2 settembre 2023

Pieve d'Olmi-San Daniele Po referendum sulla fusione tra antiche rivalità, polemiche, ragioni di bilancio e futuro. Il parere dei Comitati. Sì o no il 24 settembre. Chi la spunterà?

Questa fusione non s’ha da fare. Anzi sì, va fatta.

Chissà se Pieve d’Olmi e San Daniele Po diventeranno un unico ente. Nel frattempo  due comitati (uno favorevole e l’altro contrario) si danno battaglia in questo ultimo scorcio d’estate in vista del referendum che il prossimo 24 settembre chiamerà i cittadini dei due Comuni rivieraschi a decidere del loro futuro. 

Ma andiamo per ordine: lo scorso febbraio le amministrazioni comunali di Pieve e San Daniele hanno dato il via libera al progetto di fusione dei due Comuni, che prevede -tra le altre cose- che i cittadini stessi si esprimano tramite referendum. 

Evidentemente la scelta non ha convinto tutti, tanto che nei mesi a seguire si è formato un fronte di cittadini (principalmente olmesi) contrari a questa opzione, spinti dalla paura di un peggioramento dei servizi e anche da un certo timore, tutto sommato, di perdere la propria identità territoriale. Questo gruppo si è unito nel comitato ‘No a questa fusione’ che si è attivato sia sul territorio comunale che sui canali social ed online.

Di pensiero opposto, va da sè, il comitato per il sì, che raccoglie gli umori soprattutto dei sandanielesi, e che invece coglie una grande opportunità, per entrambi i comuni, in questa operazione.

Nel mezzo i due sindaci, Attilio Zabert e Davide Persico (rispettivamente di Pieve e San Daniele), entrambi al loro terzo mandato, che naturalmente credono nel progetto di fusione da loro promosso, studiato e messo in campo e lo rivendicano come un’opportunità di crescita e miglioramento dei servizi per entrambe le realtà, che a parer loro sono affini per tutta una serie di servizi che già sono svolti in cooperazione e per la reale difficoltà quotidiana nell’amministrare due realtà che contano circa 1250 abitanti ciascuna.

IL FRONTE OLMESE DEL NO

A Pieve un gruppo di cittadini, per niente convinti della bontà di questa operazione amministrativa, ha dato vita al comitato spontaneo apolitico ‘No a questa fusione’.

No al vile denaro, sì alla tutela delle rispettive identità’ è il manifesto del gruppo, di cui si è fatto portavoce Simone Priori: «Siamo contrari non al concetto in sé di fusione tra due Comuni -spiega Priori- ma alla scelta di unirci a San Daniele, che in questo momento è una realtà in forte dissesto economico. Inoltre i dati finanziari che sono stati presentati a supporto della scelta, non sono completi e puntuali e la situazione risulterebbe ben più grave di quanto comunicato fino ad ora».

Insomma, secondo il comitato del NO la proposta partirebbe da aspetti finanziari poco favorevoli ai cittadini di Pieve ed il timore è che questa incertezza porti pochi vantaggi al Comune ed ai suoi cittadini, anche in una prospettiva sul lungo periodo. «Si dice che la fusione risolverà i problemi finanziari dei nostri comuni -incalza Priori - quindi il progetto è pensato solo per sanare debiti? Possiamo essere poi sicuri che negli anni a venire i contributi da parte dello Stato saranno ancora garantiti ed in quale misura? Inoltre tutto l’iter ci sembra affrettato, a partire dal fatto che non è stato sondato a livello locale prima di prendere la decisione». 

Altro punto dolente, secondo il comitato del NO, sarebbe proprio la questione delle modalità con cui si è arrivati alla scelta ed anche su questo aspetto il gruppo ha le idee ben chiare: «Nessuno ha chiesto formalmente ai cittadini cosa ne pensassero della possibilità di perdere in parte la propria identità. Era invece necessario fare un passaggio con la comunità, sondare gli umori e le reazioni della gente e delle attività commerciali per capire se la popolazione fosse pronta e favorevole a fare questo passo. - prosegue Priori- Devo dire che anche alcuni Sandanielesi sono con noi ed hanno l’onestà intellettuale di dire che è giusto che ciascuno paghi i propri debiti».

Sul cosa si aspetti il comitato dall'esito delle urne, la risposta è scaramanticamente prudente: «In molti stanno sostenendo la nostra posizione, stiamo ricevendo molta solidarietà. Addirittura alcuni cittadini hanno appeso la nostra locandina alla porta di casa. Questo per noi è un attestato importante di come in molti la pensino come noi. Ad ogni modo, anche se in uno solo dei due comuni vincesse il No, la fusione non si farebbe».

Nei prossimi giorni il gruppo del ‘No a questa fusione’ ha già messo in calendario una fitta serie di appuntamenti informativi per la cittadinanza: il primo domenica mattina in Piazza XXV Aprile, poi il 10 settembre sempre in piazza ma nel pomeriggio, dalle 18 alle 22. Infine il 17 ed il 20 settembre, nelle sale della Casa della Cultura, a partire dalle 19. 

L’APERTURA AL SI’ DA SAN DANIELE

Qui è l’ex sindaco Giuseppe Fava ad aver raccolto ed interpretato gli umori dei cittadini favorevoli a questa fusione, che ribadisce: «Sarebbe una grandissima opportunità per entrambi i Comuni, portando ulteriori economie. Per esempio entrambi sono sotto organico sia negli uffici che con le figure dei cantonieri. Ma anche la scuola ed i servizi sociali ne trarrebbero giovamento. Pensiamo solo all’invecchiamento della popolazione o alle problematiche di tanti minorenni, che vengono supportate esclusivamente con fondi comunali».

Ma alla fine, davvero, Pieve d’Olmi rischia di vedersi aumentare le tasse per sostenere il debito di San Daniele? «Il debito derivato dai mutui è già a bilancio e verrà ammortato nei prossimi anni. La figura del commissario Prefettizio poi, che ha seguito poi questo iter, dovrebbe dare garanzia del piano di rientro. Sull’aumento delle tasse, mi risulta che entrambi i paesi paghino già l’aliquota massima, pertanto non potranno aumentare. Di sicuro, ripeto, ci sarebbero delle economie di spesa».

Un altro aspetto che mette in evidenza Fava è che «Pieve d’Olmi non ha un’area artigianale e nei prossimi anni potrà contare solo sui gettiti delle imposte che pagheranno i cittadini. San Daniele ha diverse attività e fabbrichette. Insomma a nostro avviso questa fusione sarebbe un’unione di forze per permettere ad entrambi i Comuni di erogare servizi migliori e riuscire ad essere ancora attrattivi per chi ci vive. Se guardiamo lo spopolamento dei nostri territori, come possiamo immaginarci tra qualche anno. San Daniele negli anni ‘70 aveva 2.600 abitanti circa, oggi siamo meno della metà e sempre più vecchi. Lo stesso credo che valga per Pieve: purtroppo è una realtà a cui dobbiamo guardare in faccia ed affrontare prima o poi».

Infine un monito: «Non bisogna buttarla solo sullo spauracchio del debito, i numeri vanno visti ed analizzati con calma. La situazione non porterebbe svantaggio a nessuno ma potrebbe essere una grande opportunità, lo ripeto e ne sono convinto».

Sulla questione dell’identità, Fava è più tranchant: «Hanno detto che Pieve avrebbe potuto rivolgersi a Stagno, Bonemerse o altri Comuni. Beh, in questo caso l’identità dove sarebbe rimasta?». 

Anche il comitato del Sì ha in programma un paio di appuntamenti informativi, di cui sicuramente uno a San Daniele ed uno a Pieve, ma in date che verranno definite nei prossimi giorni.

Nell’attesa che le urne restituiscano i pareri dei cittadini, sul tavolo ci sarebbero già gli ipotetici nomi del nuovo Comune: si va da un semplice San Daniele - Pieve d’Olmi, ad un più nostalgico Pieve Ripa Po (dal vecchio toponimo sandanielese) per finire a Pieve di Po

ANTICHI CAMPANILISMI 

Insomma, due Comuni rivieraschi e confinanti, dove però la spinta identitaria è ancora molto radicata.

Mi tornano alla mente le pagine di Alvaro Papetti, scrittore Sandanielese, che nel suo libro appunto un libro ‘Türe zu’ dedicato al suo paese durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, racconta di un’antica rivalità proprio tra San Daniele e Pieve.

«Non ho mai capito quali fossero i motivi della rivalità campanilistica che, ancora a quei tempi, contrapponeva gli abitanti di Pieve d’Olmi a quelli di San Daniele (...). Ad ogni buon conto, gli abitanti di Pieve d’Olmi si ritenevano più raffinati di quelli di San Daniele e chiamavano il (nostro) paese “al paées dal dòdas”». 

Papetti spiega che Pieve era già nella cerchia dei paesi prossimi a Cremona, quindi più raffinati nei modi e nella cadenza, mentre San Daniele restava fuori da questa 'élite' e la cosa si traduceva in un dialetto più duro ed aspro, che si esprimeva bene nella parola ‘al dodàs’, il dodici, con quella pronuncia così bizzarra e distante dall’idioma olmese e cittadino.

 

Michela Garatti


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