa. Però ho l'attenuante: Leonardo è tecnicamente un blog, ma il suo autore lo usa in maniera tutta sua, molto poco blogger. Innanzitutto è molto poco modaiolo, poi è logorroico, poi non ha granché di personale. Per certi versi, lui ha tenuto un blog per anni per allenarsi a scrivere un libro: l'ha scritto giorno dopo giorno e poi se l'è trovato fra le mani.

Dimensioni blog (che ringrazio)
(Segnalatemi le vostre stroncature di Storia d'Italia a rovescio, non siate timidi. Al limite vanno bene anche i complimenti).
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- il fumo non previene l'alzheimer

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Smoking ('s) for dummies

Ma voi lo sapevate che chi fuma ha meno probabilità di ammalarsi di alzheimer? No? Non lo sapevate? Meglio così. Perché non è vero. Il fumo non previene l’alzheimer.

Però c’è gente che ne è convinta. E non sono mica pochi, eh. Parecchi tra loro - non sorprendentemente - fumano.
Io l’ho scoperto la settimana scorsa, curiosando tra i commenti di Macchianera. Macchianera è il secondo blog in Italia per popolarità, secondo alcune classifica (il primo è Beppegrillo.it, ovviamente). Naturalmente questo non significa che un commento di Macchianera sia in qualche modo autorevole, anzi. Però è ben indicizzato.

Si parlava di anoressia (cosa c’entra? Nulla) e a un certo punto qualcuno ha tirato fuori questa storia. Io non l’avevo mai sentita, e l’ho trovata abbastanza inverosimile. All’inizio temevo che si trattasse di un’estrapolazione viziata di dati statistici: è chiaro che molti tabagisti non fanno in tempo ad ammalarsi di Alzheimer perché muoiono prima di altri malanni. Ci stavo anche scherzando sopra. È come sostenere che la Jihad islamica previene l’AIDS perché nessun kamikaze islamico è mai morto di AIDS.

Ma mi hanno obiettato che invece si trattava di un fatto noto, acquisito, comprovato da una serie di ricerche mediche. Hanno iniziato a citarmi testate di riviste anglosassoni di medicina. Naturalmente io non potevo leggermele. E continuavo a non fidarmi.

Allora ho fatto una cosa banale banale: una ricerca su Google. Che non è la Bibbia, come tutti sanno. È solo google. Digito: Alzheimer smoking. I primi tre risultati spiegano che il fumo non previene l’alzheimer. Il secondo riporta un’agenzia Reuters che parla di una ricerca condotta da un’università della California. Il terzo è un pezzo della BBC (che non è la Bibbia; però è la BBC) che riporta i risultati di una ricerca condotta dall’Università di Rotterdam nel 1998. Mi sembrava materiale recente e affidabile, per cui non ho perso tempo e ho scritto un pezzo sulla home di Macchianera. Ho scritto che non era vero che il fumo previene l’alzheimer, che si trattava di una stronzata. Apriti cielo.

Si sono offesi in parecchi. Per prima la persona che aveva pronunciato la “stronzata”. Io in realtà non intendevo tirarla in ballo. Mi premeva soltanto affermare con chiarezza, su Macchianera, che l’idea che il fumo prevenga l’alzheimer è una stronzata. La luna era assai più importante del dito. Sono stato senza dubbio brusco e probabilmente arrogante. Perché l’ho fatto?
Perché il fumo è una cosa seria, e il morbo di Alzheimer è una malattia orribile. Ma anche perché Macchianera è un blog molto popolare e molto indicizzato, e i commenti di un blog molto popolare sono il sottobosco ideale per le leggende urbane.

Vi ricordate la faccenda dell’olio di colza, l’anno scorso? Nacque proprio in un ambiente del genere. Un tale divulgò nei commenti di Beppe Grillo una sconcertante rivelazione: l’olio di colza poteva sostituire il gasolio nei motori diesel. Ne parla più nessuno? No, perché anche quella era una sostanziale stronzata. Il motore parte, ma i danni collaterali per il motore sono troppi. Però la notizia era sul sito di Beppe Grillo (molti credettero che fosse proprio di Beppe Grillo): tanta gente la credette degna di fede e si avvelenò il motore convintissima di risparmiare denaro e idrocarburi.

Ora immaginatevi qualcuno, magari un fumatore, che sente dire in un bar (o in una chat, od ovunque) che il “fumo previene l’alzheimer”. Magari vuol saperne di più. Fa una ricerca su google e trova… Macchianera. È un sito molto popolare. È esagerato, da parte mia, immaginare che qualcuno possa leggere un commento apparentemente innocuo e fidarsi? No, credo di no. I vizi sono insidiosi, lo sappiamo tutti. Siamo tutti perennemente in cerca di scuse per cedere. Un fumatore che scopre, su un sito ben frequentato, che il suo vizio può aiutarlo a non ammalarsi di alzheimer, avrà un motivo in più per non smettere. Salvo che in questo modo, secondo le conclusioni dei ricercatori di Rotterdam, potrebbe avere il doppio di possibilità di ammalarsi del morbo di Alzheimer.

La discussione è proseguita con toni molto accesi. Troppo. Alcuni, tra cui Filippo Facci (che agli eccessi della cosiddetta “crociata anti-fumo” ha dedicato un libro) hanno replicato citando fior di ricerche che secondo loro proverebbero il contrario. In realtà, per quanto ho potuto vedere, esse al massimo provano che l’assunzione di nicotina potrebbe prevenire l’alzheimer. Ma parlare di effetti positivi della nicotina non equivale a parlare di effetti positivi del fumo.

Sono stato accusato di non avere competenza medica (da persone che ne sono altrettanto prive). Infatti non ce l’ho, la competenza. Non l’ho nemmeno millantata. Ho attinto a fonti di divulgazione, con lo strumento più elementare del mondo: google. Con la convinzione che se davvero fumare prevenisse l’alzheimer, i divulgatori scientifici di mezzo mondo non si farebbero sfuggire la notizia. Pensare al contrario mi sembra un po’ troppo complottistico. Devo dire che comunque le poche persone che si sono qualificate come competenti hanno detto sostanzialmente la stessa cosa che ho detto io (sotto pseudonimo, però).

C'è chi ha insistito sul fatto che 'su Internet c'è tutto e il contrario di tutto', e persino le ricerche scientifiche direbbero 'tutto e il contrario di tutto'. E se anche fosse? Questo, come minimo, significherebbe che sull'idea del fumo anti-alzheimer non c'è consenso scientifico. E se il consenso non c'è, mi pare giusto ricorrere al principio di precauzione: nel dubbio non fumare.

C’è tuttora chi persiste a equivocare (non necessariamente in buona fede) tra nicotina e fumo. Io non trovo giusto mantenere un atteggiamento così ambiguo su Internet, e in particolare su un sito così ben indicizzato come Macchianera (in questo momento l’XML dei commenti di Macchianera è il terzo risultato su Google Italia per Alzheimer fumo). A un certo punto, di fronte a certi distinguo particolarmente sottili, ho scritto che “Internet è per scemi”. Non è una battuta.

Avete presente la collana “for dummies” (=”per scemi”)? In Italia ho visto soltanto i manuali di informatica. Negli USA invece impazzano manuali for dummies di ogni tipo. Vanno molto forte quelli di medicina e farmacologia, per ovvi motivi. La gente non vuole pagare i dottori e si cura da solo con un manuale “per scemi”.
Ora, Internet, con tutta la più buona volontà, è esattamente la stessa cosa: un enorme manuale “per scemi”. Per quanto voi possiate essere persone di giudizio, se volete veramente approfondire un problema in tutte le sfaccettature, studiate altrove. Se invece venite qui, state cercando risposte facili e sicure. E avete il diritto di averle. Per cui la domanda deve essere posta in modo chiaro e semplice: il fumo previene l’alzheimer, sì o no?
Io dico di no. In attesa (va da sé) che qualcuno mi dimostri il contrario.
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- compra Leonardo compra Leonardo compra

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Tra le nuove uscite della collana ScrittoMisto spicca "La storia d'Italia a rovescio" di Leonardo, uno dei blogger più acuti, riflessivi e longevi della blogosfera italiana (Pandemia)

Soprattutto soprammobile

La gente vuole scrivere i libri.
Uno può scrivere dieci cartelle al giorno, ma finché non hai scritto un libro non sei nessuno. Sei un giornalista, orrore, un pubblicista, pfui, o ancor peggio, un blogger. Quanti lettori hai? Due, tre, venticinque? Ah, ne hai trecento? Al giorno? Ma non importa. Non sei nessuno, perché non hai scritto un libro.

La gente vuole scrivere i libri. Se ci pensate, è curioso. È un’esigenza che sfida le leggi più elementari dell’economia, perché la maggior parte degli aspiranti scrittori non solo non si fa illusioni sui guadagni, ma per pubblicare è disposta a pagare.
Questo, almeno fino a dieci anni fa era comprensibile. E se non avessi appunto perso Il pendolo di Foucault (quel polpettone erudito che anticipava e dava una descrizione sociologica del fenomeno Codice-da-Vinci prima ancora del fenomeno medesimo) potrei adesso qui incollarvi una di quelle folgoranti paginette sugli Scrittori a Proprie Spese che per riscattare la propria mediocrità vengono risucchiati da editori senza scrupoli in un gorgo di acquisti d’invenduti. È una storia triste, ma almeno dovrebbe essere una storia vecchia. Adesso c’è Internet! Ci sono i blog, che ti riscattano la mediocrità gratis!

E invece no. Non possiedo statistiche sull’editoria italiana, ma a occhio mi pare che le tipografie continuino a stampare tonnellate d’invenduto. La gente non vuole scrivere i blog, quella è roba per adolescenti in foia, o trentenni in foia, o al limite politici. La gente vuole scrivere i libri, sono i libri che ti fanno scrittore. Perché?

Perché il libro, in sé, è un’invenzione geniale. Lasciate perdere la scrittura, quella c’era da prima (si scorreva sui rotoli di pergamena) e ci sarà anche dopo (si scrolla su Internet). Ma il libro. Internet non ucciderà il libro, rassicuratevi. Il libro vivrà in eterno, o almeno finché vivranno uomini e donne desiderosi di circondarsi di soprammobili: e vivrà precisamente perché non c'è soprammobile più elegante di un libro. Un libro è eloquente (quante parole contiene); allo stesso tempo è allusivo (quanti parole non dice, a lasciarlo in scaffale), e si aggiunga che come soprammobile è anche estremamente comodo: un parallelepipedo si impila e si spolvera con una relativa facilità.

Un oggetto compatto, e allo stesso tempo friabile. Si apre in centinaia di punti diversi, non esiste nulla di così sorprendente in natura. In fondo ogni libro è un pop-up, ogni pagina è una finestra su un mondo un po’ diverso. L'inventore di sottilissimi fogli rettangolari di carta fissati da un solo lato è un genio assoluto, paragonabile soltanto all'inventore della ruota: per quanto le innovazioni tecnologiche la possano rendere più resistente o più morbida, nessuna invenzione renderà la ruota più rotonda di quello che è: allo stesso modo nessuna rivoluzione tecnologica può rendere il libro più eloquente, più allusivo, più comodo.

E soprattutto: su nessun altro soprammobile di casa vostra starebbe bene il nome vostro – o d’un vostro amico – in caratteri cubitali. E invece sul dorso d’un libro un nome ci sta proprio bene, e più sta in grande meglio è. La gente scrive i libri perché sul dorso ci può mettere il nome. Non è che voglia venderti un soprammobile col suo nome – se non ce la fa, al massimo te lo regala.

Io però non te lo regalo mica, caro lettore, il libro con il mio nome sulla copertina. E non voglio neanche chiederti se per favore me lo compri. Poche cerimonie tra noi due: da quanto mi leggi? Due mesi? Sei? Tre anni? Cinque? Per tutto questo tempo mi hai letto gratis.

È chiara la situazione? Quel che ti chiedo di riscattare non è la mia mediocrità (mediocrità?), ma un tuo debito. In questi anni hai comprato tanti libri e giornali che non hai nemmeno letto. Hai pagato il canone Rai. Hai pagato per tante cose molto meno interessanti, meno divertenti e meno riuscite. Ma per Leonardo non hai mai pagato un soldo, mai. Da molto tempo in qua non ti sorbisci nemmeno più il piccolo banner pubblicitario. Come l’aria, il sole, l’amore, così anche Leonardo l’hai avuto gratis et amore dei, e soprattutto perché nessuno è riuscito ancora a fartelo pagare. Ma finalmente, grazie alla favolosa équipe di Scrittomisto, le cose stanno per cambiare. La Storia d’Italia a rovescio sta per uscire, anzi è già uscita, addirittura Rillo l’ha già comprata, e tu che fai? Vuoi arrivare per ultimo?

Del libro cosa c’è da dire. Come tutti i libri di Scrittomisto (mi pare) è nato da un blog, ma cerca finché può di sembrare un libro vero (la parola b*** è quasi bandita). Il materiale è effettivamente già comparso su questo sito negli ultimi cinque anni – ma siete sicuri di averci fatto caso? Ne ho scritto di roba, qui, e più crusca che farina, diciamolo.

L’idea era quella di raccontare la storia recente a rovescio: dalle elezioni del 2006 a quelle del 2001, proprio come se la stessi raccontando a un lettore di blog, che capita su leonardo per caso leggendo il pezzo più recente e poi si mette a scorrere l’archivio. Non è un best of, che non sarei proprio in grado di fare. Non è, ahimè, nemmeno una vera Storia d’Italia: i buchi sono tanti, e si vedono (ma in cento pagine provateci voi). È un libro, un soprammobile elegante, un’idea regalo per le festività natalizie che incombono, ormai. Comprarlo non mi renderà ricco (io sono già ricco dentro) ma vi farà sentire un po’ meno scrocconi nei miei confronti.

Se poi lo ficcate in doppia fila interna sullo scaffale più in alto non mi offendo. Tanto la bottega, qui, è sempre aperta. E prima o poi ripasserete.
E' più forte di voi.
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- youTube killed the blogger stars

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È da un po’ che non sento nessuno dire “il blog è morto”...

...così pensavo stavolta di provarci io. Mi contraddico, lo so (e me ne vanto).

L’occasione è l’acquisto di YouTube da parte di Google. Riassumo: YouTube è una piattaforma che permette di pubblicare e condividere video on line. Per molti anni ancora avrà un sacco di debiti; eppure Google ha sborsato un miliardo e 650 milioni di $ (in stock options) per accaparrarsela. Cosa c’è sotto?

Probabilmente i Signori delle ricerche hanno fiutato un’opportunità. Ma attenzione. In quella che una volta si chiamava new economy, le opportunità si presentano come attraversamenti del Mar Rosso. C’è qualcuno che, per grazia divina o puro culo, le scopre. Poi c’è un folto gruppetto di signor Nessuno uniti dalla fortuna di trovarsi lì proprio in quel momento, che seguendo il Mosè di turno in un tempo relativamente breve arrivano asciutti sull’altra sponda. E infine c’è la folla dei meno fortunati, che arrivano tardi e annegano. Internet è fatta così. Forse anche la vita reale è fatta così, ma che ne so io? Restiamo su Internet. In dieci anni – più o meno – abbiamo avuto tutti almeno un’opportunità. Io, per esempio, il mio mar Rosso l’ho attraversato, e ne sono discretamente soddisfatto.

È successo nel 2001. I portali erano in crisi – dietro le grafiche colorate, c’erano solo contenuti miserrimi spremuti da stagisti ingenui. L'Internet italiana era una palla. Ma era una palla molto interessante, per me, perché – a parte qualche .gif o .jpeg ancora molto lente da visualizzare – era al 100% testuale. Una palla da leggere. Ergo, serviva qualcuno che la scrivesse.

Ora, si dà il caso che scrivere sia quello che io so fare. Non ho una bella voce né una bellissima presenza. Sono timido e ho i riflessi scarsi. Ma in quel momento non servivano volti né voci. Serviva scrittura. Ci avete mai pensato? Per un attimo breve, una fortuita circostanza, una rete telematica ancora in via di consolidamento ha rimesso indietro le lancette della Storia. Niente immagini in movimento, niente audio: scrittura, come ai vecchi tempi di Gutenberg. Improvvisamente, verso la fine del Novecento, la scrittura è tornata di moda. Sono nati i blog.

Ma non potevano durare. Gli scricchiolii si sentivano già mentre mettevamo on line i nostri primi teneri diari on line. Nel maggio del 2001 presi un appunto abbastanza antipatico sui file multimediali caricati sulle pagine web: a quei tempi mi sembravano assurdi. Perché avrei dovuto perder tempo a caricare un file audio, quando potevo utilizzare lo stesso lasso di tempo per leggere il testo? Oppure: a cosa mi serve una finestra video sgranata dove una speaker legge le notizie? Non faccio prima a leggerle da solo? La scrittura è più agile, pensavo. La scrittura vincerà. Povero illuso.

Qualche mese dopo si cominciò a parlare molto delle telestreet – vi ricordate? Le tv abusive di quartiere. Giornalisti quotati ne parlavano come dell’idea libertaria del futuro. A uno come me, che campava di pane (poco) e internet, sembrava una follia. La televisione pirata? Ma non è come la radio nel ’77: una cosa è improvvisare a un microfono, un’altra saper tenere la videocamera sulla spalla; specie dopo trent’anni di tv commerciale, che ci ha assuefatti a un livello di professionismo per noi irraggiungibile. Insomma, avremmo invaso l’etere del vicinato con documentari ridicoli e talk show formato riunione di condominio. Questa, l’informazione del futuro? Ma perché invece non ci mettiamo tutti a fare della buona controinformazione su internet? È così facile. Non serve nessun corso di ripresa o montaggio: basta scrivere o leggere, scambiarsi informazioni. Lo sanno fare tutti. Lo sanno fare tutti?

Le telestreet si sono rivelate un bidone, ma mi hanno fatto capire una cosa. Chi si mette davanti a uno schermo illuminato, nel 2000, vuole vedere la televisione. Immagini in movimento. Anche se non c’è niente da muovere, non importa. Hai un reportage? In cinque minuti puoi metterlo su un blog. Puoi segnalarlo, puoi indicizzarlo, puoi inserirlo in un centinaio di conversazioni. Ma l’utente medio non vuole questo. L’utente medio vuole mettersi sul divano, spingere un pulsante e vedere una signorina possibilmente carina che legge il tuo reportage. Perché è un pirla, l’utente medio. È stato cresciuto così.

Internet non è ancora così. Ma non c’è nessuna ragione perché non lo diventi. Il destino di uno schermo è mostrare immagini in movimento: se finora si è abbassato ad essere un medium testuale, era unicamente per ragioni di banda. Ma la banda si allarga, si allarga. I video sono sempre meno sgranati – e, almeno da youTube in poi, sono condivisi e indicizzabili. In un certo senso, youTube è il Blogger del 2005. Lo soppianterà? Lo sta già soppiantando, nel modo più subdolo: blogger e piattaforme analoghe stanno diventando un supporto per i video di youTube.
Prendiamo un blog a caso – polaroid. È sempre stato un filo più avanti della media. Nel 2002 era un blog testuale: conteneva recensioni e varia letteratura. Nel 2004 era ormai un blog sonoro: i testi scritti rimandavano a contenuti audio, spesso reperibili mediante link diretti. Nel 2006 è ancora molto sonoro, ma sta diventando visivo: le finestre di youTube compaiono sempre più spesso. Probabilmente Ebi non andrà molto più avanti di così nella direzione visuale, visto che quallo che gli interessa è la musica; ma se la tecnologia continua a marciare, non c’è motivo perché altri non lo facciano. Le riprese via webcam diventeranno sempre meno sgranate; a un certo punto ci sarà la famosa scrematura, e quelli che si salveranno non saranno i migliori produttori di contenuti (ma quando mai?), bensì quelli che li sanno esibire con immagini più professionali. Per allora, le finestrelle di youTube si saranno allargate ai 21 pollici: i blog non saranno più blog. Saranno quella nuova televisione ‘popolare’ che i profeti spelacchiati delle telestreet sognavano.

Di fronte a questa prospettiva, io non ho molto da dire. Non sono particolarmente telegenico, non ho una voce sicura, sono impacciato e distratto. Il mio mar Rosso si è richiuso da un pezzo.
Per un attimo internet ha dato un’opportunità a chi sapeva scrivere; era compito nostro sfruttarla. Chi ne ha approfittato per buttar giù un libro e piazzarlo ha fatto benissimo: sono occasioni che si presentano una volta sola.
Il Blog testuale non è più l’avanguardia, ma nessuno ci impedisce di spassarcela nelle retroguardie, o no? I blog si possono scrivere e leggere ancora (la tv non ha ucciso la radio, dopotutto).
Del resto, di che dovrei lamentarmi? La priorità era trovare una ragazza: missione compiuta. Il resto è grasso che cola.

C’è stato un periodo in cui il mondo si chiedeva quale sarebbe stato il “nome di internet”, e con questa espressione si intendeva l’assetto finale dei nuovi media (che poi media cos’è se non uno dei pezzi più importanti della nostra vita)?. Erano troppo astrusi i primi nomi, morirono con la bolla speculativa. Ora il nome è vecchio e caro: televisione.
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- spunti

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La legge del Branco

Ringrazio tutti coloro che mi hanno votato come miglior fonte di spunti, portandomi sul podio dietro a Luca Sofri (complimenti) e davanti ad Akille (nyeah! nyeah! nyeah).
Anche se – adesso posso dirvelo – secondo me vi siete sbagliati. Voglio dire, dove sono tutti questi spunti? Io sto scrivendo sempre le stesse cose. Ho pochi argomenti e raramente cambio idea.

Insomma mi sembro il contrario di quel tipo di blog curioso, che spazia nello scibile umano quotidiano alla ricerca di perle e di porci. Tra l’altro mi piacciono i blog così. Ma io mi somiglio piuttosto a quel tipo di blog che andando avanti negli anni è sempre più selettivo e monomaniaco, sempre più preso da certi cazzi suoi, quel quarantenne che non chiama più nessuno e nessuno lo chiama, si coltiva le proprie personali ossessioni e fine.

Uno che ogni giorno disimpara qualcosa non solo sul mondo, ma persino su sé stesso – ci sono annate di me stesso che mia madre sta chiudendo in scatoloni, per via di un trasloco (i miei genitori crescono, adesso mettono su casa). “C’è qualcosa che ti serve, che t’interessa?” No. Meglio non buttar via, ma grazie, no, niente.

Io che anni fa mi piccavo di avere un parere su tutto, adesso vado in crisi davanti a un qualsiasi tg della sera. C’è tutta una serie di problemi di cui davvero, non saprei e non vorrei dir niente. Non è solo il processo Cogne che riapre e i reporter che si lamentano per lo scarso pubblico. È qualcosa di più profondo. È l’escalation di malati angoscianti che battendo le ciglia avanzano le proprie richieste. Uno vuole morire. Un altro - visto ieri al TG - vivrebbe anche, ma chiede un sacco di soldi. E io da che parte sto? Ho già cambiato canale, scusate. Sul serio, se il dilemma morale è Quanto Concretamente Scuciresti Per Tenere In Vita Uno Che Riesce Solo A Sbattere Le Ciglia, io passo.

È Prodi in Cina che fa quello che stanno facendo tutti i governanti italiani dal 1990 in poi, in perfetta coerenza con le direttive di Ciampi quando faceva l’amatissimo presidente: riallaccia relazioni industriali e chiede di sospendere l’embargo alla vendita di armi che penalizza i poveri armaioli della Val Trompia. Si noti qui per inciso che Prodi agli industriali deve permettere cose concrete, non si può permettere di stordirli a suon di puttanate come il caro vecchio Berlusconi. E quindi io cosa ne penso? Io passo.

E poi l’affare della bimba bielorussa. Che è una cosa tremenda sotto qualunque punto di vista – qualsiasi parere mio o vostro non ridurrà i tempi di dimezzamento delle radiazioni intorno a Cerbobyl, dove quei bambini vivono e continueranno a vivere anche quando l’ondata d’interesse si sarà spostata. Nel frattempo c’è una coppia italiana che ha messo il destino di una bambina al di sopra di tutto. Come forse è giusto che sia – salvo che in quel “tutto” c’è anche il destino di 28mila bambini come lei che non potrebbero più tornare in Italia per l’estate se la Bielorussia s’impunta. E se voi riuscite a formulare un parere voi, complimenti. Io, finché ho potuto, ho cambiato canale.

Poi la curiosità ha mangiato il gatto – a un certo punto mi sono chiesto: ma questi due, dall’aria così normale, come hanno fatto a improvvisarsi da un momento all’altro ladri di bambini e fregare carabinieri e polizia? È un’arte che non s’improvvisa. Ti serve una cappa di omertà irriproducibile in laboratorio, una rete di complicità coltivate per anni, decenni, generazioni. La capacità di comunicare attraverso canali informali e assolutamente sicuri (scordati ti poter usare un cellulare, ma anche un fisso; c’è da tornare al Morse). Non ti basta certo la seconda casa di un amico – occorrono basi logistiche in località sconosciute, covi, tane, insomma, come hanno fatto questi due? Mi sembrava impossibile.

Poi l’altro giorno, sfogliando un blog che è una fonte di spunti, ho scoperto l’arcano (ed è stato come ritrovare un pezzo di me in uno degli scatoloni di mamma). Sono due capi scout. Ok, allora è tutto chiaro. Non la troveranno mai. È un male? È un bene? Ditelo voi. Io non posso esprimere pareri, preferisco fingere di trovarmi davanti a uno di quei film americani primi anni Ottanta che spesso faceva Spielberg, quando gli uomini dei sobborghi erano ancora caparbi, fantasiosi e ribelli, e per una giusta causa fottevano di gusto l’ottuso sceriffo e l’FBI. Al tempo in cui ero un lupetto, appunto.
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- migliore fonte di sputi

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MacchianerAward 2006: Nomination

Possibilità di vincere, minime; quindi la linea sarebbe snobbare. Io nei premi non ci credo. (Anche nelle classifiche. Nelle statistiche. In niente).

D'altro canto è per me un onore avere ottenuto due nomination per i macchianera blog awards 2006, come "miglior fonte di spunti" e "miglior blog di opinione". Se volete votare per me, io non mi offenderò, sono tollerante. Sarebbe bello trovarsi davanti a Di Pietro, sarebbe impietoso sorpassare Scalfarotto. Ma è già bello esserci.

Tanto più che vincere un macchianera blog award non cambia la vita: e se lo dico, è perché almeno uno l'ho già vinto, due anni fa, sempre come "miglior fonte di spunti". Che non si è mai capito bene cosa significhi - forse qualcuno aveva letto "miglior fonte di sputi" e pensò subito a me.

All'inizio pensavo di fare qui una lista di chi bisognerebbe votare e chi no, e quelli ingiustamente esclusi dalla nomination (polaroid!), ma la verità è che non voglio litigare con nessuno - ho poco tempo e quel poco non lo passo a leggere blog. Soprattutto non a scoprirne di nuovi. E' un mondo che conosco sempre meno, e mi dispiace. Come direbbe il cantautore, da qualche parte c'è una casa più calda, e sicuramente esiste una fonte di spunti migliore. Grazie comunque per la fiducia.

PS: ahem, avete tempo fino a domani (sabato).
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- Grazio!

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Leonarda?

Nel periodo in cui sembrava venuto il momento di cambiare - perché ormai un blog come questo ce l'avevano i cani e i porci, e qui intorno era tutto un abbaiare e grugnire senza infamia né lode - la redazione di Leonardo formulò diverse ipotesi di lavoro.

Tra le meno probabili, c'era l'opzione "Leonarda", ovvero: cambiare sesso per qualche tempo, cimentandosi con la scrittura femminile, con prevedibili esiti parodici.

Inimicarsi per sempre tutto il genere femminile non era esattamente una priorità, così Leonarda non vide mai la luce. Piuttosto di cambiare sesso, il sito fu invecchiato di vent'anni. Sembrava un'idea meno disastrosa, all'inizio.

Questo sconcertante retroscena serve solo a introdurre la notizia, e cioè: a partire da ieri, e per una settimana, sto collaborando al blog di Grazia. Non so bene il perché mi abbiano invitato, e per ora ho preferito non chiedere. Non so neanche se abbia senso invitarvi tutti là. Ma a chi fosse vagamente curioso di sapere come sarebbe stata Leonarda, ebbene, consiglio di dare un'occhiata.
Più o meno sarebbe stata così. Non molto femminile, decisamente. Mai stato bravo nei travestimenti.

(Il primo pezzo si chiama "Il tunnel dell'amore").
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- una scemenza, scusate

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Sabato mattina sono stato minacciato di querela per una cosa che avevo scritto (non qui). Direi che il caso è finito ancor prima di iniziare, visto che ho provveduto subito a cancellare il pezzo (di cui a quanto pare non è rimasta traccia neanche nella cache di google). Resta uno strascico di polemiche e qualche curiosità. Qui di seguito do la mia versione: di parte, va da sé.

Esiste in Italia un giornalista, di cui per rispetto e precauzione qui si omette il nome e il cognome, che con i blog ha un rapporto molto particolare e non felice. Non ne ha uno. Scrive in quello di un suo amico, esponendosi a un pubblico che non è esattamente il suo. Il suo amico è di sinistra quasi estrema, lui scrive per una testata di destra. Il che significa (com'è facile immaginare) che ogni volta che pubblica un post dal loggione partono bordate di fischi, ai quali non sempre sa reagire con stile. Va da sé che il loggione lo fischia anche a sproposito, comunque per partito preso: se non si comportasse così stronzamente non sarebbe un loggione, e se non ci fosse il loggione forse il teatro sarebbe meno frequentato. Chiedersi il perché questo giornalista abbia scelto per sé una ribalta così difficile, è cosa che non spetta a me: dovrebbe chiederselo a lui, parlarne con qualcuno. Magari è felice così, anche se non pare (pare invece, sempre, parecchio incazzato).

Su quel blog – che non è il suo – il giornalista pubblica un po' di tutto. Suoi editoriali, pubblicati o rifiutati; articoli di costume, critica musicale, provocazioni; e a volte gli capita di pubblicare cose che sembrano fatti suoi. In che senso, "sembrano"? Nel senso che sono narrati in prima persona da un 40-e-qualcosa che vive a Milano, come lui, che magari s'intende della stessa musica di cui s'intende lui; che ha modi di fare assai simili a quelli che ha lui; e il solo fatto che li scriva su un blog (dove in generale tutti tendiamo a raccontare i fatti nostri) lascia intendere gli sprovveduti che quelli siano proprio fatti suoi.

Ma naturalmente potrebbe anche trattarsi di un mucchio di palle – o di fiction, come si dice nell'ambiente. Lui preferisce mantenere una certa dose di ambiguità. C'è un tipo di storie che funzionano meglio se danno l'impressione di essere state vissute davvero. Per fare un esempio, i 100 colpi di spazzola si ridurrebbero a ben poca cosa, se l'autrice non avesse lasciato un po' sfumato il confine tra la fiction e la propria esperienza di vita. Il giornalista in questione non si abbandona alle gioie delle orge puberali: si limita a mettere in scena un po' di Milano post-aperitivo. Di recente ha scritto un pezzo, piuttosto divertente, (in realtà lo ha riscritto, per la seconda o terza volta: sta diventando una specie di cavallo di battaglia) in cui racconta la sua disavventura con una tipa impossibile, radical-pancabbestia-chic. Dopo una spedizione in un smart-drogheria alla moda, una seduta di bong alla salvia psichedelica e altre piacevolezze, il narratore (che assomiglia tanto al giornalista in questione) ha un virile moto d'orgoglio, e la manda affanculo senza consumare, spiegandole che "La mia autostima non dipendeva dalla media di coiti annuali, e che non avevo degli amici che in serata mi aspettavano attorno a un biliardo perché raccontassi che me n’ero fatta un’altra".

Tutto molto liberatorio, ma io leggendolo (per la terza volta) ho avuto un sospetto: perché quest'uomo continua a raccontare questa storia? Non ha la stessa insistenza di un tale al bar che non si rende conto di tornare sempre sullo stesso aneddoto? E vantarsi in un blog di aver mandato affanculo una tipa è davvero così diverso dal vantarsi in un bar di essersela fatta? È dura essere maschi adulti, oggi: cerchi con tutte le tue forze di uscire da un bar, solo per scoprire che sei entrato in un altro. Ero in fila in posta, venerdì, mentre pensavo a questo.

Poi sono tornato a casa, e in un buco di mezz'ora ho riscritto lo stesso post del giornalista, ma narrato dal punto di vista della tipa radical-pancabbestia-chic. Oltre all'effettivo gusto sadico di prendere per i fondelli un giornalista affermato, si trattava anche di rivoltare come un calzino una certa idea di maschio: mi sono messo nei panni di questa scema, che siccome non ha mezza voglia di portarselo a letto cerca di stordirlo a furia di tisane allucinogene e musica new age, fino a ottenere il risultato desiderato: un bel fanculo e a mai più rivederci. L'ho scritto, l'ho riletto, mi sembrava non male, era da anni che non scrivevo una cosa così piacevolmente stronza, sicché l'ho postato. Sullo stesso blog in cui scrive il giornalista – ho l'accesso anch'io.

Ora, che s'incazzasse era scontato. Lui è l'emblema dell'incazzamento on line.
Ma una minaccia di querela no, non me l'aspettavo.
Avevo – colpevolmente – sottovalutato un problema.
Nel mio post avevo accennato a un'attività che oggi in Italia è illegale: il consumo di cocaina. Il suo pezzo diceva che la tipa "ogni tanto pippava insieme a mezza Milano". Nel mio la tipa scriveva di averlo incontrato mentre pippava "con mezza Milano": ahi, qui effettivamente attribuivo al protagonista del post la complicità in un reato. Certo, mica lo avevo chiamato per nome e per cognome. Certo, in fin dei conti era solo il protagonista fittizio di un racconto. Però nelle sue fattezze era riconoscibile un noto giornalista. Così, può darsi che gli estremi per una querela non ci fossero, ma la mia si configurava come un'effettiva carognata. Perché ero stato così stronzo?

Si è trattato, ripeto, di una colpevole ingenuità da parte mia. Che vuoi che sia, pippare a Milano, ho pensato. In realtà pippare a Milano è un po' come fare sesso a Catania: si fa, ci si vanta anche, ma poi la gente mormora e ti tocca levare le tende. E' giusto? Certo che no. Ma è così. Il giornalista è intervenuto l'indomani per sottolineare che il suo era un racconto, e che era costretto a querelarmi per diffamazione perché nella mia parodia gli si attribuiva un reato. Io non ho avuto difficoltà a cancellare il mio pezzo, anche se tecnicamente è la parodia fittizia di un racconto dichiarato dal suo stesso autore come fittizio. Non importa che su un pezzo da lui pubblicato qualche mese prima sullo stesso blog una voce narrante molto simile a lui si attribuisse il medesimo reato, concedendosi una pista di centimetri venticinque: non importa nemmeno che in altri siti su Internet una persona che si firma col suo nome e il suo cognome alluda a una dipendenza dalla stessa sostanza, per fortuna superata (complimenti). Soffrendo io di rinite allergica, e passando un mese all'anno a punzarmi compulsivamente il naso, sono il primo a rendersi conto che certe voci di corridoio non vanno alimentate. Sono pericolose, possono compromettere una carriera. Per cui ho preferito cancellare il pezzo. Forse lo avrei cancellato anche senza una minaccia di querela. Certo, la minaccia ha aggiunto a tutta la storia un surplus di antipatia. Dal loggione sono immediatamente partiti i fischi – però andiamo, a nessuno piace che siano messe in giro voci false e pericolose sul proprio conto.

Al di là di chi abbia ragione e chi torto, una querela è una seccatura e una grande perdita di tempo e soldi. Non mi va di sostenerla, specie per una scemenza del genere. Tanto più che il giornalista aveva chiamato in causa anche il proprietario del blog, che non aveva altra colpa che quella di avermi consentito l'accesso, anni fa. Non ci tengo a fare il martire della libertà di espressione (specie a spese d'altri); peraltro non sono del tutto sicuro che la mia libertà di espressione mi consenta di fare quel che ho fatto. Così ho chiesto scusa al giornalista e ho cancellato. Mi dispiace sinceramente di aver contribuito, anche solo per alcune ore, ad alimentare voci sul suo conto che sono lesive della sua reputazione.

Che queste voci abbia contribuito lui stesso a metterle in giro, pubblicando pezzi col suo nome e il suo cognome su un blog, in cui un personaggio molto simile a lui assume una sostanza illegale, è cosa che non deve interessare me. Al limite querelerà sé stesso – e sarà la 145esima querela che si vede recapitare (il conto l'ha fatto lui). Oppure imparerà finalmente le regole del gioco e comincerà a usare uno pseudonimo (ma non sarà altrettanto divertente), o a premettere nero su bianco che si tratta di racconti, fiction, palle (ma non lo prenderemo più altrettanto sul serio). Questi però sono problemi esclusivamente suoi. Forse dovrebbe parlarne con qualcuno.

(Per favore, non chiedetemi via mail di inoltrarvi il pezzo incriminato. È un rischio che razionalmente non mi va di correre. Finché quel pezzo circola in rete, io che l'ho scritto continuo a essere passibile di querela. Consolatevi: non si trattava di un capolavoro, ma di un'acidola presa in giro scritta mezz'ora. Vi meritate di meglio, e anch'io).
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- tutti pazzi per BB

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50 anni senza Brecht

(non sono passati in fretta)

AVVERTENZA: paradossalmente, questa è una delle cose meno didattiche che ho scritto. Nel senso che chi non conosca Brecht (non è un reato) non troverà qui nessuna spiegazione utile. Questo è solo uno sfogo di un tale che non sa spiegarsi. Mi spiace.

Quando il mondo non ti capisce, un po' è anche colpa tua. Io sono convinto di questo.
Gran parte dell'incomprensione tra me e il mondo, in questi giorni, scaturisce da una concezione diversa dello strumento-blog: per me si tratta di un luogo dove si osservano le cose come stanno. Non è che mi metta ad attaccare adesivi o a protestare formalmente contro gli incendi alle ambasciate, perché le mie proteste formali non sono interessanti. Interessante è cercare di capire cosa porta a un incendio a un'ambasciata. Ma poi qualcuno pensa che voglio giustificare, che sono complice, che che che che. Io guardo alle cose come stanno, loro preferiscono immaginarsi le cose come dovrebbero essere. Non ci vuole molto tempo a ricostruire il pattern di questo mio modo di ragionare. È Marx, in effetti. E mi viene da chiedermi cosa sta succedendo, da quand'è che mi sono svegliato marxista? O sono sempre stato un agente della seconda internazionale in sonno? La cosa buffa è che ne ho letto veramente poco. Forse Marx per me è quel tipo di "cultura" che non si legge ma si respira, quella che meno cose sai più ti ci attacchi: come la Bibbia per i cristiani o Tocqueville per i neoconi.

Aspetta. Forse è Brecht. Io ho letto molto Brecht. Parecchio tempo fa (non ho neanche più i libri in casa).

L'altra sera ero a questo spettacolo, di Lisa Severo (amica) e Rocco Casino Papia, e mi stavo divertendo, ma mentre mi divertivo, pensavo (non ci posso fare niente): possibile che il giovane Brecht sia davvero questo simpatico giovinastro sesso-sigaro-e-chitarra? Andare a ripescare il Brecht giovane, non è un modo di addomesticarlo?
Probabilmente sì, ma non è che ci siano molte altre opzioni per parlare di Brecht oggi. Prima che l'anniversario entri nel vivo – e che tutti si mettano a parlare dell'eredità del grande drammaturgo – io qua vorrei sostenere senz'alcuna serietà un'idea antipatica e (spero) soltanto mia: non esiste nessuna eredità. Noi non riusciamo neanche a capirlo, Brecht. È un uomo di un'altra epoca, infinitamente più antico dei suoi contemporanei. È un pezzo di Storia a sé: il Novecento funzionerebbe benissimo anche cancellandolo; sarebbe un secolo più povero, ma non s'indovinerebbero i rami tagliati. È uno che non c'entra niente, né con quello che veniva prima, né con quello che è seguito dopo. (Con un sforzo senz'altro maggiore, forse si potrebbe ritagliare dal '900 anche l'Unione Sovietica).
Ogni volta che tentiamo di accostarci a Brecht, prendiamo cantonate. Gran parte delle nostre associazioni di idee (Strehler, Milva, Louis Armstrong, Jim Morrison…) sono semplicemente assurde. Pensiamo all'Opera da tre soldi e ci dimentichiamo quanto Brecht la odiasse. Facciamo finta che sia espressionismo – una delle famose avanguardie storiche – quella un po' più teutone, un po' più grottesca, con le voci in falsetto – e fraintendiamo tutto quanto. Non è del tutto colpa nostra.

Non riesco a spiegarmi che per metafore – necessariamente fuorvianti. Per esempio: Brecht è un sistema operativo per un tipo di computer che nessuno sa più progettare. Brecht è un Mac in un pianeta di PC, o viceversa (forse è meglio viceversa). Brecht è l'antimateria, che schizza via dal nostro universo repellente. Brecht è il Minitel francese, un'innovazione rifiutata dal successivo sviluppo tecnologico. Brecht è il motore a idrogeno; perché funzionasse bisognerebbe rivedere la civiltà dalle fondamenta, forse non vale la pena. Brecht è Brecht, sarei tentato di concludere. Per capirlo dobbiamo continuamente rifarci a cosa pensava lui di sé stesso – non è un buon segno. Persino Benjamin lo fraintendeva (e sicuramente noi fraintendiamo Benjamin).

E dire che sembra l'autore più semplice del mondo. Cosa c'è di più lineare di Vita di Galileo? Scienza è bene e Chiesa è male, o no? Madre Coraggio? La guerra è brutta. Arturo Ui? Hitler è un gangster. Tutto qui? Sembra di stare a scuola. E infatti è lì che lo abbiamo conosciuto, sui libri di testo (comunisti!). Del resto anche la scuola è una scheggia di mondo in fuga libera. Educare i giovani, che ingenuità, nell'era dell'intrattenimento. Cosa c'è di più anti-attuale di un autore didattico? Certa sua poesia sembra guardarci da un promontorio di secoli; Libro del Siracide, Libro dei Proverbi, Poesie di Bertolt Brecht.
(A proposito, l'autore italiano più brechtiano secondo me è Calvino, un altro che si scriveva le introduzioni da solo. Scriveva "libri per le scuole medie". Addirittura ha fatto un'antologia scolastica. Poi non c'è da stupirsi se crescendo lo trovano antipatico. Gli adulti vogliono libri ggiovani, che li facciano sentire ggiovani. Sesso e parolacce. Calvino scriveva per i giovani veri, quelli che hanno voglia di crescere in fretta).

Brecht è un caso a sé non perché sia difficile da capire. Proprio per l'esatto contrario. Ti spiazza per quanto è ovvio. Tu pensi al teatro, ma il teatro è semplicemente quello che la sua epoca aveva da offrirgli. Se fosse nato oggi scriverebbe per cinema, tv, internet. Ma cosa scriverebbe? È immaginabile, oggi, un cinema brechtiano? Persino la recitazione sarebbe una cosa diversa. Brecht riprenderebbe gli attori mentre si preparano ad andare in scena, salve sono Cathrine Deneuve e in questa scena faccio la vivandiera alla Guerra dei Trent'anni – la mente vacilla. Mi ricorda un po' gli ultimi due film di Von Trier, ma forse nemmeno lui c'entra con Brecht.
Prima di scegliere la Germania Est, Brecht girò parecchio. Visse in California, ma non riuscì a lavorare per Hollywood. Non lo capivano e non capiva. Io naturalmente fantastico su cosa sarebbe successo, se fosse riuscito a sfondare laggiù (come il collega Weill). Di sicuro oggi i nostri canoni sarebbero diversi. Ma è un pensiero ozioso. Brecht non poteva farcela. Era una sfida epica, la sua, ma non nel senso che lui dava alla parola. Nel senso che aveva contro tutta la prassi dell'intrattenimento occidentale. È come quella scena di Goodbye Lenin (molto proiettato da noi) in cui il protagonista mostra alla madre la caduta del muro, ma in senso inverso: gli occidentali fanno la fila per entrare in Germania Est a comprare i cetriolini della Sprea e il surrogato di caffè della DDR. Ecco, pensare a Brecht oggi richiede il medesimo, titanico, sforzo d'immaginazione

In un libro del mio Professore (che incautamente ho prestato a qualcuno), c'è un capitolo titolato "Che fare dopo Brecht?" Mi ha sempre fatto impazzire. Quanto comunismo in appena quattro parole. Che fare dopo Brecht? Ce lo siamo sempre chiesto in pochi.
Qualche mese fa il mio Professore è andato in pensione. Al pranzo di addio ho conosciuto un altro suo discepolo, un poeta, che mi ha detto di adorare la poesia di Ardengo Soffici. La cosa avrebbe lasciato indifferenti i più, ma io mi sono laureato (tra gli altri) anche su Soffici. Non perché lo adorassi, ma perché lo detestavo, lo consideravo l'inventore del fascismo in letteratura, un profeta dello squadrismo quando ancora Mussolini era un pacifista senza se e senza ma; insomma, per me era l'archetipo del letterato stronzo del Novecento, e consideravo una missione morale laurearmi su quella gente.
A un certo punto del pranzo il professore ha detto: ma io come faccio ad avere avuto due studenti così diversi? Parlava di lui e di me. Uno opposto all'altro.
Io adesso sono qui. Il mio opposto è al Grande Fratello. Essendo il mio opposto, mi sta molto simpatico. E mi pare che se la stia cavando. In ogni caso, lui ha trovato la sua risposta: che fare dopo Brecht? Il Grande Fratello. C'è poco da scherzare: non escludo che abbia ragione lui. In ogni caso, a me tocca fare l'opposto, e cioè?
Prendiamo quello che sto facendo adesso. Un blog. Come si fa a brechtizzare un blog? Io a volte ci ho provato. Ma forse non ho capito niente. In ogni caso ringrazio Georg, che ha rimesso in giro quella che definisce "una delle dichiarazioni di poetica meno fortunate della storia della letteratura probabilmente". Ecco. Io provo a ripartire da lì. Forse sono sempre stato lì. In ogni caso, riparto. La forma epica del blog. Vediamo.


Forma drammatica del blog


Forma epica del blog

attiva
narrativa
involge il pubblico in un'azione scenica
fa dello spettatore un osservatore
ne esaurisce l'attività
però ne stimola l'attività
gli consente dei sentimenti
lo costringe a decisioni
delle emozioni
a una visione generale
lo spettatore viene immesso in qualcosa
lo spettatore viene posto di fronte a qualcosa
suggestioni
argomenti
le sensazioni vengono conservate
le sensazioni vengono spinte fino alla consapevolezza
lo spettatore sta nel bel mezzo, partecipa
lo spettatore sta di fronte, studia
l'uomo si presuppone noto
l'uomo è oggetto di indagine
l'uomo immutabile
l'uomo mutabile e modificatore
tensione riguardo all'esito
tensione riguardo all'andamento
una scena serve l'altra
ogni scena sta per sé
corso lineare degli accadimenti
a curve
natura non facit saltus
facit saltus
l'uomo come dato fisso
l'uomo come processo
ciò che l'uomo dovrebbe fare
ciò che l'uomo deve fare
il pensiero determina l'esistenza
l'esistenza sociale determina il pensiero
sentimento
ratio
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- autoreferenziato

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Casual

Per me tutto questo è comunicazione, essenzialmente. Ma ho notato che per altri non è così.
Per molti è piuttosto una questione di identità.
Non trovo nulla di male nel cercare di costruirsi un'identità. Io stesso a volte ho giocato con l'identità. Devo dire che non sono bravissimo. Ho in mente quasi un solo personaggio – il perdente. Non sono neanche sicuro che sia un personaggio, forse sono davvero io. Per un anno ho provato a inventarne un altro – lo stesso perdente, con vent'anni in più. Non era il massimo.
In ogni caso non ci credo molto, a questa cosa della costruzione di un'identità. A volte mi sfugge proprio.

Ha qualcosa a che vedere col comprare solo scarpe comode. Ammesso di averne una, non ho mai pensato di doverla esibire, l'identità. Passi molti anni a credere che i vestiti servano a coprirti – poi scopri che per la maggioranza della gente è esattamente il contrario. è la cosa più sciocca del mondo e ti sono serviti vent'anni a capirla.

Per esempio, all'inizio non riuscivo a comprendere perché molti sentissero la necessità di infilare in cima al blog liste sui libri che stavano leggendo o sui dischi che stavano ascoltando. Per prima cosa non mi sembrava umanamente possibile ascoltare tutti quei dischi in simultanea con i libri – io a volte devo staccare la radio per leggere, beati voi – ma soprattutto, queste liste mi apparivano create allo scopo di attirarsi una spadellata di chissenefrega. Perché mi sfuggiva tutto l'aspetto di costruzione di un'identità.

Io non ho una gran voglia di costruirmi un'identità, men che meno in pubblico. Farvi sapere la musica che ascolto? ma sono il primo a vergognarmene. Mi sembra doveroso coltivare un sintomatico mistero. I miei cosiddetti studenti mi vedono arrivare a scuola col lettore e credono che le cuffie eroghino Mozart, io magari sto ascoltando Saturday Night Fever. Capite che conviene ad entrambi, il mistero.
(Poi arriva il bamboccione, che del mistero ha paura, e deve sapere chi sei, cheffai, chevvuoi, e dammi il cognome, non ti rispondo se non mi dici il cognome. E non si rende neanche conto di suonare mafiosetto, perché è il primo ad aver paura: e se sto insultando il cognome sbagliato? Ma no, rilassati: stai insultando un cognome qualunque).

E anche la grafica, per me è essenzialmente comunicazione. Pasticciare col codice è una gran fatica, ma la farei, se pensassi di poter migliorare le cose. Invece per me vanno bene così. So di avere contro una stragrande maggioranza di esperti di web: gli stessi che probabilmente cinque anni fa pensavano che le animazioni in flash sarebbero state il futuro della Rete. Ma come, ti fai un sito personale e non ci ficchi del Flash? Solo testo? Con qualche gif? Neanche animata? Ma sei nel medioevo!

Molti pensano che tutto debba essere colorato e luccicante. Dopo un po', riconoscono che può anche essere un po' meno colorato e per nulla luccicante. La cosa più difficile è fargli capire che non deve essere bello. Non deve farsi guardare. Deve farsi leggere. Non è esattamente la stessa cosa.

Dico questo perché Riccardo Bagnato mi ha dedicato una rubrica, su Vita di questa settimana, pag. 45, e a parte i complimenti di ordinanza (che mi fanno tantissimo piacere, etc.), ha scritto che "Certo, bisogna ammettere che la grafica e l'impostazione degli elementi in pagina sono a dir poco casuali". Ebbene no, Ric, non lo ammetto.

Secondo me il sito dev'essere essenziale: pochi colori, due al massimo. Il testo dev'essere in primo piano.
Nero su bianco: bianco, perché le immagini risaltano meglio; nero, perché su bianco è più nitido.
Il font è verdana, il più leggibile (C'è chi usa font graziati: secondo me usare le grazie su un testo a video è come attaccare un'automobile ai buoi). I testi automatici (quelli che compaiono ogni giorno) sono in courier. I commenti in elvetica, per far capire che non c'entrano nulla con il post. Forse tre font sono troppi. Ma non sono messi lì a caso.
Lo so che il testo sembra troppo stretto. Potrei spaziarlo di più. Ma i post sembrerebbero ancora più lunghi. Secondo me è meglio così.

L'altro colore cambia a seconda della stagione e dell'umore. L'anno scorso era grigio, adatto agli argomenti. Adesso è tornato nero: ho notato che la combinazione bianco-nero non è adoperatissima. Ci dev'essere senz'altro qualche manuale di webdesign che la sconsiglia. Ma secondo me rimane in testa di chi passa di qui per caso. (Nella retina, almeno).

L'archivio è a tendine, così spaventa di meno. Insomma, non c'è niente di casuale. Ah, sì, forse la testata. Volevo provare con qualcosa di 'fatto a mano' – il risultato è un po' "bianchetto sul diario", ma mi ci sto affezionando. Insomma, è quasi tutto sottratto al caso: tutto voluto e anonimo. Se vi sembra involuto, allora forse non è nemmeno così anonimo – non so se riesco a spiegarmi. Insomma, forse è brutto quanto me. È quel tipo di cattivo gusto che si difende mettendo in crisi la nozione stessa di gusto: perché dovrei essere bello? Chi lo ha deciso? Perché dovrei sottomettermi a un imperialismo del buon gusto? Queste e altre chiacchiere da secchione bruttino. Ma quest'anno ci sono i commenti: se avete consigli a buon mercato, sarà un piacere cassarveli.
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- il piano Hamelin

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L'aggregatore del diavolo

Ricapitolando: basta parlare male del centrosinistra. Non è il momento. Se ho tollerato dieci anni di D'Alema, posso ancora sopportare cinquanta giorni. Dopo potrò sfogarmi; ma ora no, ora non ha senso.
Che altro posso fare? Predicare ai convertiti? Tempo perso.

Forse che dovrei anch'io puntare il mio umile cannoncino sul centro moderato? Mi basterebbe conquistare anche un solo incerto, anche solo un voto, e potrei dire di aver fatto il mio dovere… ma è impossibile, andiamo. Quella chimera che chiamano centro moderato non esiste, è il parto di una congiura di statistici buontemponi. Credere in Berlusconi, oggi, è come credere nello Jahvé di Freud: per farlo occorre un investimento psichico ingente e quotidiano. Bisogna avere fede nelle sue parole, chiudere gli occhi davanti alle sue gaffes, allenarsi a ridere alle sue battute, fingere di sfrecciare in un autostrada a quattro corsie mentre si è in coda al Cantiere-Grandi-Opere. Chi riesce a fare tutto questo (e sono tanti) non è certo un indeciso: la sua fede è costruita sulla dura roccia, e non sarò certo io a scalfirla, con due battutine o un link. E allora?

La verità è che le elezioni non si vincono al centro, ma si perdono ai fianchi. Nel 2001 non abbiamo perso perché Berlusconi ha conquistato il centro, ma perché il fianco sinistro, disilluso e stanco, votò Bertinotti - o nemmeno andò a votare. Nel 2006 dovrebbe accadere la stessa cosa sul fianco destro. Tutti quelli che hanno creduto in Berlusconi inutilmente, "ci hai detto vi alzerò la pensione e non ce l'hai alzata"; "vi calerò le tasse e non ce le hai calate", ecc.; tutti costoro non rinnegheranno mai pubblicamente il loro uomo. Vorrebbe dire ammettere di essere stati presi in giro, e questo, nel Paese dei bar sport, non si fa. È possibile però che quella benedetta domenica 9 aprile non si sentano molto motivati ad andare alle urne. Specie se non piove (è quasi imbattibile, Berlusconi sul bagnato).

Quello che mi preoccupa sono i blog di centrodestra. Negli ultimi tempi ne sono nati tanti. Sono giovani e pieni di entusiasmo. Ecco qualcosa che mi spaventa: la gioventù e l'entusiasmo. Loro sì che rischiano di cambiare le cose. Potrebbero fare cartello tutti assieme, e infondere fiducia in quel fianco elettorale che l'ha un po' persa. Una prospettiva, dal mio punto di vista, terrorizzante.

Forse… non so, sto pensando a voce alta… quel che dovrei fare davvero è sabotarli. Senza tanto fairplay: qui si fa l'Italia o si va a puttane. Basta con questa personalità buonista e politicorrect! Dovrei passare alla clandestinità, infiltrarmi. Presentarmi come un pirla qualunque – è un ruolo che mi riesce bene.

Si sa come funziona: ti spertichi di lodi su di loro nei commenti, lasci un tuo link in bella vista… e loro per forza prima o poi ricambiano, è una questione di gentilezza, di cameratismo (forse che non funziona così anche da noi?)
Gradualmente, passerei a gettare sabbia dialettica nelle loro ben oliate macchine da guerra. Impercettibilmente, ma inesorabilmente, devierei le loro intelligenze in questioni oziose… argomenti scemi, tipo la seduta spiritica di Prodi, o la "cosiddetta-superiorità-morale-della-sinistra" (ma non era antropologica? Fa l'istess). E tutti questi tormentoni che fan perdere tempo e neuroni. Potrei anche iniziare a fare bollini e patacche e a distribuirle. Cosa c'è di meno credibile di un blog pieno di patacchini e gif animate? Loro sono giovani, magari ci cascano, si mettono a giocare agli adesivi e mollano il caso Unipol...

Ma forse dovrei osare di più: organizzare… un aggregatore, ecco. Mi costerebbe fatica, e forse denaro, ma pur di veder Berlusconi sconfitto… la cosa però andrebbe preparata seriamente. Per esempio: si organizza un convegno sui blog e la politica e bla bla bla, magari chiamo anche Gg, capace che viene. E così intanto raccolgo un centinaio di mail.
Nei giorni successivi inizio a cinghiarli con catene di forward: stiamo organizzando un prestigioso aggregatore di centrodestra, hanno già aderito il celebre Tizio e il rinomato Caio, daaaaaai, vieni anche tu! Siamo già in duecento! Trecento! Trecentoventisei!
Quelli sono giovani, sono entusiasti, ma in fin dei conti sono bloggatori. Io lo so come sono fatti i bloggatori. Quale parente venderebbero per un picco di accessi? Quale parte del corpo, per un rank più commisurato alle loro ambizioni? Ed ecco che io mi presento e faccio loro balenare in mente l'idea di duecento, trecento, 326 link in più al loro sito! In termini di ranking, è come passare da un monolocale in periferia a una villetta nel quartiere-bene. Figurati se si pongono subito il problema dei contenuti! Loro sono entusiasti, pensano positivo, e poi ha aderito anche il celebre Tizio, una garanzia.

A quel punto, capite, li tengo in pugno. Posso scremare i loro contenuti, gettare il bambino e tenermi l'acqua sporca, schiaffare le scemenze più invereconde in prima pagina mentre la qualità scivola sul fondo. È una faticaccia, ma posso sempre iniziare a delegare ai più pazzoidi del mucchio. È chiaro che col tempo si creerà una gerarchia: dovrò sorvegliare affinché i più dotati di raziocinio restino in fondo alla catena alimentare.
E se qualcuno protesta? Ma è proprio quello che mi serve! Una grande rissa, una bella caciara, chilometrici flame su polemiche di condominio. Finché nessuno si ricorderà più di Consorte e Sposetti: tutti a litigare per uno strapuntino in homepage. Metto fin d'ora in cantiere scissioni e purghe. Gli uomini sono fatti così – i blogger, perlomeno. Perché a destra dovrebbero essere meglio che a sinistra?

Sarà faticoso, lo so, ma alla fine della fiera avrò screditato completamente tutto il bloggismo di centrodestra. Come il pifferaio della favola, li guiderò dalla città delle libere opinioni alla fossa della fuffa. Questo dovrei fare. Sennonché.
Sennonché, è già stato fatto.

E anche molto bene.

Per cui, capite, non c'è altro che io possa fare – a parte inchinarmi di fronte a tanta diabolica crudeltà concepita e messa in atto. Sciapò.
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- tanti auguri a me

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Ancora autoreferenziale, chiedo scusa. Ma domani questa pagina compie cinque anni: sono tantissimi.

(And why do you torture me with leaves, eccetera)

Fa un certo effetto, ad esempio, trovarsi più o meno in 90esima posizione su una classifica dei blog italiani più lincati e scoprire (a prescindere dalla qualità, e dal senso della cosa) che a occhio il più vecchio sono io. Come se avessi ancora qualcosa da insegnare. Direi che molti hanno imparato meglio di me, ormai.

Quel che si matura, col tempo, è solo una certa vertigine ad aprire l'archivio. Per farmi coraggio ho provato a periodizzare tutto quanto. Vi farà un po' ridere, e io riderò con voi – ma è un ridere nervoso: i manoscritti abbandonati nel solaio e le lettere d'amore mai spedite mi hanno sempre fatto paura. Diciamo che tutto cominciò con un

Periodo criptico
All'inizio del 2001 il mio lavoro consisteva in dieci ore quotidiane davanti a un pc. Avevo perso il gusto alla scrittura privata e anche la piccola cerchia di scrittori-lettori-amici di paese si era ormai sfaldata. Così il 24 gennaio del 2001 apro un sito e decido di usarlo per scrivere le cose che mi vengono in mente. Mando una mail a qualche amico, ma non credo che nessuno abbia davvero seguito il link. Per un po' lo uso da blocco appunti – un blocco interlocutorio, perché non ho la minima idea di cosa fare da lì in poi: Rimettersi a studiare? Darsi al fundraising ministeriale? Restare semplicemente dove sono? Nel dubbio scrivo.
In maggio una sconosciuta da Chicago mi scrive per dirmi che le piace come scrivo. Anche lei ha un sito come il mio, si chiamano blog. Il suo si chiama anche La Pizia. Pizia, dove sei? Tutto questo è anche colpa tua!

Periodo epico
Il 13 maggio 2001 B. vince le elezioni e uno stormo di piccioni mi sbianca la macchina. Disperato, ma non domo, decido che farò tutto il possibile per cambiare il mondo – e il blog è il primo strumento che mi viene in mente. Tutti stanno già parlando del G8 di Genova in toni apocalittici, e io decido di andarci. In capo a pochi giorni divento una figura di riferimento – alle Diaz faccio funzione di portiere di notte, e intanto aggiorno il blog. La sera del 21 luglio sono in fila per aggiornare quando Glauco mi fa: vieni a bere qualcosa? Io avrei tanta voglia di lanciare al mondo i miei pensierini, ma inspiegabilmente lo seguo. Così, un quarto d'ora dopo, quando le camionette e le ambulanze arrivano (insieme) davanti alle due scuole, noi ci stiamo sbarrando nella birreria dietro l'angolo.
Dopo il G8 nasce Attac, con la sua sezione modenese; poi c'è l'11 settembre, la guerra in Afganistan, il Forum Sociale, un corteo al mese, e l'Iraq che si profila all'orizzonte. Succedono cose terribili e bisogna essere forti: cambio casa e lavoro, dagli ozi della new economy alla trincea della scuola media. Nel frattempo è tutto un fermento di idee, forum, discussioni… Ho messo anche un contatore, che nei giorni di Genova s'impenna: 80 accessi al giorno! Mi sembrava impossibile.

Periodo classico

Lentamente, ma inesorabilmente, questa idea del blog prende piede: nasce e prospera una comunità di persone unite solo dal vizio di postare, con le sue liturgie e i suoi punti di riferimento. Nell'ottobre del 2002 vengo lincato da Neri e Wittgenstein, e il contatore schizza su, su, duecento, trecento, quattrocento (e si ferma poco più su). Sviluppo una psicosi che m'impedisce di non postare una volta al giorno, cinque giorni a settimana. La vita sociale ne risente, ma chi se ne frega, il blog mi ha unito a una ragazza lombarda accessibile solo nei weekend.
Divento una piccola autorità nel settore. Rilascio interviste a Grazia e a Internet News. Finisco su tre libri. Mi monto la testa? Sì, probabilmente. Son pur sempre uno dei primi. Sputtano Camillo nel suo settore, anche se non lo ammetterà mai (perché è un bamboccione). Siccome un'idea al giorno è oggettivamente impossibile, imparo ad amministrarmi: sviluppo rubriche e tormentoni. Deriva populista, si direbbe oggigiorno. In realtà mi do via gratis; ma per un anno e mezzo è divertente.

Decadentismo
Smette di essere divertente nel 2004. In quel periodo sto vivendo di tre part time simultanei, più un ritorno di fiamma accademico, e sento che il livello delle idee nella vasca del cervello sta andando giù, giù, manca poco perché i miei utenti odano chiaro il risucchio finale. Anche il contatore flette un po' (ma nemmeno tanto). Indulgo in polemiche deliranti con personaggi improbabili, sto perdendo il controllo. Approfitto del nuovo menage con la mia donna per rallentare gli interventi: però non riesco più a capire a che mi serve il blog. Ormai ce l'hanno tutti, e scrivono di tutto: non è più la piccola arena di una volta, ognuno ha la sua stanza privata, come in chat. Perché dovrebbero venire nella mia? Cosa ho da offrire di diverso, di migliore, di più durevole? La speranza di passare a qualche tipo di professionismo letterario o giornalistico mi ha abbandonato, anzi ufficialmente non l'ho mai nutrita. "Forse", mi dico "il blogging ha esaurito la sua spinta propulsiva". Povero imbecille.

Futurismo
Decido di rompere il giocattolo, in modo che i pezzi non si possano più rimettere assieme. Mi metto in standby e poi faccio un salto di vent'anni nel futuro. Per un po' la vasca si rimette a pompare idee, ma in capo a due mesi sono di nuovo a secco. È un periodo difficile per mille altri motivi.
Nel frattempo tutt'intorno è un fiorire di blog professionali. Sì, c'è gente che dopo tanta fatica è riuscita a farsi pagare per lavorare al proprio giocattolone. Alcuni sono sempre stati più bravi di me, altri sono idioti patentati, a me non resta che sopportare virilmente e mangiarmi le mani in silenzio. Il blog dal futuro dimezza gli accessi, ma alla fine trova un suo pubblico: contenti loro.

E adesso
Non lo so. Mi sono stancato di guardare al futuro. Ma ho notato che più passano gli anni e più mi ritrovo sui blog. Ne scrivo meno e ne leggo di più.
Senz'altro qualcuno ci sopravvaluta. Google, per esempio, continua a fidarsi di noi in modo indecente. Ma col tempo comincio a pensare che si tratti di un modo per responsabilizzarci. Quando tutto quello che diciamo è indicizzato, forse dovremmo dire meno cazzate e più verità.
Fine dell'intimismo, insomma. E fine dei deliri autoreferenziali, come questo. Si tratta di procurare informazioni dettagliate e verificabili all'utente. Il modello è wikipedia: tutto è imperfetto, tutto si può migliorare, tutti sono responsabili. I risultati – per ora – sono una minibiografia di Sharon e una cattiveria su D'Alema. Funziona? Dal contatore sembrerebbe di sì, ma è una faticaccia. E il fraintendimento è sempre dietro l'angolo, come mi ha insegnato Libero. Insomma, non so quanto potrà durare. Tanti auguri a me.

A questo punto, come vuole la tradizione, debbo chiedervi quale post del 2005 vi è piaciuto di più. Di seguito vi allego un po' di proposte, ma voi potete sceglierne anche altri (il livello, rispetto all'anno scorso, è sceso nettamente).

Casa, dolce casa
“Papà, ti sanguina la faccia”.
“Tesoro, ti piacciono le carote?”

Il Trimonio spiegato a mia figlia, uno e due
"E allora quando io sarò grande, ci si potrà sposare in quattro, sembrerà una cosa normale".
"Ancora con questa storia? No, tesoro, non ci si potrà mai sposare in quattro".

Civilization VII: Lo Scenario Rutelli (e seguenti)
La sollevazione popolare nella città di Genova è stata sedata.
"Ottimo".
Perdite: una unità.
"Che significa?"


Democrazia abrogativa
"Oggi ho votato, nell'ordine: NO all'abrogazione del divieto di fumo nelle classi scolastiche, SI' all'abrogazione di all'enciclica De anima illa quam spermata quoque habent che sancisce che gli spermatozoi hanno un'anima, SI' alla rimozione di un condono edilizio per le case costruite sulla spiaggia di Torino; SCHEDA BIANCA al bilancio agricolo del mese scorso; NO…"
"La mente vacilla".

Il buon Pastore
perché non sono normale, la gente normale vede sparire il suo passato in nuvole rosee di rimpianto, mentre il mio passato è una piaga purulenta e vergognosa che puzza.

Agente CoPro, Operazione Stay Besides!
"Che la strage del Cermis era stata provocata da un kamikaze siriano che si era rotolato nella neve causando una valanga che aveva trascinato con sé i tiranti della funivia, malgrado l'eroico sforzo dei piloti USA di salvare i passeggeri…"

La fine??
Ogni umano è tuo figlio o tuo padre, ogni umana è tua figlia o tua madre. Ogni umano che muore, tu l'hai ucciso. Ogni umano che vive, tu l'hai generato.

La guerra dello stile di vita (su Piste).
Noi combattiamo per la nostra sicurezza, il nostro diritto a consumare tot petrolio a tot cents il litro, le nostre mensilità, il nostro traballante benessere. Per i piaceri della vita che i terroristi ci invidiano e che hanno intenzione di rovinarci. Ecco perché combattiamo.

Logo o non logo
Io Lapo Elkann, forse non è il momento giusto per dirlo, ma non l'ho mai capito veramente. (su Piste)

Ciao, come mi chiamo non ha importanza (su Sacripante!)
io non ho niente contro le grandi città, molte delle mie migliori amiche sono metropoli.

Albo d'oro
2001: ?
2002: Ungaretti
2003: Basic Culture Simulator 1.0
2004: Titicaca Lake
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- schietta autocritica

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Ho creato un mostro

È interessante tornare indietro e rifare tutti i passaggi, e scoprire che il delitto è stato commesso con le migliori intenzioni. Come sempre.

La domenica sera è il momento più deprimente della settimana. La sera di domenica nove aprile, Astolfo Pigna, classe '58, nato e vivente a Belfosdignano (QL) operaio specializzato (ramo termoriduttori), juventino, capricorno, dà un'occhiata al suo destino dal divano del soggiorno. Il destino gli si delinea nel blu elettrico della grafica del televideo. Dalla cucina un vago rumore di lavastoviglie all'opera.
"E allora ci vai?" dice la moglie.
"Adesso ci vado".

Io pensavo di fare cosa buona e giusta, tornando al blog politico. Con la fantascienza, lo sapete, c'erano stati dei problemi, e tutti a dirmi: "dai, torna a fare il blog politico". Per giunta era l'anno delle elezioni, come facevo a sottrarmi. Era un modo di impegnarsi. O di dimostrare a me stesso che m'impegnavo. Che poi è la stessa cosa.

"Se non ci vai dimmelo subito, ché metto la pizza in forno".
"Ti ho detto che ci vado, ci vado".
"Me l'hai detto mezz'ora fa. Cos'è che guardi? Il televideo?"
Astolfo si vergogna ad ammettere di essere indeciso, ma le cose stanno così.
Ultimo di quattro fratelli, non si è trovato nella condizione di prendere una decisione autonoma fino a 22 anni, quando in un cinema sfiorò la mano della sua futura moglie (il film era Laguna Blu). Da quello contatto in poi fu lei a prendere saldamente il timone che era appena stato lasciato incustodito da madre padre e fratelli maggiori. Lei a stendere il curriculum vitae del perito tecnico industriale e spedirlo alla Bianchi Termoriduttori Srl. Lei a indicare l'anellino che Astolfo non riusciva proprio a scegliere da solo. In sostanza, lei stasera dovrebbe dirgli se andare a votare o no, ma non lo fa.
È il suo modo di farlo impazzire.

Mi sono accorto quasi subito che le cose stavano prendendo una piega curiosa.Mi misi a parlar male dei Diesse. Non era la prima volta. Erano anni che parlavo male dei Diesse, ormai avevo sviluppato dei veri e propri cavalli di battaglia.
Nel frattempo Berlusconi imperversava in tv e in radio, accusando gli avversari politici di qualunque cosa gli venisse in mente (scemenze, di solito). Ma io B. non lo reggevo più, da anni ormai.
È vero che nei primi anni era stata una specie di ossessione. Le sue cafonerie. Le sue gaffes. Quella volta che chiamò Kapò un europarlamentare tedesco. E gli antifascisti in vacanza a Ventotene. Sì, a quel tempo Berlusconi era almeno divertente. Ma nel 2006, io avevo smesso di divertirmi da un pezzo
.

Tradito dalla sua Grande Timoniera, Astolfo cerca conforto nell'unica altra cosa al mondo in cui abbia un po' fiducia: la doxa.
Se proprio deve credere a qualcosa, Astolfo crede nella Maggioranza. Sin da quando era il cucciolo di casa, egli è stato educato al rispetto per le opinioni più diffuse. Schierarsi con una maggioranza è sempre la cosa più saggia: intanto perché la maggioranza ha quasi sempre ragione, o comunque ha i mezzi per ottenerla: e anche quando non la ottiene, il torto va diviso con un maggior numero di persone. Aver torto in maggioranza è un mezzo gaudio.
Questa filosofia di vita ha portato Astolfo Pigna dov'è adesso: sul divano di casa sua, inebettito, davanti agli istogrammi del televideo, che indicano che l'affluenza è… normale. Se almeno ci fosse stato un record dell'astensione, pensa Astolfo. Mi sarei astenuto anch'io e buonanotte. Invece devo andare.
"E allora?"
"Vado, vado".

È difficile spiegare quello che è successo. È stata come una cateratta. A un certo punto il grigio ha prevalso: ho chiuso gli occhi e ho iniziato a pensare ad altro. Il biennio 2004-5 potrei descriverlo così. Oppure potrei dire che ho sentito il richiamo del privato: la famiglia, il lavoro, l'appartamento in affitto… insomma, Berlusconi è uscito dalla mia vita. Non era più divertente, era solo spiacevole rumore di fondo. Come i jingle pubblicitari delle telefonie, li ascolti due secondi e cambi canale.

Naturalmente questo non impediva a Berlusconi di rimanere lì dov'era, di farsi ancora approvare leggi ad hoc; di tagliare fondi alla mia regione e al mio ministero; di mandare truppe in Iraq; in sostanza, nulla gli impediva di farmi del male. Questo era inteso. Ma io ero mi ero stancato di parlarne, ne parlavano tutti! Basta! Quando mise la bandana, io non ci trovai niente di divertente. Quando il governo cadde e si rialzò, io non stetti in apprensione neanche per un attimo. E quando infine fu il 2006, e lui riapparve sui muri e su tutti i canali, io non avevo più niente da dire. Preferivo parlar male dei DS.

Mi sentivo più originale. I DS non mi avevano fatto un'oncia del male che mi aveva fatto Berlusconi; e tuttavia il loro modo di fare sinistra mi offendeva. Mi urtava quel loro oscillare tra machiavellismo e ingenuità, senza fermare mai per una volta la lancetta sul materialismo storico… voglio dire, un grande partito dei lavoratori che si trasforma nel "partito della gente perbene"? Ma scherziamo? Il "perbenismo" è una sovra-sovrastruttura borghese! I lavoratori non sono perbene, i lavoratori lottano per impossessarsi dei mezzi di produzione e non fanno sconti a nessuno! Sono la forza motrice della storia, non sono delle nonnine bianche che prendono il te' e i pasticcini! La definizione di "Partito Perbene" era un'offesa alla mia cultura. E al mio senso estetico.
Dovevo vendicarmi.


Astolfo, non crediate, si vergogna di essere così. Ma non ci può fare niente.
Quel che vorrebbe sapere, dal televideo, è: chi ha vinto le elezioni? Alle ultime regionali Astolfo ha votato Forza Italia. Pensava che avrebbe vinto. E ha perso. I tre comunistoni del reparto lo hanno sfottuto in mensa per tre mesi. Questo Astolfo non lo sopporta.
Il momento più grigio della sua intera esistenza fu il quinquennio seguente alla gestione Boniperti, quando la Juventus non vinse più nulla. Lui apposta si era scelto la squadra più tifata e più vincente d'Italia: e loro, vigliacchi, cambiavano Boniperti e Zoff con Montezemolo e Maifredi! Cinque anni d'inferno! Un inferno di milanisti ghignanti al bar, in mensa, in reparto… persino in casa gli era cresciuto un figlio milanista, persino in casa!
Astolfo ama il quieto vivere, e forse nella vita non ha mai sfottuto nessuno. Perché sa cosa si prova.
Gli piace Berlusconi; gli sembra un vincente. Ma di sicuro molte volte racconta delle palle. E chi non le racconta. Il più grande contapalle d'Italia, per fare un esempio, è Luciano Moggi. Ma sono palle a fin di bene (così ragiona Astolfo). In politica, come nel calcio, non conta la verità: conta vincere. Astolfo, fino a un paio d'anni fa, passava per berlusconiano di ferro. Faticosamente, negli ultimi venti mesi si è rifatto una reputazione di centrista indeciso. Ha fatto capire che Berlusconi lo aveva un po' deluso, che forse non lo avrebbe rivotato.
Sua moglie, invece, si è richiusa in un silenzio di sfinge.
"Il voto è segreto", ha detto, e non c'è stato modo di smuoverla. Astolfo ha il dubbio che sia passata ai comunisti.
Cosa che lui non farebbe mai, per principio. Sarebbe come passare dalla Juve al Milan. No. La squadra si critica, si boicotta, ma non si cambia.
O no?

Quel pezzo che ho scritto… era roba vecchia, d'archivio. In cinque anni mi ero fatto un bell'archivio, anche sulle stronzate dei DS. E insomma, i fatti erano inoppugnabili: la fondazione di D'Alema prendeva soldi da multinazionali pluri-inquisite. Soldi puliti, per carità. Ma era un dato che faceva a pugni con la nozione di "Partito perbene". Volevo far risaltare la dabbenaggine dietro al perbenismo.
Ma non volevo convincere la gente a votare Berlusconi! Questo mai! Io mi ero messo a scrivere per l'esatto contrario!

Sono le 19.50 di Domenica 9 aprile, e Astolfo Pigna è indeciso. Si tratta di votare Berlusconi o no.
Negli ultimi tempi sembra ringiovanito! È tornato in tv, sui muri, ovunque. Ha l'aria di uno che non può perdere. Certo, forse è solo scena. Ma pensa se vincesse! Cinque anni di gloria.
Il guaio (pensa Astolfo) è che domani saranno molto più veloci gli amici e i colleghi a chiedermi se l'ho votato, che gli istituti di statistica a dare le proiezioni. E comunque le proiezioni sbagliano una volta su due, peggio che Maurizio Mosca col pendolino, a momenti. Insomma (pensa Astolfo) non ci sono Santi. Devo scegliere da solo.
Per la seconda volta nella mia vita.
Driiin!

Mi scrissero quelli di Libero Blog, che il pezzo gli era piaciuto e lo avevano ripubblicato. Niente di che, era già successo quando scrivevo fantascienza, e nessuno ci aveva fatto caso. Prego, dissi, fate pure.
Lo tennero in home per un giorno. Ottenne più di 400 commenti. Una cifra che il mio cervello fa fatica a comprendere.
Quattrocento persone che avevano letto un mio post. 400 persone che avevano perso tempo a commentare.
E il più delle volte ringraziavano per aver finalmente fatto luce sull'immondo segreto dei Ds, questo partito di ladri, terroristi, infoibatori, persecutori dei poveri reduci della Repubblica Sociale, ecc., ecc., ecc., ecc..
Mi dissi: è normale. Un mio post, estrapolato dal contesto, scatena una tipicissima dinamica da forum. Tutto già visto. Niente di nuovo.


Driiin!
È Rinaldo, il fratello di Astolfo, che chiede in prestito la falciatrice per domani. Non ce l'ho io, dice Astolfo, ce l'ha nostro padre, devi chiederla a lui. Ah, dice Rinaldo.
E poi gli chiede: Hai votato?
Ahi ahi ahi, pensa Astolfo.
Da una parte è contento che il fratellone ultraforzista gli stia dando un consiglio, come ai vecchi tempi. È una cosa che gli fa piacere, istintivamente. Si vergogna ad ammetterlo, ma è così.
Dall'altra Astolfo non può fare a meno di pensare che i forzisti sono proprio messi male, se devono mettersi a telefonare in casa ai parenti domenica 9 aprile alle otto di sera. È così? Rinaldo sa qualcosa che io non so? In campana.
"Beh? Hai votato o no?"
"Non ancora, no. Non so se ci vado".
"Ma solo che non scherzi. Hai dei dubbi?"
"Beh, dei dubbi… diciamo che quel Berlusconi è…"
"È?"

Dinanzi ad Astolfo si spalanca l'abisso. Deve dare un giudizio. Da solo. Davanti al fratellone. E non c'è tempo. Dio mio.


"È un po' un contaballe, dai".
"Beh, su questo…"

(L'abisso! Astolfo precipita!)

"…c'hai anche ragione…"

(Ma il paracadute si apre, tempestivo, a cento metri dal suolo).

"…ma sono tutti dei contaballe, sai, è il loro mestiere. Almeno lui non ci ruba".
"Come fai a dire che non ci ruba, Rinaldo".
"Lui è già ricco di suo. Ma quegli altri… gente che non ha mai lavorato in vita sua… loro sono falsi e ladri, per di più".
"Sì, ma…"
"Prendi D'Alema. Quello che è andato in direzione del suo partito a dire: Siamo gente perbene!. Lo sai chi glielo paga il leasing della barca, a D'Alema?"
"…"
"Quelli della G****, lo sapevi? Ti ricordi della G****? Quella compagnia farmaceutica che corrompeva i medici e metteva in commercio valvole difettose. Lo finanziano loro, D'Alema".
"Ah sì? Questa non la sapevo".
"Ma è da un po' di mesi che è in giro – naturalmente i giornali non dicono niente. L'ho letta su Internet".
"Ah, beh, sai, internet".
"Internet è il futuro, altroché! Impresa, Inglese, Internet! Allora, ci vai a votare o no".
"Ci vado, ci vado".
"O, meno male".
"Ma dici che vinciamo?"
"Certo che vinciamo. Ti sembra che possa perdere, uno come lui?"

Col senno del poi, credo di essermi sbagliato. Non esiste il concetto di "estrapolato dal contesto", su Internet.
Internet è un libro dai mille fogli aperti – il contesto non esiste. Scrivere un pezzo anti-DS in campagna elettorale significa fornire un'arma in più a Berlusconi. Un'arma minuscola, certo. Ma un'elezione si vince anche con milioni di queste armi minuscole. E io ne ho messa in giro una.


Le elezioni politiche del 9 aprile 2006 videro l'ennesima affermazione del centrodestra – anche se stavolta il margine di vantaggio sul centrosinistra fu microscopico. L'ago della bilancia fu il distretto elettorale di Belfosdignano (QL), che rimase incerto fino all'ultimo. Si dice (ma forse è una leggenda) che Berlusconi abbia distanziato Prodi per un voto solo.
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Nome in codice: Agente CoPro.
Operazione Stay Besides!


Riassunto dell'ultima puntata: da qualche parte, in un posto che rassomiglia curiosamente al Paradiso a Pedali, Bar Taddei (per gli amici Teddi, il Neocone) è a rapporto. O credevate che gestisse il suo blog filoamericano a gratis, come quello di un fesso di neocone qualunque? Macché, Teddi è un evoluzione del neoconismo, è il neocone che sa associare passione e concretezza, ideali e $: Teddi è agente della Cia, cioè, non proprio un agente, perché mica ti assumono per scrivere stronzate su un blog: solo un Collaboratore a Progetto (Nome in codice CoPro). Verso la fine del 2005 iniziò a farsi pagare dall'Agenzia un cent ad accesso. Era l'inizio di una non entusiasmante carriera. E ora, vent'anni dopo, è finalmente giunto il momento di vendicarsi del suo diabolico nemico, ovvero…

"Eppure qualcosa non mi torna, Bar. Voglio dire, dovevamo essere davvero disperati per pagare gente come te, vent'anni fa. Eravamo così disperati?"
"Abbastanza, Signore. Vi eravate infilati in una guerra al Terrore virtualmente infinita, e stavate perdendo il sostegno di tutti i governi europei. La cosiddetta coalizione della Buona Volontà stava abbandonando l'Iraq alla chetichella. Avevate bisogno di riconquistare le opinioni pubbliche della Terra di Mezzo…"
"Finanziando siti amatoriali?"
"Signore, era un'idea all'avanguardia! Erano i tempi del viral marketing, del nanopublishing…"
"Parla la mia lingua, agente Bar".
"Questa è la sua lingua, Signore!"
"Allora dev'essere successo qualcosa alla mia lingua, perché io sono nato nel 2001 e non le ho mai sentite con le mie americanissime orecchie*, queste stronzate".
"Davvero è nato nel 2001, Signore?"
"Sì, perché?"
"Complimenti, Signore".
"Chi ti capisce è bravo, Bar. E io non sono bravo. Ma scusa, non potevamo finanziare qualche opinion-leader serio?"
"Signore, nessun opinion-leader di qualche peso si sarebbe messo a difendere l'uso del fosforo a Falluja o cose così".
"Ma non ne avevamo già a libro paga?"
"Alcuni sì. Giuliano Ferrara, ad esempio".
"Giuliano chi?"
"Con tutto rispetto, signore, un ex comunista che vi rifilò un paio di sòle. Organizzava fiaccolate bianco-azzurre a Roma, e cercava di dimostrarvi che l'Italia stava diventando filoisraeliana grazie a lui".
"E non stava diventando filoisraeliana".
"No, signore, non abbastanza almeno".
"Va bene, e così abbiamo iniziato a finanziare la gente come te. Ho qui il tuo dossier… ci sei stato utile in varie occasioni, Bar, questo è indubbio. Per esempio, ehm… l'operazione Stay Besides"
"Un'idea geniale, Signore".
"Già, già. Beh… in realtà il dossier in vent'anni s'è un po' deteriorato… facciamo così: spiegami con parole tue cos'era questa operazione Stay Besides".
"Semplice, signore. Avevamo deciso – pardon, avevate – di riscrivere la Storia d'Italia dal dopoguerra sotto una luce diversa. Per cinquant'anni ce l'eravamo raccontata come se si trattasse di pacificare un Paese del Patto Atlantico sulla soglia della Cortina di Ferro: Comunisti e anticomunisti, anni di piombo, caduta del muro, fine delle ideologie, ecc.. Questo modello non vi soddisfaceva più".
"Naturalmente".
"Vi serviva un nuovo modello, che proiettasse le ombre della Guerra al Terrore sul passato dell'Italia. Occorreva dimostrare che molto prima di Al-Quaeda, molto prima dell'11/9, l'Italia era già stata colpita dal terrorismo islamico".
"E come… potevamo fare?"
"Non era così difficile, Signore. Bastava trovare piste islamiche per tutte le stragi impunite degli ultimi 40 anni".
"Ah, perché in Italia c'erano state stragi impunite?"
"Parecchie, Signore. E tanti altri casi misteriosi. Per esempio, nel 1980 era esplosa una bomba a Bologna, una città governata dal Partito Comunista: 80 morti. Il processo andò avanti per vent'anni, e alla fine condannarono un paio di fascisti. Ma restavano molti misteri. E a questo punto arrivammo noi, con l'Operazione Stay Besides".
"E cioè?"
"Qualche suo collega andò a spulciare in un cartone di un vecchio Servizio Segreto Italiano – lì si trova qualsiasi cosa, a cercarla. Si scoprì infatti che c'erano indipendentisti palestinesi a Bologna quel giorno".
"Ma Bologna è una città molto grande, no?"
"Sissignore. In ogni caso venne confezionato un articolo sulla «pista islamica». Fu pubblicato sul peggior Giornale italiano e lì sarebbe rimasto, Signore, se noi blogger filo-Bush non gli avessimo dato una spinta".
"E qualcuno se l'è bevuta?"
"Signore, era solo l'inizio. Nei mesi seguenti dimostrammo che l'ordine di assassinare Aldo Moro era partito dal noto nazista Arafat".
"Aldo Moro?"
"Che l'assassinio di Pier Paolo Pasolini era la naturale conseguenza di una fatwa proclamata da un oscuro Ulema di che aveva avuto una sincope assistendo a una proiezione del Fiore delle Mille e Una Notte in un cinema per adulti di Alessandria d'Egitto".
"Pier Paolo Pasolini?"
"Che la strage del Cermis era stata provocata da un kamikaze siriano che si era rotolato nella neve causando una valanga che aveva trascinato con sé i tiranti della funivia, malgrado l'eroico sforzo dei piloti USA di salvare i passeggeri…"
"Stop. Stop. Io non so chi sia questa gente, Taddei. Non ne ho sentito parlare. Per me potrebbero essere tutte frottole (**)"
"Certamente, signore".
"Perché non erano frottole, vero?"
"Non lo so, signore. Io linkavo, copiavo, incollavo".
"Ma eri sicuro delle notizie che linkavi, copiavi, incollavi?"
"Ero sicuro della Causa, Signore. La Causa prima di ogni cosa".
"Taddei, guardami negli occhi. Hai raccontato altre bugie?"
"Per la Causa, Signore. Per la Causa".


(*) Lui in realtà dice: "All-american ears"
(**) "Bullshit"
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Ma poi come andrà a finire, il povero Teddi? Scomparirà in una nube di bile, o sarà in grado di riprodursi? Gli capiterà mai di arruolarsi per una di quelle guerre che sostiene con tanta convinzione?

Il ritorno di Teddi, il Neocone.

Quel mattino Taddei Abramo detto Teddi, il Neocone, ebbe un risveglio difficile.

Forse per via della pizza ai peperoni, o della lunga sessione serale al PC – sì, ma ne era valsa la pena. Il suo attacco a un blog sinistroide era diventato, paragrafo dopo paragrafo, un vibrante atto d'accusa contro i pacifisti neofascisti neocomunisti antiamericani e antisemiti. AmericaMyLove, IlikeAmerica e AmericaIsMyCountry lo avevano lincato immediatamente, il contatore era schizzato, e un centinaio di lettori entusiasti erano venuti a complimentarsi nei commenti. Più qualche idiota di troll antiamericano e antisemita, prontamente ridicolizzato. Che serata di gloria.

Poi evidentemente i peperoni, rimasti fino allora in sonno, avevano cominciato a lavorarlo ai fianchi. A un certo punto Teddi aveva quasi rischiato di addormentarsi sulla postazione, il naso schiacciato sui pulsanti H e J. In un qualche modo era riuscito a spegnere tutto e a raggiungere la camera, buttandosi sul letto senza neanche lavarsi i denti. (Fortuna che Teddi era solito scrivere i suoi vibranti pezzi già in pigiama).

Seguirono sogni inquieti. Non uno. Non due. Una notte intera trascorsa in fantasie affannose e angoscianti – ma vaghe, impalpabili, nulla che Teddi riuscisse a mettere a fuoco. Solo verso la fine dell'incubo un uomo arrogante gli era entrato in casa, e adducendo folli argomenti, aveva iniziato a murare Teddi vivo nella sua stessa camera da letto. Nel sogno Teddi aveva urlato cose orribili e irreparabili, e poi si era svegliato, forse...


...E ora ecco Teddi a rapporto, sudato, nel suo pigiama red-white-and-blue, sulla sua cyclette di ordinanza.

"Agente Bar a rapporto, signore".
"Riposo, agente".
"Grazie signore".
"Riposo non significa che devi smettere di pedalare".
"Certo signore, mi scusi, signore".
"Hai avuto un sonno inquieto, lo sai, Bar?"
"Così sembra, signore".
"Vorresti per una volta lasciar perdere il «signore»? Non sei un marine dell'esercito, Bar, sei solo un CoPro della Cia".
"Signore, mi lasci dire quanto sia per me un onore e un privilegio poter servire…"
"Bla bla bla. Bar, se ti pagassimo un dollaro a parola saresti ricco, lo sai?".
"Lo so bene, Signore".
"Ho dato un'occhiata alla tua scheda, mentre eri di là. Tu sei stato uno dei primi blog italiani sul nostro libro paga. Prime sovvenzioni occulte già verso la fine del 2005. Vent'anni di onorata carriera. Complimenti".
"Signore, all'inizio mi pagavate un cent ad accesso. Non ci coprivo le bollette. Era più un hobby, una passione".
"Una passione, eh?"
"Sissignore, ho cercato di guadagnarci. Sono forse stato l'unico? Tutti cercavano di aprire blog tematici a fini commerciali, in quel periodo. Chi lo apriva sulla tv, chi sul calcio… argomenti fin troppo inflazionati, da noi. Ma nessuno aveva ancora pensato…"
"All'America".
"La terra del Libero e la casa del Bravo".
"Più o meno, sì. Così sei riuscito a farti finanziare un blog dalla Cia".
"È stato facile, Signore. Ho scritto una mail a Langley, e mi avete risposto".
"Trovo difficile crederti, Bar".
"Ha ragione, signore. Un povero cittadino italiano come me, con un misero blog stellestrisce, cosa aveva da offrire alla più grande democrazia del pianeta?"
"Ci hai mentito. Ci hai scritto che sapevi l'arabo e non era vero".
"Una piccola licenza, signore".
"Hai sfruttato le debolezze del nostro sistema. Sapevi che la Cia cercava ovunque arabisti a poco prezzo, e ti sei venduto come osservatore sul fronte medio-orientale. Ci abbiamo messo anni a capire che ci rifilavi le rassegne stampa dei blog italiani filo-arabi. Eppure lo sai che noi anglosassoni non tolleriamo le menzogne".
"Tranne quelle a fin di bene, signore".
"Già, già. Nel frattempo ti sei messo in bella mostra sul network dei blog italiani filoUSA. Hai partecipato a tutti i flame più importanti. Hai gettato discredito su tutti i principali blog antiamericani, e qualche schizzo è arrivato anche ai giornalisti e comici di professione. E per tutto questo ti pagavamo".
"Un cent, signore. Un misero cent ad accesso".
"Ne hai fatta di strada da allora, eh, Bar?"
"Signore, non mi lamento".
"E tanta ancora ne farai. Continua a pedalare".

(Continua)
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A less dangerous mind

Ancora quella vecchia storia. Vabbè, come si dice, posso spiegarvi tutto.
Naturalmente non mi feci esplodere, quella sera; la ragione ufficiale, verbalizzata da Arci nel rapporto al comitato centrale, fu "troppa poca gente". In realtà mi ero cagato in mano un'altra volta.
Come a Napoli due settimane prima – l'idea di farsi esplodere durante la simulazione di un attentato, per aumentare il caos, fu un parto geniale di Arci; cui purtroppo non corrispose una realizzazione efficace da parte mia. Ora, due cilecche su due sono una media disastrosa per un kamikaze; per cui non fui molto sorpreso di sentirmi scaricare dal comitato. E siccome altri volontari per ora non si trovavano, la strategia della tensione fu aggiornata a data da definirsi. Sì, mi rendo conto che suona tutto molto dilettantesco, ma a quel tempo eravamo solo una giovane organizzazione segreta ancora ignara del suo destino di fondatrice del Teopop.
Per darvi un'idea del grado di dilettantesimo, considerate che era nato tutto da un blog.
Il mio blog, già.

Uno dei primi in Italia. Niente di speciale, pensierini in libertà, qualche esca per le femmine, un po' di politica. Ecco. Fu la politica a fottermi.

Era il 2001, e SB aveva appena vinto le elezioni. Tirava una brutta aria, e di lì a poco George II doveva venire a Genova per un summit. Lo sapevano anche i sassi che ci sarebbe stato un enorme casino. Ma i sassi non avevano ancora aperto un blog (nel 2001). Io sì.
Feci in modo di trovarmi là, affettando una coscienza politica che, beh, tutto sommato, chissà se avevo davvero. Ma la politica è come la squadra del cuore, non è vero? Più hai paura di non crederci, più ci devi credere. I blog lo sanno. I blog sono i gabinetti dove ognuno scoreggia e annusa le proprie opinioni – e quelle dei compagni di latrina. Io avevo scelto il cesso pubblico in fondo a sinistra, e da lì in poi ci dovevo credere; e più cresceva la puzza intorno, più forte doveva essere la mia fede. Sì, mi rendo conto, siamo a un basso livello di metafore stasera, ma tant'è.

Nei tempi lunghi la mia scelta si rivelò perdente. Pare infatti che i blog fossero roba di destra. A sinistra, la gente preferiva esprimersi sui forum, i newswire, i quotidiani, i dvd allegati alle riviste di geopolitica, e persino le riviste medesime, a s-celofanarle. Insomma, un blog di sinistra in sé non lo cagava nessuno, la sola idea di farsi notare con un mezzo simile era demenziale, e dubito di averla nutrita consapevolmente mai. Ma che altro mai avrei dovuto scrivere? Critica televisiva? Gossip? Esegesi biblica? Ancora ganci per ragazze? Troppo tardi, ero stato agganciato io.

La politica, invece, mi veniva spontanea. La politica è una droga. Che bisogno avevo di parlar male di neoconi, ex-socialisti, israeliani, radicali, in pratica di tutte le lobby più vendicative di questo mondo? Che bisogno avevo di atteggiarmi a estremista extraparlamentare, quando nella realtà quotidiana ero solo un timido maestrino rispettoso della legge e dell'ordine? Nessun motivo, a parte l'istinto di autodistruzione che sta nel fondo di ogni cuore tossicomane. Io anelavo a finire bruciato vivo in un flame, coi troll che mi rosicavano le carni, ecco cosa.

Era un periodo di grandi frustrazioni non solo per i blog di sinistra, ma per la sinistra in generale. La botta peggiore fu la clamorosa seconda vittoria elettorale di Bush II, nel novembre del Quattro. Alla coscienza di un europeo standard sembrava incredibile che quella bertuccia, arrivata alla Casa Bianca per un inghippo di schede, venisse riconfermata a stragrande maggioranza per altri quattro anni. Il tutto grazie a Bin Laden, naturalmente. C'era da impazzire, e quale luogo migliore di Internet per impazzire? Io organizzai una riunione permanente coi miei lettori sull'annoso tema: "perché la sinistra perde sempre?" Poteva sembrare la trovata di uno che ha ormai esaurito gli argomenti. Ma da quei colloqui nacque un gruppetto di azione, che poi confluì in un movimento, che poi si scisse in vari tronconi, uno dei quali si fuse con altre corporazioni che presero il nome di Teopop. Nel gruppetto originale c'era Defarge – di cui dopo il processo fu cancellata quasi ogni testimonianza digitale. E c'era Arci, ricercatore in sociologia, che era entrato nel movimento per studiare quelli che lui chiamava i "rapporti sessuali verticali" – e non ne era più uscito. I casi della vita.

Ora non ricordo esattamente chi fu a concepire per primo l'idea dei kamikaze, se Arci o Defarge. Ma so che entrambi caldeggiarono fortemente la mia candidatura.
È vero che io attraversavo un periodo difficile, più o meno da quando passando in clandestinità avevo chiuso il blog. Avevo creduto di diventare una persona migliore, passando dalla scrittura all'Azione. Avevo creduto di essermi liberato del blog, uh, illuso. Come guarire un alcolizzato dissanguandolo. In realtà avevo attraversato tutto il 2005 esangue, senza più opinioni da regalare al prossimo, un morto ambulante. La mia donna aveva smesso di stimarmi ed era tornata al suo paese. Il lavoro non mi dava più nessuna soddisfazione. In quella situazione, farsi saltare in aria in un gesto di guerriglia psicologica non doveva sembrarmi una cattiva idea. Per non parlare delle 72 vergini, che, a priori, non mi sentivo di escludere.

E poi, certo, è un brutto momento quando ti rendi conto che neppure questo, sei in grado di fare. Non eri Einstein, non eri Paolo Rossi, e non eri nemmeno il kamikaze che avrebbe fatto scoppiare la guerra di religione in Italia. Non è stato facile, ma ok, ci sono passato. E quindi?
Cosa ci si aspetta da me, adesso?
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L'appuntamento

Caro Leonardo,
ho deciso che d’ora in poi ti darò del tu. Questo mi farà sentire meno solo, ma soprattutto, potrà farmi comodo in sede d’inquisizione, dal momento che scrivere messaggi a un amico per ora non è peccato (gestire un blog clandestino su un vecchio protocollo di origine usastra probabilmente lo è).

Mm, ricordarsi di cancellare quanto scritto sopra.

Caro Leonardo, dicevo,
ecco, adesso mi sembri davvero un vecchio amico a cui avevo dato un appuntamento, “vediamoci tra 20 anni”, e lui, incredibilm, è arrivato. Mi era già capitato nella vita di dare simili appuntamenti a me stesso, e li avevo mancati tutti. Per esempio lavolta che mi feci Sorbara-Portovenere in bici e tenda, era il 1992, e pensai “tra dieci anni ci riprovo”, e dieci anni dopo non avevo nemmeno una bicicletta. Perché il futuro è fatto così, ti delude sempre.
Il bello è che quando ‘chiusi il blog’, vent’anni fa (in realtà non chiusi niente, smisi solo di scriverci), non ci credevo davvero, era solo una specie di scherzo, una provocazione, adesso non mi ricordo. Volevo vedere cosa succedeva.
In effetti, credo che quella fu la mossa più paracula di tutta la mia carriera.
Furono poi i commenti a far degenerare la cosa. Io non avevo mai voluto aprirli, e li abilitai per quell’ultimo messaggio, in cui salutavo tutti. Nel messaggio mi limitavo a dire che per un po’ non avrei scritto più (20 anni o “anche meno”), ma nei commenti si scatenò il panico. Man mano che la gente veniva, e vedeva la colonna di commenti spaventati, si autoconvinceva: “oddio, questo fa sul serio”. E mi autoconvincevo pure io: “oddio, sto facendo sul serio”.

In realtà, come scrisse qualcuno, avevo voluto assistere al mio funerale: e ora vedevo la gente che piangeva e che non riusciva a darsi pace (e anche quelli che sotto sotto sghignazzavano e si fregavano le mani, certo). Una cosa molto adolescenziale: dire che avevo già passato i trenta. A quei tempi eravamo tutti un po’ bamboccioni, del resto.
Ma non pensavo davvero che sarei rimasto per tutto questo tempo lontano da te, Leonardo. Doveva essere solo una pausa di riflessione. Poi, lo sai anche tu come vanno i casi della vita. Per qualche tempo ho scritto in altri blog, un po’ qua un po’ là. In seguito le cose precipitarono, ci fu la Catastrofe, la guerra, mi sposai, entrai nello staff di Defarge, ebbi un bambino, il colpo di Stato, il colpo di mano, il Teopop, mi risposai, la rieducazione, e adesso eccomi qui, in uno scantinato di San Petronio, mentre fingo di lavorare al Progetto Duemila.

Per molti anni, se debbo essere sincero, non ho più pensato a te. Mancava la luce per il frigorifero, l’idea di usarla per un blog aveva un che di osceno. Mi sei tornato in mente piano piano: soprattutto quando il Teopop ha cercato di rendere i videoblog obbligatori. La cosa non ha funzionato molto: la gente continua a preferire i frigoriferi. E li capisco. Ma qui al Progetto di luce ce n’è abbastanza, e nessuno ci fa caso se ne uso un po’ per…
Ecco, ho parlato troppo presto, sta arrivando il fattorino con le candele. Per oggi direi che abbiamo finito. A domani.

Tuo Immacolato

Ps: ti voglio tanto bene.
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Va bene: e adesso che ho ritrovato il blog, e l'ho pulito di vent'anni di incrostazioni di spam, che ci faccio?
Se fossi un po' saggio, lo chiudessi una volta per tutte. In fondo se sono riuscito a trovare il vecchio World Wide Web io, da solo, in questo sgabuzzino che è il mio ufficio, può riuscirci chiunq. Anche un informatore del Ministero. Proprio adesso che tutti i peccati a mio carico sono stati archiviati.

Certo che gli informatori del Ministero, per quello che li pagano, hanno senza dubbio di meglio da fare che usare le ore di luce elettrica per caricare un vecchio protocollo degli anni '00, e mettersi a cercare sovversivi di mezza età in mezzo alla spam. A rischio di venire tracciati a loro volta da un altro informatore. No, tutto sommato credo che scrivere qua sopra sia più sicuro che in un diario a casa mia, col caos che abbiamo in famiglia in questi giorni. Ci sono più probabilità che un informatore mi capiti in casa e mi peschi con un diario nel cassetto che qui, sul caro vecchio WWW.

Buffo, però, usare Internet per stare da soli.
Tutto il contrario di vent'anni fa.
O forse no.
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Aggregatore della Domenica

Mi piacerebbe iniziare con una buona notizia, ne abbiamo? Ne abbiamo.

Banca Intesa non fornirà più finanziamenti al commercio di armi, forse. il gruppo vuole rispondere anche a un'esigenza espressa da ampi e diversificati settori dell'opinione pubblica, che fanno riferimento a istanze etiche sia laiche sia religiose. Sono cose che vanno incoraggiate.

Così come va incoraggiato chiunque, martedì 30 marzo alle ore 21, verrà a sentire me, i Polaroidi e il grande vecchio Blogorroico allo Juta café di Modena, in Via Del Taglio (vicino alla piazzetta della Pomposa). Presenteremo Blogout, un libro che non si presenta mai abbastanza. Venite, venite.

***

L'ultimo pezzo Contro la Lingua italiana ha scatenato una ridda, un pandemonio (si dice "pandemonio" quando mi scrivono più di due persone):

d'accordissimo con te nella battaglia contro gli ipercorrettismi, ma pignoleria mi impone di precisarti che "sono tornato aroma" a Roma non è un ipercorrettismo, ma una forma dialettale. E' noto infatti che i romani hanno in uggia le doppie erre (il famoso adagio "guera con una ere è erore") e ciò vale anche per il raddoppiamento fonosintattico. Aggiungo
che non tutti i dialetti del sud raddoppiano tutto: raddoppiare dopo il da, per esempio, è esclusiva toscana. ciao


Credo che l'italiano non preveda raddoppiamenti dopo il "da". Oh, ecchissene (notate in questa parola due raddoppiamenti corretti).


***

Io non so neanche se il blogging italiano sia così in ritardo. Posso raccontare la mia storia, interessa?

Due anni fa io mi consideravo un po' più informato della media, perché navigavo su Internet e consultavo vari siti d'informazione. Inoltre avevo un blog.

Un anno fa io mi accorgevo di essere molto meno informato della media, perché passavo sempre più tempo on line sui blog, interessandomi più dei fatti altrui che delle vere e proprie "notizie". I siti d'informazione li scorrevo molto più velocemente. Ero molto più attratto da polemiche e commenti.

Oggi mi accorgo di essere un po' più informato della media, perché nella lunga distanza ho selezionato una discreta quantità di blog che mi riportano le notizie meglio dei siti d'informazione ufficiali. Questi ultimi, quando li sfoglio, mi dicono solo cose che so già.

Faccio un esempio. Io so che la settimana scorsa Berlusconi ha detto che Al Quaeda sono solo quattro beduini. Questa notizia, in Italia, non è passata tanto. Io l'ho trovata da Lia. Per inciso: l'Islam come lo racconta lei non ce lo sta raccontando nessuno. Qualcuno, un giorno, dovrà prendersi la briga di pubblicarla.

(Sullo splendido tempismo di Berlusconi, che 'sfida' i beduini proprio sotto Pasqua, valgono le riflessioni di due anni fa).

Altro esempio. Il caso della stagista di Ivrea esclusa a causa del velo islamico: quante ne avete sentite sui media ufficiali? Una buona percentuale sono stronzate. Come faccio a saperlo? Leggo Pfaall. (Vedi anche sul caso del quattordicenne kamikaze in Palestina).

Oppure. Mettiamo che a me interessi qualcosa dei radicali. In realtà no, ma un sacco di blog che leggo s'interessano dei radicali. Qui Brodo, se ho ben capito, denuncia le infiltrazioni fascistoidi. Qualcosa del genere sul redivivo Wash it on post (per chi non lo sapesse, fu uno dei primi tentativi di blog-aggregatore: adesso è il blog in cui Wile, bontà sua, si ostina a dialogare coi Neoconi).

Quindi: i blog fanno bene o male all'informazione? Non lo so. Nel mio caso va a periodi, vi terrò informati.

***

E' vero: linco sempre gli stessi. Col tempo mi correggerò, ma volevo segnarmi un appunto.
Sembra un blog quieto e minimale, inoffensivo, ma è fondato sull'angoscia. E sul precariato. L'angoscia è la sua musa. Quella sensazione di cadere in moto rettilineo permanente. Non c'è rete, non c'è fondo. E' sempre lei.

***

In realtà, col tempo ti selezioni un gruppo di lettori abbastanza sintonizzati sulla tua lunghezza d'onda, che si beve qualsiasi cosa (quasi). Si rischia un po', invece, a mettere un pezzo su Macchianera : rivalità, livori, ma soprattutto un sacco di gente che dice: "Mbè? E chi è questo?"

Qualche settimana fa andava di moda cominciare i pezzi così: "ero al ristorante e ho visto Scalfari..." "Facevo la spesa e ho incrociato Veltroni..." "Pat Metheney non riusciva a ricaricare il cellulare"... il massimo del provincialismo, anche se non dovrei dirlo io. A un certo punto ho voluto contribuire, e ho scritto:

Mi chiama Dio al telefono, mi chiede se ho impegni in serata.

Con quel che segue... Beh, uno ha commentato:

Bello, troppo lungo e troppo fine.
Leo sei vecchio.
Va adattato per i neoblogger: più sesso, più ritmo, più provocazione, meno da leggere, meno da capire.

CLONE POST:

Mi chiama al telefono Dio, mi chiede se ho impegni in serata.
“In effetti avrei altri cazzi per la testa, volevo trombare Simona, certo che sei un bel rompiballe..”


Il resto è qui.
Ho paura che fili meglio il clone...
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A questo punto qualcuno si sarà anche chiesto:
Ma perché Leonardo non ha i commenti?

# 30: I sanitari dell’Alma Mater

(PARENTAL ADVISORY, explicit lyrics)

Io, se ci ripenso, ho fatto l’università in un contesto alquanto sudicio.
Le sale studio in particolare. I cessi delle sale studio per la precisione. Scritte zozze, fango, peli, acqua marrone, si stava come suini sul camion. A volte non c’era il bidet: qualcuno per protesta usava il lavabo.
Tuttora, quando il bisogno impellente mi porta in autogrill di seconda categoria, o nell’orinatoio di una stazione o di un centro sociale, sento che qualcosa nel mio profondo si smuove, come letame appena rivoltato (una scatologica madeleine), e mi trovo a esclamare, senza vergogna: “oh, che è, l’Università degli studi di Bologna?”

Ai miei tempi il laureando in lettere occupava un piano molto basso della piramide sociale. Non così basso che non ci fosse qualcuno messo peggio: i laureandi in Filosofia. Più già ancora quelli del Dams. Poi i pancabbestia. Poi i cani dei pancabbestia, quelli che in realtà se la passano meglio di tutti. Tutte queste categorie dividevano la stessa isola pedonale, studiavano, mangiavano, spacciavano fumo e biciclette negli stessi ambienti. E pisciavano negli stessi servizi.
L’idea che l’umanista sia un parassita della società di solito è un retropensiero, una cosa che si ha pudore a manifestare. Ma Bologna, sotto questo punto di vista, non aveva pietà. Vuoi fare l’umanista? Impara a vivere come una piattola. L’alternativa è la progressiva nazificazione: transitare in via Zamboni a testa bassa, portarsi l’acqua minerale da casa, imprecare sottovoce ai bonghisti delle tre del pomeriggio.
(Una cosa che mi fa sentire vecchio è il sottotitolo di Inkiostro, “uno studente bolognese”. Si sente che è passato del tempo. Io ai miei tempi non mi sarei mai definito uno studente bolognese. Non dico che ci fosse nulla da vergognarsi, ma era qualcosa da esibire il meno possibile, come una panda bianca arrugginita, un cesso sporco, il lavello quando non sciacqui i piatti da tre giorni. Questa era Bologna).

Dopo aver studiato laggiù, il resto del mondo sembrava un posto più pulito, diciamo pure più fighetto: lavoro non te ne danno, ma le pareti sono marmorizzate o color pastello, e i sanitari odorano di timo e di lavanda. E un po’ ti manca, la città delle piattole. Quegli odori, quei colori (il giallino, soprattutto).
Poi un bel giorno torni sotto quel portico e ti rendi conto dell’amara verità: non era la città a essere sudicia, era la tua generazione. Là dove c’era l’assemblea permanente dei bonghisti adesso ci sono tre, quattro camionette della polizia. Qualcuno ha strappato i manifesti e ritinteggiato tutti i muri. Il vecchio bar dello studente, un postaccio dove il caffè costava 600 lire e i camerieri ti chiedevano di buttare le cicche per terra, ora è un mediacenter strafighetto. E tu non puoi più pisciare, all’Università. Ovunque vai, c’è bisogno di un’esclusiva tessera magnetica, e tu non ce l’hai, sei escluso. Questo sì che è uno choc.

In questi casi tocca fare così: ci si appoggia al muro di fianco, col fare noncialante di un Joe Falchetto, e si aspetta che qualcuno munito di tessera arrivi, sospinto dal medesimo bisogno che vi ha portato lì. Quel che rende piccante la cosa è che all’Università i bagni tendono a essere bisex (perché?).
Quando alla fine arriva la ragazza – statisticamente è sempre una ragazza – ed estrae la preziosa tessera, occorre farle notare, con un’occhiata gentile, che si avrebbe tanta voglia di entrare con lei, tanto là dentro c’è posto per tutti.

La società del controllo è anche questo: doversi munire di una carta magnetica per pisciare.
“Ma almeno adesso l’ambiente si è ripulito, no?”
Sì e no. Prendi le scritte sui muri. I piccoli annunci di prestazioni sessuali. Finché l’Università era aperta al popolo, uno poteva anche ipotizzare una genìa di maniaci che venissero lì apposta. Ma ora non ci possono essere dubbi: sono i laureandi in lettere a offrire i loro corpi ad altri laureandi. Magari è quello stangone biondo al tavolo di fronte, che sta compulsando Cino da Pistoia: tra un po’ si alzerà, andrà in bagno, estrarrà una bic dai pantaloni e scriverà: offro pompini con ingoio, chiamate xxxxxxyyyx. Beh, fatti suoi, dopotutto.
Ma è possibile che tra le scritte sui cessi dell’Università e su quelle di una qualsiasi stazione non ci siano sostanziali differenze di stile? Nessuno che scrive endecasillabi a rima baciata, parolacce tratte dall’Inferno dantesco, distici elegiaci? No, il solito umorismo da cesso standard. E quel modo di dialogare a finestrelle, per esempio:

W i Korn!

I
I

SFIGATO, PASSA A STEVE VAI

I
I

PROBABILMENTE SEI UN FROCIO DI MERDA CHE SI ECCITA ASCOLTANDO I QUEEN CON UN CETRIOLO NEL CULO FOTTITI



Questo tipo di interfaccia grafica non vi ricorda niente? Molto prima dell’introduzione delle finestre di commento nei blog, molto prima della nascita dei blog, molto prima della stessa invenzione del World Wide Web, gli esseri umani usavano una tecnica simile per comunicare informalmente nei cessi pubblici.

Ma perché qualcuno sente la necessità di comunicare nei cessi pubblici? Perché non vuole essere visto, (a) e perché vuole comunicare con gente che non conosce (b); e che forse non ha nessuna intenzione di conoscere. Una ben strana modalità di comunicazione. Ma perché no? Dopotutto che c’è di male?
C’è che dopo un po’ le scritte stancano. Sono brutte. Sono volgari. Per una cosa divertente, ci sono dieci stronzate che ti fanno pensare al tramonto dell’occidente. Sembra che al riparo di quattro muretti piastrellati, ognuno di noi riesca a dare soltanto il peggio di sé.

E non si può trovare un modo per ripulire i quattro muretti, trasformarli in un elegante tazebao, limitare gli accessi soltanto a gente distinta, o agli addetti ai lavori? No. L’esperienza dei cessi dell’Università di Bologna ci mostra che è inutile.
Una volta potevamo dare la colpa ai pancabbestia, brutti, sporchi e cattivi. Ma oggi le tessere magnetiche ci inchiodano alle nostre responsabilità. Il troll che perde tempo a sporcare i muri con le sue stronzate, è uno di noi. Se non è proprio dentro di noi. È inutile che diamo la colpa agli altri. Siamo noi umanisti a scrivere quelle cose, nell’intimità dei nostri cessi pubblici. Ci piace. Del resto, siamo umani (forse troppo).

Ma umani o no, ve ne andate da un’altra parte a pisciare. Non a casa mia.

(Il biondone che compulsa Cino da Pistoia è un parto della mia immaginazione, che è malata).
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Il pezzo che segue dimostra in modo inoppugnabile che il blog aiuta a vivere meglio. Non tutti, ma alcuni sì, li aiuta.

(2001)

“Hai poi scritto la lettera?”
“Te l’ho spedita, non hai visto?”
“Aspetta… sì. Ehi…”
“Che c’è?”
“Non arrabbiarti, ma ho trovato un errore”.
“Io non mi arrabbio mai, lo sai”.
“Insomma”
“E posso benissimo sbagliare. Ma dove…”
“Lo hai visto?”
“Non sarà mica quello che credo che sia?”
“Terza riga dal fondo”.
…Non ci credo”.
“Hai scritto sé stesso con l’accento”.
Non ci credo, non è vero”.
“Vedi che ti stai arrabbiando?”
“Non ci posso credere. Tutti, ma non tu!
“Cosa?”
“Insomma, sei simpatica, intelligente, carina, laurea in lettere indirizzo classico, esperienze in campo editoriale, e un bel giorno scopro che sei di quelli con la fobia per l’accento su sé stesso. Dimmi che non è vero. Dimmelo”.
“Stai calmo”.
“… come un qualsiasi maestrino di provincia. E poi? Mi casserai le virgole dopo la e? M’impedirai di cominciare una frase col gerundio? Tutti quei trabocchetti idioti per fare odiare l’italiano a quelli che lo usano? Perché? Perché?”
“Siamo in un open space…”
“Ma lo sai, lo sai, non è vero… che sui dizionari la forma consigliata è quella accentata, che l’accademia della Crusca consiglia di accentare, e poi sei troppo intelligente per non sapere che tra una regola semplice e un’eccezione stupida…”
“…si stanno voltando”.
“… deve vincere la regola semplice. E invece no! Vince sempre la regola stupida! Un giorno un idiota s’inventò questa eccezione senza senso e adesso noi dobbiamo seguirla, “perché tutti fanno così!” E anche tu fai così? Togli l’accento su sé stesso? Lo fai?”
“Certo che lo faccio”.
“E perché?”
“Insomma… lo fanno tutti”.
“Ma tutti chi? Hai solo paura che qualcuno ti corregga, come tu ora stai correggendo me! È la società del controllo! Regole idiote e intelligibili, e delazione universale!”
“Sei paranoico”.
“No. Tu sei paranoica. Tu credi che qualcuno ti correggerà l’accento. Io no. Io non ho paura. E lo urlo anche…”
“No!”
“NON HO PAURA!”
“Sei pazzo”.

(Silenzio)

“Scusa, non so cosa mi prende a volte”.
“Te l’avevo detto che ti arrabbiavi”.
“Non mi sono arrabbiato”.
“Sei diventato rosso e hai sbattuto un pugno sul mousepad”.
“Non ce l’avevo con te. È che… che… questa cosa mi fa impazzire”.
“Se sapevo che ci tenevi tanto…”
“A volte passano anni interi… poi come sempre un bel giorno salta fuori qualcuno che mi rinfaccia quell’accento, e io impazzisco. Sembra che nel mondo la regola giusta la sappia solo io”.
“Bum…”
“Ma c’è sui dizionari. Sulle grammatiche. E poi basterebbe il buonsenso. E invece no. Basta una moneta cattiva a scacciare via tutte le regole buone. E il peggio è che è una tale sciocchezza che mi vergogno quasi a parlarne”.
“Non ti stavi vergognando un attimo fa, urlavi”.
“È come un simbolo del Male, sai? Chi è che ha detto che il demonio è nei dettagli? Ecco, secondo me il Male è nelle piccole cose. Quelle talmente piccole che non vale la pena di parlarne. E giorno dopo giorno… come la goccia d’acqua nel marmo… Tu credi davvero che io sia pazzo? Onestamente”.
“Secondo te l’accento su sé stesso è opera del Maligno?”
“Non l’accento, ma l’abitudine di toglierlo”.
“Pazzo non è la parola giusta”.
“Paranoico?”
“Eh”.

***

(2004)

“Ehi…”
“Sì?”
“Senti, ho notato che tu fai sempre lo stesso errore. Una sciocchezza, un accento…”
“Su sé stesso”.
“…Sì”.
“Non è l’errore, è la forma consigliata. Guarda su tutti i dizionari”.
“Ah sì?”
“Anche la Crusca”.
“Ma…”
“In ogni caso, se vuoi, falli togliere dal revisore: per me è solo una perdita di tempo. L’ho scritto anche sul mio blog la settimana scorsa, si è scatenato un dibattito”.
“Sul tuo blog?”
“Sì”.
“Si è scatenato il dibattito?”
“Sì. C’è chi mi ha dato ragione , chi mi ha dato torto, chi mi ha un po’ preso in giro, chi ha ha approfondito… ho trovato anche gente che ne aveva parlato prima di me. E una che ha detto che La morale, comunque, è che vanno bene entrambe le forme, ma è preferibile quella accentata”.
“Vuoi dire che sui blog per scatenare il dibattito…”
“Sì, ma è divertente. E dire che una volta pensavo di essere la sola persona al mondo ad appassionarsi al problema”.
“Un po’ egocentrico”.
“No, è che effettivamente nessuno che conoscevo poteva interessarsi al problema. Mica potevo andare al bar e attaccar pezza sull’accento su sé stesso. È un problema della provincia: che a volte non sai con chi parlare di una cosa che ti sta a cuore. Finisce che il cervello gira a vuoto, si surriscalda. Anche oggi, sarà si è no una dozzina di persone che ha seguito l’argomento. Non m’interessa mica far conoscere le mie idee alle folle: una dozzina è più che sufficiente”.
“Allora io lo faccio correggere”.
“Come vuoi, di sicuro non ci perdo il sonno..."
"Bene".
"...oggi".
"Eh?"
"Niente".
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Tempo rubato

Caro Sindbad,

mi chiedi dove trovo il tempo, anzi, a chi lo rubo.

Io di solito preferisco calcolare quello che il blog mi ha dato, non quello che mi ha tolto. Ma non posso fingere che esistano voci in perdita: il tempo, prima di tutto. Un sacco di tempo perso, che avrei potuto usare per… per cosa? Vediamo.

– Guardare la tv: in effetti non ne guardo quasi più, da due anni in qua. E credo che sia un bene, visto che si tratta di tv italiana. Ho anche smesso di credere nel talkshow come forma di produzione di senso. (Ero scettico già da prima).
– Uscire di casa, andare a bere delle cose e vedere gente in posti pieni di fumo e casino. Una serie di attività sociali che i maschi tra venti e trentacinque anni compiono con scarsa convinzione, e inconfessata speranza che qualcuno finalmente se li fili. Problema risolto (grazie al blog…).
– Scrivere poesie, racconti, lunghe mail ad amici imbarazzati, e tutta quella letteratura personale che nessuno, comunque, si filava (mentre invece il blog un suo pubblico lo ha trovato).
– Suonare la chitarra. In effetti è da un sacco che non la tiro fuori. Addirittura il basso l’ho prestato e non mi ricordo più a chi. Da non credere.
– Dormire. Sì, forse dovrei dormire di più.

Come vedi, la maggior parte del tempo che il blog mi ha succhiato è tempo libero. E attenzione: non ha smesso di essere tempo libero. Prima mi divertivo (o cercavo di divertirmi) guardando la tv, uscendo di casa, etc. Oggi mi diverto (o cerco di divertirmi) gestendo un blog. Il blog è il mio gioco preferito. Ma secondo te io lo sto trasformando in un mestiere.

in fondo esiste in tutti i blogger un punto di non ritorno, un momento in cui il senso ludico del blog perde la sua forza e si trasforma in professione …lavoro…sudore

Non so se hai ragione, ma in questi anni ho fatto caso ad alcune cose:

– Io non voglio fare soldi con quello che scrivo. Non con quello che scrivo qui. Ma non ho niente contro chi ci riesce.
A volte ci ho anche provato anch’io, e mi è successo questo: i piedi cominciavano a ballare sotto il tavolo, la fronte avvampava, e la pelle mi si copriva di chiazze rosse. Giuro. Quindi ho pensato di trovarmi un altro mestiere. Forse devo ancora trovarlo, ma nel mio curriculum non metterò mai questo sito. Questo è un gioco, davvero. Nel puro senso del termine.

– Questo gioco ha avuto, sin dall’inizio, una componente maniacale. Questo non è affatto strano. È una cosa che succede a molti maschietti: se hanno a disposizione uno spazio libero, amano strutturarlo, darsi delle regole come sei si trattasse di un’attività professionale, o peggio (ho trovato anche qualche esempio: Clutcher, Gaspar). Perché facciamo così? Credo che si tratti di una specie di fobia del vuoto. A certe persone l’ozio dà l’angoscia: hanno bisogno di organizzarlo, trasformarlo in qualcosa di quantificabile e rassicurante. Io sono fatto così. Per esempio: per me è importante postare cinque volte alla settimana. È una specie di regola auto-imposta. Un’altra regola, è che dovrei sempre cercare di interessare lettori nuovi. Per questo motivo guardo spesso il contatore. Quando va bene, sono contento. Quando va male, mi chiedo perché. Ma me lo chiedevo già nell’autunno del 2001, quando gli accessi scesero da trenta a venti al giorno. Il contatore ha fatto subito parte del gioco. In realtà non so quanta gente mi legge: ma so che, grosso modo, ogni tanto il numero di lettori aumenta, e ogni tanto diminuisce. E in ogni caso, non è mai stato un numero particolarmente alto (il contatore mi serve anche per restare coi piedi per terra)

– C’è una componente esistenziale da non sottovalutare: io sono precario. Negli ultimi tre anni ho cambiato parecchie cose: mestiere (più volte), abitazione, eccetera. In mezzo a tanto caos, il blog è restato una delle cose più stabili. E allora forse io ho bisogno di un blog che somiglia a una “professione” perché le mie vere “professioni” assomigliano a tanti hobby: le faccio per un po’ di mesi, imparo quel che c’è da sapere, e poi passo ad altro. Alla lunga la cosa dà anche un vago senso d’angoscia. Ma so che la sera posso sempre scrivere qualcosa sul solito blog. È una delle poche certezze: cerco di coltivarla.

– Non è sempre divertente avere un blog, non sempre quello che scrivo mi piace (figurarsi se piace ad altri). Ma per me scrivere è importante. Non come professione: come libertà. Quando scrivo mi sento libero. Non so se sono libero davvero, ma sento la mia libertà. E ho questa idea (paranoide?) che sia una libertà da difendere coi denti. Se lunedì non scrivessi, non succederebbe niente di particolare. Ma martedì sarebbe più difficile rimettersi a scrivere. Il silenzio, la stanchezza, sono sempre in agguato. Ma se perdo la voglia di scrivere, per me è finita.

Devo lottare. Non solo per avere, tutti i giorni, un lavoro dignitoso: ma anche per avere, tutte le sere, uno spazio di libertà: senza il quale non avrebbe senso tirare a campare. Scrivere è il modo in cui mi respira il cervello. Ma è anche la mia stanza dei giochi privata. Ma è anche la mia libertà.

Naturalmente io so che non posso resistere più di tanto. Un giorno succederà: un giorno non avrò più niente da dire, oppure non avrò tempo per dirlo perché nella mia giornata non ci sarà più spazio per il gioco. Quel giorno comincerò ad arrendermi. Ma deve passare ancora un po’ di tempo, spero.
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Non siamo insensibili alla domanda che da più parti ci viene rivolta, e cioè: "Ehi, sì, tutto molto bello, ma perché non metti i commenti? Eh? E' già da un po' che non dici perché non metti i commenti! Cos'è, hai già finito i motivi per cui non metti i commenti?"

Perché, perché, perché questo blog non ha i commenti? (Quarta puntata di innumerevoli)

#22 (dogma 2004) Una delle regole di questo piccolo sito è che, per quanto possibile, si riassumono le puntate per chi è appena arrivato. I commenti sono un posto dove molte cose accadono di nascosto, fra iniziati. Non mi piace. Davanti a una colonna di commenti il nuovo arrivato si spaventa e scappa via. Io voglio che si senta a casa, come se questo blog fosse nato l’altro giorno.

#23 (confessioni di una mente bacata) Ragazzi, già ci ho la scimmia di shinystat, che se la curva del mese s’ammoscia m’ammoscio pure io. Figurati se poi metto i commenti e una volta ne arrivano dieci e un’altra volta neanche uno. Peggio che l’ansia da prestazione. Fortuna che era un gioco.

#24 (arriva il nostro amico Leo!) Già se becco uno in birreria e mi dice: “Ieri hai scritto una stronzata”, ci rido su, ma sottosotto ci resto male. Sarebbe come aprire una birreria per tutte le cose che scrivo. Stasera piove, meglio se sto a casa.

#25 (questa era divertente tre mesi fa) E mettiamo anche che io apra una birreria, o perlomeno un baretto, bene o male frequentato che sia: e se arriva Filippo Facci a rimorchiare? Eh no. Per il nostro bene e il suo.

#26 (ma ve l’ho mai detto?) Perché sono già fidanzato.

#27 (statistico) perché in tre anni che scrivo su internet mi sono pentito di tre cose che ho scritto sul blog e di nove che ho scritto sui commenti. Qualcosa vorrà dire.

#28 (paranoico! Sempre più paranoico!) Di solito la gente che mi fa questa domanda è da mesi che mi insulta sul suo sito – credendo che non me ne sono accorto, ih, ih. Col cavolo che ti faccio scrivere qui dentro. Ci ho scritto “giocondo” qui? No? Ecco, vedi.

#30 (intollerabili crudeltà) Io faccio delle ricerche, mi leggo degli articoli, ci penso su parecchio, metto il mio cuore a nudo, faccio le ore piccole, poi arriva uno e si lamenta perché la Juventus ha perso in casa. Con tutto che io sarei granata, ma non è questo il punto.

#29 (fighetto) My God, comments are so uncool, so … 2003. Pensate che li ha messi persino Polaroid
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La grande sfida della settimana scorsa era: finirà prima Macchianera di pubblicare le liste dei massoni, o Leonardo a pubblcare i motivi-per-cui-non-ha-i-commenti? Non c'è stata gara, ovviamente.

Ma perché, perché, Leonardo non ha i commenti?

#21. Il Griso
L’altro giorno Il Griso era triste e non sapeva di cosa parlare, così è andato a spulciare Indymedia.

Insomma, per farla breve, quando nelle lunghe sere d'inverno mi rannicchio accanto al fuoco e preferisco evitare di uscire alla caccia di miei simili che la Natura, il cieco Fato, o qualche altra divinità beffarda ha colpito più crudelmente di me, mi vado a fare un giretto su Indymedia.
[…]
-Sì, ma andare a pescare nel newswire non vale! Perchè quello è open publishing, e c'è troppo open publishing in giro. Cioè, l'open publishing sarebbe la ricchezza della rete, però poi ci sono quelli che ne approfittano e pubblicano messaggi sessisti, o fascisti. Che poi magari non sono i fascisti che li pubblicano - comunque: l'ideale è che ciascuno coltivi il suo orticello virtuale e sia responsabile di quel che ci cresce, ecco.
A parte il fatto che è quello che dicevo già io un annetto fa (e non è colpa mia se voi alle cose ci arrivate sempre tardi e sempre col braccino corto)...


È una sensazione mia, è una paranoia mia, o qui il Griso (come sempre simpaticissimo) cercava di prendermi in giro?

Naturalmente bisogna accettare le frecciate, specie quelle simpaticissime, perché ti aiutano a crescere: probabilmente in questo caso mi si voleva rimproverare una certa incoerenza nel mio rapporto con l’open publishing, e un certo affanno nello spiegarmi in italiano. Mentre lui, lui un anno fa aveva già capito tutto. Capito cosa?

Sono andato a controllare. Un anno fa io ce l’avevo con quelli che cercano di dimostrare di essere intelligenti criticando i blog altrui, e cercavo di spiegare il perché. Ma probabilmente mi sono spiegato male, visto che il Griso non ha capito. Del resto in quel periodo lui era occupato a fare una simpaticissima predica a Hans Blix, che sosteneva che non ci fossero armi di distruzione di massa in Iraq, povero merlo.

In seguito c’è stata una discussione con Wittgenstein a proposito del newswire di Indymedia. Ecco, uno dei sintomi di decadenza del presente blog è che l’anno scorso polemizzavo con Wittgenstein, quest’anno col Griso. Non tanto perché W sia un giornalista di un certo successo e il Griso no: ma perché allora una polemica serviva a chiarire le proprie posizioni, e condividerle con altri: dopodiché ognuno era libero di restare sulla sua. Mentre ora ci punzecchiamo su cose arcinote.

Io dicevo che Indymedia non va confusa con i commenti sul newswire di Indymedia. La scorsa settimana ho ribadito: si rischia di confondere Internet con l’open publishing. Non mi pare di essermi contraddetto. Un anno fa, come oggi, io coltivavo il mio orticello virtuale. C’era solo una differenza, che a me sembrava piccola: ogni mio post in calce conteneva il link al forum. Siccome il forum tendeva a sviluppare una personalità tutta sua, io a un certo punto ho ritenuto che il rimando in calce fosse fuorviante, e l’ho tolto. Apriti cielo. Il Griso si è sentito censurato. Letteralmente: riaprici il tombino, che a noi piace sguazzare nel torbido. Notate che io non avevo chiuso un bel niente: avevo semplicemente economizzato un link.

Questa era la posizione a cui il Griso era “già arrivato” un anno fa: tutti hanno un loro giardino, dove gli altri (non lui) sono tenuti a lasciare aperti i tombini, perché al Griso piace sguazzare nel loro torbido (ma non nel suo). Il suo blog, naturalmente, non ha mai avuto né forum né commenti.

Io, invece, che da due anni cerco di trovare una soluzione per interagire coi lettori in maniera positiva (e non la trovo), se metto i commenti vengo accusato di aprire un tombino; se li tolgo vengo accusato di chiuderlo. Ma in maniera sempre simpaticissima, per fortuna.

Allora: un motivo molto importante per cui non tengo i commenti è perché in giro ci sono persone come il Griso, che hanno rispetto solo per il proprio orticello virtuale, e una curiosità ossessiva verso gli orticelli degli altri, a cui attingono ogni volta che si sentono soli e non hanno nulla da dire.

Il Griso continua dicendo che non ha intenzione di criticare Indymedia per i commenti, ma per “l’homepage”: vediamo cosa fa. Trova l’appello per Cesare Battisti, e manifesta il suo dissenso: perfetto, è quello a cui servono i blog.
Poi salta un bel po’ di robe interessanti. Un aggiornamento generale sui fatti di Genova, in cui si dice chi è sotto processo e chi no: se l’avesse studiato un po’, forse avrebbe capito perché molta gente continua ad avere sentimenti ostili verso le forze dell’ordine. E ancora: le acciaierie dell’Ilva; il petrolchimico di Marghera: tutti cose di cui il Griso non parla mai. È proprio sicuro di essere in un qualche modo ‘migliore’ di Indymedia? P2P, fecondazione assistita… il 31 gennaio è stata la giornata europea per la regolamentazione dei clandestini, il Griso lo sapeva? E delle manifestazioni dei bananieri in Nicaragua? No. E gli interessa qualcosa? No, pare che non gli interessi niente. Gli interessa soltanto di trovare qualcosa di cretino per poter sembrare, per contrasto, intelligente e simpaticissimo: e infatti la trova. In fondo alla pagina. La bellicosa dichiarazione di guerra di un gruppuscolo che termina col canonico “appendere un fascista non è reato”. Soltanto che il pezzo, abbondantemente citato dal Griso… è un commento. Cioè: prima aveva detto di non voler prendere di mira i commenti. Poi lo fa. È più forte di lui.

Il Griso vorrebbe tanto scoprire su Indymedia il brodo di cultura dell’eversione di sinistra. Ora, il guaio è che un brodo del genere c’è, come hanno dimostrato le perquisizioni di ieri. Ma non è una scoperta del Griso. È davanti a tutti noi, grazie a Indymedia. (Con l’avvertenza che un terrorista serio si guarderà bene da mettere le sue idee su uno strumento open publishing). Per questo IMC Italia continua a essere un sito molto più interessante del Griso, non me ne voglia. È libero e aperto al contributo di tutti, esclusi fascisti, razzisti e sessisti: una limitazione che molti blog a questo punto troveranno eccessiva. Su Indymedia assistiamo alla guerriglia quotidiana tra estremisti di destra e centri sociali; i migranti reclusi nei CPT; i processi che riguardano anche le forze dell’ordine. Indymedia fornisce un altoparlante a tanta gente che non ne ha: se qualcuno è tanto fesso da usarlo per autodenunciarsi, peggio per lui. Rimangono comunque testimonianze interessanti, anche quando non si condividono.

Il Griso, però, non pare troppo disponibile a interessarsi. Lui cerca solo il materiale per un altro pappappero. Lui fa la predica ai disobbedienti. Non sui commenti di Indymedia, per carità: qualche disobbediente potrebbe sentire. No, lui si chiude nel suo orticello virtuale e perfeziona le sue frecciatine, che piaceranno molto a chi la pensa esattamente come lui. Ecco a cosa servono i blog: non a dialogare, ma a ripeterci le cose che già sappiamo. Come le favole di mamma e papà.

(E dire, per esempio, che una cosa come il Noglobbal Speech Generator) era pure divertente: ma perché non la posti nel newswire? Così, solo per vedere l'effetto che fa. Credi che nessuno sappia apprezzare l'ironia? Credi che nell'ambiente tutti apprezzino le tirate dei disobbedienti?)

E io? Non sto facendo esattamente la stessa operazione del Griso? Non sto riempiendo un post con lui, come lui ne ha riempito uno con Indymedia? Probabilmente sì. Probabilmente dovrei farmi i fatti miei e lasciarlo nel suo brodo (non di eversione). Il fatto è che sono un po’ stanco.

Sì, sono stanco di queste frecciatine, che non aggiungono e tolgono più nulla a quanto ci siamo già detti e stradetti, e che mi sembrano un’insistente richiesta di attenzione. Ma continuare a dialogare col Griso significherebbe spiegargli cosa penso ultimamente di lui. E io non vorrei. Ma se insiste:


Omissis


Io, però, non avevo aperto un blog per giudicare le persone. Specie quelle che praticamente non conosco. E poi mi chiedi perché non ho i commenti. Ma se siamo a questi livelli forse vale la pena di chiudere il blog, altro che i commenti.

Questa faida da quattro soldi, temo, sarà la mia fine. Exit Leonardo, vecchio blog di periferia: una volta tutti gli pronosticavano un glorioso futuro, ma lui ha continuato a frequentare cattive compagnie e ad azzuffarsi per delle sciocchezze. Finché non l’hanno trovato disteso su un tombino, con un commento ficcato nello sterno. Ben gli sta.
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bocage irlandeseQuando vi ho detto che di motivi per non mettere i commenti ne avevo più di sessanta, e li avrei pubblicati dieci alla volta, magari pensavate che scherzavassi. E invece no.

E mi rendo conto che tutto questo smetterà molto presto di essere divertente, ma domattina la sveglia è alle sei, così stasera va così. Enjoy.

Ma perché Leonardo non ha i commenti? Motivi dall'#11 al #20

#11 (Lo dico sempre anche al lavoro) Ragazzi, piano. Io sono uno solo, voi siete ventisei. Non posso dialogare con tutti i ventisei, sennò facciamo notte. Piuttosto facciamo così: voi state zitti e buoni e io vi dico tutto quello che voi volete sapere

#12 (sfigato) Vedrete che il giorno che li metterò quel server lì s’incepperà, come si è inceppato le tre volte che ho provato a metterli. Invece il forum di Quicktopic ha avuto i suoi svarioni, ma funziona. Per favore, portate pazienza.

#13 (paranoico - 2) Perché se voi mi chiedete i commenti e io ve li do, poi mi chiederete anche i feed, e dovrò darveli, e poi, e poi, e poi, non c’è limite alla vostra ingordigia. Gli dai un’unghia e ti prendono un braccio. Le mazzate ci vogliono con voi, le mazzate.

#14 (attacco preventivo) Ho un’altra idea: perché non li togliete voi dai vostri siti? Magari vivremmo in un mondo migliore.

#15 (attacco preventivo, 2) Sissignore, io spesso vado a scrivere commenti su altri blog. Non sono io che sono incoerente, sono loro che mi invitano, coi loro link seducenti (“Commenta…”, “Scrivi un altro commento…”). Un giorno una commissione parlamentare stabilirà che i commenti danno dipendenza, e che i titolari dei blog coi commenti sapevano e non hanno fatto nulla per mettere in guardia i loro commentatori. Quel giorno io verrò a ballare sulle vostre tombe, ahah.

#16 (col cuore nell'altra mano) I blog dei miei amici con i commenti mi danno un po’ di angoscia. Ho paura che si offendano se non li commento. Ho paura che credano che non li leggo. Ehm, a volte è vero che non li leggo. Ho paura che se lascio un commento poi loro risponderanno al mio commento e si accorgeranno che io non sono passato a rileggere la risposta al mio commento. Ho paura. Ho paura. Brutte vibrazioni, brutte.

#17 (ormai questa cosa mi ha preso la mano) Adesso mettiamo che mi rimangio tutto e monto i commenti. E se poi non viene nessuno a commentare, che figura ci faccio? Mettetevi in me.

#18 (diciamolo) Con gli svarioni grammaticali che faccio in queste settimane, non mi pare propio il caso.

#19 (perché ho perso tutto questo tempo quando avevo un motivo così buono?) C’è il problema dello spam. In Italia gli spammatori non hanno ancora scoperto i commenti, ma arriveranno, arriveranno. Una volta sui miei commnenti è arrivata un’offerta per la renault twingo. In America ci sono già dei casini. Credo che bisogna limitare l’open publishing sulla rete.

#20 (mi avete sentito bene) Sì, credo che in Rete ci sia troppo open publishing. Non dico che sia sbagliato, dico che ce n’è troppo e che molta gente rischia di confondere la Rete con l’open publishing. Naturalmente stiamo parlando per massimi sistemi. Però credo che sia meglio per tutti se io resto responsabile del mio piccolo contenuto e voi del vostro. Sono un giacobino (o un girondino? boh): quando sogno l’Internet del futuro, immagino un mondo di piccole proprietà intellettuali, un reticolato di siepi, come la Normandia.

Nota: io a dire il vero i Feed di blogger li ho attivati, ma non funzionano e non capisco il perché.
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Parliamo di blog! Bisogna parlare più spesso di blog! Me l’ha detto il dottore.

C’è questa famosa polemica sui commenti, sul fatto che questo sito non ha i commenti, mentre dovrebbe averli.
In realtà blogger non ha un sistema di commenti. Quando io cominciai a scrivere qui, i servizi esterni sui commenti non esistevano: cominciarono a diffondersi in Italia nell’autunno del 2001. Oggi è pieno di sbarbi convinti che sia nato prima il commento e dopo il blog, come la gallina dall’uovo e il cinema dalla tv, e neanche s’immaginano che una volta tutti i blog non si potevano commentare – e si viveva lo stesso (neanche male, vi dirò).

D'altro canto, oggi sarebbe difficile credere in una blogpalla priva di commenti e commentatori.
Io, però, dopo alcuni tentativi proprio nell’autunno del 2001, ho deciso di fare senza. Perché? Non c’è un vero perché. Cioè, se frugo dentro me ne trovo parecchi. Una sera, aspettando un treno, ho cercato di contarli, ed erano più o meno una sessantina. Così ho deciso che farò così: nei giorni in cui non so cosa fare, scriverò qualche decina di motivi per cui non ho i commenti.

Ma perché Leonardo non ha i commenti?

#1: (paternale) Ma perché ha il forum, sciocchini. (E mi sembra già un luogo abbastanza deviante).

#2: (con la mano sul cuore): Questo affare mi toglie già tanto tempo e tanta fatica. Se montassi anche i commenti, rischierei di stare connesso tutto il giorno a rispondere a tutti quelli che passano. Vi prego, risparmiatemi questo calice. Tengo famiglia. (Cioè, ci terrei a farmene una).

#3: (piccato) Prima pagare, poi commenti.

#4: (didattico) A questa domanda mi sembra di averti già risposto sul tuo blog, nel quindicesimo commento a un post che avevi fatto tre mesi fa, in cui appunto dicevo che i commenti tendono a essere dispersivi e a rendere poco reperibili i frammenti di un dibattito. Cioè, mi sembra di averti risposto così, ma non riesco più a trovare il post né il commento, se lo trovi scrivimi un commento… ah, già, non puoi.

#5: (paranoico) Risponderò, ma prima levati il berretto. Voglio controllare se non hai le orecchie a punta. Internet è piena di gente con le orecchie a punta che mi odia. Levati il berretto. Levati il berretto, ho detto! Guarda che sparo.

#6: (viscido) Perché amo troppo i miei lettori per vederli svaccare sui commenti.

#7: (cybersocialdemocratico) Perché io credo che internet sia una democrazia di uguali, e trasformare ogni post in un potenziale forum significherebbe mettersi sopra i miei lettori. Se i miei lettori vogliono discutere di un mio post, possono farlo sui loro blog: in questo modo il rapporto è orizzontale. Ma non voglio essere il vassallo di un'anche piccola comunità di servi della gleba. Commentatori, affrancatevi dalle vostre catene! Siate liberi! Siate anelli orizzontali di una catena democratica!

#8: (sfacciato) Ragazzi, io voglio essere letto da più gente possibile, per cui voglio essere linkato. Per questo scrivo pezzi controversi e provocatori. Se vi do la finestra dei commenti, voi reagite lì, lasciate il vostro link al vostro sito e me ne andate. Non è quello che voglio da voi. Io voglio che voi reagiate non in una finestrella di commenti, ma sulla main page del vostro sito: che mi linchiate, che trasferiate un po’ dei vostri accessi sul mio contatore. Cosa che già fate, ma non abbastanza. Dovete impegnarvi di più.

#9: (stronzetto) Perché non voglio umiliare Quintostato, che dopo tutto il casino sull’Espresso ecc.., ancora non li commenta quasi mai nessuno. Fossi in loro, anzi, li disabiliterei, ci fan più bella figura.

#10: (reo confesso) Perché non voglio essere umiliato da Personalità Confusa ogni volta che scrive un pezzo e lo commentano in centoventi. Preferisco che la gente mi creda una blogstar. Se solo sapessero.

Per oggi basta
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Dialogo dei Massimi Sistemi, ovvero: la blogsfera e la blogpalla


Massì, parliamo di blog, che è da un pezzo.


Un blogologo di un certo spessore, B. George (Falsoidillio), ha pubblicato su Blogcafé un piccolo galateo in 32 punti. È un ritratto, quasi del tutto condivisibile, di una comunità di persone che accrescono un sapere comune per puro spirito di servizio: la Blogosfera, un mondo che non c’è, e che se ci fosse sarebbe molto bello. (Forse troppo bello. Come certi falansteri in cui ci si annoierebbe a morte).

Il mondo che invece c’è, è un po' diverso e io preferisco chiamarlo blogpalla, dove il suffisso –palla assume una pluralità di significati che non vi sto a spiegare: guardate sul dizionario, voi che ne avete uno. In questo mondo ognuno, a seconda dei suoi limiti e dei suoi punti di forza, cerca di tirare acqua al proprio mulino. Così ho pensato di mettere, di fianco al galateo della blogsfera (opera di Georg), il codice della blogpalla (opera mia). Ecco qui:

Come dovrebbe essere la blogosfera

Com’è, invece, la blogpalla

Se tratti di notizie, cita sempre le tue fonti, che siano altri weblog da cui hai appreso un’informazione o fonti esterne, attraverso link. E’ un servizio a chi ti legge, che ti legge anche per questo.

Metti un po’ di link, meglio a pagine straniere: sembrerà che le hai lette e che sei un blog serio. Fidati, non c’è nessuno che vada a controllare, e poi se non sanno distinguere il Sun dal Financial Times è un problema loro, non tuo.

Pubblica solo fatti che ritieni veritieri. Se invece sono tue supposizioni, dillo.

Evita espressioni come “io penso”, “secondo me”, “a mio avviso”: appesantiscono la frase e ti fanno sembrare poco sicuro delle tue verità. Esprimiti soltanto per frasi assolute, es., non “io penso che i palestinesi siano traviati dalle frange terroriste”, ma “orami sappiamo che i palestinesi sono terroristi”. (Mi raccomando la prima persona plurale!)




Rettifica pubblicamente le informazioni errate che hai dato.

Fa finta di niente. Oppure cambia discorso. Mostrati sicuro e penseranno che hai ragione, sono dei pecoroni.




Dichiara i tuoi eventuali conflitti di interesse (ad esempio, non presentare in modo ammirato un nuovo prodotto o evento o qualsiasi cosa solo perché qualcuno scopra che ci hai lavorato tu).

 

Conflitto d’interesse? Berlusconi fa il presidente del Consiglio e un poveraccio che reclamizza un librettino con un blog personale va in conflitto d’interesse? Tienti pure la pagliuzza nell’occhio, e piuttosto sta attento, con le travi che girano.

Segnala se la fonte è di parte, non far passare per oro colato le opinione partigiane.

Fa tutto brodo, non ti preoccupare, pensa che c’è gente che crede che informazionecorretta sia un sito super partes (ah, ma l’ha detto l’Unione Europea…)

Non usare la tua pagina per fare propaganda alle tue idee: perdi credibilità. Riporta anche le opinioni diverse dalle tue. Ti leggono anche per questo. Non sei il papa.

Il motivo per cui hai un sito personale è proprio che credi di aver perso (ingiustamente) le elezioni da Papa. Ma qui ti puoi rifare: puoi creare le tue verità, puoi mostrarti credibile, e più grosse le spari più la gente verrà a trovarti. Anche solo per curiosità. Fidati. E magari al prossimo conclave ci faranno un pensierino.

Non falsificare le posizioni degli altri per vincere una discussione.

Non perder neanche tempo a leggere le loro posizioni. Chiamali subito con nomignoli sgarbati, funziona. Insisti sui dettagli inutili finché non perdono la calma e t’insultano, poi sfoggia gli insulti come medaglie.

Rispondi alle critiche motivate e alle argomentazioni altrui, riportandole o linkandole sulla tua pagina.

La gente deve leggere te, non loro. Se ti lincano è un punto per te, se li linchi è un punto per loro. Gli puoi concedere giusto un link tuo ogni cinque link loro.

Discuti i fatti, o le opinioni, mai le persone.

Se ha un blog e un’opinione è senz’altro è un segaiolo. O un adolescente sfigato e patetico o un vecchio scemo. Le donne di solito sono isteriche, mestruate o pre-, o in menopausa. Dacci dentro, s’incazzano sempre, è più forte di loro. E quando s’incazzano ti lincano. Ed è un altro punto per te.

Comprendi il valore della diversità e dedicati al diritto di ognuno di esprimerla. Quelli che la pensano come te sono come te, il che alla lunga è una noia.

Infatti alla fine tu leggi solo i blog di chi non la pensa come te, per fargli le pulci. Quelli che la pensano come te sono indubbiamente dei pirla, non vale neanche la pena di perder tempo.

Avere un blog arricchisce soprattutto te, in modi di cui spesso non ti rendi conto. Comportati con rispetto verso chi ti arricchisce gratuitamente.

È il tuo piccolo mondo segreto, rutto e scoregge liberi, puoi finalmente insultare degli sconosciuti e nessuno ti verrà a pestare. Dacci dentro! Se non ti sfoghi qui, dove?

Ci sono casi in cui nessuno ha ragione e le opinioni sono irrilevanti.

L’importante è avere un’Opinione, sempre. Il mondo andrà a rotoli e tu potrai dire: “io l’avevo detto”.

Non inviare commenti e non postare quando sei arrabbiato. Punto.


Se la finestrella dei commenti assomiglia a una chat line ci sarà un motivo. Dacci dentro, è il bello del gioco.

Una volta che hai detto la tua, rilassati. Non stare a ribadirla 30 volte, specie in una finestra di commenti.

Alla fine di tutto quello che rimane sono i flame. La gente viene a leggerti perché a furia di trovare il suo nome in un flame si è incuriosita. E più sei fastidioso meglio è.




Non devi sempre dire la tua opinione. Alle volte un bel silenzio aiuta (te, prima di tutto). In particolare, perché parlare se ciò non fa che aumentare inutile animosità? Che utilità ha per un lettore vederti litigare? Se almeno organizzassi delle scommesse…




Vedi sopra: l’Opinione è l’unica vera cosa. Ma anche questa idea delle scommesse, non è male. Per esempio, si potrebbe fare una gara a chi trova più foto di bambini morti in Iraq… o in Afganistan… oppure…

Scrivi sapendo che non devi mai cancellare nulla, né di ciò che hai scritto tu, né di ciò che hanno scritto gli altri. Cancellare la memoria è subdolo. Quindi pensa prima di scrivere, non dopo (ok, correggere gli errori di sintassi è ammesso).



Effettivamente devi stare attento, fuori è pieno di cecchini che sono in grado di attaccarsi a un apostrofo sbagliato per mesi. Ma la regola d’oro è sempre la stessa: non dire una puttanata, dinne una valanga. Una puttanata sola può essere oggetto di discussione , ma nessuno è in grado di opporsi a una valanga. Non resta che scappare di corsa.

Non essere incontinente: in certi casi è meglio contare fino a 100 prima di scrivere, o anche farsi una passeggiata.

Svelto, che arriva uno meno riflessivo di te e ti frega l’argomento. Tanto in fondo si tratta di solo di coniare slogan: il primo che ti viene in mente è sempre il migliore.




Rispondi agli attacchi personali ignorandoli. Non rispondere a tono, anche perché chi ti legge darà immancabilmente ragione a chi ti ha attaccato. Se proprio non riesci a stare zitto, riporta la discussione sui fatti.




Se non fai almeno una polemica personale al mese la gente si annoia, e lo sai. Che tengano per te o per l’altro non ha nessuna importanza: più li infastidisci più verranno a leggerti. Fingi sempre che non sia una questione personale, bensì una grande battaglia per le idee.




Accetta di buon grado che qualcuno ti prenda in giro o ti faccia una parodia. In genere, lo fa per il tuo bene, e hai da imparare. Probabilmente devi tornare coi piedi per terra.

Eh no, Georg, brutto puzzone. Adesso tu t’incazzi con me e mi linchi, altrimenti io non gioco più. Ecco.

Non farti coinvolgere in guerre o in litigi prendendo le parti di questo o quello. A chi legge e non ha un blog queste cose non interessano.

Ma siamo seri, dai. Chi legge va matto per le tue partite a tennis col contropirla di turno. C’è un sacco di gente che non linca i post, linca i personaggi. “Ha assolutamente d’accorto il tale.splinder.it!” “Un altro fenomenale post di sempronio.blogspot”. “caio.clarence mette al tappeto tizio.com”! Questa è la blogpalla, mica sfere.

Non aggredire altri blogger con giudizi insultanti su ciò che scrivono. Se hai da dire solo cose negative o astiose, evita di farlo. Aggredirli non li farà certo migliorare, servirà solo a farti passare per attaccabrighe. Inoltre a volte anche poche parole sbadate possono ferire. Non risulta che siamo qui per ferirci. Infine, può darsi che i tuoi criteri di giudizio siano tutti sbagliati.

Hai scoperto che con due parole sbadate riesci a ferire persino la persona più saggia del mondo. Ora hai un’arma enorme a disposizione. Come puoi resistere a questa tentazione? È dalla seconda media che non riesci più a prendere a sberle nessuno… E mi raccomando, critica l’ultimo sconosciuto come se fosse l’editorialista del Corriere! Apprezzeranno il tuo coraggio, la tua carica eversiva.

Se parli di qualcuno, comunicaglielo (si fa con un link). Non parlare di qualcuno come se fosse assente, perché qui non c'è assenza, tutti sono presenti "in potenza". Oltre che elementare rispetto nei suoi confronti, è un servizio a chi ti legge.

In effetti Internet sembra averti tolto uno dei fondamentali piaceri della vita (parlare alle spalle di qualcuno). Magari provi con i commentini anonimi, ma attento perché Neri ti sgama sempre. Scegli i tuoi obiettivi tra quelli talmente pirla da non saper usare un counter o technorati. Gente così non merita rispetto.

Non chiedere mai link ad altri, non chiedere scambi di link, non farti pubblicità nei commenti altrui. I blog acquistano lettori e credibilità sulla base della propria voce, non c’è commercio che tenga.

Non è mica come una volta, che qualsiasi sconosciuto per il solo fatto di avere un sitarello attirava l’attenzione. Adesso siamo in totmila e qualsiasi strumento è buono per attirare l’attenzione. In fondo hanno ragione gli spammer: se spedisci un milione di inviti al tuo sito, almeno un pirla che ci clicca sopra lo trovi. È statistica.




Se vuoi commentare, fallo attenendoti all’argomento. Se commenti solo perché qualcuno legga la tua url, ma non dici nulla di interessante, ti scavi la fossa da solo.

Vedi sopra. Cerca di sbattere la tua url dovunque. È un lavoro duro, ma qui non ti regala più niente nessuno.

Non dirottare le conversazioni su temi che interessano te: se hai altro da dire scrivi un post.

Ma vuoi mettere l’effetto scioccante di interrompere un flame sulle rughe di Berlusconi con la pubblicità del tuo nuovo e-commerce di spazzettoni da cesso? Se funziona coi film in tv, deve funzionare anche su Internet. Dacci dentro.

Rileggiti e cerca sempre di migliorarti, ma fallo solo se ti diverti. In fondo va bene anche così.

No! Mai rileggersi! Potresti renderti conto di quanto sei st… stupefacente.

Non vivere con l'orologio collegato al computer. Cerca il tuo ritmo di scrittura. Sappi però che può anche cambiare, e nessuno si offenderà se vai più lento o più veloce. Non stanno lì col fucile puntato.

Siamo seri. La maggior parte dei lettori sono impiegati fancazzisti. Come tutti gli impiegati hanno la loro routine, puoi persino cronometrare a che ora arrivano e quanto ci stanno, sul tuo sito come al cesso. Se non scrivi una volta al giorno dopo un po’ ti tolgono dai bucmarc, e ti saluto. Qualsiasi cazzata andrà bene, purché quotidiana.

Scrivi per piacere, e verrai letto perché è la tua voce. E, sempre, solo da coloro a cui piace.

Tieni conto che starai sul cazzo alla maggior parte dei tuoi lettori, che ti leggeranno proprio per quel motivo, e perché sono autolesionisti. Ti sembra strano? Hai presente Sanremo? Il Grande Fratello? Giuliano Ferrara? Non è strano. È la regola.

Non andare in ansia per il numero di lettori. Non scrivi per dei numeri, ma per te e per altre persone.

E questa cosa chi l’ha scritta? Georg? Ma quanti accessi fa per dirlo?

Rispondi alle email.

Beh, sì, con calma però, altrimenti poi loro ti rispondono di nuovo, e poi tu devi rispondere alla risposta, e la cosa va avanti all’infinito. Magari rispondi dopo una settimana: sembrerà che sei sempre molto occupato. Non sai cosa dire? Scusati per il ritardo.

Proteggi sempre la privacy altrui.

Georg, l’hai poi risolto quel problema coi prodotti di penis enlargment? Eh? No, perché ho sentito che anche Brodo ha avuto lo stesso problema… se vuoi ti do il suo indirizzo, così magari vi sentite…

Non c’è niente di male nell’annunciare i propri piani. Se ti assenti è cortesia dire: “Non state a tornare qui, ci sarò solo il mese prossimo”.

…così perdi un mese di accessi! Ma siamo matti? Dà sempre l’impressione di essere sul punto di tornare, come Gesù Cristo. Almeno, con lui ha funzionato.

Liberamente ispirato a (e scopiazzato da):
Rebecca Blood, Weblog, Mondadori 2003

Liberamente ispirato a (e ispirato da):
B. Georg, i 32 punti (in testa), su Blogcafé.

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questa mano non esiste piùTre anni
(e neanche una nozione superflua)

Io non so, onestamente quanti anni impieghi un corpo umano a rigenerare tutte le sue cellule, per cui si possa dire che è realmente diventato un altro corpo rispetto a tot anni prima. Sarà scritto da qualche parte che non trovo.
Non so neanche dopo quanti anni un’accusa cada in prescrizione.

Quello che so è che tre anni di solito sono il limite a partire dal quale le cose che ho scritto non le ho più scritte io, le ha scritte un altro, e non ha più molto senso correggerle o tentare di fare una figura migliore di quella che ormai s’è fatta. Magari se rileggo posso essere d’accordo, come capita di andare d’accordo con estranei che non si è mai visti in faccia (“toh! Questa cosa avrei voluto scriverla io… ah, aspetta, l’ho scritta io”).

Questo significa, tra l’altro, che le ragazze, signorine e signore in possesso di lettere firmate da me entro e non oltre la data del 26 gennaio 2001 sono pregate di non ritenerle più valide, distruggerle se è il caso, oppure continuare a leggerle e sghignazzare ma non attribuirle più al qui presente, che nel frattempo ha totalmente rigenerato le sue cellule ed è un altro uomo.

Significa anche che le pagine più antiche di questo sito, che sabato ha compiuto tre anni, stanno per scivolare inesorabilmente nella maturità: sono documenti di una persona che esisteva tre anni fa e che non ha ormai più nessun potere su di loro. Il bello è che tra tre anni succederà lo stesso di queste righe. (L’idea che si muore un po’ tutti i giorni mi dà una certa vertigine).

***

Il bilancio del 2003 ve lo risparmio. Fino a novembre gli accessi sono cresciuti, poi sono un po’ calati. È anche calato il mio interesse per gli accessi. Per un po' sono diventato il primo risultato mondiale per “Leonardo” su Google, il che è assurdo (in questo momento sono il n.2). Stavo pensando di usare il blog diversamente, scrivere meno e un po’ meglio, ma non è semplice. Scrivere è una ginnastica, e purtroppo per avere un paio di cose buone la settimana devo riscaldarmi con altre due o tre scemenze di contorno.

A complicare la cosa, molto spesso quello che io reputo scemenza può piacere a parecchi, e la “cosa buona” passare nell’indifferenza (o nell’imbarazzo) più totale. È per questo motivo che quindici giorni fa avevo chiesto ai lettori di esprimere una preferenza sui post di quest’anno: non è che abbiano risposto in tantissimi, eh? In ogni caso il vincitore della consultazione è questo. E mi pare un degno vincitore, per vari motivi:

1. Mentre di solito faccio le ore piccole a limare periodi, questa è appunto una scemenza scritta di getto in un dopopranzo.
2. Mentre di solito d’inverno qui si scrive a lambrusco, questo post andava a trebbiano.
3. Alla faccia di tutti quelli che mi danno del professorino, questo post è un inno alla crassa ignoranza.
4. Varie persone ci si sono riconosciute, e hanno voluto contribuire. Io non sono molto bravo nei lavori di gruppo, però sono contento di averci provato.
5. Per quanto scemenza, il Simulator ha dimostrato di funzionare benissimo, e io ne sono la prova vivente. Sul serio, io mi sto facendo strada continuando a raccontare palle come la leggerezza di Calvino. E la gente mi dà del professorino. Nel mondo dei ciechi il guercio è un re, chi l’ha detto? (non so neanche quello).
6. Per quanto scemenza, il Simulator è un’applicazione di uno dei principi fondamentali di questo blog sin da quando un tale (che nel frattempo non esiste più) cominciò a scrivere i primi post nel gennaio 2001: la critica al concetto di cultura. Cosa intendiamo con cultura? L’insieme di cose che sappiamo? Non più. Da un po’ di tempo a questa parte la cultura è diventata l’insieme di cose che fingiamo di sapere, o (nel migliore dei casi) le strategie che mettiamo in atto per fingere di sapere alcune cose.

I primi mesi di quel 2001, del resto, furono un periodo molto interessante. Tra le altre cose si finì di mappare il genoma umano, giungendo così (credo) alla dimostrazione scientifica che il concetto di razza non ha senso. Un po’ troppo tardi per evitare la tratta degli schiavi e Auschwitz, ma meglio di niente.
La destra identitaria aveva però già fiutato l’aria da un pezzo, e si stava ricalibrando su un nuovo concetto: la cultura, la “civiltà”: The Clash of Civilizations, come si chiamava il saggio di un professore americano che sbagliava le cartine. E fu il defunto Edward Said a ribattezzarlo The Clash of Ignorance. Avevano ragione entrambi: Civilization, Ignorance e Cultura sono tre parole per la stessa cosa. Una cultura non è fatta di nozioni, ma di finzioni, e si caratterizza più per le cose che sceglie di escludere che per quelle che include. E qui arrivano i blog, che ci servono proprio a definire la nostra “Cultura”, la nostra “Civilization”, la nostra “Ignorance”: si tratta di scegliere quali nozioni non c’interessano e quali vogliamo fingere di possedere.

Dal 2001 in poi ne abbiamo fatta di strada, e ne abbiamo scritte e lette, di scemenze. Cultura occidentale, Guerra Globale, Guerra al terrorismo, Islam terrorista, Islam moderato… un giorno (spero in meno di tre anni) tutti questi concetti ci sembreranno campati per aria come oggi ci sembrano campate per aria le speculazioni degli scienziati ‘ariani’ sul “primato della razza”.
Nel frattempo, se il discorso v’interessa, credo che continuerete a trovarmi in questo settore della barricata: là dove non solo si rifiuta a priori il concetto di “cultura”, il concetto di “civiltà”: ma si cerca in un qualche modo di dimostrarne l’impossibilità scientifica, così come nel 2001 è stata dimostrata l’impossibilità scientifica del concetto di “razza”. La demolizione della razza spettava ai biologi: la demolizione della cultura dovrebbe essere il lavoro degli umanisti. Non male come missione.
Ma credo che a un obiettivo del genere valga la pena di dedicare il proprio tempo libero, se non la propria vita. (Magari tra tre anni la penserò diversamente).
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Una buona giornata (fin qui)

(Fatti miei, ma più miei del solito)

Diciamo onestamente che oggi:
- Per essermi alzato di scatto alla prima sveglia, ore 6.00, e sì che non avevo dormito parecchio;
- per aver usato correttamente l'antigelo e preso le precauzioni atte a un lungo viaggio in macchina;
- per aver tenuto a bada 25 monelli con un paio di ore diciamo passabili sul feudalesimo (più altre cinque ragazzine di un'altra classe che passavano di lì perché adesso se manca un prof si usa così);
- perché dopo 40 km. di viaggio ho telefonato a un ufficio di Bologna e ho chiesto "Potrebbe per favore dare un'occhiata alla bacheca, che è importante?" e sentendomi rispondere: "no, non posso", e senza batter ciglio ne ho dovuti aggiungere altri 80, ma tranquillamente, rispettando dove possibile il codice della strada e tenendomi aggiornato coi notiziari;
- per aver parlato in maniera breve ed efficace con due docenti spiegando la mia complicata situazione con meno untuosità del solito, e per aver non dico risolto il problema, ma dato l'impressione di affrontarlo da persona adulta, responsabile, eccetera;
- per aver incontrato una vecchia amica di amici e non aver fatto brutta figura, addirittura mi sono ricordato che si era sposata, e questo non è da me;
- per essere arrivato a casa, dopo tutto questo, era solo l'una e mezza del pomeriggio;
- per essermi messo senza troppo indugio a lavorare, e per aver fatto dieci dignitose cartelle nel giro di mezzanotte, senza mancare di rispetto alle persone che vivono con me e che forse qualcosa più del rispetto meriterebbero;
- perché naturalmente mi hai telefonato e io ho trovato argomenti per mantenere la conversazione per 15 minuti, 15 minuti di dolcissima funzione fàtica;
- perché, senza dar troppo nell'occhio, sono riuscito anche a divertirmi un po', e con poco;

ecco, per tutta questa serie di motivi mi sembra di poter concludere che ho avuto una buona giornata, e che se riuscissi ad averne altre, la mia vita sarebbe non dico normale, ma dignitosa.

E allora perché sono qui come un pirla alle 2 e 41 del mattino con 5 finestre accese ( il Manifesto, la discografia dei Beatles, Informazionecorretta, un comunicato Attac su Parmalat, e altre cose che non so perché sono andato a cercare?).

Ah, ma è il blog, naturalmente. Alle tre meno un quarto non so ancora di cosa scrivere.
Domani arriverò al lavoro con un'incudine in testa, e una gran voglia di tirarla a qualcuno.

Beh, fa lo stesso, tanto ho solo un'ora, ne approfitto torno a casa e metto a posto la recensione, poi chiamo Bologna per sapere se la talcosa è compatibile con la talaltra, poi faccio altre dieci cartelle e rivedo quelle di ieri che devono fare schifo, poi mi accascio sul pavimento, poi...
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La confraternita dei pirla

(tante scuse, tutte non richieste)


1. I blog non sono un argomento interessante.
Non così interessante, almeno, nel 2003. È crollato il WTO, c’è la guerra infinita, l’inflazione, Fini vuole il voto agli immigrati, Annalena Tonelli è stata uccisa nel Somaliland... Io un po’ mi vergogno.

2. Io vivo offline.
E anche il mio blog è scritto offline, non so se ci avete mai fatto caso. La maggior parte dei tenutori di blog scrive en plein air, può controllare i link al volo, modificare in corsa, tornare ogni tanto a leggersi i commenti. Io scrivo, correggo, e poi mi connetto, una volta al giorno. Mi connetto per aggiornare il blog, scaricare la posta, leggermi i titoli dei giornali e farmi un giro tra i blog. Non ne leggo tantissimi, e probabilmente torno sempre agli stessi. A volte non resisto e commento qualcosa: grave errore. Non si dovrebbero mai scrivere cose d’impulso, e i commenti favoriscono questa cattiva abitudine. Inoltre se scrivi un commento ti aspetti una reazione, per cui i tempi on line si allungano: è un circolo vizioso.

3. Non segnalo mai blog nuovi e interessanti
In linea teorica, se invece di leggere ottusamente gli stessi blog, ogni giorno ne leggessi di nuovi e sconosciuti, senz’altro troverei ottime sorprese. Il guaio è che quando mi connetto non ho voglia di leggere degli sconosciuti: ho voglia di leggere quelli che conosco. Come ogni essere senziente, cerco in ogni modo di risparmiare energia mentale (e come ogni essere umano, alla lunga mi annoio). Forse c’è stata una fase in cui mi piaceva sperimentare link stravaganti, ma col tempo vince sempre la pigrizia. Anche voi, la sera, cosa ordinate? Cambiate aperitivo tutte le sere? No, chiedete il solito. C’è qualcosa di male?

4. Ma intanto la marea monta…
Il fatto che i blog continuino ad aumentare rafforza la mia pigrizia. Qualunque sito pescassi, farei comunque un gesto arbitrario nei confronti delle miriadi di blog interessanti che senz’altro meritavano la mia attenzione. Così resto al bancone e ordino il solito. In fondo lo sapevo che sarebbe finita così: quando tutti avranno un blog, ognuno leggerà il suo e non avrà più attenzione per gli altri. Al massimo lo useremo per comunicare con gli amici, ma difficilmente ce ne faremo di nuovi. È il normale decorso della diffusione di una tecnologia di massa: c’è un periodo epico, in cui alcuni geni (più alcuni pirla che passavano di lì per caso) attirano l’attenzione facendo cose che nel giro di pochi anni tutti diventano in grado di fare. Io mi metto tranquillamente nel novero dei pirla per caso, e sono sicuro che se cominciassi a scrivere oggi otterrei un decimo dell’attenzione che ho ottenuto negli ultimi mesi. Sono stato fortunato, questo è tutto. Ma non ci ho fatto un soldo, anzi ho speso bollette salate, per sentirmi oggi dire che faccio parte di una lobby o una loggia di blog pretenziosi che si citano tra loro. Il che può darsi benissimo: ma di tutte le lobby e le logge che ci sono a questo mondo, santiddio, doveva capitarmi proprio la loggia dei pirla?

5. Granieri ha ragione, tuttavia
Granieri secondo me ha sempre ragione:
quando dice, per esempio, che la blogosfera è un ambiente non competitivo. Il problema è che la blogosfera è occupata da esseri umani, che sono terribilmente competitivi. Forse una blogosfera di calamari sarebbe diversa. Ma siamo umani, e siamo disposti a invidiarci anche le nostre statistiche farlocche. Se non ci fossero, le blogstar, le avrebbero inventate, e infatti è così: le hanno inventate.
Granieri ha ragione quando sostiene che nessuno legge un solo blog. Anche se, adesso che ci penso, io per cinque mesi della mia vita ho fatto proprio questo: ho letto un solo blog, il mio. Non sapevo nemmeno che esistessero altri blog italiani, finché non mi ha scritto la Pizia (e Wile, e Max Boschini). E – credeteci o no – stavo benissimo. Scrivevo solo per me? No. Ma non scrivevo nemmeno per una comunità di lettori e lincatori che, come tutte le comunità, richiede costi di gestione: lincare, ringraziare, rispondere alle mail, rispondere a delle attese nei miei confronti. Scrivevo, esattamente come oggi, per chiarire la mia posizione nei confronti del mondo. Questa è la cosa più importante, per me. Che poi alla lettura del mio quotidiano testamento assistano testimoni, è cosa che indubbiamente fa piacere. Ma di testamenti si tratta, roba scritta da una persona offline che nel frattempo, per quel giorno lì, non ha niente da aggiungere, è come se fosse morta. Non siete d’accordo con me? Neanch’io, spesso, il mattino dopo. Siete d’accordo con me? Troppo tardi, ho cambiato idea. E poi: ma è così importante essere o no d’accordo con me? Chi sono io? Perché una scemenza come “il ’68 ha strasfracellato i coglioni”, se detta da me, diventa una frase importante e scatena addirittura dei dibattiti? Sapete quanta gente ne scrive di cose così, se solo avreste voglia di cercarle. E allora, solo perché io appartengo alla confraternita dei pirla, qualsiasi mio rutto o scoreggia può scatenare il dibattito? E quindi… non ho più il diritto di ruttare e scoreggiare sul mio sito personale?
Prrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr!

6. Paesaggisti e soggettisti
Studiando mi sono reso conto che ci sono due tipi di artisti: quelli che disegnano uno spazio e quelli che disegnano una figura. Li ho chiamati, per comodità, paesaggisti e soggettisti. Dopodiché, mi è sempre più sembrato di voler vivere da soggettista in un mondo di paesaggisti. Quasi tutte le persone che conoscevo ragionavano in termini di spazi, sognavano di gestirne uno. Ho partecipato anche a delle riunioni. Di solito si pensava a una rivista che fosse anche un sito internet, che fosse anche un progetto, che fosse inoltre un ambiente polivalente, un circolo, dove ognuno avrebbe espresso qualcosa, e in un angolo il bar. Questi spazi, il più delle volte, rimanevano mentali: in alcuni casi invece si sono concretizzati, per breve tempo: non perché i paesaggisti non fossero entusiasti e competenti, ma perché in quello spazio ben organizzato nessuno sapeva esattamente cosa venirci a fare, e intanto il bar aveva i suoi costi.
Io sono diverso, non nel senso che sono migliore, anzi: stimo molto i paesaggisti, credo che dovrebbero ereditare la terra. Ma io sono un soggettista. Io faccio la mia cosa: scrivo. Se mi date uno spazio, io sono felice. Ma non potete chiedermi di creare uno spazio per gli altri: so che esistono gli altri, ma creare gli spazi non è il mio mestiere.
Io ho sempre scritto, e quando mi hanno dato un blog, ho continuato a scrivere lì. Fine della storia. Invece ci sono persone che appena arrivate si sono messe a ragionare in termini di spazi: come fare a creare uno spazio confortevole, a mettere insieme il più gran numero di link senza offendere nessuno, eccetera. Gente come Strelnik, o Granieri, si sono comportati da veri paesaggisti: entusiasti e competenti.
Dopodiché, lo spazio non serve a nulla se non ci sono dei soggetti dentro. Questo è quello che faccio io: disegno le figure. Può darsi che lo faccia male, in tal caso scrivetemi e cercherò di emendarmi, ma non chiedetemi i paesaggi, sono un disastro. Lo dico perché lo so.
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Mi scuso se ritorno sul trito argomento di ieri, ma:
(1) Non è mica facile trovare uno spunto originale tutte le sante sere.
(2) E' il caso di dare diritto di replica a Stefano Porro di Quintostato, che qui fornisce la sua versione (grazie a Giuseppe Caravita).

Ora, se non ricordo male, come ogni nuova testata registrata, QS dovrebbe essere osservata dagli organi preposti per controllare se le 3 copie inviate al momento della registrazione corrispondono a verità, così come la descrizione fornita al Tribunale dell'oggetto della testata.

Cosa potrebbe accadere se qualche "controllore" capitasse, tramite Google, su quIntostato al posto che su Quintostato? Si tratta di un problema remoto, evidentemente, ma che comunque vorremmo evitare del tutto
.

Si tratta di un falso problema, secondo me. il "controllore", chiunque sia, non dovrebbe mettersi a cercare i siti con marchio registrato su un motore di ricerca. Nessun motore di ricerca è infallibile, nessuna testata giornalistica è tenuta a trovarsi al primo posto della ricerca su un motore.

Questo sito, fino a pochi giorni fa, si chiamava Leonardo: indirizzo http://leonardo.blogspot.com. E se cerchi leonardo su google.it, lo trovi al nono posto. Perché nessuna ditta, nessun marchio registrato, nessun www.leonardo.com o wwww.leonardo.it mi ha ancora scritto una mail di protesta?

Questa, sapete, è una storia vecchia. Ci ho fatto un pezzo sopra due anni fa, il 28 giugno 2001. Ora lo ricopio qui, e anche per stanotte il problema di cosa scrivere è risolto. Auguro a tutti una buona Pasqua Ebraica, o Di Resurrezione, o un buon plenilunio laico, e arrivederci a martedì (spero con qualche idea originale).


Anche tu, brevetto registrato!

[...] Sulla corsa sempre più sfrenata alla proprietà intellettuale di qualsiasi cosa, materiale e non, c'è un altro aneddoto interessante. Questo sito, com'è noto, si chiama Leonardo: non è un nome registrato, ma credo di avere comunque qualche diritto a chiamarlo così. Dopo aver passato quasi trent'anni della mia vita a sentirmi chiamare prima "Da Vinci" e poi "Di Caprio" da qualsiasi imbecille, è una bella soddisfazione, no?
E tuttavia parlando di siti chiamati "Leonardo" c'è un precedente un po' inquietante. Sì, sì, parlo d'un precedente legale: una causa intentata da un'agenzia finanziaria, la "Leonardo Finance", al sito culturale della International Society for the Arts, che porta lo stesso titolo della rivista della Società (pubblicata sin dal 1967): Leonardo.
Qual è la materia del contendere? La Leonardo finance lamentava che i suoi clienti – o potenziali tali – digitando "Leonardo" su un motore di ricerca, si sarebbero più facilmente imbattuti in una delle innumerevoli pagine del sito culturale. Perciò chiedevano sei milioni di franchi di danni (meno di un miliardo e ottocento milioni di lire). Una bella pretesa, no? E infatti un mese fa i giudici hanno dato ragione all'International Society. Ma Leonardo Finance potrebbe ricorrere in appello…
La vittoria è stata vinta anche sul web, grazie anche a una ben riuscita campagna di solidarietà tra gli internauti francesi: oggi, digitando "Leonardo" su un qualunque motore di ricerca, trovate non soltanto il sito della Society, ma anche numerose pagine di sostenitori che gettano fango sulla Leonardo Finance. E di quest'ultima neanche l'ombra. Almeno, io non l'ho trovata.
(Non ho trovato neanche il mio sito – forse dovrei fare causa a qualcuno).
Tirato un sospiro di sollievo, rimane lo stupore per l'arroganza con la quale gli aspiranti proprietari del mondo partecipano a questa corsa alla proprietà intellettuale di qualsiasi cosa --– un nome, un logo, un segno grafico qualsiasi… Sono anche un po' ingenui. Chi è che al giorno d'oggi si mette a cercare una consulenza finanziaria su un motore di ricerca?
Questi di Leonardo Finance, poi, mi ricordano qualcosa da vicino. Quando produci qualcosa e la chiami "Leonardo", è perché la vorresti unica, geniale, inimitabile… perlomeno, con mia madre è andata così. Poi, al momento di andare all'asilo, si è scoperto che c'erano due Leonardo in classe. E così già a tre anni ho cominciato a farmi chiamare col cognome. Mia madre si arrabbiava molto: "Il suo nome è Leonardo!" Mamma, che ci vuoi fare. Anche tu, avresti dovuto brevettarmi…

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Siamo tutti Quintostato

Lo so che è una piccola cosa, ma è fastidiosa. E se è una bufala, sarò contentissimo di dovermi smentire.
Riassumo: www.quintostato.it è un sito d'informazione sulle nuove tecnologie che ha avuto sin dalla sua nascita (qualche mese fa), un'attenzione speciale, non sempre benevola, nei confronti dei blog. E non c'è niente di male.
E' stato l'organizzatore di BlogAge, conferenza di cui s'è parlato lungamente qui e altrove.

Due giorni fa, alcuni autori di blog particolarmente ispirati (tra cui e Gonio), hanno messo su una parodia di Quintostato, all'indirizzo quintostato.splinder.it.
La parodia poteva piacere o non piacere (a me piaceva), ma il gioco stavolta è durato davvero poco. Invece di subire con sportività, i redattori di Quinto Stato hanno minacciato "grane legali non indifferenti" agli scrittori che avevano osato parodiarli. E questo perché "Quinto Stato è una testata registrata in tribunale e, in quanto tale, soggetta alla regolamentazioni della FNSI, che richiedono l'autenticità del marchio e soprattutto della testata!" La Fnsi, anvedi.

Una reazione così sproporzionata da parte di un sito che, come osserva Mantellini "si riempie la bocca ogni 15 secondi di Copyleft, Open Source, diritto alla libera espressione ed altre meraviglie", lascia quasi sconcertati. In fondo era solo uno scherzo. E neanche troppo cattivo.

Ma cosa sta succedendo ai blog italiani? Hanno sempre scritto più o meno quel che gli pareva: il tal libro, il tal sito, il tale articolo mi è piaciuto / non mi è piaciuto, ecc.. Ma ora, se parli male di un libro l'autrice ti risponde incazzata; se correggi un paio di errori a un giornalista quello ti querela, o almeno fa finta; se fai la parodia di un sito, il sito parodiato reagisce minacciando "grane legali". Ehi, ma chi è che sta prendendosi un po' troppo sul serio, qui?

Comincio a pensare che avesse ragione il grande Marco Formenti, in un articolo dei primi anni Novanta, quando ci metteva tutti in guardia: i blog saranno oggetto di operazioni di censura tanto più dure ed efficaci in quanto rivolte contro soggetti che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono persone comuni che non usufruiscono della protezione di lobby professionali o accademiche, di partiti politici, ecc. (grazie a Massitwosteps per avermela rammentata)

Cosa dite? Formenti è il direttore responsabile di Quinto Stato?
Maddai, su, state scherzando. Non esistono più i direttori responsabili, triste retaggio delle leggi fasciste sulla stampa. Sono stati aboliti negli anni Cinquanta, poco prima che eliminassero l'albo del giorn....
Un momento. Che universo è questo?
Ops, scusate. Mi ero confuso.
Saluti.


Una proposta concreta: giù le mani dal marchio Quintostato!

Un coraggioso sito d'informazione indipendente, con un marchio registrato, rischia il linciaggio da parte della potentissima lobby dei blog-cazzeggiatori. Questa mandria di solipsisti compiaciuti, seduti proprio nel bel mezzo della produzione della ricchezza, a metà tra il piacere di essere considerati trendy e il fastidio di essere reputati tali, ha osato appropriarsi indebitamente del marchio coraggiosamente registrato, per farne scempio in un sito di parodia reazionaria e di cattivo gusto.
Per reagire compatti all'infame provocazione, proponiamo una mobilitazione generale delle URL confederate. Chiamiamoci tutti Quintostato, per un giorno, per un'ora, per il tempo necessario a far sentire forte e chiara la nostra voce. Giù le mani dai marchi registrati! Potere al copyright! Abbasso il solipsismo autocompiaciuto di chi senza marchio registrato osa prendersi il gioco di stimati professionisti. Ma chi vi dà la patente per riderci dietro?
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Perché è così facile litigare su Internet?
Ci sono varie spiegazioni.

Per prima cosa, litigare dal vivo è più faticoso: comporta energia mentale e muscolare. Si aggrotta la fronte, si inarcano le sopracciglia, si alza la voce, la pressione sanguigna aumenta. Il nostro organismo non litiga volentieri.
Ma on line è diverso. On line non ci sono muscoli da tendere, e la pressione delle dita sulla tastiera è più o meno la stessa a scrivere parole d’amore o di rabbia. Anzi, il rapporto s’inverte, visto che le parole di rabbia sono meno faticose da trovare, e (forse) più divertenti.
Inoltre, non c’è metodo migliore che una bella incazzatura per stabilire un contatto, comunicare, perfino farsi pubblicità. La gente risponde più spesso agli insulti che ai complimenti, (io almeno faccio così). A insultare si passa per individualità forti, a complimentarsi si rischia la figura del ruffiano.

Un’altra teoria paragona gli utenti di Internet agli utenti delle autovetture: in entrambi i casi assistiamo a scoppi di aggressività parossistici, esagerati, infantili. Ora, cos’hanno in comune bloggatori e automobilisti? Una cosa sola: devono comunicare senza guardarsi negli occhi.
Esempio: quando m’incazzo con una bmw che mi sorpassa a destra, io non me la prendo col conducente. Non so se egli sia un ventenne o un cinquantenne, un signore o una ragazza carina, una persona garbata ma distratta o un pirata della strada. Io ce l’ho con una bmw, che associo piuttosto rozzamente a un determinato segmento sociale: “ricchi-che-si-credono-tutto-permesso”.
Ma se mi capita di gettare l’occhio nell’abitacolo, di osservare uno sguardo o una capigliatura dal retrovisore, la mia aggressività cala di colpo. Sono ancora arrabbiato, giustamente arrabbiato, ma sono tornato una persona civile, che sta interagendo con un’altra persona (un po’ meno) civile.

Allo stesso modo: se io m’imbatto in un blog che scrive qualcosa che non condivido, io non immagino subito che da qualche parte ci sia una persona, due occhi, un naso, magari un po’ di pancetta, con il quale potrei discutere, anche animatamente, di questo o quell’argomento. Non penso che potrebbe trattarsi di un quindicenne, di un pensionato, di un bluff, di una personalità deviata, ecc.. No. Io non vedo che un layout, lo associo a una categoria di persone che ho in mente io, e che mi stanno sulle palle da sempre (“I fascisti”, “I massoni”, “La sinistra”, ecc.). E allora scoppio. È poco faticoso, è divertente, è gratis. E cosa importa, se dall’altra parte dell’interfaccia c’è davvero un quindicenne, un pensionato, un malato, un giornalista che dovrà sorbirsi le mie intemperanze. Questa è Internet.

Io a BlogAge c’ero andato per lo stesso motivo per cui Emmebi non voleva andarci: per vedere le facce, gli occhi, i nasi, le pancette. So che è molto più difficile entrare in polemica con un blog, quando l’hai visto negli occhi (per esempio, è migliaia di anni che non litigo più con Wile): quale occasione migliore per dichiarare la pace a tutti? Mi aspettavo di vedere le belve di internet assumere sembianze umane, trasformare polemiche roventi in discussioni animate. Oddio, magari un po’ più animate…
(Poi, una volta lì, mi è venuto un grosso attacco di timidezza).

Oggi leggo il pezzo di Vecchi su Quintostato, e sobbalzo. Ma allora non è servito a nulla guardarci negli occhi. O almeno a Vecchi non è servito.
O forse il problema è un altro: Vecchi ci ha guardato, sì, negli occhi, ma non ha letto quello che scriviamo.
Perché di tutti i rimproveri che poteva rivolgere ai blog italiani, Vecchi ha scelto proprio l’unico che non si meritano: li ha accusati di non essere capaci di riflettere su sé stessi. Ma vi rendete conto?

“Ogni intervento gettava lampi di luce su un fenomeno dai contorni incerti, ma la gran parte si chiudeva con l'invito a non ricamarci tanto sopra, con un misto di compiaciuta consapevolezza di essere "trendy" e, al tempo stesso, di rigetto per essere ritenuti tali…[...]. Per salvarsi l'anima basta un Blog. Quindi poche ciance e continuiamo ad andare avanti così”. Probabilmente Vecchi non ha mai letto Georg o Granieri, che viaggiano al ritmo di un saggio teorico sui blog al mese. Probabilmente Vecchi non sa che quei signori così snob sul palco e in platea (che effettivamente hanno trattato l’argomento con un certo understatement), ogni giorno si sgozzano on line discutendo di nient’altro che non di sé stessi, se valga la pena commentarsi, aggregarsi, forumizzarsi, implementarsi un feed rss non si sa bene dove. Probabilmente non sa che ogni gatto, cane, maiale che abbia aperto un blog in Italia, ha almeno scritto tre post teorici sul fenomeno blog, tant’è che c’è gente, come me, che non ne può più e ha fatto il fioretto di parlare di blog solo una volta al mese (e non ci riesce).

Ma questo Vecchi non lo sa, perché evidentemente non ha mai letto il blog di nessun gatto, cane, maiale, Luca Sofri o Neri o Labranca. È solo venuto ad aprire le cerimonie, ha notato che la platea era relativamente ben vestita, e quindi (scatta la categorizzazione:) “ceto medio al centro della produzione della ricchezza”. E poi è scoppiato, come qualsiasi altro utente di Internet. È poco faticoso, è divertente, è gratis. E cosa importa, se dall’altra parte ci saranno due, trecento persone che si sentiranno insultate. Per dirla con il grande Ulrich Beck, immortale autore del La società del rischio, Carocci editore, oggiogiorno “ogni azione compiuta è decisa e il suo valore è valutato in base alle conseguenze dirette e indirette che ha”. Avrà valutato le conseguenze dirette o indirette delle sue azioni, Vecchi, mentre si alienava la simpatia di quel paio di centinaia di potenziali lettori.

(Io vorrei solo ricordarmi che faccia ha Vecchi, perché forse riuscirei ancora a trovarlo simpatico, chissà).

Del Blogage hanno parlato tutti, tra cui Gnu. E non perdetevi Quintostato
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Forse ci andrò, a Blog age.
Forse invece no.
Forse... non lo saprete mai! (segue risata diabolica).

(L'idea originale era accreditarsi come La Pizia, ma lei si è già chiamata fuori, sigh).
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Prima o poi qualcuno dovrà rifarlo.

Mi manca Blob of the Blogs. Era una cosa geniale, solo ora me ne rendo conto.
Storicamente, è stato il primo aggregatore di blog italiani, ed è stato un posto importante dove conoscersi (beh, beh, un archeoblogo pignolo a questo punto mi prenderebbe in castagna: The Hub è molto più antico). Negli stessi giorni stava incubando anche UBW, la finestrella bianca piena di notizie di guerra che vedete qui sotto.
Poi c'è stata la blogbar, il blog aggregator... (per favore, non vogliatemene se non li cito tutti. Col tempo m'informerò, m'iscriverò, risponderò a tutte le mail, aggiornerò la colonna dei link, implementerò i feed rss, laverò la macchina, diventerò una persona migliore).
Tutti questi progetti rispondono alla stessa esigenza: selezionare i blog da leggere. Ma con quale criterio? Qui si apre una voragine. I blog sono molto suscettibili in materia: non amano essere responsabilizzati, né sottovalutati. Reclamano il diritto di scrivere fuffa, ma anche di fare concorrenza al giornalismo d'assalto. E non sempre si riesce a capire se fanno sul serio o no (diffidate dai layout!).

Di solito gli aggregatori funzionano "a invito": è il loro limite. Sono la rassegna di un limitato circolo di blog che si auto-responsabilizza. Nessuno vuole ammetterlo, ma il circolo non può allargarsi all'infinito: ci sono limiti strutturali. Altrimenti l'aggregatore rischia di diventare una copia cache di tutti i blog italiani: ma a questo punto è molto più divertente pescarli dal vivo (parola di uno che naviga da casa col modem).

Il Blob funzionava in un altro modo: tutti potevano partecipare, ma uno alla volta. E tutti potevano segnalare qualsiasi cosa, ma erano tenuti a decontestualizzarla, a inserirla in un discorso frammentario, a trasformarla in qualcos'altro. Essere lincati sul blob mi faceva un po' l'effetto di incrociare uno specchio per strada: dapprima non ti riconosci, e poi ti spaventi: dunque questo è il modo in cui mi vedono gli altri?

E - particolare ulteriormente geniale - tra le "regole del gioco" ce n'era una fondamentale: mai lincare sé stessi. Chiunque poteva partecipare, ma a prezzo della propria autoreferenzialità. Al massimo poteva organizzare uno scambio di favori, ma era pur sempre uno scambio. Bisognava essere lettori, oltre che scrittori di blog. (Io, onestamente, i lettori di blog non li ho mai capiti, ma sono così felice che esistano).

Infine, il Blob non era una cosa seria. Ed è soprattutto per questo che lo rimpiango.
Una volta i blog erano un gioco, il diario delle cazzate, un modo di sembrare indaffarati nella postazione di lavoro. Oggi non più. Oggi i blog sono in guerra: la descrivono, la combattono. E' una guerra di parole, ma è sufficientemente fastidiosa.
Oggi che sui blog si contano i morti, si fotografano i morti, si lotta tra morti giusti e morti sbagliati, io mi rendo conto (troppo tardi, come sempre) che vorrei indietro il mio giocattolo, per favore.

E comunque ringrazio Strelnik. Sono così felice che esistano persone come lui.
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lettere anonime

Non so se ci avete fatto caso, ma questo è un sito anonimo. Un anonimato molto blando, d’accordo, ma è pur sempre anonimato.
Se mi chiedono il perché, di solito rispondo: c’è gente in giro che ha la querela facile, come il caso Dall'Omo ha dimostrato (a proposito: com’è andata a finire?).
La realtà è, come sempre, più complessa. Ho sentito spesso dire che l’abitudine dei potenti a querelare sia uno dei motivi per cui in Italia non si riesce a fare un buon giornalismo. Sarà vero, sarà una scusa, sarà che comunque ogni quotidiano ha il suo ufficio legale (e i freelance, anche in questo caso, cosa fanno? Si attaccano?)
Io però non faccio giornalismo, ogni tanto è bene metterlo nero su bianco. Esprimo le mie opinioni, come al bar. Ritengo anch'io di averne il diritto. Tuttavia mi pongo un problema: è possibile che le mie opinioni (che al bar sono legittime) trasferite su internet si trasformino in diffamazione?
Nel dubbio, cerco di trovare riscontri oggettivi, e quando non li trovo, evito l’argomento. Lo dico perché anch’io, come tanti, ho una mia idea su chi può avere ucciso Marco Biagi o Michele Landi, su chi ci sia dietro le nuove Br e anche le vecchie, e su tante altre cose. La dietrologia è uno sport nazionale, e io non mi tiro indietro.
Ma siccome non ho riscontri, siti autorevoli da lincare, testi o fatti da citare, queste opinioni le tengo per me.
Non dico neanche più che Berlusconi è un ladro, anche se con un po’ di sforzo sicuramente riuscirei a rintracciare qualche sentenza patteggiata o qualche indagine caduta in proscrizione. Ma siccome non ho voglia di sforzarmi, sto zitto o parlo d’altro.

A chi in questi giorni va dicendo, qua e là sui blog, che le Br sono colluse col movimento, vorrei suggerire: perché non ci consigliate anche voi un bel film, o i 31 jingle pubblicitari che vi hanno cambiato la vita, o quel che avete mangiato a pranzo la domenica?
Se invece insistete per parlare di br, perché non ci date qualche riscontro oggettivo? È così difficile trovare una pistola fumante su Indymedia o su qualsiasi altro forum alternativo a cielo aperto? Digitate “brigate rosse casarini” su google e vedete cosa salta fuori. È troppa fatica?
O pensate che internet vi dia il diritto di accusare di omicidio e banda armata il primo che vi viene in mente? Fate così anche al bar? In che razza di bar andate?

Ma d’altro canto, non vi si può troppo biasimare, visto che siete italiani, e l’Italia (l’ho capito stamattina) non è un Paese civile.
E quando dico stamattina, non mi riferisco a una svastica in Corso Sempione – sono cose che purtroppo succedono nelle migliori democrazie. No, parlo del signor Umberto Bossi, che ha dichiarato “vedo la mano mafiosa dei nazisti rossi”.
Se il signor Bossi fosse seduto al banco del bar, prenderei fiato e mi volterei dall’altra parte, perché dopotutto ognuno ha diritto di pensarla come vuole e di vedere le mani che vuole.
Se fosse un giornalista, mi aspetterei che citasse la fonte dell’informazione, e qualche riscontro più preciso: chi sono i nazisti rossi? Da chi è partito l’ordine? Chi lo ha eseguito?
Capita invece che il signor Umberto Bossi sia un Ministro della Repubblica, democraticamente eletto. E a questo punto non mi resta che chiedere scusa a tutti quanti.
Scusatemi se vi ho preso troppo sul serio, pretendendo da voi più serietà di quella dimostrata dai nostri governanti. Tante scuse anche a me stesso. Quante notti insonni passate a cercare link, a sfogliare libri e giornali, quando per fare informazione sarebbe semplicemente bastato dire le prime cose che mi passavano per la testa.

E già che ci sono, voglio togliermi qualche sassolino, ora che posso. Per esempio. Berlusconi è un ladro. Ma questo è il meno. Berlusconi è stonato, gli puzza il fiato, e la moglie lo tradisce con un filosofo, ah ah ah, povera donna. Dell'Utri ha le mani mafiose e l'ombelico camorrista. Fini è un ebreo. Casini è un gay. La Prestigiacomo è un transessuale. Giuliano Ferrara è un infiltrato. Scajola è un abile stratega. E Bossi? Bossi è un ignobile mentecatto.
Oh, adesso sì. Adesso sì che mi sento un vero blog d’opinione, libero e fiero. Buona notte.
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Ogni tanto qui si parla di blog. Ripeto: è inevitabile

I blog sono ecologici (egologici?)
...un blog o weblog non è altro che un flusso di (in)coscienza alla Joyce in forma imbastardita per il web. Cioè un pappone di pensieri insulsi e sconnessi partoriti da qualche egocentrico ammiratore di sè stesso, che si ritiene talmente importante (à la Rochefoucauld) da dover fare dono delle sue perle all'universo mondo...

Mettiamo che un qualsiasi bloggatore (tipo questo) un bel giorno (tipo oggi) non sappia cosa scrivere.
Mettiamo che questo bloggatore, in cerca di ispirazione, si metta a curiosare nei blog altrui.
Si trova di tutto. Cose interessanti. Cose simpatiche. E, naturalmente, l’Orrore. Quello con la O maiuscola, quello che fa impazzire Marlon Brando in Apocalypse mo’.
Che cos’è l’Orrore? Un blog scritto male, nella forma o nel contenuto. Un blog eccessivamente egotico (alcuni lo sono più degli altri) o eccessivamente ideologico (dove per ideologia si intende la convinzione che chi non la pensa come me è un imbecille). Un blog infestato da commentatori assatanati (gli splinderiani conoscono bene questo tipo di fenomeno). Un blog scritto da un ragazzino/a, con l’acne giovanile che schizza dal monitor. Eccetera.

Eh, ne esistono, di blog così.
Anche parecchi.
E se mi mettessi a segnalarli? Probabilmente avrei risolto il problema dell’ispirazione, non soltanto oggi, ma per l’eternità. E sono sicuro che riuscirei anche ad essere divertente. Nonché intelligente, perché non c’è nulla che ci faccia sentire più intelligenti di segnalare le cretinate degli altri. Che è poi il motivo per cui noi italiani abbiamo una tv così stupida: ci fa sentire, per contrasto, molto intelligenti.
“Hai visto il grande fratello? Che scemenza”.
“Eh già”.
“Non sanno più cosa inventarsi”.
“Proprio”.
“Secondo me stavolta eliminano XXXXXX, è davvero un imbecille”.
“Ma anche YYYYYY non scherza”.

Anche a me, del resto, piace farmi bello sugli errori degli altri: forse è proprio il motivo per cui mi sono messo a scrivere.
Se trovo un film, o un articolo di quotidiano, o un libro, che mi sembra ridicolo, non mi risparmio. Perché dovrei avere pietà dei blog?

Un motivo c’è, e secondo me è fondamentale: i blog sono media ecologici.
Cerco di spiegarmi. Per me, la scrittura è (anche) il riempimento di uno spazio. Uno spazio fisico (la colonna di un quotidiano, la pagina di un libro), uno spazio temporale (la mia attenzione, che non è infinita). Chi scrive su un giornale a larga diffusione occupa uno spazio importante e ha il dovere di non sprecarlo.Stesso discorso per chi scrive un libro per una casa editrice prestigiosa, o per chi lavora in radio o in televisione.
Queste persone sono privilegiate (e sono, in teoria, professionisti): se qualche volta sbagliano, noi lettori-fruitori abbiamo il dovere di protestare. Di ridere di loro.
E ci capita spesso.
E quando, spenta la tv, ci ritroviamo su internet, crediamo che le regole del gioco siano le stesse: scovare il trash, metterlo alla berlina. Ma ci sbagliamo. Internet non funziona così.
Chi scrive su un blog ha ben poco in comune con chi lavora nei media tradizionali. Non è un privilegiato: è una persona qualunque che usa uno strumento accessibile a tutti. Anche quando è un personaggio famoso, non occupa più spazio di quanto non ne stia occupando io adesso.
E soprattutto – qui sta il punto – chi tiene un blog non dà fastidio a nessuno.
Il trash televisvo è una vergogna, perché lo stesso spazio potrebbe essere utilizzato per spettacoli di qualità. Il trash giornalistico è un deplorevole spreco di carta, un dileggio all’Amazzonia. Ma chi scrive su un blog non occupa nessuno spazio che qualcun altro potrebbe occupare meglio al suo posto.
Un blog è una casa, e in casa propria ognuno è il Re. Nessuno, in casa propria, ha il dovere di essere intelligente, costumato, maturo, responsabile.
Chi passa a visitare, invece, sarebbe tenuto a mantenere una certa buona creanza, perché è vero che le pareti sono trasparenti, ma nessuno lo ha invitato.

Per questo motivo credo che non sia giusto prendere in giro i blog altrui. Anche se questo significa rinunciare a un’inesauribile fonte d’ispirazione per post cinici e intelligenti. (E io ci terrei tanto, a sembrare cinico e intelligente).
Credo che gli idioti abbiano il diritto a scrivere idiozie sui loro blog. (Di più: credo che anche le persone intelligenti abbiano il diritto a scrivere idiozie sui loro blog). Credo che gli adolescenti abbiano il diritto di fare gli adolescenti, gli anziani abbiano il diritto a essere anziani, i trentenni complessati di rompere i coglioni coi loro complessi. E i fascisti? Anche i fascisti.

Mi spingo più in là: i blog hanno una profonda utilità sociale. Il mondo è sempre stato pieno di persone che non si trovavano a loro agio con la propria identità e con la propria mediocrità. Chi sono? Sono le persone che attaccano lunghe pezze al bar, quelli che scrivono lunghe lettere ai giornali. Quelli che occupano i forum e le mailing list con diluvi di considerazioni personali. Quelli che importunano i consulenti editoriali con manoscritti di trecento pagine. Quelli che vanno ai provini mediaset (o anche rai). Eccetera.

Da qualche anno, tutte queste persone hanno un nuovo strumento per sfogare i propri egotici impulsi: il blog. Il vero merito dei blog sta qui, nei fiumi d’inchiostro risparmiati, nelle scrivanie dei consulenti editoriali più pulite, nei cestini delle redazioni dei giornali più vuoti. Nei bar, dove le discussioni filano più lisce. Questa è la missione dei blog: assorbire l’egotismo degli utenti, coinvogliarlo in un ambiente confortevole, con un notevole risparmio di tempo e di risorse.
Diamo un blog a ogni egotista frustrato: non solo ce lo saremo tolti per un po’ dai coglioni, ma gli avremo dato anche una chance per addomesticare il suo egotismo, trasformarlo in qualcosa di gradevole o perfino utile.

No, non sto scherzando: sto parlando di me.
Io credo di essere una persona migliore da quando ho un blog. Ho pensieri più chiari, perché mi sono abituato a metterli in nero su bianco. Se mi ritrovo coinvolto in una discussione, difendo i miei argomenti con meno aggressività. Mi sfogo qui. Mi costa relativamente poco, e non do fastidio a nessuno.
Di più. C’è persino gente che viene a leggermi. Quello che prima era solo frustrazione, ansia di avere delle idee e non riuscire a spiegarle, è diventato qualcosa di gradevole per il prossimo.
Non so se i blog avranno un futuro, ma credo che il mondo sarebbe un ambiente più confortevole, il giorno che tutti aprissero un loro blog.

Dedicato a Uomonero – che lascia il web italiano molto migliore di quando lo trovato
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grazie a Flaming* e a BrainwaxPermettete, compio due anni e mi vanto.

Et moi, moi, qui je suis resté le plus fier,
Moi… je parle encore de moi


A questo punto, qualcuno potrebbe anche avere il diritto di chiedermi il perché, e dove voglio arrivare. Beh, non ne ho più la minima idea.
Forse è proprio questo che mi piace. Sin da piccoli, ci hanno sempre rifilato i desideri degli altri, come se dovessero per forza piacerci i vestiti usati dei fratelli maggiori. Ma davvero volevamo diventare famosi come i Beatles? Rivoluzionari come Che Guevara? Maledetti come Bukowski? Tutta qui la gloria, uno scimmiottamento di cose già sentite e risentite, un’emulazione di un’emulazione di un’emulazione?
Sempre a incidere demo, a spedire manoscritti ai concorsi, come se le rivoluzioni si facessero davanti a una giuria competente. “Salve, siamo una band di noise brianzolo, facciamo cose tipo Sonic Youth, ho detto tutto”.
“Piacere, io sono un giovane scrittore, del filone intimista padano, dovrei sfondare la prossima stagione”.

Mi fa bene tenere un sito personale? Non lo so. Qualsiasi considerazione lascia il tempo che trova, davanti alla semplice evidenza che dalla laurea in poi non c’è stato un lavoro, né un amore, né un indirizzo, né un’abitudine che mi abbia resistito tanto tempo. Due anni.
Pochi? Fate due conti:

Si discuteva del genoma umano e del processo a Napster. La New Economy aveva subito una temporanea battuta d’arresto. Amato stava pensando di candidarsi come leader dell’Ulivo. Due anni.
I negozianti di Genova speravano di fare buoni affari col G8. I soliti pacifisti rompicoglioni protestavano perché in Afghanistan le donne non potevano più mostrare il viso in pubblico. Le Twin Towers, in Italia, nessuno sapeva cosa fossero e dove. Marco Biagi era un oscuro consulente del Ministero del Lavoro.
George Bush era il nome di un ex Presidente. Berlusconi era il nome di un ex Presidente. Due anni. 24 mesi. Dove sono finiti?
Io ce li ho in archivio. Dateci un’occhiata.

Mi fa bene tenere un sito personale? Cosa ci guadagno? Che cos’ho in mente? Non lo so. Forse sono solo curioso di vedere come va a finire, il muro contro il quale andrò a sbattere. Capitemi, è la prima volta nella vita che mi ritrovo in una storia di cui non conosco il finale.

E poi, insomma, che razza di domanda è, se mi fa bene o no? Come se ve ne fregasse qualcosa della mia salute.
Il fatto è che questo sito fa bene a voi, sennò sareste in meno. Tanto piacere, quindi: qui è Leonardo, blog italiano fatto in casa e non scremato. Dal 2001 m’invento due o tre storie alla settimana, e due o tre volte al mese vi diverto e vi faccio sentire intelligenti.
Non vi ho mai chiesto un soldo, né un accesso, né un link, ma oggi volevo chiedere un regalo. Credo di meritarmelo, e poi non vi costa nulla.

Vorrei che ciascuno di voi mi segnalasse – sul forum o per posta – il post che gli è piaciuto di più. No, non farò una classifica di gradimento. Vorrei solo sapere quando vi siete divertiti e quando vi siete annoiati, e farmi lisciare un po’ il pelo, perché no.

Per capire qual è il vostro post preferito, seguite le istruzioni qui sotto:
chiudete gli occhi,
contate fino a tre,
pensate: Acc, non mi vengono in mente post originali, solo quello là banale e scontato, Lui penserà che sono un tipo superficiale...
Bene, “quello là” è il vostro post preferito. Fidatevi.
Io conosco i miei polli.

(Se qualcuno mi vuole segnalare il post che gli è piaciuto meno, è ugualmente benvenuto)
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Questo banner è stato pubblicato su questo sito il 25 gennaio 2001 – nel suo primo giorno di vita.
Sono passati due anni: due anni in cui Internet ha consentito a me e a tanti altri come me di esprimere liberamente le proprie opinioni. In questo senso il banner è stato clamorosamente smentito: l’informazione online non aveva i giorni contati.

Nei mesi successivi, PeaceLink divenne un punto di riferimento per tutti i gestori di siti personali che si sentivano minacciati dalla nuova legge sull’editoria. Per un attimo sembrò che l’aggiornare periodicamente un sito Internet potesse essere considerato un atto di “stampa clandestina”. Poi il problema passò di moda, il che non significa che sia stato risolto. Cliccando sul banner troverete le f.a.q. pubblicate da PeaceLink il 13/4/2001: per quanto mi riguarda, rappresentano l’ultima parola sulla questione. (non la definitiva).

In questi due anni mi sono chiesto spesso quale sia la mia posizione nei confronti della legge. Sono giunto alla conclusione che non si tratta di una posizione molto chiara, né al momento mi conviene cercare di chiarirla.
Io credo che Internet, e le altre tecnologie di riproduzione digitale, abbiano messo in crisi alcuni rapporti economici e sociali che sono alla base della nostra legislazione: il copyright è il caso più eclatante. Due secoli fa l’introduzione del copyright fu una conquista importante per tutti gli individui creativi: artisti, scrittori, inventori. Oggi – almeno su Internet – si tratta di un balzello inutile e odioso, difeso da una vecchia casta di distributori sempre più lontani dalla realtà.

Un altro problema sono gli Stati Nazionali: su Internet non esistono (a parte la Cina). Ammesso che io abbia mai usato questo sito per diffamare qualcuno (e sono cose che possono succedere anche per sbaglio), quel qualcuno, per ottenere l’oscuramento del mio sito, dovrebbe denunciarmi presso un tribunale degli Stati Uniti, visto che il mio server è laggiù. Così, invece di preoccuparci della nostra legge sull’editoria, forse dovrei andare a ripassarmi il Primo Emendamento…

Questa sensazione di non essere del tutto in regola con la legge, anzi, di metterla in crisi, è condiviso più o meno da tutti i frequentatori del web. Che nella maggior parte dei casi la vivono con euforia. Che bello poter scrivere tutto ciò che si vuole. Che bello poter scaricare contenuti liberamente, leggere giornali e ascoltare musica gratis. Che bello vivere nel far west, dove nessuno ti dà fastidio (finché non pesti veramente i piedi a qualcuno).

È un’euforia che io non mi sento di condividere. Non trovo nulla di divertente nel fatto che Internet sia al di sopra della legge. È un fatto. Internet è libero? Non lo so. Ma senza dubbio è un ambiente pericoloso, proprio come il far west. Nessuno ti dà fastidio, finché badi ai fatti tuoi. Altrimenti può capitarti d’inciampare e impigliarti in un cappio al collo.

Certo, qui posso esprimere le mie opinioni e diffamare chi mi pare. Ma se qualcuno diffamasse me, sarei ancora così contento della mia libertà?
Certo, qui, sento parlare fino allo sfinimento di morte dal copyright, come se fosse una conquista sociale e non una semplice conseguenza dell’evoluzione tecnologica. Gli stessi che se ne fanno portabandiera, il più delle volte, vengono a chiedermi un contributo per poter continuare le loro campagne. Mi sembra di capire che l’alternativa al copyright è la pubblica carità: il che non mi sembra, con tutto il rispetto, una grande evoluzione.

E allora? Allora non so. Non ho risposte, ho solo la sensazione che la crisi sia molto più grande di quanto non ce la immaginiamo. Non credo che nessun legislatore sia maturo per regolamentare Internet, ma nemmeno credo che l’assenza delle leggi equivalga alla libertà.
Per lo meno: alla scuola elementare (statale) mi hanno insegnato che le leggi servono per tutelare i più deboli; e benché in seguito, crescendo, mi sia reso conto che nella pratica le cose non stanno esattamente così, tuttavia per quanto riguarda la teoria io resto fedele alla mia scuola elementare (statale).

Nel frattempo ho elaborato la seguente morale provvisoria:
se su Internet non c’è una legge che ci minaccia, non c’è nemmeno una legge che ci difende;
per questo motivo, noi deboli, dobbiamo imparare a difederci da soli. Tutti insieme, naturalmente.
In questo senso il banner di 2 anni fa ha torto: l’informazione online non ha i giorni contati. Però ha continuamente su di sé svariate spade di Damocle. Sta a noi, piccoli siti aggiornati saltuariamente, individuali o collettivi, la possibilità di allungare i giorni che ci rimangono. Ed è una lotta che va fatta giorno per giorno.

Nei mesi scorsi PeaceLink – probabilmente la più antica comunità d’opinione telematica italiana – è stata citata per danni da un consulente Nato, che ha chiesto 50.000 euro di risarcimento. Se, come me, avete ancora difficoltà a misurare in euro le grandi cifre, vi confermo che si tratta di poco meno di cento milioni di lire.
Cosa ha fatto PeaceLink? Ha copiato e incollato una petizione già pubblicata sul sito di Rifondazione Comunista. In calce alla petizione compariva anche la firma di questo consulente, che non ha gradito. Perché allora non ha citato per danni gli autori della petizione? Perché ha preferito prendersela con una piccola (ma fastidiosa) associazione telematica senza scopo di lucro? Secondo voi perché?

Se ci fosse una normativa che stabilisce chiaramente quali sono le responsabilità di chi copia e incolla un documento… già, ma non c’è. Nessuno, al momento, è in grado di stabilirla. Nel frattempo io non posso che confermare la mia solidarietà a Peacelink, e invito tutti i lettori e scrittori di siti senza scopo di lucro a fare lo stesso: oggi è Peacelink, domani potrebbe essere uno qualsiasi di noi.

Ps:
tanti auguri a me.
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Wittgenstein e wittgenstein

Poi alla fine vorrei dire una cosa: blog è una parola che non mi piace
Franco Bellacci

In questo pezzo si parla di due wittgenstein ben distinti, e a parte il nome non c’è proprio modo di confonderli.
E poi si parla di blog. Ogni tanto è inevitabile. Forse sapete già come il blog sia un virulento parassita dell’ego: si apre un blog per parlare di sé stessi, e col tempo si finisce di parlare soltanto del proprio blog. C’è chi prova a smettere, ma è dura. Io calo la dose, pian piano…

I due wittgenstein, dunque. Il primo è il blog di Luca Sofri, uno dei più letti e apprezzati in Italia. Sofri ha un’idea chiara su cosa sia (e cosa non sia) un blog, e la porta avanti da un po’ di tempo (senza nessuna acrimonia, bisogna dire):

Si ha ragione quando si dice che è difficile spiegare che cos'è un blog, ma è vero che dei punti fissi ci sono, condivisi da tutti quelli che ne hanno scritto e discusso. Un blog deve avere degli aggiornamenti periodici continui e attuali e deve contenere dei links […]

È chiaro che una definizione così taglia fuori qualche centinaio di blog italiani, compreso forse questo qui, che non linca qualcosa di decente da settimane.
Il che non è un dramma, in fin dei conti. Tra l’altro non ci ho mai tenuto a chiamarlo così. È un nome come un altro e non è nemmeno un granché. E il discorso potrebbe finire qui: non chiamatemi più blog, non aspettatevi da me un link al giorno e nemmeno uno alla settimana, fine.

Mi va invece di prolungarlo, perché leggendo la definizione di Sofri mi è venuto in mente (indebitamente) Wittgenstein: non il blog, ma quell’altro, il filosofo austriaco del linguaggio.
Dal quale io – che non sono mai stato una cima in filosofia – ho ricavato forse quest’unico insegnamento: le definizioni sono cose inevitabili, ma stupide. Nel senso che, dovendo usare una parola (“blog”, in questo caso), è inevitabile prima o poi chiedersi che cosa veramente questa parola significhi. Quale sia il suo significato preciso e definito. Beh, non se ne esce fuori. Almeno, questo è quello che cerca di spiegare Wittgenstein nelle Ricerche Filosofiche.

66. Consider for example the proceedings that we call "games". I mean board-games, card-games, ball-games, Olympic games, and so on. What is common to them all? -- Don't say: "There must be something common, or they would not be called 'games' "-but look and see whether there is anything common to all. -- For if you look at them you will not see something that is common to all, but similarities, relationships, and a whole series of them at that. To repeat: don't think, but look! --

(Non trovate che sia molto espressivo e scorrevole, Wittgenstein tradotto in inglese? In italiano l’ho sempre trovato piuttosto pesante).
Don’t think, but look!, ci dice Wittgenstein. E prosegue dimostrando come nessuna definizione di “game” possa includere tutte le cose che chiamiamo con quel nome. In certi giochi si vince o si perde, in altri no; alcuni si fanno da soli, altri in competizione; e così via.

And we can go through the many, many other groups of games in the same way; can see how similarities crop up and disappear.
And the result of this examination is: we see a complicated network of similarities overlapping and cries-crossing: sometimes overall similarities.


“Un complicato tessuto di somiglianze che si sovrappongono e si intrecciano”, in luogo di una definizione chiara e concisa, data una volta per tutti da un vocabolario o da un consiglio di saggi. Wittgenstein parlava di “gioco”, ma con i blog non è la stessa cosa? Ci sono blog con i link, blog senza link, con commenti, senza commenti, personali, collettivi, blog di personaggi più o meno famosi, blog di gente qualunque. Se potessimo esaminarli tutti, probabilmente non troveremmo nessuna caratteristica comune. Eppure, in un qualche modo distinguiamo in ciascuno di loro quello che lo stesso Wittgenstein chiamava “aria di famiglia”: il complicato tessuto di somiglianze (e dissomiglianze) di cui sopra.

Da Wittgenstein in poi io non mi sono più preoccupato molto di definire le cose che faccio. Preferisco fare quello che mi riesce di fare. L’ansia delle definizioni credo che andrebbe lasciata ai lanciatori di tendenze, che a scadenze fisse devono scoprire qualcosa di nuovo e farci un titolo. Un paio di anni fa si parlava di E/N, oggi di blog, domani sarà la volta di qualcos’altro: con tutto il rispetto, è una cosa che non mi appassiona (tanto io continuerò più o meno a fare le stesse cose, temo). Lo stesso Creatore del cielo e della terra – se mi passate l’immodesto paragone – non si è mai preoccupato di dare un nome a nessuna creatura. Ha preso il primo scimpanzé spelacchiato che passava e gli ha detto: pensaci tu (Genesi 2,19).

Ma torniamo all’altro Wittgenstein, cioè Sofri: perché ha tanto a cuore i link?

(sempre dal ludk web): ... I blogs, invece, hanno i links, e questa è la loro ricchezza: il rimando al mondo fuori dal sito, al resto delle cose che circolano, alle notizie, a quello che avviene altrove).

Che è una cosa condivisibile: un sito con link al mondo esterno dà sempre una migliore impressione, come d’aria fresca (purché sia davvero il mondo esterno, e non una cerchia più o meno ristretta di bloggatori sodali). Ma non so se sia quell’impressione a tenerci davanti al monitor alla costante ricerca di nuovi blog.
Prendiamo lo stesso Wittgenstein (il blog). Perché ha tanto successo? Perché contiene ottimi rimandi alla stampa anglosassone? Perché sa dare risalto anche ai blog degli umili mortali? Può darsi. Personalmente io lo visito quasi tutti i giorni, e clicco forse sul cinque per cento dei suoi link. Eh, non vi aspetterete che mi sciroppi un fondo del Washington Post al giorno (mi domando chi sia in grado di farlo).
È chiaro che a me (solo a me?) interessa qualcos’altro. E che quel qualcos’altro è un certo tipo di stile, che trovo lì, (e altrove), nel modo di metter già i titoli, le battute, le cazzate e le cose un po’ più importanti. Una scrittura. Che è quello che m’interessa, ahimé, forse più dei contenuti.
Insomma, i blog possono parlare di sé o parlare d’altro – e probabilmente è meglio quando parlano d’altro – ma sono comunque individui. Non ci si affeziona a loro per quello che dicono, ma per il modo in cui lo dicono. Che poi dicano qualcosa d’interessante, è un piacevole optional (io ci sto lavorando).
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Riconoscimenti

La settimana scorsa non ho concluso niente e avevo una scarsa opinione di me stesso.

Nel frattempo venivo co-optato in una nuova, smagliante rivista on line, venivo segnalato (scusate se è poco) da yahoo e, soprattutto, comparivo in uno dei finissimi, commoventi e feroci fumetti della Pizia (date un occhio anche agli altri).

Sarei un bell'ipocrita a dire che questo non mi ha reso un po' più soddisfatto di me (anche se non ho concluso niente lo stesso).

I riconoscimenti sono importanti. Anch'io dovrei imparare a riconoscere più spesso qualcosa a qualcuno. Devo per esempio scusarmi con alcune persone a cui avevo promesso un link da mesi. C'è un motivo di questo ritardo, ma è complesso. Vi consolerà sapere che ho ritardi simili anche nel pagare l'affitto.

Poi mi piacerebbe riconoscere qualcuno. Per esempio, l'altra sera ho dato la caccia ad Argazzi. Ero a teatro, non a vedere Moni Ovadia, ma a raccogliere firme per una Tassa (non so se ne avete sentito parlare). Nel foyer c'era anche un banchetto di Amnesty, e ne ho approfittato per firmare un po' delle loro petizioni, ché se non ci si aiuta tra di noi… ora, dovete sapere che Modena è piccola, al punto che quando leggo una petizione mi piace scuriosare tra le firme sopra e vedere se conosco gli altri firmatari, e di solito ne conosco. Be, immaginatevi il mio stupore nel vedere su tutti moduli il nome di Frederic Argazzi.

Che c'è di strano, direte voi. C'è che io e Frederic non abitiamo nella stessa dimensione. Ne è prova che stando a Modena (che è molto piccola) non ci siamo mai visti. Considerate che abbiamo collaborato (lui molto, ma molto più di me) a Stradanove, e che io per un bel po' di tempo ho lavorato praticamente di fianco all'ufficio del prestigioso Settimanale Digitale. Considerate che lui è stato uno dei primi bloggatori italiani (col layout a tutt'oggi più bello in assoluto, ma adesso l'ha cambiato…), ma che il suo link l'ho trovato via Chicago. Tutto questo ci ha spinto a dubitare dell'esistenza l'uno dell'altro. Fino a giovedì sera. Giovedì sera l'avevo in pugno. Ho chiesto alla ragazza:

"Ma questo… ehm… Frederic, non è che lo conosci?"
E lei, contravvenendo a tutta la normativa sulla privacy, ha confessato:
"Sì, perché, lo conosci anche tu?"
"Sì… cioè, no, cioè…"
"Internet, eh?"
"(A capo chino, come per rispondere alla domanda "quante volte figliolo")… sì".
"Eh, ma lui è proprio famoso, eh?"
"Eh già. Ma… è qui adesso?"
"Sì, è dentro".

Una frattura, un intersezione tra gli universi paralleli. Talvolta avviene. Ero un po' emozionato. L'avrei visto coi miei occhi! Ma non l'ho riconosciuto, né durante l'intervallo, né alla fine. Del resto non so neanche bene com'è fatto. Dovevo basarmi sul ritratto della Pizia? Anche questa volta, mancato riconoscimento.
Sarà per la prossima volta…
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naso da pugile piace alle ragazze

Tra i vari effetti negativi che ha indubbiamente il tenere un blog (sindrome di Celentano, stress da contatore, paranoia da referrer, cazzeggio compulsivo…), ce n’è uno positivo, e cioè: scrivere in pubblico ti costringe a fare i conti coi tuoi limiti. E questo è importante.
Se guardo dietro di me, vedo un signorino che si credeva assai informato e intelligente, appena un anno fa. Oggi non sono più così sicuro sul mio grado di intelligenza o di informazione. Mi accorgo sempre più che vado avanti per istinto. E mi accorgo anche che va benissimo così.

Un anno fa avevo teorie da spiegare al mondo. Oggi va grassa se mi riesce di metter su un pezzo divertente ogni tanto. Nel frattempo le cose diventano sempre più intricate e incomprensibili. Siccome non posso bermele tutte (da Bush che si strozza con un salatino ai complotti delle toghe rosse alla gloriosa missione italiana in Afghanistan, a Berlusconi grande mediatore europeo), non mi resta che andare a naso, e pazienza se a volte lo sbatterò contro il muro. Che poi la verginità l’ho persa molti anni fa, e non la rimpiango neanche.

Così, a naso, direi che Borrelli ha ragione a protestare e Taormina deve aver imparato da certi suoi clienti l’arte della minaccia. Così, a naso direi che, piuttosto che per un banale match di football, è più facile strozzarsi davanti a un rapporto sullo scandalo Enron. Così, a naso, direi che i Dieci Piccoli Italiani in Afghanistan ci stanno coprendo di ridicolo, e che a questo punto gli italiani dovrebbero farsi tutti pacifisti gandhiani per un semplice questione di decoro. Così, a naso direi che l’articolo 18 è una trincea più simbolica che reale, una specie di Linea Rossa, perché tanto i nuovi imprenditori aprono una ditta nuova ogni dieci dipendenti.

Così, a naso, direi che Israele sta vivendo un incubo dal quale lui solo può decidere di svegliarsi. Dopo mesi di blocchi in tutti i territori, come può un 'martire di Al Aqsa' entrare in un locale di Tel Aviv e fare fuoco? E allora a che serve tenere sotto sequestro tutto il popolo palestinese? Togliere i blocchi. Riprendere il dialogo con Arafat. L’incubo non finirà, ci saranno ancora morti inutili, il tunnel della pace è lungo e stretto, ma ha una via di uscita. Il tunnel dell’odio è cieco.

Queste cose io le dico a naso. E magari dico un sacco di cazzate, e i posteri rideranno di me (tanto sarò morto). Oppure io stesso riderò di me, quando tra qualche anno, dopo aver studiato con attenzione ogni questione, concluderò che Berlusconi, Bush e Sharon sono stati tre formidabili statisti, e io ero il solito giovane accecato dalle ideologie. A quel punto, però, spero che mi offriranno qualcosa, una sottosegreteria, una rubrica sul Foglio, una striscia in tv, perché nessuno si converte gratis, neanche San Paolo.

Nel frattempo, io, a naso, decido volta per volta da che parte stare, e se mi sbaglio, tanto peggio per me. E tanto meglio per chi sta dall’altra parte. Quelli li posso anche capire.
Faccio più fatica a capire, invece, quelli che si tirano fuori da gioco, come se non li riguardasse. Come se fossero i giudici – non alla maniera di Borrelli, no, infatti loro giudicano anche Borrelli, che “dovrebbe fare il suo mestiere”.

Gli italiani sono fatti così. Hanno una soglia d’indignazione molto bassa, che scatta subito, dopodiché può succedere qualsiasi porcheria, loro ormai sono indignati. E a quel punto non c’è più niente da fare. Un po’ come i cani, che se gli punti il dito loro guardano il dito, il meccanismo indignatore scatta sempre di fronte al messaggero piuttosto che al messaggio. Non scandalizza che esista una rete pedofila in Italia, scandalizza che Gad Lerner ne parli in prima serata. Non scandalizza che Berlusconi cambi legge per salvare i suoi amici inquisiti: scandalizzano i magistrati che denunciano la situazione.

Voi, che finché non si processa (e si condanna, evidentemente) un D’Alema o un Rutelli non ha senso processare Berlusconi. Così, per par condicio. Quanto siete garantisti. Quanto siete equilibrati. Voi il naso di sicuro non ve lo rompete da nessuna parte. Lo tenete ben alto a fiutare da che parte tira il vento, e così, impalati sull’attenti, ci fate anche la figura di uomini tutti d’un pezzo. Beh, che posso dire, bravi. Qualcosa però ve lo perdete. Che cosa esattamente non lo so, però qualcosa. Il naso da pugile, forse. A certe ragazze piace.
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Vietato informare
Voi non mi conoscete, vero? Non sapete chi sono, non mi avete mai visto, e soprattutto: non avete ricevuto da me nessuna informazione…
Forse a quest'ora già sapete la novità: secondo la nuova legge sull'editoria, qualsiasi sito italiano destinato alla "diffusione di informazioni presso il pubblico" è considerato "prodotto editoriale", soggetto quindi alla legge che impone la registrazione presso il tribunale. Legge del 1948, con qualche addentellato a regi decreti dal 1848 al periodo fascista… occorre indicare un direttore responsabile (ovviamente iscritto alla cupola dei giornalisti) e uno stampatore .E chi non ha amici affilati alla cupola, e non ha intenzione di stampare niente? Punibile con multa fino a £. 500.000 (e va' be') o reclusione fino a due anni. Insomma, voi non mi avete mai visto né sentito. Non sapete neanche come mi chiamo.
È una vittoria della lobby-cupola dei giornalisti (che nei mesi scorsi aveva già tentato di far passare una legge del genere, la famigerata 7292, bloccata alla chiusura delle camere)? Preferisco pensare a una vittoria degli imbecilli, una lobby trasversale che ha aderenti ovunque, anche fra i legislatori. È una legge talmente assurda (e non lo dico io, ma esperti di diritto) da rendersi inattuabile da sola. È già arrivato un primo ricorso alla Corte Costituzionale.
A questo punto ci mancava soltanto l'intervento di un politico che "invitasse alla calma": e puntuale arriva Vannino Chiti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio per l'editoria: Chi ha un sito amatoriale deve stare tranquillo. La discriminante fondamentale che separa un sito che fa informazione da uno che non la fa è la periodicità.
Ecco, mi sento proprio rassicurato. Forse chi ha un sito non è abituato ad aggiornarlo periodicamente? Una volta all'anno, al mese, al giorno, sempre periodico è. O basta essere irregolari per non "fare informazione"? Se aggiorno il mio sito (ammesso e non concesso che io abbia un sito) per tre giorni di seguito, posso incorrere in sanzioni? Andranno in California a sequestrare il mio server? Per sentirsi ridere in faccia da tutte le nazioni del mondo, tranne forse Cina e Corea del Nord? E l'articolo 19 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo? E l'articolo 21 della Costituzione? Insomma, la libertà di espressione?

Un po' di link sull'argomento, in ordine d'interesse:
Qui succede un "quarantotto" (Interlex)
Vittoria e sconfitta - UNA RISATA A TUVALU SEPPELLIRA' UNA LEGGE ITALIANA? (Peacelink)
Fuori legge l'informazione online? (Vita)
La legge sull'editoria scatena il panico in Rete (Repubblica)

Devo citare anche Giap, la newsletter di Wu Ming Fundation, che naturalmente non è molto tenera nei confronti dei legislatori (Da ieri siamo tutti fuorilegge. E' entrata in vigore la nuova, incredibile orrorifica legge liberticida sull'editoria). Interessante la dicitura provvisoria proposta:

/Giap/ e' la lettera circolare di Wu Ming. E' aperiodica, gratuita, diffusa a titolo volontario e non retribuito da Wu Ming Foundation, via Zamboni 59, 40126 Bologna, Italia. Non e' un organo di stampa, ma una lettera interna alla comunità dei lettori dei nostri libri. Poiché in senso stretto non fornisce regolarmente informazioni bensì garantisce altro genere di servizio (il contatto diretto tra noi e i lettori), riteniamo non rientri nelle fattispecie della legge n.47 dell'8/2/48 ("Legge sulla stampa"). Qualora il Partito Nazionale Fascista e/o la Casa Reale fossero del parere opposto, possono contattarci scrivendo al mittente di questa mail.

In un altro messaggio:

/Giap/ e' la newsletter telematica di Wu Ming.
Supplemento alla "Neue Rheinische Zeitung"
Direttore responsabile: Karl Marx


Anch'io voglio un direttore responsabile prestigioso. Potrei uscire, non so, come supplemento al Politecnico di Vittorini. O a Lacerba di Soffici e Papini, vecchio amore. Chi sa se Marinetti può dire una buona parola di me all'Italia Futurista...
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