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Published on Sep 26,2015
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MARION ZIMMER BRADLEY CUORE DI LUCE (Heartlight, 1998) «Così, quest'unico documento cruciale e incendiario del Terzo Reich haorigine in quello strano mondo crepuscolare dove occultismo e spionaggiosi incontrano, un mondo che visiteremo spesso nel corso di questo studio.» Peter Lavenda, Unholy Alliance Ringraziamenti. Desidero esprimere la mia gratitudine a Sandy Ellisondel Rettorato dell'University of California di Berkeley, per le informazionisul campus e le sue attività negli anni Sessanta. Qualsiasi inesattezza pre-sente nel libro è, naturalmente, da imputare a me. Vorrei anche ringraziare Rosemary Edghill, che ha fornito una preziosacollaborazione nel preparare questo manoscritto (e i tre precedenti dellastessa serie) per la pubblicazione. PROLOGOAvalon del cuoreMuoviti lungo queste ombrecon cuore gentile; con mano delicatatocca... William Wordsworth Amavo Colin MacLaren? È una domanda strana, ma immagino che sor-ga spontanea a chi conosce le nostre vicende e le ha a cuore. Certamente èstato l'unica costante della mia vita, ed è sopravvissuto ai cambiamenti dilavoro, di residenza e anche al mio amato Peter. Il mio primo incontro con Colin avvenne quando ero poco più che ado-lescente; affrontavo per la prima volta da sola un mondo che dagli anniSessanta ha subito tali e tanti cambiamenti da fare apparire quell'epocacome un paese straniero a un giovane di oggi. Era un mondo in cui le don-ne sapevano qual era il loro posto e vi restavano, nella maggior parte deicasi; un mondo in cui il progresso era inevitabile e ogni cambiamento eraconsiderato con ottimismo. Noi - l'America, gli Alleati - avevamo vinto, o almeno così credevamo,la guerra contro il male non molto tempo prima. Era stata quella guerra a

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plasmare la generazione del baby boom, anche se il conflitto di cui io e lemie sorelle sentivamo parlare mentre crescevamo non era la seconda guer-ra mondiale, ma la guerra di Corea. A quei tempi entrambe sembravanogiuste e apparivano come vittorie decisive per l'affermazione di quello cheallora chiamavamo «il nostro modo di vita»; con il passare degli anni, pe-rò, sono sorte delle discussioni sulla giustizia e lo scopo non solo di quelleguerre, ma anche dei conflitti scoppiati in Vietnam, nel Golfo e di quelli,più ridotti, in altri centinaia di punti del globo. Non penso che sapremo mai con esattezza cosa significa per noi «l'ul-tima guerra giusta» finché l'ultimo soldato del conflitto non sarà sepolto egli ultimi morti, incapaci di darsi pace, non saranno stati riesumati. Colin direbbe che la consapevolezza dell'ignoranza è già un inizio disaggezza... Colin MacLaren, il mio maestro e amico. Anche lui era statotemprato dalla guerra; era cambiato come tanti di coloro che sarebbero di-ventati i genitori della mia generazione irrequieta, ma in Colin il conflitto ele sue conseguenze provocarono la nascita di un amore terribile ed esigen-te, troppo vasto per concentrarsi solo su una donna... o su un uomo, se èper quello. Amavo Colin MacLaren? Sinceramente non ricordo più cosa provaiquando lo vidi per la prima volta. Ma so bene che Colin MacLaren amavatroppo tutta l'umanità per amare solo me. CAPITOLO 1 Berkeley, 5 settembre 1960 Tutto è luminoso e scintillante nell'aria senza fumo, Buon Dio! Perfino le case sembrano addormentate; e quel vasto cuore è immobile! William Wordsworth Nel gennaio di quell'anno un senatore del Massachusetts chiamato JohnF. Kennedy annunciò che si sarebbe candidato alla presidenza degli StatiUniti. In febbraio, le proteste per i diritti civili che avevano straziato il Suddurante gli ultimi quattro anni ebbero un'escalation a Charlotte, nella Caro-lina del Nord, ed Elvis Presley ricevette il primo disco d'oro. In maggio, un pilota statunitense chiamato Francis Gary Powers venneabbattuto mentre sorvolava la Russia con un U-2: in seguito a questo epi-sodio crebbe la tensione della guerra fredda, che attanagliava l'Europa inte-

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ra in una morsa glaciale. La sorella minore dalla regina d'Inghilterra, Mar-garet, sposò Anthony Armstrong-Jones, e la cerimonia catturò l'attenzionedel pubblico affamato di eventi prestigiosi come non accadeva dalle nozzedi Grace Kelly, quattro anni prima. 1960. L'anno in cui il futuro stesso era la Nuova Frontiera. Ma quellafrontiera non si era liberata dai folletti malvagi del Vecchio Mondo. Fu inquell'anno che gran parte del globo si riscosse dalla paralisi emotiva e co-minciò infine a fare il bilancio dell'«ultima guerra giusta», quella prece-dente al conflitto di Corea, la guerra i cui costi erano passati inosservati nelboom economico postbellico. Nello stesso 1960 Adolf Eichmann venne fi-nalmente catturato a Buenos Aires e processato da Israele per i criminicommessi. Il suo processo fu trasmesso dalle reti di tutto il mondo, e que-sto cementò il ruolo del nuovo mezzo di comunicazione di massa - la tele-visione - nella Nuova Frontiera, divenuta così parte integrante di un mondoche riusciva ancora a credere al villaggio globale. 1960. Fu un anno in cui le grandi potenze continuarono a liberarsi deipossedimenti coloniali che sembravano appartenere a un'altra epoca. Unanno che vide l'intensificazione dei combattimenti in una zona che conti-nuavano erroneamente a chiamare Congo Belga, e le neonate Nazioni Uni-te cominciarono a muovere i loro primi passi internazionali (mentre il Va-ticano e il nuovo Papa, Giovanni XXIII, affermavano lo stesso «diritto edovere» di intervenire negli affari esteri). Quell'estate un'organizzazione parastatale esistente da tredici anni, laCentral Intelligence Agency, nata dai resti dell'OSS del periodo bellico percontrastare direttamente il potere crescente dell'FBI, avrebbe cominciato lafallimentare serie di tentativi per eliminare dittatori stranieri - in particola-re il nuovo uomo forte dei Caraibi salito al potere l'anno precedente, il cu-bano Fidel Castro -, che le avrebbero fatto perdere la faccia venticinqueanni dopo, quando i dettagli delle varie imprese vennero infine divulgati.All'assemblea nazionale del Partito democratico il giovane senatore delMassachusetts, popolare e provvisto di conoscenze importanti, scelse comecompagno di elezioni il cinquantaduenne texano Lyndon Johnson, mentrel'Unione Sovietica continuava a consolidare i successi del suo programmaspaziale agli esordi. Fu un anno di speranza e disperazione; dodici mesi che videro la vogliadi libertà diffondersi come un incendio in Asia e Medio Oriente, mentrel'Europa subiva il peso di una Cortina di Ferro voluta da alleati diventatinemici. Simile a una fenice, la Russia era rinata dalle ceneri della vittoria

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alleata per minacciare di nuovo le nazioni occidentali, con armi tali chenessun uomo sano di mente avrebbe potuto contemplare l'eventualità diuna guerra. La civiltà era sull'orlo di una catastrofe nucleare, e le potenzemondiali si disputavano le posizioni di punta nel nuovo ordine mondialeche si stava definendo. Questo era il mondo in cui era tornato Colin Niall MacLaren quattro an-ni prima, un Paese che aveva inventato la televisione e sconfitto la po-liomielite, dopo aver relegato la guerra di Colin alle nebbie del passato.Quando era partito dall'Europa, si era lasciato dietro una Germania Oc-cidentale che stava appena cominciando ad affrontare l'enormità dei suoicrimini, una nazione dal paesaggio politico smembrato e ricomposto senzanessun ordine nei vent'anni scarsi del suo soggiorno. Aveva trascorso quasi la metà della sua vita in una forma o l'altra di esi-lio dal suo Paese di nascita. Era stato a Parigi quando l'esercito tedesco viaveva marciato; era allora un giovane alto e magro con penetranti occhiazzurri sotto sopracciglia chiare e folte, e aveva l'aria dell'eterno studente.Aveva appena l'età sufficiente per votare nella nazione dov'era nato, ma, adiciannove anni, Colin era già abbastanza vecchio per sapere che la guerrain cui doveva impegnarsi non poteva essere combattuta con l'uniforme a-mericana. Aveva trascorso gli anni dai venti ai venticinque a scappare, nascondersie uccidere, a combattere per la Luce contro l'Ordine Nero che aveva mani-polato un'intera nazione per piegarla al suo volere. Le amicizie erano brevie intense, rese più preziose dal pericolo di torture e morte, un'eventualitàamara ma estremamente concreta per tutti coloro che si opponevano allavolontà del Reich Millenario. Quando era arrivato il giorno della vittoria, nel 1945, la guerra di Colinin un certo senso era solo cominciata, perché, una volta sfumata la mi-naccia tedesca, venne chiamato a pulire e guarire, a purificare il campo dibattaglia proprio come un medico sterilizza le ferite, in modo che la piagapossa cicatrizzarsi senza infezioni e il paziente alzarsi e continuare la suavita. E, alla fine, come avviene per tutte le incombenze, anche quella eragiunta al termine. Tornare a Manhattan nella primavera del 1956 era stato come tornare inun futuro alieno per Colin MacLaren. C'erano grattacieli ovunque guardas-se, e altri in fase di costruzione. Il nuovo edificio delle Nazioni Unite do-minava la zona est della Cinquantesima, e le familiari vetture tranviarie

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che ricordava dalla sua infanzia erano scomparse da tempo, insieme aibordi erbosi di Park Avenue e alla tazza di caffè da cinque cents. Fortuna-tamente Colin non si trovò subito nella necessità di cercare lavoro al suoarrivo: poté contare sullo stipendio arretrato che ricevette dall'esercito de-gli Stati Uniti. Quasi subito era fuggito dal centro per riparare nella zona sicura dellasua infanzia, Hyde Park. Suo padre, uno scozzese, era morto quando luiera ancora un ragazzino, e la madre era scomparsa mentre si trovava in Eu-ropa, ma la vecchia casa bianca era ancora identica a come la ricordava.Quell'edificio costituiva il grosso dell'eredità materna, ma rimaneva co-munque abbastanza denaro per pagare le imposte sul patrimonio e la mag-gior parte delle fatture per alcuni anni a venire. E così, per la prima volta dopo molti anni, più di quanti gli piacesse ri-cordare, Colin MacLaren si trovò libero e privo di impegni, senza che nes-suno avanzasse pretese sul suo tempo o cercasse di ucciderlo. La valle del-l'Hudson era ancora tranquilla e accogliente come la ricordava; si circondòdei libri preferiti e della sua musica e imparò di nuovo a dormire senzatendere l'orecchio per sentire un colpo alla porta o lo squillo notturno deltelefono che lo chiamava al dovere. Era libero. Il mondo era in pace. La calma della campagna guarì una parte di lui che non sapeva ferita, madopo qualche mese Colin capì che quell'ambiente bucolico non era adatto alui; così, vendette la vecchia casa e tornò nella città freneticamente attiva,nella primavera del 1957. Investì quindi il denaro ricavato dalla vendita e la piccola eredità in uncondominio a tre piani nella zona est della Ventesima. Era diviso in setteappartamenti; Colin ne affidò la gestione all'amministratore precedente e sitrasferì nell'appartamento all'ultimo piano. Quell'immobile costituiva uninvestimento che gli avrebbe permesso - o almeno così sperava - di avereun tetto sulla testa e delle entrate per gli anni futuri, mettendolo nelle con-dizioni di continuare il suo vero lavoro. Se solo avesse potuto sapere con certezza in cosa consisteva... In un'e-poca non lontana gli era parso presuntuoso pianificare un futuro che te-nesse conto di un'eventuale vecchiaia e, inseguito, il compito da svolgeregli si era presentato chiaro e preciso. Ora tutto era cambiato. Per un Adeptodel Sentiero della Mano Destra, dedicato alla Grande Opera di Trasforma-zione, il dovere consisteva nel prestare aiuto a coloro che ne avevano biso-gno e nel collaborare con gli altri pellegrini sul Sentiero. Ma il Paese in cuiera tornato si stava lanciando a testa bassa verso il ventunesimo secolo, in-

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teressato esclusivamente a ciò che poteva vedere e udire, annusare e tocca-re e gustare. L'America nel sesto decennio del ventesimo secolo sembravastranamente indifferente al Mondo Invisibile che sfuggiva ai cinque sensi. Quel disinteresse non era sufficiente a farlo disperare - la disperazione,comunque, era un peccato -, e Colin negli ultimi anni aveva visto cose benpeggiori della soddisfazione ottimista della borghesia americana. Quell'at-teggiamento diffuso lo indusse però a chiedersi quale avrebbe dovuto esse-re il suo compito nel mondo, e se aveva effettivamente preso la decisionegiusta quando era tornato a casa. Ma la conoscenza del futuro non era una capacità umana, e Colin ac-cantonò le preoccupazioni e si concentrò sul lavoro che lo aspettava, pro-prio come i suoi maestri gli avevano insegnato. Odiava appassionatamentei pregiudizi e le credenze vane; se non fosse stato per le paure superstiziosedel tedesco medio tre decenni prima, l'intero meccanismo da incubo delpartito nazista non avrebbe mai imposto la sua stretta mortale alla politicaeuropea. Avrebbe combattuto la superstizione nei tempi e modi che gli sa-rebbero stati consentiti con la più micidiale arma a disposizione: il sapere. Firmò un contratto per tenere una serie di lezioni su folklore e occulto inuna delle numerose università aperte di Manhattan, e si preparò a sistemar-si in una nuova, vera casa. Ritirò rapidamente i pochi beni personali da undeposito, costruì e fissò molti scaffali per i libri. Si adattò lentamente alritmo frenetico della vita cittadina. Acquistò una macchina per scrivere ecominciò a proporre i suoi articoli a piccole riviste esoteriche; la loro pub-blicazione gli procurò un numero limitato di corrispondenti a cui scrivevacon regolarità, e di tanto in tanto riceveva una richiesta di aiuto che sololui era in grado di soddisfare. Qualcosa, però, mancava ancora; mentre l'inverno lasciava nuovamenteil posto alla primavera, Colin vagò per le strade, cercando di imparare aconoscere quella che considerava la «sua» città in lunghe passeggiate sen-za meta. La strada che ospitava la casa elegante di sua proprietà costeggia-va il bordo settentrionale del Greenwich Village, e molte sere, dopo averterminato gli altri impegni, Colin vi andava a camminare. Stava cercando qualcosa, quello lo sapeva, ma, qualunque cosa fosse,non lo trovò lì, o non lo riconobbe se lo trovò. Con il passare delle setti-mane, Colin capì di non appartenere a quel luogo. Non era a casa sua nellaNew York febbricitante, e certamente non tra i poeti da quattro soldi e i fi-losofi alienati dei caffè della nuova Bohème. Colin provava un'antipatia istintiva per quegli individui e la cultura ri-

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belle che sostenevano, ma temeva anche che quel sentimento non fosseprovocato da loro ma da qualcosa che gli mancava dentro. I malinconicicantanti «folk» riuscivano solo a fargli ricordare quanto preferisse le pas-sioni selvaggiamente imbrigliate dell'opera a quella musica quasi atonale. A dispetto di tutto ciò che aveva imparato, si trovò a liquidare quei gio-vinastri che non avevano mai fatto la guerra come una generazione priva didisciplina, ma si sentì così disturbato dai propri sentimenti di anomia chedecise di svelarli all'unico altro membro esoterico del suo Ordine allorapresente in America: il dottor Nathaniel Atheling. Era una giornata grigia e fredda, e il vento che sferzava dal fiume era ta-gliente. L'edificio di mattoni gialli del Bellevue Hospital aveva l'aria sgra-devolmente animata, come se da un momento all'altro avesse potuto sol-levarsi e camminare. In quel quartiere così centrale era il ponte di Bro-oklyn, non l'Empire State Building, a dominare il profilo della città. Colinrabbrividì affrettandosi verso le porte a vetri dell'accettazione. Atheling era stato un membro della Loggia dell'Ordine al Cairo, ma nonera originario della città egiziana. Era venuto negli Stati Uniti subito dopola guerra; anche lui era uno degli individui resi apolidi dal conflitto. Athe-ling aveva già esercitato in campo medico, e questo gli facilitò la transi-zione; una volta ottenuta l'abilitazione, entrò a far parte del personale delBellevue. Mentre la parte più abbiente della popolazione e i borghesi continuavanoa spostarsi inesorabilmente verso i quartieri eleganti della città, gli ospeda-li del Lower East Side come Bellevue erano condannati a subire il pesosempre maggiore della popolazione povera di immigrati, bisognosa di curefisiche oltre che mentali. Come per molti uomini della sua età, anche per Colin l'infanzia era statasegnata in modo indelebile dalla grande depressione. La povertà, chiara efacilmente riconoscibile, voleva dire debiti e l'impossibilità di cancellareun'ipoteca. Egli non considerava ciò che vedeva in quel luogo come unaforma di miseria, ma sapeva che lo metteva a disagio. Era strano pensareall'America come a un paese di poveri. Il dottor Nathaniel Atheling aveva un piccolo ufficio al terzo piano del-l'edificio principale. Colin lo trovò senza difficoltà e bussò alla porta. Atheling era un uomo magro, per non dire scarno, più vicino ai cin-quanta che non ai quarant'anni. I suoi capelli neri, disseminati precoce-mente di fili argentei, avevano bisogno di un buon taglio, e quando alzò lo

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sguardo Colin vide che aveva gli occhi di uno strano color ambra, quasidorati. L'unico particolare fuori dall'ordinario nel suo aspetto era il ciondo-lo azzurro a forma di scarabeo che gli pendeva da una catenina d'argento alcollo. Era seduto dietro una scrivania coperta di fogli. «Ah. Sono le tre. Questo significa che lei dev'essere Colin MacLaren»,disse Atheling. La sua voce non recava traccia di alcun accento, e solo unaprecisione scrupolosa nella pronuncia suggeriva che l'inglese non fosse lasua lingua nativa. Mentre Colin si chiudeva la porta alle spalle, Atheling alzò la mano de-stra con quello che poteva apparire un gesto casuale. Era certamente ciòche avrebbe pensato qualsiasi Non Iniziato, e lo scopo era proprio quello:si trattava del Saluto dato da un Adepto di grado superiore a uno di gradoinferiore. Di riflesso Colin ricambiò il saluto che andava tributato a un superiore esi sedette sulla scomoda poltroncina di plastica di fronte ad Atheling. «Mi perdoni se la ricevo in un posto del genere, dottor MacLaren, ma lemie giornate sono lunghe, e mi pare di aver capito che si tratta di una que-stione personale... di una certa urgenza.» «Per dirla in breve, è così», replicò Colin. «E la prego, non mi chiamidottore, ma semplicemente Colin. Ho semplicemente conseguito un dotto-rato, non sono un medico. Non mi sento in diritto di farmi chiamare così.» «Come preferisci, Colin. Allora... se fossi uno dei miei pazienti, ti chie-derei di spiegarmi qual è il problema, e ti domanderei di essere sincero. Eimmagino che anche in questo caso possa essere un modo come un altroper cominciare...» Quell'incontro fu il primo di molti; anche se Colin si era rivolto inizial-mente ad Atheling come Fratello dell'Ordine, aveva presto trovato in lui unamico oltre che una guida spirituale capace di dargli buoni consigli. Erastato Nathaniel a suggerirgli infine che forse le strade quasi familiari diNew York potevano non essere l'ideale per lui, e gli aveva proposto unacura di sole e aria di mare nella località più diversa dalla Grande Mela cheColin fosse riuscito a trovare. Aveva anche sottolineato quello che Colin già sapeva: in meno di dueanni si era fossilizzato in un vero e proprio bunker... e fu quel paragone aconvincerlo della bontà del suggerimento di Nathaniel. Non stava com-piendo progressi per fronteggiare il futuro: si teneva invece alla larga dalprogresso, che lo rendeva perplesso e forse anche lo spaventava. Aveva bi-

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sogno di tornare a vivere nel mondo, di costringersi ad affrontare il presen-te così com'era invece di confrontarlo continuamente con i suoi ricordi. Il modo per andarsene era evidente. Colin teneva delle lezioni, ormaiquasi ogni sera, su argomenti che rispecchiavano i suoi molti interessi, e ilposto in cui si sentiva maggiormente a suo agio era proprio l'università.Molto tempo prima - in una vita che sembrava così lontana da appartenerea un'altra persona - aveva addirittura pensato di fare dell'insegnamento lasua carriera. Perché non scegliere quel sistema per riannodare la sua vitainterrotta? In un campus universitario sarebbe stato immerso nel presente,e la vita quotidiana sarebbe stata popolata di giovani i cui occhi erano pun-tati sul futuro. Era una buona soluzione, anche se gli ci volle una dose sorprendente dicoraggio per adottarla. Nell'autunno del 1959, Colin riuscì finalmente acompiere il primo passo. Anche se i suoi titoli accademici erano un po' arrugginiti dopo dieci annitrascorsi prima con l'Office of Strategic Services e poi con l'esercito di oc-cupazione, apparivano ancora interessanti agli occhi dei possibili datori dilavoro, e le lezioni tenute a New York, per quanto di argomento poco or-todosso, erano un punto a suo favore. Alla fine poté scegliere tra diverseofferte. Ricordando che Nathaniel gli aveva suggerito di andarsene il piùlontano possibile da ciò a cui era abituato, declinò le proposte di ColumbiaUniversity e Boston College e firmò un contratto con la University of Cali-fornia a Berkeley. La riluttanza che avvertiva man mano che si avvicinava la data in cui a-vrebbe dovuto lasciare il comodo appartamento al nuovo inquilino lo con-vinse del tutto che Nathaniel aveva avuto ragione: aveva bisogno di uncambiamento di ambiente radicale. Doveva ricominciare da zero in un po-sto nuovo. In California. Il campus silenzioso - una visione di mattoni chiari e calcestruzzo pre-compresso - aveva l'antica aria sognante di un'Atene immersa nel sole. Ilpunto più alto nello splendido paesaggio dall'aria mediterranea che si sten-deva davanti a lui era il campanile. Non c'era traffico su Bancroft; la strada era pervasa dalla particolarequiete di metà mattina che Colin MacLaren aveva già identificato comeuno degli aspetti tipici della zona della baia. Aveva imparato che non do-veva chiamarla Bay Area di San Francisco, proprio come il nome della

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città non andava storpiato in Frisco. Bisognava invece parlare di «SanFrancisco» - nell'arco di cento miglia la chiamavano tutti «the City», laCittà, come se non ne esistessero altre nei dintorni - e di «Bay Area». SeColin voleva inserirsi in quel nuovo ambiente avrebbe fatto meglio ad a-dottare i modi di dire del posto il più presto possibile. E Colin si ripromise di inserirsi sul serio da quelle parti, in quello che idotti chiamavano la moderna Terra del Loto, il Golden State, lo stato dora-to. Aveva chiuso con la guerra in ogni sua forma - guerra calda, guerrafredda, guerra dimenticata, guerra non dichiarata - e intendeva voltare lespalle a tutto ciò che aveva imparato dal più implacabile dei maestri. Lì sisarebbe liberato dei fantasmi del passato. In quel luogo, in quel momento, la sua vita sarebbe ricominciata. Colin esitò ancora un attimo in Telegraph Avenue, fissando il cancellodi ferro battuto dell'entrata principale del campus dell'università. Nono-stante quell'apparenza placida, trasmetteva un'impressione di attesa, comese di lì a poco si aspettasse di ospitare grandi eventi. Rendendosi conto che stava perdendo tempo, Colin si riscosse e at-traversò lo spazio aperto che lo separava dal Sather Gate. Dei cartelli lo in-formarono che una certa Sproul Plaza era in fase di costruzione e sarebbestata terminata l'anno successivo. Il campus era enorme, si estendeva per chilometri in ogni direzione. Alsuo interno c'erano diversi stadi e campi di atletica, un teatro greco e moltedelle menti più brillanti nel campo dell'arte, della letteratura e della scien-za. Anche se abitava ormai a Berkeley da più di un mese, era stato troppooccupato a sistemare gli affari sulla costa orientale e a trasferirsi nel villinoin affitto per compiere un'ispezione del campus. Era stato lì diversi mesiprima per un colloquio preliminare, ma, all'epoca, la California era in pie-no inverno, ed era piovuto quasi sempre. Ora vedeva l'università sotto lasua luce migliore: una tela di cemento e pietra su cui il sole disegnavapennellate di luce. Anche se Tolman Hall - che ospitava la facoltà di psico-logia - era dall'altra parte del campus, su Hearst Avenue, Colin si godettela passeggiata tra quei moderni edifici silenziosi. Le strutture slanciate di cemento e mattoni chiari ricordavano bizzar-ramente una città universitaria medievale dando nel contempo l'impres-sione di anticipare il futuro. Non si vedevano molti studenti in giro. Anchese le conferenze di orientamento per matricole cominciavano la settimanasuccessiva, il corpo diceva a Colin che lì si era ancora in piena estate. A-veva lasciato il vecchio impermeabile nell'armadio; non era proprio riusci-

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to a mettersi un soprabito, e anche la giacca gli procurava un caldo fasti-dioso, ma qualcosa nella sua natura gli impediva di presentarsi sul campusvestito in modo informale. Dopotutto, cercò di rassicurarsi Colin, il rettoree il consiglio di amministrazione erano noti per l'atteggiamento conserva-tore, e i suoi futuri studenti non l'avrebbero certo rispettato se si fosse ve-stito come un capellone. La psicologia era un settore in cui si ricevevanocomunque delle occhiate strane, senza bisogno di coltivare l'eccentricitànella propria persona. Nonostante tutto, era vestito in modo più elegante - pantaloni scuri, ca-micia bianca e cravatta, panciotto e giacca di tweed - dei pochi passantiche incrociò. Si chiese se stava dando nell'occhio, e se la sola mancanzadel soprabito era sufficiente a rivelare le sue origini newyorkesi. Colin sorrise con aria malinconica quando si accorse dei suoi pensieri.Per molti anni aveva avuto il riflesso di cancellarsi, di passare inosservato.Aveva cominciato a pensare che quell'abitudine fosse diventata parte inte-grante della sua psiche, una caratteristica che sarebbe rimasta in lui per tut-te le vite future, molto tempo dopo che la ragione della sua esistenza fossestata dimenticata. Ma ora era solo quello, un'abitudine, non una necessitàvitale. Nathaniel aveva avuto ragione, come sempre. Il tempo, grande guaritore,aveva rimarginato anche le sue ferite. C'era stata un'epoca, neppure tropporemota, in cui sarebbe stato impossibile per lui trarre un simile piacere in-nocente da una scena momentanea. Un tempo in cui camminava tra le om-bre gettate dall'Ordine Nero e faceva del suo meglio per portare Luce inquell'Oscurità, correndo sempre il pericolo di cadere lui stesso vittima del-le Tenebre. Ma i pensieri di iniziazione e di antichi ordini magici sembravano stra-namente fuori luogo lì a Berkeley. Se c'era un posto che sembrava ap-partenere al mondo della razionalità e della salute era proprio quello. Ber-keley sembrava intrisa di spirito americano, il tipo di sana praticità che nonpoteva certo comprendere il semimondo oscuro in cui le battaglie di Colinsi erano svolte. E forse, un giorno, anche i ricordi sarebbero svaniti per lui. Il lunedì successivo era un altro giorno soleggiato e senza nuvole, e iraggi tiepidi colsero Colin nel suo nuovo ufficio, impegnato a disfare gliscatoloni di libri che aveva portato su per le scale dal cofano della Ford ne-ra malconcia: si trattava di un nuovo acquisto, motivato dal fatto che inquella zona del paese un'auto era un accessorio ben più importante che a

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New York. La stanzetta in cui si era insediato conteneva una scrivania di metallomale in arnese con un armadietto dello stesso materiale, una vecchissimasedia con ruote cigolanti e un'altra, identica ma senza ruote, che poggiavasu gambe diseguali, parecchi scaffali di metallo lungo le pareti, e una fine-stra piuttosto restia ad aprirsi dotata di una veneziana polverosa. Le paretierano dipinte di un beige verdastro lucido che faceva a pugni con le striscedi linoleum ormai consunte del pavimento. A Colin avevano assicurato che quei mobili erano solo provvisori, chene erano stati ordinati di migliori, e si mormorava addirittura che prestotutta la facoltà si sarebbe trasferita in un edificio più moderno, ma Colincredeva poco a quei racconti pieni di speranza. Nella sua esperienza, inquesto mondo e nell'aldilà c'erano pochi elementi tanto permanenti quantouna situazione temporanea. La sua stanza, poi, non era tanto male, secondo Colin. Una volta siste-mati i libri sugli scaffali e appese la bacheca e alcune foto, l'ambiente a-vrebbe assunto un'aria invitante, per quanto possano sembrare accoglientiposti del genere. Era un luogo in cui poteva lavorare, e gli studenti che l'a-vrebbero consultato sarebbero stati più interessati ai loro problemi che al-l'arredamento dell'ufficio. Colin aveva trascorso i giorni precedenti a riempire gli infiniti moduliche l'università sembrava esigere per ratificare ogni azione, aveva incon-trato i nuovi colleghi di facoltà e si era orientato nel campus. In ogni partedell'università si stavano svolgendo le iscrizioni, e le lezioni sarebberocominciate il lunedì successivo. I colleghi gli avevano assicurato che laconfusione si sarebbe calmata verso la fine di settembre, quando gli iscrittiritardatali e gli studenti che intendevano cambiare corso avrebbero final-mente stabilito il piano di studi. La tabella di marcia di Colin appariva altrettanto frenetica, almeno per iprimi due semestri. Parapsicologia I e II e il corso di Introduzione alla psi-cologia (che tutti i nuovi arrivati erano obbligati a insegnare, o così era sta-to detto a Colin) erano al completo. Se considerava poi il solito carico diattività extracurricolari nella sua veste di consigliere di facoltà, sapeva chenon avrebbe avuto il tempo di rimuginare. Sarebbe stato fortunato a trova-re anche solo il tempo di pensare. «Permesso... permesso? C'è nessuno?» chiamò una voce spigliata dallaporta. Colin si voltò. «Alison!» gridò allegramente.

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Alison Margrave era una donna dal portamento regale e l'aria teatraleche aveva da poco superato i sessant'anni. Era una psicologa - e parapsico-loga - professionista e una delle più vecchie amiche di Colin. Era vestitanel suo solito modo appariscente, zingaresco, con una lunga mantella dilana rossa sulla camicia e la gonna. Quando gettò la cappa su una sedia,Colin vide che indossava uno dei suoi soliti scialli fermato da una grossaspilla d'argento in cui era incastonata un'enorme ametista intagliata. Lapietra si accordava alle ametiste nei fermagli d'argento che trattenevano lasua criniera di capelli bianchi. «Be', almeno sei contento di vedermi!» brontolò scherzosamente. «Quasiun anno, Colin, e neppure una parola da te...» Aveva avuto intenzione di chiamarla una volta sistemato nella Bay Area,ma aveva lasciato che preoccupazioni più banali glielo impedissero. «Come mi hai trovato?» chiese Colin impacciato. «Lo so che ti ho scrit-to della mia venuta...» «Già, in gennaio, e ormai pensavo che ti fossi perso in Kansas e che nonfossi mai giunto a destinazione», lo prese in giro Alison. «Fortunatamente,ho le mie spie nel campus. Ho quindi deciso di venire a vedere con i mieiocchi il Colin MacLaren ultima versione, e ti ho portato un regalo per i-naugurare la tua nuova casa.» Così dicendo posò un pacchettino sulla scri-vania di Colin. «Ti avrei chiamato questa settimana», protestò Colin, che si sedette die-tro la scrivania e indicò ad Alison l'altra sedia. Quando si fu seduta, Colin si tastò le tasche alla ricerca della sua fami-liare compagna, una vecchia pipa di radica piuttosto malconcia. Una voltache l'ebbe trovata, cominciò a frugare in cerca di tabacco fresco e fiammi-feri. «Dovevo comunque venire da queste parti per lavoro», disse gentilmenteAlison, traendolo d'impaccio. «Non assumere quell'aria così colpevole,Colin. Desideravo però riuscire a vederti per avere tue notizie. Come stai?Sono anni che non ti vedo in carne e ossa.» Rapido come il flash di una macchina fotografica, un ricordo vivido pas-sò nella mente di Colin: l'aria era impregnata di incenso, e lui stava con al-tri quattro davanti all'imponente altare di una chiesa scoperchiata dallebombe americane. Indossava una tunica bianca rigida per via dei simboliricamati della sua Loggia e Grado, la corona e la piastra pettorale degliAdepti e impugnava l'asta d'argento con i serpenti smeraldo e scarlatto in-trecciati. Erano tutti simboli esteriori, la rappresentazione esoterica della

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natura interiore di Colin, Sacerdote e Adepto del Sentiero. In quel luogo, sotto la coltre del cielo stellato, lui e gli altri di ogni Or-dine e Loggia che si poneva l'obiettivo del raggiungimento della Luce -persone di cui in molti casi non conosceva neppure il nome - lavoraronocome chirurghi per purificare la terra dall'infezione oscura che continuavaa infestarla come una nebbia velenosa. Il ricordo svanì, e Colin si ritrovò nel suo ufficio di Berkeley con Alison.Se anche l'amica intuiva dov'era andato con la mente in quei pochi secondinon lo diede a vedere, ma Colin sapeva che anche lei aveva le stesse me-morie. Quella notte aveva comportato un supremo sacrificio di sé, un'apo-teosi che un uomo avrebbe potuto cercare di ricatturare per il resto della vi-ta. A volte Colin si chiedeva se in quel singolo momento di battaglia nonavesse sofferto quanto la sua anima universale in generazioni intere diguerra contro l'Oscurità. La via e l'obiettivo del Sentiero era la pace, ma ildifetto fatale dei mortali era proprio la gioia che provavano a fare la guer-ra. «Colin?» La voce di Alison lo strappò di colpo alle sue fantasie. «Stavo solo pensando a Berlino», disse. Il viso di Alison si addolcì al ricordo. «È stato tanto tempo fa, sai»,commentò piano. No! Non è vero! gridò il suo cuore silenziosamente. Riusciva a ricordareperfettamente quella data: era il 31 ottobre 1945. Quindici anni fa tra unmese. «Hai ragione», decretò ad alta voce. «A volte sembra difficile credereche sia lo stesso mondo di allora», aggiunse. «Non lo è», obbiettò Alison con un sorriso. «E dobbiamo ringraziare laLuce per quello. Forse non abbiamo ucciso il serpente, mio caro, ma gliabbiamo certamente spezzato la schiena. Passerà molto tempo prima chequell'orrore torni a sollevare la testa», concluse con ottimismo. «Speriamo», disse Colin automaticamente. Si liberò dei fantasmi delpassato con uno sforzo e sorrise ad Alison. Anche se non era un membrodel suo stesso Ordine, Alison era una collega di Colin nella lotta in favoredella Luce, e conosceva perfettamente quali spiriti gli infestassero la me-moria. «Ma raccontami di te, Alison. Cos'hai fatto in questi anni?» «Be'», cominciò Alison, «sai che ho una vecchia casa - Greenhaven - aSan Francisco. Non penso che tu l'abbia mai vista. E una vecchia dimoravittoriana: ti piacerebbe, è a pochi isolati da Haight Street e posso cogliere

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i limoni direttamente dalla pianta. Ho perfino un giardino di erbe medici-nali ora: ricorderai che è sempre stata una mia ambizione. Qualche anno faho sistemato il garage e l'ho trasformato in uno studio; è utile avere un po-sto tranquillo per meditare. Fammi un po' pensare... cos'altro? Insegno, siamusica che altro: ci sono in giro alcune persone che sono pronte per qual-cosa di più forte della parapsicologia, per così dire. E naturalmente facciodelle consulenze, anche se oggigiorno è più facile che la gente si lamentidei piccoli omini verdi che della presenza di spiriti burloni.» «I tempi cambiano», ammise Colin, accendendo la pipa. «Dieci anni fa,non avrei mai immaginato che sarei tornato in un campus universitario, emen che meno che avrei insegnato.» «Aspetta di trovarti davanti alla tua prima classe piena di studenti», locanzonò Alison ridendo. «Capirai perché sei tornato, caro mio! Non smet-terei di insegnare per tutti i regni della terra, ma è difficile credere chesiamo entrambi stati giovani quanto quegli studenti!» «Mi chiedo se lo siamo effettivamente stati», meditò cupamente Colin.A volte il grande divario che si era aperto tra ciò che era diventato e gli in-nocenti che lo circondavano sembrava troppo vasto da colmare. Alison lo scrutò con attenzione. «Tutti siamo stati giovani, Colin», dissecon dolcezza, «proprio come tutti invecchiamo e moriamo. Dobbiamo peròfare in modo che la nostra conoscenza della Grande Opera non muoia connoi.» «Lo so, Alison», ammise Colin riluttante. Non gli stava dicendo nulla che già non sapesse, ed era un problema chelo aveva preoccupato fin dal suo ritorno a casa. Ogni pellegrino del Sentie-ro, per quanto inesperto, aveva il dovere di guidare altri in direzione dellaLuce secondo le proprie possibilità. Per qualcuno come Colin, che avevaseguito il Sentiero per molte vite, era ancora più importante trovare unsuccessore nella Grande Opera e insegnargli quello che doveva sapere, u-n'altra persona che potesse prendere il suo posto tra le schiere dell'Esercitodella Luce. Mettere qualcuno sul Sentiero era un'enorme responsabilità, da nonprendere alla leggera. Ma trovare un chela e fargli seguire le proprie ormeera la prova suprema per un Adepto, perché nascondeva molti trabocchettilungo il percorso, e fallire significava creare un Adepto mancato, uno cheaveva assaggiato la seduzione del potere ed era tuttavia privo della disci-plina per usarla a fin di Bene. Creature simili, se sopravvivevano all'Abis-so, tornavano a tormentare i loro insegnanti a ogni giro della Ruota: diven-

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tavano spettri oscuri che corrompevano tutto ciò che sfioravano. Solo l'amore rendeva tale rischio sopportabile, e nelle stanze segrete delsuo cuore Colin MacLaren si chiese se era ancora capace di un sentimentodel genere dopo tutti gli orrori che aveva visto. Fino ad allora non avevaincontrato nessuno a cui desiderasse insegnare: c'era forse una lacuna in luiche lo rendeva così cieco? «C'è ancora tempo», disse Alison, sporgendosi per coprirgli una manocon la sua, come se avesse seguito il corso dei suoi pensieri; quel contattocaldo fu come una benedizione, che calmò il suo senso di colpa. «I nostriPadroni non ci chiedono nulla che non possiamo fare con l'amore e la fidu-cia.» «Spero che tu abbia ragione», commentò Colin lentamente. «Ma non sono venuta qui per rimproverarti, mio caro: meriti certo dimeglio da parte mia. Sono venuta a invitarti a cena a Greenhaven per unadelle prossime sere. Non sono una cuoca malvagia, e dopo possiamo an-dare in un locale dove suonano jazz. A North Beach non ci sono solo leballerine in topless, e non puoi seppellirti sempre nel lavoro. C'è una gros-sa comunità di viaggiatori come noi qui; dovresti conoscerli.» «Hai ragione, naturalmente», dichiarò Colin, alzandosi a sua volta. Inquel mentre, l'occhio gli cadde di nuovo sulla scatolina e la prese in mano.«E stabiliremo una data precisa per la cena quando i miei orari delle lezio-ni saranno fissati in modo definitivo. Adesso vediamo cos'è. Adoro i rega-li», aggiunse Colin, strappando la carta dorata e il fiocco color argento checoprivano il dono. «Oh... accidenti, Alison, è splendido.» «Pratico, anche», disse Alison allegramente, e l'umore cupo di primasparì come la famosa nebbia mattutina di San Franciseo. «Puoi usarlo co-me fermacarte, per aprire le buste, per pugnalare alla schiena i colleghi...» Colin rigirò l'oggetto tra le dita. Era un pezzo pregiato. Una spada d'ar-gento sterling era incastrata in un'incudine di giada nera, e la attraversavatutta per conficcarsi nel granito bianco su cui l'incudine posava. Scaglie dimica brillavano nella pietra chiara, riflettendo la luce del sole. La spada si poteva estrarre e usare come tagliacarte; Colin la tolse dallafessura e l'ispezionò con aria critica. «Excalibur?» domandò, appoggiandoil fermacarte sulla scrivania e infilando la spada nel suo alloggiamento.«Spero non penserai che debba servirmene presto!» Alison rise. «Quei giorni sono ormai finiti, grazie alla Luce! Ma adessodevo scappare: ho ancora qualche commissione da sbrigare e devo essere acasa per le tre. Il mio nuovo allievo viene per una lezione di musica e non

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vorrei arrivare in ritardo.» «Allievo?» chiese Colin con interesse. «In ogni senso del termine», precisò Alison. «Non ho mai sentito taleforza e dedizione in una persona così giovane: ha solo diciassette anni, maha la determinazione e la disciplina di uno di cinquanta. Ricorderai suamadre: ha studiato con me per un po', e grazie al cielo si è ricordata di mequando suo figlio ha cominciato a essere tormentato da un poltergeist. L'a-veva messo proprio in una scuola militare, con tante possibilità che c'era-no... Insomma, l'ho preso con me per pietà; gli ho dato lezioni, ma non a-vevo molto da insegnargli, e quando l'orchestra sinfonica gli ha offerto unposto qui, l'ho preso sotto la mia ala protettrice, con grande sollievo di suamadre, potrei aggiungere. Devi venire presto a cena, Colin, così lo incon-trerai. E così brillante che a volte fa paura. Penso che voi due abbiate mol-to in comune. Si chiama Simon. Simon Anstey.» Dopo che Alison se ne fu andata, Colin rimase seduto a guardare fuoridella finestra a lungo, con la pipa accesa tra i denti. Simon Anstey. Era la prima volta che Colin udiva quel nome, ma un'ecoinsistente della memoria futura glielo faceva risuonare nella mente. SimonAnstey era una persona che sarebbe stata importante per Colin in modi chenon poteva ancora immaginare. Sospirò e scosse il capo. Il futuro si sarebbe svelato al momento op-portuno: Colin non era un sensitivo, capace di squarciare il velo e di scru-tare nel Mondo Invisibile a piacere. Le ispirazioni che riceveva erano solodebolissimi richiami dal Libro della Vita, e servivano solo a mandare degliallarmi e, a volte, a guidarlo. Colin non riusciva a capire il messaggio chegli davano in questo caso, e in una parte recondita dell'anima temeva chepotesse essere l'appello a una nuova battaglia nella guerra infinita per laLuce. Le prime settimane della sessione autunnale passarono rapidamente, eColin si lasciò rapidamente assorbire dai mille dettagli della vita scolasti-ca. A parte la tendenza fastidiosa, da parte degli studenti, a chiamarlo «dot-tor» MacLaren, un titolo che lo disturbava, non aveva di che lamentarsi.Quei ragazzini non erano abbastanza vecchi per ricordare la seconda guer-ra mondiale, ed erano troppo giovani per subire le conseguenze della guer-ra di Corea; sembravano curiosamente immaturi, come se percorressero itunnel di un sogno da svegli.

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Riuscì a mantenere solo parte della promessa fatta ad Alison - la in-contrò per un pranzo rapido in un ristorante del centro, assicurandole chesarebbe presto andato a Greenhaven -, ma Simon Anstey era via in tour-née, quindi Colin non ebbe occasione di incontrare l'allievo geniale di Ali-son. Simon era solista con la San Francisco Symphony da quando avevaotto anni, e a dodici aveva già inciso cinque dischi. Quando era andato avivere con Alison, era stato per le doti tanto musicali quanto medianichedella donna, perché Simon, a quindici anni, era già sotto pressione comeun uomo di quaranta, e provava una curiosità caparbia che lo portava neglianfratti poco noti dell'Invisibile. Alison parlava spesso di lui, in modi che - se si fosse trattato di una don-na più giovane e di un uomo più vecchio - avrebbero potuto facilmente es-sere scambiati per segnali di amore romantico. Ma Alison Margrave avevaaccantonato quella possibilità per devolvere le sue energie alla professioneche svolgeva. In un'epoca in cui la maggior parte delle donne si sposavanoa vent'anni e diventavano madri poco dopo, Alison Margrave non avevapreso marito. Era sempre stata indipendente, solitaria, diffidente nei con-fronti del sacrificio di sé travestito da servizio per il bene della società. Ein ogni caso, Simon era abbastanza giovane da essere suo nipote. Alison aveva regalato a Colin uno dei dischi incisi da Simon, una seriedi sonate di Scarlatti per clavicembalo. Quando lo ascoltò, Colin si mera-vigliò del suono puro e brillante che quelle giovani dita avevano saputo e-strarre da uno degli antichi strumenti di Alison. Le sublimi cascate di noteerano rimbalzate sui muri del soggiorno nel villino di Colin scivolando poifuori, sulle colline di Berkeley, come una folata di polvere di stelle, e lofecero restare senza fiato per lo stupore. Aveva ascoltato il disco diverse volte, cercando di farsi un'opinione sulmusicista capace di produrre suoni tanto angelici. La musica era fredda,matematica e quasi senza cuore, ma quello doveva essere attribuito all'in-tenzione del compositore e all'immaturità dell'esecutore, no? La passionedell'infanzia raramente è profonda e autentica quanto quella degli adulti; igiovani credevano ancora che sarebbero sempre stati così, puri e immorta-li. Colin non aveva alcun motivo di preoccuparsi tanto per il giovane An-stey. Il ragazzo non era un suo studente, ma di Alison. E Alison Margraveera esperta e per natura scettica, e difficilmente si sarebbe sbagliata suimotivi o le capacità del suo protetto, oltre che essere poco ansiosa di as-sumersi la responsabilità di un apprendista. Come donna aveva sacrificato

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molto per la sua arte e indipendenza, e non desiderava certo fare la figuradella sciocca per colpa di scelte poco oculate o impossibili coinvolgimentiromantici. Così si disse Colin, e riuscì ad attribuire quei cattivi presentimenti solo auna briciola di gelosia professionale. Avrebbe avuto tutto il tempo di giu-dicare Simon Anstey dopo averlo incontrato. Il breve autunno radioso passò in una serie di giorni cristallini e di nottisempre più fredde, mentre l'intera comunità tratteneva il fiato - come ognianno - per la minaccia di incendi proveniente dalla colline grigio-marrone,secche e facilmente infiammabili. Alla fine, le piogge invernali arrivarono,e mentre ottobre lasciava il posto a novembre i pendii collinosi assunserola brillante tinta smeraldo dell'inverno nella California del nord. Il giovane presidente che era stato eletto quel novembre sembrava natoper dirigere la generazione di innocenti che riempivano i corsi di Colin.Anche se seguiva solo da lontano la politica nazionale e internazionale,Colin non poteva liberarsi dal sentimento che avesse vinto il candidatosbagliato. I suoi timori erano nebulosi, basati soprattutto sulla sensazioneche John Fitzgerald Kennedy fosse troppo giovane, troppo sicuro di sé perricomporre la scacchiera in frantumi che la guerra fredda gli aveva lasciatoin eredità. Il principe ereditario di Camelot assomigliava troppo a un eroedorato per riuscire a entrare in quei luoghi oscuri e uscirne incolume. Ma era per quello, si disse Colin, che il presidente aveva dei consiglieri.La sua agitazione era solo il nervosismo di un vecchio cavallo pronto arientrare in pista. Ma Alison aveva ragione: il suo compito era terminato.Quella partita era finita. Ogni volta che se lo ripeteva, però, un vago istinto ripeteva a Colin chesi sbagliava... Alla fine di novembre, le circostanze permisero finalmente a Colin di in-contrare Simon Anstey. Le giornate si erano fatte più brevi e la maggior parte del tempo il sole,che era sembrato a Colin onnipresente quando era arrivato nella Bay Area,non si mostrava per niente. Veli di nebbia avviluppavano le colline di Ber-keley e l'intera East Bay in una maschera di garza grigia, facendo sentire aquel newyorkese la nostalgia dei giorni sereni e del pallido sole dell'inver-no sulla costa orientale. L'università chiudeva per diversi giorni intorno alla festa del Ringra-

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ziamento, e Alison l'aveva invitato per un periodo abbastanza lungo dapermettergli un soggiorno adeguato a Greenhaven e una visita della Citypiù esauriente di quella compiuta rapidamente qualche mese addietro. Co-lin aveva quindi preparato una borsa da viaggio, preso il foglio di preciseistruzioni e diretto la malconcia Ford (l'aveva soprannominata la Bête Noi-re perché gli ricordava una bestia da soma fedele) nella direzione della cit-tà sulla baia. La nuova superstrada lo portò al di là dell'Oakland Bay Bridge, dovel'auto traballò in preda a venti tanto violenti che quella mattina le radio lo-cali, assieme alle solite previsioni del tempo e alla situazione del traffico,avevano annunciato un «allarme per auto di piccola cilindrata» a causa del-le raffiche. Meno di un'ora dopo parcheggiava la Bête nel vialetto d'ingres-so di Alison. Anche se l'amica l'aveva descritta come «una vecchia baracca», Green-haven era una piccola casa vittoriana con il tetto marrone e un paio digrandi finestre sporgenti ai due lati di una porta rossa incassata. Una caldaluce dorata filtrava dalla lunetta con i vetri piombati sopra l'architrave, ac-cogliente in quella giornata grigia come un saluto affettuoso di benvenuto.Quando spense il motore, la porta si aprì e Alison comparve sulla soglia,con una lunga gonna scozzese e una camicetta bianca. «Colin! Allora sei riuscito a trovarci!» disse con tono allegro. Uno deisuoi gatti bianchi - Alison ne aveva sempre avuti diversi da quando Colinla conosceva - le si strusciava contro le caviglie. «In certi momenti ho rischiato di non farcela», ribatté Colin. «Mi ero a-bituato a girare nel Village, ma qui mi disoriento facilmente.» Alison rise. «Ci vuole un po' per abituarsi alla City», disse con un or-goglio da padrona. «Ma adesso entra, c'è anche Simon: il suo aereo è ar-rivato in anticipo, e sai quanto desidero che vi incontriate.» Colin le allungò la bottiglia incartata che aveva acquistato ed entrò, se-guito da Alison e dal gatto. Un senso di pace profonda lo invase non appe-na si trovò all'interno: Alison lavorava con persone dallo spirito turbato, edi conseguenza teneva la casa rigorosamente pulita e protetta. Greenhavenera carica della pace e della gioia di un luogo sacro. Ai due lati dell'atrio color avorio grandi porte bianche portavano a unaserie di stanze separate da porte di vetro. Alison gli fece strada a sinistra. Ilprimo locale conteneva una scrivania, un divano e degli armadietti - era e-videntemente lì che Alison lavorava -, ma la stanza seguente si estendevaper tutta la lunghezza della casa, con il muro posteriore dominato da una

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grande finestra panoramica che dava sulla baia. Quel giorno, solo le puntedei pilastri del Golden Gate erano visibili nella foschia, ma Colin immagi-nò che, in una giornata limpida, la vista da quelle finestre doveva esseresplendida. «La cucina è dall'altra parte; dà lì puoi andare in giardino», disse Alison.«Oggi, però, non sembra la giornata ideale. Ho addirittura acceso il fuo-co.» Indicò con un gesto il camino di marmo. «Ed ecco Simon.» Fino aquel momento Colin aveva guardato la padrona di casa. A quel punto sivoltò verso l'altra persona presente nel salone. Un piccolo Lord Byron in scooter, fu l'immediato, irriverente giudizio diColin. Simon Anstey era il tipo di ragazzo a cui gli antichi Greci avrebberopotuto scrivere poesie: portava i capelli neri ondulati troppo lunghi - gli ar-rivavano quasi alle spalle - per creare un effetto teatrale, e la chioma cor-vina incorniciava un viso tanto bello da ornare una kylix. Era in piedi da-vanti al caminetto di marmo nero in una posa che riusciva ad apparire for-male e naturale nello stesso tempo, e un bicchiere di cristallo colmo di vi-no era appoggiato alle sue spalle sulla mensola. Teneva un altro dei gattibianchi di Alison tra le braccia. Gli occhi blu scuri lanciavano sguardi così intensi che il loro colore erail primo particolare a colpire anche all'altro capo della stanza, e i li-neamenti decisi - naso aquilino e zigomi alti - accrescevano quell'im-pressione di maturità, dando al giovane Anstey l'aspetto di un rapace. In-dossava una giacca sportiva bianca e nera di tweed e pantaloni scuri conuna dolcevita azzurra, e l'abbigliamento sottolineava l'aria da artista che locircondava. Nonostante quell'aria professionale, Colin sentì che il ragazzo era nervo-so, agitato. Si chiese cosa gli avesse detto Alison dell'uomo che avrebbeincontrato quel giorno. Probabilmente un sacco di sciocchezze e di esage-razioni, pensò Colin, ed entrò nella sala con la mano tesa. «Simon Anstey, vero? Ho sentito molto parlare di te», lo salutò Colincalorosamente. Simon posò con delicatezza il gatto sul pavimento e strinse la mano diColin. Il felino, stizzito, schizzò via dalla stanza, improvvisamente presodai suoi impegni. La stretta di Simon era incredibilmente forte, e Colin si ricordò che il ra-gazzo era già un pianista professionista, con migliaia di ore di pratica allespalle. Aveva intravisto alcuni dei clavicembali di Alison dall'altra partedell'atrio quand'era entrato, e si chiese quale avesse impiegato Anstey per

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il disco di Scarlatti che aveva registrato. «Professor MacLaren, ho sentito tanto parlare di lei dalla dottoressaMargrave.» La voce di Anstey era bassa e decisa, impostata proprio comelo erano le mani. «Desideravo incontrarla.» «Anch'io», rispose Colin gentilmente. «Vi lascio fare conoscenza mentre vado a controllare i progressi dellacena e a mettere al fresco la bottiglia», disse Alison. «Dovrò cambiarmiprima di uscire, ma non intendo certo mettermi a cucinare con i tacchi alti.Simon, perché non prepari qualcosa da bere a Colin?» aggiunse. «Tornotra un attimo.» Alison aveva giurato di volerlo portare ad ascoltare un gruppo chiamato«The Kingston Trio» in un locale dal nome improbabile di «L'io affamato»giù a North Beach. («Come psicologa trovo il posto perfettamente appropriato, Colin: l'\"io\"è sempre affamato. Ma il posto ti piacerà, vedrai», gli aveva detto Alisonal telefono.) «Posso darti una mano?» chiese Colin automaticamente, ma Alison silimitò a ridere. Scomparve oltre le porte scorrevoli e lasciò Colin da solocon il suo giovane allievo. «Desidera un bicchiere di vino, dottor MacLaren?» chiese Anstey corte-semente. «C'è dello scotch, se preferisce; non so esattamente cos'altro con-tenga l'armadietto dei liquori della dottoressa Margrave.» «Il vino andrà benissimo, e non chiamarmi \"dottore\"», disse Colin. «Hosemplicemente una laurea in psicologia, e temo di essere tanto all'antica daconsiderare quel titolo appropriato solo per i medici.» «Come preferisce, professore», acconsentì Simon con un sorriso. Si spo-stò verso il tavolino basso davanti all'enorme finestra panoramica perriempire un altro bicchiere con il vino che si trovava nella bottiglia su unvassoio d'argento. Attraversò la stanza e lo allungò a Colin, poi indicò unodei due divani danesi senza braccioli ricoperti di lino verde oliva. Le lineeessenziali, quasi scolpite, di quei mobili moderni si armonizzavano perfet-tamente con le proporzioni eleganti del salone vittoriano. Colin assaggiò il vino, poi ne bevve una bella sorsata con gusto. «Ottimaannata», commentò. «Sì», confermò Anstey. «Ne ho portato alla dottoressa Margrave unacassa l'ultima volta che sono andato in tournée in Francia.» Era l'immaginazione di Colin o c'era una sfumatura ostile nella voce diAnstey, il tentativo di un uomo assai giovane di affermare il proprio status

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di adulto? Sorrise al pensiero e si sforzò di mettere Anstey a suo agio. «È un paese meraviglioso, vero? Sei riuscito a visitare come si deve Pa-rigi mentre eri lì? Da quello che ho capito, viaggiare per lavoro non lasciamolto tempo per fare del turismo.» «Ho visto qualcosa», rispose Simon, apparentemente più rilassato. Ri-prese il proprio bicchiere e si sedette sul sofà più vicino al caminetto. «Mavisitare brevemente un paese straniero non ha niente a che vedere con lapossibilità di abitarci. La dottoressa Margrave mi ha raccontato che ha tra-scorso un periodo in Europa.» «Sì, durante la guerra», rispose Colin prima di rendersi conto che avreb-be fatto meglio a specificare quale. Era dunque prigioniero del suo passa-to? «Durante la seconda guerra mondiale, dovrei dire. Dopo la resa, sonorestato là per qualche anno a lavorare su dei progetti personali.» Era quelloil modo migliore per descrivere il periodo passato con l'esercito; di alcuniincarichi svolti per il Reparto 23 non si poteva parlare neppure ora, diecianni dopo. «Sarà felice di essere tornato a casa... o forse no», disse Simon, conquell'accattivante miscela di maturità ed entusiasmo giovanile. «Ma mi di-ca, se non sono troppo presuntuoso: la dottoressa Margrave mi ha rac-contato che lei è attivo anche in circoli di parapsicologia. E vero?» «Simon! Da come ne parli sembra che Colin faccia volare i piatti», locanzonò Alison rientrando. Entrambi gli uomini si alzarono, e Simon siprecipitò a prendere il bicchiere della donna dal tavolino e a riempirlo dieccellente Borgogna. «Insomma, Alison, vuoi impedirmi di discutere del mio argomento pre-ferito? Dopotutto, ho passato gli ultimi due mesi a ripetere le basi del me-todo scientifico ai miei studenti del primo anno; sarebbe un sollievo par-larne con qualcuno che non scambia la \"parapsicologia\" per un sinonimodi \"vudù elementare\".» Sia Simon che Alison risero alla battuta, e Alison disse: «Sei riuscito a lavorare sul campo? Simon e io abbiamo avuto un casoaffascinante l'anno scorso; un poltergeist proprio qui in città. Ricordi il ca-so di Russian Hill, Simon?» «Come potrei dimenticarlo?» chiese Simon fingendosi ancora dolorantee massaggiandosi un immaginario bernoccolo sulla testa. «Dopo aver tiratogiù dalle scale quello spiritello dispettoso sono rimasto indolenzito per unasettimana. E stata l'ultima volta in cui ho sottovalutato l'occulto, ancheammesso che prima lo facessi.»

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Il discorso si concentrò naturalmente sugli argomenti che interessavanotutti e tre, e Colin scoprì che Simon Anstey era già un ricercatore im-pegnato nel campo appena nato della parapsicologia, e anche affascinatodal mondo nebuloso della magia. «Se esiste un mondo al di là di quello che conosciamo, perché non do-vremmo essere in grado di influenzarlo proprio come facciamo con quellomateriale?» chiese Simon durante la cena. «Il corpo ha un effetto sul mon-do fisico, quindi perché lo spirito non dovrebbe influire sul regno spiritua-le?» Greenhaven non aveva una sala da pranzo separata - Alison aveva ri-nunciato a quella possibilità per poter avere una stanza da musica piùgrande -, ma l'ampia cucina vittoriana ospitava agevolmente un vecchiotavolo di acero che avrebbe potuto accogliere altre tre persone. Apparec-chiato con una tovaglia di damasco bianco e un paio di candelieri d'ar-gento, rendeva l'atmosfera elegante, anche con gli utensili da cucina cheingombravano lo sfondo. «Alcuni dei modi con cui influenziamo il mondo materiale non vannocerto applicati a quello spirituale. Prendi l'erosione del suolo, per esempio,lo sbancamento per la coltivazione, l'inquinamento dell'aria. Rachel Carsonha scritto alcuni libri piuttosto sconcertanti sull'argomento. Sarebbe bellopensare che almeno una realtà possa rimanere al sicuro da tutto ciò.» «Non volevo dire quello», intervenne Simon, accantonando le obiezionidi Colin. «Ci sarebbe tanto da imparare, tanto da fare se potessimo metterela magia sullo stesso piano razionale della scienza. Gli scienziati non rab-brividiscono terrorizzati ogni volta che guardano in un microscopio, nontemono di essere inceneriti da divinità gelose ogni volta che hanno un'in-tuizione nuova sul funzionamento dell'universo...» «Ma trattano il materiale che usano e l'argomento che studiano con il ri-spetto che meritano», ricordò Alison al suo studente. «Il mondo occulto èun luogo pericoloso per chi è impreparato. Ma sei ancora giovane, Simon.Hai tutta la vita davanti. Avrai molto tempo per studiare: delle vite intere.» «Lo so, Alison», ammise Simon con aria contrita. Ma anche se lasciò cadere il discorso e per il resto della serata l'argo-mento non venne più toccato, Colin ripensò all'ambizione che Simon An-stey aveva tanto chiaramente rivelato parlando delle sue aspirazioni. Unapassione eccessiva era pericolosa per un aspirante Adepto quanto la suamancanza, e Simon ne aveva una buona dose. Passione... e qualcosa d'al-tro, qualcosa che Colin aveva intravisto nel breve istante prima che Alison

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cambiasse discorso. Qualcosa di oscuro. Qualcosa di misterioso. CAPITOLO 2 Berkeley, ottobre 1961Il mio cuore udendola avrebbe battutose fosse stato terra in un letto di terra;la mia polvere udendola batterebbese fossi morto da un secolo. Alfred Tennyson Il nuovo anno cominciò male: gli Stati Uniti ruppero i rapporti diploma-tici con Cuba e gravi combattimenti ripresero - o cominciarono - in diversiposti che, fino a pochi anni prima, erano stati solo nomi su una carta geo-grafica: Vietnam, Cambogia, Laos. C'erano incursioni russe dappertutto,sembrava, e la superpotenza comunista era riuscita a mandare in orbita epoi a far rientrare un cosmonauta, precorrendo i tempi della conquista dellefrontiere più lontane. In Israele, il processo del criminale di guerra nazista Adolf Eichmann,recentemente catturato, cominciò nella baraonda creata dalla presenza deimedia e dalle precauzioni di sicurezza. La sua testimonianza risvegliò ri-cordi quasi sopiti per Colin MacLaren, e gli fece capire che gli orrori della«soluzione finale» non erano stati superati ma sepolti, accantonati comeincubi tremendi, nella speranza di farli sparire ignorandoli. Anche le vitti-me, le persone più motivate a impedire il ripetersi di quelle atrocità, eranoriluttanti a rivivere il passato quanto è restio a toccare il fuoco un bambinoche si è scottato. Il processo di Eichmann cambiò le cose, ma forse non abbastanza. Ri-svegliò tuttavia in Colin la paura che gli anni pacifici vissuti dall'Americasul fronte interno dopo la caduta del Terzo Reich non fossero il riposo sa-lutare che segue un grosso sforzo, ma il coma sonnolento provocato da unaferita infetta. Il suo timore più grande - quello con cui viveva sempre - erache gli Adepti Bianchi avessero fatto troppo poco e troppo tardi. 1961. Il nuovo cancelliere della Germania Occidentale, Konrad Ade-nauer, venne negli Stati Uniti per incontrarne il giovane presidente pochigiorni dopo che un generale americano in Germania era stato sollevato dai

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suoi incarichi per via dei suoi legami con una nuova organizzazione con-servatrice, la John Birch Society. Dopo essere tornato in patria, Adenauerformò un governo di coalizione che portò una pace temporanea alla Ger-mania sconfitta e divisa, una pace progressivamente disturbata dalla ditta-tura comunista a est. Era l'oriente, come temevano i politici, la direzione da cui sarebbe venu-ta la nuova minaccia? Quell'anno il muro di Berlino era stato eretto quasiin una notte, sostituendo rotoli di filo spinato con una barriera di mattoni ecemento al centro di una zona squallida e morta. L'espressione «Che-ckpoint Charlie» divenne corrente, e il muro di Berlino diventò un segnovisibile tra la Germania democratica e quella comunista, tra est e ovest...proprio come il ballerino russo Rudolph Nurejev - che era fuggito mentrela sua troupe si esibiva a Parigi - sarebbe divenuto il simbolo dell'oppres-sione orientale e della liberazione occidentale. L'Occidente aveva schiacciato il nazismo solo per passare quel cupo te-stimone agli eredi di Stalin? Il male proteiforme che l'Ordine di Colincombatteva aveva semplicemente trovato un'altra forma? Forse lui, Alisone tutti gli altri si erano sbagliati pensando che il grande Dragone fosse statosconfitto. Forse avevano solo schiacciato il guscio esterno dell'oscuritàsenza distruggerne lo spirito, e ora quell'entità era rinata per cercare nuovidiscepoli. Le prove a sostegno della sua tesi erano tante da rendere Colin MacLa-ren un uomo sempre più inquieto, perché sapeva che il Piano Materiale -quello che i Non Adepti chiamavano il Mondo Reale - era semplicementeil riflesso della Vera Realtà esistente nei Piani Interni. Quello che avvenivafuori, si verificava anche dentro... Non ogni battaglia sul Piano Materiale suscitava la preoccupazione e ri-chiedeva l'intervento di un Adepto, perché l'evoluzione spirituale era unaforza brutale e malvagia quanto l'evoluzione fisica praticata dalla Natura.Nazioni venivano sacrificate, razze intere erano cancellate dalla faccia del-la terra per permettere allo Spirito di cercare la Luce. Quello che Colintrovava crudele e ingiusto non significava necessariamente che la Lucefosse in pericolo, anche se una tale visione filosofica non giustificava i se-guaci del Sentiero a tollerare le brutalità. La certezza era un dono pericolo-so, che a lui non era stato concesso. Aprile era il mese più crudele... un tentativo di invasione degli esuli cu-bani alla Baia dei Porci fallì, e si cominciò a pensare - mentre il primo ae-reo civile veniva dirottato all'Avana alcune settimane dopo - che Cuba,

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ormai comunista, sarebbe divenuta il pretesto per la guerra nucleare cheappariva paurosamente inevitabile. La morte del presidente delle NazioniUnite, Dag Hammarskjöld, durante una missione pacifica in Congo, sotto-lineò la fragilità della pace durante la guerra fredda, e la concordia per cuiuna generazione intera aveva combattuto sembrava sempre più illusoriacon il passare dei mesi. Quella fu la primavera in cui i Freedom Riders lasciarono Washingtonalla volta della Louisiana, un pellegrinaggio dal quale qualcuno non sareb-be tornato, quasi a confermare le paure di Colin per cui la guerra era giuntaanche all'interno del Paese ed era diventata un conflitto segreto, con lineedi battaglia non ancora tracciate e un campo che si trovava nei cuori e nellementi di uomini e donne. Era una guerra in cui Colin si rese conto di avere un ruolo da sostenere,anche se non sapeva ancora quale... Era già passato un anno? si chiese Colin. Sì, anche un po' di più. Le finestre del suo bungalow in collina tremavano prepotentemente ognivolta che una folata le colpiva. Di tanto in tanto si udiva un rumore sordopiù forte, quando sassolini e foglie secche - provenienti dai boschetti dieucalipti che ricoprivano la collina - venivano sbattuti contro i muri dalvento. I colori autunnali a cui Colin era abituato fin dai tempi dell'infanzianella valle dell'Hudson non erano una caratteristica della Bay Area; lì, du-rante l'autunno, la natura sembrava offuscarsi, trasfigurata dalle pioggedella stagione fredda, dall'azzurro e oro dell'estate all'argento e verde bril-lante dell'inverno. Quella sera, Colin era felice di essere al caldo nel salotto con la pipa pre-ferita e un bicchiere di scotch. La notte era scesa presto, e le nubi che cor-revano in cielo celavano a momenti la luna calante. Quella notte, più di tut-te le altre dell'anno, lo rendeva nervoso. Era Halloween. C'erano molte feste quel martedì sera, sia nel campus che fuori, ed erastato invitato a molte di esse dagli studenti di cui era tutor, ma per qualchemotivo Colin non se l'era sentita di trascorrere la serata in compagnia. Me-glio restare a casa con i ricordi, e non imporre la sua presenza a gente chenon avrebbe capito. Era una notte per i fantasmi, e Colin ne aveva molti. Forse era semplicemente sfasato rispetto alla superficialità di quella festatutta americana che trasformava quella che un tempo era stata una nottepiena di energia e magia, il segnale di un cambiamento nelle correnti del-

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l'anno, in un banale pretesto per fare baldoria. Diverse ore prima, i bambinidel vicinato avevano suonato i campanelli in tutta la strada di Colin chie-dendo dolci. Mentre distribuiva caramelle per evitare i tiri mancini che ve-nivano minacciati, Colin si era chiesto se i genitori sapevano che i figlistavano compiendo una forma sbiadita e alterata di un macabro rito paga-no. I falò autunnali un tempo erano stati fuochi di ossa; in epoche passate sicredeva che quella notte i morti ritornassero nel mondo dei vivi per essereplacati con cibo e sangue e indotti così a tornare ai loro tumuli per dormir-vi un altro anno. Era una notte ancora carica di energia per i cuori che riu-scivano a percepirla, un'energia tanto forte che perfino i più ignari e inno-centi rimanevano a volte avviluppati nella sua rete invisibile. Colin si chiese quale potere si scatenasse quella sera, infestando le col-line che circondavano la baia. Quel giorno aveva fatto lezione quasi senzaaccorgersi degli studenti, preoccupato da qualcosa che si trovava ai margi-ni della percezione, più insistente ancora della forza dei ricordi. Aveva ab-breviato le ore di ricevimento - in ogni caso, per Halloween gli studenti ri-tenevano di avere impegni più importanti - ed era tornato a casa, dove ave-va vagato per le stanze del bungalow come un animale in gabbia, nel tenta-tivo di isolare la fonte del disagio. Tutto ciò che colpiva la sua attenzione erano immagini frammentate -cattedrali del male costruite con colonne di luce -, che potevano appar-tenere tanto al passato quanto al nebuloso presente. Era più probabile la prima soluzione, si disse Colin. In un avamposto delrazionalismo come il campus della University of California di Berkeley, leperversioni tipicamente europee degli anni Trenta e Quaranta sembravanoun brutto sogno, quasi impossibile da prendere sul serio. Nathaniel avevaavuto ragione: trasferirsi lì l'avrebbe aiutato a liberarsi del passato. Quelloche era stato un tempo non si sarebbe ripetuto, anche se gli eventi dell'at-tualità lo inducevano a temere la rinascita delle Tenebre. Ma tutti gli anni di addestramento avevano anche insegnato a Colin anon prendere alla leggera le avvisaglie, per quanto ambigue, di pericolo.La mente inconscia non si esprimeva verbalmente. Esisteva al di fuori deltempo, in comunicazione diretta con l'occulto, e non usava le parole permandare messaggi alla mente conscia. Se l'inconscio stava tentando disuggerirgli qualcosa, poteva anche usare immagini tratte dalla sua me-moria legate a eventi della stessa importanza, a una collocazione geogra-fica o anche a un particolare tipo di disturbo.

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Però, anche se i medium erano in rapporto con il futuro o con un pre-sente geograficamente lontano, il motivo per cui molti di loro - e Colin nonne faceva parte - erano tanto irregolari nelle loro previsioni era l'incapacitàdi interpretare correttamente i messaggi trasmessi loro dalla mente precon-scia. Il disturbo che Colin avvertiva era percepibile grazie alla sua forma-zione di Adepto: c'era nel Piano Astrale una perturbazione abbastanza forteda manifestarsi nel mondo materiale, ma tanto sfuggente da impedire an-che a una concentrazione profonda di svelarla del tutto e di portarla alloscoperto in un luogo dove la mente conscia riuscisse ad afferrarla. Era frustrante, e Colin capiva come mai molti dei pellegrini sul Sentierocredevano che ogni Adepto dovesse essere anche un Sensitivo; sarebbestato estremamente confortante in quel momento avere la capacità di trova-re risposte nel mondo degli spiriti grazie alle proprie doti medianiche. Main una vita precedente aveva scelto di privarsi di quei doni, quindi Colinnon aveva altra scelta: doveva rimanere a guardare e aspettare. Fu dopo mezzanotte: i festaioli impenitenti, che fino a qualche tempoprima avevano riempito le strade, erano infine partiti per altre mete o allavolta del letto, e il quartiere era di nuovo sprofondato in una calma di-sturbata solo dalla furia del vento. Colin aveva quasi deciso che, qualun-que fosse stata la causa del disturbo che l'aveva preoccupato, non l'avrebbescoperta quella notte, quando udì il rumore di un'auto che si avvicinava. C'erano pochi altri residenti in quella strada senza uscita, e tutte le caseerano buie a quell'ora. Colin non fu sorpreso quando vide il fascio dei faridelinearsi sulle pareti del salotto e sentì il veicolo fermarsi davanti a casasua. Si avvicinò alla porta e l'aprì. L'aria notturna era carica della promessa di pioggia che aveva minac-ciato di cadere per tutta la sera, e le luci del centro trasmettevano un debolelucore verdastro alle nuvole basse. L'auto - un modello recente rosso scar-latto che brillava alla luce dei lampioni - non gli risultava familiare, maquando la luce interna si accese, Colin riconobbe il guidatore. Jonathan Ashwell. Lo snello, castano e sensibile Ashwell era il privilegiato appartenente aun'antica e ricca famiglia della costa orientale; il nome completo era Jo-nathan Griswold Ashwell III, e suo padre era un generale dell'esercito a-mericano. Jonathan era il tipo di studente che ogni professore sogna di a-vere: impegnato, deciso, brillante. E, purtroppo, tanto giovane da credereche nulla di male avrebbe mai potuto capitargli. Era uno degli studenti per

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cui Colin svolgeva le funzioni di tutor, e anche se stava studiando per otte-nere un dottorato in psicologia, Jonathan era affascinato dallo specchio de-formante di quella scienza, la parapsicologia. A Colin era piaciuto subito, eper il momento era riuscito a tenere la curiosità intellettuale di Jonathanentro i confini relativamente sicuri degli esperimenti Rhine e di ricerchesimili nei tranquilli recessi della cognizione umana. Ma era accaduto qualcosa che aveva cambiato la situazione. Colin se neaccorse subito, quando vide Jonathan che saliva gli scalini due alla volta,con il viso pallido e teso e la cravatta storta. «Professore! Grazie a Dio è qui... Non sapevo dove altro andare.» Sem-brava quasi isterico, e Colin temette il peggio. C'erano tanti errori che ungiovane poteva commettere in quella fase della vita. Ma non era uno sba-glio di Jonathan che l'aveva indotto a restare in piedi fino a quell'ora. «Vieni dentro, Jonathan», lo invitò Colin. «Sono sicuro che possiamotrovare una soluzione.» «No... non capisce... lei è in macchina...» Per un istante a Colin si gelò il sangue nelle vene, poi corse giù dallescale. C'era una ragazza al posto accanto a quello del guidatore. Aveva i ca-pelli biondo chiaro tagliati alla paggio, e - indovinò Colin - era piuttostoalta. Aveva perso conoscenza, o era caduta in delirio, e la testa le dondo-lava da una parte all'altra. Le labbra si muovevano silenziosamente, e lemani si contorcevano in gesti appena abbozzati, come se stesse sognandouna conversazione che gli altri non potevano udire. Le tastò il polso. Aveva la pelle fredda e umida, e il cuore le batteva de-bolmente ma a grande velocità. Colin vide i rapidi movimenti degli occhidietro le palpebre chiuse, come se fosse immersa in un profondo sonnoREM. «Non sapevo cosa fare», si giustificò Jonathan. «Eravamo a una festa, eimprovvisamente Claire è caduta a terra e ha cominciato a urlare.» «Intendi dire che ha cominciato a gridare e poi è crollata sul pavi-mento?» chiese Colin. Mise una mano sulla fronte della ragazza. Era im-perlata di sudore gelido. «No, professore, glielo giuro! Le si sono girati gli occhi nelle palpebre eha cominciato a dire di tutto.» Colin schiaffeggiò leggermente il viso della donna, cercando di sve-gliarla. «Cosa diceva?» «Be'... non saprei... la città del tempio e i dragoni nella terra, roba da

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fantascienza», rispose Jonathan a disagio. «Che il dragone sarebbe risortocontro la città del tempio e contro il tempio. E qualcosa sul sentiero dell'e-clisse.» Non sembravano dei deliri a Colin, ma delle frasi stranamente per-suasive, come profezie in cui il suo Ordine ancora credeva, ma poteva trat-tarsi di una semplice coincidenza. Quello che contava in quel momento erascoprire cos'era successo all'amica di Jonathan. In quel mentre gli occhi di Claire si aprirono, si fissarono su un puntodietro Colin, misero a fuoco qualcosa che solo lei poteva vedere. Grazie al-la luce dei lampioni vide che aveva le pupille molto dilatate, circondate dairidi ridotte a pallidi circoletti argentei. «Il Sole», disse con voce roca e assente. «La Città sulla Collina... Mae-stro... È appeso a un albero e non riesco a...» Improvvisamente ebbe unsussulto in avanti e cercò di scendere dall'auto. «Non lo sopporto», borbot-tò con voce più normale. «Uscite, andatevene. Basta, basta, basta!» «Sta' ferma», ordinò Colin con decisione. Cominciava a sospettare qualefosse il problema. Claire aveva certe caratteristiche, che Colin aveva impa-rato a individuare molto tempo prima, di una sensitiva i cui centri erano inqualche modo stati costretti ad aprirsi. Ora si trovava senza difese, senzaprotezioni contro quella valanga di dati provenienti dal mondo materiale edall'altro. Con il pollice della mano destra le tracciò il Segno del pentacolosulla fronte ed ebbe una conferma ai suoi sospetti quando Claire ricaddeinerte contro il sedile. Un simbolo magico non avrebbe avuto alcun effetto su un ordinario di-sturbo umano, ma in quel caso aveva funzionato, garantendo a Claire unapace momentanea. Senza sapere in che modo il chakra Kether era stato a-perto non osava cercare di richiuderlo, e per scoprirlo gli sarebbe servitodel tempo che Claire non aveva. Doveva rimanere in un posto sicuro fin-ché i suoi centri non fossero stati nuovamente richiusi. Anche se uno dei principi cardine della parapsicologia sosteneva che ipoteri psichici non erano affatto soprannaturali - ma un dono che, perquanto raro, era parte normale dell'apparato sensorio umano - era assio-matico che, con l'eccezione di sensitivi particolarmente dotati, la forzataapertura dei centri psichici mentali avrebbe provocato solo una raffica diintuizioni di ogni tipo e, forse, qualche brutto incubo. Non certo il tipo direazione che Claire stava avendo in quel momento, a meno che non avessela più pallida idea del dono che possedeva. Colin lanciò un'occhiata alla casa. Portarla dentro? No, era già aperta e

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indifesa, introdurla in casa poteva essere la scelta peggiore per lei. Le dife-se di Colin erano forti, ma ciò che proteggevano, anche se appartenente al-la Luce, era troppo intenso perché un Non Iniziato riuscisse a sopportarlo.Portarla all'interno avrebbe solo peggiorato enormemente le cose. Chi conosceva nella Bay Area che fosse equipaggiato per risolvere unacrisi del genere? «Alison», disse Colin ad alta voce. Greenhaven era un luogo protetto, dedicato alla Grande Opera, e AlisonMargrave era rigorosa e coscienziosa nella purificazione dei dintorni. Sen-za il consenso di Alison, nessuna forza sarebbe potuta entrare da lei finchéla padrona di casa era viva. Claire sarebbe stata al sicuro lì. «Professore?» La voce di Jonathan era spaventata. «Cos'ha fatto? Cos'haClaire?» «Non preoccuparti, Jon. Penso che starà bene se riusciamo a darle l'aiutodi cui ha bisogno. Voglio portarla da una mia amica. Cerca di spostarla nelsedile posteriore; vado a prendere il cappotto.» Erano le due passate quando giunsero a Greenhaven. Aveva chiamatoAlison prima di partire, ma nessuno aveva risposto al telefono. Potevanoesserci diverse ragioni per la sua assenza, e il problema di Claire non po-teva aspettare. Se Alison non fosse stata lì al loro arrivo, Colin poteva co-munque trovare un modo per entrare a Greenhaven. Senza quel santuario,temeva che Claire sarebbe morta. Per fortuna, Jonathan si fidò ciecamente di lui senza fargli domande eseguì le istruzioni di Colin senza esitare. Colin non sapeva a cosa pensasseil ragazzo mentre, seguendo le sue indicazioni, attraversò la baia e si iner-picò sulle colline nebbiose di San Francisco, ma capì che doveva rin-graziare Jonathan per quell'arrendevolezza. Anche se ripeté più volte il Segno durante il tragitto, Claire continuava asfuggire alla sua influenza benevola. Farneticava e si dibatteva, piangendoe urlando contro cose che Colin non poteva vedere. In qualche occasione civolle tutta la forza di Colin per tenerla ferma, e fu felice di essere stato ab-bastanza previdente da farla sistemare dietro e da sedersi accanto a lei. Sefosse stata davanti e fosse riuscita ad afferrare il volante, probabilmente sa-rebbero finiti fuori strada più di una volta. Jonathan era assolutamente terrorizzato. Colin aveva cercato di distrarlodal pensiero di Claire facendogli delle domande tra una crisi e l'altra. Ap-prese così che Claire London aveva diciannove anni, che stava studiando

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per diventare infermiera grazie a una borsa di studio, che era nata e cre-sciuta a Burlingame, cosa che la rendeva una creatura rara, una nativa dellaCalifornia. Jonathan non la conosceva bene, anche se erano usciti insiemequalche volta l'anno precedente. Non era andato alla festa con lei, ma l'a-veva incontrata laggiù. «Era solo una delle megafeste di Toller, sa, professore. Una festa di Hal-loween; un paio di persone vestite da gitani che predicevano il futuro, ta-vole Ouija, roba del genere.» Aveva un tono sconcertato. «Non è accadutonulla a nessun altro, niente del genere.» «Claire ha provato la tavola Ouija?» chiese Colin. Quel cosiddetto giocoveniva considerato innocuo, ma nelle mani sbagliate - innocenti o menoche fossero - procurava una strada priva di difese verso la mente inconsciache poteva rivelarsi pericolosa e potenzialmente letale; era come se un di-lettante tentasse di riparare il televisore con un rompighiaccio e un martel-lo. «No», rispose Jonathan. «Odia quel genere di cose. Dice che sono tuttefandonie, giochetti da salotto. Quando ha visto che ce n'era una, l'ha quasigettata per terra.» «Hmm», commentò Colin. Una reazione interessante da parte di unasensitiva così dotata. La testa di Claire era appoggiata contro la sua spalla, e i suoi capellibiondi erano resi più scuri dal sudore. La gonna e il maglione erano fra-dici; il corpo emetteva l'intenso odore della camera di un ammalato, e ilpolso aveva una rapidità filiforme che a Colin non piaceva per niente. A-veva creduto di avere abbastanza tempo per arrischiarsi a portare la ra-gazza nel luogo sicuro di Alison, ma cominciò a pensare di essere statotroppo ottimista. Era un difetto contro cui i suoi maestri l'avevano messo in guardia. «Nonpuoi andare più forte?» chiese con una nuova tensione nella voce. Jonathan reagì schiacciando l'acceleratore a tavoletta, e la berlina ac-celerò nella nebbia. Era piovuto da quella parte della baia, e le stradine tortuose della zona diTwin Peaks erano scivolose. L'auto sbandava a destra e a sinistra sulla car-reggiata, e Colin udì il suono strozzato di Jonathan mentre il ragazzo lotta-va per mantenere il controllo sul veicolo. Trattenne il respiro, ma l'auto siraddrizzò e il motore gemette mentre Jonathan scalava per affrontare l'ul-tima collina. «Presto... presto», borbottò Colin sottovoce. «Eccoci!»

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Jonathan inchiodò, mandando Colin e Claire a sbattere contro la parteposteriore dei sedili. Girò il volante e diede gas, facendo entrare la vetturaa strappi nel vialetto in salita di Greenhaven. Alison li stava aspettando sulla soglia. Si precipitò verso l'auto quasiprima che si fermasse e aprì di colpo la porta dalla parte del passeggero. «Simon mi ha detto che saresti venuto», disse mentre Colin scendeva.«E raramente si sbaglia su qualcuno che ha bisogno d'aiuto. Cos'è succes-so?» «È una sensitiva incappata in qualcosa di troppo forte, penso.» Colin sisporse nell'interno dell'abitacolo e ne estrasse Claire. La ragazza rimaneva inerte tra le sue braccia, estenuata dopo la lungabattaglia con i suoi demoni invisibili. Alison schioccò la lingua costernatae indicò di seguirli. Colin portò Claire in casa, con Jonathan che lo seguivacome un anatroccolo preoccupato. Non appena Colin varcò la soglia, sentì pace e tranquillità discendere sudi lui; avvertì una cessazione quasi impercettibile del fastidioso rumore difondo prodotto dalle menti e anime dell'umanità sovraffollata nell'eterecircostante. Anche Claire sembrò sollevata. «Di sopra», disse Alison. Colin e Jonathan portarono la ragazza priva di conoscenza al piano supe-riore, nella camera degli ospiti dove Colin aveva dormito nelle visite pre-cedenti a Greenhaven. Simon li stava aspettando lì con l'espressione spon-taneamente contrariata di chi è costretto a rimanere in piedi fino a tardi. Una candela era accesa sul piccolo altare nell'angolo - Colin indovinòche i Simboli degli Elementi dovevano essere di Simon, perché la Tavoladi Hermes di Alison era più grande e formale, e la teneva nell'ex garageche aveva trasformato in santuario - e si sentiva odore di incenso purifi-catore. «Sdraiatela sul letto», ordinò Alison. Simon si fece avanti per aiutarli, e in un attimo Claire London fu stesasul materasso. Anche se il Segno era ormai svanito, Claire era piuttostotranquilla, protetta dagli schermi di Greenhaven. Alison le si inginocchiòaccanto e le sollevò una palpebra con la brusca efficienza di chi è abituatoa occuparsi del corpo abbandonato di un Adepto mentre l'anima viaggialontana nei Regni Astrali. «È stata drogata», dichiarò Alison. «Era quello che temevo: ci sarebbevoluta un'intera congrega di streghe per ridurla in questo modo con la solaforza di volontà. Ed è molto debole. Simon, portami la borsa.»

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Il giovane musicista si mosse per obbedire. «Drogata?» balbettò Jonathan. Spostò lo sguardo dal piccolo altare adAlison, con un'espressione interrogativa e dipinta in viso una vaga colpe-volezza incredula. «Ma lei... Tutto quello che ha bevuto è stato il punch,professore. C'era dentro solo un po' di vodka.» «Non ha fumato niente? Ha preso magari delle pillole?» chiese Colin,anche se gli eccitanti in voga tra gli studenti desiderosi di studiare tutta lanotte non avevano in genere quell'effetto, e lo stesso valeva per marijuanae hashish. «No», rispose Jonathan incerto. «Non preoccuparti», lo rassicurò Alison, mentre Simon tornava con lasua borsa da medico. «Penso di sapere cos'è. È qualcosa di pericoloso, diinsidioso e, quel che è peggio, di perfettamente legale.» Aprì la borsa e ne estrasse una siringa e una fiala. «Voglio sommini-strarle uno stimolante, poi Simon e io cercheremo di liberare i suoi canali el'aiuteremo a ricostruire i suoi schermi protettivi naturali. È una dei tuoi,Colin?» «Non l'avevo mai vista prima di stasera», rispose Colin in tutta onestà. «Peccato», commentò Alison. «Funzionerebbe meglio se lo facessequalcuno che conosce e di cui ha fiducia. Non ho l'impressione che sia unapersona molto fiduciosa. Del resto, perché dovrebbe esserlo?» Alison diede dei colpetti alla siringa per far uscire le bolle d'aria, poi in-filò l'ago sotto la pelle all'interno del braccio dove Simon aveva già pas-sato un batuffolo di cotone imbevuto d'alcol. Lentamente iniettò la dosenella vena della ragazza. «Professore, cosa sta succedendo?» chiese ansiosamente Jonathan. «Co-sa stanno...» Colin sollevò una mano per intimargli il silenzio. «Zitto, Jonathan. Ri-sponderò più tardi a tutte le tue domande, ma per adesso dobbiamo lasciaread Alison e Simon il silenzio di cui hanno bisogno per lavorare.» I due Adepti stavano ai lati del letto con le braccia tese che formavanoun ponte intrecciato sopra il corpo supino di Claire. Con lenti movimentimetodici scesero lungo il corpo con le mani che si muovevano sempre nel-la stessa direzione, come se stesso spazzolando i pelucchi da una pezza divelluto. Stavano facendo per Claire quello che non poteva fare da sola: e-liminavano dai suoi centri superiori il peso involontario della forza psichi-ca per permettere loro di chiudersi e di recuperare le loro difese. Colin non era un sensitivo, ma anni di formazione gli permisero di im-

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maginare quello che stavano vedendo: la rete di condotti, simili ai rami diun albero, che costituivano i canali di energia del corpo leggero. Questo Ioetereo, o corpo astrale, era una componente dell'Io tripartito usato dai chia-roveggenti per spostarsi in un altro luogo del regno fisico e dai maghi perviaggiare nell'Aldilà. Era la forma astrale, o doppio, che a volte so-pravviveva alla morte, vagando nel Piano Materiale dopo il decesso delcorpo e la partenza dell'anima, dando vita a racconti di fantasmi e infe-stazioni da coloro a cui era capitato di vederla. Quando arrivarono alle dita dei piedi, cominciarono di nuovo dalla testa,con gesti più ampi, mandando l'energia a dissiparsi nella terra. Accanto a lui Jonathan osservava affascinato. Colin capì che il ragazzostava reagendo alle correnti di energia che turbinavano nella stanza; avevaavuto ragione nel pensare che le capacità di Jonathan Ashwell non si limi-tassero all'apprendimento dai libri. Colin avrebbe dovuto stare attento a te-nere il ragazzo lontano dagli spiritisti e altri ciarlatani nel campo dell'oc-culto, per evitare che, come molti altri, rimanesse impantanato nei bassi-fondi nel Mondo Invisibile, ammaliato dalle cianfrusaglie senza valore. Alla fine, Alison e Simon si pulirono le mani di ciò che restava dell'e-nergia. Simon aveva l'aria esausta e il viso pallido per lo sforzo appenacompiuto. Alison, che aveva alle spalle una formazione e un'esperienzamaggiori, sembrava solo stanca. Uno dei gatti si materializzò apparentemente dal nulla e saltò sul letto,acciambellandosi contro il fianco di Claire e facendo rumorosamente le fu-sa mentre si sistemava per addormentarsi. «Per il momento non possiamo fare altro, Colin; spero solo che sia abba-stanza. Tornerò a darle un'occhiata tra mezzora, anche se penso che dormi-rà senza interruzioni fino a mezzogiorno, se siamo fortunati. Adesso vorreiparlare con te e il tuo giovane amico», disse Alison con uno sguardo signi-ficativo. «Be', io me ne vado a letto», annunciò Simon, passandosi una mano ele-gante tra i riccioli neri spettinati. «Ho l'impressione che riuscirei a dormirefino allo squillo della tromba del giudizio universale.» Senza aggiungerealtro passò davanti agli altri e se ne andò. Colin sospirò, e l'energia nervosa che l'aveva sostenuto durante la crisilo abbandonò ora che era tutto a posto. Era sempre così dopo: prima gli altivertiginosi, poi i bassi. L'adrenalina era sicuramente una droga quanto l'e-roina: era forse lui a cercare situazioni del genere per soddisfare il suo bi-sogno di quella sostanza?

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«Andiamo, Jonathan. Claire dovrebbe stare bene adesso. E immagino didoverti una spiegazione.» C'era un fuoco acceso nel camino del lungo soggiorno, e l'odore pene-trante dell'eucalipto riempiva la stanza. Jonathan si lasciò cadere su unasedia, mentre Alison si avvicinò all'armadietto dei liquori. Improvvisa-mente Colin si ricordò di qualcosa. «Alison, cosa intendevi quando hai detto \"è legale\"? Sai di cosa si tratta-va? Cos'ha preso Claire?» chiese. «Non ne sono del tutto certa, naturalmente, ma credo abbia preso - o lesia stata somministrata a sua insaputa - una sostanza che si chiama dieti-lammide dell'acido lisergico, un derivato sintetico della segale cornuta chesi trova in giro fin dagli anni Quaranta. Lo produce la Sandoz, e viene usa-to in psicoterapia. Del resto, io stessa l'ho impiegato con alcuni dei mieipazienti, dal momento che è un farmaco che si può usare liberamente. Haun effetto sui recettori di serotonina del mesencefalo; in pratica, l'LSD spa-lanca le porte della percezione, mandando in corto circuito i meccanismicensori del cervello.» Gli versò due dita di scotch in un grosso bicchiere di cristallo, e offrì lastessa bevanda a Jonathan. Anche se era ancora lontano dell'età in cui lalegge gli avrebbe permesso di bere, il ragazzo accettò con gratitudine, eColin non poté biasimarlo. Gli sembrava sciocco che a diciott'anni un ame-ricano fosse abbastanza vecchio per venire arruolato nell'esercito ma nonper votare, bere alcol o firmare un contratto vincolante. La situazione erarisolta in modo diverso in Europa. «Un corto circuito... questo potrebbe essere disastroso per un sensitivo»,meditò ad alta voce Colin. «E Claire ha reagito proprio come una medium», affermò Alison. «Quel-la roba è utile ma pericolosa. Qualunque chimico dilettante è in grado difabbricarne; è incolore, insapore e la dose da somministrare è minuscola.Io la do ai miei pazienti su una zolletta di zucchero, in modo che possiamoentrambi seguirne le tracce. Ha un effetto quasi istantaneo che dura fino adiciotto ore, ed è potente e imprevedibile. Dobbiamo solo sperare che lavostra Claire non sia stata segnata in modo permanente da quell'esperien-za, ma vediamo quello che avrà da dire quando si sveglia.» «Claire è... una medium?» chiese Jonathan. «Una chiaroveggente? Rie-sce a vedere il futuro?» Alison e Colin si scambiarono uno sguardo. Chi di loro doveva ri-

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spondere alla più elementare e scomoda delle domande? «Claire è certamente quella che chiameremmo una \"sensitiva\"», disse in-fine Colin, «nel senso che è \"sensibile\" a uno specchio di percezioni che lamaggior parte della gente non è in grado di cogliere. Come ricorderai dallemie lezioni, tra il dieci e il venti percento della popolazione nasce conqualche dono psichico, che in genere si manifesta in forma di intuizioni,ipotesi corrette, sogni profetici e così via. Qualcuno tra loro ha delle capa-cità maggiori: si tratta di quello che un tempo si chiamava \"prescienza\" eche oggi viene definita chiaroveggenza e precognizione. In quei soggetti ilSesto Senso è tanto sviluppato che possono perfino manipolarlo entro certilimiti, scegliendo su quali eventi, lontani nel tempo o nello spazio, deside-rano concentrarsi. «Ma c'è un altro tipo di chiaroveggente, il sensitivo, che riceve sem-plicemente delle percezioni più o meno costanti dal Mondo degli Spiriti.Questi individui imparano presto a bloccare il flusso spaventoso di infor-mazioni indesiderate che nessun altro sembra cogliere. Molti di loro pas-sano la vita intera senza rendersi conto di possedere questo dono.» «Come Claire», concluse Jonathan. «Ma non è tutto, vero? Professore,giurerei che Claire non sapeva di essere una sensitiva. È la ragazza più pra-tica e concreta che conosca.» «Essere dei sensitivi non significa necessariamente perdere del tutto ilbuonsenso», precisò Alison con un sorriso. «Migliaia di anni fa, quello cheveniva chiamato il dono era un requisito fondamentale di sovrani e condot-tieri. La civiltà non sarebbe durata a lungo se si fosse trattato di un'accoz-zaglia di eccentrici e originali.» «Immagino di no», concesse Jonathan con aria dubbiosa. «Ma, dot-toressa Margrave, se qualcuno è un sensitivo, come lo scopre? Cosa sen-te?» «È giunto forse il momento di addentrarmi in una spiegazione più appro-fondita», concluse Alison. «Colin, puoi mettere altra legna nel fuoco?» Colin si alzò e si avvicinò al camino. Accanto vi trovò un recipiente conpiccoli ceppi, un misto di legno di eucalipto morbido e chiaro, di legnamegrigio impregnato di sale proveniente dalla spiaggia e di solidi pezzi rossa-stri di melo. Posò il bicchiere sulla mensola del caminetto e gettò nel fuocodei ceppi di melo, impugnando l'attizzatoio per spostare i pezzi mezzi bru-ciati e creare un buon letto di braci per i nuovi ceppi. Mentre aspettava peraccertarsi che il legno prendesse, diede un'occhiata alla grande finestra pa-noramica.

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Le tende erano aperte, e Colin non fu sorpreso quando vide che il cielostava diventando grigio, rischiarato dalla luce che precede l'alba. Il mondoera sopravvissuto a un altro Halloween, e il Giorno dei Morti albeggiava. Dietro di lui, Alison stava spiegando le convinzioni fondamentali dellaLuce a Jonathan. «C'è un'energia che ci lega tutti; all'inizio del secolo ve-niva chiamata etere, anche se il termine è ora sorpassato. Questa parte dinoi - il Corpo Leggero - è quella che ci permette, in quanto genere umano,di fare tutto quello che viene raccolto sotto la dicitura \"parapsicologia eocculto\" nei libri.» I pensieri di Colin si distrassero dalla conversazione e si concentraronodi nuovo sulla ragazza che dormiva di sopra. Nell'attimo in cui l'aveva vi-sta nell'auto di Jonathan, aveva provato un profondo lampo di ricono-scimento. Aveva già conosciuto quella giovane in un'altra vita. Da quando era tornato negli Stati Uniti, Colin capì di essere rimasto inattesa di ordini. L'arrivo di Claire London era diretto come un comando: iSignori del Karma gli ingiungevano di impegnarsi nell'attività a cui si eravotato e avevano messo sul suo cammino quel nuovo incarico. Ma anche se aveva affrontato prove più pericolose di quella ragazza, perla prima volta nella vita Colin si chiese se la sua volontà e le sue capacitàfossero all'altezza di ciò che doveva fare. Era Claire la persona che gli erastata mandata da istruire, plasmare, guidare? E se era lei, come avrebbedovuto procedere? Dietro di lui, i ceppi che avevano preso fuoco scoppiettavano allegra-mente, mandando una nuova ondata di calore nella stanza. Colin voltò lespalle alla finestra e si girò verso il punto in cui Alison e Jonathan eranoseduti l'uno accanto all'altro, immersi in una conversazione animata. «Una volta che accetti di essere più di un semplice corpo - che hai ancheun corpo sottile, con altri sensi e bisogni - compi il primo passo in un uni-verso più vasto e metti piede su un sentiero che potrai seguire per molte vi-te.» Jonathan la guardò, combattuto tra il rifiuto automatico di un'idea cosìbalzana e una fiducia speranzosa e avida. Guardando quei due, Colin fusorpreso nello scoprire in sé un improvviso e breve spasmo di invidia. PerAlison era così semplice parlare di tutto ciò, mettere il piede di un nuovocercatore sul sentiero. Se avvertiva le apprensioni o gli scrupoli di Colincirca il pericolo o la responsabilità legati alle sue azioni, non lo dava a ve-dere. Però Alison non era nuova all'insegnamento: Simon Anstey era solo l'ul-

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timo dei suoi numerosi studenti. Quella di Alison Margrave era una vitasfruttata al meglio, una vita al servizio della Luce. Colin poteva forse dire lo stesso? Aveva combattuto grandi e terribilibattaglie in difesa della Luce, ma la vita di un Adepto dovrebbe essere illavoro supremo di mente e cuore, e Colin non era ancora soddisfatto delmodo in cui aveva vissuto. «Se l'LSD è responsabile di ciò che è successo a Claire», intervenne du-rante una pausa nella conversazione qualche minuto dopo, «vorrei sapernedi più sul modo in cui l'ha assunto. Dici che fa effetto piuttosto ra-pidamente, Alison... Non significa forse che deve averlo preso alla festadove lei e Jonathan sono andati?» «Immagino di sì, professore», rispose Jonathan lentamente. «Era solo...be', una delle feste di Toller. Tutti sanno come si svolgono. Anche Claire.» «Immagina che noi, invece, non lo sappiamo», disse Alison in tono iro-nico. «Solo un momento. Vado a dare un'occhiata alla ragazza.» Si alzòcol bicchiere in mano e si diresse verso la scala. Jonathan si girò sulla sedia, guardando in direzione di Colin, che era ri-masto in piedi. «Immagino di non essermi dimostrato del tutto all'altezza della situa-zione, eh, professore?» chiese in tono mesto. «Stai andando benissimo», lo rassicurò Colin. «Dimostrare sangue fred-do durante una crisi ed essere pronto a seguire gli ordini in modo in-telligente ti permetterà di compiere grandi progressi sulla strada che vuoipercorrere, qualunque essa sia.» «Questa è la strada che voglio percorrere», dichiarò Jonathan deciso.«So che sembra una follia, ma mi pare di tornare finalmente a casa.» Non è certo folle quanto credi, pensò Colin sorridendo dentro di sé. Unodei principi fondamentali della Luce era il processo infinito dell'ap-prendimento, quando l'Io tornava a incarnarsi una vita dopo l'altra. Forsenon era la prima volta che Jonathan Ashwell cercava un significato piùprofondo all'esistenza. Alison tornò. «Sta ancora dormendo. Il polso e la respirazione sono re-golari e forti; penso che quando si sveglierà domani starà bene... almenofisicamente. Dal punto di vista psichico...» Alison esitò. «Immagino che cene occuperemo al momento opportuno. Anche se la persona di cui vorreioccuparmi è quella che ha organizzato la festa a cui siete andati, dal mo-mento che considera divertente drogare i suoi ospiti.» «Nessuno pensa che sia colpa tua, Jonathan», lo rassicurò Colin. «Ma

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tutto quello che potrai dirci ci risulterà utile.» Grazie alle pazienti domande di Colin e Alison, cominciò a emergereuna trama. Toller Hasloch era uno degli elementi più in vista e conosciuti all'uni-versità. Aveva ventidue anni e studiava legge; apparteneva a una ricca fa-miglia di Baltimora. Viveva all'esterno del campus in una casa vittorianadalla struttura irregolare nella parte più vecchia della città, ed era famosoper le numerose feste che organizzava. Era membro di diversi circoli uni-versitari non proprio rispettabili e aveva la reputazione di mostrarsi audaceda un punto di vista tanto intellettuale quanto fisico. Molta droga - soprattutto marijuana e pillole - era disponibile alle festedi Toller. Tutti ne erano al corrente. Per quando Jonathan ne sapeva, però,nessuno era mai stato obbligato ad assumerle. «Se è stata drogata, dev'essere stato il punch», concluse. «Ce n'era unagrossa zuppiera; era corretto con la vodka, ma quello lo sapevano tutti.Anche Claire ne era al corrente; in genere non beve, ma ieri sera sì. Quan-do le ho detto che conteneva dell'alcol, si è semplicemente messa a ridere.Ma un po' di liquore non potrebbe avere un effetto del genere, vero? E sec'era qualcosa d'altro nel punch, è stato Toller a mettercelo», aggiunse Jo-nathan con sicurezza. «Ama apparire tranquillo e rilassato, ma è al correntedi tutto ciò che avviene intorno a lui.» «È difficile ottenere questa droga?» chiese Colin ad Alison. «Non molto», ammise. «Ed è piuttosto semplice da fabbricare, se hai ac-cesso a un laboratorio di chimica... o se frequenti una studentessa di chi-mica.» «Immagino che il signor Hasloch soddisfi almeno uno di quei criteri»,suggerì Colin a Jonathan. «Certo», rispose il ragazzo incerto, cominciando a sentirsi a disagio.«Voglio dire... riesce a procurarsi qualsiasi cosa», ammise riluttante. «Al-meno così ho sentito dire. Non vorrei metterlo nei guai, professore...» «È già nei guai», dichiarò Alison con voce minacciosa. «Sempre, na-turalmente, che sia lui il responsabile. Ma per semplicità ipotizzeremo chesia così, che abbia messo le mani su dell'LSD e che abbia pensato di viva-cizzare la festa di Halloween creando alcuni fantasmi e mostri veri, o dal-l'apparenza reale. È fortunato che Claire sia stata la sola a reagire in quelmodo, o almeno speriamo che sia così. E meno male che non hai preso an-che tu quella roba», disse Alison. «L'LSD può avere degli effetti bizzarri.»

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«No», rispose Jonathan con gratitudine. «Non ho bevuto il punch, masolo birra. Voglio dire...» cercò di correggersi, rendendosi conto troppotardi di quello che aveva detto. «Tenuto conto delle circostanze, direi che i tuoi sono peccati veniali». «Peccati», disse una nuova voce dalla soglia. «Immagino sia troppo spe-rare che ne abbia commesso qualcuno.» Colin aveva avuto ragione nel giudicare Claire London alta; era più diuno e settanta, e gli antenati scozzesi di Colin l'avrebbero chiamata «unaragazzona». Era a piedi nudi, la gonna e il maglione apparivano legger-mente spiegazzati poiché ci aveva dormito dentro. Si aggrappò allo stipitedella porta per sostenersi mentre si passava l'altra mano tra i corti capellibiondi. La bocca aveva una piega arcigna e sospettosa. «Pensavamo che avresti dormito ancora per parecchie ore», disse Alisontranquillamente. «Perché avrei dovuto?» sbottò Claire. «Qualcuno mi ha forse dato di na-scosto un sonnifero? Tu, Johnny?» aggiunse in tono derisorio. «Tu... sei stata male, Claire», disse Jonathan debolmente. «Alla festa diToller, ricordi? Ti stavo parlando, vicino al recipiente del punch. Ti eri ap-pena servita un altro bicchiere, ti ricordi? Ci stavamo entrambi chiedendodove si era cacciato Toller...» «No.» La negazione fu troppo rapida, e la nervosa aria beffarda di Claireera scomparsa, lasciandosi dietro la sola paura. «Non ricordo nulla, perchénon è successo nulla. Capito?» Diede uno sguardo laterale verso Colin, e lo fissò con uno sguardo inor-ridito. Sì, capì Colin con un irresistibile lampo di intuito, si erano già cono-sciuti. In una vita dopo l'altra, dal loro primo incontro nelle sale dell'anticoTempio del Sole, nella Città del Tempio dove l'uomo allora conosciutocome Riveda progettò per la prima volta il tradimento la cui espiazione l'a-veva legato alla Ruota della Rinascita da quel momento in poi. Quel lacerante momento di trascendenza passò, lasciando Colin scossodalla sua intensità. «Tutti hanno bisogno d'aiuto di tanto in tanto, signorinaLondon», disse, sapendo in un modo o nell'altro che non erano quelle leparole che avrebbe dovuto dire. «Non io», replicò Claire, ancora con quella fragile allegria. «Nessuno sioccupa di me a parte me», aggiunse con aria minacciosa. «E riesco a pren-dermi cura di me stessa, Dio sa che devo farlo.» «Da quanto tempo senti delle voci, mia cara?» chiese Alison con dol-

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cezza. Claire impallidì e le ginocchia le cedettero. Jonathan schizzò in piedidalla sedia e riuscì a sostenerla prima che cadesse a terra. «Non sono pazza», mormorò Claire disperata mentre Jonathan la aiutavaa raggiungere il divano. «Non sono pazza, non lo sono, non lo sono...» «Ascoltami, piccola», dichiarò Alison fermamente. «Anche se quelloche è successo ieri sera sembra dimostrare il contrario, non stai perdendola ragione. Sono una psichiatra, puoi fidarti di me.» Claire London fissò Alison negli occhi, e sembrò che per la prima voltavedesse il luogo in cui si trovava. «Lei è... un medico?» chiese con ariascossa. Gli occhi azzurri le si riempirono di lacrime, che fecero sembrareancora più grandi le pupille già dilatate. «Già, ho la licenza di strizzare cervelli a una tariffa oraria ragionevole»,rispose Alison brevemente, «e, tra le altre cose, suono anche il piano. Sulserio, Claire, sei tra amici qui. Non penso che sia pazza, e neppure Colin locrede.» Claire guardò Colin. «Colin... MacLaren?» chiese. «Ho sentito parlare dilei. E il nuovo professore alla facoltà di psicologia, quello che crede neifantasmi, nelle foglie di tè e in altre idiozie del genere. Un bel sostenitoremi sono trovata», gemette, appoggiandosi allo schienale del divano e chiu-dendo gli occhi. «Sono pronto ad ammettere di credere ai fantasmi», dichiarò Colin, «epuoi vedere tu stessa delle foglie di tè quando vuoi in ogni confezione diLipton. Per quanto riguarda il resto... preferisci essere considerata dotata opazza?» «\"Dotata\"... non pensa che siano tutte delle sciocchezze, professore?»Con l'energia febbrile che Alison aveva descritto come effetto secondariodell'LSD, Claire si sedette e gli sorrise freddamente. La sua voce aveva u-n'inflessione cinica, e le labbra si incresparono in un sorriso derisorio.«Mondi invisibili, visioni mistiche... tra un po' mi chiederà di credere agliomini verdi.» «Solo se ce ne sarà motivo», disse Colin con aria grave. «So che questanotte ha rappresentato uno shock terribile per te, ma devi capire che hai ri-cevuto un grande dono, l'uso di sensi a cui poche persone hanno accesso.So che ti senti sopraffatta dagli eventi, ma credimi, puoi imparare a con-trollare queste percezioni consciamente, razionalmente...» «Tanto di tutto», sussurrò Claire, lasciandosi cadere e apparentementeignara ancora una volta della loro presenza. «Tanto rumore che continua-

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va, continuava, continuava...» «Claire», disse Alison, che si sporse per afferrare il polso della giovanedonna. «Torna tra noi. Nulla di malvagio può toccarti finché sei in casamia, qualunque cosa tu veda. Ti è stata somministrata una droga che fasembrare le cose più spaventose di quello che sono. Il suo effetto svaniràtra qualche ora. Cerca di essere forte.» «No!» Claire si sottrasse a quel contatto con un grido. «Morirai, lo ve-do... ti voleva bene e ti ha ucciso... sei morta e vedo sangue dappertutto;sangue, sangue, sangue...», balbettò Claire, ritraendosi alla cieca nel-l'angolo del divano. «Stai vedendo il futuro», spiegò Alison ragionevolmente. «Tutti muoio-no, mia cara, anche le vecchie musiciste eccentriche. Il fatto che tu lo vedanon significa che sia colpa tua. Ascoltami, Claire: non sono morta. Sonoproprio qui, vedi? Puoi aprire gli occhi e vedermi...» Alison continuò a parlare con voce carezzevole, finché alla fine Claireriaprì gli occhi con uno sforzo. Colin vide che la ragazza era esausta; ave-va il viso mortalmente pallido e cerchi scuri intorno agli occhi. «Come fa a saperlo?» chiese stupita. «Ho tirato a indovinare», ammise Alison. «Ma ho anche conosciuto mol-te persone come te. Non sei sola, Claire, devi credermi. È un dono raro, manon è sconosciuto. Molti l'hanno posseduto in ogni momento della storia.» Claire fissò Alison negli occhi, speranzosa e insieme riluttante. Colin vi-de il momento esatto in cui i suoi occhi si offuscarono, l'attimo in cui Clai-re rifiutò l'idea di fidarsi di Alison. Scosse il capo. «Se non credi a lei, credi almeno a me», disse Colin. Ora, finalmente,trovò le parole giuste. «Mi conosci, Claire, mi hai già conosciuto. Crediche ti dirò sempre la verità?» Vide che stava per formulare una risposta impertinente e che esitava; latestardaggine e l'onestà innata della sua natura le impedivano di prenderealla leggera quella domanda. «Io... immagino di sì», disse a malincuore. «Ha troppo da perdere se nonlo fa», aggiunse con sarcasmo. Colin si chiese se sapesse quanta verità c'era nelle sue parole. Per unAdepto della Luce, una menzogna volontaria era un atto grave quanto unalesione fisica procurata al proprio corpo; se si rendeva necessario mentire,non bisognava mai farlo con leggerezza, perché le bugie avevano sempreconseguenze negative, che in alcuni casi si estendevano al di là dei confinidi una singola vita.

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«Non ti mentirò mai», ripeté Colin con fermezza. «Mi crederai se ti dicoche non c'è nulla di malato o di anormale in te? A differenza della maggiorparte della gente sei sensibile a certe impressioni. Definirti pazza solo per-ché vedi certe cose sarebbe come dare del matto a un individuo con un udi-to estremamente sensibile solo perché sente quello che sfugge alla maggio-ranza. Ma il dono psichico si può avvicinare di più al dono della musica,nel senso che può assumere molte forme ed essere educato... o ignorato.» «Sono stanca», intervenne Claire in tono petulante. «Alison ha detto chequalcuno mi ha drogata... Oh, mio Dio, dev'essere stato qualcosa alla festa,quel figlio di...» «Claire!» la riprese severamente Colin. «Non cercare di cambiare argo-mento: non sparirà comunque.» «Ah, davvero?» borbottò Claire sottovoce, e Colin represse un sorriso.Spaventata ed emotivamente scossa com'era, la ragazza aveva un spiritocombattivo. «Non puoi ignorare quello che ti è successo ieri sera. Ha delle conse-guenze permanenti. Immagino tu abbia finto di non vedere e sentire moltecose nella tua vita, ma dopo questa notte ti risulterà molto più difficile.Nonostante quello che credi tu, ti sei messa a esplorare il mondo esternocon il tuo Dono. Hai ricevuto tale abilità per un motivo, e non puoi piùsfuggire.» La ragazza esitò. «Per favore, Claire», insistette Colin. «Fidati di me. Lascia che ti aiuti.» «E va bene», disse Claire con un sospiro sgarbato. Anche se la sua voceera dura, gli occhi le brillavano di lacrime. «Faccia del suo meglio, profes-sore. Immagino di non avere altra scelta.» PARENTESI I Berkeley, 1961 Cercare di ricordare la propria infanzia è come cercare di richiamare allamemoria un'altra vita: cosa corrisponde al vero e quanto va attribuito a unaforma speranzosa di immaginazione? Penso vi sia qualcosa che ognuno dinoi sceglie di dimenticare; credo che sarebbe troppo doloroso se potessimoricordare le speranze che coltivavamo da giovani per il futuro. A mio avvi-so ogni bambino si aspetta che il mondo sia un luogo giusto, che gli eventiabbiano una sorta di equilibrio e onestà esistenti solo nella fantasia. Quan-do invecchiamo, capiamo che la vita è diversa. Alcuni si fanno sommerge-

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re dall'amarezza; altri diventano filosofi. È difficile ricordare la ragazza che incontrò per la prima volta Colin Ma-cLaren quasi quattro decenni fa. Penso fosse una bambina arrabbiata; soche era cresciuta odiando il mondo perché pensava che le avesse mentito.Quello che non sapeva - quello che solo dopo molti anni cominciò a crede-re - era che il mondo in cui viveva era un luogo assai diverso da quello disua madre e delle sorelle, perché era nata con la Vista. La Vista impone un pesante tributo a chi la possiede. Per quegli indi-vidui, Spazio e Tempo non sono assoluti; essi riescono a vedere cosa c'èdietro l'angolo e a scrutare nelle profondità del cuore umano. È un fardellocrudele per una bambina, e mi ribellai con tutte le mie forze. Quando rag-giunsi l'adolescenza, avevo ormai imparato a mostrare al mondo un'indiffe-renza cinica, a ferire gli altri e a nascondere le ferite infertemi dagli altri.Dio solo sa perché decisi di fare l'infermiera, visto quello che provavo neiconfronti del prossimo: a mia discolpa posso solo dire che le donne a queitempi potevano scegliere di diventare infermiere o bibliotecarie, e fin daallora mi ribellavo al pensiero di restare bloccata dietro una scrivania tuttoil giorno mentre la vita mi passava accanto. Ero in guerra col mondo, e intendevo fargliela pagare per tutto quelloche mi aveva fatto. Tuttavia non puoi colpire il mondo, ma solo le persone che lo abitano.Quando finii nelle mani di Colin - e non per semplice coincidenza, ne sonofermamente convinta - stavo annegando nella disperazione, ed ero perico-losamente vicina a commettere un atto che avrebbe rovinato la vita senzalasciarmi alcuna speranza di rimediare. E l'unica persona che stavo danneggiando ero proprio io. CAPITOLO 3 Berkeley, 3 novembre 1961 Perché hai lasciato i sentieri percorsi dagli uomini troppo presto, e con mani deboli e cuore forte hai sfidato il dragone affamato nella sua tana? Percy Bysshe Shelley Quel venerdì, Colin MacLaren riuscì finalmente a stanare la sua preda. Aveva riaccompagnato Claire London al suo dormitorio mercoledì mat-tina, dopo essersi inventato la storia complicata di un esperimento di psico-

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logia durato tutta la notte per soddisfare le domande della direttrice suquell'assenza notturna. Pensava di essersela cavata egregiamente; avrebbesolo voluto sentirsi altrettanto sicuro del rapporto con Claire. La ragazzaera spaventata, arrabbiata, polemica, e Colin non era certo di riuscire a sta-bilire un contatto con lei, per non parlare della possibilità di insegnarlequello che doveva sapere. E anche se lui e Claire erano stati sempre vicini,vita dopo vita, aveva capito che quella volta la giovane donna non era ve-nuta a lui come allieva. Il Sentiero non era la sua strada; in quell'esistenza,la conoscenza che poteva fornirle era solo uno strumento di cui Claire ave-va bisogno per compiere un altro tipo di viaggio. Il che riportava all'argomento di Toller Hasloch. Per prima cosa Colin aveva approfittato della sua posizione per dare u-n'occhiata alla scheda del ragazzo. Hasloch avrebbe compiuto ventitré annidopo pochi giorni; l'anno successivo avrebbe ottenuto il diploma universi-tario di primo grado e, secondo i documenti dell'ammissione, programma-va una carriera in campo legale. Grazie alle altre scartoffie contenute nellacartella non era stato difficile verificare la sua colpevolezza nella storia delpunch drogato. Molti professori nella facoltà di Colin compivano esperi-menti con l'LSD. Uno di loro ne aveva magnificato gli effetti a Colin, che,con un interrogatorio discreto, l'aveva indotto ad ammettere che aveva datoa Toller una piccola quantità di droga da provare a casa qualche settimanaprima. La sua mancanza di responsabilità non aveva scusanti, è vero, manon aveva fatto nulla di criminale: come aveva detto Alison, l'LSD era invendita come l'aspirina. Hasloch aveva avuto i mezzi e l'opportunità e, da quello che Jonathan ealtri avevano detto sul suo conto, un movente. Colin non voleva rovinare un futuro promettente per quello che potevaessere solo un eccesso di entusiasmo giovanile, ma non desiderava chequanto era successo alla festa di Halloween si ripetesse. La soluzione mi-gliore era una chiacchierata informale con il giovane Hasloch per dirgliche non sarebbero state tollerate altre bravate del genere. Individuò Toller mentre entrava nella Sproul Hall in mezzo a un grup-petto di compagni. I capelli biondi, corti e pettinati all'indietro, spiccavanocome una bandiera chiara nel pallido sole di novembre. Il ragazzo era ve-stito in modo ordinato e classico, con un maglione color frumento, unacamicia bianca e una cravatta scura. «Signor Hasloch?» Il ragazzo si voltò sentendosi chiamare, e Colin si trovò a fissare due oc-

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chi chiari alla stessa altezza dei suoi. «Professor MacLaren», disse Hasloch. «Non vedevo l'ora di incon-trarla.» C'era un vago tono divertito nella sua voce, una nota fastidiosa. Era co-me se fosse stato Hasloch a cercare lui, e non il contrario. È solo un ra-gazzo, si disse Colin, aggiungendo poi ad alta voce: «Vorrei parlarle unmomento, se è possibile». «Naturalmente», acconsentì Hasloch. «Ma scusi, sto dimenticando lebuone maniere.» Si appoggiò la mano destra sul petto e la sollevò len-tamente fino alla fronte. Colin rimase impietrito dallo stupore. Hasloch lo aveva appena salutatocol segno riservato a un Adepto del suo grado sul Sentiero della Mano De-stra, qualcosa che non era certo di dominio pubblico a Berkeley. E anchese così fosse stato, era del tutto improbabile che un ragazzo di vent'anniavesse le informazioni e la preparazione necessarie per salutarlo come fan-no gli Iniziati tra di loro. Per riflesso Colin ricambiò il saluto - un Adepto che ne saluta uno digrado inferiore - e Hasloch fece un sorriso gelido e crudele e gli voltò lespalle. Colin lo seguì, con la sensazione di avere in un certo senso concesso lavittoria a un avversario prima ancora di cominciare la battaglia. Hasloch sisedette a uno dei tavoli nell'angolo della casa dello studente, e Colin fecealtrettanto. «Allora, professore, come mai desiderava vedermi?» chiese Hasloch.«Non è certo venuto come emissario del suo Ordine.» Per il momento Colin lasciò correre; Hasloch stava chiaramente cer-cando di provocarlo. «Si tratta delle bevande che ha servito alla festa diHalloween», disse, e Hasloch strinse le labbra in una smorfia esagerata dicomprensione. Non appariva minimamente disturbato dall'insinuazione. «Si rende conto che potrebbe essere espulso per quello che ha fatto?» in-sistette Colin. «Uno scherzo da studenti», mormorò Hasloch. «E ho l'impressione chenon intenda punirmi... almeno tramite i canali pubblici.» «Lo farò se mi costringerà», affermò Colin. «Non sottovaluti la gravitàcon cui considero le sue azioni, signor Hasloch.» «Oh, non lo faccio di certo», replicò il ragazzo con aria disinvolta. «Mapenso che lei - o almeno i suoi Maestri - non li considerino con la mia stes-sa serietà. Siamo onesti, professore. Conosco le sue convinzioni, ma lei

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sembra essere all'oscuro delle mie. Sarei più che felice di colmare quellalacuna. Chissà, forse potremmo essere alleati naturali. Certo non identificail suo scopo con quello delle razze inferiori che la circondano.» Colin sussultò inorridito quando udì quel linguaggio che aveva credutosepolto tra le rovine di Berlino. Improvvisamente capì che il passato nonera morto, il Dragone non era stato eliminato. Era lì davanti a lui, ri-chiamato alla vita nella persona di quel ragazzo magro e pallido. «Vede?» disse Hasloch, aprendo le mani e sorridendo con fare accat-tivante. «Sono completamente aperto con lei. Quelli con cui sono in con-tatto mi hanno detto chi è lei: una grande forza per la Luce.» Manteneva lavoce bassa e l'espressione neutrale. Delle decine di studenti che passavanoaccanto al loro tavolo, nessuno li avrebbe degnati di uno sguardo. «Ma non esiste una sola fonte di Luce, professor MacLaren. L'illumina-zione che sprigiona dal Reich Millenario non viene eclissata tanto fa-cilmente, ma la fiamma della candela è dimenticata nella luce più potentedel sole.» Colin si sforzò di nascondere il suo shock e l'orrore che provava mentrefissava il giovane. Brillante e mortale come la lama di una spada appenaaffilata e freddo come la neve delle Alpi, Hasloch gli sedeva di fronte sottola luce del sole californiano e si proclamava devoto di un culto che Colinaveva creduto definitivamente eliminato; pensava che i suoi seguaci fosse-ro morti o dispersi, che i suoi luoghi sacrileghi fossero stati purificati. Lenazioni alleate avevano ipotecato il loro futuro e impegnato ogni loro forzaper rompere la schiena al grande serpente del nazionalsocialismo e alla vo-lontà del suo messia nero, Adolf Hitler. E la stessa esistenza di quel ragazzino diceva a Colin, al di là di ognipossibile dubbio, che avevano fallito. «Se quello è il suo sole, direi che è già tramontato», dichiarò Colin conl'aria di non dare importanza alla cosa. «Se afferma di essere un nazista, lericordo che avete perso. E per quanto riguarda i suoi Capi Segreti in esilio,vengono stanati uno per uno, o era così occupato a studiare che si è persola notizia del processo di Eichmann?» «Professor MacLaren», disse Hasloch in tono di rimprovero. «Quelloche lei vede come distruzione è considerato dall'Armanenschaft come unasemplice purificazione, un perfezionamento della nostra dottrina dell'evo-luzione spirituale a un livello superiore. Il corpo del Reich può anche esse-re sottoterra, ma lo spirito sopravvive, e l'aquila della Germania è diventatauna fenice. Dove un tempo altri combattevano con carri armati e mitraglia-

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trici, ora noi ci impegniamo in una battaglia dello spirito, permettendo alnostro operato nei Piani Esterni di dare forma a quello nei Piani Interni. Lasua Aquila Americana sta morendo, professore, e sarà sostituita dall'AquilaBianca di Tule, che spiegherà le ali su un Quarto Reich ricavato nel ghiac-cio perenne. I miei alleati sono i più forti perché agiscono in segreto; le na-zioni della Terra non vedranno la pace che i suoi connazionali hanno cer-cato finché io o lei vivremo, professore. Se dobbiamo parlare di attualità,mi lasci paragonare il suo Eichmann con il Segretario Generale Hammar-skjöld e la sua misteriosa morte in Sudafrica. Ecco quanto valgono la So-cietà delle Nazioni appena rinata e le sue fiacche speranze di pace.» Il viso di Hasloch brillava di un entusiasmo per niente innocente, di unfervore che Colin aveva sperato per sempre sradicato dalla faccia dellaTerra. Nella parte più segreta del suo cuore aveva sempre saputo che sitrattava di una speranza vana e nostalgica; la guerra della Luce contro leTenebre era eterna. Ma quel tentativo - in quella particolare forma - do-veva essere interrotto subito, perché le armi di cui disponeva ormai l'u-manità potevano provocare una distruzione a una scala fino ad allora solosognata da folli e santi. «Non è un po' megalomane da parte di uno studente universitario ri-vendicare la responsabilità spirituale di assassini politici internazionali?»chiese Colin con aria rattristata. «Le mie colpe si fanno troppo importanti per una semplice tiratina d'o-recchi, professore?» domandò Hasloch con voce carezzevole. «Lasci che ledica chiaramente, allora, che se mi accusa pubblicamente mi fingerò scan-dalizzato e inorridito, profondamente indignato, e qualche altro sciocco di-venterà il capro espiatorio, magari proprio il suo caro Jonathan Ashwell.Ho degli amici potenti, professor MacLaren; perché spreca la sua forza acombattere contro i mulini a vento? Una nazione è facile da distruggere, sesi adotta la strategia giusta. Gli stati hanno un'anima, proprio come gli uo-mini, ed entrambi diventano involucri senza valore quando quell'animamuore dentro di loro. Il suo sole sta calando, Herr Doktor Professor, men-tre il mio si appresta a sorgere. Perché rendere inutile il resto della sua vi-ta?» Nessuna vittoria per la Luce, per quanto apparentemente insignificante,è sprecata, ricordò Colin a se stesso. Se non poteva fare nient'altro neglianni che gli restavano da vivere, il solo fatto di arrendersi alla disperazioneavrebbe reso più forte il suo avversario. «Certo», disse Colin, controllando la voce con uno sforzo, «non mi sta

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suggerendo di unirmi a voi.» «Perché no?» chiese Hasloch vivacemente. «Non sono tanto stupido danon riconoscere che ha un'esperienza pratica che a me per ora manca, nelcampo della magia e in quello terreno. Ha spostato le pedine sulla scac-chiera dell'Europa: deve avere sicuramente qualcosa da insegnarmi sullaRealpolitik, immagino.» «Se sa quanto afferma sul mio conto e su quello dell'Ordine», replicòduramente Colin, «saprà anche che un'offerta del genere non può esserefatta neppure per scherzo.» «Si schieri dalla nostra parte o muoia», intimò semplicemente Hasloch,allungando la mano come in un gesto di supplica. Studiò per un attimo lelunghe dita eleganti e ritirò la mano. «Ma se non si unisce a noi, per rispet-to nei confronti della sua disciplina e dei risultati raggiunti - per quanto en-trambi siano basati su fondamenti errati - la lascerò in pace, permettendolecosì di diventare una nota a piè di pagina della storia.» «Ammettiamo che le usi la stessa cortesia», ribatté Colin. Nonostantequella formidabile compostezza, Toller Hasloch era ancora un uomo gio-vane, con la sicurezza eccessiva della gioventù. La sua anima buia era unacreazione di quel secolo, e non possedeva il sapere che vite precedenti a-vrebbero fortificato. Nessun membro esperto dell'Ordine Nero avrebbesprecato del tempo a svelare una così grande parte dei suoi piani a Colin. «Ora la smetta, signor Hasloch. Le Tenebre non ricompensano i loroservi, li usano fino in fondo e basta. Se conosce anche solo in parte quelloche afferma di sapere, ne è consapevole anche lei. La stessa storia, che se-condo lei è dalla sua parte, la seppellirà come ha fatto con molti altri.» «Credo proprio che non abbiamo più nulla da dirci», dichiarò Hasloch,ma questa volta il tono leggero gli costava un percepibile sforzo. «Tutta-via, la mia offerta di una tregua è ancora valida. Le auguro buona giornata,professore.» Si alzò e se ne andò a passi rapidi. Colin lo guardò allontanarsi, pro-fondamente combattuto tra un sentimento di orrore e... di pietà. Passò una settimana. Colin mandò un rapporto completo della conversa-zione alla Loggia Madre in Gran Bretagna, poiché nessun cenno di rina-scita tulista, per quanto improbabile, andava preso alla leggera, e anche so-lo una venerazione degli «ideali» nazisti era un sintomo che andava tenutosotto attento controllo. Tuttavia, anche se l'incontro con Hasloch l'avevaraggelato fino nelle ossa, per agire Colin aveva bisogno di prove materiali

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più significative delle imprese dilettantesche di un giovane. Un atteg-giamento arrogante non era sufficiente per condannare un uomo, e oltre aquello non aveva trovato indizi concreti dell'appartenenza di Hasloch a u-n'entità occulta in guerra spirituale contro gli Stati Uniti d'America. Quella era la situazione quando Jonathan Ashwell entrò nel suo ufficioun pomeriggio tardi. «Entra, Jonathan. Siediti. Come stai?» Il giovane studente allampanato entrò timorosamente, stranamente a di-sagio. Dalla notte della sua introduzione poco ortodossa al Mondo In-visibile, Colin aveva guidato i suoi primi passi verso la Luce. Jonathan erauno studente vorace, che leggeva tutto quello che Colin gli suggeriva echiedeva sempre dell'altro. Gli aveva già insegnato il primo dei sempliciesercizi di concentrazione per percepire e controllare il Corpo Sottile. Daquel punto in poi, la sola volontà di Jonathan avrebbe determinato la velo-cità dei suoi progressi. Ma nulla negli insegnamenti di Colin avrebbe potuto causare un tale li-vello di disagio. «Lo sta facendo di nuovo», dichiarò Jonathan. Allungò un foglio a Colincome se si trattasse di un serpente velenoso. Colin prese il foglio e lo appiattì sul tavolo. Era stampato in rosso e ne-ro, ed era coperto di elaborate lettere gotiche. Toller Hasloch organizzava una festa di compleanno in suo onore quellasera, il 10 novembre. Una festa molto speciale, annunciava l'invito, maquella era l'unica parte del volantino scritta in inglese. Segni misteriosi e-rano disseminati per la pagina: erano simboli malvagi, ognuno di loro evo-cava un principe o duca dell'Inferno. E tra i segni e le parole più ordinarie, come se si trattasse di una sem-plice decorazione, c'erano delle rune rosso sangue. Erano usate per tra-slitterare una frase in inglese, e Colin le tradusse senza fatica. Hasloch invitava i suoi amici a riunirsi in occasione del suo compleannoper partecipare alla messa nera che avrebbe celebrato in suo onore. «So che sembra una semplice festa di compleanno, professore, ma nonlo è. Ci sarà una messa nera. Ho chiesto in giro per vedere cosa riuscivo ascoprire per lei, e Hasloch ha...» La voce di Jonathan si spense perché nep-pure l'immaginazione gli veniva più in aiuto. «Dicono che sia uno strego-ne, che compia rituali magici. Nessuno fa più cose del genere, vero, pro-fessore?»

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«Cerimonie del genere avvengono più spesso di quanto non si creda, Jo-nathan. E questa è una vera sfortuna, in certi casi.» Automaticamente Co-lin si tastò le tasche alla ricerca della pipa e cominciò ad armeggiare con iltabacco. Per quasi tutti coloro che vivevano nel ventesimo secolo una messa nerapoteva essere solo l'argomento di romanzetti da quattro soldi, che parlava-no di sesso e sangue. Per gli storici dell'occulto era qualcosa di ben diver-so: una forma rara e complessa di protesta anticlericale, un rituale compiu-to non con obiettivi di crescita o arricchimento mondano, ma per attaccarela Chiesa Cattolica strappando al potente avversario parte del suo potere. Alison aveva raccontato di avere partecipato a una cerimonia del generenegli anni Venti a Parigi, e Colin era pronto a scommettere che un'autenti-ca messa nera non fosse più stata celebrata da allora. «Ma una messa nera, professore? Satanismo?» chiese Jonathan incre-dulo. «Probabilmente no, o almeno lo spero», rispose Colin, tirando delle boc-cate per accendere del tutto la pipa. «La maggior parte di quelle che lastampa popolare ha definito \"messe nere\" in questo secolo sono da im-putare a una delle più scandalose e note Logge Magiche, come l'OrdoTempli Orientis di Aleister Crowley, o a uno dei numerosi rami cadettidell'Ordine Esoterico del Golden Dawn.» O della Thule Gesellschaft. «Cerimonie scandalose, quindi, ma non sataniche», disse Colin, cal-mando così le paure di Jonathan se non le proprie. «D'altra parte la magiarituale, come i farmaci prescritti dal medico, è più al sicuro nelle mani diprofessionisti esperti.» «Ma cosa possiamo fare, professore? Mi ha invitato alla festa, e vorreifargliela pagare per quello che ha fatto a Claire...» D'un tratto Colin ricordò la pigra minaccia di fare di Jonathan il caproespiatorio se Colin avesse tentato di punire Hasloch per i suoi misfatti. «Ed è proprio per questo che non ci andrai», decretò Colin con fer-mezza. «Voglio che tu resti a casa stasera, al sicuro nella tua stanza deldormitorio. Non uscire per nessun motivo, per quanto il pretesto ti sembriallettante.» «Ma, professore... se ci vado posso fermarlo.» Jonathan aveva l'aria con-fusa. «Credimi, Jonathan. Se vuoi rovinare i piani di Hasloch, non c'è nulla dimeglio che stargli alla larga stasera.»

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Gli ci era voluta quasi un'ora per convincere Jonathan che le sue parolecorrispondevano a verità, ma quando il ragazzo se ne fu andato Colin eracerto che l'avrebbe ascoltato e non sarebbe andato come uno sciocco, conla testa piena di vani propositi eroici, a prestarsi ai piani di Hasloch. Colin, del resto, non credeva che la cerimonia di quella sera fosse or-ganizzata solo per attirarvi Jonathan. Il compleanno aveva una particolareforza occulta, poiché il momento della nascita era anche il momento in cuitutte le influenze astrali erano momentaneamente sospese per essere ri-chiamate od ostacolate dal mago per l'anno successivo. E il compleanno di Hasloch era una data particolarmente empia nel ca-lendario tedesco... la data della capitolazione della Germania nella Primaguerra mondiale; la data di nascita del Barone von Sebottendorf, fondatoredella Thule Gesellschaft. Nel 1938 - 1'anno in cui era nato Hasloch - il 9novembre diventò anche la «notte dei cristalli»... Krystallnacht. Nella seconda, minuscola camera da letto che usava come stanza da la-voro, Colin MacLaren si abbigliò per la battaglia. Le piogge invernali era-no cominciate puntualmente e l'umidità filtrava dai muri, diffondendo nellastanza un vago odore di muffa. Sul lezzo di stantio prevalevano i profumipenetranti di cedro e incenso, il primo proveniente dal baule che aveva a-perto, il secondo dalle pieghe del tessuto che vi era contenuto. L'oro della piastra pettorale - un pesante quadrato di venti centimetri dilato con incastonate dodici pietre preziose e recante incisi i Grandi Nomi -brillava tra le pieghe bianche della camicia di lino ricamato. Erano passati molti anni da quando aveva vestito gli abiti cerimoniali delsuo Ordine, ma erano stati accuratamente riposti in previsione di future ne-cessità e ora, con gesti lenti e rispettosi, ne indossò ogni elemento. Quello che doveva fare gli appariva chiaro in testa: individuare la pre-senza magica di Hasloch nel Piano Astrale e scacciarla da lì. Quello chenon esisteva nell'Aldilà non aveva forza nel Piano Materiale; una volta cheColin avesse attaccato il Tempio Astrale di Hasloch, la messa nera del ra-gazzo si sarebbe ridotta a una sgradevole recita e nulla di più. La sua forzavelenosa si sarebbe dissipata. Un Adepto poteva aspettarsi di indossare gli indumenti rituali solo pochevolte nelle vita, quando partecipava a una delle rare riunioni con altri A-depti indette dall'Ordine nei momenti di grave necessità. Certamente Colinnon ne avrebbe avuto bisogno per richiamare l'attenzione della Luce sugliinesperti gesti profani di Toller Hasloch.

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Ma proprio come un uomo favoleggia di scalare una montagna senza a-verne le capacità nel mondo reale, Colin MacLaren contemplava il pianoper quella notte e sentiva solo cenere fredda dove la fiamma della sua vo-lontà di Mago aveva un tempo bruciato. Era come se i progetti di Haslochper le ore successive non avessero alcuna importanza. Anche se il giovane stregone fosse stato davvero quello che affermava diessere - il fautore della rinascita dell'occulta ideologia nazista che avevadistrutto un'intera generazione -, perché a Colin avrebbe dovuto importarequalcosa? Lui e gli altri soldati della Luce credevano di avere sconfitto persempre il grande Male; se poteva rinascere dalle stesse ceneri della sua di-sfatta una volta, poteva risorgere cento volte, e batterlo non serviva quindia nulla. Sapeva che affrontare una battaglia con tali sentimenti era un tradimentonei confronti del proprio Io Superiore e una garanzia quasi certa di insuc-cesso. Ma cosa poteva farci? Come poteva costringere la certezza dell'E-state a penetrare nel cuore di ghiaccio dell'Inverno, quel ghiaccio che, perHasloch, sarebbe stato la materia prima della Seconda Venuta delle Tene-bre? Il Colin di un tempo non avrebbe avuto simili dubbi, tali paure. Ma quel-l'uomo era scomparso, ridotto in cenere nei fuochi di Berlino. Il tempo a-veva curato le sue ferite, gli aveva procurato una sorta di integrità, di pace.Ma tutto il tempo del mondo non lo avrebbe reso quello di prima. Avevacontato sulla forza dell'uomo che era stato la Spada dell'Ordine ma avevascoperto che quell'individuo non esisteva più e che lui si trovava da solonel palazzo del tempo. Simile a un abbellimento mondano per quei pensieri tetri, il campanellod'ingresso suonò. Colin lo ignorò. Tra i voti che aveva giurato di rispettarec'era quello di nascondere l'esistenza stessa dell'Ordine. Difficilmente po-teva aprire la porta con i paramenti della Luce e aspettarsi che non gli ve-nissero rivolte domande a cui non gli era concesso di rispondere. Ma il campanello continuò a suonare, insistente ed esasperante. Chiun-que fosse sui gradini fuori della porta doveva essere ormai fradicio, e insi-steva a suonare anche se il bungalow buio e silenzioso non offriva alcunincoraggiamento. Chi poteva essere? Con riluttanza - ma anche con un crescente senso di urgenza - Colin sitolse gli indumenti e li gettò rapidamente nel baule di cedro. Afferrando lavestaglia di lana - troppo pesante per il clima ma conservata per ragioni

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sentimentali - e allacciandosela rapidamente, Colin accese le luci del sog-giorno e aprì la porta. La pioggia scendeva scrosciante, coprendo la nottedi un velo d'argento. Claire London stava sulla soglia e aveva l'aspetto diun gatto annegato. I capelli erano appiccicati alla testa. Il mascara le aveva disegnato delleombre nerastre sotto gli occhi, accentuandone il colore e dandole un'ariavagamente folle. Il cappotto era inzuppato. «Posso entrare?» chiese. La voce non tradiva la fretta che aveva dovutospingerla ad arrivare fin lì, né la consapevolezza di essere rimasta a lungoe senza ombrello sotto un gelido acquazzone invernale. Colin si ritrasse per lasciarla entrare. «Temo che bagnerò il tappeto», disse, senza alcuna traccia di scuse nellavoce. «Claire, cosa fai qui?» chiese Colin. «Cosa c'è di così urgente da non po-ter aspettare le mie ore di ricevimento domani? Sembra un po' tardi peruna visita di cortesia. E in una notte come questa...» «Che me ne importa del tempo che c'è stanotte?» sbottò Claire. «Quelloche voglio sapere è perché ha deciso di ignorarmi. Sono passate quasi duesettimane, e non ho sentito una sola parola da lei. Parlava sul serio quellanotte? O l'unico sostegno che può darmi consiste nel tenermi la mano e neldarmi dei buffetti sulla testa?» «Lascia che prenda il tuo cappotto e che ti cerchi qualcosa di asciutto»,suggerì Colin in tono conciliante. I problemi che avevano indotto Claire adandare da lui potevano aspettare qualche minuto, il tempo che la ragazza siasciugasse, altrimenti rischiava una polmonite. Mentre si levava il cappotto gocciolante, Colin alzò il riscaldamento eandò in cerca di indumenti asciutti per Claire. Il meglio che trovò fu unvecchio maglione da pescatore, e lo portò in soggiorno mentre la ragazza sistava sfilando i mocassini fradici. Indossava un vestito senza maniche conuna camicia bianca così bagnata che era quasi trasparente. «Il bagno è di là», disse Colin, dandole il maglione. «Metto sul fornellola teiera.» In sua assenza Colin ne approfittò per rivestirsi; sarebbe già stato ab-bastanza imbarazzante che qualcuno scoprisse la presenza di una studen-tessa nel suo appartamento nel cuore della notte senza che lo trovasse purein vestaglia. Quando tornò, Claire era in piedi di fronte al termosifone e teneva il ve-stito vicino alla fonte di calore. Aveva arrotolato le maniche del maglione

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di lana grigia più che poteva, ma rimanevano comunque troppo lunghe, el'orlo inferiore dell'indumento le arrivava a metà coscia. Indossava ancorala sottoveste. «Penso che si asciugherà almeno in parte. Non sono mai stata tanto rico-noscente al poliestere in tutta la mia vita; se questo scamiciato fosse statodi lana, sarebbe irrimediabilmente rovinato.» Colin si stava ormai abituando a quegli incredibili sbalzi d'umore; eranoil tentativo di proteggersi dai propri sentimenti e da quelli altrui. «Ero serio quando ti ho detto quelle cose da Alison, Claire. Solo che...»sono stato molto occupato, avrebbe voluto aggiungere Colin, ma in realtàavrebbe potuto trovare il tempo se l'avesse voluto, proprio come aveva fat-to per Jonathan. Il suo silenzio con Claire era un'altra dimostrazione dellamancanza di coraggio che aveva provato quella sera, come se una fonte in-teriore di luce si fosse spenta a sua insaputa. «Già», commentò Claire con cinismo. «Ma non è quello. Cioè, non è tut-to», si corresse. «C'è dell'altro, qualcosa di più... oh, non so cosa dire!»Agitò il vestito come se fosse stato la muleta di un toreador. «Mettilo su una sedia», le disse Colin. «Ti preparo una tazza di tè.» «Ci penso io», intervenne Claire con fermezza. Dall'espressione del suoviso si capiva che non aveva avuto intenzione di dire una cosa del genere,ma andò coraggiosamente avanti. «Se mi fa almeno vedere dove si trova lacucina. Non ho mai incontrato un uomo capace di far bollire l'acqua.» Claire London si sapeva muovere bene in cucina, decise Colin qualcheminuto dopo. Aveva scovato il bricco, l'aveva riempito di acqua del rubi-netto e l'aveva messo sul fornello elettrico a scaldare. Era la persona più autosufficiente che Colin avesse mai conosciuto; il ti-po che preferisce cadere cocciutamente da un precipizio piuttosto chechiedere la strada. «Mi ha detto di seguire le mie intuizioni», riprese Claire. «L'ho fatto. Ilche ci riporta al motivo della mia visita.» Versò del tè nella teiera marronedi Colin e lo coprì con l'acqua bollente del bricco. «Perché sono qui? È sta-ta un'idea sua o mia?» «Non mia», ammise Colin. «O almeno non ti ho chiamata a livello con-scio. E senza un forte impulso non penso che saresti uscita in una serata dalupi come questa, vero?» Claire fece segno di no. «Allora cosa significa? Cosa ti dice il tuo Dono?»

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«Come potrei saperlo?» ribatté Claire con aria scocciata. «Non sono cer-to io a volere quel maledetto dono. Porta fortuna, è tutto quello che so: èfortunato per gli altri.» Colin la fissò. Non poteva costringerla a continuare, e neppure per-suaderla con le buone. Quando un medium vedeva la manifestazione delsuo dono come un mezzo per ottenere elogi e attenzione, tendeva a fab-bricare informazioni false quando il vero intuito veniva meno. Colin vo-leva che Claire ascoltasse il suo io interiore e dicesse la verità. «Mi dispiace, Claire. Ti spiegherò quello che posso, ma non sono neppu-re un Sensitivo, e ogni medium ha un \"trucco\", chiamiamolo così, diverso.Posso aiutarti a interpretare le tue esperienze, ma non sono in grado di dirtiin anticipo che tipo di esperienze avrai o perché.» Claire gli voltò le spalle e versò il tè in due tazze che aveva preparato.Colin aggiunse latte e zucchero al suo, e si sporse per prendere un conte-nitore di vetro nella credenza. «Prendi un dolcetto», la invitò. «Un...? Ah, un biscotto», disse Claire. Zuccherò il suo tè e prese due bi-scotti. Colin aspettò, sperando che parlasse di sua spontanea volontà. «Non sono mai stata particolarmente fortunata», cominciò, sorseggiandola bevanda calda. «Non mi sto lamentando, intendiamoci, solo che ci sonoalcune persone che sono fortunate e lo sanno. Io non faccio parte di quellacategoria. Non è mai stato il mio caso.» «Continua», la incoraggiò Colin con voce neutrale. «Ma ho notato che porto fortuna agli altri. Arrivo sempre al momentogiusto con una spilla di sicurezza, quel genere di cose. Prendo un autobusper un capriccio, solo per farmi un giro, e finisco per sedermi accanto auna persona che ha bisogno di una spalla su cui piangere. Quando qualcu-no è nei guai, sembra che io sia attratta nei paraggi. Lo stesso sta accaden-do adesso. Però, professore, non ha l'aria di avere bisogno d'aiuto.» «Può darsi di sì», ammise Colin. Con un sospiro interiore, si affidò aldestino. «C'è una cosa che devo fare, e non so bene come affrontarla.» «Me ne parli», lo incitò Claire. «Sono brava a risolvere i problemi; quel-li degli altri, almeno», aggiunse. «Temo che questo sia un caso diverso dai tuoi soliti», cominciò Colinesitante. Claire si stava affacciando alla soglia della vita, una vita che finoad allora non aveva considerato le verità con cui Colin conviveva da untempo immemorabile. Come cominciare, soprattutto sapendo che Clairenon era legata al Sentiero in quella esistenza? «Toller Hasloch organizza una messa nera stasera», le annunciò brutal-

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mente, «e non so cosa fare.» Era una spiegazione valida come un'altra perun problema che era, e insieme non era, una crisi di fede. Claire sbatté le palpebre, anche se non sembrava turbata dalla parole diColin quanto questi aveva temuto. Rifletté per un minuto prima di parlare. «Perché proprio lei dovrebbe fare qualcosa? Il Satanismo non è illegale,almeno credo. \"Fa' quello che vuoi, basta che non lo fai in strada e nonspaventi i cavalli\", recita il vecchio detto.» «Purché non vengano commessi atti illegali durante la cerimonia, credoche la questione ricada sotto la giurisdizione della libertà di coscienza»,ammise Colin. «Anche se, parlando di satanismo, è più corretto dire che sitratta della libertà di fare la figura del maledetto - e la parola non è scelta acaso - stupido.» «Il problema è che, secondo lei, Toller non sta scherzando», dichiaròClaire senza mezzi termini. «Be', neppure io lo penso. Se anche così fosse,del resto, non ci sarebbe comunque di che rallegrarsi, visto che Hasloch siè fatto una ben meritata reputazione per gli scherzi di pessimo gusto. Ve-de», continuò Claire, agitando un volantino dall'aria familiare che avevaestratto dalla manica del maglione di Colin, «ho perfino ricevuto un invi-to.» Alzò le spalle con aria smarrita, incapace di spiegare quello che pro-vava. «Ma questo mi induce a chiederle di nuovo: perché lei?» «È una domanda complicata, ma spero mi perdonerai se ti do una ri-sposta semplice», rispose Colin. «È il mio lavoro.» Claire lo fissò, tenendo la tazza di tè con entrambe le mani. Era chiaroche si aspettava qualcosa di più. «Diversi anni fa, probabilmente intorno al periodo della tua nascita, eroin Europa, ma non con le forze armate. Ero uno studente a Oxford quandoHitler invase la Polonia nel 1939. Avrei potuto tornare in patria a quel pun-to, ma i miei insegnanti mi chiesero di rimanere, sapendo che ci sarebbestato bisogno di me. Quello che non tutti sanno - gli Alleati cercavano dimantenerlo segreto, e al loro posto penso che avrei fatto lo stesso - è cheHerr Hitler non si considerava solo un conquistatore, ma anche un messia.Il nazionalsocialismo era tanto un culto quanto una ideologia politica, ecome ogni forma di culto aveva i suoi sacerdoti e i suoi rituali.» «Sta dicendo che Hitler praticava la Magia Nera?» chiese Claire, cer-cando in ogni modo di eliminare ogni traccia di incredulità dalla voce. «I membri del suo circolo più intimo senza alcun dubbio. Celebravanorituali magici in luoghi chiamati Castelli dell'Ordine disseminati in tutta laGermania. Il nazismo condannava la cristianità e intendeva creare al suo

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posto un culto pagano revisionista. Le forze che evocavano in quelle ceri-monie usavano Adolf Hitler come uno strumento per la loro volontà. Gliuomini possono combattere altri uomini, ma solo la magia può opporsi allamagia.» Pensava che in quel momento l'avrebbe persa, e benedisse Claire per ildono inaspettato della fiducia quando ne aveva più bisogno. Sapeva chetutto questo doveva suonarle come pura fantasia, e non poteva rivelarle idettagli che avrebbero contribuito a convincerla. «Quindi è quello che ha fatto durante la guerra?» chiese Claire con u-n'ombra di incertezza. «Ha combattuto la magia... con la magia?» «Proprio così», confermò Colin con voce pacata. «Non è quello che miavevano insegnato a fare, ma in pratica, accettando quella formazione, ac-cettavo anche la responsabilità di controllare che quella disciplina e altresimili non fossero usate per scopi malvagi. «La grande massa dell'umanità non conosce la magia e se ne disinte-ressa; sto parlando della magia vera, non dei film dell'orrore che molti tro-vano tanto interessanti, e hanno il diritto di continuare a considerarla inquel modo. È giusto che non siano turbati da forze esterne alla loro vitaquotidiana o manipolati da entità a cui non hanno modo di resistere. Quan-do scopro che qualcuno interferisce con la vita della gente grazie alla ma-gia, è mio dovere fermarlo, se ci riesco, per il suo bene oltre che per il benedelle persone a cui vuole nuocere.» «È quello che vuol fare con Toller?» chiese Claire. «Fermarlo?» «Sì», confermò Colin, improvvisamente sicuro della direzione in cui sitrovava il sentiero da seguire. «Soltanto, però, se posso contare sul tuo aiu-to.» Sua madre le aveva sempre detto che gli uomini volevano una sola cosadalle donne, e che questo valeva in particolar modo per gli uomini ricchinei confronti delle donne povere. I ricordi non c'entravano nulla con ilcompito che l'aspettava, ma come sempre Claire faceva fatica a togliersidalla testa le parole della madre. Erano come il ronzio di una vespa che siposava per infliggere una dolorosa puntura nel momento in cui te ne di-menticavi. Stava ancora piovendo e, anche se aveva preso in prestito dal professorMacLaren un ombrello, era asciutta solo a metà. Rabbrividì mentre giunsea piedi all'angolo, con la borsa che le pesava e rimbalzava contro l'anca aogni passo. La casa di Toller era a metà dell'isolato lungo la strada perpen-

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dicolare a quella, e prima di arrivare a destinazione sarebbe stata intirizzi-ta. Anche quel particolare, però, avrebbe contribuito a quella che il profes-sore aveva chiamato «verosimiglianza artistica di un resoconto altrimentiscialbo e poco convincente», una citazione tratta da un'opera teatralechiamata The Mikado. Le aveva promesso di recitargliela quando tutto fos-se finito. Le aveva promesso molte altre cose, che Claire inserì in blocconella categoria «troppo bello per essere vero». Ciò nonostante - a dispetto di quello che l'istinto e l'esperienza le sugge-rivano - si fidava ciecamente del professor MacLaren. Trasmetteva unasorta di bontà, una specie di gentilezza esigente, una dolcezza che conside-rava il bene possibile, anche se difficile, da realizzare, anche da parte diClaire. Di fronte a una tale aspettativa, il primo istinto di Claire era di deluderla,di sfuggire e di tornare a mimetizzarsi nel gregge. Ma non l'avrebbe fatto.L'amor proprio glielo impediva. Il professore credeva in lei, e gli dovevapiù di quello che riusciva a esprimere a parole per la sua onestà e risolu-tezza. Inoltre - a un livello diverso, ma che sembrava puntare nella stessadirezione - sentiva che Toller Hasloch l'aveva fatta franca troppo spessoper i suoi scherzi (il termine era riduttivo, ma non ne conosceva uno mi-gliore). Quello che stava facendo non era giusto. Era come il bullo grande egrosso che picchia gli altri ragazzi più deboli solo perché ha più muscoli.Essendo stata vittima dei soprusi altrui - da parte di compagni di scuola,sorelle, insegnanti, e di tutti coloro che reagivano alla sua diversità con u-n'automatica crudeltà - Claire odiava i bulli con tutta l'animosità che aveva.Se quello era il gioco di Toller, meritava di essere combattuto con tutte learmi che il mondo aveva a disposizione. E apparentemente tra gli strumen-ti a disposizione del mondo c'era proprio Colin MacLaren. Mentre girava l'angolo, una raffica di vento le strappò quasi dalle manil'ombrello, e quando si voltò per contrastare l'aria sferzante il cappotto le siaprì e un soffio d'aria le colpì le costole come un coltello gelido. Non riu-sciva più a vedere l'auto del professore, parcheggiata a metà della stradalaterale, ma sapeva che era lì. Le aveva assicurato che, una volta trovata lastanza che lui sapeva essere nascosta in casa di Toller e gli avesse mandatoil segnale convenuto, sarebbe arrivato in suo aiuto al momento opportuno eavrebbe fermato Hasloch prima che facesse... quello che intendeva com-piere quella sera. Una messa nera... sembrava incredibilmente medievale, e naturalmente

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non era citata chiaramente nell'invito. Il fatto che fosse stata invitata ripor-tò i suoi pensieri al punto di partenza, alle convinzioni di sua madre suuomini ricchi e donne povere e sull'unica cosa che i primi cercavano. Maledizione a sua madre e alle sue sorelle. La piccola voce interiore -quella che la cacciava sempre nei guai, che le causava violenti scontri conle esistenze di altre persone - era silenziosa in quel momento, ma il ricordodella sua precedente insistenza quella sera rimaneva come l'impressionelasciata da un sogno dopo il risveglio. Cos'avrebbe detto la sua famiglia sulsuo gettarsi incondizionato ai piedi del professor MacLaren? Che il primodovere di una donna era sposarsi e sistemarsi, e trovare un uomo che laproteggesse e provvedesse a lei, probabilmente. Lei, però, non pensava cheil professor MacLaren desiderasse conformarsi ai piani di mamma, o che lagenitrice avrebbe approvato un uomo che aveva una tale dimestichezzacon il satanismo e la parapsicologia. Era meno pericoloso pensare a Toller Hasloch. Quella sì era una predache avrebbe fatto la gioia di una madre orgogliosa... Naturalmente Toller non si era mai interessato sul serio a lei, ma in unmodo o nell'altro Claire aveva sempre partecipato alle sue feste più im-portanti, dove veniva invitata da un amico di un amico, come spesso av-viene in questi casi. Quella era la prima volta che riceveva un invito per-sonale, e non era difficile per Claire immaginarne il motivo. Dopo che erasvenuta sotto l'effetto del punch drogato alla sua festa di Halloween, eradiventata più interessante per qualcuno come Toller Hasloch, sempre checredesse almeno alla metà di tutto quello che il professor MacLaren le a-veva raccontato sul suo conto. E, nonostante l'esperienza precedente e la sua inclinazione personale, leici credeva. E avrebbe fatto del suo meglio per prestargli l'aiuto che le ave-va chiesto. Claire salì i gradini e suonò il campanello. L'individuo che aprì la porta risultava vagamente familiare a Claire, chel'aveva visto a feste precedenti; era un uomo alto e maturo con penetrantiocchi azzurri, la cui aria dispotica sembrava stonare con il resto del perso-naggio. Sorrise quando riconobbe Claire e la invitò ad entrare con un ge-sto. «Vieni, vieni, vieni! Benvenuta nella Casa del Divertimento di TollerHasloch, fa' come se fossi a casa tua.» Fece per prenderle l'ombrello e Claire, che non sapeva cos'altro fare,glielo lasciò. Non c'era motivo di credere che tutti i presenti avessero in-

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tenzioni malvagie; il professor MacLaren le aveva ripetuto che la maggiorparte di loro erano probabilmente innocenti invitati, del tutto all'oscuro deipiani segreti di Toller. Claire cercò di imprimerselo bene in testa mentreaggiungeva il suo cappotto alla collezione nel guardaroba dell'entrata e,dopo essere passata davanti alla scala, entrò nel soggiorno della grandedimora vittoriana, stringendosi la borsa contro il petto. Miracolosamente, la vecchia casa era sfuggita alle suddivisioni quasi i-nevitabili che si erano moltiplicate con la tendenza alle famiglie ristrette eall'esodo dalle città dopo l'ultimo conflitto mondiale. Una metà del pianoterra era occupata da due stanze, il soggiorno e la sala da pranzo, mentre ilresto ospitava cucina, sgabuzzini, entrata e scale, e una stanzetta che Tollerusava come studio. I due locali più spaziosi potevano essere separati tra lo-ro con pannelli scorrevoli di quercia che erano al momento aperti e crea-vano così un unico ambiente pieno di studenti universitari, una vera follase si pensava che era un giovedì sera, si era fatto tardi e il giorno dopo tuttiavevano lezione. Il cambiadischi dello stereo in un angolo raccoglieva uncumulo di LP, e nell'aria si diffondevano le note di John Birch Society delChad Mitchell Trio. La maggior parte degli invitati si erano tolti le scarpe e stavano ballando.Altri entravano e uscivano dalla cucina, emergendone con Coca-Cola e re-cipienti colmi di patatine. Diverse persone la salutarono e lei sorrise e ri-cambiò il saluto agitando la mano, anche se, con la nuova diffidenza ac-quisita, notò subito che non molti di loro erano in corso con lei. Sembravaanzi che fosse gente diversa da quella che normalmente si incontrava allefeste di Hasloch - molti erano più vecchi dei soliti studenti di Berkeley -, eClaire vide perfino un uomo con i capelli brizzolati, che si teneva in di-sparte come se cercasse di non farsi notare. Del resto, si ricordò, cercando di essere imparziale, Toller era all'ultimoanno. Si sarebbe laureato l'autunno successivo. Perché non avrebbe dovutoavere amici più grandi? Lei e Toller certo non frequentavano gli stessi am-bienti; come poteva pretendere di sapere di che tipo di persone si circon-dava? Se però quello era vero - e lo era -, perché si era preoccupato di invitarlaalla festa, come se fosse stata una del suo giro? A meno che, come il professore era propenso a credere, anche Tollernon sapesse il potenziale che nascondeva e la stesse corteggiando proprioper quello, seducendola lentamente per indurla ad abbandonare la stradadella sanità mentale e del buonsenso.

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Sciocchezze, si disse Claire fermamente. Aveva solo bevuto il punch allavodka perché sua madre aveva chiamato, ubriaca, assetata di vendetta, perricordarle quanto l'avesse delusa. Tutti nel campus sapevano che Claire erala guastafeste per eccellenza quando si trattava di alcol. Toller non potevaimmaginare che l'avrebbe assaggiato anche lei quando aveva versato l'LSDnel punch. Le decorazioni di Halloween di carta arricciata che erano state appese inoccasione dell'ultima festa non c'erano più, sostituite da un festone scritto amano che augurava a Toller un buon compleanno. Vi fu un breve, sgrade-vole momento in cui la stanza sembrò tremare e ondeggiare, a cavallo trapassato e presente, ma poi tutto tornò come prima e Claire seppe con cer-tezza dove si trovava. Il fatto, tuttavia, restava: si era interessato a lei. Riprenditi, ragazza. Tutti quelli che hanno bevuto il punch di Toller so-no stati drogati, non si è trattato di qualcosa di personale. Se entrare dallaporta è sufficiente a renderti nervosa, come farai a procedere? Avrebbe trovato la forza necessaria. Claire raddrizzò le spalle e si av-vicinò al gruppetto di invitati più vicino. Era facile imbrogliarli, capì Claire qualche minuto dopo. Non era bravaa mentire, ma nessuno di loro le prestava un'attenzione particolare. C'erada bere - non mancava mai, alle feste di Toller - e di tanto in tanto Clairesentiva una zaffata di un aroma dolciastro che pensava essere marijuana. Non vide Toller da nessuna parte. Non era strano, ma Claire ne fu solle-vata: non era certa di poterlo affrontare con la stessa facilità con cui avevaliquidato i suoi ospiti. Nessuno si accorse quando salì le scale fino al piano superiore. Ci eragià stata, ma il fatto che quella volta si trattasse di una missione clandesti-na la rendeva nervosa. Qualcuno stava uscendo dal bagno proprio mentre lei arrivava sul piane-rottolo, e Claire l'evitò entrando lei stessa nella toilette e chiudendosi laporta alle spalle. Salva! Il cuore le martellava nel petto mentre si guardava allo specchio. L'im-magine che vide era quella di un viso pallido e spaventato, e respirò pro-fondamente a più riprese. Tutto avrebbe funzionato. Doveva per forza an-dare così. Si spruzzò un po' di acqua in faccia, sperando che nessun altro salisseper usare il bagno. I vestiti umidi le si appiccicavano al corpo, ricordan-

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dole dov'era stata prima e perché era andata lì. Seguendo l'istinto aprì l'ar-madietto dei medicinali: conteneva la solita collezione di flaconi, ma sem-brava che ci fossero anche molti farmaci per i quali era necessaria la ricettamedica. C'era anche un pacchetto di Lucky Strike, ma quando aprì la sca-toletta bianca e rossa vide che solo le prime due avevano un aspetto nor-male. Il resto del pacchetto conteneva sigarette giallastre, fatte a mano, conl'estremità chiusa dalla carta che si attorcigliava. Claire sospirò e le rimisedove le aveva trovate, perdendo tutto l'interesse in un'investigazione piùapprofondita. Più particolari scopriva sul conto di Toller Hasloch, più de-siderava trovarsi altrove. Frugò nella borsa alla ricerca del rossetto e se lo applicò alle labbra. Ilpallido lucido rosa le dava un po' di colore, facendola sembrare più viva.Ecco. Niente di cui avere paura. Solo una breve visita a quel posto misterioso e ambiguo dentro di lei,quello pieno di certezze incrollabili. Dove sapeva cose che non poteva sa-pere, dove le veniva chiesto di compiere azioni assolutamente irragio-nevoli... Claire London si costrinse a respirare profondamente un'altra volta espostò la tracolla della borsa sull'altra spalla. Il corridoio era deserto, le porte chiuse. Ripostigli... camere da letto...una biblioteca. La stanza piena di libri odorava di incenso, e i titoli dei vo-lumi nelle vetrine la misero leggermente a disagio, ma non pensava chefosse quello il posto che cercava. Il professore le aveva assicurato che l'a-vrebbe riconosciuto quando l'avesse trovato, ma aveva rifiutato di dirle dipiù. Claire sospirò frustrata e continuò a cercare, e qualche minuto più tar-di - dopo aver disturbato alcune coppie che si erano appartate - non si eraavvicinata al suo obiettivo. E dov'è Toller? Non era giù, non è qui... Fissò con aria dubbiosa la ripida scala che portava in soffitta. Ispezio-narla avrebbe richiesto del tempo e comportava il rischio di venire scoper-ta. Claire esitò, incerta sul da farsi. Ma aveva la sensazione che l'attico noncontenesse quello che stava cercando. A meno che non le fosse sfuggito qualcosa, il posto che cercava dovevatrovarsi da basso, non al piano superiore. Le ci volle quasi un'ora per trovarlo, e vi riuscì quando ormai, secondolei, il professor MacLaren, che l'aspettava in macchina, doveva aver persole speranze. Era alla ricerca di una cantina - era l'unico posto in cui Tolleravrebbe potuto nascondere quello che lei cercava -, ma la maggior parte

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delle case californiane ne erano sprovviste, una conseguenza dell'alta su-perficie freatica della Bay Area e dei frequenti terremoti che colpivano laregione. Non c'era una porta che conducesse allo scantinato in cucina; rimase neiparaggi per diversi minuti, chiedendosi cos'avesse potuto trascurare. Sultavolo troneggiava un'enorme torta di compleanno a strati. La superficieera decorata con simboli che sembravano vagamente familiari a Claire:cerchi sbarrati, strane forme simili a croci, disegni schematici dalle punteaguzze che sembravano quasi delle lettere ma non lo erano. Due porte si aprivano in cucina. Quella accanto ai fornelli portava in unadispensa e nel giardino posteriore. L'altra conduceva in un corridoio fasti-diosamente stretto che finiva nello studio. Era l'unico posto dove non aveva guardato. Ma se fosse andata a ficcareil naso laggiù e l'avesse trovato pieno di gente, avrebbe dovuto trovare unaspiegazione convincente e alla svelta. Non aveva tempo per le esitazioni; gli invitati andavano e venivano dallacucina in continuazione e qualcuno avrebbe finito per chiederle cosa stessefacendo. Claire scivolò attraverso la porta e se la chiuse alle spalle. Nonsentì alcun rumore davanti a lei, e si lasciò sfuggire un profondo sospiro disollievo. Il corridoio era lungo pochi metri, e rappresentava più un capric-cio di chi aveva restaurato la casa che una struttura dettata dalle necessitàdello spazio; Claire giunse in fondo, a un'altra porta. Tazze e bottiglie abbandonate mostravano che anche quella stanza erausata. Una foschia di fumo dolciastro aleggiava nell'aria, con un aroma a-cre e sconosciuto. Claire si guardò intorno rapidamente, cercando un'aper-tura nella parete orientale che potesse condurre alla cantina di cui andavain cerca. Eccola! Uno scaffale di libri la celava a metà, e Claire perse un po' ditempo per cercare di spostarlo quando si accorse che la porta si apriva ver-so l'esterno, e che i suoi sforzi erano inutili. Per fortuna non era chiusa achiave. La apri e la varcò. Scale di legno polverose scendevano verso ilbasso, e ristagnava nell'aria un odore di umidità. La fredda luce bluastra dilampade a fluorescenza proveniva dallo scantinato. Scese gli scalini con laborsa che le urtava pesantemente contro il fianco, rischiando di inciamparee di cadere per l'eccitazione. Giunse in fondo con un'ondata di apprensione che la fece quasi star ma-le. Direttamente davanti a lei c'era una parete coperta di scaffali contenentianonimi vasetti di vetro e scatole, e ammonticchiate sul pavimento scon-

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nesso c'erano cassette di legno di birra e bibite. La pioggia punteggiava lapiccola finestrella che si apriva in alto sul muro, al livello del prato. Nonc'era nulla lì. Poi guardò in basso e vide un ampio arco inciso nel pavimento di ce-mento. Cominciava al centro della scaffalatura e si estendeva su metà delsuolo. Claire si avvicinò alle mensole, mentre l'istinto le suggeriva che erapericoloso da quelle parti, che c'era qualcosa di orribile, un mostro dellasua infanzia, dell'adolescenza perseguitata da paure ormai adulte. Quando toccò il bordo dello scaffale, sentì un appiglio ricavato nel-l'intelaiatura, e da vicino vide che i vasetti e le scatole su quella porzionedi mensola erano incollati. Si aprì quando provò a tirare, e le rotelle digomma girevoli sulla parte inferiore spiegarono i segni che aveva visto sulpavimento. Claire avanzò. Una pesante tenda di velluto era appesa al soffitto dietrola falsa facciata della scaffalatura. Per un attimo Claire armeggiò per chiu-dersi il passaggio alle spalle e trovare l'apertura della tenda, e finalmente viriuscì. Lo spazio dall'altra parte del tendone apparteneva a un mondo com-pletamente diverso. Le tre pareti della stanza erano foderate di pannelli di legno scuro e ilpavimento era coperto di una spessa moquette di lana marrone. Diretta-mente di fronte all'apertura della tenda c'era un lungo e pesante tavolo co-perto da una tovaglia candida. Ma fu l'oggetto al di sopra di quel tavolo-altare ad assorbire tutta l'attenzione di Claire, l'ultima cosa che si sarebbeaspettata di trovare in quelle circostanze: una croce di legno alta circa unmetro e venti. La croce non era invertita: da qualche parte, nei meandri della mente diClaire, aleggiava il pensiero che quello sarebbe stato troppo facile, tropposcontato. Era la figura sulla croce a essere rovesciata. Il corpo era scolpito in avorio, o forse dipinto in modo tale da produrrequell'effetto. Pendeva da un cappio che passava sopra la traversa ed era at-torcigliato anche alla caviglia sinistra del corpo; chi aveva creato quell'og-getto artistico blasfemo aveva curato nei particolari il modo in cui la cordapenetrava dolorosamente nelle carni della caviglia. Solo una gamba era co-sì imprigionata; l'altra era piegata al ginocchio, e produceva un rilievo in-tenso e brutale nella figura contorta. Il corpo recava dappertutto le incisio-ni appuntite che Claire aveva visto sulla torta di sopra, e ancora una voltal'artista si era preoccupato di dare l'impressione che quei simboli fosseroincisi nella carne viva. Ma la peggiore mulilazione era avvenuta sul viso

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della figura. Un occhio era stato cavato, e il lato sinistro del viso era fradi-cio di sangue. Claire si sentì nauseata come se stesse assistendo a una vera scena di tor-tura. L'intera stanza vibrava di un ripugnante piacere segreto, e questo lasconvolse a tal punto che per un attimo la ragazza, paralizzata dal disgustoe dall'orrore, dimenticò cosa doveva fare. Armeggiò con la borsa e finì per farla cadere, e il contenuto si rovesciòsulla moquette. Il walkie-talkie era quasi troppo grosso per entrarci; veder-lo suggerì a Claire come procedere. Sollevò il trasmettitore e lo accese. «Pronto? Pronto?» Non c'era alcun suono. Cercò di ricordare quello cheil professore le aveva detto, poi estrasse l'antenna. «Pronto?» Venne questa volta ricompensata da un'incoraggiante scarica statica, epremette il bottone Trasmissione, sperando che potesse sentirla. «Pro-fessore, sono nello scantinato. La porta per arrivarci si trova in cucina. Èproprio come ha detto lei, è orribile...» «Orribile?» l'interruppe una voce divertita alle sue spalle. «Dopo tutti glisforzi che ho fatto per decorarla, senza contare che nel frattempo dovevosgobbare per gli esami!» Claire, che era già nervosa, fece un urlo e lasciò cadere il walkie-talkie.L'aggeggio colpì il pavimento con un tonfo sordo, e il crepitio cessò. «Se volevi partecipare alla mia festicciola privata, Claire, perché nonl'hai semplicemente detto?» continuò Toller. «Sarei stato felice di invitartipersonalmente.» Quel commento suscitò l'ilarità generale. Toller non era solo. C'erano al-tre persone con lui - troppe da contare rapidamente, forse una dozzina - eindossavano tutte tuniche nere con tabarri rossi. Ogni mantello recava uncerchio bianco sul petto con uno dei disegni appuntiti in nero. Quello diToller aveva un cerchio sbarrato. Inconsciamente Claire retrocedette per allontanarsi da loro, finché non sitrovò con la schiena premuta contro l'altare. Era solido e immobile. «Cosa... cosa...» balbettò, e la combinazione dell'orribile atmosfera diquel posto e lo shock della presenza di Toller la disorientarono del tutto. «Povera Claire, truffata dall'Opposizione prima ancora che qualcuno tiabbia spiegato le regole. Ci penso io: la Luce ha fatto il suo tempo, ma ilsole tramonta sempre. Adesso è il nostro momento, l'epoca della gloriosa efertile Oscurità e delle stelle immutabili!» Udì dei borbottii dietro di lui e qualcuno disse: «Piantala, Toller». Alcu-ne delle persone con la tunica erano più giovani di lei, e forse non prende-

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vano la cosa molto sul serio, ma la determinazione di Toller bastava pertutti. Ora Claire credeva veramente a quello che il professore le aveva det-to: alcuni soggetti erano così pericolosi che non potevano essere affrontatineppure per scherzo, perché le conseguenze sarebbero comunque state rea-li. Toller fece un balzò e l'afferrò, scalciando via il walkie-talkie e le strat-tonò il davanti del vestito. La cerniera sulla schiena si ruppe e la camicia sistrappò. I bottoni volarono in tutte le direzioni, e Claire brontolò sdegnata. «Andiamo», disse Toller agli altri. «Cosa farebbe qua giù se non avessevoglia di giocare? Merita quello che sta per accaderle, vero, Claire?» Vi fu un esitante mormorio di conferma dagli uomini alle spalle di Tol-ler. «Che tu sia maledetto, Toller Hasloch», disse Claire con sincera con-vinzione. Toller rise e la spinse verso gli altri. Venne afferrata dall'uomoche le aveva aperto la porta di sopra, quello con gli occhi azzurri pene-tranti. Le strappò lo scamiciato dalle spalle, tirandolo verso il basso, eClaire sentì l'intensità rapace dei presenti salire alle stelle. Lottò, ma erano troppi, quasi tutti ubriachi. In pochi attimi rimase in mu-tandine, reggiseno, reggicalze e calze di nylon che si erano smagliate du-rante la colluttazione. Toller le legò le mani dietro la schiena e gettò Claire sull'altare. Vi at-terrò con violenza e, mentre rimaneva immobile e intontita, le afferrò lecaviglie e cominciò a imprigionarle anche quelle. La disperazione sem-brava filtrare dai muri circostanti; la riempì completamente, acuta e im-provvisa come un dolore fisico: perché sprecare energia e dibattersi quan-do non avrebbe mai potuto riuscirci? Claire rimase inerte, incapace di con-trollare i tremiti mentre lui le legava strettamente le caviglie. Era coricatasulle mani legate - le spalle le restavano fastidiosamente tese all'indietro acausa delle corde attorno ai polsi - e il suo corpo era indolenzito dal fred-do, come se si trovasse in una cella frigorifera. «Vogliamo provare a fare un piccolo esperimento, io e i miei amici», ledisse Toller quando ebbe finito. «Ci concentreremo tutti su di te - tutti edodici - e cercheremo di farti uscire l'anima dal corpo. Se ci riusciamo, te-mo che la gente penserà che hai avuto un altro dei tuoi attacchi, e che que-sto sarà, ahimè, permanente. Naturalmente, se non ci riusciamo... Be', lamente umana non è designata per sopportare una pressione del genere, ve-ro?» «Sei un imbroglione», lo aggredì Claire a denti stretti.

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«Sono certo che vorresti che fosse vero», le disse dolcemente Toller.«Ma non è così, e se lo pensassi veramente non saresti mai venuta qui. Lemie scuse per l'altra sera, tra parentesi: volevo solo divertirmi e vivacizzareun po' la festa, niente di più. Non ce l'avevo con te in particolare.» Ma ne avresti approfittato se Jonathan non fosse stato lì, vero? Cercò diricordare che il professor MacLaren sapeva dov'era, che c'era almeno qual-che speranza che venisse a salvarla, ma era come cercare di sollevare unpeso troppo grosso per le sue forze. Non riuscì a crederci davvero. «Lasciami andare», ripeté Claire. Le si riempirono gli occhi di lacrimedovute alla collera, alla paura o a entrambe. «Non essere sciocca», la redarguì Toller. Con pochi gesti misurati lui e gli altri accesero le candele disseminateper la stanza, poi i piatti d'incenso vennero sistemati sullo scaffale sotto lacroce rovesciata. Un fumo bluastro e un odore amaro soffocante co-minciarono a salire verso il soffitto, facendo apparire quasi vivo il voltodella figura bianca mutilata. Claire chiuse gli occhi e voltò il viso dall'altraparte, cercando di non rivelare a se stessa quanto fosse spaventata. Poi Toller e i suoi accoliti si riunirono attorno all'altare e il silenzio si fe-ce più profondo. Claire voleva fare qualche commento sarcastico, ma unastrana e intensa riluttanza la indusse a tenere la bocca chiusa. Non eranosolo silenziosi, stavano facendo qualcosa, qualcosa che riusciva a sentire,come la forza di un temporale in arrivo; una pressione nel torace, nella te-sta. Nella testa. Era come una cefalea indolore, una sensazione per la quale non esi-stevano paragoni. Non le piaceva, ma non poteva dire che fosse dolorosa oneppure sgradevole. Ma quello che rappresentava la terrorizzava - per lapossibilità che continuasse o che si trasformasse improvvisamente in qual-cosa di più spaventoso - e sembrava non potesse fare nulla per resistervi. Si può sempre fare qualcosa. Una calma certezza la invase con improvvisa dolcezza. Era l'unica cosache riusciva ad avvertire a parte la pressione. Oh, mio Dio, aiutami, pregòClaire in modo maldestro. Non ci fu una risposta udibile, ma il senso schiacciante di paura si sol-levò abbastanza da permettere a un pensiero irriverente, innescato dallamusica udita prima, di affiorare. Un movimento di fantocci e di personebizzarre... mi chiedo se Toller sa di avere un magnifico aspetto in vestitolungo...

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Il lampo di scontento inespresso che accolse quel pensiero la fece ge-mere. Non riusciva a vedere niente, e se il motivo era che teneva gli occhichiusi non trovò la forza di aprirli. No, no, no... ripeté Claire mentalmente, incapace di formulare una pre-ghiera coerente e sapendo comunque che la sola intenzione era sufficiente.Era infreddolita, mezza nuda e in grave pericolo, ma la consapevolezza dinon essere sola funzionava come uno scudo invisibile. Almeno Dio la ve-deva. E anche se Toller poteva ucciderla... Il fatto che tu sia più forte non significa che sia nel giusto, Hasloch. Si aggrappò a quel pensiero mentre il rombo si intensificò nelle sue o-recchie, e mani e piedi le parvero ghiacciati e molto lontani. Poi, la salvezza. «Toller Christian Hasloch, ti ordino per il Nome Eccelso e Sacro di desi-stere dall'errore delle Tenebre!» La voce del professor MacLaren rimbombò con la rassicurante colleradel poliziotto in azione. La pressione schiacciante scomparve, e Claire sen-tì il sollievo invaderla con una carezza benefica che la intorpidì. Era venu-to sul serio! Dopo la partenza di Claire, Colin aveva aspettato in macchina con la ter-ribile pazienza che aveva imparato in cento altre notti fredde e piovose amigliaia di chilometri di distanza. Almeno quella sera non doveva preoc-cuparsi del fatto che i suoi documenti falsi passassero o meno il controllodella polizia o chiedersi se avrebbe visto sorgere l'alba in una cella dellaGestapo. Tutto quello a cui doveva pensare era Claire. Doveva ormai trovarsi all'interno della casa di Hasloch, e quando avessetrovato quello che stavano cercando doveva semplicemente chiamarlo conil walkie-talkie identico a quello che teneva accanto. Con una Sensitivaschierata dalla parte della Luce dentro quelle mura, nessuna delle difesemagiche di Hasloch avrebbe dovuto resistere contro un attacco esterno, eColin sarebbe riuscito a rendere inoffensivi i riti magici che il giovane pra-ticava. Era quasi certo che nessuno gli avrebbe impedito l'ingresso nell'abi-tazione: insegnava all'università che quasi tutti gli invitati frequentavano;se si fosse rivelato necessario, avrebbe fatto valere la propria autorità. Ma dov'era Claire? Cominciò a preoccuparsi mentre i minuti diventa-rono un'ora, poi due. Perché non chiamava? Non venne in mente a Colin che la ragazza potesse non eseguire la sua

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parte del piano. Per quanto diffidente e tormentata potesse essere, ClaireLondon aveva per natura una volontà forte quasi quanto quella di un magoesperto. Quando diceva che avrebbe fatto qualcosa, Colin sapeva che nonsi sarebbe rimangiata tanto facilmente la parola data. C'erano però molti ostacoli sul suo percorso, pericoli che forse nonprendeva ancora abbastanza sul serio per scongiurarli. La ragazza credevaa malapena alle sue facoltà medianiche, e chiederle di accettare sulla paro-la tutto il resto così velocemente... A mali estremi, estremi rimedi, si disse Colin. Non poteva effettuare l'O-perazione di quella sera senza l'aiuto di un Sensitivo che gli facesse supe-rare le barriere esterne, e non poteva rinunciare solo perché rischiava dimettere in pericolo degli innocenti. Molti altri avrebbero corso dei rischi sequelle cerimonie fossero continuate. La fenice nera del nazismo ancora una volta libera nel mondo... e que-sta volta, si tratta di un mondo che possiede armi nucleari. Cosa farebberogli adoratori della Notte Eterna con la potenza di un sole appena nato trale mani? L'enormità della minaccia prometteva l'assoluzione per qualsiasi azioneestrema, ma Colin sapeva che anche quella era una trappola per minare lospirito. Il fine non giustificava mai i mezzi. I mezzi determinavano il fine,quindi alla Luce era sempre proibito l'uso degli strumenti delle Tenebreper combattere la sua guerra. I difensori della Luce dovevano sempre co-noscere il pericolo, dovevano sempre accettare liberamente i rischi delconflitto che non poteva che essere ad armi impari. Ma come può un neofita conoscere la vera natura del pericolo prima diaverlo affrontato? Come posso conservare le mani pulite quando ho sceltodi sacrificare uomini e donne innocenti per gli scopi prescelti? Esisteva una sola, dura, implacabile risposta: le mani di Colin non eranopulite e mai lo sarebbero state. Finché avesse combattuto per la Luce, do-veva fare penitenza per quella battaglia. Eppure di combattenti, come dicoloro il cui karma consisteva nel non intervenire, c'era grande bisogno. Il fruscio del ricevitore fu una gradita interruzione dei suoi pensieri de-solati. Ne emerse la voce di Claire, asessuata e distorta. «Professore, sono nello scantinato. La porta per arrivarci si trova in cu-cina. È proprio come ha detto lei, è orribile...» Improvvisamente l'apparecchio tacque, ma Colin non perse tempo a cer-care di ristabilire il contatto con Claire. Scese dall'auto e corse verso la ca-sa sotto la pioggia, stringendo in una mano la piccola pistola nella tasca

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dell'impermeabile. Una terribile paura si impossessò di lui: temette di ri-schiare più di quanto non sapesse, pensò che perdere quella battaglia - per-dere Claire - gli sarebbe costato l'equivalente di tutto il suo essere. Purrendendosi conto del prezzo da pagare, accettò. Non avrebbe fallito. Una volta dentro l'abitazione perse minuti preziosi per trovare la portaverso lo scantinato, ma, a differenza di Claire, non ebbe difficoltà a sco-prire il falso scaffale che nascondeva la stanza sotterranea segreta. Riusci-va a sentire l'odore intenso e soffocante dell'incenso. Quando spostò la falsa scaffalatura, la tenda lo avviluppò, e Colin av-vertì il debole ringhio dei guardiani che aveva sconfitto. Si trovò la pistolatra le mani prima di orientarsi, sbattendo le palpebre alla flebile luce dellecandele, e lo shock che provò davanti allo spettacolo che gli si presentò fucosì grande che per un istante rischiò di sparare al primo fedele in tunicanera coperta di rune che gli capitò a tiro. Era come se fosse ripiombato in un passato che non avrebbe mai volutorivedere. C'era il Cristo-Runa appeso all'Albero del Mondo, con il corpo copertodi antichi simboli magici: una malvagia fusione di Odino e Lucifero. C'e-rano le bandiere fylfot, le candele hakenkreutz e i turiboli della ruota delsole: le insegne familiari del Tempio Nero davanti a lui furono un colpo alcuore. Si trattava dei simboli dell'adorazione di un Lucifero che non si eramai piegato alla volontà del Cielo, di un Graal che non aveva mai cono-sciuto il tocco del Cristo. Colin brandì la pistola e urlò le prime parole che gli riempirono la mentee il cuore, ricompensato dalla vista delle figure incappucciate che si accal-cavano intorno all'altare disperdendosi come le pecore spaventate che qua-si tutte erano. Claire era sdraiata sull'altare, legata e seminuda, e lo guardòcon un'espressione in cui sollievo e orgoglioso trionfo erano mescolati. Anche se gli altri scappavano, però, Toller Hasloch rimase dov'era. Simise di fronte a Colin lasciando in mezzo a loro il corpo di Claire; il visopallido aveva un'espressione fanatica, e gli occhi senza colore brillavanoalla luce delle candele. Cautamente Colin rimise a posto il cane della pistola e trasferì l'armanella mano sinistra. Hasloch non si mosse quando Colin si avvicinò all'al-tare. Con pochi rapidi tagli di temperino liberò entrambe le mani di Clairee le coprì le spalle con l'impermeabile. La ragazza scese dall'altare fissandolo sguardo carico di odio su Toller, che sembrava immobile come la statua

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del Cristo-Runa. Claire si allontanò dal tavolo senza staccare gli occhi da Hasloch e si mi-se dietro a Colin. Il giovane trasse un respiro profondo, ritrovando con uno sforzo la suafacciata arrogante. «Va bene, professore. Hai vinto la partita. Sei più ingegnoso di quelloche credevo. Nessuno ti crederà, naturalmente, né a te né a Claire la pazza,se doveste decidere di parlare.» Colin sorrise tristemente. «La tua inesperienza è evidente, ragazzo mio.Non parlerò a nessuno. Intendo solo staccarti la spina. Ti suggerisco di ri-manere dove sei, a meno che tu non voglia obbligarmi a spiegare a qualcu-no perché ti ho sparato. Credimi, ti prendo abbastanza sul serio da farlodavvero.» Alzò la mano destra per compiere un Segno antico, senza lasciar maitremare la mano con la pistola. Hasloch fissò il punto a mezz'aria dov'erastato tracciato, e il sorriso forzato gli scomparve dalle labbra. La differenza tra Toller Hasloch e un ordinario dilettante dell'occulto erache i rituali di Hasloch funzionavano. Toller Hasloch aveva il Potere, do-vuto in gran parte agli alleati e servitori che il suo giovane Tempio potevavantare nel Piano Astrale. Distrutto quello, il suo potere sarebbe svanito.Una volta consacrato lo spazio dove il Castello dell'Ordine Astrale si tro-vava, Hasloch non avrebbe potuto ricostruirlo senza un aiuto che avevascarse possibilità di ottenere dopo quel fallimento. Il viso di Hasloch sbiancò quando si rese conto delle intenzioni di Colin.Una mano si avvicinò all'elaborato pugnale che portava in cintura, l'altra almedaglione che gli pendeva al collo. E la battaglia cominciò. Per Colin MacLaren, che non aveva la Vista Astrale come guida, ilcombattimento avveniva in due regni diversi; quello dell'immaginazionedisciplinata e addestrata, che costringeva la volontà a opporsi al Dragonedell'antica Oscurità nella forma di un'Aquila Bianca splendente, e quellodel mondo reale, in cui Colin teneva il revolver puntato su Toller Haslochmentre le sirene della polizia - chiamata da chi? - si avvicinavano. Dopo ogni scontro il Dragone Nero cercava di sminuirsi, di trasformarsiin qualcosa di piccolo, ordinario e inoffensivo, che l'avversario avrebbe la-sciato in pace. Ogni volta l'Aquila Bianca rifiutava di rivendicare la vitto-ria se anche solo i discendenti più deboli del Dragone sopravvivevano. Ealla fine le ombre vennero dissipate del tutto, e la Luce Bianca dell'Eterna

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e Immutabile Parola invase tutti gli angoli della Desolazione dov'era stataeretta la Torre Nera. Quando ogni speranza di vittoria svanì, Hasloch ricadde contro l'altare,con lacrime di rabbia impaurita che gli rigavano il viso. Il suono di una si-rena che si stava spegnendo davanti alla casa si udiva debolmente attraver-so i muri. «Finirai in prigione per questo!» singhiozzò con la voce rotta. «Saraicacciato dall'università, non insegnerai mai più...» «Certo, quando ai porci spunteranno le ali», commentò aspramente Clai-re con la voce arrochita per la rabbia. «Siamo due contro uno. E poi, chi ticrederebbe dopo aver dato un'occhiata a questo tuo set cinematografico?» «Credo che la polizia sia qui», disse Colin in tono pacato. «I tuoi amiciin tunica devono essersi fatti prendere dal panico.» Anche attraverso i tendaggi e il falso muro, si udivano delle urla pro-venienti dal piano superiore. «Hasloch, i tuoi amici finiranno probabilmente per parlare. Sta a Clairedecidere se vuole denunciarti per le stupidaggini di stasera, ma se vuoi unconsiglio liberati di quei giocattoli orrendi prima che la città di Berkeley tipresenti un mandato di perquisizione. La guerra può anche essere finita, fi-gliolo, ma a nessuno piacciono i nazisti.» Hasloch si limitò a fulminarlo con lo sguardo, con il viso così pallido efurioso che per un attimo Colin pensò che gli sarebbe venuto un colpo esarebbe morto. Ma si limitò a togliersi il mantello e a gettarlo per terra, poisi slacciò la cintura con il pugnale e si sfilò la tunica dalla testa. Il me-daglione brillò sul maglione rosso per un istante prima che se lo infilassecon mani tremanti sotto la maglietta. Distolse lo sguardo da Colin e Claire con uno sforzo che sembrava quasifisico e si allontanò barcollando senza una parola, sparendo nei recessi deltempio. Apparentemente c'era un altro passaggio che permetteva di entraree uscire dallo scantinato. «Cosa? Niente arrivederci?» chiese Claire con un lampo di esausto umo-rismo. «Nessuna minaccia di vendetta?» Le ginocchia le si piegarono e Colin le circondò le spalle con un braccio,ricordandosi solo allora che impugnava sempre la pistola. Se la infilò rapi-damente in tasca. Aveva il porto d'armi, e c'erano ancora diverse persone aWashington che poteva chiamare in caso di bisogno, cosa che avrebbeprobabilmente provocato grattacapi a non finire al capo della polizia. Masarebbe stato meglio se nessuno faceva domande, anche se Colin aveva le

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risposte pronte. «Probabilmente me le farà stanotte al telefono», rispose Colin. «Claire,sei Stata magnifica... Non avrei voluto sottoporti a una prova del genere...» «Non lo dica neppure», lo interruppe la ragazza precipitosamente, strin-gendosi addosso l'impermeabile che Colin le aveva prestato. «La mia ge-nerazione non fa che parlare di salvare il mondo, no? Be', per una volta so-no riuscita a fare realmente qualcosa di importante, e questo mi fa sentirebene. Certo, ho avuto paura... maledizione, ero terrorizzata. Ma andava fat-to. E lo farò di nuovo, se me lo permetterà.» Gli allungò la mano. «Voglia l'Eccelso che una cosa del genere non debba ripetersi», disseColin. «Ma se così fosse ti ricorderò la tua promessa, Claire, lo giuro.» Le diede la mano e ricambiò la stretta: era una promessa solenne. «E adesso immagino che dovremmo tornare di sopra e parlare alla poli-zia. Qualcuno deve averla chiamata mentre il resto della congrega di Ha-sloch se la dava a gambe. Mi chiedo cosa pensino che sia successo qui sta-sera. Immaginano probabilmente orge a base di droga; mi chiedo se la te-stimonianza sotto giuramento di un professore di psicologia avrà un peso.Andiamo a vedere?» A Claire sfuggì una risatina involontaria. «Oh, sì. Certo, professore. Ementre spieghiamo l'accaduto, magari trovo qualcuno che mi presti un paiodi scarpe che s'intonino all'impermeabile.» Le spiegazioni necessarie - alla polizia di Berkeley, al rettore dell'uni-versità e al preside della facoltà di Colin - furono lunghe e noiose, e Ma-cLaren celebrò Natale con l'aggiunta di una lettera ufficiale di censura allasua scheda personale. Passò molto tempo prima che collegasse la serata e il suo esito con le in-formazioni che apparvero sui giornali quattro giorni dopo: il presidenteKennedy aveva aumentato il numero di consiglieri militari da mandare inun posto lontano chiamato Vietnam. Ma ventiquattro mesi e tredici giorni dopo quella notte di novembre, Co-lin pensò di nuovo a Toller Hasloch. PARENTESI II Berkeley, 1961 E così, semplicemente, tutto ebbe inizio. Quello che Colin mi offrì fu

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qualcosa che avevo cercato tutta la vita, una vera e propria bussola che miguidò da lì in poi. Non si può dire che Colin sia diventato il mio guru - come suona arcaicaoggi quella parola, anche se al tempo del nostro primo incontro non avevaancora cominciato a diffondersi -, dal momento che, con dispiacere di en-trambi, non provai mai l'inclinazione a seguire gli insegnamenti a cui sa-pevo che aveva dedicato la sua vita. Era invece come se il mondo che po-teva ospitare un Colin MacLaren fosse un mondo estremamente diverso daquello che credevo di conoscere, un mondo in cui era possibile costruireper il futuro, in cui causa ed effetto non erano il prodotto di un capricciosadico. Credo che, se non avessi incontrato Colin, non avrei mai conosciuto Pe-ter, perché la donna che ero prima che Colin entrasse nella mia vita nonavrebbe mai pensato di meritarlo. Da così tanto tempo vivevo ormai allagiornata, limitandomi a sopravvivere evitando nuovi disastri, che il nuovoordine imposto con facilità alla mia esistenza mi diede una libertà che lepersone nate felici - e fortunate - difficilmente possono immaginare. Maimprovvisamente il mondo era nuovo, e mi unii al resto della mia genera-zione sperando contro ogni logica che il progresso sarebbe continuato persempre e che la pace fosse un obiettivo raggiungibile. Com'era sempliceadottare quella convinzione, che con tanta implacabilità sarebbe stata mes-sa alla prova negli anni successivi, sia nelle nostre esistenze personali chenella storia della nostra era.CAPITOLO 4Berkeley, 1962Ah, per un cuore meno schietto all'alto dei Cieli,un occhio socchiuso, per vincoli e riserbo,o per una volontà ferrea da soddisfare! Francis Thompson Nella primavera del 1962 un americano girò in orbita attorno alla Terraper la prima volta. Quell'autunno vi furono dei tumulti nel Mississippi el'esercito scese nelle strade. Durante l'estate una dea del cinema morì, e lasua breve tragica vita, terminata da un atto di autodistruzione, servì quasida modello per tutti quelli che sarebbero venuti dopo, i punti focali dei so-gni di quella generazione che si sarebbero consumati d'amore come la fe-

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nice nel fuoco. Fu l'autunno in cui un'intera nazione si trovò a fissare il fuoco: fu l'ot-tobre in cui il mondo si trovò a un passo dalla guerra nucleare che avrebbescritto l'ultimo capitolo della storia umana in una breve e luminosa eclissidi sole. C'erano missili russi a centocinquanta chilometri dalla costa dellaFlorida. E i russi promettevano la guerra. Quando il conflitto non scoppiò, l'occidente si lasciò sfuggire un tre-mante sospiro di sollievo... e l'America si rivolse al suo giovane e invinci-bile presidente perché infliggesse l'ultimo colpo nella guerra fredda, oltreche il primo. Fu l'anno in cui Claire London sposò Peter Moffat. «Colin, questo è Peter.» Claire presentò il giovane con malcelato orgo-glio, arrossendo. Peter era un argomento di conversazione tra Colin e Clai-re già da diverse settimane, e, dopo parecchie insistenze da parte di Colin,Claire aveva acconsentito a farglielo conoscere. Una riunione pomeridianaorganizzata da un amico comune fornì l'occasione perfetta per quell'incon-tro tra i due uomini. «Sono felice di incontrarla, professore», disse Peter, tendendogli la ma-no. «Spero di riuscire a convincerti a chiamarmi \"Colin\"», fu la risposta, ac-compagnata da una stretta di mano. La presa di Peter era forte e diretta, eColin lo trovò subito simpatico. Peter Moffat era un ragazzo di venticinque anni, dunque un po' più vec-chio di Claire. Aveva capelli castano chiaro e occhi color nocciola, ed e-manava una fermezza di propositi che dovevano aver suscitato fin da subi-to l'interesse di Claire, almeno se il suo Io Esterno rispecchiava quello in-teriore. Dopo averli fatti incontrare, Claire sparì in direzione del bar. Gli invitatierano soprattutto giovani professori, i soliti individualisti della facoltà diteatro e letteratura, mogli e studenti anziani. «Spero non mi consideri uno spione se ti dico che Claire ha un'alta opi-nione di te», osservò Colin guardandosi in giro. «Ha un'alta opinione di lei», lo corresse con decisione Peter. «Di lei edella dottoressa Margrave... mi ha fatto venire un colpo quando mi ha det-to di aver conosciuto Simon Anstey! Ho tutti i suoi dischi. Un tempo suo-navo il piano... nulla a che vedere con il suo genio, naturalmente...» Il flusso di chiacchiere venne interrotto dal ritorno di Claire. Teneva in

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equilibrio precario tre bicchieri, due sherry e una limonata. Colin rimaseleggermente sorpreso quando diede la limonata a Peter. «Sono in servizio tra qualche ora», spiegò il giovane, notando l'occhiatadi Colin. «Peter è della polizia di Berkeley», disse Claire. Aggiunse con un tonodi vago rimprovero: «Te l'avevo detto, Colin». «È vero», ammise Colin sorridendo. «E sono il primo a riconoscere diavere una memoria terribile. Quindi hai intenzione di fare carriera in quelsettore?» «Be', signore... Colin... indosso ancora l'uniforme, ma sto anche andandoavanti con gli esami, e spero di diventare ispettore tra non molto», risposePeter, guardando Claire. «È una vita dura per la moglie di un ufficiale dipolizia, non lo nego... e mentirei se non ammettessi che molti matrimoninon durano...» «Peter!» esclamò Claire, ridendo e protestando allo stesso tempo. «Voi due state già parlando di matrimonio?» chiese Colin. Avvertì unaspecie di stretta al cuore. Non si trattava precisamente di gelosia, ma il ma-trimonio era un passo tanto importante, e Claire era così giovane... Ha vent'anni, si ricordò Colin. Sono abbastanza per prendere in mano leredini della propria vita. Tu a vent'anni avevi già ucciso tre uomini. Nonche l'analogia calzi granché... «So quello che voglio», affermò Peter risoluto. «E non sarebbe onestonon dirlo a Claire.» «Non mi ha ancora convinta», intervenne Claire sorridendo, «ma devoammettere che sta fiaccando le mie difese.» Colin sollevò un sopracciglio in direzione della ragazza. In pochi mesi,Claire London aveva subito una trasformazione sensazionale, diventandoun cigno sicuro di sé da quell'anatroccolo goffo che era. Grazie alla guida ealle spiegazioni di Colin aveva imparato a fidarsi del Dono che la natura leaveva dato e, di conseguenza, delle persone che la circondavano. Si era dedicata con passione ai semplici esercizi mentali che lui e Alisonle avevano insegnato, e aveva acquistato sicurezza nella sua capacità di in-tervenire nella vita altrui e nella moralità di quell'intervento. «Ho raccontato tutto a Peter... di me», aggiunse Claire, anche se forsesolo Colin avrebbe potuto percepire una leggera esitazione nella sua voce. «E cosa te ne pare?» chiese Colin senza sbilanciarsi. Peter rise. «Be', non è qualcosa di cui parlo con gli amici al bar!» escla-mò allegramente, poi tornò serio. «So che tutta questa faccenda dei poteri

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psichici sembra un campo riservato alla squadra antitruffe...» «A volte è così», riconobbe Colin. «Da quando esistono i medium ci so-no anche gli imbroglioni... anzi, secondo alcuni sono stati proprio i truffa-tori a comparire per primi. Uno degli scopi che la parapsicologia si prefig-ge è portare lo studio di tali abilità umane nell'ambito del metodo scientifi-co. Sono interessato come tutti a smascherare gli imbroglioni che pullula-no nel nostro settore, ma non al prezzo di condannare in tronco tutti gli in-dividui con capacità paranormali. Wow! Che discorso!» «Ma si tratta di un'ottima spiegazione», disse Claire. «Colin si sforza discoprire i vari medium e chiaroveggenti e i cosiddetti mistici che cercanodi ingannare gli sprovveduti... proprio come te, Peter», terminò ra-pidamente. «Ecco la mia Claire», disse Peter affettuosamente. «Ma mi dica, pro-fessore... Colin... c'è modo per qualcuno come me di distinguere un veromedium da un impostore? Nella contea di Alameda non è legale predire ilfuturo - almeno dietro compenso -, ma esistono molti modi in cui i truffa-tori possono eludere la legge, e non posso portare Claire con me ogni voltaper metterli tutti alla prova!» Claire arricciò il naso. «Per me leggere un buon libro o un mazzo di ta-rocchi è esattamente lo stesso, Peter. Io non riesco a prevedere il futuro,purtroppo.» «Esistono certi criteri evidenti per distinguere i veri medium dai truf-fatori», intervenne Colin, «ma quello più ovvio lo conosci già: se una per-sona si guadagna da vivere grazie ai presunti poteri psichici, quasi certa-mente è un imbroglione. La scienza capisce poco dei sensi psichici, masembra che tali capacità siano altamente imprevedibili, e che raramente simanifestino a comando.» «Ma cosa è possibile?» chiese Peter. «Come si può capire la differenzatra, diciamo, un falso medium e qualcuno come Claire?» «È una domanda difficile», rispose Colin, «ma se vuoi sarò felice di ve-nire a parlarne al dipartimento di polizia. È possibile che abbia scoperto al-cuni modi nuovi per smascherare gli impostori che i tuoi colleghi non co-noscono ancora.» Peter fece un sorriso simpatico. «Mi auguri buona fortuna per convincer-li! Del resto, non può nuocere parlarne. Alcuni dei ragazzi, però, proba-bilmente non le crederanno.» «Anche se le mie assicurazioni non contano più di tanto, resta il fattoche lo Stato della California mi ha affidato i suoi ragazzi», osservò Colin.

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«Ma non preoccuparti, Peter, il mio ego è abbastanza forte da sopravviverea qualche ammaccatura.» Colin vide spesso Peter Moffat dopo quella volta. Il ragazzo viveva an-cora in casa della madre vedova, ma Colin e Claire si recavano spesso daloro, per il pranzo domenicale o semplicemente per passarvi una serata. E, lentamente, Peter cominciò a parlare a Colin degli strani problemi chesi presentavano talvolta alla polizia, degli eventi che non erano pro-priamente criminali e neppure illegali, ma semplicemente... bizzarri. Claire si dimostrò una compagna insostituibile per le investigazioni diColin. Era sensibile alla presenza di attività paranormale e infallibilmentecapace di riconoscere il dono psichico negli altri. Con segreto sollievo diColin, Peter era entusiasta della sua competenza e impressionato dalle suecapacità, e con il passare dei mesi divenne inevitabile pensare che i due a-vrebbero trascorso il resto della vita insieme... Si sposarono in giugno. Pochi giorni prima Colin e Peter avevano assi-stito alla cerimonia in cui Claire aveva ricevuto il diploma di infermiera, emolte delle stesse persone si erano ritrovate per le nozze. Il matrimonio fu celebrato nella Lady Chapel della chiesa anglicana cheClaire e Peter frequentavano. La sposa indossava un tailleur azzurro conun mazzolino di rose bianche appuntato al petto e un cappellino con uncorto velo; lo sposo era sobrio e serio in un completo blu, ed entrambi pro-nunciarono le loro promesse con voce bassa e ferma. Ha l'aria così felice, pensò Colin banalmente; ma non si poteva dire lostesso di tutte le spose? Quel giorno aveva consegnato la sposa al futuromarito, secondo l'uso antico, e ora provava un profondo senso di pace, co-me se avesse superato definitivamente un ostacolo. Ma la vera impresa erastata quella compiuta da Claire, e gli impedimenti che aveva incontrato luinon poteva neanche immaginarseli. Nessun membro della famiglia di Clai-re era presente al matrimonio, per cominciare; Colin non sapeva se non e-rano stati invitati o se avevano semplicemente rifiutato di venire. La signo-ra Moffat sedeva nel banco opposto a quello di Colin con un abito rosa afiori, e sorrideva tra le lacrime mentre affidava l'unico figlio alle mani diun'altra donna. Era stato un fidanzamento breve: Claire e Peter si erano incontrati laprima volta in dicembre, appena sei settimane dopo che Colin aveva man-dato la giovane alla festa di compleanno di Toller Hasloch. Quegli eventi

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sembravano essersi svolti in un altro mondo. Hasloch era scomparso quasiimmediatamente, senza neppure terminare il semestre. C'erano stati deirumori e delle chiacchiere nel campus, ma senza il protagonista principalei pettegolezzi e le congetture si erano infine spenti, quando le persone untempo legate ad Hasloch avevano trovati altri interessi più sani. La vecchiacasa vittoriana rimaneva ancora vuota con un cartello AFFITTASI piantatoin giardino, e la cantina era innocente e vuota. Seduto dietro a Colin, Jonathan Ashwell si agitava imbarazzato. Per unpo' lui e Claire si erano frequentati con assiduità, ma Claire aveva già co-minciato a uscire con Peter, e Jonathan si era reso conto quasi contem-poraneamente a Colin che Claire provava solo un affetto fraterno per lui.La giovane si era decisa poco dopo ad accettare la proposta di matrimoniodi Peter, e ora Colin augurava a entrambi ogni gioia. Colin tornò a concentrarsi su ciò che accadeva davanti all'altare, dovePeter stava infilando un cerchietto d'oro al dito di Claire. Dopo un attimo idue sposi novelli si voltarono verso la piccola congregazione, con anelliidentici che brillavano all'anulare sinistro. Era ormai cosa fatta. Claire e Peter erano legati l'uno all'altra per l'e-ternità: si trattava di una decisione spirituale che le leggi umane, nono-stante la loro autorità, non potevano sfidare facilmente. L'organista suonòl'inno finale e i fedeli si alzarono. I giovani coniugi Moffat si allontanarono per un periodo dall'orbita diColin, che del resto ne fu contento. I suoi impegni di insegnante aumen-tarono, e gli procurava soddisfazione il contatto con le esistenze dei ra-gazzi che si affidavano alle sue cure nel percorso verso l'età adulta. Attor-no a lui il mondo cambiava un poco ogni giorno; l'energia crescente deglieventi che si accumulava con il passare del tempo rimaneva infatti invisi-bile a coloro che li vivevano. Il 1963 fu l'anno in cui i poliziotti di Birmingham, in Alabama, sguin-zagliarono i cani dietro i partecipanti alle marce per i diritti civili, propriocome i loro antenati spirituali li avevano aizzati contro gli abitanti deighetti in Europa. Il presidente Kennedy domandò i diritti civili per tutti gliamericani in un discorso davanti al Congresso e, prima che l'eco delle sueparole si fosse spenta, un uomo di colore chiamato Medgar Evers vennemassacrato perché condivideva il sogno del giovane presidente (e dovette-ro passare trent'anni prima che gli venisse resa giustizia). Fu l'anno in cuile preghiere vennero bandite dalle scuole pubbliche, in cui Camelot giunse

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in una Berlino ancora divisa e immersa nelle tenebre, dove il presidenteKennedy annunciò che lui, insieme a tutti coloro che pregavano per la li-bertà, era un berlinese. Fu l'anno in cui Martin Luther King fece un sogno. E 118 giorni dopo che Kennedy si era esposto senza paura sotto il sole diBerlino e aveva offerto la speranza di una fine per il lungo incubo del-l'Europa, arrivarono le notizie da Dallas. Ciò che accadde quel giorno mise fine all'aurora dell'America più radi-calmente di quanto guerra, lotte civili, due guerre mondiali e una mezzadozzina di altri conflitti minori potessero sperare di fare. L'innocenza in-vincibile che l'America aveva brandito come una torcia nel periodo po-stbellico era infranta per sempre. Come la ferita non rimarginata del RePescatore, la distruzione di Camelot avrebbe per sempre infettato l'animaamericana. Era il novembre del 1963. Accadde poco dopo le dieci del mattino di venerdì 22 novembre. Colinaveva terminato la sua lezione delle nove di Introduzione alla psicologia estava uscendo dalla Tolman Hall per attraversare il campus in direzione delsuo ufficio, quando udì dei passi affrettati nel corridoio alle sue spalle. Sivoltò e vide Sylvia Eshleman che correva verso di lui. Il mascara le avevaimbrattato le guance come quelle di un pagliaccio; il suo era un pianto di-sperato, silenzioso, a bocca spalancata. Mio Dio, pensò Colin. È morto qualcuno. «Gli hanno sparato!» singhiozzò, fermandosi di fronte a lui. «Hannosparato al presidente a Dallas.» Era come se l'Apocalisse che tutti si aspettavano fosse giunta con un an-no di ritardo. Per tutto quel giorno terribile e fin nel cuore della notte l'oc-chio spento e vitreo della televisione mostrò i cronisti a Dallas e Wa-shington, la Dealey Plaza e le folle silenziose e allibite. Il presidente cheaveva trasmesso la fiaccola a una nuova generazione era morto, non inguerra, non in un incidente, ma a causa dello stupido proiettile di un as-sassino. La gente si riuniva, non sapendo cos'altro fare. Tutti erano sconvolti eavidi di notizie, come se ogni nuovo aggiornamento potesse garantire unsollievo dall'incubo in corso. Colin si trovò nel centro studentesco, anchelui, come tutti gli altri, col viso rivolto al televisore nell'angolo, augu-randosi contro ogni logica che quelle notizie non fossero vere. Sapeva in

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realtà che lo erano, e pregava perché la nazione trovasse la forza di sop-portarle. Claire lo trovò lì - neanche dopo Colin riuscì mai a scoprire come - e glisi gettò tra le braccia, piangendo come se le si fosse spezzato il cuore. «Lo hanno ucciso», ripeteva continuamente, come se non fossero neces-sarie altre parole. «Hanno ucciso il presidente Kennedy.» L'università annullò le lezioni per il resto della giornata. Colin sapevache avrebbe dovuto vedere della gente e distribuire parole di consolazione,ma per prima cosa doveva occuparsi di Claire. Sentiva il suo corpo chetremava, vibrante delle emozioni altrui che andavano dallo shock, all'in-credulità, al dolore, alla rabbia. «Andiamo a casa, Claire», le disse dolcemente. «Non c'è niente che tupossa fare qui.» Andarono in macchina al piccolo appartamento su Telegraph Avenuedove lei e Peter si erano stabiliti. Il telefono suonava quando Claire aprì laporta, e Colin attraversò la stanza rapidamente e prese il ricevitore. «Claire! Claire!» La voce di Peter sembrava disperata. «Sono Colin, Peter. Claire è qui.» Le passò il telefono ed entrò in cu-cina. Dietro di lui poteva udire le risposte di Claire; la sua voce roca macomposta. Dov'era il bollitore? Colin armeggiò in cucina, lasciando che la nor-malità stessa di quei gesti calmasse i suoi nervi a pezzi. Ecco il bollitore, lateiera e lo zucchero... ma dov'era il tè? «Me ne occupo io.» Claire lo raggiunse in cucina e gli prese il bollitoredalle mani. «Povero Peter, è tutto il giorno che cerca di contattarmi. Gli holasciato un messaggio, ma immagino che non l'abbia mai ricevuto. Ci ve-diamo a malapena in questo periodo: lui lavora di giorno e io ho i turni dinotte, ma sono certa che tutto si aggiusterà presto...» Continuò a ciarlare ininterrottamente, come avrebbe fatto per calmare unpaziente turbato, mentre riempiva il bollitore, lo metteva sul fornello eprendeva il barattolo di tè. «Peter è talmente fanatico di caffè che sono passata al tè in bustina; nonserve prepararne una teiera piena quando sono solo io a berlo. Penso che cisia della torta in frigorifero... accipicchia, guarda che ora si è fatta: sei si-curo che non preferisci pranzare?» Si strofinò gli occhi e le spalle le si in-curvarono. «Sono così stanca. E stasera lavoro ancora, e dopo quanto èsuccesso oggi il pronto soccorso prevedo che sarà uno zoo...» Tacque.

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«Oh, buon Dio...» «Claire.» Colin l'afferrò con dolcezza per le spalle. «Tu hai la forza peraffrontare quanto è successo. È uno shock, ma sopravviveremo tutti. Ci sa-rà un trasferimento di potere pacifico, in questo paese funziona così, e Jo-hnson presterà giuramento e diventerà presidente.» Claire sospirò e sorrise debolmente. «Vorrei solo sapere perché. È quelloche tutti si chiedono, immagino. Perché mai qualcuno farebbe qualcosa dicosì orribile? Cosa ci guadagna?» Caos. Caos e distruzione e rovina... E per un attimo Colin si trovò altrove: nei recessi della memoria, dovel'immagine sfavillante di Toller Hasloch sorrideva con sicura crudeltà. Ilnostro operato nei Piani Esterni dà forma a quelli Interni... Hasloch apparteneva forse a un'organizzazione più grande di quello cheColin aveva sospettato? Il 1964 cominciò con il discorso del nuovo presidente. Lyndon BainesJohnson dichiarò guerra alla povertà: per distrarre gli elettori, secondo al-cuni, da tutte le guerre che stava perdendo. Sempre di più in quei giorni itelegiornali della sera parlavano di una guerra in Vietnam, una guerra che,se l'America fosse stata sconfitta, avrebbe lasciato al comunismo il domi-nio su una metà del globo. A Cuba, la base navale americana di Guantanamo restò progressiva-mente più isolata; Fidel Castro era passato da una nullità a pagliaccio amostro nella mente collettiva, e la sua figura trasandata con l'immancabilesigaro diventò uno stereotipo e quasi il simbolo del comunismo della re-pubblica delle banane. Quasi per distrarre l'attenzione degli statunitensi dal declino del sognoamericano, in febbraio giunsero a New York quattro ragazzi inglesi, ungruppo musicale chiamato The Beatles. Le migliaia di adolescenti che a-vevano acquistato i 45 giri intitolati Love Me Do e Please Please Me sipresentarono all'aeroporto per incontrare urlanti i magnifici quattro, e perla prima volta i loro genitori udirono le voci che in sei brevi anni avrebbe-ro mescolato i mondi della musica e degli eventi mondiali in un modo dacui nessuno dei due universi si sarebbe mai ripreso. Due giorni dopo, l'A-merica vide le facce a cui appartenevano quelle voci all'Ed Sullivan Show,in una puntata che sarebbe diventata un simbolo per un'intera generazione. Mentre la primavera cedeva il posto all'estate, si delineò il fronte per unanuova battaglia, questa volta tra le generazioni. Alla fine, il sogno dei can-

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tanti di protesta si era avverato: la musica era politica. I figli dei soldatidell'«ultima guerra giusta», la generazione che era rimasta orfana con l'at-tentato di Dallas, aveva identificato il proprio nemico, e questa volta non sitrovava al di là del mare o di un confine di stato. Questa volta il nemicoabitava nelle loro case. In California, quella del 1964 fu la prima Estate Infinita; in Mississippifu l'Estate della Libertà. E negli afosi giorni estivi venne avanzata a Wa-shington una proposta da un presidente la cui colpa maggiore era l'esseresopravvissuto: venne approvata dal Congresso, che cominciò a esercitare ilsuo potere nel tessuto della vita americana operando una sorta di consape-vole rappresaglia contro le speranze effimere dell'idealistica protesta gio-vanile. La Decisione del Golfo del Tonchino prevedeva che ulteriori truppeandassero a combattere nella giungla del Sudest asiatico, che altri soldati siimpegnassero in una guerra impossibile da vincere, di cui il governo ame-ricano ammise l'esistenza solo dopo un anno. Lo spauracchio di un'intera generazione, Nikita Krusciov, perse il po-tere. Oswald venne riconosciuto come il solo colpevole dell'omicidio Ken-nedy (o almeno così affermò la Commissione Warren), la Cina entrò inpossesso della bomba atomica, il Concilio Vaticano II abolì la messa in la-tino. Gli studenti di tutto il mondo si riversarono nelle strade, chiedendoche la loro voce venisse ascoltata. Dappertutto attorno a loro il mondocambiava, ogni giorno meno prodigo di certezze. E Thorne Blackburn arrivò a San Francisco. Il 1965 iniziò con un altro assassinio, questa volta dell'attivista neroMalcolm X. La violenza sembrava ormai radicata nella scena politica ame-ricana. In marzo, i partecipanti a una manifestazione di protesta a Selma, inAlabama, vennero attaccati dalla polizia dello Stato e, nel caldo soffocantedi agosto, il ghetto Watts esplose con una violenza isterica e autodi-struttiva. Nessuno poteva rimanere insensibile al vento di novità che sof-fiava con la forza di un uragano in tutta la società americana, men che me-no chi insegnava in una delle università più turbolente degli Stati Uniti. «I ragazzi di oggi...» commentò Colin MacLaren con un sospiro. «Sei troppo giovane per dire una cosa del genere», lo rimproverò scher-zosamente Alison. Lei e Colin erano seduti sulla terrazza di Greenhavenche offriva il panorama della città sottostante baciata dal sole, una città cheimprovvisamente aveva cominciato a fare notizia, da quando i giovani fug-

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giti da ogni angolo della Terra erano confluiti nel quartiere di Haight-Ashbury. Avevano spinto fino al punto di rottura le strutture amministrati-ve della città e avevano proclamato la nascita di una nuova nazione basatasu pace, amore e rock'n'roll. «Quarantacinque anni il febbraio scorso», le ricordò a malincuore Colin.Non era certo vecchio, ma in un certo senso il futuro in cui si era aspettatodi vivere si stava rivelando diverso. Come avrebbe potuto prevedere, luiche aveva assistito alla vittoria del 1945, che sarebbe accaduto tutto ciò?Ed era successo tutto così rapidamente... Si sarebbe forse potuto immagi-nare un simile crollo autodistruttivo e delirante poco tempo addietro,quando tutto il mondo festeggiava? No. Ma da qualche parte c'erano persone che si erano adoperate per rag-giungere quel risultato, e ora celebravano la loro oscura vittoria. Dal-l'assassinio di Kennedy, Colin leggeva il giornale con crescente appren-sione, alla ricerca della mano morta dell'Armanenschaft in ogni nuovoscoppio di tumulto e caos. C'erano i suoi membri dietro quelle ondate dicrisi sociali oppure tale declino appariva evidente solo a lui? Forse le ri-volte erano invece i necessari dolori che preludevano a una gioiosa rina-scita... «Colin? Pronto!» Alison interruppe i suoi pensieri, e Colin si rese contodi essersi distratto profondamente. «Scusa, Alison. Stavo sognando a occhi aperti», ammise. «Me ne sono accorta!» assentì ridendo. «Ma farò del mio meglio per an-corarti alla Terra. Come sta Claire?» «Lei e Peter stanno bene: lui ha avuto una promozione e adesso hannogli stessi turni la maggior parte delle volte. L'ho vista la settimana scorsa, emi ha detto che stava pensando di iscriversi a un'agenzia di collocamentoper cominciare a lavorare solo a tempo parziale. Credo che progettino difare un figlio, una volta che le cose si saranno sistemate.» «Che spreco», commentò Alison piano. «Non guardarmi male, Colin,ma devo proprio dirlo. Sai bene quanto me che il dono di Claire è raro. Esai anche che una donna con un marito non ha alcuna libertà, non ha nep-pure una vita propria. Non fa che occuparsi di lui.» «Qualcuno deve pur farlo», obiettò Colin con aria diffidente. «Noi uo-mini, abbandonati a noi stessi, siamo le creature più incapaci che esi-stano.» Alison sbuffò in modo eloquente. «Ed è stata Claire a sceglierlo», ricordò Colin all'amica. «Lei ha deciso

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di sposarsi e di evitare il Sentiero in questa vita. Ha altre cose da imparare,e altri modi in cui farlo.» «Non smettiamo mai di apprendere», ammise Alison. «E te la stai ca-vando bene col giovane Ashwell: quel ragazzo sembra promettere per il fu-turo. Ma penso che avresti potuto esercitare su Claire un'influenza maggio-re, evitando di gettarla tra le braccia di Moffat.» «Su questo non sono d'accordo, Alison», obiettò Colin con fermezza.«Claire non è una mia allieva; non è venuta a me perché le insegnassi apercorrere un'altra volta il Sentiero. Ma non intendo rovinarci la giornatacon la solita discussione. Parlami di Simon: cosa stai facendo con lui? Tral'altro ho letto la tua monografia: devi essere molto orgogliosa del tuo di-scepolo. Una storia naturale dei poltergeist... progetto ambizioso.» Alison sorrise a quella frecciatina bonaria. «Oh, Simon è un vero gioiel-lo! E anche la sua carriera esoterica sta procedendo benissimo. Ho semprepaura che la musica lo allontani completamente da me, anche se immaginoche un giorno, prima o poi, succederà davvero. Ma siamo stati bene, e pen-sa che eravamo sperduti nell'Ohio! Una casa infestata veramente affasci-nante: poltergeist, attività medianica, spostamento di oggetti, tutte le mani-festazioni classiche. Simon sta lavorando sui miei appunti, ma non sonosicura se pubblicare o no lo studio, e comunque non lo faremo per qualcheanno. La famiglia in questione ha due figli piccoli, e l'ultima cosa di cuihanno bisogno in questo momento è la pubblicità. Ma Simon non tarderàad arrivare: perché non gli chiedi di parlartene? Sai bene che ne sarebbe fe-lice.» «Mirate, mirate: basta nominarlo, e il Discepolo appare!» declamò Si-mon con fare teatrale aprendo il cancello posteriore del giardino e su-perandolo. Ora che era diventato maggiorenne e poteva gestire il patri-monio ereditato da piccolo, Simon aveva acquistato un appartamento in unedificio nella zona di Twin Peaks, ma era spesso ospite nella casa di Ali-son. «Simon!» Alison si alzò per ricevere un bacio sulla guancia, e Colin laimitò per stringere la mano a Simon. Il ragazzo aveva una presa salda, masi guardava dall'usarla in sciocche prove di forza. Nel corso degli ultimi anni Simon Anstey era diventato, da quell'ado-lescente ipersensibile e impacciato che era, un giovane aggraziato e com-posto. Era cresciuto di diversi centimetri e si era allargato di torace e dispalle, mantenendo la promessa di prestanza fisica che il suo corpo im-maturo in passato suggeriva. Recentemente, Colin lo sapeva, Simon si era

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cimentato nella direzione d'orchestra dopo aver dato prova di sé nellacomposizione ed esecuzione di brani musicali, e un direttore deve avere lastessa presenza di un atleta olimpico. «Colin, mi fa piacere rivederti; è passato troppo tempo dall'ultima volta.Ho sentito che stai - com'è la frase? - \"assistendo la polizia nelle indagi-ni\".» Sorrise maliziosamente, e Colin si trovò a sorridergli a sua volta. «Qualcosa del genere. La polizia consulta spesso degli specialisti, eClaire e io abbiamo potuto aiutarli in qualche occasione.» «Quisquilie», commentò Simon in tono gentile. Si sedette a tavola e ac-cettò un bicchiere del vino bianco che Alison stava bevendo. «Voi due do-vreste dedicare del tempo a quelle specie di sciacalli bipedi che la polizianon può toccare. Da quanto ho capito, il Gruppo Rhodes si è specializzatoin quello.» «Simon», lo rimproverò Alison. «Be', è vero, Alison. E ricorda quello che è successo in Ohio: da quandoil primo piatto si è messo a volare, i Kenyon sono stati assaliti da ogni sor-ta di stregoni, finti esorcisti, cacciatori di fantasmi e non so cos'altro. Sonocomparsi dal nulla e nessuno di loro aveva più poteri occulti di quel gat-to!» Simon indicò con un gesto il felino bianco che si crogiolava al sole sulmuro di pietra. Come se quel cenno l'avesse offeso, saltò dal muro e svanìin un rapido movimento di coda. «E hanno certamente preteso un mucchio di denaro per i loro servizi»,continuò Simon. «Migliaia di dollari per quello che, a ben guardare, si ri-duceva a qualche rituale mistico e all'accensione di alcuni bastoncini d'in-censo. Bisognerebbe provvedere: ci sono persone del genere dappertutto,anche qui, del resto.» «Purtroppo», riconobbe Colin, «non esistono agenzie governative per isensitivi, per non parlare di parapsicologi. È un campo nato di recente -come non smetto di ripetere ai miei studenti -, e questo significa che i pro-grammi capaci di fornire delle credenziali sono pochi e lontani gli uni da-gli altri.» «C'è quel posto nello stato di New York. Vicino a dove abitavi tu, Co-lin... ne hai sentito parlare?» chiese Alison. Aggrottò la fronte, cercando dirichiamarne il nome alla memoria. «L'Istituto Bidney», disse. «Sono affi-liati a una piccola università; non offrono un corso di studi?» «So che hanno messo in palio un premio... un milione di dollari per laprima persona in grado di dimostrare l'esistenza di poteri psichici. Non

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penso che verrà mai rivendicato», commentò Colin. «Imbroglioni dilettanti che fanno ballare i tavoli e hanno un baule pienodi feticci», intervenne Simon con una smorfia. «Non puoi misurare l'occul-to e ridurlo a un libro pieno di carte e grafici.» «Forse no», disse Colin gentilmente, più divertito che altro dal malu-more di Simon. «Ma l'occulto non è parapsicologia, proprio come la pa-rapsicologia non è occulto. È il fatto che la gente li abbia confusi per tantianni all'origine di tutti i problemi. Adesso abbiamo finalmente la possi-bilità di distinguerli.» «Ben detto, Colin!» lo applaudì Alison. «E se qualcuno può farlo, pensoche si tratti di te.» Anche Simon fece un sorrisetto storto. «Buona fortuna, Colin: ne avraibisogno, soprattutto in questo periodo. Hai mai sentito parlare di ThorneBlackburn?» Thorne Blackburn, sembrava, era un altro messia da quattro soldi cheaveva invaso la Bay Area con un gruppo di seguaci e si era stabilito aHaight-Ashbury. Sosteneva, secondo Simon, di essere un dio - tra le altrecose - e manteneva sé e la marmaglia che gli dava retta organizzando spet-tacoli pubblici di magia. «È questo il particolare più disgustoso», precisò Simon. «Apparen-temente quell'idiota è riuscito a ricevere una vera istruzione. Non sapevaperò cosa farsene, oppure voleva solo dare spettacolo: il tutto è intriso diillusionismo teatrale e di musica rock. Un'attrazione carnevalesca, ecco!» «Ultimamente tutto si riduce a quello», sospirò Alison. «La follia puòessere l'unica risposta logica quando il governo tira bombe incendiarie sudonne e bambini dall'altra parte dell'oceano. Come siamo giunti a questopunto in vent'anni?» chiese, e la direzione dei suoi pensieri echeggiava inmodo scoraggiante quelli di Colin. «Credi ancora che il governo americano abbia le mani pulite, vero, Ali-son?» disse Simon con uno strano tono suadente. «Noi... loro... in realtàsiamo tutti uguali. Il governo è per sua natura corrotto.» «Se è vero, non c'è ragione di aiutarlo in quel senso», ribatté sarcasti-camente Alison, e la conversazione passò alla politica e a questioni menospinose. Colin non ripensò a Thorne Blackburn per diversi giorni. Il semestre era terminato il mese prima, e Colin quell'anno teneva un so-

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lo corso estivo, una serie di lezioni di tre settimane sulla storia dell'occulto.Era un corso riservato agli specializzandi, e Colin aveva insistito moltoperché venisse inserito negli esami obbligatori, vincendo le proteste deimembri del consiglio di amministrazione. Forse il fenomeno era in fase di crescita, o forse il fatto di conoscereClaire gliel'aveva fatto notare maggiormente, ma Colin si rendeva contosempre di più che la gente con dei problemi - problemi che, anche se reali,si sottraevano alla portata della scienza tradizionale - venivano trattati inmodo inadatto dagli psicologi o dai medici. Anche quando erano armatidelle migliori intenzioni, questi professionisti erano incapaci di trattare idisturbi per cui quei pazienti li avevano consultati. La psichiatria aveva lasua parte di colpa: era passata da un accessorio di moda a una delle neces-sità della vita nel corso degli anni Cinquanta, come se non solo la ricercama il raggiungimento della felicità fosse diventato un diritto inalienabile. Ma la psichiatria non poteva convincere un poltergeist a scomparire,proprio come la scienza medica non era in grado di dare al paziente unapillola per eliminare i sintomi della possessione da parte di uno «spiritorumoroso». Non tutti coloro che udivano le voci soffrivano di un'anor-malità psicologica curabile; non ogni rapporto di telepatia o di precogni-zione indicava uno stato mentale disturbato, anche se chi da sempre si erasentito ripetere che cose del genere non esistevano rimaneva com-prensibilmente turbato quando l'occulto entrava di prepotenza nella sua vi-ta. Se solo i professionisti dei settori tradizionali fossero stati disposti adammettere la possibilità di spiegazioni non contemplate nei loro manuali,ne sarebbe risultato un bene incalcolabile. Un corso estivo era un iniziominimo, ma almeno era un inizio. E molti degli iscritti potevano in seguitocompiere grandi imprese, in grado forse di riconciliare il doloroso divariocreatosi per forza tra Scienza e Fede. Dal momento che avrebbe insegnato durante l'estate, Colin non avevachiuso il suo ufficio e, anzi, aveva mantenuto i normali orari di ricevi-mento. Il campus era stato chiuso tante volte per le dimostrazioni contro laguerra durante l'anno, che per Colin gli studenti intenzionati a ricevere u-n'educazione - in contrapposizione a quelli che si proponevano solo di farterminare il conflitto, per esempio - dovevano avere la possibilità di vederedi tanto in tanto i loro professori. Sulle strade americane, ormai, un'interagenerazione stava eliminando il razionalismo come piattaforma decisiona-

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le, o così sembrava a volte a Colin. Il tagliacarte a forma di spada che Alison gli aveva regalato brillava nel-l'angolo della scrivania. C'era anche un motivo pratico per cui quel giornoColin teneva aperto il suo studio nell'ora di ricevimento: aveva appunta-mento con Claire per pranzo, visto che era il suo giorno di riposo ed erapiù facile per lei incontrarlo nel campus, per conciliare la visita con lecommissioni nei negozi non lontani. Dedicò un attimo a ringraziare silenziosamente il cielo per il fatto chePeter Moffat fosse diventato ispettore prima di essere coinvolto nei taffe-rugli avvenuti a ripetizione a Berkeley nell'ultimo anno e mezzo. Non era-no stati commessi danni irreparabili da nessuna delle due parti, ma Colinera stato profondamente disturbato dalle passioni profonde che dividevanole due fazioni. Comincia sempre così la strada verso il fascismo e il genocidio. Lo sai.Comincia sempre così, e poi finisce, non con uno scoppio ma con un pia-gnucolio... Qualcuno bussò alla porta, e il suono, per quanto leggero, lo riscossebruscamente dai suoi pensieri. «Professore? Posso entrare?» chiese Jonathan Ashwell. Il ragazzo perfino eccessivamente azzimato che Colin aveva incontratoquattro anni prima era difficile da riconoscere nell'uomo che - con identicadeferenza - entrò nello studio di Colin. La giacca sportiva e i pantalonibeige erano stati sostituiti da jeans a zampa d'elefante sbrindellati su cuierano stati cuciti margherite, bandiere, simboli di pace e altri stemmi cheColin non riconobbe. Jonathan indossava una maglietta che un tempo erastata bianca, ma che era stata colorata artigianalmente con tinte fluorescen-ti. Portava al collo diverse collanine fatte di semi e medaglioni, e infilatanella giacca di jeans dipinta c'era una spilletta verde con lo slogan «Viet-nik». Dalla spalla gli pendeva uno zaino usato dell'esercito. Portava ora i capelli lunghi che gli coprivano le spalle, accompagnatidalle inevitabili basette e dai baffi, e indossava occhiali con montatura dimetallo e lenti ottagonali color lavanda. Teneva in mano un foglietto. «Certo, Jonathan. Cosa posso fare per te?» chiese Colin. Da tempo si eraabituato alle mode degli studenti. «Dovrebbe firmare il foglio per permettermi di ritirarmi dal corso», dis-se Jonathan esitante, appoggiando il foglio sulla scrivania. «Ho cambiatoidea. Mollo tutto.» Quando si avvicinò, Colin sentì una zaffata quasi insopportabile di fra-

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gola; la mania degli oli profumati andava di pari passo con la propensioneper le sigarette di marijuana, che emanavano un odore forte e caratteristico. «Ti ritiri dall'università?» chiese Colin allibito. A Jonathan restava solo un semestre prima di ottenere il master, ed eragià stato accettato al dottorato. Aveva sostenuto con decisione il desideriodi Colin di pubblicizzare quello che chiamava il gemello oscuro dellascienza - l'occulto - e l'importanza di una mente costantemente inventiva,alla ricerca di risposte. «Ma perché?» domandò Colin. «Non ha niente a che vedere con lei, professore», spiegò Jonathan conaria colpevole. «Ma sa, il fatto è che, cioè...» Jonathan era quasi dolorosamente sincero in quella momentanea dif-ficoltà di elocuzione. «Il fatto è che ho sempre saputo che c'era qualcosa dipiù. Qualcosa di più grande. Qualcosa che avrebbe dato un significato atutto questo mondo pazzo che va alla rovescia, capisce? E con quello cheha detto Alison, che dobbiamo essere tutti soldati per la Luce... ma è diffi-cile capire con sicurezza cosa bisogna fare, sa? Adesso, però, penso di sa-perlo.» E così ancora una volta Colin MacLaren udì il nome di Thorne Bla-ckburn. Sembrava che Jonathan avesse partecipato a una manifestazionepacifista al parco del Golden Gate qualche settimana prima e che Bla-ckburn fosse stato uno degli oratori. «È come se... per tutta la vita avessi aspettato di udire quello che avevada dire. Intendo unirmi al suo gruppo e lavorare con lui per realizzare laNuova Eternità.» Se Jonathan fosse stato suo discepolo, Colin avrebbe potuto impedirglidi fare una cosa del genere, ma Jonathan era sempre stato troppo ansioso ditrovare risposte individuali alle sue domande per accettare la disciplina diuna Loggia Magica. Era saltato con la facilità di una cavalletta da un si-stema di conoscenze all'altro, sempre alla ricerca di qualcosa... E ora la sua ricerca l'aveva portato lì. «Jonathan, firmerò il tuo foglio per il ritiro dall'università se lo vuoidavvero, ma ti prego di ripensarci. Non puoi semplicemente abbandonaretutto quello per cui lavori da anni per seguire il primo venuto che pensa dipossedere la Risposta a tutto», disse Colin con aria quasi implorante. «Hanno seguito Gesù», osservò Jonathan con la stessa serenità contrita. «Non vorrai mettere sullo stesso piano questo... Thorne Blackburn conGesù!» esclamò Colin scandalizzato.

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«Perché no?» chiese Jonathan. «Gesù non è venuto per dare la Risposta.È venuto per darci le domande. Sono passati duemila anni: perché non do-vrebbe arrivare qualcun altro con delle domande per noi? So bene che que-sta mia decisione la sconvolge, professore. Perché non viene a conoscerlo?Vedrà che mente brillante. Ho raccontato a Thorne tutto di lei, e dice chegli piacerebbe incontrarla.» Ci scommetto, pensò Colin tra sé e sé. Il suo lavoro con Claire gli avevaprocurato la fama modesta ma ben fondata di smascheratore di im-broglioni, e di persona che non sopportava facilmente i ciarlatani. «Senti, Jonathan. Ammetto che si tratta di uno shock, e mi sembra chesia una decisione affrettata da parte tua. Hai almeno un'altra settimanaprima di ritirarti dai corsi estivi; perché non ci rifletti ancora qualche gior-no?» Dal viso di Jonathan si cancellò il facile sorriso. «Pensavo che almeno lei avrebbe capito, professor MacLaren», disse intono ferito. «So bene che anche per lei il mondo non consiste solo in que-sto... complesso militare industriale. E Thorne dice che è tempo che laVecchia Eternità finisca e che chiamiamo ancora una volta sulla Terra gliDei per mettere termine ai contrasti che ci separano. So di poterlo aiutare.Ci vuole del denaro per realizzare i suoi progetti, e ho il lascito di miononno...» Colin ascoltò con orrore crescente mentre Jonathan gli delineava congrande serenità il progetto di smettere di studiare e di sovvenzionare quelloche chiamava un «giornale underground» con l'eredità ricevuta. Solo unafondamentale fiducia nella libertà e anni di discorsi del genere che gli ri-suonavano nelle orecchie permisero a Colin di restare in silenzio. Aveva già capito che parlare a Jonathan non sarebbe servito a niente, maalla fine non riuscì neppure a convincerlo ad aspettare qualche giorno pri-ma di prendere una decisione così radicale, e men che meno a non farlo ri-tirare dal suo corso. Purtroppo, Colin non poteva in alcun modo sostituirsiai genitori di Jonathan in quel frangente: non aveva il diritto di rifiutargli ilsuo consenso per quella che, in fin dei conti, era una pura formalità. Firmòil formulario e Jonathan gli strappò la promessa di andare a San Franciscoper vedere Thorne Blackburn in azione. Quando Jonathan se ne andò, Colin si sentì molto vecchio. Alison una volta aveva detto che in quei giorni San Francisco le ricor-dava un po' Berlino negli anni Trenta, ma la situazione era veramente de-generata fino a quel punto? La leggendaria decadenza di Berlino prima che

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i nazisti prendessero il potere era stata la febbre di una ferita infetta. Il pae-se era davvero nei guai fino a quel punto? Era immischiato in una guerra ingiusta che Colin non riusciva a sop-portare; gli ufficiali che aveva eletto sembravano essere diventati ciarlatanie ladri dall'oggi al domani, e tutto ciò che Colin aveva sempre consideratoincrollabile si stava disgregando. A un certo punto dell'ultimo ventenniol'America aveva perso la certezza di trovarsi nel giusto e la volontà di agirebasandosi su quella sicurezza. Qualcuno poteva chiamare quel cambiamen-to maturità... ma a Colin appariva più che altro una forma di decadenza. Cerca di non metterti nei guai, si rimbrottò severamente. Sarebbero statii guai stessi a cercarlo al momento opportuno: aveva dedicato tutto se stes-so a diventare uno strumento della Luce, e se le sue facoltà umane a voltenon comprendevano le scelte dell'Io Superiore, almeno Colin capiva abba-stanza da fidarsi delle sue decisioni. Quella fiducia l'aveva portato a restaredov'era, a continuare a insegnare ai suoi studenti quando il cuore lo incita-va a lasciare l'insegnamento e ad andare in cerca dei Maestri di Haslochlungo le griselle sparse che il Terzo Reich aveva usato per scendere a terra. Forse una delle vite che avrebbe toccato all'università sarebbe stata piùdeterminante per il futuro di qualsiasi sua azione nella lotta contro l'AquilaBianca di Tule. Non aveva modo di saperlo, poteva solo riporre la propriafiducia nella Luce. Ma la Luce non trattava i suoi servitori come fantocci oautomi: la volontà dell'Adepto era sempre sua, le scelte appartenevano soloa lui. E la domanda era: doveva intervenire nella decisione di Jonathan e, inquel caso, fino a che punto? Chi era quel Thorne Blackburn di cui desi-derava tanto diventare discepolo? Simon Anstey aveva parlato di lui; Colinavrebbe dovuto chiamare Simon più tardi per cercare di farsi dire le sueimpressioni nei dettagli. Il nome gli diceva qualcosa, come se Colin l'avesse udito prima, e allafine quella curiosità insoddisfatta lo portò ai due armadietti malconci cheoccupavano l'angolo del suo studio. Dopo qualche ricerca, trovò una car-tella con quel nome scarabocchiato in cima nella sua calligrafia. Aveva ricevuto una lettera da Thorne Blackburn. Colin fissò il foglio come se si trattasse di una comunicazione che arri-vava da un pianeta alieno. L'indirizzo del mittente era di New Orleans. Eradatata 1961, poco dopo che Colin aveva iniziato a insegnare a Berkeley.Blackburn scriveva una lettera in risposta a un articolo che Colin avevamandato a una rivista esoterica, un'indagine preliminare che cercava di

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scoprire se il sistema di linee che convergevano sulla superficie della Ter-ra, assai noto in Inghilterra, non poteva essere esteso all'intero globo, e seera possibile dedurne la disposizione semplicemente prolungando le lineegià conosciute e verificando quelle estrapolazioni con l'aiuto di certi feno-meni caratteristici. La risposta di Blackburn - la lettera era vergata a mano con una calli-grafia minuscola e quasi indecifrabile - era entusiasta e insieme tecnica e,da certi riferimenti fatti da Blackburn, Colin ebbe conferma che Simon a-veva avuto ragione nel crederlo avviato da un maestro sulla via dell'oc-culto. Se Colin aveva risposto alla missiva, non aveva tenuto una copia, esi chiese del resto come mai avesse conservato quello scritto. Attaccata alla lettera di Blackburn ce n'era un'altra. Colin diede un'oc-chiata all'intestazione: proveniva da Nathaniel Atheling e recava la datadell'anno successivo. Nathaniel aveva lasciato il trambusto di Manhattan per spostarsi in unaclinica privata in un angolo del Massachusetts. Lui e Colin si scrivevanosaltuariamente, ma quella particolare lettera riguardava un argomento«professionale». Nathaniel comunicava a Colin, in quanto Capo Esotericodell'Ordine in America, che un certo Douglas Thorne Blackburn, che ave-va ottenuto il Grado Sublime di Maestro del Tempio nella Loggia di Ava-lon in Inghilterra, non andava ricevuto o riconosciuto come tale da nessunodei confratelli. Perché? Colin accartocciò entrambe le lettere e cominciò a strapparle.Non aveva senso conservare documenti del genere: probabilmente avevaavuto intenzione di rispondere a Nathaniel e se n'era dimenticato. O aveva deciso di non farlo. Cosa c'era da dire, in effetti, a meno chenon avesse deciso di prendere le difese del giovane? Se Blackburn avevaprotestato contro la sua espulsione dall'ordine, le sue lamentele non aveva-no sortito alcun effetto. Colin si accigliò, aggiornando l'immagine mentale che si era fatto diThorne Blackburn: lo pensava non più come un pifferaio frivolo quasi coe-taneo di Jonathan, ma come a un personaggio misterioso e meditabondo.Maestro del Tempio non era il grado più elevato che fosse possibile rag-giungere, ma ci volevano comunque anni di studio per ottenerlo. Lasciòcadere i frammenti di carta nel cestino e si sedette alla scrivania, pensiero-so. «Colin?» Claire si trovava sulla porta. «Qualcosa non va? Sento...» «Cattivo umore e cattive notizie», le disse Colin, scacciando entrambi

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dai suoi pensieri con uno sforzo della volontà. «Claire, entra. Mi fa piacerevederti.» Claire Moffat entrò nell'ufficio di Colin. Indossava un completo verdesalvia e la sacca di pelle scamosciata a frange che portava sulla spallasembrava abbastanza grande da contenere il necessario per affrontare quasiogni emergenza della vita. I capelli biondi erano tagliati in un ordinato ca-schetto alla moda e, come sempre, era truccata in modo molto leggero. «Ho messo tutti i sacchetti nel portabagagli dell'auto», disse sorridendo.«È una giornata troppo bella per andare in giro con dei pesi. Ma raccontacos'è successo. Hai l'aria a terra. Si tratta di Jonathan, non è vero?» Fortunatamente Colin si era abituato da tempo alle intuizioni infalli-bilmente esatte di Claire. «In effetti, sì. Si ritira dagli studi. Sembra che abbia trovato un guru eabbia deciso di affidargli la sua mente e i suoi soldi.» Colin non riuscì anascondere l'amarezza che gli velava la voce. «Un tale che si chiamaThorne Blackburn.» «Ma guarda che coincidenza», disse Claire con voce neutrale. «RicordiDebbie Winwood? Era mia compagna di studi. Ci siamo perse di vista, macirca sei mesi fa è ricomparsa. Vive con Blackburn a San Francisco.» «Oh, Signore», commentò Colin, preso alla sprovvista. «È una tua ami-ca, Claire? Devo ammettere che non ho sentito parlare molto bene di lui.» Ripensò alla lettera che aveva ricevuto da Nathaniel Atheling. Anche semacchiava ulteriormente la reputazione di Blackburn, non poteva certoparlarne con Claire. Nonostante l'intimità che si era creata tra loro, i suoivoti lo vincolavano e gli impedivano di diffondere notizie del genere aqualsiasi persona non appartenente alla Loggia. Claire alzò le spalle. «È piuttosto... radicale, vero? Ma adesso andiamo,sto morendo di fame.» Telegraph Avenue in giugno sembrava il riflesso esatto della sua omoni-ma di San Francisco, ma l'occhio esperto riusciva a individuare delle diffe-renze tra le due, anche se le masse di giovani che invadevano le stradesembravano vestite in modo identico e gli stessi aromi di incenso e pa-tchouli erano sospesi nell'aria. Ma a San Francisco l'enfasi era posta sulla necessità di «nutrire la men-te» e «sintonizzarsi, interessarsi, mollare tutto», mentre a Berkeley tutto siconcentrava sul cambiamento sociale e sulla sospensione della guerra. Pur condividendo molte delle loro opinioni, Colin diffidava dei giovani

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agitatori. L'attivismo politico poteva facilmente trasformarsi nella sorta diviolenza che preparava inevitabilmente il terreno a uno stato fascista, comela storia aveva fin troppo spesso mostrato negli ultimi anni. Colin si trovòa passare accanto a striscioni e petizioni con la stessa apprensione che gliavrebbe procurato un uomo in equilibrio sul davanzale di una finestra aldodicesimo piano. Il paese si trovava a un bivio della storia: in quale dire-zione l'avrebbe spinto il Fato? Claire scelse uno dei nuovi ristoranti in quella che fino a pochi mesi faera stata una zona urbana dall'attività piuttosto scarsa. Le parole «È unabella giornata» erano dipinte sulla vetrina con complicati caratteri psi-chedelici che Colin trovava quasi impossibili da leggere, ed erano circon-date da simboli di tutte le religioni del mondo. All'interno, però, il locale era luminoso e pulito - anche se coperto di po-ster che annunciavano comizi politici e concerti rock - e proponeva un me-nù tradizionale con l'aggiunta di piatti esotici come couscous e germogli disoia. Da dietro il bancone arrivava il profumo di pane che cuoceva nel for-no. Finestre di vetro colorato appese al soffitto separavano la brillante lucedel sole estivo in un collage di sfumature iridate. «Di' quello che vuoi sull'arredamento», disse Claire allegramente, «maquesto posto è a buon mercato, e due stipendi in questo periodo non sonomolto meglio di uno.» «Come sta Peter?» chiese Colin. Claire alzò le spalle, sempre sorridendo. «Lavora a ore impossibili. Diceche le cose stanno peggiorando nelle strade, e non si tratta solo dei ragazziscappati di casa e neppure della droga, se è per quello. Ma la droga signifi-ca denaro, e quindi crimine organizzato, secondo lui.» «Immagino che sia nella posizione migliore per saperlo», riconobbe Co-lin. «Sembra che la metà dei ragazzi dell'università prenda una droga o l'al-tra, in questi giorni.» E la cosa peggiore - dal punto di vista di Colin - era che le droghe prefe-rite in quel periodo erano quelle che per secoli avevano fatto parte dell'ar-senale dell'Alta Magia, per essere usate - con cautela e sotto il più rigidocontrollo - per accrescere il potere del mago e abbassare i veli che lo sepa-ravano dall'Infinito. Ora i ragazzini desiderosi di distruggere le convenzio-ni ricorrevano alle memorie di quei pionieri per giustificare i propri espe-rimenti. Era difficile anche per Colin condannare del tutto il loro comportamento.Era però fermamente convinto che fosse pericoloso.

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«Si drogano, circolano per l'università e finiscono al pronto soccorso»,confermò Claire. «Ci sono alcune cliniche in città che si sono specializzatenelle overdosi... be', e nelle malattie veneree, naturalmente», continuò confranchezza. «Siamo finiti a questo punto. Del resto, hai sempre detto cheogni generazione trova le proprie \"spaventose forme di eccesso\", mi parefossero le tue parole». «Santo cielo, devo essere stato di pessimo umore quel giorno», disse Co-lin, sorridendo impacciato. «Forse sto invecchiando, ma i giovani di oggimi appaiono particolarmente... spericolati.» «\"Vivi alla grande, muori giovane e lascia un bel cadavere\"», citò Claireimpertinente. «Sempre che la Bomba non disintegri pure quello, voglio di-re. Ma come mai parliamo di argomenti tanto deprimenti in una giornatacosì bella? Troviamo qualcosa di più allegro.» «Hai ragione», ammise Colin. «Ho visto Alison l'altro giorno. Lei e Si-mon sono tornati dal loro viaggio in Oriente...» I due amici incentrarono la conversazione su soggetti più leggeri perqualche minuto, ma non appena la cameriera ebbe finito di prendere le or-dinazioni e se ne fu andata, ricominciarono a parlare di Thorne Blackburn. «L'ho incontrato solo un paio di volte quando sono andata a trovareDebbie, e immagino non sia più svitato di molti altri dimostranti contro laguerra», disse Claire. «Ma Jonathan che lascia gli studi per andare a viverealla Voce della Verità?» Aveva un tono che tradiva lo stupore e la disap-provazione. «È una rivista underground, una specie di pulpito che usaThorne per diffondere le sue idee; la scrive quasi tutta lui e parla di astro-logia, tarocchi e cose del genere. E, naturalmente, della filosofia e delle i-dee politiche in cui crede. Debbie cerca sempre di rifilarmene delle copie -lo distribuiscono gratuitamente, oppure paghi quello che vuoi - ma devoammettere che non l'ho mai letto.» Si infilò in bocca un boccone di insala-ta, che conteneva pezzetti di pollo e verdure ed era condita con un delizio-so aceto alle erbe. «Abbandonare gli studi sei mesi prima del diploma è già abbastanza ne-gativo», ribatté Colin, che pensava ancora a Jonathan, «ma non è soloquello. Da quanto ho capito, ha intenzione di dare la sua eredità al Mae-stro. Certo, è ormai cresciuto, si tratta del suo denaro e ha il diritto di farciquello che vuole...» «Ma pensi che dovrebbe fare maggiormente attenzione, e se intende u-sarlo per finanziare la Voce della Verità sono d'accordo con te», ammiseClaire. «Onestamente questa storia non mi piace affatto. Perché non fac-

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ciamo visita a Thorne Blackburn così vedi che effetto ti fa? Sono sicurache se faccio una telefonata a Debbie troverà il modo di ammetterci al suocospetto.» CAPITOLO 5 San Francisco, giugno 1965 Mentre ero tremante sotto la neve in una bianca notte d'inverno, venni sorpreso da un calore improvviso che mi fece ardere il cuore; e sollevando un occhio timoroso per vedere quale fuoco si avvicinava, vidi apparire nell'aria una bella fanciulla splendente e luminosa. Robert Southwell L'auditorium del quartiere Filmore era stato un teatro di varietà prima didiventare un cinema. Aveva poi attraversato un periodo difficile ed era sta-to abbandonato per qualche anno, finché un cambiamento di gusti - e diepoca - del pubblico, ora interessato alla musica dal vivo, aveva reso eco-nomicamente possibile la sua riapertura. Il fatto che l'edificio violasse uncentinaio di norme di sicurezza era del tutto indifferente per il giovanepubblico: adolescenti scappati di casa e abitanti della Bay Area con un im-piego fisso che la sera occupavano le poltroncine vecchie e mangiate delletarme. Al posto dei cartelloni dei film di un tempo, l'esterno dell'auditorium eraricoperto di immagini dai colori violenti che annunciavano eventi prossi-mi. I gruppi avevano nomi che sembravano tratti da cartoni animati Disneye da deliri sotto l'effetto della droga. L'iconografia psichedelica che le ca-ratterizzava era surreale, una specie di Liberty mancato post-apocalittico. Erano da poco passate le nove di sera. Lo spettacolo avrebbe dovutocominciare alle sette e trenta e Blackburn salire sul palco alle nove, ma ap-parentemente alcuni dei complessi che si dovevano esibire erano in ritardoo avevano suonato più del previsto, quindi quando Colin e Claire arrivaro-no, Blackburn non era ancora giunto sul posto. Riuscivano a sentire la musica dalla biglietteria, e quando entrarono nel-l'auditorium il suono divenne un solido muro che riempiva lo spazio comefosse stata un'entità provvista di forma e peso. L'aria condizionata avevacombattuto e perso la sua battaglia: l'atmosfera era afosa e opprimente, ca-rica degli odori di tabacco, corpi poco puliti e droga. Il palco era illumina-to in modo intermittente da fari coperti di schermi colorati che si muove-

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vano continuamente. Delle scene che non sembravano avere alcun rappor-to con la musica venivano proiettate sullo schermo alle spalle dei musici-sti, immergendoli in un mare di forme e colori che si spostava senza sosta. L'effetto disorientava quanto l'esplosione di una bomba, e Colin si fermòdi scatto, con i sensi che gli turbinavano. Sentì Claire che gli afferrava unamano, non capì se per mettere in salvo lui o se stessa. Sul palco cinque ragazzi con i capelli lunghi e soprabiti di velluto si sta-vano esibendo, e i suoni amplificati e distorti assalivano gli ascoltatori co-me una forza fisica. Le chitarre sembravano dei disegni infantili, eranopiatte e dai colori vivaci, e il chiasso prodotto dalla batteria riecheggiavanell'auditorium affollato come colpi di fucile. «Che frastuono!» gli gridò Claire nell'orecchio, e Colin annuì. La folla era assiepata nel vecchio teatro come in un bazar del Cairo, esudava abbondantemente nell'aria immobile. Nonostante questo c'erano al-cune poltroncine vuote nelle ultime file, e Colin, ripresosi, si diresse daquella parte con Claire dietro. Una volta seduto, colse l'opportunità perguardarsi attorno. La galleria era chiusa perché troppo pericolante per sostenere il peso delpubblico; era tuttavia piena di gente che urlava, batteva le mani e danzavaal ritmo della musica; il volume era tanto alto che i suoni prodotti dallabatteria e dai bassi fecero cadere scaglie di intonaco dalle pareti e dal sof-fitto durante tutta la performance. Sebbene quel luogo non gli risultasse familiare, Colin intuì che vi aleg-giava un senso di gioiosa anticipazione, una specie di attesa da mattina diNatale, come se di lì a poco stesse per succedere qualcosa di meraviglioso,che per troppo tempo era stato assente dal mondo. Ecco la risposta all'u-more nero che l'aveva tormentato di recente, la confutazione del senso dideclino e disperazione. Non era invecchiato, realizzò Colin con un'improvvisa illumuiazione do-lente. Si era stancato. Quando, esattamente, aveva perso la capacità di provare una gioia delgenere? Quando la sua vita era diventata un cammino da terminare con ilminor numero possibile di errori invece di un'avventura gloriosa da ap-prezzare? Il Sentiero insegnava che i discepoli dovevano rischiare la pro-pria vita oltre che metterla in salvo: quando aveva perso di vista quella ve-rità eterna? «Il volume si alzerà sempre di più», lo avvertì Claire, stringendogli lamano per assicurarsi che avesse udito le sue parole in quel frastuono.

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«Sopravviverò», le promise Colin. Non era la musica il problema, cominciò a capire. Come in un anticoculto dionisiaco, la folla aveva raggiunto un rapimento mistico, sollecitatadalla musica, dall'attesa e dall'esperienza di altri cento concerti simili. Ilcomplesso attaccò un nuovo pezzo e il pubblico urlò entusiasta e cominciòad applaudire, Colin non capì se a tempo con il suono stridente e distortodelle chitarre elettriche o semplicemente per dimostrare il proprio apprez-zamento. Non riusciva a condividere l'entusiasmo dei presenti, ma almenocominciava a capire dove portava: sul sentiero verso l'Invincibile Sole se-guito dai Cercatori di ogni generazione. Ma in questa generazione era come se i pionieri avessero deciso che, unavolta compiuto il viaggio, non si sarebbe dovuto lasciare indietro nessuno.Tutti dovevano andare. Le porte della percezione sarebbero state aperte atutti. Due ore dopo l'opinione di Colin era rimasta immutata, anche se l'umoreera nettamente peggiorato e la testa gli doleva per quel frastuono continuoe le luci psichedeliche che l'accompagnavano. Blackburn non era ancoraapparso, e c'era ben poca differenza tra i suoni che i musicisti producevanosul palco e quelli degli operai edili con i martelli pneumatici, almeno se-condo Colin MacLaren. La gola e i polmoni gli bruciavano per tutto quelfumo che aleggiava a mezz'aria. Se si sentiva già stordito a respirare quelloaltrui, poteva solo immaginare cosa sentivano quelli che stavano fumandoerba. Il gruppo smise di suonare tra le grida deluse della folla. I musicisti stac-carono le chitarre e scesero dal palco, e calò un telone tra la batteria sullapiattaforma e il proscenio. Tutte le luci si spensero. Nell'oscurità si udì il suono amplificato di un flauto e di una voce cherecitava l'«Inno al sole» di Eschilo in un greco antico perfetto. Poi un riflettore rosso si accese, illuminando una figura con un costumefantastico; una lunga marsina nera su una maglietta colorata a mano, jeanssu cui erano cuciti degli strass e un lucido cappello a cilindro su cui si ve-deva il disco di Ureo affiancato da due cobra scintillanti. «Signore e signori, Epopti e Illuminati: il Magister Ludens della NuovaEternità, Thorne Blackburn!» Thorne Blackburn si rivelò più giovane di come Colin lo immaginava:

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era un ragazzo uscito da poco dall'adolescenza, poteva avere addirittura l'e-tà di Claire. Lunghi riccioli biondi gli coprivano le spalle, facendolo sem-brare un incrocio tra il generale Custer e un Gesù da grandi magazzini po-polari. Aveva gli occhi di un azzurro tanto intenso che conservavano il lo-ro colore nonostante la violenta illuminazione teatrale. Ciò che Thorne diede al pubblico quella sera fu un'accozzaglia blasfemadi autentici insegnamenti della Scuola del Mistero, trucchetti da quattrosoldi, poesia Beat e storia popolare, e la promessa che, concentrandosi supensieri positivi, i suoi ascoltatori avrebbero potuto rivestire il ruolo di SanGiorgio contro un drago militare-industriale di avidità e corruzione inter-nazionale. Ciò che affermava quanto alla sua storia personale e alla forma-zione ricevuta nel campo dell'occulto era troppo incredibile per essere pre-so sul serio, e in generale il pubblico sembrava considerare i suoi commen-ti come parte dello spettacolo. La sua parlantina denotava la dimestichezzadell'illusionista navigato, e forse solo Colin si accorse che, nello spazio dicinque minuti, Blackburn era riuscito a ottenere il silenzio e l'attenzionedel pubblico mentre spiegava in breve i quattro elementi essenziali che co-stituivano anche la base della creazione. Per quanto la sua liturgia fosse pasticciata e riveduta, e quindi risultassecomplessivamente sminuita, i rituali di Blackburn esercitavano un certopotere; Colin lo avvertì. Era una follia, una pazzia approssimativa e privadi disciplina, come un lanciafiamme dato in mano a un bambino, ma Bla-ckburn la rendeva efficace. Colin sentì la potenza che riusciva ad accumu-lare, e se ne accorse pure Claire che tremava incerta e gli stringeva la manoper sentirsi rassicurata. «... così che, mentre voi diventate parte dell'Universale, ragazzi e ra-gazze, l'Universo diventa una parte di voi. Invitiamo allora l'Universo allafesta!» Mentre Blackburn parlava, altre figure, vestite con lunghe tuniche prov-viste di cappuccio, erano salite sul palco. Quattro di loro recavano i fami-liari Strumenti del mago - spada e piattino di metallo, bacchetta e ciotola -,e altre due portavano una candela accesa e un turibolo che emetteva undenso fumo, una nebbia che cambiava colore quando le diverse luci lo at-traversavano. Rapidamente - era ben cosciente della velocità con cui si rischiava diperdere l'attenzione dell'audience - Blackburn evocò gli Elementi: terra,acqua, aria e fuoco. La sua voce amplificata tuonò riversandosi sulla folla,e nel suo discorso teatrale comparivano anche i grandi Nomi, che Colin

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aveva giurato di mantenere segreti, gettati alla portata di chiunque comeperle sulla riva del mare. Signore della Luce, sa cosa sta facendo, fu il primo pensiero inorriditodi Colin. Era una forma di magia che non aveva mai visto: era magia senzaforma, senza rituale, un casuale richiamo delle forze elementari della crea-zione, grazie solo alla forza del carisma di Blackburn. Era un potere evoca-to senza protezioni, senza limiti, un'energia attirata grazie al solo pontedell'amore, come tra entità di pari livello. Indignazione, irritazione e shock minacciarono per un attimo di som-mergerlo, ma Colin si controllò. Aveva saputo prima ancora di venire cheBlackburn aveva ricevuto una sorta di preparazione nel campo della magia,dopotutto, e non si escludeva qualcuno dagli Ordini Bianchi senza un mo-tivo valido. Come molti altri prima di lui, Blackburn aveva evidentementedeciso di impiegare i Grandi Segreti che gli erano stati rivelati a fini mon-dani; e, come per chi l'aveva preceduto, la maggiore difesa dell'Ordineconsisteva semplicemente nell'ignorarlo, proteggendo i Segreti da una dif-fusione secondo canali sbagliati. Con la stessa velocità con cui aveva carpito l'attenzione del pubblicoBlackburn la liberò, lasciando i partecipanti euforici dopo quel fugace con-tatto con il Mondo Invisibile. Prese la candela da uno dei suoi seguaci e ilpalco tornò a sprofondare nell'oscurità, da cui emergeva solo il viso diBlackburn illuminato dal basso dalla fiamma dorata della candela. «La Nuova Eternità sta arrivando», declamò. E soffiò sulla fiamma. Il buio venne quasi immediatamente riempito dai giochi dei riflettori sulpalco, e il pubblico si calmò, piacevolmente eccitato, in attesa dell'attra-zione principale. Colin incrociò lo sguardo di Claire, e la giovane fece uncenno con la testa in direzione del bordo del palco. Blackburn sarebbe sce-so da lì. I due si alzarono e cominciarono ad avanzare tra le file di pol-troncine. Be', adesso almeno l'aveva visto, si disse Colin. Ma stranamente, piùaumentavano le informazioni in suo possesso, meno sapeva cosa pensare. Claire precedette Colin oltre la porta che portava dietro le quinte. Il pas-saggio era ingombro di persone ed equipaggiamento, ma Blackburn si ri-conosceva subito, se non altro dal cappello. Era circondato da un drappellodi quelli che a Colin apparvero discepoli e sostenitori, e fu sollevato dalvedere che Jonathan non era tra loro.

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Blackburn alzò lo sguardo e individuò Colin, e negli occhi improvvi-samente stretti in un'espressione sospettosa - la diffidenza con cui ulti-mamente tutti quelli sotto i trent'anni sembravano guardare gli ultratren-tenni - Colin vide il riflesso dell'aria inadeguata che doveva avere lì, inmezzo a gente con magliette multicolori e jeans. Fortunatamente Deborah Winwood era stata una dei collaboratori incap-pucciati che aveva portato sul palco il materiale scenico. Quando videClaire, squittì e gettò le braccia al collo dell'amica più alta. L'espressionedi Blackburn passò a esprimere un disinteresse perplesso, e si voltò perparlare con un altro dei seguaci. «Claire! Speravo che saresti venuta», esclamò Debbie. «Hai l'aria così...regolare», aggiunse, come se in quel momento vedesse Claire per la primavolta. «Sono regolare», precisò Claire sorridendo. «E tradizionalista, anche.Debbie, questo è Colin MacLaren; ti ho parlato di lui.» Deborah Winwood era una di quelle splendide donne che avevano datovita al mito delle «ragazze californiane». I lunghi capelli biondi avevano lariga in mezzo e ricadevano, dritti e luminosi, ai lati del viso; Deborah fis-sava Colin con gli occhioni da cerbiatto spalancati, finché lui non comin-ciò a chiedersi cosa poteva aver detto Claire alla ragazza per giustificarequell'espressione sul suo viso. «Felice di conoscerti», disse Deborah con una vocina esitante. Stava per aggiungere qualcosa, quando il complesso sul palco, dopo aversalutato rumorosamente il pubblico per qualche minuto si mise im-provvisamente a suonare. Anche se erano isolati dal gruppo da un murospesso, e si trovavano comunque dietro gli amplificatori, Debbie alzò lespalle con aria di scusa, come se la conversazione fosse diventata di colpoimpossibile invece che semplicemente difficile. Fece segno di seguirla, eClaire e Colin le andarono dietro incespicando nella zona male illuminata eingombra dietro le quinte, in direzione di Blackburn. «Thorne, guarda!» esclamò Debbie quando fu a portata di orecchio. «Èvenuta Claire, la ragazza per cui ti ho chiesto i biglietti, ricordi? E ha por-tato il suo amico, ehm, Colin.» Aveva alzato la voce per sovrastare la musica, e per un attimo Colinpensò che Blackburn non avesse sentito, ma poi voltò le spalle all'uomocon cui aveva appena parlato. Nel frattempo si era tolto il cappello e lamarsina, e indossava l'uniforme quasi universale dei giovani di quell'e-poca, jeans (anche se con gli strass) e maglietta.

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«Sono Colin MacLaren», disse Colin, tendendo la mano. Contemporaneamente Debbie disse: «Thorne, questa è Claire...» Per un attimo Blackburn apparve stupito: Colin aveva avuto ragione cir-ca la sua età - aveva poco più di vent'anni al massimo -, il che significavache aveva accumulato una quantità notevole di esperienza e di titoli nelcampo della magia per essere così giovane. Ma decise evidentemente diessere amabile, anche se solo per far piacere a Debbie. Blackburn rise e strinse la mano di Colin. «Poliziotto o federale?» chieseallegramente. Ci volle un attimo a Colin per capire, e si chiese se avesse udito bene leparole di Blackburn con tutto quel baccano. «No, non sono un poliziotto.»Non di questo mondo, almeno. «Insegno a Berkeley. Credo conosca unodei miei studenti, Jonathan Ashwell.» Blackburn aveva ancora l'aria perplessa, anche se chiaramente aveva ca-pito di chi stavano parlando. «È qui a causa di Johnnie? Che cosa le ha det-to?» C'era qualcosa di straniero nell'inglese di Thorne Blackburn; una certasfumatura proletaria che avrebbe rivelato le sue origini britanniche anchese Colin non avesse ancora conosciuto quel particolare della sua vita. «Ha detto che lei è la speranza della New Age», affermò Colin espli-citamente. Un altro avrebbe provato ad addolcire una dichiarazione tanto ine-quivocabile, ma Blackburn si limitò ad allargare il suo sorriso. «Sono venuto per condurvi in una nuova era, dove la grande separazionedell'inizio del Tempo sarà ricomposta; dove cuore e mano, mente e corposaranno uno», intonò con voce stucchevole, inchinandosi con gesto teatra-le. «Mi interesserebbe sapere come progetta di farlo», intervenne Colin consarcasmo. «Jonathan ha detto...» «Johnnie è uno sciocco credulone, alla ricerca del Messia», lo interruppeBlackburn non senza cortesia. «Io gli darò qualcosa di meglio. Gli daròuna mente tutta sua.» Il complesso smise di suonare. «Thorne ha quasi trecento anni», Colin udì Debbie spiegare a Claire inquell'improvvisa pausa. «Un tempo era... be', sai, un grande mago france-se, il conte di Cagliostro o qualcosa del genere.» Colin lanciò un altro sguardo a Blackburn, che aveva udito la frase. «È questo che gli racconta?» chiese Colin, senza riuscire a evitare un to-

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no di rimprovero. «Racconto loro un sacco di cose», replicò Blackburn con aria ambigua.«Se vuole saperne di più, perché non viene da noi? C'è una festa.» Si voltò, facendo cenno a Colin e agli altri di seguirlo, e uscì dalla portache portava nel vicolo posteriore. Alle loro spalle, la musica ricominciò. La tiepida aria estiva sembrò quasi fredda dopo il calore opprimente del-l'auditorium. La canzone, ridotta a un livello di volume accettabile dallepareti del vecchio teatro, divenne uno sfondo adeguato per l'addobbo sgar-giante della stradina. Le pareti del vicolo erano tappezzate da poster cheannunciavano eventi e manifestazioni varie, e un pulmino Volkswagen eraparcheggiato a metà strada, con le luci e il motore accesi. «Seguiteci», dis-se Blackburn voltandosi indietro mentre si avviava al veicolo. «Thorne dice che potete venire con noi! Vi faccio vedere la strada.»Debbie si era tolta la tunica lucida di materiale scadente che aveva indos-sato sulla scena e rimase a guardarli speranzosa. Colin alzò impercettibilmente le spalle, cogliendo lo sguardo di Claire.Era venuto per vedere il cosiddetto Magister Ludens, e la possibilità di os-servarlo nel suo territorio non andava sprecata. Sul tragitto fino alla macchina Debbie continuò a ciarlare ininterrotta-mente. Debbie Winwood sembrava convinta che Claire, almeno, fosse ve-nuta per unirsi alla crociata del Maestro, e le stava raccontando tutto quelloche, a suo avviso, doveva sapere. Nel tempo necessario a tornare all'audi-torium Colin aveva appreso che Thorne Blackburn era il conte di Caglio-stro o la sua reincarnazione, che era stato generato da un essere angelicoevocato in un circolo magico dal mago Merlino, e che possedeva la pietrafilosofale che garantiva l'immortalità fisica. Fortunatamente era riuscito a parcheggiare la Ford non lontano, ma ri-mase piuttosto sorpreso quando vide che gli altri lo stavano ancora aspet-tando davanti al teatro. Non c'era modo di sbagliarsi di veicolo: i pannellilaterali erano coperti da quello che appariva essere il logo del giornale un-derground di Blackburn, adeguatamente abbellito di fiori, stelle e arcoba-leni. Non appena Colin gli si arrestò dietro, il pulmino partì, ed egli fu co-stretto a seguirlo a velocità folle per le strade del quartiere Filmore. Chi eraal volante guidava con consumata abilità o con incosciente disprezzo delpericolo: Colin non sapeva con certezza in quale dei due casi si trovasse,ma ce la metteva tutta per stargli dietro.

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Mentre lui guidava, Debbie continuò a chiacchierare amabilmente, spie-gando che vivevano tutti insieme in un appartamento comune e dando aColin istruzioni per la strada da seguire un attimo troppo tardi perché po-tessero essergli utili. Se non avesse conosciuto più o meno la destinazionedel veicolo che li precedeva, l'avrebbe perso di vista almeno una dozzinadi volte, eppure non credeva che cercassero di seminarlo apposta. Eranotroppo fiduciosi per quello. Fiduciosi. Uno strano giudizio nei confronti diun gruppo a cui solo poche ore prima aveva attribuito le motivazioni piùmeschine. E restava il fatto che Thorne Blackburn era stato espulso dall'Ordine diColin, e questo escludeva la sua completa innocenza. Eppure ora che l'a-veva incontrato insieme agli altri, non era certo che fosse del tutto col-pevole. Sarebbe stato più semplice per Colin liquidare le sue affermazioni - eBlackburn stesso - se non avesse visto quell'uomo e uno dei suoi strani ri-tuali. Il giovane Magus trasmetteva infatti un'intelligenza e un'energia chenon combaciava con l'immagine di occultista imbroglione che lui e Claireconoscevano bene. Il pulmino finalmente si fermò - precipitosamente com'era partito - eparcheggiò in doppia fila in una strada laterale che portava alla linguasporgente di terra del parco del Golden Gate. Vi si affacciava una fila dicase vittoriane malandate da tempo divise in appartamenti, in cui il primopiano era stato riservato ad attività professionali svariate, al momentochiuse per la notte. Le quattro porte del furgoncino si aprirono e gli oc-cupanti cominciarono a scendere; apparentemente progettavano di lasciareil veicolo in quella posizione. Colin guardò da una parte e dall'altra dellatraversa: non c'erano altri posti liberi, e parcheggiare in una via di SanFrancisco, come tutti sapevano, era un'impresa assai difficile. «Temo che dovrò rischiare una multa», disse Colin ai suoi passeggeriparcheggiando dietro il pulmino. «È quasi mezzanotte; se qualcuno de-sidera spostare la macchina, immagino che suonerà il clacson.» E non vo-leva certo lasciarsi sfuggire la possibilità di soddisfare la sua curiosità - sedi curiosità si trattava - su Blackburn e il suo seguito. Spense il motore eseguì le due donne nell'edificio dove gli altri li avevano preceduti. Colin udì la musica prima ancora che la porta si aprisse; anche se il pul-mino aveva ospitato quasi una dozzina di persone, ce n'erano già altre nel-l'appartamento, dove aleggiava l'onnipresente foschia prodotta dagli spi-

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nelli. Il livello di rumore si alzò bruscamente quando Blackburn fece il suo in-gresso: tutti parlavano contemporaneamente e, in sottofondo, la musicapsichedelica dei Doors rimbombava. Passando inosservati, Colin e Claireseguirono Debbie nella stanza. L'appartamento era uno di quegli spazi irregolari che gli abitanti di SanFrancisco tanto amano: le proporzioni degli interni, infatti, risultavanosballate dopo la suddivisione delle case. Una finestra panoramica dava sul-la strada e sullo spazio verde retrostante. L'appartamento era arredato conun'accozzaglia di elementi male assortiti acquistati usati: un divano sfor-mato, delle lenzuola appese a quasi tutte le finestre al posto delle tende, deiposter che coprivano le crepe sui muri non intonacati. Se Blackburn cerca-va di adescare Jonathan Ashwell per il suo denaro, era ovvio che non ave-va mai fatto prima una cosa del genere; gli uffici e lo spazio abitativo dellaVoce della Verità davano l'impressione che gli abitanti vivessero di carità. Si sentiva odore di incenso nell'aria oltre all'aroma più forte di ma-rijuana, e c'erano libri accatastati dappertutto, accanto a cumuli di quelliche Colin prese per copie invendute del giornale. «Dovrò farmi disinfettare prima di tornare a casa», borbottò Claire.«Non riesco a immaginare quello che penserebbe Peter se arrivassi conquesto odore addosso.» Quando entrarono nella stanza principale, un bambino arrivò correndolungo il corridoio e attraversò la folla, urlando il nome di Blackburn. Que-sti lo prese tra le braccia e lo strinse con impeto, poi se lo appoggiò su unbraccio e accettò la birra che gli offriva una donna bruna che non era allaperformance. I sermoni di Blackburn sembravano attirare più donne cheuomini, ma questo non era raro nei culti con un leader carismatico di sessomaschile. «Questo è mio figlio Pilgrim», disse Blackburn con il bambino in brac-cio. Colin aveva pensato che si trattasse di una bambina prima che Black-burn parlasse. Pilgrim sembrava avere quattro o cinque anni; aveva gli oc-chi dello stesso colore penetrante di quelli del padre, ma più tendenti alverde. I capelli neri erano lunghi, portava una maglietta multicolore, diver-se collane di perline e un paio di jeans che erano stati amorosamente rica-mati con un motivo di fiori e rampicanti. Gli era stata dipinta una stella blusulla fronte e una margherita su ogni guancia. «Oh», commentò educatamente Colin. «Non sapevo che fosse sposato,

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signor Blackburn.» «Non lo sono», rispose tranquillamente Thorne. «Perché dovrei sot-toporre delle donne alla schiavitù di un codice religioso o legale? Finchénon reinventiamo un matrimonio capace di rispondere alle esigenze dellaNuova Eternità, rifiuto di praticarlo.» Fissò Colin con aria di sfida, aspettandosi evidentemente una reazione didisapprovazione. «Immagino che questo riguardi solo lei e la ragazza», replicò Colin convoce neutrale. «O le ragazze, dovrei dire forse», aggiunse. «\"Purché non danneggi nessuno, fa' quello che vuoi\" disse il saggio diThélème. Ma adesso venga, si diverta con noi.» Blackburn fece un gestoche abbracciò tutto l'appartamento. «Chieda quello che vuole a chiunque.Non sembra il tipo di persona che in genere viene ad ascoltare la verità, masarò felice di svelargliela.» «Una verità, almeno», disse biascicando un uomo alto in un angolo. Eravestito come un cow-boy dei cartoni animati, e portava perfino degli ampigambali scamosciati sui jeans. Blackburn si voltò verso di lui con un sorriso radioso. «Sono tutte vere,Tex; ognuna di loro. Tutte le cose sono vere, anche quelle false.» Si inoltrònell'appartamento, con Pilgrim che si guardava intorno da sopra la spalla. «Una filosofia interessante», commentò Claire, sedendosi con cautela suuna poltrona la cui imbottitura usciva da uno squarcio. «Tutto quello che fa Thorne è interessante», replicò l'uomo che Bla-ckburn aveva chiamato Tex. Era più vecchio della maggior parte della gen-te che Colin aveva visto lì quella sera. Aveva un marcato accento texano esembrava essere sulla trentina. «Il motivo è che rappresenta il canale dellaCorrente Eterna che riunirà il mondo degli Dei e degli Uomini. Sempreche non veniamo cancellati prima dalla faccia della Terra da una bomba.Posso prenderle qualcosa da bere, signora? Abbiamo del tè ghiacciato; nonci mettiamo dentro niente di strano, sa. Thorne non fa cose del genere, perniente.» Claire gli guardò oltre la spalla, dove la donna bruna che aveva offerto aBlackburn la birra stava preparando spinelli servendosi da un sacchetto diplastica pieno di erba posato sul tavolino basso che aveva davanti. Le so-pracciglia di Claire si sollevarono in modo eloquente. Tex diede un'occhiata in quella direzione e sorrise. «Oh, be', signora.Immagino sappiano cosa stanno fumando, non crede? Quello è diverso.» «Immagino di sì», ammise Claire in tono riluttante, anche se sembrava

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poco convinta. «Eravamo all'auditorium prima. Può spiegarci cosa cercava di fare il si-gnor Blackburn questa sera durante la sua esibizione? Era affascinante»,intervenne Colin. «Era tei atra sac rei», risposte Tex, e la sua pronuncia texana storpiò atal punto l'espressione francese che a Colin ci volle un attimo per capirecos'aveva detto. Théâtre sacré. Teatro sacro. «Il primo dovere di un mago consiste nel realizzare il teatro sacro», disseBlackburn, di ritorno nel locale. Si era fatto una doccia e cambiato, e in-dossava ora un dashiki dai motivi sgargianti su un paio di jeans scoloriti azampa d'elefante. I capelli umidi erano trattenuti da una striscia di camo-scio e aveva i piedi nudi. Circondò amichevolmente con un braccio le spal-le di Tex. «Tutto il mondo è un palcoscenico, eccetera.» «Ma a cosa serve?» chiese Claire, guardando Blackbum. «È serio o no?Il pubblico pensa che sia tutto un gioco.» «\"Lasciate che chi ha occhi per vedere capisca\"», citò erroneamenteBlackbum con aria misteriosa. Anche se non sembrava ansioso di pubblicizzare la sua filosofia, Bla-ckbum si sedette sul pavimento ai piedi di Claire e cominciò a parlare dellavoro che stava svolgendo a San Francisco. Sembravano tutte fantasie aColin, anche perché contenevano delle affermazioni piuttosto improbabili:Blackbum sosteneva per esempio di avere duecento anni, di discendere daesseri non umani e di essere un salvatore destinato a procurare un'età del-l'oro per gli uomini. Claire ascoltò tutto con encomiabile serietà. Per quanto riguarda Jonathan e la sua intenzione di donare ogni suo ave-re alla Voce della Verità, Blackbum continuava a far notare, quando venivainterrogato, che tutti quelli che lo desideravano erano liberi di seguirlo op-pure no, e che tutti loro mettevano in comune le loro proprietà. «Il problema del comunismo puro è che non funziona per un'economiasu larga scala. Dobbiamo smantellare gli stati-nazione e ricreare la societàa livello tribale prima di poter veramente affermare di aver seppellito i ma-li del capitalismo», affermò saggiamente Blackbum. Guardandosi attorno, Colin dovette ammettere di non vedere segni parti-colari di ricchezza, anche se immaginava possibile che Blackbum avesseun nutrito conto in banca nascosto da qualche parte. Del resto, a parte l'a-dorazione da parte delle donne, non veniva trattato con la deferenza gene-ralmente riservata ai leader degli insidiosi culti votati al controllo dellamente che stavano spuntando dappertutto come funghi dopo la pioggia.

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In realtà, Blackbum era un personaggio assai sfuggente. Al di là dellaparlantina disinvolta, c'era la traccia di qualcosa di reale, anche se Colin,pur avendo conosciuto Thorne, continuava a non capire cosa fosse. E an-che se era assolutamente cortese, Colin non poteva fare a meno di pensareche, in un certo senso, stesse ridendo di lui, come il burlone dio-coyote cherideva alla luna. «Ma le ho rubato già troppo tempo», dichiarò infine Colin preparandosiad andarsene. Aveva visto Claire soffocare coraggiosamente gli sbadiglinell'ultima mezzora, e in ogni caso non pensava che avrebbe appreso moltodi più quella sera. Era già tardi, e ormai la maggior parte dei presenti sen'era andata a letto, anche se due giovani donne con i capelli scuri - abba-stanza simili da sembrare gemelle - restavano sedute, perfettamente a loroagio, sul pavimento accanto a Blackbum. «Venite ancora, siamo sempre qui, salvo quando siamo assenti. E non sipreoccupi per Johnnie, Colin: prometto che sarà diventato scettico quandoavrò finito con lui», disse Blackburn allegramente. E Colin dedusse che avrebbe dovuto accontentarsi di quella promessaambigua. Blackburn si alzò e - affiancato dalle due ragazze, di cui Colin non sa-peva il nome - scese con gli ospiti agli scalini che portavano sulla strada. «Torna ancora a trovarci, Claire», disse Blackburn sulla porta. «E portatuo marito la prossima volta.» «Dovrei mostrarmi colpita?» replicò Claire con una certa durezza. «Vuoianche provare a indovinare come si chiama e quanto è alto?» Blackburn sorrise. «Porti la fede, non è stato difficile indovinare. E co-munque si chiama Peter, ma forse è meglio che non lo porti. I poliziotti,per qualche motivo, non approvano la nostra famigliola.» Chiuse la porta. Claire fissò l'uscio per un attimo, con un'espressioneperplessa dipinta sul viso, poi si rasserenò. «Ma certo. Debbie gli ha parlato di Peter. Devo averglielo nominatomentre discutevamo.» Colin stava guardando la strada in direzione dell'auto. Anche da lì riu-sciva a vedere il foglietto bianco di una multa che svolazzava contro il pa-rabrezza, anche se il pulmino Volkswagen parcheggiato davanti a lui nonsembrava aver ricevuto lo stesso trattamento. «È la prima regola degli occultisti imbroglioni», affermò lentamente.«Hanno sempre una buona rete di informatori. Ma Blackburn non sembrail classico truffatore. Cosa pensi di lui, Claire, onestamente?»

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«Non sono sicura.» La voce di Claire era turbata e pensierosa. «È af-fascinante, naturalmente. E lo sa. Non sembra un completo ciarlatano. Mipare che stia facendo qualcosa, anche se non so di cosa si tratta.» PARENTESI III Giugno 1965 Cosa resta da dire su Thorne Blackburn, adesso che un quarto di secoloha emesso la sua sentenza? Quando l'ho incontrato, ero quella che la miagenerazione chiamava «una giovane signora», felicemente sposata e serenaper la prima volta nella vita: fino a un certo punto ero protetta dall'indiscu-tibile carisma di Thorne, su cui tante parole - rispondenti o meno a verità -sono state scritte. Affascinava tutti coloro che incontrava, Colin compreso, anche se so chel'istinto gli suggeriva di reagire altrimenti. Penso che fosse perché Thorneamava gli scherzi e le beffe di ogni tipo, anche se non c'era alcuna maliziain lui; la gratificazione che gli davano derivava più dall'apprezzamentodella loro difficoltà tecnica che dal disturbo che potevano causare. Era difficile rimanere arrabbiati con Thorne anche nei momenti peggiori:amava stuzzicare il prossimo, e alla fine ti rendevi conto che era troppo fa-ticoso reagire con esasperazione, ed era comunque troppo complicato re-stare furiosi con lui. Il lato negativo era che Thorne Blackburn non prestava la minima at-tenzione ai buoni consigli. Era convinto che, quando la gente avesse capitola sua filosofia, l'avrebbe condivisa, e nulla di ciò che io o Colin potevamodirgli gli avrebbe fatto cambiare idea. Sono sempre stata una persona molto prosaica: immagino sia il risultatoinevitabile del Dono che sembra essere trasmesso dalla mia stirpe; quandola maggior parte di quello che appare strano e prodigioso agli altri ti riescecon tanta facilità, tendi ad assumere un atteggiamento assai pratico neiconfronti di tutto. L'unica cosa che mi abbia realmente sbalordito è statoscoprire che la gente era disposta a fidarsi di me e a credere nella mia sani-tà; una volta che ho accettato quel dono, nulla di ciò che il mondo aveva daoffrirmi mi parve stupefacente. E quindi, forse, non rimasi così sorpresa da Thorne e da quello che cer-cava di fare quanto avrei dovuto. Solo ripensandoci dopo molti anni mi ac-corgo di quanto fossero straordinarie le sue ambizioni, anche se si conside-ra l'epoca in cui viveva. In quel periodo il suo operato sembrava l'ennesi-

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mo portento in un'era carica di prodigi. Ma Thorne non voleva semplice-mente divertire, fare colpo e allietare. Thorne Blackburn aveva intenzione di cambiare il mondo. CAPITOLO 6 Berkeley, ottobre 1966 Il fiore rosso sangue della guerra con un cuore di fuoco. Alfred Tennyson Nel corso dell'autunno 1965 e della primavera seguente l'amministrazio-ne universitaria, che si trovava in mezzo a mille difficoltà e al centro degliattacchi provenienti da ogni parte che ne minavano l'autorità, cominciò areagire imponendo severe misure contro l'unico gruppo su cui esercitavaancora una parvenza di controllo: il corpo insegnante. Il messaggio che Colin MacLaren ricevette era chiaro: smettila di in-segnare agli studenti di Berkeley delle nozioni bizzarre. Doveva rigaredritto, sostenere lo status quo. Ma anche se fosse stato un insegnante con-venzionale, Colin non avrebbe potuto farlo. I suoi studenti erano alla ricer-ca di un significato con cui sostituire la devozione tradizionale della gene-razione dei loro genitori. Lo cercavano nella droga, nella politica, nel mi-sticismo di ogni genere. Quando chiedevano a Colin la sua opinione, pote-va offrire loro ben poco a parte la sua onestà, e questo sembrava metterloin una situazione sempre più conflittuale con gli amministratori dell'uni-versità. La guerra del Vietnam lo atterriva, in quanto obbligava una generazionea scegliere tra l'interpretazione letterale della legge e lo spirito di una na-zione. Dal momento che i Piani Esterni erano il riflesso di quelli Interni,Colin non poteva astenersi da quel conflitto. Combatté, come aveva sem-pre fatto, per lo Spirito. La visita del generale Jonathan Griswold Ashwell II non aveva mi-gliorato la situazione. Proprio come aveva preannunciato, Jonathan si eraritirato dall'università ed era andato a vivere nella comune di Thorne Bla-ckburn a San Francisco. Il padre di Jonathan era piombato nel suo ufficioall'inizio del semestre autunnale pretendendo che Colin - insegnante e tutordi Jonathan - tirasse subito fuori suo figlio. Quando le risposte di Colinnon lo soddisfecero, il generale andò dal rettore dell'università. Colin aveva chiamato Thorne per avvisarlo.

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I due uomini avevano continuato a vedersi dopo il primo incontro, e ri-pensando a quella serata - per quanto strana -, Colin a volte la consideravanostalgicamente come l'ultima isola di pace in una vita resa sempre piùturbolenta e priva di punti di riferimento. Disapprovava ciò che Thorne faceva, naturalmente: la Voce della Veritàera un guazzabuglio di gergo New Age, filosofia orientale, metafisica, in-segnamenti della Scuola del Mistero, il tutto condito dal personale toccoedificante di Thorne. Questi predicava il vangelo dell'Alta Magia in ognioccasione, una magia senza limiti, senza le barriere protettive che a Colinera stato insegnato a considerare come assolutamente necessarie per le pra-tiche magiche. Si trattava veramente di un comportamento irresponsabile epericoloso. Nonostante il biasimo nei confronti dell'operato di Thorne, però, Colinnon poteva fare a meno di trovarlo simpatico, e sperava che la maturità a-vrebbe attenuato l'esuberanza del giovane Magus. Da parte sua, Thorne ri-conosceva in Colin una mente affine alla sua, una persona a cui non eraobbligato a spiegare i concetti in cui credeva ma solo a giustificarli. Erauna strana amicizia, basata sulle differenze, ma costituiva un legame sor-prendentemente forte. Il telefono suonò tardi quel giorno, distogliendo Colin dalla montagna difogli che aveva davanti. Le scartoffie sembravano aumentare da un annoall'altro; dopo cinque anni a Berkeley non teneva più i corsi introduttivi,ma gli studenti degli anni superiori sembravano produrre carta quanto lematricole, se non di più. «MacLaren», disse brevemente Colin nel ricevitore. «Colin? Sono Thorne», disse allegramente una voce familiare. «Thorne? Cosa posso fare per te?» chiese Colin con cautela. Dopo la suaultima apparizione nel campus, Thorne Blackburn era una presenza sgradi-ta all'università. «Be'», spiegò Thorne amabilmente, «si tratta della mia unica telefonata adisposizione, e speravo che potessi venire qui a pagarmi la cauzione.» «In quale posto di polizia ti trovi?» chiese Colin, agguantando foglio epenna. Colin arrivò un'ora e mezzo più tardi. Non era certo la prima volta cheThorne si faceva arrestare, anche solo considerando i pochi mesi da cuiColin lo conosceva, ma fino ad allora non era stato accusato di, nessun rea-

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to che comportasse un periodo di detenzione. Quella volta era diverso. Thorne era stato arrestato perché aveva assalitoun ufficiale di polizia durante una dimostrazione contro la guerra qualcheora prima. Anche se al posto di polizia c'era, come previsto, un fideiussoreper aiutare i dimostranti a ottenere il rilascio, Thorne non era riuscito a pa-gare la cauzione. All'interno del posto di polizia c'era odore di disinfettante e di gas lacri-mogeno. Quando Colin ebbe spiegato il motivo della sua visita, le pratichevennero rapidamente sbrigate e dopo qualche minuto Thorne fu portatofuori. Aveva un aspetto spaventoso. Il sangue ormai secco che gli era uscito daun labbro ferito gli aveva imbrattato la mascella e la gola, e la camicia -decorata con stelle e strisce, autentico drappo rosso per i poliziotti an-tisommossa - era strappata alla spalla e aveva perso la maggior parte deibottoni. «Buon Dio», esclamò Colin sottovoce. Thorne gli fece un sorrisetto storto e una smorfia. «Sono caduto en-trando nel cellulare», disse con uno sguardo beffardo rivolto al poliziottoche gli stava dietro. Il viso dell'uomo era una rigida maschera di disprezzo,e per un attimo Colin si chiese cos'avrebbe potuto fare se non ci fosse statolui presente. «Be', andiamocene da qui», disse Colin bruscamente. «Siamo liberi diandare?» chiese. «Certo, amico. È tutto tuo.» Una breve sosta per recuperare gli effetti personali di Thorne e si ri-trovarono di nuovo all'aperto. «La mia macchina fotografica. Mi hanno rotto la macchina fotografica»,gemette Thorne, tenendo in mano i resti di una Leica mentre si avviavanoverso l'auto. Zoppicava leggermente. Colin non era stupito che Thorne a-vesse portato la Leica al raduno: era un appassionato fotografo dilettante eamava documentare tutto. «Forse riesco almeno a salvare la pellicola.» «Cos'è successo?» chiese Colin con aria sospettosa. Anche se era al cor-rente della violenza nei confronti dei detenuti, era strano e sconvolgenteaccorgersi che quella pratica era così radicata in America che perfino lesue vittime la accettavano come un dato di fatto. Quand'è che gli Stati Uni-ti erano diventati uno stato di polizia? «Sei sicuro di volerlo sapere?» chiese Thorne. «Ah, prima di dimen-ticarmi... ecco i tuoi soldi.» Ripose delicatamente la macchina fotografica

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in frantumi nello zaino e frugò nel portafoglio da cui estrasse una mazzettadi biglietti da venti e l'allungò a Colin. Di fronte alla sua espressione perplessa si mise a ridere. «Allora perchéti ho chiamato se avevo il denaro per la cauzione? Il problema era pagarela cauzione senza avere accesso ai miei soldi. Lo fanno ogni volta. È unmodo per tormentare le persone arrestate, ma è legale. Ci vogliono scaccia-re dalle strade: non è un segreto.» «Forse se non ti dimostrassi così ostile...» Colin prese il denaro e se loficcò in tasca dopo averlo piegato. «Come l'autunno scorso, quando gli Ahgels ci hanno attaccati e i po-liziotti sono rimasti a guardare senza intervenire? Svegliati, Colin: c'è unaguerra per l'anima dell'America, e la si combatte per le strade. Tu da cheparte stai?» Era una domanda a cui Colin aveva risposto molto tempo prima: avevagiurato di servire la Luce. Solo che, quando aveva fatto quella promessa, ilmondo era più semplice. Oggi non era certo di saper riconoscere quale del-le due parti fosse quella della Luce. «Immagino tu sia convinto che ci debbano per forza essere due schie-ramenti», indagò Colin, cercando di prendere tempo. «E quale sia quelloche ha ragione, vero?» Erano arrivati alla macchina; Colin aprì lo sportellodel passeggero e Thorne salì. «Diavolo, sì!» esplose Thorne. «Se un gruppo di ragazzotti che non vo-tano ancora possono mandare a morire dei bambini in Vietnam, cosa do-vrei fare, non reagire e sostenere che il napalm è uno strumento della poli-tica americana? Sono loro i cattivi, vogliono trasformare gli Stati Unitid'Amerika, con la kappa, in uno stato di polizia in modo da poter sottrarreal fisco una parte dei profitti! Lockheed e Dow Chemical vanno d'amore ed'accordo col Pentagono: non puoi stare a guardare senza intervenire, ami-co! È una lotta accanita e sono loro che stanno vincendo. Devi prendereposizione: insegni a Berkeley, se parlassi chiaramente, servirebbe a mol-to.» In realtà Colin aveva già espresso la sua opinione, ma l'attivismo politicoera l'ultima cosa che Thorne propugnava, e Colin non condivideva unagrande parte della sua filosofia. «Adesso non mi va di discutere con te, Thorne», dichiarò Colin, av-viando il motore. Anche se stimava l'amico per le sue opinioni politiche eapprovava la tradizione americana del dissenso, non riusciva a sopportarela disinvoltura con cui sprecava i suoi natali e la formazione ricevuta per

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beffarsi di ciò che Colin aveva di più caro. «Non vuoi mai discutere con me», protestò Thorne. «O almeno, non giùnelle trincee dove le parole sono importanti. Maledizione, non mi hai nep-pure detto di essere uno di noi.» Colin lo guardò con la coda dell'occhio, e gli vide abbozzare lo stessocurioso saluto che Toller Hasloch aveva fatto anni prima. Con uno sforzodi volontà si costrinse a ignorarlo. Nessun appartenente all'Ordine dovevasalutare in quel modo un Iniziato che era stato bandito. «Non sono uno di voi, Thorne», disse Colin con voce pacata. «Qua-lunque cosa pensi di essere. E adesso, dove ti porto? Da me?» «Alla clinica Bellflower», rispose Thorne inaspettatamente. «Lì c'è Clai-re. Kate è con lei; eravamo d'accordo di incontrarci lì quando fossi uscitodi prigione.» Come molti attivisti esperti, Thorne si aspettava - e anzi, cer-cava attivamente - di essere arrestato ogni volta che partecipava a una di-mostrazione. «Katie è incinta, quindi oggi non la volevo per le strade. È stato un bene.Quei porci di piedipiatti erano particolarmente crudeli.» Colin si chiese perché Thorne non avesse chiamato Claire per farsi tirarfuori di prigione, visto il suo coinvolgimento con i dimostranti, poi deciseche probabilmente non aveva voluto implicarla. Se avesse chiesto alla mo-glie di un poliziotto di andare a pagare la cauzione di uno hippie pacifista,la cosa sarebbe potuta risultare imbarazzante per Peter. Il tatto di Thorneriaffiorava nei momenti più impensati. «Congratulazioni. Immagino che voi due non abbiate intenzione di spo-sarvi», disse Colin in tono rassegnato. «Perché dovrei sposare Kate in particolare?» Thorne sembrava sin-ceramente sorpreso. «Io... ahi!» protestò, agitandosi sul sedile. «Sei sicuro che non hai bisogno di un ospedale?» chiese Colin. «Claire è infermiera», gli ricordò Thorne. Tacquero per un po' mentre Colin si dirigeva verso la clinica. «Non puoi dare sempre per scontato che gli uomini al governo siano ibuoni», riattaccò Thorne dopo qualche minuto. «Hai già avuto modo divederne le prove. Hai una responsabilità...» «Proprio tu vieni a parlarmi di responsabilità!» sbottò Colin esasperato.«Sostieni di conoscere i segreti più profondi della vita e della morte, e pro-stituisci quelle arti per trasformarti in una specie di circo dei media. Nes-suno ti prende sul serio, Thorne, te ne sei mai accorto? Anche se affermi divenerarlo, in realtà trasformi l'occulto in una pagliacciata, in uno scherzo.»

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«La gente ricorda gli scherzi, Colin», gli fece notare Thorne. «Nessunoti ascolta in questi giorni a meno che tu non sia accompagnato da clown eballerine. Preferisco dare vita a una tradizione vivente che conservare lamummia di quella ormai morta.» È questo che pensi di noi? pensò Colin. Era questo che aveva pensatoJonathan quando aveva deciso di seguire Thorne invece di intraprendere ilSentiero? «Andiamo, Colin», lo sollecitò Thorne con aria suadente. «Unisciti a noio mettiti contro di noi, ma fa' qualcosa. Vuoi veramente passare il restodella tua vita a fare il consulente psichico della squadra antitruffa della po-lizia di Berkeley, a smascherare imbroglioni che fanno ballare i tavolini?Stai proteggendo persone che non lo meritano. Se sono creduloni, tanto va-le che siano derubati.» Le parole di Thorne lo colpirono in un punto debole, sollevando ancorauna volta lo spettro del Gruppo Tule nella mente di Colin. Toller Haslochera stato il primo a sostenere che fosse in corso una guerra per l'anima del-l'America, e Colin ci credeva più profondamente di quanto Thorne avrebbemai potuto sapere. Ma sapeva anche che, se parlava delle sue paure, Thor-ne le avrebbe liquidate come parte della Vecchia Eternità che non meritavail disturbo di nessuno. A volte i giovani potevano essere ciechi quanto ivecchi. «Il darwinismo sociale non si accorda tanto bene con la protesta controla guerra», obiettò Colin in tono irritato. «Ci sono molti problemi in questoPaese, ma il suo scopo è ancora proteggere i deboli e assicurare la giustiziaa tutti. Non penso di essere pronto a gettare al vento duecento anni di co-stituzione e di dichiarazione dei diritti solo perché affermi che il governosia corrotto.» «Non lo è forse?» chiese Thorne con fare misterioso. «Dovresti con-trollare tu stesso. Rimani ancora per un po' a fianco dei tuoi vecchi com-pagni di guerra, amico.» Colin non si prese neppure il disturbo di ribattere; era troppo esasperato.Fortunatamente arrivarono a destinazione prima che uno dei due potesseaggiungere altro. La clinica Bellflower era una delle nuove cliniche libere sorte di recenteper fornire un'assistenza medica di base ai figli illegittimi e alle persone dipassaggio, entrambi in continuo aumento. I pazienti pagavano quello chepotevano - o non pagavano per niente - e le spese d'esercizio venivano co-

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perte grazie a donazioni e sovvenzioni. Claire vi lavorava come volontariaper alcune ore alla settimana. Benedicendo la sua fortuna, Colin trovò un posto per parcheggiare pro-prio dietro la clinica. Prima che Thorne avesse potuto aprire lo sportello,Katherine Jourdemayne uscì dalla porta posteriore e gli corse incontro. Thorne aveva detto che Katherine aspettava un bambino, ma la suasilhouette era ancora snella e acerba come sempre. Gli gettò le braccia alcollo e lo strinse con passione, come se avesse temuto di non vederlo maipiù. Thorne fece una smorfia ma non la respinse. «Ce la fai?» chiese Colin, facendo il giro dell'auto per avvicinarsi aThorne. Thorne si appoggiava a Katherine. Claire, che aveva seguito la ragazzapiù lentamente, li raggiunse in quel mentre e ispezionò con aria critica ilviso di Thorne. «Ciao, Colin. Ciao, Thorne. Vedo che è tornato il nostro eroe dopo l'en-nesimo combattimento», aggiunse con sarcasmo. «Ti fa molto male?» Thorne rispose con il suo solito sorrisetto storto. «Sai come dicono,Claire.» «Be', entra ora», disse Claire. «Ti diamo una ripulita.» Lanciò unosguardo interrogativo a Colin. «Penso che tornerò al campus. Ho avuto abbastanza emozioni per oggi»,dichiarò. E se fosse rimasto, avrebbe certamente litigato ancora con Thor-ne, impegnandosi in una discussione che nessuno dei due poteva vincere. Ma mentre guidava in direzione del campus, non riuscì a non pensare al-le parole di Thorne. Stava davvero facendo tutto quello che poteva - e do-veva - per favorire la Luce in questo mondo? Anche se insegnare gli pia-ceva, non insegnava certo le cose che a suo tempo aveva imparato. As-sisteva quelli che si trovavano già sul Sentiero, non era lui a impostarli inquella direzione. Ma come poteva essere sbagliato? Nessuno meglio di lui sapeva che c'e-rano diversi gradi e diverse sfumature di giustizia, ma il senso di ina-deguatezza che avvertiva non giustificava comunque l'accusa di inattivitàtotale che Thorne gli aveva lanciato. Non c'erano risposte facili, pensò Colin mentre si sedeva di nuovo allascrivania e contemplava le scartoffie che lo aspettavano. Il fermacarte conla spada d'argento scintillava sulla cima di una pila di cartelle. Non c'eranorisposte facili né rapide. L'impazienza era una delle strade che portavano

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più sicuramente alle Ombre. Estrasse la pipa e armeggiò per qualche minuto. Una volta che l'ebbe ac-cesa, prese il primo foglio e cominciò a leggere. Era difficile credere che avesse vissuto lì per cinque anni, pensò Colinoziosamente mentre, qualche ora dopo, saliva i gradini che portavano alsuo bungalow. Per una settimana non ci sarebbe più stato lavoro d'ufficioda sbrigare: a volte pensava che gli amministratori dell'università sa-rebbero stati perfettamente soddisfatti se non avesse insegnato nulla a nes-suno studente, purché i documenti burocratici fossero in ordine. Cinque anni: un periodo abbastanza lungo per mettere radici, amare lecolline di Berkeley e cominciare a capire l'adorazione che i suoi abitanti ri-servavano a San Francisco. Stava facendo una buona carriera in campo ac-cademico, aveva un'assicurazione sulla vita e una pensione per il futuro,eccetera. In un certo senso, aveva raggiunto la sicurezza. Ma era ve-ramente quella la forma che voleva dare alla sua vita? Non c'erano risposte facili, si ricordò ancora una volta. E nulla che ri-chiedesse una decisione immediata. Non aveva alcun bisogno di interve-nire in modo affrettato. Entrò in casa, fermandosi per raccogliere la posta dalla cassetta accantoalla porta. C'era una lunga busta color crema proveniente dal Gruppo Rho-des. Volevano che andasse a lavorare per loro; un amico di Claire era giàloro consulente, e Colin aveva incontrato uno dei direttori a un seminarioalcuni anni prima. Era una proposta allettante, ma non sarebbe riuscito a stabilire tutti icontatti che gli consentiva l'insegnamento della parapsicologia a Berkeleyse si fosse dedicato alla ricerca pura con il Gruppo Rhodes. E l'accettazio-ne della parapsicologia si poteva più facilmente ottenere lavorando nelmondo accademico che facendo consulenze per un istituto rispettato mapiccolo. Sempre che la riuscita del suo progetto non fosse solo un miraggio. Chedifferenza c'era tra «poteri psichici» e «superstizione» nella mente delpubblico? Colin scosse il capo, sentendosi improvvisamente spossato. Ac-cantonò la lettera per rispondere più tardi. C'era il solito cumulo di bollette e pubblicità, oltre a una lettera per-sonale e a una proveniente dall'università. Portò le due buste in cucina e le appoggiò sul bancone, guardandosi in-torno alla ricerca della teiera. La donna di servizio era stata lì quel giorno,

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con la conseguenza che la cucina era incredibilmente pulita e che Colinnon riusciva a trovare niente. Alla fine la individuò e tornò a concentrarsisulle missive. La lettera di Berkeley gli veniva dall'ufficio del preside di facoltà. Colinstrappò la pesante busta, chiedendosi come mai non gli fosse giunta trami-te la posta interna. Scorse rapidamente il testo in linguaggio burocratico, poi lo rilesse piùlentamente. Era la notifica di una proposta di censura. Colin veniva condannato perle sue attività radicali (ovvero contro la guerra) e per il fatto di insegnareconcetti e manifestare opinioni contrari alla posizione espressa dal consi-glio di amministrazione, che costituivano una minaccia potenziale per ilcarattere degli studenti, nei confronti dei quali l'università agiva in locoparentis. Sembrava che gli sforzi del generale Ashwell avessero finalmente dato iloro frutti. Ci sarebbe stata un'udienza, in cui Colin avrebbe avuto l'op-portunità di difendersi da quelle accuse. A seconda del suo esito, la letterache teneva tra le mani sarebbe stata conservata nella sua cartella perso-nale... oppure no. La data dell'udienza era il mercoledì successivo, il chegli lasciava pochissimo tempo per prepararsi. L'insistente fischio del bollitore lo riportò al presente. Appallottolò confare rabbioso la lettera e la gettò nella spazzatura, ma quel gesto non cam-biava la situazione. Immaginava che l'indomani avrebbe dovuto co-minciare a chiedere in giro come ci si comportava in casi del genere. Perl'ultimo reclamo inserito nella sua scheda personale non erano state fattetutte quelle cerimonie. Cercando di concentrarsi sul presente, Colin si versò il tè e ne portò consé una tazza per berla in salotto. Solo allora ricordò l'altra lettera e dovettetornare in cucina a prenderla. Veniva da Nathaniel Atheling. Colin ebbe un tuffo al cuore aprendola,già immaginando cosa poteva contenere. Il Sigillo dorato della Loggia eraimpresso in cima al foglio piegato di pergamena, e sotto apparivano pocherighe nella calligrafia elaborata di Atheling. Colin veniva convocato a Londra per partecipare a un incontro del-l'Ordine Interno. Riunioni del genere erano organizzate di rado; l'ultima risaliva a più divent'anni prima. Le Logge lavoravano in modo indipendente e silenzioso,senza la politica interna o la sete di potere tipica di alcuni Ordini Bianchi

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dal carattere più tipicamente pubblico. Perché il Capo Visibile dell'Ordinemandasse una convocazione del genere significava che la situazione dove-va essere grave. Non c'era dubbio, doveva partire subito. Colin sollevò il ricevitore e cominciò a comporre un numero. Due giornidopo era a Londra, la convocazione del preside ormai dimenticata. Si incontrarono in un tranquillo alberghetto vecchio stile in una stradalaterale di Piccadilly. Pur provenendo da ogni angolo dell'Europa e del-l'Estremo Oriente, quegli uomini e donne erano più vicini a Colin di quan-to la sua famiglia non fosse mai stata. Non incontrava molti di loro da ven-ticinque anni, e altri che aveva sperato di vedere erano tristemente assenti.Nella stanza c'erano circa venti persone, tutti Maestri o Adepti dei Gradisuperiori - Maestro del Tempio Interno e gradi più alti -, e Colin fu turbatodal fatto di essere tra i più giovani presenti. I membri della Loggia si eranogradualmente ridotti nel corso degli anni. Il mondo del dopoguerra progrediva troppo rapidamente; pochi in quelperiodo erano attratti a un Sentiero che richiedeva anni di studio e di dedi-zione per una scarsa ricompensa visibile. Coloro che cercavano tale tipo diilluminazione in quei tempi impiegavano più volentieri delle sostanze allu-cinogene, che garantivano almeno l'illusione del potere. Ma era un potere senza controllo e una perspicacia senza saggezza; unaricerca della verità che portava quasi tutti alla confusione e alla disil-lusione. Anche se lo scopo della sua vita era il miglioramento intellettuale e la fi-ne della superstizione, Colin si chiese - non per la prima volta - se era ilcaso di insegnare apertamente le discipline del Sentiero. Ne aveva certa-mente acquisito il diritto, ma la diffusione di quei principi implicava moltetrappole. La domanda non era cosa poteva fare, ma cosa doveva fare. Inse-gnare significava rischiare molto, soprattutto in un periodo tanto tormenta-to. E se le sue ricerche in campo parapsicologico gli fruttavano una censu-ra da parte dell'università, figurarsi come avrebbero reagito se avessero sa-puto che cercava nuovi Adepti per una Loggia di magia. Una figura familiare si fece strada nel locale affollato nella sua dire-zione. «Colin, sono felice che tu sia potuto venire», lo accolse Nathaniel Athe-ling, come se ci fosse stato qualche dubbio sul fatto che Colin MacLarenobbedisse a quella convocazione. Lo psichiatra era vestito in modo corretto e poco appariscente con un

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completo di tweed inglese; l'unico particolare inaspettato era lo scarabeoantico di porcellana azzurra che gli pendeva - come sempre - dal collo. «Vorrei che le circostanze della mia venuta fossero più liete», risposeColin, stringendo la mano dell'amico per salutarlo. Si guardò attorno. «So-no tutti qui?» «Per quanto ne so», rispose Atheling in tono grave. I membri dell'Ordine operavano nella vecchia tradizione del segreto edell'isolamento, non tanto per la paura di essere perseguitati in quell'epocaormai liberale, ma per il desiderio di evitare le distrazioni che li distoglies-sero dall'ascolto della voce immobile della Luce. Era raro che l'Ordine co-municasse con i suoi membri, e ancora più raro che li riunisse tutti. Ed erano così pochi... La porta della stanza interna della suite si aprì e l'ultimo membro delgruppo entrò. L'attuale Capo Visibile dell'Ordine era una donna con i capelli grigi epenetranti occhi azzurri. Colin l'aveva incontrata una sola volta in un tem-po che gli sembrava incredibilmente lontano. Nel mondo esterno era notacome Donna Ellen Lindsey. Donna Ellen aveva da poco superato i sessant'anni e camminava solo aprezzo di grandi sforzi, aiutandosi con due bastoni neri. Era vestita com-pletamente di nero, e non portava segni esteriori che ne denotassero il ran-go o la distinguessero dagli altri. «Amici miei», disse, lasciandosi cadere pesantemente su una sedia. «Visaluto tutti nel nome del Sole Invitto e mi scuso per avervi sottratto allevostre vite normali. Ma c'è una questione che vi devo sottoporre e di cuil'Ordine deve occuparsi, anche se ho aspettato forse troppo per farlo.» Per quasi due ore Donna Ellen parlò, fornendo nomi e luoghi, date e fat-ti, e lentamente una storia agghiacciante cominciò a emergere. Colin neconosceva già una parte - viveva in California, dove i culti più eccentriciproliferavano, ed era stato in prima linea nella battaglia contro l'OrdineNero -, ma ugualmente l'immagine complessiva era più preoccupante diquello che avrebbe potuto immaginare. Le forze occulte che l'Ordine aveva contrastato tanto disperatamente unquarto di secolo prima non erano state distrutte, come un tempo avevanocreduto. Come orribili e perniciosi insetti gli Ordini Neri si erano nascostinel corpo del loro nemico più accanito, e ora ne emergevano ancora unavolta rigenerati. Dai primissimi giorni del Terzo Reich, una cricca nelle alte sfere del go-

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verno americano aveva simpatizzato con i suoi obbiettivi, e aveva im-pedito all'America di intervenire all'inizio della guerra europea e di colpirecerti bersagli una volta che gli Stati Uniti erano stati costretti a partecipareal conflitto. Quando era apparso evidente che la caduta delle Potenze del-l'Asse era inevitabile, quegli stessi individui avevano messo a disposizionesoldi, passaporti e identità false per aiutare i carnefici nazisti a ottenerevantaggi politici e personali. «Non puoi dare sempre per scontato che gli uomini al governo siano ibuoni», gli aveva detto Thorne Blackburn. E adesso quelle parole torna-rono a ossessionare Colin mentre ascoltava Donna Ellen. Migliaia di membri delle SS erano stati fatti uscire dalla Germania e na-scosti, con nuove identità, in altre parti del mondo grazie a rappresentantidel governo americano. Alcuni degli elementi più importanti del Reich ca-duto, come Reinhard Gehlen e Werner von Braun, avevano semplicementecambiato padrone; la spia Gehlen era passata a dirigere l'operazione dellaCIA che forniva informazioni sulla Russia ai nuovi signori americani - e aconcepire l'architettura della guerra fredda sotto la protezione del nuovocapo dei servizi segreti, Allen Dulles -, e von Braun a presiedere al pro-gramma spaziale creato per sfidare quello che veniva considerato un setto-re dominato dai sovietici. Grazie allo spauracchio di un attacco all'occidente da parte delle nazionidel Patto di Varsavia, Gehlen era riuscito a impedire ai politologi di presta-re un'attenzione sufficiente alla Germania sconfitta. Mentre l'America deldopoguerra era distratta da altri pensieri, organizzazioni come Odessa sierano affrettate a mettere in salvo in paesi stranieri gli ex ufficiali nazisti...e a recuperare il potere politico ed economico perduto. Un potere che siapprestavano ora a impiegare. «Adesso ne sapete quanto me della minaccia che ci troviamo ad af-frontare; è la stessa minaccia di sempre, solo che questa volta è camuffatacon una tale perfezione che non so se possiamo contare su un aiuto da par-te del mondo esterno. Convincerlo della realtà del pericolo potrebbe esseredannoso quanto l'operato degli stessi Ordini delle Tenebre, e non sappiamopiù chi sono gli amici e chi i nemici nei governi mondiali. «Non posso scegliere una linea d'azione precisa per voi, o tentare di di-rigere la vostra vera volontà in questa faccenda, ma dobbiamo conclu-dere», dichiarò Donna Ellen in tono secco e pratico, «che né il Terzo Reichné la Società Tule basata sul genocidio, sulla superiorità razziale e sull'e-voluzione pilotata sono stati sconfitti definitivamente come un tempo cre-

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devamo. Anche se i loro membri si sono sparpagliati, abbiamo ragione dicredere che gli Ordini delle Tenebre siano forti quasi quanto lo erano pri-ma della guerra. Siamo convinti che stiano reclutando e ricostruendo unanuova organizzazione su scala mondiale, anche se in una varietà di modinuovi. «Non ci aspettiamo che la situazione degeneri in una nuova guerra nelfuturo prossimo: dobbiamo ammettere che il nostro nemico è abbastanzafurbo da imparare dagli errori commessi. Quelli che ho osato consultarecredono che questa volta la lotta per il potere dell'Ordine Nero assumerà laforma della sovversione, grazie a un tentativo lento di plasmare i governidelle grandi potenze secondo la loro immagine ideologica.» «Ma non è possibile!» protestò qualcuno che Colin non riuscì a vederein faccia. Dall'accento sembrava americano come lui. Donna Ellen non lo rimproverò, ma le rughe che il dolore e la stan-chezza avevano inciso nei suoi lineamenti aristocratici sembrarono farsipiù profonde, come se stesse contemplando un dolore troppo intenso perriuscire a sopportarlo. «Forse non immediatamente; forse mai, se siamo attenti e vigilanti efacciamo quello che possiamo. Ma il nemico è capace di combattere su tut-ti i fronti contemporaneamente, mentre le nostre risorse sono poche. Se-gnalo all'attenzione dei membri la fondazione di un'organizzazione pubbli-ca a San Francisco, in California, nell'aprile di quest'anno. Si chiama laChiesa di Satana e, anche se non sembra avere legami espliciti con gli Or-dini delle Tenebre, il solo fatto che esista sembra preannunciare eventi ne-fasti per il futuro.» Colin l'aveva sentita nominare: la stampa ne aveva parlato a lungo, e ilsuo fondatore, Anton LaVey, era bravissimo a farsi pubblicità. All'epoca,l'aveva semplicemente considerata una stupidaggine; sentirla menzionarein quella sede lo indusse a chiedersi se le sue percezioni si erano fatte tantoottuse da trovare divertente il Male. Ora nella stanza era sceso un silenzio completo, il silenzio di uomini edonne che avevano messo tutto il cuore e tutta l'anima in un'impresa di-mostratasi quasi troppo ardua per loro, e che dovevano in qualche modotrovare la volontà per rifare tutto da capo. «Vi ringrazio per la vostra attenzione e vi raccomando di essere vigili. Eprego che ciascuno di voi vinca le battaglie che la Luce gli manda, per ilbene di tutta l'umanità. Andate con la Luce.» Mentre Donna Ellen si alzava faticosamente dalla sedia, una donna che

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Colin non conosceva - con dei meravigliosi capelli rossi, lunghe gambemaldestre e una magrezza da modella - l'aiutò a rimettersi in piedi. L'ac-compagnò fino alla porta di comunicazione interna e la chiuse alle lorospalle con uno scatto udibile. Erano ora liberi di tornare alla propria esistenza. Ma si trattava di esistenze in cui la percezione soggettiva di minaccia epericolo era stata amplificata a mille, perché il tempio che Colin aveva di-strutto cinque anni prima non era stato un orrore isolato, come aveva pre-gato. Hasloch aveva ragione. Thorne aveva detto la verità. Preannunciava eventi futuri. Il suo ritorno negli Stati Uniti meno di quarantott'ore dopo lasciò ColinMacLaren esausto e disorientato. Aveva trascorso la maggior parte deltempo in volo; l'interminabile traversata oceanica fino all'aeroporto Ken-nedy di New York, una breve attesa e ancora otto ore per giungere alla de-stinazione finale, il San Francisco International. Una volta presa l'auto, loattendevano ancora due ore di tragitto per arrivare a casa. Era ottobre, e quindi pioveva; la nebbia sul promontorio era così fittache per poco il volo della Pan Am non era stato costretto ad atterrare in unaltro aeroporto. Quando era sceso dalla scaletta e aveva messo piede sullapista bagnata di pioggia diretto al terminal, il freddo umido di San Franci-sco gli aveva pesato sulle spalle come un mantello fastidioso, e quel brevetragitto a piedi era bastato per intirizzirlo. Quando recuperò l'auto stava diventando buio. Fortunatamente riuscì adavviarla senza problemi, e in breve si trovò ad attraversare l'Oakland BayBridge verso casa. Nel buio, le altre auto sull'autostrada sembravano minacciosi animalisenza viso, e la mente di Colin ripercorse per l'ennesima volta i soliti, inu-tili, passaggi. Cosa doveva fare riguardo alle rivelazioni di Donna Ellen?Aveva conservato qualcuno dei contatti dei vecchi tempi; forse dovevachiamarli, compiere delle ricerche per scoprire qualche altra prova... No. L'intuizione fu così brusca e improvvisa che era impossibile scam-biarla per un'illusione. Aveva lasciato i servizi segreti senza mai sospettareche brulicassero di agenti che facevano il doppio gioco e di traditori chedisfacevano tutto quello che lui si impegnava al massimo per realizzare, equindi la sua copertura era stata perfetta. Se qualcuno lo stava ancora os-servando dalle sue file, che continuasse pure a crederlo cieco. Uno scontropolitico non rientrava nei suoi compiti.

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Ma ora più che mai era importante essere deciso nelle sue convinzioni,non scendere a compromessi anche se potevano parere allettanti. Il com-promesso era un terreno sdrucciolevole che portava, un passo dopo l'altro,all'oscurità e alla dannazione. Quando giunse al bungalow erano le sette passate. Aprì la porta mentreil telefono suonava, e il trillo pareva disperato, insistente. Fece cadere lavaligia sul tappeto e corse a rispondere, lasciando la porta d'ingresso aper-ta. «MacLaren», disse - leggermente senza fiato - nel ricevitore. «Colin! Oh, grazie a Dio; non ero sicura che fossi tornato. Puoi venirealla clinica? Abbiamo un'emergenza», disse Claire. Claire non chiedeva facilmente aiuto, e la parola «emergenza» non com-pariva spesso nel suo vocabolario. Stanco com'era fece dietrofront, tornò inauto e si diresse alla clinica Bellflower. Le grida si udivano già fuori dalla porta: era un suono né umano né ani-male, ma quasi meccanico per la monotonia degli ululati. «Colin!» esclamò Maria sollevata, alzandosi e facendo il giro della scri-vania della reception per accoglierlo. Era una piccola e graziosa chicana,una dei pochi dipendenti a tempo pieno assunti dalla clinica. «Grazie al cielo Claire è riuscita a trovarla. Presto!» Colin la seguì quasi di corsa mentre la ragazza si affrettava verso il retrodella clinica, dove si trovavano gli ambulatori per le visite. Durante il tra-gitto le urla meccaniche si intensificarono. «È qui dalle sei di oggi pomeriggio. Non sappiamo cosa fare con lui, eClaire ha detto che forse lei avrebbe avuto un'idea. Qui dentro», disse Ma-ria. «Le avevo promesso che sarei rimasta solo fino al suo arrivo, quindiora me ne vado. Non voglio mai più vedere una cosa del genere!» Colin aprì la porta. Un tempo il locale era stato uno dei normali ambulatori della clinica, conun lettino, degli armadietti per gli strumenti e dei poster sui muri che illu-stravano i sintomi delle più comuni malattie veneree e forme di controllodelle nascite. Ma quello era prima che una forza si abbattesse sul contenutodella stanza e lo facesse a pezzi come un gigantesco frullatore. Il lettino era stato ridotto in frantumi, gli armadietti erano diventati unamassa contorta. I poster erano stati sbriciolati, e minuscoli pezzi di carta,come dei folli coriandoli festivi, erano disseminati per la stanza come ne-

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ve. C'era un ragazzo raggomitolato nell'angolo, con addosso solo un paio diboxer. Si abbracciava le spalle e si dondolava avanti e indietro, con il visoinespressivo mentre urlava. Il viso e il corpo erano coperti da un velo disudore dovuto allo sforzo, ma non dava segno di sapere cosa stava facen-do. Claire si trovava nell'angolo opposto della camera. Indossava l'uniformebianca da infermiera con un maglione blu, ma non aveva la cuffietta biancainamidata e i capelli, solitamente in ordine, erano spettinati. Colin entrò mentre Maria tornava alla scrivania. Guardò l'ora. Erano lenove e trenta, e la clinica avrebbe già dovuto chiudere da mezz'ora. «Colin», lo salutò Claire. Gli occhi azzurri erano cerchiati di nero. «Misembrava di ricordare che saresti tornato oggi.» Respirò profondamente,come se il semplice fatto di parlare le risultasse estenuante. Dovette alzarela voce per sovrastare le grida. «Dovrebbe trovarsi in un ospedale», osservò Colin, accennando all'uomoseduto per terra. «Ha fatto un brutto viaggio?» «Pensiamo di sì. Una specie di cocktail vudù con chissà cosa dentro; unsano assaggio di schegge di vetro sarebbe una manna in confronto. I suoiamici l'hanno depositato qui nel pomeriggio: l'hanno fatto scendere dall'au-to davanti all'ingresso e sono ripartiti. E riuscito a entrare e a dirci che sichiama James Rudbeck e che viene dalla Virginia, ma non siamo riusciti aottenere altre informazioni. L'abbiamo portato sul retro e abbiamo comin-ciato a esaminarlo, e abbiamo così scoperto perché gli amici l'avevano sca-ricato. «Ha fatto questo.» Colin si guardò di nuovo intorno nell'ambulatorio. Non pensava che lasemplice forza fisica potesse giungere a quel grado di distruzione. «Con la mente?» chiese Colin. Quasi inconsciamente aveva escluso lamagia come fonte del disturbo. Avrebbe dovuto trattarsi di magia nera perprovocare danni del genere. Il male lasciava una firma caratteristica, manon se ne avvertiva la traccia. «Sì. Ogni volta che cerchiamo di fare qualcosa per lui ha un altro at-tacco; riesci a immaginare cosa succederebbe se accadesse nel pronto soc-corso di un ospedale? Almeno qui non abbiamo strumenti sofisticati. Manon siamo riusciti a somministrargli alcun calmante e neppure a iniettargliper via endovenosa della soluzione salina, e questo mi preoccupa.» «Jimmy? Riesci a sentirmi?» Claire attraversò la stanza e si inginocchiò

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di fronte all'uomo che si dondolava. Parlò dolcemente ma senza toccarlo.«Jimmy, sono Claire. Puoi sentirmi? Sei al sicuro adesso. Non ti succederàniente di male. Hai preso della droga, te ne ricordi? E stai facendo un brut-to viaggio, ma presto sarà finito. Non c'è nulla da temere...» Provò per dieci minuti a convincerlo con dolcezza, ma senza risultato.Qualsiasi cosa Rudbeck stesse vedendo nella sua mente, qualunque causaavesse spalancato le porte della percezione permettendogli di raggiungere -e di sfruttare a scopo difensivo - le sorgenti del potere psichico dentro dilui, continuava a possederlo. E anche se i poteri psichici si manifestavano solo nel dieci percento dellapopolazione, e anche se solo l'uno percento di quel dieci aveva un'energiaa livello astronomico, questo significava comunque centinaia - o migliaia -di persone nella sola California. L'addestramento non poteva raggiungerletutte, ma le droghe che ampliavano i poteri della mente sì. Claire sospirò rialzandosi. Lo sfinimento e la scomodità della posizionele fecero perdere l'equilibrio. Quando allungò una mano per appoggiarsi almuro, col polso sfiorò la spalla di Rudbeck. Il contenuto della stanza ebbe un'esplosione di attività. Colin non avevabisogno di guardare per sapere cosa stava succedendo. Tutti i peli del suocorpo si raddrizzarono per l'improvvisa carica che riempì l'ambulatorio.Prima ancora di aver deciso di muoversi, aveva raggiunto Claire e l'avevarimessa in piedi con uno strattone. Quando il primo pesante pezzo di legnocolpì le pareti, Colin tirò Claire con sé fino alla porta dell'ambulatorio euscì, chiudendosela alle spalle. Il fracasso dei frammenti contro l'usciosembrava quello prodotto dalle mitragliatrici. «E poi», disse Claire, come per finire una frase, «si comporta così ognivolta che qualcuno lo tocca.» Guardò speranzosa Colin. «Conosci qualchebravo esorcista?» «Io una volta non ero male», replicò Colin, «ma non è di quello che habisogno il ragazzo. Questo fenomeno non ha nulla a che vedere con l'oc-culto, ma solo con i poteri della mente.» «Insomma, è \"solo\" parapsicologia», concluse Claire con aria stanca.«Qualunque cosa questo significhi. Penso di non saperlo più. Tutto quelloche so è che Jimmy Rudbeck ha bisogno di aiuto... e se non possiamo toc-carlo, non possiamo curarlo.» «Claire. Hai avuto fortuna?» Il dottor David Soule, il membro del perso-nale col grado più elevato, apparve da dietro l'angolo. Fece la faccia lungaquando udì il frastuono del vortice psichico oltre la porta chiusa. «Imma-

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gino di no. Lei è il nostro consulente esperto?» chiese speranzoso. «Sono Colin MacLaren», rispose Colin. «Non so quanto sono esperto.Direi che in genere lei lo è più di me, ma in questo caso non ne sono sicu-ro.» Il dottor Soule sospirò. «Professor MacLaren, da quando ho cominciatoa lavorare qui ho visto i morti camminare, i maiali volare e altri fenomeniche solo due anni fa avrei considerato materiale da favole. Nulla di ciò cheDio ha creato può più sorprendermi. Ma come curare qualcuno che nonriesco a toccare? Per i brutti viaggi come quello di Rudbeck di solito cer-chiamo di aiutare il paziente praticandogli un'iniezione di vitamine e ma-gari somministrandogli un leggero sedativo, reidratandolo e fornendogli unambiente tranquillo per il suo ritorno tra noi, se possiamo. Ma in questocaso non posso fare nulla. Ho già visto pazienti morire di sfinimento cheloro stessi hanno provocato. Mi dispiace dirlo, ma lei è la nostra ultimasperanza.» Mentre il dottor Soule parlava, i suoni provenienti dall'ambulatorio sifermarono. Claire sospirò, raddrizzando le spalle con uno sforzo. «Tocca a me, cre-do», disse. Aprì la porta con cautela. Era tutto tranquillo. Entrò. «Lasciatemi pensare per un attimo», mormorò Colin. «Vi dispiace sefumo?» «Faccia pure, anche se, in quanto medico, devo consigliarle di smettere.Personalmente, sto optando per una morte da superlavoro», disse il dottorSoule con umorismo macabro. Colin estrasse la pipa da una tasca e cominciò a riempirla. Il tabacco,come l'alcol, era un veleno: sapeva bene che c'era un motivo se le sigarettevenivano chiamate «chiodi per la bara». Eppure si sentiva ancora mezzointontito dopo il lungo volo e il tabacco l'avrebbe aiutato a riflettere. Accese la pipa e fumò in silenzio per qualche minuto, facendo girarefreneticamente le ruote del cervello. «Ditemi», esclamò improvvisamente. «Conoscete per caso la religionedi Rudbeck? Penso di avere un'idea.» Il dottor Soule aggrottò le sopracciglia. «Quando abbiamo esaminato ilportafoglio, abbiamo trovato la tessera di iscrizione a una delle associa-zioni cristiane sul campus, e portava una croce quando è arrivato, se questola può aiutare.» «Hmm», mormorò Colin riflettendo. James Rudbeck non era posseduto da nessuna entità soprannaturale. Era

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un cristiano credente e praticante, e la droga che aveva preso gli aveva a-perto un centro psichico radicato nella profondità della mente e ne avevafatto il canale delle sue maggiori paure. Erano queste che voleva aggredire,non cose e persone del mondo materiale, ma si trattava di una magra con-solazione per coloro che cercavano di aiutarlo. Un esorcismo non sarebbestato di grande aiuto nel disperdere la forza che lo stava distruggendo, unaforza interna alla sua mente, concreta quanto i suoi muscoli, esercitata dauna parte del suo io. Ma forse, se il ragazzo credeva che potesse funzionare... Ci impiegarono mezzora per liberare la stanza dai detriti. Colin aveva te-muto che non sarebbe stato possibile, ma Rudbeck sembrava non notarenulla a parte il contatto fisico, e tutti e tre fecero attenzione a evitarlo.Quando ebbero finito, non rimaneva più nemmeno un frammento di cartaper terra. «E adesso?» chiese il dottor Soule. «Adesso cerco di convincerlo a smettere di farsi del male. Vuotare lastanza può essere stato utile», spiegò Colin, «ma non ingannatevi: a mioavviso Rudbeck può rivelarsi altrettanto pericoloso quando non ha nulla dascagliare.» «Vuoi che resti qui, Colin?» chiese Claire. «Temo di sì», rispose Colin. «Mi dispiace molto chiedertelo...» «È il mio lavoro», dichiarò Claire con fermezza, proprio come Colin leaveva detto diversi anni prima. «Se posso aiutarti in qualche modo, devoessere presente.» Colin annuì, e fece segno al dottor Soule di restare indietro. Solo allorariapri la porta dell'ambulatorio. Jimmy Rudbeck era ancora raggomitolato in un angolo per terra. Il visoera infossato, e si vedeva chiaramente il cranio sotto la pelle tesa. L'effettodella droga che aveva preso, qualunque essa fosse, stava svanendo, manulla assicurava che il ragazzo sarebbe tornato. C'erano alcuni brutti viaggiche non finivano. Le sue urla si erano calmate, trasformandosi in sibilirauchi che gli uscivano dalla gola secca. Era ormai prossimo al collasso. Se solo Colin e Claire fossero riusciti a raggiungerlo per aiutarlo a di-stinguere la realtà dall'illusione, sarebbe probabilmente stato sufficiente. Si misero al centro della stanza. «James Rudbeck», intonò Colin con voce autoritaria. «Ti ordino in nomedel Dio Vivente di ascoltarmi.»

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Nessuna risposta. «Ordino alla forze delle Tenebre di abbandonarti e di lasciarti in pace.Lo ordino nel nome dell'Eccelso, alla cui presenza l'Oscurità non può re-stare.» Colin si inginocchiò davanti a Rudbeck, e gli afferrò dolcemente la spal-la per arrestare il suo ondeggiamento. «Colin», lo avvertì Claire con voce tesa. Anche lui l'avvertì: la scarica di energia che si era manifestata poco pri-ma che nella stanza scoppiasse il finimondo l'ultima volta. Ma questa voltanon c'era nulla da scagliare: solo la forza stessa. Colin la sentì premerecontro la pelle come l'elettricità che si genera prima di un temporale, solomille volte più forte. «La Luce sconfiggerà sempre le Tenebre. Sai bene che è vero.» Sentiva la presenza di Claire dietro di lui, ma il suo dono apparteneva aun regno completamente diverso da quello di James Rudbeck, e non eracerto forte come quello del ragazzo. Colin avvertì una dolorosa scarica dienergia quando Claire gli appoggiò una mano sulla spalla, ma non si per-mise di distrarsi. Con tutte le forze cercò di indurre Rudbeck a credere, asentirlo e a fidarsi di lui. Anche se non era più certo della propria fede. Anche se non riusciva a credere che la Luce avrebbe sempre trionfatosulle Tenebre. L'energia nella stanza era ora una pressione dolorosa, e di lì a poco si sa-rebbe scatenata su tutti e tre. «Jimmy, sono Claire. Devi smettere. Devi lasciare che ti aiutiamo. Nonc'è nulla di cui avere paura qui. Te lo prometto», disse da dietro la spalla diColin. Il sibilo sussurrato si interruppe. «... mostri...» mormorò il ragazzo. Sbatté le palpebre ripetutamente, co-me se cercasse di distogliere lo sguardo da qualcosa che vedeva nella suamente. «La Luce sconfiggerà sempre le Tenebre», ripeté Colin risolutamente.«Sai che è così. Ricorda quello che sai. Di' la preghiera, Jimmy. \"Il Si-gnore è il mio pastore, non vorrò...\"» Gli occhi del ragazzo sbatterono ancora, poi si richiusero. Trasse un re-spiro esausto. «\"Sì, anche se attraverso la valle dell'ombra della morte...\"» continuòColin, sperando che il ragazzo lo seguisse. Le labbra di Rudbeck si mosse-

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ro in corrispondenza delle parole di Colin, e lentamente l'uragano che siera preparato a esplodere si dissipò come nebbia al sole. «\"Certo la bontà e la pietà mi seguiranno per tutti i giorni della mia vi-ta...\"» E James Rudbeck cadde in avanti tra le braccia di Colin come un pesomorto, in stato di incoscienza. Mezzora dopo non era rimasta traccia - a parte il vuoto della stanza -dell'accaduto. Un'ambulanza era venuta a prendere Rudbeck per portarloall'ospedale dove gli sarebbero state prodigate altre cure, e molto proba-bilmente non avrebbe ricordato nulla di ciò che era successo, se non quan-to bastava per convincerlo a non compiere mai più esperimenti con la dro-ga. Mentre guardavano l'ambulanza che si allontanava, Claire si voltò im-provvisamente verso di lui con l'aria di chi ha appena ricordato qualcosa. «Colin? Com'è andata l'udienza?» L'udienza disciplinare causata dal suo cosiddetto radicalismo. Il viaggioin Inghilterra e tutto quello che aveva comportato gli aveva fatto scordarecompletamente i suoi problemi con l'università, e anche ora, dopo quantoera successo, non riusciva a considerarli molto importanti. Colin scosse ilcapo. «Temo che abbiano dovuto procedere senza di me. Senza dubbio micomunicheranno la loro decisione a tempo debito», rispose. Ma apparentemente l'udienza era stata più importante di quello che Co-lin aveva pensato, e la sua assenza aveva prodotto un'impressione negativa,soprattutto quando non aveva offerto spiegazioni dopo il suo ritorno. U-n'emergenza, aveva detto Colin ai colleghi cui aveva chiesto di sostituirloai corsi; una volta tornato non aveva aggiunto altro. Ma nei giorni successivi al suo ritorno, venne convocato dal direttoredella facoltà di psicologia, dal preside di facoltà, dal responsabile del con-siglio studentesco e perfino dal rettore dell'università. Il messaggio in cia-scuno di quegli incontri fu lo stesso: lascia perdere i corsi di parapsi-cologia, datti una calmata, adeguati, sottomettiti, dichiarati d'accordo... , EColin scoprì di non riuscire a farlo. Soprattutto, non desiderava fare quello che gli chiedevano in modo tantopalese. Dopo quello che aveva appreso a Londra, le loro preoccupazionisembravano frivole, in un certo senso; erano degli sciocchi che danzavano

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al limite dell'Abisso, inconsapevoli del pericolo che correvano, in un mon-do dove la causa sacrosanta della libertà umana era sull'orlo dell'estinzio-ne. Era però incerto sul da farsi. Il fatto che il potere corrompesse i per-sonaggi pubblici era un dato di fatto, accettato implicitamente, ma pro-teggere e sfruttare i criminali di guerra andava ben al di là del semplicenepotismo o della volontà di arricchimento personale. Costituiva un tra-dimento su scala cosmica, l'adorazione nichilista del grande dio Oppor-tunismo, la riduzione dei vincitori sullo stesso piano morale dei vinti. Eracome un film dell'orrore diventato realtà, dove amici e alleati venivano tra-sformati in mostri inumani... Simon aveva avuto ragione. Thorne aveva avuto ragione. Tutti avevanovisto giusto. Il governo degli Stati Uniti - o una sua potente fazione - eracosì incredibilmente corrotto che si stava cibando di sé in un'orgia canni-balistica, distruggendo proprio gli ideali che avrebbe dovuto proteggere. Dal momento che si mettevano al servizio delle Tenebre, Colin avevagiurato di combatterli, ma cosa poteva fare un uomo solo contro la passi-vità del governo? Alcuni dei suoi studenti predicavano la rivoluzione, maColin sapeva per esperienza che una rivoluzione non li avrebbe salvati.Avrebbe solo prodotto il caos capace di aiutare una dittatura ad assumereesplicitamente il controllo. Colin pensò brevemente a Thorne e alla gente che chiamava i pagliaccisacri. Era possibile che trasformare le strade in un circo fosse la soluzione?Oppure era necessario, com'era sempre stato, che gli uomini di buona vo-lontà tenessero fede alle promesse, né più né meno? Non c'era modo di saperlo. La certezza era riservata alla Luce Pura, nonagli uomini mortali e imperfetti. Colin poteva solo sperare e agire secondocoscienza. Ripensò ancora a James Rudbeck, intrappolato e terrorizzato dal poteresenza limiti della propria mente. Ricordò Claire com'era quando l'avevaconosciuta, ostile e tormentata da un dono per la cui esistenza non c'eraspazio nella tradizionale visione del mondo. Quella era la sua gente. Quelli erano gli individui che doveva trovare perstabilire un contatto e insegnare loro quanto dovevano sapere. Ogni animache poteva salvare dalla paura era un colpo infetto alle Tenebre. Quella erala sua nuova guerra, e doveva trovare un terreno per combatterla. Era au-tonomo da troppo tempo per continuare a dedicare la metà della sua vita aqualcosa che non meritava il suo rispetto.

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«Devo ammettere che sono felice di vederla qui, dottor MacLaren», dis-se l'uomo dietro la scrivania. Il Gruppo Rhodes aveva grandi uffici al quindicesimo piano di uno deinuovi grattacieli anonimi che avevano cominciato a infestare il quartieredegli affari a San Francisco. Chiunque fosse entrato nell'atrio e avesse vi-sto gli uffici in tek e la segretaria dall'accento anglosassone sarebbe statoperdonato se l'avesse preso per un'azienda di cervelloni di alto livello o unasocietà finanziaria internazionale. E, in un certo senso, si trattava di un'or-ganizzazione che compiva ricerche. Il Gruppo Rhodes era una fondazione a scopo di lucro dedicata allo stu-dio e all'investigazione del paranormale in tutte le sue forme. Effettuava ri-cerche su medium e case infestate, metteva alla prova le persone che af-fermavano di avere poteri paranormali e metteva in rapporto documentiprovenienti da tutto il mondo sui progressi nel campo della parapsicologia.Possedeva una biblioteca che godeva di fama internazionale e aveva uncontratto per fornire consulenze al governo nel campo del paranormale, mala maggioranza dei fondi provenivano dagli individui e dalle organizzazio-ni a cui forniva i propri servizi, che erano stati in qualche modo toccati dalsoprannaturale e avevano bisogno dell'aiuto di gente esperta. «Sono felice di essere qui, signor Davenant», rispose Colin. «La prego, mi chiami Michael», replicò Michael Davenant. Era di qual-che anno più giovane di Colin, e aveva un bel viso dai tratti marcati che ri-velavano le sue origini irlandesi. Alle sue spalle, attraverso la vetrata che formava la parete esterna del-l'ufficio, Colin poteva vedere l'intera distesa della City come la proverbialeterra dei sogni. Era un giorno assolato di primavera ormai inoltrata, l'iniziodel lungo periodo senza piogge che caratterizzava tre stagioni dell'anno ca-liforniano. «E tu chiamami Colin.» Davenant sorrise. «E va bene. Come avrai probabilmente indovinato, laragione per cui ti ho chiesto di tornare oggi è che ti voglio offrire il posto.Sarebbe un grande privilegio per noi accogliere nel gruppo un ricercatoresul campo con la tua reputazione, e francamente per noi è una bella fortunache tu consideri la nostra offerta. Il consiglio di amministrazione è statofavorevolmente colpito dal tuo curriculum... e capisce perfettamente la tuadecisione di lasciare Berkeley.» «Grazie, anche se si può dire che si tratti di una decisione tanto da parte

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mia, tanto da parte dell'università stessa.» Le sue dimissioni erano state un sollievo per tutti. Non volevano un pa-rapsicologo nel corpo insegnante, e lui faceva sempre più fatica a sop-portare di dedicare tanto tempo a discipline che centinaia di altri professoripotevano insegnare altrettanto bene. Una volta presa la decisione di andar-sene, aveva pensato di tornare semplicemente a New York, ma in quei seianni aveva messo radici e si era fatto degli amici di cui avrebbe sentito lanostalgia. E la California era al centro della Rinascita dell'Occulto, dallaChiesa di Satana di cui Donna Ellen aveva parlato... A Thorne Blackburn. «Be', forse scoprirai che siamo datori di lavoro più tolleranti dell'uni-versità. A nessuno qui importa delle simpatie politiche di ciascuno, e perquanto riguarda l'interesse nel paranormale... è proprio questo il motivoper cui sei qui», disse Davenant. Colin aveva visitato interamente la sede del gruppo nel corso della suaprima visita. Era una struttura impressionante, che comprendeva dellestanze per le interviste e due laboratori che potevano essere impiegati pertutto, dagli esperimenti sulla vista a distanza ai viaggi astrali. Lì sarebbefinalmente riuscito a dedicare più tempo ai suoi interessi nel campo dellaparapsicologia, e il Gruppo Rhodes considerava la cooperazione con la po-lizia della Bay Area come una buona operazione di relazioni pubbliche,quindi non avrebbero obbiettato se avesse continuato la sua consulenza perla forza pubblica. «Non mi resta che chiederti se il posto ti interessa ancora», disse Da-venant. «Sì, penso di sì. La nostra dovrebbe essere una collaborazione interes-sante», rispose Colin. Lavorare con il Gruppo Rhodes era solo una solu-zione temporanea, naturalmente, per permettergli di rimanere in giocomentre si orientava. Ma sarebbe stata un'esperienza affascinante. Il disbrigo delle ultime formalità richiese un paio d'ore, poi Davenant in-sistette per portare Colin a pranzo al «Galley in the Valley» in Maiden La-ne. Anche se l'arredamento era piuttosto eccentrico - la facciata del risto-rante aveva la forma della prua di un galeone, completa di una formosa si-rena come polena - il cibo era buono, e Davenant si sforzò di essere diver-tente. Più tardi Colin approfittò della combinazione di tempo libero e sole e fe-

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ce un giro per la City. Tra le rivelazioni di Donna Ellen e la lettera di cen-sura dell'università di Berkeley, si era ritirato nel suo lavoro e nelle ri-cerche per non dover pensare a quei problemi. Colin si rese conto di non aver visto i suoi amici dal viaggio a Londradell'ottobre precedente. Katherine avrebbe presto avuto il bambino: spera-va solo che Claire l'avesse persuasa ad andare in ospedale invece di parto-rire a casa durante un rituale magico, come la coppia sembrava propensa afare. La volontà di scoprirlo era un motivo sufficiente per andarli a trovare. E da simili decisioni innocenti, quasi inconsapevoli, viene determinato ilfuturo. Colin prese il tram elettrico per la prima parte del tragitto: era affollatocome sempre, ed egli rimase all'aperto, allungando i soldi per il biglietto alconducente sopra le teste degli altri passeggeri. L'autista fece i due scam-panellii ritmici che erano in tutto il mondo il simbolo acustico della Cittàsulla Baia mentre il tram avanzava alla ragguardevole velocità di tredicichilometri all'ora attraverso il movimentato quartiere residenziale della cit-tà più cosmopolita della Terra. San Francisco è una città fatta per essere apprezzata camminando, e pas-seggiare era sempre stato uno dei maggiori svaghi di Colin. Più si av-vicinava ad Hashbury, più le strade si facevano affollate. La richiesta dispiccioli diventava sempre più frequente, e Colin diede quello che poté. Lapopolazione di giovani fuggiti di casa stava raggiungendo cifre spaventoseche crescevano ogni mese, e molti di quei ragazzi cadevano nelle mani dipersonaggi loschi che trasformavano il loro futuro radioso in uno desolantedi prostituzione e droghe pesanti. Cosa stavano cercando? Perché erano arrivati a centinaia? Avevano vitecosì vuote e infelici da essere disposti a viaggiare per migliaia di chi-lometri all'inseguimento di un sogno? È come chiedersi quando la gente ha cominciato ad aggrapparsi dispe-ratamente a ciò che ha, invece di credere fiduciosa che potrebbe facilmen-te ottenere di più, pensò Colin tristemente. Era più facile ora capire la fre-nesia che portava la generazione del dopoguerra alla ricerca di potere poli-tico e trascendenza. La mente inconscia sa sempre ciò che la parte conscianeppure sospetta, e a un certo livello quei ragazzi si rendevano conto di es-sere gli ultimi difensori dell'Età dell'Oro e che, se non vincevano loro inquel momento, la sconfitta sarebbe durata per sempre. Thorne avrebbe detto, naturalmente, che un'idea del genere era un con-cetto della Vecchia Eternità, che l'Età dell'Oro di Dei e Uomini poteva es-

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sere fatta rivivere in qualsiasi momento, indipendentemente da quello cheera accaduto prima. E per la prima volta Colin si trovò a desiderare che Thorne avesse ra-gione e la sua Loggia si sbagliasse. CAPITOLO 7San Francesco, aprile 1967Parlerò col cuore in manoin modo che i corvi lo becchino:non sono quello che sono. William Shakespeare La stella di Thorne Blackburn si era fatta sempre più brillante negli ul-timi mesi; i suoi rituali pubblici raccoglievano ormai folle numerose. Ave-va attirato l'attenzione della stampa nazionale, ansiosa di raccogliere nuovomateriale sull'Età dell'Acquario, e alcuni articoli sulla sua storia - distortafino a diventare incomprensibile - erano apparsi su Time e Newsweek.L'Alta Magia veniva commercializzata come fosse musica rock, trasforma-ta in un bizzarro spettacolo secondario che il resto del mondo poteva tra-scurare. E Thorne, con le sue affermazioni stravaganti e la pretesa di esse-re creduto, era in testa al movimento, gli dava forma, lo organizzava, perragioni che Colin non era in grado di capire. La Voce della Verità occupava ormai l'intera casa vittoriana, che non erapiù bianca. L'edificio era stato dipinto di colori brillanti; l'appartamento alpiano terra era stato trasformato in un negozio dove si vendeva la rivista,fumetti underground, luci nere e altri accessori meno facilmente identifi-cabili. C'era una specie di ufficio per il giornale nel retro che contenevaanche la macchina da stampa, e l'odore d'inchiostro si mescolava all'aromadi incenso e di droga nell'atmosfera del negozio. I presenti guardarono incuriositi Colin quando entrò, ma nessuno lo fer-mò o lo interrogò mentre si faceva strada lungo il corridoio affollato. Forse non assomigliava più a un poliziotto quanto la prima volta che a-veva visto Thorne. O forse lo spettacolo messianico di Blackburn attiravaogni sorta di persone. Thorne, a modo suo, era il rifiuto della paura che ilventesimo secolo avesse perso la battaglia contro le Tenebre. Anche se laNuova Eternità che predicava non sembrava altro che il ritorno del Caos,era un caos pieno di speranza.

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«Colin!» Katherine Jourdemayne accolse Colin con calore. Un minu-scolo neonato era appeso al collo della donna in una tela indiana che Ka-therine portava a tracolla sul seno. «Sei venuto a vedere Verity? Non è labimba più bella del mondo? Pilgrim l'adora.» Il bambino - che doveva avere ormai sette anni - fissò Colin seriamente;aveva le mani coperte del gesso che usava per disegnare sulle pareti. Colinnon aveva mai saputo chi fosse la madre di Pilgrim - Katherine non avevamai detto che fosse suo -, e pensò che fosse inutile chiederlo. Thorne sem-brava trattare tutte le sue donne con uguale affetto, e certamente Colin nonaveva mai visto niente di simile alla gelosia serpeggiare tra quelle che co-nosceva. Colin ammirò la bambina per qualche minuto, preoccupandosi di presta-re le stesse attenzioni a Pilgrim. (Perché non era a scuola? Aveva paura dichiederlo.) Finiti i convenevoli, chiese di Thorne. «Oh, tornerà presto», rispose Katherine. «Le cose si stanno muovendopiuttosto velocemente per noi. Ma vieni di sopra, ti preparo una tazza di tèmentre aspetti. Vieni, Pil, andiamo a trovare zia Irene.» L'appartamento era affollato come sempre. Anche se la stella di Thorneera in fase di ascesa, il locale era disordinato e malconcio come prima. Co-lin aveva scoperto che Thorne aveva predisposto una festa casalinga più omeno permanente per tutti quelli che si presentavano, e non era mai riusci-to a seguire i vari andirivieni. Gli attuali occupanti erano sparpagliati per ilsoggiorno, e Pilgrim corse verso la donna seduta sul pavimento: aveva ca-pelli rossi che teneva legati con una sciarpa guarnita di lustrini in stile zin-garesco. «Ecco il mio tesoro», disse. «Vieni da Irene.» Aveva un accento an-glosassone, e dava al suo nome la pronuncia a tre sillabe comune in Eu-ropa. Si prese il bambino sulle ginocchia e gli diede un mazzo di tarocchi. Colin seguì Katherine in cucina. Mentre la donna armeggiava con il ne-cessario per il tè, spiegò a Colin che l'ultima idea di Thorne era usare lamagia per mettere fine alla guerra del Vietnam. «...a Washington; abbiamo intenzione di andare al Pentagono e di tra-smettere loro pensieri d'amore finché non smetteranno di lanciare bombe.Thorne vuole riunire tutti i maghi della Bay Area e farli collaborare al pro-getto; afferma che solo quando gli illuminati assumono la responsabilitàsociale, oltre che spirituale, la Grande Opera procede senza interruzione.

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Ma Anstey sta cercando di distruggerlo...» «Anstey?» chieste Colin esterrefatto. «Simon Anstey?» «Vuole che la smettiamo», rispose Katherine, mescolando lentamente lasua tazza di tè. «Continua a dire che tutto ciò che interessa a Thorne è ildenaro. È così stupido, Colin! Anstey ha molti più soldi di Thorne...» «Soldi, una migliore condizione sociale e una devozione totale a se stes-so», intervenne Thorne Blackburn che proprio in quel mentre entrava incucina. Appoggiò sul tavolo la macchina fotografica che portava con sé,afferrò la tazza di Katherine per bere un sorso di tè e si piegò per baciare ecoccolare Verity, sempre tenendo in mano una bracciata di fogli. «Ciao, Colin. Se hai un qualche ascendente su Anstey o sul consigliomunicipale, sarebbe fantastico se potessi intervenire a nostro favore.» Silasciò cadere su una sedia e sollevò la neonata dalla culla di fortuna. «Qual è il problema?» chiese Colin. «Il consiglio municipale ci ha negato ancora una volta il permesso diriunirci. E Anstey ha scritto un articolo sul Chronicle... che non è neppureterribile come quello che dice a voce sul nostro conto.» Thorne sospirò;per la prima volta da quarto Colin lo conosceva, aveva l'aria stanca. «È solo geloso», disse lealmente Katherine Jourdemayne. «Dice che sono a capo di un culto per il controllo della mente; certo,Anstey è così rigido da pensare che perfino il rock andrebbe abolito...»continuò Thorne. Diede un'occhiata provocatoria a Colin; sapeva che lui eSimon si conoscevano, Colin non ne aveva mai fatto mistero. «Non hai detto che tutti dovrebbero essere liberi di esprimersi?» chieseColin. Non riusciva a immaginare cosa avesse portato Thorne e Simon inrotta di collisione. I due uomini vivevano - pressoché letteralmente - inmondi diversi. «Sì, ma... Gesù, non quando sono in disaccordo con me», esclamò Thor-ne con aria ragionevole. «Anstey è nell'occulto fino al collo, e ha il corag-gio di chiamare me un imbroglione che capeggia una setta? Solo perché èil successore prescelto da Alison Margrave e ha trascorso la metà della vitaa inseguire fantasmi nelle case infestate di tutta Europa non ha il diritto digiudicare me o il mio operato.» La bambina, svegliata dal tono concitato di Thorne, cominciò ad agi-tarsi. Thorne se la fece ballare tra le braccia, cercando di calmarla. «Magliela farai vedere tu, vero, dolcezza? Tu non ti limiterai a sentir parlaredella Nuova Eternità, ma ci vivrai, vero?» «Avanti, ridammela, Thorne, penso che abbia fame», disse Katherine,

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ripetendo la frase che ogni donna dice dall'inizio dei tempi. Thorne le al-lungò la bambina e Katherine si abbassò la scollatura del camicione perporgerle il seno. Thorne si alzò per dirigersi al frigorifero da cui estrasse due birre; lestappò entrambe e ne appoggiò una davanti a Colin. «Sono contento che sia venuto», disse. «C'è qualcosa che ti vorrei chie-dere. Ed Sull...» Il suono di urla provenienti dalla strada lo interruppe, e Thorne corse allafinestra del salotto per guardare fuori. Colin lo seguì, più cauto che preoc-cupato... finché non riconobbe la voce. «Blackburn!» urlò Simon Anstey. «Vieni fuori, imbroglione diffa-matore! Ti denuncio, maledizione a te!» Il resto di quello che Simon aveva da dire si perse tra gli schiamazzi deipassanti che gli si raccolsero attorno. Colin guardò fuori dalla finestra. Ve-deva la Mercedes di Simon parcheggiata in strada, e Simon sul marciapie-de, con una dolcevita e un completo scuro. Il contrasto tra lui e i seguacicenciosi di Thorne non avrebbe potuto essere più marcato. «Ehi, Anstey!» La voce di Thorne era piena di scherno quando si sporsedalla finestra aperta. «Vuoi qualcosa da bere?» Inclinò la bottiglia, versan-do dopo aver preso la mira. Si udì un ruggito di rabbia dalla strada. «Thorne, per l'amor del cielo!» esclamò Colin, riuscendo a strappargli labottiglia prima che la vuotasse del tutto. «In questo modo non risolverainulla!» «Se è arrabbiato adesso, aspetta che veda la Voce della Verità. Facciamol'articolo di copertina su di lui!» commentò Thorne, ridendo allegramente.«Simon Anstey: uno stupido New Age o un imbroglione della Vecchia E-ternità?» Giù in strada vi fu il suono di una portiera d'auto che sbatteva e il rombodella potente Mercedes: Simon si stava allontanando. «Questo non è degno di te», disse Colin a Thorne. Thorne lo guardò con vivacità. «Precisamente, di chi dovrei incarnare l'ideale di messia, Colin? Il suo, iltuo o il mio?» «... e temo che potrà solo peggiorare, caro», concluse Alison Margravetristemente. I due amici erano seduti sulla terrazza di Greenhaven, e si godevano ilbel tempo (anche se ancora piuttosto freddo) di maggio e la sensazione di

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essere sospesi sopra la città, come un paio di aquile che volteggiavano trale nubi. Era sabato, e Colin aveva infine accettato l'invito di Alison dopodiversi mesi di assenza. Alison aveva approvato pienamente la decisione di Colin di lasciareBerkeley e di unirsi al Gruppo Rhodes, e Colin pensò che doveva mettersia cercare casa da questa parte della Baia, ma era per natura un sedentario edetestava spostarsi. Dopo le chiacchiere e i convenevoli in tono leggero, laconversazione si spostò, com'era inevitabile, sulla magia e i suoi praticanti. «Rispetto ai problemi che vediamo nelle strade di questi tempi, im-magino che una lotta tra due maghi non sia gran cosa, e sa il Signore cheessere considerati dal mondo esterno e trattati dalla stampa come un grup-po di stravaganti non è una novità - salvo per Simon, forse -, ma sono lepersone che lui e Blackburn attirano a preoccuparmi. Blackburn fa il giocopesante, e temo che Simon sia tentato di rispondere ai suoi attacchi con pa-ri violenza.» Il dissidio tra i due era cominciato con i rituali anteguerra di Blackburn.Quando Simon li aveva attaccati in quanto pericolosi e insieme futili,Thorne aveva contrattaccato facendo notare che Simon, grazie a un rinviodel servizio militare, non correva il pericolo di essere chiamato a combat-tere, cosa che per molti uomini risultava ben più pericolosa di qualsiasimagia praticata da Thorne. «Ma Thorne non sta facendo pratiche magiche contro Simon, vero?»chiese Colin. Una sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco gli diceva però che cisi poteva benissimo aspettare un'azione del genere da Thorne. Desiderosapere per poter servire... quello era il credo che Thorne aveva rifiutato. «Be', Simon dice di sì, naturalmente. E qualcosa ha certamente fattotremare porte e finestre qui qualche notte fa. Se è stata opera di Blackburn,direi che ha a disposizione un bell'arsenale di fuochi di artificio», disse A-lison. «Per fortuna le mie protezioni hanno resistito.» Era un'altra prova - peraltro del tutto superflua per Colin - del fatto cheThorne aveva rifiutato le regole che vincolavano gli Adepti del Sentierodella Mano Destra, gli Adepti per cui il potere magico era solo una conse-guenza del Sentiero della Conoscenza di Sé. Se non Nero, l'approccio diThorne era certamente Grigio. «Ovviamente Simon è fuori di sé», continuò Alison. «Gli ho detto che lacosa migliore è ignorarlo. Oserei dire che i miei insegnamenti dovrebberoconsentirgli di proteggere se stesso, la sua casa e i suoi beni senza preoc-

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cupazioni, ma non sempre ascolta i miei consigli», concluse sospirando. «E Thorne non ha mai ascoltato i consigli di nessuno», aggiunse Colincon aria mesta. «Certo non è disposto ad ascoltare quello che gli potreisuggerire io. Forse Claire riuscirebbe a farlo ragionare: gli è sempre statasimpatica.» Ma Claire non ebbe più successo di Colin a far cambiare idea a ThorneBlackburn. Colin aveva l'impressione che Thorne stesse semplicementestuzzicando Simon, prendendolo in giro perché - almeno per Thorne - Si-mon Anstey rappresentava l'establishment magico e terreno. Thorne stavafacendo del suo meglio per coprire Simon di ridicolo come se si fosse trat-tato di un amichevole rituale magico, mentre Simon era deciso a cacciareThorne dalla Bay Area. Né Thorne né Simon avrebbero cessato per primile ostilità. Il conflitto stava diventando progressivamente personale e acre,almeno da parte di Simon, e stava dividendo la comunità dell'occulto dellazona di San Francisco. Gli appartenenti agli Ordini Magici più tradizionali - l'Ordo Templi O-rientis, il Golden Dawn, i Costruttori dei Penetrali, i Rosacruciani d'A-merica - aveva approfittato di quell'opportunità per schierarsi dalla parte diSimon. Thorne si era fatto troppi nemici tra gli occultisti tradizionali con ilsuo stile spigliato, l'amore per la pubblicità e le pretese eccessive perché lavecchia guardia potesse resistere alla tentazione di colpirlo. I sostenitori di Thorne venivano soprattutto dal gruppo crescente dei se-guaci e dall'adesione progressivamente crescente di nuovi gruppi dellaWicca e neopagani che stavano nascendo dappertutto come i funghi dopola pioggia. Questi nuovi gruppi avevano pochi legami con l'occultismo tra-dizionale, che condannavano come monoteistico e patriarcale. Il loro credo- «purché non nuoccia a qualcuno, fa' quello che vuoi» - rappresentavaperfettamente lo spirito dell'Età dell'Acquario, e anch'essi, come Thorne,desideravano far uscire la magia dai Templi e portarla nelle strade. La disputa giunse perfino sulle pagine dell'Examitier con un articolo cherappresentava Simon come un illustre parapsicologo che smascherava unciarlatano degenerato. Certamente Thorne non faceva buona impressionecome Simon; anzi, prima di avere finito con lui il reporter era riuscito afarlo sembrare un imbroglione. Ma Thorne aveva strategie d'attacco diver-se dalla carta stampata della classe dirigente, e le usava tutte. In qualsiasi altro momento, Colin l'avrebbe considerata una scaramucciadi nessuna importanza. Ora la giudicava invece come il sintomo di una vo-

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lontà di divisione più grave: le fazioni della Luce impelagate in futili litiginel momento in cui la loro cooperazione reciproca appariva più indispen-sabile. Da che parte stai? gli aveva chiesto Thorne una volta. Adesso Colin sichiedeva la stessa cosa sul giovane mago. In nome di chi operava Thorne:della Luce o delle Tenebre? Almeno lo sapeva? Giugno 1967. Colin aveva trovato un appartamento a North Beach e siera trasferito dall'altra parte della Baia poche settimane prima. Ora lavo-rava a tempo pieno con il Gruppo Rhodes. Per la maggior parte si trattavadi lavoro di routine - se l'investigazione di possessioni e infestazioni si po-teva così definire - e la maggioranza dei casi che gli si erano presentati ve-niva risolta grazie a spiegazioni puramente terrene. Quelli non facilmentespiegabili in base a cause del tutto razionali erano state le rare ma non cer-to soprannaturali manifestazioni di comuni poteri psichici: telepatia, pre-cognizione, telecinesi, chiaroveggenza, anche se alcuni erano provvisti diappendici occulte. In genere, chi scopriva di essere tra le rare persone dotate di poteri psi-chici si rivolgeva all'occulto per trovare spiegazione a quelle capacità ap-parentemente irrazionali. Quegli individui avevano poca scelta, visto chereligione e scienza li avevano abbandonati entrambi: la religione attribuivai loro doni al regno dell'adorazione del diavolo, e la scienza li negava inblocco. Non c'era da stupirsi che la maggioranza dei medium fossero dei ne-vrotici, dal momento che tentavano di conciliare le prove fornite dai sensiagli insegnamenti tratti dalla cultura. Anche se Colin contestava il princi-pio di Thorne che credeva nella rivelazione dei Grandi Segreti, doveva cer-tamente esserci un terreno comune di educazione psichica in modo che gliindividui normali e conservatori non fossero obbligati a scegliere tra ilDiavolo e la pazzia quando si trovavano di fronte all'Ignoto. Il volantino infilato sotto la porta dell'appartamento di Colin annunciavaun «Incontro di amore e magia contro la guerra» al parco del Golden Gateper sabato 17 giugno. Thorne apparentemente aveva ottenuto il permessotanto agognato per organizzare il raduno, nonostante tutti i tentativi di Si-mon di mettergli i bastoni tra le ruote. Colin non si aspettava che Ansteyfacesse la sua comparsa, ma Thorne avrebbe sicuramente approfittato del-l'occasione per cantare vittoria. Assistere alla lotta tra Thorne e Simon lo

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faceva impazzire per l'irritazione, quindi Colin non aveva intenzione dipartecipare, e pensava che anche Claire si sarebbe tenuta alla larga. Però,proprio la sera prima Claire l'aveva chiamato da Berkeley, dicendo che,dopotutto, sarebbe andata all'incontro. «È solo una sensazione, Colin, e probabilmente è causata semplicementedalla cattiva digestione. Ma penso di potermi rendere utile se ci vado. Hointenzione di portare Peter per darmi un sostegno morale.» Le intuizioni di Claire non sbagliavano spesso, e Colin si era abituato acrederci senza obiettare. «Allora ti incontro lì. Non sarà poi così terribile, no?» Il cielo splendeva di un azzurro intenso, ed era attraversato da qualchenuvoletta resa cangiante dai raggi del sole che la colpiva. C'erano circaventicinque gradi e l'aria era limpida. L'incontro aveva richiamato la solita moltitudine di gente di strada: mi-mi, truccatori, danzatrici del ventre, giocolieri, musicisti itineranti, artistiche facevano bolle di sapone. Copie della Voce della Verità venivano di-stribuite da venditori ambulanti, e qualcuno vendeva palloni gonfiati conl'elio. Alcuni dei palloni si erano già librati in cielo, e rimanevano im-pigliati tra gli alberi o erano trasportati dalle correnti dell'oceano sopra lacittà. Un palco all'aperto - ancora deserto ma provvisto di amplificatori ebatteria - era diventato un vago punto focale per la folla che si raccoglieva. Indossavano camicioni e pantaloni a zampa d'elefante, dashiki, top fattiall'uncinetto, gonne di jeans, giacche dai colori vivaci e di pelle a frange.Portavano simboli di pace e occhialini dalla foggia antiquata in tinte pa-stello, collane di perline e spillette con slogan nei colori dell'arcobaleno. Icapelli erano quasi tutti lunghi, in uomini e donne, e venivano lasciatisciolti sulle spalle, o a volte raccolti in una lunga coda. Erano a piedi nudio calzavano sandali, e portavano sulla schiena zaini, sacche o bambini. Eravenuta per la musica, o la politica, o solo per Thorne questa tribù desidero-sa di pace che presto - per un breve, fulgido istante - sarebbe stata cono-sciuta come la Nazione di Woodstock, una nazione che, come il regno diCamelot, si sarebbe dissolta nel momento stesso della sua realizzazione,lasciando che i suoi figli in esilio la pensassero con nostalgia da quel mo-mento in poi. Ma quel giorno ogni perdita era ancora in un futuro lontano. «Claire!» esclamò Colin con sollievo, felice di riconoscere almeno un

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viso noto. «Dov'è Peter? Pensavo che sarebbe venuto con te.» «È stato chiamato a lavorare su un caso all'ultimo momento», spiegòClaire. «Ha detto che ci raggiunge appena può, ma non ci conto troppo.»Sorrise. Il suo abbigliamento non si adeguava al look modaiolo dei negozi di se-conda mano, e Claire risaltava in mezzo alla gente quasi quanto Colin. In-dossava un completo a maniche corte marrone con inserti di rosa shockinge giallo brillante. Borsa e stivali erano di cuoio verniciato, e gli orecchinibianchi a clips si intonavano con la montatura di plastica degli occhialiscuri che portava per proteggersi dal sole estivo. «Sono contenta di averti trovato», disse Claire. «Questo posto è un verozoo, no? Non c'è la possibilità di scambiare una parola in privato.» «Sono passato prima da casa, ma Tex mi ha detto che gli altri erano giàpartiti per venire qui. Speravo di parlare a Thorne prima che cominciasse»,disse Colin. «Pensi che intenda sferrare un altro attacco a Simon», indovinò Claire. «Non servono poteri psichici per prevederlo», rispose Colin con unasmorfia. «Sì, speravo di convincere Thorne a essere ragionevole. Non riu-scirà mai a fare accettare le sue idee su larga scala se continua ad attaccarele autorità a ogni occasione.» «E anche se non gli interessa l'accettazione degli altri», aggiunse Claire,«non penso che Alison riuscirà a convincere Simon a non fargli causa perquegli articoli sulla Voce della Verità. E con la fedina penale di Thorne, èdifficile immaginare che vinca la causa.» Colin sospirò. «Quel ragazzo è davvero troppo testardo.» «Quale?» chiese Claire con un sorriso malizioso. La grande famiglia di Thorne si individuava facilmente: mentre Colin eClaire stavano parlando, si erano avvicinati il più possibile al palco colPulmino del Mistero e stavano scaricando altre apparecchiature. Il Pulmino del Mistero in origine era stato un normale scuolabus giallo,prima di finire non si sa come in mano a Thorne. L'aveva sventrato, tra-sformandolo in una combinazione di camper e chiesa semovente: il veicoloera diventato un punto di riferimento nella Bay Area da quando aveva fattola sua comparsa, qualche mese prima. L'esterno era un incrocio tra un mu-rale e un collage in costante cambiamento. Quel giorno il sole si riflettevasu una cascata di stelle luccicanti dipinte sullo sfondo blu scuro del para-fango destro anteriore. Colin vide Pilgrim che correva tra gli adulti agitan-do un bastoncino per fare le bolle di sapone. Era coperto da vernici multi-

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colori per il corpo e poco altro, e aveva delle piume intrecciate ai lunghicapelli neri. Colin e Claire si diressero da quella parte. Katherine era in disparte conla bambina in braccio. «Come sta Verity?» chiese Claire, fermandosi ad ammirare la piccola. Verity Jourdemayne aveva ormai tre mesi, e la cuffietta di pizzo e il pa-gliaccetto di spugna sembravano stranamente convenzionali rispetto allasalopette dipinta a mano e alla maglietta della madre. «Cresce così rapidamente», disse Katherine. «L'ultima volta che Carolera qui non riusciva a credere che fosse diventata così grande. Sono moltofortunata ad averla.» Caroline era la sorella gemella di Katherine. Era stata alla Voce dellaVerità la prima volta che Colin e Claire ci erano andati, ma non era unmembro del gruppo di Thorne. Aveva un diploma in biblioteconomia e la-vorava in una biblioteca sulla costa orientale degli Stati Uniti. «Sai dov'è Thorne, Katherine?» chiese Colin. Forse Thorne, all'apice delsuccesso, avrebbe accettato di smettere di provocare Simon e di lasciar ca-dere quella polemica che li divideva. «Dev'essere da qualche parte qui attorno», disse Katherine pensosa.«Lavora a un nuovo rituale da quando c'è stato l'equinozio. Lo chiama A-pertura del Passaggio. Intende provarne oggi una parte.» Tipico di Thorne provare in pubblico quello che la maggior parte deimaghi avrebbe tentato solo nella più stretta segretezza. «Può darsi che sia dietro il pulmino», suggerì Katherine. «Proveremo a guardare lì», rispose Claire. Thorne si trovava infatti dietro il veicolo. Era in piedi su un armadiettodi metallo pieno di ammaccature e fotografava il raduno con un altro degliapparecchi male in arnese che lo accompagnavano ovunque andasse. In-dossava jeans scoloriti e sandali lisi, e diverse collane di perline sul pettonudo. Jonathan Ashwell - vestito in modo simile - gli stava accanto. Entrambi gli uomini sorrisero quando li videro. «Claire e Colin! Come stanno i fantasmi in questi giorni?» «Come sempre», rispose Colin. «Devo andare», si congedò Jonathan abbassando lo sguardo. Era sempreimbarazzato nei confronti di Colin nelle rare occasioni di incontro, comese sospettasse che l'ex professore fosse ancora arrabbiato per il suo ritiroda Berkeley. «Mi ha fatto piacere vederla, professore. Claire.»

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«E tu come stai?» chiese Claire quando Jonathan si fu allontanato. «EdSullivan? L'ho guardato la sera che mi aveva detto Debbie, ma non ti hovisto.» «Avresti dovuto essere tra il pubblico in sala, tesoro.» Thorne le fece unsorriso radioso. «La settimana prossima partecipo al Gioco delle coppie.Scapolo numero uno: quando volete rendere immanente il fine ultimo del-l'universo, preferite ricorrere a: (a) l'amore diretto dalla volontà, (b) la Cit-tà del Vaticano o (c) una testata nucleare?» Claire sbuffò. «Probabilmente cancelleranno anche quello dalla regi-strazione.» «Non ne sarei sorpreso», replicò Thorne. «È così divertente far ar-rabbiare quei porci che mi chiedo come mai la gente non si dedichi esclu-sivamente a quello.» Scese dal mobiletto. «Venite qui. Voglio im-mortalarvi insieme, così avrete una foto ricordo.» Portò Colin e Claire a qualche metro di distanza dall'autobus in modo dametterli davanti a un gruppetto di alberi. «Alla fine del mese faccio un lavoretto che nessuno potrà sottoporre acensura», continuò Thorne mentre metteva a fuoco. «Anstey può avermirotto le uova nel paniere questa volta, ma penso comunque che la solida-rietà ci salverà. Nulla è più forte della magia! E nulla può resistere allamagia!» Mentre parlava, Thorne scattò e caricò ripetutamente l'apparecchio, fa-cendo diverse foto. «Ecco», disse soddisfatto. «Adesso siete entrati nell'immortalità.» «A che tipo di solidarietà stai pensando?» chiese Colin in tono diffi-dente. Sperava di non suonare dubbioso come si sentiva. «Diventerò un dio», dichiarò Thorne felice. «E farò in modo che tutti miadorino. Non c'è ragione che la Grande Opera di Trasformazione si limitial corpo sottile, queste sono solo sciocchezze della Vecchia Eternità. LaTournée Universale del Mistero porterà la Grande Opera all'attenzione dipiù gente che mai. Trasformerò quella fama in denaro e potere e li useròper cambiare il mondo.» «Thorne...» cominciò Colin, ma l'attenzione volubile di Thorne si eraspostata altrove. «Ehi! Ma quella è Irene! Devo andare.» Si infilò l'appa-recchio fotografico al collo e corse via.» Colin sospirò profondamente. «Perché deve sempre fare del suo meglio per sembrare un pazzo deli-rante?» chiese Claire. «Ho parlato con Johnny Ashwell la settimana scor-

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sa: la Tournée Universale del Mistero è solo un paio di complessi rock chefanno una serie di concerti, e hanno chiesto a Thorne di accompagnarli.Non c'è nulla che riguardi... gli dei.» «Nessuno ha mai attirato l'attenzione dei media comportandosi in modoragionevole, moderato e serio», commentò Colin. «E Thorne sembra ormaientrato nel mondo dello spettacolo, nel bene e nel male. Vorrei proprio sa-pere come l'hanno trattato all'Ed Sullivan Show.» «Be', sappiamo come lui ha trattato l'Ed Sullivan Show», disse Clairebrevemente. «Ne ha fatto polpette.» «Vado a cercarlo», dichiarò Colin, pur sapendo che non si trattava di unabuona idea. Voleva ancora parlare con Thorne; se - come aveva lasciato in-tendere - rinunciava al piano di riunire le Logge Magiche e i gruppi NewAge della Bay Area all'insegna dell'attivismo politico, forse Colin potevapersuaderlo a rappacificarsi anche con Simon. E se Thorne fosse stato di-sposto a lasciar cadere per un attimo la maschera del «pagliaccio sacro»,forse Colin avrebbe potuto spiegargli perché l'unità tra le forze della Luceera in quel momento tanto importante. Ma Thorne sembrava possedere l'incredibile capacità di scomparire, perquanto Colin si sforzasse di trovarlo. Nel frattempo, il palco su cui si sa-rebbero svolti gli interventi - compreso quello di Thorne - veniva decoratocon bandiere, maschere di cartapesta e poster, tra cui alcuni che dicevano«le amfetamine uccidono!» con due siringhe incrociate sovrapposte a unteschio. Stendardi di colori vivaci - rosa, giallo, viola e verde acido - consimboli dipinti a mano sventolavano dolcemente nella brezza fresca aiquattro angoli del palco. L'intero spettacolo aveva la nitida irrealtà di un'il-lustrazione presa da un libro di favole. Ma il mondo in cui esisteva era tristemente reale. Dov'era Thorne? Non poteva essersi semplicemente volatilizzato. In-tanto doveva mettersi il costume - Colin non avrebbe concesso ai suoi in-dumenti la dignità del nome di «abiti rituali» -, ma temeva che, se avesseaspettato il suo ritorno al pulmino, non avrebbe avuto il tempo di parlargli,e Thorne era troppo agitato dopo un rituale per poter tenere una qualunqueconversazione. Mentre Colin lo cercava, uno dei complessi partecipanti al raduno - ilnome dipinto sulla batteria era «Narzain Kui» - salì sul palco. Colin era di-retto all'autobus ma, quando i Narzain Kui cominciarono a suonare, la follasi strinse attorno al palco, attratta come pagliuzze di ferro a una potente ca-lamita. La calca intrappolò Colin dove si trovava, e non gli rimase altro da

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fare che stringere i denti frustrato. Il chiasso assordante del loro primo numero lo colpì come un muro d'ac-qua, ma dopo qualche secondo Colin scoprì che riusciva a capire le parole. Hanno fatto una promessa che non capiscono Adesso sono partiti per uno strano paese straniero Prendete il fucile e seguite la banda E vi scoprite a uccidere per degli assassini... La canzone era apparentemente nota al pubblico; gli ascoltatori parteci-pavano come se si fosse trattato di un coro religioso, e Colin avvertì unformicolio sulla pelle quando il livello di energia intorno a lui aumentòvertiginosamente. Il chitarrista rispose con un a solo che risuonò nell'ariaprima che la band attaccasse la seconda strofa. Uccidere per degli assassini, non è la vostra battaglia Venite a sfogarvi per la morte della luce... Colin aveva l'impressione di un animale inesorabile e possente, consape-vole solo a metà, ma che ribolliva di giusta ira. «Vi fate largo seminandostrage... sapete quel che è giusto...» Era come se i ragazzi che lo circonda-vano fossero convinti che la musica potesse sostituire l'attivismo politico...Che Dio aiutasse il paese se si accorgevano che non era così. Quando vi scoprite a uccidere per degli assassini... Alla fine della seconda strofa il complesso attaccò un lungo intermezzo eThorne salì sul palco, muovendosi con precauzione a causa del costume.Colin rimase per un attimo sconcertato, strappato da quell'apparizione al-l'incantesimo prodotto dalla musica. Thorne portava gli abiti di un Adepto; quegli indumenti erano riservati aun membro dell'Ordine Interno. Fosse stato solo quello, sarebbe già statoabbastanza negativo, ma aveva anche compiuto delle aggiunte. Sulle spalleportava una specie di mantellina di pelliccia - Colin pensava che potesseessere di lupo - e in testa una corona di corna di cervo con il disco del soleincastonato nel mezzo. Si era sparso dappertutto una dose generosa di bril-lantini, che si staccavano progressivamente dal costume producendo unacontinua pioggia dorata. Adesso che il suo desiderio di lavorare in collabo-

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razione con gli altri Ordini Magici della Bay Area era stato reso impossibi-le proprio da quei suoi atteggiamenti vistosi, Colin aveva sperato cheThorne modificasse il suo comportamento. Non fu premiato da una tale fortuna. L'intermezzo finì. Il chitarrista indicò un secondo microfono sorridendo,e ora anche Thorne si mise a cantare. La luce morente rende ogni giorno più buio... Se Thorne avesse voluto alienarsi le simpatie degli occultisti che ancorasostenevano la sua causa, era partito alla grande. Mettetevi in ginocchio e ricordatevi le preghiere... «Misericordia!» esclamò Claire, alzandosi in punta di piedi per urlare al-l'orecchio di Colin. «Da cosa si è travestito?» Seguite gli ordini come una volta... Colin non si chiese come aveva fatto a trovarlo: Claire possedeva quelgenere di intuito. «Da qualcosa che non ha mai più il diritto di imitare», rispose Colin, al-zando la voce per sovrastare il baccano del complesso. E vi scoprite a uccidere per degli assassini... I Narzain Kui aumentarono ancora il volume verso la fine della canzone;ormai la maggior parte del pubblico cantava - o ripeteva le parole - insiemealla band. Uccidere per degli assassini... Non finisce lì Uccidere per degli assassini... La guerra è dappertutto Uccidere per degli assassini... fate la cosa giusta O vi scoprite a uccidere per degli assassini... La folla si mise ad applaudire; Thorne abbracciò il chitarrista solista e leurla di incoraggiamento divennero ancora più forti. Il complesso rimasesul palco mentre Thorne aspettava che il pubblico si calmasse. Solo allora

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tolse il microfono dal supporto e ne fece oscillare il filo avanti e indietro. «Ehi, Epopti e Illuminati», canticchiò in modo sommesso. «Chi vuolecambiare il mondo?» «Noi!» urlò di rimando il pubblico. Il batterista diede un gran colpo a cuirispose un sibilo. Thorne sfruttò l'energia della musica e l'accrebbe, conducendo la folla auna frenesia che Colin temeva potesse trasformarla in una massa irra-gionevole. Era forse quello che voleva? Era quella la fonte da cui venivanoi suoi rituali? Tra le grida e gli applausi, Colin udì ora le urla della Bestia. «Guarda, Colin: quello non è Simon Anstey?» disse improvvisamenteClaire in tono preoccupato. Colin distolse lo sguardo dal palco e vide Simon. Avvertì un vago sensodi sollievo: qualunque fosse il motivo della sua venuta, avrebbe fatto abor-tire il progetto mostruoso che Thorne stava realizzando. Simon indossava un completo elegante scuro e appariva fuori luogo piùancora di Colin e Claire. Si stava facendo strada con determinazione tra lafolla verso Thorne, e aveva con sé due poliziotti. Anche Thorne l'aveva visto. Abbassò riluttante le braccia e cercò di as-sumere il controllo della situazione. «Ehi, guardate chi c'è. Simon Anstey, famoso musicista e arbitro dellaverità. Sei venuto a dare a noi hippie qualche lezione di piano, Simon?» Il pubblico, ormai su di giri, rise, fendendosi a malincuore per lasciarpassare Simon che intendeva avvicinarsi al palco. Colin e Claire vennerospinti indietro da quelli che si spostavano; entrambi avvertirono la violenzaincipiente nei corpi che li circondavano. «Questa volta non otterrai quello che vuoi ignorando tutti gli altri, Bla-ckburn! Tu e i tuoi hippie male in arnese potete fare i bagagli e andarve-ne!» urlò Simon. «Ho un permesso», biascicò Thorne nella sua voce più irritante. Quellarecita era a beneficio del pubblico, che si mise a ridere. Simon fece un ghigno beffardo. «Be', e io ho un mandato per farti smet-tere. Sei un rompiscatole, Blackburn, e ho intenzione di fermarti.» Simon arrivò di fronte al palco e si mise ad agitare il documento Lo get-tò ai piedi di Thorne. Thorne aveva l'aria sbalordita, come se non si fosseaspettato una cosa del genere. «Cosa vuoi, Anstey?» chiese infine. «Sono venuto a smascherarti perché tutti si rendano conto di chi sei,

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Blackburn: un imbroglione! Un pagliaccio! Un insulto agli insegnamentiche affermi di impartire!» urlò Simon. «Be', fallo allora, se sei capace!» disse Thorne nel microfono che gli sta-va davanti. La sua voce amplificata tuonò dagli amplificatori che si trova-vano ai lati del palco. Fece un passo indietro, gettando il microfono a Si-mon. Simon ebbe il buonsenso - o l'arte dello showman - di non usarlo; questoavrebbe ridotto la disputa al livello di due comici che cercano di mettersireciprocamente in ombra. Ributtò il microfono sul palco, dove cadde conun tonfo e un sibilo elettronico. Uno dei membri del complesso fece unbalzo per staccare la spina del microfono dall'amplificatore. «Lascia perdere e tornatene a casa, Blackburn: nessuno ti vuole qui»,disse Simon. «Personalmente, ne ho fin sopra i capelli del tuo ego esibito aogni pie' sospinto e delle tue ridicole rivendicazioni di potere! Non ci sonogià abbastanza truffatori in giro per il mondo che si approfittano degli in-genui? La cosa più triste è che qualcuno creda a te e al tuo raggiro», di-chiarò Simon. Thorne smise di guardare Simon per rivolgersi al pubblico. «Se vuoi un raggiro, Anstey, per quel che mi riguarda è il Sentiero chetu... e Colin MacLaren...» aggiunse Thorne, guardando esattamente il pun-to in cui Colin si trovava in mezzo alla folla «e il resto di voialtri monaciin tunica nera al servizio della Luce cercate di imporre a tutti coloro allaricerca di risposte. Il vostro Sentiero è un imbroglio, Simon Magus, un'il-lusione creata da generazioni di vecchi in camicie da notte bianche per im-pedire ai seguaci di cambiare davvero il mondo reale! E qui deve finire!»urlò Thorne, spalancando le braccia con gesto teatrale. Vi furono alcune urla di incoraggiamento, ma la maggior parte del pub-blico si agitava ed era chiaramente a disagio. Senza l'aiuto del microfono,non potevano sentire quello che accadeva sul palco, e la presenza dei poli-ziotti li metteva in ansia. Colin riusciva a sentire la violenza nell'aria comela minaccia di un temporale. «Be', l'unico cambiamento reso possibile dai tuoi seguaci è l'aumento deltuo conto in banca, Blackburn!» ringhiò Simon. «Ti danno tutto quello chepossiedono, e cosa ottengono in cambio? Niente!» «Almeno hanno la possibilità di giudicare con la loro testa», replicòThorne. «Tutto quello che vuoi è che seguano te invece di me; gli applausiche riscuoti nelle sale da concerto non ti bastano più?» «E va bene, signor Blackburn. Adesso deve venire con noi», intervenne

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uno degli sceriffi, salendo sul palco. Colin vide dall'espressione sul viso di Simon che non aveva avuto l'in-tenzione di spingere la cosa fino a quel punto. «Devo intervenire prima cheThorne scateni una rissa», disse Colin a Claire. Cominciò a farsi stradaverso il palco. La folla, portata alle soglie dell'isteria da Thorne solo pochi minuti pri-ma, era sempre più infastidita dall'interruzione, e si facevano sempre piùnumerosi i fischi in direzione di Simon. «Giudicare da soli? Questa è bella!» esclamò Simon. «Come possonogiudicare quando tutto quello che gli dai sono bugie, trucchetti e promessevuote? Non sono io a dire alla gente che sono figlio di un dio!» «Probabilmente pensi che le azioni siano più eloquenti delle parole», glisussurrò in tono falsamente amorevole Thorne con un altro microfono. Risate. Thorne indietreggiò dal poliziotto che stava salendo sul palco. OrmaiColin era giunto ai piedi della piattaforma e si stava avvicinando ai gra-dini. «Sì», continuò ostinatamente Simon dal basso, «lo penso. Se hai davve-ro i poteri divini che affermi di possedere, Blackburn, perché non faiscomparire il mandato per l'interruzione della manifestazione? Perché nonmi trasformi in un rospo o qualcosa del genere?» Il giorno che era sembrato radioso solo poco prima si stava scurendo,poiché delle nubi scendevano condensandosi dalle montagne di San Ga-briel e coprivano il cielo con una cappa che pareva stamigna. «Non cerco mai di migliorare l'opera di Madre Natura», sbottò Thorne.Il poliziotto lo raggiunse, e vi fu una breve lotta mentre Thorne cercava didivincolarsi. L'uomo tirò fuori le manette, Colin salì sul palco e si diresseverso di lui. Ancora un attimo e la gente avrebbe invaso il palco e ci sareb-bero stati dei feriti. «Non ce n'è bisogno», assicurò Colin in tono pacato all'ufficiale. «Sequesto è un mandato autentico, sono sicuro che il signor Blackburn lo ri-spetterà.» «Et tu, Colin?» domandò Thorne, fissando Colin oltre la spalla del poli-ziotto. Questi fece un passo indietro senza ammanettarlo. «Non cercare di mettermi in soggezione: anch'io ho ricevuto un'edu-cazione classica», replicò Colin bruscamente. «Simon, cosa pensavi di di-mostrare in questo modo?» chiese Colin, voltandosi e guardando SimonAnstey.

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«Sono stufo di guardare questo ciarlatano rovinare tutto quello per cuiio e Alison lavoriamo!» esclamò Simon, salendo anch'egli sul palco. «Co-me potrà essere accettata la parapsicologia come legittimo campo di ricer-ca se lui trasforma l'occulto in uno spettacolo di infimo grado?» «Ma è uno spettacolo», ribatté Thorne a voce bassa, allontanandosi dalpoliziotto. «E questo il punto.» «No», intervenne Colin, improvvisamente insofferente. «È quello cheognuno di noi ne fa. Avresti potuto farne qualcosa di buono, di utile... a-vresti potuto essere il tramite per avvicinare nuovi cercatori agli AntichiMisteri...» «Sciocchezze antiquate!» urlò Thorne, balzando di nuovo verso la parteanteriore del palco. La corona di corna era storta, e Thorne se la tolse e lagettò tra la folla. «Cedi, rinuncia... sottomettiti... Non ci penso neanche!L'umanità ha il potere degli dei, ed è tempo che venga usato per qualcosadi più importante del far girare il mulino di preghiera...» «Chiudi il becco e finiscila, oppure te ne vai di qui in manette. Mike! Fa'circolare questa gente!» abbaiò l'ufficiale sul palco. Thorne alzò le spalle e sembrò arrendersi all'improvviso. Cominciò a to-gliersi le vesti rituali e guardò Colin. «Attacchi tutto quello in cui credo», esclamò Colin, rispondendo allapreghiera muta, «poi ti aspetti di approfittare delle qualità che disprezzi nelmomento in cui ti trovi nei guai. Non posso aiutarti questa volta, Thorne.» «Vattene, allora», replicò Thorne. «Torna alla tua preziosa, sicura, insul-sa Luce bianca. Solo che ti sbagli quando la consideri un Sentiero: è un vi-colo cieco. Avanti, amici e amiche», disse Thorne al pubblico, allargandole mani per attirare la loro attenzione. «Oggi i porci vincono, domani saràil nostro turno. Andiamocene tutti senza causare problemi; hanno già ab-bastanza paura di noi così.» Fu solo più tardi che Colin capì perché il Dono di Claire l'aveva indottaa partecipare al raduno quel giorno. Non ci era andata per Thorne Bla-ckburn. Ci era andata per lui. PARENTESI IV Giugno 1967 Thorne e Colin si videro molto poco dopo quel giorno. Era come seThorne avesse rinunciato a Colin, decidendo che non meritava il suo tem-

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po; e, da un punto di vista pratico, le loro strade si erano allontanate alpunto che Colin non poteva più ignorare quello che Thorne sosteneva. Poche settimane dopo la scena nel parco, il desiderio di Simon si rea-lizzò almeno in parte. Thorne partì per la Tournée Universale del Mistero:sei settimane di pace, rock 'n' roll e magia, quella dei trucchi e quella vera.In seguito a quella manifestazione Thorne divenne una vera celebrità na-zionale, e decise di sparire quasi completamente dalla vita pubblica. Erariuscito, in qualche modo, ad accumulare una notevole fortuna e ne usòuna parte per acquistare una tenuta nella parte settentrionale dello stato diNew York, chiamata Shadow's Gate. Dopo quel giorno di giugno nel parco, non rividi più Thorne Blackburnvivo. Ma prima di avere notizie della sua morte, dovetti subire una perditamolto più vicina a me... CAPITOLO 8Berkeley, 16 settembre 1968Lui è sicuro, e non può mai piangereun cuore che si è raffreddato,una testa diventata grigia invano. Percy Bysshe Shelley Il 1968 fu un anno caratterizzato dalla violenza e dalla morte. Prima chefosse finito, due assassinii avevano cambiato per sempre il tono della vitapolitica americana: quello di Martin Luther King Jr. e del senatore RobertF. Kennedy. I due uomini furono uccisi a solo otto settimane di distanza e,all'indomani del secondo delitto, i tumulti scoppiati alla Convention deiDemocratici a Chicago assunsero un'importanza surreale, apocalittica;vennero visti dalla destra come un'estensione della crudeltà animale cheaveva cooptato il processo politico, e dalla sinistra come la conferma delfatto che l'America era diventata uno stato di polizia brutale. Avevano acquistato il piccolo villino quattro anni prima, quando Peterera stato promosso. Erano stati così felici il giorno in cui vi si erano tra-sferiti: finalmente una vera casa. A volte sembrava a Claire di riuscire an-cora a provare quella gioia, come se fosse stata registrata dall'ossatura stes-sa della casa e riecheggiasse nelle sue stanze come vecchia musica. Era decisa a fare della loro dimora quello che la sua non era mai stata: a

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volte Peter rideva della sua determinazione, ma la madre di suo marito no.Elisabeth Moffat capiva la nuora con la comunione senza parole che gene-ra tra due sconosciuti un'amicizia sincera nel giro di un istante. Aveva ac-colto Claire nel suo cuore e nella sua famiglia con una benevolenza sem-plice che Claire considerava un dono miracoloso. Sotto la tutela della suo-cera, la piccola villetta era diventata una vera casa. Per due e forse, ungiorno, per tre. Claire sapeva che Peter desiderava dei figli; l'idea la spaventava, perchétemeva che avrebbe ricreato l'inferno della propria infanzia per il suo bam-bino. Ci volle molto tempo prima che quella paura si calmasse, ma sapevache non sarebbe mai scomparsa del tutto. Ma con Peter e sua madre chel'aiutavano, era lentamente diventata più sicura, se non delle sue capacitàdi madre, almeno del fatto che i suoi errori non sarebbero stati intollerabili.Quella primavera aveva cominciato a cercare di restare incinta. I sogni erano iniziati in quel momento. All'inizio aveva pensato che fossero semplicemente dovuti all'ansia. Po-co dopo la rottura con Thorne, Colin era tornato sulla costa orientale. Unamico gli aveva offerto un posto alla Selkie Press, una casa editrice specia-lizzata in testi sulla parapsicologia e sull'occulto, e Colin, sempre più incontrasto con il Gruppo Rhodes e la sua politica di conciliazione e segre-tezza, aveva accettato l'offerta. Ma, benché Claire sapesse che Colin le sarebbe mancato, non pensava didipendere tanto da lui da sprofondare nel terrore per la sua assenza. Pote-va, dopotutto, raggiungerlo con una semplice telefonata. Eppure continuava a sognare. All'inizio erano semplici accenni, un disagio che si riversava negli altrisogni. Poi vennero le immagini, di lei che correva attraverso la nebbia echiedeva urlando il ritorno di... qualcosa. C'era un senso di perdita in quel-le visioni, una perdita profonda e dolorosa. Sapeva di cosa si trattava. Ogni volta che quella consapevolezza riaffiorava, Claire la rifiutava.Non era vero. Era un malsano desiderio al contrario. Oppure per una voltail Dono le mandava messaggi sbagliati, era guastato perché lei era conta-minata dalla colpa immeritata dell'educazione ricevuta da piccola. Nel suo cuore sapeva che nessuna di quelle spiegazioni era valida. Il so-gno continuò, mese dopo mese, finché non trascorse la metà di un anno.Non lo raccontò a nessuno, ma nella sua mente riecheggiavano con-versazioni mai tenute. Claire, perché non mi hai detto niente? La voce di

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Colin. E la sua risposta: Come avrei potuto? Se non lo dicevo a nessuno, potevoancora sperare di sbagliarmi. E se l'avessi detto a te avrei dovuto dirloanche a lui, altrimenti avrei finito per nascondergli un segreto, e non pote-vo sopportarlo. A chi raccontarlo, se non posso dirlo a lui? A nessuno. Quando era ancora molto giovane, Claire era diventata esperta in dis-simulazione: nascondeva le verità indesiderate e presentava una faccia li-scia e serena al mondo. Ora riesumò tutte le abilità che aveva creduto or-mai superflue e le usò per seppellire in profondità la realtà e fingere chetutto fosse normale. Riuscì a prendere in giro perfino se stessa, salvoquando sognava. Quando i sogni la svegliavano, Claire scivolava silenziosamente fuoridal letto matrimoniale e si rifugiava in cucina a bere una tazza di tè e apensare a un modo per salvare Peter. Non poteva avvisarlo. Non c'era nulladi cui avvisarlo, salvo il pauroso senso di perdita che lei avvertiva. Cono-sceva il lavoro che lui faceva anche prima di sposarlo. Aveva sempre sapu-to che era pericoloso, e che lo amava troppo per rinunciarvi facilmente.Dirgli che aveva paura non l'avrebbe protetto dal pericolo; sarebbe solostata una crudeltà inutile. Quindi Claire non rivelò il suo segreto, e mantenne dei compartimentistagni nella sua mente tra vago terrore e ignoranza intenzionale. Finché un giorno non poté più ignorare la cosa. Era il 16 settembre, un lunedì. Peter faceva il turno pomeridiano, dalletre alle otto. Claire era a casa e preparava la cena con i suoni provenentidalla televisione come sottofondo. Negli ultimi anni si era iscritta a un'agenzia di lavoro temporaneo - c'erasempre lavoro per una persona con il diploma da infermiera disposta a faredelle sostituzioni -, ma una volta che il significato dei sogni premonitoriera diventato evidente aveva lavorato sempre meno. Detestava uscire perqualsiasi motivo, come se l'atto di rimanere in casa potesse costituire unaprotezione nei confronti del futuro. Per la maggior parte della giornata si teneva occupata, ma da qualchetempo, verso le sette di sera, cominciava a guardare l'orologio. E quandoarrivavano le otto mormorava una preghiera di ringraziamento, anche sePeter non sarebbe tornato per un'altra ora. Alle otto il suo turno terminava,ed era sano e salvo per un altro giorno. Allora Claire poteva ricominciare avivere, e quando il marito tornava a casa poteva accoglierlo come se niente

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fosse stato. Erano le 8.45. Era in cucina e preparava la cena. Aveva cambiato orariper adattarli a quelli di Peter, quindi cenavano piuttosto tardi. C'era un pro-sciutto che cuoceva nel forno: era il suo piatto preferito. Sarebbero passatianni prima che riuscisse a sentire l'odore del prosciutto senza provare nau-sea. Stava riempiendo una pentola d'acqua al rubinetto per metterla sul for-nello. E poi, in un attimo, il mondo le sfuggì. Era sdraiata per terra, al buio. Sopra di lei, vedeva le luci della drogheriaa qualche isolato da casa. Non provava dolore. Si sentiva solo fredda e bagnata e avvertiva unagrande calma, sapendo che la morte era sopraggiunta e che tutto si arre-stava in quell'istante. «Peter!» Il fracasso della pentola che cadeva sul linoleum fece tornare in sé Clai-re. Il pavimento era coperto d'acqua, ma non si fermò per asciugare. Affer-rò le chiavi della macchina e corse fuori. Sapeva dov'era Peter. L'avrebbe saputo anche se i vincoli esistenti tra lo-ro non l'avessero portata al piccolo centro commerciale a un quarto d'ora didistanza. Più tardi non ricordò nulla del tragitto, ma solo dell'attimo in cuigirò l'angolo e vide le due auto della polizia parcheggiate davanti al nego-zio. «Ehi, signora... Gesù, è Claire... Tesoro, non...» Le parole la sfioraronosenza riuscire a fare breccia; si divincolò dalle mani che la trattenevanofinché non la lasciarono andare. Avevano coperto Peter con un plaid; impaziente, Claire lo abbassò, ingi-nocchiandosi vicino a lui. Il pavimento era scivoloso e umido, e allora nonne comprese il motivo. Perché gli avevano coperto la faccia? «Peter?» sussurrò Claire. Gli prese la mano e le dita cercarono, con ge-sto automatico, il polso. Ma era troppo tardi. La mano era fredda e senzavita tra le sue. Se n'era già andato. Non è giusto. Non è giusto, non era neppure in servizio. Com'è possibileche qualcuno gli abbia sparato mentre non era neppure in servizio... Nulla le importava in quel momento. Solo più tardi le avrebbero rac-contato l'intera storia: una rapina, un fucile a canne mozze. Le assicura-rono che Peter se n'era andato rapidamente e senza provare dolore. Le dis-sero che era morto da eroe. Niente di tutto quello le interessava. L'unicacosa importante era la consapevolezza che doveva essere lei a dirlo a sua

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madre. Uno degli ufficiali in uniforme accompagnò Claire in macchina dalla si-gnora Moffat. Avrebbe voluto portarla a casa, ma Claire era stata irremo-vibile. Avvertiva un bisogno impellente di dare subito la notizia, come seaspettando avrebbe potuto peggiorare le cose. Sapeva che la sua calma eraun'illusione causata da un trauma emotivo paralizzante. Sapeva che sareb-be stato più delicato aspettare e informare la signora Moffat il giorno suc-cessivo. Ma in un angolo del cuore di Claire sopravviveva la convinzioneirrazionale che la morte di Peter non fosse reale, che Elisabeth Moffat a-vrebbe avuto qualche magia segreta capace di annullarla. La macchina entrò nel vialetto. «Claire, perché non aspetti qui e...» «Non dire sciocchezze, Steve», lo interruppe Claire. Le sue parole eranorese crudelmente brusche dallo shock. «Se non sento dire quelle parole sa-rà ancora più difficile per me. Tanto, so già che Peter è morto.» Spalancò lo sportello e scese dall'auto. La madre di Peter capì prima ancora che Claire avesse detto una parola.Quale parente di un poliziotto non immaginerebbe l'accaduto all'arrivo diun ufficiale in uniforme alla sua porta nel cuore della notte? Sono più tardi Claire pensò che aveva dovuto avere l'aspetto di un Mes-saggero di Morte: Si era ripulita dalla maggior parte del sangue durante iltragitto, ma le gambe erano ancora sporche. Steve parlò con tatto, ma Claire capì che fu sollevato quando il suo par-tner accostò al marciapiede qualche minuto dopo e poté andarsene. Sapevache si vedeva al posto di Peter per terra nel parcheggio: avrebbe potutotoccare a lui o a uno qualsiasi di loro. «Mi dispiace tanto. Oh, Claire, ragazza mia, speravo che non ti sarebbemai accaduta una cosa del genere», gemette Elisabeth Moffat. Perché sei così preoccupata? si chiese Claire, leggermente perplessa.Peter è morto. Non possiamo più farci nulla. Non c'è nulla di cui angu-stiarsi. E, nella parte più profonda di lei, avvertì un senso di sollievo poi-ché l'attesa era finita, e di orgoglio perché Peter non aveva mai saputo cosalei avesse atteso per tutte quelle lunghe settimane. «Va tutto bene», disse insulsamente. Lacrime involontarie le velaronogli occhi; per un attimo non capì perché le si era offuscata la vista, poi lefece sparire sbattendo le palpebre. «Vado a preparare una tazza di tè. Poiimmagino che dovremo pensare al da farsi.»

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Non che gliene importasse qualcosa. Nulla le importava più né le sa-rebbe importato per molto tempo. Il funerale si tenne il lunedì successivo e, a dispetto dell'atmosfera di do-lore, era una bellissima giornata. Il cielo azzurro era sgombro di nubi, laluce del sole era dorata e l'aria trasmetteva un calore estivo. Le lapidi e glialti monumenti erano di un bianco abbagliante. Il dipartimento di Peter partecipò in massa, naturalmente. Peter era statomolto apprezzato. Fu il pastore della loro chiesa a celebrare il funerale:non era il caso che il riposo eterno di Peter fosse salutato dalle parole di e-stranei che non l'avevano conosciuto da vivo. Colin era venuto, per fortuna. Claire non pensava che senza di lui ce l'a-vrebbe fatta. Elisabeth era calma e composta, ma ormai aveva seppellitoentrambi i suoi uomini, e il dolore aveva inciso profonde rughe sul suo vi-so. Elisabeth Moffat era sempre stata salda e immutabile come una roccia,ma pareva che dall'oggi al domani fosse invecchiata di vent'anni, e Claireera preoccupata per la sua salute. Per sé, non aveva timore. Pensava chenon avrebbe provato nulla, mai più. Quella parte di lei era morta con Peter,uccisa come una rosa estiva che si avvizzisce per una gelata prematura. Una parte di lei sapeva che avrebbe superato quel momento terribile, cheil tempo, perlomeno, avrebbe attutito il dolore insistente di quel-l'amputazione e le avrebbe insegnato a trovare di nuovo bella la vita. Clai-re se ne rendeva conto anche in quella prima sconvolgente fase di lutto, mala parte spensierata e serena di lei che Peter aveva introdotto alla gioia erasparita per sempre. «Claire.» Il funerale era finito e tutti gli altri se n'erano andati, ma Claire non riu-sciva a risolversi a partire. Per quanto quel momento fosse terribile, essa virestava aggrappata, perché quando fosse finito sarebbe cominciata la suavita senza Peter. «Colin, che modo allegro per accoglierti», riuscì a dire. «Non mi aspettavo delle ballerine, tutto considerato. So che sembra ba-nale e superficiale, ma se posso fare qualcosa...» «No, a meno che tu non sia in grado di risuscitare i morti», esclamòClaire prima di riuscire a trattenersi. «Scusa, Colin, è meschino. Non ècolpa tua. Non è colpa di nessuno, a parte quel piccolo bastardo col fucile,e lo hanno preso.» Si massaggiò gli occhi stancamente; erano asciutti, ma

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solo perché aveva già pianto molto. «Quindi c'è un lieto fine dopotutto,no?» «Penso che nessuno si possa fingere tanto distaccato», dichiarò Colin.Le mise una mano sulla spalla. «E chiunque cerchi di convincerti che è an-dato tutto per il meglio è un vigliacco e un sadico.» Claire si stropicciò gli occhi. «Immagino che dovrei piangere, ma sonotroppo stanca. Tutto sembra così inutile, in un certo senso. So che è loshock, ma...» Scosse il capo. Svoltarono e si avviarono verso l'auto. «\"Ma\" niente», disse Colin con fermezza. «Hai sofferto una grave perdi-ta. Prenditi il tempo per soffrire prima di cercare di riprendere in mano latua vita. Peter era una brava persona. Mancherà a tutti noi.» «Ma non gli è servito, Colin, vero? Il fatto di essere buono... o altro. Èmorto comunque, no? Allora a cosa serve? A cosa serve fare qualunquecosa?» Colin non aveva risposte da offrirle. CAPITOLO 9 New York, 30 aprile 1969 Casa scura, accanto alla quale mi trovo ancora una volta nella lunga strada brutta. Porte, dove il mio cuore batteva un tempo tanto velocemente, in attesa di una mano. Alfred Tennyson «Il sole! Arriva il sole! Per la quercia e la cenere e la spina, il sole! Ar-riva il sole!» Era in una specie di tempio, ma non ne aveva mai visti di simili. Non eradedicato alla Luce, né corrotto dall'adorazione del Grande Dragone. NonNero, non Bianco, ma Grigio, grigio come la nebbia... «Il sole sta arrivando da sud!» urlò la donna con la tunica rossa. «Io tiinvoco: Abraxas, Metatron, Uranos...» I Nomi antichi riecheggiarono nel tempio. Dodici grossi massi dispostiin cerchio, e dove avrebbe dovuto trovarsi il tredicesimo c'era una querciaimponente, dalla corteccia divenuta grigia per le intemperie e il passaredel tempo. Il tronco si squarciò e ne uscì un Uomo con le Corna. C'era una donna ammantata dalla luce del sole; uscì dall'ombra dell'E-

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vocatrice in rosso per salutare il Signore della Quercia. «Venga Colui cheApre il Passaggio!» disse. «Per Abbadon! Meggido! Typhon! Set!» gridò la donna con la tunicascarlatta. «Apri ora, apri il Passaggio!» Invece il Serpente sollevò la testa, avvolgendo le sue spire intorno ai tre,trascinandoli giù nella Grande Oscurità mentre le campane della chiesasuonavano. E suonavano... e suonavano... Suonava... La mano trovò la plastica fredda del ricevitore e lo sollevò. «Colin? Colin, sei tu? Per favore, Colin, ci sei?» Le parole che uscivano dal telefono erano agitate, e si mescolavano inmodo confuso con le nebbie del sonno che si stavano sollevando poco apoco dalla mente di Colin MacLaren. «Sì, sì, ci sono. Datemi un minuto.» Si tirò su a sedere, senza lasciare la cornetta, e cercò a tentoni l'inter-ruttore della lampada sul comodino. Fuori dalla finestra dell'appartamentoal primo piano udiva il ronzio del traffico sulle strade bagnate di pioggia.Aprile a New York significava un tempo inclemente, e un temporale pri-maverile in piena regola si scagliava contro le finestre del vecchio edificiomarrone. Le luci dei lampioni trasformavano ogni goccia sul vetro in unminuscolo prisma di cristallo. Finalmente trovò l'interruttore e accese la luce. Immediatamente la stan-za tornò ai normali contorni che assumeva di giorno, ed egli si sentì piùsveglio. «Colin...» la voce lamentosa tornò a farsi sentire al telefono, e Colin finìper riconoscerla. «Caroline? Sei tu, Carol?» Caroline Jourdemayne era la sorella gemella di Katherine; lavorava co-me bibliotecaria in una piccola città chiamata Rock Creek lungo il corsodell'Hudson, nella contea di Amsterdam. «Sì! Oh, Colin, non sapevo chi altri chiamare, e... C'è polizia dapper-tutto, e non so cosa fare. C'è stato un incidente terribile...» «Calmati, Caroline. Certo che vengo. Sarò lì il prima possibile. Dove titrovi?» «Nella casa di Thorne, Shadow's Gate. È a Shadowkill; devi prendere laTaconic verso nord fino a Dutchess, poi la 43 per entrare nella 13. Fa' pre-sto, Colin, ti prego!» Riusciva a udire le lacrime nella voce di Caroline, il

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terrore che cercava in ogni modo di tenere sotto controllo. «Caroline, cos'è...» cominciò a chiedere Colin. Ma la comunicazione siinterruppe. Il fragore di un tuono riecheggiò nel cielo, e le luci tremarono; era unaragione sufficiente a giustificare la caduta della linea senza pensare a spie-gazioni più misteriose. Fortunatamente il suo telefono funzionava ancora.Colin sospirò, stropicciandosi gli occhi per svegliarsi del tutto. Tirò l'appa-recchio verso di sé e compose un altro numero. Guardò l'ora: le tre delmattino. Colin gemette sottovoce, ascoltando il trillo distante. Un'ora paz-zesca per dover svegliare qualcuno. Ma le sue paure si rivelarono infondate: Claire non era a casa. Quandosua suocera era morta - di un ictus - solo poche settimane dopo l'omicidiodi Peter, Claire aveva voluto cambiare completamente aria, e aveva accet-tato il suggerimento di Colin di venire a New York. Era preoccupato cheClaire non ce la facesse a sopravvivere a quella doppia tragedia. La sua fu-ga iniziale da ogni elemento noto, il rifiuto violento della sua vecchia vitae ogni cosa che la ricordava, avrebbero potuto essere l'inizio di una spiralediscendente, ma Claire si era rimessa in piedi e aveva faticosamente co-minciato a ricostruire la sua vita. Mai, neppure nei momenti più bui, avevarifiutato i suggerimenti del dono che la portava sistematicamente a fiancodella gente bisognosa d'aiuto. Colin sospirò di nuovo, poi si alzò per vestirsi. Avrebbe voluto averlacon sé, ma lavorava come infermiera privata in quel periodo e trascorrevamolte notti fuori casa. L'avrebbe chiamata di nuovo lungo il tragitto se sene fosse presentata l'opportunità, oppure poteva sempre contattarla più tar-di da Shadow's Gate. Il Garage Cornby's, dove Colin teneva l'auto, era proprio dietro l'angolo,e quei due passi lo svegliarono del tutto. Alle tre e mezzo era sulla strada,diretto a nord. Non era mai stato a Shadow's Gate, il magico paradiso di Thorne. La lo-ro amicizia si era parecchio raffreddata da quel giorno nel parco, ma ilmodo in cui lui e Thorne si erano lasciati era indifferente. Caroline l'avevachiamato perché aveva bisogno di lui, e avrebbe ottenuto tutto l'aiuto chesarebbe stato in grado di darle. Chiamò di nuovo durante il tragitto. Le linee telefoniche della casa eranoancora isolate e Claire non era tornata; anche se fosse rincasata, c'eranopoco più di due ore da Manhattan a Shadowkill. Prima dell'arrivo di Claire

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la crisi sarebbe stata risolta, o così Colin sperava. Non osava pensare a co-sa lo aspettasse una volta giunto a Shadow's Gate. Tutto quello che sapeva delle attuali attività di Thorne l'aveva appresoguardando alla televisione il Johnny Carson Show l'autunno precedentecome milioni di altri americani. Thorne indossava una fascia argentata conincastonate delle pietre di luna, un paio di jeans di pitone e occhiali da soleche rifiutò di togliere per tutta la puntata. Aveva raccontato di aver acqui-stato una tenuta da destinare a scopi magici, dove lui e i suoi seguaci spe-ravano di intraprendere ricerche all'avanguardia sulla natura della realtàumana. Qualunque fosse l'attività che lo impegnava in quel periodo, sembravaandargli piuttosto bene. Appariva elegante e ricco, ben diverso dall'i-dealista trasandato e bizzarro che Colin aveva incontrato, gli pareva, in u-n'altra vita. Il cielo si stava illuminando quando raggiunse Shadow's Gate, e il tem-porale si era calmato. La casetta del portinaio all'ingresso della tenuta eragià bloccata dalla polizia, e due auto erano davanti all'entrata con le sireneaccese. «Scusi, signore. Nessuno può entrare.» Il poliziotto, col viso celato dalcappello a tesa larga, si sporse verso l'auto di Colin. «Mi chiamo Colin MacLaren», disse Colin. «Sono un amico di fami-glia.» Fortunatamente aveva continuato a lavorare con la polizia quando siera trasferito a New York; estrasse il biglietto da visita di Martin Becket elo mostrò all'agente. «Può controllare la mia buona fede con Martin, se vuole. Il numero dicasa è scritto dietro.» Il tenente investigatore Becket dirigeva un'unità nonufficiale per i «crimini dell'occulto» della Polizia di New York, e lui e Co-lin avevano lavorato insieme in più di un'occasione. «Posso prenderlo un momento, signore?» L'atteggiamento del poliziottoera diventato un po' più rispettoso. Si allontanò e tornò con un uomo silen-zioso che indossava un completo grigio e che avrebbe potuto portare le let-tere FBI ricamate sul taschino della giacca. Colin ebbe un tuffo al cuore. Inche guaio s'era cacciato questa volta Thorne? Droga? Ma Caroline conosceva Thorne dai tempi di San Francisco, e una sem-plice retata per droga non l'avrebbe indotta a fare una telefonata in preda alpanico. «Dottor MacLaren», disse. «Sono l'agente speciale Cheshire. Cosa pos-

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siamo fare per lei?» «Potete farmi entrare», rispose Colin, che cominciava a irritarsi. Sfilò ilbiglietto da visita di Becket dalle dita di Cheshire. «Una mia amica mi hachiamato chiedendomi di venire. Ha detto che è successo qualcosa, e pareproprio che avesse ragione. Cosa sta succedendo?» «E chi sarebbe?» chiese Cheshire, ignorando le domande di Colin. Colin rifletté sul da farsi. Quell'uomo non aveva diritto di interrogarlo -o almeno, Colin aveva il diritto di non rispondere -, ma dimostrarsi pococooperativo con l'agente speciale Cheshire non l'avrebbe aiutato a entrare aShadow's Gate. «Una mia amica, Caroline Jourdemayne. Mi ha chiamato circa due orefa, ma è caduta la linea per via del temporale. Lei sta bene, signor Cheshi-re? Sembrava piuttosto turbata.» L'agente accennò un sorriso. «Un agente l'accompagnerà in auto fino al-la casa, dottor MacLaren.» Colin non si disturbò a protestare. Scese dalla macchina e salì sul sedileposteriore di una pattuglia dello sceriffo della contea di Dutchess. L'autopartì senza strappi e imboccò il lungo viale d'accesso. Shadow's Gate sitrovava in fondo a un terreno di cento acri, e la casa era a circa un chilome-tro e mezzo dall'entrata. «È un sollievo vederla qui, dottor MacLaren», disse l'ufficiale. «Lei nonsi ricorda di me, ma mi chiamo Lockridge, Frank Lockridge. Ero a un se-minario su satanismo e crimini legati alle sette a cui è intervenuto circa ot-to mesi fa a New York. È stato davvero molto utile, soprattutto da quandolui è venuto quassù. Non so chi l'abbia chiamata questa volta, professore,ma sono proprio contento che sia qui.» «Potrebbe dirmi cosa sta succedendo? Sempre che all'FBI non di-spiaccia, naturalmente», indagò Colin. Colin vide la smorfia di Frank Lockridge nello specchietto retrovisore.«Una volta che gli agenti federali entrano in scena, in genere non c'è piùniente da fare. Pensano che Blackburn, quel figlio di buona donna, fossecoinvolto con i Weathermen, e a loro non interessa altro.» «\"Fosse\"?» A Colin non era sfuggito il verbo. «Blackburn fa ormai parte del passato, per quanto ne so. Stanno aspet-tando che faccia giorno per cercare nella foresta, ma non lo troveranno. Sel'è data a gambe... Oppure è morto.» Thorne morto. Non c'era da stupirsi che Caroline fosse così sconvolta altelefono. Colin sapeva che Caroline Jourdemayne aveva amato Thorne

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quasi quanto la sua gemella, ma non aveva voluto seguirlo con la stessacecità. La sua morte l'avrebbe distrutta. Colin rimise insieme i pezzi della storia grazie alle proprie conoscenze eai racconti di Frank Lockridge durante il lungo tragitto verso la casa. Gli agenti dello sceriffo della contea di Dutchess erano stati i primi adarrivare sulla scena, poco dopo le due di quel mattino. C'era stata unachiamata con la richiesta di un'ambulanza, che aveva portato via KatherineJourdemayne, dichiarata morta sul posto dal medico legale; sarebbe in se-guito stata fatta l'autopsia. Secondo il vicesceriffo Lockridge, in tutta la ca-sa si sentiva odore di incenso, marijuana e peggio ancora, e tutto stava aindicare che si stava svolgendo un rito satanico quando la ragazza era mor-ta. Le autorità avrebbero desiderato interrogare l'amante di Katherine,Thorne Blackburn, ma non si riusciva a trovarlo. Nel frattempo, tutti glioccupanti della casa erano trattenuti in quanto testimoni oculari del crimi-ne, se di crimine si trattava. Colin voleva rivolgere a Lockridge una domanda, ma proprio allora l'au-to giunse alla fine della salita ed egli vide per la prima volta Shadow'sGate. L'edificio vittoriano dalla forma disordinata, costruito con mattoni rossie la chiara pietra del luogo, assomigliava a un castello delle favole quantola casetta del guardiano. Tre torri dal tetto a cono provviste di lunghe estrette finestre si elevavano dalla struttura di base, e davanti alla porta d'in-gresso erano parcheggiate diverse ambulanze. Il terreno circostante era co-perto dai detriti portati dal temporale, e Colin vide le cicatrici bianche dialberi abbattuti intorno alla dimora e nei boschi poco distanti. L'eco di for-ze più violente della tempesta risuonava ancora tra quelle colline. «E nessuno di quei ragazzi ci dice niente: continuano a insistere con i lo-ro diritti evocando il primo emendamento! Maledizione, si tratta di un'in-vestigazione per omicidio!» Katherine morta, Thorne sparito. E la polizia propensa a credere che sitratti di omicidio per la reputazione di Thorne, e l'FBI coinvolta a causadel... Weather Underground? Ma è ridicolo! «Com'è morta la signorina Jourdemayne?» chiese Colin in tono neutrale.Thorne non aveva mai usato alcuna protezione nei suoi rituali, e quella erala punizione. «Droga, probabilmente. È quello che ha detto il medico legale.» Lockri-dge alzò le spalle. «Nuda come un verme, e nessun segno visibile. Questihippie...»

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Il disprezzo nella sua voce suonava come un'accusa. I sopravvissuti della banda di Thorne - quella sembrava già la parola piùappropriata - si erano riuniti nella sala da pranzo. A parte la pallida lucedell'alba che filtrava dalle finestre, l'unica fonte di illuminazione erano lecandele: non c'era più corrente elettrica a Shadow's Gate. Vide Jonathan Ashwell, ancora vestito degli indumenti rituali, che ac-carezzava sulla schiena una donna in lacrime. Dall'ultima volta che Colinl'aveva visto, Jonathan si era fatto crescere la barba; era scura e arruffata e,con i capelli lunghi, lo faceva somigliare un po' al monaco pazzo Rasputin.Circa la metà dei presenti portava le tuniche rituali, mentre gli altri eranoin pigiama o in abiti civili. Caroline, che indossava un normale completo eocchiali da aviatore, sembrava venire da un altro mondo. Diverse donnetenevano in braccio neonati che piangevano, e i bambini più grandi si ag-grappavano alle gambe degli adulti e frignavano. Quasi tutte le donne e al-cuni degli uomini erano in lacrime, e singhiozzavano senza ritegno come ibambini. Come si poteva pensare che Thorne Blackburn fosse fuggito,quando in quella stanza c'erano tutte le prove necessarie della sua morte? In mezzo ai sopravvissuti distrutti dal dolore, il senso di tragedia eraschiacciante. Colin si costrinse a concentrarsi, a escludere le emozioni cheriempivano la stanza, il mare di sofferenza che i poliziotti attraversavanocome se non esistesse. «Colin!» esclamò Caroline avvicinandosi. Aveva delle occhiaie scure egli occhi erano gonfi e asciutti per il pianto prolungato. Gli buttò le bracciaal collo: era il gesto di una giovane donna che aveva perso la persona piùcara, la sorella gemella, e cercava disperatamente conforto. Per un attimo la tenne stretta mentre il corpo tremava per le lacrime chenon riusciva a versare. Poi Caroline si staccò. «Caroline?» l'invitò Colin in tono interrogativo. Aveva bisogno di saperecos'era successo. Lei scosse il capo come se non avesse alcuna risposta dadargli. «Caroline, dov'è Thorne?» I suoi occhi lo misero allora a fuoco, pozzi senza fondo di dolore. «Nonlo so. Erano tutti nel tempio. Ho aiutato entrambi a prepararsi per il rituale.E... Katherine è morta», concluse, come se si trattasse di una novità. «Lo so», le disse dolcemente Colin. Colin sentiva le correnti tumultuose di violenza che turbinavano al disotto di ogni movimento. Thorne non era stato amato a Shadowkill, e non

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si era mai inteso con le autorità neppure nei momenti migliori. In un lampoimprovviso della memoria, Colin rivide quel giorno nel parco del GoldenGate. Due anni fa. Una vita intera per Thorne Blackburn. Il poliziotto sulla soglia gli lanciò un'occhiataccia. «E lui, chi diavolol'ha fatto entrare?» «MacLaren è il nostro grande esperto di vudù venuto apposta dalla cit-tà», spiegò il vicesceriffo Lockridge in tono conciliante, cercando disdrammatizzare il più possibile la situazione. «Vado a vedere se riesco atrovare l'investigatore Hodge per farmi dire cosa c'è da fare, MacLaren.»Si allontanò rapidamente. Colin pensò di nuovo inutilmente quanto gli avrebbe fatto piacere la pre-senza di Claire. Non si sa come, aveva sempre la capacità di appianare si-tuazioni tese con la sua sola presenza. E un po' di quella calma non gli sa-rebbe dispiaciuta in quel momento. «Non serve a niente», disse Caroline piano, con la voce arrochita dalpianto. «Lo odiano troppo. Ha fatto fare loro la figura degli stupidi e ades-so vogliono distruggere tutto quello per cui ha lavorato. È finita. La NuovaEternità è morta.» Una donna dai capelli rossi e una tunica scarlatta, con il trucco ab-bondante che le colava sul viso in righe nerastre, si avvicinò e abbracciòCaroline. «Adesso calmati, tesoro. Kate è andata in un posto migliore, lo sai anchetu. E Thorne... non addolorarti per lui. È libero. Nessuno può fargli del ma-le adesso.» Colin riconobbe Irene Avalon dai giorni di Thorne a San Fran-cisco. Guardò Colin con occhi supplichevoli. «Digli di lasciarci andare,Colin», implorò. «Non abbiamo fatto niente. E ci sono dei bambini qui.»Indicò il punto in cui una bambina con i capelli neri dormiva su una coper-ta piegata, stringendosi un orsetto di peluche malconcio contro la guancia. «Toglimi le mani di dosso!» Colin si voltò in direzione della voce familiare e fece in tempo a vedereun poliziotto in divisa che spingeva Jonathan Ashwell su una sedia. Colinriusciva perfettamente a immaginare che impressione doveva fare all'agen-te, con i capelli lunghi e gli indumenti rituali. Solo un altro di quei mattidagli occhi spiritati, eh, ragazzi? pensò Colin derisoriamente. «Datti una calmata, ragazzo», gli intimò un poliziotto. «Troglodita nazista», ringhiò Jonathan. «Non avete il diritto di tenerciqui. State facendo a pezzi la casa: dov'è il mandato? La lettura dei diritti èdiventata obbligatoria tre anni fa!»

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«Vedo cosa posso fare», assicurò Colin a Irene. Si avvicinò a Jonathan. «Sospetto crimine in atto, capellone», rispose sprezzante l'agente a Jona-than. «E col cavolo che ti leggo i tuoi diritti, piccolo...» «Sta' indietro, porco, o ti faccio accusare prima ancora che tu riesca afiatare», replicò rabbiosamente Jonathan. Il misto di collera e dolore concui guardava il poliziotto non gli dava un'aria particolarmente equilibrata. «Jonathan», lo chiamò pacatamente Colin. «Puoi dirmi cosa sta suc-cedendo?» «Ehi», intervenne il poliziotto. «Il tenente non vuole che parlino tra lo-ro.» «Arrestami, brutto porco», lo provocò Jonathan con un ghigno. L'agente fece per avvicinarsi, ma Colin si frappose in fretta tra i due. «Jonathan, taci. Agente, sono Colin MacLaren; sono consulente del NewYork Polke Department. Questo ragazzo è un mio ex studente. Apprezze-rei se mi lasciasse parlare con lui.» Colin non aveva raccontato bugie, ma aveva fatto in modo di suggerireche fosse stata la polizia a chiamarlo. Vide il poliziotto rilassarsi e fare unpasso indietro. «Certo. Lo porti in cucina. Lì c'è anche del caffè.» Colin prese Jonathan per un braccio e lo condusse fino alla cucina dellavecchia casa. Era chiaramente diventata la base operativa della polizia; sultavolo c'erano diversi scatoloni, contenenti tazze di plastica di caffè recantiil logo di un bar di Shadowkill. Colin le passò in rassegna finché non netrovò due piene, e ne diede una a Jonathan. «Adesso sbrigati, perché non abbiamo molto tempo. Raccontami cos'èsuccesso, Jonathan. Devo saperlo se voglio aiutarvi.» «Thorne se n'è andato.» L'ultima volta che Colin aveva visto un tale sguardo di smarrimento ne-gli occhi di qualcuno era stato nei rifugiati dei campi profughi dopo laguerra. Accantonò il ricordo. «Andato dove, Jonathan?» «Andato.» Jonathan alzò le spalle sconsolato, proprio come aveva fattoCaroline. «Kate è morta», aggiunse, come se fosse una novità. «Dimmi cos'è successo», lo incalzò Colin. Non era preparato per la risposta di Jonathan. «No.» Colin lo fissò incredulo. «Non posso. Lei non ha giurato fedeltà al Circolo. Non posso dirle cos'è

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accaduto. Non è uno di noi.» «Per l'amor del cielo, Jonathan», sbottò Colin prima di riuscire a tratte-nersi, «è una cosa seria!» E avrei dato la stessa risposta se fossi stato altuo posto. «Anche l'Opera lo è», gli fece osservare Jonathan in tono stanco. Conuno sforzo coraggioso cercò di riprendersi. «Pensa forse che non sappiacosa succederà quando diremo lo stesso alla polizia? Se ci trattengono co-me testimoni chiave, non abbiamo diritto a un avvocato né a un processo.Non sarà piacevole, ma non abbiamo scelta. Le dirò però quello che posso.Forse Caroline potrà raccontarle qualcosa di più, non è una di noi; non hagiurato fedeltà al Circolo, perlomeno, ma so che crede in quello che faThorne. Comunque, stavano facendo un rito stanotte, durante il temporale.Qualcosa... è andato storto.» Colin aspettò, ma Jonathan aveva evidentemente finito di parlare. «È tutto quello che hai da dire?» chiese Colin, cercando di cancellarel'incredulità nella voce. «\"Qualcosa è andato storto\"?» «Kate è morta», ripeté Jonathan, come se quel pensiero continuasse atornargli in mente. «E Thorne è...» Vi fu un'esitazione quasi insoppor-tabile. «Thorne se n'è andato.» «Andato dove?» Scappato? Colin non riusciva a crederci. Gli risultavapiù facile credere che Thorne avesse ucciso Katherine Jourdemayne conpremeditazione che non alla sua fuga spaventata anche di fronte alla peg-giore disgrazia. Thorne era impavido e appassionatamente leale. Non a-vrebbe mai abbandonato i suoi seguaci. Mai. «Andato.» Incredibilmente, c'era una sfumatura divertita nella voce diJonathan. «Solo... andato, Colin, e nessuno lo troverà mai.» Gli si ruppe lavoce e si sforzò di riprendere il controllo. «E Kate è morta. Oddio, stava-mo provando un nuovo miscuglio; Thorne diceva che l'avrebbe tenuta \"lì\".Ma deve averne preso troppo. Lui la rimproverava sempre per quello...» Si coprì il viso con le mani e le parole successive ne risultarono soffo-cate. «E adesso gli sbirri stanno cercando un capro espiatorio. E saremonoi. Del resto, non importa, perché lui se n'è andato.» «Andato.» Era la parola che tutti avevano usato, Irene e Caroline e Jona-than. Andato. Non morto, non fuggito. Solo... andato. «Dov'è andato?» chiese ancora Colin. «Jonathan, se lo sai me lo devi di-re. Thorne ha bisogno di un avvocato, di protezione...» Protezione dalla polizia. Colin non riusciva a ricordare l'attimo in cuiaveva perso l'ultimo velo di innocenza e aveva capito che anche gli inno-

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centi erano puniti in quella nuova splendida America. Questa volta Jonathan rise. «Oh, Colin, non ha ancora capito, vero?Thorne non ha mai lasciato il Tempio.» Si sedette su una sedia della cuci-na e si appoggiò al tavolo, con la testa sulle braccia piegate. «Non lo tro-veranno mai.» La frase aveva il carattere definitivo di un epitaffio. E, nonostante lepreghiere di Colin, Jonathan si rifiutò di aggiungere altro. Passò un'altra ora prima che Colin riuscisse a vedere il tenente Hodge.Aveva ottenuto che due delle donne potessero andare di sopra - scortate daun agente - a prendere alcuni oggetti che servivano per i bambini, e Caro-line e Irene si erano trasferite in cucina, dove avevano preparato il caffè euna colazione di fortuna per tutti. Caroline Jourdemayne era una personaassolutamente rispettabile - una bibliotecaria nubile -, e usava quella ri-spettabilità come un'arma, costringendo gli agenti a prenderla in conside-razione Ma la situazione restava tesa. Nessuno finora era stato arrestato, ma po-teva accadere da un momento all'altro. E Pilgrim e due altri bambini man-cavano e nessuno sapeva dov'erano. «Dottor MacLaren? Sono il tenente Hodge.» Il tenente Hodge era di qualche anno più giovane di Colin, ma già co-modamente installato nella mezza età. Aveva i capelli chiari che si stavanodiradando, come accadeva a molti uomini della zona, e indossava un im-permeabile spiegazzato su un completo grigio. «Tenente», lo salutò Colin. «Il vicesceriffo Lockridge pensa che lei sia fantastico», disse Hodge.«Ma quello che voglio sapere è: cosa ci fa lei qui?» Colin cominciava a essere piuttosto stufo di rispondere a quella do-manda. «Sono un amico di Caroline Jourdemayne», ripeté. «Mi ha chiamatochiedendomi di venire, e così sono arrivato. Non voglio intromettermi neivostri affari, tenente», aggiunse, «ma penso di potervi aiutare. Ho una certaesperienza nel settore, come il tenente Becket e molte altre persone po-tranno confermare.» «Sì, me l'hanno già detto», disse con voce aspra, stanca e irritabile il te-nente. «E supponiamo che mi dica cosa le suggerisce la sua \"esperienza\".» Era una domanda tranello, dal momento che Colin aveva visto solo lasala da pranzo. Non era ancora entrato nel Tempio e non aveva neppure in-

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terrogato seriamente gli altri membri del Circolo di Thorne a parte Jona-than. «Be', innanzitutto», cominciò Colin, «non si tratta di un culto satanico.Per quanto ne so non adorano nessuna divinità, men che meno il diavolocristiano. Il Tempio di Blackburn - dove, immagino, è morta KatherineJourdemayne, probabilmente di overdose accidentale - è un luogo doveBlackburn e i suoi seguaci praticavano rituali magici, ovvero, in parolepovere, una serie di tecniche tratte dalla psicologia sperimentale e destinatead alterare la coscienza. In questo caso non mi aspetto di trovare sacrificianimali od offerte di sangue tipici invece del vudù, per esempio. E sareimolto stupito di vedere elementi iconografici cristiani, o una profanazionedella Croce o dell'Ostia.» Se Hodge non si mise a fissare Colin a bocca aperta, lo guardò però conqualcosa che assomigliava al rispetto. «E bravo il nostro esperto! Perché lei e io non ce ne andiamo a fare ungiro?» Hodge accese la torcia e indicò la porta. «Frank, io e il professoreandiamo a dare un'occhiata: tienimi lontano Cheshire, d'accordo?» Il tenente Hodge condusse Colin attraverso i corridoi semibui di Shado-w's Gate, fermandosi fuori da una stanza illuminata da lampade a batterieaccecanti. La doppia porta era stata divelta dai cardini, e anche il metallodi questi ultimi risultava contorto e deforme. «Non siamo stati noi», precisò Hodge, seguendo la direzione dellosguardo di Colin. «Le porte erano già così quando siamo arrivati. Sono lìdentro.» Hodge varcò la soglia. Seguendolo, Colin vide le porte per terra all'ingresso della stanza, comese la forza che le aveva strappate le avesse lasciate cadere quasi subito. La stanza era rotonda, aveva un diametro di circa dieci metri e un'altezzadoppia. Solo il cielo sa cos'era stata in origine. Il soffitto era stato dipinto -molto prima che Thorne acquistasse la proprietà - con i segni dello zodia-co, oro su fondo blu. Sotto la cupola c'era una successione di finestre con ivetri colorati, alcune delle quali erano aperte. Macchie di umidità segnava-no i muri sottostanti. Ai margini del pavimento di marmo bianco e neroenormi figure di cartapesta raffiguranti le divinità egiziane si alternavano astendardi di colore rosso, nero, bianco e grigio, o almeno così era statoprima che una forza scaraventasse le statue in giro per la stanza come fos-sero state birilli e strappasse le bandiere dalle pareti. Colin si guardò attorno, cercando invano i segni familiari della Tradi-

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zione Interna. Non c'era nessuna Tavola di Hermes. Il bordo del circolo erastato un tempo delimitato da candele, ma la stessa forza che aveva diveltola porta dai cardini aveva sbattuto anche i ceri contro i muri. Colin ne riu-sciva a vedere sei da dove si trovava, e pensava che ce ne fossero altre. Non assomigliava a nessun Tempio, della Luce o delle Tenebre, che a-vesse mai visto. Le quattro bandiere non erano appese ai punti cardinali néerano dei colori cardinali, e i Quattro Strumenti o i Quattro Elementi nonerano rappresentati da nessuna parte. Quei vessilli recavano l'effigie di a-nimali: sulla bandiera rossa c'era un cavallo bianco, sulla nera un cervorosso e così via. Non c'era neppure l'altare a forma di doppio cubo, anche se si indivi-duava un basso divano al centro del pavimento, direttamente sotto il puntopiù alto della cupola. Il giaciglio era coperto da pelli di animali e rami dipino, ora in disordine. L'odore pungente della pianta faceva a gara conquello amarognolo e penetrante dell'incenso e con un altro aroma che Co-lin non riusciva a riconoscere. Cosa avevano fatto quei ragazzi? In che genere di magia si era prodottoThorne, e cosa aveva evocato? Colin non avvertiva alcuna presenza nelTempio di Thorne, ma senza Claire non poteva esserne certo. Se solo aves-se avuto un'idea di quello che stavano facendo... Un senso desolante di fallimento lo pervase. Avrebbe dovuto informarsi.Chi era stato mandato a proteggere, se non innocenti come quelli? Era sta-to distratto dalla minaccia più evidente della rinascita del culto di Tule. So-lo ora che era troppo tardi si rendeva conto che c'era stata un'altra battagliada combattere, meno appariscente, meno entusiasmante, ma alla sua porta-ta. Ma l'orgoglio l'aveva accecato, inducendolo a liquidare le attività diThorne come pagliacciate infantili prive di significato. E si era giunti a quello. «Oh, Signore.» Colin sospirò. «Perdonatemi tutti...» L'arroganza era illato oscuro della competenza; anche se la facile bravura che aveva un tem-po posseduto si era sbiadita con gli anni, l'alterigia era rimasta. Mai più. Mai più avrebbe trascurato una battaglia perché troppo piccola, troppoinsignificante, perché l'avversario era inerme. Mai più avrebbe posto dellecondizioni per combatterla. Tutto contava. Ogni momento di disattenzioneavvicinava le Tenebre. Ogni piccolo compromesso, irrilevante in sé, dimi-nuiva la Luce. Colin accantonò quei pensieri dolorosi per tornarvi più tardi. Adesso era

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lì, e doveva fare il possibile per coloro che erano ancora in vita. C'erano due spade sul pavimento, dove avevano l'aria di essere state get-tate con negligenza. Colin andò a osservarle più da vicino. «Non le tocchi», gli intimò Hodge. «Dobbiamo ancora esaminarle percercare le impronte digitali.» «Buona fortuna», disse Colin con aria assente. Le uniche impronte digi-tali che Hodge avrebbe trovato erano quelle dei bambini di casa, e non glisarebbero quindi state di grande aiuto. Nessuna delle due spade era statausata per uccidere qualcuno. Entrambe erano state forgiate espressamente a scopo rituale, e l'acciaiorecava incisi dei simboli. La spada con l'impugnatura nera aveva un foderoargentato e un pomo sferico di lunaria; quella con l'elsa bianca aveva deidecori e le braccia di guardia dorati, con un pomo cubico di corniola. Colinsi raddrizzò, guardandosi attorno. «Avete trovato un libro?» chiese. «Un libro?» chiese Hodge sospettoso. «Che tipo di libro?» «Be', dovrebbe essere...» Colin chiuse gli occhi e rifletté, cercando didarne una descrizione che potessero capire. «Un libro manoscritto, forsevoluminoso ma comunque con una rilegatura elaborata.» Il modo in cui erastato concepito il Tempio di Thorne gli rivelava quel particolare dello stiledel mago: vistoso, proprio come Thorne era stato. «Contiene una serie dischemi. Può darsi che non sia in inglese.» Ogni mago che Colin aveva conosciuto teneva un manuale di magia, ese fosse riuscito a trovare quello di Thorne avrebbe forse capito meglio ciòche era accaduto. «Sid! Hai visto un libro nei paraggi?» abbaiò Hodge. Uno dei tecnici che stavano facendo analisi si rialzò; stava fotografandouna delle statue cadute. «Questo posto è pieno di libri, Leo», rispose di-sgustato. «Ne hanno un'intera biblioteca.» «Qualcosa di manoscritto, come un taccuino», disse Hodge. Sid alzò lespalle. «Lo cercheremo, Doc», disse a Colin. «Allora, questi tizi non erano ado-ratori di Satana?» «No», rispose Colin con aria assente, guardandosi in giro per la stanza.Non so esattamente cosa fossero, ma non certo quello. «Per il momentoposso dirvi solo questo. I loro rituali assomigliavano di più a... lei è per ca-so un massone, tenente?» Hodge lo guardò diffidente, senza alcuna intenzione di rispondergli.

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«In ogni caso, le loro cerimonie non comportavano certo la parteci-pazione di individui contro la loro volontà, quindi se spera di risolvere casidi bambini scomparsi, tenente, temo che dovrà cercare altrove.» «L'unica persona scomparsa che mi interessa ritrovare è Blackburn»,ringhiò Hodge. «E i tre bambini. Tutta questa... roba non l'aiuta a capiredove possono trovarsi, vero, Doc?» Colin sospirò, abbandonando la speranza che il poliziotto lo chiamasse«signore» o anche solo «Colin». Pensò a quello che Jonathan e le due don-ne avevano detto su Thorne. Se n'è andato. Non ha mai lasciato il Tempio. «Mi dispiace», rispose Colin. «Non ne ho la più pallida idea. Anche senon serve a niente, vi auguro di trovarli tutti, tenente.» «Oh, li troveremo, non c'è problema», dichiarò Hodge. Due dei bambini vennero rintracciati un'ora dopo, quando un agente liudì piangere: si erano rinchiusi in un armadio di sopra quando era co-minciata la confusione, e non riuscivano più a uscire. Pilgrim, che avevaormai nove anni ed era figlio di Thorne e di madre ignota, venne trovatonei boschi dietro la casa dopo un'assenza di cinque giorni. La zona era sta-ta perlustrata diverse volte senza successo, quindi si credeva che Pilgrimavesse ricevuto l'aiuto di un adulto nel periodo della scomparsa: il ragazzi-no si rifiutava di dire dov'era stato. Venne affidato ai servizi di assistenzaall'infanzia come gli altri bambini di Shadow's Gate. E anche se vennero messi dei posti di blocco su ogni strada principaledella contea di Dutchess per una settimana e l'intero settore fu passato alsetaccio con cani ed elicotteri, Thorne Blackburn non venne mai ritrovato. Colin fece quello che poté per aiutare i membri sopravvissuti del Circolodi Thorne, spinto da una combinazione di vaga colpevolezza e di indi-gnazione per il modo in cui venivano trattati. L'assassinio e la sparizione aShadow's Gate divennero ben presto il centro di un vero e proprio circoorganizzato dai mass media che, come gli antichi circhi romani a cui tantoassomigliava, esigeva delle vittime sacrificali. Irene Avalon, Jonathan Ashwell, Deborah Winwood e gli altri membriattivi del Circolo della Verità - che erano già trattenuti come testimonichiave - vennero formalmente arrestati il 3 maggio con una sfilza di accu-se, compreso spaccio di droga e associazione a delinquere. Era una caccia alle streghe pura e semplice: il sistema contro gli hippie.

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Senza la protezione di Thorne, i suoi seguaci erano prede inermi. Quelliche non erano stati arrestati vennero cacciati dalla proprietà a cui venneroposti i «sigilli», ma questo non impedì a sciacalli e curiosi di saccheggiarela tenuta che venne praticamente spogliata prima che le autorità acconsen-tissero a pagare per mettervi qualcuno di guardia ventiquattrore su venti-quattro. «Posso fare ben poco, Caroline», disse Colin tristemente. Era la fine di luglio, e il ventilatore che girava pigramente sopra le loroteste portava l'odore di asfalto bollente dalla strada. Erano seduti nel séparédi una trattoria fuori dal tribunale della contea di Poughkeepsie. Carolineera venuta a consegnare l'ennesima petizione: Katherine Jourdemayne eramorta, ma la figlia di Katherine era viva e Caroline stava disperatamentecercando di ottenerne la custodia. Su entrambi pesava il triste ricordo del suicidio di Deborah Winwood ri-salente a sei settimane prima. Nonostante gli sforzi del suo avvocato, De-borah era stata dichiarata madre inadatta, e le era stata tolta la bambina.Per l'accusa la sua morte confermava la bontà del giudizio emesso, ma Co-lin aveva il cuore gonfio di dolore per la disperazione che aveva indottoDeborah a togliersi la vita. La beffa fu che, appena una settimana dopo, leaccuse contro i dodici di Shadowkill furono ritirate. «Almeno il padre di Johnnie gli ha procurato un buon avvocato», com-mentò Caroline con un sospiro. Il generale Jonathan Griswold Ashwell II pensava di suo figlio quelloche pensava del proprio Paese: è mio, nel bene e nel male. Aveva il denaroe il prestigio per far ritirare le accuse contro il figlio, e l'incrollabile sensodi correttezza lo aveva indotto, seppur di malavoglia, a insistere perché glialtri imputati ricevessero lo stesso trattamento di Jonathan. Le accuse dicomplicità erano state ritirate ed era finalmente stata fissata una cauzione.Era probabile che le accuse di spaccio di droga venissero a loro volta la-sciate cadere in sordina prima del processo. «Come stai?» chiese Colin. Caroline sorseggiò il caffè. «Com'è prevedibile in casi del genere. Quel-la povera bambina! Piange e mi si aggrappa ogni volta che mi permettonodi vederla...» La voce le si ruppe e smise di parlare. Quando riprese, avevaun tono volontariamente allegro, e denotava un coraggio che spezzò quasiil cuore di Colin. «Grazie a Dio esistono i certificati di nascita. Non possono negare che

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Kate fosse mia sorella o che Verity sia mia nipote. Sono la sua parente piùprossima: devono affidarmela indipendentemente da quello che dice quelmaledetto psichiatra, non è vero? Ti giuro che se insiste ancora sui vantag-gi che troverebbe Verity in una casa con un padre e una madre... Vorrebbeche la facessi adottare. Come se non ci fossero donne che crescono da solei figli ogni giorno...» Tacque di nuovo e bevve un altro sorso di caffè. «Scusa, scusa. Ma capisci, vero, quanto devo essere prudente? La rispet-tabilità è tutto ciò che ho dalla mia parte. Ho giurato e spergiurato di nonaver avuto nulla a che fare con la comunità e con... lui. E devo fare in mo-do che continui a essere così. Uno spinello sarebbe sufficiente a rovinaretutto. Non vedrei mai più Verity. Ed è tutto quello che mi rimane di lorodue.» «Capisco», disse Colin in tono pacato. «Come ti ho detto, se c'è qualcosache io o Claire possiamo fare per una di voi...» «Avete già fatto molto entrambi. Sono sicura che sarei impazzita senzauna spalla su cui piangere in queste ultime settimane. Questo rende peròpiù difficile quello che ti devo chiedere.» Colin aspettò. «Sta' alla larga.» Caroline fissò il piatto, dove il panino era ancora quasiintatto. «E di' lo stesso anche agli altri, al resto del Circolo, se parli con lo-ro. Stammi lontano. Non posso permettermi... nessuna apparenza di scon-venienza, se capisci cosa voglio dire. Altrimenti non otterrò Verity.» Colin sorrise amaramente tra sé e sé. Colpevole per i contatti con gentecolpevole: era la tattica del terrore dello stato fascista. Ancora pienamentevalida nell'America degli anni Sessanta. Non si sentiva offeso. Carolineaveva ragione: anche lo parapsicologo più rispettabile era troppo sconve-niente perché i rapporti con lui potessero farle del bene. Allungò una mano e le diede dei colpetti affettuosi sulla sua. «Non c'èproblema, Caroline. Capisco e capirà anche Claire. Thorne è già stato pro-cessato dal tribunale dell'opinione pubblica e trovato colpevole. L'unicacosa che puoi fare è creare la massima distanza tra te, lui e gli altri suoicompagni di viaggio.» «È così ingiusto», sussurrò Caroline. «Vogliono semplicemente cro-cifiggerlo perché diceva agli uomini che potevano essere liberi. E avevaragione. Non trovi?» Colin non aveva risposte da darle. PARENTESI V

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Luglio 1969 Ripensandoci dopo tanti anni, credo che il 1969 sia stato l'anno in cui siè delineato il fronte della battaglia. La scomparsa di Thorne in maggio fu,in uno strano modo, quasi il preludio degli omicidi Tate-LaBianca di quel-l'agosto. Dopo, l'Età dell'Acquario si associò indissolubilmente nella mentepubblica alla follia, alla tortura, all'omicidio... In ottobre, uno dei sogni di Thorne si realizzò quando duecentocin-quantamila persone fecero una marcia contro la morte a Washington, for-mando un cerchio attorno al Pentagono, cantando e tenendosi la mano, neltentativo di distruggere la macchina da guerra col solo amore. Se Thornefosse stato vivo per guidarli, mi chiedo se avrebbe funzionato... La sua morte, in un certo senso, indurì Colin; penso si sentisse perso-nalmente responsabile per ciò che era accaduto a Shadow's Gate, anche sesolo il Signore avrebbe potuto far cambiare idea a Thorne una volta che siera deciso. Ma dopo quella terribile notte, Colin si concentrò sempre piùsulla protezione degli innocenti dal bacio del Mondo Invisibile, come seavesse potuto in quel modo rimediare per coloro che erano morti a Shado-w's Gate. Tutto attorno a noi, in quei mesi bui, gli eventi sembravano cospiraremostrandoci in uno specchio i nostri sogni e incubi, per farci vedere quan-to eravamo cambiati in soli dieci anni. Neanche ventiquattrore dopo la pas-seggiata di Neil Armstrong sulla Luna - un avvenimento che avrebbe do-vuto rappresentare un momento glorioso nella storia dell'umanità - l'orroredi Chappaquiddick aveva scalzato l'Apollo 11 dalle prime pagine. Sembra-va in un certo senso ancora peggio che proprio un Kennedy avesse fattouna cosa del genere, come se la famiglia da cui avevamo fatto dipendere lenostre speranze ci avesse traditi, come se avesse custodito l'anima ameri-cana e non si fosse dimostrata all'altezza. Penso che fosse stato quel senso di tradimento a spingere la mia gene-razione a Woodstock in gran numero, come se, una volta svanita ogni spe-ranza di riconquistare Camelot, avessimo avuto bisogno di un nuovo sognoper continuare ad andare avanti. Woodstock divenne un mito anche mentrestava accadendo, e il mito divenne sempre più fulgido finché, l'anno suc-cessivo, Abbia Hoffman poté vantare la cittadinanza della Nazione di Wo-odstock. In un certo senso Thorne fu fortunato: non assistette a tutto ciò. So cheavrebbe visto allora quello che io capii solo anni dopo: che l'apoteosi di

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una generazione era anche la sua fine, il momento in cui i migliori e i piùbrillanti tra noi abbandonavano noi e se stessi, preparando quello che sa-rebbe avvenuto poi. Avevano affidato il loro cuore a un sogno, vedete, e quel sogno era mor-to. La Nazione di Woodstock era una fantasia, e nessuno poteva viverci.Oppure, se era possibile, si trattava di un posto immaginario, il paese deigiovani, e il tempo è l'unica variabile contro cui nessuno può discutere. Iltempo passò per la mia generazione come era accaduto per quella dei mieigenitori, e ci estromise dalla Nazione. Quando scoprimmo che i nostristessi cuori ci avevano tradito, ci trovammo abbandonati in un mondo ri-masto senza illusioni. Senza un sogno a illuminarti il cammino, la Terra è un posto assai buio. CAPITOLO 10 New York, autunno 1972 Oh! Non dire mai che avevo un cuore insincero, Anche se l'assenza sembrava descrivere la mia fiamma. William Shakespeare New York sembrava farsi più scura e sporca ogni anno, pensò ColinMacLaren con rassegnazione. Sapeva bene che quell'osservazione cupaandava attribuita semplicemente al passare del tempo: aveva superato dadue anni il mezzo secolo, il momento in cui ogni uomo deve fermarsi econsiderare la sua vita. Per la maggior parte della sua esistenza precedente l'introspezione erastata soverchiata dall'enormità della battaglia in cui era impegnata la Luce,ma il passare degli anni gli aveva ricordato che la direzione di quel conflit-to non spettava a lui né gli era mai appartenuta. Lentamente aveva impara-to a impegnarsi nelle battaglie alla sua portata. A lui non toccava costruirela cattedrale né distruggerla, ma riparare quello che altre mani avevano fat-to, in modo che quelle successive potessero a loro volta prendere parte al-l'opera. E quando non era chiamato a quell'opera, Colin svolgeva la sua pro-fessione, che si concentrava nel modesto, ordinario e puramente concretotentativo di illuminare le masse. La Selkie Press era una piccola casa editrice indipendente di libri sull'oc-

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culto e, come le altre imprese del genere, si trovava sempre sull'orlo delfallimento. Si occupava di raccogliere e ripubblicare materiale importantenel campo della magia e del soprannaturale. Sotto la supervisione di Colin,diversi classici della ricerca parapsicologica erano stati ristampati, insiemead altri testi più esoterici che richiamavano l'attenzione di lettori menonumerosi ma affezionati. L'anno precedente la Selkie Press aveva ristampato Una storia naturaledei poltergeist di Margrave e Anstey, Fantasmi, spettri e babau di Taver-ner e una serie di estratti di un libro di magia spagnolo medievale chiamatoLa Tesoraria del Oro. Nell'opinione di Colin il libro di incantesimi era estremamente peri-coloso, e non vedeva il motivo di mettere il suo potenziale a disposizionedi un vasto pubblico. Aveva rivisto l'edizione de La Tesoraria rigorosa-mente e senza nessuno scrupolo. Esisteva un terreno intermedio tra la cen-sura e la completa mancanza di responsabilità, e c'erano alcune infor-mazioni che Colin non avrebbe diffuso, proprio come non avrebbe dato inmano a un bambino una pistola carica. La responsabilità era il primo co-mandamento della sua Loggia, e Colin gli restava fedele. Cosa che Thorne Blackburn non aveva fatto. Istintivamente, Colin allontanò da sé quel vecchio dolore. Thorne eramorto e il mondo era andato avanti, come se quello che era successo aShadow's Gate avesse posto fine all'alba dell'Età dell'Acquario in una solanotte. In quei giorni sembrava impossibile che qualcuno avesse pensato dipoter cambiare il mondo materiale con la magia. La luce brillante e violenta tipica dell'autunno newyorkese dorò le muradi mattoni degli edifici oltre il cortile posteriore e rese lo scampolo di cieloche riusciva a vedere di un azzurro intenso. Quel periodo dell'anno facevasempre sentire Colin inquieto, come se fosse in ritardo per un viaggio. Forse era così. Sospirando, mise da parte il libro che stava leggendo - la biografia di unpioniere nel campo della parapsicologia che stava pensando di ripubblicare- sulla scrivania del minuscolo ufficio ricavato in camera da letto. Glimancava il panorama che si godeva dall'ultimo piano, ma l'unico ap-partamento libero quando aveva deciso di tornare sulla costa orientale erastato al primo piano, e Colin non sopportava di mandare via un inquilinosolo per un capriccio. E l'appartamento del primo piano aveva i suoi van-taggi: c'era un camino in soggiorno. Accantonò il libro e pensò ad altro. Aveva un paio di settimane prima di

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consegnarne la scheda ad Alan, e un altro impegno lo aspettava quella se-ra. La Bottega degli Stregoni si trovava dalle parti della Trentesima est, pro-prio accanto alla Sesta Avenue (come tutti i veri newyorkesi, Colin non siera mai abituato al suo nuovo nome di Avenue of the Americas, neppuredopo trent'anni). La camminata dal suo appartamento gli ricordò quantoamava la città, nonostante i suoi molti difetti. Il grande occultista DionFortune aveva una volta scritto che nei più grandi nuclei urbani si potevavedere la Civiltà come sarebbe stata vent'anni più tardi. Se era così, il futuro sarebbe stato un posto in cui solo i più forti sa-rebbero sopravvissuti. La popolazione di New York era quasi raddoppiatadagli anni Cinquanta; gli accessori destinati ad abbellire la vita quotidianache città come San Francisco ancora conservavano venivano eliminati dal-la Baghdad sull'Hudson dalla mano pesante del progresso. Colin cercò diimmaginare le strade attorno a lui vent'anni dopo e non ci riuscì. La nostravistone ci viene sempre a mancare nelle situazioni familiari, non in quellegrandiose. Gliel'aveva detto il suo primo insegnante. Il negozio si distingueva dagli edifici circostanti come un colorato pa-vone nel gruppo di costruzioni sbiadite. Si trattava di una bestia rara, unnegozio di occulto e New Age. Anche se vendeva soprattutto libri - moltiediti dalla Selkie Press - proponeva anche erbe, candele e altri prodotti. L'edificio che ospitava la Bottega degli Stregoni aveva più di un secolo eaveva cominciato la sua vita, molto tempo prima, come farmacia e mescitadi bevande non alcoliche. Tutto ciò che restava di quella sua prima incar-nazione era il soffitto di lamiera (ora dipinto di nero), il pavimento di le-gno e marmo e il lungo specchio che copriva un lato intero del negozio.Ormai verdastro e corroso dal tempo, quest'ultimo serviva come fondaleper scaffali colmi di vasetti di erbe seccate, e spaventava chi, ina-spettatamente, si scopriva riflesso tra un vasetto e l'altro. La facciata eradipinta di rosso brillante e disseminata di simboli cabalistici gialli e neri,mentre una bandiera nera con lettere d'argento appesa a un'asta sopra laporta annunciava il nome del negozio. Quando Colin si avvicinò vide che la vetrina era, come sempre, copertadi velluto nero, e cosparsa degli oggetti più orrendi e kitsch in vendita nelnegozio: sfere di cristallo illuminate, bacchette magiche che terminavanoin una stella, pipistrelli seccati, crani umani e altri volgari accessori di stilehollywoodiano.

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Come suggeriva il nome, la Bottega degli Stregoni si orientava verso gliaspetti più sensazionali della magia, ed era il punto d'incontro di gran partedella comunità esoterica di Manhattan indipendentemente dal loro Sentieroo inclinazione; accanto ad amuleti e a bambole per il vudù offriva libri seriimpossibili da trovare altrove, e ospitava conferenzieri che erano delle au-torità nei vari campi. Colin stesso vi aveva parlato in diverse occasioni. Quel giorno, però, non era lì per tenere una conferenza, ma per ascoltarequella di John Cannon, un noto divulgatore dell'occulto nello stile di HansHoltzer. Purtroppo i libri di Cannon, pur contenendo alcuni elementi con-creti - ricerche valide e ampie citazioni da fonti di dominio pubblico -, nonerano adatti all'insegnamento. Avevano lo scopo di divertire e incuriosire,di produrre nel lettore la stessa piacevole paura che i bambini provanoquando passano davanti a una casa «stregata». Quella sera l'argomento era la Magia Nera. John Cannon affermava diessere entrato in contatto con una congrega di stregoni che la praticava. Colin sapeva che la maggiori parte dei sedicenti stregoni - che prefe-rivano essere chiamati in quei giorni Wiccani - erano dediti a una formainnocua di adorazione della natura fissata dall'inglese Gerald B. Gardner.Anche se le loro pratiche avevano legami più stretti con Hashbury che conl'inferno, il loro tentativo di «riappropriarsi» dei termini tradizionali di«streghe» e «congrega» faceva sì che il grande pubblico li confondesse conil satanismo stile LaVey (che usava anch'esso quei vocaboli nelle sue pra-tiche). Fortunatamente, la maggior parte degli stregoni «bianchi» incontrati daColin erano tranquilli, riservati e decisamente restii a ogni forma di pub-blicità, quindi difficilmente nascevano dei conflitti pubblici. Era però im-portante operare la distinzione tra Magia Bianca e Nera nella mente delpubblico, per evitare che persone innocenti ne facessero le spese. Quando Colin entrò nel negozio, il solito odore pungente lo assalì: gliaromi mischiati di incenso, polvere e marijuana costituivano la fragranzatipica di quel luogo. Si fermò al bancone e acquistò un biglietto per la con-ferenza. C'era un grande tabellone accanto al registratore di cassa; Colin visostò davanti per vedere gli annunci. La maggior parte erano inserzioni diastrologi e sedicenti eredi di antiche caste sacerdotali di recente fondazio-ne, ma uno o due annunci erano interessanti. Oltre al grande poster che pubblicizzava l'intervento di quella sera - unagrande foto patinata a colori del conferenziere, che assomigliava più a unassicuratore che a un intrepido esploratore dei meandri reconditi della ma-

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gia - c'erano due inserzioni che attirarono la sua attenzione. Una era unaserigrafia in sfumature di verde e viola, con stelle e unicorni e una dea conla luna a mo' di corona dalla sospetta apparenza Liberty. L'immagine eraispirata all'acid art che Colin conosceva bene dalla Bay Area, e sembravaproclamare la formazione del Tempio di Magia Pagana secondo il Ritodella Terra, sponsorizzato dall'Albero delle Streghe. Colin sorrise, conosceva qualche membro dell'Albero delle Streghe: era-no dilettanti innocue, interessate al femminismo e all'espressione spiritualedi sé, anche se qualche persona attratta dal loro annuncio avrebbe potutonon esserlo. Si fece l'appunto mentale di tenerle d'occhio e si mise a stu-diare l'altro. In confronto al primo era assai sobrio: una fotocopia in bianco e neroannunciava che si raccoglievano candidature per un gruppo di studio sul-l'Opera di Blackburn. L'inserzione invitava i perditempo ad astenersi e ri-cordava che requisito essenziale era la familiarità con l'Opera. L'indirizzo acui rivolgersi era una casella postale nel Queens. Colin lo fissò accigliato con la mente a mille miglia di distanza mentreinfilava il biglietto nella tasca della giacca. Si era destato un grande interesse intorno a Thorne Blackburn dopo latragedia di Shadow's Gate; Time aveva dedicato una copertina alla scom-parsa di Thorne e alla morte di Katherine Jourdemayne. Anche se in treanni di ricerche non si era trovata traccia del suo corpo, Colin non avevadubbi sul fatto che Thorne fosse morto. Apparentemente la morte l'avevacatapultato in una strana immortalità americana solitamente riservata a stardel rock scomparse, almeno a giudicare da quell'annuncio. Colin alzò le spalle, si voltò e si diresse verso la sala conferenze sul retrodel negozio. Le relazioni tenute alla Bottega degli Stregoni erano famoseper il ritardo con cui cominciavano, e in effetti, quando entrò nella stanzariservata, Colin scoprì di essere il primo arrivato. Si guardò attorno. Il retrobottega era usato anche da una Loggia Magicaattiva nella zona di New York; l'equipaggiamento del loro ultimo ritualeera accatastato con cura in un angolo, e non sembrava più soprannaturaledi materiale scenico logoro e polveroso. Si riduceva a quello la magia? Era facile crederlo e venire assaliti daldubbio, rinunciare e accettare quello che tutti dicevano: che la magia erasolo autoipnosi travestita. Ma per tutta la vita Colin aveva creduto che la somma dell'umanità fossepiù di una semplice valutazione empirica di quantità e durata. Negare il re-

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gno dello spirito significava negare tutto il Creato: anche se la magia veni-va ridotta solo a una fede appassionata, tale passione possedeva la forza dierigere cattedrali dal nulla e ricavare imperi da lande desolate. Eppure i li-bri di Cannon erano l'unica prospettiva che alcune persone avevano a di-sposizione su quel mondo estraneo, e il punto di vista che l'autore presen-tava rendeva facile liquidare la magia come un illusorio esercizio faustianodi fumo e specchi: borioso, sciocco... e innocuo, a lungo termine. Il diciannovesimo secolo era stato simile a una lunga partita di scacchitra lo Spirito e la Materia, mentre non si era ancora spenta l'eco della Ri-voluzione Francese e della sconfitta delle ambizioni imperiali di Napo-leone e le cicatrici delle riforme malaccorte dei razionalisti plasmavano ilmondo moderno. Se l'Età della Ragione che aveva attraversato l'Occidentealla fine del diciottesimo secolo aveva commesso un grave crimine, si trat-tava di questo: nell'escludere la superstizione e il fanatismo, i razionalistiavevano tentato di ridurre l'intero creato a un'entità misurabile con metro ebilancia. Da una parte Darwin e Freud, che definivano l'uomo una macchina fattadi carne, assemblata dal caso e da un orologiaio cieco. Dall'altra Mathers, Case, Waite, Fortune, Crowley... la magnifica irra-zionalità di Helena Blavatsky, che si battevano contro le fredde equazionirazionalistiche e lavoravano con disperazione, in un mondo che li con-siderava assurdi eccentrici o anche pazzi pericolosi, per evitare la scom-parsa della gloriosa panoplia medievale dell'Alta Magia, in modo che glistrumenti di quell'alchimia per cui gli animali diventavano angeli non an-dasse perduta. Era una battaglia senza rancore, senza nemici, immemore come quelladel seme che cerca di mettere radici e germogliare; una battaglia che con-tinuava ancora. Che sarebbe stata combattuta lì, di nuovo, quella sera. La stanza aveva cominciato a riempirsi mentre Colin era immerso neisuoi pensieri. Come aveva sospettato, il pubblico, numeroso, era sostan-zialmente lo stesso che compariva alle sue conferenze; giovani zingari del-lo spirito, con qualche rappresentante dei dilettanti veterani e dei cercatoriattempati. Colin prese posto su una scomoda sedia di metallo in prima fila e rivolsela sua attenzione al palco. Era decorato con un poster simile a quello del-l'entrata, dove si ricordava che John Cannon era l'autore di Il diavolo inAmerica, La vera storia della stregoneria e Vudù nel mondo moderno, e di

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altri titoli altrettanto impressionanti. Quando la stanza fu quasi piena, un uomo in pantaloni sportivi scuri,giacca e dolcevita nera - inagrissimo e più alto di quello che Colin avevaimmaginato guardando la foto - fece il suo ingresso. John Cannon aveva lafigura curva di un archivista. Se non fosse stato per la notevole altezza, sa-rebbe facilmente passato inosservato, grande vantaggio per un giornalistainvestigativo. Mentre saliva sul podio teneva con sé un fascio di fogli, epassò alcuni minuti a riordinarli aspettando che il pubblico facesse silen-zio. «Buonasera, sono John Cannon, ma gli amici mi chiamano Jock. Negliultimi anni ho ficcato il naso in diversi angoli oscuri del mondo, e vistocose che vi farebbero rizzare i capelli.» Si passò una mano tra i capelli ca-stano chiaro e sorrise scuotendo il capo. Cannon aveva una voce sonora esicura: era evidentemente abituato a parlare in pubblico. «Ho inseguito fantasmi in Inghilterra, diavoli ad Haiti, demoni a NewOrleans. Pensavo di aver visto praticamente tutto, ma mi sbagliavo. Questasera sono qui per parlarvi di Magia Nera, che non è chiusa al sicuro in unlibro di storia, ma è ben presente nel mondo odierno. Nella città di NewYork, oggi, in questo stesso istante, vi sono persone che formano congre-ghe e adorano il Diavolo. Non è uno scherzo: questa gente è mortalmenteseria, e lo dico letteralmente.» Durante l'ora successiva John Cannon raccontò al pubblico storie dellesue esperienze nel suo stile ormai navigato, spiegando come era entrato inun inferno dell'occulto che esisteva proprio sotto il loro naso, un mondo disesso orgiastico, di droghe pericolose e di bestemmie intenzionali. «Questa gente non ha alcuno scrupolo. Usano ogni metodo per ottenerela gratificazione dei sensi, che si tratti delle maniere forti all'antica... o del-la Magia Nera.» Parlò dei poteri occulti che le congreghe sataniche utilizzavano per ruba-re la mente a qualcuno, piegare la volontà, fare del male o perfino uccide-re. Era roba da Rosemary's Baby, ma per quello che Colin poteva vedereCannon non ricorreva mai a invenzioni di sana pianta. C'era sempre unabriciola di verità anche nei suoi scritti più fantasiosi, e lo stesso dovevaapplicarsi alla conferenza di quella sera. Ma tutto dipende dalla prospettiva che si assume. Secondo la definizioneampia che Cannon dava di Magia Nera, anche la Loggia di Colin e i suoiantichi e sacri doveri appartenevano alla stessa cospirazione dell'occultoche sembrava - dalle parole di Cannon - volersi impadronire di Manhattan

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di lì a pochissimo. Ad ascoltare Cannon, perfino le attività della più biancadelle magie assumevano una sfumatura sacrilega. Quando finì, vi fu uno scroscio di applausi soddisfatti, e qualcuno si av-vicinò al podio per farsi fare l'autografo o chiedere qualcosa. Colin aspettòche la gente accalcatasi davanti alla porta d'ingresso fosse uscita e si alzòper andarsene. Non provava un particolare desiderio di incontrare JohnCannon. «Colin MacLaren!» Qualcuno dietro di lui gridò il suo nome e Colin sifermò per vedere chi fosse. Cannon si affrettò per raggiungerlo. «È proprio lei, Colin MacLaren, ve-ro? Il cacciatore di fantasmi!» La simpatia residua che Colin poteva aver provato per lo scrittore evapo-rò quando lo sentì usare con tanta superficialità un termine ormai superatoe peggiorativo. Ma rispose ugualmente con una certa cordialità. «Sono Colin MacLaren. La sua conferenza è stata piuttosto interes-sante.» «Anni di pratica», confessò candidamente Cannon. «Ma penso di avereveramente fatto centro questa volta. Questa storia è vera, ci sono realmentepersone che compiono quei riti con la stessa serietà con cui noi seguiamo ilcampionato di baseball.» «Non sono un tifoso, signor Cannon», disse Colin, sperando di non sem-brare troppo sprezzante. «Cosa posso fare per lei?» «Be', sa che uno scrittore è sempre alla ricerca di un soggetto per il suolibro successivo», cominciò Cannon. «E penso di avere un'idea. Mi chie-devo se posso intervistarla. Ecco il mio biglietto da visita...» «Intervistare me?» chiese Colin orripilato e pensò, assurdamente, alle ri-sate che avrebbe fatto Claire se avesse visto la sua espressione. «Sono si-curo che risulterei veramente poco interessante per lei.» Automaticamenteprese il biglietto e se lo ficcò in tasca senza guardarlo. Cannon sembrò finalmente accorgersi della freddezza di Colin. «Be', il fatto è che... Naturalmente conosco il suo lavoro, dottor MacLa-ren, e certo non mi sognerei mai di trattare in modo sensazionalistico lasua attività di...» «Cacciatore di fantasmi?» chiese Colin, e Cannon ebbe il buon gusto ditrasalire. «Scusi se l'ho scocciata. Temo di avere preso le abitudini della mia pro-fessione, prof...»

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Colin alzò una mano minacciosa. «La prego, signor Cannon. Il mio dot-torato in psicologia risale a molto tempo fa, e ho smesso di insegnare. Miva benissimo essere chiamato \"signore\".» «Signor MacLaren, allora. Ma sono serio quando dico che la ammiro.Quell'articolo che ha scritto per il Police Journal circa dieci anni fa sulletruffe più comuni nel campo dell'occulto... ammetto tranquillamente chemi è stato di grande ispirazione. Mi ha convinto a entrare nel settore, percosì dire.» Colin ricordò che l'argomento del primo libro di Cannon era stato unapanoramica - e lo smascheramento - di falsi medium. Da quello che Colinsapeva, però, ce n'erano diversi su cui Cannon aveva compiuto delle ricer-che ma che non aveva incluso nel libro perché non era riuscito a trovarnel'imbroglio. «Sono felice che la mia vita sia servita a qualcosa», commentò Colinseccamente. «Ma capirà la mia perplessità, signor Cannon. Perché mai vor-rebbe intervistarmi?» «Thorne Blackburn», rispose rapidamente Cannon. «Lo conosceva, ve-ro? Ho parlato con diverse persone, e il suo nome è emerso più di una vol-ta. Dopo aver terminato il mio libro attuale, vorrei scriverne uno su di lui,e...» «Thorne Blackburn?» ripeté Colin senza capire. «Mi perdoni, signorCannon, ma a meno che non progetti di risolvere la sua misteriosa scom-parsa - e, sinceramente, per me è evidente che è morto - non riesco a vede-re l'interesse del suo libro. Nessuno, a parte gli specialisti del settore, si ri-corda di lui.» «E qui si sbaglia», lo corresse Cannon infervorandosi. «Tutti si inte-ressano a Blackburn. Guardi qui.» Accompagnò Colin a uno scaffale nel corridoio centrale del negozio. E-tichette scritte con cura e appiccicate agli scaffali dicevano «GoldenDawn», «Crowley», «Cabala», «Regardie», «Blackburn». C'erano quattroo cinque titoli diversi nella sezione dedicata a Blackburn e diverse copie diognuno: comprendevano grossolani opuscoletti e un volume appariscenterilegato in pelle nera con scritte rosse e oro. Sul dorso c'era scritto L'aper-tura del passaggio. Colin fece per prendere il libro ed esitò, lasciando che la mano gli ri-cadesse lungo il fianco. Aveva dato un'occhiata agli scritti di Thorne pocodopo l'incidente, e li aveva trovati un misto di bestemmie e illusioni piùadatti a un romanzaccio.

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«Anche se esiste l'interesse che lei afferma, signor Cannon, non sono si-curo che un best seller su Thorne Blackburn sia una buona idea. Quelloche stava cercando di fare - qualunque cosa fosse - ha causato la morte didue persone. Mettere quel materiale nelle mani di un pubblico vasto puòessere considerato piuttosto irresponsabile.» «Oh, via», disse Cannon, liquidando l'obiezione di Colin. «Non crededavvero in quelle sciocchezze, no?» Sorrise brevemente per quella checonsiderava una battuta. «Non stiamo parlando di poltergeist qui; si trattadi un gruppo di persone secondo cui basta battere tre volte i tacchi dellescarpe tra loro e dire la formula magica per far succedere qualcosa. E poi iriti di Blackburn sono già stati stampati, come può vedere. Voglio sempli-cemente renderli un po' più umani, ecco tutto. Farli diventare più accessi-bili. Dare alla gente un'idea dell'uomo al di là del mito.» «Signor Cannon», lo interruppe Colin. «Un attimo fa le ha chiamatesciocchezze, e con la sua conferenza di stasera ha fatto capire di esserepronto a trattare con un sacco di gente sgradevole. Non mi interessa di-scutere con lei della legittimità del suo operato, ma senza neanche entrarenel campo del soprannaturale vorrei solo ricordarle con quanta tenacia lagente difende le proprie convinzioni quando pensa che siano minacciate...per quanto lei le consideri campate in aria.» «Sono capace di difendermi», affermò Cannon toccandosi una tasca,come se vi serbasse una qualche arma.» Colin scosse il capo. «Sono certo che ne è convinto, signor Cannon,proprio come sono convinto che le forze con cui lei sta giocando - se ha lasfortuna di incappare in quelle autentiche - sono più pericolose di quantopossa immaginare. E assolutamente prive di senso dell'umorismo quandosi tratta di giornalismo investigativo.» «Quello che mi racconta è interessante, professore», lo incalzò Cannon.«Non le andrebbe di precisarlo con nomi, luoghi, date? Con qualcosa chepossa verificare?» Colin sospirò, improvvisamente stanco. «No, signor Cannon, non miva.» Si mise la mano in tasca e ne estrasse il portafoglio da cui sfilò un bi-glietto da visita, che allungò al suo interlocutore. «Ma le consiglio calda-mente di abbandonare questo suo progetto e di dimenticare pure Bla-ckburn. Non ha l'atteggiamento giusto. Ma non posso certo costringerla,quindi... la prego. Questo è il mio biglietto. Se finisce nei guai mi chiami, aqualsiasi ora del giorno o della notte. Farò del mio meglio per aiutarla.» Cannon prese il biglietto e lo ispezionò scrupolosamente. Conteneva

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semplicemente il nome, l'indirizzo e il numero di telefono di Colin. Loscrittore alzò le spalle e se lo ficcò in una delle tasche della giacca. «Certo, signor MacLaren, grazie.» Il tono della sua voce fece capire aColin che avrebbe gettato il biglietto appena arrivato a casa. «Grazie per ilconsiglio. E magari la chiamo tra qualche mese, per lavorare insieme aquel progetto su Blackburn. Potremmo intitolarlo Il re delle streghe, eh?» Senza aspettare una risposta si allontanò disinvolto. Era difficile prevedere chi, tra Thorne e le streghe, sarebbe stato più of-feso da quel titolo, rifletté Colin mentre posava lo sguardo sullo scrittoreche se ne andava. Avrebbe detto una preghiera per John Cannon quella se-ra. Quell'uomo stava scherzando col fuoco. Col fuoco dell'inferno. Era buio quando Colin uscì dal negozio. I rari lampioni alla fine di ogniisolato ne illuminavano scarsamente i tratti intermedi, ma Colin non erapreoccupato. La serata era mite e non era ancora tardi. Forse sarebbe ar-rivato a casa in tempo per dedicarsi alla correzione di qualche bozza primadi andare a dormire. Quando girò l'angolo un uomo con un impermeabile blu scuro che anda-va dalla parte opposta lo sfiorò camminando. Non portava il cappello e,quando passò sotto un lampione, la luce si posò sui suoi capelli biondochiari. Colin si fermò e si voltò a guardarlo prima di riprendere il cammino,improvvisamente a disagio. Quando fu a un isolato circa da casa ne indi-viduò finalmente la ragione. Il passante incrociato per caso gli ricordava,per qualche motivo, Toller Hasloch. Non aveva pensato al ragazzo per anni, quindi Colin prese sul serio ilcollegamento fatto dalla sua mente inconscia. Invece di mettersi al lavoro,una volta arrivato al suo appartamento si recò in camera e aprì il guarda-roba. Nella parte posteriore era appesa una tunica lunga di pesante lino co-lor crema e un paio di pantaloni larghi dello stesso materiale. Li indossò eprese gli oggetti che si trovavano sul ripiano su cui erano conservati altriindumenti: un cuscino largo e piatto, uno sgabello basso di legno, una pic-cola lampada a olio. Appoggiò il cuscino per terra e, usando lo sgabello come tavolino, vi po-sò sopra la lampada e una scatola di fiammiferi. Controllò che il lume - unsemplice oggetto di terracotta, acquistato in uno dei suoi viaggi nel Vicino

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Oriente - fosse pieno, poi si sedette per terra nella posizione del loto conuna facilità che lo faceva apparire assai più giovane. Dopo aver acceso la lampada, Colin fissò lo sguardo sulla sua fiammabrillante. La sua Loggia non invocava in aiuto gli elementi, come facevainvece quella di Alison; a Colin era invece stato insegnato a rivolgersi di-rettamente alla Luce, la Luce che conteneva gli elementi e tutto il creato.Colin guardò intensamente la fiammella, permettendo alla Luce di entrarein lui mentre respirava lentamente secondo il principio dello yoga che im-pone di non pensare a niente. Non si concesse alcuna distrazione: vuotò invece del tutto la mente inmodo da renderla un riflesso più fedele della Mente su cui si fonda il mon-do. Era una delle prima discipline che venivano insegnate all'Adepto, quel-la su cui si basavano tutte le altre, ed era insieme uno strumento e un finein sé. Abbandonò il senso dell'Io e ogni desiderio e aspettò, come una pa-gina bianca, il tocco dello scrivano. Ore dopo, la lampada diede un ultimo guizzo e si spense e Colin si mos-se, chiudendo gli occhi e stiracchiandosi dopo la lunga immobilità. Riposel'equipaggiamento e guardò l'ora: era quasi mezzanotte. Avrebbe potuto essere Toller Hasloch in strada, ma che lo fosse statooppure no non importava. Si era trattato di un segnale d'allarme. Persone come John Cannon esistevano per essere protette. Per quanto siintestardissero a mettersi in pericolo, era dovere di Colin e di quelli comelui vegliare su di loro. Le parole che aveva detto a Claire quando si eraspiegato con lei, molti anni prima, gli tornarono in mente: «È giusto che lagrande massa dell'umanità non sia turbata da forze esterne alla sua vitaquotidiana o manipolata da entità a cui non ha modo di resistere. Quandoscopro che qualcuno interferisce con la vita della gente con la Magia Ne-ra, è mio dovere fermarlo, se ci riesco. È il mio lavoro.» John Cannon era alla ricerca di una congrega di stregoni adoratori di Sa-tana. Senza dubbio ne aveva già incontrato uno o due esponenti; c'eranomolti aspiranti satanisti in giro, presi dal desiderio infantile di sconvolgeree impressionare gli altri. La maggior parte di loro erano innocui, non anda-vano oltre l'estorsione e un po' di sesso forzato con le seguaci, e l'esperien-za li lasciava delusi ma più saggi di prima. Se era quello che Cannon sitrovava ad affrontare, aveva ragione: era in grado di cavarsela da solo. Ma Colin non pensava che fosse così. Si trattava di un'intuizione, di unsesto senso o di una vera e propria comunicazione dai Piani Interni. Eracerto che prede più grosse vagavano nella foresta della notte; qualcosa di

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più oscuro e abile dei dilettanti che costituivano la clientela di posti comela Bottega degli Stregoni. Per il loro bene, e per il bene delle persone a cuipotevano nuocere, Colin doveva fermarle. Tutto quello che doveva fare era trovarle... prima che John Cannon fi-nisse per pagare il prezzo più alto. Due settimane dopo, Colin era meno ottimista. Come l'esperienza gli a-veva insegnato, l'unica volta in cui una cellula - così considerava il gruppoin questione - diventava vulnerabile era quando comunicava con gruppi e-sterni. Se quella congrega di magia nera non faceva proseliti o non stabili-va contatti materiali con individui che non le appartenevano, a Colin sa-rebbero potuti servire anni interi per trovarla. Una Loggia Nera poteva es-sere abbastanza semplice da rintracciare nel Mondo della Luce - anche sequella caccia era follemente pericolosa -, ma l'individuazione del TempioAstrale non forniva indicazioni sulla sua collocazione temporale. Scopriredove si trovavano nel mondo reale richiedeva sistemi da mondo reale. Purtroppo Colin non poteva dar loro la caccia di persona. Il suo incontrocon Jock Cannon gli aveva mostrato che era troppo conosciuto per fingersiun Cercatore ingenuo, e per via di quello che era non poteva mostrarsi allasua preda con le sembianze di un esperto praticante di Magia Nera. Per quella ricerca gli occorreva aiuto. «Niente.» La dichiarazione succinta di Claire mentre scivolava sul diva-netto di fronte al suo indusse Colin a sospirare. Si erano incontrati in un caffè aperto tutta la notte vicino a ColumbusCircle, abbastanza lontano dalle loro case da eludere la sorveglianza di e-ventuali inseguitori. Le abitudini adottate durante la guerra tornarono a Colin con spaventosafacilità, come se il conflitto non si fosse svolto trent'anni prima ma il gior-no precedente. Le aveva insegnate tutte, scrupolosamente, a Claire: comeseguire qualcuno e come verificare se si era seguiti, come seminare un in-seguitore, come capire se la casa o l'ufficio erano stati perquisiti, come la-sciare un messaggio a un alleato, come scappare e quando, e cosa fare se lafuga era impossibile. Appariva tutto sciocco, teatrale, perfino, dal momento che il presentenon sembrava affatto giustificare tante precauzioni. Ma Colin sapeva chenon avrebbero sempre avuto la stessa fortuna di dieci anni prima a Berke-ley, quando Toller Hasloch, nazista in erba, aveva scoperto le sue carte con

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tanta dovizia di particolari. Spesso l'Ombra si manifestava in modo inequi-vocabile solo un attimo prima di colpire. «Ne sei certa?» chiese Colin. Claire fece una smorfia. «Sono sicura», rispose. La cameriera venne a prendere le ordinazioni e, quando se ne fu andata,Claire riprese il racconto. Colin cercò la pipa e cominciò a riempirla. «Non ho sentito proprio nulla. La cosiddetta Grotta Interna della Cortedi Typhon non nasconde niente di soprannaturale. Un po' di droga, credo, eprobabilmente molto sesso di gruppo. Abbastanza disgustoso, ma non èquello che stiamo cercando. Hanno una «lista di nemici» e i membri sonoincoraggiati a farvi delle aggiunte, ma per quello che sono riuscita a vederenon sono in grado di accumulare l'energia necessaria neppure per spegnereuna candela. Il posto dove si incontrano, però, è sistemato bene: apparen-temente uno dei membri è scenografo. Il signor Cannon avrà una giornatacampale quando arriverà a loro.» «E dire che era la nostra traccia più promettente...» Colin sospirò e acce-se un fiammifero. Lo avvicinò alla pipa, concentrandosi completamente suquel gesto. La cameriera tornò con i piatti che avevano ordinato: un'omelette perColin e un hamburger per Claire, che si mise a mangiare con appetito. Colin era felice di vederla in forma: non l'avrebbe mai coinvolta in quelgioco pericoloso se non avesse pensato che aveva ritrovato il suo equili-brio psicologico. Erano passati poco più di quattro anni dalla morte di Pe-ter: forse era un periodo sufficiente perché Claire potesse finalmente supe-rare quel lutto e desiderare nuove occasioni da un punto di vista emotivo.Di recente aveva frequentato dei corsi di gestione di piccole imprese e sta-va pensando di trovare un lavoro diverso da quello di infermiera. Conside-rando la pericolosità degli ospedali cittadini, era una decisione che Colinapprovava pienamente. «E adesso, Colin?» chiese Claire con una patatina a mezz'aria. «Sto di-ventando piuttosto brava a recitare la parte dell'innocente e non voglio ri-nunciare, ma...» «In realtà mi sto chiedendo se non abbiamo sbagliato completamente tat-tica. Siamo andati in cerca della congrega e siamo finiti in un vicolo cieco.Potremmo essere più fortunati se cominciassimo dall'altra estremità e pro-cedessimo a ritroso.» «Vuoi dire cominciare dalle vittime... o cosiddette tali? Come quelladonna del Minnesota che ha raccontato in un libro di essersi improvvisa-

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mente ricordata di essere una sacerdotessa di Satana?» Il labbro di Claires'incurvò in una smorfia di disprezzo. «Non proprio», la corresse Colin con un sorriso. «Sappiamo dalla confe-renza di Cannon che il gruppo in questione opera da qualche parte nellazona di New York, e probabilmente usa le solite tattiche intimidatorie perconsolidare il suo potere. Dobbiamo semplicemente scoprire su chi le staimpiegando.» «Un compito arduo», commentò Claire. «La gente spaventata non parla:ha troppa paura.» «No», le diede ragione Colin. «Ma cerca protezione. E se i sistemi tradi-zionali non funzionano, è probabile che ricorra all'istinto, o anche alla su-perstizione.» «La religione organizzata, vuoi dire», gli venne in aiuto Claire. Colinsorrise impacciato. «Be', sì. E dal momento che in questi giorni neppure la Chiesa cattolicapratica un esorcismo senza delle prove concrete, quelle povere vittime del-le Tenebre spesso si trovano a chiedere invano l'aiuto del parroco - o delrabbino - del loro quartiere.» «Il che li getta in preda ai truffatori dell'occulto. Esorcisti laici che sifanno pagare profumatamente, falsi medium e altri squali senza scrupoli.Ma Colin, sai bene quanto me quanti personaggi del genere ci sono in giro.Hai intenzione di controllarli tutti insieme ai loro clienti?» «No», rispose Colin, chiedendo il conto alla cameriera con un gesto.«Voglio controllare gli squali che sono stati spaventati da uno squalo piùgrande.» CAPITOLO 11 New York, 20 dicembre 1972 Dimmi da cosa deriva un comportamento stravagante. Dal cuore o dalla testa? Come nasce, com'è coltivato? William Shakespeare Era la vigilia del solstizio d'inverno, e la stanza era buia pur essendomezzogiorno. Si trattava del soggiorno di un appartamento sull'Ottavastrada West vicino a Broadway, un quartiere povero fino a pochi anni pri-ma che stava progressivamente diventando di moda.

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La stanza sembrava la parodia della concezione popolare dello studiolodi un occultista. Sul pavimento era dipinto un Sigillo di Salomone copiatodal Grimoirium Verum, con l'aggiunta di simboli arcani sul bordo esternoper aumentarne l'effetto. Le pareti erano ricoperte di velluto viola e vi era-no appese alcune targhe che rappresentavano i segni dello zodiaco, unamappa frenologica della testa umana, un poster con il sentiero dell'energiakundalini, un disegno dell'Albero della Vita e diversi ingrandimenti di ta-rocchi. Dal soffitto pendevano reti da pesca multicolori in cui erano statigettati svariati oggetti che avevano apparentemente colpito la fantasia del-l'inquilina: una bambola, animali di peluche, uno specchio, alcune masche-re di Carnevale e diversi galleggianti da pesca con gli specchietti. Le fine-stre erano coperte di tendoni di velluto nero, e ai vetri era stata appiccicatauna pellicola colorata che rendeva la stanza buia anche quando fuori c'erail sole. Colin sedeva sul bordo di un divano nero, e teneva in mano una tazza dicaffè che non aveva toccato. Di fronte a lui, su una sedia elaborata e dalloschienale alto, si trovava Lucille Thibodeaux. Colin era alla ricerca di Lucille da diverse settimane, anche se non sen'era reso conto fino a tre giorni prima. Era lei lo squalo che aveva cercato:la donna che aveva messo John Cannon sulle tracce della congrega degliadoratori di Satana e che poteva fornire a Colin le indicazioni sul luogo incui si trovavano. Madame Lucille si guadagnava da vivere fingendosi sacerdotessa vudù eoffriva i propri servizi a un certo numero di creduloni, che giudicavano su-periore per definizione all'universo familiare tutto ciò che era estraneo allaloro esperienza. Dietro adeguato compenso, Madame Lucille trasformavala cattiva sorte in buona, fabbricava amuleti d'amore, toglieva fatture e tra-smetteva messaggi dei morti, il tutto grazie a una «solida» preparazioneche poteva riassumersi in due parole: coincidenze e qualche trucco. Il primo incontro di Colin con Lucille risaliva a diversi anni prima,quando aveva strappato una vecchia amica, rimasta da poco vedova, agliartigli della falsa medium. Allora non sapeva quanti anni avesse l'imbro-gliona: era una giovane donna dall'affascinante aria esotica, vestita comeuna zingara e con chili di bigiotteria addosso. Quel giorno, invece, dimostrava tutti i suoi anni e anche di più. La suapelle color avorio invecchiato sembrava aver assunto una sfumatura grigia-stra, e non si era neppure truccata per incontrarlo. L'aveva accolto sullaporta con un accappatoio di ciniglia rosa e l'aveva accompagnato in salotto

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con il fantasma del suo vecchio fascino. Alla luce impietosa del giorno a-veva l'aspetto emaciato e consunto dei malati di cancro. Anche il tignonche portava avvolto intorno al capo sembrava vagamente lugubre. «Cosa vuoi da Lucille, eh? Te l'ho già detto, signore, non faccio più fat-ture, io.» Lucille parlava - quando se ne ricordava - con un attraente accen-to francese. Ma quando era turbata o spaventata, la sua inflessione origina-ria - un forte e quasi incomprensibile dialetto cajun - deformava le sue pa-role. In quel momento aveva molta paura. «Lucille non è nessuno, cher. C'è molta gente peggiore là fuori. Io gli dosolo quello che mi chiedono. Sei un uomo cattivo, signore, a importunarmicosì.» «Su, Lucille, sai che non sono arrabbiato con te questa volta. Voglio aiu-tarti. Aiuta me e io aiuterò te.» Tutta quella gente, pensò Colin rassegnato,protestava la sua innocenza prima ancora di essere accusata, come se nonpotesse farne a meno. E dal momento che era stata Lucille a sollecitarequell'incontro, le sue proteste erano doppiamente ridicole. La creola sorseggiò il caffè. Le tremavano le mani e la tazza vibravacontro il piattino; goccioline di sudore le imperlavano la fronte nonostanteil freddo invernale nelle strade. «Non avrei mai dovuto parlare con quell'uomo», disse con veemenza.Scosse il capo, e gli orecchini brillarono sotto il tignon bianco. «Era un ve-leno, quello, un veleno per Lucille.» «Hai parlato a John Cannon, questo me l'hai detto al telefono», la in-coraggiò Colin. Era già venuto parzialmente a conoscenza della storia diLucille, da altre persone con cui aveva parlato nei giorni precedenti e dallaconversazione che aveva avuto con Lucille stessa per fissare l'incontro. «Mi ha pagato perché lo facessi», disse semplicemente. «Diceva che vo-leva scrivere un libro sulla mia vita, così sarei diventata famosa e sarei an-data in televisione. Voleva sapere delle forze oscure con cui combatto, e diquelli che le adorano. E allora gliel'ho detto.» «Ma hanno scoperto che hai parlato, che hai raccontato a Cannon di lo-ro», le suggerì Colìn. Non poteva permettersi errori né lasciare inesplorataalcuna possibilità. Sospettava che Lucille fosse troppo spaventata per ac-cettare di incontrarlo una seconda volta. E se quello che diceva era vero,Cannon era più gravemente in pericolo di quanto Colin avesse sospettato. «Quella ragazza gliel'ha detto, credo. È matta, quella! Dice che vuole li-berarsene, e poi corre di nuovo da loro, ci scommetto!»

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Lentamente Colin riuscì a farsi raccontare tutta la storia, verificando o-gni frase man mano che procedeva. Era cominciato tutto qualche meseprima della conferenza di Cannon alla Bottega degli Stregoni, quando unadonna chiamata Sandra Jacquet si era rivolta a Lucille in cerca di protezio-ne. «All'inizio non mi diceva da cosa dovevo proteggerla, quindi le ho datoun amuleto che le ho fatto pagare cinquanta dollari, e la settimana dopo ètornata e mi ha detto che non funzionava, che c'era qualcosa nel suo appar-tamento, e mi ha chiesto di esorcizzarlo. Allora faccio la cerimonia, unacosa ben fatta, eh! Solo gli ingredienti mi sono costati quaranta dollari. Mici sono volute tre ore, e lei dice che per fortuna mi ha trovata prima chesuccedesse qualcosa di peggio. Ma poi ho cominciato a fare... un bruttosogno.» «È questa la ragazza?» chiese Colin, estraendo una piccola foto dalla ta-sca. Lucille prese l'immagine con mani tremanti e la sbirciò nella penombradella stanza. «È lei, penso. Dov'è adesso?» Colin si rimise la foto in tasca senza rispondere. Non pensava che Lucil-le si sarebbe sentita tranquillizzata se avesse saputo che la sua cliente eraun cadavere che giaceva all'obitorio. I pezzi del suo corpo smembrato etorturato - la maggior parte, almeno - erano stati trovati in sacchi dellaspazzatura disseminati per un intero isolato. Era una fortuna - per così dire - che i simboli occulti incisi e marchiati afuoco sul suo corpo prima e dopo la morte avessero indotto il tenente Mar-tin Becket della Squadra per i crimini dell'occulto a chiamare Colin. Pro-prio come era stata una fortuna che la polizia fosse riuscita a trovare unafoto di Sandra, perché era stato impossibile fotografare il cadavere. «Parlami di Sandra, Lucille. Perché è venuta da te? Cosa voleva esat-tamente?» «Non so come mi ha trovato, Monsieur, ma voleva quello che voglionotutti. Voleva che Lucille le togliesse il malocchio. E all'inizio è andato tut-to bene.» Il che voleva dire, intuì Colin, che Sandra Jacquet era ricca e più che di-sposta a pagare profumatamente per una protezione, senza vagliare troppoda vicino le referenze della sua protettrice. Almeno all'inizio. Ma dopo al-cune sessioni di «purificazione» infruttuose, Sandra si era dichiarata scon-tenta dei risultati per cui sborsava fior di quattrini. E, quando aveva sco-perto che i soliti trucchi non soddisfacevano la sua ricca e generosa cliente,

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Madame Lucille aveva commesso il suo primo errore. Aveva trascorso unpomeriggio a compiere ricerche alla biblioteca pubblica di New York e a-veva deciso che per togliere il malocchio a Sandra Jacquet era necessariofare una seduta. Ci erano volute a Lucille quasi due settimane per convincere Sandra, mala ragazza era terrorizzata; e, comprese Colin, il vago problema che la tor-turava stava peggiorando. Quindi aveva infine ceduto alle insistenze diLucille e aveva pagato i trecento dollari che la falsa medium esigeva peracquistare il materiale per la cerimonia. In realtà, Lucille aveva intascato il denaro come sempre, e aveva spesosolo qualche dollaro per acquistare candele colorate, origano e una tavolaOuija in un negozio di giocattoli. Ma qualcosa di imprevisto era accadutodurante il rituale: qualcosa di così terribile che aveva indotto Madame Lu-cille a tenersi alla larga dalla pollastrella che aveva fino ad allora spennatosenza scrupoli. Madame Lucille non voleva - o non poteva - dire a Colincos'era successo quella notte di aprile, ma le mani e la voce le tremavanomentre rievocava il momento in cui la tavoletta si era messa a muoversi dasola sotto le sue dita. Interruppe a quel punto il racconto, prendendo una sigaretta dalla scatoladi onice sul tavolino e accendendola con dita tremanti. «E quello che ha detto allora su Lucille, lo sa solo Lucille, nessun altro!Allora ho pensato...» Ci fu una lunga pausa. Lucille aspirò il fumo e lo sof-fiò fuori rapidamente. «Penso che magari quella ragazza è meglio non averla intorno, porta so-lo guai.» Lucille alzò le spalle. In seguito, intuì Colin, Lucille aveva rifiutato di rispondere alle telefo-nate di Sandra e di riceverla quando si presentava al suo appartamento. Al-la fine, con suo grande sollievo, Sandra aveva smesso di chiamare. Colin sichiese se aveva smesso perché era morta o perché aveva trovato un altrosoccorritore altrettanto impotente. «Ma i sogni non smettono, Monsieur. E sogno Mademoiselle Jacquet,che è morta ma in un certo senso è ancora viva, viva e tormentata. E sentoparlare di quest'uomo, e penso che forse mi può aiutare perché conoscebene l'occulto eccetera.» Colin sapeva che non era quello il motivo per cui aveva accettato di par-lare a Cannon: quella parte del racconto era una storiella inventata appostaper Colin. Senza dubbio Madame Lucille aveva contattato John Cannonper semplice avidità. Cannon pagava per le interviste, Colin l'aveva saputo.

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E dopotutto, quando si era risolta a parlargli, la notte della seduta era pas-sata già da qualche settimana, e non era più accaduto nulla di inspiegabileda allora. La maggior parte delle persone, in quelle circostanze, si creavauna spiegazione confortante per nascondere gli eventi inesplicabili e finivaper dimenticarli invece di continuare a vivere con la consapevolezza delsoprannaturale. In ogni caso, quando Lucille era stata intervistata da Cannon, anche seaveva forse inventato qualche particolare parlandogli dei suoi incontri conSandra Jacquet, gli aveva anche fornito con ragionevole precisione tutti inomi e i dettagli - per quanto scarsi - che la ragazza le aveva confidato. Daallora le cose erano peggiorate per lei. E anche per Cannon che, come ogni bravo giornalista, cercava confermeai fatti risalendo alla fonte... cioè agli uccisori di Sandra. «Cosa gli hai detto?» la incalzò Colin. Lucille si accese una seconda sigaretta con il mozzicone della prima. Laluce rossastra che filtrava dal finto vetro colorato le scuriva la pelle fa-cendo apparire falsamente sano il suo incarnato, ma Colin non si faceva il-lusioni. Lucille Thibodeaux stava morendo, come se fosse stata avvelenata. «No. Quell'errore non lo faccio certo due volte. Quel nome non lo dicopiù.» «L'hai detto a Cannon. Sapevi che era un giornalista quando gli hai par-lato; sapevi che avrebbe scritto su di loro.» E tenuto delle conferenze sul-l'argomento. Può darsi che non faccia più in tempo a salvarlo. «Quelloche gli hai detto non rimarrà un segreto.» «Sì, invece», si limitò a dire Lucille. «Mi uccideranno, cher. E ucci-deranno anche Monsieur Cannon, ci scommetto.» «Se riesco a trovarli, farò in modo che non vi facciano più del male, Lu-cille, a nessuno dei due. Te lo giuro. Ma devi raccontarmi cosa ti ha dettoSandra Jacquet», insistette Colin. «È morta, vero?» indovinò Lucille. «Non è detto che debba accadere anche a te», ribatté Colin evitando unarisposta più diretta. «Sono in grado di aiutarti, se tu mi aiuti prima. Dimmichi sono.» Lucille esitò, poi scosse il capo. «Lucille ha abbastanza peccati sulla co-scienza per andare direttamente all'inferno quando muore. Quell'uomo ve-lenoso, Cannon, ce l'ho sulla coscienza. Non voglio averci anche te, Mon-sieur.» Colin le provò tutte ma non riuscì a convincerla, e alla fine dovette ri-

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nunciare. «E va bene. Non posso fare molto per te se non mi dici chi ti perseguita.Posso però darti il nome di un prete. È un uomo buono. Non riderà di te,Lucille, e non possono toccarti se sei su un terreno consacrato.» Con grande sorpresa di Colin, la creola si mise a ridere: una specie di la-trato aspro e indurito dal fumo. «Quindi la Chiesa salverà Lucille? Cosa mi dirà il prete, di mettermi inginocchio, di avvicinarmi a Gesù che mi perdonerà, eh? Non penso pro-prio, Monsieur. È troppo tardi per quello. Dio è morto, e rimane solo ilDiavolo. E alla fine sarà lui a prendersi Lucille.» Fissò lo sguardo con aria pensierosa in direzione delle finestre oscurateper un minuto, poi si alzò. «Grazie per essere venuto, Monsieur, ma hosbagliato a chiamarti. Nessun vivente può più fare nulla per Lucille Thibo-deaux in questa vita, quindi è meglio se te ne vai prima che ti vedano e chefacciano del male anche a te.» Aveva una voce ferma. Colin si alzò riluttante. «Pregherò per te», le disse, sapendo che un gestodel genere sarebbe stato troppo Umitato e sarebbe arrivato troppo tardi.Cercò il portafoglio. «Almeno vattene dalla città; se cambi aria per un po',può darsi che non riescano a rintracciarti. Hai bisogno di soldi? Posso...» Lucille liquidò la sua proposta con un gesto della mano. «Non puoi farepiù niente per me, Monsieur MacLaren. Meglio che te ne vada adesso,eh?» Qualche minuto dopo Colin si trovava in strada nella luce morente di unpomeriggio di dicembre. Guardò la finestra dell'appartamento del secondopiano: dietro la finestra con le tende Lucille Thibodeaux aspettava la mortecon il fatalismo tetro di un animale in trappola. Avrebbe pregato per lei come aveva promesso, ma non pensava che que-sto l'avrebbe salvata. C'erano però altre persone che potevano essere anco-ra salvate dal suo intervento. Colin aveva la tendenza a non buttare mai via niente. Gli ci vollero di-verse ore per trovare il biglietto da visita di John Cannon, che aveva getta-to nel cassetto dove tendeva ad accumulare quel genere di carte. Al telefo-no rispose una donna che gli confermò trattarsi di casa Cannon; gli chieseil nome e si udiva una vaga ostilità sotto la patina di cortesia. Un attimodopo John venne al telefono. «Signor Cannon? Sono Colin MacLaren; ci siamo incontrati diversi mesifa, alla Bottega degli Stregoni.» «Mi ricordo di lei, signor MacLaren.» La voce di Cannon sembrava e-

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sausta. «Perdonerà la mia arroganza nel rintracciarla, ma l'ultima volta che ab-biamo parlato stava scrivendo un libro sulla Magia Nera.» «Aspetti un attimo.» Il tono di Cannon si fece improvvisamente brusco.«Voglio passare la telefonata nello studio.» Vi fu qualche minuto di fruscii, mentre Cannon andava in studio, sol-levava il ricevitore, diceva a Bess - la donna che aveva risposto al telefono- di riagganciare all'altro capo. Poi parlò di nuovo. «Mi potrebbe dire la ragione della sua chiamata, signor MacLaren?» glichiese freddamente Cannon. «Ho appena parlato con una donna chiamata Lucille Thibodeaux», ri-spose Colin sinceramente. «Quello che mi ha detto mi preoccupa pa-recchio.» «Ah...» Cannon fece un lungo sospiro. «Sta bene?» chiese esitante. «Sta morendo», rispose Colin senza mezze misure. «La sua cliente - dicui penso le abbia parlato - è già morta. Assassinata.» Ci fu una pausa all'altro capo del filo. «Com'è morta?» chiese Cannon ti-tubante. «Male», rispose Colin, senza spiegarsi meglio. «Questa gente fa sul se-rio. Lucille è convinta che sarà la prossima, e se progetta di pubblicare unarticolo di denuncia su di loro, questo vale anche per lei.» «Sono cresciuto, signor MacLaren. È passato qualche anno dall'ultimavolta in cui mi sono lasciato intimidire da minacce di bulli nel cortile dellascuola», ribatté Cannon. Colin sospirò. Riconosceva il finto coraggio quando lo vedeva. Cannondoveva già essere nel mirino. «Sanno dove vive, signor Cannon? Ha avuto qualche... problema parti-colare?» gli chiese con tatto Colin. «Come faccio a sapere che non è uno di loro, che non ha chiamato perscoprire quello che so?» chiese improvvisamente Cannon, con la voce ca-rica di sospetto. «Andiamo, signor Cannon», disse Colin. «Certo che voglio scoprirequello che sa, ma sono io che l'ho avvertita per primo di non immischiarsi,ricorda? Desidero solo aiutarla. La cosa migliore può essere abbandonare ilprogetto, e...» «Troppo tardi.» La voce di Cannon era resa sgradevole dal senso ditrionfo. «Ho consegnato la versione definitiva di Stregoneria: il suo poterenel mondo odierno la settimana scorsa: adesso è alla casa editrice.»

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Vi fu un breve attimo di silenzio. «Naturalmente loro lo sanno già», disse Cannon. «Hanno un servizio in-formazioni molto efficace. Sono stato a uno dei loro rituali disgustosi. Unsacerdote, un certo padre Mansell, ha cercato di reclutarmi e di farmi ritira-re il libro. Hanno messo su un bello spettacolo, ma si tratta di trucchi. Ètutto, si tratta solo di coincidenze, intimidazioni...» La voce gli tremò etacque; fece una lunga pausa. «Mi aiuti», sussurrò Cannon. Colin controllò l'ora. «Abita vicino a Gramercy Park, vero? Posso esserelì in meno di un'ora; vorrei portare con me...» «No, non venga qui», si affrettò a dire Cannon. «Non desidero che Bessvenga turbata ancora di più, e non voglio... non voglio che la vedano qui»,concluse con voce rotta. Vi fu un'altra pausa mentre Cannon si ricomponeva. «Devo passare daBlackcock - il mio editore - per parlare del libro con Jamie domani. Verròda lei dopo. Ho bisogno di parlarle. Magari se faccio come dicono loro peril libro e non lo do alle stampe...» «Probabilmente sarebbe una buona idea», confermò Colin. «Almeno milasci vedere il manoscritto. Da quello che ho capito contiene dei nomi, equesta gente ha buoni motivi per essere terrorizzata dall'eventualità di ve-nire scoperta. Ho qualche amico nella polizia che potrebbe rendergli la vitadifficile, e permettere a lei di ricominciare a respirare.» «Io... immagino di sì», riconobbe Cannon, sempre più scosso. «Devopensarci. Non è che li prenda sul serio, naturalmente... sono solo tecnicheviolente e tattiche intimidatorie...» «La prego», insistette Colin, «non commetta l'errore di pensare che nonmetterebbero in atto le loro minacce. Se quello che credo è vero, hanno giàucciso una volta.» «Non intendo arrendermi», esclamò Cannon, cambiando ancora una vol-ta tattica. «Ma possiamo parlarne domani. Eppure...» Colin aspettò, ma Cannon non aggiunse altro. «Signor Cannon?» lo chiamò infine. «Oh.» Cannon sembrava essersi appena svegliato. «Be', grazie per la te-lefonata, signor MacLaren», disse con voce falsa e squillante. «Apprezzo ilsuo interessamento.» «Venga a trovarmi», lo esortò Colin con voce urgente. «Oppure possoincontrarla da Blackcock. A che ora ha appuntamento con il suo editore?» Vi fu una risata amara dall'altra parte del filo. «Pensa forse che glielo di-rò? Non sono tanto stupido. Senta cosa le propongo, MacLaren: la chiamo

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io domani. Magari possiamo pranzare insieme.» «Signor Cannon...» cominciò Colin in tono disperato. «Jock...» «Grazie per aver chiamato, professore», lo interruppe Cannon. Vi fu ilclic del ricevitore che veniva riposto sulla forcella e il suono della co-municazione interrotta. Colin fissò il telefono esasperato e impietosito. Sperava che Cannon lochiamasse davvero l'indomani, e soprattutto che ritirasse il manoscritto sul-le congreghe di adoratori di Satana. Quel gesto di «buonafede» poteva es-sere sufficiente per salvargli la vita. Forse. La telefonata che stava aspettando non arrivò. Colin aspettò tutto il gior-no chiedendosi se fosse il caso di chiamare la moglie di Cannon, o il suoeditore, e rinunciò con riluttanza a entrambe le possibilità. Per i Voti che lovincolavano, non poteva imporre il proprio aiuto a persone che non lo de-sideravano. Pregò che la chiamata sarebbe arrivata presto. Quando il tele-fono suonò alle quattro del pomeriggio, Colin si precipitò a rispondere. «Sì?» «Colin?» La voce era vagamente familiare. «Sono Michael Davenant.» «Michael», lo salutò Colin calorosamente, nascondendo la delusione peril fatto che non era l'interlocutore che aspettava. «Come ti va la vita?» «Be', non posso lamentarmi. Hai sentito che abbiamo perso i finan-ziamenti?» «No.» Nonostante la preoccupazione per Cannon, Colin era scioccato. IlGruppo Rhodes aveva goduto di finanziamenti privati e doveva in buonaparte la sua autosufficienza ai contratti con il governo. «Temo di sì. L'affare Sharon Tate è stato un duro colpo per noi; quello ele morti Blackburn ci hanno parecchio danneggiato. Francamente, quandoi contratti del governo si sono esauriti, il Gruppo non ce l'ha fatta a mante-nersi nel settore privato.» «Mi dispiace», commentò Colin con franchezza. «E tu, come stai in que-sto periodo?» «Non troppo male. C'è sempre posto per un buon amministratore. Mal'altro giorno ho sentito una cosa che dovrebbe interessarti, e ho pensato dioffrirti da bere e di parlartene.» «Per quanto sia curioso di sapere di cosa si tratta», disse Colin «in que-sto momento sono piuttosto occupato qui a New York.» Davenant rise. «Oh, che sciocco; avrei dovuto dirtelo. Mi trovo a New

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York, sono al Warwick. Passa di qui, ti assicuro che ne vale la pena.» Colin diede un'occhiata all'orologio. Cercò di convincersi che Cannonavrebbe ancora potuto chiamare, e non ci riuscì. «Adesso sono le quattro», disse Colin. Diffidava della propria impa-zienza di risolvere il problema di Cannon; doveva rimanere distaccato, seci riusciva. L'incontro con Michael sarebbe stato una perfetta distrazione.«Cosa ne dici se passo verso le sei e mezzo? Avremo il tempo per berequalcosa insieme prima di cena. Conosco un ristorantino italiano nientemale a pochi isolati di distanza dal tuo albergo.» «Perfetto», acconsentì Michael. «Ci vediamo dopo.» Il bar del Warwick sembrava emerso da un mondo ormai relegato al pas-sato: buio e intimo, confortevole anche se vagamente trasandato. Sem-brava appartenere più agli anni Cinquanta che ai Settanta. Colin individuòDavenant a un tavolo d'angolo e si affrettò a raggiungerlo. Parte della mente di Colin era ancora occupata da Cannon, ma avevachiamato Claire per chiederle di andare da lui e di rispondere al telefono insua assenza. Sapeva dove rintracciarlo, e Colin si fidava di lei più che di sestesso per trattare con un interlocutore spaventato e sconvolto e ottenernequalche informazione concreta. Gli anni trascorsi a prendere chiamate ur-genti in momenti di crisi aveva affinato le sue capacità di rapportarsi aglialtri a tal punto che nessuno restava un estraneo a lungo per Claire Moffat. «Hai l'aria in forma», disse Davenant quando Colin giunse al tavolo. «Lavita editoriale ti fa bene, anche se è un peccato dover fare a meno della tuacollaborazione nel settore.» «Me ne occupo ancora di tanto in tanto», ammise Colin. Davenant sorrise. «Lo speravo. Molta gente getta la spugna, sai: si dà al-la religione o perde il gusto per l'ambiguità. Sono felice di sapere che nonhai rinunciato a combattere.» «Per così dire», precisò Colin. Ordinarono da bere e chiacchierarono di eventi attuali - il caso Waterga-te, la rielezione di Nixon, la guerra - finché non arrivarono i loro bicchieri.Quando li ebbero assaggiati, Davenant affrontò finalmente la ragione delloro incontro. «Ti ho già detto che il Gruppo Rhodes si sta sciogliendo, ma natural-mente ci sono ancora i beni della società di cui occuparsi. La biblioteca -per non parlare dei registri contenenti i nostri casi - costituisce un patri-monio importante. E sarebbe un peccato che tutti quei dati andassero per-

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duti.» «Certamente», confermò Colin. «Immagino che donerete tutto a una bi-blioteca o a un'università, no?» «Donare!» Davenant rise. «Sei da troppo tempo fuori dal giro, Colin. Hopassato gli ultimi otto mesi a cercare un acquirente su espresse indicazionidel consiglio di amministrazione.» «Immagino di sì», commentò Colin senza sbilanciarsi. Si sentiva sempredepresso quando le questioni economiche diventavano un ostacolo alla ri-cerca pura. «Hai trovato qualcuno?» «Fortunatamente sì. La biblioteca è stata smembrata: la maggior partedei testi è andata a Duke, naturalmente, ma sono felice di poter dire che hotrovato la casa perfetta per i nostri dossier.» «Non c'erano delle norme di segretezza da rispettare?» chiese Colin. «Inqualcuno degli schedali c'è materiale che scotta.» «Be', certo. Naturalmente tutte gli archivi riguardanti il governo sonostati trasmessi alla CIA: hanno dato vita a un certo Progetto Star Gate percontinuare internamente la nostra opera, ma non dire a nessuno che te l'hodetto. Per il resto, i nomi veri sono stati cancellati, e la maggior parte deinostri clienti aveva comunque firmato in partenza un'autorizzazione alladiffusione parziale dei dati che li riguardavano. L'unico vero problema èstato trovare un'acquirente adeguato, e fortunatamente ci è andata bene.Abbiamo finito per vendere tutto il materiale, ectoplasmi compresi, all'Isti-tuto Bidney, proprio dietro casa tua.» «Non proprio dietro casa, Michael: Glastonbury si trova ben più a montedel fiume. Ma comunque è abbastanza vicino, direi», puntualizzò Colin. «E questo mi porta a parlarti del motivo per cui desideravo incontrarti.Mentre ero lì a prendere gli ultimi accordi, ho sentito che stanno cercandoun nuovo direttore, dal momento che Newland va in pensione l'anno pros-simo. Immagino tu conosca i termini del lascito della fondazione, vero?» Per caso, Colin stava proprio leggendo per la Selkie un libro sulla vita diMargaret Beresford Bidney. «In effetti, sì. L'istituto è associato all'uni-versità, ma gestisce e amministra i propri fondi, compreso il premio da unmilione di dollari.» «Almeno finché il buon dottore riesce a tenere i soldi fuori della portatadegli amministratori dell'università. Be', adesso che ha deciso di andare inpensione il college sta facendo pressioni sull'istituto perché rinunci allapropria autonomia e si faccia incorporare dal Taghkanic.» «E questo, naturalmente, permetterebbe al Taghkanic di assumere il con-

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trollo sul lascito Bidney?» chiese Colin, che non era pratico delle questioniintricate di politica interna e conflitti accademici. «Precisamente. L'istituto non ha grandi speranze di restare un'entità in-dipendente se non riesce a trovare un direttore qualificato. Mentre na-turalmente l'università non può controllare la scelta dell'istituto, se questodesigna la persona sbagliata il college può sempre ritirare il proprio soste-gno e lasciarlo senza accreditamento.» «Chi sceglie il nuovo direttore?» «Il direttore uscente e il consiglio di amministrazione dell'istituto. Fran-camente, penso che Newland sia dalla parte del Taghkanic, visto comeconduce la selezione. O forse vuole evitare di trovarsi tra due fuochi.» «Posso capire come si sente.» Colin considerò la questione. «Be', nonposso semplicemente presentarmi e propormi per il posto. Per essere since-ro, sono piuttosto contento del mio lavoro con la Selkie e le consulenze.Eppure, se l'istituto è destinato a scomparire mi piacerebbe almeno dargliprima un'occhiata.» «È questo lo spirito giusto», lo sostenne Davenant con entusiasmo. «E,parlando di spiriti...» La conversazione passò alla parapsicologia e passò in rassegna gli amicie conoscenti comuni. Di lì a poco si trasferirono nel «ristorante dietro l'an-golo» proposto da Colin, dove i due uomini fecero onore alla cena. Fu soloalla fine del pasto, mentre gustavano il brandy fumando, che Davenant tor-nò brevemente sull'argomento della biblioteca del Gruppo Rhodes. «Ce l'hanno fatta per un pelo e, anche se l'anno prossimo, quando Ne-wland va in pensione, l'istituto va a fondo, sono comunque contento che inostri registri siano andati a loro: i dossier finiranno nella biblioteca delTaghkanic, e sai come sono le università quando si tratta di rinunciare aqualcosa una volta che ci hanno messo le mani sopra. Ho fatto fatica aconvincere il consiglio di amministrazione, perché Hasloch, Morehouse eRand sinceramente avevano fatto un'offerta più alta, ma...» «Hasloch?» Non era un nome comune, e Colin sentì un soffio gelato pe-netrargli nel cuore, come se avesse respirato senza volere una boccata diaria ghiacciata. Le coincidenze non esistevano: tutta la sua esperienza e laformazione seguita gliel'avevano insegnato. Michael aveva chiamato quelgiorno - e Colin aveva accettato il suo invito - per una ragione, e ora sape-va quale. Improvvisamente, senza bisogno di una prova terrena, Colin sa-peva chi era il nemico contro cui combattere. «Toller Hasloch», disse Davenant. «Un avvocato di successo: prima la

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società era Hasloch, Hasloch e Morehouse, ma l'anno scorso il padre diHasloch è morto e uno dei membri più anziani dello studio è stato promos-so. Apparentemente facevano un'offerta per un cliente che desiderava re-stare anonimo: non riesco a immaginare che interesse potrebbe avere unostudio legale di New York per la parapsicologia.» Per un istante l'accogliente ristorante scomparve, e Colin si trovò nelloscantinato di Berkeley, a guardare la figura blasfema appesa al contrariosulla croce. «Neppure io», commentò con voce neutrale. Continuarono a chiacchierare, ma l'umore della serata si era alterato, equando Davenant affermò di doversi alzare presto Colin fu quasi ansiosodi congedarsi da lui. Decise di camminare almeno per un pezzo del tragitto fino a casa, spe-rando di trovare un taxi libero, e fece una deviazione di qualche isolato pervedere il grande albero davanti al Rockefeller Center. Incombeva impo-nente sulla piazza, e le sue luci colorate davano una specie di brillio magi-co ai dintorni, come a simboleggiare la Luce più grande che quella stagio-ne celebrava. L'aria aveva quell'aroma frizzante, quasi di menta, che an-nuncia la neve, ma mancavano ormai solo quattro giorni a Natale, e i fioc-chi non avrebbero comunque avuto il tempo di attecchire. Colin sentì il suo umore tetro migliorare leggermente, ed ebbe perfinovoglia di acquistare una copia del Times in un'edicola al bordo della piaz-za. Claire lo accusava sempre di seppellirsi nel lavoro e di non prestare at-tenzione agli eventi di attualità. Forse era vero, ma non riusciva a immaginare come un'attenzione anchescrupolosa agli avvenimenti mondani avrebbe potuto preannunciargli lariapparizione di Toller Hasloch nella sua vita. Il ragazzo era così giovaneallora... Colin aveva sempre sperato che lo spavento provocatogli sarebbestato sufficiente per allontanarlo dalle Tenebre, ma in cuor suo aveva sem-pre saputo che non era stato così. Quasi senza rendersene conto si mise una mano in tasca per sentire ilmetallo di una pistola che non c'era. Erano le undici e mezzo quando entrò nell'appartamento. Claire dormivaprofondamente, avvolta in una trapunta e accovacciata nella grande poltro-na di pelle. Il telefono le stava in grembo come un gatto appisolato. Quando chiuse la porta la donna si svegliò. «Oh, Colin.» Guardò l'orologio. «Sei tornato presto.»

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«Immagino non ci sia bisogno di chiederti se sono arrivate delle te-lefonate», indagò Colin, togliendosi il vecchio soprabito e gettandolo suuna sedia; la stessa sorte subì il giornale. «No, se non conto un sondaggio d'opinione e una persona che cercava divenderti il New York Times», disse Claire, che rimise il telefono sul tavoli-no e si liberò dalla coperta. «Ah, e qualcuno ha sbagliato numero, ma pen-so che se ne sia accorto da solo: ha riagganciato a metà di una frase.» Sialzò e si stiracchiò. «Com'è andata la cena?» Fece una pausa e lo ispezionòmeglio. Non hai bella cera, Colin.» «Ho avuto delle notizie spiacevoli stasera. Ricordi Toller Hasloch?» «Ugh.» Claire fece una smorfia. «Come potrei dimenticarlo? Un uomocosì affascinante, che ci sapeva fare talmente con le donne. Non dirmi chel'hai incontrato stasera, Colin. Speravo fosse morto.» «No. Apparentemente fa l'avvocato a New York adesso... e la sua so-cietà ha fatto un'offerta per la biblioteca del Gruppo Rhodes.» «Brrr.» Claire ebbe un brivido non completamente simulato. «Be', speronon mi dirai che l'ha avuta. Del tè? Penso che ne berrei volentieri una tazzaprima di sentire tutti i dettagli macabri.» Claire andò in cucina, e pochi at-timi dopo Colin la sentì muoversi tra il fornello e il frigorifero. Passeggiò per la stanza accendendo qualche luce, poi prese in mano ilgiornale. Lo scorse rapidamente - l'Apollo 17 era ancora diretto verso laTerra senza incidenti, per i cospiratori del Watergate si stava avvicinandola data del processo - e io accantonò. Quelle notizie sembravano non tocca-re direttamente la sua vita. Nel frattempo Claire era tornata con un grande vassoio. C'era un piattocolmo di biscotti di Natale sul vassoio, e Colin sollevò un sopracciglio. «Oh, sai com'è», disse Claire. «In questo periodo dell'anno non puoisfuggire ai dolcetti di Natale. La settimana scorsa mi sono arrivate due tor-te alla frutta, e ne ho portata una qui per le emergenze.» «O almeno per le emergenze che possono essere risolte con una fetta didolce», decretò Colin, scegliendo un biscotto. «Forse la cosa ti sorprenderà», affermò Claire placidamente, «ma moltimomenti critici possono essere superati con un buon pasto, un bicchiere diqualcosa di forte e un bagno caldo. Toller Hasloch, tuttavia, non ricade inquesta categoria. Allora fa l'avvocato a New York? Vorrei averlo saputoprima di trasferirmi qui. Ma perché gli interessa un mucchio di libri? Nonmi ha mai dato l'impressione di essere un gran lettore, se è per quello.» «Non i libri, ma i dossier dei casi», precisò Colin. «E comunque non li

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ha avuti.» «Ci dev'essere un altro motivo, allora, se fai quella faccia. Cosa c'è?» «Penso», disse Colin lentamente «che pratichi qualcosa d'altro oltre lalegge. Ma se è così, si nasconde per bene. Nelle ultime sei settimane pensoche abbiamo controllato ogni persona dedita alla Mano Sinistra a Manhat-tan e dintorni, per non parlare di alcune zone di Westchester e Long Island,e non abbiamo scoperto nulla che si avvicinasse neppure lontanamente aquella brutta storia di Berkeley.» «Thule Gesellschaft.» Claire pronunciò le parole come se fosse stato ilnome di un'orribile malattia. «Pensi che avremmo trovato qualche indiziose avesse ricominciato i vecchi giochetti.» «Io, sì, e tu?» chiese Colin. «Immagino significhi che ha smesso di pra-ticare quei riti, ma non intendo fidarmi delle mie supposizioni. Non appenal'affare di Cannon è sistemato, mi occuperò personalmente di Toller Ha-sloch. Anche se i giuramenti che ho fatto non mi permettono di interferirecon le vite e i destini delle persone normali, forse per Hasloch posso fareun'eccezione.» «Perché non chiedi a Can...» La voce di Claire si spense, e la donna ri-mase con la tazza di tè a mezz'aria. Gli occhi avevano assunto un aspettoremoto. «Freddo. Così freddo. Oh, Colin, perché non me l'hai detto?» «Claire», la chiamò Colin dolcemente. «Sono arrivati a Lucille», disse Claire. Anche se la voce era ancora ri-conoscibile, il suo modo di parlare era cambiato, e Colin poteva quasi im-maginare di avere seduto di fronte Cannon. «Colin, devi salvare...» Si in-terruppe. «Salvare...» Claire tacque e sbatté le palpebre, e gli occhi misero nuovamente a fuocoi dintorni. «Salvare cosa?» chiese con la sua voce di sempre. «Mi sono ap-pisolata?» «Non proprio», rispose Colin. «Penso che qualcuno ti stesse usando pertrasmettere un messaggio.» Qualcuno che ha superato le protezioni che hoeretto in questo posto come se non esistessero. Claire si guardò intorno con aria confusa, come se stesse cercando ilmessaggero negli angoli del soffitto. «Adesso non c'è più nessuno», an-nunciò con aria decisa. Bevve il tè e guardò di nuovo l'ora. «Va bene cosìo vuoi che provi a richiamarlo?» Colin esitò. «Lasciami prima fare una telefonata.» Cannon non rispose al telefono e, dopo che Colin l'ebbe lasciato suonaretrenta volte, seppe che nessun altro avrebbe sollevato il ricevitore. «Sono

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arrivati a Lucille...» aveva detto la voce. Provò anche i due numeri diMadame Lucille, ma neppure lì ebbe risposta. Sperava che avesse seguitoil suo consiglio di allontanarsi da New York, ma in cuor suo sapeva chenon l'aveva fatto. «Penso che faresti meglio a vedere se riesci a rievocarlo», disse con ariacupa. C'era un'unica forza di sua conoscenza capace di infrangere le difesedi un Adepto: quella del Puro Spirito nelle lande della Morte. «Nulla.» Quaranta minuti dopo, Claire scosse il capo con fermezza. Mi-se da parte il cristallo dopo averlo riavvolto con cura. «Mi dispiace.» «Hai fatto del tuo meglio», la rassicurò Colin. «Mi dispiace di averti te-nuto qui fino a tardi. Ti chiamo un taxi: non voglio che tu prenda la metro-politana a quest'ora.» «E tu? Cosa farai?» chiese Claire con fare sospettoso. Trovò una rispostanell'espressione di Colin. «Non senza di me, mio caro.» Alle due del mattino, tutte le finestre degli edifici che davano su Gra-mercy Park erano buie. Colin non sapeva con esattezza perché era andato fin lì. Non c'era nullache potesse fare, e non poteva certo andare a bussare alla porta di Cannonnel cuore della notte per sapere se stava bene. Cannon non gli aveva chie-sto di intervenire. Le mani di Colin erano, quindi, legate. «Niente?» chiese speranzoso. Claire scosse il capo. «Solo la cattiveria residua che si trova in ogni stra-da cittadina. Cosa intendi fare, Colin?» Sospirò, scuotendo la testa con aria stanca. «L'unica cosa che posso fareè aspettare che faccia giorno e ricominciare da capo. Domattina - più tardi,voglio dire - vedrò cosa riesce a dirmi il suo editore. Mi chiedo se Jock si èpresentato al suo ultimo appuntamento.» Dormiva solo da poche ore quando il telefono squillò. «MacLaren.» «Colin, accendi la radio e sintonizzati sul notiziario», lo incitò Claire.«Presto.» Colin si sedette e accese la radiosveglia sul comodino accanto al letto.Era sempre sintonizzata su 1010 WINS; dopo qualche secondo il suonograffiante della stazione che trasmetteva informazioni ventiquattrore algiorno riempì la stanza.

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«... e famoso scrittore John Cannon, morto oggi all'età di quarantanoveanni. Cannon, autore di diversi libri come Il diavolo in America...» Colin si avvicinò di nuovo il telefono all'orecchio. «Ho sentito», dissesemplicemente. Riposa in pace, Jock Cannon. Sarai vendicato. «Quando sono tornata a casa stamattina, non riuscivo a dormire. C'eraanche un trafiletto nel giornale di oggi, solo un annuncio nei necrologi. Di-cono che è stato un attacco di cuore. Spero sia vero. Ma non riesco a libe-rarmi da questa sensazione - una specie di punzecchiatura, nulla di concre-to su cui agire - che dovrei essere in qualche posto. Quindi immagino cheil mio progetto di oggi sia andare in giro e vedere se mi imbatto nel postogiusto.» «Buona fortuna», le disse Colin. «Ti chiamo stasera e vediamo a chepunto siamo. Vado a vedere se Cannon si è presentato al suo ultimo ap-puntamento.» Mentre si stava preparando per andare da Blackcock, arrivò un'altra te-lefonata. All'altro capo c'era Alan Daggonet, il proprietario della SelkiePress, che gli ricordava di partecipare alla riunione di quel mattino. Colin, sebbene a malincuore, si diresse all'edificio di arenaria che ospi-tava la casa editrice. La sua visita da Blackcock avrebbe dovuto aspettarequalche ora. Dopo l'incontro, Daggonet lo prese in disparte. «Temo di non avere buone notizie, Colin, ma non ti farei un favore se tele nascondessi. Sai che da diversi anni abbiamo problemi finanziari...» «Mi stai licenziando, Alan?» chiese Colin pacatamente. Alan Daggonet era l'erede di una vecchia famiglia newyorkese, e la casaeditrice era stato il suo progetto preferito per quasi venticinque anni. Ma larecessione e l'inflazione combinate avevano cospirato per rendere inacces-sibile il mondo dell'editoria anche a un uomo ricco, e Colin si aspettava damesi un annuncio del genere. «Oh, Signore, no!» esclamò Alan scandalizzato. «Per Natale? Non sonoun mostro del genere. No, possiamo pagarti ancora per qualche mese, ma agennaio dovrò mettere la casa editrice in vendita. Non penso che esista lapossibilità di un acquirente, ma sbarazzarsi delle giacenze di magazzinopotrà servire a pagare una parte dei debiti. E la maggioranza dei nostri au-tori sono morti, quindi c'è la backlist nella colonna degli attivi del libromastro. Ma temo che abbiamo finito di esistere. Se si esclude un miracolo,naturalmente.»

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Colin sospirò, cercando di dimostrarsi interessato al problema anche se isuoi pensieri erano altrove. «E cosa facciamo dei libri su cui sto lavorando adesso?» chiese. Daggonet alzò le spalle. «Tutto quello che è già in produzione va avanti,ma non si farà niente di nuovo. Dobbiamo incontrarci di nuovo in gennaiodopo che avrò parlato con gli avvocati, ma volevo annunciarti la notizia ilpiù presto possibile.» «Te ne sono grato», disse Colin. Strinse la mano di Daggonet. «SalutamiBarry.» «Devi venire da noi a bere qualcosa», suggerì Daggonet. La sua voceaveva un suono vuoto. Alan Daggonet era uomo buono, e odiava essere ilportatore di cattive notizie. «Certo», promise Colin. «Cerca comunque di passare un buon Natale,Alan.» Bene. È forse il caso che prenda in considerazione il posto al Taghkanicdi cui mi ha parlato Michael, dopotutto, si disse mentre riguadagnava lastrada. Aveva sempre saputo che la Selkie Press non era destinata a durareper sempre, ma ricevere il benservito così, di punto in bianco, lo avevaprofondamente scioccato. Era però pronto a scommettere che non ci stavamale quanto Daggonet stesso. E Colin aveva questioni più importanti da risolvere al momento. Ormai si era fatto quasi mezzogiorno, e lo stomaco gli ricordò che avevasaltato la colazione. Era su York Avenue verso l'Ottantesima Strada, ed eradifficile trovare pizza al taglio da quelle parti. Eppure doveva esserci uncaffè dove avrebbe potuto mangiare un boccone. Stava attraversando Park Avenue quando avvertì un improvviso strat-tone, come se qualcuno gli stesse tirando il cappotto. Si guardò attorno,cercando di capire cos'aveva attirato la sua attenzione. Dall'altra parte della strada vide un edificio che ospitava ambulatori e uf-fici, affiancato da due vecchi condomini. Spiccava nettamente e solleticavai suoi sensi addestrati, come se fosse illuminato da una luce particolare. Quando il semaforo diventò verde, attraversò e ispezionò più da vicinol'entrata. Nessuno dei nomi sulle targhe di ottone - Clinton, Wynitch, Bar-nes - gli risultava particolarmente familiare, anche se Wynitch gli ri-cordava vagamente qualcosa. Ah, sì. Un brutto scandalo qualche annoprima, quando un ragazzo in cura da lui si era suicidato. Qualcuno qui ha bisogno d'aiuto. Di quello, Colin era piuttosto sicuro.

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Ma non ancora. Prima aveva un'altra commissione da sbrigare. Gli uffici della Blackcock Books erano sul lato buono di Park Avenue,verso la Trentesima Strada. Anche se erano piccoli rispetto alle sedi dellecase editrici più vecchie, occupavano comunque un intero piano dell'e-dificio, e comprendevano un'elegante anticamera con il logo della societàin alluminio opaco montato su muro tappezzato dietro la scrivania dellasegretaria. Blackcock pubblicava esclusivamente libri in edizione economica; erauna delle case editrici nate come funghi negli ultimi trent'anni per soddi-sfare la domanda di un formato nuovo - all'epoca - e poco costoso che tutticredevano transitoria. Ormai, però, la metà di tutti i libri dati alle stampenon comparivano neppure nell'edizione con copertina rigida, ma solo inpaperback. Solo uno dei numerosi libri di Cannon - La storia occulta delNuovo Mondo - era apparso in edizione cartonata, e non era stata la Bla-ckcock a pubblicarlo. Diversi altri suoi libri, però, erano in bella mostra sulla parete dietro lapoltroncina su cui Colin MacLaren sedeva. Si era presentato alla segretaria e aveva chiesto di parlare a James Mel-ford. Come aveva previsto, venne accompagnato al cospetto non di Mel-ford, ma di una graziosa giovane con una minuscola gonnellina che si pre-sentò come Peggy Kane e affermò di essere l'assistente di James Melford.Anche lei gli chiese la ragione della sua visita, ma quando Colin affermòche si trattava di una questione privata accettò la spiegazione con buonagrazia e sparì di nuovo. Aveva quindi aspettato più di un'ora, e si stava chiedendo se speravanosemplicemente che se ne andasse quando la signorina Kane fece ritorno.Colin la seguì oltre la soglia degli uffici Blackcock. Mancava ormai pochissimo alle festività e la maggior parte del perso-nale era in vacanza: l'aspetto spoglio delle scrivanie nei vari scomparti lodimostrava. Aspetto desolato a parte, però, l'ufficio aveva un'aria trascuratae sciatta che non si limitava alla normale confusione tipica delle case edi-trici. Le piante in vaso erano state raddrizzate in fretta e furia, ma la terracaduta quando erano state rovesciate era stata ripulita malamente. Colin lo sapeva: era un rischio calcolato venire dall'editore di Cannoncon una missione tanto bizzarra. Ma l'ultimo manoscritto di Cannon, comeuna specie di virus letterario, avrebbe continuato a seminare morte e di-struzione sul suo cammino finché la congrega cercava di toglierlo dalla

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circolazione. La signorina Kane si fermò davanti a una porta e bussò meccanicamenteprima di aprire l'uscio e di far entrare Colin. James Melford era un uomo di circa quarant'anni. I capelli ondulati ca-stano chiaro - portati lunghi come chi non ha trovato il tempo di andare dalbarbiere - si arricciavano sul colletto della camicia a righe. La giacca eraappoggiata sullo schienale della sedia, e la stanza era colma di scatoloni dimanoscritti e di altro materiale editoriale, che comprendeva due premi in-corniciati e un oggetto che assomigliava a una navetta spaziale dei fumettiin bronzo. La bacheca dove erano esposti i trofei era stata fracassata, e Co-lin era pronto a scommettere che il danno fosse recente. Il senso di disor-dine in quella stanza era, se possibile, ancora più forte che nell'atrio. Si al-zò quando Colin entrò. «Signor MacLaren. Come sta? È un amico di Jock, vero? Ricordo chemi ha parlato di lei qualche mese fa. Non so come dirglielo, ma...» «So che Cannon è morto», disse Colin. «E il modo in cui è morto. In uncerto senso è per questo che mi trovo qui. Signor Melford, sono venuto aparlarle dell'ultimo libro di John Cannon...» Si trovò del tutto impreparato per la reazione di Melford. «Fuori di qui!» gridò James Melford, balzando in piedi. A Colin occorsero diversi minuti carichi di tensione per convincere l'edi-tore di Cannon che non apparteneva alla congrega satanica che aveva per-seguitato Cannon... ed era entrata nella sede della Blackcock la notte primain cerca della copia del manoscritto. Purtroppo fu l'unica cosa di cui riuscì a convincere Jamie Melford e,quando lasciò il suo ufficio una mezzora dopo, non era del tutto certo chel'editore non lo credesse, se non legato al gruppo che aveva ucciso Cannon,almeno un suo ingenuo strumento. Certo non l'aveva persuaso a eliminareil manoscritto o a lasciarglielo vedere. Eppure, forse i semi che aveva piantato quel giorno avrebbero dato buo-ni frutti in futuro. E almeno ora sapeva quanto era determinata quella con-grega di adoratori di Satana. Un omicidio con strumenti magici era una co-sa, un'effrazione era tutt'altro e, in un certo senso, faceva ancora più paura. Per un attimo si chiese quale segreto potevano aver rivelato a un estra-neo - John Cannon - e difendere ora con ogni mezzo. Colin stesso, strana-mente, aveva più ragioni di loro di voler togliere dalla circolazione un li-bro come Stregoneria: il suo potere nel mondo odierno. Da quello che ri-

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cordava della conferenza di Cannon, il manoscritto forniva indubbiamenteun dettagliato manuale dell'occulto a persone mentalmente squilibrate. «Darebbe a un bambino una pistola carica?» aveva chiesto Colin a Ja-mie Melford durante il loro incontro, ma sapeva che Melford non avevacolto l'analogia. Era un editore, un uomo che si occupava di libri, e nellostesso tempo credeva che nulla fosse più potente della parola scritta e chequesta non potesse fare alcun male. Colin pregò che non dovesse mai sco-prire il contrario; anche se non era riuscito a proteggere Cannon, si ri-promise di non fallire una seconda volta. Anche senza entrare in possessodel manoscritto, aveva comunque una pista. La cosiddetta congrega a cui stava dando la caccia era composta di ado-ratori di Satana, non di stregoni. Poteva solo sperare che rispettassero allalettera i dettami delle loro pratiche; in quel caso, la Magia Nera imponevaloro di avere un prete cattolico a capo della conventicola. E Cannon avevaparlato di un certo padre Mansell. Una rapida telefonata agli uffici della diocesi gli confermò che esistevaun sacerdote chiamato Walter Mansell, ma che era stato spretato più didieci anni prima, e la diocesi aveva da allora perso ogni sua traccia. Colin esitò a lungo, poi compose un secondo numero. «Posso aiutarla?» La voce familiare era efficiente, neutrale e decisa. «Vorrei parlare a padre Godwin, per favore», disse Colin alla gover-nante. «Chi parla, per cortesia?» Ora la voce si era fatta decisamente più fred-da, tradendo un'inflessione straniera. L'inglese non era la lingua madre diFrau Keppler, e la sua devozione a Godwin era profonda. Pochi interlocu-tori superavano la barriera eretta dalla perpetua per proteggerne l'intimità. «Sono Colin MacLaren», si presentò Colin. Passò a un tedesco privo diaccento. «Come va, Inge?» «Molto bene, grazie, Herr Doktor.» La voce si fece leggermente più ca-lorosa, e assunse un tono tra il giocoso e l'affettato. «Sta facendo un giocomolto pericoloso in questi giorni, nicht wahr?» Colin non perse tempo a chiedersi come faceva a saperlo. Il servizio in-formazioni di Frau Keppler era uno dei migliori che avesse mai cono-sciuto. «Temo di sì. Sarebbe possibile parlare al padre?» «Non è stato bene di recente. Ma se proprio deve vederlo, passi verso lequattro. Penso che a quell'ora potrà dedicarle qualche minuto.»

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CAPITOLO 12 New York, 23 dicembre 1972 Come un attore imperfetto sul palcoscenico che per la paura non riesce a recitare la sua parte, o un essere fiero e troppo incollerito, la cui forza gli indebolisce il cuore William Shakespeare Padre Adalhakd Godwin viveva in un'imponente casa di arenaria marro-ne verso la Cinquantesima est. L'edificio era stato il regalo di un cliente ri-conoscente, e padre Godwin, che prendeva con assoluta serietà i suoi votidi povertà, ubbidienza e castità, aveva donato la proprietà alla Chiesa. Daquando era andato in pensione, quindici anni prima, all'età di ottant'anni,viveva lì, stendendo gli appunti per un libro che non avrebbe mai scritto. Colin si presentò alla soglia dell'abitazione alle quattro precise. FrauKeppler lo ispezionò dallo spioncino per quasi un minuto prima di deci-dersi ad aprire la porta e farlo entrare. Custodiva la persona affidata allesue cure con la ferocia materna di una leonessa, e non pensava che Colinavesse una buona influenza su padre Godwin. Colin entrò nell'ingresso e aspettò che Frau Keppler gli sprangasse laporta alle spalle. Si richiuse col suono dell'uscio di una camera blindata; suentrambi i lati era coperta da spesse lastre di acciaio per difendere padreGodwin dai nemici che si era fatto nel corso di una lunga e turbolenta esi-stenza. Il giovane con un completo scuro e il colletto da pastore anglicano - e-lemento fisso della casa come la stessa Frau Keppler - guardò Colin con isuoi occhi chiari e inespressivi finché, quando fu soddisfatto, rientrò nellastanza da cui era venuto e si chiuse la porta alle spalle. Colin si era recatospesso in quella casa. L'identità dell'uomo all'ingresso cambiava di fre-quente, ma Colin non aveva mai scambiato una parola con nessuno di loro.Non ne aveva mai sentito parlare uno. Frau Keppler accompagnò Colin all'elaborato ascensore alla fine del cor-ridoio e ne chiuse gli sportelli di bronzo rientranti. La piccola gabbia salìlentamente per quattro piani, avvicinandosi agli angeli, e si fermò in cima.La perpetua aprì le porte e uscì. «Non lo farà stancare?» «Non sarei venuto, Inge, se non si trattasse di una cosa urgente. Lo sa

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anche lei.» Sospirò e si diede per vinta. «È nel solarium», rivelò. Quello che una volta era stato un patio aperto all'ultimo piano dell'edifi-cio era stato chiuso con vetrate triple. Anche in quel gelido giorno di di-cembre la stanza era immersa in un caldo tropicale, e la pallida luce in-vernale assumeva un alone dorato attraversando gli scaffali e i tavoli co-perti di piante. Colin riusciva quasi a percepire il palpito della vita vegetalein quel luogo. «Mi procura un tale piacere vedere le piante crescere. È rassicurante cu-rarle dalla talea alla fioritura, ognuna sempre uguale, secondo la proprianatura; ogni fiore che produce altre piante in tutto simili...» «Ciao, Adalhard», disse Colin. L'anziano sacerdote si alzò lentamente - Colin si guardò bene dall'aiutar-lo - e si voltò, pulendosi le mani sporche di terra sul grembiule. La pelleaveva la trasparenza di porcellana tipica della vecchiaia, e i folti capellibianchi erano ancora tagliati a spazzola, in stile militare. «Ah. Sono brutte notizie quando vieni a trovarmi, mio uccello del ma-laugurio. Quale dei miei angeli caduti ti preoccupa?» «Non sono neppure sicuro...» cominciò Colin. «Zitto.» Padre Godwin alzò un dito minaccioso. «Non facciamo po-lemiche. Sappiamo entrambi perché sei venuto. Ma ti darò qualche minutoper raccogliere le forze. I giovani della tua età sono senza energia», ag-giunse con una strizzatina d'occhi. Andò al citofono e premette un bottone. «Sherry e biscotti nel solarium,per favore, signorina Keppler», disse, e tornò a occuparsi del suo ospite. «Comincia a diventare imbarazzante. Non so più come chiamare la miacara perpetua di questi tempi. Devo continuare a chiamarla \"signorina\" ousare l'universale \"signora\" tanto in voga adesso? È un problema più gran-de di me, naturalmente, e non verrà risolto mentre sono in vita, ma ancorauna volta alla Santa Madre Chiesa viene chiesto perché le donne non pos-sono amministrare i sacramenti.» Si lasciò cadere su una sedia con un so-spiro. «E ovviamente non abbiamo una risposta valida, dal momento chedobbiamo limitarci al campo di ciò che è strettamente razionale.» PadreGodwin sbuffò con aria ironica. «Se siamo tutti esseri razionali in un mon-do materialistico, che bisogno avrebbero gli uomini della Chiesa, o Lei diloro?» chiese. «O il Signore di noi?» Per diciotto anni padre Godwin era stato un esorcista, uno dei dodici al

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massimo in tutto il mondo a cui il Papa aveva dato il permesso di eseguireil Rituale dell'Esorcismo per la Chiesa Cattolica. Le richieste d'aiuto gli e-rano piovute da ogni parte del globo. Se il caso soddisfaceva i severi cano-ni stabiliti dal Vaticano per giustificare un intervento, padre Godwin si in-terponeva tra l'anima tormentata e le forze più oscure dell'inferno. Un esorcismo poteva richiedere mesi, o perfino anni, per essere portato atermine, e il lavoro distruggeva rapidamente i suoi strumenti, togliendo lo-ro la salute, la forza e la sanità mentale. Alla fine i superiori gli avevanoproibito di continuare, ma anche in pensione aveva trovato il modo di con-tinuare a combattere. «Gli uomini hanno sempre bisogno della Luce», osservò Colin. Padre Godwin annuì. «Soprattutto quando meno se lo aspettano. Ah, si-gnorina Keppler. Eccola qui con qualcosa per tentare il nostro palato.» «Il dottore dice che non dovrebbe bere», dichiarò Frau Keppler mentrespolverava con una pezza di lino il tavolo e vi appoggiava sopra delicata-mente il vassoio. Lavorando metodicamente, tolse dal vassoio una broccapiena di un liquido rosso rubino, due bicchieri e un piatto di biscotti cheprofumavano come se fossero appena usciti dal forno. «Quando il dottore sarà arrivato alla mia età avanzata», ribatté padreGodwin con spirito, «sarò felice di ascoltare i suoi suggerimenti. Fino adallora, dobbiamo presumere che quello che ho mangiato e bevuto negli ul-timi novantacinque anni non mi ucciderà a novantasei.» Frau Keppler arricciò il naso brontolando. «Vada, adesso», la congedò padre Godwin agitando un tovagliolo di linonella sua direzione come per scacciare un corvo ostinato. «E dica a Donaldche sorriderebbe di più se di tanto in tanto bevesse un bicchiere di vino.» Frau Keppler se ne andò. «Non dovrei prendere in giro né lei, né quel giovane terribilmente serioche è venuto a imparare tutto quello che ho da insegnargli prima di percor-rere da solo queste strade buie. Dovrò chiedere perdono al Signore quandoGli parlo stasera.» «Sono sicuro che lo fai per il loro bene», commentò mitemente Colin,riempiendo i due bicchierini di sherry e allungandone uno a padre Godwin. «Ah, sì... la sicurezza. Uno dei sentieri più certi per la dannazione»,commentò Godwin a bassa voce. «Nessun uomo può sapere con certezzacos'è meglio per un altro, eppure Dio ci ha chiamati a essere i pastori delSuo popolo e scegliere una strada per lui...» Tacque e rimase in silenzio per qualche minuto, senza toccare lo sherry.

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Colin era sul punto di richiamare la sua attenzione quando padre Godwinsi riscosse e sollevò il bicchiere. «Una delle punizioni legate a una lunga vita, Colin. Tanti ricordi... e untale carico di esperienza che ogni scelta diventa un dilemma. Ma non seivenuto qui per ascoltare una conferenza sugli orrori dell'invecchiamento.Sei venuto per un prete corrotto, véro?» Padre Godwin usava ancora il vecchio termine per indicare un membrolaicizzato della Chiesa Cattolica Romana. Molti di coloro che abban-donavano il sacerdozio lasciavano anche la Chiesa, ma padre Godwin nonperdeva mai la speranza di riportarli all'ovile. Aveva fatto di quegli uominila sua professione da quando era andato in pensione, e li seguiva tenera-mente come una chioccia fa con i suoi pulcini, anche se alcuni dei suoiprotetti avrebbero maledetto il suo nome se avessero saputo del suo inte-ressamento. «Sì. Un certo padre Walter Mansell», rispose Colin. «Speravo che mipotessi dare qualche informazione su di lui. Il suo nome è emerso in cir-costanze... piuttosto strane.» Padre Godwin ridacchiò brevemente. «Dovresti smettere di addolcirmila medicina, Colin. Walter è un adoratore di Satana. È stato scomunicatoper quello, oltre che laicizzato. Anche dopo il Concilio Vaticano Secondo,la Chiesa ha mantenuto alcuni punti fissi, anche se poi scende a sciocchicompromessi. Prego per lui ogni sera, povera cara anima tormentata.» Nonc'era alcuna ironia nelle parole di padre Godwin. «Che possa trovare la Luce», confermò Colin con voce pacata. Il vecchio sacerdote si ricompose con un sospiro. «Ma non saresti ve-nuto per rinfacciarmi i miei fallimenti. Ero il suo consigliere prima che la-sciasse il sacerdozio, lo sapevi? È stato alcuni anni dopo che sono andatoin pensione, ma il vescovo mi ha gentilmente concesso di continuare a oc-cuparmene. Penso che Sua Grazia e io sospettassimo entrambi la direzioneche avrebbe imboccato la curiosità di Walter. E quindi si è reso ne-cessario... fare quello che abbiamo fatto.» «La Chiesa ha scomunicato Walter Mansell per eresia?» «L'eresia catara, per essere precisi; un'eresia antica e pericolosa, ma cheha ancora qualcosa da dire. Ovviamente saprai di cosa si tratta. Affermache Satana è pari a Dio, ed è il supremo padrone del Piano Materiale.»Godwin sospirò, come se si sentisse improvvisamente stanco. «Adessodimmi perché ti interessi a lui.» «Un mio amico è morto», cominciò Colin. «Ha parlato di Mansell di-

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cendo che era coinvolto nell'Ordine Nero su cui il mio amico stava com-piendo ricerche. Non so se è vero - e neanche se si tratta dello stesso grup-po che, da quello che so, ha ucciso tre persone nel corso dell'ultimo anno -ma so che voglio parlargli.» Padre Godwin scosse il capo tristemente. «Oh, Walter, ti avevo av-vertito. E invece sembra che ti abbia gettato direttamente tra le loro brac-cia.» «Non puoi assumertene la colpa», obiettò Colin. Padre Godwin lo ful-minò con lo sguardo, e gli occhi marroni normalmente miti si infiam-marono. «Sì che posso, caro il mio ragazzo! Sarebbe stato meglio che Walter mo-risse piuttosto che diventare uno strumento del Nemico. Nelle notti in cuinon riesco a dormire, mi chiedo se la legge non mi fornisca un rifugiotroppo comodo. Sapendo quello che sarebbe diventato dopo averci lascia-to, avrei fatto meglio a ucciderlo io stesso.» Colin non era cattolico, ma per molti aspetti la Luce che serviva e laChiesa Romana avevano opinioni simili. «Può ancora pentirsi», osservòautomaticamente Colin. «Finché c'è vita, c'è speranza.» «Ah, sì, un'eccellente obiezione, professore. Orgoglio e disperazione in-sieme in un'unica allettante colpa spirituale. Ma in certi momenti è difficilestare a guardare mentre si produce il Male. È una magra consolazione sa-pere che si evita un Male peggiore se non si interviene.» «È la lezione più dura», si dichiarò d'accordo Colin. I due uomini ri-masero per un minuto in silenzio. «Ma tu vuoi parlare con Walter», riprese con decisione padre Godwin.«Vive a Brooklyn adesso, credo. Suoneresti giù alla signorina Keppler?Lei saprà quale Libro Nero mi serve.» La signorina Keppler portò il quaderno rapidamente... e fissò su Colinuno sguardo significativo e poco amichevole. Colin alzò una mano per farecapire che avrebbe messo fine alla visita il più presto possibile. Padre Go-dwin poteva avere la vitalità di un uomo con vent'anni di meno, ma eracomunque molto anziano. Il Libro Nero era il registro in cui il sacerdote aggiornava la situazionedei suoi angeli caduti, come li chiamava. Le pagine erano vergate con un'e-legante calligrafia, e il colore dell'inchiostro mostrava che le annotazionierano state fatte nel corso di molti anni. Voltò le pagine rapidamente, chia-ramente sicuro di ciò che stava cercando.

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«Eccoci qui. Walter Mansell. Vive a Flatbush. Se hai una matita, Colin,ti do l'indirizzo.» Colin tornò a casa, dove con l'aiuto di una piantina individuò la colloca-zione precisa della casa di Mansell e si fece un'idea dei dintorni. Stavaprogettando di torcere la coda alla tigre, e un piano del genere non potevaprevedere delle sorprese. Quando fu certo di dove stava andando, passò dalGarage Cornby's a prendere il suo mezzo di trasporto. La Bête Noire era morta due anni prima, alla fine di una lunga vita diservizio fedele. Colin aveva esitato, incerto sull'acquisto di un veicolonuovo, ma tutti i modelli più recenti sembravano troppo sportivi e lucci-canti per lui; del resto, non riusciva a immaginarsi nel minuscolo sedile diun'auto di importazione. Era sceso a un compromesso - molto più prossimo a una rinuncia, se-condo Claire - e aveva acquistato un anonimo furgoncino Ford di secondamano. Era dipinto di verde e aveva delle ammaccature, ma era abbastanzaspazioso per le lunghe gambe di Colin. Un veicolo del genere aveva poi al-tri vantaggi, tra cui la capacità del bagagliaio. Alle sei era sul FDR Drive, diretto a sud verso il ponte di Brooklyn. Ocean Parkway attraversava completamente Brooklyn nella sua corsaverso Coney Island. Lungo entrambi i lati del viale alberato c'erano case diarenaria marrone e i classici condomini di mattoni rossi a forma di C. Ge-nerazioni di immigranti provenienti da ogni parte d'Europa erano venuti aBrooklyn, lasciando la loro eredità nei nomignoli che andavano da LittleSicily a Little Odessa. Un tempo Brooklyn aveva ospitato un migliaio diquartieri distinti, da Park Slope a Borough Park e oltre. Flatbush era una zona di case e appartamenti della classe media agiata.Anche se un tempo era stato un quartiere esclusivamente ebreo, la sua po-polazione stava cambiando per l'arrivo di nuovi abitanti. Non era più cosìfacile oggigiorno indovinare la religione di una persona semplicementedall'indirizzo. Ed eccone un esempio significativo. Colin parcheggiò all'estremità della strada di Mansell. C'era una sina-goga su un lato e una yeshivà sull'altro, ma erano entrambe buie a quell'oratarda, e di mercoledì sera il traffico non era mai molto intenso. Colin infilòil furgoncino verde nell'ultimo parcheggio libero della strada: qualcunodoveva essersene appena andato, perché si intravedeva ancora la sagomascura di un'auto in doppia fila a metà via. Si trattava di una berlina nera.

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Colin non pensava che avrebbe dovuto mentire a Mansell: la verità nudae cruda avrebbe dovuto risultargli abbastanza scioccante da indurlo a col-laborare con Colin fornendogli le informazioni che cercava. Scese dal veicolo. Era una notte chiara e limpida, e l'aria era già incre-dibilmente fredda; quando respirava produceva dense nuvolette nell'ariaserale. Colin si guardò attorno diffidente, ma la strada era vuota, e si av-vicinò all'entrata dell'appartamento di Mansell, ripassando mentalmente ildiscorso che gli avrebbe fatto. Se Mansell faceva davvero parte della congrega nera che aveva uccisoSandra Jacquet, l'investigatore affidato al caso l'avrebbe sicuramente con-vocato per interrogarlo. E se l'esperienza precedente gli insegnava qualco-sa, questo avrebbe portato allo scoperto l'intero gruppo, permettendo così aColin di neutralizzarlo prima che potesse nuocere ancora. Questo non avrebbe risolto, tuttavia, il problema di Toller Hasloch... Colin si fermò quando la porta dell'appartamento si aprì. La berlina par-cheggiata in doppia fila - una Mercedes - appariva in attesa. Questo sugge-rì a Colin che potesse trattarsi di un medico in visita a un paziente, anchese molti dottori avevano smesso di visitare a domicilio ormai da anni. La maggior parte degli appartamenti newyorkesi erano costruiti con unsistema a «bolla d'aria» come parte dell'ingresso: c'erano due porte, una e-sterna e una interna, che garantivano sicurezza e isolamento. I problemi dispazio che caratterizzavano ogni aspetto della vita urbana avevano ridottol'intervallo tra i due usci fino a renderlo minimo, tanto che i visitatori eranocostretti a procedere all'indietro per uscire dalla porta esterna. L'uomo sui gradini si trovava proprio in quella situazione. All'inizio Co-lin riuscì a vedere solo la luce del lampione che gli cadeva sul cappotto dicachemire nero e sulla testa di capelli biondo chiari. Poi si voltò per scen-dere i tre gradini che l'avrebbero portato alla Mercedes in doppia fila. Lo shock del riconoscimento fu come un urlo nella notte silenziosa, main un certo senso non fu sorprendente come avrebbe dovuto. Era come seColin fosse un attore che seguiva un copione letto molto tempo prima, e aun altro livello sapesse già cosa sarebbe successo e chi avrebbe dovuto in-contrare lì. In effetti, per certi versi era nato, era arrivato fin lì solo per incontrarequell'uomo. L'individuo biondo si fermò un attimo prima di attraversare il marcia-piede per salire in macchina e si voltò verso Colin. Colin non riusciva avedergli gli occhi, ma sapeva di che colore erano: un grigio così chiaro che

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sembravano quasi incolori, freddi e avidi come il mare d'inverno. «Ma pensa un po', è il caro vecchio professor MacLaren», disse alle-gramente Toller Hasloch. «Che privilegio inatteso rivederti.» Gli anni dai ventitré ai trentaquattro erano stati magnanimi con Hasloch.I capelli, anche se gli sfioravano le spalle secondo i dettami dell'ultimamoda, non erano una massa ribelle ma tradivano una costosa seduta dalparrucchiere. Sotto il cappotto nero aperto si intravedeva un completo ges-sato a doppiopetto con mostre appariscenti; il fazzoletto da taschino di setae la larga cravatta erano decorate con una fantasia di Peter Max e i panta-loni a zampa d'elefante dagli ampi risvolti poggiavano su stivali luccicanticon i tacchi alti. «Non lo chiamerei un privilegio nella tua posizione», obiettò Colin. «Pe-rò, immagino che ognuno abbia i suoi gusti. Le cose ti vanno bene, no?Vedo che ti sei venduto alla classe dirigente.» Hasloch sorrise, un'espressione fredda e falsa proprio come lui. «Professor MacLaren, non ho mai avuto intenzione di oppormi al si-stema. Ho sempre voluto corromperlo e metterlo al servizio del Reich e-terno. È incredibilmente semplice una volta che cominci, ho scoperto.» «Sembra essere un lavoro a tempo pieno», commentò Colin con calma.«Immagino che non dovrei rubarti altro tempo.» «Ci incontreremo di nuovo», promise Hasloch. Si voltò per andarsene,poi si fermò. «Forse dovrei essere allusivo e indiretto, come tutti i cattividei film, e chiederti se hai letto qualche buon libro di recente, ma mi sem-bri così poco adatto per il ruolo di James Bond che non riesco neppure io asostenere la mia parte. Dovrei dirti, però, che se cerchi Walter è uscito.Passa pure un altro giorno, comunque.» È al corrente del manoscritto. Ti sta gettando l'amo. Non reagire, si dis-se Colin. «Sì», rispose Hasloch, come se Colin avesse parlato. «Sono dentro finoal collo in questo affare di Cannon. Walter è uno dei miei. Ognuno di queipatetici reazionari anticlericali è uno dei miei, e non c'è nulla che tu, con ituoi preziosi scrupoli della Luce Bianca, possa fare. «È piuttosto divertente. Pensano di essere dei ribelli, ma stanno ancoracelebrando la Grande Menzogna della Chiesa Romana ispirata dagli ebrei,anche nelle loro bestemmie triviali.» «Mi chiedo come fai a sopportarli», intervenne Colin con aria di commi-serazione. Hasloch gettò il capo all'indietro e scoppiò a ridere.

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«Perché c'è dell'energia in loro, mio caro frate! Ovunque ci sia paura ododio c'è una forza che nutre la Corrente Eterna. Ma non umiliarmi conside-randomi un semplice e insignificante adoratore di Satana: è solo una dellemie maschere, una distrazione finché il tempo delle maschere non sarà fi-nito. E tu, continua pure la tua penosa e inutile crociata», lo incoraggiòamabilmente Hasloch. «Ti sei messo tanti di quegli ostacoli sul tuo percor-so che non ce la farai mai.» In una cosa, pensò tra sé Colin cupamente, Hasloch non era cambiato.Parlava troppo, anche se in un certo senso aveva ragione: le azioni che Co-lin poteva compiere rimanendo nell'ambito della Luce erano molto più li-mitate di quelle a disposizione delle Tenebre. Diventare insofferenti diquei limiti, usare i metodi del Serpente significava cadere tra le Ombre ediventare il loro strumento, che lo si volesse o no. «E passa un buon Natale, professore.» Hasloch gli voltò le spalle e salìin macchina. Colin guardò l'auto finché non scomparve, e salì gli scalini per suonare ilcampanello di Mansell. Non ottenne risposta, come si era aspettato. L'in-contro che l'aveva attirato a Brooklyn era quello con Hasloch, non conMansell. Gli era stata lanciata una sfida... a cui aveva risposto. Le possibilità di vittoria sembravano esigue, la lotta impossibile da vin-cere, ma per tutta la vita Colin aveva combattuto una guerra del genere. Ilprimo successo doveva essere quello sull'Io, che gli avrebbe dato gli stru-menti per ciò che lo aspettava. Era una battaglia che andava continuamentericombattuta, ma ogni volta che riusciva a sconfiggere la propria impa-zienza e disperazione, qualcosa di più grande di lui conseguiva una vitto-ria, e Colin diventava più forte. Era già successo in passato, e sarebbe accaduto ancora. Colin tornò lentamente al furgoncino. Il primo stratagemma era fallito;ormai non aveva più senso contattare Mansell. Avrebbe provato con un'al-tra tattica. Assorbito dai suoi pensieri - una giornata come quella, in cui aveva vistoAlan Daggonet, padre Godwin e Toller Hasloch andava considerata ecce-zionalmente piena - Colin si dimenticò quasi che gli restava una cosa dafare. «Claire? Sono Colin. Scusa, so che è tardi, ma sono appena tornato. Seiriuscita a individuare quella tua intuizione? No? Be', c'è l'ambulatorio diun medico su Park verso l'Ottantesima Strada a cui dovresti dare un'oc-chiata. Forse hanno bisogno di un'infermiera supplente...»

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Venerdì 23 dicembre era freddo e limpido. La destinazione di Colin eraPolke Plaza, dove il tenente Martin Becket e la Squadra per i crimini del-l'occulto avevano un piccolo ufficio infilato in un angolo del vasto labi-rinto del quartier generale della polizia. L'edificio si trovava vicino al municipio in quello che era stato, quasi unsecolo prima, il cuore di Manhattan. Con il passare degli anni la città si eraestesa, e il centro si era spostato nei quartieri eleganti della metropoli con igrattacieli che fiancheggiavano Madison, la Quinta e la Sesta Avenue, igrandi spazi pubblici come il Rockefeller Center che era stato creato a unacinquantina di isolati più a nord. Il vecchio centro - con quei canyon dicemento che rimanevano all'ombra anche nelle giornate più soleggiate -era stato lasciato ai maghi di Wall Street e a diversi uffici municipali, co-me quello che i suoi occupanti chiamavano, in modo più o meno affettuo-so, il Puzzle Palace. Una poliziotta in divisa accompagnò Colin alla porta di Becket e tam-burellò con le dita sul vetro. Becket alzò lo sguardo, fece cenno a Colin dientrare e la donna se ne andò. Colin aprì la porta ed entrò. Il tenente investigativo Martin Becket, come la maggior parte dei suoicolleghi, era un uomo sedentario di mezza età con un'incipiente calvizie eil vizio di fumare una sigaretta dopo l'altra, che di tanto in tanto cercava diperdere. Aveva una moglie, tre figli e una casa nel Queens. Solo la calibro38 nella fondina nera sotto l'ascella - ben visibile, dal momento che lagiacca sportiva scozzese blu era appesa all'attaccapanni - e il distintivo do-rato appeso alla cintura lo distinguevano da migliaia di altri impiegati in unmigliaio di casermoni zeppi di uffici in tutta Manhattan. «Buon Natale, Colin! Hai fatto bene a passare», disse, indicandogli unasedia. «Immagino sia troppo sperare che sia venuto per risolvere il mio ca-so, eh?» «Mi dispiace», rispose Colin mentre spostava un mucchio di rapportidalla sedia per prendere posto. Becket accese un'altra Camel e offrì a Colin il pacchetto. Colin rifiutò;era riuscito a ridurre il suo consumo di tabacco a una pipa di tanto in tanto,e di recente aveva cominciato a pensare che era il caso di rinunciare anchea quella. «Be', non sarai certo venuto perché non avevi niente di meglio da fare»,indagò Becket. «Non posso continuare a nascondere la faccenda Jacquet a

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lungo, anche se le festività aiutano, e se l'ufficio del medico legale lasciatrapelare qualche dettaglio alla stampa è meglio che mi tenga pronto con latesta del colpevole su un vassoio, altrimenti l'ufficio del sindaco farà salta-re la mia.» La Squadra per i crimini dell'occulto era solo una piccola parte del suocarico di lavoro. L'unità serviva principalmente per divulgare informazionie sviluppare le risorse, e la possibilità di pubblicità negativa l'induceva amantenere un profilo basso. L'omicidio di Sandra Jacquet, tuttavia, ri-schiava di svelarne l'esistenza al pubblico una volta per tutte, e Becket eragiustamente preoccupato per le ripercussioni. «Allora ti dirò che ho una buona e una cattiva notizia per te, Marty», an-nunciò Colin. «La buona è che ho un'idea di chi l'ha uccisa: si tratta di ungruppo, e ho nome e indirizzo di uno di loro. La cattiva è che non ho unostraccio di prova. Una delle persone che avrebbero potuto confermare ilcoinvolgimento del gruppo nell'omicidio è morta due giorni fa, ufficial-mente per cause naturali, e non penso che Lucille Thibodeaux te-stimonierà.» «Non penso neanch'io», confermò Becket con sarcasmo. «L'hanno ripe-scata nel fiume questa mattina: suicidio, dice il Coroner. Avevo segnalatola sua scheda, per questo mi hanno chiamato.» «Poveretta», commentò Colin sottovoce. «Hai detto di avere un nome per me?» chiese Becket. «Walter Mansell, attualmente residente a Flatbush. È sull'elenco te-lefonico, ma ti posso dare io l'indirizzo. È un prete cattolico spretato. Hocontrollato con un mio amico alla diocesi: è stato anche scomunicato pereresia.» «Sembra un cittadino modello, da quello che mi hai detto finora. Nonsono molti a finire scomunicati di questi tempi», commentò Becket. «Equal è il suo rapporto con la Jacquet?» «Jock Cannon mi ha fatto il suo nome durante una telefonata la notteprima di morire», spiegò Colin. «Secondo Lucille, è stata piuttosto prodigadi particolari quando Cannon l'ha intervistata, e gli ha fornito i nomi cheSandra le aveva riferito. Cannon ha detto che Mansell aveva cercato di re-clutarlo per il gruppo quando è entrato in contatto con loro.» «Allora la Thibodeaux - che è morta - ha fatto il nome di Mansell aCannon, che è morto anche lui. Interessante», osservò Becket con un so-spiro, «ma con questi elementi non possiamo neppure sognarci di andaredal procuratore distrettuale. Però è sempre bello farsi nuovi amici. Terrò

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gli occhi aperti per il nostro amico Walter.» «Già che apri dei nuovi dossier, prova anche questa pista: prima di mori-re, Cannon ha consegnato il libro appena finito sul satanismo a New Yorkal suo editore, Jamie Melford della Blackcock Books. Quando ho parlato aCannon, mi ha fatto capire che riceveva minacce e veniva sottoposto apressioni perché rinunciasse a pubblicare il libro. Qualcuno ha fatto irru-zione nell'ufficio di Melferd e vi ha compiuto atti di vandalismo dopo lamorte di Cannon, e la sua copia del manoscritto è stata rubata. Sembra cheMelford stia cominciando a subire lo stesso trattamento di Cannon.» «Ha sporto denuncia?» chiese Becket, improvvisamente più interessato. «Ha detto che la polizia è stata informata dell'irruzione. Dubito che sap-pia qualcosa di Mansell, a meno che Cannon non abbia citato il suo nomenel libro.» Ma in quel caso Cannon sapeva che rischiava di essere denun-ciato per diffamazione, e un vecchio professionista come lui era troppocauto per commettere un errore del genere. A meno che, naturalmente, non avesse svelato dei nomi come una formadi assicurazione, prevedendo di cancellarli solo all'ultimo momento. «Spero mi dirai che sei rimasto alla larga da Mansell», indagò Becket,accendendosi un'altra Camel con il mozzicone della precedente. «Non gli ho parlato», ammise Colin sinceramente. Pensò a Toller Ha-sloch ma non disse nulla. Non aveva prove, a parte la parola di Haslochstesso, del suo coinvolgimento con gli adoratori di Satana... e avrebbe do-vuto essere davvero uno sprovveduto per credere a una sola parola di Ha-sloch, anche se gli parlava solo del sorgere del sole. «Be', è comunque un inizio. Compierò una ricerca su Mansell negli ar-chivi e vedrò cosa salta fuori. Se ha dei precedenti - anche solo per averbuttato immondizia in strada - possiamo andarlo a prendere e vedere seriusciamo a ottenere informazioni. Sarebbe bello se avessimo il contenutodell'appartamento della Jacquet su cui lavorare, ma qualcuno gli ha appic-cato fuoco la notte della sua scomparsa. Incendio doloso.» Colin sospirò alzandosi. «Mi dispiace di non poterti aiutare di più.» «Be'», concluse Becket, «almeno adesso sappiamo che tutti questi indi-vidui sono coinvolti. Se c'è in giro un gruppo di pazzoidi che giocano allestreghe, è utile sapere che si conoscono tutti tra di loro.» CAPITOLO 13 New York, 24 dicembre 1972

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Devo loro, in momenti di stanchezza, dolci sensazioni, avvertite nel sangue e insieme nel cuore, che si sono trasmesse anche alla mia mente più pura permettendole di ristabilirsi tranquillamente. William Wordsworth Claire Moffat sedeva alla scrivania della reception nell'ambulatorio delladottoressa Marian Clinton; era linda ed elegante come il giorno in cui siera diplomata alla scuola per infermiere, il che era avvenuto un buon nu-mero di anni addietro, più di quelli che una donna ami ricordare. Si facevavento pigramente con una cartellina vuota; Marian Clinton teneva l'ambu-latorio fastidiosamente caldo, anche se Claire immaginava che le donneobbligate a spogliarsi per farsi visitare le fossero grate per quel tepore. Peccato che nessuna di loro fosse presente quel giorno per apprezzarlo:la dottoressa Clinton era stata costretta ad annullare i suoi appuntamentidel mattino quando una delle sue pazienti aveva cominciato il travaglio piùpresto del previsto, e Claire era quindi rimasta sola. Dedicò un pensierocompassionevole al nuovo venuto, il cui compleanno cadeva proprio la vi-gilia di Natale. Oh, be', c'erano sventure peggiori che nascere felici, sani edesiderati. Cercò di non chiedersi cosa stesse facendo lì. A un'indagine superficialela ragione appariva semplice: l'agenzia di lavoro temporaneo a cui era i-scritta l'aveva mandata lì quando Claire l'aveva chiamata il giorno primaper dare la sua disponibilità. A un altro livello, si trovava in quel luogoperché Colin l'aveva chiamata la sera prima e le aveva chiesto di trovareun modo per recarsi a quell'indirizzo. Certe volte essere infermiere diplo-mate risultava estremamente pratico: era quasi come un passaporto chepermetteva di accedere ai luoghi più impensati in breve tempo. E al livello più profondo, era lì perché per anni era stata lo strumento diuna Forza presente su tutto il globo e le aveva obbedito senza fare do-mande. Non sapeva cosa accadeva a coloro con cui entrava in contatto, néperché era attratta da loro e non dalle altre persone che ogni giorno eranoafflitte dalle sofferenze. Non riusciva a credere che qualcuno meritasse ilsuo aiuto più di altri. Nell'opinione di Claire, tutti quelli che soffrivano e-rano parimenti degni di aiuto, e il motivo per cui alcuni lo ricevevano e al-tri no l'aveva tormentata da quando aveva affidato il suo cuore a quellamissione.

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Perché Peter era morto e il suo assassino continuava a vivere in pri-gione? Perché il suo Dono non le aveva permesso di salvare l'uomo cheaveva amato tanto profondamente? A quale scopo mirava il suo Dono? Non c'era risposta, né lei del resto se ne aspettava una, ma Claire era fi-glia della sua generazione, e non poteva quindi pensare che la sottomis-sione cieca e l'accettazione incondizionata fossero virtù. Forse i suoi dubbinon sarebbero mai stati soddisfatti, ma certo non si sarebbe sentita colpe-vole per il fatto di averli espressi. E anche se era stato Colin a indirizzarla lì, Claire aveva la strana sen-sazione che sarebbe stata attratta in quel luogo comunque. Era il primo pomeriggio. La dottoressa Clinton era tornata dall'ospedalee Claire aveva appena fatto entrare la paziente delle tredici nel suo studio,quando udì quello che sembrava un pianto disperato sul pianerottolo fuoridell'ambulatorio. Era già diretta alla porta quando comprese che il suonoda lei udito così distintamente non era percepibile da nessun altro. Aprì l'uscio e vide una donna magra, appena più bassa di lei, in corri-doio, dove esitava tra la porta dell'ambulatorio e quella di AlexanderWynitch che si trovava di fronte. I capelli scuri della donna erano corti ecoperti da un berretto scozzese spruzzato di neve. Indossava un giacconeda marinaio blu appena un po' più corto della gonna e un paio di stivali dipelle marrone, e sotto lo sguardo di Claire fece un passo esitante verso laporta del dottor Wynitch. Claire arricciò il naso: Wynitch era uno degli pseudo-professionisti cheinfestavano il settore della psicologia, e lei era pronta a scommettere che idiplomi in suo possesso provenissero al massimo da un sacchetto di patati-ne. «Stava cercando l'ambulatorio della dottoressa Clinton?» chiese Clairesperanzosa. La donna si voltò di scatto e fissò Claire con un'espressione sconvoltadipinta in viso; Claire provò per lei un'ondata di simpatia istintiva. Non sa-peva se era quella la persona che si trovava lì per aiutare, ma certamentequella persona aveva bisogno del suo aiuto. Parlandole con dolcezza, la convinse a entrare nella sala d'attesa delladottoressa Clinton e a bere un bicchiere d'acqua. Le ci volle tutto l'auto-controllo che possedeva per non reagire quando si presentò come BarbaraMelford. Colin mi ha detto che l'editore di Cannon si chiama Jamie Melford! Nonpuò trattarsi di una coincidenza!

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Le coincidenze, infatti, non esistevano: Colin gliel'aveva ripetuto spesso.Quello era il suo credo: nessuna coincidenza, solo uno Schema troppo va-sto per riuscire a discernerlo, la cui trama poteva essere fatta progredire orovinata dalla volontà umana. Dopo qualche insistenza da parte di Claire, Barbara Melford le raccontòuna storia confusa: litigava con la suocera, faceva cose che non era in gra-do di spiegare, aveva la sensazione di impazzire, e Claire avvertì una stret-ta al cuore. Si sentiva solidale con la donna, visto che c'era passata anchelei. La suocera di Barbara aveva insistito perché consultasse il dottorWynitch, e Claire era altrettanto determinata a impedirle di vederlo. Non voleva dire nulla che apparisse bizzarro: apparentemente, BarbaraMelford aveva già avuto la sua dose di stranezze. Non sapeva esattamentecosa le avesse detto, ma era riuscita a convincerla a farsi visitare dalla dot-toressa Clinton prima di prendere qualsiasi altra iniziativa. E poi, usando tutta la sua astuzia, aveva strappato a Barbara la promessadi andare con lei da Colin dopo la chiusura dell'ambulatorio. Era felice di averlo fatto quando Barbara uscì dallo studio della dottores-sa qualche minuto più tardi, con le gambe malferme e lo sguardo vitreo diun condannato a morte. La chiamò, ma Barbara non sembrò sentirla. Non insistere troppo. Un impulso invisibile la obbligò a restare sedutamentre la donna raccoglieva meccanicamente giaccone e cappello e uscivacome una sonnambula dallo studio. Dopo avercela messa tutta per ottenerequel posto, Claire non poteva semplicemente andarsene nel bel mezzo del-la giornata lavorativa. Ha acconsentito a incontrarmi davanti a Lord & Taylor alle tre: speroche se lo ricordi, pensò Claire ansiosamente. Ma l'esito della vicenda nondipendeva più da lei. Barbara si era ricordata, o almeno un angelo pietoso l'aveva portata al-l'appuntamento all'ora convenuta. Il marciapiede era brulicante di turistivenuti a vedere le famose vetrine di Natale di Lord & Taylor, ma Barbarastava immobile rivolta alla strada, e sembrava una bambina che si era per-sa. Con la fermezza appresa in anni di pratica, Claire prese in mano la si-tuazione e salì con Barbara Melford su un taxi. Lei rimase in silenzio du-rante il breve tragitto in auto, come se stesse raccogliendo le energie perl'ultimo sforzo che l'aspettava.

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Quando le due donne arrivarono all'appartamento di Colin, Claire scoprìche la situazione era proprio quella che immaginava. Barbara Melford erala moglie dell'editore di Cannon ed era a sua volta perseguitata perché fa-cesse pressione sul marito. Mentre Claire preparava il tè e tagliava la tortadi frutta portata lì solo pochi giorni prima, Barbara spiegò che tutto eracominciato quando Cannon aveva portato il manoscritto a Jamie, e raccon-tò che, secondo la dottoressa Clinton, era stata avvelenata con della segalecornuta, probabilmente da qualcuno di molto vicino a lei. Claire si sentì inorridita. Da quando era stata vittima di quella tazza dipunch alla festa di Toller Hasloch, il pensiero di qualcuno drogato controla sua volontà o a sua insaputa le risultava particolarmente odioso. Colin, grazie a Dio, riuscì perfino a distrarre Barbara con un pizzico difascino all'antica, anche se l'ipotesi che fosse vittima di una congrega nerada mesi - da anni, perfino - era profondamente inquietante. Ma questo significa che non possono avercela con lei solo perché è lamoglie di Jamie Melford, o invece sì? Possono averla presa di mira per unaltro motivo che non ha nulla a che fare con il manoscritto? Come poteva-no sapere in anticipo che sarebbe stato Melford a pubblicare il libro, oche Cannon progettava di scriverlo? In ogni caso è orribile, orribile! Que-sta poveretta... «Jamie!» esclamò Barbara con gli occhi fuori dalle orbite. «Possono faredel male a Jamie?» Claire si limitò a fissarla. Da quello che Colin le aveva detto la nottescorsa, il fatto che Jamie Melford fosse già nel mirino della congrega eracosì ovvio che quella di Barbara non poteva essere altro che una domandaretorica. Colin le indicò il telefono. Barbara afferrò il ricevitore come se fossestata un'ancora di salvezza, e le mani le tremarono mentre componeva ilnumero. Claire posò la tazza di tè e si alzò, pronta a intervenire per soc-correrla. Una crisi isterica non sarebbe servita a niente, ma difficilmente lepersone spaventate e in pericolo se ne rendevano conto. Ma Barbara Melford non divenne isterica. Quello che udì all'altro capodel filo l'indusse a lasciar cadere il ricevitore dalle dita improvvisamenteinerti e a restare immobile, stordita e pallida per lo shock. I tre raggiunsero l'appartamento dei Melford meno di venti minuti dopo,armati, pensò Claire tra sé, fino ai denti. Jamie Melford non c'era e - quel

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che era peggio - era chiaro che, ovunque si trovasse, era nelle mani dellacongrega nera. La malevolenza - no, la malvagità - che Claire sentiva trasudare dallepareti stesse riuscì quasi a sopraffarla. Era come se qualcosa di disgustosole venisse cacciato giù in gola e il suo stomaco si ribellò violentemente, la-sciandola nauseata e tremante. Ma le stanze vuote non contenevano nulla; nulla, a parte la prova che lamadre di Melford era un membro della setta e che lo era stata per anni. Che coincidenza spaventosa, se così si può chiamarla. Non c'è da mera-vigliarsi che prevedessero ogni nostra mossa, con una spia nella casa delmiglior amico di Cannon. E adesso stavano muovendo apertamente contro Jamie Melford, e néColin né Claire avevano la più pallida idea di dove si trovasse il loro Tem-pio. Erano quasi le otto di sera quando i tre lasciarono l'appartamento deiMelford nell'Upper West Side. L'unica possibilità che avevano di salvarela vita - e l'anima - di Jamie Melford era riposta nell'incostante Vista a di-stanza di Claire. Per fortuna l'uso di quel dono le era stato insegnato da Alison Margrave.Alison aveva lavorato pazientemente con lei per mesi sotto la supervisionedi Colin, e l'aveva portata a scoprire le tecniche che facevano scattare ilDono. Ogni medium era diverso, e usava oggetti vari che andavano dalfuoco all'acqua, da un mazzo di tarocchi a una carta astrologica per inne-scare i poteri di chiaroveggenza, ma la Vista era una delle discipline fon-damentali in cui tutti i sensitivi incappavano, prima o poi. Claire era stataaddestrata con uno dei metodi più antichi: quello del cristallo. La sfera lepesava nella tasca del cappotto mentre Colin guidava lungo East RiverDrive. Era la vigilia di Natale e il traffico era intenso. Ogni volta che il fur-goncino si fermava per un ingorgo Claire trasaliva, perché la tensione den-tro il veicolo aumentava bruscamente. Poteva quasi udire Colin digrignarei denti esasperato. Ma Jamie Melford non era morto: Claire si attaccava a quella certezzavacillante. Non poteva percepirlo chiaramente, e aveva un senso molto va-go del luogo dove si trovava, ma si aggrappò alla convinzione che fosse invita con la stessa disperazione di sua moglie. Non poteva sopportare dipensare che fosse piombato nella notte eterna, ma gli indizi rivelatile dalla

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Vista erano così confusi e scarsi: esplosioni, sirene d'allarme... Grazie a Martin Becket, erano riusciti a circoscrivere la ricerca alle solezone in cui erano in corso delle demolizioni quella sera; dovevano esserecasi di emergenza per costringere gli uomini a lavorare la vigilia di Natale,ma la banca che usava come slogan la frase «La città non dorme mai» ave-va certamente ragione: New York era una metropoli attiva ventiquattr'oreal giorno. Dapprima andarono sulla Seconda Avenue, nell'East Side. Persero qua-ranta minuti a controllare un settore composto di diversi isolati - inutil-mente - prima di dirigersi ancora una volta verso midtown. «Presto. Vi prego, fate presto», sussurrò Barbara Melford. Colin lasciò East River Drive per immettersi in Houston Street, e in po-chi minuti si persero nel dedalo delle strade del Greenwich Village. Quan-do udì il sordo scoppio delle detonazioni, Claire avvertì un'ondata di sol-lievo così forte da procurarle le vertigini. «Ecco le esplosioni», disse. «Adesso non ci resta che trovare la casermadei vigili del fuoco.» O la fonte delle sirene che ho sentito, qualunque essasia... «Da quella parte!» esclamò improvvisamente Barbara indicando a sini-stra. Colin la guardò con aria stupita ma seguì le sue indicazioni senzacommentare. Era una delle parti più vecchie di New York, e molte strade conserva-vano ancora la vecchia pavimentazione a ciottoli. Claire abbassò il fine-strino mentre il furgoncino percorreva lentamente le vie, sforzando ognisuo senso per trovare il nascondiglio della congrega. L'aria della notte erapungente, e carica dell'aroma di menta della neve. Respirò profondamente,cercando di scacciare la debolezza e la nausea che l'avevano assalita daquando era entrata nell'appartamento, ma ebbe l'impressione che una ma-rea di rifiuti liquidi si alzasse tutt'intorno a lei, e ondate di malessere sem-bravano rubarle l'ossigeno. Udì la voce lontana di Colin chiederle di prendere il volante. Sull'orlodell'incoscienza, Claire si lasciò scivolare sul sedile, ma il cambiamento diposizione sembrò solo peggiorare le cose. Era orribile, come annegare,come morire, mentre vedeva la debole e pura luce della vita e dell'aria al-lontanarsi da lei. Improvvisamente Colin le mise una mano sulla spalla e le parlò bru-scamente. Cercò di riprendersi, ma sentì che stava svenendo...

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«Barbara, puoi guidare tu?» Erano molti anni che non sentiva qualcosa di simile alla forza che li av-viluppava in quel momento: Colin comprendeva perfettamente come maiuna sensitiva perdesse i sensi dopo esservi stata esposta. C'era una partico-lare immediatezza nel Male che si manifestava grazie all'intervento umano,qualcosa di più spaventoso della semplice inumanità delle ombre. Tutti gliuomini nascevano con una scintilla di Luce, e la distruzione deliberata diquella parte di sé dava alle loro azioni una straordinaria ombra di orrore. Benedisse la previdenza di Claire che aveva riempito con una varietà diprodotti la valigetta del pronto soccorso preparata nell'appartamento di Co-lin, e la sua prudenza che l'aveva indotto a mettere nel retro del furgoncinola tunica rituale: avrebbero avuto bisogno dell'artiglieria pesante quella se-ra. Aprì lo sportello e scese dal veicolo, si portò sul retro e salì dal portelloposteriore. Barbara scavalcò Claire sulla panchetta anteriore e riuscì a parcheggiareil furgoncino in uno spazio vuoto lungo il marciapiede. Da una parte e dal-l'altra di Houston Street, i magazzini anonimi presentavano facciate identi-che e buie. Ognuno di essi poteva essere il nascondiglio che cercavano, e iltempo stringeva. Usando ogni cautela, impiegando una scatola di fiammiferi di legno chenon era mai stata utilizzata per nessun altro scopo, Colin accese due cande-le che erano state benedette da un sacerdote disposto a collaborare. Nonappena la fiamma di stabilizzò, il peso schiacciante del male intorno a lorosi sollevò leggermente in presenza della luce sacra. Diede una delle cande-le a Barbara e tenne l'altra per sé. Quando la fiamma benedetta la illuminò, Claire cominciò a riprendersi.Quando Colin finì di indossare la piastra pettorale tempestata di pietre pre-ziose e di sistemare le pieghe complicate del cappuccio, vide che Claire siera rimessa a sedere, piegata in avanti, e respirava profondamente. «Brava la mia ragazza», la incoraggiò Colin. Alzò il cappuccio della so-bria tunica esterna perché gli elaborati indumenti rituali sottostanti fosseronascosti e afferrò il lungo fagotto che si sarebbe rivelato la sua arma piùmicidiale quella sera. «Andiamo.» Colin si avviò lungo l'isolato, tenendo alta la fiamma benedetta, a mo' ditorcia. Intorno a lui l'aria vibrava di urla silenziose, e il vento ghiacciatoproveniente dal fiume Hudson gli tirava le vesti, rendendo pesante e sco-modo il fardello che portava. Era fastidiosamente consapevole del fatto che

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solo quelle due fiammelle stavano tra loro tre e l'abisso di oscurità in cuirischiavano di sprofondare. Anche se la forza evocata quella sera dallacongrega nera poteva non essere sufficiente a ucciderli, Colin aveva abba-stanza esperienza per sapere che c'erano molte cose peggiori della morte. Claire gli barcollava accanto come se fosse stata ubriaca, gemendo a o-gni respiro. Barbara li seguiva, e il nervosismo estremo la faceva balbettarein modo quasi comico. Teneva la candela vicina al corpo e la proteggevadal vento con la mano libera. «Zitta!» le ingiunse infine Colin. «Lasciala concentrare.» Barbara tacque lasciando una parola a metà, e Colin pensò un attimo alei con comprensione, ma non poteva permettersi di più, assediati com'era-no. «Questa», bisbigliò Claire, fermandosi davanti a una porta che sembravaidentica a tutte le altre che si aprivano sulla strada. «No... Non sono sicu-ra...» «No, è questa», intervenne Barbara con sicurezza, sembrando stupita dalfatto che nessuno dei due avesse capito quello che per lei era così evidente.Con il coraggio dettato dall'inesperienza si avvicinò a un uscio a pochi me-tri di distanza e afferrò la maniglia, ma la lasciò subito con un grido sor-preso. Si tolse il guanto, fissando la mano come se si aspettasse di vederequalcosa di orribile. «Dev'essere stata solo... la scossa. Ma la maniglia sembrava... bollente»,disse esterrefatta. Allora anche Barbara Melford è una sensitiva, pensò Colin. Quello spiegava gran parte della faccenda, compreso il motivo per cuiaveva lottato tanto tenacemente per molti anni per tenersi Jamie, anchequando tutte le forze dell'Inferno erano schierate contro di lei. Molte per-sone combattevano e morivano per la Luce senza neppure rendersi conto ditrovarsi in guerra; se non fosse stato per quell'incontro, Barbara Melfordsarebbe stata anche lei una di quelle. Colin promise che, se fossero soprav-vissuti a quella notte, Barbara non sarebbe più rimasta nell'ignoranza. «Sta' indietro, Barbara», le disse Colin dolcemente. Passò a Claire l'in-volto che portava. «Lascia che me ne occupi io. Tu pensa a lei.» SpinseClaire verso Barbara e si diresse alla porta. Non sentì nulla quando toccò la maniglia - per una volta benedisse il fat-to di non possedere il Dono - ma la porta non si aprì. Era chiusa a chiave. Aveva immaginato che sarebbe stato troppo bello trovarla aperta, e perquesto aveva portato con sé i passe-partout che possedeva e, fortuna-

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tamente, la serratura era vecchia e sembrava facilmente apribile. Trovò lachiave universale adatta proprio nel momento in cui le dita prive di guantigli diventavano completamente insensibili per il vento glaciale provenientedal fiume. Diede un calcio alla porta e riprese il cero da Claire. «In circostanze normali lascerei passare davanti le signore, ma penso chequesto sia un caso particolare.» Entrò nell'edificio lurido e udì Claire eBarbara affrettarsi dietro di lui. Al quarto piano l'odore di incenso e assafetida che filtrava da sotto laporta era l'unica prova di cui aveva bisogno. Quel fumo aveva un aromadolciastro che gli faceva girare la testa: l'incenso era mischiato ad hashish,come prescriveva il metodo rapido e pericoloso usato dai maghi che vole-vano aprire i chakra superiori. «Dammi quello», disse a Claire, prendendo l'involto dalle sue mani. Li-berò la spada dalle fodere protettive; il Sigillo di Salomone inciso sullebraccia di guardia sembrava splendere come il sole nella semioscurità delmagazzino squallido. Poi fece un passo indietro e sferrò un calcio alla porta. Buio liquido sembrò scivolare fuori come inchiostro che si diffonde nel-l'acqua. Colin udì Claire urlare di disgusto un attimo prima di correre inmezzo a quella foschia oscura. Jamie Melford era lì da qualche parte, edera loro prigioniero. Volesse il Signore che fosse ancora vivo... e sano dimente. Quando varcò la soglia, Colin vide che la congrega era riunita nell'altrastanza, in ginocchio davanti all'altare dove giaceva la sagoma nuda di Ja-mie Melford. L'ambiente era saturo di una nebbia umida e fredda che odo-rava delle erbe bruciate nel braciere, ma - stranamente - il fumo si fermavaal perimetro del cerchio disegnato con il carbone sul pavimento al centrodella stanza. Gli adoratori di Satana non si mossero. Le linee di forza erano visibilinel locale come se fossero state tracciate sul suolo e le pareti col gesso, el'energia della volontà sviluppata dalla congrega nera era solida e reale. Colin sudava e tremava come un uomo in preda alle febbri malariche,ma anche la sua volontà era incrollabile, così si costrinse ad andare avanti,verso la circonferenza. Sentiva le Tenebre e i poteri dell'Inferno riunirsi,evocati dal dolore, dalla disperazione e dalla paura, e sembrava che sa-gome oscure fatte di ombre scivolassero lentamente lungo il perimetro delcerchio, in attesa spasmodica del momento culminante del rito. L'arma nel-

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le sue mani vibrava come se fosse stava viva; solo una cieca deter-minazione gli permetteva di continuare a impugnarla. «In nome di Dio! In nome dei Signori del Karma e delle forze della Na-tura! In nome di Dio Padre, della Natura Madre e dei fratelli Uomini, di-sperdo le vostre forze!» Stringendo i denti, calò la spada lungo il bordo delcerchio, chiamando in aiuto le Forze in nome delle quali agiva. Quando la spada toccò terra vi fu un profondo boato silenzioso, e im-provvisamente le ombre scimmiesche che aleggiavano a mezz'aria si vol-sero contro Colin tutte insieme. I membri della congrega, risvegliati bru-scamente dalla trance, urlavano e si dibattevano come se fossero stati col-piti da una scarica elettrica, e improvvisamente l'attico silenzioso fu riem-pito di voci che farfugliavano. La cosa più importante è muoversi rapidamente una volta che hai deci-so. La voce del primo insegnante di Colin gli parlò pacatamente in un an-golo remoto della mente. Se aspetti di vedere che effetto hai avuto sulleTenebre, può darsi che sia l'ultima cosa che vedrai. Colin si avvicinò rapidamente ai corpi urlanti e boccheggianti che si agi-tavano sul pavimento e rovesciò l'altare composto di due cubi. Le candelenere che lo sormontavano - molli e deformi perché non erano fabbricatecon cera pura - rotolarono per terra lasciandovi una scia appiccicosa, e Co-lin fece una smorfia disgustata schiacciandole col piede. «Disprezzo l'impurità dell'Abisso. Disprezzo coloro che insudiciano ciòche Dio ha riservato all'uso dell'uomo!» urlò Colin. Diede un calcio al braciere con l'incenso, pestando sulle braci rovesciateper spegnerle. Udì un grido dietro di lui mentre Barbara entrava di corsa incerca di Jamie. Si fermò per un istante stordito e la guardò avvicinarsi almarito. «Colin! Ha un coltello!» urlò Claire. Colin si voltò. Un uomo corpulento si stava avventando su di lui, con icapelli neri e lisci che gli cadevano sugli occhi. Aveva una croce invertitamarchiata a fuoco sul torace - una vecchia cicatrice - e brandiva il coltelloa doppio taglio che aveva preso sull'altare. Gli anni tra l'addestramento alla lotta e quel momento svanirono in un i-stante. Senza quasi pensare, Colin si sbarazzò della spada e sollevò la tuni-ca come una vecchia signora che si appresta a danzare il valzer. I francesi la soprannominavano la savatte; in Tailandia era conosciutocome kick-boxing. Gli americani, che se ne infischiavano della termino-logia esatta, chiamavano quella e ogni altra forma di combattimento kung-

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fu. Quando l'uomo lo attaccò, Colin ruotò sull'altro piede e lo colpì. La gamba compì un breve arco ed entrò in collisione con il mento delprete adoratore di Satana. La forza del colpo si trasmise fin nelle ossa diColin; sentì lo scricchiolio e il corpo improvvisamente floscio e senza vitadell'uomo cadde a terra. D'un tratto si accesero le luci; Colin udì il clic de-gli interruttori in un'altra stanza. «Barbara», chiamò, respirando profondamente. Il suono della sua vocegli fece capire quanto fosse stanco, e l'adrenalina residua gli faceva trema-re le mani. «Corri alla caserma dei pompieri e chiama la polizia. Vedi seriescono a rintracciare il tenente Martin Becket: lavora a Manhattan Sud, equesto è il suo caso. Abbiamo bisogno di agenti e di un'ambulanza.» Colin sperava che l'autodifesa fosse un motivo sufficiente per ciò cheaveva fatto. Il sacerdote della congrega - probabilmente si trattava di Wal-ter Mansell - e Dio sa quanti altri erano morti, e i sopravvissuti erano instato di shock profondo. Barbara se ne andò di corsa. Colin udì i suoi passi risuonare lungo lescale mentre si inginocchiava accanto al corpo dell'uomo che lo aveva as-salito e gli chiudeva delicatamente gli occhi, mormorando parole di as-soluzione. Uno degli angeli caduti di padre Godwin era infine tornato a ca-sa. In distanza riuscì a discernere il suono lacerante di una sirena. Erano le cinque passate da poco, e il cielo stava cominciando a illumi-narsi in quella mattina di Natale quando Colin scese dal furgoncino davan-ti all'appartamento dei Melford e fece il giro per aprire il portello posterio-re. Ne emersero Jamie e Barbara, entrambi con un'aria in disordine ed e-sausta, come bambini assonnati che si fossero persi nel bosco. «Non so come faremo a ringraziarla», disse Jamie a disagio. «Non soloper avermi salvato la vita, ma anche per tutto il resto.» «Penso che sappia come può ripagarmi», ribatté Colin. «Il manoscritto di Cannon», disse Jamie imbarazzato. «Glielo mandocon un corriere per prima cosa... l'anno prossimo. Penso che Bess saràd'accordo a lasciarle fare tutte le modifiche che vuole.» «Quella è una cosa», dichiarò Colin. «L'altra è che spero rimaniate incontatto. Barbara è una sensitiva, sapete, e abbiamo bisogno di gente comevoi. Anche se questa è stata una bella battaglia, la guerra continua.» La guerra continua. Le parole riecheggiarono nella mente di Colin men-

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tre guidava in direzione sud. Claire dormiva sul sedile accanto, e gli ci vol-lero diversi minuti per svegliarla e rimetterla in piedi in modo da farle rag-giungere la porta del suo appartamento. Aspettò fuori finché non vide laluce accendersi alla sua finestra, poi si diresse a casa. Quanto era successo quella sera avrebbe dovuto farlo sentire bene.L'Empio era stato sbaragliato; l'anima del povero John Cannon aveva fi-nalmente trovato pace. Il potere della congrega nera era stato definitiva-mente infranto: non avrebbe mai più dato fastidio a nessuno. Ma Toller Hasloch non era stato tra i presenti quella sera, e Colin erapronto a scommettere che le indagini di Martin Becket non avrebbero tro-vato alcun indizio per stabilire un nesso tra Hasloch e Mansell e i suoi se-guaci. Hasloch sarebbe semplicemente passato a nuove scelleratezze. Allacompromissione di altri innocenti. Colin cercò di dirsi che, se era stato risparmiato, era per uno scopo chelui non era in grado di capire. I Voti che aveva giurato di rispettare untempo l'avevano reso uno strumento obbediente nelle mani dei Signori delKarma. Quei legami erano stati allentati brevemente, parecchi anni prima,ma quello che stava contemplando ora era un'azione non sanzionata e con-tro la legge. La Tua Volontà, non la mia, pregò, e per la prima volta trovòquelle parole vuote di significato. Aveva perso il distacco che permetteva ai seguaci delle Grandi Leggi dicamminare tra gli uomini limitandosi a guidarli senza obbligarli a de-terminati comportamenti. Forse l'aveva smarrito quella sera, quando avevaucciso Mansell. Forse, invece, l'aveva perduto anni prima, e non se n'eraaccorto se non al momento del confronto con la particolare malvagità diHasloch. Del resto, a cosa gli serviva un simile atteggiamento di rassegnazione, semetteva uomini come Hasloch nelle condizioni di nuocere ancora? Cercòdi dire a se stesso che Toller avrebbe finito per pagare per tutto il malecompiuto, che non spettava a lui giudicarlo o emettere una sentenza, ma auno strumento consapevole della Luce. Dovette però ammettere che si trat-tava di volontaria cecità, non di rassegnazione, e una trasgressione ai suoiVoti grave quanto la pratica attiva del male. Come avrebbe potuto guardarsi ancora allo specchio quando avrebbescoperto nuove prove dello spirito malvagio di Hasloch, sapendo, di frontea tutta quella sofferenza e rovina, che c'era il modo di impedirle? Era mor-ta della gente quella sera, persone le cui esistenze erano state toccate e ma-novrate da Hasloch, che ne aveva fatto il capolavoro profano per il proprio

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divertimento. E si era perfino vantato del proprio operato... Invano Colin ricordò a se stesso che l'impulso a intervenire per un benesuperiore era la maggiore tentazione che le ombre potessero offrire al-l'uomo. Si ricordò che usare i metodi del Serpente significava diventaresuo strumento, che lo scopo della guerra che combatteva non era la vittoriama la sopportazione. Ma il male che Hasloch avrebbe fatto d'ora in poi almondo era una consapevolezza insopportabile. E Colin aveva il potere dimettergli fine... E sia. Un grande fardello, quasi intollerabile, sembrò allora calargli sullespalle. Non aveva scelta; il sapere era la prima forma di corruzione dell'in-nocenza, e lui non aveva potuto fare altrimenti, aveva dovuto accoglierequella corruzione. Avrebbe accolto nella propria anima il peso di quell'attodi disubbidienza, ed espiato in una vita futura il male che sceglieva libe-ramente di operare quel giorno... in modo che Toller non nuocesse più. «Buongiorno, Toller», disse Colin MacLaren. Protetto dall'invisibilità che ogni guerriero della Luce poteva creare neimomenti di maggiore necessità, Colin era entrato nell'edificio senza farsinotare, proprio mentre il sole stava sorgendo sul parco la mattina di Natale.La serratura dell'appartamento di Hasloch a Central Park South era solida,ma Colin MacLaren aveva avuto decenni interi per affinare le sue capacitàdi scassinatore. Hasloch apparve quando udì la porta di casa aprirsi; ora stava al centrodel soggiorno, e aveva l'aria scarmigliata e assonnata con addosso solo ipantaloni del pigiama. La sua espressione si fece più attenta, tuttavia,quando vide Colin, e accennò a tornare verso la sua camera. «Non muoverti», gli ingiunse Colin, mostrandogli la pistola che im-pugnava. Hasloch la fissò incredulo, come se non capisse cos'aveva davanti agliocchi. «Hai intenzione di spararmi?» chiese semplicemente. «Ti farò di peggio», promise Colin onestamente, «ma sparerò se mi co-stringi. Adesso fa' il bravo e vieni qui, altrimenti faccio fuoco subito.» A un livello irrazionale, Hasloch contava ancora sulla fondamentalebontà del suo avversario, o forse si rendeva conto che le azioni che Colinsi apprestava a compiere potevano rappresentare per le ombre una vittoriamaggiore di quella che Toller stesso avrebbe potuto procurare. In ogni ca-so si avvicinò piuttosto docilmente, e in breve Colin lo legò a una pesantesedia con il nastro adesivo da idraulico che aveva portato con sé.

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«E adesso mi spari, facendo di me l'ennesima vittima della vita cittadina,è così? Mi aspettavo di meglio da te, professore», disse Hasloch, con untono irritante anche in un momento tanto grave. «Davvero?» gli chiese Colin. Anch'io mi aspettavo di meglio da me. «A-vresti dovuto sapere che non era il caso di tirarmi il naso in pubblico, ra-gazzo mio. Ho sempre avuto un brutto carattere.» «Già. Ma quando ti ho visto per la strada quella sera non ho saputo resi-stere. Desideravo tanto vedere cosa sarebbe successo; eri così arrabbiatocon me l'ultima volta che ci siamo incontrati. Ho ricevuto una telefonata dapadre Mansell ieri sera, sai? Mi ha detto che mi avrebbe richiamato alla fi-ne dell'operazione in corso, ma sai una cosa? Penso che non avrò più suenotizie. Hai rotto i miei giocattoli, vero, professore?» Colin non rispose. Era il più grande sforzo della sua vita rimanere lì enon ucciderlo seduta stante, mentre era legato e inerme. «Be', in ogni caso avevo quasi finito con loro», continuò disinvoltamenteHasloch. «Ho appreso tutto quello che avevano da insegnarmi, e intendosfruttarlo al meglio.» «No», lo contraddisse Colin in tono triste, «non accadrà.» Tagliò unpezzetto di scotch e lo usò per imbavagliare Hasloch; non voleva che simettesse a gridare. Fissando il viso dell'uomo imprigionato davanti a lui, Colin vide l'attimoin cui la paura entrò nei suoi occhi; l'istante in cui capì che il suo assalitoreera folle, o faceva sul serio, o entrambe le cose. Che poteva effettivamentecapitargli qualcosa di male proprio nel suo appartamento, in quel giornodedicato alla nascita del Principe della Pace. Hasloch cominciò a dibattersi selvaggiamente, ma Colin aveva sceltouna sedia pesante e usato la maggior parte del rotolo di scotch per legare ilprigioniero. Tutto ciò che poteva fare era scuotere la testa da una parte al-l'altra, facendo grugniti agitati attraverso il bavaglio. Cominciò a sudare, ei capelli fradici, diventati più scuri, schizzavano goccioline salate a ognimovimento disperato. Colin gli si mise alle spalle e gli prese la testa tra le mani, immobiliz-zandola. La pelle di Hasloch sembrava bruciargli i palmi, e improvvisa-mente Colin riuscì a sentire la sua paura e collera, più acute e profonde diquanto l'immaginazione avrebbe potuto descriverle. Poteva avvertire il sa-pore metallico del suo terrore, e il cuore battere all'impazzata con l'orroreripugnante di un incubo che si avvera. Ma non permise neppure alla pietàdi distoglierlo da ciò che intendeva fare quel giorno.

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Il corpo astrale era la parte dell'Io che ogni Adepto mandava nell'Aldilàa eseguire i suoi ordini, trasferendovi per questo la sua coscienza. Haslochera abbastanza esperto nell'allontanare da sé il corpo astrale: Colin lo capìperché riuscì con facilità a staccarlo dall'Io fisico per portare il doppio a-strale di Hasloch con sé nell'Aldilà. Separare il corpo fisico dal doppio - a volte chiamato Doppelgänger -era relativamente semplice per un Adepto, ma solo i più abili riuscivano adividere anima e doppio nello stesso modo in cui i colleghi meno espertiscindevano le forme astrale e fisica. E Colin era pronto a scommettere cheHasloch non fosse giunto a un livello tanto avanzato. Così vicino al Piano Primo, i dintorni erano ombre del mondo reale,stranamente luminose e prive di colore. Era quello il luogo dove durata ecausa erano annullati, il regno a cui la gente accedeva, senza renderseneconto, durante i sogni. Era il posto da cui i medium traevano le immaginidi luoghi lontani nello spazio e nel tempo. Hasloch indietreggiò vacillando per sottrarsi alla presa di Colin, e si reseconto di essere libero. Il suo corpo era legato alla sedia nel mondo sotto-stante, ma Colin non aveva ancora imprigionato il suo doppio. Poiché era un mago - per quanto corrotto e crudele -, in quel luogo Ha-sloch indossava gli indumenti che costituivano la manifestazione esternadel suo io magico. Erano simili a quelli che Colin gli aveva visto indossoanni prima, solo che la Runa era incisa su un disco d'argento in corrispon-denza del cuore, dove si contorceva e cambiava forma in modo strano. Sul-la fronte portava la croce uncinata incisa in un disco d'oro, e dietro alletempie erano fissate delle corna ramificate di avorio e oro. Invece di unpugnale, portava alla cintura la spada del sacrificio dall'elsa rossa, la cuilama sembrava contemporaneamente metallo e tenebre e dragone serpeg-giante, l'errore che viveva nel cuore del Creato. Colin vestiva gli indumenti e la piastra pettorale del suo Ordine. Sullafronte portava legato l'antico filatterio che lo legava alla Legge Eterna, e aldito l'anello che simboleggiava il suo sapere. Lì nel Piano Astrale lui e Ha-sloch erano allo stesso livello, anche se Colin aveva un leggero vantaggioprocuratogli dalla formazione più lunga e dalla maggiore esperienza. Ad Hasloch ci volle un attimo per capire di essere libero e armato; inquello stesso istante, Colin lo attaccò con la spada che credeva di avere inmano, ma si scoprì disarmato. Si riprese rapidamente, afferrando a maninude le braccia di guardia della Spada-Runa, ma il suo avversario, che nel

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frattempo aveva recuperato le forze e i riflessi, gli strappò via la lama e in-dietreggiò incespicando. La spada del sacrificio sibilava a ogni movi-mento, tagliando gli oggetti corrispondenti dell'Astrale Inferiore come fos-sero stati un fondale di carta velina. Non avrebbe vinto lì la sua battaglia; Colin si ritrasse in una parte piùprofonda del Piano Astrale, nel luogo che gli occultisti chiamavano Regnodell'Intenzione, dove pensieri e aspettative assumevano una forma fisica ela volontà diventava un'arma concreta. Vi si potevano creare strutture per-manenti; le forme di pensiero che la maggior parte delle Logge usavanoper costruire il proprio Tempio Astrale erano fisse in quel luogo, oggetti-vamente percepibili a ogni viaggiatore esperto di quel regno. Allo stesso modo vi si trovavano le rovine di templi del genere, che sisgretolavano scomparendo quando i loro fedeli non li rinforzavano con lameditazione e la magia. La durata di vita di quei luoghi sacri una volta ab-bandonati dipendeva dall'energia investita nella loro edificazione ori-ginaria; e, naturalmente, alcuni di loro traevano nuova forza dalla presenzadi Adepti che si imbattevano nella sorgente di questa o quella tradizione erisalivano alla sua fonte primaria. Le distanze erano mutevoli in quel luogo; Colin si trovò vicino ai limitiesterni del Tempio del Sole. Intorno all'edificio, la città del Tempio esten-deva la sua copia spettrale. Anche se quel culto era scomparso da millenni,alcuni Adepti erano sopravvissuti all'annichilimento della loro Città e, neldesiderio struggente della patria perduta, ne avevano creato un simulacroche era sopravvissuto fino ad allora nel Regno dell'Intenzione. All'interno di quello spazio sobrio e splendido, Colin vide le vaghe sa-gome dei suoi confratelli al lavoro, e intuì il fastidio che provavano per ilsuo arrivo, inatteso e sacrilego. Poi Hasloch giunse al suo inseguimento, portando con sé il suo seguitodi luoghi empi. Colin intravide confusamente una cattedrale nera le cui co-lonne erano pura oscurità, e per un istante, proprio come fosse stato unaqualsiasi entità effimera e innocente, la sua anima venne invasa da un ter-rore violento e assoluto. Era il terrore dell'uomo razionale di fronte alla follia; l'orrore infinitodella vittima che realizza la portata del male che l'ha individuata come suapreda. Poi i due opposti, Luce e Tenebre, si allontanarono secondo le emblema-tiche leggi del Piano Astrale, e Colin e Hasloch si trovarono in un luogoequidistante da entrambi e si prepararono per la battaglia.

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In quel frangente Colin agiva senza il permesso dell'Ordine, e quindi learmi che lo contraddistinguevano gli erano precluse; lo stesso, però, potevaaccedere ad altri strumenti di guerra. Dal magazzino della memoria estras-se una catena d'oro luccicante: la lanciò in aria, la tese tra le due mani percontrastare il primo colpo di Hasloch. Questi non parlava: forse era incapace di farlo quando aveva quell'a-spetto, oppure temeva che le parole lo distraessero. Attaccava senza sosta,maneggiando la spada del sacrificio con grande maestria. Se lo avesse col-pito con quella lama... Avrebbe fatto a Colin quello che lui intendeva fargli, solo che per Colinci sarebbe stata un giorno un'altra vita, un'altra reincarnazione. E non era intenzione di Colin permettere ad Hasloch di avere un'altra vi-ta in futuro. Alla fine riuscì nell'intento che si era prefissato: la catena si attorcigliòalla guardia della Spada-Runa e la strappò dalle mani di Hasloch. Colingettò via entrambe, spada e catena, volontà e disciplina, che sparirono nelMondo della Luce indistinto. Hasloch era ora più debole: sottraendogli la spada, Colin l'aveva privatodi gran parte della volontà. Lo colpì in testa finché all'Adepto Nero non sipiegarono le ginocchia e lo gettò a terra, mettendogli un piede sul collo perimpedirgli di rialzarsi. Con la volontà fece comparire dei ceppi per legarlo.Anche se le catene che intendeva procurarsi non sarebbero sopravvissutealle sua partenza dal Mondo della Luce, avrebbero trattenuto Hasloch iltempo necessario. Vittoria. Ma si trattava di un successo temporaneo, su un solo individuo.Solo la volontà di Colin ora manteneva i loro corpi astrali nel Piano Astra-le; e quando sarebbero ricaduti nel Piano della Manifestazione Hasloch -con tutta la sua forza terrena e la fantasia creatrice di nuove atrocità - sa-rebbe stato illeso, fino al giorno sconosciuto in cui i Signori del Karma a-vessero deciso di agire. La battaglia l'aveva sfibrato; non poteva restare a lungo nel Mondo dellaLuce. Colin formulò una preghiera sincera perché gli venisse risparmiatoquello che si apprestava a compiere. Poteva ancora andarsene, lasciare li-bero il pericoloso potenziale di Hasloch, ma in quel caso non pensava cheavrebbe più potuto sopportare se stesso. Non trovò però alcuna pietà nellasmisurata Intenzione che li circondava entrambi. E sia, allora. Nelle tue mani... invocò di nuovo Colin, e compì il passosuccessivo del suo crimine.

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Hasloch era molto debole, oppure aveva semplicemente smesso di re-sistere, affidandosi alla fondamentale carità della Luce perché non lo can-cellasse dall'esistenza. Nel suo stato di fragilità, la corda argentea che le-gava il suo doppio vagante all'ospite terreno era facilmente individuabile;quel vincolo partiva dal suo corpo e scompariva nella nebbia. Bastava tranciarlo, e Hasloch non sarebbe riuscito a riunire le due partiche lo componevano: corpo e doppio. Ognuna di esse si sarebbe indebolitae avrebbe finito per morire senza l'altra, e se Colin avesse imprigionato an-che lo spirito di Hasloch nel Mondo della Luce, non sarebbe mai più rinatosulla Terra. Prese la corda della vita di Hasloch tra le mani. In quel momento Colin teneva tutto ciò che l'avversario era ed era stato,una vita dopo l'altra, fin dall'inizio del Tempo quando la ruota dei loro de-stini era stata per la prima volta messa in moto.\" In quel modo avrebbe do-vuto riuscire a vedere le sue vite passate come una collana di perle... manon c'era nulla da vedere. Non c'era una successione di esistenze l'una accanto all'altra come le pa-gine di un libro, in attesa di qualcuno che avesse la competenza per legger-le. C'era solo... Oscurità e un ululato. Era nato su un vento popolato da ombre, trasci-nato attraverso lo Spazio e il Tempo dal rito compiuto quella sera, un ri-tuale che avrebbe vincolato uno spirito impalpabile a un corpo fatto dicarne, che avrebbe dato all'inconsistenza del sogno una concretezza fisica. Come uno spirito tormentato Colin venne trascinato giù dal Piano A-strale alle soglie di quello Materiale, ma ciò che vide nel Mondo dellaForma non aveva una consistenza reale da molti anni. In quel momento dicrisi, di disattenzione, era stato portato indietro nel Tempo in un luogo ein un momento stranamente familiari: nell'attimo in cui gli stregoni dellaThule Gesellschaft si davano da fare per incarnare lo spirito del Reichstesso, per dar forma al condottiero che avrebbe seguito Hitler e consoli-dato la vittoria nazista... O vendicato la sua disfatta. Ingolstadt, Baviera. Colin guardò, impotente e inorridito, mentre la minuscola scintilla del-l'intenzione era creata: lo spirito di un'epoca, un'anima giovane come ilsecolo, per nulla in debito con le civiltà e leggi antiche. Sarebbe stato cru-

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dele, quel bambino, e implacabile: la bestia bionda, il Superuomo che Nie-tzsche e i suoi accoliti avevano profetizzato, che Hitler aveva invocato esognato. In un punto del pianeta, un bambino concepito a quello scopo nascevaper ospitare quello spirito disumano, e Colin MacLaren ricordò con preci-sione la data: era il 9 novembre 1938. Il rito era programmato in coinci-denza con le dimostrazioni delle SS in Germania. Krystallnacht. Il Magus sollevò le braccia. Lo spirito volò alla sua destinazione, e Tol-ler Hasloch nacque in un paese oltreoceano, una nazione che non sarebbeentrata in guerra con la Germania per altri tre anni. Quando il primo scoppio a ripetizione della mitragliatrice si fece senti-re, Colin ricordò il resto di ciò che era successo lì quella sera. Con unadoppia attenzione guardò e tornò a essere se stesso da giovane - diciot-t'anni quell'anno, diciannove la primavera successiva, se fosse sopravvis-suto - mentre correva nel Tempio con una maschera e un cappuccio sul vi-so. Lui e i suoi compagni distrussero il Tempio, agendo nel numero maggio-re di punti, gettando frammenti dell'Ostia consacrata tra gli strumenti del-la magia nel tentativo di interrompere il rituale. Non avevano neppure sa-puto cosa si faceva lì quella sera, solo che era importante per l'Ahnenerenato da poco e che era fortunatamente un'impresa tanto segreta che c'era-no solo una mezza dozzina di SA di guardia sul posto. Colin guardò il suo io più giovane incendiare i tendaggi del Tempio efuggire nella confusione. A quel raid avevano partecipato una dozzina dipersone, e dopo quella notte solo tre erano sopravvissute. Quando era tornato alla Loggia, aveva chiesto di prestare il giuramentoche avrebbe fatto di lui una Spada dell'Ordine. Aveva già preso i suoi pri-mi voti, ma non quelli più vincolanti; quelli che lo aspettavano erano ter-ribili quasi quanto il male che sì proponevano di combattere. E guarda dove mi ha portato quel Voto, pensò tetramente Colin. Il pas-sato si dissipò rapidamente come si era materializzato, e lui si rese contoche le sue mani erano vuote. La corda della vita di Hasloch che avevastretto era strappata. E sia. Dopo un attimo di riflessione tracciò il segno che avrebbe per-messo alle catene di Hasloch di resistere nel Mondo della Luce fino allascomparsa della memoria umana, intrappolandovi così il suo spirito persempre, lontano dalla ruota e dall'eterno ciclo di rinascita.

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Toller Hasloch era stato distrutto, ora e per sempre, certamente e com-pletamente come se non fosse mai nato. L'appartamento sembrava ghiacciato quando Colin aprì gli occhi. Con-trollò per riflesso l'ora. Èrano trascorsi meno di dieci minuti da quando a-veva aperto la porta dell'appartamento. Hasloch respirava ancora, ma Colinsapeva che si trattava solo di un riflesso automatico. Era scosso nella parte più profonda del suo io da quanto aveva appreso.Hasloch non era un'anima mortale, una scintilla derivante dalla Luce, mauno Zeitgeist che aveva ricevuto forma umana. Colin non era certo dell'ef-fetto che le catene da lui imposte avrebbero avuto su un'anima artificiale.Sarebbero riuscite a tenere imprigionata una creatura del genere? Erano state veramente necessarie? Ormai è troppo tardi, si disse brutalmente. Adesso tutto quello che miresta da fare è assicurarmi che nessun innocente venga danneggiato daciò che ho fatto qui. Muovendosi con rapidità, slegò Hasloch dalla sedia e lo trascinò di nuo-vo in camera da letto prima di infilarsi il nastro adesivo usato in tasca e dirimettere a posto la sedia in soggiorno. Non era sufficiente per imbrogliare un poliziotto esperto se fosse sorto ilsospetto di omicidio, ma almeno al momento della scoperta del cadaveresulle pareti dell'appartamento non c'era scritto a chiare lettere «scena deldelitto». Il cadavere. Colin si sentì improvvisamente addosso tutti i suoi cinquantadue anni, senon di più. Più di tutti i riconoscimenti esterni, comprese, aveva sempreconsiderato preziosa la buona opinione di sé, e quel giorno l'aveva persaper sempre. Aveva tradito gli insegnamenti che gli erano stati tramandati.Li aveva usati per uccidere. Non si chiese perché considerava necessario coprire le sue tracce, sfug-gire alle conseguenze di quel crimine quando il principio fondamentale delsuo Ordine era che l'individuo doveva accettare la piena responsabilità del-le sue azioni. Ma una mezzora di lavoro aveva riportato l'appartamento più o menonelle condizioni precedenti al suo arrivo, e poco dopo le sei del mattinoColin MacLaren uscì dall'edificio di Central Park South in silenzio e senzafarsi notare proprio come quando vi era entrato. Prese un taxi a Columbus Circle - il furgoncino era stato parcheggiato alsicuro in garage diverse ore prima - e attraversò il centro della città che si

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risvegliava. Si sentiva ancora intontito da ciò che aveva fatto, e la sua im-maginazione gli riproponeva l'immagine di Toller Hasloch, seminudo nelsuo letto freddo e solitario, mentre il suo cuore rallentava... rallentava an-cora... e si fermava. E tutto perché Colin MacLaren aveva privilegiato il suo giudizio suquello della Legge che serviva, agendo secondo la propria volontà invecedi seguire gli ordini dei Signori del Karma. Si sentiva sporco, impuro emalato. Desiderava soprattutto qualcosa da bere e il conforto del suo letto,anche se, qualunque cosa facesse, non poteva sfuggire alla condanna chependeva su di lui. Era così assorbito dai suoi pensieri tetri che non notò neppure le luci ac-cese nel suo appartamento finché Claire non aprì la porta. «Colin! Dove sei stato?» Si gettò tra le sue braccia e lo strinse forte. Non riusciva a immaginare cosa facesse lì, quando l'aveva lasciata allaporta del suo appartamento meno di due ore prima. «Ero così preoccupata... Pensavo che fosse successo qualcosa anche ate!» esclamò. Ci volle un attimo perché il significato delle sue parole squarciasse lanebbia che sembrava avviluppare le facoltà di Colin, e all'inizio causaronosolo confusione. Qualcosa era successo anche a lui. Qualcosa di terribile. «Forse Jamie...?» cominciò. «No!» rispose con veemenza Claire. «È Simon... c'è stato un incidente...è ferito.» «Sta morendo», aggiunse con voce rotta. CAPITOLO 14San Francisco, gennaio 1973Alcune verità fortuite può rivelareil raccolto di un occhio tranquillo,che rimugina e dorme sul proprio cuore. William Wordsworth La respirazione difficoltosa, appesantita dai farmaci, dell'uomo sdraiatoera il suono più forte nella stanza. Colin era sulla scomoda sedia accanto alletto e guardava Simon dormire. Il suo viso era avvolto dalle bende, che gli coprivano entrambi gli occhi.Subito dopo lo scontro i medici avevano dichiarato che avrebbe perso la

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vista. Ora pensavano invece che sarebbero riusciti probabilmente a salvar-gli almeno l'occhio destro, ma Simon Anstey non sarebbe mai più stato af-fascinante come un modello. Rimanere sfigurati era già una disgrazia, ma non era la tragedia mag-giore capitatagli nell'incidente. Automaticamente lo sguardo di Colin si posò sulla mano sinistra delgiovane. Anch'essa era fasciata, tenuta immobile da una stecca che ne im-pediva la flessione. I dottori avevano suggerito l'amputazione, ma Simon non aveva dato lo-ro il permesso. Aveva dato in escandescenze, rifiutato i sedativi e proibitoai medici di toccarlo finché non gli avevano promesso che non avrebberotagliato la mano. Se non fosse stato un personaggio celebre della Bay Areaper tanto tempo forse non gli avrebberp dato ascolto, ma tutti al prontosoccorso conoscevano Simon Anstey, solista della San FranciscoSymphony e insegnante al conservatorio. Li aveva tenuti a bada fino all'arrivo di Alison, e solo dopo averle strap-pato la promessa di aiuto aveva permesso ai medici di mettersi al lavoro.Alison aveva effettivamente mantenuto la parola data, e aveva lottato fin-ché i medici non si erano arresi, rinunciando all'amputazione. Avevano fatto miracoli ma, anche se la mano di Simon era intatta, nes-suno pensava che avrebbe potuto ricominciare a usarla. Le ossa di due ditaerano in frantumi, e le fragili terminazioni nervose erano state distrutte.Anche se un giorno sarebbe forse riuscito a portarsi una tazza di te allelabbra con la mano sinistra, era impensabile che la usasse con il perfettocontrollo necessario a un concertista. La sua carriera - la sua vita - era fini-ta. Aveva ventinove anni. È colpa mia. Anche se sapeva di peccare di presunzione, Colin non riu-sciva a liberarsi da quella convinzione. In qualche modo, pensava, se fossestato più forte, se non avesse ceduto alla tentazione di agire senza l'appro-vazione dei suoi maestri... Allora anche questo è parte della tua punizione, si era detto senza alcu-na pietà. La porta della stanza d'ospedale si aprì. «Come sta?» chiese Alison con un sussurro. «Dorme ancora», rispose Colin sottovoce. Alison entrò in punta di piedie si sedette dall'altra parte del letto. Aveva l'aria smarrita e tirata, e dimo-strava tutti i suoi settantaquattro anni anche nella tenue luce di gennaio.

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«Se solo fossi stata con lui», gemette. «Allora saresti morta anche tu, come la ragazza che gli sedeva accanto»,le fece notare Colin. «Maledetti autisti ubriachi, che vadano tutti all'inferno», esclamò Alisonfuribonda. Il tizio che aveva ucciso l'amica di Simon e messo termine allacarriera del pianista era uscito dalla collisione senza neppure un graffio,come accadeva quasi sempre a chi guidava in stato di ebbrezza. Almenoera completamente dalla parte del torto: Simon era fermo a un semafororosso. Ma nessuna sentenza legale avrebbe potuto riparare a quello che a-veva distrutto. Simon cominciò ad agitarsi, lottando per emergere dal torpore indottodalla morfina. Automaticamente Colin tracciò una benedizione nello spa-zio che li separava, sperando di regalargli qualche altro attimo di pace. «Alison», la chiamò con voce impastata. Tirò la coperta con la mano li-bera dalle bende. «Sono qui, Simon.» Gli prese la mano destra e se la portò delicatamentealla guancia. «La mia mano. Non lasciare che mi prendano...» «Va tutto bene, Simon. Non li lascerò operare», gli disse per tran-quillizzarlo. Cominciò a dibattersi senza sosta, evidentemente in preda a terribili do-lori ma incapace di ricordarsene il motivo. Per un individuo che, con gliinsegnamenti di un maestro, aveva spalancato i propri centri psichici, laperdita di autocontrollo provocata dai narcotici era come andare a letto contutte le porte e le finestre di casa aperte. Qualunque entità poteva entrare edistruggere tutto mentre il vero occupante della dimora non era in grado difermarla. «Suonerò di nuovo!» borbottò. «In qualsiasi caso io... io...» «È meglio che chiami l'infermiera», suggerì Alison a Colin. «Simon, sta'tranquillo, mio caro. Va tutto bene.» Colin trovò infine il campanello di chiamata - era fissato al cuscino sulladestra, dalla parte della mano sana di Sirnon - quando l'infermiera arrivòcon una siringa già in mano. Con brusca efficienza la vuotò nel tubicinodell'endovenosa infilata al braccio di Simon e questi tornò quasi immedia-tamente a sprofondare in un sonno disturbato. «Dottoressa Margrave», la salutò, una volta che il paziente si fu calmato.«E lei come sta oggi?» Alison le fece un sorriso stanco. «Come ci si può aspettare, direi, Rhon-

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da. Ci sono novità?» «Il dottor Kiley gli cambia le bende del viso domani; se tutto è a postogli lascerà scoperto l'occhio sinistro, e questo dovrebbe aiutare Simon arimanere sveglio.» Sorrise professionalmente con aria incoraggiante. «Gliho appena dato del Valium; ha insistito tanto nel dire che non voleva nien-te, e alla fine lui e il dottor Kiley sono scesi al compromesso di un calman-te leggero.» Nessun Adepto, sapeva Colin, avrebbe accettato volentieri l'indeboli-mento delle proprie facoltà provocato dai farmaci, preferendo affidarsi allavolontà disciplinata per sopportare il dolore. E una stanza d'ospedale eraper sua natura un luogo pubblico, quasi impossibile da consacrare e sigilla-re in modo sicuro, anche se lui e Alison avevano eretto le protezioni chepotevano. «So che tutti qui stanno facendo del loro meglio per lui», assicurò Ali-son con voce tremante. «Ha un'enorme forza di volontà a sostenerlo», disse Rhonda inco-raggiante. «È quella la cosa più importante.» Ma quando il danno al corpo fisico era così grave, quando il dolore con-tinuava tanto a lungo... Claire arrivò mezzora dopo per dare loro il cambio, e Colin portò Alisonin un vicino ristorante, assicurandosi che mangiasse e facendo del suo me-glio per sollevarle il morale. Nonostante i suoi sforzi fu un pasto ma-linconico, durante il quale entrambi rimasero assorti nei loro pensieri ine-spressi. La precoce notte invernale stava scendendo quando Colin riac-compagnò in auto Alison a Greenhaven. «Avete entrambi l'aria piuttosto a terra.» Claire era lì ad accoglierli, do-po aver lasciato l'ospedale al termine dell'orario di visita. Aveva già pro-gettato di fermarsi a San Francisco per un po', per tenere compagnia ad A-lison e aiutare il più possibile Simon. Alison rispose sorridendo stancamente mentre varcava la soglia. «Miuccide vederlo così. Un tale... spreco.» Le lacrime le brillavano negli occhigrigi. «Immagino non ci sia alcuna speranza...» azzardò Claire. Fece loro strada in salotto, dove aveva acceso un fuoco che dava luce ecalore alla stanza. Le tende erano tirate, e facevano apparire il luogo in-timo e confortevole. Alison ne aveva cambiato l'arredamento dall'ultimavolta che Colin era stato a trovarla: ora era aggressivamente moderno, nel-

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le tinte dell'arancione bruciato e del prugna, e i severi divani danesi eranostati sostituiti da un paio di sofà di lucida pelle. «Continuano a voler amputare», rispose Alison, come se fosse stata unaspiegazione esauriente. «Ho parlato col neurologo qualche giorno fa; diceche nelle dita i nervi non funzionano e che, anche se non fossero rimastidanneggiati dall'incidente, il gonfiore dei tessuti circostanti li avrebbe or-mai compromessi comunque. E se si verifica una setticemia, Simon po-trebbe perdere ben più di due dita.» «Continua a sostenere che riacquisterà l'uso della mano», osservò Claire. «Penso di no», si limitò a dire Alison. «Che perdita terribile», commentò Claire a bassa voce. «Povero Simon.» «Non farti sentire da lui», l'avvertì gentilmente Colin. «Si alzerebbe dalletto e ti picchierebbe.» Anche se Claire aveva due anni più di Simon, Colin aveva un tempo col-tivato una vaga speranza che i due facessero coppia, e non l'aveva del tuttoabbandonata. Certo potevano capirsi in un modo che alle persone prive deldono era precluso. Alison fissò il fuoco con un'espressione tormentata sul viso. «Penso - inun certo senso - che questo incidente sia stata una specie di benedizioneper Simon», dichiarò. Gli altri due la guardarono attoniti. Era l'ultima cosa che si aspettavanodi sentire dalla donna che aveva fatto a Simon da madre o quasi. Alison sospirò profondamente. Voltò le spalle al camino e aprì una sca-tola di malachite sul tavolino. Ne estrasse una sigaretta che Colin le acce-se. Claire le allungò il bicchiere pieno. «Negli ultimi due anni...» cominciò Alison, ma si fermò subito, scuo-tendo il capo. «Be', in realtà da prima. Simon è sempre stato... amante del-l'avventura.» «Amante dell'avventura?» ripeté Claire senza capire. Dalla sua espressione si vedeva che non la considerava particolarmentegrave come accusa, ma Colin capì esattamente cosa intendeva dire Alison.«Amante dell'avventura» significava che Simon si era allontanato dallepratiche e dagli esercizi che la sua insegnante gli aveva prescritto e avevacominciato a esplorare da solo i sentieri del potere. «Lui... Insomma, Claire, sai bene cos'è la Magia Nera. Simon ci ha gio-cato per un po' da ragazzino, prima che lo beccassi e gliela facessi pagaresalata. Pensavo di avere risolto definitivamente il problema; quella roba èpericolosa come le droghe pesanti, e allettante quanto quelle. Ma a un cer-

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to punto...» Alison si interruppe per sorseggiare il suo drink, arricciando ilnaso come se fosse stata una medicina. «Sapete come tutto è sempre statofacile per Simon. Non che non abbia dovuto lavorare sodo per la musica,ma i suoi sforzi sono sempre stati ripagati. Non c'è mai stato nulla che ab-bia voluto e che non abbia, prima o poi, ottenuto.» Si passò una mano tra icapelli. «Si potrebbe dire che non sia mai vissuto in un universo irraziona-le. Approfittando della mia disattenzione ha elaborato una teoria secondocui, anche se le pratiche del Sentiero della Mano Sinistra sono pericolose,possono essere eseguite senza alcun rischio da parte di un Adepto cheprenda le dovute precauzioni.» Colin la fissò inorridito. «Sai che non è vero.» «Oh, certo. Ma sembra così plausibile, no? E pensa alle ricompense: po-tere assoluto sul Piano Materiale, superamento di ogni ostacolo, elimi-nazione della vecchiaia... capacità di curare i malati, di resuscitare i mor-ti...» Alison fece un sorriso amaro. «Solo che non siamo fatti per esercitareun simile potere. Non siamo dei, non abbiamo accesso all'Informe NonCreato da cui ha origine ogni Manifestazione. La capacità di eseguire queisimpatici trucchetti deve pur venire da qualcosa, e per i figli di Adamo e lefiglie di Eva nasce dal sangue, dal furto dell'energia vitale altrui.» «Dall'omicidio», puntualizzò Claire seccamente. «In genere si tratta di sacrifici animali, ma in sostanza hai ragione. E dal-le torture prima del sacrificio, per aumentare l'energia al massimo.» «E Simon l'ha fatto?» chiese Colin incredulo. «Veramente?» «L'ha fatto una volta», rispose Alison. «Anni fa. Su uno dei miei gatti.Quando l'ho scoperto, gli ho detto che se l'avesse fatto di nuovo gli a-vrei...» Si interruppe e fece un riso amaro. «Gli ho detto che gli avrei ta-gliato la mano sinistra.» Claire trasalì, come per cercare di scacciare quell'immagine. «Ma è statoanni fa, Alison», intervenne speranzosa. «E non dicevi sul serio.» «Sì che dicevo sul serio, Claire, e lui lo sapeva, quindi - come avevoprevisto - ha smesso. Poi, un paio di anni fa è tornato sull'argomento, soloin termini ipotetici questa volta, grazie a Dio. Vedevo cosa stava succe-dendo, dove stava andando a parare, ma non c'era nulla che potessi fare perconvincerlo a smettere. Continuava a dire che le pratiche della Mano Sini-stra ci erano state proibite solo a causa dell'ignoranza superstiziosa, e chequel tempo era finito. Spero solo che questa tragedia lo porti a fare il bi-lancio della sua vita e a guardarsi dentro. Ma sai, di recente mi sono a vol-te chiesta se non abbia ragione. Il mondo sembra un posto tanto cupo di

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questi tempi...» Sospirò. «Rivolgersi alle Tenebre non è mai giusto», dichiarò Colin con fer-mezza. Si sentiva un ipocrita, anche se era certo di dire la verità. Solo che,quando gli era stata insegnata questa regola, non sapeva quanto sarebbestato difficile rispettarla, e quanto risultasse irresistibile la tentazione ditrasgredire. Si chiese quali fossero state le tentazioni di Simon, e quale dei suoi ami-ci e maestri l'avesse deluso di più. Siamo tutti custodi uno dell'altro, riflet-té Colin. Non pensava di essere stato un guardiano particolarmente dotato,fino ad allora. Ripensando alla sua vita passata, tutto ciò che vedeva erano deboli tenta-tivi di soprintendenza, simili a un'occupazione temporanea in attesa di tor-nare al suo vero lavoro. Ma il controllo e la vigilanza erano il suo lavoro. «Alison, sai che ci sono cose proibite. È il codice in base a cui viviamo,e nessuno ha mai detto che fosse facile. Tutti gli argomenti di Simon sem-brano ragionevoli, ma non è quello il punto. Sappiamo già che adottare imetodi delle ombre porta solo al disastro: tu e io ne abbiamo prove certe. Imezzi creano il fine: per conseguire un obiettivo irreprensibile possiamousare solo strumenti irreprensibili.» «E così ci trastulliamo con cerbottane mentre il nemico ha l'artiglieriapesante», commentò Alison amara. «E perdiamo gente come Simon ognigiorno.» Spense la sigaretta nel portacenere. «Non è giusto, vero?» «No», confermò Colin. «Ma è così.» Toller Hasloch aleggiava, come un segreto non condiviso, sulla con-versazione. Ora Colin aveva visto la reale portata dei danni causati dai fan-tasmi del passato, ma in quel momento l'importante non era curare le sueferite, ma infondere la propria forza dov'era necessario, per impedire chealtri soffrissero per la separazione dalla Luce che aveva invece imposto ase stesso. Due settimane dopo Simon venne trasferito in un istituto per il tratta-mento dei lungodegenti. Camminava - con un aiuto esterno - e il lungoprocesso di ricostruzione del lato sinistro del viso era cominciato. Anchese l'occhio era intatto, la visione dalla parte sinistra era gravemente com-promessa, ed egli soffriva di cefalee accecanti quando l'occhio colpito nonera coperto. Ma la sua determinazione a tornare quello di un tempo nonvacillava, ed era quasi spaventosa per la sua intensità. «Suonerò di nuovo», diceva a chi andava a trovarlo.

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Il lato sinistro del viso era lasciato scoperto, ed era attraversato da ci-catrici rosse in attesa dell'intervento di chinirgia plastica. Portava una ben-da sull'occhio sinistro. L'alone nero della barba ispida sulla metà colpita diviso e collo e il cranio rasato a metà gli davano un aspetto particolarmentedisumano, anche se l'effetto era leggermente ridotto dal fatto che ora, fi-nalmente, poteva indossare i suoi vestiti. La sua stanza nella clinica sembrava più la camera di un hotel di lussoche il luogo di degenza di un malato. Godeva di una vista panoramica sullaCity e ospitava perfino un caminetto. Ma il letto era circondato da sbarre diferro e provvisto di un pulsante di chiamata, e i passaggi erano abbastanzalarghi per permettere l'accesso a una sedia a rotelle. «Simon, ci sono altre...» cominciò Alison. «Altre cose nella vita a parte suonare!» la scimmiottò rabbiosamenteSimon. «Certo, potrei insegnare, o dirigere, o comporre. Anche Colin èstato tanto gentile da ricordarmelo, quell'ipocrita idiota! È come un eunucoche dà lezioni sulle gioie della castità a un uomo vero...» «Simon!» lo riprese Claire scandalizzata. Alison aveva detto che Simon era intrattabile, ma fino ad allora Clairenon aveva capito fino a che punto. «Sì, Simon», la derise. «E dirò a tutte e due una cosa, la stessa che hodetto a lui: non intendo restare passivo e cercare conforto nella sottomis-sione servile all'ineffabile volere di Dio. Non sono mai stato così, e non in-tendo diventarlo adesso. Perché siamo dotati di potere se non possiamo u-sarlo?» «Conosci bene la risposta», gli ricordò Claire con voce pacata. «Conosco la risposta che il tuo Dio pieno di amore vorrebbe farmi sce-gliere», ringhiò Simon, «ma...» Si interruppe, irrigidendosi nella poltrona. La testa gli si voltò di scattoed egli si contorse spasmodicamente, come attraversato da una corrente e-lettrica. Le labbra lasciavano scoperti i denti in una smorfia che faceva af-fiorare goccioline di sangue sulle ferite non ancora perfettamente rimargi-nate. «Chiama l'infermiera!» ordinò Claire, che balzò in piedi e gli corse ac-canto. «Simon, Simon, riesci a sentirmi?» I muscoli che le sue mani tocca-vano erano rigidi, e Simon non rispose. Dopo pochi secondi - anche se sembrò un'eternità - la crisi passò. Simonsi afflosciò contro Claire, ansimando. «Signor Anstey!» disse l'infermiera del piano, entrando tallonata da Ali-

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son. «Tutto... bene. Sto bene adesso», sussurrò Simon con un filo di voce. «Ha avuto un altro di quegli spasmi», spiegò Claire. Il viso di Simon erabagnato di sangue e sudore. Gli estrasse il fazzoletto di seta dal taschinodella vestaglia e gli tamponò la fronte. La palpebra dell'occhio sano si ab-bassava per lo sfinimento. «Penso che dovrebbe tornare a letto», suggerì l'infermiera. «Il dottore leha fatto una ricetta di...» «Niente farmaci», bisbigliò Simon. «Se ti aiutano a guarire dovresti prenderli», osservò Alison. Aveva il vi-so deformato dal dolore che provava per lui. «Prima guarisci, meno ne a-vrai bisogno.» «Lasci che l'aiuti a rimetterlo a letto», propose Claire all'infermiera. Ilpersonale era a conoscenza del fatto che era un'infermiera diplomata. Claire e l'infermiera sollevarono Simon di peso e lo misero a letto, to-gliendogli anche la vestaglia. Non era in grado di aiutarle granché, vistoche lo spasmo l'aveva lasciato spossato, ma le due donne ci riuscirono fa-cilmente. «Signor Anstey, dovrebbe proprio...» «Se ne vada», la congedò con voce stanca. Claire capiva perché era così restio ad accettare gli antidolorifici che vo-levano somministrargli. Lei stessa prendeva di rado farmaci più forti del-l'aspirina e non beveva mai più di un bicchiere di vino di tanto in tanto. SiaAlison che Colin si erano offerti di erigere le protezioni che lui era ancoratroppo debole per creare, ma aveva rabbiosamente rifiutato il loro aiuto, af-fermando che non voleva la loro elemosina. Simon si trovava però a dover affrontare una difficile battaglia, dal mo-mento che intendeva contare solo sulle proprie forze, e a Claire pianse ilcuore. Prese la mano dell'uomo tra le sue. «Riposa ora, Simon», disse dol-cemente. «Veglierò su di te.» «Sei una brava ragazza, Claire», le sussurrò Simon. Le sue dita strinseroper un attimo quelle di lei mentre sprofondava in un sonno privo di difese. Quando Claire fu certa che dormisse profondamente e che le fitte di do-lore non riuscissero a svegliarlo, gli infilò la mano sotto le coperte e si al-zò, tracciando il Sigillo dell'Uomo sulla sua fronte con tocco leggero.Scosse il capo tristemente, guardando Alison. «Non vorrei dovermi occupare del suo trattamento», commentò sot-tovoce. «È il tipo peggiore di paziente; intelligente, cocciuto e per metà

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dalla parte della ragione.» La descrizione, come aveva sperato, portò un sorriso sul viso di Alison. «So che Colin doveva tornare sulla costa orientale, ma tu rimani con noiper un po', vero, Claire?» chiese Alison con voce implorante. «Penso cheSimon potrebbe darti ascolto. Abbiamo litigato tanto durante quest'ultimoanno che credo mi consideri contraria per partito preso a ogni suo progetto,anche se non è così.» C'era un vago tremito nella voce della donna anzia-na. «Be', se pensa che lo sostenga nella sua idea pazzesca di usare la magiaper guarire, si prepara a un brutto colpo», dichiarò Claire fermamente. «Èuna cosa sciocca e sbagliata.» «Hai ragione, mia cara», confermò Alison, tornata padrona di sé. «Manon hai idea di come possa essere cocciuto Simon.» «Ho conosciuto alcuni uomini cocciuti nella mia vita», disse Claire conun leggero sorriso. «E, per quanto possa essere testardo Simon, Colin lo èalmeno il doppio.» CAPITOLO 15Glastonbury, New York, febbraio 1973Cercava, poiché il suo cuore perduto era tenero,qualcosa da amare, ma, ahimè, non l'ha trovato!E non c'era nullaal mondo che potesse approvare. Percy Bysshe Shelley Forse non è stata una buona idea, ammise Colin a se stesso mentre gui-dava verso nord lungo la Taconic Parkway. Ma neppure rimanere a SanFrancisco e minacciare un invalido inerme era una scelta intelligente, eColin era riuscito a malapena a tenere una conversazione civile con Simonnelle ultime due settimane. L'ultimo libro di John Cannon, Stregoneria: il suo potere nel mondo o-dierno, era stato corretto e rispedito a Jamie Melford, insieme a una lista dilibri per permettere a lui e Barbara di cominciare a capire lo strano mondoin cui erano incappati. Colin era rimasto profondamente turbato dal materiale contenuto nelmanoscritto. Ora, rituali e tecniche mantenuti gelosamente segreti per se-coli - e perlomeno difficili da scovare quando Thorne Blackburn era stato

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all'apice del successo - erano accessibili a tutti al prezzo di un dollaro gra-zie a divulgatori come Cannon. Più erano facili da trovare, più sarebberostati usati in modo superficiale provocando disastri, com'era prevedibile. Il Sentiero non andava imboccato alla leggera per noia, come la stradadel potere non si adattava alla mente di ognuno, neppure in uno stato de-mocratico dove - in teoria - tutti gli individui erano creati uguali. Troppepersone erano attratte dal misterioso mondo della magia non per un pro-fondo desiderio di trovarvi delle risposte, ma perché la scienza tradizionalenon era riuscita a fornire loro alcuna spiegazione quando erano state sfiora-te dall'occulto. L'unico mezzo per aiutare individui del genere consistevanell'aprire le menti ristrette delle scienze fisiche, e questo si poteva fare so-lo offrendo loro prove che considerassero accettabili. Quello era il motivo principale per cui Colin stava compiendo il viaggioverso nord al campus del Taghkanic College e al Laboratorio di Ricercasulla Scienza Psichica «Margaret Beresford Bidney». I vicini più prossimi dell'università erano la città di Glastonbury e unapiccola comunità di artisti; Colin le visitò involontariamente entrambeprima di riuscire infine a trovare il campus. Una recente nevicata - l'in-verno era più rigido, a nord di New York - aveva reso pericolose le strade,e in alcune delle vie secondarie non era neppure passato lo spazzaneve.Dopo essersi trovato nel centro di Glastonbury per la seconda volta, Colintornò sulla strada principale, trovò finalmente la svolta per Leyden Road egiunse all'università. Avvertì un irrazionale senso di trionfo quando superòi due pilastri di pietra e passò sotto la scritta di ferro battuto che diceva«Taghkanic College». Anche in quel giorno invernale il college conservava una severa bellezzavittoriana. Sentieri di mattoni, ripuliti dalla neve, attraversavano i prati traalberi neri e spogli; durante la fioritura il campus doveva essere splendido.Era come se Colin fosse tornato indietro nel tempo di due secoli; l'univer-sità si era conservata come tra i ghiacci artici, e trasmetteva l'eco di un'altraepoca. Guidò lentamente, alla ricerca della sua destinazione, lungo gli edi-fici di mattoni rossi e i gruppetti di studenti anonimi che si spostavano tral'uno e l'altro. Il dottor Newland gli aveva detto che era impossibile nonvedere il laboratorio... E aveva avuto perfettamente ragione, decise Colin qualche minuto dopo,di fianco al furgoncino parcheggiato e con lo sguardo puntato sulla costru-zione spolverata di neve con una sorta di ammirazione.

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Sembrava che qualcuno avesse fatto cadere un tempio greco in mezzo aun gruppo di casupole di legno. Il portico poco profondo era sostenuto dasette colonne doriche, sopra le quali delle lettere di bronzo, che lasciavanocolare verderame sul marmo bianco poroso, dicevano: LABORATORIODI RICERCA SULLA SCIENZA PSICHICA «MARGARET BERE-SFORD BIDNEY». Il rilievo sopra la scritta rappresentava soggetti classi-ci: Helios, Pandora, Prometeo, tutti esempi di uomini che si erano impos-sessati del potere degli dei. Era un peccato, rifletté Colin, che tutti quei miti si concludessero in mo-do tragico, ma i greci non erano portati per il lieto fine. Salì i bassi scalinie giunse sotto il portico. La pietra sull'ingresso bronzeo recava incisa unacitazione di Gioele 3,1: «I vostri vecchi avranno dei sogni, i vostri giovanivedranno visioni». Colin aprì la porta ed entrò. Si trovò in una piccola rotonda, che imitava anch'essa come l'esterno laforma del tempio. Il marmo sotto i suoi piedi rappresentava un complicatonodo, e il soffitto di vetro a cupola riempiva di luce l'ambiente. L'elaboratoorologio in bronzo sulla parete di fronte alla porta gli mostrò che era in ri-tardo solo di pochi minuti per l'appuntamento. La ragazza alla reception era evidentemente una studentessa che fre-quentava il college: aveva una pila di libri accanto al gomito, ma sollevòsubito lo sguardo all'ingresso di Colin. Grossi occhiali con la montatura dimetallo le davano l'aspetto di una libellula volonterosa. «Salve, sono Leonie... Nesbit», aggiunse, come se non ne fosse stata deltutto certa. «Posso aiutarla?» «Sono Colin MacLaren. Ho un appuntamento alle due con il dottor Ne-wland, ma temo di essere un po' in ritardo...» «Ah, dottor MacLaren! Sì, il dottor Newland la sta aspettando. Passi sot-to quell'arco e percorra tutto il corridoio: è la porta in fondo.» Indicò oltrela sua spalla. Colin s'incamminò passando davanti a una serie di porte bianche che siaprivano su uffici divisi in scomparti. Alla fine del corridoio ce n'era un al-tro che lo incrociava, e poco prima una zona aperta con degli archivi, unpaio di poltroncine, una macchina del caffè e un frigorifero. Il posto appariva stranamente vuoto; lo stesso valeva anche per la caf-fettiera. Davanti a lui si trovava la porta di cui Leonie gli aveva parlato;sobrie lettere di bronzo dicevano Dott. Reynard Newland, Direttore. Colinbussò ed entrò. Il dottor Newland sedeva dietro a un'imponente scrivania di palissandro

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in uno studio che sembrava la riproduzione stereotipa di quello di un pro-fessore universitario di Oxford. Le finestre sul lato sinistro mostravano unpanorama di pini coperti di neve tra cui si intravedevano altri edifici delcampus. Scaffali ricavati nelle pareti ricoperte di pannelli di quercia eranocarichi di libri meravigliosi e amati, e c'era pure un armadietto di cristallocontenente oggetti artistici contro l'altro muro. Nell'angolo più lontano tro-vavano posto un tavolino basso e due poltroncine per stare più comodi, e itoni preziosi di un tappeto persiano antico risplendevano sul pavimento. Il dottor Newland doveva avere circa settantacinque anni, indovinò Co-lin, e la malattia che lo costringeva ad andare in pensione dava alla sua pel-le un pallore cereo. Ma si dimostrò piuttosto allegro ed energico quando sialzò e indicò a Colin una sedia. «Si sieda, dottor MacLaren. Ha l'aria stanca: spero non abbia avuto trop-pe difficoltà a trovare il college.» «L'ho trovato solo dopo aver esaurito ogni altra possibilità», ammise Co-lin con un sorriso. «Mi dispiace di essere in ritardo.» «Oh, non fa niente. Stavo recuperando il ritardo nelle mie letture profes-sionali; questo posto, praticamente, va avanti da solo.» Il dottor Newlandindicò un mucchio di riviste specialistiche in un angolo della scrivania.«Ma la sto trascurando. Desidera una tazza di caffè? Di tè?» «Tè, grazie, ma non vorrei disturbarla», rispose Colin esitante. Il dottorNewland aveva già chiamato Leonie al telefono, e vi fu una breve pausamentre le dava istruzioni e la congedava di nuovo. Come Michael Davenant aveva predetto, il dottor Newland era ansiosodi intervistare qualcuno del calibro di Colin per sostituirlo. Purtroppo,sempre secondo le supposizioni di Davenant, era incline ad assumere laprospettiva dell'università sulla faccenda. «È piuttosto triste: il lascito Bidney è qui fermo, bloccato dall'istituto,mentre il college deve elemosinare fondi. Gli amministratori non accettanodenaro federale; no, il college funziona ancora secondo i termini dello sta-tuto del 1714, ed è finanziato interamente da fonti private. Ma di questitempi...» Colin sapeva che i college di materie umanistiche di tutto il Paese sta-vano chiudendo, incapaci com'erano di contenere i costi di iscrizione perattirare gli studenti. «Ma certo trasferire il lascito della signorina Bidney all'università nonpuò essere la soluzione giusta, no?» chiese Colin con tatto. «Penso che lapresenza dell'istituto possa essere un importante vantaggio per il Taghka-

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nic. Pochi sono gli atenei che offrono una laurea in parapsicologia in que-sto periodo.» «Giustissimo», confermò con aria dubbiosa il dottor Newland. «Masembra tutto inutile. Cosa possono fare con i loro diplomi una volta che lihanno ottenuti? I fenomeni psichici non possono essere quantificati; si ri-ducono a fumo e specchi. Il metodo scientifico è una maledizione per ilMondo degli Spiriti.» «Non credo sia del tutto vero», obiettò Colin lentamente, restio a of-fendere il suo ospite. «Certo non sempre in passato gli eventi psichici han-no mostrato un rapporto di causa ed effetto in laboratorio, ma è possibileche questo sia dovuto alla nostra ignoranza delle variabili coinvolte. E isoggetti umani comportano un errore umano: cos'accadrebbe se cercassimodi provare l'esistenza di un tono musicale perfetto e il 99,99 percento deisoggetti fosse affetto da sordità tonale? Avremmo bisogno di un campionestatistico più vasto anche solo per cominciare a isolare il fenomeno da stu-diare.» Quando Colin tacque vi furono dei colpetti alla porta e Leonie entrò conun enorme vassoio d'argento. Vacillando leggermente sotto il suo peso, loappoggiò con cautela sul tavolo nell'angolo, sorrise radiosamente ai dueuomini e se ne andò di nuovo. Ci fu un'altra pausa nella conversazione mentre Colin e il dottor Ne-wland prendevano posto sulle poltroncine meno formali nell'angolo. «Cielo», commentò Colin guardando il vassoio. Conteneva amaretti efette di torta oltre al necessario per il tè. «Non mi aspettavo tutto questo.» «Ho sempre sostenuto che un tè come si deve costituisca un'influenzaportatrice di civiltà», dichiarò fermamente il dottor Newland, «e ammettodi essere contento di incontrare un altro bevitore di tè. Versa lei?» Non era la più strana circostanza vissuta da Colin scoprire che quel po-sto gli sarebbe stato offerto non per le sue qualifiche ma per il fatto chepreferiva il tè al caffè; del resto, non credeva mai agli incidenti. Anche senon possedeva doni psichici, Colin cominciò a credere di essere prede-stinato a prendere il posto del dottor Newland. Mentre chiacchieravano gustando tè e dolci, scoprì che l'attuale direttoreera un parapsicologo della vecchia scuola. I suoi interessi risiedevano qua-si esclusivamente nei fantasmi - il più soggettivo dei fenomeni psichici -mentre trascurava altre capacità quantificabili come la chiaroveggenza e lapsicocinesi. Inutile dirlo, la visione del mondo del dottor Newland non

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ammetteva neppure la possibilità di entità incorporee inumane, e Colin eraabbastanza saggio da non sollevare la questione. Ma gli risultò tragicamen-te facile capire che, negli ultimi decenni, l'Istituto Bidney si era ridotto aun'estensione degli interessi del dottor Newland e come mai il college loconsiderasse ormai alla stregua di un ramo secco moribondo e inutilmentericco. «Ma sarebbe assai difficile per il college impossessarsi dell'eredità Bid-ney?» chiese Colin poco dopo. «Oh, no, giovane amico. Il Taghkanic è sempre stato l'erede di ciò chesarebbe rimasto dopo il pagamento dei debiti e dei legati. Nel caso che ilPremio Bidney venga assegnato, il fondo di dotazione sarebbe certamenteliquidato per pagarlo, e nel caso che l'istituto non sia in seguito in grado dimantenersi, il saldo andrebbe pagato all'università.» L'intera fortuna di Margaret Bidney era stata destinata a finanziare la ri-cerca nel campo della scienza psichica, e utilizzata tra l'altro per creare l'I-stituto Bidney, ma il suo testamento prevedeva anche che venisse dato ilpremio di un milione di dollari all'individuo capace di provare in modo de-finitivo e verificabile di possedere capacità paranormali. Anche se diversicandidati si erano presentati per oltre cinquant'anni, il premio non era maistato assegnato. «Immagino consideri improbabile che qualcuno riesca a ottenerlo», ipo-tizzò Colin. «Ma certo», confermò il dottor Newland sorridendo. «Quando sono arri-vato qui, negli anni Trenta, ammetto che ero eccitato al pensiero che qual-cuno arrivasse e chiedesse di riscuotere il premio, rivoluzionando il mondodella scienza come lo conoscevamo, e certamente non passava una setti-mana senza che qualcuno ci provasse. Ma i criteri per la sua assegnazionesono così rigidi - ed è questo il motivo per cui l'istituto ha alle sue dipen-denze un illusionista - che nessuno c'è mai riuscito.» «Quella del prestigiatore è un'ottima idea», dichiarò Colin. «Sa, la signorina Bidney non era una stupida - ho avuto il privilegio diincontrarla una volta, da giovane - anche se la gente tende naturalmente aequiparare la credenza nel Mondo degli Spiriti alla dabbenaggine. Chiun-que otterrà il premio se lo sarà meritato.» Quando Colin firmò il contratto per il posto di direttore dell'Istituto Bid-ney qualche settimana dopo, aveva l'impressione di aver lavorato duroquanto chi aspirava a vincere il famoso premio.

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Anche se, da una parte, si credeva predestinato a diventare il nuovo di-rettore dell'istituto, dall'altra c'erano molte persone da convincere. Il consi-glio di amministrazione dell'istituto, per esempio, e il preside del Taghka-nic College. In nessuno dei due casi si rivelò un'impresa facile, per ragioniopposte. Poi vi furono i particolari del trasferimento da curare, anche se fortu-natamente aveva terminato i suoi impegni con la Selkie Press rispettandola tabella di marcia e Alan aveva perfino trovato un acquirente per i suoicontratti: la Blackcock Books, incoraggiata dal successo del best seller po-stumo di John Cannon, aveva deciso di investire maggiormente in titoliNew Age. Fortunatamente, Colin era riuscito a prendere in affitto una vecchia fat-toria di epoca coloniale su Greyangels Road. Era solo a una mezzora d'au-to dall'istituto, almeno quando il tempo era buono. Quel posto trasmettevaun senso di pace e solitudine profonda che gli ricordavano la casa in cuiera cresciuto, e la vista dalle finestre della camera da letto - del frutteto edel fiume poco oltre - toglieva il respiro. Si era trasferito nella nuova abi-tazione in tempo per godersi lo splendore di un'estate nella valle dell'Hu-dson, e scoprì con grande sollievo - dal momento che non c'era la possibili-tà di installare un sistema di condizionamento d'aria, visto lo stato dell'im-pianto elettrico - che la vicinanza del fiume limitava il calore e l'umiditàrendendoli simili a quelli delle estati nella California settentrionale a cuiera abituato. Avrebbe assunto le funzioni di direttore in settembre. Fino a quel mo-mento l'istituto aveva seguito l'anno accademico del Taghkanic, una dellemolte abitudini che Colin intendeva cambiare. Non ce n'era motivo, pro-prio come non aveva senso che tutto lo staff dell'istituto fosse costituito dainsegnanti dell'università. Più Colin passava in rassegna lo stato dell'istitu-to, più trovava dei cambiamenti da apportare. Fortunatamente - nonostantel'influenza del consiglio di amministrazione dell'istituto e del college - ildirettore aveva vasti poteri per definire il mandato dell'istituto, e Colin in-tendeva sfruttarli al massimo. Mentre si sistemava e si preparava al nuovo lavoro, si teneva in contattocon San Francisco, e le notizie che gli giungevano non erano buone. Simon era infine stato dimesso, anche se era prevista ancora una lungaserie di operazioni per la mano e l'occhio. Riusciva a camminare - e perfi-no a guidare - senza particolari difficoltà, e aveva accettato un posto comedirettore straordinario dell'orchestra sinfonica per la stagione 1974-75.

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Ma Alison riferì che era deciso come sempre a ricominciare a suonare,ed era pronto a fare qualsiasi cosa - ovvero a usare la magia - per ritrovarele sue capacità di pianista. Aveva tagliato tutti i ponti con lui, e aveva fattoin modo che la comunità locale dell'occulto fosse al corrente della sua di-sapprovazione. Una volta Simon sarebbe rimasto pietrificato dal dolore peruna presa di posizione del genere, ma ora - secondo Claire, che era semprerimasta in contatto con Colin - si era semplicemente messo a ridere, impu-tando il comportamento di Alison alla debolezza mentale dovuta all'età.Claire restava ancora da Alison, ma adesso che aveva perso ogni speranzadi convincere Simon stava progettando di tornare sulla costa orientale. Colin si era chiesto se fosse il caso di intervenire, di avvisare Simon delpericolo spirituale in cui si trovava, ma dalla prima volta in cui si erano in-contrati loro due avevano sempre avuto la tendenza a scontrarsi. Il suo in-tervento probabilmente avrebbe indotto Simon a intestardirsi ulteriormentee a spingerlo ancora più lontano sul pericoloso sentiero imboccato. Alla fine, Colin aveva scritto a Simon una lettera prudente e formale, incui elencava con scrupoloso disinteresse le ragioni per cui disapprovava ilsuo comportamento, anche se la psiche gli bruciava ancora per i postumidella propria scelta disastrosa. Non aveva ricevuto risposta, ma promise solennemente di non ab-bandonare Simon, anche se sarebbero potuti passare anni prima che queglifosse pronto a dargli retta. Nel frattempo, si gettò a capofitto nel lavoro al-l'istituto. Non mi abituerò mai a questi benedetti abiti da sera, pensò Colin rasse-gnato mentre si annodava il papillon davanti allo specchio del bagno pienodi macchie. Ma nell'invito c'era specificata la richiesta dell'abito scuro, eColin aveva già imparato che, poiché la vicina colonia di artisti era capacedi mettersi in ghingheri di tanto in tanto, il college non voleva essere dameno. La festa di quella sera si sarebbe tenuta nella casa del preside Quiller, el'occasione era l'annuncio formale della nomina di Colin e la sua pre-sentazione alla società dell'università. Non era ansioso di partecipare, ma la politica sembrava essere una fun-zione di ogni umano sforzo, e sapeva perfettamente che la scelta del suonome non aveva riscosso particolare successo tra gli amministratori, cheavevano sperato di assistere allo smantellamento dell'istituto alla partenzadel dottor Newland.

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Anche se Colin comprendeva razionalmente il punto di vista dell'am-ministrazione universitaria, pensava che questa avrebbe dovuto concen-trarsi piuttosto sui vantaggi che l'istituto poteva garantire al college. Ge-stito nel modo giusto, il corso di studi di parapsicologia poteva certamenteprodurre entrate generose grazie alle sole iscrizioni di studenti. E il suo va-lore per l'università in termini di ricerca e prestigio poteva difficilmenteessere sopravvalutato. Tutto ciò che doveva fare, pensò Colin con sarcasmo, era convincerli. La casa del preside Quiller era nel campus, e costituiva un esempio esu-berante di gotico Riverboat; era stata costruita quasi un secolo prima su unpromontorio a picco sul fiume Hudson. Dalle finestre dell'imponente di-mora filtrava la luce nelle tonalità del rosso cupo e del verde. C'era un via-letto di ghiaia sul davanti con diverse auto parcheggiate, e Colin sistemò lasua nuova Volvo in coda alle altre. Aveva dovuto disfarsi del furgoncino -per quanto affidabile - semplicemente perché lì avrebbe dovuto guidare dipiù e in condizioni peggiori. E perché, anche se lo trovava deplorevole,doveva adattarsi a certi canoni di comportamento consoni al direttore del-l'Istituto Bidney. Anche se il sole calava presto nella valle dell'Hudson, c'era ancora ab-bastanza luce al suo arrivo da permettergli di guardare il panorama spet-tacolare del fiume; la riva opposta era una semplice sagoma nera sullosfondo del cielo luminoso. Dopo un attimo di ammirazione si diresse versola casa. Leonie Nesbit aprì la porta mentre Colin saliva gli scalini. Indossava uncompleto pantalone di velluto stampato a colori scuri e una camicia pienadi balze. «Dottor MacLaren!» cinguettò. «Entri!» «Circa la metà degli ospiti sono già arrivati», disse, accompagnandolonel salone principale. «Il dottor Quiller ha invitato i rappresentanti del-l'università per l'aperitivo e solo i responsabili dei vari dipartimenti e imembri dell'istituto per cena, così li potrà conoscere.» E il personale dell'università si mangerà l'istituto a colazione, concluseColin sardonicamente. Be', avrebbe fatto del suo meglio per essere di-plomatico e appianare i conflitti, anche se ci sarebbero voluti mesi, forseanni. Un lavoro impegnativo, ma per il quale si sentiva all'altezza. «Colin!» Il saluto del dottor Newland era sinceramente caloroso. «Vieniqui, ragazzo mio, a conoscere tutti. Harold - il preside Quiller - è da qual-

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che parte... O almeno, sono sicuro di averlo visto pochi minuti fa...» A cinquantatré anni, rifletté Colin, erano sempre meno le persone cheavevano il diritto di chiamarlo «ragazzo mio», ma tra queste il dottor Ne-wland meritava quel privilegio. Leonie si allontanò con tatto e Colin si la-sciò condurre dal direttore uscente in cerca del loro ospite. Ma il preside Quiller non sembrava trovarsi nella parte anteriore dellacasa, e dopo qualche minuto di ricerca infruttuosa il dottor Newland ac-compagnò Colin verso un drappello di persone. «Immagino che ti dovrò pure presentare a qualcuno, caro ragazzo; LeeChapman, John Dexter, Miriam Gardner, Morgan Ives», disse, pre-sentandogli due uomini e due donne. «Tutti miei stimati colleghi. Ma ti la-scio fare conoscenza con loro mentre vado a cercare Harold. So che è an-sioso di conoscerti.» Se rimane qualcosa di me quando i leoni avranno finito, pensò Colin,passando in rassegna il quartetto. Costituivano, insieme a pochi altri, ilpersonale dell'istituto, ed era la prima volta che Colin aveva l'occasione diincontrarli. Tra loro, solo Morgan Ives e John Dexter davano l'impressione di esserea loro agio in abiti eleganti. Morgan indossava una gonnellona di raso tra-puntata e un camicione pieghettato di lamé d'oro con l'eccentricità trasan-data di una diva, e portava ai polsi un numero esorbitante di braccialettiche le davano l'aspetto di una donna incatenata. «Colin MacLaren», lo salutò allungando la mano. I braccialetti tin-tinnarono. Aveva le unghie lunghe e con la punta quadrata, laccate dismalto rosso sangue. «E fantastico conoscerla, sono certa che ci capiremoalla perfezione.» «Taglia, Morgan. MacLaren si mangia rovesciatori di tavoli come tè acolazione», intervenne amabilmente Dexter. Teneva le mani sprofondatenelle tasche dello smoking che indossava con la disinvoltura di chi portagiacca e cravatta in ufficio. Per qualche motivo, risultava vagamente fa-miliare a Colin. «Non ho mai rovesciato un tavolo da medium in vita mia, Dexxy», o-biettò Morgan risentita, ritirando la mano e fulminandolo con lo sguardo. «Forse no, ma ti lasci infinocchiare da tutti quelli che lo fanno», ribattéDexter prima di rivolgersi nuovamente a Colin. «John Dexter. Ho seguitocon grande interesse la sua attività di smascheramento di imbroglioni.» Improvvisamente Colin capì come mai Dexter gli appariva così fami-liare. «Ho l'onore di parlare con Theophrastus il Grande?» chiese.

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«Ah, ha sentito parlare di me?» chiese Dexter lusingato. «Ho avuto l'opportunità di vederla in azione una volta al Magic Castle.Non ho mai visto dei trucchi tanto ben fatti da vicino», rispose Colin one-stamente. «Le classiche illusioni di scena sono divertenti», osservò Dexter, «masostanzialmente il pubblico sa di venire imbrogliato e non gli interessacome. Da vicino, invece, sono obbligati a prestare attenzione.» Ma-terializzò dal nulla una moneta e se la fece rotolare sulle nocche delle ditacon un sorriso simpatico. «Vedo che ha incontrato il mago preferito di Newland in una vita prece-dente», intervenne Lee Chapman sgarbatamente, «anche se sarebbe piùopportuno dire che la sua professione è l'intimidazione. Una volta che ilnostro signor Dexter ha finito di \"assicurarsi che non imbroglino\", i mieimedium sono così demoralizzati che non riescono a dimostrare i propri po-teri.» «Forse perché non ne hanno», ribatté Dexter; l'acredine nella sua vocesuggeriva che il conflitto durava da tempo. Gettò la moneta in aria e la fecescomparire. «In tutti gli anni di pratica dell'Arte, non ho mai visto...» «Signori», li interruppe Miriam Gardner con fermezza sufficiente permetterli entrambi a tacere. «Non ha senso spaventarlo; che vi piaccia o no,è il nostro nuovo capo. Cerchiamo quindi di essere gentili con lui.» Sorrisea Colin con un certo nervosismo. Miriam Gardner era più prossima ai cinquanta che ai quaranta, grassot-tella come una pernice e bassa di statura. Portava un abito di uno sgradevo-le color bronzo che sembrava ricavato da vecchie tende di broccato, e i ca-pelli corti erano colorati con l'henne in una sfumatura di rosso poco con-vincente. Ricordava a Colin un animale della foresta sorpreso lontano dallatana, che sbatte confuso le palpebre alla luce dei fari in avvicinamento. «Be', tra non molto dovrà ascoltare tutte le nostre sciocchezze», concluseChapman con pigra giovialità, e una generosità maggiore di quella che Co-lin si era aspettato. «Per stasera sono disposto a sotterrare l'ascia di guer-ra.» «Sono ansioso di parlare con ciascuno di voi in privato del futuro del-l'istituto», dichiarò Colin. «Anche se dubito che la vostra opinione possaessere considerata un mucchio di sciocchezze, signor Chapman.» Questi si occupava di telepatia e visione a distanza, mentre la Ives si in-teressava all'attività dei medium legata alla sopravvivenza e al trasferi-mento di personalità, ai fantasmi, per dirla con parole povere. Gardner

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sembrava principalmente un esperto di folklore, da quello che Colin avevapotuto vedere sui registri dell'istituto. «Sono tutte sciocchezze», gli assicurò Dexter con la sicurezza avventatadello scettico convinto. «Parliamo di qualcosa d'altro. Oh, ecco Lion; Lion,vieni a conoscere la nostra prossima vittima...» Colin aveva appena cominciato a discorrere col professor Lionel Wel-ling - Lion per gli amici - quando avvertì un movimento intorno a lui, co-me la reazione di un branco di pesci all'avvicinarsi di uno squalo. «Ah, dottor MacLaren», disse Harold Quiller, infine riapparso. «Eccolaqui. Desideravo tanto incontrarla.» Il preside Quiller si avvicinò a Colin come un transatlantico che taglia lastrada a un rimorchiatore. Con la coda dell'occhio, Colin vide che il perso-nale dell'istituto si era volatilizzato con la destrezza dovuta a una lungapratica. Colin aveva già incontrato Quiller durante la serie di colloqui precedentil'assunzione; era un politico nato, e aveva inseguito il denaro Bidney conla determinata avidità di un corsaro del diciassettesimo secolo a caccia diuna nave contenente un tesoro Mughal. Il fatto che Colin avesse ottenuto ilposto invece del suo candidato - che sosteneva l'idea di una serie di«scambi» tra il budget dell'istituto e quello dell'università - era consideratodal preside del Taghkanic un semplice inconveniente, nulla più. La loro conversazione di quella sera assomigliava più a una schermagliache a un vero scambio di informazioni. Quiller voleva assicurarsi che Co-lin ascoltasse i suggerimenti dell'amministrazione, mentre Colin non eradisposto a impegnarsi con una promessa del genere. Dopo diversi minuti,Quiller cedette e gli augurò un lungo e felice futuro all'istituto. Mentre siallontanava, Colin provò la sensazione di sollievo di chi ha stuzzicato unatigre ed è sopravvissuto. «Un punto per il nuovo arrivato», commentò Dexter sottovoce ri-comparendo all'improvviso. «Ha l'aria di aver bisogno di un drink.» Gli al-lungò un bicchiere di plastica contenente un liquido ambrato senza ghiac-cio. Colin sorrise con aria un po' torva. Anche se aveva vinto il primo scon-tro, sembrava che lo aspettasse una lunga guerra. Accettò con gratitudine ilbicchiere. Scotch. Dexter aveva indovinato, oppure si era informato benesui suoi gusti. Una volta eliminato l'inevitabile scontro con Quiller, Colin andò a in-contrare quasi tutti i membri del personale del Taghkanic. Molti di loro,

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come il professor Auben Rhys e Lionel Welling del dipartimento di teatro,erano assolutamente amabili, ma altri si dimostrarono freddamente ostilicome il preside dell'università. Nel corso della serata si rafforzò in lui la convinzione che gli insegnantiuniversitari di ogni parte del globo avessero più somiglianze che differen-ze. Se chiudeva gli occhi, poteva immaginare di essere di nuovo a Berke-ley dodici anni prima; dal momento che il Taghkanic era un'università incui si insegnavano materie umanistiche, poi, neppure le convinzioni politi-che erano tanto diverse da quelle di Berkeley negli anni Sessanta. «Non mi interessa quello che dici, Lion», dichiarò Selena Purcifer ar-rabbiata. «Il budget deEa biblioteca è stato tagliato di nuovo per per-mettere a un branco di eccentrici di andare a caccia di UFO. Non penso siaun buon motivo per festeggiare.» «Andiamo, Purcy», cercò di calmarla Lion Welling. «Le due cose nonhanno alcun rapporto. Tutti i budget sono stati ridotti. È la natura della be-stia.» Colin voltò loro le spalle prima che si accorgessero che origliava. SelenaPurcifer era la direttrice della biblioteca, e una delle persone che avevaparticolarmente sperato di avere dalla sua parte. Se l'Istituto Bidney posse-deva ora i dossier del Gruppo Ehodes, sarebbe stato un lavoro enorme ca-talogarli per renderli accessibili al pubblico, e Colin progettava di lavorarea stretto contatto con il personale della biblioteca. Forse c'era il modo difar affluire il denaro Bidney alla biblioteca senza aprire le porte a un sac-cheggio su larga scala dell'istituto. Ma anche quello era un problema da af-frontare in futuro. Fu piuttosto contento di essere coinvolto in un'altra conversazione, edoppiamente sollevato perché non aveva nulla a che vedere con l'universitào con l'istituto. Finalmente l'aperitivo terminò e gli ospiti del preside Quil-ler andarono a cena. Anche se vi furono commenti isolati che riguardavano il lavoro o eventiche si sarebbero svolti nel semestre autunnale, in generale la conversazionesi concentrò sull'attualità, in particolare il processo Watergate, che si tra-scinava ancora. Le udienze erano state trasmesse in televisione da maggio,e avevano esercitato una sorta di fascino perverso su Colin; le aveva guar-date ogni volta che ne aveva avuto la possibilità. Prevedibilmente gli insegnanti di materie umanistiche condannarono al-l'unanimità Nixon e le sue attività, ma Colin fu leggermente sorpreso chenessuno di loro indagasse più in profondità e si chiedesse come poteva es-

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sere accaduta una cosa del genere. Corruzione e indifferenza morale su unascala così vasta non potevano essere considerate un incidente isolato, né unfenomeno sviluppatosi in un compartimento stagno, ma nessuno dei com-mensali fece le domande essenziali: chi, come e per quanto tempo. Era come se volessero credere che lo scandalo Watergate potesse essereil risultato del cattivo operato di una sola persona, facilmente tolta di mez-zo con l'incriminazione. La discussione lasciò Colin indicibilmente depres-so, come se avesse ascoltato le chiacchiere presuntuose di bambini piccoli.Ma erano quelli gli individui che stavano plasmando le menti della genera-zione successiva. Thorne aveva ragione; Simon aveva ragione; anche - che Dio mi aiuti -Toller Hasloch aveva ragione, possa la sua anima trovare pace in quellaprigione. Abbiamo perso la guerra sotto l'unico aspetto veramente impor-tante. Abbiamo combattuto per il modo di vita americano - per le quattrolibertà - ed esse hanno semplicemente cessato di esistere in questo paese. E ogni anno bisogna compiere uno sforzo maggiore per restare ciechi difronte a quel fatto... PARENTESI VI Glastonbury, settembre 1979 Per diversi anni Colin e io ci vedemmo poco. Era come se stesse chiu-dendo la porta in faccia al mondo, anche se poteva sembrare che nel mon-do si fosse immerso più di prima, lavorando al turbolento Istituto Bidney.Forse l'incidente di Simon aveva ferito anche Colin, e aveva fatto di lui unuomo tetro e disperato, anche se a volte penso che gli dovesse essere acca-duto qualcosa anche prima. Qualunque cosa fosse non ne fece mai accenno, e l'aggiunse alla serie dielementi e pensieri che non condivideva con me. Ma dopo quel terribileNatale in cui Simon finì all'ospedale, Colin cambiò. Era come se, combat-tendo per la sopravvivenza dell'istituto, stesse battendosi anche per la pro-pria vita. Ma lentamente i suoi sforzi vennero ripagati dai successi. Assunse nuò-vo personale, sfruttando i contatti che il dottor Newlahd gli aveva lasciatoin eredità e quelli che gli restavano dalla collaborazione col Gruppo Rho-des. Entro pochi anni l'istituto si fece la reputazione di studiare l'occultocon atteggiamento ben disposto ma severo. Al ricercatore che si fosse fattobeccare da Colin mentre falsificava i risultati non restava che votarsi a Dio,

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e nessuno avrebbe invece potuto aiutare un medium che cercava di imbro-gliarlo. Le volte in cui affrontava dei truffatori nel campo dell'occulto erano leuniche occasioni in cui ho visto Colin perdere realmente le staffe: non rea-giva allora con la fredda e furiosa determinazione che era una sua ca-ratteristica, ma con una furia fragorosa da scozzese che tuonava come l'an-nuncio di una sentenza. Poche erano le persone che riuscivano a tenerglitesta in momenti del genere, e tra loro non c'erano certo quelli che JohnDexter aveva felicemente definito «rovesciatori di tavoli», categoria in cuicomprendeva non solo falsi medium e spiritualisti ma ogni sorta di truffa-tore nel campo delle attività psichiche. Credo che a volte cercasse lui stes-so persone del genere e le incoraggiasse a presentarsi all'istituto per lagioia di guardare Colin che li schiacciava senza pietà. Povero John. Ovunque si trovi adesso, gli auguro di trovare un pubblicoattento e un'ispirazione sempre presente. Era un'anima coraggiosa, che ci èstata tolta troppo presto. Ma questo è un vecchio dolore, e John era certamente presente nei primianni del regime di Colin - uso volontariamente questo termine - dove as-sunse il ruolo di buffone di corte mordace accanto al re leone. Fin dall'inizio Colin aveva una visione ben precisa di quello che l'istitutoavrebbe dovuto essere e di come metterla in pratica. Imponeva canoni dicomportamento estremamente severi al personale e teneva lui stesso uncorso di etica dell'occulto, obbligatorio per tutte le matricole che desidera-vano seguire il corso di parapsicologia. Al Taghkanic non si studiava pa-rapsicologia senza una solida comprensione di quello che Colin MacLarenconsiderava giusto o sbagliato. Non seppi mai quale peccato cercava di espiare in questo modo. Sarebbestato indiscreto da parte mia chiederlo, e inutile: Colin era già più severocon se stesso di quello che una qualsiasi altra persona avrebbe potuto esse-re. Gli anni passarono e quello che chiedevamo alla vita cambiava imper-cettibilmente, mese dopo mese, così che solo anni dopo ciascuno di noi sisvegliò e si trovò su sentieri che non avrebbe mai pensato di percorrere.Colin aveva forse immaginato di stabilire norme morali per una gene-razione? Eppure era quello che stava facendo all'Istituto Bidney, no? E per quanto riguarda me... Nel 1976 avevo trentacinque anni. Dopo i trenta, una donna sfugge fi-nalmente all'ombra della sua infanzia e all'inevitabilità delle attese della

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famiglia e raggiunge l'età adulta, diventando infine una persona completa. Anche se avevo troncato ogni legame con la mia famiglia molto tempoaddietro e i miei genitori adottivi erano morti, portavo con me lo stessobagaglio emotivo di chiunque altro. Soprattutto, penso, non mi ero maisentita in diritto di essere felice, ma il 1976 fu l'anno in cui crebbi anch'io emi resi conto che spettava a me, e a nessun altro, provvedere al mio appa-gamento personale. Per molti anni il mio sogno era stato possedere una libreria, e in quel-l'anno aprii Rivolgersi all'Interno a Glastonbury. Avevo deciso da molto tempo che il tipo di negozio che volevo erachiamato in quei giorni «libreria esoterica», ma sapevo anche che non lovolevo simile alla Bottega degli Stregoni, con i suoi barattoli di pipistrellidisseccati e rane mummificate. Desideravo una libreria che potesse anchecostituire un rifugio per i cercatori turbati come lo ero stato io in passato. Era il periodo peggiore dell'ultimo ventennio per dare vita a una piccolaattività commerciale - i tassi di inflazione erano alle stelle e c'erano pochisoldi -, ma avevo i miei risparmi e l'assicurazione di Peter, ed ero determi-nata a non rimandare oltre un progetto che avevo sognato tanto a lungo. Potreste pensare che la scelta di Glastonbury fosse motivata dalla vi-cinanza di Colin, e può darsi che sia così, dal momento che in quegli anniaveva un grande bisogno di amici, ma si trattò anche di una decisione ba-sata su motivi puramente pratici. Per cominciare, non potevo permettermidi aprire una «libreria esoterica» a Manhattan: sarei fallita in un minutonewyorkese, come si dice. Mi serviva un posto dove gli affitti fossero bassima ci fossero dei clienti, e Glastonbury sembrava il posto più adatto allemie ambizioni. Quale luogo migliore di una città vicina a un'università che offriva undottorato in parapsicologia? Trovai un locale vuoto; Colin reclutò la forzalavoro tra i suoi studenti e, in breve tempo, Rivolgersi all'Interno era pron-to per l'apertura. Fui fortunata: il negozio funzionava bene, e presto mi trovai immersa neicataloghi di vendita di prodotti di cui non avevo neppure immaginato l'esi-stenza. I miei preferiti erano le bombolette spray di incenso di marca Anti-malocchio e i «Kit completi per streghe», che assicuravano di conteneretutto il necessario per diventare una strega e fare un incantesimo. Inutile dire che nessuno dei due articoli si trovava nel mio negozio, an-che se proponevo una piccola selezione di oli, infusi e incensi innocui. So-prattutto, però, vendevo libri, perché mi proponevo di contribuire alla dif-

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fusione del sapere. Mai prima di allora - né dopo, a mio avviso - se ne av-vertiva tanto l'esigenza. Negli anni Settanta la spiritualità era diventata parte del movimentofemminista e si era scissa quasi del tutto dai suoi antecedenti magici. LaWicca, che all'inizio quasi tutti consideravano come la sorella minore delsatanismo, aveva prosperato come Religione della Terra che non aveva de-biti nei confronti del Cristianesimo e preparava il terreno per altre forme diNeopaganesimo. Era l'adorazione di una dea, non una forma di magia, che interessava lamaggior parte dei miei clienti. Anche se non erano contrari agli incan-tesimi, la loro magia era della forma più semplice. Se si chiedeva a uno diloro di calcolare il tempo siderale o di preparare un oroscopo per deter-minare gli angeli dominanti per i loro rituali, si sarebbero semplicementemessi a ridere; l'efficienza americana si applicava infine alla magia, con ri-sultati indubbiamente peculiari. Anche se non fui mai tentata di ripudiare la mia fede, consideravo co-munque positivi le congreghe di streghe femministe e i circoli di guaritoriche adoravano la dea, perché costituivano un contrappeso necessario allecorrenti profondamente materialistiche che stavano cominciando a darenuova forma alla vita quotidiana. Gli yuppie stavano sostituendo gli hip-pie, e coloro che erano stati sulle barricate pochi anni prima mettevano insoffitta il loro idealismo per dedicarsi all'attività, brutalmente concreta, diguadagnarsi da vivere. La maggior parte di loro lo faceva, almeno. Poi, naturalmente, c'era Hunter Greyson... CAPITOLO 16 Glastonbury, settembre 1979 Come può il tuo cuore essere traboccante di primavera? Un migliaio di estati sono ormai morte e finite. Cos'hai trovato nella primavera da indurti a seguirla? Cos'hai trovato nel tuo cuore da indurti a cantare? Algernon Charles Swinburne Colin sapeva di averci visto giusto: ogni anno era necessario uno sforzomaggiore per ignorare la fondamentale corruzione dell'anima americana.Ma sembrava anche che la nazione fosse disposta a compierlo.

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Alla fine degli anni Settanta i cittadini della Nazione di Woodstock era-no silenziosamente passati, nella maggioranza dei casi, al brokeraggio eagli studi legali, avevano scambiato le pipe di hashish con le piste di cocae si erano preparati per l'orgia consumistica lunga un decennio che avrebbearrestato la sua corsa frenetica solo con il Martedì Nero e la diffusione del-l'AlDS. L'ultimo idealismo degli anni Sessanta aveva fatto una brutta fine nelleaule del processo Watergate, e il termine grottesco ed egoistico della guer-ra del Vietnam nel 1975 aveva messo una lapide sulla sua tomba. Due fal-liti tentativi di assassinio contro il successore designato di Nixon, GeraldFord, a meno di tre settimane di distanza provocarono risate e battute umo-ristiche quando, meno di un decennio prima, avrebbero suscitato l'orroregenerale. Era come se la nazione, quale un amante troppo spesso tradito,rifiutasse semplicemente di tenerci ancora. Il fervore sciovinista dei festeggiamenti per i duecento anni della na-zione americana, nel 1976, suonò stranamente vuoto, caratterizzato com'e-ra da una mesta nostalgia per il suo passato piuttosto che da una vera cele-brazione del Paese. Quell'autunno, in preda alla disperazione, l'America e-lesse alla presidenza un agricoltore cinquantaduenne della Georgia profon-damente incompetente, privo di esperienza politica ad alto livello, il piùgiovane candidato dopo Kennedy. Gerald Ford, che un tempo era statomembro della Commissione Warren e che venne sempre ricordato come«l'uomo che perdonò Nixon», scomparve dalla scena politica senza lascia-re traccia. Jimmy Carter lo seguì nell'anonimato un mandato più tardi, do-po aver perdonato i renitenti alla leva, dato via il canale di Panama, ricevu-to un Papa sul suolo americano e regalato alla nazione un tasso di inflazio-ne del 23 percento. La gente desiderava credere in qualcosa - anelava disperatamente allaverità -, ma da qualunque parte si voltasse vedeva i pericoli della fede. Ilreverendo Jim Jones portò i suoi seguaci del People's Temple alla mortecon un suicidio collettivo in Guyana, e in Iran il ritorno al potere del-l'ayatollah Khomeini condusse a un totalitarismo teocratico e all'occupa-zione dell'ambasciata americana di Teheran. Sessantatré americani venneropresi in ostaggio da «studenti», e l'influenza militare-industriale del loropaese non fu sufficiente per riportarli a casa. La cosa peggiore era che tutto appariva come uno scherzo niente affattodivertente.

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Mi chiedo se non sto diventando troppo vecchio per tutto questo, meditòColin MacLaren. Si trattava di una domanda retorica: in realtà, non si eramai sentito più vivo, più padrone del suo destino. Dopo sei anni l'istituto siera finalmente fatto una buona posizione, la prima ondata di studenti delnuovo programma di dottorato stava per diplomarsi e il Taghkanic avevaperfino fatto una leggera marcia indietro nell'eterno tentativo di imposses-sarsi dei soldi dell'istituto. Con il pensionamento del preside Quiller l'annoprecedente, un nuovo periodo di armoniosa collaborazione sembrava esse-re sorto all'orizzonte per l'Istituto Bidney. Si guardò attorno nel suo ufficio. Per un attimo lo sguardo gli cadde suoggetti cari: una foto della facciata della libreria di Claire, un'immagine diBarbara e Jamie Melford con i loro due figli, John Colin e Margaret Claire,una vecchia fotografia di Colin davanti al suo college di Oxford, un'altra dilui e Claire al parco del Golden Gate. Momenti strappati alla corrente im-petuosa del tempo e resi inviolabili per sempre. Un numero sufficiente dimomenti del genere dava un'impronta alla vita visibile a tutti. Il telefono suonò: Colin sollevò il ricevitore nascosto tra le pile di rivistee lo avvicinò all'orecchio. «Colin, mi avevi chiesto di chiamarti all'una e quarantacinque», gli dissela segretaria. «Alle due hai il Benvenuto nella Twilight Zone.» «Grazie, Christie, ci sarò», rispose sorridendo. L'Auditorium Lookerman era pieno quasi per un quarto all'ingresso diColin. Era un edificio grandiosamente rococò che portava il nome del fon-datore dell'università, Jurgen Lookerman, e assomigliava a un teatro del-l'opera viennese in miniatura, sfondo che il dipartimento di teatro trovavaideale per la rappresentazione di diversi spettacoli nel corso dell'anno. Quel giorno era stato sistemato un podio con microfono al centro delpalco a semicerchio. Diverse decine di giovani, una frazione importantedegli studenti del Taghkanic, lo stavano aspettando; quell'anno, per mi-racolo, erano tutti seduti davanti invece che nelle ombre in fondo all'audi-torium. Quando Colin salì sul palco, vide Dylan e Cassie e diversi altri chericonosceva dalle interviste condotte durante l'estate. Per frequentare i corsi di parapsicologia del Taghkanic (tutti tenuti dalpersonale dell'Istituto Bidney) uno studente doveva aver dato l'esame diIntroduzione all'etica dell'occulto durante il primo anno e aver avuto uncolloquio individuale con Colin prima dell'inizio del secondo anno. Fortu-natamente i colloqui estivi di quell'anno erano andati bene, rivelandogli in

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particolare due candidati particolarmente promettenti. Dylan Palmer ammetteva onestamente il suo interesse per i fantasmi, econ altrettanta franchezza il desiderio di inquadrare quel figlio disubbi-diente e turbolento della parapsicologia in una classica cornice scientifica.La sua ambizione a lungo termine era l'insegnamento, e Colin pensava chesarebbe stato un bravo professore. Anche se aveva appena vent'anni, l'aper-tura mentale e la sete di sapere facevano di Dylan un buon candidato allasopravvivenza in un settore dove teorie a lungo coltivate potevano esseresmentite in un baleno e i ricercatori dovevano spesso rassegnarsi a convi-vere per tutta la vita con le ambiguità. Cassilda Chandler, d'altra parte, era dichiaratamente mistica; un'«animaantica», come l'avrebbero definita alcuni colleghi di Colin. Voleva tutti glistrumenti che la scienza poteva fornirle, ma lo scopo era scoprire l'esten-sione dell'occulto con tutti i mezzi a disposizione. Cassie era proprio il tipodi studentessa che Colin voleva attrarre con il corso di studi proposto dalTaghkanic: una mente fresca e piena di domande che lui avrebbe potutoguidare oltre i molti ostacoli posti sul cammino dello studio del mondo de-gli spiriti. Colin sapeva che, se l'istituto voleva entrare nel ventunesimo secolo, ilsuo direttore doveva trovare e formare lui stesso la nuova generazione diricercatori di parapsicologia, e quindi, in un certo senso, reclutava at-tivamente studenti per quel corso di laurea. Per evitare di rispondere in-numerevoli volte alle stesse domande, aveva fatto in modo di aggiungerequella conferenza al programma della settimana di orientamento. Anche sechiunque era libero di partecipare, il pubblico era in genere costituito dafuture matricole e da qualche studente curioso del secondo anno. «Buon pomeriggio. Mi chiamo Colin MacLaren e sono il direttore delLaboratorio di Ricerca sulla Scienza Psichica \"Margaret Beresford Bid-ney\".» Qualche risata sparsa alla menzione del nome intero, poco orecchiabile,dell'istituto. «So che molti di voi sono curiosi di sapere cosa facciamo, e nel corsodei vostri studi al Taghkanic molti di voi parteciperanno alle ricerche del-l'istituto come volontari, mentre altri sceglieranno proprio la parapsi-cologia come campo di studi. Forse qualcuno ha voluto frequentare il Ta-ghkanic proprio per questo motivo. «Vorrei cominciare ricordando che l'istituto non si occupa di diffondereun particolare credo o dottrina, così come non pratica alcuna forma di reli-

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gione. La parapsicologia è una scienza giovane...» Mentre proseguiva con l'introduzione, Colin permise al suo sguardo dispaziare sul pubblico. Portavano tutti i capelli lunghi e vestivano di jeansma, mentre alcuni ascoltavano affascinati, altri stavano già cercando do-mande imbarazzanti da rivolgergli più tardi. Mentre continuava a spiegare, precisando che la parapsicologia non eraqualcosa di soprannaturale ma una componente normale - anche se rara -del mondo naturale, notò un nuovo arrivato. Il ragazzo - per la de-terminazione del sesso Colin aveva tirato a indovinare - portava una giaccadi camoscio bianco che splendeva in modo quasi soprannaturale nelle zonein ombra dell'auditorium. Mentre Colin lo guardava, avvertì un lampo im-provviso della memoria, un senso di riconoscimento. Ecco qualcuno cheaveva già conosciuto e che avrebbe conosciuto di nuovo. Allontanò con determinazione da lui quella distrazione. Se era destinoche loro due facessero conoscenza, non avrebbero potuto evitarlo; non sta-va a Colin forzare la mano dell'occulto o svelare ad altri le verità che ave-vano deciso di ignorare in quella vita. Parlò per un altro quarto d'ora, poidiede il via alle domande. «Ha detto che la parapsicologia non è l'occulto», osservò una ragazzaseduta in prima fila. «Ma voi non studiate l'occulto?» «In parte», spiegò Colin. «Quello che oggi definiamo \"occulto\" significasolo \"nascosto\": deriva dalla stessa radice latina di \"oculista\", e i mediciparlano ancora di esami per verificare la presenza di sangue \"occulto\" enon fanno certo riferimento alla magia, glielo assicuro. Gran parte di quel-lo che oggi liquidiamo come folklore e magia ha cominciato a esistere per-ché le persone hanno fatto un uso errato delle relazioni di causa ed effettoo hanno interpretato erroneamente ciò che vedevano nel mondo naturale.Uno degli obiettivi dell'Istituto Bidney consiste nel distinguere il grano dalloglio e nel decidere quale parte di questa eredità ha valore per il mondomoderno.» «Professor MacLaren?» Un ragazzo, questa volta, quasi eccessivamenteordinato con la giacca di velluto a coste, i jeans con la piega e le scarpe dipelle. «Vuol dire che la magia esiste?» «Questo lo do per scontato, ma dobbiamo prima definire cosa inten-diamo per \"magia\". Se parla di tirar fuori un coniglio dal cilindro e del-l'illusionismo di scena, quel tipo di magia è in perfetta salute, ma non l'in-segniamo al Taghkanic né la studiamo all'istituto. Se si riferisce ai giochidi prestigio dei fumetti, devo dire che non ho mai visto niente di simile.»

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«E cosa pensa dell'arte di apportare cambiamenti alla natura della realtàsecondo la volontà?» chiese una nuova voce. «Crede nelle pratiche magikecon la kappa, dottor MacLaren?» Era il giovane in fondo all'auditorium, e aveva citato la definizione clas-sica di magia proposta dal grande mago del ventesimo secolo, AleisterCrowley. «Se è così che definisce la magia», rispose onestamente Colin, «allora sì,ci credo. Venga a sedersi davanti, per favore: non mi piace gridare. Comesi chiama?» «Hunter Greyson», rispose il giovane, che avanzò verso il palco. I ca-pelli chiari sfioravano le spalle. «Mi sono trasferito qui da suny NewPaltz.» «La prossima volta, non arrivi in ritardo», lo avvertì Colin e passò a ri-spondere alla domanda successiva. Non vi furono altre sorprese nella sequenza di domande e risposte, e laconferenza finì puntualmente. I soliti studenti rimasero per fare un'ultimadomanda; com'era prevedibile, Hunter Greyson era tra loro, anche se a-spettò che tutti gli altri se ne andassero. «Speravo che potesse aiutarmi», disse Greyson. «Volevo seguire alcunidei corsi avanzati, ma mi hanno detto in segreteria che devo ottenere la suafirma.» Fece un sorriso accattivante. Gli era facile risultare affascinante, e avevala sicurezza tipica di chi, per tutta la giovane vita, era riuscito a ottenerequalsiasi cosa e a togliersi dai guai tramite la parola. I fantasmi di una consapevolezza che non avrebbe dovuto possedere simossero sotto la superficie della mente di Colin: quale dei morti amati glistava davanti in un nuovo corpo? «Avevano ragione», confermò Colin. Prese la lista di corsi dalle mani del ragazzo e la scorse rapidamente.«Ha in effetti bisogno della mia firma. Deve anche effettuare un colloquiopersonale con me e superare l'esame di Etica e pratica dell'occulto.» Vi fu una pausa mentre Colin vide Hunter digerire entrambe quelle in-formazioni e prepararsi a ribattere. «Be', mi sono appena trasferito qui e non ho ancora seguito il corso. So-no piuttosto preparato sull'argomento, però: se non posso evitare di passar-lo speravo almeno di poterlo seguire con gli altri...» Un nuovo gruppo di studenti stava riempiendo l'auditorium. Durante lasettimana di orientamento, il Lookerman era sempre pieno. «Ho un appuntamento alle tre, signor Greyson, e non possiamo restare

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qui. Perché non viene con me fino al mio ufficio così possiamo finire diparlarne?» «La New Paltz è un'università statale. Il Taghkanic quindi non è stata lasua prima scelta?» chiese Colin. All'inizio di settembre c'era ancora l'estate nella valle dell'Hudson, con igiorni soffocanti dell'estate indiana ancora a venire. Ma l'aria era grade-volmente ventilata, e i meli che punteggiavano il campus erano carichi difrutti maturi. «Sì, ma il Taghkanic costa molto, e dà la precedenza agli studenti dellostato di New York, e i miei voti non erano esattamente...» Il ragazzo alzòle spalle. «Signor Greyson», cominciò Colin. Era il momento più opportuno percercare di scoraggiare Hunter Greyson dall'interessarsi ai corsi di pa-rapsicologia. Era un ragazzo affascinante, e Colin era diffidente nei con-fronti del fascino pur essendone attratto: persone del genere tendevano aessere implacabili manipolatrici, e l'ascendente che esercitavano si rivelavanocivo anche per loro come per chiunque altro. «Mi chiami Grey.» Ancora quel lampo di sorriso irrefrenabile. «Va bene, Grey. Parlerò chiaro: onestamente non penso che tu sia adattoa seguire un corso di studi in parapsicologia, e i tuoi tentativi per evitaregli esami obbligatori come se valessero per tutti meno che per te non miimpressionano favorevolmente.» Grey lo fissò come se non riuscisse a credere alle sue orecchie. Non eracosì facile tornare a occupare il proprio posto in ogni vita: Colin non in-tendeva permettergli di approfittare di un'amicizia che avevano condivisoprima della sua nascita. «Ma... è tutto? Se devo aspettare un anno intero prima di cominciare icorsi del Bidney rimarrò indietro! Non è giusto! Non ha neppure guardatole mie qualifiche», strillò Grey. «Avresti dovuto metterti in contatto col Taghkanic prima per scoprirequali erano le condizioni di iscrizione», gli ricordò implacabilmente Colin.«Uno degli esami obbligatori è Introduzione all'etica dell'occulto. Speròche ti vedrò lì. Buon pomeriggio.» «Mi chiedo se non puoi proprio riconsiderare il caso di Hunter Grey-son», disse Eden Romney qualche giorno più tardi. La nuova preside del Taghkanic faceva in modo di pranzare una volta al-

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la settimana con Colin nella sala da pranzo del corpo insegnante, assi-curando così a entrambi, aveva detto con un sorriso, almeno un pasto de-cente alla settimana. L'Istituto Bidney era una presenza piuttosto in-gombrante; aveva il potenziale per creare ogni sorta di problema imba-razzante per l'università, e la dottoressa Romney insisteva per tenersi ag-giornata su ciò che vi accadeva. «Non sapevo che esistesse un caso Hunter Greyson», osservò Colin sen-za scomporsi. A dire il vero, a Colin rimordeva la coscienza per il modo sommario concui aveva liquidato il ragazzo all'inizio della settimana. Un atteggiamentononcurante nei riguardi di regole e requisiti non implicava necessariamenteche Greyson non fosse destinato a imboccare 11 Sentiero ancora una volta,né che non sarebbe stato un bravo studente. La dottoressa Romney scosse il capo. «Be', grazie a Dio non si tratta del-l'intervento dei genitori... In teoria ha una zia da qualche parte a ovest, mapraticamente Hunter Greyson è solo da quando ha sedici anni. Sai checoncediamo poche borse di studio qui...» «Buon Dio», esclamò Colin sorpreso. «Non dirmi che Greyson è qui conuna borsa di studio!» Ricordò che il ragazzo aveva parlato dei costi elevatidell'iscrizione, ma non vi aveva prestato particolare attenzione: era quelloche dicevano tutti. «Borsa di studio, permesso di lavorare durante la frequenza e qualcheprestito; l'ufficio finanziario ha sudato sette camicie per far quadrare il tut-to, ma siamo stati contenti di riuscire a farlo venire qui: dovresti vedere lasua lista di qualifiche e pubblicazioni.» «Capisco», commentò Colin, che invece non riusciva a seguirla. Glivennero risparmiati commenti ulteriori dall'arrivo di una studentessa chelavorava lì come cameriera, che portò loro il pranzo. L'area riservata all'u-so dei docenti si trovava al secondo piano della tavola calda del Taghkanic,e serviva anche da sala professori. «Forse mi dovresti aggiornare», disse, una volta che furono serviti.«Greyson ha detto di non avere voti particolarmente alti, quindi ammettodi essere stupito della borsa di studio», osservò, dopo aver mangiato unboccone. Romney sorseggiò il vino - un privilegio dei professori - e rifletté at-tentamente prima di parlare. «Be', i risultati del GRE e del SAT non sono niente di straordinario, masi è diplomato al liceo a sedici anni con lo status di minore emancipato e

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ha accumulato un curriculum impressionante da allora. Ha pubblicato unaserie di articoli su riviste specializzate e un giornalino di fumetti un-derground su Carl Jung, pensa un po'. Ha recitato in un caffè-concerto diSan Francisco e si è dedicato alla grafica; un sacco di esperienze diverse,insomma, e non sono neppure arrivata a metà. Apparentemente ora i suoiinteressi si concentrano sull'elaborazione di una arte-terapia basata sullesue teorie. Sta scrivendo un libro sull'argomento; ne ho visti i primi capito-li e, se il resto si mantiene allo stesso livello, penso che potrebbe esserepiuttosto brillante.» «E vuole seguire i corsi al Bidney», osservò Colin. «È uno dei motivi per cui ha scelto il nostro college», precisò la dot-toressa Romney. «E quando gli ho detto che doveva seguire le regole come chiunque al-tro, è venuto da te.» La dottoressa Romney apparve stupita: Colin stesso rimase sorpreso dalrancore nella sua voce. Trasgrediva a tutti gli insegnamenti ricevuti se la-sciava che la conoscenza di un'anima in una vita precedente creasse in luidei pregiudizi contro la sua attuale reincarnazione. E, in ogni caso, se pro-prio, avrebbe dovuto nutrire un preconcetto positivo in favore di Greyson,non contro di lui. Perché giudicava il ragazzo con tanta severità? «Mi dispiace, Eden. È stato un commento fuori luogo. Scusa», disse Co-lin. «Be', mentirei se non ammettessi che a volte i ragazzi possono darci suinervi. Ma per la cronaca è stato il suo tutor, il professor Khys, a par-larmene, e ho pensato di cercare di scoprire come mai non l'avevi accet-tato.» Paura. Colin era abbastanza onesto con se stesso da ammetterlo. Quando guar-dava Hunter Greyson non vedeva il potenziale di successo del ragazzo, mail potenziale di disastro. Vedeva Simon Anstey. Vedeva Thorne Bla-ckburn. Vedeva ogni altro brillante individuo avventuroso che era volatotroppo vicino al sole. Vedeva la morte di Grey, molto tempo prima, sull'altra riva del mare, elui che non riusciva a salvarlo. Oh, Michael... «Chiamerò Auben e cercherò di fissare un incontro con Greyson», le as-sicurò Colin, che continuava però a sentirsi tremendamente riluttante a in-trodurre il ragazzo nella sua vita. «Non ti faccio promesse finché non vedoil suo dossier e non gli parlo, ma a questo punto non escludo nulla.»

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«Grazie, Colin. Apprezzo il tempo che dedichi a questa storia.» Cos'ho che non va, in nome del Cielo? si chiese Colin, guardandosi in-torno nel suo ufficio. Giocherellava con la pipa spenta, tamburellando conil fornello bruciacchiato contro la grossa cartella che aveva davanti. Come Eden aveva preannunciato, le qualifiche di Hunter Greyson - so-prattutto per uno studente del secondo anno - erano impressionanti. Tantoimpressionanti da richiedere almeno una buona occhiata invece di venireliquidate in modo sommario. Erano anni che non permetteva alle sue emo-zioni di prendere il sopravvento su di lui, e certo non in modo tanto subdo-lo. La sua prima intuizione era stata corretta: era la paura a motivare le sueazioni. Ma paura di cosa? Se Grey avesse scelto ancora una volta il Sentie-ro e fosse caduto vittima dei suoi molti pericoli sarebbe stata certo una tra-gedia, rimediabile però al giro successivo della Ruota. Eppure Colin eraspaventato, ma per sé, non per Hunter Greyson. Se si fosse preso la re-sponsabilità di insegnargli e Grey avesse fallito... Cos'avrebbe voluto dire? L'esteriore era un riflesso dell'interiore; se nonriusciva a creare nulla che non fosse guasto... E allora, tanto vale scoprirlo, si disse Colin brutalmente. E affrontare lafaccenda finché c'è ancora tempo. Qualcuno bussava alla porta. Greyson aveva imparato a essere puntuale,se non altro. «Avanti», lo invitò Colin. Hunter Greyson entrò timorosamente. Era vestito in modo scrupolosa-mente normale, con giacca blu e cravatta, come se si stesse presentando aun colloquio di lavoro. O al funzionario che sorveglia la sua libertà provvisoria, pensò Colinmordacemente. Il tono dei suoi pensieri lo fece sentire colpevole: avevameno ragioni di prima di pensare male del ragazzo. «Voleva vedermi, signore?» chiese Grey. «Siediti», gli disse Colin, non sapendo da dove cominciare. Dopo averparlato con la dottoressa Romney aveva consultato il tutor di Grey, il pro-fessor Rhys del dipartimento di teatro, e aveva studiato la domanda di tra-sferimento del ragazzo, ma l'Hunter Greyson che aveva bisogno di cono-scere non si trovava in quei discorsi o documenti. «Alcuni membri del corpo insegnante mi hanno parlato in tuo favore»,

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cominciò Colin. Grey si alzò, improvvisamente furibondo. «E quindi ha accettato di ve-dermi solo perché l'hanno ricattata. Se lo scordi.» «Siediti.» Raramente Colin alzava la voce per la collera, ma aveva unaspetto autoritario quando voleva. Grey si sedette, fissando risolutamentelo sguardo sulla luccicante elsa d'argento del fermacarte a forma di spadain bilico su una montagna di riviste. «Nessuno mi ricatta, né l'amministrazione dell'università né tu, Greyson,quindi calmati.» Colin, seguendo la direzione del suo sguardo, sollevòl'oggetto e lo mise in un posto più sicuro. «L'Istituto Bidney è famoso intutto il mondo nel suo settore di attività, e per questo costituisce una cala-mita per pazzoidi, tipi strambi, fanatici e drogati. Non ho alcun desideriodi ammettere studenti che sei mesi dopo vedono UFO o annunciano di es-sere posseduti dal demonio. Ora, la tua domanda di iscrizione all'universitàsembra promettere bene, quindi perché non cominciamo dall'inizio e nonmi dici perché hai voluto venire all'Istituto Bidney e cosa ti aspetti di farequi?» Se Grey non si contorse sulla sedia, Colin lo vide però compiere unosforzo per non agitarsi. «Penso di averle dato un'impressione sbagliata di me», cominciò Greycon dolorosa cautela. «Non sono particolarmente interessato alla parapsi-cologia, se non come base per gli altri miei studi. Si può tentare fino algiorno del giudizio di provare la sua realtà al mondo esterno, ma arriveràsempre l'illusionista della situazione a mettere in dubbio i tuoi risultati ri-producendoli con dei trucchi di scena, come se non ci fossero più modi pergiungere allo stesso fine. Con tutto il rispetto - e, mi creda, capisco che leattività dell'Istituto Bidney in questo senso sono necessarie - non mi inte-ressa ripetere i rudimenti fino alla fine dei miei giorni. Sappiamo che que-ste capacità esistono, sappiamo come svilupparle. È ora di passare a quelloche viene dopo.» Colin si entusiasmò per la sincerità di Grey, e questa volta non soffocò ilsentimento. «Partendo da questa premessa, Grey, cosa possiamo fare noi per te? Senon sei interessato all'investigazione o alla ricerca parapsicologica, cosavuoi da noi?» Grey esitò, cercando chiaramente di decidere se dire a Colin la verità.Alla fine parlò. «Mi interessa studiare la magia.»

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Gli era servito un bel coraggio per ammetterlo, soprattutto perché certa-mente non si aspettava molta comprensione dal suo interlocutore. «Sai che non proponiamo corsi di magia qui», gli fece notare educa-tamente Colin. «No», intervenne Grey precipitosamente, «ma posso studiare teatro epsicologia, e sarebbe un inizio per quello che intendo fare una volta fuoridi qui. E la Collezione Bidney offre una delle migliori raccolte di libri sul-l'occulto accessibili al pubblico. Per il resto, so che devo lavorare da solo:avevo partecipato a un accampamento dell'Ordo Templi Orientis in Cali-fornia, ma mi hanno mandato via quando hanno scoperto che non avevoancora diciott'anni.» Grey alzò le spalle. «Pensavo che lei potesse aiutar-mi.» Hunter Greyson non si riferiva a una sponsorizzazione per entrare in unadelle Logge Magiche: Colin sarebbe stato sorpreso che il ragazzo, nono-stante l'esperienza accumulata, sospettasse l'esistenza di cose del genere...almeno in quella vita. «Perché io?» chiese Colin. «La verità?» ribatté Grey cautamente. «Sarebbe meglio.» «Be'... perché sono riuscito a trovarla facilmente. Lei non è un pazzoidecome LaVey, o un imbroglione come... be', ha capito, insomma. E non vo-levo cominciare con un sacco di promesse e giuramenti prima di sapere dicosa si trattava. Voglio dire che molte delle cosiddette società segrete dioggi sono solo un pretesto che permette a qualsiasi perdente di sentirsi undio, e finire tra gente del genere per me sarebbe solo una perdita di tem-po.» «Quindi desideri solo seguire i principi di un Ordine Magico all'altezzadelle tue aspettative?» chiese Colin. «Perché, lei seguirebbe dei principi contrari ai suoi?» rispose ragio-nevolmente Grey. Colin non poté evitare di sorridere. «E qual è il tuo obiettivo finale?» si informò Colin. «Perché studiare lamagia? So che hai già letto i testi basilari e ti sei fatto un po' di esperienzase sei stato membro dell'Ordo Templi Orientis. Quindi tutto riporta alladomanda fondamentale: perché?» «Perché esistono delle risposte», ribatté Grey accalorandosi e spor-gendosi in avanti. «Perché l'uomo dovrebbe essere una creatura tanto com-plessa, evoluta e consapevole di sé se si limita a vivere settant'anni per poimorire? A cosa serve la sua esistenza? A cosa serviamo noi? Non credo

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che dovremmo ignorare questioni del genere. Voglio sapere la verità, ma lascienza dice che non è possibile studiare argomenti simili, la filosofia ri-manda solo a se stessa ed è moralmente fallita e la religione ci incita ad ac-cettare lo status quo. Cosa rimane? Dobbiamo scovare da soli le informa-zioni e prendere le nostre decisioni, ma dobbiamo anche accettare che ilcomportamento etico ha una base nella realtà oggettiva. Questo lascia solola magia.» Era impossibile rimanere freddi di fronte al fervore di Grey. «Molto bene.» Colin aprì il cassetto della scrivania e frugò tra le carteche vi erano contenute. «Ecco una lista di testi: fammi sapere quali hai giàletto, e preparami una relazione scritta su ognuno, di almeno millecinque-cento parole. Firmerò l'autorizzazione perché tu possa iscriverti ai corsiavanzati: Pratiche ed etica è comunque un prerequisito, e se non ti vedo aogni lezione ti boccerò in tutti gli esami di parapsicologia. Sei d'accordo?» «Sì, signore», rispose umilmente Grey. Ma aveva gli occhi che gli luc-cicavano. Colin lasciò spaziare lo sguardo sulle teste della classe di matricole: eramai stato così giovane? Sembravano diventare più acerbi man mano che ilmondo si incupiva, e mentre i suoi studenti all'alba degli anni Sessanta a-vevano parlato di cambiare il mondo, quelli della fine degli anni Settantaaspiravano a trovare un posto nel mondo così com'era, come se non fossepiù possibile alcun cambiamento. «Professor MacLaren?» si alzò una mano in fondo all'aula. Era Jeremy,uno studente bravo ma cauto. «Potrebbe dirci, secondo lei, qual è lo scopodi tutto questo? Voglio dire, anche ammesso che possa provare l'esistenzadei poteri psichici, non tutti li possiedono. Allora a cosa servono?» Era una domanda comune, per la quale Colin aveva pronta una risposta.Per un attimo andò con la mente ai suoi coetanei, agli altri studenti le cuivite aveva toccato nel corso degli anni. A Grey, che durante l'ultimo annodi università continuava a sfidare l'autorità. Pensò ai sacrifici che due ge-nerazioni avevano compiuto, alle perdite subite da entrambe nel tentativodi realizzare i propri sogni. Era stato tutto per quello, perché il mondo ter-minasse non con uno scoppio o un lamento, ma con una lenta e inesorabileconsunzione, impossibile da notare? Il 2 febbraio cadeva di lunedì, e l'anno nuovo aveva portato un freddoglaciale e pungente che non si era tramutato in neve, ma che ricopriva ogni

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gambo e ramo con un brillante velo di solido ghiaccio. Colin era direttoredell'istituto da otto anni, e stava cominciando ad aspettare con impazienzail giorno in cui avrebbe potuto affidarlo alle mani di qualcun altro. Ma nonsubito. Gli restava ancora parecchio da fare. Guidò con prudenza lungo le strade scivolose. Non era il caso di finire inun fosso e arrivare in ritardo alla propria festa di compleanno a sorpresa. Naturalmente non avrebbe dovuto saperlo, ma una mezza dozzina dipersone avvedute l'avevano avvisato di nascosto: tra queste Christie, checonosceva il temperamento del suo capo abbastanza da sapere che le festea sorpresa riuscivano meglio quando la vittima cooperava. Dal momentoche sapeva cosa lo aspettava, era stato facile collaborare e prestarsi alle va-rie manovre per impedirgli di tornare a casa troppo presto. Sessantuno quest'anno. Spero non abbiano messo sulla torta le candeli-ne: rischierebbero di bruciare la casa, pensò Colin oziosamente. Avevafatto del suo meglio perché quella ricorrenza passasse inosservata - dalmomento che non interessava più a nessuno se non a lui -, ma dal momen-to che non era riuscito a sfuggire ai festeggiamenti, si trovò addirittura an-sioso di partecipare. Ti stai trasformando in un vecchio sciocco, Colin Ma-cLaren. Imboccò Greyangels Road, da cui riusciva a vedere in distanza la fat-toria. Tutte le finestre erano scure, ma nulla poteva cancellare le numerosetracce di pneumatici che portavano allo spiazzo deserto. Mi chiedo dove abbiano parcheggiato, pensò tra sé Colin, prima di de-cidere che i veicoli si trovavano probabilmente nel vecchio frutteto. I filaridi mele dietro la casa avevano smesso di dare frutti, ma producevano anco-ra dei fiori in primavera e qualche mela sporadica in autunno; il terreno erasufficientemente indurito dal ghiaccio da permettere il passaggio perfinodella Jeep di Eden. Sperò che Grey si fosse fatto dare un passaggio: la mo-to non era sicura su quelle strade ghiacciate, anche se lui era abituato aguidarla per dodici mesi all'anno, infischiandosene allegramente della pro-pria incolumità. Colin giunse in fondo al vialetto coperto di ghiaia e si fermò. Lasciandoil motore acceso scese ad aprire le porte della legnaia-garage prima di ri-prendere il volante e parcheggiare l'auto al coperto. Le larghe assi di legnodel pavimento indicavano che in passato l'edificio era stato usato comestalla e rimessa per le carrozze. Una grossa catasta di legna - la riserva per l'inverno - si trovava lungo ilmuro laterale, e sulla parete di fondo erano sistemati una carriola e diversi

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attrezzi da giardino, gli abbellimenti della vita campestre. Fortunatamenteil proprietario di Greyangels, Ted Zacharias, si occupava della manuten-zione necessaria. Colin non aveva il pollice verde e non aveva mai avutoambizioni in quel senso, anche se Claire, che viveva in un appartamento aGlastonbury, veniva di tanto in tanto ad accudire i fiori. Aveva voluto re-galargli un micino dell'ultima figliata di Poltergeist, ma Colin non avevaaccettato; i gatti rischiavano molto di più in campagna che in città, vista lapresenza di volpi e donnole, e non era comunque saggio lasciar girovagareun animale domestico. La gestione della libreria le faceva bene: Colin doveva ammettere chenon aveva mai visto Claire così felice dalla morte di Peter. Avrebbe solovoluto poter dire lo stesso di sé. In quella seconda metà della vita una nube sembrava essersi posata su dilui, dandogli l'impressione di trovarsi in esilio a causa di un incidente o diuna scelta sbagliata. Dall'incidente di Simon - e dall'omicidio di Hasloch -sentiva di aver perso il contatto con qualcosa di splendido e ricco di signi-ficato, ma non osava andarne in cerca per non causare senza volere deidanni inimmaginabili. Lentamente la sua vita aveva cominciato a esseredominata da quella paura, uno spettatore oscuro la cui presenza influenza-va ogni azione. Per prima cosa non nuocere. L'ordine alla base del giuramento di Ippo-crate si addiceva perfettamente a ogni intrigante, pensò Colin di se stessocon sarcasmo, e non era qualcosa di cui vergognarsi. E ora avrebbe fatto meglio a entrare, prima che i suoi ospiti conclu-dessero che si era perso durante il tragitto verso casa. «Perché è un bravo ragazzo... nessuno lo può negar!» Il coro rauco e al-legro - diretto da Grey e dalla sua ragazza con le chitarre - si diffuse tra lepareti della vecchia fattoria. Un bel fuoco scoppiettava nel camino, e le ca-stagne e i dolcetti gommosi di zucchero aspettavano di essere tostati. Tutti gli amici di Colin erano presenti, perfino John Dexter, la cui ina-spettata e inguaribile malattia l'aveva costretto a ritirarsi dal Bidney l'annoprecedente. «Un felice 2 febbraio a te, Colin, e l'augurio di cento di questi giorni»,gli disse Dexter avvicinandosi. Aveva la pelle giallastra, simile a quella di un rettile, che gli faceva dellepieghe sul corpo magro ed era coperta dai lividi dovuti non a delle bottema a minuscole emorragie spontanee che si verificavano dappertutto. I

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medici gli davano pochi mesi di vita, e i costanti tremori nelle mani gliimpedivano di fare i giochi di prestigio che tanto amava, ma in quell'occa-sione festosa aveva l'aria davvero felice. «Anche a te», rispose Colin automaticamente. «Non essere ingenuo e sentimentale», lo rimproverò Dexter. «Altrimentimi preoccuperà davvero affidare l'istituto nelle tue mani. Sono fortunato searrivo al 4 di luglio, figurati quindi se penso al prossimo 2 febbraio.» «Vorrei poter fare qualcosa», commentò Colin. «Tienimi lontano i guaritori», disse Dexter. «Me ne andrò come sonovenuto al mondo, e sono troppo vecchio per credere al vudù e a sciocchez-ze del genere.» «E pensare che sei un mago», scherzò Colin. Gli faceva male vederlo ri-dotto così, ma di fronte al suo rifiuto deciso di ricorrere a quella che co-minciava a essere chiamata medicina alternativa, gli amici non avevano al-tra scelta, dovevano rispettare i suoi desideri. «Come sta andando il mio successore?» chiese Dexter. «Piuttosto bene», gli assicurò Colin. Maskelyne Devant - il nome d'artedi un uomo che di cognome si chiamava Houdin e i cui genitori avevanodistrattamente battezzato Henry Harrison - era stato scelto da Dex comesostituto, e i due uomini erano diversi come il giorno e la notte. I gusti di scena di Devant propendevano per il fumo e gli specchi - le il-lusioni pacchiane, stile Las Vegas, tipiche della magia moderna - e mante-neva la sua aura di personaggio misterioso anche fuori scena, at-teggiamento che irritava Colin più o meno a seconda delle volte. Ma De-vant era caparbio e implacabile proprio come lo era stato Dexter, e avevagià smascherato un certo numero di sedicenti «medium» i cui trucchi eranoriusciti a gabbare i ricercatori di Colin. Senza rivelare i segreti della confraternita, Devant teneva anche ogni an-no diversi seminari al Taghkanic sulle forme principali di inganno usatedai falsi sensitivi e dagli illusionisti. «È una brava persona», dichiarò Dexter. «E adesso, se mi scusi, vado aprendere una fetta di quella torta prima che Claire la finisca, distribuendolaa destra e a manca.» Appoggiandosi pesantemente al bastone, si avvicinòlentamente alla tavola preparata contro la parete di fondo della stanza. «Buon compleanno, Colin», disse Eden, allungandogli un pacchettinoavvolto in carta dorata. «Buon Dio! Già un orologio d'oro?» scherzò Colin. «Non proprio. È da parte mia, non dell'università. Non ho intenzione di

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rivangare il marciume dei \"regali ufficiali da parte dell'amministrazione\".» «Molto saggio da parte tua.» Entrambi detestavano le cricche di politici,ma Eden aveva più difficoltà di lui a evitarle. Colin aprì il regalo e trovòuna penna d'argento Cross. Recava l'incisione Successo e fortuna: 2/2/81. «La conserverò gelosamente», disse Colin. Eden sorrise. «E adesso devo scappare», si congedò. «Bobby apprezzerebbe molto ve-dermi passare da casa di tanto in tanto, e ho dieci chili di scartoffie da pas-sare in rassegna.» Diede la mano a Colin che la strinse formalmente.«Buon compleanno, Colin.» «Grazie.» La guardò attraversare la stanza affollata in direzione dellacucina: era il tragitto più comodo per il frutteto. «Per l'amor di Dio, amico, non restare lì impalato: divertiti!» MorganIves, esuberante come sempre e più che brilla - Colin sentì che l'alito lepuzzava di bourbon - gli si appoggiò contro con grande confidenza, pren-dendogli il braccio. «Vieni a bere qualcosa.» Colin si lasciò trascinare al tavolo. C'era un mucchietto di regali - usanzache Colin aveva invano cercato di scoraggiare -, la grande coppa da punchdi cristallo di Claire con il contenuto analcolico (un regalo di nozze, ricor-dò Colin, di cui per anni aveva ignorato l'impiego), un mastello di ramecolmo di ghiaccio e bottiglie di champagne e un'enorme torta a strati dicioccolato con una glassa bianca e il disegno dell'istituto in azzurro. Aveva già soffiato sull'unica candelina, e la torta veniva tagliata per ilgruppo degli ospiti, composto in parti quasi uguali di insegnanti, membridell'istituto e studenti. Erano presenti Dylan e Cassie, insieme a Grey e acinque o sei altri giovani tra cui l'ultima ragazza di Grey, Inverness. «Eccoti qui, Colin», esclamò Claire, allungandogli una grossa fetta ditorta su un piattino di carta. «Ti ho portato un regalo; non preoccuparti,sono dei biscotti», disse, accennando a una grossa scatola avvolta da cartadorata accanto alla torta. «Mi vizi», commentò Colin, che prese il piattino e una forchetta. Guardòcon finta apprensione gli altri pacchetti. «Hai un'idea di cosa contengano?» «Be', Jamie ha mandato dei libri, come sempre. È uno scatolone in-gombrante, l'ho messo in cucina. E sono arrivati molti biglietti d'auguri,ma» - Claire abbassò la voce con aria cospiratoria - «penso che una delletue studentesse ti abbia fatto una sciarpa a maglia.» Colin alzò gli occhi al cielo in silenzio. «Be', almeno non è una felpa diFair Isle.» Assaggiò un boccone di torta. «Ehi, Ramsey, vieni al Lago più tardi?»

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Un attimo di silenzio nella conversazione permise a Colin di udire le pa-role di Janelle, e se non avesse guardato nella direzione di Grey e dei suoiamici si sarebbe perso il seguito. «Come va la commedia di primavera?» chiese Inverness, con voce trop-po rapida e alta. Si trattava chiaramente di un maldestro tentativo di cam-biare argomento. Gli altri ragazzi intorno a Grey ricominciarono subito adiscutere per nascondere la gaffe, ma Colin aveva colto l'occhiata di com-plicità colpevole tra loro cinque come se l'avessero dichiarata ad alta voce. Distolse lo sguardo, non volendo che si accorgessero che aveva sentito,e fece un commento qualsiasi a Claire. Quando li guardò di nuovo, qualchesecondo dopo, vide che Grey lo stava fissando in modo inespressivo. Seguire il Sentiero richiedeva la benevolenza di un chirurgo, la luciditàdi un generale e la volontà di restare in disparte mentre degli innocentisopportavano le sofferenze che avevano scelto prima di iniziare quella vita.Trovandosi ancora una volta nella necessità di intervenire, Colin non eracerto di averne la forza. La colpevolezza piena di vergogna, causata daquell'unico impulso irresistibile a contravvenire alla Legge, lo torturavaancora. Pregò di non trovarsi mai più ad affrontare un simile momento disuperbia e falsa pietà come quello: era la sorta di fallimento che poteva di-struggere non solo delle vite ma anche delle anime. Si era sobbarcato quel fardello di sua spontanea volontà, ma il senso dicolpa restava: e sembrava che, col passare degli anni, il dolore fosse di-ventato una sorta di tentazione a rinunciare a ogni responsabilità, a rifiu-tare la possibilità di fare del bene per paura di nuocere. Era una tentazionea cui non osava arrendersi. «Claire, hai mai sentito parlare del Nuclear Lake?» Janelle aveva accennato al «Lago», e per chi abitava nella contea di Am-sterdam ce n'era uno solo: il Nuclear Lake. Sulle carte il nome era Haelvemaen Lake, il Lago della Mezzaluna, e sitrovava su un piccolo appezzamento privato in un angolo dell'Huyghe Sta-te Park. Un gruppo privato di ricercatori si era insediato in quella zona e,dopo la sua partenza, Nuclear Lake era diventato l'oggetto di improbabiliracconti folkloristici. La proprietà non era occupata da circa dieci anni, piùo meno; di tanto in tanto il college tentava di acquistarla, ma fino ad alloranon aveva avuto successo. «Non molto», ammise Claire lentamente. Mentre rifletteva, allungò una

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mano e accarezzò Monsignor sotto il mento. Il dignitoso gattone bianco enero si allungò immediatamente sulla schiena facendo le fusa, mentre Pol-tergeist, una regina bianca, rimaneva più fredda. Il negozio aveva un buon profumo di cannella e legno di sandalo, e tra-smetteva un senso di pace. Rivolgersi all'Interno era stata un'idea tantobrillante che Colin non riusciva a capire come faceva prima della sua crea-zione. La libreria di Claire forniva un luogo d'incontro pacifico perfetto perle persone che manifestavano curiosità nei confronti dell'occulto. Dava ri-sposte a chi aveva domande, era un mezzo per incontrarsi e un luogo doverifugiarsi quando i problemi diventavano troppo gravi. E Claire si trovavanel suo elemento: distribuiva tè e consigli pratici a chiunque ne avesseavuto bisogno. Almeno due volte al mese invitava Colin a cena nel suo piccolo appar-tamento sopra la libreria, secondo la teoria che, senza di lei, avrebbe potutomorire di fame. Anche se non era vero bisognava ammettere che, senza lacucina casalinga di Claire, si stancava facilmente delle cene surgelate e deipasti in trattoria. Colin non era un cuoco, né aveva mai preteso di esserlo. «È un posticino dove si appartano le coppie, naturalmente, perché leguardie forestali non lo pattugliano e neppure i vicesceriffi ci vanno spes-so, ho sentito dire. Perché?» Perché avevano tutti un'aria così colpevole... «Mi stavo chiedendo se non avessi sentito correre voci \"strane\" sul suoconto. Strane per chi si occupa del nostro settore, intendo dire», precisòColin. Prese in mano uno dei mazzi di tarocchi ammonticchiati sul bancone ac-canto alla cassa per tentare i clienti e se lo rigirò tra le mani. L'orgoglio erasempre stato il suo peccato abituale, e Colin era fiero del rapporto di con-fidenza che aveva saputo creare con i suoi studenti. La consapevolezza diquell'orgoglio lo infastidiva quanto la preoccupazione per quello che sta-vano combinando quei cinque ragazzi. «Non su Nuclear Lake in particolare», rispose Claire pensosa. «La con-grega del posto si riunisce fi, penso. Scendere lungo il fiume è troppo peri-coloso e probabilmente non fornisce un luogo di ritrovo abbastanza appar-tato, e il lago è noto, dopotutto, per essere un posto carico di energia», finìClaire, prendendo in braccio Monsignor. Indicò gli scaffali di libri con ungesto. «Io non sono un'esperta, ma i miei libri sì. Non ci sono molti raccontifolkloristici sulla contea di Amsterdam a parte quelli sugli Angeli Grigi -

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che del resto si trovano anche nelle contee di Columbia a nord e di Du-tchess a sud -, e penso di non aver mai visto niente su Nuclear Lake.» Colin si accigliò. Gli studenti facevano scherzi e infrangevano le regole:questo accadeva anche quando Colin aveva la loro età. Le droghe, illegalicome sempre, erano ancora parte della vita universitaria, come il sesso li-bero, le cassette di musica incise abusivamente e le tesi scritte su commis-sione. Ma Colin non pensava che quei ragazzi avrebbero avuto un'aria cosìcolpevole per una di quelle ragioni, in particolare Grey. E proprio sotto il mio naso! pensò Colin, divertito dal fatto che quell'i-dea ferisse il suo orgoglio. «Stai ancora rimuginando», lo accusò Claire. Oltrepassò la tenda per an-dare a prendere le chiavi e Poltergeist apparve come per magia, mia-golando mentre si dirigeva verso i suoni prodotti dalla sua padrona. Sapevache il tintinnio delle chiavi precedeva il rumore dell'apriscatole elettrico,quando Claire portava di sopra i gatti per la notte. Lo spazio che aveva affittato per la libreria era praticamente quadrato,ma un muro di mattoni al centro lo divideva quasi a metà. Il proprietario siera detto disposto ad abbatterlo, ma Claire aveva deciso di tenerlo così,aggiungendo un secondo muro a secco che tagliava la stanza di sinistra indue magazzini, uno dei quali veniva anche utilizzato per le discussioni digruppo. Anche se Claire vendeva solo erbe aromatiche, non poteva soppor-tare che le sue scorte venissero manipolate o contaminate in qualche modo,quindi le teneva sotto chiave. «Pronto?» chiese Claire. «Allora, dimmi», lo incalzò più tardi, dopo cena. «Perché Grey ti preoc-cupa tanto? Cosa pensi che stia combinando? Droga? Orge? Riti satanici?» Colin fissò l'interno di una tazza di caffè, come se fosse stato un sensi-tivo capace di leggervi delle risposte. «Vorrei tanto saperlo. Quei cinque hanno qualcosa in mente e, per quan-to mi sforzi, non riesco a capire cosa.» «Be', finora nessuno ti ha mai accusato di avere scarsa immaginazione»,osservò Claire appoggiando il piatto della torta sul tavolo. «Forse questavolta lavori troppo di fantasia. Perché non glielo chiedi?» «Chiedergli cosa?» sospirò Colin. «Non so neppure formulare la do-manda. Se si trattasse di qualcosa di cui Grey desidera mettermi al corrente- o che non gli dispiacesse farmi sapere - me l'avrebbe già detto. Solo il Si-gnore sa che mi ha raccontato ben altre delle sue prodezze: ha riappeso il

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ritratto di Lookerman preso il biblioteca, falsificato la chiave delle solu-zioni per correggere gli esami, versato del brandy nell'acqua del caffè...» «Per non parlare di quando ha affumicato il gruppo di preghiera cristianoobbligandolo a uscire dal centro studentesco o di quando ha lanciato unapetizione per ottenere il permesso di fondare gli Studenti di Satana», ag-giunse Claire, «anche se quello, per quanto stupido, era perfettamente lega-le. Colin, penso che ti stia preoccupando troppo. Ma se vuoi, vado al Nu-clear Lake e do un'occhiata.» Colin sospirò di nuovo. Sapeva quello che Claire stava proponendo, equello che angustiava entrambi: che l'irresistibile curiosità di Grey lo stes-se portando lungo lo stesso sentiero oscuro che Simon Anstey sembravaseguire. Se Grey si stava dilettando di Magia Nera, Claire se ne sarebbeaccorta subito. «Mi sembrerebbe di spiarlo», obiettò Colin, «ma la vera ragione per cuideclino la tua proposta è che se non si tratta di empietà pura, o di un'azioneterrena come vendere droga...» «Non Grey!» protestò Claire. «Oh, non intendo dire che è lui lo spacciatore locale, ma pure l'erba è il-legale, anche se la maggior parte degli studenti ne fa uso. Deve pur venireda qualche parte, e non puoi sapere se Grey c'entra qualcosa. Penso in ef-fetti che si tratti di qualcosa del genere: le droghe sono uno dei Sentieri perottenere il Potere, dopotutto.» «Ma tu non incoraggi l'uso di stupefacenti, Colin; sono pericolosi. EGrey si ispira a te. Fa quello che tu gli dici.» «Be', immagino che in generale mi consideri competente, e non riservala stessa opinione alla maggior parte dei suoi insegnanti. Ma da lì all'obbe-dienza cieca...» «No», ammisero entrambi in coro. «Andrò là io stesso a dare un'occhiata», decise Colin. «Se non trovo nul-la, probabilmente è perché non c'è nulla da trovare e posso dimenticarel'intera faccenda.» Pregò che potesse essere così. Anche se i poeti affermavano altrimenti, febbraio, non aprile, era il mesepiù crudele nella contea di Amsterdam. Il giorno dedicato al piccolo diodell'amore - più tardi divenuto un santo cristiano - era caratterizzato da unfreddo pungente, e un'improvvisa e pesante nevicata risalente a qualchegiorno prima rendeva difficili gli spostamenti. I venti centimetri di neveavevano una consistenza polverosa e avevano formato delle dune a causa

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della temperatura rimasta bassa, ma dove le strade erano state pulite la ne-ve si era sciolta e si era congelata di nuovo in collinette dure che costitui-vano una barriera impossibile da superare con gli autoveicoli. E sulle stra-de lasciate intatte, un manto variabile di polvere bianca copriva cinquecentimetri di solido ghiaccio. Le condizioni climatiche erano probabilmente il motivo per cui Colinaveva scelto quel giorno per la spedizione a Nuclear Lake; quello, e il fattoche il fine settimana gli lasciava un giorno intero. Con ogni probabilità nonsarebbe stato disturbato. Solo un incosciente avrebbe attraversato quellestrade secondarie in auto, ma Colin era stato tanto previdente da farsi pre-stare una Range Rover da un amico per l'occasione, e il fuoristrada percor-se senza difficoltà il tragitto ammantato. In breve tempo apparvero il lago e l'edificio retrostante. Colin fermòl'auto in quello che un tempo aveva dovuto probabilmente essere un par-cheggio e scese. La pesante coltre bianca soffocava tutti i suoni, perfinoquelli che in altre occasioni avrebbe udito perfettamente in aperta cam-pagna, e si distinguevano solo il lieve gocciolio della neve sciolta che ca-deva dai rami degli alberi e l'occasionale sibilo di un ammasso che si sfra-cellava al suolo. Il vento proveniente dal lago sollevava veli di polverebianca dal terreno e li trasportava per qualche metro prima di lasciarli ri-cadere. Il cielo era di un azzurro chiaro, e il riflesso della neve sbiadivaogni colore intorno a lui, dando al mondo un aspetto etereo che contribuivaa creare un'atmosfera da sogno. La porta anteriore dell'edificio si aprì facilmente con uno dei passe-partout di Colin, e una rapida ispezione non rivelò nulla di malvagio, soloqualche bottiglia vuota di vino e un materasso che qualcuno aveva tra-scinato nell'angolo per ovvie ragioni. Ma Colin sapeva che quel posto nascondeva altro, e quando trovò le sca-le che scendevano in cantina non rimase sorpreso. La luce pomeridiana che filtrava dalle finestre lungo la parete meri-dionale era sufficiente per rendere vagamente visibile il contenuto del lo-cale, anche se Colin fu felice di avere portato con sé una torcia. La cantinaera costituita da un'unica stanza grande, larga dieci metri circa e lunga ildoppio. I lavandini lungo il muro con le finestre e i complicati manicottimurati nel cemento indicavano che un tempo lo scantinato era stato unasorta di laboratorio, ma tutti i mobili originari erano stati rimossi da tempo.Gli attuali occupanti avevano costruito nell'angolo degli scaffali per libricon mattoni e assi di legno, e avevano portato giù un paio di armadietti, un

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tavolo e alcune sedie pieghevoli. A differenza del piano superiore, quello spazio era estremamente pulito.Il pavimento di cemento era stato spazzolato fino a brillare, poi copertocon un complicato disegno multicolore che occupava un'area di circa seimetri quadrati. Tre alti ceri protetti da vasi di vetro si trovavano ai verticidi un triangolo all'interno del disegno, mentre sulla circonferenza eranostate disposte a intervalli regolari nove candele. C'era una tredicesima can-dela tra il cerchio esterno e quello interno in fondo alle scale: il punto car-dinale nord. Colin lo fissò sentendosi drizzare i capelli sulla nuca. Per qualche mo-tivo non era sorpreso da quello che aveva trovato. Da un certo punto di vi-sta se l'era aspettato. Il cerchio-nel-cerchio era comune a molte pratiche magiche di sua co-noscenza, ma l'elaborata figura asimmetrica al suo interno gli risultavasconosciuta. Di riflesso si guardò alle spalle, sapendo cos'avrebbe trovato.Sulla parete dietro di lui era dipinto un altro simbolo. La vernice nera eraleggermente colata, e le gocce davano al geroglifico l'aspetto di una figurain movimento. A nord... il Passaggio del Nord. Il passaggio attraverso cui i membri delCircolo mandano i loro spiriti nel Mondo della Luce. Colin aveva sperato che la Frontiera dell'Acquario avrebbe perso il suofascino con Thorne Blackburn e la sua opera, ma non era stato così. Neitredici anni successivi alla morte di Thorne nel 1969, le persone attrattedalla sorgente corrotta dell'Opera di Blackburn avevano costituito un flus-so costante, anzi in aumento. I libri scritti sull'Opera dopo la morte diThorne erano più numerosi di quello che Blackburn avrebbe mai potutoimmaginare: gli autori erano incantati dal fascino misterioso di un sistemamagico che permetteva ai suoi praticanti di usare le persone per i propri fi-ni come marmaglia... o foraggio. Ma il fine non poteva - in nessun caso - santificare i mezzi. Ecco perchéla Luce proibiva una simile interferenza nelle vite e nei destini dei NonDesti. Colin si chiese quanti dei seguaci post-mortem di Thorne avevanopagato lo stesso prezzo di costui e del Circolo della Verità per aver trascu-rato avventatamente le antiche Leggi, leggi facili da ignorare come quelledel mondo fisico e implacabili quanto quelle. Colin voltò le spalle al Passaggio del Nord e fece un passo avanti, finchénon si trovò con i piedi quasi sul bordo del cerchio esterno. Studiò il dise-gno che aveva dinanzi agli occhi, il tentativo maldestro di copiare, usando

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i colori, quelli che nei libri erano descritti come i Sette Passaggi sovrappo-sti, dal primo all'ultimo. L'ultima volta che aveva visto quelle forme eranostate d'argento, non di vernice. Due persone erano morte e le altre recava-no cicatrici incancellabili. Non ti perdonerò mai per quello, Thorne, mai. «Sapevo che saresti venuto», disse Hunter Greyson dietro di lui. «Perché non mi hai detto quello che stavate facendo?» chiese Colin sen-za voltarsi. «Non ti sarebbe piaciuto.» Grey gli girò intorno, camminando senza farci caso sul simbolo dipinto.Accese la lanterna al propano che si trovava sul tavolo e il locale si riempìdi una luce bluastra con un sibilo. «Hai ragione, non mi sarebbe piaciuto. E sai benissimo perché, altri-menti non ti saresti dato tanto da fare per nasconderlo.» L'emozione piùforte che Colin provava in quel momento era l'orgoglio ferito; quello stu-dente a cui aveva dedicato tanto tempo aveva ignorato senza pensarci duevolte i suoi avvertimenti. Paradossalmente, fu l'egoismo di quel sentimentoche gli permise di superarlo. Era già stato vittima di quella sensazione di sdegno, ma Colin ora sapevache si trattava di un orgoglio fuori luogo. Non si sarebbe lasciato accecareancora una volta da un sentimento simile. «Sapevo che l'avresti scoperto. Cinque persone non riescono a tenere unsegreto, e immaginavo che un giorno o l'altro avresti visto il nostro Circolonell'Astrale, anche se nient'altro ci avesse tradito.» Anche se Grey stava facendo del suo meglio per comportarsi con in-differenza, Colin sapeva che era dispiaciuto e che si dava da fare per na-sconderlo. Le spalle della giacca di pelle a frange erano scure per la neveche le aveva bagnate, e i jeans erano in buona parte fradici. Era arrivato lì apiedi dal Taghkanic. «Allora sei giunto fin lì?» chiese Colin, cercando di mascherare la pro-pria incredulità. Il Tempio Astrale - il lavoro di un gruppo di iniziati che siconcentravano insieme sulla stessa immagine - era un rituale piuttosto a-vanzato per un gruppo di neofiti. «È quasi un anno che lavoriamo insieme. Pensavo che l'avresti scopertoprima.» Non c'era traccia di soddisfazione nella voce di Grey, anche se icapelli e i vestiti lo facevano assomigliare vagamente a un altero cortigianodel paese degli elfi. Un anno! Dunque non era un'occupazione a tempo perso. Colin al-lontanò le proprie emozioni con la disciplina di un chirurgo, sforzandosi di

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tenere la mente libera per le domande che doveva formulare per il bene dientrambi. «Non me l'aspettavo da te, Grey. Pensavo di averti dato delle basi mi-gliori di queste...» sciocchezze pericolose, terminò mentalmente, ma tennela bocca chiusa. «Mi hai dato le basi, ma la magia evolve. Nel ventesimo secolo, per laprima volta dopo migliaia di anni, è possibile studiare quello che facciamoe perché, sviluppare nuovi metodi, ritrovare i vecchi, ricreare tutto quelloche era stato perduto quando Atlantide è caduta...» «Alcune conoscenze che abbiamo perduto dovrebbero restare dove so-no», commentò Colin esplicitamente. «In nome della Luce, Grey, chi ti hainsegnato questo?» Grey alzò le spalle, e la silenziosa ostilità adolescenziale ricordò a Colinquanto fosse giovane il ragazzo. «Ho acquistato dei libri. Non ero partito con l'intenzione di imboccarequesta strada, ma mi è piaciuto quello che Blackburn diceva e mi è parsosensato.» Alzò lo sguardo a incontrare quello di Colin, che gli vide chia-ramente la speranza dipinta in viso. «Se solo riuscissi a vedere quello cheho visto io... L'Opera di Blackburn parla di riconciliazione: nessuno è per-fetto, come si dice, ma da qualche parte nel mondo è sempre possibile tro-vare quello che a noi manca. E con un numero sufficiente di ripetizionidella Bilancia otteniamo l'influenza che ci permette di agire con-sapevolmente, invece di limitarci a reagire a qualcosa di bianco o nero. Egrazie a quella azione, conquistiamo il potere di aprire il Passaggio tra iMondi e riconciliare l'universo degli uomini con quello degli dei, col-mando la nostra lacuna maggiore.» L'idealismo sincero nella voce di Grey convinse quasi Colin a dargli ra-gione. Ma le promesse luminose dell'Opera di Blackburn erano solo unamaschera dorata sulla più turpe delle realtà. «Stai parlando di accelerare il processo di entropia», gli fece notare sec-camente Colin. Lo scopo finale dell'entropia - se un'energia cieca poteva essere con-siderata provvista di obiettivi - era la riduzione di ogni forza all'equilibrioomeostatico, che avrebbe annullato la separazione di tutte le cose e dei loroopposti verificatasi all'inizio del tempo. «Sto parlando di correggere i nostri difetti e perfezionare il nostro Io»,ripeté Grey. «È l'obiettivo della Grande Opera, no?» «Sai bene che è così. E sai anche che non è la Grande Opera, ma una pe-

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ricolosa scorciatoia che porta in un vicolo cieco. I rituali di Blackburn so-no la Magia Nera del peggior tipo, quella celata dalle buone intenzioni.Credeva che gli strumenti delle Tenebre potessero essere messi al serviziodella Luce, e si sbagliava. Il potere, alla fine, corrompe sempre.» «Stai dicendo che la Luce non ha potere», gli fece notare Grey. Abbassòlo sguardo, giocherellando con la frangia della giacca, rivelando il suo ner-vosismo più di quello che avrebbe voluto ammettere. «È una logica da gesuiti, lo sai bene», ribatté Colin. Poteva udire la col-lera nella sua voce e desiderò che scomparisse. «Sto dicendo che la Luce èdotata di protezioni contro l'uso improprio del potere di cui le Tenebre - el'Opera di Blackburn - sono prive. Thorne era l'uomo più arrogante che ab-bia mai conosciuto» - esclusi i presenti, purtroppo - «e rifiutava di credereche le Leggi del Sentiero fossero valide anche per lui.» «Hai conosciuto Thorne Blackburn?» chiese Grey alzando lo sguardo.L'espressione del suo viso e il suo tono di voce tradivano incredulità. «Sì», rispose Colin. Rifiutava di nutrire l'evidente adorazione di Greyper il suo eroe con altri racconti sul «grand'uomo». Il ragazzo si era giàcacciato abbastanza nei guai senza il suo aiuto. «E forse mi crederai se tidico che la cosiddetta Opera di Blackburn è corrotta, pericolosa e, in ulti-ma analisi, inutile.» «Questo non puoi saperlo», ribatté Grey ostinatamente. «Devi essere convinto che uno di noi due sia piuttosto stupido», sbottòColin. «Come te lo devo dire? Questi rituali sono pericolosi.» «Stiamo attenti», insistette Grey. «Tu sì, forse. Quando le cose si mettono male, può darsi che tu te ne ac-corga prima che sia troppo tardi e ti metta in salvo. E i tuoi amici? Intendiforse sacrificarli alle tue ambizioni?» Il cambiamento di tattica avevaspiazzato il ragazzo: adesso Grey era visibilmente turbato. «Non è così! Perché devi continuare a vedere tutto in termini di bianco enero?» gridò Grey infervorandosi. «Perché le cose stanno così», confermò implacabilmente Colin. Avevasulla punta della lingua un ultimatum: poteva minacciarlo di espellerlo dalprogramma di studi se non gli avesse obbedito immediatamente. Ma non avrebbe funzionato. Se Grey non rinunciava liberamente e conpiena consapevolezza alle Tenebre non le avrebbe mai abbandonate vera-mente, anche se le sue azioni potevano far credere il contrario. «Ma potremmo parlarne da un'altra parte», suggerì Colin con voce ad-dolcita. «Non dirmi che sei venuto in moto fin qui; penso che il mio cuore

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non potrebbe sopportare un colpo del genere.» «Sono venuto a piedi», rispose Grey, chiaramente sollevato per il cam-biamento di discorso. «Be', mi sono fatto dare un passaggio fino alla stradalaterale da Ramsey: stava andando a Rhinebeck.» E come pensavi di tornare? si chiese Colin con la praticità priva di ro-manticismo tipica della maturità. Ma i giovani non si preoccupavano maidi «ritornare» e non progettavano mai modi per difendersi o fare marciaindietro. I giovani erano immortali. «Be', lascia che ti dia un passaggio fino al college. Non illuderti, Grey:ne riparleremo. Ti disapprovo, sotto ogni aspetto, ma lo sapevi anche tuquando hai imboccato questo cammino. Non serve a niente che restiamoqui a sbraitare l'uno contro l'altro come i protagonisti di un film d'azione eche uno di noi torni a casa camminando nella neve.» Era una fine deludente dopo quello scontro emotivo, e il viso di Grey la-sciò trapelare un certo disappunto. «Non mi dai un ultimatum?» chiese. «Non brandisci una spada in-fuocata? Non mi cacci?» «A cosa servirebbe?» ribatté Colin. Per quando desiderasse afferrarlo per la collottola e scuoterlo fino a far-gli uscire dalla testa tutte quelle scempiaggini, si contenne. Grey non pote-va - o non voleva - spiegargli cosa l'aveva attratto all'Opera, lasciando aColin la vaga impressione che i seguaci di Blackburn fossero una specie dipolizia dell'occulto, che interferiva con la vita delle persone per ripristinareun equilibrio che secondo loro si era spostato. Gli altri membri del Circolo - Janelle Baker, Ramsey Miller, la ragazzadi Grey, Inverness e, con grande dispiacere di Colin, Cassilda Chandler, lastudentessa in cui aveva riposto grandi speranze - erano probabilmente sta-ti attirati dall'Opera di Blackburn solo per via dell'amicizia. Nessuno di lo-ro a parte Cassie frequentava corsi di parapsicologia, anche se Invernessaveva cominciato a seguire qualche lezione di Colin da quando usciva conGrey. Dal momento che la posta in gioco era tanto alta, Colin studiò il mate-riale che Grey aveva seguito, ma l'idea che si fece dell'Opera di Blackburnnon divenne più chiara di quella che si era fatto quel giorno a Nuclear La-ke. Quando Colin l'aveva conosciuto, Thorne aveva insistito sulla gnosi ot-tenibile con un rituale e sull'illuminazione grazie alla comunione diretta

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con le entità del Piano Esterno: erano pratiche che, per dei principianti, e-quivalevano a infilare un dito bagnato in una presa di corrente e che forni-vano all'incirca lo stesso numero di informazioni. Ma Thorne non si eramai preoccupato della sicurezza e aveva sottolineato il principio del-l'apoteosi attraverso la diffusione di informazioni sbagliate. Questa com-binazione rendeva i suoi rituali terribilmente pericolosi anche quando fun-zionavano, cosa che non accadeva spesso. Molti degli scritti di Blackburn,inclusi i rituali finali dell'Apertura del Passaggio, si erano persi nella con-fusione che era seguita alla sua morte. Forse la chiave della sua filosofia siera smarrita nella stessa circostanza. Ma se avesse distolto Grey dall'Opera, Colin non pensava che gli altriavrebbero continuato le attività del Circolo. Si trovò a sperare che l'infa-tuazione per il blackburnismo si sarebbe spenta come ogni altra cotta ado-lescenziale. Tutto quello che gli restava da fare era ricondurre Grey allaLuce, e la faccenda sarebbe finita lì. Colin ne era certo. Mentre l'inverno lasciava il posto al disgelo e alla primavera, Grey co-minciò a rilassarsi e a tornò la persona affabile di sempre. Si sarebbe di-plomato di lì a poco, ma intendeva proseguire gli studi conseguendo ilmaster che gli avrebbe permesso di insegnare. La borsa di studio si sarebbearrestata al diploma di primo grado, ma c'erano un paio di posti come stu-dente-assistente che poteva occupare, e Colin progettava anche di coinvol-gerlo nella serie di lezioni estive. Posso ricondurlo alla Luce. Era un pensiero che Colin faceva semprepiù spesso man mano che le giornate si allungavano. Era certo della suavittoria, se avesse potuto contare sul tempo necessario. Le vacanze di Pasqua andavano dal 12 al 18 aprile. Il 19 Grey non era inclasse. Cassilda, invece, era presente. Colin la fermò all'uscita. «Hai visto Grey oggi?» chiese senza preamboli. Cassie alzò le spalle ed evitò il suo sguardo. Il ciuffo che aveva scolori-to, fino a renderlo bianco, sul davanti dei capelli corti e scuri le dava più diuna vaga somiglianza con un pechinese. «Immagino avesse delle cose da fare», borbottò con aria poco con-vincente. Fissò Colin con un'ostinata assenza di espressione. «Forse do-vrebbe chiederglielo.»

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Prima che Colin potesse aggiungere qualcosa, Cassie era scivolata via,avviandosi rapidamente lungo il corridoio. Cosa voleva dire? si chiese Colin. Meditò se andare in cerca dello stu-dente assente ma accantonò il pensiero. Anche se ultimamente erano piut-tosto cauti l'uno al cospetto dell'altro, Grey non si sarebbe perso una lezio-ne di Colin neppure per un'emergenza, soprattutto non sei settimane scarseprima del diploma. Diverse ore dopo lo trovò in un locale fuori dal campus, che beveva caf-fè in un tavolino appartato sul retro. «Ti dispiace se ti faccio compagnia?» gli chiese. Grey alzò pigramente lo sguardo. Aveva il viso tirato per le notti inbianco e un'emozione violenta. «Colin», lo salutò sorpreso, come se non si fossero visti solo la setti-mana precedente. «Accomodati pure.» Colin si sedette e ordinò del caffè. «Hai una faccia da far paura. Quando hai mangiato l'ultima volta?» chie-se. Perché i vecchi dicevano sempre le solite frasi inutili ai giovani, anchese armati delle migliori intenzioni? «Lei non è tornata», disse cupamente. C'era stata una sola «lei» nella vita di Grey negli ultimi mesi: InvernessMusgrave. Erano sembrati la coppia perfetta, il re e la regina senza coronadel Taghkanic, il trovatore burlone e la sua nobile dama. Erano più vicinidi molte coppie sposate che Colin conosceva, ed era rimasto sorpresoquando aveva saputo, nel corso di una conversazione casuale col professorRhys, che Invemess era tornata a casa per le vacanze invece di trascorrerlea Glastonbury con Grey. «E...?» lo incoraggiò Colin. «Non è tornata!» ripeté Grey spazientito. Sollevò la tazza di caffè e nefissò l'interno come se non l'avesse mai visto. «Dev'esserci dell'altro», disse Colin. Si impedì di fare la domanda piùovvia: stava male? Le era successo qualcosa? Grey, a ragione o a torto, a-veva già escluso quelle possibilità. E Colin si rese conto di avere fatto inconsciamente lo stesso. L'atteg-giamento di Cassie di poco prima - come se custodisse un segreto colpevo-le - era in parte la ragione. Quello, e il comportamento di Grey. Che a Co-lin piacesse o no, Inverness, Cassie e Grey si erano dedicati a pratiche ma-giche insieme, e i legami tra di loro erano più forti di quelli di un amore odi un'amicizia normale.

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«Dovevamo sposarci», aggiunse Grey sottovoce. Posò di nuovo il caffèe si ravviò i capelli con una mano, disfacendo la solita coda. Le ciocche li-bere gli ricaddero ai lati del viso, nascondendolo in parte. «Le ho chiestodi sposarmi. Pensavo che sarebbe tornata.» Il telefono squillò, strappando Colin a un sonno agitato. Brancolò nelbuio, senza sapere che ora fosse. «Pronto?» «Colin?» Il sogno rifiutava di abbandonarlo; la strana insistenza dei sogni avevaconvinto Colin che ci fosse Thorne Blackburn all'altro capo del filo, che lochiamava ancora una volta dalla prigione. Poi la mente gli si schiarì e gliultimi veli del sonno si squarciarono. «Grey?» Hunter Greyson non era andato a lezione per tutta la settimana,e Colin era più preoccupato di quello che voleva ammettere. «Dove sei?» «Sono in prigione.» La voce di Grey era piatta, controllata. La strana fusione di sogno e realtà cacciò i resti della sonnolenza dallamente di Colin. «In prigione? Cos'è successo?» «Non lo so. Mi trovo da qualche parte a North Shore, Long Island. Fis-seranno la cauzione domattina, ma non ho soldi.» Una lunga pausa. «Nonsapevo chi altri chiamare.» Colin poteva immaginare lo sforzo che gli era costata quella confes-sione: Grey era orgoglioso come Lucifero, e Colin temeva che questo po-tesse portarlo a una fine similmente disastrosa. «Non preoccuparti», lo rassicurò. «Verrò io. Adesso fammi parlare conil sergente.» Guardò la radiosveglia accanto al letto. Erano quasi le due delmattino, e quella notte sembrò richiamargli alla mente tutte le altre telefo-nate di emergenza ricevute nel corso della sua vita, chiamate fatte da uo-mini e donne ormai morti, mentre lui solo era sopravvissuto. Si fece raccontare i particolari dal sergente: Grey era stato arrestato perviolazione di domicilio e condotta contraria all'ordine pubblico su una pro-prietà privata, e il proprietario aveva sporto denuncia. Il suo nome era Kenneth Musgrave. Quando Colin lo seppe si sentì mancare. Cos'era successo a Inverness? Non trovò risposta a quella domanda a Ramapahoag. Grey si presentò alla contestazione dell'atto di accusa dove, dopo una

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breve discussione con il giudice, si dichiarò colpevole di essere entrato inuna proprietà privata. Venne fissata la cauzione e Grey andò dal cancel-liere; Colin lo raggiunse lì. «Grazie per essere venuto», disse Grey. Aveva la voce roca per la nottesenza sonno, e il viso aveva l'aspetto stravolto di chi prova grandi sof-ferenze emotive. «Non c'è problema», si schermì Colin. Sembrava qualcosa di più serio diun litigio tra innamorati: cos'aveva fatto Grey perché la famiglia di Inver-ness lo denunciasse per violazione di domicilio? Ma Colin non chiese niente; si limitò a pagare la cauzione e lo fece usci-re. Dovettero fermarsi per recuperare la moto, confiscata al momento del-l'arresto: per riottenerla c'era un'altra ammenda da pagare. Grey era stra-namente docile, probabilmente in seguito allo shock, pensò Colin. C'eranomodi più delicati per rompere un fidanzamento che fare arrestare il proprioex. «Tu torni indietro in macchina con me», annunciò fermamente Colinmentre Grey prendeva la moto per il manubrio. «Possiamo mettere la motodietro, ma non guiderai perché sarebbe pericoloso in quello stato.» Con ilsedile posteriore ripiegato nell'ormai veneranda station-wagon di Colin,c'era spazio appena sufficiente per sistemare la moto su un fianco. «Immagino di doverti una spiegazione», disse Grey non appena l'autopartì. «Ma direi che quanto è successo va messo in conto al buon vecchiokarma. Della serie: \"ci sono cose da cui l'uomo deve stare alla larga\".» «Pensi sia accaduto qualcosa del genere?» chiese Colin nel tono più neu-trale. La maggior parte delle persone era invogliata a parlare con un mini-mo di incoraggiamento, e Colin dubitava che Hunter Greyson fosse diver-so. «Non mi vuole vedere», spiegò Grey come se non riuscisse ancora acrederci. «Non ha voluto neppure uscire di casa, e il suo vecchio ha chia-mato la polizia.» La bocca gli si contorse in una smorfia amara. «Avevasempre detto che ai suoi non sarei piaciuto. Aveva ragione.» Furono quelle tutte le informazioni che Grey gli fornì, semplicementeperché - come capì Colin quando si fermarono a fare colazione a Tar-rytown - non aveva altri elementi. Inverness Musgrave era andata a casaper le vacanze di primavera e non era mai tornata al Taghkanic. Quando

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Grey era passato a trovarla, suo padre l'aveva fatto arrestare. «Ci amavamo», disse Grey, rispondendo a una domanda non formulata.«Non mi avrebbe mai fatto una cosa del genere.» Ma Colin notò che parlava di Inverness al passato, come se una parte dilui sapesse che quello che avevano condiviso era ormai finito. È possibile che quello che facevate al Nuclear Lake l'abbia spaventatafino a questo punto? si domandò Colin. Ma sarebbe stato troppo crudelechiederlo ad alta voce, e Grey stesso avrebbe cominciato presto a farsi tor-turare da quel dubbio... fino alla fine dei suoi giorni. Che alla fine In-verness tornasse oppure no. Era pomeriggio già avanzato quando raggiunsero la casa di Glastonburyche Grey divideva con diversi altri studenti del Taghkanic. «Non pensoche dovresti stare da solo», osservò Colin. «Cosa pensi che faccia, che mi tagli i polsi?» sbottò Grey adirato. «Vo-glio semplicemente dormire.» Spalancò lo sportello e andò dietro l'auto, aspettando che Colin gli apris-se. Quando ebbero scaricato la moto, Grey la raddrizzò e si preparò a spin-gerla giù dalla strada. «Mi ci vorranno un paio di giorni per trovare il denaro per ripagarti»,disse Grey con imbronciata determinazione. «Non preoccuparti», lo rassicurò Colin. Sono preoccupato per te, Grey. Grey alzò le spalle, e per la prima volta da quando Colin lo conoscevarimase a corto di parole. Esuberante, teatrale, sicuro di sé... in quel mo-mento Hunter Greyson aveva perso tutte quelle caratteristiche. «Grazie... di tutto», si congedò Grey impacciato e si voltò, spingendo lamoto verso il retro della casa. Non era finita. Colin non fu sorpreso quando Claire arrivò alla sua portadiverse ore dopo; anzi, anche se la mezzanotte era passata da un pezzo, eraancora vestito di tutto punto. «Nuclear Lake?» chiese. Claire annuì. «Non ti chiederò come fai a saperlo; per quando mi riguarda, non ho cer-to avuto bisogno di poteri medianici. Cassie ha passato la maggior partedel pomeriggio con Janelle alla libreria, a piangere calde lacrime», spiegòClaire.

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Colin fece una smorfia, mentre teneva lo sguardo fisso sulla strada. Lasvolta per Nuclear Lake era difficile da trovare anche in condizioni otti-mali, e in quella notte buia il cielo era nuvoloso. «Vorrei tanto sapere cos'è successo», disse Colin. «Tutto, non solo quel-lo che Grey ha voluto dirmi o che sapeva.» «Sarebbe bello, tanto per cambiare», assentì Claire con aria cupa. «Maadesso sbrigati, Colin, ti prego.» «Devo solo... ah, ecco il bivio.» La strada che risultava facilmente accessibile a una Range Rover in feb-braio era molto più pericolosa con un'auto normale nel fango del mese diaprile, e in diverse occasioni Colin temette che la Volvo restasse im-pantanata. Raggiunse finalmente il terreno relativamente stabile sul bordodel lago, e i fari dell'auto illuminarono la facciata del laboratorio... e la mo-to di Grey, parcheggiata lì accanto. Colin sospirò, anche se non si era aspettato niente di diverso. Fermò l'au-to e Claire balzò fuori, mettendosi subito a correre verso il retro del-l'edificio: era più preoccupata di quanto avesse dato a vedere. Colin im-precò sottovoce e la seguì, lasciando il motore acceso con il freno a manoin modo che potessero almeno avvalersi della luce dei fari per individuarela strada da seguire. La porta posteriore era tenuta aperta da un mattone, e quando Colin laraggiunse capì perché Claire aveva avuto l'aria tanto sconvolta. Da lì riu-sciva anche lui a sentire odore di fumo. «Claire!» gridò, estraendo la torcia. Quando Colin giunse in cima alle scale vide le fiamme, e l'aria era saturadi fumo. «Grey, no!» La voce di Claire. Quando Colin fu sceso, sentì la puzza dell'acetone mischiata all'odore dibruciato. La lampada ad acetilene con la sua camera pressurizzata di com-bustibile sibilava in un angolo emettendo una luce biancastra, e Colin tra-salì: l'acetone era infiammabile. Si guardò attorno. Claire si trovava in unangolo e stava bene, ma l'intero seminterrato poteva avvampare come unatorcia da un momento all'altro, portandosi con sé Grey e loro due. «Spezzerò la mia verga, la seppellirò mille tese sotto terra, e più in fondodi quanto mai scandaglio si sia spinto, e annegherò, brucerò, il mio libro!»urlò Grey. Aveva una tanica di acetone tra le mani e la stava rovesciandosul simbolo dipinto sul pavimento del Tempio. Il liquido si raccoglieva sul

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suolo di cemento, e i margini della figura dai colori vivaci cominciaronoad attenuarsi e a diventare sfocati. Colin non era sicuro che Grey sapesse di essere osservato; gettò il re-cipiente e tornò al cumulo fumante di libri. Gli scaffali erano stati abbattutie i volumi fatti a brandelli e accatastati sui resti delle assi in uno degli ar-madietti. C'erano schegge di vetro sul pavimento dove i candelabri eranostati infranti; la tavola e le sedie erano rovesciati e uno dei mobiletti eraaperto. «Grey!» gridò Colin. Grey si voltò a guardarlo. «Ciao, Colin», disse, con il tono normale cheavrebbe usato se si fossero incontrati per strada, anche se aveva gli occhirossi di lacrime e la voce rauca a forza di gridare. «Non vi ho sentiti arriva-re.» «Grey, so che sei sconvolto», cominciò Claire. «Certo che sono sconvolto», ribatté Grey in tono leggermente esa-sperato. «Tutto ciò in cui credevo è andato all'inferno.» Si frugò in tasca edestrasse un accendino. Quando lo accese si materializzò una lunga fiammaguizzante. «Non farlo», lo avvertì Colin. «Quindi ho pensato che era meglio smettere», continuò Grey come seColin non avesse parlato. Si gettò l'accendino alle spalle: colpì l'interno dell'armadietto metallico escivolò verso il fondo, senza spegnersi. Si udì un soffio leggero quando ilcontenuto prese fuoco e cominciò a bruciare con una fiamma dallo sgrade-vole colore bluastro, distruggendo i libri di Grey, i diari di magia, tutto ilmateriale per le cerimonie. «Ecco, ho finito», dichiarò Grey avvicinandosi agli altri. «Andiamo», lo incitò Claire, afferrandolo per un braccio e tirandolo ver-so la scala. L'acetone poteva prendere fuoco da un momento all'altro, oppure loro trepotevano avere fortuna. Né Colin né Claire avevano avuto la previdenza diportare un estintore, e Colin del resto non era sicuro che avrebbero potutoservirsene: c'erano già abbastanza sostanze chimiche volatili lì giù. Furono fortunati. Claire condusse Grey al piano terra, dove l'aria era piùrespirabile, e Colin li seguì all'aperto. Lasciò spalancata la porta sul retro,nella vaga speranza che il solvente sparso dappertutto da Grey si disper-desse invece di prendere fuoco. Da dietro l'edificio videro le fiamme che brillavano attraverso le basse

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finestre, l'arancione guizzante dei libri che bruciavano e il bianco costantedella lampada ad acetilene. Il locale si stava riempiendo di fumo nero; Co-lin lo vide salire in ampie volute tra le fiamme. «Cosa stavi facendo?» lo rimproverò Claire quasi scuotendolo. «È tutto finito», ripeté Grey. «È andato.» «Andiamo», li incitò Colin, mettendo una mano sulla spalla di Claire.«Potrebbe ancora esplodere.» «La mia moto», protestò Grey quando Claire fece per accompagnarlo al-l'auto. «La verrai a prendere dopo», gli disse Colin senza tante cerimonie. Nonaveva nessuna voglia di perdere del tempo a caricarla nel portabagagli inquel momento. «La riporto in città.» «No, non se ne parla neanche», ribatté Claire furiosa. «Grey, avresti po-tuto restare ucciso qui questa notte, senza parlare del fatto che l'incendiodoloso è un crimine. E se c'è un'esplosione? E se l'incendio si estende?» lorimproverò. «Francamente, Scarlett...» cominciò Grey in tono ironico. «Avanti, entra in macchina!» esclamò Claire, spalancando lo sportello espingendolo verso il veicolo. Colin sapeva che in gran parte i suoi modi bruschi erano dovuti al sol-lievo perché non era accaduto nulla di grave, e sembravano comunque ave-re un effetto su Grey, che obbedì senza più fiatare. Quando giunsero a Greyangels, Grey batteva i denti e si stringeva nellagiacca a frange. «Accendi il fuoco», suggerì Colin a Claire mentre spegneva il motore.«Intanto gli preparo qualcosa di caldo.» Si dedicarono ciascuno ai propri compiti con la facilità dovuta alla lungapratica. Claire accompagnò dentro Grey e lo avvolse nella coperta che sta-va sul sofà, facendolo sedere sulla poltrona di fronte al camino. Mentre armeggiava con fiammiferi ed esca - Colin lasciava sempre dellalegna nel camino per occasioni come quella - lui andò in cucina e accese ilfornello. Dopo aver trovato un pentolino lo riempì per metà con del sidroprodotto nella vicina fabbrica e aggiunse una cucchiaiata di miele grezzo.Mentre si scaldava frugò nella dispensa adiacente alla cucina finché nonscovò una bottiglia di brandy. Non era il suo liquore preferito, ma qualcu-no gliel'aveva regalato e lui, che conservava sempre tutto, l'aveva riposto

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per usarlo in futuro. Ne versò una dose generosa in una tazza e aggiunse ilsidro fumante. Qualunque cosa fosse accaduta a Nuclear Lake quella notte,per Grey si era trattato di una prova difficile, e bisognava prendere le mi-sure appropriate. Quando tornò in soggiorno, Claire aveva acceso il fuoco e sedeva su uncuscino, teneva la mano di Grey e gli parlava. «Ecco, bevi questo», ordinò Colin allungandogli la tazza. Grey la prese senza commentare. «Meglio che torni là a controllare che il fuoco non si sia esteso», disseColin. «Vi posso lasciare qui tutti e due?» «Penso di riuscire a resistere», dichiarò Claire. Grey scosse il capo leg-germente, un gesto che poteva significare qualsiasi cosa, e si strinse la co-perta attorno alle spalle. Colin prese l'estintore accanto alla porta d'ingresso e tornò a NuclearLake. Sentì l'odore di fumo nell'aria non appena scese dalla macchina, ma nonc'era traccia di incendio. Quando giunse sul retro dell'edificio, vide che lefinestre dello scantinato erano buie e fredde. Strano... e interessante. L'armadietto di metallo era proprio sotto questafinestra, e sono stato via al massimo mezzora. Dovrebbe bruciare ancora. Ma quando guardò al di là del vetro con la torcia, vide che la finestra eraperfettamente trasparente e non, come si aspettava, annerita dal fumo, enon c'erano segni di incendio. Sempre più curioso, disse Alice, pensò Colin. Tornò sui suoi passi finoalla porta posteriore - ancora aperta -, esitò e finì per entrare. Il seminterrato era pieno di fumo acre, ma meno di quello che avrebbedovuto esserci. Colin scese le scale con cautela, tenendosi pronto a tutto. Il piano inferiore era coperto da una cenere sabbiosa che prima non c'e-ra, ma il geroglifico era ancora visibile, anche se reso meno nitido dal-l'azione dell'acetone; apparentemente non aveva preso fuoco. La lampadanell'angolo era scoppiata, lasciando una traccia sul muro, e frammenti divetro annerito erano disseminati attorno ai suoi resti a ventaglio. Colin fecescorrere il fascio della torcia in tutte le direzioni: l'investigazione si sareb-be svolta meglio alla luce del giorno, ma lui doveva procedere subito. Le candele si erano trasformate in pozze di cera fusa attorno ai cande-lieri di vetro scheggiati e anneriti. Colin si chinò per toccare la massa di

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cera. Era ancora morbida, come se si fosse raffreddata da poco. Era ab-bastanza strano, ma quello che vide quando si avvicinò all'armadietto loconvinse che il Soprannaturale era stato lì. Il mobiletto di metallo era quasi irriconoscibile, con le pareti deformatee a metà carbonizzate da un calore fortissimo. Il contenuto era stato ridottoa una cenere unta e a una massa informe di ferro: la stessa fine era toccataalle assi di pino, che avrebbero dovuto metterci delle ore a bruciare. Grey aveva lasciato l'armadietto gemello chiuso e, da quello che Colinaveva visto, non gli aveva fatto nulla, ma c'erano tracce di bruciatura sututta la superficie esterna e, quando lo aprì con cautela, vide che contenevauna spessa cenere grigionera. L'interno, però, non era neppure bruciato. Colin lasciò ricadere il coperchio. Produsse un suono cupo, e una nu-voletta di cenere fine come talco si sollevò dai bordi. Colin tornò al centro di quello che era stato il pavimento del Tempio. Lavernice dissolta a metà era leggermente oleosa sotto le suole delle scarpe. Da quello che ricordava degli studi fatti suo malgrado, c'erano sette Pas-saggi e quattro Richiami che l'iniziato conosceva fin dalle prime fasi del-l'Opera di Blackburn; i Richiami erano quattro dei sei rituali necessari perla preparazione del pavimento del Tempio e si rivolgevano agli Elementi:Terra, Vento, Oceano e Fuoco. Un Circolo di Blackburn poteva - almenoin teoria - evocare ogni Re degli Elementi, anche se si trattava di una mos-sa a dir poco azzardata. Sembrava - almeno dai danni causati nello scantinato quella notte - cheGrey ne avesse in effetti chiamato uno: Salamandra, Principe del Fuoco.Aveva detto che avrebbe bruciato i suoi libri e aveva mantenuto la parola.Colin rabbrividì al pensiero del potere scatenato accidentalmente quella se-ra. No, non accidentalmente. Deliberatamente. La volontà dell'Adepto po-tenziata da una forte emozione - dolore e rabbia - che traeva la sua forzadalla natura animale dell'uomo, proprio come insegnava l'Opera di Bla-ckburn. Furioso e impazzito dal dolore com'era, Grey sapeva pur semprecosa stava facendo: aveva chiamato il Fuoco senza peraltro tentare di bi-lanciarlo, e quello era il risultato. Non c'era da stupirsi che il ragazzo fossepiù morto che vivo, se Colin aveva visto giusto. Ma il Fuoco ormai se n'era andato, e la foresta non rischiava più di bru-ciare. Meglio tornare indietro prima che Claire cominciasse a preoccuparsi. Colin tornò alla fattoria immerso nei suoi pensieri. Grey incolpava chia-

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ramente l'Opera di Blackburn della sua rottura con Inverness, o la consi-derava incapace di ridargli la ragazza, il che era in definitiva la stessa cosa.Da quello che aveva visto al Nuclear Lake, Grey aveva deciso di romperedel tutto con i rituali di Blackburn. Può essere un punto di partenza. Colin allontanò da sé quel pensiero,troppo pragmatico per allettarlo, ma non poté negare il suo fascino. Avevadesiderato che Grey rinunciasse all'Opera di Blackburn e ora, in un modo onell'altro, era accaduto. Solo più tardi comprese che Grey quella notte aveva rinunciato a ben al-tro. Aveva rinunciato a tutto. CAPITOLO 17 San Francisco, 16 marzo 1983 Anche qui il coraggio è ricompensato, anche qui vengono versate dellelacrime e la mortalità tocca il cuore. Virgilio In una ventosa giornata di marzo, nella città sulla baia, gli amici di Ali-son Margrave si riunirono in una cappella in collina per renderle un ultimoomaggio e accompagnarla al luogo dove avrebbe riposato. Mentre Alison aveva avuto un'esistenza lunga e tranquilla - aveva com-piuto ottantaquattro anni il gennaio precedente - e una morte rapida e indo-lore, Colin fu costretto a ricordare ancora una volta che nessuno giorno eraquello giusto per morire. La scomparsa di Alison era come la rimozione diuna protezione invisibile dalla sua morte, e lo obbligava a prendere atto diquello che pensava di avere accettato da tempo: un giorno, meno lontanodal presente del giorno della sua nascita, avrebbe dovuto abbandonarequella vita. Claire gli sedeva accanto nella cappella, e piangeva lacrime amare e si-lenziose. Alison era stata come una di famiglia per lei, e la sua morte ria-priva vecchie ferite. Alison aveva chiesto che le sue ceneri venissero sparse sul monte Ta-malpais, e quelli che l'avevano conosciuta nel corso della sua lunga vita sierano ritrovati in quell'eccentrica cappella, non consacrata a un culto parti-colare, per assistere all'esecuzione delle ultime volontà dell'amica scom-parsa.

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Almeno uno dei seguaci di Alison presenziava all'estremo saluto. Colinlanciò uno sguardo sul podio, dove si trovava Kathleen Carmody. Lei e ilmarito avevano fatto parte della Loggia di Alison fin da quando avevanoimboccato il Sentiero, molti anni prima. Quel giorno Kathleen era vestitacompletamente di bianco - un camicione lungo aperto sopra dolcevita epantaloni normalissimi -, ma il grosso ciondolo d'oro ankh era sufficienteper indicare il suo ruolo. Parlò degli anni di amicizia con Alison, delle molte persone alla ricercadella Luce che lei aveva aiutato nel corso della sua lunga esistenza, durantela quale la conoscenza delle arti mistiche era passata da un segreto condi-viso da pochi a proprietà pubblica e moneta corrente dei figli dei fiori avolgare materiale da fumetti. Mentre il secolo - e il millennio - volgevano al termine, sembrava a Co-lin che l'umanità si fosse allontanata dalla sua eredità spirituale come unbambino ustionato che rifugge il fuoco. Il mondo odierno non negava l'esi-stenza di quanto i cinque sensi non riuscivano a percepire, ma insisteva sulfatto che nulla era importante quando l'aspetto materiale e la ricchezza. Nel frattempo, come per un terribile corollario, i crimini diventavano piùorrendi e gli affari internazionali sembravano ancora più complicati e spa-ventosi. Quello del Vietnam pareva un conflitto limitato e dai chiari scopiin confronto agli intrighi in Libia e Nicaragua, e come reazione alla confu-sione mondiale l'America stava tornando al torpore politico degli anniCinquanta. Solo che il mondo era diventato troppo vasto, realizzò Colin. E quelsonno poteva trasformarsi in un coma terminale, mentre la cancrena allaradice della nazione-anima continuava a marcire. C'era qualcosa di terri-bilmente sbagliato sulla Terra: tutti erano in grado di vederlo. Era più dif-ficile, invece, capire cosa si poteva - e si doveva - fare per migliorare la si-tuazione... Consapevole della propria distrazione, Colin si costrinse a concentrarsidi nuovo su Kathleen. Mentre la guardava intensamente la donna smiseimprovvisamente di parlare, fissando la parte posteriore del santuario conun'espressione sconcertata. Era impossibile non seguire il suo sguardo, eanche Colin si voltò. Simon Anstey si trovava all'ingresso della cappella. Le cicatrici del terribile incidente si erano sbiadite con gli anni, ma Si-mon portava ancora la benda nera sull'occhio sinistro e i guanti a entrambele mani. Indossava un completo e una cravatta neri, e aveva un'aria incre-

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dibilmente formale, come se non indossasse pantaloni eleganti e giacca maun'armatura formidabile. Colin non aveva bisogno di poteri psichici per percepire l'ondata di disa-gio che attraversò la riunione di fedeli al suo arrivo. Colin immaginava chequella scomparsa avrebbe dovuto far dimenticare tutte le liti e i dissapori,ma Alison aveva saputo di non essere in buona salute fin dal primo attacconel 1972. Se avesse voluto Simon presente, avrebbe lasciato istruzioni e-splicite. «Come osa venire qui?» chiese Claire con un sussurro indignato. «Anche lui le voleva bene», rispose Colin. Ma era proprio vero, vistoquanto si era allontanato dai desideri di Alison? Claire fece per alzarsi, ma Colin la fermò mettendole una mano sul brac-cio. «No», disse a bassa voce. «Probabilmente spera proprio che qualcunofaccia una scenata.» Nel momento in cui i bisbigli imbarazzati rischiavano di alzarsi di tono,Simon si mosse lungo la navata, impossessandosi dello spazio con la faciledisinvoltura che conservava dai giorni in cui suonava in pubblico. A partel'uso della mano e dell'occhio, si era perfettamente ripreso dall'incidente diparecchi anni prima. Fisicamente, almeno... Il Sentiero non era una strada di zucchero filato tempestata di arcobalenie baciata dalla luna, su cui gli Adepti in tunica bianca si muovevano di-spensando sermoni come eroi della televisione. Essere un agente del Pote-re Superiore non significava solo accollarsi le catene della manifestazioneben oltre la durata abituale. Comportava invece la possibilità di un falli-mento che poteva distruggere non solo le vite ma anche le anime. Era pro-prio quel dilemma che portava molti Adepti a rifiutare quello spaventosofardello quando veniva offerto; anche un tenace rifiuto di intervenire pote-va essere un peccato. Così il primo atto di un Adepto consisteva nel chiamare i fuochi delkarma nella propria vita, perché vi bruciassero le imperfezioni umane chevi si trovavano. Quella era la prova in cui Simon aveva fallito. Aveva in-vocato il fuoco purificatore, ma quando l'incidente gli aveva tolto le ca-pacità su cui contava aveva rifiutato di considerarlo un atto del karma, pre-ferendo vederlo come un errore nei progetti dei Signori della Luce. Ma non ci sono incidenti in questa vita. Simon ha goduto degli stessi in-segnamenti di tutti noialtri qui riuniti, seguaci del Sentiero. Solo che non

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ha sopportato di ammetterlo, di assumersi la responsabilità per la mutila-zione subita. Ignorando la costernazione dei presenti - anche se certamente la per-cepiva e doveva essersela aspettata - Simon salì sul podio. Kathleen si ri-trasse, lasciandogli lo spazio. «Sono venuto a dire addio ad Alison Margrave, la donna che mi ha datola vita più di qualsiasi madre», cominciò Simon. La voce profonda e sono-ra riempì l'ambiente, riducendo irresistibilmente tutti gli altri al ruolo diascoltatori. «Quando incontrai per la prima volta Alison Margrave ero giovanis-simo... un bambino prodigio il cui dono era una maledizione perché al-lontanava da me tutti coloro che mi circondavano. Alison mi accolse nellasua casa e nel suo cuore e mi aiutò a capire cos'ero... chi ero. Perché oltre aessere guaritrice e musicista, Alison era qualcosa di più: era una sa-cerdotessa. «Per molti di voi, un termine così all'antica evoca immagini New Age digiovani donne volgari che giocano alle streghe, ma Alison era una sa-cerdotessa nel senso più antico del termine. Era una guida e un rifugio perle persone tormentate, metteva gli insegnamenti superiori alla loro portatae le incamminava sul Sentiero. Ha fatto del bene al mondo, ed è questo chenoi - che io - intendo ricordare di lei oggi, mentre le diciamo addio; questo,e non la rigida insistenza sulla fedeltà a pratiche arcaiche che ha oscurato isuoi ultimi anni...» Non riesce a lasciar perdere, nemmeno qui, pensò Colin. Quell'allusioneequivoca all'allontanamento voluto da Alison nei suoi confronti era qual-cosa che tutti i presenti avrebbero riconosciuto. Indubbiamente il giudiziodi lei gli bruciava ancora: l'ego di Simon era di un'arroganza luciferina. «Addio e buon viaggio, Alison Margrave. Ci incontreremo ancora»,concluse Simon. Con il tempismo geniale di un attore, scese dal palco proprio mentre lacosternazione generale stava per diventare udibile. Rapidamente com'eravenuto, Simon raggiunse le porte sul retro della cappella e scomparve. La sua apparizione aveva gettato una luce negativa e pericolosa sul-l'intera cerimonia, anche se altre persone parlarono dopo di lui; anchequando gli amici più intimi andarono a spargere le ceneri ai capricciosiventi di primavera, una sensazione di disagio pervase le loro menti. E ilsenso della presenza di Simon aleggiò pure sulla riunione che seguì.

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San Francisco aveva una lunga tradizione di veglie funebri - quella diJanis Joplin si era tenuta proprio lì, nella città che amava di più - e quelladi Alison si svolse in grande stile, secondo la consuetudine. Ebbe luogo aGreenhaven; la vecchia casa venne aperta per permettere a tutti coloro cheavevano conosciuto Alison di dirle addio un'ultima volta. La settimanasuccessiva sarebbe stata messa in vendita e il ricavato sarebbe andato a e-redi lontani, e Colin si chiese chi sarebbe stata la prossima persona a con-siderarsi a casa propria tra quelle mura. Era stato lontano dalla Bay Area per quasi quindici anni, e anche quandovi viveva negli anni Sessanta non aveva mai partecipato alla vita della co-siddetta «Comunità New Age». Per molti anni la sua missione era stataaiutare coloro che per la prima volta si trovavano di fronte al so-prannaturale, e lo stesso scopo si era prefisso quando lavorava all'IstitutoBidney. Forse era arrivato il momento di cambiare. Senza volere la sua mente ritornò al pensiero di Hunter Greyson. Erapassato quasi un anno da quando Grey era scomparso. Dopo quella notte di aprile al Nuclear Lake, Grey era stato parecchio perconto proprio, ma Colin aveva attribuito quell'isolamento alla perdita diInverness, che col tempo il ragazzo avrebbe certamente superato. Nel suocuore Colin aveva cominciato a sperare che in quella vita Grey fosse il di-scepolo che cercava, quello che avrebbe assorbito tutti i suoi insegnamentie li avrebbe trasmessi a sua volta, aiutandolo a portare il fardello cui Colinnon riusciva ancora a rinunciare, la responsabilità della Grande Opera.Gliel'aveva suggerito, e Grey sembrava pronto a raccogliere la sfida. Grey aveva lasciato il Taghkanic qualche settimana dopo, alla fine del-l'anno accademico. Quando non aveva fatto ritorno per la serie di lezioniestive, Colin aveva avuto qualche apprensione, ma non si era realmentepreoccupato perché imputava quell'assenza al suo bisogno di solitudine edi leccarsi le ferite. Ma Grey non aveva chiamato né scritto per tutta l'estate, e non era torna-to all'università in autunno. Era svanito nel nulla. Anche i documenti chelo riguardavano erano spariti dalla segreteria. In qualche modo, Colin l'a-veva tradito. Il fallimento era qualcosa che un iniziato della Luce doveva imparare adaccettare con buona grazia, anche se i fallimenti veri erano rari. Quello cheil mondo esterno vedeva come un insuccesso, l'iniziato lo considerava undifferimento; a volte bisognava aspettare la vita successiva, è vero, ma

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quello che doveva accadere sarebbe comunque successo. Ugualmente, pe-rò, Colin avrebbe voluto saper dare a Grey quello di cui aveva bisogno, innome dell'amicizia che l'aveva legato al ragazzo nella sua vita precedente edei sacrifici che quello aveva compiuto. Ma non c'era riuscito. Non aveva agito in favore di Hunter Greyson ecosì l'aveva perduto, nel bene e nel male. Adesso si trovava ad affrontare ilproblema di Simon Anstey, che conosceva quasi dall'infanzia, e pregava disaper scegliere il modo e il momento giusti per intervenire. Assorbito dai suoi pensieri gravi Colin attraversò la casa. Lo stereo stavatrasmettendo le registrazioni delle musiche di Alison alla tastiera, e lestanze erano piene di persone venute a dirle addio. Era rappresentato ognilivello della società di San Francisco, da donne in carriera con tailleur diottima fattura a eredi dei figli dei fiori in maglietta e jeans. Per fortuna lìSimon non era venuto, anche se era come se fosse stato presente, vistocome occupava i pensieri degli altri ospiti. L'attenzione di Colin venne attirata da un ragazzo con i capelli lunghi egli occhi di un verde intenso, che sembrava troppo giovane per poter avereconosciuto Alison. Colin si stava chiedendo come si erano incontratiquando vide la donna che gli stava accanto. «Cassie!» Colin attraversò la stanza per salutarla. «Professor MacLaren!» esclamò, sinceramente felice di vederlo. «Frodo,questo è Colin MacLaren, era uno dei miei professori sulla costa orientale.Professore, questo è Frodo Frederick.» Un piccolo ciondolo d'oro le brillava al collo; Colin riconobbe con ras-segnazione il simbolo del Passaggio del Nord che molti seguaci di Bla-ckburn portavano. L'apostasia di Grey, quindi, non aveva messo fine all'in-teresse di Cassie per l'Opera. Colin non disse nulla. Frodo portava invece il più comune pentacolo d'argento dei pagani e del-le streghe. «È un piacere conoscerla, signore, ma mi dispiace che avvengain un'occasione tanto triste.» Tese la mano. Colin la strinse. Il ragazzo aveva modi educati, pensò, e si rimproveròmentalmente per quell'osservazione. Era il tipico commento di un vecchiobisbetico, e lui non era affatto pronto a diventarlo. «Anch'io. Conoscevi Alison da molto?» «Da sempre.» Il ragazzo sorrise. «Be', da quando avevo dodici anni, al-meno. Mi ha scoperto mentre scavalcavo il muro di cinta del suo giardino,e pensavo che avrebbe fatto una scenata, ma non è stato così. Mi ha datodei biscotti e mi ha detto che, quando desideravo entrare nel suo giardino,

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potevo semplicemente suonare alla porta di casa. Mentre me ne stavo an-dando mi ha chiesto se mi piaceva leggere, e mi ha suggerito un paio di au-tori che avrebbero potuto interessarmi. «Madeline L'Engle era una di loro, ricordo. Quando sono diventato piùgrande, mi ha proposto altri scrittori. Mi mancherà», disse tristemente. «Mancherà a tutti noi», concordò Colin. Per certi versi, Alison era statail punto fisso attorno a cui aveva ruotato l'intera Comunità New Age dellaBay Area. «Allora, che te ne pare del mondo reale, lontano dai banchi di scuola?»chiese Colin a Cassie, cercando di passare a un soggetto più allegro. Fece una smorfia. «Sa come si dice: è per questo che ho trascorso quat-tro anni all'università? Però sono contenta di averla incontrata, professore.Le volevo scrivere per chiederle se aveva notizie di Grey. Gli ho scritto alsuo indirizzo di Glastonbury ma tutte le lettere sono tornate indietro con lascritta \"Trasferito senza lasciare nuovo indirizzo\".» «Mi dispiace», disse Colin, e vide il viso della giovane corrugarsi per ladelusione che tentava invano di nascondere. Quando Grey non era tornato al Taghkanic in autunno, Colin l'avevacercato nell'Aldilà entro i limiti del potere che serviva. Aveva scoperto cheera vivo e fisicamente integro, ma niente di più. Non ne aveva parlato conClaire, per paura che non capisse... o che capisse fin troppo bene. Che glipiacesse o no, Colin era stato escluso dalla vita di Hunter Greyson nel benee nel male. «Mi chiedevo se era rimasto in contatto con qualcuno dei vecchi amici»,disse, cercando di non sperarci troppo. «No.» La risposta di Cassie fu rapida e definitiva. Se stava ancora stu-diando l'Opera di Blackburn, Colin immaginava che avesse cercato Greycon un accanimento ancora maggiore del suo. Gli occhi le brillavano di la-crime. «Oh, be'...» Frodo le circondò le spalle con un braccio, con un gesto che sembravapiù affettuoso che possessivo. «Lei conosce Simon Anstey, no?» chiese Frodo a Colin, cambiando di-scorso. «Da molti anni», rispose Colin con aria diffidente. «Crede che le darebbe ascolto?» chiese Frodo. Sembrava deciso e imba-razzato insieme. «Frodo, no», lo pregò Cassie. «Qualcuno deve pur farlo», insistette Frodo con cocciutaggine. «Anstey

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sta... sta facendo delle cose tremende.» Fu proprio la banalità delle parole di Frodo a convincere Colin che il ra-gazzo parlava sul serio. Chi inventava degli orrori faceva del suo meglioper descriverli con immagini vivide e drammatiche per suscitare l'interessedegli ascoltatori. Coloro che avevano invece visto da vicino il vero aspettodel Male riuscivano a parlarne solo in termini generali e insulsi. «Spiegati meglio», lo incoraggiò Colin in tono pacato. «Lui... dicono che... compie sacrifici animali. Attinge alla loro forza vi-tale, in modo che i trapianti di nervi che gli stanno facendo alle dita fun-zionino e possa recuperare l'uso della mano», disse d'un fiato. «Gliel'hai visto fare?» chiese Colin. Il crimine più grave commesso daun Adepto contro la Luce era prendere, prendere la vita e l'anima di un al-tro essere per accrescere il proprio potere. Colin non poteva permettersi disottovalutare la testimonianza di Frodo. Il ragazzo si passò una mano sul viso, come se cercasse di cancellare lesue parole. «No, e non l'ha visto neppure nessuno di mia conoscenza. Macircolano delle voci: San Francisco è una città piccola, quando si tratta delgiro in cui era attiva Alison. E Simon non si lascia sfuggire un'occasioneper dirci che siamo tutti dei codardi e degli idioti, e che è lui l'unico a capi-re pienamente i veri segreti della magia.» Frodo non sembrava provarerancore, ma solo stanchezza e un po' di paura. «Sì, sono proprio discorsi da Simon... purtroppo», commentò Colin. C'erano delle pratiche che la Luce proibiva severamente: erano alla basedella rottura di Colin con Thorne, del suo litigio con Grey. Manipolare ilmondo materiale per ottenere vantaggi personali ricorrendo all'Arte erauna di quelle; un'altra era l'uso dell'Arte per influenzare la mente dei NonDesti per i propri fini. Quelli erano gli aspetti che l'Opera di Blackburn a-veva in comune con il Sentiero della Mano Sinistra, ma apparentementeSimon Anstey si era inoltrato ancora di più nel regno delle ombre, in prati-che che non potevano essere giustificate neppure dall'apologista più tolle-rante. «Il sangue è vita» non era semplicemente una frase tratta da un classicoromanzo dell'orrore; per un Adepto era la semplice e letterale verità. Eraquello il significato segreto dietro ai sacrifici di sangue e il motivo per cuierano stati considerati ripugnanti da ogni cultura civilizzata. Il potere cheun Adepto Nero conquistava in quel modo poteva essere usato per curare ilcorpo, ritardare l'invecchiamento, anche far risorgere i morti, ma ogni sa-crificio del genere lo allontanava in modo più irreversibile dalla comunio-

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ne con la Luce. Colin sapeva che Simon da bambino aveva fatto dei sacrifici di sangue...Se era tornato, in preda alla disperazione, a quelle vecchie abitudini pertrovare il potere che credeva necessario... Improvvisamente Colin sentì dentro - più che udire - il rintocco di unacampana che sembrò risuonargli nel petto. Era la vibrazione della grandecampana appesa nel Tempio del suo Ordine, anche se la sua ma-nifestazione fisica era venuta meno centinaia di anni prima. Quella cam-pana suonava solo nei momenti di maggiore bisogno o per segnalare gravipericoli. Colin non la udiva da molti anni. Stava suonando per Simon? Il rischio per la sua anima era grande, ed erapossibile che fosse infine giunto per Colin il momento di intervenire. Siera astenuto da un intervento nella vita di Grey finché non era stato troppotardi: forse quello era un segno che non doveva ripetere una seconda voltalo stesso errore. Si guardò attorno nella stanza, dove vide membri di una dozzina di Log-ge Magiche diverse che si mescolavano liberamente con Streghe, Pagani eBlackburniti. Aveva dovuto morire Alison perché quelle barriere che li se-paravano venissero meno... e improvvisamente Colin comprese, grazie alsuono della campana astrale, che i presenti non dovevano più imboccarestrade diverse. L'opposizione alle Tenebre non era una lotta contro i mulinia vento brancolando nell'oscurità; si fondava sulla creazione di un'energiapositiva capace di sostituire quella negativa. I diversi esponenti delle Log-ge dovevano concentrarsi sul terreno comune, non sulle differenze che licaratterizzavano. Forse, se Colin avesse considerato con più attenzione quello che l'Operadi Blackburn aveva in comune con la Luce... ma no, quello era il sentieroequivoco che Simon aveva seguito fino nell'oscurità del Sentiero dellaMano Sinistra, e adesso aveva toccato il fondo. Il modo per salvare Simon consisteva nel non seguirlo. D'un tratto Colin capì quello che la campana aveva voluto dirgli. Il suolavoro all'Istituto Bidney era finito, e un altro capitolo della sua vita stavaper cominciare... lì. Perché un uomo che agisce con cuore sincero costituisce un rimproveropiù efficace contro il male delle azioni tiepide di un milione di individui.Anche se, in quanto umano, ha dei difetti. CAPITOLO 18

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San Francisco, 9 gennaio 1984Ma per cuore e mente inquietiè utile un linguaggio misurato;il triste esercizio meccanico,come i narcotici, rende insensibili al dolore. Alfred Tennyson Claire Moffat sedeva dietro il bancone della libreria, leggendo il suomanuale con una tazza di tè appena fatto accanto al gomito. Monsignor laguardava gravemente, con gli occhi ambrati che splendevano. Poltergeistdormiva su uno scaffale nel retrobottega. Claire amava il mattino presto, prima che l'Haight si svegliasse del tutto.Sembrava che a quell'ora del giorno la città appartenesse a lei sola e, nono-stante il freddo pungente di gennaio - e la porta aperta sulla strada - l'inter-no della Libreria degli Antichi Misteri era invitante e confortevole. Spostarsi ancora una volta all'altro capo del paese non era stato difficilecome aveva temuto, e Colin le aveva chiesto così poco in quella vita ri-spetto a quanto aveva fatto per lei che era stata felice di ripagarlo con quelpiccolo favore. Era riuscita senza troppe difficoltà ad affidare a un buongestore Rivolgersi all'Interno, e in una cittadina universitaria era statosemplice trovare qualcuno che subentrasse nel suo appartamento in affitto. Per quanto riguardava Colin... Sembrava impossibile che fosse riuscito a sistemare tutto in così pocotempo. Non solo aveva dovuto trovare un supplente per i corsi che tenevaal Taghkanic, ma anche qualcuno da mettere a capo dell'Istituto Bidney.Claire era stata felice di vedere che tutto si era svolto con rapidità e in mo-do semplice; Colin aveva fatto del bene all'istituto, ma non era un ammini-stratore nato, e bisognava ammettere che Miles Godwin era un successoreperfetto. E Miles era giovane, aveva appena trent'anni. Adesso che Colinaveva rimodellato l'istituto a propria immagine, Miles - lo svelto, efficientee calmo Miles - poteva fargli compiere il balzo per portarlo nel secolo suc-cessivo. Colin era ora - ufficialmente - in anno sabbatico. In effetti quell'invernoavrebbe tenuto dei corsi alla San Francisco State, dividendosi così tra l'u-niversità e la libreria. La Libreria degli Antichi Misteri era stata fondata nel 1979, ma gli affariandavano male, per i soliti motivi tipici delle piccole imprese, quando

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Claire l'aveva scovata per Colin in un viaggio preliminare a ovest l'estateprecedente. Colin aveva investito un po' di denaro - diventando compro-prietario - e ne aveva assunto la gestione qualche mese prima. Il suo pro-getto era di trasformarla in una specie di centro civico, e per il momentol'idea aveva funzionato a meraviglia. Ora più che mai c'era libero scambiodi idee e obiettivi tra i lavoratori della Luce della Bay Area. Lasciando Claire leggermente stupita, Colin aveva perfino accettato lapresenza di Cassie Chandler senza protestare, anche se Cassie lavorava conun gruppo chiamato Circolo del Fuoco, che proseguiva l'Opera di Bla-ckburn nella zona est della baia. Come riderebbe Thorne se lo sapesse!Odiava i dogmi, e loro hanno preso il suo lavoro per trasformarlo in unaserie di regole da seguire scrupolosamente. Questo, se non altro, dovrebberiportarlo indietro dal mondo dei morti... Era ironico che dove Thorne Blackburn si era cimentato e aveva fallito,Colin avesse successo con una libreria. Lui le aveva chiesto di occuparsenee aveva assunto diversi membri della comunità locale dedita all'occulto,perché non desiderava essere obbligato a essere in negozio a orari fissi.Claire vi lavorava il lunedì e il venerdì, quando le lezioni glielo permette-vano. Aveva temuto che tornare ai luoghi conosciuti con Peter la facesse sof-frire, ma con sua sorpresa - e rimpianto - scoprì che il dolore non era in-sopportabile come aveva pensato. Peter era ormai con gli angeli, e Clairepoteva andare avanti con la sua vita senza il fardello di una sofferenza cheavrebbe rischiato di schiacciarla. Le aveva fatto paura l'idea di trovarsi inuna zona familiare con troppo tempo a disposizione, e per questo si era i-scritta alla San Francisco State per conseguire un diploma in psicologia. Lamaggior parte degli esami superati durante il corso per infermiera eranostati considerati validi, anche dopo tanti anni. Aveva cominciato l'autunnoprecedente ed era già bene avviata verso un master in quella disciplina. Claire fu piuttosto sorpresa dal piacere che lo studio le procurava. Ilmondo era cambiato profondamente nel quarto di secolo trascorso daquando aveva seguito le lezioni per diventare infermiera. Ora la maggiorparte delle donne progettava di lavorare anche dopo il matrimonio, e nes-suno le considerava per questo persone emotivamente disturbate in fugadagli uomini. Il cambiamento era stato così graduale che solo guardando ilpassato era possibile vederlo. Immagino che ogni trasformazione sia così: graduale. Chi avrebbe pen-sato, nei giorni in cui io e Colin venivamo a trovare Thorne in questo stes-

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so isolato, che saremmo tornati e avremmo aperto una libreria dell'occultoche ha parecchio in comune con la Voce della Verità? Scosse la testa divertita. La vita, come diceva un filosofo, non era solopiù strana di quello che immaginavano, era più strana anche di quello chepotevano immaginare. In quel momento Claire avvertì l'ormai noto segnale che destava la suaattenzione. Una donna snella con i capelli scuri si era fermata davanti allabacheca di vistosi paperback di seconda mano fuori dal negozio. Esitò unattimo, con l'aria di chi cerca qualcosa di sconosciuto, poi ne scelse uno edentrò in libreria, tenendo il volume lontano da sé come fosse stato radioat-tivo. Era evidentemente una professionista, leggermente fuori luogo in quelquartiere bohémien. I capelli avevano un pratico taglio alla maschietta, e ilcompleto grigio chiaro, con una piccola spilla sul risvolto della giacca, laetichettava come «donna in carriera». Era difficile immaginare un acqui-rente più improbabile per un libro frusto di seconda mano, anche se ladonna aveva lo sguardo vagamente sconvolto di chi è reduce da un incon-tro con il Mondo degli Spiriti. Per qualche motivo ricordò a Claire qualcu-no, anche se in modo troppo vago per farlo affiorare alla mente conscia. Claire guardò il titolo quando la cliente posò il libro sul bancone: Quegliincredibili poltergeist. Era una delle opere di John Cannon, che la sua a-nima riposi in pace. «Non è male», commentò Claire gentilmente. «Non ne so molto», ribatté la sconosciuta imbarazzata. «Questo libro è...affidabile?» Centro, pensò Claire. La sua visitatrice dimostrava poco meno di tren-t'anni, ed era abbastanza matura per avere un figlio perseguitato da un pol-tergeist, ma Claire non pensava che fosse quello il problema. «Attualmente sono rimasta senza la monografia di Margrave e Anstey,ma questo...» - Claire prese in mano una copia di Autodifesa psichica diDion Fortune e l'allungò alla donna - «è scritto con molto buonsenso.» La sconosciuta sussultò leggermente alla vista della copertina, che (an-che Claire doveva ammetterlo) era sgargiante quasi quanto quella del pa-perback malconcio. Mise il libro sul bancone. Evidentemente la sua clientenon era ancora tanto disperata da aggrapparsi a qualsiasi cosa. «Ho anche Sulle tracce del poltergeist di Nandor Fodor, se le interessal'approccio psicoanalitico», propose, e vide il viso della donna rilassarsi difronte a un autore che conosceva.

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«Prendo quello», decise. Il sollievo le addolcì la voce che aveva un rau-co tono da contralto. L'intuizione soggettiva di Claire era stata giusta: quella donna era unapsicologa o una psichiatra. Andò nel retro a cercare una copia: Colin avevavenduto l'ultima il giorno prima, e riuscivano a procurarsi il libro solo ac-quistandone copie usate. Quando tornò, la donna stava sfogliando un libro sulla reincarnazione, eaveva sul viso un'espressione di disgusto, come se avesse scoperto uno de-gli anziani della parrocchia ballare nudo in mezzo alla strada. QuandoClaire le consegnò il Fodor, pagò i due volumi praticamente gettandole lebanconote sul bancone e uscì precipitosamente dal negozio senza aggiun-gere altro. Claire osservò il libro che stava consultando. Venti casi di apparentereincarnazione diceva il titolo, e l'autore era un altro noto psicologo. Clai-re seguì con uno sguardo accigliato la donna che si allontanava. Sapevache si sarebbero incontrate di nuovo. Sperava solo che non sarebbe statotroppo tardi per nessuna delle due. «Ehi, Claire, hai sentito? Greenhaven è stata venduta... di nuovo!» Aprile era un mese caratterizzato da grandi schiarite e da venti burra-scosi; neppure il tendone in strada serviva a proteggere i libri in venditadai danni. Frodo li stava passando in rassegna, cercando di decidere qualierano troppo rovinati per essere venduti. Allora ecco chi era quella donna. Non ne aveva le prove, ma in cuor suoClaire era certa che la giovane entrata nel negozio per avere informazionisui poltergeist fosse la nuova proprietaria di Greenhaven. E questa, speravaClaire, sarebbe forse rimasta. La casa di Greenhaven era stata venduta tre volte dalla morte di Alisonun anno prima, ma non era riuscita a trovare il proprietario ideale. Gli oc-cupanti non vi restavano mai più di qualche mese - o, nel caso della sorelladi Kathleen Carmody, Betty, di qualche settimana - prima che la proprietàfosse rimessa in vendita. Forse Alison non ha trovato pace. Alison Margrave era morta senza trovare un successore. Dopo l'inci-dente di Simon e il suo graduale allontanamento dal Sentiero, Alison l'a-veva ripudiato formalmente, tranciando il legame magico di maestro e che-la che li univa. Era stato troppo tardi perché potesse cercare un nuovo di-scepolo, e così era morta infelice, insoddisfatta.

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«Ehi, Claire, ci sei?» la chiamò Frodo. «Sì? Mi stavo chiedendo se questa rimarrà. Sai chi è?» Hai trovato il tuosuccessore, Alison? È quella donna? «Mmm... mio padre ha parlato con l'agente immobiliare, ma non ha avu-to molti dettagli. Un medico, penso. Credo che si trasferirà in maggio.» «Be', dovrebbe allora trovare il tempo migliore», dichiarò Claire tran-quillamente. Magari rimane. Mentre parlavano la libreria si riempì dei soliti clienti del lunedì. Invecedi scoraggiare quelli che gli altri commercianti chiamavano «acquirenti damuseo» - che trattavano i negozi come musei, il cui contenuto andavaguardato ma non comprato - Colin e Claire li accoglievano volentieri perrafforzare la comunità dell'occulto di San Francisco. Appena in tempo, rifletté Claire, se Simon è tornato in città e Greenha-ven ha una nuova inquilina. Come per dimostrare la verità delle sue parole, il giorno sembrò in-cupirsi quando una figura apparve sulla soglia. Claire alzò lo sguardo eavvertì un lampo di riconoscimento che la colpì come una mazzata al cuo-re. Parli del diavolo e senti il fruscio delle sue ali... Claire non vedeva Simon dal giorno del funerale di Alison, e non da vi-cino. Le cicatrici erano bianche e infossate, anche se portava ancora labenda sull'occhio. I capelli gli si erano prematuramente ingrigiti, facendoloapparire ben più vecchio dei suoi quarantun anni, e aveva rughe severe at-torno alla bocca. Esitò sulla soglia, indeciso se entrare o no, ma poi si accorse che Clairel'aveva visto. Quasi di riflesso raddrizzò le spalle e avanzò a grandi passinel negozio come un attore che entra in scena. «Claire, ciao. Avevo sentito dire che tu e Colin eravate tornati», disseSimon con la sua voce profonda e sonora. «È vero», confermò Claire, obbligandosi a restare calma. «Vedo che an-che tu sei di ritorno.» Avrebbe tanto voluto non sentirsi come un topo che ha attirato l'at-tenzione di un grosso gatto. Il pensiero le fece tornare in mente le voci in-sistenti su Simon negli anni successivi all'incidente, voci sgradevoli e o-scure di torture e sacrifici di sangue, che Claire trovava quasi impossibilida conciliare con il ricordo del ragazzo audace conosciuto tanto tempoprima. «Povera Claire», la canzonò Simon. «Sei tornata di soppiatto sperando

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che me ne fossi andato definitivamente? San Francisco è anche casa mia, enon mi lascerò cacciare tanto facilmente.» «Nessuno sta cercando di mandarti via, Simon», obiettò Claire, cercandodi farlo ragionare. «E per quanto riguarda i motivi del mio ritorno, onesta-mente non sei certo tra quelli.» Simon si mise a ridere. «Stento a crederlo, dal momento che ti sei datatanto da fare per inculcarmi l'importanza di una lodevole sottomissionementre ero sdraiato a letto inerme. Avrei dovuto capire che non avresti ri-nunciato tanto facilmente.» «Insomma, cos'è che pensi, Simon?» sbottò Claire, che cominciava aperdere la pazienza. «Sono tornata qui sperando che te ne fossi andato oaugurandomi di ritrovarti? Non possono essere vere entrambe le cose.» Tutti nel negozio si misero a fissarli. Claire strinse i denti. «Davvero?» sussurrò Simon. «Ma ti ho detto che nulla è impossibile perla volontà sorretta dalla disciplina. Ti avviso, Claire, se pensi di rico-minciare da dove hai smesso nel 1973 ti troverai di fronte un avversarioben più forte. Non sopporterò che tu o Colin vi intromettiate nel mio de-stino. Immagino che, adesso che è tornato, ricominci a combattere contro imulini a vento... Ha ancora quelle opinioni ristrette e razziste sui coloridella magia?» «Sei venuto qui per darci un avvertimento o è solo una posa?» chieseClaire imperiosamente, alzandosi in piedi. «Se Colin MacLaren decidessedi interferire nella mia vita mi metterei in ginocchio e ringrazierei Dio perla fortuna che mi è toccata! Come ogni prepotente, non sopporti di averetorto: nera, verde o viola che sia, la magia che pratichi è malvagia.» Quel discorso chiaro non sembrò turbare Simon. Anzi, sembrava piutto-sto soddisfatto della reazione che era riuscito a provocare in lei. «Nutrivo grandi speranze per te un tempo, mia cara. Ma vedo che ti seiaffidata completamente a quel vecchio imbroglione bigotto. Credo che l'e-spressione giusta sia \"accecata dalla Luce\". Non c'è differenza tra la MagiaBianca e la Nera, esiste solo la volontà dell'Adepto esperto che agisce sulPiano Materiale. Tutto il resto sono solo vecchie superstizioni. Pensavoche almeno tu te le fossi lasciata alle spalle, anche se forse non dovrei a-spettarmi lo stesso da un vecchio uomo stanco.» Claire annaspò, letteralmente ammutolita per la sfacciataggine delle pa-role di Simon. Era cambiato nei dieci anni successivi all'incidente; anchedopo averlo visto al funerale, non aveva compreso l'entità di quel cambia-mento. Il dolore costante che lo tormentava aveva creato un'oscurità, una

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durezza nel suo spirito che la spaventavano più di quello che ammettevacon se stessa. Capì che non osava continuare quella conversazione; stava tremandodalla rabbia, e in qualsiasi momento avrebbe potuto dire qualcosa di cui sisarebbe poi pentita. «Simon», concluse con voce ferma, «sei un maledettostupido, e sottolineo maledetto.» Si alzò e andò nel retro su gambe treman-ti. «...se fossi rimasta un altro istante avrei preso il libro di psicologia egliel'avrei spaccato sulla testa», dichiarò Claire tristemente. «E quello sì,che avrebbe fatto nascere dei pettegolezzi.» I due amici stavano bevendo il tè nel soggiorno dell'appartamento picco-lo e disordinato di Colin, uno dei quattro ricavati da una vecchia casa vitto-riana a pochi isolati dalla libreria. Aveva, pensava Claire, una certa somi-glianza con ogni altro posto in cui Colin aveva abitato: era un nido di tac-cola con libri e carte disseminati dappertutto senza un ordine apparente.Anche se si era trasferito alla fine di ottobre, la metà degli scatoloni eranoancora sparsi nelle varie stanze dell'abitazione. «Temo che, ovunque si trovi Simon, i pettegolezzi si scateneranno co-munque», dichiarò Colin. «Ma hai affrontato la cosa nel modo migliore.» «Be', vorrei solo che se ne andasse!» esclamò. «Tu no?» Il fermacarteche Alison aveva regalato a Colin si trovava sul davanzale della finestra, ela spada d'argento brillava al sole. Gli occhi di Claire vennero attratti dal-l'oggetto. Se l'avesse avuto sottomano il giorno prima, probabilmente l'a-vrebbe scagliato contro Simon. Le dita le formicolavano d'impazienza. Lesarebbe piaciuto gettargli contro qualcosa... «No», rispose Colin inaspettatamente. «Spero che rimanga.» «Ma Colin», protestò Claire stupita. «Non puoi pensare davvero che tiascolterà! Non l'hai sentito ieri: lui ti odia!» «Penso che abbia paura di me», la corresse dolcemente Colin. «Ma perquanto Simon sia disturbato - e penso che chiunque scelga di abbracciarele Tenebre sia in un certo senso matto - sa che non gli farei mai del male.Quindi deve aver paura di qualcosa d'altro.» «Teme che tu possa aiutarlo?» suggerì Claire, improvvisamente inte-ressata. Aveva sentito parlare di quello stato d'animo nelle sue lezioni: poi-ché la mente umana odia il cambiamento e l'incertezza più di ogni altra co-sa, spesso le persone rifiutano un aiuto - e la speranza - e scelgono di sof-frire invece di accettare la possibilità della trasformazione.

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«Pensi di poterlo aiutare, Colin?» «Spero di sì», rispose, vedendo le sue speranze riflesse sul viso di Clai-re. «Ma devo rassegnarmi al fatto che in questa situazione sono solo unostrumento della Luce, e potrò intervenire solo quando lei lo vorrà.» Nonsapeva ancora se gli sarebbe stato concesso di interferire in qualche modocon il comportamento autodistruttivo che Simon aveva adottato. Era quella una prova per Simon o per lui? Ma Simon, anche se rappresentava un problema grave, non fu la loro u-nica preoccupazione quella primavera. La verità era la moneta corrente dell'era New Age: verità e onestà eranogli unici strumenti su cui potevano contare i combattenti della Luce per e-laborare un linguaggio comune con il mondo esterno alla loro con-fraternita. Nei materialistici anni Ottanta, la ricerca delle verità spiritualiaveva però un alto prezzo. Con il denaro che prometteva, attirava imbro-glioni e sfruttatori come squali, e Colin combatteva quei pericoli con gran-de energia. Ogni forza che sminuiva la verità e faceva apparire i seguacidelle dottrine New Age come potenziali impostori nei confronti dei lorosimili attaccava i principi di solidarietà per cui Colin lavorava. Era quello uno dei motivi per cui aveva permesso a un gruppo locale dispiritualisti di riunirsi al negozio una volta al mese. Personalmente trovavapuerile ed essenzialmente poco convincente la loro dottrina, oltre che benlontana dal pensiero occulto più diffuso nell'ultimo quarto del secolo. Manon serviva a niente lamentarsi perché la gente beveva acqua sporca quan-do non aveva la possibilità di trovarne di più pura. Meglio una chiesa spiri-tualista, che metteva in comunicazione con quello che si faceva passare perlo spirito di amici e parenti scomparsi, piuttosto che un «medium» che a-vrebbe estorto ai fedeli centinaia di dollari per una serie di trucchi da ba-raccone. Aveva avvisato gli spiritualisti che avrebbe smascherato gli imbroglionitra i medium che si cimentavano alla libreria. Ma il Cielo mi protegga daifalsi medium «benintenzionati», le cui illusioni concepite in buonafedecausano tanto dolore a chi crede in loro e segue i loro consigli in campomedico e finanziario. A volte mi chiedo cosa sia peggio: l'avidità sincera escettica o l'ingannare se stessi per affermare la propria potenza... Colin finì di sistemare le sedie attorno al tavolo e si chiese se accendereil ventilatore. Faceva caldo per essere l'inizio di maggio, e una volta che latenda tra il retrobottega e il negozio era tirata l'aria non circolava. Forse i

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partecipanti avrebbero avuto caldo. Pazienza. Le sedute - in genere c'erano due o tre medium per volta -probabilmente non sarebbero durate in totale più di un paio d'ore. Era unasera infrasettimanale, dopotutto, e di solito la riunione non cominciavaprima delle sette. «Colin?» Udì il tintinnio della porta d'ingresso e la voce di Claire. Un at-timo dopo la donna fece capolino dalla tenda tirata a metà. «Vedo che hai già sistemato tutto.» Aveva un sacchetto di carta marronein una mano e una scatola proveniente dalla pasticceria nell'altra. «Erava-mo senza caffè, così sono andata al supermercato all'angolo e l'ho ricom-prato; poi ho deciso di fermarmi in pasticceria. So che in genere Kathleenporta qualcosa, ma quei biscotti avevano l'aria tanto invitante...» «Lascia che ti dia una mano», disse Colin, avvicinandosi per prenderledalle mani la scatola ingombrante. «Sta' lontano dai dolci, sono per dopo», lo minacciò scherzosamente.«Vieni, aiutami a preparare il caffè.» Per evitare di distrarre i medium, la tavola con la caffettiera e i dolci ve-niva preparata nel magazzino e tirata fuori solo dopo la seduta. A dif-ferenza del negozio di Claire a Glastonbury, la Libreria degli Antichi Mi-steri vendeva solo libri sull'occulto nuovi e usati, quindi non c'era da pre-occuparsi di erbe e oli: il magazzino conteneva solo scatoloni mezzi apertie cumuli disordinati di libri di seconda mano, organizzati (più o meno) sudiversi scaffali malfermi. Claire portò il sacchetto della spesa nel retro; quando l'edificio avevaospitato un'abitazione quella parte era stata occupata dalla cucina, e c'eraancora un acquaio. La caffettiera imponente era accanto al lavello, in atte-sa. Claire ripose il cartone di latte nel piccolo frigorifero sotto il piano dilavoro, poi frugò in giro finché non trovò l'apriscatole per la scatola di caf-fè. «Rainbow dice che la settimana scorsa le nuove inquiline si sono tra-sferite in casa di Alison: immagino che dovremo smetterla di chiamarlacosì, prima o poi, ma è difficile. Non si tratta di un'intera famiglia, sonosolo due sorelle. La maggiore è una specie di consulente: penso che sia ve-nuta al negozio qualche mese fa, ma non potrei giurarci. Ha uno studiofuori casa. La sorella studia al conservatorio. Rainbow dice che la porteràcon lei stasera, quindi la potremo incontrare.» «La ragazza è interessata allo spiritualismo?» chiese Colin incuriosito.Non era un campo che attraesse molti giovani, almeno in zone urbane co-

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me la Bay Area di San Francisco. «No», ammise Claire. «Ma è giovane e curiosa, e desidera farsi nuoviamici. Apparentemente ha già fatto colpo su Frodo.» «Be', questo è certamente un punto a suo favore», dichiarò Colin. Solle-vò la pesante caffettiera piena d'acqua e la portò al tavolo. L'avrebbero ac-cesa più tardi, prima che il primo medium cominciasse. «Non vedo l'ora...» Il campanello della porta d'ingresso tintinnò. «Dev'essere arrivato qualcuno. Vado a vedere», disse Claire, pulendosile mani con un canovaccio. «Colin, questa è Emily Barnes. Sua sorella Leslie ha comprato Greenha-ven», disse Claire. Emily Barnes era una snella adolescente che aveva la grazia di un cignonero. Il suo portamento suggeriva anni di danza classica, ma Claire avevadetto che studiava musica. Rainbow e Frodo erano con lei, insieme a unacoppia di altri wiccani del posto. «Lieto di conoscerti, Emily. Sono Colin MacLaren.» Allungò la manoed Emily la prese, con la cautela di chi basa la sua arte sull'uso delle mani.Egli la strinse leggermente e la vide rilassarsi. «Salve», disse Emily timidamente. La luce di un'anima antica brillavanei suoi occhi scuri, ma Colin non avvertì alcuna chiamata per destarla. Gli occhi di Emily passarono da Colin a Claire, e si spalancarono alla vi-sta del negozio. «Wow! Avete più libri di mia sorella.» «Cerchiamo di venderli», replicò Colin con un sorriso, «ma continuanoad accumularsi.» Un altro drappello di persone si raccolse alla porta, e Co-lin si allontanò per aprire. Kathleen Carmody entrò con un'altra donna, apparentemente una deimedium per la seduta di quella sera. Colin conosceva Kathleen ed Edward da molto tempo: era entrato nellaloro vita una volta in cui l'eredità di un lontano parente aveva portato consé più problemi di quello che ci si sarebbe potuti aspettare. Era stato allorache Kathleen aveva scoperto le proprie facoltà medianiche, e lei ed E-dward avevano cominciato a lavorare a stretto contatto con Alison nei suoiultimi anni di vita. «Ciao, Colin. Questa è Rhonda Quentin.» La signora Quentin portava un voluminoso caffettano stampato a motiviegiziani e molti gioielli; tra questi, un cristallo di quarzo lungo quindicicentimetri, la cui estremità finiva a punta, che le pendeva dal collo. Aveva

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le palpebre pesantemente truccate di viola. Era di diversi anni più vecchiadi Kathleen: doveva averne quasi sessanta, indovinò Colin. «Ah, tu sei l'amico di cui Kathleen mi ha tanto parlato», declamò la si-gnora Quentin con voce gutturale. «Vedo che sei un'anima antica, che hapercorso il Sentiero per molte altre vite prima di questa. Ma la tua aurasembra offuscata...» Si portò una mano alla fronte con gesto teatrale. Colin la classificò subito come un'innocua imbrogliona, che poteva an-che rivelarsi una vera sensitiva. Quella particolare capacità, come il donodel canto o una vista acuta, non garantiva in alcun modo la stabilità menta-le e neppure il buonsenso di chi la possedeva. «Lieto di conoscerla, signora Quentin. Tutti i legittimi seguaci del Sen-tiero sono i benvenuti qui», disse Colin diplomaticamente. Si voltò per sa-lutare un altro ospite, e con la coda dell'occhio vide Kathleen avvicinarsi aRhonda Quentin e bisbigliarle qualcosa. Cominciò per prima Kathleen, che cadde rapidamente e senza tante sce-ne in trance e raggiunse le anime nell'Aldilà che volevano trasmettere unmessaggio. Con leggera sorpresa di Colin c'era un messaggio per EmilyBarnes da parte di sua nonna, ma si trattava di una frase innocua, e la ra-gazza non ne parve turbata. Kathleen lavorava in modo assai moderno; anche se chiedeva ai parte-cipanti di tacere e di mettere le mani sul tavolo, non abbassava le luci enon recitava preghiere o invocazioni. Faceva anche a meno del poco plau-sibile «spirito guida» che caratterizzava le generazioni precedenti di me-dium e il corrispondente fenomeno New Age, il channeling. Anche se era vero che gli «spiriti guida» erano solo una maschera dell'io- il mago durante la cerimonia incoraggiava spesso la scomposizione dellasua personalità in identità «magiche» che potevano eseguire i suoi ordinisenza ostacoli -, questo metodo aveva causato molto ridicolo e diversi e-quivoci nel corso degli anni. Quando arrivò il suo turno, però, la signora Quentin si dimostrò una se-guace della vecchia scuola. Aprì una sacca da viaggio da cui estrasse unagrossa candela e un pesante portacenere di ottone in cui mise diversi pezzidi incenso. «Rende più chiare le vibrazioni, miei cari. Molta sofferenza nel nostromondo è dovuta ad aure bloccate od oscurate», annunciò con enfasi. Circa la metà dei presenti erano donne mature, che portavano i capellicorti con la permanente e un giro di perle al collo. Annuirono per ma-

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nifestare il loro assenso, mentre i partecipanti più giovani - tra cui Kath-leen Carmody, nonostante i suoi quarant'anni passati - assunsero un'ariasofferente ed educatamente vaga. Colin guardò Claire. Aveva l'espressione di qualcuno che ha addentatoun limone assai aspro e che fa del suo meglio per non darlo a vedere. Allora ha i mìei stessi sospetti, pensò Colin ironicamente. Be', vediamose la signora Quentin ha qualcosa di nuovo tra i suoi trucchi. Per diversi minuti la donna si affaccendò attorno al tavolo, cambiando diposto ai presenti per stabilire un «corretto flusso energonico». Colin non fusorpreso quando venne fatto sedere il più lontano possibile dalla medium esi trovò Claire a due posti di distanza. Kathleen doveva aver avvisato ladonna che Colin non tollerava imbroglioni in quella sede; sperava che a-vesse tenuto conto dell'avvertimento. La medium accese il cero e l'incenso, poi spense tutte le luci, chiese aipresenti di prendersi per mano e disse alcune preghiere cristiane, do-mandando agli altri di seguirla. Questo non piacque molto ai wiccani presenti; Rainbow aveva l'ariapiuttosto imbarazzata, Frodo un'espressione educata stampata in volto,mentre Emily Barnes sembrava sofferente, come se le fosse stato chiesto dimaneggiare dei serpenti vivi. Negli anni Ottanta, la «libertà dì religione»sembrava essersi trasformata in «libertà dalla religione» per molte perso-ne; forse quella ragazza non era mai stata in una sinagoga, moschea, chiesao in un tempio in tutta la sua vita. La signora Quentin entrò in trance con grandi gemiti e oscillazioni delcapo, poi fece comparire uno spirito guida chiamato Orso Giallo. Muovendosi lentamente, Colin riunì tra loro le mani delle persone cheaveva a destra e a sinistra. Quando la signora Quentin aveva chiesto a tuttidi prendersi per mano, lui aveva tenuto le sue davanti a sé proprio per po-ter procedere in quel modo. Senza esitazione i suoi vicini si presero le mani, distratti com'erano dallaconversazione tra la medium e Orso Giallo. Muovendosi il più si-lenziosamente possibile, Colin si trascinò carponi nella parte posterioredella stanza e aspettò. Come aveva temuto, di lì a poco la signora Quentin cominciò a emetterefumi luminescenti di ectoplasma, la sostanza che ogni bravo medium do-vrebbe essere in grado di creare a piacere, per riprodurre le sembianze deidefunti. La signora Quentin stava producendo uno spettacolo convincente,e Colin sentì il livello di tensione nella stanza aumentare insieme alle a-

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spettative. Accese d'un tratto le luci. La signora Quentin urlò. Alla luce dei neon sopra le loro teste, apparve un lenzuolo di tessuto tra-sparente coperto di vernice luminosa. Restava sospeso in aria grazie a unmeccanismo ingegnoso composto di sottili listelli di bambù che la signoraQuentin teneva tra le dita dei piedi. «È un'imbrogliona!» esclamò Emily Barnes, e cominciò a ridacchiareper sfogare il nervosismo. Altri la imitarono. La struttura di bambù crollò sul pavimento. Nella sacca aperta accantoalla sedia della finta medium, Colin vide il resto dell'armamentario: diversicampanelli, un po' di corda e una bottiglietta chiusa contenente una polveregranulata. La signora Quentin scoppiò in lacrime. «No! Non capite! È vero! È tuttovero!» «Oh, Ronnie», la rimproverò Kathleen Carmody. «Mi fidavo di te!» «Perché non andiamo tutti a bere qualcosa?» propose Frodo, pratico etempestivo. Prese sottobraccio Emily e l'accompagnò nell'altra stanza. Lamaggior parte degli altri, imbarazzati quanto la falsa medium per il suosmascheramento, li seguirono. Claire si avvicinò all'estremità del tavolo dove la signora Quentin pian-geva, curva, con le mani sugli occhi. «Su, su, andiamo», le disse Claire, materna e incoraggiante. «Dovevasapere che prima o poi qualcuno l'avrebbe scoperta. Eccole un fazzoletto.Adesso si rimetta le scarpe e venga a bere una bella tazza di caffè. E pensoanche che dovrebbe scusarsi con tutte quelle persone.» «Non ho fatto niente di male», obiettò la signora Quentin con aria ostile,senza smettere di piangere. Il mascara le era colato in due rivoletti nerilungo le guance flaccide e rugose; il tentativo maldestro di rimediare aidanni con il fazzoletto da tasca di Claire peggiorò la situazione. «Il PianoAstrale è vero, ma la gente non si accontenta di quello. Vuole portenti eprodigi.» «Ma non glieli può dare, lo sa bene», le fece notare Claire in tono ra-gionevole. «Non con dei trucchi del genere. È sbagliato. Non tutti sono deimedium, e non deve far finta di trasmettere messaggi dall'Aldilà che nonha mai ricevuto. Chi può sapere i danni che provoca? Andiamo, adesso,perché non va a rinfrescarsi e a darsi un po' di rossetto? Si sentirà megliodopo.»

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La signora Quentin annuì, e Claire le circondò le spalle con un braccioper aiutarla ad alzarsi. Ma quando si raddrizzò le ginocchia le cedettero eClaire barcollò sotto il suo peso. Colin corse in suo aiuto. «Ha perso conoscenza, e questa volta non fa finta», affermò Claire, men-tre Colin l'aiutava a sdraiarla per terra. «Meglio lasciare che rinvengaspontaneamente. Vado a prendere una coperta.» Colin si tolse la giacca e ne fece un cuscino da metterle dietro la testa.Così facendo si accorse che, dietro le palpebre chiuse, gli occhi della me-dium si muovevano rapidamente, come se fosse stata immersa in un pro-fondo sonno REM. Le prese la mano, turbato. «No...» la voce che emerse dalla gola della signora Quentin era roca emascolina, stranamente familiare. «Non...» Colin si sporse. Stava sognando? Recitando? Oppure era veramente intrance? «Non lasciarmi...» La voce si interruppe, e vi fu una confusione di suoni,come se diverse persone stessero parlando contemporaneamente. «Chi sei?» chiese Colin. «Cosa vuoi?» Le palpebre della signora Quentin si aprirono e richiusero diverse volterapidamente. Si riscosse come se avesse dormito. «Cosa?» chiese, sforzandosi di rialzarsi. «Cosa sta succedendo?» Anche se prima aveva certamente fatto finta, quello che era successodopo lo svenimento - di cui non si ricordava affatto - era sicuramente au-tentico. La signora Quentin apparteneva a quel gruppo di medium chehanno poteri autentici ma che scelgono di ricorrere all'inganno nelle occa-sioni, fin troppo frequenti, in cui il Dono non si manifesta. Colin non sa-rebbe stato tanto stupido da ignorare il suo messaggio, per quanto miste-rioso. Era una richiesta d'aiuto, ma da parte di chi? Un paio di settimane dopo Claire stava sistemando i libri su uno scaffalealto. La maggior parte dei clienti aveva la tendenza a rimettere i volumi suiripiani più comodi invece che su quelli dove li aveva presi, e dopo qualchesettimana era difficile ritrovarli. Il tempo si era stabilizzato nella serie digiorni sereni con clima temperato che caratterizzano l'estate californiana, el'aria vicino al soffitto era soffocante. Fu un sollievo quando udì Colinchiamarla dall'entrata del negozio. «Claire? Penso che questa sia la signora di cui mi hai parlato.»

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Claire scese rapidamente dalla scala e si avvicinò al bancone. Una donnabruna si trovava dall'altra parte e parlava con Colin. Aveva una certa so-miglianza con Emily Barnes, ma dove Emily possedeva l'aria goffa ed ete-rea dell'adolescenza, lei era indubbiamente adulta. Claire la riconobbe dal-l'incontro precedente. «La dottoressa Barnes, vero?» chiese Colin. «Ho saputo che si è tra-sferita nella casa che un tempo apparteneva alla nostra cara amica AlisonMargrave.» Claire vide che Leslie Barnes sussultò al nome di Alison, come se i pen-sieri a cui lo associava fossero esclusivamente negativi. «Il libro che mi ha dato sui poltergeist contiene le uniche informazionisensate che abbia mai letto sull'argomento. Sono tornata per vedere se haqualcosa d'altro», disse Leslie a Claire. «Comincerei dalla monografia di Anstey e Margrave», rispose Claire.Ne erano sprovvisti, ricordò, l'ultima volta che la dottoressa Barnes erapassata, ma l'episodio risaliva a gennaio. Andò a prendere il libro e quando tornò accennò brevemente alla sedutadella settimana precedente e alla falsa medium che Colin aveva sma-scherato. Ma non era quello che la dottoressa Barnes aveva bisogno di sen-tirsi dire, e Claire lo sapeva. «So che non sono affari miei, ma...» cominciò Claire in tono esitante.«Spero che il suo interesse per i poltergeist non significhi che...» Lanciòuno sguardo a Colin. «Come posso dire?» Colin, grazie al cielo, conosceva le parole più adatte per affrontare il di-scorso. «Quello che Claire sta cercando di dire è che un tempo cono-scevamo bene casa sua, e non è un segreto che, dopo la morte di Alison, visiano stati segnalati diversi episodi strani. Speravo che, con l'arrivo suo edi sua sorella - una psicologa e una musicista - i problemi sarebbero cessa-ti. Sapevo che Alison non avrebbe accettato la presenza di nuovi occupantiche non condividessero i suoi interessi...» «Ma è impossibile!» sbottò con veemenza la dottoressa Barnes. «Nonpotete credere a una cosa del genere! Perché i morti - se sopravvivono -dovrebbero essere interessati a quello che accade a ciò che si sono lasciatidietro?» Perché hanno lasciato delle faccende in sospeso, rispose Claire mental-mente, ma non espresse la sua opinione ad alta voce. «Non so proprio cosa dirle. Non ho idea di quanto sappia sull'argo-mento...» cominciò Claire.

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«Niente», rispose bruscamente la dottoressa Barnes. E improvvisamente Claire ricordò perché Leslie Barnes le era parsa fa-miliare, anche quando si erano incontrate per la prima volta. «Mi risultadifficile crederlo», obiettò con il tono più gentile che riuscì a trovare. «So-prattutto se ha l'apertura mentale che le consente di documentarsi su unpoltergeist... E mi perdoni, dottoressa Barnes; non ho una grande opinionedell'Enquirer, ma dev'esserci qualcosa di vero in quella storia che hannopubblicato l'anno scorso. Lasci che...» «Claire.» La voce di Colin era pacata ma ferma. «È venuta da noi peracquistare libri, non per ascoltare consigli non desiderati.» Claire fissò Colin leggermente sorpresa. Non era da lui rifiutare il suoaiuto, ma per qualche motivo non voleva che Claire si offrisse di collabo-rare. Ripensò alla notizia apparsa sul giornale. Stando all'articolo, LeslieBarnes, allora psicologa in una scuola a Sacramento, aveva avuto una vi-sione che aveva permesso alla polizia di catturare il famigerato «killer colcodino». Non c'era da stupirsi che avesse voluto prendere le distanze daquella storia. Come doveva essere stato orribile trovarsi nella mente di unserial killer... «Oh, per favore», esclamò Leslie Barnes. «Se sapete qualcosa di quellavicenda aiutatemi, non so più che pesci pigliare! Stavo proprio pensandoche mi serve tutto l'aiuto che riesco a ottenere!» Guardò i due con sguardoimplorante. Claire diede un'occhiata a Colin. Lui non interveniva, ma non le avrebbeimpedito di farlo. «C'è stata un'attività di poltergeist in casa?» chiese. Leslie trasse un sospiro profondo e raccontò la storia in modo concitato:le telefonate con nessuno all'altro capo della linea erano cominciate quan-do lei ed Emily abitavano ancora a Berkeley; poi c'era stato il campanellostaccato che suonava quando non c'era anima viva alla porta e continuava atrillare anche dopo che Leslie l'aveva strappato dal muro, gli incubi cheavevano perseguitato lei ed Emily, di un uomo urlante coperto di sangue... Accanto a fenomeni del genere i poltergeist erano quasi innocui, ma erachiaro che Leslie Barnes era terrorizzata al pensiero che i flash di chiaro-veggenza cominciati così improvvisamente non fossero terminati, ma a-vessero semplicemente assunto una forma più spaventosa. «Prenda questi e li legga», le suggerì Claire allungandole due libri, lamonografia e il libro che Alison aveva scritto da sola. «Se vuole, possopassare stasera e cercare di capire cosa succede a casa sua.»

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«Anche lei è una medium?» chiese la dottoressa Barnes, con una voceimprovvisamente sospettosa e ostile. Claire rimase impassibile, sapendocosa stava pensando la donna più giovane. Come molti suoi pazienti, Le-slie Barnes sapeva di avere un bisogno disperato d'aiuto, ma era profon-damente restia ad accettarlo. Claire scosse il capo, alla ricerca di parole capaci di tranquillizzare lapsicologa. «Ho avuto qualche esperienza, niente di più. Non sono sicura dipoter scoprire qualcosa, ma conosco bene la casa e sono disposta a tenta-re.» «Oh, Colin, come potevamo non aiutarla?» chiese Claire non appena ladottoressa Barnes se ne fu andata. «L'hai visto anche tu, quella poveradonna non ce la fa più! E se... Alison l'avesse scelta... se fosse propriolei...» «È abbastanza forte da farcela da sola», obiettò Colin con la calma che avolte era la sua caratteristica più fastidiosa. «E pensi che abbia scelto di spaventarsi a morte con un poltergeist?»chiese Claire con sarcasmo. «Forse no», ammise Colin. «Ma so che ha scelto di frequentare SimonAnstey.» Possibile che fosse vero? si chiese Claire mentre saliva sulla collina sucui si ergeva la casa di Alison, nel tardo pomeriggio. Mentre Colin non a-vrebbe mai detto una cosa del genere se non fosse stata vera, le risultavaquasi impossibile crederlo. Claire conosceva Simon da più di vent'anni ormai, e non l'aveva mai vi-sto con una donna che non fosse un vero schianto, la sorta di trofeo che gliuomini ricchi e famosi tendono a collezionare per segnare dei punti a pro-prio vantaggio. Anche se Leslie Barnes era piuttosto carina, non era inquella categoria, né, intuì Claire, desiderava esserlo. Forse, con tutte quelle cicatrici, non desidera competere con un uomointegro per le attenzioni di una donna più bella. Claire, però, scartò il pen-siero prima ancora di averlo completato. Una mossa del genere richiedevauna certa ragionevole dose di umiltà da parte di Simon, e da quello che a-veva visto l'arroganza suprema era ancora il lato più evidente del suo carat-tere. Claire scosse il capo alle conclusioni inconsce che i suoi pensieri tra-divano, come se la bellezza fosse l'unico aspetto che poteva attrarre in unadonna. Era possibile che Simon avesse semplicemente perso interesse in

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quello che poteva ottenere tanto facilmente e che cercasse, giunto a un'etàormai matura, una donna che potesse essere alla sua altezza anche intellet-tualmente. Qualunque fossero le sue ragioni, Simon non stava corteggian-do Leslie Barnes per i suoi sentimenti di inadeguatezza. Ma allora qualierano le sue ragioni? Claire salì i gradini che portavano alla casa. Sono passati ventitré anni da quando sono entrata qui per la prima vol-ta. Per un attimo il tempo restò sospeso: non era più una tiepida sera dimaggio, ma una fredda notte di novembre. Claire stava davanti alla portad'ingresso e desiderava immergersi nella luce e nel tepore che l'internoprometteva, temendoli però contemporaneamente con tutta l'anima. «Peccati... Immagino sia troppo sperare che ne abbia commesso qualcu-no.» Quelle parole, pronunciate tanto tempo prima, le riecheggiarono nellamente. Quanta strada aveva percorso in una vita sola! E altri dovevano ancora compiere un tragitto altrettanto lungo... Leslie aprì la porta; e aveva un'aria elegante ma informale con dei panta-loni bianchi di lino e una maglietta a dolcevita azzurra senza maniche.L'accostamento donava particolarmente alla sua bellezza scura. AccolseClaire in casa e, mentre bevevano una tazza di tè in cucina, dove comin-ciarono a chiamarsi per nome, Claire raccontò a Leslie qualcosa delle pro-prie convinzioni e incoraggiò l'altra a parlare delle sue esperienze. L'ascoltò mentre le narrava l'orrore provato a vedere Juanita Garcia mor-ta in un canale di scolo, prima in una visione, poi quando aveva condottola polizia sul luogo del delitto. Si era trasferita a Berkeley per sfuggire allanotorietà che il caso le aveva procurato e si era imbarcata in una relazionea suo dire disastrosa con il fratello dell'investigatore che aveva dato la cac-cia al «killer col codino». Joel Beckworth era uno di quegli irriducibili ra-zionalisti per cui l'unica difesa contro l'ignoto consiste nel metterlo in ridi-colo, e Leslie sembrava sollevata per il fatto di essere riuscita a romperecon lui; la rottura era stata provocata dalla sua decisione di acquistare Gre-enhaven. Apparentemente, nell'interruzione della loro storia erano intervenuti fe-nomeni di poltergeist. Stranamente, Leslie stava trattando un caso classicodi poltergeist - una ragazza adolescente - mentre aveva lei stessa problemidello stesso tipo, ma i bicchieri di vino e le scatole di Kleenex che volava-

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no, qualunque fosse la causa del fenomeno, la preoccupavano molto menodel trillo continuo di telefono e campanello di casa. «Non c'è mai nessuno: il telefono suona anche quando è isolato, e stac-care il campanello serve solo a recare disturbo ai... viventi», concluse Le-slie con voce rotta. Anche gli episodi di chiaroveggenza stavano crescendo: Nick Be-ckworth era più pragmatico del fratello avvocato, e l'aveva consultata di-verse volte su dei casi in corso, tra i quali il rapimento di una bambina. «Quella povera donna era quasi impazzita dal dolore, ma quella volta labambina era sana e salva: era semplicemente andata via col padre. Ma senon fosse stato così e io l'avessi visto?» chiese Leslie. «Dev'essere stato spaventoso», confermò Claire con dolcezza. Sei tu laprescelta, Leslie? Proseguirai tu l'opera che Alison ha dovuto lasciare in-compiuta? Leslie sorrise con un improvviso lampo di umorismo malizioso. «Brava.Perfetta tecnica psicologica per dimostrare comprensione senza influenzareil paziente.» Claire sorrise e ammise che seguiva corsi di psicologia all'università eche lavorava anche come consulente. Il discorso si spostò su Alison Mar-grave. Anche se Leslie non poteva ignorare quello che i sensi le comuni-cavano, riconoscere i propri doni psichici era ben diverso dall'accettarel'intero Mondo Invisibile. La possibilità della vita dopo la morte la lasciavaassai perplessa: sembrava troppo estrema, troppo irreale. Claire raccontò a Leslie qualcosa di Alison, facendo attenzione a nonsvelarle troppo per evitare che fosse prevenuta nei confronti degli episodiche si svolgevano in casa; inoltre, non era il caso di farle rivelazioni percui non era ancora pronta. Anche se era vero che Leslie Barnes era unasensitiva, lo era suo malgrado. Del resto è sempre così, no? Solo nei film o nei libri scadenti la gentesaluta l'apparizione del sesto senso con gioia. È un'esperienza spaventosa.Ma Leslie dev'essere spronata il più rapidamente possibile. Quello che staaccadendo qui sembra avere uno scopo preciso. E se non fosse Alison laresponsabile di questi fenomeni, gli oggetti che volano, il telefono, il cam-panello? Se non era lei, quale altra forza aveva il potere e la determinazione disuperare le barriere di una casa consacrata alla Luce per più di mezzo se-colo? Claire sperò solo che Leslie non riuscisse a percepire il suo sensocrescente di disagio.

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«Anche nel garage c'è qualcosa che non va», stava dicendo la psicologa,«ma la casa era sempre stata un... rifugio tranquillo. Fino a stamattina. Unpiatto di Wedgwood, un cimelio di famiglia, appartenuto a mia nonna, si èstaccato dal muro ed è volato per terra come un... disco volante!» Si lasciòscappare una risatina nervosa. «Posso vedere l'ufficio?» chiese Claire. Alison, se sei tu, cosa stai com-binando, in nome del Cielo? Claire si fermò sulla soglia dello studio di Alison. Non avvertì nulla, aparte la pace e tranquillità che aveva sempre associato con quella casa, an-che se era strano vedere nuovi mobili - una vecchia scrivania di legnosgangherata, una sedia e un tavolo, un orologio a cucù teneramente kitsch -nella stanza immersa nel silenzio che un tempo era stata di Alison. È l'ufficio di Leslie adesso. Dobbiamo tutti dire addio ad Alison ormai,ricordò Claire a se stessa. Dopo aver chiesto il permesso, prese in mano il piatto che si trovava an-cora nel punto dov'era caduto quel mattino. Si tenne pronta ma non sentìnulla. «Non ci trovo niente di strano», disse, «e penso che me ne accorgerei sefosse infestato da una qualche energia...» Fece del suo meglio per spiegare quello che poté, ma sentì che Leslie di-ventava sempre più tesa, e finì per lasciar cadere il discorso. Colin non sa-rebbe stato contento se si fosse inimicata Leslie, e del resto un dissidio sa-rebbe stato estremamente negativo anche per quest'ultima, proprio nelmomento in cui si rivolgeva a loro per farsi aiutare. «Hai detto che ci sono stati dei disturbi in altre parti della casa: potreivedere la finestra che non rimane chiusa?» chiese Claire. Quando tornarono in corridoio, si accorsero che la sorella minore di Le-slie aveva cominciato a suonare, e una serie di accordi riecheggiò at-traverso i muri, proprio com'era avvenuto quando Alison era stata nel fioredegli anni. Leslie fece strada lungo le scale, mostrandole (con segreto divertimentodi Claire, vista l'aria grave e solenne dell'altra donna) i pentacoli disegnatisotto ogni finestra e sopra ogni porta. «Ho predisposto io stessa queste difese», spiegò Claire «quando Alisonera in ospedale dopo il primo ictus grave.» Era stato circa un anno dopo l'incidente di Simon. Ricordò le ore che a-veva trascorso al capezzale della malata proprio come aveva fatto con Si-

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mon, e la determinazione di Alison a impedire al suo discepolo di im-possessarsi di Greenhaven. Solo allora Claire aveva capito quanto lontanodoveva essersi spinto Simon nel mondo delle Tenebre perché Alison sischierasse contro di lui tanto tenacemente. In un certo senso, non stupì Claire scoprire che la finestra che si rifiutavadi rimanere chiusa era quella della vecchia stanza di Simon. Adesso era lacamera di Emily - Claire avvertì che era occupata, anche se Leslie nongliel'aveva detto - ma non era caratterizzata dal disordine abituale in unastanza di adolescenti. Emily Barnes, sembrava, era ossessivamente ordina-ta dove le ragazze della sua età seminavano il caos. Claire appoggiò unamano sul davanzale della finestra, cercando di sentire cosa l'aveva valicata,ma ancora una volta non percepì nulla. «La finestra è certamente priva di difese», disse. «Ma ho l'impressioneche sia tutto a posto. Se proprio, si può dire che è neutrale. Ma hai ancheaccennato a un gatto, mi pare.» «Un gatto bianco. Frodo ha detto che apparteneva ad Alison», risposeLeslie, un po' sulla difensiva. Vedi? Non è il mio gatto. Non ha nulla a che vedere con me, completòClaire mentalmente. Sorrise. Come doveva essere fastidioso per Lesliescoprire in sé un meccanismo tanto classico di rifiuto! Ma se si potesserocontrollare le proprie reazioni istintive agli eventi non sarebbero più istin-tive, immagino. Eppure... «Alison ha sempre avuto dei gatti bianchi», spiegò Claire. «Una voltauna micia è uscita prima che avesse avuto il tempo di sterilizzarla, e Alisonmi ha dato uno dei piccoli. Mehitabel è stato il mio primo animale, e da al-lora ho sempre avuto dei gatti. So che a un certo punto Alison ne avevauna mezza dozzina, ma quando ha cominciato a star male ha trovato unacasa alla maggior parte di loro...» Claire, tuttavia, non pensava che il gattobianco che perseguitava Leslie fosse uno di quelli di Alison diventato sel-vatico. Poteva verificare con Kathleen Carmody per esserne certa, ma nonera probabile che quest'ultima avesse trascurato di mantenere l'ultima pro-messa fatta all'amica morente. «Posso ripristinare le barriere. Naturalmente l'ideale sarebbe purificare esigillare tutta la casa, e dovresti essere tu a farlo. Sarebbe molto più effica-ce.» «E questo terrebbe lontano il gatto?» chiese Leslie dubbiosa. Claire dovette ammettere che probabilmente sarebbe stato così, sempreche l'animale non fosse un normalissimo randagio che approfittava della

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situazione, ma dichiarò che le pareva un provvedimento eccessivo. Aveval'impressione che ci fosse qualcosa su quel gatto che Leslie non le avevaancora detto, una rivelazione a cui si era progressivamente avvicinata daquando, dopo essersi fatta coraggio, aveva cominciato a raccontare cosastava accadendo in quella casa. «Penso che questo gatto abbia fatto una fine particolarmente brutta»,disse Leslie con riluttanza. Centro! Povera Leslie, cosa sta accadendo qui? La padrona di casa accompagnò Claire al piano inferiore - Emily stavaancora suonando, questa volta un brano che Claire conosceva, un pezzo diMussorgsky - e nel giardino. Rainbow ed Emily ci avevano lavorato quasi ogni fine settimana e stavacominciando ad acquistare un'aria curata, perdendo quell'aspetto sciatto eabbandonato che aveva assunto dopo la morte di Alison. Leslie attraversòlo spazio aperto, portando Claire al piccolo garage che Alison aveva tra-sformato in laboratorio quando aveva ricominciato a lavorare con un grup-po. La sorella di Kathleen, Betty Carmody, aveva parlato di qualcosa di or-ribile che vi si nascondeva, ma non era mai riuscita a chiedere l'aiuto diClaire o Colin. Quindi Claire era completamente impreparata per quello che sentì quan-do varcò la soglia. Freddo... oscurità... fame e disperazione. Un dolore così vasto, così di-struttivo che la totale perfidia da cui un'anima sana sarebbe rifuggita inpreda all'orrore passava inosservata, diventava uno strumento, il mezzoprofano con cui un artista pazzo lavorava... «C'è veramente qualcosa di terribile qui», sussurrò Claire debolmente,cercando di bloccare quell'ululato muto di disperazione che le invadeva isensi. «Non so cos'è ma è orribile, orribile!» Leslie disse qualcosa. La sua voce allegra e tranquilla ferì i nervi irritatidi Claire: come poteva non avvertire l'orrore di quel posto? Un orrore giàrealizzato e un altro futuro. I muri vibravano del terrore di una bambina el'odore di sangue era ovunque, come se Claire vi fosse immersa... Si voltò e passò di corsa davanti a Leslie. Quando raggiunse l'aria apertadel giardino riuscì ancora una volta a respirare: aspirò avide boccate dell'a-ria profumata di piante e sperò di non svenire. Si sentiva nauseata come sesi fosse immersa - e avesse bevuto - acque di rifiuto. Come poteva essere accaduto? Come poteva essere stato profanato aquel punto il pacifico santuario consacrato da Alison? Certo non era stata

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Betty né una delle due famiglie che avevano cercato di vivere in quella ca-sa. Claire pensò all'uomo che era morto, alla giovane madre che vi si erasuicidata. Era quello che avevano percepito nei loro ultimi istanti, ne eracerta. Non poteva credere che quell'aura, gli strani fenomeni di Greenha-ven, fossero provocati da Alison: per quanto fosse arrabbiata, non avrebbemai fatto una cosa del genere a degli innocenti. Simon sì, però. Era stato Simon a uccidere uno dei gatti di Alison pa-recchi anni prima, Simon che ora predicava il vangelo della magia nera,dei sacrifici di sangue e dell'eliminazione dalla società delle persone chenon le portavano alcun vantaggio. Claire disse qualcosa - non sapeva cosa - a Leslie, e l'altra donna la preseper un braccio e la riaccompagnò in cucina. Leslie sapeva cos'era diventato Simon? Claire le scrutò il viso ansiosa-mente, ma non vi scorse i segni di una consapevolezza tanto terribile. Bevendo un'altra tazza di tè, Claire fece del suo meglio per parlare a Le-slie di Simon, ma vide con crescente disagio che ogni sua parola era statagià prevista e neutralizzata da lui. Leslie non prestava orecchio a nessuncommento negativo su di lui e non era neppure disposta ad ammettere l'e-sistenza della magia nera, come se la disciplina che causava tali indubbi ef-fetti non potesse avvalersi di mezzi per ottenere i proprii fini malvagi. L'intera storia della generazione di Claire costituiva un rifiuto di quelprincipio, e Claire si sentì sempre più frustrata per l'incapacità di convin-cere Leslie Barnes di qualcosa che per lei era evidente come il sole estivo ela città che le circondava. Simon era diventato un mago nero e, se fre-quentava Leslie, l'avrebbe prima o poi coinvolta nella sua opera... «Mi dispiace, Claire», disse infine Leslie. «So che vuoi solo aiutarmi...» Il modo migliore per introdurre una condanna senza appello, pensòClaire mestamente. «Ma non riesco proprio a credere a quello che mi racconti. Reincar-nazione, sacrifici di sangue, magia nera... Faccio già abbastanza fatica acredere ai fantasmi dei gatti...» Troppe cose e tutte insieme, mi rendo conto; ma, Leslie, non capisci chenon c'è tempo da perdere? Claire comprese che in quel momento la cosa migliore da fare era cer-care di salvare il salvabile della sua amicizia con Leslie Barnes, ma con inervi ancora scossi dall'immersione in quel pozzo nero psichico non era ingrado di determinare l'efficacia dei suoi consigli. Disse frasi tranquil-lizzanti e serene, e invitò Leslie a parlare anche con Colin dei problemi che

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incontrava in casa. Era la persona di cui Claire si fidava di più, ed era certache ai suoi avvertimenti Leslie avrebbe prestato orecchio. Sempre che non fosse troppo tardi. «Non hai l'aria soddisfatta», commentò Colin quando Claire rientrò inlibreria. Erano quasi le otto di sera; lui non aveva ancora chiuso per aspet-tarla, ma a quell'ora di un venerdì sera non c'erano più clienti. «Ho combinato un pasticcio, sono fortunata che Leslie non mi abbiacacciato in malo modo! Oh, la casa è piuttosto pulita, salvo che qualcunoha eliminato la protezione dalla vecchia stanza di Simon, ma sono pronta ascommettere che nessuna entità malvagia vi sia entrata, quindi l'ho lasciataaperta. Ma il santuario...» Claire si sedette sulla scala a libro, realizzando che tremava ancora alpensiero. «Colin, è orribile! Non c'è da stupirsi che Betty se ne sia andata equelle persone siano morte: penso che nessuno sano di mente potrebbesopportare di rimanere in quella stanza. Disperazione, dolore, terrore...»Improvvisamente, inspiegabilmente, Claire si mise a piangere. «Andiamo, ragazza mia», la consolò Colin che la raggiunse da dietro ilbancone e le mise un braccio sulle spalle. Le allungò un fazzoletto. «Si-stemeremo tutto, non preoccuparti.» Aspettò che si ricomponesse. «Pensi che eserciti un'influenza maleficasulle Barnes?» chiese Colin. «N-no», balbettò Claire, lentamente, tamponandosi gli occhi con il faz-zoletto di Colin. Emanava un odore di tabacco e dell'incenso che usava du-rante la meditazione, aromi che, realizzò, da lungo tempo associava a lui.Si concentrò, ripensando con riluttanza al momento terribile in cui avevavarcato la soglia del santuario degradato di Alison e si era trovata di frontea quello che solo un Adepto aveva potuto fare. Un Adepto della Luce cheera piombato nelle Tenebre, un Adepto il cui potere oscuro derivava dallaperversione e dalla distruzione di quello che ancora conservava di buono lasua anima. Simon. «Non penso che farà loro del male purché non trascorrano troppo temponel santuario; e dire che per loro emana solo un cattivo odore», aggiunseClaire, incapace di eliminare una traccia di indignazione dalla voce. Colin ridacchiò. «Per i nostri antenati il fetore del male e l'odore di santi-tà non erano solo dei modi di dire. Per la maggior parte delle persone, glistimoli provenienti dal Mondo degli Spiriti sono percepiti con uno dei cin-

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que sensi, e temo che la cosiddetta moralità sia stata assegnata in modopiuttosto arbitrario al senso dell'odorato.» «Ridi pure, se vuoi», brontolò Claire, che stava lentamente recuperandoil proprio equilibrio mentale. «Non sei stato tu a trovarti immerso in quellaroba!» «No», confermò Colin, improvvisamente solenne. «Non ancora, al-meno.» «Era Simon», insistette Claire. «E mentre mi recavo lì mi sono chiesta,anche se mi accuserai di essere all'antica, cosa ci trova Simon in una donnacome Leslie. Non è certo il suo tipo: sai, Frodo ha detto che lei ha fattocambiare le serrature, e mi chiedevo se l'interesse che Simon dimostra neisuoi confronti non sia invece un modo per continuare ad accedere al san-tuario. Non sono molto brava a predire il futuro, ma sono pronta a scom-mettere che almeno parte dell'orrore che ho percepito deve ancora accade-re. C'era una bambina...» «Emily?» chiese subito Colin. «No, più giovane. Ma c'era qualcosa di strano in lei, come se... oh, nonlo so. Come se stesse solo fìngendo di essere una bambina. So che è ridico-lo...» «I flash psichici spesso lo sono, quando non siamo in grado di capirli»,le ricordò Colin. «Ma c'è tempo di risolvere questo dilemma, credo. E a-desso, è tardi e hai l'aria distrutta. Chiudiamo bottega e andiamo a casa.» «Forse una bella dormita mi suggerirà cosa fare con Simon, a partestrangolarlo», disse Claire. «Leslie è innamorata cotta di lui. Me ne sonogià resa conto, ma lei forse non ancora!» Proprio come Alison, a suo mo-do, era infatuata di lui e incapace di vedere il lato oscuro del suo protettofinché non è stato troppo tardi... «La cosa migliore che puoi fare è continuare a essere una buona amicaper lei», dichiarò solennemente Colin, «e confidiamo nella Luce perché cimostri il modo più efficace per intervenire nella vita di Simon prima chepossa fare altro male.» Chiusero il negozio e qualche minuto dopo si trovarono ad assaporare ilmomento in cui la Signora Grigia delle Città - San Francisco - abbandonal'ultima scintilla del crepuscolo e si avvolge nel mantello della notte. «Ah, mi stavo dimenticando», esclamò Colin, toccandosi la tasca dellagiacca che indossava sempre. «Volevo chiederti di venire a un concertosinfonico con me venerdì prossimo.» Estrasse due biglietti dalla tasca e liagitò come una bandierina. «Li ho ritirati ieri mattina dalia biglietteria.

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Dovrebbe essere interessante», aggiunse con gli occhi che gli brillavano.«Sarà Simon a dirigere.» CAPITOLO 19 San Francisco, 1° giugno 1984 E le Babilonie di ogni uomo si sforzano di rivelare lo splendore del suo cuore babilonese. Francis Thompson La serata inaugurale del programma estivo della San FranciscoSymphony era affollata di appassionati in pelliccia, diamanti e lunghi abitiluccicanti, anche se tenute simili erano poco adatte alla stagione. Ogni a-mante della musica di San Francisco e della Penisola, sembrava, si era datoappuntamento per vedere Simon Anstey sul podio nella sua prima appa-rizione pubblica dopo dodici anni di assenza. Colin non trovò nulla da ridire sull'esecuzione; Simon era brillante comedirettore quanto lo era stato come concertista, e in quel ruolo la mano me-nomata non costituiva un ostacolo alla sua interpretazione della musica. Ilpubblico venne conquistato fin dalla prima nota, e all'intervallo era già e-stasiato come dei giovani a un concerto rock. «Be', certo sembra piuttosto in forma», commentò Claire alzandosi all'i-nizio dell'intervallo. «Hai un tono di disapprovazione...» scherzò Colin, cercando di scacciarel'umore meditabondo della donna. Da quando era stata a casa di Leslie eaveva sentito il Male che trasudava dal garage, Claire non aveva smesso dipensare a Simon. Era il rimpianto per le opportunità perdute che la depri-meva a quel modo - lui e Alison avevano sempre sperato che i due dimo-strassero un interesse reciproco - o era angustiata dalla tentazione e cadutadi Simon? Sapeva il Cielo quante trappole minacciavano chi apriva la suacoscienza al Sentiero; forse Claire temeva le proprie tentazioni, qualunqueforma assumessero. «Andiamo, perché non facciamo un giro fuori? Sarebbe un peccato nonvedere più da vicino alcune di quelle mise», suggerì. Qualunque fosse il motivo del malumore di Claire, Colin vide in lei lafragilità di cui lui stesso era stato vittima, il bisogno impellente di accan-tonare il distacco richiesto ai viaggiatori sul Sentiero e di prendere la si-

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tuazione nelle proprie mani. «Oh, guarda!» esclamò una voce familiare. «Ci sono Colin e Claire!» Era Emily con la sorella maggiore, Leslie. Colin intuì che Leslie avrebbepreferito non avvicinarsi, ma Emily sembrava insensibile a ogni correnteemotiva sotterranea e desiderava semplicemente presentare sua sorella ainuovi amici che si era fatta. Dopo essersi scambiati qualche frase cortese, Colin apprese che Simonera l'insegnante di Emily: un buon segno, perché poteva significare che a-veva abbandonato il sogno di un ritorno sulle scene come concertista.Quando si lasciò sfuggire quella supposizione, però, Emily si affrettò a di-fendere il virtuosismo del suo insegnante, e Colin comprese che quegli nonaveva rinunciato alla sua pericolosa ambizione, dopotutto. La discussione avrebbe potuto degenerare in un battibecco poco di-gnitoso - anche se, alla sua età, Colin non aveva intenzione di farsi pro-vocare da un'adolescente -, ma in quel mentre apparve inaspettatamenteSimon stesso. Anche se non si era mai visto un direttore d'orchestra che passeggia nel-l'atrio durante l'intervallo, era chiaro che Simon aveva accompagnato in gi-ro le due sorelle. Sembrò sorpreso - e, per un attimo, contento - di vedereColin e Claire, ma quasi subito si irrigidì e cercò di indurre Colin a parlaremale di lui davanti a Leslie ed Emily. «Colin, avevo dimenticato che ami la musica. Oppure sei venuto per ve-rificare la portata del mio handicap?» Colin rispose in modo neutrale, ma Simon rifiutò di lasciar cadere la co-sa. Insistette finché Claire, come Colin aveva temuto, se la prese per i suoicommenti e reagì. «Perché pensi che non desideri il meglio per te?» protestò, realmente fe-rita. «È per il tuo bene che ti ho avvertito contro l'uso di certi metodi...» «Aspetta di trovarti al mio posto per giudicare i miei metodi, Claire!»sbottò Simon. Qualche minuto dopo trovò una scusa per portare via con séle Barnes. Claire guardò turbata Colin, che le strinse il braccio per trasmetterle si-lenziosamente un po' di conforto. Anche se non sono sicuro di poter con-solare qualcuno. Ha evidentemente dei progetti per le due sorelle Barnes,ma quali? A Emily non interessa nulla a parte la sua musica, e Leslie sem-bra terrorizzata dal soprannaturale, «Vieni, andiamo a bere qualcosa pri-ma che il campanello suoni», disse Colin.

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I pagani della Bay Area celebravano il solstizio d'estate con un picnic sulmonte Tamalpais, e apparentemente Frodo era riuscito a litigare furiosa-mente con la sua ragazza in quell'occasione. Non era di nessun aiuto il lunedì successivo al negozio, sistemava i librisugli scaffali sbagliati, dimenticava quello che era stato mandato a prende-re in magazzino. Il suo abituale umore allegro e radioso aveva lasciato ilposto al silenzio sofferente di chi ha ricevuto una ferita mortale. CassieChandler si fermò al negozio quella sera e lo portò via con sé, impietositadal suo stato. Anche se Colin aveva suggerito a Frodo di prendersi qualche giorno diferie, il ragazzo era tornato al negozio il giorno successivo. «Mi fa bene tenermi occupato», spiegò a Colin. «Ma quando vedo Em-mie completamente succube di quel figlio di buona donna, potrei...» Frodosospirò. «Siamo a questo punto, Frodo?» chiese Colin. «Sì, va veramente male», rispose. «\"Sì, Simon\", \"No, Simon\", \"Faròcome dici tu, Simon\"... Mi dà la nausea vedere come la sfrutta, soffocandola sua crescita artistica. Quell'uomo ha un ego grande come la piramidedella Trans-Am e del suo scatolone.» Colin sorrise impercettibilmente. \"Lo scatolone della Trans-Am\" era ilnomignolo dato dalla gente del posto all'edificio che ospitava la BankAme-rica, un brutto grattacielo di vetro nero più adatto a New York o Houstonche alla Baghdad sulla Baia. Frodo alzò le spalle per esprimere il proprio disgusto. «Ma nessuno rie-sce a farle sentire ragioni. Anstey le ha fatto il lavaggio del cervello, e l'haconvinta a esercitarsi tutto il giorno e a evitare ogni contaminazione daparte di noi plebaglia.» «Le passerà», cercò di consolarlo Colin. «E come? Lui non perde occasione per lamentarsi dei danni subiti nel-l'incidente, salvo poi sfruttarli quando gli torna utile. Praticamente vive aGreenhaven, ormai», spiegò. «Non penso che lo stia giudicando in modo equo», disse Colin. Frodosbuffò con aria eloquente e andò ad aprire scatoloni di libri nel retro-bottega. I gatti, disturbati dal suo arrivo, si spostarono nella parte anterioredel negozio, in cerca di una compagnia meno turbolenta. L'atmosfera estiva era lattiginosa e la luce bianca quasi mediterraneasbiadiva gli edifici lungo la strada trasformandoli in un mosaico di muri

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pallidi e di ombre palpabili. Era quasi mezzogiorno quando Leslie Barnes entrò nel negozio. Si muo-veva con circospezione, attenta a cogliere i segni dell'eventuale presenza diClaire, ma secondo Colin non sapeva se desiderava o temeva quell'incon-tro. Alla fine sembrò prendere una decisione e si avvicinò alla scrivaniadov'era seduto lui. Qualunque fosse il motivo che l'aveva riportata al negozio, Leslie era in-capace di parlarne, e chiacchierarono per diversi minuti di Poltergeist eMonsignor. Il gattone nero si dimostrò un coccolone come sempre e,quando Leslie riuscì infine a esporre la ragione della sua visita, per un atti-mo Colin pensò che stesse ancora parlando al grosso gatto castrato. «Abbiamo un gatto», disse. «O forse no. Emily continua a dire che è fe-rito, in garage, ma non si vede sangue da nessuna parte... Anch'io l'ho vi-sto. Tutti parlano dei gatti bianchi di Alison, ma c'è qualcosa che nessunomi dice.» Chiuse la bocca strettamente, come per impedirsi di aggiungerealtro. È venuta a chiederti aiuto. Non deluderla, si disse Colin. «Non voglio sbilanciarmi troppo perché io non l'ho visto», cominciò concautela, «ma una delle ragioni per cui Alison ha diseredato Simon è che -perdonami, Leslie, se ti dico cose che non desideri sentire - ha catturatouno dei suoi gatti e l'ha ucciso nel corso di un rito. Claire ti ha detto cheSimon pratica la Magia Nera, no?» «Sì, ma...» Leslie assunse un colorito verdastro. «Non sapevo che in-tendesse... quello. Perché mai farebbe una cosa del genere?» «Non saprei», rispose Colin onestamente. «Non si è trattato di un atto dicrudeltà gratuita, anche se non sono certo che questo lo renderebbe menograve, ma della distruzione consapevole di un altro essere vivente per unben preciso scopo magico.» Sembrò a Colin che Simon avesse già imposto il suo marchio sull'auradella donna. Vide l'attimo in cui la mente di Leslie rifuggì dall'orrore diquell'idea, classificando l'azione di Simon in base alla facile e pericolosarazionalizzazione del ventesimo secolo: giustificò il suo operato attri-buendolo alla sete di sapere senza secondi fini. «Non riesco a pensare a una ragione migliore della pura curiosità per in-vestigare eventi parapsicologici», dichiarò Leslie cocciutamente, com-mettendo il classico errore dei dilettanti che confondevano fenomeni psi-chici e magia. Simon stava evidentemente intervenendo nella vita di Leslie con tec-

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niche del Sentiero della Mano Sinistra. Se si era spinto fin dove Colin te-meva, sarebbe stato troppo pericoloso permettere a Leslie di continuare nelsuo stato Non Desto. Recitando in un soffio una preghiera di scuse perquello che si accingeva a fare, Colin parlò. «Esiste un solo motivo accettabile per ogni tipo di investigazione, scien-tifica e non, e questo è l'unico motivo accettabile sul Sentiero: desiderosapere per poter servire.» Leslie sbatté le palpebre, come se fosse stata chiamata e destata così daun sonno profondo. Non era consapevole della conoscenza interiore chepossedeva, ma ora che Colin aveva risvegliato il suo Io Superiore, gli istin-ti avrebbero preso il sopravvento e l'avrebbero ricondotta rapidamente sulSentiero. E al suo destino. Quando uscì dalla libreria, Colin la guardò allontanarsi, turbato. Avevauna sensazione che non provava da molti anni: aveva l'impressione dimandare un guerriero assai giovane in battaglia contro ostacoli quasi im-possibili da sormontare. Mentre luglio lasciava il posto al soffocante agosto, il Mondo della Luceera turbato dai riflessi dell'opera malvagia di Simon, anche se Colin, nellarealtà, riuscì a scoprire ben poco dei suoi progetti o dell'effetto che il ri-chiamo alla consapevolezza aveva sortito nei confronti della consorte scel-ta da Simon ed erede di Alison. Dopo aver diretto una serie di concerti,Simon aveva ripreso a insegnare ai corsi superiori del conservatorio (se-guiti anche da Emily), poi era scomparso per un lungo viaggio di lavoro al-l'inizio di agosto. Cassie Chandler - informata sui pettegolezzi dell'ambiente musicale - ri-velò che era andato a Chicago per parlare a Lewis Heysermann, il direttoredi fama mondiale, per organizzare il suo ritorno sulle scene come concerti-sta. Aveva trasmesso quell'informazione in un tono volutamente neutrale,ma Colin era inorridito. Non era un musicista professionista, ma ne avevaconosciuti molti nel corso degli anni. Se Simon si aspettava di suonare inpubblico entro l'anno, aveva perso del tutto la ragione oppure aveva moti-vo di credere che presto sarebbe tornato in possesso di tutte le sue facoltà. E non esisteva alcun modo terreno per riuscirci... Una notte, verso la metà di agosto, Colin si svegliò al boato dei tuoni; sistava scatenando una tempesta tanto violenta da far tremare porte e finestre

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della casa vittoriana. Si sforzò di squarciare i veli del sonno, e solo allorasi accorse che non si trattava di un temporale sul Piano Materiale. Il corpo gli doleva come se avesse dormito incatenato; era l'effetto del-l'opprimente clima estivo, che concedeva l'oblio ma non il riposo. Accese la luce. Era passata da poco la mezzanotte; si era addormentatosul divano del salotto, con le pale del ventilatore ancora in movimento chesollevavano pigramente gli angoli di alcuni fogli. Fuori della finestra aper-ta, il cielo carico di stelle risplendeva senza una nuvola sulla città avvoltada un calore eccessivo per la stagione, ma nella mente di Colin continuavaa riecheggiare il fragore della tempesta. Cosa l'aveva svegliato? Si guardò attorno, stringendosi l'accappatoio dicotone in vita, e si alzò. Si passò una mano tra i capelli brizzolati e feceuna smorfia infastidita. Qualunque cosa fosse, non era filtrata nella suamente conscia, e non era un'ora decente per chiamare Claire e chiederle seavesse sentito qualcosa. Mentre si stava preparando una tazza di tè - la panacea universale di Co-lin per ciò che non si poteva curare - il telefono suonò. Colin sollevò subi-to il ricevitore. «Qui MacLaren.» «Qualcuno ti ha già chiamato?» Joe Schiafardi aveva un tono vagamentesospettoso. «Non riuscivo a dormire», replicò Colin. «È il caldo. Cosa succede?» Joe Schiafardi era uno dei contatti di Colin al San Francisco Police De-partment. Era stato amico di Alison. Non sapeva quanto era stata profondaquell'amicizia, né aveva voluto indagare, ma quando tutta quella storia eracominciata Colin aveva chiesto a Schiafardi di tenere d'occhio Leslie e lacasa e - per quanto gli era possibile, senza oltrepassare i limiti dell'eticaprofessionale - di fargli sapere se fosse successo qualcosa. «Ti ho chiamato solo per dirti che la dottoressa Barnes ha subito un'ef-frazione circa un'ora fa. Un pazzo con un maglio da demolitore si è intro-dotto in casa e ha fatto a pezzi il clavicembalo della sorella. Siamo peròriusciti a farlo fuggire prima che potesse fare altri danni. Entrambe le don-ne stanno bene, anche se sono piuttosto scosse.» «Grazie a Dio», disse Colin sottovoce. Era stato sciocco a mantenere ledistanze, pensando che Leslie l'avrebbe chiamato nel momento di maggio-re bisogno? «Puoi dirlo due volte. La cosa strana è che non riusciamo a capire comeha fatto a entrare. L'intera casa era chiusa perfettamente dall'interno quan-

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do siamo arrivati sul posto.» «Questo è... interessante», mormorò lentamente Colin. Non era inte-ressante, naturalmente; era terribile, perché confermava la natura so-prannaturale dell'attacco, che poteva provenire da una sola fonte. Ma per-ché Simon avrebbe colpito in quel modo Leslie ed Emily? «Sono felice che la cosa ti diverta.» La voce di Schiafardi era stizzosa. «No», si corresse Colin. «Certo che non mi diverte. Sono semplicementesconvolto dall'accaduto.» «Non è nulla rispetto a quanto rimarrà sconvolto quel delinquente quan-do lo beccherò.» La voce suggeriva che quella di Schiafardi era una pro-messa che intendeva mantenere. «Gesù, Colin, dovresti vedere quel posto.Sembra che qualcuno abbia ficcato lo strumento in un tritatutto e lo abbiatirato fuori in briciole.» Colin sospirò. «Spero che riusciate a prenderlo, Joe.» Vorrei che il col-pevole fosse una persona che potete prendere. «Non preoccuparti; per questo caso faremo gli straordinari. La dot-toressa Barnes ci ha aiutati un paio di volte, e penso che glielo dobbiamo.» Dopo un breve scambio di battute, Schiafardi riattaccò: doveva ancorafare il rapporto sulla violazione di domicilio. Colin tornò in cucina ed estrasse la bustina di tè dalla tazza. La bevandaera più forte di come gli piacesse ma la bevve comunque, sperando di trar-ne un po' di lucidità, e pensò con rimpianto alla pipa, anche se erano passa-ti anni dall'ultima volta che aveva fumato. Gli mancava però la sua com-pagnia quando doveva risolvere un problema complicato. Gli sarebbe risultato impossibile dormire ancora. Si vestì e decise dicamminare fino alla libreria. Poteva sfruttare la passeggiata per mettere or-dine nei suoi pensieri, e le strade della città sarebbero comunque state piùfresche del suo appartamento. Anche se era un individuo profondamente cittadino, una parte di lui a-mava la quiete che si godeva solo nelle ore in cui la città era deserta. Im-maginava di aver preso quell'abitudine durante la guerra; era strano pen-sare che quegli eventi, ancora freschi nella sua memoria, fossero avvenutipiù di quarant'anni prima. Aveva sessantaquattro anni e presto sarebbe ar-rivato il momento di lasciarsi alle spalle quella vita e di passare al girosuccessivo della Grande Ruota. La bizzarra e gradevole malinconia rimase con lui mentre apriva il ne-gozio. Erano ormai quasi le sei, ma l'unica luce accesa era quella della ta-vola calda in fondo all'isolato. Andò nel retro e mise a bollire dell'acqua

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nel cucinino. Claire sarebbe arrivata presto, e in genere lasciava a lei in-combenze del genere, ma se la notte della donna era stata simile alla suaavrebbe avuto bisogno immediato di una bevanda calda per ristorarsi. Ci aveva azzeccato. Claire si trascinò nella libreria alle sette e mezzocon gli occhi gonfi e l'aria stralunata, anche se la gonna di Madras e la ca-micetta erano perfettamente in ordine come sempre. «Pensavo che sarei stata la prima ad arrivare. È tè quello che vedo?»chiese speranzosa. Colin le allungò la tazza e Claire la vuotò in pochi sorsi. «Va meglio. Oddio, mi sembra di avere dormito in un timpano mentrel'orchestra suonava. C'era un caos tremendo nei Piani Interiori la nottescorsa; l'ho passata quasi tutta con le mani premute sulle orecchie, parlan-do in senso figurato. Penso fosse la stessa energia che ho involon-tariamente provocato nel santuario di Alison poco tempo fa. Ti avrei chia-mato, ma ho pensato che almeno uno di noi avesse il diritto di dormire»,aggiunse con un pizzico di invidia. «Invece ha svegliato anche me», ammise Colin. «Ma se anche non l'a-vesse fatto, ci avrebbe pensato Joe Schiafardi. Ha chiamato per dirmi chec'è stato un problema nella casa delle Barnes la notte scorsa.» «Un problema?» chiese Claire diffidente. «Qualcosa ha trasformato il clavicembalo di Alison che Simon ha pre-stato a Emily in legna da ardere», spiegò Colin senza mezzi termini. «E dalmomento che nessuna delle finestre o delle porte è stata forzata o aperta, tido tre possibilità per indovinare la causa.» Una smorfia di dolore si impresse sul viso di Claire, mostrando a Colinche aspetto avrebbe avuto da vecchia. «Simon. Ma cosa sta facendo?»chiese con collera ormai logora. «Non è neppure in città! Meglio che vadaa vedere...» Colin sollevò una mano. «Aspetta. Sarebbe meglio che ti domandasse leidi intervenire. Leslie è comprensibilmente scossa già adesso, e se dovessesospettare che uno di noi l'ha tenuta d'occhio...» Guardò Claire che lottò contro l'impulso di aiutarla e finì per sospiraretristemente. «Immagino che tu abbia ragione», ammise. «Signore! Anch'ioero così permalosa?» «Sì, e anche di più», le assicurò Colin con un sorriso. «Questo non signi-fica che non voglio che tu vada da lei, ma cerca un pretesto plausibile... e aquel punto perlustra la casa da cima a fondo e scopri esattamente con cosaabbiamo a che fare. Forse non si tratta di Simon, dopotutto.»

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Claire gli sorrise di rimando. «Dovresti vergognarti, Colin, a prendere ingiro una donna inerme in questo modo. Per un attimo ho pensato che in-tendessi davvero lavartene le mani. Vado a versarmi un'altra tazza di tè...Immagino che non abbia fatto colazione neanche tu, o sbaglio?» Colin dovette confessare di essere ancora digiuno. «Be', la tavola calda è in fondo all'isolato. Perché non ci andiamo? Poitorneremo qui e vedremo cosa ci riserva la giornata.» Frodo telefonò verso le nove per dire a Colin che c'era stata un'emergen-za e non sarebbe potuto venire al negozio quel giorno. Fortunatamente luied Emily si erano riconciliati qualche giorno prima; non era difficile im-maginare la natura dell'«emergenza» del ragazzo. Il caldo era veramente opprimente e poche persone sembravano del-l'umore adatto per comprare un libro. Anche gli habitué della libreria eranoassenti, influenzati dallo strano clima soffocante che sembrava incomberesulla città. Claire aveva i nervi tesi, e cercava un pretesto per andare da Le-slie. Finalmente, qualche minuto dopo le cinque Frodo chiamò di nuovo: por-tava Emily a casa sua per la cena ed era preoccupato per Leslie che sareb-be rimasta a casa da sola dopo quell'attacco notturno. Claire non potevaandare da lei per vedere se stava bene? «Ma certo», rispose Claire con una tale pacatezza che a Colin venne dasorridere. «Prendo la borsa e chiedo a Colin di chiudere la libreria. Mi civorranno meno di venti minuti.» Le ombre erano già bluastre e allungate quando Claire giunse a Green-haven. La passeggiata - Claire non prendeva la macchina per andare in cit-tà e Greenhaven era non lontano, in cima alla collina - le aveva dato tutto iltempo di pentirsi per non aver chiamato prima. Non era affatto sicura diessere la benvenuta, dopo il modo in cui lei e Leslie si erano lasciate. Maquando la donna aprì la porta, sembrò solo leggermente sorpresa e invitòClaire in cucina. L'atmosfera in casa era diversa, se ne accorse subito. Era stata purificatadall'ultima volta che ci era stata: Simon aveva sicuramente insegnato a Le-slie a farlo, ma la nuova atmosfera non era quella di calma tranquillità cheClaire aveva sempre associato alla dimora di Alison. Anche se in superfi-cie era serena, la casa vibrava con una specie di carica elettrica, e se c'eralo zampino di Simon, questi non aveva certo eretto delle barriere contro di

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sé. Bisognava convincere Leslie a sigillarla di nuovo da sola, altrimenti laviolenza della sera precedente sarebbe tornata, progressivamente più forte,e si sarebbe nutrita di sé fino a sfuggire a ogni controllo. Anche Leslie era cambiata parecchio nel corso dell'ultimo mese. Claireavvertì la forza che l'avviluppava, ma era curiosamente passiva, come sedormisse in lei in attesa di essere risvegliata. Se dormiva, però, era l'unica parte di lei a godere di quel privilegio. Le-slie aveva l'aria di chi non riposa bene da settimane o di chi è consumatoda una grave malattia. C'era qualcosa che non andava in lei, e non si pote-va imputare solo a un grosso spavento e a una notte in bianco. Alison, come hai potuto permettere che le accadesse questo? Ma Claire non disse nulla, e le due donne si trovarono di lì a poco nellagrande cucina con un bicchiere di tè ghiacciato in mano. La casa era deli-ziosamente fresca: trovandosi in cima alla collina, era esposta a ogni alitodi vento; era stata costruita in un'epoca in cui gli architetti non potevanoricorrere alla tecnologia per rimediare ai propri errori. Mentre sorseggia-vano la bibita ghiacciata, Claire cercò di esprimere la propria solidarietàper quello che era accaduto la notte precedente e, come aveva sperato,questo fece affiorare le vere preoccupazioni di Leslie. «A volte ho l'impressione che questa casa non sia affatto mia. Appar-tiene ancora ad Alison, e sta cercando di governare la mia vita!» Nonostante le loro conversazioni precedenti, Leslie si aspettava evi-dentemente che Claire liquidasse come infondata quell'idea, ma non fu co-sì. Alison aveva posseduto il perfezionismo e il temperamento di una mu-sicista professionista, ed era probabilmente stata piuttosto dura con gli ul-timi proprietari della casa, se era veramente stata lei a influenzarli e nonquell'orrore nel santuario. Ma neppure nei suoi incubi peggiori Claire po-teva immaginare Alison crudele e vendicativa come la forza che stava tor-mentando Leslie. «È l'ultima cosa che Alison vorrebbe», le assicurò Claire. «Immaginoche tu e Simon abbiate purificato la casa insieme per il solstizio, ma Si-mon... forse non sa che il sant... che il garage avrebbe bisogno di una puli-zia più accurata.» Parlò con tatto e dolcezza, cercando di far capire a Leslieche Alison l'aveva scelta per continuare la sua opera incompiuta, pur cer-cando di non dire nulla contro Simon. «Adesso mi stai facendo sentire colpevole perché non sono capace diproteggere casa mia dalla... dalla violenza!» esplose Leslie arrabbiata espaventata.

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Ci volle tutta la sensibilità di Claire per calmarla di nuovo senza per-metterle di ricominciare a fingere che fosse tutto a posto. Alla fine suggerìdi andare a dare un'occhiata alla stanza della musica: una camera piena distuzzicadenti, unici resti di un clavicembalo, sarebbe stata una cura eccel-lente per una donna che si ostinava a rifiutare la realtà. Quel suggerimento visivo sembrò produrre l'effetto sperato. Leslie si mi-se silenziosa in un angolo con un'espressione pensierosa. Claire le si avvicinò, facendosi forza per quello che l'aspettava. Con cau-tela si aprì all'atmosfera della stanza, sondando, cercando... Dolore. Terrore. E RABBIA... una furia tradita senza alcuna somiglian-za con un furore umano, proprio come una fiamma ossidrica non è com-parabile a una candela... Claire aprì gli occhi con un sussulto. Era solo l'eco della forza passata,non la forza stessa: l'equivalente psichico di tracce di passi in un'aiuolafangosa. Quell'orma sarebbe svanita col tempo, ma una sensitiva sarebbesempre stata in grado di percepirla se la stanza non veniva nel frattempopurificata. Ma non era Simon, come Claire aveva immaginato. La forza che si erascatenata lì era inumana, non come un gatto ma piuttosto come una pietra,qualcosa di completamente diverso dall'uomo. Non era Simon. Il sollievo e la preoccupazione di Claire l'indussero a cercare di spiegarequello che sentiva, ma riuscì solo a confondere ulteriormente Leslie. «Stai parlando di magia nera?» chiese. «Di Satana? Del demonio?» «Non credo in Satana», dichiarò Claire. Almeno, non nella forma del-l'angelo caduto di Milton, il gemello demoniaco di Cristo. Colin affermadi avere incontrato dei demoni, ma io no, e non è il caso di affrontare ildiscorso proprio adesso con questa poveretta. «Ma la forza in questa stan-za è così inumana che non conosco un modo per descriverla. Se è stataprodotta da mente umana, deve venire direttamente dall'Es, la parte sepoltaben più in profondità del pensiero razionale e che opera in base a puro i-stinto. E questo è un pensiero più terrificante di qualunque diavolo presoda un libro di stregoneria medievale!» Sentì il panico di Leslie affievolirsi mentre le diceva quello che avevabisogno di sentire. Pensava di poterla convincere a compiere le azioni ne-cessarie se riusciva a farle apparire ragionevoli. Anche se era evidente cheSimon doveva interferire con il suo Sentiero - dal momento che si di-mostrava molto più aperta al paranormale rispetto a tre mesi prima -, Le-

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slie non si risolveva ad accettare completamente il nuovo universo chel'uomo amato e i suoi doni le stavano rivelando. Poche cose al mondo terrorizzano una persona normale quanto la sco-perta della propria profonda vulnerabilità alle forze della magia, bianca,nera o grigia che sia. La magia è una forza che i muri di cemento non sonoin grado di fermare e che la semplice volontà non può ostacolare. Riesce acorrompere i guardiani dell'ego umano e ottenere un accesso illimitato allamente inconscia. Non è vincolata a spazio o tempo, e non sottostà alla se-quenza logica di causa ed effetto. Senza una comprensione delle leggi fondamentali che regolano il mondoinvisibile, per molti il primo incontro con la magia assomiglia all'ingressoimprovviso in un malefico luna-park dove l'effetto precede la causa e iltempo non procede neppure a ritroso, ma è completamente ribaltato, dovegli assoluti cessano di esistere e la ragione deve sottomettersi a una logicache non si basa affatto sul buonsenso. Non c'è da stupirsi se la reazioneimmediata e istintiva è in genere la negazione e il terrore, poiché è come sela realtà stessa fosse messa in dubbio e, insieme a lei, tutta l'esperienza del-la vita fino a quel momento. Non appena Claire cominciò a rilassarsi, avvertì una forza che si rac-coglieva nella stanza, premendo sulle barriere tra il mondo della forma equello invisibile, cercando il punto più debole per fare breccia. Lei. No, non ora... supplicò Claire, ma la forza non le diede ascolto. Entròcon la rapidità esasperata di qualcosa che da tempo cerca di farsi ascoltaree non osa lasciarsi sfuggire nessuna opportunità. «Claire! Oh, Claire, mia cara ragazza...» «Alison?» bisbigliò Claire. Come poteva Alison essere ancora intrap-polata lì, quando sapeva perfettamente che suo dovere era dirigersi verso laLuce? «Come ha potuto fare questo? La mia casa è sempre stata un tempio perrigenerare e guarire le anime...» «Non è contenta», disse Claire ad alta voce, rivolta a Leslie. Alison, co-me posso aiutarti? Dimmi cosa ti trattiene qui. «Sono rimasta perché non avevo un erede... fino a ora. Adesso è prontaper continuare la mia battaglia. L'aiuterò in ogni modo possibile, maquando la corrente cambierà dovrò andarmene. C'è un favore che chiedoa te e non a lei: di' a Simon che gli perdono tutto. Quello che mi ha sot-tratto gliel'avrei donato volentieri! Diglielo, Claire! Devi farlo!»

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«Glielo dirò quando potrò.» Ebbe una sensazione di disorientamento chela fece sentire nauseata, e l'elettricità nell'atmosfera si dissipò. Alison erascomparsa, e con lei se n'era andata ogni traccia di violenza inumana. Claire si rivolse a Leslie. «Qui non c'è più nulla da fare», concluse bru-scamente. «Andiamo a dare un'occhiata al resto della casa.» Claire se ne andò dopo le undici. Aveva passato in rassegna tutta l'abita-zione come Colin le aveva suggerito, e pensava di essere anche riuscita aristabilire un buon rapporto con Leslie. Insieme avevano benedetto il punto più critico, il garage. Leslie avevaadottato con facilità gli strumenti del Sentiero, anche se non aveva volutocompiere lei stessa l'operazione. Nonostante quello, Claire aveva visto l'e-nergia nascente di Leslie come un segnale potente nel mondo della luce. Ma per la prima volta l'uso del Dono l'aveva lasciata esausta e svuotata;era come se, una volta privato di una fonte interiore di approvvigionamen-to, si fosse attaccato a Claire stessa per prosciugarne ogni risorsa. Avevapercorso appena mezzo isolato quando cominciò a rimpiangere di non es-sere venuta in auto invece che a piedi; da tempo immemorabile non si sen-tiva così stanca. Inciampò, e si mantenne in equilibrio aggrappandosi a un lampione; sirese conto che quella spossatezza l'aveva fatta avanzare a zigzag come unubriaco lungo il marciapiede. Adesso basta, si redarguì severamente. Mi devo riposare un minuto. Po-teva sempre tornare da Leslie e chiamare un taxi, ma ci avrebbe messo al-meno mezzora. Si appoggiò al lampione rendendosi conto troppo tardi,quando vide i fari di un'auto che stava salendo sulla collina nella sua dire-zione, che era nella posa tipica della prostituta. Avvertì una combinazionedi orrore e ilarità quando l'auto rallentò e si fermò. «Claire, stai bene?» «Colin!» Il sollievo cancellò ogni altro pensiero. «Sono venuto a vedere se eri ancora quassù. Ho pensato che ti avrebbefatto comodo un passaggio fino a casa.» Alla luce della lampadina interna della Volvo, Claire vide quanto erapreoccupato. «Me ne stavo andando», spiegò, «ma sono felicissima di vederti. Nonpenso che avrei potuto fare un altro passo.» Colin si sporse per aprirle lo sportello; Claire si lasciò cadere con gra-titudine sul sedile, chiudendo gli occhi. Colin riprese a guidare, e l'interno

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del veicolo sembrò vorticarle intorno. «Dovrei raccontarti cos'è successo stasera», disse, quasi borbottando. «Dimmelo domani, a meno che non possa aspettare.» «C'è ancora un po' di tempo», rispose Claire, già mezza addormentata.«Fino a che la corrente non cambia.» La corrente a cui aveva fatto allusione Alison era la Corrente dell'Anno.I maghi credevano che i quattro grandi punti di svolta dell'anno fossero isolstizi e gli equinozi, i cardini in cui il Grande Ciclo cambiava direzione ecaratteristiche. L'equinozio di primavera era una corrente ascendente che montava im-petuosamente verso il solstizio estivo, mentre l'equinozio d'autunno erauna corrente discendente che scivolava verso l'oscurità dell'inverno. Ognimago esperto che intendeva compiere un rituale di magia nera avrebbeprobabilmente scelto quella data per entrare in azione. Quando Alison ave-va detto che se ne sarebbe andata al cambiamento di corrente, aveva volutoparlare dell'equinozio d'autunno, la data in cui il sole entrava nel segnodella Bilancia. Il 21 settembre era ancora a sei settimane di distanza, e Co-lin e Claire speravano entrambi di essere pronti per tutto quello che sareb-be potuto succedere in quella data. Frodo frequentava ormai Emily con regolarità; apparentemente Simonaveva smesso di interferire. Il ragazzo aveva rivelato a Colin che Simonaveva preso in prestito il garage poco dopo il suo ritorno da Chicago... el'aveva chiuso a chiave. È un lusso poter disporre di tanto tempo, rifletté Colin in un momento dicalma. Anche se la questione era tra le più gravi mai affrontate, questa vol-ta la battaglia non sarebbe stato un combattimento improvvisato all'ultimominuto. Questa volta Colin aveva un'idea precisa del luogo e del momentodello scontro. Il santuario di Alison, il 21 settembre. Dalle sue esplorazioni nel Mondo della Luce, sapeva che Simon non a-veva ancora compiuto l'ultimo passo sulla strada della dannazione. Il sacri-ficio di animali era una cosa, ma l'eliminazione di una vita umana - perquanto vile - era ben più grave. Se Colin avesse saputo che Simon si eragià macchiato di quella colpa, avrebbe chiesto al suo Ordine di prendereprovvedimenti; la negromanzia, come la peste bubbonica, si diffondevarapidamente se non era estirpata con prontezza. Ma Simon non aveva ancora commesso l'estrema oscenità, e Colin in-

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tendeva impedirgli di farlo, se gli fosse stato possibile. Avrebbe avuto u-n'unica possibilità: al cambiamento di corrente, l'Io Superiore di Simon sa-rebbe stato libero dalle Tenebre che vi aveva invitato e sarebbe riuscito audire Colin. Lui avrebbe dunque sfruttato quel momento per richiamarloalla Luce, ma il tutto doveva avvenire in un attimo ben preciso. E non sisarebbe presentata una seconda opportunità a nessuno dei due. Quindi, mentre l'anno si avvicinava all'equinozio, Colin compiva i suoipreparativi proprio come Simon, e invocava in sé tutta l'autorità della Lu-ce. E cercava di non temere, con il cuore poco avvezzo a tale sentimento,l'uso che la Luce avrebbe fatto di lui. Il giorno dell'equinozio d'autunno si preannunciò sereno e tiepido, e Co-lin si alzò col sole per salutarne la venuta. Era digiuno dal tramonto delgiorno prima e aveva mangiato solo cibi leggeri nelle due settimane prece-denti, senza assumere alcuna forma di proteina animale. Trascorse la mat-tina a meditare, cercando di svuotarsi di ogni desiderio e di diventare unpuro strumento della Luce. Anche se non possedeva il Dono come Claire, riusciva quasi a percepirel'opera di Simon come un brontolio di tuono immediatamente oltre l'oriz-zonte. Aveva consultato un'effemeride: Simon avrebbe celebrato il puntoculminante del suo rituale alle 5.14 di quel pomeriggio, nell'attimo in cui ilsole si spostava nella casa zodiacale della Bilancia. Lui doveva solo tenersipronto per il richiamo alla battaglia. Era pomeriggio quando la telefonata che aveva aspettato arrivò; senzaprovare alcuna sorpresa Colin abbandonò la posizione del loto davanti al-l'altare, si alzò e sollevò il ricevitore. «Qui MacLaren.» «Colin!» Era Leslie Barnes. «È successa una cosa orribile...» La sua vo-ce era resa quasi irriconoscibile dall'isteria. «Penso che faresti meglio a venire qui, Leslie», le suggerì Colin, cer-cando di calmarla. Le diede indicazioni, sperando che fosse ancora abba-stanza lucida per memorizzarle: a quanto pareva, non riusciva più a igno-rare la verità circa le attività di Simon, e questo la stava distruggendo didolore. Mentre aspettava il suo arrivo, Colin preparò il tè. C'era ancora tempoprima del rituale, e Leslie Barnes era la sua alleata più forte nella battagliache lo aspettava. Simon amava lei e la sua sorella minore, quindi, secondo

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le leggi implacabili del Sentiero della Mano Sinistra, traeva l'energia mag-giore dalle sofferenze che infliggeva loro. In compenso era vulnerabile alloro potere, ma Leslie era la sola sorella con la forza e la disciplina neces-sarie per colpirlo pur amandolo. Ma doveva trattarsi del suo volere, della sua decisione. Se non poteva fa-re il necessario, Colin avrebbe dovuto affrontare Simon da solo. Qualche minuto dopo, Leslie arrivò da lui. Il terrore l'aveva invecchiatadi vent'anni in poche ore e faceva apparire il rossetto color corallo chiarocome una macchia appariscente sul viso reso mortalmente pallido dallapaura estrema. Riuscì, balbettando, a svelargli le terribili paure con cui aveva vissutoper intere settimane: il timore che, dentro l'artista appassionato che amava,si nascondesse un assassino crudele e grottesco che avrebbe sfruttato e uc-ciso senza alcun ripensamento né rimorso. Raccontò a Colin che Simonaveva rapito la figlia ritardata di uno dei suoi pazienti e che intendeva uc-ciderla. Leslie non aveva più alcuna difficoltà a credere che Simon intendessedavvero sacrificare la piccola Chrissy Hamilton. Colin l'accompagnò contatto alla scoperta della verità più profonda celata da quell'atrocità: il sa-crificio progettato non era quello della bambina, anche se intendeva usarlanel rituale, ma di una persona che gli era ben più cara, cioè Emily, la sorel-la di Leslie. Arte per arte, abilità per abilità, vita per vita: distruggere Emily, un'abilepianista, avrebbe restituito a Simon le sue capacità, ma a un prezzo indici-bile per l'anima di entrambi. Essere usate per alimentare i poteri di un A-depto Nero menomava quelle anime in modo irrecuperabile. Ogni vita toc-cata da un Adepto nero veniva congelata come nel momento della morte:restava appassita, risultava abortita. «Cosa possiamo fare?» chiese Leslie con la voce scossa dai singhiozzi.«Come possiamo fermarlo?» Guardò Colin, e i suoi occhi scuri tra-smettevano speranza e determinazione. «Vieni con me», ordinò Colin. Arrivarono a Greenhaven poco prima delle cinque. Colin prese la pre-cauzione di parcheggiare in strada: tutto ciò che si trovava entro i confinidella casa sarebbe stato influenzato dall'attività di Simon. Le leggi dellamagia erano logiche e irragionevoli come quelle di un programma percomputer, e linee arbitrarie disegnate su una carta conservata a trenta chi-

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lometri di distanza potevano costituire un ostacolo per le forze cui Simonattingeva come un muro di cemento per una forza fisica. Gli esseri umani,che potevano superare quei confini intangibili con facilità, lo facevano aloro rischio e pericolo. Non appena Colin mise piede sulla proprietà capì di aver fatto bene a es-sere prudente. Le energie oscure in azione erano come una marea che sali-va lentamente. Non era il baratro psichico descritto da Claire, ma un gelidoe inesorabile richiamo, facilmente percepibile da parte di un altro mago,anche se sprovvisto del Dono. Colin annaspò cercando di respirare, e ogni passo in avanti era una lotta.Il cuore gli procurava fitte brucianti e acute nel torace, ma egli accantonòogni pensiero legato alla propria incolumità. Indosserò l'armatura dellaLuce... Ma le Tenebre che Simon aveva scelto come custodi erano troppo forti,entità velenose che attaccavano i sensi con il loro fetore perfido. Colin sisentì venire meno, mentre il cuore esitava sotto la pressione di quell'odio.Il mondo reale del giardino che circondava lui e Leslie venne nascosto allasua vista: disorientato com'era da quella tempesta psichica, Colin avanzòincespicando con il solo aiuto dell'istinto. «Vattene, vattene, VATTENE!» La voce di Leslie, vibrante e imperiosa,sembrò riecheggiargli nella testa; la donna fece un gesto, e goccioline diLuce le piovvero dalle dita, colpendo le Ombre e obbligandole a tornarenel regno da cui erano state chiamate. Ancora una volta Colin riuscì a ve-dere la vita vegetale intorno a loro. Un sobrio e maestoso orgoglio di genitore lo riempì di fronte al gesto diLeslie. Anche se aveva appena messo piede sul Sentiero, sarebbe diventataforte e onesta e un valido strumento per gli eserciti della Luce. Se fosse sopravvissuta a quel giorno. Erano giunti alla porta del santuario. Leslie toccò la maniglia e levò lamano senza girarla, persuasa, come Colin intuì, che fosse ancora chiusa achiave come lo era stata per tutto il mese precedente. Ma Colin sapeva che,perché Simon potesse eseguire il rituale, andavano rispettate certe condi-zioni, che non includevano certo la sicurezza di una porta chiusa a chiave.Quando mise una mano sulla maniglia, questa girò facilmente e l'uscio siaprì. Tracciò un segno nell'aria per squarciare le protezioni erette da Simon, evenne ricambiato con un crepitio di fiamma astrale. Alle sue spalle udì Le-slie gemere.

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Dentro il laboratorio l'aria era impregnata di incenso, e Simon si trovavaentro il disegno della stella a sei punte disegnata con un solo tratto. Chrissy Hamilton era coricata davanti ai due cubi dell'altare con addossoancora i suoi vestiti, ma Simon ed Emily indossavano gli abiti rituali: Si-mon era nudo sotto la tunica rossa dell'Adepto Nero, ed Emily, la sua pro-stituta sacra, sedeva su uno sgabello con un mantello bianco che le lascia-va scoperto il seno. Non reagirono all'intrusione nel tempio, ma del restoEmily era in trance e Colin non pensava che la mente di Simon fosse nelmondo terreno. Simon afferrò il coltello che si trovava sull'altare. «In nome di Dio Altissimo e della Luce al cui cospetto ti ho portato, Si-mon, pellegrino, Magister, servitore di Dio, dico no!» urlò Colin con tuttala forza che aveva. Nel suo stato di consapevolezza accresciuta, sentiva leforze astrali che avanzavano ineluttabilmente come enormi macine. Finalmente Simon reagì alla loro presenza. Il suo viso si contorse con unfurore da cui ogni tratto umano era scomparso da tempo, e strinse convul-samente il coltello rosso come se intendesse usarlo per assalirli. Signori della Luce, se è la vostra volontà che sto eseguendo, lasciatemicompletare quello che ho iniziato. Rinuncio liberamente a quello che ab-bandono oggi; venga pure usato per la Luce... Di nuovo Colin tracciò il segno. La sua sola presenza nella stanza erasufficiente per procurare a Simon un terribile dolore fisico, che assunse lastessa forma umiliante della natura dell'Adepto in quel momento: lo para-lizzò, permettendo a Colin di attraversare lo spazio che li separava e di en-trare nel cerchio disegnato a gesso sul pavimento. I secondi a sua disposizione stavano passando rapidamente. Con ungrande gesto rovesciò l'altare, e il fragore del suo stivale contro il legno ri-suonò come un assordante colpo di tamburo. L'incenso che bruciava volòdal piattino e finì in un cumulo appiccicoso sul pavimento; Colin schiacciòil lume sotto un piede, spegnendone la fiamma. Simon gli balzò addosso con il coltello che gli brillava in mano. Colinnon si mosse, facendo appello al vero io del suo avversario in quel terribilemomento con tutta la forza che possedeva. Simon Anstey, ricorda chi sei! Sentì la Forza che lo avviluppava; ancora una volta, in quell'istante ful-gido, Colin divenne la Spada dell'Ordine. Simon lo attaccò col coltello, cherimbalzò però sul torace di Colin senza ferirlo. Colin disegnò in aria il se-gno per la terza volta, e avvertì un grande silenzio diffondersi attorno a lui

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mentre il punto fermo dell'equinozio veniva raggiunto. E adesso c'erano due Simon Anstey nella stanza: la creatura farfugliantecoperta di sangue, fatta di collera, dolore e avidità, e l'essere sem-plicemente umano che era stato tentato senza poter resistere... ma che nonaveva ucciso. «Ero pazzo. Dovevo essere pazzo», balbettò Simon con voce intontita.«Cos'ho fatto, cosa farò adesso?» Guardò Colin con occhi agonizzanti, e inuna parte recondita del suo cuore Colin pianse per il ragazzo che un tempoconosceva. «Simon! Oh, amore mio!» pianse Leslie, cercando di avvicinarglisi. Ma Colin la trattenne. Simon non aveva ancora scelto. Coloro che cam-minavano nelle Tenebre potevano essere sinceramente addolorati per le lo-ro azioni ma scegliere di continuare a commetterle. «Simon, ti trovi a un bivio. Se speri di ricominciare a camminare nellaLuce devi ancora compiere un sacrificio», gli ricordò Colin. «Cosa sei di-sposto a sacrificare, e cosa farai con il potere che dev'essere eliminato daquesta stanza?» Mosse la mano, e lo spettrale lampo astrale seguì il suogesto. Per un istante, le porte della memoria si schiusero per Colin MacLa-ren. Anche lui si era trovato, in un'epoca remota, in un tempio che era ormaicenere da migliaia di anni, e aveva ascoltato quelle stesse parole. Gli erastata offerta la redenzione e lui l'aveva gettata nella polvere, e da allora erastato legato alla Ruota come punizione per la sua arroganza. Proprio come sarebbe successo a Simon se Colin non fosse riuscito asalvarlo in quel momento. Avvertì un dolore opprimente al petto. L'energia nella stanza aumentò diintensità, e le Ruote del Tempo si rimisero a scorrere. In un attimo tutto sa-rebbe stato perduto: il presente sarebbe diventato passato e Simon avrebbetrovato un altro modo per commettere il suo crimine. «Presto, Simon!» lo incitò Colin. «Il tempo sta scadendo! Scegli le Te-nebre o la Luce, e resta legato per sempre alla tua decisione!» Ricorda chesei un essere di Luce, e hai scelto questo destino per te. Ricordalo... e siiorgoglioso. Simon trasse un profondo sospiro e Colin avvertì un dolore insoppor-tabile nel suo petto. «Io non farò...» cominciò Simon con voce roca. «Rinuncio alle Tenebreper sempre, al mio potere e a quello che avrei potuto essere. Vi rinuncioper sempre, e do quel potere a Emily...»

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Si alzò da quella posizione ingobbita quasi da animale e baciò dolce-mente Emily sulle labbra, poi si rivolse all'altare davanti a cui era ancorastesa la bambina. Colin sentì il tempo sfuggirgli, spostarsi verso la corrente discendente, econ lui tutta l'armatura della Luce. Tutti i presenti nella stanza tornarono aessere semplicemente umani, non angeli o archetipi. La bambina si sollevò e chiamò piangendo la madre, mentre gli occhi lesi riempivano di una comprensione tutta umana. «E per non essere tentato di nuovo...» Simon alzò la mano menomata el'abbatté sullo spigolo dell'altare rovesciato. Colin udì e avvertì dentro iltremendo scricchiolio delle fragili ossa che cedevano, e Simon piansementre ondate di dolore insopportabile lo attraversavano facendolo sussul-tare. La sua abilità era perduta per sempre. Non ci sarebbe stato un secon-do miracolo per Simon Anstey. «Emily...» singhiozzò, inginocchiandosi. «Tu... sarai le mie mani...» Leslie gli corse vicino, e questa volta Colin non la fermò. La scelta diSimon era fatta. La Luce aveva vinto ancora. Non udì Leslie gridargli qualcosa mentre le ginocchia gli cedevano. CAPITOLO 20San Francisco, 1985Stammi vicino quando la luce si abbassa,quando si gela il sangue, e i nervi pizzicanoe formicolano; e il cuore sta male,e tutte le ruote dell'Essere rallentano. Alfred Tennyson Simon e Leslie si sposarono appena Simon uscì dall'ospedale, poi viag-giarono per diversi mesi. Durante la loro assenza, il rapporto di Emily eFrodo si fece più saldo, e divenne chiaro che anche loro, un giorno, si sa-rebbero sposati. Il pensiero di Simon e Frodo cognati divertì parecchioClaire, una distrazione che le risultò preziosa nelle settimane seguenti. La battaglia di Colin contro le Tenebre lo aveva esaurito come una feb-bre alta, e durante i lunghi mesi invernali rimase gravemente indebolito esi mosse con la cautela e la rigidità di un vecchio. La consapevolezza dellasua mortalità lo accompagnava sempre, come un amico fedele. Recuperòle energie più lentamente di quello che avrebbe voluto, e Claire si occupò

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di lui come una chioccia nervosa. Aveva promesso di compiere qualsiasi sacrificio per ottenere la reden-zione dell'anima di Simon ma, come ogni altro uomo, al momento non a-veva creduto che le forze superiori avrebbero accettato la sua offerta tantogenerosa. Lentamente, mentre le settimane di convalescenza passavano,Colin realizzò che la battaglia per l'anima di Simon poteva benissimo rive-larsi l'ultima di quel genere per lui. Era prossimo ai settant'anni e, mentrela volontà dell'Adepto aumentava con l'età e lo studio, l'energia fisica - laforza, il vril - necessari per alcuni atti di magia potevano svanire dall'oggial domani, stroncati come da una gelata notturna, lasciando l'Adepto impo-tente come un uomo qualsiasi. Ma se i Signori del Karma gli avevano infine tolto il potere, pazienza.Avrebbe continuato a obbedire alla loro volontà e a cercare di mantenersifedele alla Luce in ogni sua azione. Se doveva limitarsi al ruolo di spet-tatore della Grande Battaglia negli ultimi anni di vita, avrebbe cercato diimparare il più possibile osservando gli interventi dei Signori del Karmanel Piano Materiale. Anche se alcune delle loro lezioni erano piuttosto amare. Il mondo avanzava sempre più rapidamente, come se anch'esso fossestato ansioso di passare al millennio successivo. Mentre Colin si riprende-va lentamente, l'anno finì in modo bizzarro, con un uomo chiamato Ber-nhard Goetz che sparò ai suoi giovani assalitori nella metropolitana diNew York... e il mondo se ne rallegrò. L'amore per la violenza era dappertutto. In ogni angolo della Terra laguerra sembrava non solo possibile, ma inevitabile, e Colin si svegliò unmattino con l'improvvisa consapevolezza che non erano solo gli uomini aessere mortali: lo erano anche i sogni. Anche loro potevano spegnersi. Trent'anni prima avevano tutti vissuto un sogno meraviglioso... la fan-tasia che i governi volessero la guerra, mentre i popoli, lasciati liberi, a-vrebbero scelto la pace. Ma negli ultimi tre decenni, mentre il mondo si eraprogressivamente oscurato e il furore delle grandi guerre del passato si eraridotto ad atti costanti di violenza casuale, i sognatori avevano lentamentecapito che si erano sbagliati. Ci sarebbero sempre stati conflitti perché laguerra veniva dalla gente. Non dai governi, dagli eserciti, dai colossi indu-striali. La guerra cominciava con il bastone, con la bottiglia incendiaria,con la bomba. La guerra iniziava con una rissa in strada... la tua strada. Ela guerra non si sarebbe placata fino a quando l'ultimo essere vivente non

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fosse morto. Ma proprio mentre una guerra eterna appariva inevitabile, c'erano alcunisporadici raggi di speranza. Nella primavera del 1985 l'Unione Sovieticacominciò ad attenuare la sua irriducibile opposizione all'Occidente. Conl'ascesa al potere di Mikhail Gorbaciov, l'inverno incessante della GuerraFredda sembrò finalmente essere pronto a lasciare il posto alla primavera.Quell'autunno il premier sovietico e il presidente americano si incontraro-no e il mondo trattenne il respiro. Ma poi, come se una forza malvagia e misteriosa si prendesse gioco del-le speranze umane, la seconda metà degli anni Ottanta cominciò con lamorte di un altro sogno: la navetta spaziale Challenger esplose, uccidendotutti e sette gli astronauti a bordo. Erano neri, bianchi, asiatici... uomini, donne... e una donna in parti-colare, chiamata Christa McAuliffe. L'esplosione squarciò il cuore di u-n'America che rifiutava di credere ancora ai suoi leader, che aveva co-minciato a diffidare delle promesse e che si fidava solo delle azioni. U-n'America che aveva imparato a credere che la parola data era solo unamenzogna. Colin ripensò a quello mentre guardava Ronald Reagan offrire parole dilutto sapientemente costruite a una nazione straziata dal dolore; un verocolpo da maestro, per un presidente tanto ipocrita da avere onorato pubbli-camente un nazista morto solo sei mesi prima. Questo irritava Colin inmodo sordo e pacato; erano passati quasi quattro decenni dalla vittoria a-mericana nella seconda guerra mondiale, e quello avrebbe dovuto essere ilmondo in cui tutti gli uomini erano liberi. Ma la vittoria che Colin si era aspettato - quel momento luminoso, indi-viduabile con precisione - non si era mai verificata. Era sempre stata a unabattaglia di distanza, da qualche parte in un futuro radioso. Verso la fine della primavera - sei mesi dopo il malore - Colin aveva ri-preso la maggior parte delle normali attività, anche se non ci metteva ungrande entusiasmo. Emily e Frodo si sposarono con una cerimonia wicca-na celebrata da Cassilda Chandler nel parco del monte Tamalpais. Durantela convalescenza, Colin aveva venduto la sua parte della libreria a Cassie,e lei e Claire la gestivano insieme. Aveva volutamente fissato un prezzobasso: gli investimenti immobiliari gli procuravano una rendita sufficienteai suoi bisogni, e Colin non era un uomo avido. Cassie si stava realizzando come insegnante e occultista. Anche se ilsentiero che aveva scelto nell'ambito della Luce era lontano da quello di

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Colin, lui riuscì a essere felice per il semplice fatto che si fosse accinta acompiere quel viaggio. E lentamente si cominciò a capire che, in campo terreno, ogni perdita erabilanciata da una vittoria, come in una raffinata e gigantesca partita discacchi. I russi si ritirarono dall'Afghanistan, regalando infine un po' di pa-ce a quel paese sempre al centro di contese, ma nello stesso periodo gliStati Uniti compirono i primi passi verso un conflitto armato contro l'Iran.I cinesi massacrarono gli studenti che manifestavano per la pace a piazzaTiananmen, ma in Polonia il sindacato operaio Solidarnösc lanciò la primavera sfida al comunismo russo dalla fine della seconda guerra mondiale.Due anni e mezzo dopo il disastro del Challenger il Discovery fu un suc-cesso... e i decessi per AIDS raggiunsero i cinquantamila all'anno. Le settimane diventarono mesi, i mesi anni. E il 9 novembre 1989 il mu-ro di Berlino venne abbattuto. Colin guardò l'evento da solo nel suo appartamento. Gli uomini e ledonne che avrebbero potuto sapere cosa significava per lui quell'evento e-rano tutti morti o in giro per il mondo e impossibili da rintracciare. Nessu-no dei suoi attuali amici, per quanto cari, avrebbe potuto capire. NeppureClaire. Abbiamo vinto. Questo significa che abbiamo vinto. Da giovane Colin aveva pensato di essere un realista; adesso, alla sogliadei settant'anni, stava cominciando a capire cosa significava realmentequella parola. Per essere realisti, c'era bisogno di una certa prospettiva. Era notte a Berlino, e le telecamere gli trasmisero le immagini in diretta.Erano passati i giorni in cui le pellicole dovevano essere fatte uscire dallazona di guerra e sviluppate per il notiziario delle sei, finiti i giorni in cui lenotizie erano diffuse da una voce trasportata da un cavo transatlantico finoalla radio del tinello. Adesso le telecamere in miniatura e i collegamentivia satellite portavano gli eventi nelle case di tutto il mondo nel momentostesso in cui accadevano: i giornalisti sembravano ubriachi e storditi dal-l'enormità dello spettacolo a cui assistevano, i berlinesi con abiti civili por-tavano mazze e bombolette spray per distruggere e sfigurare il Muro cheaveva lasciato cicatrici profonde in due generazioni post-belliche. Questo dimostra che abbiamo vinto. Una battaglia, almeno, se non laguerra. E finché la guerra continua c'è speranza. Fu una festa di quartiere a dimensioni inimmaginabili; un'intera città siera riversata nelle strade per festeggiare liberamente all'ombra della Porta

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di Brandeburgo e del simbolo dell'oppressione della Guerra Fredda. PrestoCheckpoint Charlie sarebbe stato solo una leggenda e si sarebbe in brevetrasformato in mito. E le generazioni future non avrebbero mai capito chela tirannia aveva un tempo avuto un aspetto concreto e visibile. Forse è meglio così, pensò Colin. Guardò le lontane immagini notturneda una stanza in cui la luce del sole filtrava ancora dalle finestre. Sembravache, con il passare degli anni, capisse se stesso meglio di prima e che, gra-zie a una maggiore distanza emotiva, le follie appassionate della sua naturaanimale potessero rattristarlo ma non stupirlo. Forse la cosa migliore dafare con le vittorie è dimenticarle. Sollevò il bicchiere di vino e fece unbrindisi silenzioso allo schermo televisivo. Aveva una nuova emozione che gli nasceva nel petto, qualcosa che nongli risultava familiare da molti anni. Una forte e pura speranza, una gioiasenza macchia. Aveva guardato troppo a lungo nelle Tenebre, contando levittorie delle ombre come se fossero state le sue. Ma anche la Luce avevavinto alcune battaglie, altrettanto importanti e concrete. Guardò la televisione ancora un po', mentre si alternavano immagini diBerlino e servizi in studio con ospiti. Alla fine il canale passò a un'altra no-tizia e Colin spense. Rimase seduto in silenzio sul divano per quasi un'ora,godendosi quel rinnovato stato di grazia, poi prese il telefono e composeun numero che conosceva bene. «Nathaniel? Sono Colin. Dammi da lavorare.» PARENTESI VII San Francisco, 1990 Solo ripensando ora agli anni Ottanta mi rendo conto di quanto ero sod-disfatta. Per pochi terribili mesi dopo la redenzione di Simon, pensai di a-vere perso Colin, se non per sempre, almeno per il resto di questa vita. Maquando recuperò le forze le mie paure si calmarono. Capii che l'ombra mi-steriosa che aveva perseguitato la vita di Colin durante gli anni al Taghka-nic sembrava essersi dissipata. Per la prima volta da quando lo conoscevo -ed erano passati ormai molti anni dal nostro primo incontro! - sembravacontento di vivere nel presente, accettando ogni giorno così come veniva. Era vero che aveva venduto a Cassie la sua parte della libreria e tra-scorso sempre più tempo lontano dal negozio, ma a quello non prestavo at-tenzione. Forse credevo che tutto ciò che era stato parte integrante della vi-ta di Colin per tanto tempo fosse semplicemente... scomparso.

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Ora mi rendo conto che probabilmente ero io a desiderare che scom-parisse. La fortuna mi aveva regalato una vita piena, e non avevo alcunavoglia di causare guai o provocare scompiglio. La forza e l'energia di Cas-sie Chandler mi avevano permesso di togliermi dalle spalle un grosso pesonella gestione della libreria; questo era un bene, perché nel frattempo ave-vo ottenuto la tanto desiderata laurea in psicologia e avevo cominciato alavorare come consulente in una clinica di pianificazione familiare. Ero profondamente felice di aiutare le persone con cui venivo a contattograzie alla libreria e alla clinica, e non c'era nulla più - o almeno così pen-savo - che desiderassi dalla vita. Poco dopo il matrimonio di Frodo ed E-mily - era stato Simon ad accompagnare all'altare la sposa, una scena a cuicredevo non avrei mai assistito - Frodo e Cassie diedero vita a una congre-ga. Ma furono proprio le loro nozze a provocare la fine del mio letargo emo-tivo. Il matrimonio, per quanto informale, fu una cerimonia con numerosiinvitati, tra cui naturalmente anche la madre della sposa. Fu facile - con l'acutezza che ci permette di notare i problemi altrui - ve-dere la tensione tra Leslie e sua madre. La soddisfazione dell'anziana si-gnora Barnes per il matrimonio della figlia Leslie con un uomo ricco e im-portante - accolta con malcelata collera da quest'ultima - sarebbe stata co-mica se non avesse toccato un tasto dolente anche per me. Inevitabilmente,vedere le Barnes insieme, così educate ma furibonde, mi faceva pensare al-la mia famiglia. Non avevo parlato a nessuno dei miei per più di venticin-que anni. Penso che, se la madre di Peter fosse vissuta, avrei forse potuto cercaredi riconciliarmi con loro, perché il mio allontanamento aveva sempre tur-bato Elizabeth, e avrei fatto qualsiasi cosa per compiacerla. Invece rimasilontana, rifiutando di tornare alla vita che conducevo prima del ma-trimonio con Peter, e quel rapporto in sospeso era come una vecchia feritache si rimargina ma che in realtà non guarisce mai. Non sapevo cos'era av-venuto a mia madre e alle mie sorelle nel corso degli anni, e dicevo a mestessa che non mi importava, anche se Colin mi aveva ripetuto spesso cheil primo dovere di chi segue la Luce consiste nel vedere chiaro dentro disé. Se non lo facciamo, infatti, è la chiarezza stessa a cercarci, con risultatidolorosi. Ancora oggi non so come riuscì Gail a trovarmi, ma la mia sorella mag-

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giore aveva sempre dimostrato un'assoluta determinazione nell'ottenerequello che voleva, soprattutto quando si trattava di far soffrire qualcun al-tro, e immagino che non sia troppo difficile rintracciare i cittadini onesti erispettosi della legge. Quindi, un giorno del 1987 sollevai il ricevitore deltelefono della libreria senza alcun sospetto. «Libreria degli Antichi Misteri», dissi. «Parlo con Claire London?» chiese una voce che non riconobbi. Se gli eventi a cui avevo assistito al matrimonio di Emily non si fosseroannidati in un angolo della mia coscienza, probabilmente avrei semplice-mente riattaccato. Invece risposi onestamente. «Non uso più quel nome», dissi cautamente. «Adesso sono Claire Mof-fat.» «Non mi importa come ti fai chiamare», disse, e a quel punto, con unbrivido di orrore, riconobbi la voce di Gail. «La mamma è morta. Pensavoche avresti voluto saperlo.» Perché? fu l'unico pensiero che mi attraversò la testa. Per uno stranomomento di incoerenza pensai me l'avesse detto perché così non avrei do-vuto temere la ricomparsa della mamma nella mia vita, ma Gail non eramai stata tanto buona. «Quand'è il funerale?» mi scoprii a chiedere. Ah, dove può portare lacortesia! Mi comunicò una data e un'ora e disse che mi avrebbe mandato le istru-zioni per recarmi sul posto, poi riattaccò prima che avessi il tempo di rac-cogliere le idee e di chiederle di cosa era morta. Quando le indicazioni ar-rivarono - alla libreria, naturalmente; avevo avuto abbastanza buonsensoper non rivelare a Gail il mio indirizzo di casa - ero certa che non ci sareiandata. Fu Cassie a convincermi a presentarmi al funerale. «Meglio che tu ci vada per assicurarti che sia morta sul serio», disse conumorismo macabro. Immagino di non essere l'unica persona in America adaver preso le distanze dalla propria famiglia, ma i propri problemi sembra-no sempre unici. Le belle sorprese, però, arrivano quando meno uno se le aspetta. Al fu-nerale di mia madre incontrai mia cugina, Rowan Moorcock. Ero un fascio di nervi il giorno della cerimonia. Grazie a Dio Colin ave-va ancora la patente; dovette accompagnarmi in auto fino a Petaluma, euna volta lì lo pregai di non venire con me. Mi sembrava fondamentale te-nere separati quei due aspetti della mia vita. Immagino di avere avuto l'aria

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di una pazza, ma fu molto paziente con me. Ancora oggi non so come tro-vai il coraggio di salire le scale dell'impresa di pompe funebri e di entrare. Gail mi piombò addosso appena feci il mio ingresso nella stanza riser-vata al funerale London e mi trascinò alla bara per un «ultimo omaggio».Era difficile conciliare la cosa all'interno - consumata dall'età, dall'alcol e,come Gail si affrettò a informarmi ora che poteva vedere la mia reazione,dal cancro - al mostro che mi aveva perseguitato durante l'infanzia e l'ado-lescenza. Voltai le spalle alla bara e probabilmente sarei fuggita da lì se qualcunaltro non mi fosse venuto incontro in quel momento. «Claire?» A parlare era una donna grassottella di una cinquantina d'anni, con i ca-pelli di un biondo oro artificiale. Con una certa incredulità riconobbi, sottola maschera della maturità, la mia sorella di mezzo, Janet. «Ciao, Janet.» Desideravo con tutte le forze andarmene da quel posto or-rendo; e pensare che avevo affrontato demoni, adoratori di Satana e creatu-re che la mente umana non poteva neppure arrivare a comprendere... Mi abbracciò. Era come se non ci fossimo mai incontrate, due scono-sciute che recitano la parte di sorelle affettuose senza parlare del passato;mi trascinò lontano da Gail per condurmi a un altro gruppetto di persone. «E questo è lo zio Clarence; è per lui che ti chiami così», mi disse Janet. Mi limitai a fissarlo. Non mi era mai venuto in mente - mai! - che miamadre avesse dei parenti o che desiderasse in qualche modo rendere loroomaggio. Aveva sempre isolato se stessa e le sue figlie dal mondo esternoin una minuscola cellula di sofferenza. Zio Clarence mi presentò suo nipote - mio cugino - Justin Moorcock esua figlia Rowan. Era nella prima adolescenza e aveva l'aria sana di una ragazza di campa-gna, spesso più affascinante della bellezza. Aveva lunghi capelli biondorame raccolti in una treccia fissata sulla sommità del capo, che la facevavagamente assomigliare a una principessa sassone. Fissava tutto ciò che lacircondava con una sorta di sguardo intrappolato e spaventato che cono-scevo per esperienza personale: lo sguardo di chi cerca di conservare laconcentrazione e la sanità mentale nel bel mezzo di un tumulto violento. «Ciao, Rowan», dissi, allungando la mano. Aveva le dita ghiacciate, e mi scoprii desiderosa di attingere a una forzache non sapevo di avere per trasmettergliela. Il cuore mi si risollevò quan-do la vidi rilassarsi.

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A quel punto eravamo tutti seduti per la cerimonia. Non ricordo nient'al-tro di ciò che avvenne, a parte Rowan che mi restava aggrappata come seavessi potuto salvarla dall'annegamento. Dopo, i presenti vennero condotti alle auto in attesa per accompagnare labara al cimitero. Naturalmente non c'era posto per me - ci aveva pensatoGail, vendicativa fino all'ultimo - ma con Rowan che mi restava attaccatanon poteva semplicemente dirmi di andarmene. Fu lo zio Clarence, appena conosciuto - sotto ogni aspetto il contrario disua sorella - a suggerire che Rowan poteva venire in macchina con me finoal cimitero. E quindi il povero Colin si trovò reclutato per la processionefunebre, con Rowan protesa verso il sedile anteriore, con la testa sulla miaspalla, per l'intero tragitto. Alla fine, quando la ragazza venne suo malgrado separata da me da suopadre, continuò a cercarmi con lo sguardo come se fossi stata una vecchiaamica. In un certo senso era vero; istintivamente capii che avevamo in co-mune il Dono capace di avvicinare persone sconosciute come sorelle, lega-te da quella benedizione maledetta che permette di vedere ciò che per glialtri è invisibile. «Verrai a trovarci, non è vero, cugina Claire?» mi chiese Rowan, comese fosse ben più giovane della sua età. «Vero?» Ovviamente risposi di sì. E anche se avessi saputo cos'avrebbe originatoquella promessa, la mia risposta sarebbe stata la stessa. CAPITOLO 21 Shadowkill, New York, marzo 1990 È vero che ho guardato alla verità in modo strano e indiretto; ma, grazie a tutto ciò, fingere di non vedere ha dato al mio cuore una nuova giovinezza, e prove peggiori ti hanno dimostrato il mio amore. William Shakespeare Erano le due e Colin, che aveva sperato di arrivare a Boston prima del-l'inizio dell'ora di punta, si trovò invece a effettuare una deviazione. Claire si era opposta alla sua idea di attraversare in auto il Paese; era im-prudente alla sua età, aveva sottolineato, facendo commenti sarcastici sullaseconda infanzia e sulle persone reduci da attacchi di cuore. Ma Colin eraperfettamente consapevole, ormai, dei limiti della sua forza, e sapeva di

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non avere molti anni come quello davanti a lui. Aveva voluto rivedere luo-ghi familiari finché gli era possibile. E soprattutto, aveva cercato in quel viaggio l'occasione per fare il puntodella situazione. Dopo il salvataggio di Simon, aveva interrotto ancora unavolta la ricerca di un discepolo; eppure il disagio postumo di Alison avreb-be dovuto essergli di lezione: doveva assolutamente trovare uno studenteche potesse imparare - e alla svelta - quello che lui aveva da insegnargli. Ma chi? Hunter Greyson era stato il candidato più promettente che Colin avessevisto in decenni, e Grey aveva gettato via il suo futuro ed era scomparso.Frodo Fredericks si era votato al Sentiero della Wicca. Nessuno dei giova-ni che entravano e uscivano dalla libreria aveva la determinazione, la di-sciplina e la vocazione di abbracciare il Sentiero di Colin. Eppure sarebbe stata una tragedia se fosse morto senza aver istruito ilproprio successore, senza aver compiuto il dovere di ogni Adepto, checonsisteva nel trasmettere gli insegnamenti ricevuti. E Colin nel corso della sua vita aveva avuto molti insegnanti... Anche se c'era stato solo una volta, vent'anni prima, Colin trovò senzadifficoltà il piccolo paese di Shadowkill, una cittadina archetipica sulle ri-ve dell'Hudson, con enormi ville vittoriane raggnippate intorno a un parcodall'aria perfettamente curata. Passò davanti al monumento ai caduti inguerra e imboccò la County 13 - chiamata in quel punto Main Street - finoall'intersezione con l'Old Patent Grant Road. Giunse così a Shadow's Gate. La casa del guardiano si trovava esattamente davanti a lui, ma l'entrataera bloccata dalla recinzione che costeggiava la strada. Cartelli di VIE-TATO L'INGRESSO erano attaccati ogni pochi metri, ma quella parte delmuro - e la costruzione che vi stava dietro - erano coperte di graffiti, equalcuno aveva tentato di dipingere con una bomboletta di vernice il Si-gillo del Passaggio del Nord al centro della strada. Thorne Blackburn veniva ancora ricordato. Colin si fermò sul ciglio della strada e, attraverso il parabrezza, fissò conaria assorta il castello in miniatura. La casa del guardiano formava un arcosul viale d'ingresso; anche da lì riusciva a vedere che il cancello di metallosotto l'arco era chiuso con catena e lucchetto, il viale era privo di ghiaia esoffocato dalle erbacce cresciute indisturbate per due decenni. La tenutaera deserta, veniva lasciata marcire mentre le trafile burocratiche riguar-

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danti la casa e il suo proprietario (scomparso ma non riconosciuto comemorto) avanzavano lentamente, e i pazienti avvocati di Thorne Blackburnfacevano ricorsi e pagavano tasse. Se non fosse stato per quello, Shadow'sGate e il suo bosco sarebbero stati venduti anni prima. Era improbabile che uno dei figli di Thorne - in totale una mezza dozzi-na, tutti illegittimi - potesse accampare diritti sulla proprietà. A parte la fi-glia di Katherine Jourdemayne, erano tutti scomparsi negli ingranaggi del-l'assistenza all'infanzia e forse non sapevano neppure chi fosse il loro pa-dre. Se non avesse ripudiato Thorne, il risultato sarebbe stato diverso? A-vrebbe potuto impedire al ragazzo di spingersi così lontano su quel sentie-ro oscuro, o almeno prevenire quelle morti? Colin aprì lo sportello e scese, sollevando il bavero per difendersi dallagelida aria di marzo. Non si udiva il rumore del traffico, solo il sibilo delvento che soffiava tra i rami degli alberi coperti di ghiaccio. Attraversò lastrada e si appoggiò alla recinzione. Perché era andato lì? Cosa sperava ditrovare? Un'assoluzione? La casa si trovava circa a un chilometro e mezzo di distanza ed era in-visibile dalla strada. A perdita d'occhio non si vedeva altro che desola-zione, ruggine e abbandono. Thorne se n'era andato, insieme ai figli deifiori dell'Era dell'Acquario in cui era diventato famoso. Tutto quello cherestava era il tentativo da lui intrapreso e i discepoli che ancora si sforza-vano di completare la sua opera. Almeno lui aveva dei discepoli, pensò Colin, incapace di trattenersi daquell'osservazione amara. Ripensando a Thorne dopo tutti quegli anni, si chiese se quello che ave-va tentato di fare era stato proprio tanto sbagliato. Non gli era più possibilericordare esattamente in cosa consisteva, o ritrovare la certezza morale chegli aveva permesso di liquidarlo con tale facilità. Sembrava così semplice, a posteriori, affermare che l'umanità aveva im-boccato una strada sbagliata, che aveva avuto - e aveva ancora - bisogno ditali misure severe per essere salvata. Ma cosa direbbe Thorne oggi? Ripe-terebbe ancora - come allora - che l'ultima possibilità non esiste? Ma l'epoca di Thorne era passata, e la corruzione che era parsa tantoscioccante solo due decenni prima era diventata solo una delle tante formeaccettabili di perdita di innocenza. Thorne era morto, e Colin non avrebbemai saputo se le cose sarebbero potute andare in modo diverso.

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Completamente intirizzito, si rifugiò in auto e tornò verso la TaconicParkway, diretto a nord. CAPITOLO 22Arkham, Massachusetts, marzo 1990Sono diventato famoso;perché, vagando sempre con cuore avidoho visto e conosciuto molte cose; città di uominie usanze, climi, consigli, governi,e io stesso sono stato onorato da tutti... Alfred Tennyson LA CITTÀ di Arkham in Massachusetts era, come il campus del Ta-ghkanic nello stato di New York, un minuscolo scampolo di diciannove-simo secolo abbandonato nel bel mezzo del ventesimo. Il campus del Mi-skatonic, coperto di edera, era circondato da antiche dimore del New En-gland lasciate a marcire dalla fine della prima guerra mondiale, e solo po-chi elementi del ventesimo secolo - un supermercato, un ristorante lungo lastrada principale che annoverava come clienti soprattutto le persone dipassaggio, una serie di casette per i turisti che non si erano mai materia-lizzati - invadevano il sonno comatoso della città. Arkham, come gli abitanti delle comunità rurali che la circondavano -Innsmouth, Whateley's Crossing, Madison Corners - era contenta così. Lagente rifugiatasi in quella landa selvaggia tre secoli prima chiedeva ai suoivicini semplicemente di essere lasciata in pace per poter continuare la vitadi sempre, e in grande misura il mondo moderno aveva rispettato quel de-siderio. La prima volta che Colin ci era stato, Sara Latimer era morta da due an-ni. La Miskatonic University non assomigliava certo a un college di pri-m'ordine; rilasciava il diploma, di due o quattro anni, ad agricoltori, impie-gati pubblici nel campo della sanità, contabili e casalinghe, e chi aspirava auna formazione più completa in genere la cercava ad Harvard, al MIT o al-la Brown University di Rhode Island. Miskatonic offriva un solo corso po-stuniversitario, ma i pochi appassionati che desideravano diplomarsi in Et-nografia esoterica venivano da tutto il mondo.

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Colin vi aveva tenuto dei corsi sul folklore del New England ogni estatenegli ultimi cinque anni, e pochi sospettavano il motivo per cui continuavaa tornare nella campagna intorno ad Arkham. Ora, purtroppo, pareva che sistesse avvicinando il momento di passare all'azione. Era il 1990, e Sara La-timer era morta da sette anni. La gente del posto l'aveva creduta una strega. Avevano ragione. La vecchia Sara Latimer - conosciuta come la StregaSara nelle fattorie del posto - era stata alta sacerdotessa di una setta chia-mata Chiesa del Rito Antico. Casualmente Colin scoprì di conoscere da anni alcuni dei discendenti diSara. Paul Latimer, professore alla Columbia, era un inquilino del condo-minio che possedeva a New York. Colin non pensava che qualcuno dei La-timer conoscesse le proprie illustri origini o sapesse di avere antenati inquella parte del Massachusetts fin dal 1600, tutti accusati di praticare ungenere di stregoneria ben più pericoloso della moderna Wicca. L'anno prima, Nathaniel Atheling aveva affidato a Colin un compito diosservazione. Era un lavoro leggero ma non una sinecura, ed era toccato alui perché conosceva bene la Chiesa del Rito Antico. Hunter Greyson ave-va scritto una tesina sull'argomento durante i suoi studi al Taghkanic. Il Rito Antico aveva prosperato nell'atmosfera di autonomia religiosa -se non proprio di tolleranza - del Nuovo Mondo durante il periodo prerivo-luzionario, quando praticamente chiunque poteva trovare un luogo dovepraticare la religione di sua scelta con ostacoli minimi da parte della Chie-sa e della Corona. Fino alla fine del secolo i suoi riti erano stati praticati at-tivamente in tutto il vecchio New England. Per quanto la maggior parte della gente ne sapeva, la prima guerra mon-diale aveva messo fine al culto così come a molte altre vecchie abitudini.Una nuova generazione, abbagliata dal jazz, dai superalcolici e dal-l'attrattiva delle luci della città aveva poco tempo per gli ingombranti restidel passato, e quindi il Rito Antico si era semplicemente esaurito. Quasi dappertutto. Colin durante la sua prima visita ci aveva messo meno di una settimanaper scoprire che una congrega del Rito Antico si incontrava ancora vicinoa Madison Corners. Si dedicava alle stesse attività di cui le streghe erano state accusate persecoli: consumo di alcol, droghe, orge, malocchio contro i vicini, piccolifurti. Ma nessuno di quegli atti ricadeva sotto la giurisdizione di Colin: lamagia della congrega era debole, e i suoi membri sembravano incontrarsi

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più per semplice svago che per scopi più gravi. Ma forse tutto questo sarebbe cambiato nel settimo anno dalla morte diSara Latimer. Quell'anno, come sempre, Colin passò i primi giorni a sistemarsi nel vil-lino per turisti alla periferia di Arkham e a rinnovare i legami di amiciziacon i membri del dipartimento di etnografia del Miskatonic. Si trovò piùansimante del solito, e lo imputò alla vita sedentaria che conduceva a SanFrancisco. Si ripromise di fare più esercizio mentre si trovava lì, e anche diprendere appuntamento con il suo medico una volta tornato a casa. Nelfrattempo c'era troppo da fare per lasciarsi intimorire da un po' di stan-chezza. Claire sarebbe arrivata qualche settimana dopo per fare visita aisuoi cugini di Madison Corners. Colin si era dimostrato un po' preoccupato quando aveva saputo che lafamiglia Moorcock viveva così vicino alla zona che Nathaniel gli avevachiesto di controllare, ma gli istinti di Claire erano efficaci come sempre, ese si era affezionata a Rowan Moorcock e alla sua famiglia non c'era al-cuna possibilità che fossero coinvolti. Claire era sempre stata così fredda e imperturbabile, simile a un'oasi diallegro buonsenso anche quando era circondata dal caos, che vederla al fu-nerale della madre pietrificata non dal dolore ma dalla rabbia era stato dif-ficile per lui. Colin era felice di vedere Claire riconciliata con una parte delsuo passato. L'amicizia con la giovane cugina Rowan sembrava averle fat-to un gran bene: Colin pensava che Rowan sostituisse, almeno in parte, ifigli che avrebbe voluto con Peter e che non aveva mai avuto. Lei e Rowan si erano scritte per un anno prima di quella visita, e Colindoveva ammettere a se stesso che l'aveva incoraggiata a recarsi dalla cugi-na quell'estate perché gli sarebbe stato utile avere a portata di mano le suedoti di sensitiva, se si fosse reso necessario. Dentro di sé sperava che così non fosse. All'inizio di aprile Colin cominciò la serie di lezioni. Il Miskatonic ave-va un'ottima biblioteca; la collezione privata non era aperta agli studentispecializzandi, ma Colin poté approfittarne e rinfrescarsi la memoria suLes Cultes des Goules, il libro cui si ispirava la Chiesa del Rito Antico. Ilvolume era stato definito «un orrendo libretto di stregoneria» più di due-cento anni prima da un ecclesiastico francese, e meritava perfettamente iltitolo, secondo l'opinione di Colin.

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Tra l'altro, il culto credeva nella metempsicosi, cioè nel fatto che le ani-me dei fedeli dopo la morte fossero libere di migrare in altri corpi, che sa-rebbero stati «ridestati» alla memoria delle esistenze precedenti sem-plicemente assistendo alle cerimonie. Dopo che erano passati sette anni. Il Food King di Arkham era il supermercato più grande nel raggio dicinquanta chilometri, ma era comunque piccolo secondo gli standard mo-derni; un cimelio di giorni passati, quando il «super» mercato era appenaagli albori. Il frigorifero nell'abitazione di Colin era assai capriccioso, mafortunatamente il Food King si trovava tra casa sua e il college, così potevacomprare le uova e il latte poco per volta, secondo i propri bisogni. Si sta-va concentrando sugli acquisti da fare per cena quando si imbatté in unavecchia amica. Anzi, per essere precisi una vecchia amica si scontrò con lui. Egli alzò lo sguardo, sorpreso, quando l'altro carrello cozzò contro ilsuo, e l'immediato piacere di fronte a un viso noto si trasformò in presen-timento cupo quando vide di chi si trattava. Avrei giurato che Paul non sapesse nulla della sua parentela con SallyLatimer... E se anche ne fosse stato al corrente, sono certo che l'avrebbenascosto a sua moglie e ai figli, in particolare a sua figlia... «Ma tu sei Sally Latimer, vero?» disse ad alta voce. Colin non la vedeva da almeno un anno; Sally aveva l'aria smunta e pal-lida, con il viso segnato da quello che poteva essere dolore o una malattia.Era con un giovane che aveva l'aria vagamente familiare, anche se Colinnon riuscì a ricordare di chi si trattava. «Colin!» esclamò Sally, e il ragazzo - che era evidentemente il suo ra-gazzo - si affrettò a osservare: «Pensavo che non conoscessi nessuno inquesta zona del paese, Sara.» «Infatti è così», protestò Sally, e fece le presentazioni. Il giovane eraBrian Standisti, il nuovo medico che aiutava suo cugino James ad alleviarei rigori della vita in campagna. Con un vago senso di ineluttabilità, Colin ascoltò le altre novità di Sally:la morte tragica del suo fratello minore che aveva tra l'altro causato lascomparsa della madre, l'incidente che aveva stroncato la vita del padrepochi giorni dopo. Come se qualcosa eliminasse le persone non desiderate per isolare Sallyda ogni legame con la sanità e la realtà e portarla qui.

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Scrutò attentamente il suo viso mentre parlava, ma in quei grandi occhiverdi non vide traccia dell'antica anima maligna della Strega Sara, mortada sette anni e pronta a rinascere (così credeva il culto) nel corpo di unmembro della sua famiglia. Non se n'era mai accorto prima, dal momentoche non la vedeva da tempo, ma Sally assomigliava in modo im-pressionante ai ritratti delle streghe Latimer che il Miskatonic conservavasotto chiave: capelli rossi, pelle chiara, occhi verdi leggermente inclinativerso il basso e anche il piccolo neo all'angolo destro della bocca. Ascoltòcon il cuore colmo di preoccupazione mentre la ragazza gli raccontava del-l'eredità della prozia Sara, la casa su Witch Hill Road, e della Chiesa delRito Antico, alla quale era apparentemente già stata introdotta... Povera bambina; era ovvio che non aveva altro posto dove andare a par-te la casa dei suoi antenati, e spaventarla con racconti sui demoni di quellezone selvagge rischiava di gettarla ancora di più tra le grinfie del «reve-rendo» Matthew Hay. Fu piuttosto facile per Colin farsi invitare alla casa su Witch Hill; si mi-se in pace la coscienza per i suoi secondi fini invitando lei e Brian a cenada lui. E cercò di non preoccuparsi per quello che sarebbe potuto succederea Sally lì dove il sangue di strega affiorava con facilità e un'antica deca-denza sembrava filtrare dalla terra stessa. Era piuttosto tardi quando Colin tornò a casa, ma telefonò comunque aClaire. Qualcuno rispose dopo solo un paio di squilli. «Casa Moorcock.» «Sei tu, Claire? Sono Colin.» Claire era arrivata a Madison Corners alla fine di aprile e si era subitosentita a suo agio con i Moorcock. Colin l'aveva avvertita che forse avreb-bero dovuto intervenire, e adesso era contento di averlo fatto. «Sei fortunato ad aver trovato libero», disse Claire. «Rowan è stata al te-lefono per la maggior parte della serata. Da quello che ho capito la festadanzante per i futuri diplomati è una faccenda del massimo interesse daqueste parti.» Sembrava divertita. «Non ne dubito», commentò Colin. «E pensare che temevo di averechiamato troppo tardi. Parlando di cose interessanti, non indovinerai maichi ho incontrato oggi al supermercato.» Avrebbero dovuto essere circospetti nelle loro conversazioni: una dellevecchie abitudini che Arkham ancora conservava erano le chiamate tramiteoperatore, e nessuna telefonata poteva considerarsi veramente privata.

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«Chi?» chiese subito Claire. «Sally Latimer. Te la ricordi? Suo padre era uno dei miei inquilini aNew York.» «Certo che mi ricordo», disse Claire, e Colin capì dal suo cambiamentodi tono che aveva colto le implicazioni del verbo al passato. «Sono conten-ta che hai chiamato. Zio Clarence continua a insistere per invitarti a cenada quando ha saputo che sei qui. Cosa ne diresti di venire domani?» «Ci sarò», promise Colin. «Buonanotte, Claire.» I Moorcock abitavano in una vecchia fattoria bianca a circa un chilome-tro e mezzo di distanza dal cimitero su Witch Hill, ma la casa sembravaappartenere quasi a un altro mondo. Le tre generazioni di Moorcock erano una famiglia degli anni Novanta;il padre di Rowan, Justin, era il nipote di Clarence Moorcock. Il padre diJustin, come molti uomini della sua generazione, era morto in Vietnam, la-sciando il figlio che dovette così crescere senza padre e, a volte, senza ma-dre. Dopo il divorzio Justin, un progettista di software per computer, e l'al-lora quattordicenne figlia Rowan, si erano trasferiti dalla Back Bay di Bo-ston a Madison Corners. Colin parcheggiò la Chevrolet presa a nolo nel vialetto d'ingresso dietroil vecchio camioncino Ford di Clarence, l'elegante BMW di Justin e la pra-tica Toyota di Rowan. Rowan lo stava già aspettando sulla porta apertacon l'universale uniforme degli adolescenti, jeans strappati e maglietta diun gruppo rock. «Buonasera, signor MacLaren», lo salutò educatamente. Aveva gli occhicerchiati, come se non dormisse bene. Portava le cuffie dello stereo attorno al collo e un Walkman nella tascaposteriore dei pantaloni. Era la prima volta che la vedeva dal funerale dellaprozia, e per un attimo Colin si chiese come faceva ad assomigliare tanto aqualsiasi altra teenager quando il centro commerciale più vicino era a Bo-ston. «Buonasera a te, Rowan», disse. Era strano pensare che la maggior partedei suoi studenti avevano avuto all'incirca quell'età. Varcò la soglia della vecchia fattoria e avvertì un vago brivido di ten-sione. C'erano dei problemi e, di qualunque cosa si trattasse, Claire non siera sentita di parlargliene al telefono. «C'è il brasato stasera», annunciò Rowan, come per chiudere una pa-rentesi dolorosa e cambiare discorso. «Claire sta cucinando laggiù. Mi scu-

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si, devo andare a cambiarmi.» Si voltò e salì di corsa le scale, rimettendosinel frattempo le cuffie. Colin la fissò per un momento, chiedendosi quale fosse il problema: sitrattava di un conflitto generazionale o di qualcosa di più grave? In ogni caso, l'avrebbe scoperto presto. Si avviò nella direzione indi-catagli da Rowan. In cucina Claire stava ultimando i preparativi per la cena. Clarence eraseduto a tavola, e sovrintendeva soddisfatto alle operazioni. «Colin», lo accolse alzandosi in piedi. La mano che gli tese era ancoracoperta di calli per i lunghi anni di lavoro nei campi, e anche a più di ot-tant'anni la stretta era energica. «Mi fa piacere rivederti. Dov'è andata Ro-wan? È lei che ti ha fatto entrare?» «Penso sia andata a cambiarsi», rispose Colin diplomaticamente. Clarence sorrise. «Sono troppo vecchio e bisbetico per permettere a unaragazza di venire a cena con i pantaloni, come anche Claire potrà confer-mare.» «Ebbene, sì. Zio Clarence è un vero tiranno», confermò Claire pron-tamente, mentre infilava una teglia di focaccine in forno. «Quando le focacce sono pronte mangiamo», annunciò, sollevando ilcoperchio dalla pentola e trasferendo con destrezza il brasato in un piattodi portata. «Non ho bisogno di mangiare tanto», protestò Justin allegramente, ver-sandosi il sugo su patate e carote. «In fondo sto seduto al computer tutto ilgiorno.» Rowan era riapparsa con una gonna di cotone e una camicetta bianca, edera andata a chiamare Justin che lavorava nel vecchio capannone per il be-stiame, trasformato in ufficio. «L'abbiamo preparato io e Rowan», lo avvertì Claire con finta aria mi-nacciosa. «Faresti meglio a mangiarlo.» Colin capì dai discorsi che di solito Rowan e la governante si occupa-vano della cucina; da quello che disse Claire, la ragazza aveva preparato lefocacce e il dolce, mentre Claire si era cimentata nel brasato secondo la ri-cetta della famiglia Moffat. La conversazione durante la cena si mantenne su temi generali. La terra intorno alla fattoria non veniva più coltivata, ma Clarence si te-neva aggiornato sulle novità degli altri agricoltori, e Claire aveva dato unamano a Joann Winters, l'assistente sanitaria della zona, quindi contribuì

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anche lei a raccontare innocui pettegolezzi. Mancava ancora una settimanaalla fine della scuola, ma ormai gli studenti dell'ultimo anno erano concen-trati sull'imminente festa da ballo e sulla gita scolastica alla «grande città»:Boston. E Clarence, sembrava, non era affatto d'accordo sulla decisione di Ro-wan quanto all'università, dal momento che sembrava aver scelto uncollege in un altro stato. Il Taghkanic. «Se devi proprio continuare a studiare, cos'ha il Miskatonic che non va,nipote mia? Martha e io l'abbiamo frequentato entrambi. È una buonascuola, e potresti vivere qui a casa.» «Be'...» cominciò Rowan. Suo padre le scoccò un'occhiata minacciosa, ela ragazza cambiò idea su quello che stava per dire. «Credo solo che mipiacerebbe andare da qualche altra parte», borbottò, fissando il tovaglioloche teneva in grembo. «Ho incontrato una vecchia amica ieri al Food King», intervenne Colinper cambiare discorso. «Ti ricordi che ti ho detto di aver visto Sally Lati-mer ieri, no, Claire?» Colin raccontò rapidamente le tristi notizie che Sally gli aveva comu-nicato, suscitando la compassione di Claire e dei Moorcock. «E adessoabita nella vecchia casa di famiglia mentre decide il da farsi.» «Witch Hill? Brrr... Preferirei stabilirmi al Bates Motel», dichiarò Clairein tutta onestà. «Be', almeno ha mollato quel piccolo sciocco di Roderick.Non sono mai riuscita a sopportarlo: è uno di quei tipi pignoli che preten-dono sempre di comandare e che si sentono al sicuro solo se dimostranoagli altri la propria superiorità.» «Il ragazzo che era con lei ieri sera sembrava a posto», disse Colin.«Credo che sia di qui, si chiama Brian Standish.» «Conoscevo sua madre, era una Phillips. Una ragazza che veniva dallacittà», raccontò Clarence, e il momentaneo imbarazzo spari. Clarence andò a dormire immediatamente dopo cena, un privilegio lega-to all'età avanzata, dopo essersi congedato da Colin. Justin si era trattenutoqualche minuto per conversare educatamente, ma aveva infine ammesso didover finire un paio di cose prima che la FedEx passasse a prendere unpacchetto l'indomani. Rowan rimase finché suo padre non se ne fu andato ma, appena Justinscomparve, affermò di voler lavare i piatti prima di finire i compiti e si ri-

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tirò velocemente in cucina, lasciando Colin e Claire da soli in salotto doveuna stufa panciuta combatteva contro il freddo. «Quando avevo la sua età, avrei fatto qualsiasi cosa piuttosto di lavare ipiatti», osservò Colin. «Anch'io», confermò Claire. «Rowan è una brava ragazza, solo che direcente non si sente bene.» «Me ne sono accorto. Cos'era quella storia a cena? Sembra che la di-scussione sull'argomento si trascini da un po'.» «Be', niente di grave. Naturalmente Clarence desidera che Rowan vadaal Miskatonic, ma lei e Justin sono assolutamente contrari all'idea. La set-timana scorsa Rowan ha detto a Clarence che non vuole studiare al Miska-tonic perché non vuole diventare una casalinga né una negromante, e da al-lora i loro rapporti sono un po' tesi. Clarence le vuole bene, ma si tratta disua nipote, e ai suoi tempi le donne non avevano molta scelta. Non cheClarence desideri farle sposare un ragazzo del posto, del resto. Da quantoho capito, la situazione qui si è piuttosto deteriorata negli ultimi sessan-t'anni.» «Non mi sorprende», commentò Colin. «Non volevo affrontare il discor-so a tavola, ma la morte della famiglia di Sally mi è sembrata un po' troppotempestiva. Ha ricevuto la lettera sull'eredità di Witch Hill il giorno in cuiè stato sepolto Paul, povera ragazza. E quel che è peggio, sembra che abbiaincontrato Matthew Hay, e questo dimostra che è impelagata fino al collocon la Chiesa del Rito Antico, che sene renda conto o no.» «Come candidata per il ruolo di prossima - o di ultima - alta sacer-dotessa?» indovinò Claire e rabbrividì. «Non si chiamava Sara anche lei?Povera Sally! Probabilmente è convinta di essere entrata in una macchinadel tempo da quando è arrivata qui. Sono sul posto da poche settimane, eho già sentito fin troppe storie sulla vecchia Lady Latimer: quella donnaviene dipinta come un incrocio tra Morgan LeFay e Cruella DeVille!» Colin fissò con aria pensosa le fiamme visibili attraverso lo sportellodella stufa. «Vorrei solo sapere cosa sa - o crede - Hay. La somiglianza trale due è diabolica: ci sono alcuni disegni nelle collezioni del Miskatonicche sembrano fotografie di Sally... Ma la conosco da quando ha otto anni;non riesco a immaginare che si presti alle orribili assurdità del Rito Anti-co.» Non di sua spontanea volontà, almeno... Ma di chi era la volontà che a-veva orchestrato la morte dei genitori di Sally? Nathaniel aveva avuto ragione a mandarlo lì. Pur di estensione e im-

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portanza limitata, le forze in azione in quella zona rurale del New Englanderano malvagie, e distruggerle senza distruggere Sally Latimer avrebbe ri-chiesto una grande cautela. «Vuoi che vada a curiosare in giro, Colin?» chiese Claire, destandolodalle sue fantasticherie. «Te ne sarei grato. La notte scorsa, a cena, Sally mi ha dato l'impres-sione di aver bisogno di amici, e vorrei sapere contro cosa dobbiamo pre-pararci a combattere. Per esempio mi interesserebbe scoprire se quellavecchia casa ospita delle attività psichiche...» «Se è così, non può restarci», assentì Claire. «Mi chiedo se zio Clarenceaccetterebbe un'altra ospite...» Esitò. «Ma credo che abbiamo un altro pro-blema: Rowan.» Colin inclinò il capo e ascoltò il rumore dei piatti in cucina. La ragazzaera troppo occupata e con tutta probabilità non avrebbe sentito. «Raccon-ta», disse, abbassando il tono. «Hai detto che la situazione sembrava tesa stasera: be', non si tratta solodella scelta dell'università. Circa un mese fa, quando c'è stato l'ultimo ple-nilunio, Rowan ha cominciato a camminare nel sonno.» Colin si raddrizzò, improvvisamente attento. «Justin lavorava fino a tardi e l'ha vista uscire. L'ha riportata in casa el'ha rimessa a letto. Lei non s'è neanche svegliata; da allora abbiamo co-minciato a chiudere la porta a chiave di sera, ma gli episodi di sonnam-bulismo non sono cessati.» «Rowan si ricorda qualcosa al risveglio?» chiese Colin. Claire alzò le spalle.. «All'inizio non se n'era neppure accorta. Per un po'le porte chiuse l'hanno fermata, impedendole almeno di uscire di casa.Scuoteva la maniglia per un po', si svegliava e tornava a letto. Natural-mente sono molte le persone che diventano sonnambule in un periodo del-la vita, e in genere è un disturbo innocuo, ma di recente Rowan ha co-minciato ad aprire la porta e... a uscire», terminò Claire debolmente. «Dopo la prima volta che ci siamo accorti della sua scomparsa e ab-biamo trovato la porta sul retro spalancata, Justin ha predisposto un al-larme a infrarossi per svegliarsi, e così ogni volta va a riprenderla, ma èmolto preoccupato. È chiaro che questo c'entra con le sue doti di sensitiva,ma Justin non vuole ammettere qualcosa che per lui è tanto irrazionale.» Claire sospirò e scosse il capo con aria stanca. «Può darsi che non loammetta ma lo sa, credimi. È questo il vero problema.» «Problema?» chiese Colin.

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«Sai, Colin, molta gente non distingue tra \"psichico\" e \"satanico\", e Ju-stin ha trascorso qui un numero sufficiente di estati per conoscere le super-stizioni sul Rito Antico, anche se non ammette neanche quello. Non sa sechiamare un esorcista o un medico: non che l'uno o l'altro potrebbero aiu-tarlo in qualche modo, del resto. Di recente ho cominciato a pensare che lastranezza di questo posto stia influenzando anche Rowan. Credo che cerchidi restare sveglia tutta la notte per non camminare nel sonno, e questo nonpuò durare.» «Hai un'idea di dove vada?» domandò Colin. «Questo potrebbe darciqualche suggerimento quanto alla causa del suo sonnambulismo.» Claire assunse un'espressione grave. «Be', sappiamo tutti dove va. Èquello il problema. Ogni volta che esce, si dirige in linea retta verso est, epunta dritto sul vecchio cimitero... e la Chiesa del Rito Antico.» Fu solo venerdì che Claire poté recarsi, come promesso, a trovare SallyLatimer. Fino alla visita di Colin aveva dormito in una delle stanze da letto vuote- la casa era stata costruita per una famiglia numerosa, e le camere per gliospiti non mancavano -, ma dopo quello che Colin le aveva detto di Sally,capì che non poteva semplicemente aspettarsi un miglioramento spontaneodella situazione. Disse a Rowan che si sarebbe trasferita nella sua stanza, enon fu sorpresa quando la ragazza accettò con gratitudine. La maggior parte del giovedì venne dedicata allo spostamento dei mobiliper fare posto a un altro letto singolo in camera di Rowan e al tra-sferimento dei bagagli di Claire. Fortunatamente Rowan stava già prepa-rando le valigie in vista del suo trasloco al Taghkanic, quell'autunno; lastanza con la carta da parati sbiadita a rose bianche sembrava perfino trop-po vuota prima dell'arrivo di Claire. «Sono felice che tu sia qui, Claire», si limitò a dire Rowan. Era prontaper la notte e sedeva sul letto a gambe incrociate con una maglietta del Mi-skatonic e un paio di calzoncini scozzesi di flanella, e teneva abbracciatoun grosso drago di peluche. Il suo nome, da quello che Claire aveva capito,era Lockheed. «Anch'io», replicò Claire. Piegò la comoda vestaglia di lana blu, la si-stemò in fondo ai piedi e tolse il copriletto. Il letto era sormontato da uncumulo di trapunte fatte a mano che si erano tramandate di generazione ingenerazione le donne Moorcock.

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«Claire...» cominciò Rowan. Ci siamo. Naturalmente Rowan era preoccupata per il sonnambulismo, edoveva aver percepito qualcosa d'insolito in Colin a cena. Claire si preparòmentalmente per la domanda che temeva, ma quando arrivò non era preci-samente quella che si aspettava. «Pensi sia possibile diventare streghe per via ereditaria?» volle sapereRowan. «Non sono sicura di aver capito», temporeggiò Claire. «Dove l'hai senti-to?» «A scuola.» Rowan alzò le spalle, come per liquidare l'intera faccenda.«Laney ha raccontato una storia assurda sulle grandi famiglie di streghedella Wicca, e sul fatto che tutte discendevano da Morgan LeFay e dallacongrega di Camelot. Ma Laney è talmente tonta che penso non sapesseneppure di cosa parlava. Però ha detto anche che tutte le persone con i ca-pelli rossi sono senza saperlo delle streghe», aggiunse, afferrandosi unadelle trecce castano chiaro e avvolgendosela attorno al polso. «Be', Laney racconta delle sciocchezze e non è vero che tutti i rossi sonosegretamente stregoni e streghe», dichiarò Claire. «La maggior parte deiwiccani che conosco sono persone perfettamente normali che si propongo-no di ricostruire antichi riti pagani, non di trasmetterseli di generazione ingenerazione. Immagino che ogni seguace della Wicca - o praticante di ma-gia bianca, se preferisci - sappia perfettamente di esserlo, anche se non lodice a nessuno. Per quanto riguarda i capelli rossi e la stregoneria, è unavecchia credenza folcloristica anglosassone, e mi sorprende che sia so-pravvissuta.» «Non sono una strega», affermò Rowan con decisione, come se questorisolvesse la questione di Laney. Fissò Claire per un attimo con gli occhigrigi di un'onestà sconcertante. «Ma ci sono delle streghe, Claire, e nonsono tutte bianche.» Claire non sapeva bene cosa rispondere. Sembrava quasi che Rowan lastesse avvertendo. «Be', buonanotte», disse la ragazza dopo un istante, sbadigliando e strin-gendo al petto il drago. «Dormi bene, mia cara», disse Claire. Aspettò che Rowan si fosse in-filata sotto le coperte e spense la luce. Ma le ci volle molto tempo per riuscire ad addormentarsi. A un certo punto, nel cuore della notte, Claire si svegliò di colpo. La lu-

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na piena entrava dalla finestra aperta, e alla sua luce azzurrina Claire videche il letto di Rowan era vuoto. «Rowan!» chiamò con un sussurro. «Sono qui.» La voce della ragazza sembrava stranamente lontana. Simosse e Claire la vide davanti alla finestra, avvolta in una delle trapunte. «Torna a letto, ti congelerai», disse Claire. «Sono là fuori», mormorò Rowan. «Riesco a sentirli, tu no? Ci stannochiamando.» Un'oscurità scintillante, un rullo di tamburi che rimbombava nel cuoreper chiamare qualcosa di più antico e primitivo dell'uomo. Qualcosa diorrendo ma anche di seducente, una bramosia suscitata nell'umanità findalla notte interminabile prima dell'alba dei tempi... Claire scosse il capo con decisione e la chiamata tacque, ma sapeva cheera ancora lì. E anche Sally è lì fuori, che il Cielo l'aiuti. «Torna a letto, Rowan», ordinò Claire con un tono più secco di quelloche avrebbe voluto. «Non riesco a dormire», ammise con sincerità. «E... non penso che do-vrei. Cosa ne dici, Claire?» «Hai ragione», confermò Claire, rinunciando con un sospiro. «Pro-babilmente è meglio di no. Ma non devi andare da loro, Rowan, anche se tisenti spinta a farlo.» Mentre lo diceva, Claire si rese conto di quanto suo-nassero condiscendenti e sciocche le sue parole. Cos'avrebbe fatto se Ro-wan avesse disobbedito? «Non ci andrò», promise Rowan, e Claire colse la riluttanza nella suavoce. Vide l'ombra della mano della ragazza sul vetro gelido della finestra,come se quel gesto potesse rendere più chiaro quanto si trovava all'esterno.«Prima non lo sentivo, ero troppo giovane. Adesso lo sento ma non sonoancora abbastanza forte. Presto, però, lo sarò.» La voce della ragazza con-teneva una tranquilla promessa. Rowan decise di andare a farsi una tazza di tè, e Claire scese in cucinacon lei. Attraverso la finestra sopra l'acquaio vide la luce accesa nella stan-za da lavoro di Justin dall'altra parte del cortile. «Il papa starà sveglio tutta la notte», dichiarò Rowan come se fosse lacosa più naturale del mondo, mentre riempiva il bollitore e lo metteva sulfornello. «Vuoi della torta? Ne è rimasta a cena.» «No, grazie.» La fame insaziabile di Rowan era il perfetto esempio delleggendario appetito degli adolescenti. «Ma bevo volentieri una tazza ditè», aggiunse Claire.

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Rowan andò a prendere la scatola del tè nella credenza e si fermò, lan-ciando uno sguardo pensoso verso la luce dello studio del padre. «Non rie-sce a sentire nulla», mormorò, quasi parlando tra sé. «Per lui è una nottecome un'altra.» Dopo un istante ricominciò a muoversi, prese una vecchiateiera marrone e vi mise il tè. «E tu che cosa senti, Rowan?» chiese Claire a bassa voce. Anche seClaire aveva capito che la cugina possedeva il Dono il primo istante in cuil'aveva vista, non era sicura che lei lo sapesse né quanto credesse alle pro-prie capacità. «Solo... delle cose», rispose la ragazza vagamente. Claire pensava chequell'incapacità di esprimersi fosse dovuta tanto all'ostinazione quando al-l'ignoranza dei termini per descrivere eventi e impressioni fuori dal-l'ordinario. «Loro», disse, facendo un vago gesto verso oriente. «È come...un dente che fa male.» Il bollitore fischiò e Rowan si interruppe per andare a spegnere il for-nello e versare l'acqua bollente nella vecchia teiera. Tirò fuori la torta e sene tagliò una fetta abbondante, e prese piatto e forchetta solo per rispettarela delicata sensibilità che attribuiva a ogni esponente della generazione dei«vecchi». Portò la teiera al tavolo della cucina con due tazze di porcellana dipinte amano, la zuccheriera e una bottiglia di panna non pastorizzata prodotta inuna delle fattorie della zona. Rowan versò il tè per entrambe, poi aggiunsealla sua tazza diversi cucchiai di zucchero e un'abbondante dose di pannache rischiò di traboccare. «Cos'altro vedi?» la sollecitò Claire, quando apparve chiaro che Rowannon intendeva aggiungere altro. «Delle cose», replicò, e questa volta Claire capì che la risposta era volu-tamente vaga. «Povera Sara. Ma immagino che a volte le cose debbanoandare male per poter migliorare in seguito. Dio! Sembra uno degli scioc-chi detti New Age di Laney!» aggiunse in tono più normale. «Povera Sara.» Claire rabbrividì dentro di sé per il tono di commise-razione che aveva udito nella voce di Rowan. Anche lei, nella parte più se-greta della mente, riusciva a percepire il terrore mischiato al suono deitamburi, ma non osava andare in cerca di Sally Latimer. Si sarebbe quasicertamente persa nelle strade di campagna immerse nell'oscurità, e se fosseuscita avrebbe lasciato i Moorcock indifesi di fronte alle possibili minacce;Rowan, in particolare, era assai vulnerabile. Ma le ore fino all'alba le sembrarono interminabili.

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Verso le 4.30 Justin rientrò dallo studio e mandò a letto Rowan: il giornosuccessivo doveva andare a scuola, le ricordò, e per arrivare in orario a-vrebbe dovuto alzarsi alle sette. Rowan gli assicurò che sarebbe stata informa, e probabilmente, vista la sua età, aveva ragione, rifletté Claire conuna punta di invidia; la ragazza sgusciò via dopo un bacio di buonanottesulla guancia. «Sta bene?» chiese Justin a Claire dopo la partenza di Rowan. «È vero?» «Starà bene», temporeggiò Claire, che non desiderava mentire. Qua-lunque cosa l'avesse chiamata dalla vecchia chiesa sulla collina aveva in-terrotto il richiamo pochi minuti prima, e Rowan non correva altri pericoli. Per quella notte, almeno. Claire portò le tazze e il piatto di Rowan all'acquaio e li posò delicata-mente nella bacinella dove più tardi li avrebbe lavati. «Soprattutto quandoandrà a studiare lontano. Lo sai anche tu, Justin.» Justin Moorcock sospirò, ravviandosi i folti capelli biondo rame. «A vol-te vorrei non averla mai riportata qui, ma era così abbattuta quando Meri-lee se n'è andata, e io sono sempre stato felice qui. E poi, il nonno non èpiù giovane...» Si rifiutava di guardarla negli occhi, come se temesse disentire cose che avrebbe dovuto negare. «Non sentirti colpevole per questo, Justin», lo rassicurò Claire. «Rowanstarà bene, è una ragazza molto sensata.» «Credo che tu abbia ragione», replicò Justin con una sorta di riluttantesollievo. «Be', buonanotte, Claire.» «Buonanotte, Justin.» Quando Claire tornò in camera, trovò Rowan che dormiva profonda-mente sotto una montagna di coperte, stringendo il drago di peluche. Clai-re avrebbe voluto accantonare con altrettanta facilità i suoi problemi. Ave-va la terribile sensazione di dover scegliere se salvare sua cugina o la suagiovane amica... e non era sicura di riuscire a prendere una decisione delgenere. Le ci volle molto per riuscire a prendere sonno. Si svegliò dopo le nove al trillo del telefono. Clarence era duro d'orecchie l'avrebbe quindi lasciato suonare, e se Justin si trovava nel suo studioneppure lui poteva sentirlo. Fortunatamente c'era un apparecchio anche disopra: Claire si infilò rapidamente la vestaglia e sollevò il ricevitore. «Pronto?» disse con voce assonnata.

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«Claire?» La voce di Colin. «Sembri a pezzi.» E anche lui, come Justin, non avrebbe sentito nulla neanche se fosse sta-to qui tutta notte. A volte sono veramente gelosa... «Ho avuto una nottataccia. Non preoccuparti. Cosa posso fare per te?»chiese. «Sally non ha il telefono e sono impegnato tutto il giorno, ma BrianStandish mi ha chiamato verso le sette stamattina; ha trovato sulla sua se-greteria un messaggio di Sally risalente a ieri, ma quando l'ha ascoltato eratroppo tardi per richiamarla. Probabilmente adesso lui dorme, ma speravoche avessi il tempo di fare un salto da Sally.» «Avevo comunque intenzione di andarci oggi», disse Claire, organiz-zando mentalmente il programma della giornata. «Ti richiamo più tardi,d'accordo?» «Sarò all'università fin verso le cinque o le sei», le comunicò Colin.«Puoi chiamarmi lì.» Dopo aver riattaccato Claire tornò in camera. Durante la notte le nubi sierano accumulate nel cielo, e la giornata era tetra e piovigginosa. Rabbri-vidì quando, dopo essersi infilata le pantofole di lana, si avvicinò alla fine-stra. La camera di Rowan si affacciava sul vialetto davanti a casa; guar-dando fuori, Claire si avvide che l'auto della ragazza e quella del padremancavano entrambe. Non mi resta che domandare in prestito il camioncino, immagino, pensòClaire con rassegnazione. Non si era preoccupata di noleggiare un'auto, dalmomento che poteva sempre contare su quella di Rowan o di Justin quan-do aveva bisogno di un mezzo di trasporto; del resto, l'autonoleggio più vi-cino era a Boston. In un altro momento avrebbe semplicemente aspettato ilritorno di Justin. Ma la sua visita a Sally non poteva attendere. Zio Clarence si dichiarò disposto a prestarle il vecchio camioncino - an-che se con qualche dubbio riguardo alle sue capacità al volante -, quindi,fatta una rapida colazione che migliorò appena le sue condizioni dopoquella notte di sonno interrotto, Claire si mise in moto. La giornata freddal'aiutò a chiarirsi le idee squarciando i veli del sonno, e quando giunse aWitch Hill verso le undici era pronta per affrontare qualsiasi cosa... o cosìcredeva. Un'intuizione persistente - o impulso - l'aveva indotta a portare con sé unkit di «pronto soccorso» contenente un pacchetto di caffè e una vecchia

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caffettiera di cui nessuno avrebbe avvertito la mancanza. Qualunque cosastesse succedendo a casa Latimer, Claire pensava che un bel caffè forte sisarebbe reso indispensabile, e non era certa che Sally avesse il necessario. Mentre risaliva la collina con il vecchio camioncino, non credette ai suoiocchi quando improvvisamente le apparve casa Latimer: era più orribile diquello che ci si sarebbe potuti aspettare. Sembrava una delle vecchie casedei romanzi di Stephen King, con stanze che portano a dimensioni paralle-le. In diverse fasi della sua esistenza vi erano state aggiunte tutte le deco-razioni di legno possibili, e torri, abbaini e finestre panoramiche sembra-vano spuntare dal corpo principale dell'edificio in una spaventosa asimme-tria. Il segnavento sul punto più alto del tetto era un uccellaccio nero dall'a-ria sinistra e, mentre seguiva il cambiamento delle correnti, produceva unleggero scricchiolio che faceva venire la pelle d'oca. Claire parcheggiò davanti al portone e spense il motore. Per un attimonon capì dove si trovava la porta d'ingresso - c'era qualcosa di così sba-gliato nella costruzione della casa che era difficile concentrare lo sguardosu una sua componente -, ma finalmente la individuò e si diresse a passorapido da quella parte. Se solo guardare questo posto mi fa paura, come dev'essere vivere qui?Povera Sally! Posso almeno portarla a casa con me per offrirle un pastodecente e qualche ora lontano da questo orrore! Le sue preoccupazioni per Sally aumentarono quando i suoi colpi allaporta non ricevettero risposta, anche se aveva visto una faccia pallida sbir-ciare da una delle finestre del piano di sopra; finalmente udì il suono delcatenaccio che scorreva, e la porta si aprì. Sally Latimer stava sulla soglia con addosso solo una pesante vestagliadi flanella. Claire cercò di non mostrarsi sconvolta: i suoi magnifici capellirossi erano arruffati in una massa inestricabile, e aveva gli occhi infossatinelle orbite. Le pupille erano enormi; fece una smorfia come se la luce delgiorno la disturbasse, e lo sguardo con cui fissò Claire sembrava potersitramutare in pianto dirotto da un momento all'altro. La ragazza era schele-trica: quella che era stata elegante snellezza l'ultima volta che l'aveva vistasi era tramutata in una magrezza malsana. La dilatazione delle pupille poteva essere spiegata dalla belladonna,componente tradizionale degli unguenti usati dalle streghe diaboliche per ilsabba. Devo dirlo a Colin, la situazione è più grave del previsto. Ma la cosamigliore per Sally in questo momento è l'illusione della normalità, si disse

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Claire fermamente. «Sono venuta in un brutto momento?» chiese, cercando di assumere untono normale e allegro. «Colin mi ha detto che ti sei stabilita qui, e dalmomento che non conosco nessuno tra qui e Innsmouth...» Claire ciarlòfinché non vide la sua espressione terrorizzata da animale in gabbia scom-parire, e decise allora di fare una domanda più diretta. «Sei malata, Sally?» «Non proprio», rispose la ragazza. Aveva la voce roca e impastata, checonfermò i sospetti di Claire sull'uso di stupefacenti, e finalmente sembròaccorgersi che stava lasciando la sua ospite sotto la pioggia. «Vieni dentro,Claire», la invitò facendosi da parte. Claire entrò e abbracciò d'impulso Sally. Sentì la ragazza irrigidirsi e ri-trarsi, e avvertì una profonda ondata di compassione per lei. Poverina!Non avrebbe dovuto affrontare da sola la notte scorsa... «Vado a mettermi addosso qualcosa», biascicò Sally lentamente. «Non sentirti in dovere di vestirti solo per me», la rassicurò Claire. «Hoportato del caffè; ti dispiace se lo preparo mentre ti vesti?» «Fa' pure», disse Sally esitante. Uscì dalla cucina e la vestaglia le sci-volò inavvertitamente dalle spalle mentre camminava. Quando se ne fu andata, Claire trasse un respiro profondo e, facendosiforza, aprì i suoi sensi alla vecchia casa. Non c'era nulla lì, niente di niente. Capì che si era aspettata un'ondata di energia psichica maligna a WitchHill, la tipica corruzione che viene accresciuta dalle pratiche di un cultocome la Chiesa del Rito Antico. Ma non c'era nulla del genere: quel postoera neutro e impersonale come un bicchiere di carta o un moderno appar-tamento cittadino. Claire alzò le spalle e si accinse a preparare il caffè. Mentre cercava taz-ze e cucchiaini, apparve un magnifico gatto fulvo. «Ciao, bello», lo salutò Claire, inchinandosi e allungando le dita per far-gliele annusare. Il micio le fece ricordare quando le mancava un gatto tuttosuo: Monsignor era morto diversi anni prima, ormai vecchio e grasso, ePoltergeist l'aveva raggiunto l'autunno scorso, lasciando Claire senza feliniper la prima volta dopo molti anni. Aveva pensato di procurarsi un altromicino o anche due, ma non voleva farlo finché il ricordo dei suoi due a-mici era ancora fresco. Tuttavia, la compagnia dei gatti continuava a man-carle. L'animale le strofinò la testa contro la mano, e Claire sentì le gocce dipioggia sul suo pelo. Quindi era venuto dall'esterno, ma in che modo?

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Forse c'era una finestra aperta da qualche parte. Proprio allora tornò Sally. Portava una gonna di velluto a coste spie-gazzata, come se l'avesse indossata per dormire, e un maglione di shetlanddello stesso colore. Attorno al collo aveva annodato una sciarpa arancioneche faceva a pugni con il colore dei capelli - c'era da chiedersi come maiuna rossa avesse comprato un accessorio del genere - e sulla bocca restavala traccia di un rossetto di un'infelice tonalità corallo che aveva applicato epoi tolto. Non si era spazzolata, e i capelli le ricadevano attorno al visodandole l'aspetto di una pazza. Non reagire, si disse Claire con fermezza. L'istinto le suggeriva cheSally Latimer non era pronta per affrontare ciò che la spaventava. Qual-cosa era già riuscito a terrorizzarla fin troppo bene. «Com'è bello», commentò invece, senza smettere di accarezzare il gatto.«L'hai trovato qui?» Un impulso perverso l'indusse ad aggiungere, comeper verificare il senso della realtà della ragazza: «Era il gatto di tua zia Sa-ra?» «Solo il cielo lo sa», rispose Sara con aria cupa, lasciandosi cadere suuna sedia. Rise con voce malferma. «La gente del posto ha le sue teorie inproposito. Lo chiamo Barnabas per via di quel vecchio programma te-levisivo.» Si passò le dita tra i capelli, allontanandoseli dal viso. Avevaocchiaie nere, prova ulteriore dell'uso di droghe. «Hai mangiato qualcosa?» chiese Claire e, ricevendo la risposta che siaspettava, cercò di convincere la ragazza a mettere qualcosa sotto i denti.Nel frattempo diede un'occhiata più approfondita alla cucina per la primavolta. La stanza era in condizioni spaventose. Piatti e rifiuti erano ammon-ticchiati nel lavello, ed era evidente che nessuno aveva pulito la cucina dal-la morte dell'altra Sara, sette anni prima. Il viso di Claire dovette rivelare i suoi pensieri nonostante il desiderio dicelarli, perché Sally la guardò e improvvisamente scoppiò in lacrime. «Lo so, lo so, è orribile! Ma è tutta colpa di Matthew: diceva che sonozia Sara e che dovevo partecipare al sabba, e gli ho risposto che era mat-to... Ho cercato di andarmene, ho chiamato Brian... ma Tibby aveva con séuna taccola e io continuavo a perdermi... Non riuscivo a raggiungere la fer-mata dell'autobus, e alla fine il pullman è partito senza di me. Allora sonotornata a casa e mi sono chiusa dentro, ma sono arrivati Matthew con Ju-dith, e lei mi ha portato una torta alle fragole. Non l'ho mangiata, ma c'eradell'unguento sul piatto e mi ha drogata, e poi, poi...»

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Per un attimo Sally crollò del tutto, poi terminò la storia con voce tre-mante e rotta; era svenuta con l'unguento delle streghe sulle mani, poi c'erastato il sabba, che le era parso un sogno e insieme una realtà da incubo; in-fine si era svegliata, nuda, nel cimitero all'alba. Claire ascoltò tutto con a-ria impassibile, versando a Sally una tazza di caffè nero e forte che le misedavanti. «Pensi che sia matta?» chiese Sally. «Mi credi, Claire?» «Non so cosa pensare», replicò Claire con cautela. I sensi le dicevanoche era successo qualcosa di orribile lì la notte scorsa, ma il racconto diSally sembrava troppo perfetto per essere vero: conteneva tutti gli elementidelle classiche leggende europee sulle streghe, e quelle storie erano stateinventate dai persecutori, non dai praticanti dell'Antica Religione. Era dif-ficile per Claire credere che una congrega della Wìcca - o un tempio sata-nico - procedesse con rituali del tipo descritto da Sally. Però la Chiesa del Rito Antico non era wiccana né satanica, anche se lesue radici confuse potevano ritrovarsi nel culto popolare precristiano che imissionari di Roma non avevano mai completamente distrutto. «Credo che tu sia convinta di quello che dici. E devo ammettere che tisapevo in una sorta di pericolo. Ecco perché sono qui.» «Sapevi... cosa?» chiese Sally con un improvviso tono sospettoso. «Che eri in pericolo», ripeté Claire lentamente. Per un attimo, qualcosadi estraneo alla giovane artista allegra che conosceva l'aveva guardata dadietro gli occhi di Sally Latimer, e Claire avvertì un vago brivido di disa-gio. «Ma adesso hai bisogno di mangiare qualcosa», dichiarò con decisio-ne, e cercò di mettere insieme un pasto decente con le magre scorte diSally. Claire non sapeva cosa pensare: quanti dei racconti di Sally si basavanosu fatti obiettivi? Avrebbe voluto che Colin fosse lì: conosceva molto me-glio di lei la Chiesa del Rito Antico, e sarebbe stato capace di distinguerel'accaduto dalle allucinazioni procurate dalla droga. Ma Colin non c'era, eSally aveva bisogno di risposte - e di rassicurazione - subito. «Va bene», dichiarò Claire mentre mangiavano. «Ipotizziamo che unaparte di quello che ricordi sia avvenuto realmente. Perché pensi che possaessere successo?» La bocca di Sally si deformò in una parodia di sorriso. «Ho pensato a...uno scherzo di pessimo gusto.» «Per fare uno scherzo del genere bisognerebbe proprio essere degli indi-vidui disgustosi», dichiarò Claire senza mezzi termini.

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«Non pensi che Matthew Hay ne sarebbe capace?» chiese Sally, semprecon quello strano tono di voce che metteva in guardia ogni istinto di Clai-re. Ma che pericolo poteva costituire per lei Sally? Era la vittima, non l'isti-gatrice di quello che era successo la notte precedente. A meno che, naturalmente, non si trattasse affatto di Sally... Non deve sospettare di te, si disse Claire frettolosamente, e non mise indubbio la bontà del suo istinto. Doveva, dopotutto, proteggere Rowan oltreche se stessa. «Penso che Matthew Hay sia capace di qualsiasi cosa», rispose. Aveval'impressione di recitare una parte, quella della buona ma ottusa amica del-l'eroina in un terrificante romanzo gotico, il cui ruolo consiste nell'offrirespiegazioni sensate per una serie di fenomeni occulti. Aveva la forte sen-sazione che, se avesse dimostrato di sapere troppo - o troppo poco -, si sa-rebbe tradita, e avrebbe destato i sospetti della non-Sally che la stava guar-dando da dietro gli occhi verdi spaventati di Sally Latimer. Claire continuò quindi a chiacchierare come se non avesse idea delle ve-re ragioni che avevano indotto Matthew Hay a drogare Sally, e le enumeròi sintomi dell'assunzione di stupefacenti (sarebbero apparsi chiari a qua-lunque persona con una formazione medica, e Sally sapeva che Claire erainfermiera); le anticipò inoltre che sarebbe stato assai difficile per lei di-mostrare quello che era accaduto la sera precedente. «Voglio solo essere certa che non sto diventando pazza», ripeté la ra-gazza, e Claire intuì la richiesta d'aiuto nascosta dietro quelle parole. Seavesse potuto convincerla a seguirla, l'avrebbe accompagnata subito daColin. Lui era sicuramente in grado di affrontare tutto quello che Sally - ola sua ospite indesiderata - gli avessero riservato. «Senti, Sar... Sally. Vuoi andare all'ospedale? Il pronto soccorso è si-curamente aperto: potresti sottoporti a un esame tossicologico; sono sicurache Brian te ne prescriverebbe uno. Almeno potrebbero trattare i tuoi sin-tomi fisici.» Vide Sally esitare, come una prigioniera che guarda la libertà oltre lesbarre della cella. Proprio mentre traeva un respiro per rispondere, il suonoacuto del campanello rovinò tutto. Entrambe le donne sobbalzarono. Sally rabbrividì come se fosse statacolta da un freddo improvviso; il caffè contenuto nella tazza che teneva inmano si rovesciò. Claire si alzò e guardò fuori dalla finestra che si affacciava sugli scalini

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della cucina. «Matthew Hay», annunciò con aria disgustata. Claire l'aveva incontratoun paio di volte allo spaccio di Madison Corners: era un uomo alto e al-lampanato con un viso affilato come un rasoio e gli occhi azzurro chiaro ei capelli color topo che suggeriscono generazioni intere di unioni tra con-sanguinei. Eppure, nonostante il fatto che sembrasse un incrocio tra ArnoldSchwarzenegger e Ichabod Crane, emanava una sorta di energia. «Imma-gino sia venuto a farsi raccontare la tua storia.» «Non farti vedere, Claire», esclamò Sally rapidamente. Claire la guardò sorpresa. «Voglio dire... Forse se pensa che sono sola dirà qualcosa a sostegnodella mia storia», aggiunse. «Almeno così saprò.» «Non mi piace l'idea di lasciarti sola con lui.» E perché mai desideri re-stare sola con lui, Sally, se tutto quello che mi hai raccontato finora è ve-ro? «Pensi che desideri rimanere sola con lui?» protestò Sally con aria pococonvincente. Si alzò e indicò a Claire di nascondersi nella dispensa con ra-pidi gesti della mano. «Sarai lì se avrò bisogno di te.» Una sorta di allarme interiore indusse Claire a ritirarsi. Quella che avevadi fronte era la sua giovane amica... e nello stesso tempo non lo era. C'eraqualcos'altro in lei, sotto la superficie della personalità normale di Sally. Dissociazione, trauma per una violenza sessuale, schizofrenia, disturbolegato a una personalità multipla... Claire passò in rassegna le diverse pa-role chiave apprese ai corsi di psicologia, ma nessuna sembrava adatta aspiegare il comportamento di Sally. Solo il termine più antico e misteriosopareva calzare. Possessione... Dal suo punto di osservazione nella dispensa Claire riusciva a vedere so-lo Hay e non Sally. Non osava spostarsi per cercare una visuale migliore:avrebbe rischiato di farsi scoprire. Ascoltò Sally e Hay bisticciare: non losi poteva definire altrimenti, e il loro litigio aveva per argomento una con-vinzione che sembravano condividere. Parlarono anche di sfuggita dellagiovane che aveva impedito a Sally di fuggire il giorno prima, TabithaWhitfield. «Ho notato che non ci hai pensato due volte prima di avvelenarmi», os-servò Sally con voce strascicata. Aveva un tono diverso, duro, maturo, ve-lato di un sarcasmo che Claire non ricordava di aver mai sentito prima. «Non si può fare la frittata senza prima rompere le uova», si difese Hay

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alzando le spalle. La porta dietro di lui era ancora aperta e riempiva la cu-cina di un freddo umido, ma non sembrava accorgersene. «Sei viva, alloradi cosa ti lamenti?» Fece un passo verso di lei, e Claire avvertì un'improv-visa ondata di Energia nella stanza. Adesso basta. «Allora lo ammette, signor Hay? Ha cercato di avvelenare Sally? L'haanche violentata?» chiese Claire. Hay sembrò sorpreso della sua apparizione - probabilmente pensava chei suoi poteri occulti avrebbero dovuto segnalargli la mia presenza - e spo-stò allibito lo sguardo da lei a Sally. A Claire si gelò il sangue quando videun sorriso sarcastico dipingersi sul viso di Sally che si godeva il suo scon-certo. «Stupro? È questo che le ha raccontato?» disse Hay, che assomigliava aun uomo qualsiasi nel tentativo di minimizzare una violenza carnale ilgiorno dopo. «E va bene, Sara, ti sei divertita e pure vendicata», aggiunse,voltando le spalle a Claire. «Adesso manda via questa megera, così pos-siamo passare a cose serie.» «Me ne andrò quando Sally me lo domanderà», intervenne Claire co-raggiosamente. «A me, invece, verrebbe voglia di buttare fuori lei.» Il sorriso di Hay si allargò fino a diventare una smorfia. «Sara, lo scher-zo si sta facendo pesante.» Claire stava guardando Sally in faccia. Qualunque cosa vi stesse acca-dendo, Hay stava accelerando il processo di trasformazione. La ragazzache conosceva era quasi sparita, sommersa dall'oscura consapevolezza chestava crescendo dentro di lei. Perché Hay si trovava lì? «E adesso, maledizione, fuori!» esclamò Claire. Hay fece un passo versodi lei, ma Claire gli diede un violento spintone. «L'avviso...» cominciò Hay. Quando si fece avanti di nuovo, lei gli af-ferrò il polso e glielo torse dietro la schiena. «Va' all'inferno. Va' direttamente all'inferno senza passare dal \"via\" esenza ritirare i duecento dollari dalla banca», esclamò Claire. Mentre cer-cava di ritrovare l'equilibrio, lei lo spinse fuori dalla porta. Hay finì lungo disteso nel cortile fangoso, e per un attimo Claire temettedi avergli fatto male sul serio, ma poi si rialzò e la fissò con uno sguardod'odio. Claire afferrò il bordo della porta della cucina, pronta a sbatterglie-la in faccia se fosse tornato alla carica. «Te ne pentirai, Sara», sbraitò Hay. «Posso essere il tuo più fedele so-

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stenitore - e prete - o il tuo peggiore nemico! Sta a te decidere!» Agitò il pugno in aria, come per invocare la vendetta dei cieli, e proprioin quell'istante cominciò a piovere più forte. L'assurdità teatrale del gestofu troppo per Claire; cominciò a ridere, chiudendo la porta della cucina eappoggiandovisi contro. Sally la stava fissando con una strana espressione sul suo viso giovane-vecchio. Sotto quello sguardo soprannaturale, Claire tornò rapidamente se-ria. C'era qualcosa di disumano in quegli occhi verdi e immobili. «Vediamo di andare subito all'ospedale», disse Claire, cercando di riac-quistare il controllo della situazione. «E sul tragitto possiamo fermarci dal-la polizia di stato: una di noi due può rilasciare una dichiarazione, e...» «No», l'interruppe subito Sally. Claire la fissò sorpresa e preoccupata. Hay sembrava sicuro che ti sare-sti schierata dalla sua parte. Sei con lui, non è vero? «Claire, io...» Era la voce di Sally... e non lo era. Era come se una partedi lei stesse recitando il ruolo di Sally Latimer, cercando di riprodurre lesensazioni provate dalla ragazza dopo la scena a cui aveva appena assi-stito. «Stai bene, Sally?» «Oh, sì, ma... adesso è meglio che tu vada. Devo riposare. Matt non cer-cherà di combinare altro per il momento; dimentichiamoci di lui.» Sa che so. Quella certezza fu sufficiente a paralizzare Claire per un i-stante; improvvisamente l'unica cosa importante era andarsene per avvisareColin di cosa stava accadendo. La trasformazione cominciata la notte pre-cedente in Sally era ormai completa, e Claire non aveva alcuna possibilitàdi annullarla. «Dopotutto... non c'è alcuna legge che proibisca di praticare la stre-goneria, no?» chiese Sally, ma non era Sally a fissarla con quegli occhiverdi da gatto. Era Sara, la Strega Sara, sacerdotessa della Chiesa del RitoAntico, e la compagna di dannazione di Matthew Hay. «Siamo arrivati troppo tardi», dichiarò Claire a Colin davanti a un caffènell'unica tavola calda di Arkham. «Qualunque cosa sia, si è impossessatodi lei, e temo che adesso tocchi a Rowan.» Era andata direttamente ad Arkham dopo aver lasciato casa Latimer, e siera affrettata a cercare Colin per comunicargli le cattive notizie. Solo Colinpoteva impedire al Rito Antico di distruggere delle persone care a Claire;anche se non si era mai confidato completamente con lei, Claire lo sapevacon la stessa certezza con cui conosceva il proprio nome.

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Proteggere e servire: tale era il compito di Colin in quella vita, ma i suoipoteri erano vincolati da giuramenti e promesse che Claire non aveva fatto.Spesso in passato aveva benedetto quella libertà che le consentiva sempli-cemente di intromettersi e curiosare, sapendo che le sue azioni erano partedel grande progetto elaborato dagli architetti del Sentiero su cui tutti cam-minavano. Colin non godeva della stessa libertà. Aveva assunto piena responsa-bilità per ogni azione compiuta in quell'esistenza, e quella promessa gliimpediva di intervenire nella vita dei cosiddetti Non Desti a meno che nonfossero loro a chiederlo. In quel momento Claire avrebbe voluto che nonfosse così: mai si era sentita inerme come davanti alla malvagità pura chesi stava realizzando a Witch Hill. «Non è mai troppo tardi, Claire», la rassicurò Colin con fermezza. «Soche sembra un luogo comune, ma è così. Anche se per Sally non si tratta diun momento piacevole, non è ancora in pericolo.» «Come puoi dire una cosa del genere?» sbottò Claire, spaventata e turba-ta. «Mi ha raccontato quanto è successo la notte scorsa - quando era ancorain grado di farlo - e anche Rowan sta finendo intrappolata nella stessa rete!Se solo avessi visto Matthew Hay lassù, che si pavoneggiava ed esultavacome un satiro!» Colin alzò una mano per farla tacere. «Non ho detto che Sally - o Sara,come credo dovremmo chiamarla d'ora in poi - si stia divertendo. Ma seriusciamo a rimandare la Strega Sara là da dov'è venuta - immagino che glipsicologi lo chiamerebbero l'inconscio collettivo o qualcosa del genere -non lascerà tracce indelebili su Sally. E in breve Sally dimenticherà perfi-no cos'ha fatto mentre era posseduta.» «Lei sì, ma gli altri no: e dovrà vivere il resto dei suoi giorni con quellaconsapevolezza. E se non riusciamo a cacciare da lei la strega?» chieseClaire. «Cosa succederebbe in quel caso?» «Claire, anche se Sara è riuscita a entrare in Sally, la sua vita non è si-cura finché non si ricongiunge con il Rito Antico. Questo richiede una ce-rimonia particolare che non si verificherà fino al grande sabba, il primoagosto.» «E fino ad allora?» obiettò Claire. «Anche se Sally non è responsabi-le...» «In un certo senso lo è», la corresse Colin gravemente, «e se questo è ilcammino che ha scelto come espiazione, nessuno di noi due ha il diritto diprivarla di questa penitenza. Se ci muoviamo contro il culto al momento

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opportuno, possiamo distruggerli tutti in un colpo solo. Se sbagliamo ades-so, per una compassione fuori luogo nei confronti di Sally, chissà quandosi presenterà un'altra opportunità. Vale la pena di rischiare.» Claire fissò Colin. Anche se aveva ucciso degli uomini davanti ai suoiocchi, non ricordava di averlo sentito parlare in modo così spietato prima. «E Rowan?» chiese con voce calma. «A Rowan non succederà niente di male, Claire, te lo giuro. Non pensoche Hay si interessi in questo momento a qualcosa che non sia riportare invita Sara, ma andrò a trovarlo lo stesso. Devo comunque riuscire a farmiinvitare al suo rito, e non credo che sarà particolarmente difficile.» «Ci andrai?» chiese Claire incredula. Colin fece un sorriso torvo. «Non me lo perderei per niente al mondo.» CAPITOLO 23 Witch Hill, Massachusetts, 19 maggio 1990 E tu, che bisogno hai delle tende nere della tua tribù visto che possiedi il tendone rosso del mio cuore? Francis Thompson Anche se Madison Corners era solo a una quindicina di chilometri daArkham in linea d'aria, ci volevano trenta o quaranta minuti di auto lungola stradina dissestata, tutta curve e larga solo una corsia e mezzo che costi-tuiva l'unica via di comunicazione in quell'angolo sperduto del Massa-chusetts orientale. Colin manteneva prudentemente l'auto al centro dellacarreggiata quando era possibile; non desiderava affatto finire con la mac-china nel fosso e dover chiedere a un agricoltore del luogo di tirarglielafuori. Con suo grande sollievo, Claire gli aveva rivelato che il sonnambulismodi Rowan era cessato con il sabba. Non pensava che ci sarebbero stati altriproblemi fino a Lammastide, il grande rito progettato da Hay. E quella not-te, in un modo o nell'altro, il problema di Matthew Hay e della sua chiesablasfema sarebbe stato risolto una volta per tutte. Dieci anni prima - o anche solo cinque - avrebbe forse scelto un'altra tat-tica, diversa da quell'attesa fastidiosa che tanto innervosiva Claire. Ma laforza per un'azione del genere non era più alla portata di Colin. L'aveva giàconsumata tutta nella lotta che aveva riconquistato l'anima di Simon An-stey alla Luce, e stava cominciando a temere di non possedere più neppure

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l'energia necessaria per portare a termine il piano meno energico che avevaprogettato. In quei giorni aveva l'impressione di essere sempre senza fiato,anche se per il momento era riuscito a nasconderlo agli altri. Ma Nathaniel l'aveva messo sulle tracce del Rito Antico proprio perchéla sola forza non sarebbe servita per vincere quella guerra. Più che disper-dere la congrega - cosa che ogni soldato della Luce avrebbe potuto fare inqualsiasi momento - Colin doveva scoprire quali legami aveva con altriche operavano in favore delle Tenebre. Com'era quell'adesivo che aveva visto appiccicato sul paraurti di un'au-to? «Vecchiaia e slealtà sconfiggeranno giovinezza e abilità.» Colin im-maginava che in quell'occasione fosse il metodo più appropriato, ma nonper questo si sentiva meglio. Le attività di quel giorno, però, non l'avrebbe-ro affaticato; erano semplicemente lo scontro iniziale di sciabole, una sortadi ricognizione prima del duello all'ultimo sangue. Perché spesso le cose non erano come apparivano... Madison Corners, anche se ufficialmente era un città, consisteva in real-tà in una distesa di fattorie sparse attorno alla vecchia casa Latimer che sitrovava in cima a Witch Hill Road. Colin passò accanto alla strada secon-daria, superò la fattoria Whitfield e giunse all'incrocio, dove voltò a sini-stra per andare a imboccare Witch Hill Road dall'altra parte. Era appena un sentiero, non asfaltato e profondamente dissestato. Colinavanzò lentamente verso la sommità della collina, superò casa Hay - un e-laborato orrore gotico, ricordo di giorni migliori - e giunse al cimitero e al-la chiesa diroccata che gli stava dietro. Parcheggiò nel punto più asciuttoche riuscì a trovare, scese dall'auto e si guardò intorno. Sia il cimitero che la chiesa erano stati dimenticati da qualsiasi congregarispettabile nei giorni in cui il Massachusetts era ancora una colonia dellaCorona inglese. Ma qualunque setta avesse edificato quella struttura l'ave-va costruita per farla durare. Colin entrò lentamente nel vecchio cimitero. Fantocci di pezza pen-devano dagli alberi e offerte di cibo erano poste sulle antiche lapidi, a in-dicare la trasformazione di un sano paganesimo in qualcosa di più oscuro,in una malefica ossessione per il sesso e la morte invece della benevolentecelebrazione di vita e amore perpetuata dai figli nascosti della Wicca. Co-lin estese i suoi sensi di Adepto, alla ricerca di ciò che neppure il Dono diClaire avrebbe potuto rintracciare: le tracce dell'architettura della stregone-ria.

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Nonostante il calore del sole primaverile, Colin rabbrividì. Sì... era lì.Gli strati di intenzione riverberavano l'eco di una musica guerresca dalcancello di bronzo fuori dalla chiesa, segno che quella struttura era ancorain uso. Con cautela toccò il metallo corroso dal tempo (strano che quell'ar-co fosse di bronzo e non, com'era più comune, di legno o pietra) e ritirò lamano immediatamente. Non che quel posto emanasse un'energia partico-larmente forte, ma era pur sempre presente ed era così... impura... «Posso aiutarla?» disse una voce alle sue spalle. Colin sorrise tra sé, varcando l'ingresso dopo essersi girato. Come avevasperato e previsto, Matthew Hay stava attraversando il cimitero e venivaverso di lui, con la lunga tonaca nera che gli svolazzava intorno come le alidi un corvo. Hay sembrava un angelo del giorno del giudizio in un westernd'avanguardia. «Forse», rispose Colin. «Sono interessato a certe... antichità.» Hay gli si piantò davanti. Colin non era certo un uomo di bassa statura,ma dovette ugualmente alzare lo sguardo per fissarlo negli occhi azzurrochiaro di Hay. «Se sta cercando un antiquario», ribatté Hay, «troverà quello che le ser-ve ad Arkham. Questa è una proprietà privata e mi dispiace dirlo, ma nonpermettiamo che le lapidi vengano riprodotte tramite ricalco su carta.» Considerando quello che è inciso su alcune delle tombe, non ne sonosorpreso, pensò Colin. «Lei è Matthew Hay?» chiese Colin. «Il discen-dente diretto del reverendo Lemuel Hay?» Hay assunse un'aria diffidente. «E lei chi è?» chiese sgarbatamente, sen-za rispondere alla domanda di Colin. «Uno che viene da lontano», rispose Colin in tono misterioso. Se volevaconvincere Matthew Hay che era un Adepto della sua stessa setta malvagiasenza farsi scoprire, doveva usare tutta la destrezza appresa in anni di sot-terfugi. Hay fissò Colin dopo quella risposta vaga, e quando intervenne di nuovole sue parole risultarono cariche di significato. «E cosa cerchi in questo tuo lungo cammino?» «Alcuni viaggiano verso Oriente, alla ricerca della Luce. Altri imboc-cano una direzione diversa», rispose Colin. Non era una bugia: non avevadetto qual era la strada da lui scelta, ma, come aveva sperato, Hay in-terpretò le sue parole alla lettera. «Benvenuto... fratello», lo accolse Hay formalmente. «Cosa ti ha indottoa cercarci?»

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«Non sono giunto qui per mia volontà», rispose Colin, assumendo il to-no ampolloso che il reverendo sembrava aspettarsi, «ma sono stato manda-to da un altro che ha sentito parlare di voi.» «E come ti chiami?» chiese Hay che ritrovò l'abituale atteggiamento so-spettoso. «Sembra che tu conosca già il mio, di nomi.» «Colin MacLaren.» «Ti riconosco.» Socchiuse gli occhi. «Tieni delle lezioni al Miskatonicsul folklore.» Il modo in cui Matthew Hay pronunciò quel termine suggerì che per luiera sinonimo di «idiozie». «Alcuni lo chiamano folklore», confermò Colin. «Ma altri sanno chemolte verità dimenticate sopravvivono sotto forma di folklore. \"Ciò chenon è morto può giacere in eterno... e con strani eoni anche la Morte puòmorire.\" Af baraldim Azathoth! Af baraldim asdo galoth Azathoth! IäCthulhu fthagn!» «Sì», approvò Hay, colpito suo malgrado. «Continua.» «È risaputo in certi circoli che l'adorazione del Grande Cthulhu e delledivinità dei giorni antidiluviani è stata qui mantenuta in vita da famigliegiunte nel Nuovo Mondo con certi libri in loro possesso: libri come il Ne-cromicon, Die Vermis Mysteriis, Les Cultes des Goules... tutte fonti di co-noscenza antica trasmessa dai grandi Adepti», disse Colin. Hay non fece una piega alla mescolanza di testi veri e immaginari, con-fermando l'ipotesi iniziale di Colin secondo cui il Rito Antico, anche setuttora pericoloso, non costituiva più la formidabile minaccia di un tempo.La trasmissione del culto da una generazione all'altra di agricoltori igno-ranti aveva dato i suoi frutti, e Hay e la sua congrega non capivano più e-sattamente il significato delle loro azioni nella vecchia chiesa... anche se iloro atti continuavano a costituire un rischio. «E sei venuto per imparare da noi?» chiese Hay, ancora piuttosto in-credulo. «Sono giunto da lontano per imparare chi siete», rispose Colin since-ramente. Dopo essersi congedato da Hay - era stato piuttosto facile ottenere l'in-vito desiderato e la conferma della data e dell'ora del sabba - percorse abassa velocità Witch Hill Road. Il petto gli doleva e aveva un sapore metallico in bocca. La chiesa diHay era un luogo consacrato carico di un'energia che provocava in lui un

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malessere fisico, e Claire, sospettava, non sarebbe riuscita neppure a var-carne la soglia. Per fortuna Colin non era un sensitivo. Tutti i suoi piani sibasavano su quel fatto. Quando si trovò a passare davanti a casa Latimer decise, quasi impul-sivamente, di fermarsi. Devo scoprire cosa sa Sally, e capire se Claire hainterpretato nel modo giusto quello che ha visto: se la Strega Sara è torna-ta per restare, nel bene e nel male. Se è così, ci tradirà smascherandoci di fronte a Hay? Manca ancoramolto tempo ad agosto, quasi sei settimane. Può darsi che il reverendoabbocchi alla mia storia e accetti di non farsi vedere in mia compagnia fi-no alla data del sabba, ma si tratta comunque di un periodo lungo per te-nere in piedi questa farsa. Soprattutto se la Strega Sara gli racconta quel-lo che Sally sa... Colin era preparato per qualsiasi cosa, ma non per lo spettacolo che sitrovò di fronte. Claire gli aveva fornito una descrizione insieme cinica edettagliata dell'aspetto terribile di Sally, ma la giovane donna sulla sogliaera sana e aveva un'aria perfino troppo curata. I capelli rossi ondulati eranoraccolti in uno chignon fermato con spilloni d'argento, e un paio di orec-chini antichi che Colin non aveva mai visto le brillavano alle orecchie. In-dossava una camicia dall'aria vissuta e una salopette, e le tracce di terra al-l'altezza delle ginocchia mostravano che aveva lavorato nell'orto. Ma Sally Latimer era - era stata - una cittadina a tutti gli effetti, e Colinnon avrebbe mai immaginato che il giardinaggio potesse interessarla. «Dottor MacLaren!» lo accolse Sally allegramente. «Venga dentro!» E non lo aveva mai chiamato «dottor MacLaren» in vita sua. «Hai l'aria in forma, Sally», disse Colin, che varcò la soglia ed entrò incucina. Un grosso gatto rosso lo seguì all'interno. «E questo è Barnabas, immagino», disse, inchinandosi per accarezzarlo. «Quello è Zenzero», lo corresse in tono brusco; poi, nel tentativo di es-sere più ospitale, aggiunse: «Ho lavorato in giardino tutta la mattina e sta-vo per mettere il bollitore del tè sul fuoco. Mi fa compagnia?» «Ne sarei felice», rispose Colin raddrizzandosi. Sally gli indicò il tavolo; Colin si sedette e si guardò intorno. Claire aveva riferito che la cucina era lurida, ma tutto quello che Colinriuscì a vedere brillava e profumava di pulito. Diversi rametti di erbe pen-devano dai travetti a testa in giù per essiccarsi. In generale, sembrava cheSally si fosse sistemata come a casa propria.

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Solo che, per qualche motivo, non penso che si tratti di Sally. «Come va la pittura?» chiese. «Oh, non ho avuto molto tempo da dedicare ai quadri», rispose Sally conleggerezza. «Ho avuto parecchio da fare in giardino, e la primavera è or-mai finita. Temo che ci vorranno anni prima che torni in ordine.» No, quella donna fiera con il portamento e la compostezza di una reginanon era la ragazza che lui conosceva, ma un'avversaria potenzialmente benpiù pericolosa. Era la Strega Sara di Witch Hill che, per una vita dopo l'al-tra nel corso di trecento anni e più, era stata alta sacerdotessa della Chiesadel Rito Antico. Ci vollero pochi minuti appena per il tè. Sally portò la vecchia teiera diporcellana al tavolo dove aveva già disposto le tazze e un piatto colmo dibiscotti coperti di zucchero fatti in casa. «Lascia che versi io», propose Colin e riempì le due tazze. «Cosa la porta da queste parti?» chiese Sally. «Siamo lontani da Ar-kham: sono sorpresa che non sia finito in un fosso.» «Oh, ho fatto visita a Matthew Hay», rispose Colin con noncuranza. Gli occhi verdi di Sally brillarono quando alzò lo sguardo. «Perché?»chiese impaziente. «Andiamo, Sally, sai che mi occupo di folklore... e il tuo signor Haysembra essere una vera miniera d'oro. Anzi, mi sono fatto addirittura in-vitare al vostro sabba», aggiunse. Anche se doveva procedere con prudenza, era importante anche scoprireda che parte stava... oltre che dalla propria, naturalmente. Prese un biscottoe lo addentò senza paura; qualunque cosa potesse succedere in quella casa,non pensava che la Strega Sara lo avrebbe avvelenato. Un cadavere - o unascomparsa - avrebbero attirato troppa attenzione a Madison Corners. «Allora vi parteciperà?» chiese. Capì che la donna di fronte a lui erasorpresa in un modo che non sarebbe stato possibile per Sally Latimer. «Non me lo perderei per niente al mondo», rispose con franchezza. La guardò con interesse crescente - ma dissimulato - per diversi secondì,mentre la donna che conosceva come Sally Latimer lottava con se stessa. «Non sottovaluti Matthew Hay, dottor MacLaren», disse infine sot-tovoce. Colin credette di vedere Sally Latimer che annegava nella profon-dità degli occhi verdi della Strega Sara, e gli pianse il cuore per la battagliache la ragazza doveva combattere. Era una lotta che aveva scelto prima diquella vita ma che era destinata a perdere... a meno che lui non l'avesseaiutata.

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«Credimi, Sally. Non lo sottovaluto», la rassicurò Colin con voce cupa.Capì che non vedeva l'ora che se ne andasse, e del resto pensava di averappreso tutto quello che poteva a Witch Hill per quel giorno. Dopo qual-che minuto si congedò. Ma sarebbe tornato. Giugno svanì in una foschia di calura estiva e fu seguito da luglio. Colinfinì il suo ciclo di lezioni ma rimase a spulciare qualche archivio e si de-dicò alla propria voluminosa corrispondenza. Era spesso ospite alla fattoriaMoorcock ma, anche se riuscì a conoscere meglio Clarence e Justin, Ro-wan mantenne curiosamente le distanze. Aveva quasi l'età dei suoi studenti, e Colin era sempre stato fiero delrapporto che riusciva a instaurare con i giovani. La ragazza non stava at-traversando una crisi adolescenziale in cui ogni adulto veniva visto come ilnemico; anzi, era impossibile immaginare un tale atteggiamento in Rowan,che affrontava ogni persona e situazione con l'affettuosa espansività di uncucciolo di San Bernardo. Il motivo era un altro, e Colin lo notò solo per-ché la osservava attentamente, alla ricerca di indizi del suo coinvolgimentocon la Chiesa del Rito Antico. Sembrava indifferente quando avrebbe do-vuto essere curiosa, serena quando avrebbe dovuto preoccuparsi. Ma sestava recitando una parte per trarlo in inganno, Rowan Moorcock era lamigliore attrice che Colin avesse mai conosciuto. No, non poteva imputare il suo comportamento a un impulso corrotto, eColin decise infine che, se il suo atteggiamento nascondeva un mistero,non stava a lui svelarlo. Nei momenti di riposo si interrogava però ugual-mente a quel proposito, e così fu più che felice di accettare l'invito di Clai-re ad andare a Glastonbury con lei e Rowan. Rowan avrebbe cominciato a frequentare i corsi di quel college in set-tembre e, con il peggioramento della situazione a Madison Corners, Clairee Justin avevano deciso che era meglio che si trasferisse prima. Claire ave-va degli amici che potevano ospitarla fino all'apertura dello studentato. Se Rowan era contraria a quell'uscita di scena forzata, Colin non ne eraal corrente. Pensava invece che il suo trasferimento fosse un'ottima solu-zione. E in ogni caso era un pretesto che gli consentiva di effettuare qual-che controllo alla biblioteca del Taghkanic. E di rivedere vecchi amici. Anche se non ci metteva piede da quasi dieci anni, il campus del Ta-

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ghkanic gli apparve immutato. Colin avvertì una stretta al cuore di nostal-gia per quel posto che serbava tanti ricordi. Depositò Claire e Rowan davanti agli uffici amministrativi - Claire desi-derava presentare Rowan ad alcuni suoi amici insegnanti e farle fare unavisita del campus prima dell'inizio delle lezioni - e si fermò un attimo a sa-lutare Eden. Anche l'illustre preside del Taghkanic sembrava sfuggire aimutamenti prodotti dal tempo; salutò Colin cordialmente, e per qualcheminuto parlarono dei vecchi tempi. «Allora, cosa ti porta da queste parti, in particolare in questo periododell'anno? Immagino sia troppo sperare che rimanga abbastanza a lungoper tenere qualche lezione, vero?» chiese Eden speranzosa. «Non quest'anno», rispose Colin dispiaciuto. «In realtà sono venuto perdare un'occhiata in biblioteca. Tengo dei corsi al Miskatonic: qualcuno èentrato nella biblioteca il mese scorso e ha rubato diversi libri dagli armadichiusi a chiave; tra quelli ce n'era uno che dovrei consultare.» «Mi dispiace», commentò Eden. «I ladri di libri rappresentano un grossoproblema per le biblioteche, in particolare per quelle che possiedono colle-zioni di testi rari, come abbiamo imparato a nostre spese. Fa' come fossi acasa tua, e naturalmente fa' un salto all'istituto: Miles non te lo perdone-rebbe mai se non ti fermassi a salutarlo.» «Colin, vecchio imbroglione!» lo apostrofò Viv Aillard. «Sei tornato avedere come stanno i tuoi vecchi compagni di prigionia?» I capelli di Vivianne Aillard, ormai oltre la cinquantina, erano passati daun rosso fiammante al colore della cannella spruzzata di zucchero. Prese ilbraccio di Colin e si avviò con lui verso gli uffici all'interno dell'istituto. «Ho pensato di venirvi a trovare, dato che mi trovavo nella zona», ri-spose Colin sorridendo. «Dopo il modo in cui ci hai abbandonati, mi stupisce che tu abbia il co-raggio di farti ancora vedere nei paraggi», replicò scherzando. «Però alme-no ci hai lasciato qualche elemento valido... Dylan! Vieni a salutare Co-lin!» Dylan Palmer fece capolino dal suo ufficio, e il suo viso da ragazzino siilluminò di un sorriso quando vide Colin. «Professor MacLaren!» esclamò. «Per favore», lo corresse Colin, «adesso sono un privato cittadino. Ciao,Dylan. Cosa pensi della vita dopo la scuola di specializzazione?» «Mi piace», ammise Dylan. «E penso che gli studenti sopravvivano aimiei sforzi.»

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Dylan Palmer aveva imboccato la strada della parapsicologia mentre Co-lin era direttore dell'Istituto Bidney - era stato compagno di classe diHunter Greyson -, e Colin fu felice di vedere che aveva realizzato il suosogno. «Colin!» lo salutò Miles, uscendo dal suo ufficio. «Eden mi ha appenachiamato. Cosa ti porta sulla costa orientale? Spero abbia il progetto ditornare da noi.» «Temo di no. Sono su al Miskatonic per una serie di lezioni sul folklore.Ormai sono stabile a San Francisco, ma di tanto in tanto un cambiamentod'aria fa bene», rispose Colin. Miles Godwin era il successore da lui desi-gnato, e vedere l'istituto prosperare sotto la sua direzione dissipò i residuisensi di colpa - peraltro limitati - che Colin avvertiva da quando aveva la-sciato l'istituto per occuparsi di Simon Anstey e della comunità dell'occul-to della Bay Area. «Allora dovresti venire in un posto dove c'è un minimo di paesaggio davedere», obiettò scherzando Miles. «Al Miskatonic?» chiese Viv Aillard. «Non è quel piccolo college dicampagna ad Arkham? L'intera zona è infestata!» commentò con invidia. «In parte è quello il motivo per cui mi trovo lì», spiegò Colin. «Quasitutti i racconti di fantasmi sono solo frottole inventate per passare il tempo,ma di tanto in tanto c'è un elemento di verità che vale la pena di studiarepiù da vicino. E poi Claire ha dei parenti a Madison Corners che non ve-deva da anni, e ha una cugina più giovane che è venuta oggi qui con noiper vedere il campus dove studierà.» «Be', l'aspettiamo qui all'istituto», disse Miles, traendo la conclusionepiù ovvia. Quella visita inaspettata degenerò presto in una specie di festicciola.Tutti erano ansiosi di raccontare a Colin i pettegolezzi del campus, che pe-raltro non erano cambiati di molto. «Betram aveva messo gli occhi sul premio la settimana scorsa; pensavadavvero che il suo esperto di telecinesi ce l'avrebbe fatta», disse qualcuno. «Con Bertie nei dintorni, chi ha bisogno di una quinta colonna?» replicòqualcun altro, riferendosi al premio da un milione di dollari che non eraancora stato assegnato cinquant'anni dopo la fondazione dell'istituto. «Be', Devant e Lovelock l'hanno inchiodato per bene: ha dovuto pren-dersi una settimana di ferie per riprendersi.» Vi fu una risata generale. Colin alzò le sopracciglia con aria interroga-tiva alla volta di Miles. Era felice di vedere che il suo successore aveva un

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buon rapporto con il personale, dal momento che i parapsicologi, come glisuggeriva l'esperienza, erano inclini a essere capricciosi come cantanti liri-ci. «Kit Lovelock, una delle nostre ricercatrici», spiegò. «Non la sopporto», confessò Viv piena di sdegno. «È come avere Marvoil Mago tra i dipendenti!» «Ma abbiamo un mago nel libro paga», le fece notare amabilmenteDylan. «Solo che si chiama Mask Devant.» «Far entrare un... un mago mentre Bertie lavorava con Hans è stato untotale abuso di fiducia!» continuò Viv. «Considerando che Hans era falso come una banconota da tre dollari»,intervenne freddamente una voce nuova, «penso sia stato meglio scoprirlosubito piuttosto che dopo centinaia di costose ore di test.» Colin si voltò verso la donna che aveva parlato. Si trovava accanto allamacchina del caffè con un bicchierino di plastica in mano. Anche se eracerto di non averla mai vista prima, gli sembrò stranamente familiare. Aveva i capelli scuri - che portava lunghi quanto bastava per non as-sumere un'aria mascolina - e indossava un sobrio tailleur gessato blu scuroche la faceva apparire più vecchia. Anche se Colin non ne sapeva molto dimoda, pensò che quello fosse proprio l'effetto voluto, dal momento chesembrava assai giovane, probabilmente laureata da poco. «Colin, non hai ancora conosciuto l'acquisto più recente dell'istituto»,disse Miles. «Ha un'indole piuttosto solitaria, ma lavora in modo eccellen-te. È arrivata direttamente da Harvard, e siamo fortunati ad averla con noi.Verity, questo è il dottor Colin MacLaren, il precedente direttore dell'isti-tuto. Colin, ti presento Verity Jourdemayne, la nostra parapsicologa stati-stica.» Verity sorrise con l'espressione diffidente di chi viene presentato dalproprio superiore a un illustre sconosciuto. Ecco il motivo di quell'incredibile familiarità! Colin si alzò. «Verity Jourdemayne», disse calorosamente. «Ho conosciuto i tuoi geni-tori. Tuo padre sarebbe orgoglioso di sapere che hai deciso di seguire latradizione di famiglia.» Improvvisamente Colin ebbe l'impressione di aver detto qualcosa di ter-ribilmente sbagliato. Con la coda dell'occhio vide Dylan fare una smorfia ecoprirsi il viso con le mani. Colin aveva rispettato il desiderio di Caroline Jourdemayne e, come glialtri amici e seguaci di Thorne Blackburn, era stato lontano da lei e da sua

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nipote, ma non gli era venuto in mente che avesse potuto nascondere allaragazza l'identità del genitore. «Thorne Blackburn», ripeté Verity con voce tagliente. «Temo che l'ab-biano male informata, dottor MacLaren. Thorne Blackburn è morto nel1969. Non può dunque avere nulla a che fare con la mia vita o le scelte cheho compiuto.» Vi fu una pausa, come se Verity si fosse accorta di essere finita in unastrada senza uscita per la mancanza di diplomazia ma non sapesse comeuscirne. «Sono lieta di averla conosciuta, ma adesso devo proprio tornareal lavoro.» Si voltò e si allontanò con il bicchierino di plastica vuoto anco-ra in mano, e pochi secondi dopo Colin udì una porta chiudersi sec-camente. «Verity è... un po' suscettibile sull'argomento di Thorne Blackburn»,commentò Miles per rompere il silenzio. «\"Un po'\" è veramente un eufemismo», Colin udì Dylan borbottare. «Mi dispiace di aver sollevato un argomento tanto doloroso, allora», dis-se Colin, e l'attimo di imbarazzo svanì. Nonostante quell'aria di festa, però, per l'istituto era un giorno lavo-rativo, e presto ciascuno tornò alle proprie occupazioni: Dylan alle lezionidel pomeriggio, Viv a sistemare gli appunti per la sua spedizione al-l'organizzazione gemellata con l'Istituto sull'isola di Man, e gli altri ai lorodoveri. Miles accompagnò Colin alla macchina. «Vorrei scusarmi per aver detto qualcosa di sbagliato alla signorinaJourdemayne», disse Colin, aprendo lo sportello della piccola coupé presaa noleggio. «Solo dopo aver parlato mi è venuto in mente che forse Carolnon le ha raccontato molto sul padre.» Miles liquidò con un gesto le scuse di Colin. «Apparentemente non sapeva molto di Blackburn quando ha deciso didiventare parapsicologa, e naturalmente, in quanto figlia di Thorne, attirala solita folla di pazzi; Blackburn è stato una figura importante nel-l'occultismo del ventesimo secolo, e distinguere occultismo e parapsico-logia per il grande pubblico è difficile anche nei momenti migliori. E unasituazione piuttosto imbarazzante per lei.» «Capisco», commentò Colin. «Le auguro buona fortuna, allora.» «Anche a te», replicò Miles. «Non aspettare tanto tempo prima di torna-re a trovarci: forse riusciremo ad acciuffarti per una serie di lezioni, uno diquesti giorni.»

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«Mi piacerebbe molto», gli assicurò Colin. «Ti chiamo tra qualche mese,quando torno nella Bay Area, va bene?» «Aspetto una tua telefonata», promise Miles. L'incontro con Verity lo aveva turbato, ricordandogli in modo tangibilela velocità con cui passava il tempo. Quella terribile notte a Shadow's Gatenon sembrava tanto lontana, eppure la figlia di Thorne aveva avuto allorasolo due anni e adesso era una donna adulta. Era passata una generazione; ibambini di allora erano diventati uomini e donne per cui il decennio deglianni Sessanta apparteneva alla vasta preistoria del periodo precedente allaloro nascita. La sensazione del tempo che passava - e gli sfuggiva, mentre aveva an-cora tante cose da fare - rimase anche dopo che lui e Claire ripresero il tre-no per tornare nel Massachusetts. I giorni prima del sabba erano ormai po-chi, e presto il Rito Antico sarebbe entrato in azione per ancorare l'animaantica della Strega Sara nel corpo della sua discendente una volta per tutte. Ma Colin e Claire non erano rimasti neppure loro con le mani in mano. Mancava poco all'alba dell'ultimo giorno di luglio quando Colin e Clairearrivarono a piedi sulla sommità della collina che ospitava il cimitero. Sul-la spalla Colin portava una vecchia sacca di tela, ingrigita dagli anni e dal-l'uso frequente; era il tipo di borsa in cui gli idraulici trasportano gli attrez-zi. Claire non aveva nulla con sé. Avevano lasciato la Chevrolet par-cheggiata sul ciglio della strada a più di un chilometro di distanza per nonsvegliare Sara o Matthew con il rumore del motore. Ma quella era la nottedel Grande Sabba, e c'erano diverse cose che Colin doveva fare prima diallora. «Bleah», bisbigliò Claire quando giunsero all'entrata del cimitero. Letombe e le lapidi scheggiate erano appena visibili alla fredda luce che pre-cede l'alba. «Che puzza.» Si guardò le solide scarpe da passeggio come se si aspettasse di trovarlecoperte di spazzatura. «Temo che la situazione sia destinata a peggiorare per te prima di mi-gliorare di nuovo.» Colin tracciò un rapido segno nell'aria - aveva le dita che gli formico-lavano leggermente - e avanzarono insieme, procedendo con prudenza nelbuio. Colin si fermò a ogni albero e lapide per apporvi il sigillo, e si accor-se di un crescente dolore sordo che partiva dal torace e gli scendeva lungo

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il braccio. Lo attribuì alla stanchezza, ma non poteva fermarsi proprio inquel momento. Dovevano finire e andarsene prima che facesse giorno. «Hay non si accorgerà di quello che hai fatto?» chiese Claire. «Ho tenu-to d'occhio gli altri membri della congrega, e i loro poteri non bastanoneppure per accendere una candela con una scatola di fiammiferi; in Hay,però, c'è qualcosa di diverso.» «Sono d'accordo, ma non ha tutti i poteri che crede di avere», risposeColin. «Direi che il Rito Antico è vissuto di rendita almeno dai tempi disuo nonno. Sono pronto a scommettere che Hay si concentrerà su Sally eBrian e non sulla magia stasera.» Brian Standish era l'anello più debole nella catena per la resurrezionedella Strega Sara. Brian era l'amante di Sally Latimer, non di Sara, e l'an-cora di Sally al mondo umano della luce e della sanità mentale. Colin ave-va sempre saputo che la congrega avrebbe dovuto distruggere Brian per as-sicurare la supremazia alla Strega Sara, e infatti - così Claire aveva saputoda suo zio - c'era stato un misterioso «incidente» ai freni dell'auto di Brian.Ma nelle ultime settimane era sembrato che Sally lo proteggesse da Hay edai suoi seguaci, giungendo perfino ad allontanarlo da sé facendosi trovarea letto con Matthew Hay e Tabitha Whitfield. Al giovane medico si eraspezzato il cuore - i pettegolezzi di campagna erano precisi e di vasta por-tata - ma, anche se da allora aveva evitato la ragazza, Colin sapeva che ilmostruoso ego di Hay non gli avrebbe permesso di sfuggire tanto facil-mente. E infatti non era riuscito a sfuggire. «Arrestarli tutti non sortirebbe lo stesso risultato che intervenire duranteil rituale? Hanno rapito Brian, lui può giurarlo», propose Claire guardandoverso casa Hay. C'era una luce accesa in cucina: la gente di campagna ave-va gli orari dei contadini. «Giurarlo è una cosa, provarlo un'altra», le ricordò Colin. «Sarebbe lasua parola contro quella di Hay, e sono sicuro che il reverendo troverebbeun sacco di persone disposte a testimoniare che Brian si è recato spontane-amente a casa sua. E poi, fermare i Lammas della congrega non servirebbead aiutare Sally... o Brian.» «Non sono sicura che mi piaccia vedere Brian immischiato in questa sto-ria», brontolò Claire. «Neppure io ne sono entusiasta. Senza dubbio Sally ha cercato di ac-cordarsi con Hay e gli ha promesso di rinunciare a Brian per salvarlo. MaHay non può permettersi di lasciare in vita Brian se vuole far rinascere Sa-

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ra.» «Quindi il reverendo si rimangia la parola e Brian diventa il sacrificioumano du jour» borbottò Claire. «Non credo che Sally lo sappia: è questo il punto. E in ogni caso, i pianidi Hay prevedono che Brian rimanga in buona salute - anche se non pro-prio in un posto confortevole - fino a stasera. Non possiamo rischiare diandarlo a salvare, se vogliamo aiutare Sally. Ed eccoci all'arco d'ingresso.Ha fatto stare male anche me, quindi stai attenta.» Claire si fermò a pochi passi dal cancello di bronzo corroso - una sem-plice sagoma scura nella penombra - e chiuse gli occhi per concentrarsi.Quasi subito fece una smorfia e indietreggiò incespicando, alzando unamano per proteggersi. La piccola croce d'oro che portava al collo brillò. «Sì», confermò con voce malferma. «È molto forte. Ti servirà l'arti-glieria pesante.» Colin posò a terra la sacca e ne estrasse una pisside e una fialetta di oliosanto. Mormorando delle preghiere unse il cancello di bronzo in diversipunti. Il metallo era sgradevolmente caldo, anche se il sole era una sempli-ce linea dorata all'orizzonte. Sebbene Colin non fosse cattolico, quegli oggetti erano stati simboli del-la Luce per quasi due millenni ed erano ancora venerati dalla popolazionedi metà del globo. Il metallo sembrò corrodersi maggiormente nei punti toccati da Colincon l'olio benedetto. Aprì la pisside e ne estrasse un'ostia consacrata; toccòcon essa i quattro punti dell'arcata che aveva giù unto, poi spezzò la parti-cola a metà e seppellì i due frammenti alla base del cancello. Si avvertì unimprovviso cambiamento nell'atmosfera, come se la pressione fosse d'untratto diminuita. «Va meglio adesso?» chiese Colin. «Sì», rispose Claire debolmente. «Ma non sono impaziente di entrare inchiesa.» Anche lì l'atmosfera era impregnata di forze malvagie, come Claire ave-va predetto. Usando i poteri dell'amica, circondò l'interno dell'edificio conframmenti di ostia consacrata, creando così una barriera santa contro leTenebre. Il pavimento di pietra in passato era stato formato di blocchi bianchi eneri disposti a scacchiera, proprio come in tutte le chiese templari, ma iltempo aveva scolorito le mattonelle in cui si indovinavano ora a malapenadue sfumature diverse di grigio. I muri erano ricoperti dei simboli di una

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religione ben più primitiva di quella cristiana. Fortunatamente le decora-zioni elaborate nell'antico tempio permisero di nascondere il loro interven-to, e si arrischiarono perfino ad accendere la torcia. «Nient'altro?» chiese Colin, quando il circuito fu completato. «Quello», aggiunse Claire, indicando l'altare nero. Colin avanzò in quella direzione con prudenza. Era alto circa un metro eassomigliava a un altare di una normale chiesa. Quella somiglianza, però,era una semplice illusione. L'altare nero era stato scolpito in una roccia chesi ergeva proprio in quel punto, e attorno a esso era stato costruito il tem-pio blasfemo. Anche se poteva ungerlo con l'olio benedetto, non aveva modo di na-scondere nei suoi paraggi gli elementi più efficaci del suo arsenale. Guar-dando meglio, però, vide che una pietra sul pavimento dietro all'altare nonera fissata bene; la malta che la manteneva a livello dell'altare si era corro-sa nel corso degli anni. «Claire, dammi una mano con questo affare. C'è un piede di porco nellaborsa.» Lavorando insieme, riuscirono a sollevare per metà la grossa lastra. Co-lin annaspava quand'ebbero finito, e il cuore gli martellava dietro gli occhifacendogli vedere rosso. «Colin, stai bene?» chiese Claire in tono preoccupato. «Sì, certo. Non pensare a me, adesso, abbiamo ancora delle cose da fa-re», rispose brevemente. Mentre Claire manteneva la pressione sulla sbarra, Colin scavò una pic-cola nicchia nella terra sotto la pietra e vi mise un'ostia intera. Poi frugònella sacca e ne estrasse un ultimo oggetto: un minuscolo rosario d'oro chepadre Adalhard Godwin gli aveva dato poco prima di morire. «Serbalo per una vera emergenza, Colin, ragazzo mio. So che saprai ri-conoscerne una», aveva detto il vecchio sacerdote. Colin baciò il simbolo di Colui che il suo Ordine venerava come un ma-estro alleato e posò il rosario sotto la pietra. Poi lui e Claire riabbassaronola pesante mattonella e Claire vi sparse sopra della polvere per mascherareil loro intervento. Colin le si inginocchiò accanto, cercando di riprenderefiato. Gli sembrava di avere intorno al petto una morsa di ferro che annul-lava ogni sua energia. Non era impaziente di ripercorrere il cammino finoall'auto. Non sono più giovane come un tempo, immagino, ma lo sono ancora ab-bastanza.

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«Proporrei di chiamare un medico, ma l'unico bravo nel raggio di ottantachilometri è legato nella cantina di Matthew Hay», disse Claire, scherzan-do per nascondere la preoccupazione. «Colin, sei certo di star bene?» «Che importa? In ogni caso non possiamo mandare all'aria tutto neppurese sto male, vero?» sbottò Colin. Estrasse un fazzoletto e si asciugò il visoimperlato di sudore. «Mi dispiace, Claire, ma non mi sento molto in forma.È la tensione, immagino.» «Non ho mai saputo che avessi anche tu paura prima di entrare in sce-na», ribatté Claire. Si morse nervosamente il labbro, chiaramente preoccu-pata. Be', neppure io, se è per quello. Ma non possiamo lasciar perdere e tor-nare più tardi, e Claire non può farcela da sola. Grazie a Dio almeno Ro-wan è in salvo. I primi raggi del sole penetravano dalle crepe del vecchio tetto d'ardesia,e c'era ormai abbastanza luce da rendere inutile l'uso della torcia elettrica.Colin la spense. «Come va adesso?» chiese a Claire, in parte per distrarla dalla sua ap-prensione. Claire si sedette sui polpacci e chiuse gli occhi. Appariva tesa e stancaquanto lui; l'opera del sensitivo e del mago costava cara a chi praticavaqueste arti. «Tutto pulito», dichiarò infine. «Almeno, ne sono quasi certa. In ognicaso, questo posto non è più consacrato dall'intenzione. Quando Hay verràqui per evocare le sue forze oscure, lo aspetta una bella sorpresa.» Fece unsorriso forzato. «Spero che la sorpresa non sia solo quella dell'abbandono da parte deisuoi dei malvagi», commentò Colin. Il dolore nel torace si stava final-mente calmando e riuscì a respirare di nuovo a fondo. Fece un sorriso in-coraggiante a Claire. «Andiamo, ragazza mia. Muoviamoci prima chequalcuno scopra cos'abbiamo combinato.» Tramonto. L'antica chiesa ospitava i dodici uomini e donne che costitui-vano la congrega e gli otto che ne erano discepoli e sostenitori. Com'è possibile che non lo sappiano? Che non gli importi? si chieseClaire disperata mentre guardava la figura legata sull'altare. Aveva dettosemplicemente a zio Clarence che avrebbe trascorso la notte a casa di ami-ci. L'anziano parente era tanto preoccupato dal fatto che uscisse l'ultima se-ra di luglio che accettò la sua vaga spiegazione senza commenti. Fortuna-

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tamente né lui né Justin correvano alcun pericolo, dal momento che il donofamiliare aveva saltato entrambe le loro generazioni. Grazie a Dio esistevail Taghkanic College: non sapeva cos'avrebbe fatto se avesse dovuto ancheproteggere Rowan quella notte. Dal suo punto di osservazione, Claire vedeva gli occhi di Brian Standishbrillare di paura e collera, ma non osava fare nulla per comunicargli cheera lì per aiutarlo. Venti uomini e donne erano riuniti in attesa di un sacri-ficio umano. Era l'America del ventesimo secolo, eppure consideravanol'evento di quella sera come un'uscita al cinema. Si strinse a Colin, cercando di non mostrare il proprio turbamento. Eraavvolta in una tunica con cappuccio troppo pesante presa in prestito al di-partimento di teatro del Miskatonic, ma continuava a sentirsi orribilmenteesposta. Quando era stata presentata come accolita di Colin quella sera, erastata attenta a tenere il cappuccio ben calcato sulla testa, per evitare cheHay riconoscesse in lei la donna che l'aveva sbattuto fuori da casa di Sallyin maggio. Ma Hay era troppo eccitato dal rituale che stava per compiereper prestare attenzione a un'insignificante figura incappucciata in compa-gnia di un uomo fidato. Colin stava in piedi, solido come una roccia, accanto a lei, impassibilecome una statua, in attesa del momento per colpire. Claire gli invidiavaquella calma, anche se forse era in parte dovuta alla pistola che portavacon sé. Ci volle quasi un'ora prima che Hay cominciasse il rituale accendendol'incenso, che contribuì a rendere ancora più soffocante l'atmosfera di quel-la serata estiva nella chiesa affollata. Sally non era presente: sarebbe arri-vata più tardi, a cerimonia iniziata. Claire chiuse gli occhi, cercando di non guardare mentre Matthew Hay -nudo, coperto di vernice e col viso celato da una maschera - faceva voto diobbedienza al Grande Cornuto, alla Vergine Nera e ai demoni minori tranuvole di fumo acre. Dopo quello che avevano fatto quel mattino lei e Co-lin, la cerimonia era una semplice ripetizione innocua di gesti. Avevano in-fatti dissipato l'eco del Male prodotto il quel luogo, lasciandolo inerte, pri-vo di influenza. In effetti, il procedimento di Hay sarebbe perfino risultatodivertente se il reverendo non avesse avuto lo scopo di uccidere BrianStandish. Claire fece del suo meglio per non batter ciglio quando Hay prese ungattino che si contorceva da un cesto dietro l'altare e lo sventrò con la stes-sa indifferenza che avrebbe dimostrato nell'aprire una lattina di birra. Con

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il sangue dell'animale morto bagnò Brian nei Cinque Punti e gli tracciò unacroce sul cuore: non si trattava di una croce cristiana, ma di un simbolo sa-crificale, inteso a mostrare all'alta sacerdotessa dove colpire. Claire sentì lelacrime riempirle gli occhi, e cercò di consolarsi pensando che quel poveroanimale era l'ultimo essere vivente a morire per mano della Chiesa del RitoAntico. A quel punto i fedeli cominciarono a cantare e a ondeggiare, cadendo intrance. Non che fosse particolarmente difficile: Claire sentì l'odore dellamarijuana mischiato a quello dell'incenso e vide tracce di grasso sulla fron-te di diversi partecipanti. Ricordò che Sally aveva parlato di un unguentoche i seguaci della congrega si spalmavano addosso. Tutti erano ormai sudi giri, e quell'eccitazione diffusa cominciò a renderla incerta delle propriepercezioni. A un segnale silenzioso, i fedeli tacquero e cominciarono a indietreg-giare, lasciando libero un corridoio tra l'altare e la porta. Sally Latimer apparve sulla soglia. No, non Sally. Quella era Sara, sacerdotessa e strega da trecento anni.Avanzò lentamente con passo superbo fino all'altare nero, con addosso unalunga e larga tunica di seta ricamata. Hay le infilò in mano un coltello diferro nero, e Sara lo sollevò sopra la testa. Claire aspettava che Colin tirasse fuori la pistola e interrompesse il ri-tuale, ma non lo fece. Stava per urlare, quando il coltello si abbassò... manon per uccidere. «Corri, Brian!» gridò Sally, finalmente con la sua voce. «Chiama la po-lizia!» Con un urlo tagliò la corda che imprigionava Brian grazie a un nodocomplicato. Una volta tranciata la corda, il giovane cominciò a dibattersiper liberarsi. Sally gettò il coltello più lontano che poté; Claire lo udì tin-tinnare quando colpì il pavimento. Claire non sapeva se la polizia di Madison Corners, invocata da Sally, sisarebbe rivelata particolarmente utile, dato che era pronta a scommettereche alcuni dei suoi rappresentanti erano già presenti, ma lo giudicò co-munque un gesto coraggioso. «Uccideteli entrambi!» tuonò Hay. Claire riuscì a percepire la sua furia, e il potere del Cornuto su di loroera tale che i fedeli erano pronti a commettere un omicidio senza prote-stare. Ma negli attimi che persero per organizzarsi Colin si fece avanti, e-straendo finalmente la pistola. Quando i discepoli avanzarono verso l'altare

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nero, sparò verso il soffitto. «Indietro!» urlò. Si fermarono dove si trovavano, momentaneamente spaventati dalla pi-stola, e Claire vide Colin premersi sul petto la mano libera. Si diresse ver-so di lui, poi si fermò quando udì un orribile ululato alle sue spalle. Si vol-tò e vide Hay che avanzava verso Brian con aria minacciosa: la Bestia Ne-ra lanciava sguardi velenosi dagli occhi arrossati che si intravedevano die-tro la maschera. Ma Brian era troppo furioso per tenere conto della differenza di cor-poratura tra lui e il suo avversario: afferrò la pesante maschera intagliata ela strappò dal viso di Hay... E lo colpì con essa. Fu una questione di attimi. Hay cadde all'indietro e uno spruzzo di san-gue gli uscì dalla bocca; si accasciò sull'altare con un ultimo orribileschianto. Quando smise di muoversi, nessuno dei presenti dubitò della suamorte. Qualcuno gridò. Il panico si diffuse per la chiesa, amplificato dalle dro-ghe psicoattive. L'estasi rituale si trasformò nel peggiore dei trip in menodi un secondo. Tutti cominciarono a correre scontrandosi alla cieca. Brianprese Sally tra le braccia e Colin si voltò lentamente nella loro direzione,facendo dei gesti con la pistola. Aveva il viso terreo per il dolore. «Andiamo!» li incitò con voce roca, e cominciò a farsi strada spingendola folla impazzita. Trascorro troppo tempo al capezzale dei malati, pensò Claire amara-mente. Grazie a Dio non era stato un colpo apoplettico, e grazie a DioBrian era medico, altrimenti Colin sarebbe morto. L'Arkham General Hospital era un piccolo ospedale di campagna senzaun reparto di cardiologia; i dottori avevano ammesso senza difficoltà cheColin avrebbe ricevuto cure migliori a Boston, e si stavano organizzandoper trasferirlo in città in elicottero. Mentre erano al commissariato per rilasciare una dichiarazione - epuratadai dettagli che potevano apparire incredibili alle persone normali - Colinera svenuto. Claire sapeva da quel mattino che soffriva, e la diagnosi, vistii sintomi, era piuttosto ovvia. Ma non avevano potuto fare nulla finchéBrian e Sally non erano stati messi in salvo, e Claire non aveva capito lagravità del malore di Colin fino a quando non era svenuto. Inizialmenteaveva temuto che si trattasse di una reazione magica da parte del Rito anti-

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co; un semplice attacco cardiaco sembrava innocente e perfino salutaredopo la corruzione di cui erano stati testimoni quella sera. FortunatamenteColin si era ripreso quanto bastava per descrivere a Brian i sintomi, e que-sti era andato a prendere la sua valigetta da medico prima di raggiungerli alcommissariato. «Deve stare attento a questo genere di malori alla sua età», gli avevadetto senza tanti complimenti uno dei medici interni quando erano giuntiall'ospedale. Colin era stato ricoverato, nonostante le proteste - Brian ave-va insistito - e Claire era rimasta con lui per vegliare sul suo sonno. L'indomani la notte appena trascorsa appariva come un sogno a Claire, elo stesso doveva accadere ai membri sopravvissuti della congrega, che era-no anch'essi, evidentemente, all'Arkham General. Matthew Hay era mortoe una donna chiamata Tabitha Whitfield era sotto sedativi, ma gli altri sisarebbero ripresi in un giorno o due senza particolari conseguenze. Sally eBrian avevano superato l'esperienza con sorprendente rapidità, ma Claireaveva già visto altri reagire in quel modo. I due stavano già parlando dimatrimonio, ma era inteso che Brian avrebbe dovuto cercare un impiegoaltrove. E adesso devo trovare un modo discreto per dire a ]ustin che non ha piùnulla da temere dalla congrega di qui. «Posso entrare?» Claire sobbalzò e si accorse di essersi assopita. Justin Moorcock si tro-vava sulla soglia. «Forse è meglio che esca io», rispose Claire, e passò in punta di piedidavanti al letto per uscire in corridoio. «È finita, vero?» chiese Justin semplicemente. «Sì», replicò Claire. «Credo che non ci saranno più problemi da questeparti.» Riusciva a sentirlo nell'aria, anche se poteva trattarsi solo di un'illu-sione favorita dal sole estivo. «Cosa fai qui, Justin?» «Be', Rowan mi ha chiamato ieri sera per dirmi che secondo lei ti trovavinei guai. Dirai che sono sciocchezze... comunque ho telefonato all'ufficiodello sceriffo e all'ospedale e stavo pensando di prendere la macchina pervenire a cercarti quando lo sceriffo mi ha richiamato per dire che Colin eraall'ospedale e che tu stavi con lui. Quindi immagino che Rowan si sia sba-gliata, per una volta.» «Sì e no», rispose Claire evasivamente. Non esistono segreti in campa-gna, rifletté. Si chiese quali racconti si stessero diffondendo sugli eventi

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della sera prima, oppure se tutti avessero deciso di fìngere che non fosseaccaduto nulla. Quasi tutti gli abitanti della zona erano imparentati con unoo l'altro degli appartenenti alla congrega, dopotutto. «Colin sta bene? Ho pensato che fosse meglio aspettare un orario piùdecente per venirlo a trovare, e non volevo lasciare il nonno da solo di not-te.» Soprattutto se si pensa a cos'avrebbe potuto introdursi in casa... pensòClaire. «Sono contenta che sia venuto, Justin. Colin... Be', le avvisagliec'erano da mesi, e come una sciocca non me n'ero accorta. Brian vuole tra-sferirlo in un ospedale di Boston il prima possibile.» «Allora te ne andrai anche tu», dedusse Justin. «Ci mancherai. Mi man-cherai.» Esitò. «Sono tutti morti? Matthew Hay, la Strega Sara e gli altri?» Aveva un tono grave e serio. Nel profondo del suo cuore, Justin Moor-cock credeva ai mostri. Era cresciuto a Madison Corners, dopotutto. Sape-va che le ombre erano più tenaci della luce. «Matthew Hay è morto, e non penso che Sally Latimer resterà da questeparti.» Se è furba. «Ma preferirei raccontare l'intera storia una sola volta;devo preparare il bagaglio di Colin, poi verrò alla fattoria e spiegherò tuttoa entrambi.» «Probabilmente è meglio che chiami anche Rowan», suggerì Justin. «Evorrei... vorrei tanto che il tuo soggiorno qui fosse stato più piacevole.» «Oh, ci sono stati dei bei momenti», replicò Claire sorridendo. PARENTESI VIII Agosto 1990 Colin rimase in ospedale per alcuni mesi dopo il malore, prima all'Ar-kham General, poi a Boston, e ottenne infine il permesso di tornare a casadove doveva seguire delle regole severe quanto ad alimentazione, farmacied esercizio fisico. Sembrava ragionevole che si limitasse sempre più alruolo di consulente, lasciando a uomini e donne più giovani il compito dimisurarsi con il Mondo degli Spiriti. Ma i medici l'avevano definito, senza pensarci due volte, in un modo perme del tutto nuovo: l'avevano chiamato vecchio. Era vero Colin non era più giovane. Aveva settant'anni l'anno in cui di-struggemmo la Chiesa del Rito Antico, e l'età concessa dalla Bibbia. Ma lasua esistenza non mi era mai parsa compiuta: lo immaginavo sempre sullasoglia della vera vita, come se il suo compito più importante non fosse an-

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cora iniziato. Sapevo che Colin provava all'incirca la stessa cosa. Anche alla fine dellasua lunga carriera al servizio della Luce c'era qualcos'altro che doveva faree, mentre le ombre al tramonto della sua vita si allungavano, quel dovereancora incompiuto lo ossessionava sempre più. CAPITOLO 24San Francisco, 21 ottobre 1998Lacrime dagli abissi di una disperazione divinanascono nel cuore e si raccolgono negli occhi,quando si guardano i sereni campi d'autunnoe si pensa ai giorni ormai trascorsi. Alfred Tennyson Gli anni passano così rapidamente ormai, pensò Colin MacLaren. Il soledi ottobre gli riscaldava lo spirito, se non le ossa, e anche se aspettava visi-te indugiò sulla terrazza, restio a privarsi troppo presto di sole e cielo. Aveva quasi ottant'anni e, anche secondo le stime più generose, avevavissuto molti più anni di quelli che gli restavano da vivere. Gli alti e bassidelle vicende mondiali assumevano un carattere remoto e inevitabile allaluce della nuova prospettiva che aveva adottato a caro prezzo. Il tempo chegli restava era poco, e in quei giorni si rendeva sempre più conto che nondesiderava lasciare nulla in sospeso al momento della morte: il pensiero diessere richiamato alla Luce con il peso di compiti non svolti e debiti nonpagati lo tormentava. A volte si chiedeva come faceva un'esistenza a scorrere tanto rapida-mente: gli sembrava di essersi fermato solo un attimo per osservare le pro-prie azioni passate quando, d'un tratto, tutti gli anni a sua disposizione era-no volati. Il tempo, come recitava il luogo comune, non si fermava mai, el'esistenza era quella che si viveva nei momenti di disattenzione, mentre ipensieri erano rivolti altrove. L'ultimo decennio era stato disseminato di momenti importanti, come seanche la storia sapesse che il mondo occidentale si stava avvicinando allafine del millennio e desiderasse concludere tutte le faccende in sospeso.Ogni tanto si domandava cos'avrebbe pensato della situazione attualequand'era più giovane e inesperto. Ciò che un tempo l'avrebbe fatto infu-riare ora l'accettava perché non poteva cambiarlo.

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Altre due guerre - non le chiamavano neppure più così -, e le due Ger-manie vennero finalmente riunite. Il conflitto che Colin considerava ancoracome il «suo» era ormai trascorso da mezzo secolo, ma la pace che avreb-be dovuto essere ristabilita dalla vittoria degli Alleati non si era mai realiz-zata: la Pax Americana era stata un crudele imbroglio, e l'autentica portatadella sua disonestà veniva lentamente svelata mentre i decenni dopo laguerra passavano. E ora gli eventi avevano sepolto anche quei gravi tradi-menti - e i fulgidi momenti di trionfo - sotto il peso di un semplice inciden-te. L'Unione Sovietica si era dissolta, settantacinque anni dopo la sua na-scita. Si erano verificati nuovi scontri razziali in America, e questa volta laloro violenza era stata trasmessa in diretta, grazie alla nuova flessibilitàdella televisione. A New York e Oklahoma City le bombe dei terroristi,che erano state una caratteristica della vita europea tanto a lungo, avevanoinfine raggiunto il territorio americano, e anche lì la televisione era statapresente, pronta a trasmettere immagini della strada prima che la polveresollevata dagli scoppi avesse avuto il tempo di posarsi. In occasione dell'ultimo trasferimento Colin si era disfatto del televisore.Aveva sempre diffidato della sua falsa intimità, e le immagini che trasmet-teva avevano cominciato a rattristarlo in un modo profondo che era inca-pace di esprimere a parole. La sua generazione aveva riposto tali speranzenel mezzo televisivo - il villaggio globale - e invece la tv era diventata unpozzo inesauribile di vacuità, di banali dettagli inventati che Colin trovavasempre meno importanti ogni giorno che passava. Alcuni vecchi amici l'avevano lasciato e nuove amicizie si erano for-mate. Cassie Chandler era morta tragicamente due anni prima in un in-cendio che aveva distrutto la Libreria degli Antichi Misteri. Il disastro a-veva in qualche modo troncato definitivamente i legami di Claire con laBay Area. Nel corso degli anni le sue visite sulla costa orientale nella fat-toria del cugino in Massachusetts si erano lentamente diradate e allungate,tanto che ormai si divideva tra Glastonbury e Madison Corners con qual-che visita alla Bay Area. Scriveva spesso, sollecitando Colin ad andarla atrovare alla fattoria, ma Colin dubitava che l'avrebbe fatto. Per il momento,il suo lavoro era lì. Caroline Jourdemayne era morta nel 1995, esattamente tre anni prima.Qualche settimana dopo gli era arrivata una sua lettera, scritta molto tempoprima della morte e lasciata nelle mani dell'avvocato incaricato di farglielaavere. Gli chiedeva di tenere d'occhio sua nipote ma, quando Colin ricevet-

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te la missiva, Verity non poteva ormai più essere aiutata nel modo che Ca-roline intendeva. Verity era andata a trovarlo pochi mesi dopo quella lettera. Dopo il loroprimo incontro, otto anni prima, aveva imboccato il Sentiero del padre: aColin la donna ricordava talmente Thorne che era stato straziante rivederla.Era come se Thorne fosse stato di nuovo davanti a lui in carne e ossa, conle liti su Luce e Tenebre ancora irrisolte tra loro. Ma Colin non era più la Spada dell'Ordine e non lo era più da molti anni.E del resto, doveva sempre esserci qualche cambiamento. Ci doveva sem-pre essere qualcuno disposto a misurarsi in azioni pericolose, un tempoproibite; qualcuno pronto ad avventurarsi nei territori sconosciuti per ri-portare informazioni dai luoghi misteriosi che neppure l'immaginazionepoteva concepire. Lui era ormai vecchio: spettava a qualcun altro correrequel rischio. Quando Verity gli aveva chiesto se poteva andare a trovarlo, Colin l'a-veva accolta di buon grado, anche se nel corso della vita trascorsa al ser-vizio della Luce aveva imparato la lezione spietata e amara dei pericoli delcompromesso. I mondi in cui lui e Verity erano nati erano diversi in modoinimmaginabile, ma la loro fedeltà era alla conoscenza e al servizio, seb-bene definiti in modo diverso. Era riuscito a fare qualcosa per aiutare Verity Jourdemayne sulla stradadella comprensione, ma entrambi sapevano che il loro cammino era diver-so e lo sarebbe sempre stato finché lei avesse mantenuto fede ai giuramentiprestati. Molto di quello che avrebbe potuto svelarle non le era dato di sa-pere, e Colin pensava con grave serenità al discepolo a cui avrebbe dovutoimpartire tutti quegli insegnamenti, il discepolo che non era riuscito a tro-vare in una vita intera di ricerche. Sperava solo che i Signori della Luce glimandassero presto qualcuno, perché gli restava ancora molto da fare perprepararsi alla partenza finale. Non aveva paura di quell'inevitabile giorno futuro, provava solo una cer-ta curiosità per come si sarebbe svolto, e il desiderio di incontrare ancorauna volta vecchi amici. Qualunque fosse lo spirito con cui lo considerava,però, la preparazione alla morte si rivelava a volte un compito faticoso.C'erano le ricerche e i ricordi di una vita da organizzare; aveva donatomolti dei suoi libri e documenti personali all'Istituto Bidney prima dell'ul-timo trasloco, e altri erano destinati a raggiungerli dopo la sua morte. Per quello ci sarebbe stato abbastanza tempo. Lo sapeva. Ma perché, al-lora, aveva la sensazione di avere poco tempo per portare a termine compi-

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ti ben più importanti? «Colin! Ho suonato il campanello ma non mi ha risposto nessuno, quindiho pensato di vedere se eri sul retro.» Hunter Greyson spinse il cancello d'ingresso del giardino col bastone inmano e il computer portatile a tracolla. Il bastone non gli era più indi-spensabile come prima - visto che da due anni si sottoponeva a una rigo-rosa terapia -, ma la coraggiosa imprudenza della giovinezza era scom-parsa con l'incidente che gli aveva rubato tanti anni di vita, ed era stata so-stituita dalla cautela della maturità. Colin si alzò e gli strinse la mano. La ricomparsa di Grey nella sua vitaera uno dei grandi doni concessigli dal tempo, e gli offriva la possibilità dirimediare, o almeno di capire, le negligenze e i passi falsi di quell'epoca. «Ero con la testa tra le nuvole. Consideriamolo un privilegio dell'età», sigiustificò Colin sorridendo. «Come stanno Inverness e la bambina?» «Bene tutte e due; Inverness dice che devi tornare presto a cena da noi,ma questo lo sai già. Dovresti vedere Colleen: non puoi neanche im-maginare com'è cresciuta. Faccio fatica a credere che è passato solo un an-no dalla sua nascita; è fantastica.» «Un anno... questo significa che Verity e Dylan celebreranno presto ilprimo anniversario di matrimonio», disse Colin. «Il ventun dicembre», precisò prontamente Grey. «Devo mandare loroun biglietto o qualcosa del genere. È incredibile che non si siano ancorauccisi tra loro, viste le loro famose litigate.» Colin e Grey avevano entrambi assistito al matrimonio che era stato ce-lebrato a Shadow's Gate: la proprietà di Thorne era ancora in stato di ab-bandono, ma Verity aveva finalmente cominciato la trafila per farsi di-chiarare legalmente figlia di Blackburn. Era proprio alla cerimonia che Co-lin aveva incontrato di nuovo Grey. «Hai avuto sue notizie di recente? Come procede la ricerca?» chiese Co-lin. Mentre cercava di ottenere il riconoscimento della sua discendenza daThorne, Verity aveva cominciato a cercare i suoi fratellastri, ma le indaginisui figli perduti di Thorne procedevano a rilento, anche nel modernocyberspazio dove le limitazioni di ordine fisico erano trascurabili quasicome nel Mondo della Luce. «Non ha ancora avuto risultati», rispose Grey con un'alzata di spalle.«Quei registri sono introvabili. Noi del Circolo del Fuoco le stiamo dando

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tutto l'aiuto possibile, naturalmente, e lo stesso fanno altri Circoli, ma...»Sospirò. Colin sapeva - anche se ne parlavano di rado in quei giorni - che Grey sidedicava ancora attivamente all'Opera di Blackburn, facendo del suo me-glio per continuare l'attività interrotta suo malgrado da Thorne. Era più fa-cile ora che il cyberspazio era diventata la nuova frontiera dell'Acquario; iseguaci di Thorne, che si erano invano cercati tra loro nelle epoche prece-denti, potevano ormai formare solide comunità grazie alle linee telefonichee alla tecnologia. «È così difficile oggigiorno», commentò Grey sedendosi. «Tutti vo-gliono la pappa pronta: come diventare sciamani in dieci facili lezioni, ecose del genere. Non è facile trovare persone disposte a dedicarsi all'O-pera; accidenti, ho sentito dire che perfino la Chiesa ha difficoltà a trovareabbastanza suore. Non è più come una volta.» «I tempi cambiano», concordò Colin. «So che è di moda idealizzare glianni Sessanta, ma non era un'epoca romantica quando ci vivevi tu, credimi.La maggior parte della mia generazione pensava che i comunisti ci lancias-sero la bomba atomica facendo regredire la Terra all'età della pietra, e i ra-gazzi temevano che i loro genitori fossero tutti diventati dei nazisti.» «Forse hai ragione», disse Grey, poco convinto. «Ma almeno la tua ge-nerazione si poneva problemi del genere. Oggi nessuno si preoccupa diniente a parte la propria sopravvivenza. Almeno negli anni Sessanta tuttisapevano dove si trovavano i limiti da non superare.» «Anche se in realtà non esistevano neppure, quei limiti», aggiunse Co-lin. «Andiamo, Grey, non serve rimandare ancora. Quelle carte conti-nueranno ad aspettarci, qualunque cosa accada al mondo.» Entrarono nell'ufficio di Colin e per diverse ore la conversazione ri-guardò corrispondenti assenti, lettere mancanti e tutti gli accessori esotericidi una vita dedicata all'esplorazione del Mondo Invisibile. Grey aveva laformazione necessaria per facilitare il lavoro di Colin, poiché sapeva peresperienza quale materiale poteva essere destinato a collezioni pubbliche,quale poteva essere donato, ma prevedendo una consultazione limitata, ecosa andava distrutto in mancanza di un discepolo a cui Colin potesse affi-darlo. «Per oggi basta», dichiarò fermamente Colin quando la luce del solecominciò ad affievolirsi. «E Inverness mi farà la festa se ti stanco troppo.»Si lasciò sprofondare contro lo schienale del divano con un sospiro.

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Grey si alzò e si stiracchiò, accese le luci e passò in rassegna i progressicompiuti quel giorno. «Questo merita un posto speciale all'Istituto», dichiarò Grey, prendendoin mano il fermacarte che Alison aveva regalato a Colin tanti anni prima.«\"Chi riesce a estrarre questa spada sarà il re d'Inghilterra\", con quel chesegue.» Sfilò il piccolo tagliacarte d'argento e lo brandì un attimo prima dirimetterlo al suo posto e di collocare l'oggetto sul davanzale della finestra. «Non sarò io, però. Sono già abbastanza occupato. Anzi, volevo dirti chela settimana prossima non potrò venire», disse Grey. «Il Circolo del Fuocosi sta preparando per Samhain; organizziamo un grande incontro con pa-recchi altri Circoli, e c'è ancora molto da fare. Permessi, licenze e cose delgenere.» «Spero abbia più fortuna di Thorne con la burocrazia», ribatté Colin e,per la prima volta dopo molti anni, quei vecchi ricordi non gli fecero male. Grey si limitò a ridere. Grey se n'era andato da soli dieci minuti quando il telefono squillò. Co-lin sollevò il ricevitore, spegnendo la segreteria a metà dell'annuncio re-gistrato; era probabilmente Inverness che voleva notizie del marito. «Pronto?» «Colin? Sono Dylan.» «Dylan», lo salutò Colin, lanciando un'occhiata all'orologio accanto alfermacarte di Alison. Erano le cinque: questo significava che a New Yorkerano le otto di sera; Dylan lo stava dunque chiamando da casa. «Cosaposso fare per te?» «Be', niente, in realtà», disse Dylan con una disinvoltura tanto forzatache a Colin si drizzarono subito le antenne. «Mi stavo solo.... ricordi Ro-wan Moorcock, vero?» Sì, si ricordava di Rowan. La cugina di Claire era stata presente al ma-trimonio di Verity. Era cambiata dalla prima volta che Colin l'aveva in-contrata, e ora sembrava rappresentare il peggio dell'«occultismo da che-wing-gum» nato dall'Età dell'Acquario, ovvero l'approccio frivolo e super-ficiale agli antichi misteri di cui si era lagnato poco prima. «Sì...» rispose lentamente. «Qualcosa non va?» «Sì. No. Insomma, non lo so neanch'io», rispose Dylan cautamente. «Direi che mi hai dato tutte le risposte possibili», commentò Colin, e aogni parola di Dylan crebbe in lui la certezza che ci fossero guai in vista.«Ma sono sicuro che non mi chiami a quest'ora per parlare di uno dei tuoi

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studenti.» Rowan doveva ormai aver finito di studiare al Taghkanic, peròcon quei corsi di specializzazione non si poteva mai dire. «Be', Rowan sta facendo il dottorato qui da noi...» cominciò Dylan. Lareticenza a tradurre in parole le sue paure riusciva a renderle ancora piùconcrete. «Tra una cosa e l'altra, non la vedo spesso come prima. Sono sta-to piuttosto impegnato quest'estate: mi sono dovuto occupare di quella sto-ria a Frosthythe e ho accompagnato Verity in Inghilterra per incontrare iBlackburn; immagino di aver perso di vista i suoi spostamenti. Parlo diRowan, naturalmente.» Colin aspettò, temendo per un attimo che Dylan riattaccasse: sembravasconvolto oltre misura. «È scomparsa», ammise infine. «Non so dov'è e temo che si trovi neiguai.» «Ne hai parlato con suo padre?» chiese Colin. «No, sarebbe servito solo a preoccuparlo», ribatté Dylan in tono fru-strato. «Non va nel suo appartamento da un mese, non ha controllato imessaggi di posta elettronica... Cosa devo fare, Colin?» «Potresti cominciare», suggerì Colin, cercando di mantenere la calma,«col dirmi perché hai chiamato me invece della polizia.» Vi fu un lungo silenzio all'altro capo della linea. «Perché non capirebbero», rispose Dylan, e l'impazienza lo fece sembra-re arrabbiato. «So che è nei guai, ma non c'è modo di spiegarlo a qualcunoche...» Vi fu un altro silenzio; Colin udì Dylan sospirare. «Speravo... speravo che potessi dirmi dove cominciare a cercare», di-chiarò. «Non so che pesci pigliare. Hai mai sentito parlare di qualcosa chesi chiama Gruppo Tule?» La stanza sembrò oscurarsi mentre Dylan continuava a parlare. «Dovevaessere una ricerca a fondo storico. Per dirla in breve, il Gruppo Tule do-vrebbe essere una società segreta tedesca fondata all'inizio del ventesimosecolo da Guido von List; Tule è l'antica patria tedesca. Sotto Lanz vonLiebenfels, il successore di von List, pare che il Gruppo Tule - o Armanen-schaft, dato che molti studiosi usano i due termini come sinonimi - abbiaformato un secondo ordine, diventato poi quello delle camicie brune chehanno permesso a Hitler di assumere il potere. «Dopo la guerra, naturalmente, si sono diffuse speculazioni di ogni ge-nere sul loro conto, tra cui la diceria secondo cui Hitler stesso aveva fattoparte di una delle Logge Tule e l'intero Olocausto era stato pianificato ed

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eseguito sotto gli ordini dei suoi superiori occulti. Ovviamente, anche sequesta società segreta è esistita davvero dev'essere stata distrutta da Hitlerstesso durante l'epurazione che ha colpito le logge occulte negli anni Tren-ta e Quaranta», continuò Dylan. «Penso tu sappia che non è vero, Dylan», lo corresse Colin, trovando lavoce con uno sforzo. Non serviva a nulla lasciare che continuasse a ri-ferirgli cose che sapeva già fin troppo bene solo a causa del nervosismo.«Qualunque cosa fosse in origine il Gruppo Tule, più tardi è diventato par-te dell'Ahnenere, ed è sopravvissuto praticamente incolume alla caduta diBerlino, proprio come gran parte della struttura del potere nazista.» Dall'altro capo del filo Colin riusciva quasi a sentire l'incredulità, il ri-fiuto con cui venivano accolte le sue parole. «Sono passati più di cinquant'anni. Anche se qualcuno di loro fosse so-pravvissuto, certo la società si dev'essere sciolta. Non gli è restato piùniente in mano. Hanno perso la guerra...» «A volte mi chiedo se quella guerra sia mai finita», mormorò Colin, co-me riflettendo tra sé. «Credimi, Dylan; la loggia originale, erede diretta diquella fondata da List, sopravvive ancora oggi. E sta ancora combattendoper gli obiettivi del Terzo Reich. E adesso spiegami in che modo è coin-volta Rowan.» «Il suo argomento di discussione era L'evoluzione della trance media-nica come strumento della teocrazia nazista.» Dylan trasse un respiro pro-fondo, come se stesse cercando il modo migliore per continuare. Colin aspettò stringendo fortemente il ricevitore, quasi temesse che po-tesse sfuggirgli. «Be', quasi subito ha rintracciato gli aspiranti tulisti dei nostri giorni - igruppi che sono sorti a partire dagli anni Sessanta -, e la frangia mistica delKlan, tutti interessati a diffondere idiozie neonaziste retrograde. Le ho det-to di stare alla larga da quella gente: non solo sono pericolosi, ma, da unpunto di vista puramente accademico, sono neonazisti, e non hanno nulla ache fare con il Terzo Reich...» Continua, lo incitò Colin mentalmente, ma capì che c'erano informazioniche Dylan non si risolveva a comunicargli al telefono. «Quindi le hai detto di lasciar perdere. E naturalmente ti ha obbedito»,suggerì Colin con voce neutra. Se l'avesse fatto, perché mi avresti chiamato oggi? Dylan lo incontrò al piccolo aeroporto locale. Il tragitto di ritorno a Gla-

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stonbury avvenne in uno strano silenzio; Colin era immerso nei suoi pen-sieri. Era impossibile conciliare l'immagine della ragazza impertinente edesuberante incontrata al matrimonio di Dylan l'anno precedente con quelladi una persona motivata e disposta a combattere contro dei mostri la cuisconfitta avrebbe dovuto risalire a mezzo secolo prima. Se era quello che stava facendo. Se aveva preso sul serio il proprio la-voro tanto da capire quanto potevano essere pericolosi - e reali - quei mo-stri. Colin pregò che capisse qual era la posta il gioco per il suo bene. L'appartamento si trovava sopra un negozio del centro di Glastonbury, aun paio di isolati di distanza da Rivolgersi all'Interno. Mentre apriva laporta Dylan spiegò di nuovo che Rowan aveva lasciato le chiavi a una stu-dentessa chiamata Val Graves che aveva incaricato di occuparsi delle pian-te e di raccogliere la posta dalla cassetta. Rowan aveva pagato Val per tremesi... in anticipo. Quindi aveva intenzione di scomparire. È un buon segno? Spero di sì. Colin si guardò attorno, sperando di trovare degli indizi che a Dylan e-rano sfuggiti. Era un tipico appartamento di universitari, anche se Rowanse n'era andata da tempo dagli alloggi riservati agli studenti; l'unico ogget-to che sembrava essere stato acquistato nuovo era lo stereo. La finestra senza tende che si affacciava sulla strada era circondata dapiante, alcune appese e altre su degli scaffali. Tutte avevano l'aria sana ecurata. Poster incorniciati ricoprivano i muri; la maggior parte riprendevalo stile stancamente realistico della moderna arte fantasy: dragoni, ca-valieri, giovani donne dall'aria coraggiosa con tatuaggi e indumenti di pel-le. C'era un recipiente colmo di dadi dalle molte facce sullo scaffale dellalibreria accanto allo stereo; Rowan Moorcock, sembrava, era appassionatadei giochi di ruolo che erano diventati per molte persone la metafora mo-derna della magia e del Mondo Invisibile. Nonostante il disordine del soggiorno, la stanza non sembrava esserestata perquisita. Non l'hanno seguita fin qui, allora, pensò Colin. O forsenon ne hanno avuto bisogno. Dylan stava passando in rassegna la posta ancora chiusa che si trovavasu un angolo del divano, e non prestava attenzione a Colin. «Ripetiamo ancora una volta cos'è successo, Dylan», lo incitò Colin.«Mi hai detto che Rowan ha scelto la Thule Gesellschaft come argomentoper la dissertazione. Adesso è scomparsa. E non ha detto dove andava?»

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chiese. «Hai domandato ai suoi amici?» «Nessuno sa dove si trova», ripeté Dylan ostinatamente. «Non ha dettoniente a Val, la ragazza a cui ha chiesto di occuparsi dell'appartamento. Leha semplicemente dato il denaro dicendo che sarebbe stata via per un po'.» «Cosa ne pensa Verity?» domandò Colin. Anche se i loro Sentieri noncombaciavano, Verity era una maga con grandi poteri, e il suo aiuto sareb-be stato utile. «Non gliel'ho detto», ammise Dylan con riluttanza. «È ancora in In-ghilterra; non so cosa potrebbe fare da lì e non volevo farla tornare...»Dylan esitò, e il dilemma che lo tormentava apparve chiaro. Verity avrebbepotuto forse dare una mano, ma chiederle di tornare significava inevi-tabilmente farle correre lo stesso pericolo in cui si trovava Rowan. Nonchiamarla, però, significava tralasciare una via per salvare la ragazza. Co-lin capiva le esitazioni di Dylan meglio di quanto quest'ultimo avrebbe po-tuto immaginare; qualunque decisione avesse preso comportava un rischio,non per lui, ma per una persona cara. Come poteva un uomo con dei prin-cipi morali scegliere chi esporre al pericolo? «Bollette, assegni... non sarebbe partita lasciando qui tutta questa roba.»Dylan si passò distrattamente una mano tra i capelli. Aveva gli occhi az-zurri cerchiati di scuro, segno che aveva dormito poco ultimamente. «Dylan», lo sollecitò Colin con la voce tesa. Dylan lo guardò negli occhi: aveva l'espressione di un uomo che cercava- senza riuscirci - di non credere alla gravità estrema della situazione. Glisi incurvarono le spalle quando finalmente cedette. «Questa primavera, in maggio o giugno, Miles ha ricevuto una serie distrane telefonate: della gente faceva domande su Rowan e rispondeva va-gamente alle domande del personale dell'istituto. Non si è trattato di unasola persona, ma di diversi individui durante un periodo durato settimane.Lui me ne ha parlato: ho perfino chiamato uno di loro. Mi ha detto di con-trollare le referenze di Rowan che aveva visto in occasione di un colloquiodi lavoro.» Dylan fece una smorfia. Se fino ad allora aveva creduto allaspiegazione dello sconosciuto, ora capiva che si trattava di una menzogna. «Ricordi qualche nome?» chiese Colin. Dylan alzò le spalle. «Penso di avere preso appunti; vedrò se riesco atrovarli. Naturalmente né io né Miles abbiamo fornito informazioni, mal'intera situazione era così strana che ho affrontato Rowan direttamente. Èrimasta molto turbata e ha ammesso di essere entrata in contatto con quelleche allora credevo essere semplicemente delle società segrete moderne

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meno interessanti delle altre.» Dylan chiuse gli occhi per un attimo e gettòle buste sul divano come se non avessero più nessuna importanza. «Colin, avrei potuto strangolarla, te lo giuro. Le ho ordinato di lasciarperdere i tulisti e di scegliere un nuovo argomento per la tesi: le ho assicu-rato che l'avrei buttata fuori dal programma e le avrei procurato una cattivareputazione in tutto il settore se continuava a ficcare il naso in quella sto-ria. Ha ammesso di essersi fatta prendere la mano, ma mi ha assicurato diavere imparato la lezione. Ha scelto un nuovo argomento per la tesi, e pen-savo che me ne avesse mandato una copia, ma quando l'ho aperta ho sco-perto che non riguardava la trance medianica nell'America del diciannove-simo secolo. Si trattava invece di questo.» Dylan aprì la sua valigetta e gettò sul divano uno spesso manoscritto ri-legato a spirale. Ecco cosa Dylan non era riuscito a dirgli al telefono, quel-lo che lo aveva spaventato tanto da indurlo a chiamare Colin. Colin lo prese in mano. Le pagine tra le due copertine di cartone cre-pitarono leggermente. Colin aprì la copertina e andò alla prima pagina. Lasuperficie era vagamente ondulata, come se la carta si fosse bagnata, e al-cune lettere erano sbavate. Ultima Tule: il Reich millenario e la corruzione del sogno americano. Allora lo sa. Il freddo dolore nel petto non aveva nulla a che fare con ladebolezza fisica, ma era unicamente dovuto alla paura. Era come se i suoiincubi più profondi fossero stati messi nero su bianco, e un'altra innocentefosse destinata al sacrificio. «Niente a che vedere con la trance medianica», ripeté Colin con voceneutrale. «Quand'ho visto il titolo sono andato in cerca di Rowan e non l'ho trova-ta», spiegò Dylan. «Anche se è stato meglio così: non so cosa le avrei fat-to, tanto ero preoccupato per il pasticcio in cui si era cacciata. Ho comun-que continuato a cercarla, e dopo un po' mi sono reso conto che nessuno lavedeva da settimane. Allora mi sono messo a leggere quello che ha scrit-to... e a quel punto mi sono fatto prendere dal panico e ti ho chiamato.» «Una reazione piuttosto normale, tutto considerato», dichiarò Colin.«Sei una delle poche persone al mondo a essere al corrente della mia at-tività negli anni Quaranta.» «Questa roba... scotta», gemette Dylan in mancanza di commenti più a-deguati; si sedette sul divano e si prese la testa tra le mani. Colin lo guardò con compassione per un attimo prima di entrare nel mi-nuscolo cucinino. Qualcosa di importante si ostinava a sfuggirgli e lo sol-

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leticava: meglio cercare di ignorarlo e lasciare che affiorasse al momentoopportuno. Rowan si era introdotta nel mondo delle ombre dell'occultismonazista, e aveva sviluppato, come Colin cominciava a credere, una sanapaura per quell'argomento. Però aveva continuato nelle sue ricerche ed erascomparsa. Dove? Era ancora viva? Perlustrò la cucina distrattamente. Il frigorifero era stato svuotato deglialimenti che scadevano: una bottiglietta solitaria di succo di limone divi-deva lo scaffale con un vasetto di cetrioli e una scatola di parmigiano. Ilbiglietto con cui chiedeva alla ragazza incaricata di annaffiare le piante diportare via il resto degli alimenti era ancora attaccato al frigorifero con unacalamità a forma di orsetto vestito da mago. Aveva avuto il tempo di organizzarsi prima di scomparire, ma il fattoche l'appartamento non fosse stato perquisito preoccupava Colin. Se lepersone che temeva la stavano ancora inseguendo, certo sarebbero andatelì per cercare degli indizi, proprio come Colin stava facendo in quel mo-mento. O forse non ne avevano più bisogno? Colin aprì il freezer e lo trovò pieno dei soliti prodotti: niente carne mauna vasta scelta di verdure congelate e cereali e un barattolo pieno a metàdi gelato Breyer's. «Cosa stai facendo? Non si nasconde certo nel frigorifero», esclamòDylan, che l'aveva seguito in cucina. «Mi hai chiamato perché volevi il mio aiuto», ribatté Colin, chiudendo ilfreezer. «Adesso lasciami lavorare.» Passò ancora una volta in rassegna i fatti conosciuti, come se potesserofornirgli nuove informazioni. Ha trovato quello che stava cercando, ilGruppo Tule. E loro hanno trovato lei: hanno effettuato dei controlli,mando le referenze fornite da lei stessa o indagando sul suo conto. Sapevache le stavano dando la caccia quando ha deciso di scomparire. Si è resaconto fino a dove intendevano spingersi? Doveva partire da quel presupposto, e dare anche per scontato che non sifosse rifugiata a casa, credendola un posto sicuro. Le precauzioni che ave-va preso per nascondere la propria partenza incoraggiavano Colin a pen-sarla in quel modo. In caso contrario, anche Claire e Justin erano in gravepericolo. Un rapido esame degli scaffali della cucina non rivelò alcunché di anor-male, e il bagno non conteneva nulla che una ragazza in buona salute non

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avrebbe dovuto possedere. Nulla era stato toccato nelle due stanze, daquello che Colin poteva vedere. Entrò in camera da letto. La prima cosa che vide fu l'altare nell'angolo della stanza. Quattro ogget-ti erano disposti su una tovaglia bianca. L'acqua nella ciotola votiva era datempo evaporata, e i petali di rosa che vi avevano galleggiato sopra si era-no seccati, trasformandosi in una pellicola marrone sul fondo. Il piattinoconteneva ancora un misto di salgemma e cristalli di rocca, la rappresenta-zione alchemica della Terra. Gli unici altri oggetti sul tavolino erano un tu-ribolo coperto e una lampada a olio. Appesa al di sopra dell'altare, a mo' diicona, c'era una foto di Hubble incorniciata: una fantastica nebulosa dallesfumature oro, fucsia e vermiglio. Non c'era nient'altro accanto, sopra osotto l'altare. I libri in quella stanza erano meno innocui di quelli del soggiorno. Colinriconobbe diversi titoli appartenenti anche alla propria biblioteca: il Kyha-lion, l'Arbatel e un'edizione della Tesoraria del Oro. Una copia di Mein Kampf Colin la prese in mano e la sfogliò. Il libro erastato abbondantemente sottolineato ed era pieno di annotazioni. «È la suacalligrafia?» chiese Colin allungando il volume a Dylan. «Sì», rispose il giovane, guardando appena. «Senti, Colin, so che nonavrei dovuto chiamarti. Devi andarci piano in questi giorni: Claire mi uc-ciderebbe se ti succedesse qualcosa. Ma se hai un'idea di dove posso co-minciare a cercare...» «Non ancora», rispose brevemente Colin. Il commento sulla sua salute -per quanto giustificato - lo irritava. Non considerava la sua vita tanto pre-ziosa da cercare di preservarla invece di aiutare chi ne aveva bisogno. Tuttimorivano, quando arrivava il loro momento. Si sedette sul letto e aprì il cassetto del piccolo archivio che serviva aRowan da comodino. Il cassetto inferiore conteneva delle cartelline con in-testazioni tipo «Chiesa Mondiale del Creatore» e «Resistenza Bianca A-riana», che apparentemente si erano rivelati dei vicoli ciechi nella sua ri-cerca. Una cartella chiamata «Società Tule» conteneva solo i familiari - escarsi - riferimenti storici dei testi più importanti, fotocopiati, pesante-mente sottolineati e annotati ai margini nell'ingarbugliata calligrafia diRowan. Colin li studiò un attimo. «Hess era membro?»; «Loggia Spandau»;«Legame con i Templari: sterminio dei Massoni». Ispezionò rapidamentele altre cartelle, ma non trovò nulla che gli sembrasse utile.

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Ha eliminato tutto. Qui non c'è nulla, nemmeno gli appunti per la tesiche ha mandato a Dylan. Sospirò, alzandosi in piedi. «Sei fortunato che...» Si fermò mentre unpensiero improvviso lo colpì. Sei fortunato che ti abbia mandato una copiaprima che scomparisse anche quella. Ma... «Dylan, quando hai ricevuto la dissertazione di Rowan?» Dylan lo fissò come se fosse diventato matto, poi tornò in salotto a cer-care il manoscritto. «Il quattordici settembre. Ho fatto un appunto sullapagina del titolo.» Colin gli prese dalle mani il volume. Il 14 settembre, più di un meseprima. Ma Dylan, come ogni altro professore subissato dagli impegni edalla carta stampata, non aveva pensato che si trattasse di un affare ur-gente. Fino ad ora. «E quand'è l'ultima volta che qualcuno l'ha vista?» chiese. «Agosto», rispose lentamente Dylan. «Per quanto ne so. Tra la fine dellasessione estiva e l'inizio dell'orientamento per matricole.» «Quindi ti ha spedito il manoscritto due settimane dopo essere scom-parsa», dedusse Colin. «Circa sei settimane fa.» Un'altra intuizione lo col-pì. «Ci hai rovesciato sopra qualcosa?» Strofinò la pagina del titolo tra pol-lice e indice, ascoltandone il crepitio. «No, era già così quando l'ho ricevuto. Dev'essersi bagnato nella cassettadelle lettere. È stata fortunata che sia riuscita a leggerlo; la stampa a gettod'inchiostro si dissolve se si bagna...» Colin tornò in salotto facendo scorrere le pagine. C'era qualcosa che glisfuggiva. Era naturale che Rowan avesse distrutto gli appunti e la brutta copia del-la tesi - o che li avesse nascosti altrove - se temeva che il suo appartamentovenisse perquisito. In quel modo i suoi inseguitori non avrebbero saputocon esattezza cosa sapeva, e avrebbero dovuto limitarsi a fare delle suppo-sizioni. Ma perché spedire a Dylan una copia della sua dissertazione dopoessere «sparita»? Doveva pensare che anche Dylan fosse tenuto sotto con-trollo, e ne aveva avuto la conferma quando questi le aveva parlato delletelefonate ricevute. Ma aveva comunque voluto rischiare. Perché? Per far-gli avere un messaggio? Vecchie abitudini abbandonate da cinquant'anni cominciarono ad agitar-si nella mente di Colin. Trucchi del mestiere diligentemente appresi da unagenerazione erano diventati fonte di divertimento in prima serata per quel-

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la successiva. Quanti ne conosceva Rowan, e quanti ne aveva usati? «Non c'era un biglietto di accompagnamento?» chiese Colin. «No», rispose Dylan. «Ero sorpreso che me l'avesse spedito invece diportarmelo lei stessa, ma poi, quando ho visto di cosa si trattava, ho pensa-to che volesse starmi alla larga per lasciarmi il tempo di calmarmi. Quandoho pensato a controllare il timbro postale e altri dettagli, la busta era finitanella spazzatura da tempo.» Colin aprì il manoscritto e ripiegò la copertina. Sollevò la pagina del ti-tolo, guardandovi attraverso davanti alla finestra del soggiorno. C'eranotracce più chiare sulla carta, come una filigrana. Ma chi usava carta fi-ligranata per stampare una tesi? Dylan lo guardava perplesso. «Cosa c'è?» «Non ne sono ancora sicuro.», Colin annusò la pagina. Aveva un vagoodore di limone? C'era una lampada a stelo accanto al divano; Colin rimosse il paralume el'accese. «Oh, andiamo, Colin, è solo la copia di una tesi!» esclamò Dylan. «Cosacerchi, dei messaggi segreti scritti con inchiostro simpatico?» «Esattamente», confermò Colin con aria seria. Un messaggio segretoscritto con un inchiostro che ogni agente - ogni individuo - poteva facil-mente acquistare in tutta legalità: succo di limone. Roba da romanzi dispionaggio ormai diventata di dominio comune. Al calore della lampada, delle parole color marrone scritte disordina-tamente cominciarono ad apparire. Coprivano la pagina del titolo ed eranoinserite tra le linee di testo stampato. «Caro Dylan, spero che ci sia arrivato. Troverai qui trascrizioni e ap-punti. Copio tutto qui e metto gli originali in un luogo sicuro: Nin riusciràa trovare la chiave se si guarda attorno nel mio appartamento, e il restodovrebbe risultare ovvio. Qualcuno doveva fare qualcosa, e immagino toc-chi a me. Spero tu non sia troppo arrabbiato». Il testo si interrompevabruscamente, come se Rowan avesse avuto intenzione di aggiungere qual-cosa e non l'avesse fatto. Il viso di Dylan esprimeva il senso del ridicolo per quella situazione euna reale preoccupazione per la paura che aveva indotto Rowan a esco-gitare un simile stratagemma per fargli pervenire il messaggio. «Chi è \"Nin\"?» domandò Colin, allungando la pagina a Dylan. Far appa-rire le scritte sul resto del manoscritto sarebbe stato un lavoro lungo e

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