23 febbraio 2022 - 08:14

Atletica, Gabriella Dorio: «Eliminata senza preavviso dai quadri federali. Gli ori di Tokyo non sono di Mei»

La campionessa di Atlanta 1984: «Iniziai a correre grazie a un prete. La mia vittoria olimpica? Guardavo le avversarie negli occhi e le intimorivo con gli sguardi»

di Domenico Basso

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La medaglia d’oro la tiene in un cassetto. Ogni tanto la prende in mano ma solo per portarla in qualche scuola dove la chiamano a parlare ai giovani, a motivarli, a spiegargli che nulla è impossibile se crediamo in qualcosa e abbiamo un sogno . E Gabriella Dorio (vicentina, oggi 64 anni) un sogno lo aveva ben chiaro già a 14 anni . Vinta nel 1971 una gara dei Giochi della gioventù allo stadio dei Marmi a Roma si mise ad urlare : «Io vincerò una Olimpiade».

Ma come le è venuto in mente ?
«Avevo appena vinto i 1000 metri in uno stadio strapieno, stavamo facendo la foto davanti al palazzo del Coni ed io mi sono messa ad urlare che da grande avrei vinto una medaglia d’oro alle Olimpiadi. E ai compagni che mi sbeffeggiavamo dissi che avevo una testa, due gambe e dovevo provarci. E così questo sogno mi ha accompagnato negli anni».

Ma la passione per la corsa come era cominciata?
«È stata una sfida. In quegli anni le ragazze dovevano stare a casa, ma io volevo correre, ero una ragazzina timida che quando correva stava bene con se stessa».

In famiglia che dicevano di questa sua passione?
«I miei genitori non l’avevano presa bene perché per correre bisognava indossare i pantaloncini corti, insomma non era uno sport da ragazzine».

Quindi l’atletica ha rischiato di perdere un talento…
«A salvarmi è stata nonna Erminia che viveva con noi. Un giorno vedendo che le cose si facevano difficili mi disse semplicemente: ci penso io».

E cosa ha fatto per convincere i suoi genitori?
«E’ andata dall’arciprete e lo ha invitato a casa nostra per parlare con i miei genitori».

E qui si è compiuto il miracolo?
«Si, perché in una famiglia religiosa i preti si ascoltano».

Cosa disse di così incisivo per far ricredere papà e mamma?
«Una frase che fu un vero e proprio lasciapassare per il mio paradiso. “Se vostra figlia ha questo dono di Dio dovete consentirle di correre. Da quel giorno non ho più smesso”».

Fino ad arrivare alla medaglia d’oro a Los Angeles l’11 agosto del 1984.
«E’ stato il mio sogno che si realizzava. Ma il primo pensiero che mi è passato per la mente è stato: e adesso? Avevo raggiunto l’obiettivo, per anni avevo pensato a quella medaglia e raggiunto il traguardo sentivo quasi un vuoto dentro che è durato qualche secondo».

Poi il pianto liberatorio?
«Non subito perché dovevo salire sul podio e osservare davanti a novantamila spettatori la bandiera dell’Italia che saliva verso il cielo».

C’è un segreto dietro quella vittoria da svelare dopo 38 anni?
«È stata una vittoria ottenuta più con la testa che con il fisico. Ho saputo gestire corpo ed emozioni. E la vittoria l’avevo già in tasca prima di scendere in pista. Ho vinto nella “call room”, la stanza dove i giudici fanno i controlli. Qui io guardavo le avversarie negli occhi , le intimorivo con gli sguardi e facevo capire loro che stavo bene e che dovevano temermi».

Per 25 anni è stata una sorta di capitano delle Nazionali Giovanili di Atletica. Poi arrivederci e grazie. Cosa è successo ?

«Quel ruolo mi piaceva molto perché interagivo con i ragazzi, per loro ero una sorta di mental coach. Questo fino a quando è diventato presidente Stefano Mei, poco prima delle Olimpiadi. Il mio ultimo raduno è stato a novembre 2021 . Il rapporto con Fidal si è concluso ma non mi è stato comunicato nulla dal presidente, mi sono trovata fuori dai quadri federali. E lo dico non con rancore ma con il dispiacere che hanno avvertito le tante persone e i tanti atleti che venuti a conoscenza della decisione della federazione mi hanno chiamato».

Ma perche questa svolta?
«L’unica spiegazione me l’ha data Antonio Andreozzi, direttore tecnico delle giovanili. Mi ha detto che il presidente aveva deciso di coinvolgere altri testimonial cosa che finora non mi pare sia successa. E comunque io non ero lì come testimone del passato ma come persona che seguiva i ragazzi».

La riconoscenza si dice non sia di questo mondo …
«Le medaglie d’oro alle Olimpiadi non le ha vinte Stefano Mei che da soli tre mesi era alla guida della Fidal, quelle medaglie sono il risultato di un lavoro fatto negli anni e questo lavoro doveva essere riconosciuto».

Adesso cosa fa Gabriella Dorio?
«Seguo i ragazzi del Gruppo Atletico Bassano che mi stanno dando grosse soddisfazioni. La società nel 2023 compirà 75 anni. Poi sono stata chiamata dalla Diadora a seguire il settore dei runners, a partire dal mese prossimo girerò nelle varie città dove spiegheremo agli appassionati come si corre e come si cammina».

Qual è oggi lo stato di salute dell’atletica leggera?
«Alle medaglie d’oro sono arrivati atleti delle giovanili, under 20. Poi gente come Filippo Tortu , Nadia Battocletti, Gaia Sabbatini , Elena Bello’tanto per fare qualche nome sono ragazzi che abbiamo seguito passo passo. I risultati è ancora di più le medaglie non si costruiscono in tre mesi ma in dieci anni».

Come dire che le 5 medaglie d’oro alle Olimpiadi non sono di Stefano Mei..
«Sicuramente passera alla storia come il presidente che ha vinto 5 medaglie d’oro ma non sono sue, sono di chi ha lavorato per far crescere quei giovani . Prendiamo Nadia Battocletti io l’ho vista quando aveva 9 anni, era magrissima ; poi è cresciuta anche mentalmente, ricordo quanto tempo siamo state insieme a parlare perché un’atleta cresce non solo macinando chilometri ma allenando anche la testa perché bisogna saper controllare anche le emozioni”.

Di Marcell Jacobs cosa pensa?
«È bravo e poi è uno che vuole arrivare, vuole andare forte. Se punti ad un sogno puoi raggiungerlo, magari devi fare un po’ di gradini ma prima o poi ci arrivi, è la costanza che paga».

Di cosa ha bisogno oggi l’atletica leggera?
«Questo è uno degli sport più belli perché è facile da praticare, lo possono fare tutti senza problemi è sport universale e oggi dovremmo sfruttare di più questa nostra immagine vincente e farla fruttare. Le cinque medaglie d’oro andavano capitalizzate dalla federazione per raccogliere denaro per riuscire a fare più attività, per aiutare le società , per superare il limite del volontariato perché i tecnici spesso non vengono pagati. Le medaglie dovevano essere l’occasione per aiutare le società a crescere e a far fare più attività. Nel calcio girano un sacco di soldi e noi non riusciamo a tirar fuori un po’ di euro per gratificare il lavoro dei tecnici».

Gabriella Dorio se si guarda alle spalle oltre ai successi vede anni di privazioni?
«Assolutamente no. La mia vita è cambiata in meglio, sognavo una medaglia d’oro e una famiglia e i miei sogni si sono avverati».

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