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Published on May 18,2021
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Storia, linguaggio e prospettive del vestire in Sardegna

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COSTUMI Storia, linguaggio e prospettive del vestire in Sardegna

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Collana di ETNOGRAFIA E CULTURA MATERIALE Coordinamento Paolo Piquereddu Progetto grafico e impaginazione Ilisso edizioni Grafica copertina Aurelio Candido Stampa Lito Terrazzi, Firenze Referenze fotografiche La campagna fotografica è stata realizzata da Pietro Paolo Pinna; le immagi- ni, quando non diversamente indicato in didascalia, appartengono all’Archi- vio Ilisso. Le fotografie nn. 69, 206, 326, 387-391, 401, 465, 480, 691, 693, fanno parte invece dell’Archivio ISRE, foto Virgilio Piras. Si ringraziano i fotografi e gli archivi pubblici e privati che hanno genero- samente collaborato rendendo disponibili alcune immagini. Tutte le opere pubblicate quando prive di ulteriore indicazione apparten- gono a collezioni private. Ringraziamenti Si ringraziano il Direttore del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Po- polari di Roma, Stefania Massari e il Direttore dell’ISRE, Paolo Piquereddu per aver consentito l’accesso alle collezioni e agli archivi degli Istituti da loro diretti. Un ringraziamento particolare al personale del Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde di Nuoro; del Museo Nazionale delle Arti e Tra- dizioni Popolari di Roma; della Collezione Piloni dell’Università di Cagliari per la sensibile e generosa disponibilità prestata durante il lavoro. La nostra gratitudine va a quanti hanno collaborato, a vario titolo, alla rea- lizzazione di quest’opera, in particolare: Stefano Gizzi, Soprintendente ai BAAAS per le province di Sassari e Nuoro; Francesco Nicosia, Soprinten- dente ai Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro; Mario Serio, Direttore Generale per il Patrimonio Storico Artistico e Demo-Etnoantropo- logico di Roma; Anna Maria Montaldo, Direttrice della Galleria Comunale d’Arte di Cagliari; Giovanni Antonio Sulas; Luciano Bonino; Rosalba Floris; Stefano e Annapia Demontis; AT LARGE; Maria Angelina Paffi; Angela Pug- gioni; Monica Sale; Michele Pira; Santina Accaputo; Peppinetta Mulas; Pa- squalina Guiso; Nicoletta Alberti; Angela Cocco; Costanza Congeddu; Mar- gherita Braina; Ugo Mele; Carla Marras, Cristina Murroni Charles e Silvia Sotgiu per la collaborazione nella raccolta ed elaborazione dati relativi al saggio “Profili economici del settore abbigliamento in Sardegna”. © Copyright 2003 ILISSO EDIZIONI - Nuoro www.ilisso.it ISBN 88- 87825-84-X

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Indice 7 VESTIRE FRA TRADIZIONE E MODERNITÀ Maria Teresa Binaghi Olivari 15 NOTE DI STORIA DELL’ABBIGLIAMENTO IN SARDEGNA Paolo Piquereddu 61 IL SISTEMA VESTIMENTARIO Franca Rosa Contu 68 L’abbigliamento femminile 228 L’abbigliamento maschile 298 L’abbigliamento infantile 317 TRADIZIONE E QUOTIDIANITÀ. L’ABBIGLIAMENTO FEMMINILE A ITTIRI Giovanni Maria Demartis 331 I COSTUMI FEMMINILI DI GALA DI OSILO E PLOAGHE Giovanni Maria Demartis 339 L’INVENZIONE DEL CORPO ARCAICO. L’ABITO TRADIZIONALE SARDO NELLA CULTURA VISIVA TRA OTTO E NOVECENTO Giuliana Altea 371 UN TIPICO COSTUME SARDO: EDITARE I COSTUMI IN CARTOLINA Enrico Sturani 387 “SA VESTE” Bachisio Bandinu 395 LE MODE DEL VESTIRE SARDO Michela De Giorgio 409 MODA E TRADIZIONE. SARDEGNA: UNA REALTÀ DA CUI ATTINGERE Bonizza Giordani Aragno 423 SUL CONCETTO “SISTEMA DI VESTIARIO”. DUE ETNOGRAFIE A CONFRONTO Marinella Carosso 429 ROMA 1911. L’AVVIO DI UNA RACCOLTA MUSEALE NAZIONALE Stefania Massari 435 MUSEI E COSTUMI Paolo Piquereddu 449 PROFILI ECONOMICI DEL SETTORE ABBIGLIAMENTO IN SARDEGNA Marco Vannini 457 BIBLIOGRAFIA

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Vestire fra tradizione e modernità Maria Teresa Binaghi Olivari Gli abiti tradizionali, come tutti i vestiti, sono sensazioni battendo con la propria storia, propongo il seguente mo- della pelle e meccanica dei gesti, a cui si aggiungono la desto ragionamento. coscienza di appartenenza e lo spessore di una storia Il “costume popolare”, quale è definito dagli studi nei che tocca un’identità profonda. Di una forma tanto radi- suoi significati sociali e nelle sue componenti formali, cata nel vivere quotidiano, gli studi elaborati per questo appare totalmente differente dall’abbigliamento usuale volume definiscono uno stabile patrimonio di dati certi. nella moderna civiltà occidentale. Nell’abito tradizionale Risulta assodato in primis che l’abito tradizionale sardo i segni forniscono informazioni sulla regione di apparte- rende riconoscibile la regione di appartenenza, il sesso, nenza, sul ceto e sui diversi ruoli all’interno del ceto, le l’età, lo stato anagrafico e il ruolo di ciascun membro cui varianti sono determinate dal sesso, dalla professio- della comunità. Altrettanto rigido e inequivoco è il re- ne e dalla condizione di legittimo coniuge. È del tutto pertorio delle forme a cui è affidata la trasmissione dei estranea alle funzioni di un abito moderno la necessità, significati: i pantaloni o la gonna, la camicia, il corpetto, imprescindibile per un abito tradizionale, di indicare se il grembiule e gli indumenti più esterni, le acconciature, la persona è residente a Cagliari o a Nuoro. Anzi, deve i colori, i nastri e pochi altri componenti. essere del tutto irriconoscibile dall’abito se la persona Tutti gli elementi formali si articolano secondo schemi che vediamo transitare a Olbia risiede a Tokio o a Parigi. modulari, a cui solo la qualità dei materiali e della con- Non diversamente, sarebbe una sbalorditiva stravaganza fezione conferisce un segno individuale, poiché sono ri- se l’abbigliamento informasse tutta la comunità sullo sta- strettissimi i margini di scelta personale concessi dall’ap- to civile di chi lo indossa. Per una donna (come per un parato di informazioni e di moduli, che rappresentano uomo) essere vergine, fidanzata, sposata o vedova è la collocazione di un membro della comunità nella scala un’informazione che si trasmette con strumenti diversi delle funzioni. dall’abito. Allo stesso modo non è l’abbigliamento ad Le fogge, articolate in moduli per un esiguo gruppo di informare sulla professione. Un elegante commesso di significati, sono radicate in realtà territoriali molto ri- salumeria può vestire esattamente come un principe del strette, che comprendono numerose varianti e formano foro e veste certamente meglio della generalità dei pro- una specifica identità culturale. fessori. Dall’abbigliamento oggi in uso spesso risulta dif- Si è infine situata nella seconda metà del Settecento l’ori- ficile distinguere persino un maschio da una femmina, gine della struttura. benché si tratti di due tipologie con qualche differenza Con la medesima configurazione e nel medesimo pun- evidente nell’architettura del corpo. to della storia si delineano gran parte dei “costumi po- Il distacco tra gli abiti tradizionali e quelli “borghesi” è polari” europei. confermato e ribadito dalla forma delle fogge e dall’ac- Il valore speciale dell’abito tradizionale sardo risiede, costamento dei colori. Nell’abito femminile, la lunghez- oltre che nella ricchezza del suo repertorio formale, an- za e l’ampiezza delle gonne, la sequenza camicia-gon- che nella sua lunga vitalità e soprattutto nel suo con- na-corpetto-giubbetto con le varianti delle forme ornate fronto con la modernità, ora. dal frequente accostamento del colore rosso con l’azzur- La Sardegna, come ben si dimostra negli studi qui rac- ro; nell’abbigliamento maschile, la sequenza calzoni- colti, di quella modalità di rappresentazione offre an- gonnellino-camicia-corpetto-giubbetto compongono un cora oggi un dizionario ricchissimo e di svariatissima repertorio incomunicabile all’abito moderno. Quest’ulti- vitalità. mo impiega forme e sequenze molto varie, e soprattutto Presumendo di porgere qualche argomento a chi sta di- costruite sulla dimensione individuale di un corpo. Nell’abito “borghese” la rappresentazione preminente è 1. Giuseppe Sciuti, Ingresso trionfale di Giommaria Angioy a Sassari, quella dell’individualità fisica, espressa principalmente 1879, decorazione del Salone del Consiglio, nell’aderenza dell’abito al corpo. Per ottenere la com- 1 Sassari, Palazzo della Provincia (particolare). piuta perfezione della forma “borghese”, fu necessario 7

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abbandonare gradualmente tutte le forme artificiate di dici della Curia arcivescovile», e anche mercanti.2 Insom- imbottiture e corsetti, a ciò aggiungendo l’elaborazione ma tutti i gradi della nobiltà e le più alte professioni. della nozione di taglia e una tecnica sartoriale assai A Bologna, la Provisio emanata il 24 marzo 1453 dal car- complessa, riproducibile meccanicamente. dinale Bessarione, legato apostolico, ampliando e chia- Al contrario, gli elementi dell’abito tradizionale sono rendo le disposizioni precedentemente vigenti in città, costruiti con notevole approssimazione dimensionale, restituisce alla percezione storica odierna un’immagine quasi moduli intercambiabili da persona a persona e da ben definita della scala sociale tra la fine del Trecento e generazione a generazione. la seconda metà del Quattrocento. Al vertice stavano i Dopo la rappresentazione dell’individualità, il censo è la nobili (Milites), seguivano i Dottori in Legge e in Medici- successiva informazione trasmessa dall’abito “borghese”. na, poi i membri delle Arti Maggiori (notai e banchieri, e E la quotidiana esperienza consente di omettere le prove. inoltre Draperii e membri Artis Sirici, «dummodo … non Nonostante le radicali differenze, le due tipologie convi- faciant artem manibus propriis, campsores [banchieri] vono da oltre due secoli e, assai probabilmente, da pa- vero sint, patroni et magistri»), i membri delle Arti Infe- recchi decenni in più. riori (beccariorum, spetiariorum, lanarolorum, straza- Tuttavia è necessario completare il quadro con un’ulte- rolorum, mercariorum, bambasariorum, et aurificum), riore rilevazione di diversità. Merita conto ricordare che gli artigiani (magistri lignaminis, calzolariorum, salaro- l’abito “borghese”, nella sua complessiva configurazio- lorum, muratorum, fabrorum, pellipariorum, sartorum, ne, si è composto in confronto e in contrasto con l’abito barberiorum, cartolariorum, pellacanorum, piscatorum, nobiliare, e rappresenta uno dei segni formali della fine cimatorum, rechamatorum et tinctorum), e infine, sul della società per ceti e dell’inizio della società per classi. gradino più basso della società, i contadini (comitati- Non serve hic et nunc una dettagliata argomentazione ni).3 L’oggetto delle prescrizioni era in massima preva- dei tempi e dei modi che hanno scandito l’affermazione lenza l’abito delle donne (sponsa, uxor vel filia; donne, dell’abito “borghese” su quello nobiliare. Basti ricordare figliole et spose), in cui si rappresentavano compiuta- che i significati, le forme e le tecniche dell’abito “bor- mente il ceto di appartenenza e il ruolo dei mariti e pa- ghese” sono il frutto di una vicenda specifica, nata nel- dri. Anche tra le donne la legislazione suntuaria preve- l’area industrializzata dell’Europa alla fine del Settecen- deva una scala di valori. Un provvedimento riminese to, e da lì diffusa in rapido ed esteso sviluppo. È stato del 1573 divideva le donne in quattro categorie con de- l’abito della borghesia della rivoluzione industriale, ed è crescenti diritti: le donne sposate da oltre quattro anni, ora adottato da tutta la civiltà occidentale e occidentaliz- le spose maritate da meno di quattro anni, le vedove e zata fino all’Estremo Oriente. infine le donzelle.4 La Provvisione bolognese del 6 apri- Con qualche sorpresa si deve ammettere che l’apparato le 1514 individuava anche la categoria delle spose che di informazioni trasmesso dall’abito dell’Ancien Régime non avevano portato dote.5 è simile a quello conservato nell’abito tradizionale. An- Nell’apparato delle leggi suntuarie finora note, costante- che le fogge dell’abito nobiliare, composte su moduli mente si segnano le differenze degli obblighi tra i citta- generali per forme e dimensioni, informavano sulla re- dini, gli abitanti del contado e i forestieri, ponendo la gione e il ceto di appartenenza, sui ruoli e le funzioni prima distinzione nell’appartenenza territoriale e asse- della persona. gnando agli abitanti della città il livello più alto dei diritti Molti sono i documenti di vario genere che, distribuiti e dei doveri. Al grado inferiore erano additati gli ebrei e in Europa su un lungo arco di tempo dal XIII al XVIII le prostitute, a cui erano prescritti dei segni esteriori ap- secolo, consolidano il sospetto della connessione. plicati alla persona, affinché non potessero sottrarsi alle Al primo posto, per la precisione delle definizioni e per proibizioni a cui erano soggetti. Entro i limiti così defini- il gran numero di testi, si collocano le leggi suntuarie. ti, le norme non obbligavano i singoli ceti a fogge spe- Esse furono emanate dal XIII al XVIII secolo, con lo sco- ciali: l’abito nobiliare, trasferendosi dal ceto dei Milites a po di fissare gli usi concessi a ciascun ceto e a ciascun quelli inferiori, si limitava a ridurre progressivamente la ruolo all’interno dei ceti; i burocratici dettagli della nor- dovizia dei materiali e degli ornati. Non si rileva una ma solitamente rappresentavano la struttura della società. struttura vestimentaria alternativa all’abito nobiliare. Per segnalare qualche saliente esempio tra quelli noti, si Molto spesso i legislatori giustificavano l’intervento nor- ricordano gli Statuti milanesi del 1396, nella Rubrica ge- mativo con un argomento di natura economica: il dena- neralis de infrixaturis et diversis vanitatibus, in cui si con- ro speso per il lusso era “denaro morto” ed era spesso cedevano ai cavalieri (militibus), ai dottori in legge e in causa di rovina per importanti patrimoni. Alla condan- medicina, e ai “reggitori della città” le esenzioni dalle nor- na del lusso per ragioni economiche si aggiungeva la me, in quanto membri dei ceti superiori.1 La successiva riprovazione morale, diffusissima e autorevole, come norma suntuaria milanese, risalente al 1498, più detta- gli interventi più noti di Bernardino da Siena e Bernar- gliatamente elencava le categorie privilegiate dall’esen- dino da Feltre. zione: senatori, conti, marchesi, baroni, militi, giurecon- Eppure le ragioni economiche e morali richiamate dalle sulti, fisici, licenziati dallo studio generale, «appartenenti leggi sembrano argomenti marginali rispetto al nucleo dei all’ufficio degli Abbati del collegio dei notai e dei causi- significati primari. Questi sono compattamente orientati 8

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verso una immediata riconoscibilità dei ceti all’interno di 2 una comunità, definendo i segni dell’appartenenza e san- zionando l’evasione verso i ceti superiori. danti per la cultura classica dell’Europa occidentale nel Le leggi suntuarie si possono considerare un raffinatis- periodo rinascimentale e barocco, ossia l’Utopia di Tom- simo apparato costruito a tutela della struttura sociale maso Moro e il Cortegiano di Baldassarre Castiglione. per ceti. Nell’Utopia immaginata da Tommaso Moro «gli abiti so- Benché l’iterazione dei testi legislativi induca a dubitare no uguali per tutta l’isola e per ogni età, salvo differen- della loro efficacia, e anzi si registri costantemente l’eva- ze inerenti il sesso, oppure lo stato di celibe o di ammo- sione e l’opposizione ai controlli e alle pene, l’azione gliato … Lo stesso principe veste come tutti, recando normativa sull’abbigliamento continuò per secoli. come unico segno distintivo un mazzo di spighe in ma- La storia delle leggi suntuarie si esaurì con la Dichiara- no. Il pontefice a sua volta ha come insegna un cero, zione del 29 ottobre 1793 (8 brumaio dell’anno secondo portato da chi lo precede … La gente indossa in chiesa della Rivoluzione Francese): «Nessuno potrà costringere bianche clamidi. I sacerdoti ne sfoggiano di vari colori, un cittadino o una cittadina a vestirsi in maniera partico- finemente lavorate, di taglio splendido ma di stoffa co- lare … ognuno è libero di portare il vestito o la guarni- mune. Non sono infatti ricamate in oro né tempestate di zione che gli pare».6 L’atto ratificava nell’abbigliamento pietre preziose, ma intessute di piume multicolori d’uc- la fine della società articolata in ceti e l’inizio della strut- cello, disposte con tale gusto e abilità da figurare di tura per classi. Concordemente gli studi rilevano la con- gran lunga più preziose di qualsiasi altra decorazione».7 temporanea stabilizzazione dei “costumi popolari”, un Dalla seconda metà del XX secolo gli studiosi evitano sistema di abbigliamento radicalmente diverso dall’abito con imbarazzo il sogno di Tommaso Moro sugli abiti “borghese”. uguali per tutti. Abbiamo visto troppi sogni d’uguaglian- Singolari congruenze col sistema dell’abbigliamento tra- za generare mostri. dizionale si possono riscontrare non solo nella normativa Ma l’uguaglianza degli abiti di Utopia, fondata sull’aboli- dell’Antico Regime, ma anche in due testi letterari fon- zione della ricchezza dei tessuti e dei gioielli, in verità conservava alcuni segni di distinzione. Il principe esibi- 2. Atzara, fine anni Venti, foto d’epoca. va un mazzo di spighe in mano, il pontefice era prece- duto da un cero e i sacerdoti nel tempio indossavano vesti liturgiche ornate da simboli religiosi realizzati con piume. Altre non precisate differenze individuavano il 9

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sesso e il ruolo nella famiglia. Nonostante la vis polemi- Quanto ai criteri generali di scelta, Federico Fregoso sag- ca e il dono profetico di Tommaso Moro, egli non riuscì giamente proponeva: «Io in vero non saprei dare regola a delineare una società dalla struttura completamente determinata circa il vestire, se non che l’uomo si accomo- sovvertita rispetto a quella in cui viveva. Al principe e ai dasse alla consuetudine dei più», specificando poco dopo sacerdoti conservò una riconoscibilità esteriore, che tu- come gli abiti, «purché non siano fuori della consuetudi- telava i vertici anche nell’immaginaria società di uguali. ne, né contrari alla professione, possano per il resto tutti Allo stesso modo, la differenza dei sessi e la discrimi- stare bene, purché satisfacciano a chi li porta. Vero è che nante del matrimonio nelle relazioni della comunità fu- io per me amerei che non fossero estremi in alcuna par- rono affidate alle differenze dell’abito, che pure era sta- te, come talora suole essere il francese in troppa grandez- to immaginato come un cardine dell’ugualitarismo di za, e il tedesco in troppa piccolezza». Utopia. Il Principe, i Sacerdoti e il terzo stato, i ruoli al- I valori degli abiti, nella scala fissata dal Castiglione, ri- l’interno della famiglia, e la loro riconoscibilità affidata siedevano principalmente nell’adeguamento all’uso loca- al vestito, compongono lo stesso schema sociale e cul- le («si accomodasse alla consuetudine dei più – e ancora turale delle leggi suntuarie. – purché non siano fuori della consuetudine»); a questo Nel Cortegiano è dedicato all’abbigliamento il capitolo seguiva l’identificazione del ceto (la “professione”) e in- quinto del secondo libro. Qui Giuliano de Medici chiede fine la “soddisfazione”. Quest’ultima, insieme con l’as- a Federico Fregoso «di quale maniera si debba vestire il senza di estremismi che immediatamente seguiva, erano cortigiano … Perché in questo vediamo infinite varietà: e ragioni di stile individuale, in cui si radica la legittimità chi si veste alla francese, chi alla spagnola, chi vuole pa- della presenza della moda nella storia dell’arte. rere tedesco, né ci mancano ancora di quelli che si vesto- Appare ben curiosa l’insistenza sui caratteri regionali in no alla foggia dei turchi; chi porta la barba, chi no. Saria un testo nato in una cultura cosmopolita e destinato ad adunque ben fatto sapere in questa confusione eleggere una strepitosa fortuna internazionale. La prevalenza del- il meglio».8 Con il termine sprezzante di “confusione” si la rappresentazione territoriale è tanto profondamente riprovava l’uso di fogge estranee al centro radicata nella coscienza di Baldassarre Castiglione da es- di appartenenza, sia corte o sia re- sere rappresentata nel suo testo anche nella modalità di gione o sia nazione. L’area geo- un cenno d’ironia. Federico Fregoso afferma: «Quale è grafica di residenza, quale signifi- di noi che vedendo passeggiare un gentiluomo con una cato preminente dell’abito, fu roba addosso quartata di diversi colori, ovvero con tante ribadita nella risposta di Frego- stringhette e fettucce annodate e fregi traversati, non lo so, che lamentava l’estinzione di tenesse per pazzo o per buffone? – Né pazzo, disse un abbigliamento riconoscibil- Messer Pietro Bembo, né buffone sarebbe costui tenuto mente italiano («Ma io non so da chi fosse qualche tempo vivuto nella Lombardia, per- per quale fato intervenga che ché così vanno tutti».10 l’Italia non abbia, come sole- Lo schema d’interpretazione secondo l’appartenenza geo- va avere, abito che sia co- grafica, il ceto e la funzione all’interno di esso si ribadi- nosciuto per italiano»).9 sce in una serie di importanti testi illustrati, raffiguranti fi- gurini di abiti di tutto il mondo.11 I libri più documentati e diffusi si riducono ad un elen- co relativamente breve che, per buona memoria, qui si dispone in ordine cronologico. Enea Vico, nelle sue 32 incisioni, definì ogni soggetto in una piccola epigrafe, in cui la regione di appartenenza era il primo termine, seguito dal sesso e dalla funzione sociale.12 Nel testo sono raffigurate solamente genti assai lontane: molte donne spagnole “rusticae”, una dama di Francia e una di Fiandra, con una Galla serva seu flan- drensis, soldati tedeschi con le loro donne, poi Tartari, Turchi, Epiroti, Etiopi. Molti degli abiti riprodotti sono tu- niche sciolte e variamente drappeggiate o sovrapposte l’una all’altra, non riscontrabili in altre testimonianze, quasi fossero composti secondo canoni convenzionali. Le immagini di Vico offrivano un repertorio di abiti esoti- ci, che forse fu di qualche utilità agli artisti, fossero essi pittori, scultori o allestitori di spettacoli. Ferdinando Ber- telli, per il suo testo di 64 tavole, riconfermò la sequenza 3 identificativa già proposta da Vico e ne prelevò alcune incisioni, che integrò con altre, relative ad abiti italiani, 10

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francesi, spagnoli, ungheresi, svizzeri, e qualche curioso del modo di comporre le fogge. I mercanti e le loro esotismo, quali i Babilonesi.13 Il gruppo dei “Rustici e mogli, i plebei e gli artigiani di poco si discostano dai delle Rusticae”, prevalentemente spagnoli, già presenta- nobili. Tra i “rustici” e i servi, che rappresentano i livelli to da Vico e ampliato da Ferdinando Bertelli, apre un te- inferiori della società, le donne talvolta non hanno ma- ma di ricerca che non so quanto esplorato, ossia il rap- niche e rimboccano quelle della camicia, spesso indos- porto tra l’abbigliamento tradizionale attualmente vigente sano il grembiule, le loro gonne sono corte al polpaccio e quello contadino documentato nelle immagini dei se- o rimboccate e non sempre sono imbottite ai fianchi. coli XVI e XVII. Ma non mancano mai il corsetto teso e scollato, unito Il libro di De Bruyne, bellissimo e assai ricco, riproduce ad una gonna larga. Se poi sono contadine delle campa- un grande numero di abiti, tra cui molti italiani di vari gne veneziane, quando «si vedono in Venetia il giorno ceti.14 Con molti “rustici” dell’Europa settentrionale, so- dell’Ascensione di Nostro Signore, il loro abito è rutilan- no raffigurati anche i Piemontesi e la Bresciana. Qual- te di sboffi di camicia, maniche abbottonate, corsetti, che dubbio sul rigore metodologico dell’autore suggeri- nastri, bottoni, doppie gonne, quasi come un abito no- sce cautela nel suo uso come fonte. biliare».20 Gli uomini portano giubbetti, corsetti e calze Il testo più importante e attendibile, sia pure con qualche aderenti di complessa confezione. riserva, è quello di Vecellio, notissimo anche agli studiosi E soprattutto rappresentano sempre l’appartenenza ad di storia dell’abbigliamento tradizionale.15 una terra specifica. Il Gynaecaeum di Jost Amman pre- senta, in 120 fogli, gli abiti femmi- Nessuno dei volumi appena ri- nili di tutte le regioni europee, cordati riproduce abiti di genti catalogati secondo l’apparte- sarde. nenza geografica e secondo Sembra dunque che l’abbi- i ceti e i ruoli (Gallica virgo gliamento tradizionale espri- nobilis, Regina hispanica, Ve- ma una catena di valori e uno neta plebeia).16 schema di rappresentazione Le didascalie identificano la na- zionalità e il ruolo anche nel ric- pertinenti al “Classicismo di co repertorio di Pietro Bertelli, Antico Regime” (un’espres- che contiene ampi e poco scru- sione rubata all’introduzione polosi riferimenti alle tavole di di Amedeo Quondam al Cor- Vecellio. 17 tegiano) e là ampiamente docu- Segue il testo di Alessandro Fabri.18 mentati. Si può affermare che nel- Infine le tavole di Giacomo Franco ap- l’abbigliamento tradizionale sopravvive paiono ormai percettibilmente orienta- l’abito nobiliare? te a riferire eventi di cronaca più che La conclusione, invero assai curiosa, scatta repertori di fogge.19 Ma intatto per- a chiusura di un sillogismo. Ma il ragiona- mane lo schema dell’esposizione dei mento, percorso con un meccanismo lo- costumi femminili veneziani, che ini- gico, sembra trovare riscontri e prove. zia con la Dogaressa, prosegue con Nella società tra Umanesimo e Illumini- la gentildonna, la novizza e la mo- smo i ruoli istituzionali erano affidati a glie del mercante, e si conclude con tre ceti, o stati: i nobili, il clero e le co- la Cortegiana. munità (borghesi, artigiane, agro-pasto- Tutti le immagini dei libri di model- rali). La riconoscibilità dei membri degli li suggeriscono che il passaggio dal stati era vitale al funzionamento della ceto superiore a quello inferiore è società, ed era tutelata con la forza segnato da una riduzione dell’am- delle leggi, della persuasione, della piezza dei modelli e della ricchezza consuetudine e con ogni altro mezzo dell’ornato, ma non da un’“alterità” di contrasto ad una mobilità sociale, in realtà difficilmente contenibile. 3. Emma Calderini, Costume 4 Si sono qui proposti gli esempi del- festivo di Bitti, in E. Calderini, le leggi suntuarie, di due testi lette- Il costume popolare in Italia, rari di rilevantissima influenza in Milano 1934. Europa tra il Cinquecento e il Sei- cento e di un impegno editoriale 4. Emma Calderini, Popolana specifico sul tema degli abiti, con di Dorgali, in E. Calderini, Il costume popolare in Italia, larghissima diffusione euro- Milano 1934. pea negli stessi secoli. Il lungo processo di af- fioramento dell’abito 11

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“borghese” è sovrapponibile per cronologia a quello La locuzione “modello basico”, non impropriamente adot- della nascita dell’abito tradizionale. Nel momento in cui tata anche per l’analisi delle arti contemporanee, nella definitivamente cessò la società per ceti (1789, data del- moda è abitualmente impiegata e spesso si adotta per si- la Rivoluzione Francese), si estinsero le leggi suntuarie gnificare il complesso composto da blue-jeans e T-shirt. (1793, data della dichiarazione della libertà d’abbiglia- Con un paio di jeans e una T-shirt tutte le persone sono mento). Nel medesimo momento nacquero contempora- uguali: il figlio dell’imperatore del Giappone e la ragaz- neamente l’abito “borghese” e l’abito tradizionale. È ac- za di una periferia metropolitana appaiono ugualmente certato e ampiamente dimostrato che prima della metà moderni e ugualmente semplici nella struttura di un cor- del Settecento la dicotomia non esisteva. Quando la ri- po che si differenzia solamente per l’individualità di chi voluzione industriale ebbe sostituito i ceti con le classi, lo indossa. l’unico segno di appartenenza sociale fu la rappresenta- È la compiuta realizzazione dell’antico sogno di Tom- zione della ricchezza individuale. maso Moro, che è entrato nei nostri armadi con quasi La simultaneità dell’origine dell’abito “borghese” e di mezzo millennio di ritardo. Nei primi anni Sessanta del quello tradizionale si aggiunge alla dimostrazione di una Novecento, il Minimalismo e i blue-jeans nacquero con- sostanziale identità di forme e significati tra l’abbiglia- temporaneamente dalla medesima necessità di riportare mento dell’Ancien Régime e quello tradizionale. il linguaggio formale alle strutture minime della comuni- Non sembra dunque del tutto fantasiosa l’ipotesi che cazione. Contrariamente all’Arte Minimale, i blue-jeans l’abito tradizionale abbia conservato la struttura dell’abi- hanno ottenuto un reale risultato di globalizzazione del to nobiliare, arroccandosi nel terzo stato per quasi due linguaggio, applicando una struttura ridotta all’ultima secoli. semplificazione, che azzera persino la differenza di sesso. Flavio Orlando aveva rilevato che non si rintraccia alcu- Lo straordinario evento dovrebbe rivelare nei popoli la na testimonianza di un abbigliamento specifico delle felicità per il raggiungimento dell’assoluta uguaglianza. classi subalterne fino ai decenni centrali del Settecento, a E invece no. Non si può evitare di sentire le richieste, cui giunge unicamente la documentazione dell’abito no- sempre più massicce e talvolta violente, di tutelare le biliare.21 D’altra parte nel 1550 Sigismondo Arquer riferi- identità storiche locali e peculiari. va sui sardi e i loro vestiti: «vivunt in diem vilissimoque Contro l’azzeramento delle differenze, uno dei fortini di vestuntur panno»; e nel 1559 Giovanni Francesco Fara resistenza dell’identità storica si colloca nella difesa del- annotava l’uso dell’orbace, insieme con un carattere mol- l’abbigliamento tradizionale. to sobrio e privo di lussi.22 Forse la modernità ha bisogno di qualche tempo ancora Lo stesso Orlando ha suggerito non pochi riferimenti al- per comprendere le parole di Baldassarre Castiglione l’abito nobiliare nell’abbigliamento tradizionale sardo: il sugli abiti forestieri: «Né pazzo, disse Messer Pietro Bem- cosso col gilet, la camicia maschile sassarese dal colletto a bo – e Messer Pietro Bembo ancora oggi è tenuto per punte insaldate con la golilla, i cartzones con i pantalon, uomo sapiente ed elegante –, né buffone sarebbe costui le ragas con i “calzoni alla rhingrave”, le uose d’orbace e tenuto da chi fosse qualche tempo vivuto in Lombardia, il collettu con l’abbigliamento militare del XVII secolo, il perché così vanno tutti». Ma il primo suggerimento è corsetto femminile con i busti seicenteschi, l’uso delle che la persona «si accomodasse alla consuetudine dei imbottiture.23 più», per rispetto e a tutela della dignità di tutti. Semplicemente. Riflettere sul vestire tradizionale potrebbe contribuire a formare la risposta per una domanda cruciale dei nostri 5. Emma Calderini, Contadina di Aritzo in costume di gala, giorni. Possono saldarsi armonicamente l’appartenenza in E. Calderini, Il costume popolare in Italia, Milano 1934. ad una specificità storica e la condivisione di una cultura globale? La domanda solleva problemi dolorosi, a cui non pare siano state finora trovate risposte praticabili. E non si sta parlando solamente di vestiti, ovviamente. Se si pronun- cia la parola chador, la tensione si fa palpabile. In questo groppo della storia contemporanea, la Sarde- gna potrebbe offrire un esempio di armonia fra la tradi- zione e la modernità. L’abbigliamento tradizionale sardo, di cui sono fissati in questo testo i caratteri di varietà, longevità e attuale vitalità, può suggerire qualche rifles- sione per alleviare la fatica della convivenza di storie di- verse. Uno dei caratteri preminenti della modernità è ricono- sciuto nel globalismo, di cui è segno inequivoco il mo- dello basico dell’abbigliamento. 12

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Note 1. E. Verga, “Le leggi suntuarie milanesi”, in Ar- 5 chivio Storico Lombardo, XXV, 1898, pp. 17, 47. 2. E. Verga, “Le leggi suntuarie” cit., pp. 49-51. 3. La legislazione suntuaria. Secoli XIII-XV, Emilia- Romagna, a cura di M.G. Muzzarelli, Ed. Archivi di Stato e Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Fonti, XLI, pp. 148-151. 4. La legislazione suntuaria cit., pp. 671-675. 5. La legislazione suntuaria cit. 6. La legislazione suntuaria cit., p. XXV. 7. T. Moro, Utopia, Roma 1994, pp. 49, 74, 91. 8. B. Castiglione, Il Cortegiano, a cura di A. Quon- dam, vol. I, Milano 2002, p. 133. 9. B. Castiglione, Il Cortegiano cit., p. 133. 10. B. Castiglione, Il Cortegiano cit., p. 135. 11. Per i libri con incisioni di modelli di abiti vede- re: H.M. Hiler, Bibliography of costume, New York 1939; J.L. Nevinson, “L’origine de la gravure de mode”, in Actes du I Congrès International d’Hi- stoire du Costume, Centro Internazionale delle Arti e del Costume, Venezia 1952; M. Ginsborg, An in- troduction to fashion illustration, Pitman Publ., London 1980. 12. E. Vico, Diversarum gentium nostrae aetatis habitus, Venezia 1558. 13. F. Bertelli, Omnium fere gentium habitus, Ve- nezia 1569 (I ed. 1563). 14. A. De Bruyne, Omnium pene Europae, Asiae, Africae et Americae gentium habitus, Antwerpie 1581. 15. C. Vecellio, Habiti antichi et moderni di tutto il mondo, Venezia 1590 (I ed. 1585). 16. J. Amman, Gynaecaeum, Francoforte 1586. 17. P. Bertelli, Diversarum nationum habitus, Pa- dova 1589. 18. A. Fabri, Diversarum nationum ornatus, Pa- dova 1593. 19. G. Franco, Habiti delle donne venetiane, Vene- zia 1610. 20. C. Vecellio, Habiti cit., pp. 141v.-142r. 21. F. Orlando 1998, p. 44. 22. S. Arquer, Sardinae brevis historia et descriptio, Basilea 1550 (Cagliari 1922); G.F. Fara, De choro- graphia Sardinae libri duo; trad. in G.F. Fara, Ope- re, a cura di E. Cadoni, Sassari 1992; cfr. F. Orlan- do 1998, p. 44. 23. F. Orlando 1998, pp. 56-95. 13

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Note di storia dell’abbigliamento in Sardegna Paolo Piquereddu Il complesso vestimentario oggi riconosciuto come co- – corpetto e gilet (corìttu, còsso, groppètte) senza mani- stume popolare della Sardegna rappresenta l’esito di un che, con abbottonatura a uno o a doppio petto, in pan- lungo processo di trasformazione e rifunzionalizzazione no di lana o in velluto liscio o operato, di diversi colori; indumentaria che prende avvio nel XVI e si conclude al- diffusi in tutta l’isola si indossano sulla camicia; la fine del XIX secolo. – giubbetto (zippòne, corìttu), generalmente confeziona- L’Ottocento produce una documentazione testuale e to mediante tessuti di importazione (panno, velluto, seta iconografica di straordinaria ampiezza e varietà da cui, broccata) e con chiusura a doppio petto sul davanti; po- insieme alla configurazione del territorio, alle vicende teva essere guarnito sul petto e sulle maniche con bot- storiche, ai dati economici e climatici emergono i modi toni d’argento; di vivere dei Sardi: del lavorare e far festa, del mangia- – calzoni bianchi (carzònes), molto ampi e di lunghez- re, dell’abitare e, ciò che qui interessa, del vestire. za variabile, di lino o cotone o anche di orbace; veniva- Questa letteratura formalizza e rende finalmente visibile no indossati sia con le estremità inferiori libere che infi- il catalogo delle articolazioni dell’abbigliamento utilizza- late dentro le uose di panno o di orbace; to dalla gran parte della popolazione dell’isola e, nel – gonnellino nero (ràgas, carzònes de furési), di orbace contempo, ne sancisce la fine come vestiture d’uso; sic- o panno, di varia lunghezza ma prevalentemente corto, ché è una sorta d’inventario prae morte che viene fuori increspato in vita, con fitta pieghettatura e con i lembi dal mare magnum di studi ponderosi, relazioni, diari, anteriore e posteriore collegati da una sottile striscia; ve- reportages, memorie, che inviati governativi, letterati, niva indossato sopra i calzoni bianchi; militari, o viaggiatori un po’ fuori rotta dal Grand Tour, – brache (carzònis) larghe, nere, d’orbace o di panno, al termine del loro soggiorno, danno alle stampe a Tori- lunghe grosso modo al ginocchio, diffuse soprattutto no, Milano, Parigi, Londra, Lipsia e altre città europee.1 nelle regioni sud-occidentali dell’isola; si portavano so- Per quanto attiene al versante maschile il sistema di cui pra i calzoni di tela bianchi. si parla comprende sommariamente: Soprattutto in area centro-settentrionale l’insieme formato – copricapo a sacco, con bordi arrotondati (berrìtta), lun- da gonnellino, calzoni e uose appariva talvolta sostituito go circa cm 50, nero o rosso, di orbace, panno o velluto; da calzoni a tubo di orbace nero, di panno o fustagno. – camicia bianca di lino o cotone (bentòne, camìsa), Sopra quelli descritti potevano essere indossati, a secon- molto ampia, con o senza colletto talvolta ricamato o da del mestiere e delle circostanze, altri indumenti: fornito di asole per gemelli d’oro o d’argento; – giacca di orbace nero (cappottìnu) con cappuccio e bordi interni guarniti di velluto nero; – cappotto lungo di orbace nero (gabbànu), completo 6. Raffaele Aruj (attr.), Ballo in fila con suonatore di launeddas, di cappuccio, con lungo spacco posteriore; 1850-55 ca., olio su tela, Cagliari, coll. Piloni (particolare). – mantello di orbace nero (sàccu de cobèrri), indumento da lavoro particolarmente diffuso, costituito da due teli 7. Uomo di Nuoro, 1914, fotografia di Vittorio Alinari. rettangolari cuciti fra loro su due lati consecutivi; si chiu- La foto ritrae un rappresentante del ceto agiato in abbigliamento deva sul petto mediante fermagli a catenella (gancèra); canonico, cui si aggiunge un raffinato gilet d’astrakan. Questa e le altre fotografie di Alinari riprodotte più avanti, tutte di straordinaria qualità, hanno avuto una grandissima diffusione in Italia e all’estero – soprabito di panno grosso e morbido, color marrone, attraverso pubblicazioni, riviste, album, cartoline postali in con cappuccio (cappóttu serenìcu), con ampie profilatu- bianconero o colorate. Il loro ininterrotto successo ha fatto sí che re di velluto e ricami, diffuso principalmente in area ca- finissero per rappresentare un corpus dei tipi umani e delle fogge vestimentarie della regione, prevalentemente di donne attraenti e gliaritana, dove sostituiva il gabbànu; di uomini prestanti, attenti alla cura del corpo e degli abiti: un volto – soprabito, senza maniche, di pelle conciata (colléttu), della Sardegna a un tempo esotico e raffinato. aderente al corpo, generalmente lungo fino alle ginoc- 8. Ragazza di Osilo in abito nuziale, 1913, fotografia di Vittorio Alinari. Negli anni di realizzazione di questo scatto fotografico il costume di chia, allacciato a lembi sovrapposti sul davanti e fermato 6 Osilo era oramai divenuto uno dei più noti e rappresentativi dell’isola. in vita mediante una larga cintura; 15

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– veste senza maniche di pelli intonse, di agnello o di pecora, e di lunghezza variabile, usata soprattutto dal pa- store; indicata in vario modo da zona a zona (sas pèddes, bèst’e pèddi, zamàrra, ervechìna), corrisponde alla ma- struca più volte nominata dagli scrittori classici come ca- ratteristica dell’abbigliamento dei Sardi; – scarponi (cosìnzos, iscarpònes) con spesso fondo di cuoio imbullettato, tacco abbastanza alto, lunga stringa- tura, punta piuttosto stretta. Passando all’ambito femminile, gli elementi essenziali comprendono: – copricapo: semplice, consistente in un fazzoletto, o composito, costituito dalla sovrapposizione di due o più indumenti (cuffia, benda, velo, pannetti, fazzoletti, manto, mantiglia, scialle, gonna, ecc.); – camicia: bianca, di lino o di cotone (camìsa, ca- mìja, lìnza), era generalmente molto ampia e lunga, con increspature al collo, chiuso con gemelli d’ar- gento o d’oro, e ai polsi; la parte più importante, sempre decorata con accurati ricami, era quella anteriore, destinata a rimanere in vista; – corpetto (pàla, imbùstu, còsso): era realizzato con tessuti di vario tipo e qualità e nelle fogge più disparate; presentava struttura rigida in area settentrionale, dove consisteva in un vero e pro- prio busto; in area nuorese aveva struttura mor- bida e dimensioni ridotte, in taluni casi, ad una stretta striscia, sostenuta da sottili spalline, pas- sante sotto il seno e terminante con due appen- dici triangolari; veniva allacciato sotto il seno con nastri o ganci; – giubbetto (zippòne o corìttu): era realizzato sem- pre con tessuti pregiati (panno, velluto di cotone e di se- ta liscia o operata, sete damascate e broccate); la lun- ghezza era variabile e le maniche potevano essere strette e sagomate o aperte sino al polso; spesso erano fornite di asole sulle quali veniva sospesa una serie di bottoni d’argento (buttonèra); – gonna (tùnica, fardètta, munnèdda, saùcciu): sempre lunga ed ampia, veniva confezionata sia con orbace che con tessuti di produzione industriale e di varia qualità quali panno di lana e cotonina; presentava quasi sem- pre una piegatura sulla parte posteriore e, raramente, su quella anteriore, che in genere veniva coperta dal grem- biule. L’indumento poteva essere impreziosito sul bordo inferiore da una balza e da nastri policromi; – grembiule (frànda, pannéllu, antalèna, fàrda): di pan- no, orbace, seta, tulle e tessuti meno pregiati, poteva avere forma e dimensioni variabili; – calzature: le tipologie più diffuse sono basse (iscàrpas), di pelle marron o nera, talvolta di vernice o rivestite di tessuti broccati o ricamati, con grande fibbia metallica o fiocchi; o stivaletti (bottìnos) con spessa suola bombata di cuoio imbullettata, punta affusolata, tomaia di vitello nero o vernice, tacco generalmente di altezza modesta. Il vestiario sopra descritto, che, al pari della lingua, ap- pariva unitario e riconoscibile come sardo se rapportato 18 9

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all’esterno, e, invece, tanto diverso e articolato nell’ambi- to del territorio isolano, suscitò l’interesse dei visitatori extrainsulari per due ragioni principali: da un lato l’arcai- cità delle vesti maschili, nelle quali, inevitabilmente, ve- niva riconosciuta l’eredità del mondo mediterraneo anti- co; dall’altro la varietà e la ricchezza di quelle femminili. Le considerazioni sul vestiario maschile si inscrivono in una lettura complessiva, perdurata fino alla metà del XX secolo, di una Sardegna fuori dalla storia, refrattaria ad assorbire influenze esterne, segnata da una “insularità isolata”. La produzione storiografica dell’ultimo quarantennio ha definitivamente superato quest’impostazione ricollocan- do la Sardegna nel bel mezzo delle vicende che nel cor- so dei secoli hanno attraversato il Mar Mediterraneo ed evidenziandone una posizione di centralità, ancorché nella dipendenza.2 Questo vale pienamente anche per l’ambito indumenta- rio: le ricerche negli archivi dell’isola, di Pisa, Genova, Torino, Barcellona, Madrid e di altre città che storicamen- te hanno avuto relazioni non sporadiche con la Sardegna hanno rivelato una partecipazione spesso neppure signi- ficativamente ritardata alle trasformazioni dell’abbiglia- mento in Europa e, a partire dal Seicento, perfino alle vi- cende della moda. Certo le suggestioni derivanti dall’esame della statuaria nuragica, specie se guidato dalle parole di Giovanni Lil- liu, sono forti ed emozionanti; non si può non rimanere coinvolti in un gioco di riconoscimento e di scoperta, nei segni di indumenti talvolta appena delineati, di un com- plesso di vesti a noi familiari e berrìtte, mastruche, manti, pastrani e giacche con cappuccio, giubboni, gonnellini maschili, brachette, gambali, sandali. Talvolta caratterizza- te da stupefacenti pettinature maschili e femminili a trec- cia, sono immagini di capo tribù, di guerrieri, di sacerdo- ti, sacerdotesse e soprattutto di pastori e contadini e delle loro donne che agli occhi dei Sardi offrono la rappresen- tazione di un antico e impossibile album di famiglia.3 Tra le tante statuine, che a questo proposito si possono menzionare, particolarmente significative risultano il Ca- po con stocchi e scudo alle spalle e L’offerta della gruc- cia per la ricchezza e i particolari dell’abbigliamento. Giovanni Lilliu vi legge nel primo una tunica cui è so- vrapposto un giubbone, verosimilmente una sorta di co- razza di cuoio, delle alte uose che proteggono «le gam- be dal ginocchio al collo del piede e, accessorio non molto frequente in queste figurine, la calzatura che è 9. Abito maschile festivo, Quartu S. Elena, anni Cinquanta Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. Realizzato nei primi anni Cinquanta del Novecento, sulla base del modello in uso tra Ottocento e Novecento, fu donato dal Comune di Quartu S. Elena al costituendo Museo del Costume di Nuoro. 10. Abito femminile festivo e di gala, Quartu S. Elena/Monserrato, prima metà sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. È probabilmente l’abito più prestigioso del museo nuorese per l’alta qualità dei materiali e dell’esecuzione delle singole parti. 10

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costituita da una specie di sandalo di cuoio con la suo- la allacciata al dorso del piede da larghe fascette che la- sciano nude le punte delle dita accuratamente segnate nei particolari»; nel secondo personaggio si sofferma, tra l’altro, sul berretto, notando che «la calotta bombata e il lembo ripiegato sulla fronte ben marcato, rivelano la consistenza effettiva della materia del copricapo – la stoffa di lana caprina (l’orbace) – ed il tipo dello stesso: cioè l’archetipo dell’attuale “berritta sarda”, un berretto maschile, tipicamente mediterraneo, di larga diffusione (v. anche la “berrettina” catalana)».4 Al di là di queste straordinarie “coincidenze” è inconte- stabile che gli indumenti sui quali storicamente si è fon- data la specificità e la riconoscibilità dei Sardi, vale a di- re la mastruca, la berrìtta e le ràgas unite ai calzoni bianchi di tela sono tutti afferenti a una koinè vestimen- taria mediterranea. L’indumento che più di qualsiasi altro, nel corso dei se- coli, è stato associato ai Sardi, la mastruca, rimanda a una tradizione d’uso estesa ben oltre i confini dell’isola, se non altro per la semplice ragione che le pelli costitui- scono i primi, insostituibili abiti dei popoli pastorali. E tuttavia i celebri, sprezzanti epiteti ciceroniani di Sar- di Pelliti e mastrucati latrones, i testi di Quintiliano, San Girolamo, Isidoro, di Strabone e Nindoforo e di tanti al- tri ancora hanno accompagnato attraverso i secoli la ma- struca, connotandola come indumento proprio della Sar- degna.5 Certo, questa semplice veste senza maniche, formata dall’unione di quattro pelli intonse di pecora o di capra, è tra quelle che nell’isola è rimasta in uso per più lungo tempo: ancora negli anni Sessanta del secolo scorso non era infrequente incontrare nelle campagne della Marmil- la, Trexenta, Sarrabus pastori “mastrucati”. Oggi la ma- struca è indossata dalle maschere dei mamuthones di Mamoiada e dei merdules di Ottana: a queste maschere come ad altre simili di tanti paesi pastorali dell’Europa e del Mediterraneo (Spagna, Slovenia, Croazia, Bulgaria) si affida il compito di trasformare chi le indossa in esseri alieni, propiziatori di beni per la comunità.6 Che i Sardi non fossero i barbari incolti e primitivi de- scritti da Cicerone e invece disponessero di capacità produttiva in grado di risolvere le difficoltà vestimenta- rie nelle quali si trovò l’esercito di Roma nel corso della seconda guerra punica è ricordato da Ettore Pais, che, riprendendo la testimonianza di Plutarco, scrive: «La ma- struca derisa da Cicerone non era però l’unica veste de- gli Isolani. Abbiamo veduto che, durante la seconda guerra punica, Roma fece richiesta non solo di grano, 11. Abito maschile festivo, Orgosolo, 1970 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 12. Abito femminile festivo e di gala, Orgosolo, 1970 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. Questo costume, oltre che dai gruppi folcloristici, viene ancora oggi indossato come veste nuziale da un buon numero di ragazze di Orgosolo. 20 11

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ma anche di vesti per l’esercito che stanziava nell’Isola e che rapidamente fu provveduto a tal richiesta. È anche detto che Caio Gracco, essendo questore del proconsole L. Aurelio Oreste, conseguì che i Sardi concedessero be- nevolmente le vesti necessarie alle milizie Romane. Il beneficio recato dagli isolani all’erario romano procu- rando vesti all’esercito era più notevole di quello che possa apparire ai tempi nostri nei quali la produzione meccanica dei tessuti si è a mano a mano estesa ed ha reso men cari che nei secoli passati i vestiti. Per gli an- tichi le vesti di lana, frutto di lungo lavoro manuale, erano merce preziosa. Nel caso nostro basti ricordare che nel 190 a.C. la richiesta fatta dai Romani di cin- quecento toghe e di altrettante tuniche ai cittadini di Focea contribuì a determinare una sollevazione».7 Il singolare episodio è entrato a far parte di una sor- ta di mitologia positiva della letteratura storica sarda; in questo senso può essere letta la rappresentazione nazional-popolare che viene offerta dall’opera di Giovanni Marghinotti, I sardi offrono vesti e viveri ai legionari di Caio Gracco (1850 ca.), attualmente con- servata nel Palazzo Civico di Cagliari (fig. 15). Lo studio di Giulio Paulis sul termine cèrga, tsèrga, tsrè- ga, col quale ancora negli anni Cinquanta del Novecento si indicava nell’isola il vestiario che il padrone forniva ai contadini o pastori suoi dipendenti quale parte della re- munerazione, ha reinserito il vocabolo in un quadro sto- rico assai utile anche per la storia della produzione indu- mentaria sarda: «Significante in origine ‘veste’, il vocabolo fu inizialmente impiegato, con riferimento alla vestis col- latio, per designare i capi di vestiario per le truppe che gli abitanti dell’impero erano tenuti a fornire alle sacrae largitiones in ragione dei possedimenti fondiari e del nu- mero di lavoratori agricoli insistenti su un determinato territorio. Siccome i maggiori contribuenti erano, ovvia- mente, le persone più facoltose e i grandi proprietari terrieri, in Sardegna continua a chiamarsi Qèrga, attèrga, tsèrga il vestiario che il padrone dà ai servi in occasio- ne delle feste o a fine anno come parte della remune- razione pattuita. Sul finire del IV secolo, tuttavia, il contributo per la vestis fu commutato in oro (la co- siddetta adaeratio vestis militaris), sicché il lessema continuato nel srd. med. come cerga, zerga, ther- ga andò progressivamente ampliando il suo signi- ficato sino a designare qualsiasi tributo di natura reale che i sudditi erano obbligati a versare de causa issoro al fisco regio o ad altra autorità da cui dipendevano».8 La presenza del termine in numerosi docu- menti medievali sardi, spesso associato al ginithu che indicava «originariamente il la- voro obbligatorio compiuto presso gli stabi- limenti tessili di proprietà statale»,9 e l’analisi che ne fa Paulis consentono di affermare che la cor- responsione del tributo reale costituito dalla fornitura tessile e indumentaria presupponeva nell’isola un siste- ma produttivo fondato su una notevole organizzazione 21 12

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13 per gli indumenti pontificali: nei giorni di festa solenne 14 noi e i dignitari della nostra corte portiamo vesti di tale di mezzi, di persone e di risorse tecnologiche; si aggiun- colore e di tale lana».10 ge così un altro tassello di supporto al ragionamento che Laura Balletto dà conto degli intensi traffici commerciali supera l’idea di una Sardegna subcantonale frammentata intercorsi nei secoli XII-XIV tra Genova e Savona con la in monadi produttive libere e autonome. Sardegna, pubblicando 39 documenti inediti dell’Archi- La partecipazione dell’isola all’articolata organizzazione vio di Stato di Genova, dei quali si segnalano in partico- produttiva statale d’epoca bizantina è peraltro indiretta- lare due atti. Il primo è una dichiarazione resa al notaio mente confermata da un documento talvolta addotto Lantelmo di Genova il 28 settembre 1234: due fratelli di come prova della produzione di un tessile di altissima Arenzano ricevono in accomendatione la somma di 8 li- qualità: il bisso. Ricavato dalla lanugine di una conchi- re di genovini per la vendita da effettuare a Bosa di due glia, la pinna nobilis (nacchera), detto anche lana mari- pezze di stanforti lombardi (petiis duabus stanfortum na, il bisso costitutiva uno dei tessuti più preziosi e ri- lombardorum).11 cercati fin dall’età imperiale romana. In età bizantina era utilizzato per la confezione degli abiti papali e dei 13. Uomini di Sant’Antioco, 1926, fotografia di Max Leopold Wagner, dignitari; l’isola era assai probabilmente uno dei luoghi Berna, Istituto di Filologia Romanza “Karl Jaberg”. di produzione della materia prima se non del tessuto fi- Il grande studioso utilizzò il mezzo fotografico quale ausilio nito, peraltro presente a Cagliari e a La Maddalena nel ai suoi rilevamenti dialettologici per l’Atlante Linguistico Italiano. primo Ottocento, secondo la testimonianza dell’Angius, Le immagini sono perciò caratterizzate da immediatezza e a Sant’Antioco ancora nel XX secolo. Nella lettera che documentativa piuttosto che da accuratezza tecnica e compositiva. papa Leone VI invia nell’851 allo judex di Sardegna si I personaggi raffigurati indossano i larghi calzoni d’orbace in uso legge: «Se da voi o in uno dei vostri domini trovate del- nel Sulcis Iglesiente, e, salvo uno, la mastruca; tutti portano sopra la lana marina, quella che nella nostra lingua chiamia- la berrìtta un fazzoletto legato a soggolo. mo “pinnino”, non dimenticatevi di comprarla, a qua- lunque prezzo e di mandarcela perché ci è necessaria 14. Uomo di Sant’Antioco, 1914, fotografia di Vittorio Alinari. 22

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Nel secondo, redatto l’11 marzo del 1236: «Marchisio del Tra l’altro il testo conferma un dato raramente tenuto Prione dichiara di avere ricevuto in accomendacione da presente nei lavori sulla storia dell’abbigliamento in Sar- Ottobuono Tornello la somma di soldi 34 e denari 7, degna, vale a dire l’uso dei capi di vestiario quali mezzi impiegata in due bende sardesche di seta (duabus bin- di pagamento e di scambio, e indirettamente pone an- dis sardeschis de seta) da commerciare in Sardegna».12 che qualche interrogativo sulla possibilità di un mercato La presenza dei mercanti catalani in tutti i principali ap- di abiti usati, la cui presenza, per l’epoca di cui si tratta, prodi del Mediterraneo era attestata ampiamente nei se- comincia ad essere oggetto di numerosi recenti studi ri- coli XII e XIII. Carmen Batlle ha posto in evidenza che feriti all’area settentrionale italiana.16 «tra questi predominavano gli imprenditori barcellonesi Il condaghe, nel riportare il testo di una transazione che si erano stabiliti sulle coste francesi, nel nord Africa, commerciale, riferisce di un cunduri de rocca: l’espres- a Cagliari e a Oristano, a Reggio e in altre città del sud sione, di difficile comprensione, è stata oggetto di anali- dell’Italia, così come naturalmente nella Sicilia recente- si storico-linguistica da parte di Giulio Paulis, che è riu- mente conquistata». scito a svelarne il mistero. Per Paulis il termine sardo La Batlle ha ricostruito in particolare le vicende del mer- cunduri, di origine bizantina, è da ricollegare al vocabo- cante barcellonese Guillem Lloret, che aveva aperto bot- lo usato in Terra d’Otranto (Soleto): kundùri, ‘sottoveste tega a Oristano, attraverso l’analisi del testamento scritto delle donne nell’antico costume’. Il cunduri andava in- il 6 novembre del 1301, poco tempo prima della morte, dossato sotto il rocca una ‘veste di sopra’. Lo studioso avvenuta nella città sarda. Il testamento informa che Llo- mette in evidenza, tra l’altro, che rocchetto «designava ret lasciava in eredità, tra le cose che qui interessano, dei un vestimento di cerimonia, proprio di alcune dignità panni di lana catalani e francesi, cipelles catalane, ovvero ecclesiastiche, simile alla cotta».17 «calzature molto primitive formate da una suola di legno Proseguendo nel suo ragionamento, Paulis affaccia l’ipo- e da alcune cinghie di cuoio che le fermavano al piede», tesi che il cunduri potesse essere di bisso, a causa del e barracani barbareschi, che la Batlle indica come indu- valore che gli si attribuisce nel condaghe (7 sollos, corri- menti di lana impermeabile provenienti dal Nord Africa.13 spondente grosso modo a quello di due o tre buoi). Dati significativi coerenti con quelli emersi negli ultimi Dunque sembra probabile che la Sardegna producesse decenni riguardanti l’attestazione nell’isola di un merca- tessili di scarsa qualità a mero uso interno e che invece to di abiti pronti, fin da epoca medievale; ciò a confer- importasse una grande quantità di tessuti e abiti pronti ma dell’inconsistenza della teoria, diffusa soprattutto in di qualità sia dal continente italiano (Liguria, Lombardia, ambito etnoantropologico, che vedeva la produzione Toscana), sia naturalmente dalla penisola iberica. del vestiario delle classi popolari tutta domestica, affida- Si può pertanto ragionevolmente ipotizzare che, a fronte ta alle donne, cui si attribuiva la responsabilità dell’inte- di un’attività commerciale caratterizzata da un mercato di ro ciclo lavorativo, filatura, tessitura, tintura, taglio, cuci- importazione di panni e tessili vari di alta, media e bassa tura, ricamo. qualità rigidamente controllata a fini fiscali, e comunque Sempre Sassari, attraverso l’ordinanza di Ugone d’Arbo- riservata a una clientela abbiente e cittadina, la Sardegna rea, aggiunta nel 1381 agli Statuti della Repubblica di dei piccoli centri continuasse a produrre lana e lino per Sassari e relativa ai sarti (mastros de pannu), fornisce ul- uso domestico e per un mercato ambulante che attraver- teriori preziose notizie sul vestiario in uso nelle ultime sava tutta l’isola. decadi del Trecento: guneda de homine fodorata, gune- Ancora gli Statuti Sassaresi informano dei tessuti prodotti da de femina incrispada, guneda a sa francesa; palan- in città nella seconda metà del Trecento: tela sottile, fu- dra de homine o zerachu; mantedu assa castelana; fro- stianu rigadu o pilosu, guardanapu, tiazolu de manu, nimentu de fresos over de arguentu, o perlas.14 furesi (tela fine, fustagno rigato o “peloso”, tela per Per guneda è senz’altro da intendere la gonnella, ovvero asciugamani e per fazzoletti da mano, orbace); danno, la veste maschile e femminile tipica del medioevo euro- inoltre, notizia dei costi da riconoscere ai gualchierai peo, detta anche cotta e sinonimo di tunica. Il fatto che la (calcatores) per la follatura dell’orbace.18 guneda maschile fosse foderata (fodorata) indica che si L’orbace era dunque oggetto di un mercato isolano di trattava di un indumento importante e di qualità, coeren- produzione, vendita e follatura. In ordine a quest’ultima temente alle caratteristiche che questo capo cominciò ad operazione si cita il documento del 13 aprile 1338, attra- assumere a partire dal secolo XII; vengono inoltre segna- verso il quale Pietro il Cerimonioso autorizza tale Pietro lati una guneda a sa francesa e un mantedu (manto) alla Egidio di Sassari a costruire una gualchiera in quella castelana; anche questi sono elementi molto significativi città.19 in quanto informano dell’esistenza di fogge indumentarie Francesco Manconi ha messo in evidenza l’importanza di importazione, nettamente distinte da quelle locali. Infi- del traffico di prodotti tessili e indumentari dalla Catalo- ne il testo dà conto della presenza di ornamentazioni gna e la loro influenza sull’abbigliamento dell’isola: «Ver- d’argento o di perle sugli indumenti d’orbace. so la metà del Quattrocento la più grande parte del traffi- Un altro documento significativo inerente alle fogge fem- co da Barcellona e dai porti della costa catalana verso la minili dell’abbigliamento sardo di epoca medievale viene Sardegna riguarda i panni, i famosi draps de la terra, di offerto dal Condaghe di San Pietro di Silki.15 modesta qualità ma di buon prezzo, prodotti nelle città e 24

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nei villaggi della Catalogna. La varietà è enorme: si va dai allacciato spesso con cordelle che, se allentate lasciano drappi di Puigcerdà, di Saint Joan de les Abadesses, di vedere una stoffa più ricca».24 Perpinyà, di Banyoles, frisons, brurells d’Olot, bristò, ai Un documento pubblicato da Maria Teresa Ponti nel 1959 lini di Vich e alle estopes di Girona, fino alle tele d’Olan- informa dell’immediata diffusione della nuova moda; si da, di Germania, di Carcassona e alle robes di Maiorca; tratta dello statuto del gremio dei sarti e calzettai, compi- ed ancora lino, cotone bianco e blu, ricami, raso, veli di lato nel 1532 e contenuto in un codice del XVI secolo seta, berretti (bonets) e cappelli di feltro, barretes d’agul- dell’Archivio Comunale di Sassari.25 la: Cagliari ed Alghero si vestono alla catalana. Ma sol- Lo statuto riporta le tariffe che i sarti e i calzettai doveva- tanto Cagliari ed Alghero? Verosimilmente anche i villaggi no rigidamente applicare, pena sanzioni pecuniarie, per – e non solo di pianura – subiscono la “contaminazione” la confezione di ciascuno dei manufatti. Ne viene fuori dei modi di vestire imposti dall’industria tessile catalana. perciò un elenco degli abiti maschili e femminili allora in Componenti essenziali dell’abbigliamento dei contadini e uso e un quadro preciso della presenza di fogge di in- dei pastori sardi divengono la diffusissima berritta (negli fluenza catalana. Secondo le parole della Ponti: «I Sassa- anni Cinquanta, l’etnografo Violant i Simorra di questo ti- resi più abbienti indossavano lunghe tonache di brocca- pico copricapo studiò con puntigliosa scientificità misure, to, guarnite di seta o di raso, corpetti aderenti pure di modi d’indossarla, colori e analogie con la barretina cata- broccato, ampie giacche, eleganti e comode mantelle; lana, siciliana e napoletana: “Desdè Nàpols a Marsella / erano in voga anche i cappotti col cappuccio increspato, no floria un port sense ella”, cantava il poeta Verdaguer) larghi cappelli, guarniti di “rivet”; le donne indossavano e i barracani tessuti con burell, quella stoffa nera e ruvi- le “faldettes” (gonne) con bluse, corsetti con maniche o da, ma impermeabile e resistentissima».20 senza, giubbe ampie. La classe media faceva confeziona- L’importazione di berrìtte non ha mai avuto probabil- re gli stessi modelli con stoffe meno costose: il “contray”, mente periodi di interruzione anche nei secoli successivi, il cotone, lo “stamet”, il “fustagno”, la “saya” ed il cam- come documentato da diverse fonti. Flavio Orlando ha mellotto. Gli abiti da lutto, di qualunque tessuto fossero, avanzato l’ipotesi che le berrette di lana importate in Sar- avevano un’unica tariffa: un abito veniva a costare venti degna da Livorno alla metà del secolo XVIII, di cui dà soldi, un cappello “de dol” dieci soldi. Le gonne delle in- notizia l’Anonimo Piemontese, potessero essere prodotte servienti, i cappelli dei paggi, fatti di “contray” o di coto- dalla manifattura pratese di Vincenzo Mazzoni.21 ne, costavano dagli otto ai dieci soldi». Un esempio dell’influenza della moda esterna a Cagliari Dalla lettura dello statuto del gremio emerge un altro viene offerto da Gabriella Olla Repetto che riporta un dato di grande interesse: la proibizione alle donne di documento quattrocentesco del notaio A. Barbens, con- qualsivoglia stato e condizione, di città o straniere, di ta- servato nell’Archivio di Stato di Cagliari, relativo all’in- gliare abiti nuovi di seta, o calze, o altri capi di vestiario troduzione di una foggia ritenuta tanto sconveniente da senza la licenza rilasciata dal gremio, pena una multa, il essere sottoposta a «una severa ammonizione ecclesia- che documenta l’insussistenza di un’altra diffusa convin- stica, preludio alla scomunica … Nel 1480, imponendo zione sulla storia della produzione degli abiti nella so- la moda fianchi opulenti ed andature sinuose e sculet- cietà sarda, che cioè essa fosse parte dell’ordinario lavo- tanti, le donne cagliaritane, per rimediare alle carenze ro domestico.26 naturali, avevano fatto ricorso a ogni sorta di ingegnosi Si può pensare dunque a un mercato di tessuti e a una rinforzi. Pezzi di coltri, imbottiture di basti, giri di volan- produzione sartoriale di abiti di pregio riservati alle classi ti attorcigliati più volte attorno ai fianchi, ogni marchin- abbienti; a un mercato di prodotti tessili e indumenti di gegno sotto le gonne era buono per realizzare le volut- media e bassa qualità, e a una parallela produzione loca- tuose rotondità».22 le, anzi domestica, portata avanti dai ceti più poveri, im- Anche a Cagliari, evidentemente, era già stata adottata la possibilitati ad accedere anche ai manufatti più modesti spagnola faldia, una sottogonna a campana resa rigida e, talvolta, impegnati in attività di vendita ambulante. da una struttura di materiali diversi, che aveva la funzio- Per il discorso che qui si sta facendo, lo statuto in esa- ne di mantenere l’abito scostato dai fianchi. L’indumento, me assume particolare interesse per il vestiario femmini- introdotto in Spagna già nel Quattrocento, ebbe diffusio- le che, oltre a una serie di cappe, giacchette, manti, sai, ne in tutta l’Europa nel secolo successivo. Rosita Levi Pi- cappelli di vari materiali (panni, sete, velluti), abiti da setzky informa che questa foggia «dal carattere nettamen- lutto, comprende gonne e giubbetti.27 te spagnolesco per la sua pomposità» viene proibita già Nell’elenco non si ritrovano più le gunedas maschili e nel 1498 a Milano e nel 1508 a Perugia; provvedimenti femminili del tariffario trecentesco sopra ricordato, ad analoghi a quelli registrati a Cagliari vent’anni prima.23 eccezione delle gonnelle de serventes o de pagesses: for- Il Cinquecento, come è noto, vede l’affermarsi di un’im- se questo dato sta a indicare che la gonnella è divenuta portante trasformazione dell’abito femminile, la sua divi- veste residuale, utilizzata ormai solo dai ceti più bassi, a sione in due parti all’altezza della vita: «La parte superio- fronte dell’affermazione della veste femminile divisa in re staccata sembra si possa riconoscere nel vocabolo vita e formata sostanzialmente da un indumento capo- investitura o vestura, e più sicuramente in quelli di giup- spalla di varia foggia e da una gonna, vale a dire un ele- pone, corpetto, corsetto, diploide, busto o cosso. Il busto è mento che copre il corpo dalla vita in giù. 25

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15 Un analogo processo può aver interessato la gonnella maschile che dividendosi a sua volta in due parti dà luo- 15. Giovanni Marghinotti, I sardi offrono vesti e viveri ai legionari go a un giubbetto o corsetto e a una gonnellina pieghet- di Caio Gracco, 1850 ca., olio su tela, Cagliari, Palazzo Civico. tata, più o meno lunga, tenuta da una cintura di cuoio. L’opera celebra un episodio riferito da Plutarco, relativo Si tratterebbe insomma delle ràgas, o carzònes de furési, all’operazione di raccolta delle vesti per i soldati, svolta in Sardegna che per ragioni di decenza vengono associate ai calzoni da Caio Gracco nell’inverno 125-124 a.C. bianchi di lino, cotone e più raramente d’orbace. Che comunque questa combinazione già nel secolo XVI fosse stata assunta nel vestiario popolare maschile del- l’isola risulta dall’esame delle tre figurine di suonatori in bassorilievo della chiesa di San Bachisio di Bolotana (fi- ne del Cinquecento). Le formelle lapidee mostrano tre suonatori: di corno; di piffero e tamburino (fig. 16); e di uno strumento bicalamo. Gli ultimi due in particolare, per la loro posizione frontale, mostrano un gonnellino con ampie pieghe, rappresentate da scanalature verticali, e il secondo un’alta cintura; tutti e tre recano un cappel- lo con piume. Su quest’ultimo e apparentemente singo- lare elemento pare utile ricordare sia il passo del Gala- teo di Monsignor della Casa, ripreso da Levi Pisetzky, quale moda diffusa nel Cinquecento («Le penne, che i napoletani, e gli spagnoli usano di portare in capo»),28 16 16. Suonatore di piffero e tamburino, calco da un rilievo della fine del sec. XVI situato nella chiesa di San Bachisio a Bolotana, 26 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. La formella è di straordinario interesse non solo per la storia della musica nell’isola. Il suonatore, infatti, indossa le ràgas, elemento caratterizzante l’abito maschile dei Sardi e un cappello piumato, copricapo non proprio isolano ma assai diffuso nell’Europa del Cinquecento: il primo elemento dunque è di timbro locale e regionale, il secondo connette la Sardegna alle vicende della moda colta del Continente.

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sia il bronzetto con copricapo piumato della collezione 17 del Museo Nazionale Archeologico di Cagliari.29 Così come l’eredità linguistica di Roma, alla fine, è risul- Pur conservando un suo specifico percorso di riconfigu- tata più duratura e profonda nella Sardegna interna, così razione estetica e funzionale, la storia dell’abbigliamento è lecito pensare che anche nel campo dell’abbigliamen- della Sardegna va allora a riconnettersi a quella com- to sia stata acquisita e fatta propria, fino ad assumere plessiva europea e mediterranea condividendone i prin- carattere identificativo dei Sardi, la balza che il soldato cipali eventi sociali ed economici. romano indossava sotto la lorica. La statuaria romana Ferma restando l’ininterrotta importazione di tessili e abiti ma anche tanta produzione scultorea e pittorica sarda di lusso destinati ai ceti nobiliari e alle famiglie più facol- del Quattrocento e del Cinquecento, in particolare le tose dei centri maggiori dell’isola, documentata da nume- raffigurazioni dell’arcangelo Michele, offrono in questa rosissime osservazioni di opere storiche e di viaggio del direzione non poche indicazioni.30 Settecento, e dunque il persistere di un ambito vestimen- Le ràgas trovano una parentela con la gonna maschile tario privilegiato ed elitario non dissimile al resto d’Italia detta fustanella, usata in tutta l’area balcanica, dagli Al- e dell’Europa spagnola, anche in Sardegna viene a confi- banesi al popolo nomade dei Saracatsans, e divenuta, gurarsi uno standard nell’abbigliamento dei ceti popolari dopo il 1821, indumento dell’uniforme delle guardie femminili che rimarrà sostanzialmente immutato per circa reali greche, nonché con il sottanino maschile detto ro- due secoli: esso si compone di copricapo di varie fogge mana portato dai mercanti alla fine del Cinquecento, e materiali, camicia, corpetto, gonna, grembiule, calze di come documentato dal Vecellio. maglia, scarpe. E, ancora, non pare inutile ricordare che larghi calzoni detti vraka (come ràga, di evidente derivazione da “bra- 17. Anonimo, Ritratto di Maria Piras, ante 1725, olio su tela, ga”), lunghi fino al ginocchio, bianchi e di tela per il Quartu S. Elena, Museo Parrocchiale di Sant’Elena. periodo caldo e più pesanti, di lana anche scura, per È uno dei primi documenti iconografici sull’abbigliamento femminile l’inverno, fossero adottati in diverse località della Tracia della Sardegna: esempio di una forma vestimentaria che, seppure e nelle isole di Creta, Skyros, Hydra, Cipro e diverse al- non definibile popolare, esprime già una connotazione stilistica e tre ancora.31 ornamentale meglio esplicitata nel secolo successivo. Né può essere senza significato, a proposito di scambi e parentele con le regioni levantine, la presenza nell’abbi- gliamento maschile sardo del cappotto serenìcu prove- niente da Salonicco, adottato a Cagliari e nel Campidano; l’indumento nel secolo XVII veniva confezionato a Ca- gliari da una colonia di “cappottari greci”. Il La Marmora sottolinea giustamente che a differenza degli altri sopra- biti sardi con cappuccio, confezionati con l’orbace, il se- renìcu utilizza un panno di grosso spessore e che «la stoffa è importata dal Levante e dal Regno di Napoli e i lavoranti che li eseguono sono tutti greci stabiliti nell’iso- la dove non fanno altro. È assolutamente un indumento levantino molto conosciuto in Italia e in molti paesi del Mediterraneo, dove è usato dai marinai e dai pescatori».32 Questo particolare cappotto, ampiamente documentato nei testi e nelle raccolte iconografiche del primo Otto- cento, ha subito un rapido abbandono. Risultano per- tanto di particolare interesse storico ed etnografico la fotografia (fig. 21) che ne mostra un esemplare indossa- to da un ricco cagliaritano, realizzata negli anni Settanta dell’Ottocento dal fotografo Giuseppe Luigi Cocco, e lo splendido esemplare conservato nel Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, unito a un abi- to completo di pescatore (figg. 430-431).33 Gli indumenti riportati nello statuto del gremio dei sarti e calzettai e i bassorilievi della chiesa di San Bachisio dan- no dunque notizia dell’introduzione in Sardegna di capi di vestiario adottati da pochi anni nei territori sotto do- minio aragonese e informa che l’isola partecipa, dunque, all’evoluzione complessiva della moda europea del Cin- quecento. 27

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18 troncoconico dell’area cagliaritana, noto in ambito ma- ghrebino come fez o shishia. In Sardegna su tale struttura di base andranno a inne- Esempi di berrìtta sono stati più volte individuati in do- starsi, in riferimento ai materiali, i tradizionali tessuti cumenti di diversa natura, dalle citate statuine bronzee d’orbace e di lino. nuragiche, alle figurine danzanti scolpite in bassorilievo Un passo della Sardiniae Chorographiam, scritta da nella chiesa duecentesca di San Pietro di Zuri.35 Giovanni Francesco Fara tra il 1580 e il 1595, riprenden- L’affinità di un altro indumento maschile pansardo, su do quasi alla lettera il testo della Sardiniae brevis histo- colléttu, con le vesti di alcune statuine nuragiche è stata ria et descriptio di Sigismondo Arquer, oltre a conferma- evidenziata da un gran numero d’autori: La Marmora, Bre- re l’orbace quale tessuto diffuso nel mondo rurale, sciani, Angius, Wagner. Il termine “cojetto”, “colletto”, evidenzia anche una netta differenza qualitativa tra il “cuoietto” è documentato in area europea associato all’ab- vestiario delle popolazioni rurali e dei piccoli centri ri- bigliamento militare, in particolare alle armature: «Le ar- spetto a quello dei ceti abbienti delle città: «Gran parte mature richiedevano la presenza di altri capi. Ad esempio dei servi e di coloro che vivono in villaggi e fattorie si vestono con un tessuto assai ordinario che la gente 18-19. Ciclo del martirio di San Lussorio, prima metà sec. XVIII, chiama “fureso”: anche le donne hanno un abbiglia- olio su tela, Borore, chiesa parrocchiale. mento molto sobrio e si astengono da qualsivoglia lus- I dipinti offrono una varietà di informazioni sull’abbigliamento sardo so, mentre al contrario i cittadini che, come le loro don- del primo Settecento. I personaggi rappresentati indossano, per ne dispongono di enormi ricchezze, fanno sfoggio di quanto concerne gli indumenti maschili, colléttu, ràgas, calzoni larghi abiti per ostentare la loro condizione».34 e neri lunghi fino al ginocchio, calzoni bianchi di tela, gabbani e Anche per quanto attiene alla berrìtta, altro simbolo gabbanelle; tra quelli femminili bende e corsetti, grembiuli, giubbetti, dell’abbigliamento della Sardegna, non si può non rile- gonne che rimandano inequivocabilmente alle tipologie vestimentarie varne l’ampia diffusione in area mediterranea e la sua della Sardegna. Nello stesso tempo alcuni accessori e ornamenti quali presenza, come prima notato, nei mercati dei porti più il ventaglio pieghevole, gli orecchini di perle, le scarpe bianche a importanti del Mediterraneo, così come il copricapo punta rimandano alla moda europea del Settecento. 28

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il colletto, una “casacca di cuoio che veste il petto e la 19 schiena usata in particolare dai soldati che vestono ar- mature”; tra XVI e XVII un indumento non così lontano sempre lo stesso in ogni regione, varia solo con diffe- dall’abbigliamento civile, in un certo senso intermedio. renze sottili ma sempre tra il giallo e il giallo rossastro. Dalla ritrattistica si evince che il colletto si indossava an- Questo collettu, che è l’abito ordinario e giornaliero del- che al disopra del giubbone, quasi una sopravveste … la maggior parte dei coltivatori, soprattutto di quelli del- si può considerare un elemento residuale che andava le pianure e delle regioni meridionali, è, per i Sardi, la oltre l’armatura, liberandosi quasi integralmente della cosa più utile che sia loro rimasta a ricordare gli antena- funzione originaria».36 ti. Quale veste infatti potrebbe come questa riunire tanti Assai ben documentato nell’iconografia dell’Ottocento, il vantaggi, soprattutto in luoghi ritenuti malsani? Esso di- collette viene descritto alla fine del Settecento dal Cetti e fende il corpo dall’influenza spesso funesta di un im- dal Madao che ne sottolinea l’origine antica. Ma è so- provviso cambiamento di temperatura e delle intemperie prattutto il La Marmora a illustrarne con grande precisio- dell’atmosfera; esso offre ai brucianti raggi del sole di ne foggia, materiali e funzioni. queste contrade, come all’umidità del mattino e alla piog- «È una specie di giustacuore senza maniche, molto ade- gia, una superficie impermeabile; esso conserva un ugua- rente soprattutto verso le anche, che forma, incrociando- le calore in ogni tempo e stagione; preserva lo stomaco e si nel basso, una specie di doppio grembiule che scende le cosce dalle spine e dai rovi tanto comuni nei terreni sino ai ginocchi. Fatta di cuoio conciato e raso, questa poco coltivati; si presta facilmente ad ogni movimento; veste si indossa come i nostri panciotti, ma non deve resiste ad ogni tipo di strapazzo, è di lunga durata; ecco- mancare di una cintura che è necessaria per tenere a po- vi, credo, ciò che riscatta ampiamente l’unico difetto che sto le falde. La parte che poggia sul petto è più o meno si può trovare al collettu, la sua forma completamente scollata, a seconda delle zone: per il resto, la forma del sprovvista d’eleganza. collettu è uguale dovunque. Quanto al colore, è quasi Del resto, benché esso sia destinato ad essere solo un abito da lavoro, il lusso ha tuttavia trovato il modo di far- ne talvolta un oggetto di valore considerevole. Ci sono 29

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20 un corpetto probabilmente di velluto di seta verde scuro, con strette spalline, completamente ricamato d’oro a par- dei colletti di prezzo molto alto, sia per il tipo di pelle, te i pannelli centrali di forma triangolare; un’alta fascia di sia per il modo con il quale sono cuciti, sia, infine per i seta dorata stretta attorno alla vita copre la parte inferio- fermagli e i bottoni preziosi che vi si applicano».37 re del corpetto; un’ampia gonna scampanata, a pieghe, Riprendendo le considerazioni del La Marmora, Vittorio forse in seta blu broccata, con un’alta bordatura fittamen- Angius, nel Dizionario, conferma le caratteristiche di te ricamata con racemi dorati; grembiule color marron- abito nazionale dei Sardi e, apprezzandone vivamente le rossastro, pieghettato, di forma trapezoidale, che copre proprietà, ne depreca l’abbandono sempre più diffuso. tutta la lunghezza della gonna. Che, peraltro, ben prima degli anni Venti e Trenta del- Quest’abbigliamento, caratterizzato da una tipologia di l’Ottocento, il colléttu fosse considerato un indumento tessuti e dall’ornamentazione certamente non qualifica- antiquato si deduce da un passo di Pasquale Tola, il qua- bili come popolari, potrebbe comunque essere visto le per mettere in evidenza il carattere conservatore di come un prototipo delle forme vestimentarie adottate, Andrea Manca dell’Arca, l’autore di Agricoltura di Sarde- con varianti anche molto significative rispetto alla qua- gna, morto nel 1795, scrive: «Egli fu tenacissimo delle co- lità dei materiali e dei colori, in tutta l’isola, come par- stumanze antiche, non solamente nelle pratiche più co- rebbe confermare la presenza nel Nuorese di giubbetti muni della vita, ma perfino nella foggia patriarcale delle settecenteschi di analoga foggia, poi rapidamente supe- sue vesti; perlocché, disdegnando gli usi novelli, non ri- rati nel secolo successivo (figg. 222-223). trasse mai il piede dalle mura cittadine senza indossare il Il secondo documento è rappresentato da alcuni quadri collette di pelle di daino, sul quale non pertanto cinse conservati nella Parrocchiale di Borore e dedicati, come costantemente la spada e lo stocco di forme spagnuole: la chiesa, al martire sardo Lussorio. bizzarria invero molto strana, per cui una stessa persona Le opere furono presentate per la prima volta nel 1962 vedeasi rappresentare ad un tempo nel secolo XVIII gli da Giuseppe Della Maria39 come «la più importante docu- antichi sardi mastrucati di Cicerone e l’armadura caval- mentazione pittorica sull’antico costume isolano». In ef- leresca del paladino della Mancia così festivamente de- fetti in due dei sei quadri complessivi, alcune figure fem- scritto dall’arguto Çervantes».38 minili e maschili, fedeli che attorniano il Santo, assieme a Al di là di questi elementi, le attestazioni iconografiche varie altre in abiti tout cour settecenteschi, indossano in- nelle quali sono inequivocabilmente riconoscibili alcune dumenti “sardi”. fogge del vestiario “sardo” risalgono ai primi decenni del In particolare il dipinto (fig. 19), che reca alla base la di- Settecento. Si tratta di documenti ben noti agli studiosi dascalia Luxorio predicador …, mostra da sinistra verso dell’abbigliamento dell’isola: il primo è il Ritratto di Ma- destra due donne rivolte verso il martire: la prima, pre- ria Piras, agiata quartese, conservato attualmente nel sentata di spalle e col viso di profilo che guarda Lusso- Museo Parrocchiale di S. Elena di Quartu (fig. 17). La Pi- rio, ha il capo e il collo stretti da una benda bianca con ras indossa un abito di grande interesse per una serie di un lungo lembo ricadente sul dorso; un corsetto giallo elementi strutturali, cromatici, ornamentali, a un tempo oro, le cui spalle, piuttosto distanziate, sono tenute da di carattere aulico e popolare: una benda bianco-giallo- nastri, è sovrapposto a un indumento manicato color gnola cui è sovrapposto un manticello scuro; un giub- mattone; una cintura alta, a tre fasce, in tessuto rossastro, betto rosso di panno o più probabilmente di velluto di stringe in vita il corsetto e una gonna azzurra, scampana- seta, a girocollo, apertura centrale con bottoni e ricami ta con piegoni, ornata trasversalmente a circa un terzo dorati, maniche strette e chiuse accompagnate per tutta della sua altezza da una linea scura e al bordo da una la lunghezza da ricami d’oro, sovrapposto a una camicia stretta profilatura color grigio argento. bianca della quale si intravede solo un basso colletto e i polsini di pizzo pure bianchi; sul giubbetto è indossato 30

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Anche la seconda donna, di corporatura più robusta, è vista di spalle e col viso di profilo; dà la mano sinistra a un bambino che indossa una tunichetta bianca, attraver- sata da rigoni orizzontali alternativamente color verde e arancione, e scarpe chiare; sopra una cuffia celestina, con bordino rosso e merletto ricadente sulla fronte, la donna reca un fazzoletto bianco con i bordi di pizzo che scende a triangolo sulle spalle; un corsetto azzurrognolo con spalle tenute e regolate da nastri rossi, ma più rav- vicinate rispetto al corsetto prima descritto, è indossato su un giubbetto con maniche strette ornate da cinque bottoni, presumibilmente d’argento; una gonna copre in vita il corsetto: di color ruggine, essa ha forma a campa- na con pieghe a gheroni, simile alla precedente, e con bordo inferiore segnato da una trina bianca ad archetto; 21 20. Vittorio Emanuele, Duca d’Aosta, Ingresso a Cagliari di Carlo Emanuele IV e della Corte, 1779, acquerello su carta, Cagliari, Galleria Comunale d’Arte. 21. Ritratto di pescatore cagliaritano, ante 1880, foto d’epoca. L’immagine risale agli anni Settanta dell’Ottocento ed è opera del professor Giuseppe Luigi Cocco, fotografo dilettante con studio a Cagliari, tra i primi a partecipare alle Esposizioni internazionali con fotografie di costumi sardi. Questa ebbe particolare fortuna e diffusione; fu riprodotta in svariate cartoline e tra l’altro costituì il modello per la litografia del Dalsani, denominata Pescatore di Cagliari. L’elegante personaggio indossa il classico fez, copricapo troncoconico attestato in tutti i paesi del Mediterraneo; il cappotto serenìcu, capo di particolare pregio che veniva realizzato a Cagliari da una colonia di sarti greci originari di Salonicco, da cui il nome; giacchetta in raso di seta e gilet in tessuto operato a minuta fantasia, probabilmente anch’esso di seta; in vita fusciacca di seta operata; calzoni a tubo; scarpe a punta quadra sormontate da una grande fibbia d’argento. 22. Emma Calderini, Pescatore cagliaritano nel costume antico, 1934 ca., in E. Calderini, Il costume popolare in Italia, Milano 1934. 31 22

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23. Uomo di Sant’Antioco, 1914, fotografia di Vittorio Alinari. 28 L’anziano signore soggetto di questa celebre foto rende bene il senso di raffinata eleganza che, nei piccoli centri, spesso altra trina bianca, ma in forma di nastro liscio e stretto, caratterizza i ceti benestanti. percorre orizzontalmente l’indumento all’altezza del ter- zo inferiore; la gonna lascia intravedere delle scarpine 24. Atzara, anni Venti, fotografia di Alfredo Ferri. nere con tacco sottile color cuoio. La parte destra del dipinto mostra in primo piano delle 25. Atzara, anni Venti, foto d’epoca. figure maschili: ai piedi di Lussorio, che campeggia al centro della scena, un ragazzo, inginocchiato, indossa 26. Desulo, anni Venti, foto d’epoca. un indumento che potrebbe essere di cuoio, senza ma- niche, stretto in vita da una cintura nera, lungo tanto da 27. Brancaleone Cugusi, La cucitrice, 1937, olio su tela. coprire i fianchi; le braccia sono ricoperte da maniche rossastre, parte visibile dell’indumento indossato sotto la 28. Donne di Cabras al lavoro, 1927, fotografia di Max Leopold veste predetta; larghe brache nere, calzoni bianchi infila- Wagner, Berna, Istituto di Filologia Romanza “Karl Jaberg”. ti dentro uose pure nere, scarpe nere. Procedendo verso Entrambe le donne, sia la prima, impegnata nella cucitura o ricamo di destra, un uomo messo di spalle veste uno stretto giub- una camicia, sia la seconda, occupata nella realizzazione di un cestino, bino o farsetto azzurro, forse di velluto; un basso collet- portano fazzoletti, gonne e grembiuli di cotonine di provenienza to di pizzo fa intuire la presenza di una sottostante cami- industriale. cia; sulla spalla sinistra è adagiata una veste nera tenuta a bandoliera, con bordure rossastre e nappine nere sulla protuberanza sinistra della stessa che potrebbe essere o 35

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il cappuccio dell’indumento o un oggetto a parte, per stretta attorno al collo e al capo cui è sovrapposto un esempio un borsone; calzoni neri, lunghi al polpaccio, manticello, pure bianco; camicia chiusa all’altezza della con bordino color mattone alle estremità, caratterizzate clavicola con bottoncini e profilino di pizzo; farsetto da due piccole aperture triangolari; dei merletti a trian- bluastro, con leggera scollatura, apertura centrale a bot- golo fuoriescono dal bordo delle lunghe brache indican- toncini e profilatura rossa, maniche strette di color ocra, do che queste sono portate sopra calzoni bianchi di tela; con cinque bottoncini argentati; grembiule grigiastro, a calzature color cuoio, forse corti stivali. Queste brache ri- piegoni, forse fatto confezionare con un tessuto molto cordano quelle diffuse nel Sulcis Iglesiente e attestate in fine, come un velo, che assume il colore dell’indumen- molte zone della Spagna. Un’altra figura maschile, sem- to sottostante, una gonna di color blu scuro, quasi ne- pre presentata di spalle, indossa una corta giacchetta nera ro, con balza marroncina; scarpe nere a polacchina con svasata con spacco posteriore centrale piuttosto profon- tacco medio. do, alla cui estremità superiore pare poggiarsi la punta di Accanto alla figura appena descritta è ritratto un altro un cappuccio; brache nere che arrivano all’altezza del gi- personaggio femminile che indossa una lunga giacca ros- nocchio; calzoni di tela bianchi, infilati in uose nere; que- so scarlatto, assai scollata, accostata in vita, con manica a ste, che parrebbero recare un risvolto di pelle naturale ai tre quarti a frate, da cui fuoriesce ampiamente il pizzo bordi superiori, coprono la tomaia delle scarpe, appena molto ricco della camicia a manica larga; pizzo anche delineate, in pelle chiara. sulla scollatura della camicia, fodera e maniche con ri- Procedendo ancora verso destra, un altro personaggio si svolto color oro; veste intera color giallo oro con gonna distingue per un pastrano nero con breve spacco poste- molto ampia a piegoni cui è sovrapposto un corto grem- riore, uose analoghe a quelle appena descritte ma termi- biule bianco; calze azzurrine, scarpe bianche a punta con nanti al collo del piede, scarpe di pelle chiara, con falda tacco medio leggermente rientrato; la figura è caratteriz- apribile laterale. zata, inoltre, da una cuffia a sacco rossa, orecchini bian- Un altro dipinto (fig. 18), recante la didascalia Luchan- chi, forse di perle, girocollo a grani dorati cui è sospeso do Luxorio …, raffigura una donna con benda bianca un cordoncino nero che regge un pendente di corallo; in 29 30 36

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29. Uomo di Bortigali, ante 1882, foto d’epoca, 31 Roma, Fondo Enrico Hyllier Giglioli, Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini”. mano un ventaglio chiuso, ma che lascia intravedere le stecche chiare, tipo madreperla, e le pagine rosse. 30. Uomo di Sassari, ante 1882, foto d’epoca, Dunque indumenti maschili quali colléttu, ràgas, brache Roma, Fondo Enrico Hyllier Giglioli, Museo Nazionale larghe e nere lunghe fino al ginocchio, calzoni bianchi Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini”. di tela, gabbani e gabbanelle, e femminili quali bende e Le immagini sono di straordinario interesse per la storia corsetti, grembiuli, giubbetti, gonne che rimandano ine- dell’abbigliamento maschile sardo, in quanto fermano il momento di quivocabilmente alle tipologie vestimentarie sarde, so- passaggio dalle ràgas, il gonnellino tradizionale, ai pantaloni a tubo. pra definite.40 Nello stesso tempo alcuni accessori e or- I due indumenti, di fatto alternativi, in queste immagini appaiono namenti, quali il ventaglio pieghevole, gli orecchini di singolarmente insieme; ma il gonnellino, ridotto praticamente a una perle, le scarpe bianche a punta della figura femminile cintura con balza pieghettata, più che un indumento vero è ormai descritta, sono elementi che rimandano alla moda euro- solo una citazione, un segno della tradizione vestimentaria in corso pea del Settecento. d’abbandono. Sia in queste raffigurazioni di Borore sia nel dipinto di Quartu è presente la benda; se si considera che nel cita- 31. Contadine, Alghero, località I Piani, 1899, to atto notarile del 1236 si fa riferimento a due bende fotografia di Vittorio Sella, Biella, Fondazione Sella. sardesche di seta si ha la conferma del plurisecolare uso L’immagine offre un campionario delle camicie, delle gonne e dei di questo copricapo da parte delle donne della Sarde- fazzoletti di cotone largamente adottati nell’isola dai primi anni gna. I tre documenti afferiscono, peraltro, a zone diver- del Novecento. Le tre donne in piedi sul lato destro sono scalze, se dell’isola significandone la diffusione pansarda. come presumibilmente tutte le altre. Un altro elemento significativo di questi quadri è che tutti i dati che provengono dalle rappresentazioni del ci- clo pittorico di San Lussorio di Borore e dal Ritratto di 37

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32 33 di vellutto nero, giupone di panno scarlato con buttonie- ra d’argento, capotino corto di saurà finissimo, calze e 32. Tre donne di Ochagavia, Navarra, Spagna, con la gonna esterna calzoni d’orbaci, tutto vestito all’uso della Trexenta».42 posata sul capo per protezione contro la pioggia (traje de agua), Per quanto attiene al versante femminile le affinità del fotografia di Josè Ortiz Echagüe da España, Tipos y Trajes, sistema-base camicia, corpetto/giubbetto, gonna e grem- Barcellona 1933. biule con il costume europeo così come è andato confi- 33. Osilo, 1934 ca., fotografia di Renzo Larco. gurandosi ai primi decenni del Cinquecento appaiono 34. Giovane di Alija del Infantado, Leon, Spagna, fotografia ancora più evidenti. di C. Casado Lobato, in La indumentaria tradicional en las Desta sorpresa, in questi quadri, che tutti i personaggi Comarcas Leonesas, Leon, s.d. femminili portino le scarpe; ciò potrebbe indicare la loro Di particolare interesse per un confronto con il vestiario sardo appartenenza ai ceti agiati, oppure che l’uso delle scarpe il gilet con scollo squadrato, denominato armador. non fosse poi così raro come comunemente si crede. 35. Ragazza con mantiglia di Santa Elena de Jamuz, Leon, Spagna, Appare comunque più realistica la prima ipotesi, soprat- fotografia di C. Casado Lobato, in La indumentaria tradicional tutto se si tiene conto di quanto al riguardo viene ripor- en las Comarcas Leonesas, Leon, s.d. tato dalla letteratura dell’Ottocento e del Novecento. In questa direzione si colloca anche quanto riferisce l’An- Maria Piras di Quartu,41 mentre segnalano l’esistenza di gius riguardo alle scarpe delle donne di Dorgali, «le quali una clientela agiata, attenta alle variazioni e novità della aggiungono alla loro statura non meno di quattro centi- moda, nel contempo confermano che il sistema vesti- metri. Tanto sono spesse le suole. Le scarpe, che portò mentario sardo, maschile e femminile, che troverà forma nuove la madre quando fu sposata, le porta di poi la fi- compiuta nel proseguo del secolo e in particolare in glia sino a che il suo sposo ne le offra un pajo di nuove, quello successivo, è ormai chiaramente definito. Esso è che serviranno anch’esse all’altra generazione».43 più che mai distintivo delle classi popolari delle città e Un altro dato della particolare connotazione delle scar- dei ceti rurali, ancorché benestanti. pe quale elemento dell’abbigliamento popolare di parti- Un documento di prima mano, in questa direzione, offre colare pregio proviene da Nuoro: «Risulta che ancora un passo dell’autobiografia di Vincenzo Sulis, che descri- negli anni Trenta un bel numero di ragazze del rione di ve se stesso ventenne, e dunque nel 1778: «Vestito alla S. Pietro le quali, per un motivo o per l’altro, avessero sarda con ganceria d’argento nel collette di pelli, berretta dovuto recarsi al “centro” della città, fossero solite pro- cedere scalze e con le scarpe in mano fino al confine 34 35 rionale, rappresentato dalla Piazza S. Giovanni; qui le calzavano per poi riprenderle in mano al ritorno».44 Questi dati, peraltro, sono perfettamente in linea con quelli del resto dell’Europa che confermano come «la scarpa chiusa, fatta con cuoio e pelle per coprire e pro- teggere l’intero piede, era, in ogni caso, un lusso citta- dino».45 Lo sviluppo delle industrie tessili garantirà un’accessibi- lità fino ad allora preclusa a una serie di prodotti quali il panno, velluti di seta, damaschi, rasi, ecc. Numerosi testi di fine Settecento sottolineano la forte di- pendenza dell’isola per quanto attiene alla produzione di tessili di qualità accettabile dalle classi medio-alte e l’attenzione di queste ai dettami della moda europea. Ben noto è il passo de Il Rifiorimento della Sardegna di padre Francesco Gemelli: «Vestono dunque i Sardi, abi- tano, vivono, nelle città almeno, sul fare delle colte na- zioni d’Europa, ma pressoché tutto accattano dall’estero … Consideriamo l’abbigliamento dei Sardi di condizione tanto civile che rustica, e rileveremo che nel regno non havvi alcuna fabbrica che provveda da vestirsi, se si ec- cettua l’informe manifattura che dà il sajo ai religiosi Cappuccini … volere d’altronde impedire la introduzio- ne delle merci e manifatture straniere di comodo e di lusso, sarebbe lo stesso che obbligare i Sardi all’uso del- le pelli e delle mastrucche».46 Una situazione che circa cinquant’anni dopo risulta note- volmente diversa se si considerano le sempre attendibili 38

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notizie dell’abate Vittorio Angius relative all’organizza- 36 zione economica e sociale dei diversi centri isolani. Esa- minando le pagine dedicate a Cagliari si apprende che vi operano, tra i “Sartori”, «Mastri 53. Garzoni 40, discen- ti 25, 30 Sartrici e 6 Modiste»; tra i “Sartori alla sardesca” «mastri 45, garzoni 20, discenti 12». Viene inoltre segna- lata l’attività di 13 “Officine di cappottari greci”, per complessivi 50 uomini – nonché dei seguenti scarpari: «di lavoro gentile 80, garzoni 60, dis. 70, di lavoro gros- solano mastri 20, garzoni 22». L’abate Angius segnala anche la presenza di 15 botteghe di stoffa e due importanti manifatture attinenti al vestia- rio, la fabbrica di cotoni e quella delle berrette; la pri- ma «consta di più di 170 telai distribuiti per la città. La filatura fu ridotta a sette da 25 macchine, che in addie- tro erano impiegate: la tintoria a poche persone. I tes- suti sono bordati, bordatini di diversi colori all’uso di Genova, tele crude, fanfare all’uso di Malta e altre varie stoffe. Per le quali robe erano già solite estrarsi non piccole somme. I depositi sono in Cagliari, Sassari e Al- ghero: il prezzo batte con quello delle consimili di Ge- nova. Dal marzo 1834 al febbrajo 1835 sono state lavo- rate pezze di cotone 1423 della distesa di palmi sardi 216 caduna con l’opera di 277 persone. Indi crebbe il numero dei lavoranti sino ai 400».47 Di estremo interesse risultano i dati sulla seconda mani- fattura, quella delle berrette: «Sono riuniti i soli cardatori: le filatrici e altre operaie lavorano a casa. I manofatti reg- gono alla concorrenza con l’estero, e n’è grande lo smer- cio in tutta l’isola, dove se ne vestono circa 190,000 teste, e se ne comprano annualmente non meno di 150,000. Non bastando ancora al bisogno i suoi prodotti possono alcuni piccoli fabbricanti impiegarsi nella stessa manifat- tura, e devono alla sufficienza importarsene dall’estero. Da queste due fabbriche venne a circa un migliajo di persone un mezzo di sussistenza». Dunque, nelle prime decadi dell’Ottocento, a Cagliari tra sarti per una clientela borghese e abbiente, sarti per le fogge tradizionali e cappottari greci si supera il numero di 100 unità; si producono vari tessuti di cotone e ber- rette; l’Angius calcola che nell’isola le berrette vestono 36. Anziani di Avila, Castiglia, Spagna, fotografia di Josè Ortiz Echagüe 37 da España, Tipos y Trajes, Barcellona 1933. 190.000 teste e che essendo insufficiente la produzione 37. Donne di Ibiza, Isole Baleari, Spagna, fotografia di Josè Ortiz isolana si provvede ad importarle. Echagüe da España, Tipos y Trajes, Barcellona 1933. Altrettanto preziose risultano le notizie dell’Angius su Sassari: esse forniscono un quadro assai simile a quello 38. Donne di Nuoro, 1914, fotografia di Vittorio Alinari. di Cagliari circa la distinzione tra sarti d’arte grossa e di Gli abiti delle due donne sono propri delle nubili benestanti del arte gentile. I primi producono «vesti sardesche, bracche, primo Novecento. Una delle due porta la gonna di orbace sollevata calze, borzacchini, giubbette, e principalmente gabbani e posata sulla spalla sinistra; ciò consente di mostrare la gonna e gabbanelle»; sono ormai pochissimi in quanto sostituiti sottostante in cotone. L’abitudine di portare la gonna d’orbace, tùnica, da «donne de’ paesi vicini, principalmente d’Osilo, che sulle spalle per proteggere la balza di seta dell’indumento assieme al presero domicilio nella città», mentre i secondi, numero- corpetto e al giubbetto in caso di pioggia, nonché l’uso di sovrapporre sissimi, lavorano «vesti da uomo nelle fogge francesi» più gonne, è documentato da vari autori fra cui Grazia Deledda, giovane “folclorista” di Tradizioni popolari di Nuoro. 39. Giovane coppia di Iglesias, 1914, fotografia di Vittorio Alinari. Da segnalare il grande manto di chiara impronta iberica e mediterranea, la raffinatezza della bordatura in velluto e dei ricami del soprabito a cappuccio del giovane. 39

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avendo tra l’altro alcuni di essi appreso l’arte «nelle più 40 celebri botteghe di Francia e d’Italia». L’Angius segnala anche l’esistenza in città di alcuni depositi di vesti sar- 40. Donne di Roncal, Navarra, Spagna, fotografia di Josè Ortiz de destinate a clienti di Genova e Torino, essendosi Echagüe da España, Tipos y Trajes, Barcellona 1933. diffusa in molti luoghi della terraferma «la moda del panno sardo forese»; nel contempo sottolinea che «in 41. Lanusei, ante 1882, foto d’epoca, Roma, Fondo Enrico Hyllier altro tempo erano in Sassari non pochi che cucivano e Giglioli, Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini”. ricamavano i bei coietti, che vestivano i contadini e al- tri uomini della plebe». Alcuni “sarti gentili” inoltre ven- 42. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Iglesias, 1878, dono anche «robe di uso comune, che si fanno venire litografia a colori, in Il Buonumore, Cagliari 1878; Cagliari, coll. Piloni. dalla Francia, e hanno magazzini di tutte sorte di ve- stiario civile. Si numerano 40 botteghe in circa con più 41 di 100 lavoranti, 60 garzoni e 40 donne. Le maestre di vestiario civile e signorile non sono meno forse di 50. Di modiste di prima classe, che lavorano per le elegan- ti, secondo i figurini della moda francese, se ne conta- no non meno di sei».48 Giovanni Maria Seche, poeta di Ittiri, morto nei primi an- ni del secolo XIX, nel componimento No hamus fradeli- dade, risalente alla fine del Settecento, lamenta l’assenza di comprensione e rispetto da parte dei ceti benestanti del paese nei confronti della povera gente rea di aver nominato priore della festa il contadino Antonio Virdis. Il testo, mentre informa che i maggiorenti hanno preso in odio l’orbace e chi lo indossa perché appartenente al po- polo “minuto”, mette in evidenza come i termini “orba- ce” e “popolo” fossero di fatto sinonimi: «… e i sos cava- glieris e gosinos / de su nostru paesi / a dispressiu tenene su fresi / e i sos furesados, / essende ch’issos si che sunt in- trados / in cussa estimenta, / e a nois lu dana pro affren- ta / ca furesi jughimus, / e in issos de fresi nde idimus, / e fatt’a longarinas / calzettas e calzones, casacchinas / giu- bittas e cabbanos, / non si distinghent dai passamanos / in cant’e a sos pannos …».49 Si può ben capire quindi come l’abbandono dell’orbace, quale materiale tessile proprio dei ceti popolari dell’iso- la, finisca per simboleggiare un momento di trasforma- zione epocale, che viene efficacemente testimoniata dai componimenti dei poeti popolari e dai proverbi. Tra questi si ricorda il ben noto Mezus andare dai su fresi a su pannu, qui non dai su pannu a su fresi, cui, oltre al- l’ovvio significato “meglio partire da una bassa condizio- ne per raggiungerne una più alta” può attribuirsi quello secondo il quale è “meglio andare verso il futuro piutto- sto che ritornare verso il passato”.50 Il quadro che si delinea chiaramente agli inizi dell’Otto- cento è dunque quello d’una forte dipendenza esterna per quanto attiene ai tessuti e alle fogge di moda, cui si associa una sempre più netta distinzione tra abbiglia- mento delle classi borghesi e urbane rispetto a quelle popolari e rurali. Esso vede da un lato un mercato interno di produzione domestica e di vendita per i paesi di orbace e lino, tes- suti di base per la confezione del vestiario “alla sarda” dei ceti popolari, in parte affidata a sarti in parte ese- guita in casa; dall’altro un mercato elitario, prevalente- mente attivo nelle città, di tessuti di qualità provenienti 42

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dal continente italiano e non, ceti in grado di seguire 42 tutte le novità della moda italiana ed estera. Un quadro destinato a subire un rapido mutamento per gorio, tutta una tavolozza, la più ricca, la più abbagliante l’immissione sul mercato d’una inusitata varietà di pro- che vedere si possa». dotti dell’industria tessile europea accessibili perfino alle Ma anche un osservatore interno alla Sardegna e in qual- classi popolari, che per la prima volta fruiscono anche che modo portatore del punto di vista popolare, quale il di un catalogo di colori tradizionalmente precluso. Co- poeta Giuseppe Zicconi di Tissi, dà testimonianza di me mette in evidenza Roberta Orsi Landini, storicamen- un’offerta di tessuti, indumenti e accessori particolarmen- te «i toni intensi, brillanti, saturi, propri dei drappi più te variegata. Nella poesia Chie cheret comporare elenca belli, non significavano solo bellezza, ma erano un se- la ricca mercanzia di un merciaiuolo (zanfarajólu) mali- gno ulteriore di status. I colori ricchi, cioè ottenuti da zioso, attraverso l’invito all’acquisto rivolto principalmen- coloranti pregiati, come la porpora o il kermes, erano te a clienti femminili, siano esse da marito, vedove o nu- stati sempre riservati alla maestà, quella umana rappre- bili; se ne può estrapolare un dettagliato campionario di sentata dalla figura dell’imperatore o del re, quella divi- tessuti e indumenti: «… panni nuovi, di diverse qualità, na impersonata dalle più alte gerarchie ecclesiastiche, portati da fuori …, panni di seta e di lana, coltri di bam- che nel rosso vedevano il colore del sangue di Cristo. Ai bagia e di tela indiana, … pelli di camoscio e di volpe poveri era riservata la vasta gamma dei bruni e dei mez- conciate e col pelo, e cordoncini di seta e di filo, stoffe zi toni, l’opacità della ruvida lana, il colore sporco delle fibre grezze. Sarà l’Ottocento, con la scoperta dei colo- ranti chimici, con la produzione meccanizzata di tessuti a buon mercato, a regalare alle classi meno fortunate, con la possibilità di abiti colorati e diversi a seconda della stagione, la gioia di avere infranto un rigido sche- ma nella secolare gerarchia delle apparenze».51 Se non l’adozione di «abiti colorati e diversi a seconda della stagione», certamente l’immissione dei tessuti indu- striali determina in ambito popolare la possibilità di sce- gliere combinazioni cromatiche e materiche nuove e di effettuare interventi innovativi soprattutto nella direzio- ne di un forte, vistoso arricchimento ornamentale che fi- nirà per caratterizzare il vestiario popolare femminile, e per taluni aspetti anche quello maschile, degli ultimi de- cenni dell’Ottocento. E infatti i testi degli autori dell’ultimo trentennio del se- colo (von Maltzan, Mantegazza, Corbetta, Vuillier, ecc.) registrano lo splendore e la ricchezza degli abiti delle classi popolari, ammirandone enfaticamente l’origina- lità, l’armonia cromatica e la bellezza “antica e fiera” delle donne che li indossano, e individuando le ragioni di queste qualità non tanto nelle innovazioni recenti ma nella immodificata persistenza delle loro caratteristiche antiche dovuta al «poco progresso e alle poche comuni- cazioni». E, in realtà, doveva essere uno spettacolo notevole quel- lo che a fine Ottocento poteva pararsi davanti al viaggia- tore che, dopo un faticoso trasferimento, fosse capitato nel bel mezzo di un corteo nuziale o di una processione religiosa di un qualsiasi paese della Sardegna, come, per esempio, la Nuoro descritta dal Corbetta: «Bisogna ve- derle, le donne, in giorno di festa recarsi alla chiesa, o starsene accoccolate per terra oziose davanti alla porta delle loro case. I broccati, gli sciamiti, i velluti, i panno- lani scarlati, azzurri, verdi, i ricami in oro ed argento, i bottoni pendenti a catenelle, o lucidi o a filigrana pure d’oro o d’argento, gli sparati delle camicie candidissime a minutissime pieghe, le fettuccie, i fronzoli svolazzanti d’ogni colore, costituiscono delle vesti muliebri uno sfol- 43

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per far fodere, aghi, spilli, Questi manufatti, eseguiti su migliaia di telai rudimenta- pettini in corno, … catenelle, li operanti in tutta l’isola (4134 nella sola Barbagia), già bambagia, pizzo, nastro e ber- da tempo non rispondevano più alle esigenze dei ceti rette di buon taglio … / Perché le sociali più elevati, specie di ambito cittadino; che, infat- acquistino le ragazze da marito, ti, seguivano pienamente le vicende della moda conti- … seta e lane di vari colori; per nentale italiana e straniera. Al riguardo così scriveva, tutte quelle che sono al pri- nei suoi Souvenir d’un séjour en Sardaigne (1827), il Marchese di Saint-Severin: «Quant aux autres habitants, mo amore raso, stoffa, seta, hommes et femmes, qui ne portent pas le costume natio- gorgorano, panno scarlatto, nal, ils sont habillés a la française: tels sont les habitants stoffa di Torino, broccatello des villes, excepté le petit peuple; encore une portion de dorato, grisetta azzurra alla celui-ci fait des innovations dans son habillement en fa- moda loro, la saietta e il veur du costume européen; par exemple, ils adoptent nos tessuto di lana, panni di la- gilets. Les Sardes aiment l’élégance dans les divers costu- na di poco costo a seconda mes. On en trouve dans l’accoutrement national moder- della richiesta, ermisino, saia nisé, si l’on peut ainsi s’exprimer; mais dans les condi- stampata, sempiterna verde, tions plus élevées, il y a du luxe même. Des marchands cremisi e rossa, poi collane da partent annuellement pour Lyon et Beaucaire, et vont portare al collo, sei soldi al fi- choisir les étoffes et draps à la mode de tous les genres; et lo, nastri e pizzo per il seno e outre cela, tous les articles de mode déjà ouvrés. Les le spalle … scarpe con i lacci, hommes aisés des villes sont aussi élégants qu’on l’est e calze di Savona e di lanetta, dans les villes d’Italie. Les dames et les artistes recoivent di cambrich e mussolina, seta d’ailleurs à Cagliari le Journal des modes parisiennes. rossa, bianca e color arancio, Parfois, des petits maîtres qui vont au continent, rappor- … camicie di pregio … / Di tent le suprême bon ton de Milan à Cagliari; de sorte panni per le vedove … c’è qu’en fait d’élégance, on n’a presque rien à désirer dans lana color del gelso e nera, cette dernière ville, et par suite dans les autres villes de Sardaigne».53 tessuto per copricapi … / A Ciriaco Antonio Tola, poeta bittese, si deve la com- … alcune vedove e nu- posizione A su butecariu e a su giuighe mandamentale bili trovano tutto quel nella quale viene sbeffeggiata la mania di tessuti d’im- che vogliono, panni portazione e di abiti di foggia straniera, in particolare parigina.54 43 fini di lana … panno Quando la domanda di tessuti di produzione industriale, scuro di Russia».52 certamente superiore a quella sarda per finezza e va- rietà, non restò più limitata ai signori delle città, come Fino agli anni Settanta dell’Ottocento le note – ancorché descritto dal Saint-Severin e stigmatizzato dal poeta To- generiche quale quella sopra riportata – sulla presenza la, ma divenne generale, il sistema produttivo della tes- di pizzi e di ricami nel vestiario isolano sono assai scar- situra tradizionale domestica entrò in crisi e a partire da- se: neppure le voci compilate dall’abate Vittorio Angius gli anni Sessanta si verificò un abbandono generalizzato per il Dizionario del Casalis, che rappresentano un rife- dei telai, inizialmente nei centri più importanti, quindi in rimento insostituibile per ogni ricerca sulle condizioni quelli minori. economiche e sociali della Sardegna della prima metà Pare allora naturale ritenere che, non più impegnate in dell’Ottocento, contengono notizie di una qualche con- quella che per secoli aveva rappresentato la forma più sistenza. importante di industria domestica femminile, con non Eppure l’Angius, relativamente ad un altro settore del la- trascurabili risvolti economici, le donne sarde abbiano ri- voro femminile, la tessitura, aveva dimostrato una rara volto le proprie potenzialità lavorative verso la produzio- precisione documentativa arrivando a elencare pratica- ne di pizzi e ricami per l’abbigliamento e le telerie do- mente paese per paese il numero dei telai in attività, la mestiche. quantità e il tipo dei tessuti prodotti e le loro finalità Un tipo di lavoro fino ad allora tradizionalmente riserva- d’uso. Ciò considerato, la generale, ancorché non asso- to ai ceti elitari venne pertanto ad assumere connotazio- luta, assenza di dati sui pizzi e ricami potrebbe sempli- ne popolare; un fenomeno simile è stato registrato da cemente significare che fino alla prima metà del XIX se- Jane Schneider in un saggio relativo alla Sicilia della fine colo la loro produzione fosse molto modesta e il loro dell’Ottocento: «Il rapidissimo declino della filatura e del- uso prerogativa del ceto urbano medio-alto. Probabil- la tessitura domestica liberò da questi lavori quel nume- mente si potranno individuare le ragioni che nei decenni ro di ore che rese poi possibile a delle contadine e a successivi avrebbero determinato il generale diffondersi delle artigiane l’emulazione delle élites».55 della produzione e dell’uso di pizzi e ricami a livello po- polare, esaminando le ulteriori vicende della produzione domestica delle tele di lino e dell’orbace precedente- mente tanto ben documentate dall’Angius. 44

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44 Analoghe considerazioni svolgeva, in uno scrit- to del 1913, il canonico Francesco Tolu Liperi, relativamente al caso di Osilo: «Smessa quasi del tutto la filatura del lino, posto che con molta facilità si può avere preparato con filatura a mac- china, e pronto per la tessitura, tutta l’attività si è ri- volta alla lana, che si fila e si tesse a casa. Vi sono le tessitrici professioniste, e vi sono quelle che tessono esclusivamente per conto della propria famiglia. Ma an- che qui abbiamo un notevole ribasso; mentre ai tempi in cui scriveva il Casalis, si avevano in Osilo novecento telai dei quali cinquecento in attività, oggi i telai non rag- giungono i trecento cinquanta di questi men che cento cinquanta lavorano per metà d’anno, i restanti si agitano all’occorrenza, secondo le necessità domestiche. Que- st’abbandono della tessitura viene spiegato col difficile 43. Abito antico di gala, Ibiza, Isole Baleari, Spagna, anni Venti Madrid, Museo del Pueblo Español. Il traje de gala di Ibiza, abbandonato alla fine del secolo XIX, è rientrato nell’uso alla fine degli anni Venti del Novecento, sull’onda di un fenomeno di revival che all’epoca interessò molti aspetti della cultura popolare spagnola. Si tratta di un abito caratterizzato da una larga gonna plissettata, con bordo in seta bianca, unita in vita a un corpetto di velluto di seta operata: una foggia assai poco diffusa in Spagna che trova una parentela con le basquiñas di Ansò, nell’Alta Aragona e, in Sardegna, con lo scarramàgnu di Orani. 44. Donne di Orani, 1939 ca., in Le Vie d’Italia 1939. 45. Costume di gala, scarramàgnu, Orani, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. Quest’abito si distingue per il corpetto cucito alla gonna, non presente in nessun’altra veste tradizionale dell’isola, ad eccezione di quella di Fonni, e per il particolare tessuto della gonna formato da ordito in canapa e trama a vista in lana bruno-nera. Questi elementi la associano al traje de gala di Ibiza. 45

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collocamento dell’orbace, che per quanto rinomato per di tessuti d’importazione particolarmente morbidi e fini, la sua finezza ed accuratissima confezione, tale da ga- quali i gros, i damaschi e i velluti di seta, adatti dunque a reggiare col casimiro non si sa dove collocarlo vantag- ricevere i sontuosi ricami in filato di seta, d’oro e d’ar- giosamente, ed anche col mutar dei costumi donneschi gento; dall’altro all’influenza delle scuole di ricamo e di che si sono oltremodo ingentiliti, molte donne credereb- cucito che fanno proprie alcune figurazioni ornamentali bero umiliarsi esercitando la professione di tessitrice; il diffuse dalle riviste dedicate alle “arti femminili”. ricamo ed il cucito hanno preso il sopravvento; l’ago ha Al riguardo l’Angius segnala l’attività delle orfanelle del ammazzato la spola. Mancata la tessitura e la filatura che conservatorio della Provvidenza di Cagliari che com- dava risorse non indifferenti le donne osilesi si gioche- prendeva lavori di ago e di spola (bordati, bindelli di relleranno coi ricami e coi pizzi, e finiranno per poltrire, seta, calzette), la filatura della seta tratta da bozzoli sar- non potendo, per il disuso, sostituire con altri lavori pe- di e la filatura delle gnacchere, per la produzione del santi quello già smesso. Dapprima la donna osilese ba- bisso: «Nel 1834 erano in esercizio telai 24 per li bordati stava per se, ora sarà un parassita dell’uomo».56 Ricami dello stabilimento della fabbrica sopra descritta dei co- con filati policromi – generalmente di seta, ma anche di toni, altri per la seta, fazzoletti, coperte, nastri, calze, cotone e, più raramente, di lana – vengono eseguiti sui due macchine quasi alla jaquard, e gran copia di altri più diversi tipi di tessuti utilizzati per la confezione del minori istromenti». Analogamente, a Sassari, in un orfa- vestiario tradizionale: dall’orbace (gonne, giacche, grem- notrofio «si insegna da una maestra la filatura e tessitura biuli, uose, cappotti) ai panni di lana (giubbetti, gonne, in lino, lana e seta, con telai migliori de’ sardi, la cuci- cappe, grembiuli, ecc.), ai damaschi, gros, velluti e taf- tura, la maglia, il ricamo, la composizione de’ fiori».58 fettà di seta (giubbetti, corpetti, fazzoletti, scialli, gonne, Nell’ambito dei ricami a motivi figurati rientrano anche ecc.), ai velluti di cotone (giubbetti, corpetti, ecc.). Il ri- le decorazioni accurate ed eleganti delle larghe cinture camo policromo, inoltre, orna le larghe cinture di cuoio maschili di cuoio diffuse nell’area della Sardegna centra- particolarmente diffuse nella Sardegna centrale, nonché le e delle Barbagie (Desulo, Ollolai), e i fastosi orna- le scarpe femminili di gala di svariate località, talvolta ri- menti in fili d’oro e d’argento dei capi di un gran nume- vestite di velluto, di damasco o di seta. ro di località dell’isola (giubbetti di Ploaghe, Sennori, Ricami e pizzi in bianco con filati di lino e cotone sono corpetti di Ploaghe, Nuoro, Ittiri), frequentemente uniti presenti su camicie, grembiuli, veli in tela di lino e di a motivi ottenuti con canutiglie, lustrini o perline; come cotone e in tulle. pure alcune trine in filo d’oro e d’argento, realizzate a Le decorazioni possono essere grossolanamente distinte fuselli, di diversi indumenti usati nel meridione dell’iso- in geometriche e figurate. la: a Cagliari decorano la mantìglia di panno rosso affe- Le prime sono comunemente ritenute le più antiche e rente al costume di gala de sa panattèra.59 proprie dell’isola, in conformità ad una tendenza secolare Ma soprattutto sulle camicie, femminili e maschili, in tut- dell’ornato sardo verso l’astratto e l’aniconico;57 e sebbene ta l’isola, anche se in misura e qualità differenti da zona certamente preesistenti al periodo in esame esse vanno a zona, appaiono le forme più impegnative e raffinate incontro a un arricchimento cromatico e delle tecniche dell’arte del merletto ad ago e del ricamo in bianco: pur esecutive: comprendono i vari rombi, triangoli, greche, nella diversità di foggia – lunghissime fino ad intrave- cerchi, linee presenti soprattutto nel vestiario delle Barba- dersi sotto il bordo inferiore della gonna o tanto corte gie e del Nuorese; sono spesso collocate sui bordi e sulle da coprire appena la vita; divise verticalmente in due giunture di un tessuto o di tessuti diversi, talvolta eviden- parti simmetriche o completamente chiuse fino alla scol- ziando, talvolta ammorbidendo i passaggi tra diversi colo- latura; con colletto alto o praticamente inesistente – pre- ri e materiali e, probabilmente, svolgendo, specie nel ca- sentano collo, petto e polsi ornati da pizzi o ricami in so del supporto d’orbace, anche una pratica funzione di bianco che variano a seconda delle destinazioni d’uso e rinforzo e di appiattimento delle cuciture. delle risorse economiche dei proprietari. Tra gli indumenti cui le decorazioni geometriche conferi- Particolare pregio e raffinatezza caratterizzano la lavora- scono una particolare caratterizzazione si possono ricor- zione delle camicie femminili delle Barbagie, delle Ba- dare il grembiule da sposa nuorese, la gran parte di ronie e del Nuorese, tanto da risultare frequentemente il quelli femminili di Desulo (cappuccio, grembiule, giub- capo più prezioso dell’intero costume. Sempre ampie, betto) e di Orgosolo (giubbetto di panno rosso, grem- di tela di lino o di cotone, erano contraddistinte dal cò- biule con grandi fiori – crochi – stilizzati, detti lìzos, che ro, descritto con precisione dalla Deledda “folklorista”: spiccano sul fondo nero di raso di cotone o di lana fine). «Alle camicie femminili si fa il cuore (“su coro”) come si Alla categoria dei motivi figurati vanno ascritti i disegni eseguisce anche in talune camicie maschili. Questo cuo- riproducenti fiori, racemi, tralci di vite, grappoli d’uva, re è una specie di ricamo ad ago sulla larga increspatu- cornucopie, uccelli, ecc., che ornano giubbetti, corpetti, ra (“sas ispunzas”) che raccoglie l’immenso volume del- gonne, grembiuli, scialli, cappe, fazzoletti indossati in la tela sul collo e sui polsi».60 Nell’ambito maschile si svariate località dell’isola (tra le tante si citano Osilo, Sennori, Oliena, Nuoro, Dorgali, Ittiri, Atzara, Busachi). 46. Paesano sulla soglia di un portale gotico, Abbasanta, 1927, La loro diffusione è da connettere da un lato all’adozione fotografia di August Sander, Archivio A. Sander. 46

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47 48 49 preferisce opaca, accollato con maniche lunghe … av- volto da un amplissimo velo di tulle o di trina»,62 trova evidenzia l’introduzione a Teulada della camicia caratte- pronto accoglimento presso le famiglie borghesi delle rizzata dal lavoro detto pùntu a bródu, piuttosto costosa, città sarde; dai ceti popolari, che non possono permet- componente indispensabile dell’abito di nozze degli uo- tersi un abito da utilizzare una sola volta, riceve un cen- mini teuladini. no d’attenzione attraverso questi veli, sciarpe e grembiu- Infine, questi anni vedono la grande diffusione di veli, li di tulle, che vanno ad associarsi simbolicamente alle grembiuli, pettorine e sciarpe di tulle ricamati in bianco già affermate bianche bende nuziali nuoresi. Continua su bianco con motivi riproducenti fiori, rami fioriti, frut- cioè a permanere la concezione dell’abito nuziale fem- ti, grappoli d’uva. Questi indumenti si adottano soprat- minile come investimento da realizzare in tempi lunghi, tutto a Cagliari, Assemini, Monserrato, Fluminimaggiore, diluendo la spesa onerosa nel corso di vari anni e riser- Capoterra, Iglesias, Muravera, Oristano, Cabras, Busachi, vando tale impegno per un manufatto non troppo con- Milis, Meana, Paulilatino, Seneghe, Orosei, Silanus. dizionato dagli effimeri dettami della moda e soprattutto Probabilmente una così ampia diffusione dei veli e dei utilizzabile successivamente come abito di gala.63 grembiuli di tulle, ma anche l’importanza assunta dalle La fine dell’Ottocento vede l’affermarsi del fenomeno candide camicie, conseguono all’affermazione dell’abito dei concorsi (Sassari 1896, Cagliari 1899), volti a diffon- bianco nuziale nelle principali città europee, quale ri- dere l’artigianato sardo in generale e, dunque, anche i mando simbolico al candore e alla purezza virginale lavori femminili del cucito e del ricamo, associati a pre- che avrebbero dovuto caratterizzare la donna davanti al mi per i costumi. Queste manifestazioni diventano effi- sacramento matrimoniale; connotazione simbolica pe- caci veicoli di promozione delle novità e delle capacità raltro già presente in diverse cerimonie religiose della inventive di abili sarte e ricamatrici. chiesa cattolica fin dal secolo XVI.61 La moda dell’«abito di seta bianca, che per finezza si 48

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A questo proposito risulta illuminante un passo del Tolu 50 Liperi tratto dalla già citata monografia su Osilo. L’autore, riferendosi ai mutamenti intervenuti nel vestiario femmi- 47. Maria José e Umberto di Savoia presenziano alla Cavalcata sarda, nile, scrive: «La terza foggia, l’attuale, che ha raggiunto le Sassari, 1939, foto d’epoca. alte vette della gloria colla rinomanza, trionfando nelle gare, nei concorsi, negli album e nelle esposizioni, è un 48. Cavalcata sarda, Sassari, seconda metà anni Cinquanta, portato della evoluzione del secondo costume, svoltasi foto d’epoca. da un trentennio a questa parte. Ormai il panno scarlatto comincia a rannicchiarsi negli angoli più poveri, smet- 49. Coppia di Sennori a cavallo, Sassari, Cavalcata sarda, 1999, tendo la sua audacia, e lasciando il campo al trionfante fotografia di Franco Ruju. terziopelo, vale a dire velluto in seta, finissimo e costo- sissimo, che va dalle sei alle sette lire al palmo, cioè dal- 50. Tràcca di Quartu S. Elena, Cagliari, sfilata di S. Efisio, le 25 alle 30 lire al metro … La gallona è andata ogni an- fine anni Novanta, fotografia di Franco Ruju. no più aumentando larghezza e ricchezza. La gonnella è per metà tempestata di ricami in seta; ed anche questo 51. Gruppo folk di Bauladu, Cagliari, sfilata di S. Efisio, ricamo subisce la sorte della stoffa, assoggettandosi a mi- fine anni Novanta, fotografia di Franco Ruju. nutissime pieguzze, eleganti e flessuose … Le camicie portano al collo e al petto magnifici e finissimi ricami in 52. Gruppo folk di Desulo, Nuoro, sfilata del Redentore, 2001, bianco, che ormai quasi tutte le fanciulle sanno eseguire, fotografia di Franco Ruju. perché hanno sostituito l’ago sottile, al rozzo fuso, ed al rozzissimo telaio … I veli del capo alla tela han sostituito 53. Gruppo tenores di Oliena, Oliena, Cortes apertas, 1999, fotografia di Franco Ruju. 54. Costume di Dorgali, Bitti, Su Meracolu, 2002, foto di Franco Ruju. 55. Costume di Ollolai, Sassari, Cavalcata sarda, 1999, fotografia di Franco Ruju. 56. Costumi di Bitti, Nuoro, sfilata del Redentore, 1999, fotografia di Franco Ruju. 49

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finissimi tessuti di battista e Giaconetta, tele traforate e del vestiario dei pastori di Villanueva de Aezcoa, in Na- tramezzate con un’infinità di variazioni, inventate dalla varra, si ritrova l’orbace della Sardegna; così come nelle fantasia delle fanciulle … I busti hanno ricami d’oro fi- gonne nere e plissettate delle donne di Ochagavia (ma nissimo, con delle pettiere di stoffe ideali; in sostituzione anche di Sepulveda, in Castiglia) che si usava sollevare del noioso nastro, che per delle ore intiere teneva occu- fino a coprire le spalle e il capo a difesa dalla pioggia pate le fanciulle onde finire l’abbottonatura».64 (figg. 32, 36); consuetudine diffusa e ampiamente docu- In realtà anche la produzione di pizzi e ricami – perlome- mentata nel Nuorese e in tante altre parti della Sardegna. no di quelli destinati all’abbigliamento – andava incontro E, ancora, l’abito di gala delle donne di Roncal (fig. 40) a un rapido declino. A partire dal primo dopoguerra del appare tanto simile a quello delle donne di Iglesias. Le Novecento, si registra, infatti, non più un processo di camicie delle donne di Aliste, in Zamora, con i loro rica- adattamento di fogge, colori e materiali, ma un sistemati- mi variopinti richiamano quelle di Desulo e Ollolai, e co e generale abbandono dei diversi indumenti maschili quelle dell’Alta Aragona, per il sistema di pieghettatura, le e femminili che formavano la struttura fondamentale del camicie di Ploaghe e Settimo S. Pietro. I colli delle cami- vestiario tradizionale, a favore dei modelli comunemente cie maschili di lino, con ricami in bianco, dei territori del adottati in tutto il Continente. Bajo Orbigo e della Valderia appaiono identiche a quel- Sul versante maschile si registra l’abbandono sempre le del vestiario tradizionale di Teulada, Pula, Samugheo. più massiccio di alcuni elementi del vestiario tradiziona- I corpetti maschili di panno, ricamati con motivi floreali le, quale il colléttu e, tra gli indumenti d’orbace, in parti- in seta policroma di Val San Lorenzo, nella regione della colare le ràgas, sostituite da calzoni a tubo di panno e Maragatería, richiamano vivamente quelli del vestiario di fustagno. In questo senso fa sorridere e insieme com- maschile di Samugheo, Atzara, Aritzo, ecc. (fig. 34). Il muovere l’immagine fotografica dell’uomo di Bortigali manto delle donne della Salamanca presenta la stessa for- (fig. 29), realizzata negli anni Settanta dell’Ottocento, ma di quelli di Osilo e dell’Ogliastra, di Ollolai e Gavoi. che sui calzoni a tubo indossa un gonnellino che è po- Le analogie riguardano anche i motivi ornamentali di co più che una striscia di tessuto pieghettato: una me- tanti accessori: le cinture maschili della Maragatería mo- moria, una “citazione” delle ràgas. strano le decorazioni floreali di tante chintòrjas barbari- Su queste forme, epilogo del frammentato processo di cine; i pizzi a fusello, con motivo a ventaglio, presenti trasformazione fin qui delineato, si riversa l’infinita quan- nelle mantillas di alcuni abiti di gala maiorchini sono tità di testi, disegni, stampe, fotografie, cartoline di fine identici a quelli della cappa dell’abito detto de sa pa- Ottocento: documenti probatori, che fissano i modelli, nattèra di Cagliari e dei grembiuli e delle gonne di gala gli stilemi delle vesti popolari della Sardegna, e conse- di Quartu e Monserrato. I fermagli d’argento a motivi flo- gnano quasi un inventario alle istituzioni cui ben presto reali e a mascheroni usati nel vestiario femminile del ter- esse afferiranno: i musei. ritorio montano de Los Argüellos, nel Leon, ci riportano Un fenomeno questo che in misura maggiore o minore, alle catene che ornano tanti abiti femminili dell’Ogliastra nelle ultime decadi dell’Ottocento e nelle prime del No- e del Mandrolisai. vecento, vive tutta l’Europa borghese, come attraversata Ma interrompendo un’elencazione altrimenti destinata a da un senso di rimorso: da un lato i giornali di moda, in continuare infinitamente, si passa a esaminare da vicino tutte le più importanti città europee, promuovono gli sti- un abito particolare dell’abbigliamento femminile festivo li e i prodotti delle moderne forme vestimentarie, dall’al- di Orani, lo scarramàgnu, formato da un corpetto di tro una variegata produzione editoriale illustra il mondo panno rosso cucito a una gonna finemente plissettata, popolare con immagini fotografiche e pittoriche; imma- che cade morbida fino a coprire i piedi con una bordura gini nelle quali i costumi si fermano definitivamente, co- di seta color rosso ciclamino (figg. 44-45). sì come nella vita reale. Elemento caratteristico della gonna è la composizione In un contesto di ricchezza documentaria è possibile del tessuto: canapa per l’ordito e lana nera, dal filato sot- delineare il catalogo delle vesti delle classi popolari in tile e brillante, per la trama con faccia a vista; composi- Europa e tracciare una rete di analisi comparative. Per zione che determina un particolare effetto cangiante. la Sardegna, una simile analisi trova una direzione pri- A quanto è dato sapere – a parte alcuni esemplari di vilegiata, quella della penisola iberica. Fonni – non risultano, nell’abbigliamento tradizionale Che la presenza spagnola abbia influito molto sulla cul- della Sardegna, altri esempi di gonna e corpetto uniti da tura popolare della nostra isola, dai rituali religiosi alle una ancorché rudimentale cucitura; peraltro la camicia, il rappresentazioni di Carnevale, dall’alimentazione al ve- fazzoletto e il giubbetto che accompagnano lo scarramà- stiario, dall’architettura all’oreficeria, è d’altra parte qua- gnu rientrano per foggia, materiali e colori nei consueti si un dato di comune sentire. canoni dell’abbigliamento popolare del Nuorese. E, in realtà, le corrispondenze risultano straordinaria- Quest’abito, inconsueto in Sardegna, ha un’evidente ana- mente numerose e convincenti anche alla prova di in- logia con un tipo di vestiario tradizionale femminile di dagini puntuali e approfondite.65 un’altra grande isola del Mediterraneo, il traje de gala A parte gli abiti di Teulada, la cui corrispondenza col ve- di Ibiza (fig. 43), abbandonato alla fine dell’Ottocento e stiario popolare spagnolo è ben nota, nella ruvida lana rientrato nell’uso alla fine degli anni Venti, sull’onda di un 52

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fenomeno di revival che all’epoca interessò molti aspet- corpo e la mente delle donne, anche dalle costrizioni ti della cultura popolare spagnola.66 fisiche e psicologiche dell’abbigliamento. Anche in questo caso si tratta di un abito caratterizzato A Nuoro, per indicare una donna abbigliata correttamen- da una larga gonna plissettata, con bordo in seta bianca, te, con una giusta sistemazione delle diverse parti del- unita in vita a un corpetto di terziopelo: una foggia as- l’abito, con capi di proporzioni adeguate alla taglia, in sai poco diffusa in Spagna che trova un apparentamen- un insieme pertanto armonico, si usa ancora oggi dire: to con le basquiñas di Ansò, nell’Alta Aragona. Le altre est bène chìnta. Il verbo chìnghere significa stringere, parti dell’abito sono le maniche posticce, in lana bruna, chiudere e riassume molto bene il senso e l’architettura legate alle spalle mediante nastri di seta, la camicia di dell’abito nuziale e di gala femminile di fine Ottocento, lino, il sombrero di feltro nero che si pone sopra una specie delle aree centrali e settentrionali. Una serie di benda di cotone con bordo di seta e lo scialletto di lana indumenti fasciano e coprono le braccia, i fianchi e le con motivi floreali stampati. gambe, bendano il capo, vi si appendono e lo sovrasta- La composizione del tessuto della gonna, così come no con impalcature, stringono la vita e il tronco, aumen- quella del grembiule che la accompagna, il delantal de tano il volume dei fianchi; nascondono il corpo delle “mostra”, sulla base dell’analisi dell’esemplare conser- donne, lo rendono più corto e più largo; l’abito è pesan- vato nel Museo del Pueblo Español di Madrid, è la stes- te, occorre camminare con grazia e con attenzione altri- sa dello scarramàgnu di Orani.67 menti si squilibra e chi lo indossa sbanda. Oltre alla foggia, dunque, un altro elemento inconsueto In termini generali, con la rivoluzione che nel primo unisce lo scarramàgnu all’abito ibizense: la struttura del ventennio del Novecento interessa in particolare l’abbi- tessuto della gonna in canapa e lana. Così come per di- gliamento femminile, con il primato delle scelte e della versi tessuti e indumenti iberici, divenuti elementi impor- creatività dei grandi sarti rispetto alla qualità e ricchezza tanti del vestiario popolare della Sardegna, appare proba- dei tessuti, vero fondamentale discrimine nei secoli pas- bile che, nell’ambito dell’intenso commercio di manufatti sati tra ceti ricchi e ceti poveri, il corpo femminile acqui- tessili dalla Spagna, soprattutto dalla Catalogna e dalle sta una sua riconoscibilità. Baleari, in Sardegna si sia determinata la diffusione del Riprendendo un testo di alcuni anni fa sulla trasformazio- particolare tessuto di cui s’è detto e il suo conseguente ne che in tal senso avvenne a Nuoro, «nell’abbigliamento inserimento nel vestiario popolare dell’isola.68 femminile festivo un fazzoletto di lana tibet marrone ha La stessa produzione della canapa documentata a Ora- sostituito la benda bianca; il grembiule è del tutto smes- ni69 potrebbe aver avuto una delle ragioni di persistenza so; il giubbetto si porta sopra il corpetto, la gonna non è nella domanda che derivava dall’uso dello scarramà- più d’orbace ma è prevalentemente di panno marrone gnu fino alla prima metà del secolo scorso; così come il impreziosita da una balza di velluto blu; ha pieghe di cir- miracoloso perdurare a Orgosolo dell’attività di sericol- ca 4 cm e arriva fino alla caviglia, dunque più corta. La tura è legata alla presenza, nell’abbigliamento tradizio- stratificazione di gonne (necessaria per l’insieme pala a nale, della benda gialla di seta. supra, tunica, benda), fa posto ad una figura più snella; anche la camicia, che nel passato veniva indossata in ma- Dalle prime esposizioni del 1881 a Milano e del 1896 a niera tale che ricadesse sul petto provocando, grazie alla Sassari alle manifestazioni in onore dei Reali a Sassari rigidità del tessuto inamidato, un rigonfiamento sempre nel 1899, con la sfilata delle coppie a cavallo, gli abiti superiore a quello naturale, acquista dimensioni più mo- tradizionali, raggiunto il più alto valore economico e il deste. In generale, pare possa affermarsi che l’abito tradi- massimo splendore estetico e cromatico, perdono so- zionale modifica il suo rapporto col corpo femminile e, in stanzialmente la funzione d’uso per abbracciare quella un rinnovamento delle proporzioni tra i vari capi, assume di primario simbolo etnico. le caratteristiche del moderno tailleur, ancorché realizzato Essi si avviano decisamente a divenire materia museale e nei colori e, in parte, nei tessuti tradizionali».70 scenografica, costumi, elementi connotati da atemporalità, Ma la svolta più radicale tutto sommato si registra sul non modificabili, non partecipi della costante mutevolez- versante maschile; continuando con l’esempio di Nuoro, za della moda, entrando a pieno diritto nella grande che per la sua collocazione geografica e per le vicende Esposizione Internazionale romana del 1911 all’interno storico-sociali può ben rappresentare un caso emblema- della Mostra di Etnografia Italiana curata da Giovanni Lo- tico, questa città «vede un generale abbandono di zippo- ria; ciò che costituì il primo grande nucleo repertuale del nes, carzones de furesi, carzones de tela e mesu carzas Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma. in favore di giacche e calzoni a tubo di fustagno, di vel- Di fronte al complessivo mutamento sociale e ai nuovi luto e, per le occasioni importanti, di lana; la stessa ber- canoni estetici che informano l’immagine della donna ritta fa posto a berretti con corta visiera o a cappelli a del primo Novecento, il complesso indumentario tradi- falde, di produzione continentale. Le ragioni di tale tra- zionale dell’isola rivela quasi repentinamente la sua ina- sformazione vanno ricercate nell’influenza sempre mag- deguatezza. In particolare la struttura delle vesti femmi- giore della moda esterna, nell’uso di tessuti che rendono nili appare in contraddizione con l’assunto che sta alla più facile le confezioni dei capi, e nella contemporanea, base di tutto il processo di emancipazione: liberare il profonda modificazione dell’assetto sociale».71 53

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Trasformazione vestimentaria che riguarda anche i pic- si spandevano dolciumi o giocattoli o libri, si esponeva- coli centri del Nuorese e della Barbagia, per lo meno no manichini senza testa vestiti di abiti fatti, tutti corrosi per quanto attiene alle nuove generazioni; Salvatore magari o ammuffiti, ma che erano il segno di una cosa Satta dedica al fenomeno un cenno sarcastico ne Il mai vista e neppure immaginata, la ricchezza del dana- giorno del giudizio: «Quelli che facevano politica, i can- ro, tanto diversa da quella delle pecore e delle capre».72 didati, erano tutti dei paesi: di Orune, di Gavoi, di Ol- Nelle città più grandi dell’isola gli abiti sono quelli di zai, di Orotelli, persino di Ovodda, quei minuscoli cen- tutta l’Italia: giacca e pantaloni a tubo, panciotto, cap- tri (biddas, ville) lontani quanto le stelle l’uno dall’altro, pello o berretto, camicia bianca, con o senza colletto, che guardavano a Nuoro come alla capitale; paesi di mentre l’uso di fogge tradizionali permane in un buon pastori, di contadini, di gente occupata a contare le ore numero di località della Sardegna interna e centro-set- della giornata, ma i cui figli avevano scoperto l’alfabe- tentrionale (Barbagia, Ogliastra, Mandrolisai, Logudoro) to, questo mezzo prodigioso di conquista, se non altro per tutta la prima metà del Novecento e, ancora oggi, a di redenzione dalla terra arida, avara. Gli zii, come si Desulo, Busachi, Oliena, Orgosolo e in pochi altri paesi, chiamavano questi rustici anziani, dalle grandi barbe, per lo meno da parte delle donne più anziane. entravano a Nuoro avvolti nei costumi nuovi, come in Non mancano, peraltro, negli anni Venti, alcune iniziati- un salotto, e vi andavano per testimoniare o per parlare ve singolari – avviate probabilmente sull’onda del suc- con l’avvocato o col notaio (quando non vi erano con- cesso che sembra arridere alla produzione dell’orbace dotti ammanettati), una, due volte all’anno, traendosi adottato dal Governo italiano in un primo tempo per la appresso i figli. Questi, vestiti da civili, ridicoli ai loro confezione dei cappotti degli ufficiali di Marina e suc- stessi occhi, vergognosi a poco a poco dei padri, di cessivamente per quella delle divise fasciste – quale fronte a quei signori non meno sfaccendati ma che se- quella che riguarda l’abito femminile di Desulo, ricorda- devano ai tavolini del caffè come esercitando un loro ta in uno scritto del 1928 di Imeroni: «Il costume desule- diritto di casta, vedevano le immense vetrine nelle quali se è sceso dal nido alpestre e si è modernizzato fino a 57 54

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costituire un elegante e festoso modello cittadino di 58 giacca o golf in panno, lana, seta, costume completo per bimbi, e, passato il mare, si diffonde come gli sportivi viano alcune collaborazioni sperimentali: «I ricami e i golfs di derivazione magiaria a geometriche e vivaci po- merletti della Sardegna vengono utilizzati nel settore del- licromie – conferendo grazia e originalità alle figure che la “haute couture”. I motivi del costume sardo assumono lo sanno portare … La cuffietta desulese è scesa dalla il ruolo di un utile suggerimento nelle loro infinite varia- testa alle mani, dando luogo ad una originale trasforma- zioni».75 In particolare la bottega della signora Giuliana zione da copricapo in borse grandi e piccole, portafogli, Cambilargiu, dopo aver realizzato per anni i ricami più portabiglietti, borsellini, in panno scarlatto ricamato in apprezzati dell’abito femminile di gala di Osilo, collabora seta, altrettanto pratici che decorativi».73 con l’atelier romano d’alta moda Foschini, eseguendo le E, ancora, nella quarta edizione della Mostra Nazionale decorazioni a ricamo dei sontuosi abiti destinati a una della Moda di Torino «spiccavano accanto a un telaio an- clientela medio-alta della capitale. tico sardo, azionato da una donna isolana nel suo costu- Dopo il periodo buio degli anni Sessanta, segnato da un me caratteristico, i figurini di un valente artista del gene- generale atteggiamento di rimozione nei confronti della re, indossanti abiti e mantelli fatti d’orbace sardo, dei più cultura tradizionale dell’isola, in qualsiasi espressione es- diversi colori e dei più artistici modelli e disegni».74 sa si manifestasse, dalla lingua all’alimentazione, dalla Negli anni Cinquanta, promossi dall’ESVAM (Ente Sardo musica alla poesia, rinasce un nuovo interesse nei con- per la Valorizzazione dell’Artigianato nella Moda), si av- fronti dei costumi popolari; ad esso si accompagna una ripresa della confezione tradizionale, tuttora in corso, a 57. Foto di scena del film Banditi a Orgosolo di Vittorio De Seta, 1961. seguito delle richieste dei numerosi gruppi folcloristici Dell’abbigliamento del protagonista si distinguono berretto con corta che per le loro esibizioni coreiche e musicali hanno visiera, giacca e calzoni di velluto liscio, gambali di cuoio, scarponi adottato gli abiti tradizionali ottocenteschi dei rispettivi con fondo di gomma: tutti elementi del vestiario quotidiano. Anche paesi. Naturalmente la loro lavorazione ha poco a che per quanto attiene all’abbigliamento il film si distingue per la sua vedere con quella che si eseguiva nel passato, sia per i attendibilità e segna il superamento del cinema imbellettato degli materiali adoperati, sia per la qualità delle decorazioni. anni Cinquanta e della rappresentazione di una Sardegna L’attività di recupero e riutilizzazione come abiti da scena, improbabile nelle storie e nell’aspetto dei protagonisti. portata avanti da diversi gruppi, specie in alcuni paesi nei quali la scomparsa del vestiario tradizionale è stata preco- 58. Orgosolo, fine anni Cinquanta, fotografia di Henri Cartier-Bresson. ce e, apparentemente, assoluta, appare talvolta viziata 55

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dall’esigenza di ritrovare a tutti i costi “il vero costume” Così, in alcuni paesi, il colore del velluto sarà solo nero del proprio paese, per riprodurlo in una sorta di divisa, o solo marrone, o verde oliva, color tortora, ocra; le preferibilmente smagliante di colori e galloni. giacche potranno avere o meno la martingala o le pie- Davanti al furore investigativo che pervade alcuni ap- ghe a soffietto, il velluto potrà essere liscio o rigato; i passionati ricercatori locali viene addirittura da chiedersi calzoni lunghi a coprire gli scarponi o stretti dentro se la grottesca operazione di recupero dell’abito di una gambali di cuoio, il berretto piccolissimo o ampio. Se- vecchia signora dalla bara ove riposava da due anni sia gni minimali di riconoscimento, di confine, di connota- solo frutto della fantasia letteraria di Giulio Angioni: zione propri di una società che deve o vuole avere «Tutto è nato per questa faccenda delle fogge d’abito, strumenti per distinguere i componenti della propria dei bei costumi antichi. L’idea di una riesumazione era comunità dagli estranei; segnali che ci ricordano come venuta a Mario molto naturale, quando tre giorni prima la storia della produzione e dei commerci costituisca stava spiegando alla fidanzata la difficoltà, l’impossibi- soltanto il sostrato materiale e organizzativo sul quale si lità, di rintracciarne almeno uno, dei bei costumi antichi innesta il sistema di valori e di simboli che da sempre frauensi, da indossare ed esporre nella mostra e la sfila- l’uomo associa alle vesti. ta. Non ce n’erano più, neanche a cercarli nelle fosse … Solo tenendo presente questo lato invisibile degli abiti, è Però almeno uno lo dovevano trovare, anche senza co- possibile decifrare le ragioni di un fenomeno paradossa- ralli e senza ori, autentico, non riconfezionato tutto nuo- le quale quello dell’esplosione cromatica e ornamentale vo, come qualcuno proponeva, disonesto».76 del vestiario popolare sardo di fine Ottocento, in un’Eu- È indubbio, comunque, che l’attività dei gruppi folclori- ropa già immersa nel bagno scuro della “grande rinun- stici, in termini generali, specialmente negli anni segna- cia”, o del solido successo che, cent’anni dopo, viene tri- ti da scarsa considerazione e rispetto, ha contribuito in butato all’abito maschile di velluto dai più diversi ceti misura determinante a conservare una gran parte delle sociali dell’isola: attraverso i tortuosi cammini della moda conoscenze tecniche, della terminologia sartoriale e del e del gusto quell’abito di velluto, che chiunque sia stato ricamo tradizionali, svolgendo dunque, di fatto, un’ope- bambino nella Sardegna degli anni Cinquanta non può ra di tutela nei confronti di questo vasto settore della non associare a immagini di povertà e malessere, a un cultura popolare della Sardegna. odore inconfondibile e ineliminabile, agli informi indu- Ma ritornando agli abiti veri, e al loro perdersi nella im- menti dei pastori di Banditi a Orgosolo, a giacche e cal- mane trasformazione economica e sociale del secondo zoni vistosamente rattoppati – anche se sempre connotati dopoguerra, in paesi come Orgosolo, Desulo, Fonni, da valori estetici, perlomeno da quello della simmetria –, Dorgali, Oliena, Orosei le donne anziane di prevalente è diventato sorprendentemente il vessillo dell’attuale ambiente pastorale li indossano come abiti di gala per le identità vestimentaria della Sardegna.77 grandi ricorrenze familiari e religiose; altri hanno adotta- to alcuni indumenti riconducibili a uno stile tradizionale: Le immagini del Fondo Enrico Hyllier Giglioli (Museo Nazionale Prei- per le donne, gonna, finemente plissettata, a tinta unita storico Etnografico “Luigi Pigorini” di Roma), di Vittorio Sella (Fondazio- marron, blu, nera, grigia, in lana, cotone, misto lana, fi- ne Sella, Biella) e di Max Leopold Wagner (Istituto di Filologia Romanza bre sintetiche, lunga al polpaccio; blusa/camicia a pic- “Karl Jaberg”, Berna), sono state oggetto di studio da parte di Marina coli disegni, in armonia cromatica con la gonna; scialle Miraglia nell’ambito di una ricerca finanziata dall’Istituto Superiore Re- di lana tibet marron, nero, blu o grigio scuro; scarpe gionale Etnografico della Sardegna. scollate, o aperte dietro tipo chanel, con tacco medio- basso e tozzo; fazzoletto di tibet in tinta con lo scialle, legato a soggolo. Il tutto senza ricami, senza motivi or- namentali. Per gli uomini, al di là della presunta democratizzazione dell’abito borghese, si riproducono alcune nette differen- ziazioni. Gli abiti dei ceti urbani, compresi gli artigiani, sono gli stessi delle grandi città del Continente: giacca e pantaloni a tubo e panciotto di lana, generalmente scuri, berretto, camicia bianca, con o senza colletto. I pastori e i contadini, specie delle zone interne, adottano un pro- prio modello di vestiario: l’abito di velluto e di fustagno, composto da giacca, pantaloni e gilet, mano a mano sempre più diffusamente associato al berretto di lana o cotone con corta visiera, nonostante la pervicace resi- stenza della plurisecolare berrìtta. E, ancora, il mondo delle campagne trova, pur in una gamma di fogge molto limitata e di colori discreta, smorzata, un suo linguaggio di differenziazione locale. 56

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Note 1. Si veda la bibliografia di P. Piquereddu (Archivio de la Catedral de Barcelona, Pia Al- goni, disposizioni governative e comunali, giu- 1987; sulla letteratura di viaggio si veda A. Bo- moina, Pergaminos serie 9, n. 152)». ramenti e atti diversi”. I testi di quattro statuti scolo 1973. dei gremi contenuti nel codice (sarti-calzettai, 14. Codice degli Statuti della Repubblica di Sas- calzolai, pellicciai e falegnami) vennero pubbli- 2. Questa tematica è al centro del saggio di A. sari, edito e illustrato dal cav. D. Pasquale To- cati da Maria Teresa Ponti (1959). A cura della Mattone 1989, pp. 13-64; un’ulteriore stimo- la, Cagliari 1850; rist. anastatica, Sassari 1983, stessa Ponti lo statuto dei calzolai e quello dei lante analisi è contenuta nel testo di M. Briga- pp. 234-235. sarti erano apparsi nel 1956 sul Bollettino Bi- glia 1981, pp. 5-16. bliografico Sardo. 15. Condaghe di S. Pietro di Silki. Testo logu- 3. Si veda l’ancora insostituibile lavoro di G. dorese inedito dei secoli XI-XIII, a cura di G. 26. «Item que daci avant niguna de qualsevol Lilliu 1966. Bonazzi, Sassari-Cagliari 1900; Il Condaghe di stat, grau y condició sia de la terra o strange- San Pietro di Silki, trad. e introd. a cura di I. ra no gose, ni presumesca palesement o ama- 4. G. Lilliu 1966, pp. 126, 178-179. Delogu, Sassari 1997. gada tallar roba nova de vestir de seda, ni calses, ni drap o altrament sens haver hagut 5. Sulla mastruca e gli autori classici si veda 16. Un ampio quadro di queste problematiche primer licencia de dits obrers y revehedors, sots E. Pais 1999 (riedizione dell’opera edita da si trova in: Per una storia della moda pronta pena de vujt sous per cada roba applicadora a Nardecchia, Roma, nel 1923); P. Meloni, La 1991; si veda anche P. Allerston, “L’abito usa- dita contraria». M.T. Ponti 1959, p. 241. Sardegna romana, Sassari 1991. to”, in Annali 2003, pp. 561-581. 27. Per il suo valore storico e documentale si 6. Sulle maschere pastorali della Sardegna: P. 17. G. Paulis 1983, pp. 135-142. «Spingendo riporta di seguito l’elenco completo del tariffa- Piquereddu 1989. oltre il semplice piano formale il parallelismo rio: «Et primerament per una capa de brocat, tra la parola sarda antica cunduri e quella guarnida del matex brocat o de seda, dotze 7. E. Pais 1999, vol. II, pp. 269-270. otrantina kundùri ‘sottoveste delle donne nel- lliures; / Item una capa del matex brocat sens l’antico costume’, possiamo ammettere ragio- guarnició, tres ducats; / Item un sayo del ma- 8. G. Paulis 1997, p. 82. nevolmente che al pari del kundùri dell’Italia tex brocat, guarnit del matex brocat o de seda, meridionale anche il cunduri sardo medioe- set lliures; / Item un sayo de dit brocat, sis lliu- 9. G. Paulis 1997, p. 81. vale, essendo usato dalle donne (si tratta, in- res; / Item un borriguo de brocat, guarnit, cinc fatti, di un cunduri muierile), fungesse pro- lliures; / Item un borriguo perlá de brocat, qua- 10. A. Guillou 1988, p. 370. Sul bisso si veda priamente da sottoveste. Allora il rocca che tre lliures; / Item una capa lombarda de vellut G. Carta Mantiglia 1997, pp. 89-99. segue (cunduri de rocca) andrà insieme al o de ras, guarnida de rivet o selleta y folrada francone *(h)rokk, continuato nel basso latino de seda, quatre lliures; / Item una capa de vel- 11. ASG, cart. n. 18, parte II. Archivio di Stato ROCCUS, ricorrente nei capitolari carolingi e lut o de ras, guarnida de rivet o selleta, un du- di Genova, cart. n. 24 (notaio Buonvassallo de significante – come si esprime il Du Cange – cat; / Item una capa de vellut o de ras plana, Cassino), c. 79r. L. Balletto, “Documenti notarili “suprema vestis”, cioè “veste di sopra”». quarantacinc sous; / Item un sayo de vellut o liguri relativi alla Sardegna (secc. XII-XIV)”, in de ras plana, quarantacinc sous; / Item un La Sardegna nel mondo mediterraneo, vol. II, 18. Codice degli Statuti della Repubblica di sayo de vellut o de ras, guarnit de rivet o selleta, Sassari 1981, pp. 212-260. Sassari cit., p. 68. un ducat; / Item un sayo de vellut o de ras perlá, quarant sous; / Item un borriguo de vel- 12. Per quanto attiene al commercio dei panni 19. ASC, “Antico Archivio Regio. Prammatiche, lut o de ras, guarnit de selleta o rivet, trenta e delle berrette dalla Lombardia Gian Luigi istruzioni e carte reali”, vol. B6, cc. 146-147v, sous; / Item un borriguo de vellut o de ras perlá, Fontana scrive che: «I panni di Milano, di Mon- orig. cart. in La Corona d’Aragona un patri- vinticinc sous; / Item una casaca de vellut o de za, di Como, di Brescia e di Bergamo erano monio comune per Italia e Spagna (secc. XIV- ras, guarnida de rivet o selleta y folrada, tren- diffusi in tutta la penisola e nell’area mediterra- XV), Deputazione di Storia patria, Cagliari 1989, tacinc sous; / Item una casaca de vellut o de nea almeno dalla metà del XII secolo … Alla p. 348. ras plana, mig ducat; / Item una saya de bro- fine del Trecento Milano … non produceva so- cat de dona, guarnida de rivet o selleta del ma- lo panni di alta qualità, ma, data la forte e di- 20. F. Manconi, “L’eredità culturale”, in I Cata- tex y ab manegues, dotze lliures; / Item una versificata domanda del grande centro urbano, lani in Sardegna, Cagliari 1986, p. 219. saya de brocat sens manegues, guarnida se- anche mezzelane, miste di cotone e di lino, gons ses dit, deu lliures; / Item una saya de bro- drappi bassi, drappi grossi e panni dei più di- 21. F. Orlando 1998, p. 54. cat plana, très ducats; / Item una saya de vellut versi livelli di prezzo, oltre a calze, cappucci, o ras, guarnida de rivet o selleta ab manegues, mantelli, coperte, guanti, cappelli e berrette». 22. G. Olla Repetto 1986, p. 274. quatre lliures; / Item una saya de dit vellut sens G.L. Fontana, “La lana”, in Annali 2003, p. 334. manegues y guarnida, cinquanta sous; / Item 23. R.L. Pisetzky 1978, p. 211. una saya de vellut o ras plana, quaranta sous; 13. C. Batlle, “Noticias sobre los negocios de / Item una saya de dona de contray, guarnida mercaderes de Barcelona en Cerdeña hacia 24. R.L. Pisetzky 1978, p. 210. de rivet o selleta, ab manegues, trenta sous; / 1300”, in La Sardegna nel mondo mediterra- Item una saya de contray plana de dona, vinti neo, vol. II, Sassari 1981, pp. 277-289. Il testa- 25. Il prezioso codice venne messo in luce sous; / Item unes faldetes de contray o de fi, mento è riportato in appendice al saggio e reca per la prima volta da Enrico Costa, il poligrafo guarnida des séllelas o de rivet, seze sous; / i seguenti dati: «1301, noviembre, 6, Oristano, sassarese, nel riordinare l’Archivio del Comune Item un jaquet de brocat, guarnit de rivet o sel- testamento de Guillem Lloret, de Barcelona, presso il quale era impiegato. Costa ne diede leta, quatre lliures; / Item un sayet de brocat habitante de Oristano en la isla de Cerdeña, notizia attraverso la pubblicazione nel 1902 del donde residía con una pequeña colonia de lavoro Archivio civico del Comune di Sassari catalanes para comerciar con capital proce- evidenziandone l’importanza fondamentale per dente de Barcelona mediante el sistema de las la storia della città e riassumendone il contenu- comandas vendiendo aceite, loza, telas etc. to “1520-1565 – Libro di ordinanze, grida, pre- 57

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perlá, un ducat; / Item un sayet de vellut o ras, 29. Per l’analisi dell’originale testina si veda Bollettino Bibliografico Sardo, chiude l’articolo guarnit de rivet o selleta, mig ducat; / Item un G. Lilliu 1966, p. 99. sui quadri di S. Lussorio augurando «una tem- sayet de vellut o ras pla, vinti sous; / Item una pestiva effettuazione di un loro completo re- saya de xamellot de dona, guarnida, quaranta 30. Sulla discendenza delle ràgas dalla balza: stauro ad opera della competente Sovrainten- sous; / Item una saya de xamellot de dona, pla- R. Corso 1929-81, p. 239. denza alle Gallerie e i Monumenti di Cagliari e na, vinti sous; / Item una de stamet de dona, una loro destinazione permanente nell’erigen- guarnida, quinze sous; / Item una de dona de 31. Le ràgas sono state recentemente assimila- do Museo del Costume di Nuoro». Un’idea, stamet, plana, deu sous; / Item un jaquet de te alla rhingrave, la sontuosa quanto bizzarra questa della destinazione al museo nuorese, contray, guarnit de rivet o selleta, deu sous; / gonna adottata da Luigi XIV e dalla sua corte a nient’affatto male, considerato il valore docu- Item un jaquet de contray perlá, vuyt sous; / metà del Seicento, da F. Orlando 1998, p. 58. mentario delle opere per la storia dell’abbiglia- Item un gipo de brocat cotonat ab butons, tres Considerato che la rhingrave, dopo un effime- mento della Sardegna. Lo studioso si chiede Lliures; / Item un gipo de vellut o ras cotonat ab ro successo, uscì ben presto anche dalla moda anche per quali ragioni la Provincia di Nuoro butons, vinti sous; / Item un gipo de drap con- di corte, appare improbabile che un capo così non sia stata dotata di una sua Sovraintenden- tray o fi cotonat ab butons, deu sous; lussuoso potesse avere trovato nell’isola un in- za. G. Della Maria, “Raffigurazioni settecente- Item un gipo de fustani cotonat ab butons, deu teresse tale da diventare uno degli indumenti sche del costume sardo”, in Bollettino Biblio- sous; / Item un gipo de saya cotonat ab butons, caratterizzanti l’abbigliamento della Sardegna. grafico Sardo cit., pp. 3-6. deu sous; : Item un gipo de brocat sens coto y La romana e la fustanella ebbero invece una butons, un ducat; / Item un gipo de vellut o ras circolazione sicuramente più ampia rispetto al- 41. Alla prima metà del Settecento risalgono an- sens coto o butons, treze sous; / Item un gipo de l’ambito sociale e a quello geografico. che due tele ad olio dell’artista piemontese drap contrary o fi sens coto y butons, vuyt sous; Giovanni Michele Graneri, conservate al Museo / Item un gipo de fustani perlá sens coto y bu- 32. A. della Marmora 1826, Voyage, p. 220. civico di Torino, attualmente riprodotte nell’o- tons vuyt sous; / Item un gipo de saya sens coto Sulle vicende dei cappottari greci e i loro rap- pera di R.L. Pisetkzy 1964-69: vol. IV, 1967, p. y butons, vuyt sous; / Item una capa lombarda porti con le organizzazioni dei sarti locali, si 303 “Festa al santuario sardo” (1747), p. 306 de contray, guarnida de rivet o selleta, qua- veda anche S. Pira 1993. “Festa nautica al porto di Cagliari” (1747). Delle ranta sous; / Item una capa lombarda, plana, opere dà notizia nel n. 19 del Bollettino Biblio- trenta sous; / Item una cloxa de cappello, quin- 33. «G. Luigi Cocco (di Cagliari?) esercitò l’arte grafico Sardo 1959, p. 16, G. Della Maria, che ze sous; / Item un capus de contray ab rivet e fotografica in concomitanza con il Laj Rodri- esprime le sue perplessità sul loro valore docu- selleta, quinze sous; / Item un capus perlá, deu guez, possedeva uno studio – sin dall’inizio mentario non risultando che l’autore avesse sous; / Item un gipo de drap contray o fi sens della sua attività – in via del Condotto dall’in- mai messo piede nell’isola e dunque ritenendo coto y butons, vuyt sous; / Item una casaca pla- segna “Fotografia sarda” … la sua opera è par- che fossero raffigurazioni di seconda mano. na ab rivet de drap, deu sous; / Item una capa ticolarmente conosciuta per le 22 fotografie di ab collar de contray o fi, guarnida, treize sous; abbigliamenti isolani che costituirono la base 42. In Vincenzo Sulis, Autobiografia, a cura di Item una capa ab collar, guarnida de matex alla incisione su pietra a Giorgio Ansaldi (Dal- G. Marci, Cagliari 1994, p. 76. Il saurà o surah drap, deu sous; / Item una balandrana de con- sani) per le corrispondenti tavole della “Galle- era una stoffa di seta spigata proveniente dal tray o fi, guarnida de seda, venticinc sous; / ria dei Costumi sardi” promossa dal periodico centro omonimo indiano; si veda R.L. Pisetzky Item una balandrana del dit guarnit de drap, Il Buonumore». G. Della Maria 1972, p. 15. 1978, pp. 16, 98; C. Meano 1938, p. 438. vuyt sous; / Item un capot ab la capilla fronzi- da, guarnit de vellut, trenta sous; / Item un ca- 34. Joannis Francisci Farae, Opera, In Sardiniae 43. V. Angius, voce “Dorgali”, in G. Casalis pot, guarnit de drap, vint sous; / Item una Chorographiam, intr., ed. critica e apparato a 1833-56, p. 225. manta de brocat del matex brocat e seda, qua- cura di E. Cadoni, trad. italiana di M.T. Laneri, tre llures e quatre sous; / Item una manta sens Sassari 1992, pp. 150-153. Il testo del Fara con- 44. P. Piquereddu 1987, p. 89. guarnir, tres llures y mig; / Item una manta tinua riprendendo alcuni ben noti topoi della sens guarnir girada en riquets, vuyt sous; / Item storia dell’abbigliamento nell’isola: «Un tempo i 45. «Anche a Parigi il popolo conquista le scar- una manta de contray, guarnida, quinze sous; Sardi, come afferma lo stesso Alessandro Sardo, pe solo alla fine del Settecento, con quella che / Item sens guarnir, deu sous; / Item una manta vestivano pelli di capra secondo il costume de- Daniel Roche definisce una vittoria sulla “vita de vellut, guarnida de seda, mig ducat; / Item gli antichi greci (lo stesso Ercole, dal quale di- fragile”. Il povero, di solito, va a piedi scalzi o, una manta de taffatta, guarnida, quinze sous; scendono, si copriva infatti con una pelle): se può permetterselo, indossa ciabatte di pelle / Item una manta de taffatta sens guarnir, deu d’inverno la indossavano col vello rivolto dalla riciclata in città e zoccoli di legno in campa- sous; / Item una manta de saya, guarnida, deu parte interna, d’estate invece rovesciata, come gna, i quali erano già indice di un certo agio. sous; / Item una manta de saya sens guarnir, attesta Ninfodoro al quale rifà il Volterrano. Ce- Nelle Marche, ancora fino agli anni quaranta vuyt sous; / Item un sayo guarnit y folrat, mig lio chiama questa veste “tunica sardonica” del Novecento, tra contadini e artigiani di bas- ducat; / Item sens manigues, set sous; / Item go- mentre Cicerone, così come san Gerolamo, la so rango le scarpe buone venivano usate alter- nelles de serventes y de pagesses ab rivet del ma- definisce “mastruca dei Sardi” ed ecco perché nativamente dai membri della famiglia che ne tex drap, deu sous; / Item sayet de drap mane- essi sono detti “mastrucati” e “pelliti” da Sabelli- avevano bisogno. La disponibilità o meno di gua streta, tres sous; / Item un borriguo guarnit co che, rifacendosi a Tito Livio, riferisce altrove calzature ed eventualmente il loro tipo era, in- de seda, quinze sous; / Item un borriguo guar- che nell’anno 204 a.C. i Sardi furono in grado fatti, uno dei più chiari segni di status sociale». nit del matex drap, deu sous; / Item un borri- di consegnare all’esercito romano ben dodici- A. Vianello, in Annali 2003, p. 633. guo sens guarnir, vuyt sous; / Item sayos de pa- mila tuniche e milleduecento toghe». ges de qualsevol drap, guarnit de seda, treize 46. F. Gemelli, Il Rifiorimento della Sardegna sous; / Item guarnit del drap matex, deu sous; / 35. Peraltro G. Della Maria (Nuovo Bollettino proposto nel Miglioramento della sua Agricoltu- Item sens guarnicio, sis sous; / Item una laba de Bibliografico Sardo, a. VIII, n. 47-48, 1963, p. ra, riprodotto in compendio con molte osser- vellut, guaranta sous; / Item una laba sens 10) contesta che nel copricapo dei personaggi vazioni ed aggiunte del cav. Luigi Serra, Torino guarnicio, trenta sous; / Item una laba de con- del bassorilievo di Zuri possa riconoscersi la 1842. tray, guarnida, vuyt sous; / Item sens guarnir berrìtta. deu sous; / Item una cloxa de cappello, quinze 47. V. Angius, in G. Casalis 1833-56. sous; / Item sens guarnir y folrar, quinze sous; / 36. P. Ventura, “Cuoio e pellicce”, in Annali Item un sayo de xamellot folrat y guarnit, vint 2003, p. 453. 48. V. Angius, in G. Casalis 1833-56. sous; / Item sens guarnir, quinze sous; / Item un sayo de saya folrat y guarnit, vint sous; / Item 37. A. della Marmora 1826, Voyage, p. 208. 49. «I cavalieri e i signorini (gosinos) del no- una roba de dol, vint sous; / Item una gramal- stro paese tengono in disprezzo l’orbace e la la, dos sous; / Item una clox de dol, deu sous; / 38. P. Tola, Dizionario biografico degli uomini gente del popolo, ma ora si sono dati a que- Item un sayo de dol, deu sous; / Item un berret illustri di Sardegna, vol. II, Nuoro 2001, p. 336. sto modo di vestire, e guardano noi con di- de dol, quatre sous; / Item un cappel de pages Il Tola evidentemente è tra quelli che identifi- sprezzo perché portiamo l’orbace e intanto lo de qualsevol drap, vuyt sous; / Item un cappel cava il collette nella mastruca disprezzata da vediamo anche indosso a loro, fatto a tabarri, de qualsevol drap e la desobra guarnit, deu Cicerone. Per quanto attiene a Don Chisciotte, calze e calzoni, casacchine, giubbetti e gabba- sous: / Item del matex drap sens guarnir, sis è comunemente accettato che la sua veste fos- ni, non si differenziano dai popolani in quan- sous». M.T. Ponti 1959, pp. 242-244. se per l’appunto un coleto, indumento atto a to agli abiti». G. Spano, Canzoni popolari di 28. R.L. Pisetzky 1978. proteggere il corpo, specie dei soldati, assai Sardegna, vol. III, Nuoro 1999, pp. 163-164. diffuso nella Mancia. 50. G. Spano, Proverbi sardi, trasportati in lin- 39. Articolo pubblicato sul Bollettino Biblio- gua italiana e confrontati con quelli degli an- grafico Sardo, n. 37-38, Cagliari 1962. tichi popoli, a cura di G. Angioni, Nuoro 1997, pp. 160-161. 40. G. Della Maria, benemerito fondatore del 58

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51. R. Orsi Landini, “La seta”, in Annali 2003, matrimonio, la cui scelta è fortemente connota- to e al primo trentennio del Novecento, prove- p. 366. ta simbolicamente: Montaigne, nell’aprile 1581, nienti dalla gran parte delle regioni storiche descrive una cerimonia a Roma durante la della Spagna: una visita a questo straordinario 52. «… pannos friscos battidos dai fora / de di- quale il Papa donava a più di cento fanciulle patrimonio, peraltro abbastanza sconosciuto, versas calidades, / … / pannos de seda e lana, una borsa di damasco bianco nella quale vi era rappresenta per lo studioso di abbigliamento / coccias d’ambaghe e de tela indiana, / … / e una cedola valida per una dote di 35 scudi per popolare della Sardegna un’esperienza emo- peddes de camusciu e de mazzone / conzadas maritarsi e un abito bianco del valore di 5 scu- zionante: colori, materiali, denominazioni, fun- e in pilu, / e cordoneris de seda e de filu, / zi- di. La cerimonia descritta da Montaigne assu- zioni d’uso richiamano cose e contesti familiari musa pro afforru, / agos, aguzas, pettenes de me un valore particolare in epoca post-tridenti- provocando una vivida sensazione di déjà vu. corru, / … / … cadenittas, / bambaghe, randa, na quando il matrimonio accede a un posto Il termine scarramàgnu meriterebbe un’ap- gallone e berrittas / fattas de bonu seju / … // definitivo tra i sacramenti. Inoltre, va sottoli- profondita analisi al fine di ricostruirne il si- Pro leare bajanas … / … seda e lanas / de di- neato il fatto che tale cerimonia avvenisse nella gnificato storico e linguistico; appare peraltro versos colore’, / pro totu sas chi sunt in primu domenica in Albis che precede la settimana di interessante ricordare che un vocabolo molto amore / rasu, istoffa, ispolinu, / grana, iscral- Pasqua, durante la quale venivano celebrati i simile, scaramangum, in età bizantina indicas- lattu, istoff’e Torinu, / broccadigliu de oro, / nuovi battezzati che restavano vestiti di bianco se un prezioso abito di corte, generalmente di grisette biaittu a modu insoro, / mesu saja e re- fino al sabato: il Papa, scegliendo di donare la seta. Nelle ordinanze di Leone VI (911-912) che vessu, / robas de lana e de pagu interessu / se- dote e l’abito bianco alle fanciulle in quella do- dettavano le regole della produzione e del gunda requella, / amis, saja istampada, perfet- menica, legava il sacramento del battesimo a commercio a Costantinopoli, la produzione de- tuella / birde, cremis e ruju / e granadiglios quello del matrimonio, in una stessa promessa gli skaramangia era riservata alle fabbriche im- pro portare in tuju / dogni filu ses soddos, / fet- escatologica di salvezza e attraverso un preciso periali; l’invio di un centinaio di skaramangia tas e randa de sinu e de coddos, / … / e muc- colore dell’abito, il bianco. Né va dimenticato in Bulgaria è inoltre oggetto di un trattato stipu- caloros de peri sa domo, / iscarpas a lignetta, / che anche la cerimonia della comunione ven- lato tra Leone VI e Simeone di Bulgaria. Si veda e calzas de Saona e de lanetta, / cambrai e ne caratterizzata, sempre nel corso del XIX se- al riguardo The Book of the Eparch, introduction mussolina, / seda ruja, bianca e aranzina, / colo, da un abito bianco mutuato in sedicesi- by I. Dujcev, London 1970, nonché Aspetti e … / camijas de rispettu, // … / pannos fines de mo dall’abito da sposa». M. Canella, “Abiti per problemi degli studi sui tessili antichi, II Conve- lana, et oro e pratta, / pindula e zicchi zacca, matrimoni e funerali XVIII-XX secolo”, in An- gno CISST, Firenze 1981, a cura di G. Chesne / … / pannu brunu ’e Russia». G. Spano, Can- nali 2003, p. 277. Dauphiné Griffo, Firenze 1981 e G. Paulis 1983, zoni cit. pp. 366-370. p. 134. 62. R.L. Pisetzsky 1978, p. 334. 53. C. De Saint-Severin 1827, p. 161. 68. Si veda: R. Violant I Simorra 1949; Concha 63. Ancora oggi in diversi paesi dell’isola, uno Casado Lobato 1991. 54. «Pro sestare unu flacone / A vostè, Segnor per tutti Orgosolo, tante ragazze optano per le Vizente / App’attidu espressamente / Unu tagliu nozze con l’abito tradizionale assemblato a po- 69. Si veda al riguardo: V. Angius, voce “Orani”, de pilone / E corpetto e pantalone / Chi li servat co a poco, talvolta utilizzando parti degli abiti in G. Casalis 1833-56. pro s’istade. / Cust’est … // No miret no pro s’i- della propria madre o di altre parenti strette. Si spesa / Chi finza a dona Antonina / Li sesto registra invece l’assenza di tale pratica per lo 70. P. Piquereddu 1987, p. 93. una capuzzina / A sa Greca o a s’Inglesa / Pro sposo, che, nella gran parte dei casi, indossa sette liras e mesa / Camp’eo e tottu campade. / un abito di confezione industriale rinvenibile a 71. P. Piquereddu 1987, p. 94. Cust’est … // Si mi procurat faina / De lu servi- costi contenuti. re appo brama / E li cunserto a sa mama / Una 72. S. Satta, Il giorno del giudizio, Nuoro 1999, bella pellegrina / Culzita a sa Parigina / Borta- 64. F. Tolu Liperi 1913, pp. 132-133. p. 27. da a s’estremidade / Cust’est … // Si mi cheren onorare / Dottor Porcu e dona Lia / In cosas de 65. España, Tipos y trajes por Jose Ortiz Echagüe 73. A. Imeroni 1928, p. 26. s’arte mia / Los poto disimpignare / In cosire o 1933. ricamare / Den bider s’abilidade. / Cust’est … 74. M. Vinelli 1935, p. 356. // Ecco tantos figurinos / Custos sun Venezia- 66. Si vedano al riguardo: Moda en Sombras, nos / Cuddos sun Napolitanos / Tottu sun ultra- Museo Nacional del Pueblo Español, Madrid, 75. M. Foschini 1957, pp. 56-58. marinos / Costan bonos quattrinos / Pro narrer Ministerio de cultura. Dirección General de sa veridade / Cust’est … // Disizan unu sortù / Bellas Artes y Archivos, 1991; Conferencia in- 76. G. Angioni, Il mare intorno, Palermo 2003, O cheren unu paxò / Unu guardatalò / Inforra- ternacional de colecciones y museos de indu- pp. 144-147. du a crudetù? / Tipu Saib in Perù / S’usat in mentaria, coordinacion y maquetacion Pilar s’antichidade / Cust’est … // Ecco sedas, ecco Barraca de Ramos, Madrid, Ministerio de cul- 77. Per la storia dell’abito pastorale di velluto si pannos / Indianettas, calmucos / Chi usan sos tura. Dirección General de Bellas Artes y Ar- veda il bel libro di U. Cocco, G. Marras 2000. Malamucos / Sos Cosacos, Sos Normannos / Sos chivos. Museo Nacional del Pueblo Español, Chinesos e Britannos / Los usan in cantidade / 1991; Anales del Museo del Pueblo Español, to- Cust’est …». C.A. Tola, Cantones e mutos, Ca- mo 1, cuadernos 1-2 (1935), tomo 2 (1988), gliari 1997, p. 312 sgg. tomo 3 (1990). 55. J. Schneider, “Il corredo come tesoro, mu- 67. Per quanto riguarda la basquiña o gonella tamenti e contraddizioni nella Sicilia di fine la scheda del Museo Nacional del Pueblo Espa- Ottocento”, in Memoria, rivista di storia delle ñol riporta: «Lana, cañamo y algodon. Reps, donne, serie 11-12, n. 2-3, Torino 1984. terciopelo, tafetan, sarga, confeccion manual. 143 x 100 cm. De tejidos diferentes de color 56. F. Tolu Liperi 1913, pp. 63-64. negro, cuerpo de terciopelo y falda de tejido mixto de lana unidos en la linea de bajo pe- 57. Su questo tema si veda: S. Naitza 1987, “Ar- cho. Cuerpo corto y ajustado, con tirantes y te e Artigianato”; S. Naitza 1987, “L’Artigianato”, abrochadero de cordon. Falda larga con leve p. 236. cola»; il grembiule è invece così descritto: «De- lantal de mostra, de tejido mixto de lana ne- 58. V. Angius, voci “Cagliari” e “Sassari”, in G. gra, largo y rectangular. Barriga frungida y Casalis 1833-56. bordado a la aguja geométrico de sedas poli- cromas» in Moda en Sombras cit., p. 180. Le 59. Si tratta dell’abito ricco delle panificatrici di operazioni di restauro eseguite su quest’abito Cagliari che alla fine dell’Ottocento costituiro- hanno consentito d’appurare che nel grembiule no una categoria socialmente ben caratterizza- «las tramas del tejido eran de lana y las urdim- ta, frequentemente oggetto di satira popolare. bres de cañamo», in Conservacion y restaura- ción de tejidos antiguos, M.ª Pilar Baglietto Ro- 60. G. Deledda 1972, p. 120. sell, in Anales del Museo del Pueblo Español, tomo 3 (1990), p. 235. 61. «La storiografia sulla moda è concorde nel Il museo madrileno conserva circa 4000 reperti ritenere che l’abito nuziale bianco s’affermi di abbigliamento popolare risalenti all’Ottocen- nella tradizione europea molto tardi, nel corso del XIX secolo. Tuttavia, fin dal XVI secolo si ritrovano numerosi esempi di abiti bianchi da 59

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Il sistema vestimentario Franca Rosa Contu Nell’arco di tempo compreso tra il XIX e la prima metà spazio, regolano la normale gestualità del vivere in for- del XX secolo, al quale fa riferimento il presente studio, me contenute, quasi rituali, che segnano i momenti del essere abbigliati secondo le regole del proprio luogo di non lavoro; vestiti destinati ad accompagnare i defunti o origine, avendo coscienza piena dell’adesione formale a passare, preziosa eredità, alle generazioni successive. a ciò che si usa, si costuma, sembra essere tra le mag- La festa è l’eccezione, il rito, la cerimonia, la cui impor- giori preoccupazioni della gente sarda. La ricchezza tanza viene in qualche modo amplificata proprio dalle delle fonti e la straordinaria varietà dei materiali che complesse regole che la comunità elabora per la sua ce- ancora si rinvengono nelle raccolte private e pubbliche, lebrazione. A questo evento fuori dall’ordinario l’abito di il rinnovato interesse dei singoli o di enti e istituzioni, gala è pienamente coerente: stringe e costringe i corpi, li verso lo studio, la valorizzazione e la riscoperta di mo- ricopre di colori vivaci, comunica in un codice intelligi- delli vestimentari, sembrano significare che le comunità bile; regola le posizioni sociali, consentendo varie grada- locali, ieri come oggi, confidino nella capacità degli zioni del “lusso”, dichiara lo stato civile dell’individuo, abiti tradizionali di riassumere e rappresentare il pro- distingue coloro che, per lutto, sono socialmente impos- prio modello culturale. Senza questa motivazione, l’an- sibilitati a godere pienamente della festa. Il primo grado siosa ricerca degli antichi modelli vestimentari potrebbe del “lusso” è dato dallo stato di usura e dalla pulizia dei essere giudicata un romantico anacronismo o, più cini- capi che, variamente assemblati, costituiscono l’abbiglia- camente, un modo per dotarsi di “figuranti in costume” mento festivo; il massimo livello è quello dell’abito nu- da proporre a fini turistici. Anche se questi ultimi aspet- ziale, veste di gala per eccellenza, che dopo le nozze ti possono costituire una diffusa giustificazione, non viene indossato solo in occasione delle principali solen- può essere comunque sottovalutato il fatto che le diver- nità religiose, matrimoni, battesimi e cresime. Come si se comunità locali, superata la precarietà alimentare dei vedrà più avanti, nella descrizione dei singoli capi, l’abi- secoli precedenti, integrate più o meno felicemente to nuziale femminile presuppone l’uso di indumenti vie- nelle logiche del mercato globale, si scoprono impove- tati alle nubili, i quali sanciscono un passaggio di condi- rite e private di validi segni identitari: da qui il ricorso a zione che dal momento delle nozze in poi sarà sempre ciò che, nel passato, ha costituito un forte elemento di segnalato da varianti appropriate. differenziazione etnica. Un valore con radici profonde, Gli abiti divengono dunque forme di comunicazione coltivato e valorizzato nell’arco di tempo che si vuole perfettamente decifrabili sia all’interno di un preciso esaminare, ha contribuito a produrre la straordinaria va- gruppo sociale, quello del villaggio, sia all’interno delle rietà di modelli vestimentari che sono oggetto di questo comunità vicine con le quali esistono spesso sostanziali saggio. convergenze nelle regole vestimentarie, mentre possono Le occasioni festive e di gala e, all’estremo opposto, la variare anche sostanzialmente i dettagli, i colori e le or- condizione di lutto sono i momenti nei quali l’abito si namentazioni. struttura secondo regole codificate più rigidamente; la Un abito nuziale che si rispetti non dovrebbe mai essere quotidianità deroga necessariamente a tali norme. Quel- stato usato; tale condizione è comune all’abito femmini- la consueta e celebrata è l’immagine di un popolo in fe- le e maschile, che non presenta differenze indicative di sta negli abiti variopinti, da sempre ammirati, decantati un passaggio di condizione, ma è in genere realizzato e maggiormente rappresentati. Abiti del “tempo sospe- con ornamentazioni più ricche e tessuti di qualità più so” che coprono, riscaldano, ma soprattutto trasformano pregiata utilizzando, ad esempio, velluto di seta anziché la fisicità di uomini e donne, espandono i corpi nello di cotone. La maggior parte della popolazione non può permettersi un abbigliamento al livello più alto della ga- la e in tutti i casi una sorta di censura interna al gruppo 59. Simone Manca di Mores, Costumi del Campidano, Ballo “sa danza ne vieta di fatto l’accesso a quanti non facciano parte della élite locale. Si creano pertanto insiemi nuziali e di 59 cun is launeddas”, 1878-80, acquerello su carta. 61

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60 lo possiedono, tutti vi aspirano e comunque lo ricono- scono come distintivo della comunità. gala che corrispondono ai modelli domenicali dei ceti La sintesi temporanea di tutte queste regole è, di volta più elevati. In entrambi i casi la realizzazione dell’abito in volta, definita “il costume”.1 Il massimo livello del nuziale richiede un impegno economico notevole e lun- lusso festivo e di gala ha il suo corrispondente nella ghi tempi di confezione; ciò che si indossa il giorno del- condizione di lutto vedovile che per le classi agiate le nozze è lo specchio di ciò che la famiglia di origine prevede insiemi complessi, simili a quelli nuziali, ma ha voluto e potuto fare per la propria figlia e rappresen- realizzati con tessuti e ornamentazioni di colore nero. ta anche lo stile di vita che la nuova coppia di sposi po- La condizione di lutto è talmente pregnante di significati trà o vorrà permettersi. Quando una famiglia è “potente” da modificare e ricomporre, anche stravolgendole, mol- fa realizzare per la propria figlia un abito da sposa defi- te regole sociali. Si parlerà più spesso della condizione nito in nuorese a primòre, vale a dire al massimo livello femminile piuttosto che di quella maschile perché alle di eccellenza per la scelta dei tessuti, per la confezione e donne spetta, più che agli uomini, l’elaborazione socia- l’ornamentazione, operazioni affidate alle più esperte le del lutto e i loro abiti mostrano, per questo, varianti maestre (màstras) della zona. più significative. È dunque necessario distinguere le Questa corsa all’eccellenza produrrà, soprattutto a partire principali gradazioni del lutto: lutto stretto, mezzo lutto dalla fine dell’Ottocento, una corsa alla diversificazione, e lutto leggero sulle quali vengono diversamente mo- all’originalità ed esclusività delle ornamentazioni, dinami- dulate le regole sociali e di conseguenza quelle vesti- ca che in pochi anni modificherà i capi tradizionali più mentarie. La parentela esistente tra il defunto e i membri antichi, esito di elaborazioni portate a compimento in un della comunità determina l’adesione all’uno o all’altro lungo arco di tempo. Chi non può farsi confezionare un grado. Al lutto stretto sono tenute le vedove, i vedovi, abito nuziale nuovo, né può riadattare capi ormai consi- gli orfani, i fratelli e le sorelle del defunto. Al mezzo derati “fuori moda”, deve chiederne in prestito uno ap- lutto tutti i parenti di primo grado o anche i vicini di partenente ad una parente o ad un’amica di pari grado casa o gli amici con i quali corrano stretti rapporti so- sociale o solo di poco superiore. ciali. Al lutto leggero concorrono tutti coloro che abbia- Un’analisi diacronica delle vesti festive e di gala usate no parentela lontana e quanti si rechino a fare le visite nelle varie località mostra dunque i mutamenti di foggia di condoglianze o debbano partecipare in qualche mo- più o meno significativi che danno luogo a vere e pro- do alle pratiche successive al decesso quali il lavaggio prie mode tradizionali e consente anche di individuare le influenze, le assimilazioni o le rielaborazioni che avven- 60-61. Agostino Verani, Costumi sardi, inizio sec. XIX, gono negli scambi tra gruppi diversi. Le regole vestimen- acquerello su cartoncino, Cagliari, coll. Piloni. tarie che questo tipo di analisi evidenzia costituiscono dunque il modello di riferimento al grado più alto: pochi 62

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e la composizione del cadavere, il compianto, la recita 61 di preghiere e tutto quanto si svolge nell’abitazione del defunto prima che la salma venga trasportata in chiesa pala a supra”. La benda è essenziale segno di lutto, ma per la celebrazione della messa funebre. La presenza si porta anche il fazzoletto nero. A misura che si allonta- alla funzione, infatti, richiede l’uso di indumenti di di- na il grado di parentela, si porta la benda di colore, o co- verso tipo per le partecipanti non parenti, fino al livello lor caffè, o giallo oscuro, e giallo chiaro (tinta di terra festivo, escluso quello di gala. gialla o in zafferano) o infine bianca. Bianca è special- Trovarsi in questa o in quella condizione di lutto com- mente per i bambini. Anche certe vedove, dopo moltissi- porta, dunque, un mutamento di condizione di vita, una mi anni, usano portare la benda caffè oscurissima o gial- mutazione “a tempo”, salvo per le vedove il cui status la e le gonne grigie orlate di nero. Il lutto varia da sette dura per tutta la vita a meno che non passino a nuove ed otto anni per il padre fino a due anni – il minimo – nozze. Così Grazia Deledda descrive la condizione di lut- per lontani parenti. Certe persone indossano i segni di to a Nuoro alla fine dell’Ottocento: «Finite le condoglian- lutto anche per le amiche. Gli uomini che devono radersi ze, esaurite le pratiche funebri, si tingono le vesti … Pri- la barba quando sposano, la lasciano crescere per il lut- ma la vedova usava portare la camicia sporca (a tal uopo to, e portano il cappotto vestito, col cappuccio tirato su- la esponeva persino al fumo…) e non la svestiva finché gli occhi. I vedovi vestono completamente di nero».2 non cadeva a brandelli. Le nipoti dei preti alla costoro L’abbigliamento tradizionale risponde alle esigenze sopra morte venivano vestite da vedove e il lutto durava lun- descritte in diversi modi, che tengono conto delle diffi- ghissimi anni. Ora la vedova è bensì pulita, ma resta ve- coltà e dei costi di produzione dei capi necessari e del stita di nero (deposto l’anello nuziale ed ogni altro orna- fatto che trovarsi nella condizione di mezzo lutto o lutto mento) per tutta la vita, ovvero finché non si rimarita. Le leggero è assai ricorrente in società ristrette, nelle quali i case ricche per lo più usano distribuire le bende nere a rapporti di parentela sono numerosi e sono intensi an- quelle parenti che non possono spendere. Anche la ser- che quelli di vicinato. A tal fine si rivela indispensabile la va o le serve indossano il lutto a spese dei padroni. flessibilità di utilizzazione di un certo tipo di capi conce- Tranne la vedova nessun altro parente è costretto a ve- piti per un uso semifestivo e spesso caratterizzati da un stirsi di nero. Le più prossime portano la benda e il utilizzo “a doppio diritto” come descritto dalla stessa grembiule; però devono indossare sempre il giubbone Grazia Deledda a proposito del lutto femminile: «Indos- dalla parte dello scarlatto, ed avere il corsetto agganciato. sare sempre il giubbone dalla parte dello scarlatto» vale a Molte vanno scalze in segno di lutto e portano le gonne dire indossare il giubbetto al rovescio. A Desulo l’impie- orlate di verde. Altre, specialmente la madre, le sorelle go degli indumenti al rovescio in relazione alla condizio- maritate, le zie e le cugine idem, indossano sempre “sa ne di lutto è stato osservato e studiato grazie anche alla straordinaria vitalità dell’abito tradizionale il cui uso con- tinua, in qualche caso, fino ad oggi.3 63

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Per non incorrere nel rischio di banalizzazioni o sempli- vedere direttamente almeno nel periodo di lutto stretto. ficazioni di un argomento che si presenta invece assai Le più indigenti rompono con maggiore facilità la regola complesso e sfaccettato, giova ribadire che norme di dell’inattività soprattutto con prestazioni d’opera in ambi- comportamento e regole vestimentarie per il lutto posso- ti “protetti” come nel caso del lavoro notturno dedicato no variare, anche in misura considerevole, da una comu- alla panificazione; la loro deroga alle norme trova in nità all’altra ed anche all’interno della stessa in relazione questo caso una piena giustificazione sociale dato che alla condizione sociale. In generale le classi agiate osser- l’alternativa sarebbe quella di vivere della carità di fami- vano regole più rigide delle quali quelle vestimentarie liari e vicini. Quest’ultima condizione è anche quella nel- rappresentano l’aspetto più evidente. Esentate dalla mag- la quale l’abbigliamento sarà estremamente semplificato gioranza delle attività produttive, che richiedono scambi e manterrà la sola connotazione del nero dei capi ritinti con l’esterno e che possono essere svolte da una nume- per l’occasione o prestati da parenti e amici. rosa servitù, le donne appartenenti a tali classi trascorro- La quotidianità dei ricchi è paragonabile alla festa dei no gran parte del loro tempo in casa con la sola eccezio- poveri, almeno nel vestiario e spesso anche nel cibo. ne di quello necessario per seguire le funzioni religiose Tra gli uni e gli altri c’è il grande insieme dei non ricchi alle quali si recano, in genere, di primo mattino. Le don- e dei non poveri cioè di quanti hanno qualcosa di pro- ne di condizione media si avvalgono comunque dell’aiu- prio e non sono perciò costretti a servire in casa d’altri; to servile, anche occasionale, soprattutto per il bucato ed ad essi non si addicono gli insiemi vestimentari più lus- eventuali attività di raccolta, alle quali non possono prov- suosi, ma sono comunque tenuti ad un decoro che co- stituisce un penoso onere quando non c’è certezza del- le entrate e si è soggetti ai capricci delle annate. Il lavoro, la fatica, le più normali attività quotidiane rime- scolano le regole della festa e del lutto. Il candore di ca- micie e veli, gli squillanti colori, il luccichio dei nastri si velano presto nell’uso continuo. Lo stesso nero assoluto del dolore vira alla luce in cupe e improbabili tonalità verdastre o brune o ingrigisce nella polvere e nella cene- re. Come un miraggio o un sogno perduto, le forme pro- prie della gala sono comunque riconoscibili nelle linee degli abiti se anche i nastri cedono di schianto al lungo uso e formano bordure intermittenti, se i corpetti, che la gala vuole rigidamente allacciati, si aprono per dare re- spiro a chi torna dai campi o si piega nell’immane fatica del panificare. E ancora la miseria, la malattia e l’emargi- nazione sfrangiano gonne e giubbetti quasi fossero espo- sti ad una improvvisa tempesta. Così Vittorini descrive un povero popolano che, negli anni Trenta del Novecen- to, indossa l’abito tradizionale: «È vestito di stracci che gli svolazzano addosso come piume; sembra un pollo».4 Quanta verità nella descrizione di questi indumenti di- ventati piume che non si tolgono neppure per dormire, in questi corpi che senza abiti sembrano non poter pro- prio esistere. Abiti del vivere quotidiano che coprono, ri- scaldano, accompagnano il lavoro, la preparazione e la conclusione della festa, che del vivere subiscono gli ol- traggi e sono destinati a sparire dopo infiniti riutilizzi, adattamenti e rammendi. Abiti slacciati, sudati, macchiati e consunti raccontano la vita quotidiana di quanti aspira- no alla regola vestimentaria della festa e della gala e allo stesso tempo sono costretti a trasgredirla, portandone co- munque indosso almeno un segno, anche nella miseria più oscura, per non sentirsi individui senza patria. In una società nella quale gli abiti hanno una così preci- sa connotazione simbolica, è anche naturale che nelle 62 62. Vedova di Nuoro, 1895, foto d’epoca. 63. Desulo, 1955, fotografia di Mario De Biasi. 64

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forme di scambio, quali il dono o la retribuzione, essi 63 abbiano un ruolo di primo piano. Senza neppure tentare di dar conto dell’ampiezza e della complessità dei rap- modesta condizione, anche per quelli festivi. Le famiglie porti che vengono a crearsi nel ciclo di produzione, tra- agiate ricorrono più spesso all’opera di maestranze, riser- sformazione e consumo, basterà qui ricordare che capi vando per sé soltanto piccoli lavori di ornamentazione. di abbigliamento, soprattutto fazzoletti e scialli, sono fre- Come si è visto esistono anche vari livelli di specializza- quente dono dei fidanzati alle promesse spose le quali zione e quasi mai l’intero insieme vestimentario viene ricambiano con camicie e fazzoletti ricamati. Cuffiette e confezionato da una sola persona. Alcune donne sono camicine sono il regalo delle madrine ai figliocci. Nastri, particolarmente dotate nella complessa realizzazione di fazzoletti e tessuti sono il dono più frequente per le giubbetti o gonne, altre ancora ricamano parti di indu- donne di casa al ritorno dalle città e dalle fiere. Le serve, menti che poi vengono assemblati da persone con un come vengono definite le aiutanti domestiche, ricevono grado ancora diverso di specializzazione. Fin qui si è per salario il vitto, l’alloggio e qualche capo di abbiglia- parlato di attività femminili, ma nelle città è altrettanto mento smesso o vengono eccezionalmente dotate di frequente l’opera di sarti esperti nella confezione di capi- qualcuno nuovo. Le balie sono provviste di camicie e spalla da uomo. Di competenza maschile è spesso anche grembiuli adatti a significare il loro ruolo e il rango della la produzione di sopravesti in pelle e pelliccia specie famiglia presso la quale prestano servizio. Il mantello di nelle varianti di maggior pregio. Capi pronti, soprattutto orbace viene concesso in dotazione ai lavoranti che so- maschili e infantili, sono venduti nei negozi dei centri no tenuti a renderlo quando il rapporto di lavoro si in- più importanti insieme a scialli, fazzoletti, tessuti e filati terrompe. Le calzature possono costituire una parte del necessari per la confezione di quelli femminili. salario annuale dei servi pastori in abbinamento con La moda, italiana e straniera, entra in gioco per gli inevi- derrate alimentari e un po’ di danaro. tabili passaggi tra classi sociali e per il diffondersi delle La confezione di capi di abbigliamento può avvenire in riviste di moda e di ricamo. Le novità giungono con gli ambito domestico e può essere compresa nell’insieme ambulanti e i loro carichi di nastri e tessuti variopinti ai delle attività proprie della “buona massaia”. In relazione quali le donne si accostano con pari diffidenza e deside- alla varietà delle situazioni materiali si confezionano capi rio. Così, fin nelle più piccole località dell’interno, pene- per tutti i membri della famiglia, almeno per quanto ri- trano stimoli e suggestioni “moderne” e processi di assi- guarda gli indumenti d’uso giornaliero e, in quelle di milazione, più o meno rapidi, si compiono per la ricerca di novità delle giovani generazioni, favorita anche dal commercio di tessuti di cotone a buon mercato, specie 65

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64 ti a membri dello stesso ambito familiare o capi smessi dalle “padrone”, donati alle donne di fatica, e poi ripro- tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. Nello dotti in versioni via via meno lussuose dalle altre popo- stesso periodo si diffondono anche i cataloghi per la lane. Il fenomeno continua, di passaggio in passaggio, moda pronta che divengono fonte di ispirazione soprat- fino al totale abbandono dell’abito tradizionale di foggia tutto per quanto riguarda la biancheria intima ed i dise- più antica sostituito da queste varianti che, per i noti at- gni per ricamo. tardamenti, perdurano nell’uso fino al primo trentennio Abiti ispirati alla moda francese e italiana, in voga tra il del Novecento. In alcune aree questo processo di sosti- 1870 e il 1880, entrano a pieno titolo nell’abbigliamento tuzione non si compie e i modelli sopra descritti restano tradizionale di diverse località della Sardegna per opera riservati ad una élite, mentre le classi più povere man- di mogli e figlie di funzionari statali e di commercianti, tengono lo stile vestimentario di tradizione cinque-sei- spesso forestiere e dunque portatrici di un diverso stile settecentesca che continua per tutto l’Ottocento e buona vestimentario, o anche donne del luogo che, dopo il parte del Novecento. matrimonio, assumono l’abito di tipo borghese ritenuto Nell’arco di tempo esaminato nel presente studio vi sono più adatto a rappresentare lo stato sociale del capofami- alcune località, quali Carloforte e la Maddalena, per le glia. Non potendo riconoscere in queste tipologie una quali non è possibile cogliere altro se non modelli esat- vera e propria caratteristica subregionale, dato che la tamente equivalenti a quelli indossati nella penisola ita- diffusione interessa in misura più o meno evidente mol- liana e un po’ in tutta Europa nel primo trentennio del- te località della Sardegna, vale comunque la pena di se- l’Ottocento e dei quali, anche per la mancanza di reperti gnalare che se in alcune località la presenza dei modelli d’epoca, non si può dare alcuna descrizione sartoriale. suddetti influenza solo marginalmente l’abbigliamento Gli uomini usano completi formati da giacca e pantalo- tradizionale, in altri luoghi finisce per uniformare grada- ne abbinati, combinati a gilet e camicia di taglio moder- tamente il gusto generale fino a soppiantare totalmente no, con fazzoletto annodato al collo che si preannuncia le fogge precedenti. già come una cravatta e con cappello a tesa quale copri- Sono abiti costituiti da gonna e giacchina realizzati in capo. Perfino le pettinature mostrano un incredibile tem- combinazione tra loro nei modelli festivi e di gala men- pismo nell’imitare i modelli in auge in Europa: i capelli tre negli altri casi, discendendo dalle fogge più ricche a sono corti, acconciati con apparente disordine in ciuffetti quelle da lavoro, la giacca e la gonna sono assortite in modo più casuale. Possono essere indumenti appartenu- 66

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ricadenti intorno al volto.5 Per quanto riguarda gli abiti diversi capi tra loro, leggendo in questo continuo fluire femminili le fonti illustrano sia la versione giornaliera, di dati il formarsi di vere e proprie mode locali che, se completa di scialletto da spalle e zoccoli, sia quella festi- non sono soggette ai repentini mutamenti del gusto ari- va caratterizzata da indumenti a vita alta, a scollo quadra- stocratico e borghese, mostrano comunque una conti- to, accompagnati da calze e scarpe leggere. In entrambi i nua evoluzione e ne interpretano, talvolta con sorpren- casi il capo è comunque coperto da un fazzoletto chia- dente tempestività, le influenze e le suggestioni. ro.6 Negli acquerelli del Tiole7 è anche descritto un corto L’analisi che segue, pertanto, propone le varie compo- giacchino del tutto simile al caraco del primo Ottocento nenti dell’abito tradizionale, descrivendo ciascun indu- che completa l’abito di tessuto leggero. mento nella sua funzione, illustrandone quando possibi- L’analisi classica dell’abbigliamento tradizionale sardo si le l’origine, la cessazione dell’uso o la continuità anche sofferma, di norma, sugli insiemi festivi e di gala delle in presenza di sostanziali trasformazioni. Le grandi cate- varie località, descritti troppo spesso come immutabili e gorie della festa, del lutto e della quotidianità vengono resistenti alla modernizzazione, e dei quali si esaltano il trattate insieme nell’analisi delle varie tipologie di indu- cromatismo, il corredo di gioielli e l’antichità. Superando menti, assorbite in quelli che possono più estesamente l’analisi di tali insiemi, che ad uno studio appropriato ap- essere definiti i sistemi vestimentari maschile, femminile paiono tutt’altro che immutabili, si propone qui un’anali- e infantile.8 si per quanto possibile approfondita dei vari capi costitu- tivi del sistema vestimentario nel suo complesso. 64. Giuseppe Biasi, Corteo nuziale, 1923 ca., olio su tela (particolare). Ogni volta che le fonti e l’esame degli stessi capi lo con- sentono si evidenziano le caratteristiche sartoriali e de- corative e in particolare quegli elementi che possono contraddistinguere, con una sorta di marchio etnico iso- lano, indumenti altrimenti comuni e popolarmente con- notati sia nell’area europea sia nord africana. Un’osser- vazione diacronica dei vari indumenti consente anche di cogliere i mutamenti più o meno rapidi delle forme sar- toriali di ciascun tipo e la varietà delle combinazioni dei 67

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L’abbigliamento femminile

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COPRICAPO E ACCONCIATURE I copricapo sono generalmente complessi, costituiti da almeno due elementi sovrapposti, uno dei quali a di- retto contatto con i capelli, raccolti in varie acconciature, e almeno un secondo, sopra questo. L’uso di co- prire la testa rende solo ipotizzabile quali acconciature si celino sotto i copricapo dato che anche quelli più semplici, come i fazzoletti o le cuffie, nascondono la capigliatura.9 Le donne portano i capelli lunghi intrec- ciati in diversi modi, partendo da una scriminatura centrale che divide la massa, viene spesso legata con nastri (bìttas o vìttas), colorati per le ragazze e le giovani donne e scuri o neri per le anziane o le vedove. Le trecce possono essere basse e ravvicinate alla scriminatura centrale, alla base del cranio, dove vengono attor- cigliate tra loro a formare una crocchia. Le trecce impostate dietro l’orecchio danno luogo ad un’unica crocchia che avvolge la base del cranio. Quelle portate alte e legate strettamente sulla sommità del capo (cùc- cos, cucchèdda, cuccurìnu), raccolte sotto la cuffia o avvolte con fazzoletti, costituiscono la struttura che consente di modellare i vari tipi di copricapo complessi. Nel primo Novecento, ai mutamenti descritti per gli abiti, si affianca anche un diverso modo di acconciare i capelli; fino a questo momento, specie per le donne sposate ed anziane, è regola diffusa quella di ricoprire i capelli quale segno di pudore, di riservatezza, di morigeratezza di costumi; tale regola, ferrea fuori dall’ambito domestico, viene per lo più osservata anche al suo interno, dove è consuetudine che le donne più anziane portino cuffia, fazzoletto o benda sovrapposti e, 66

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le più giovani, almeno il fazzoletto. In alcune località i copricapo di gala diven- gono ancora più complessi e continuano a nascondere i capelli, che nel quoti- diano vengono invece mostrati con più facilità. Fazzoletti, veli e scialli ini- ziano ad essere indossati a diretto contatto con la capigliatura che sempre più spesso viene acconciata e gonfiata all’attaccatura della fronte in conformità con lo stile borghese. La pettinatura a trecce, considerata fuori moda dalle ragazze, viene progressivamente abbandonata in favore della pettinatura a crocchia (curcùddu, mògno) fermata sul capo o sulla nuca con spilloni d’osso o di metallo; i cam- biamenti di pettinatura sembrano essere più traumatici rispetto alle modifiche dell’abbigliamento e lo scontro generazionale si fa talvolta vivace; le giovani che adottano pettinature alla moda sono guardate con riprovazione. Si può dire a grandi linee che, dopo il 1920, le donne mostrano la capi- gliatura con maggiore libertà e se questa re- sta comunque celata non lo è più per una sorta di tabù, ma per dare ancora più risal- to alle complesse acconciature di gala. Dopo il 1930 i capelli sono raccolti in una semplice crocchia, più o meno aderenti al capo, con o senza scriminatura centrale, e tale acconciatura è rimasta, pressoché invariata, nelle pettinature delle donne che continuano ad indossare il cosidetto abbigliamento di “transizione”. 67 65. Abito femminile da sposa e di gala, ’estìre rùiu, Ittiri, 1950 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 66. Cuffia festiva e di gala, cugùddu, Desulo, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 67. Cuffia festiva, carètta, Lodè, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 68. Cuffia festiva, carètta, Bitti (?), fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni 68 Popolari Sarde.

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69. Cuffia festiva e di gala, 70 carètta, Nuoro, seconda 71 metà sec. XIX Nuoro, coll. privata. 70. Orgosolo, foto d’epoca, anni Cinquanta. 71. Cuffia festiva e di gala, camùsciu, Oliena, seconda metà sec. XIX 69 Oliena, coll. privata. Cuffie da giorno Se ne possono distinguere sostanzialmente due tipi: modellate e a sacco. Le cuffie modellate sono tagliate in tre o più elemen- ti uniti tra loro per permettere una giusta aderenza al capo, adattandosi ad esso anatomicamente o al- terandone le proporzioni specialmente in lun- ghezza. Diffuse soprattutto nell’area centro-set- tentrionale, a Nuoro, Fonni, Ittiri, Desulo, Gavoi, Oliena, Orgosolo, Bitti, per citare solo qualche esempio, sono in genere confezionate con pan- no scarlatto, velluto di seta liscio o operato a motivi floreali, raso di seta. La fodera e le imbot- titure, che variano in relazione al modello, sono in genere in grossa tela di cotone o lino con ele- menti in tessuto, cuoio o cartone inseriti per au- mentarne la rigidezza. Sulle cuffie così confezio- nate compaiono vari tipi di ornamentazioni, tanto più preziose per l’uso festivo e di gala. Le cuffie di gala nuoresi (carèttas), usate sotto la benda sino alla fine dell’Ottocento, sono confezionate in panno scar- latto e talvolta ricamate con un motivo a stella in ca- nutiglia d’oro e d’argento; quelle per uso giornaliero, 72

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da indossare sempre sotto la benda, sono in panno o 72 tessuti di cotone dai colori sobri, fino ad arrivare al nero per le donne molto anziane o in lutto; in tutti i casi ven- 73 gono legate su un lato del viso, con un semplice laccet- to. L’antica cuffia di Oliena (camùsciu), irrigidita e sago- e il 1930, sono presenti cuffie da notte di foggia borghe- mata con cartone, è realizzata con lampassi broccati se, utilizzate soprattutto durante la degenza a letto, dopo guarniti con larghi galloni d’argento; ad essa può essere il parto. Si tratta di preziosi esemplari confezionati in sot- sovrapposto un velo o uno scialle di seta. A Bitti si co- tile taffettà e organza di seta o bisso di lino che presenta- noscono esemplari di forma molto allungata, in panno, no ricami su tela sfilata o inserimenti di falsature in pizzo velluto o tessuti di seta spesso ricamati a motivi geome- meccanico tipo Valenciennes; i modelli sono chiaramen- trici e con inserimento di carta di stagnola colorata, ai te borghesi senza alcuna modifica d’impronta popolare. quali si sovrappone la benda bianca o lo scialle di seta; altri esemplari sono ornati con trine in filati metallici 72. Cuffia festiva e di gala, capiàle, Ollolai, prima metà sec. XX d’oro e d’argento realizzate a fuselli con prevalenza di Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. motivi a ventaglio di tradizione settecentesca. Non si 73. Ollolai, foto d’epoca, anni Venti. può non citare la cuffia di Desulo (cugùddu), certamen- te la più nota anche fuori dell’isola, divenuta una sorta di simbolo della Sardegna, caratterizzata dall’alternanza del rosso del tessuto, dell’azzurro dei nastri e del giallo dei ricami geometrici. Le cuffie a sacco (cambùsciu, scòffia, trubànti) sono dif- fuse in tutta la Sardegna, particolarmente in quella cen- tro-meridionale. Possono essere confezionate in raso e velluto di seta, in filati di lana, lino o cotone o seta lavo- rati ai ferri o a uncinetto. Il modello è costituito da un rettangolo di tessuto o maglia chiuso sul lato lungo ed arricciato ad una estremità sulla quale viene talvolta ap- puntato un fiocco o una nappina. Il lato che rimane aperto, bordato con un nastro di velluto o di taffettà di seta, viene calzato all’altezza della fronte e il nastro lega- to a fiocco sulla sommità del capo o annodato dietro la nuca. Negli esemplari più sfarzosi il fiocco di velluto di seta nero è guarnito con frange in canutiglia d’oro. Qua- le che sia il materiale utilizzato, la parte a sacco, più o meno lunga, ricade morbida e sfiora la parte superiore delle spalle, raccogliendo completamente al suo interno la massa dei capelli acconciati in vario modo. Gli esem- plari confezionati in tessuto di seta sono quasi sempre foderati con tela di cotone o lino color crudo. Le cucitu- re sono realizzate sia a mano che a macchina. In alcuni comuni del meridione dell’isola si è perso, nel tempo, l’uso della cuffia della quale resta testimonianza in una fascia con fiocco di velluto più o meno decorato sulla quale viene appuntato il velo. Cuffie da notte e da letto Le cuffie da notte vere e proprie sono assai rare perché, considerate alla stregua di capi intimi, non venivano con- servate per lo scarso valore venale. Il loro uso è docu- mentato fino agli anni Quaranta del Novecento da parte di donne anziane che prediligono tessuti morbidi di co- tone (tela o mollettone) e modelli semplici, sagomati sul capo, simili a quelli dei bambini, o modelli a sacco.10 Le donne più giovani utilizzano semplici fazzoletti di co- tone in tinta unita o a fiorami, ma più spesso raccolgono i capelli in due trecce trattenute da nastri morbidi. In al- cuni corredi particolarmente preziosi, databili tra il 1910 73

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78 77 74. Cuffia, iscòffia, Ittiri, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 75. Cuffia festiva, scòffia, Iglesias, fine sec. XIX-inizio XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 76. Cuffia festiva, scòffia, Iglesias, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 77. Cuffia festiva, iscòffia, Atzara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 78. Cuffia di gala, berrìtta, scùffia, Quartu S. Elena, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 79. Cuffia di gala, berrìtta, scùffia, Quartu S. Elena/Monserrato, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 79

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Bende 80 Con il termine benda (Nuoro, Orani: bènda; Orgosolo: liónzu; Bitti: vèla; Atzara, Benetutti e Bono: tiazòla; 80. Bono, foto d’epoca, inizio sec. XX. Fonni: tivagèdda, a titolo d’esempio) si indicano i co- pricapo aventi quale principale caratteristica quella di 81. Benda festiva, tiazòla, Benetutti, primo decennio sec. XX essere più lunghi che larghi,11 di avere la sola dimen- Benetutti, coll. privata. sione piana e di venire utilizzati avvolti attorno al vol- 82. Benda festiva, tiazòla, Bono, prima metà sec. XX to, passando sotto il mento e ricoprendo la gola del Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. tutto o in parte. Sotto le bende si indossano sempre al- tri tipi di copricapo quali cuffie, fazzoletti o nastri che integrano e sostengono l’acconciatura dei capelli per ottenere i volumi desiderati. A loro volta le bende pos- sono essere indossate sotto manti, manticelli ecc. Si trat- ta di indumenti estremamente interessanti derivati da fogge assai arcaiche ampiamente attestate nell’icono- grafia colta italiana tardomedievale e rinascimentale che in Sardegna hanno avuto particolare fortuna so- pravvivendo, con piccole, continue modifiche, fino al primo decennio del Novecento; dopo questa data solo in alcuni paesi ne è perdurato l’impiego, riservato ad insiemi vestimentari di gala e in alternativa a forme di copricapo meno complesse e di gusto moderno. L’ico- nografia più antica, le testimonianze e le fonti orali ci permettono di affermare che l’uso della benda è, in Sar- degna, riservato alle donne maritate, o comunque adul- te, non diversamente da quanto accade anche in Italia per tutto il Trecento dove le bende sono il copricapo proprio delle donne mature per poi diventare quello de- gli ordini monastici.12 Le fonti orali e, più raramente, quelle iconografiche informano dell’utilizzo della benda anche da parte delle donne nubili, in contesti cerimoniali 81 82

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83 84 85 precisamente circoscritti. A Nuoro, ad esempio, l’insie- me vestimentario da sposa di famiglia agiata, codificato intorno alla metà dell’Ottocento ed utilizzato con qual- che variante fino al primo decennio del Novecento, prevede l’uso della benda bianca, di tessuto di seta o di cotone. Tale copricapo è precluso alle donne non sposate con la sola eccezione delle giovani parenti nu- bili della sposa che in occasione delle nozze l’accom- pagnano durante il corteo indossando anch’esse l’insie- me da sposa completo di benda. Al di fuori da questa occasione l’utilizzo da parte delle nubili della benda e dell’insieme dei gioielli propri delle spose è fortemente censurato. Le fonti iconografiche dei primi decenni dell’Ottocento attestano la presenza, in varie località dell’isola, delle bende, nel tempo soppiantate da forme di copricapo più “moderne”; solo in alcune località le bende vengono utilizzate fino ai primi decenni del No- vecento con modifiche, anche notevoli, nelle dimen- sioni e nel modo di indossarle. Per la confezione di questi capi è consueto l’uso di tela di cotone o di lino di colore bianco, anche se qualche fonte informa della presenza di bende di seta, bianche o gialle. Il colore giallo o bruno, sia in lino sia in coto- ne, o il giallo, velato con un sottile tessuto di garza ne- ro, è ampiamente usato nella condizione di mezzo lut- to; per il lutto stretto, riservato alle vedove, è previsto l’uso del colore nero in capi di tela di cotone, lino o ti- bet di lana. Fa eccezione a questa regola cromatica la 83. Orani, cartolina illustrata, inizio sec. XX. 84. Atzara, anni Venti, fotografia di A. Ferri. 85. Bono, cartolina illustrata, inizio sec. XX. 86. Benda festiva, tiazòla, Bono, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 86

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87 benda di Orgosolo, detta liónzu, di colore giallo anche nell’abbigliamento festivo e nuziale.13 Si tratta di un ca- 87. Orgosolo, anni Venti, po realizzato con un tessuto di seta prodotta in loco. fotografia di A. Ferri. L’allevamento dei bachi, la trattura del filo, la filatura e 88. Benda, liónzu, nell’insieme festivo e tutte le operazioni necessarie fino alla tessitura avven- di gala, Orgosolo, prima metà sec. XX gono in ambito familiare. Il colore giallo è ottenuto con Nuoro, Museo della Vita e delle lo zafferano.14 Le bende sono quasi sempre prive di or- Tradizioni Popolari Sarde. namentazioni e presentano orli sottili cuciti a mano, a punto Parigi, a giorno o a macchina. In qualche caso gli orli a giorno sono più complessi e il capo ha una parte, in genere ad angolo, ricamata su tela sfilata, a intaglio, o con inserti in filet. Gli orli sono orientati in direzione diritto rovescio, in relazione al modo di avvolgere la striscia attorno al capo o di ripiegarla per la stiratura. Ad eccezione della benda di Orgosolo, che si conserva semplicemente arrotolata, gli altri tipi di bende, con grandi differenze da luogo a luogo, richiedono com- plesse operazioni di apprettatura con amidi a freddo o a caldo se di colore chiaro, con cera se di colore scuro. 88

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Fazzoletti 89 Un pezzo di tessuto indossato a protezione della testa e del volto: così potrebbe essere banalmente descritto il 89. Sennori, foto d’epoca, anni Cinquanta. fazzoletto, copricapo femminile popolare per eccellen- za. Quando questo tessuto abbia iniziato ad essere usa- 90. Fazzoletto e velo, muccalóru biàncu e ’élu, nell’insieme festivo to stabilmente come copricapo, quando la sua forma sia e di gala, Sennori, prima metà sec. XX stata codificata in quella quadrangolare, allo stato attua- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. le degli studi non può essere detto con sicurezza per nessuna delle varianti presenti nei paesi del bacino del Mediterraneo e non sarà il caso di tentare alcuna ipotesi neppure per quelle sarde. Questo studio si limiterà per- tanto a descrivere i modelli più diffusi, la loro specifica funzione e l’evoluzione del gusto. I fazzoletti di forma quadrata da piegare a triangolo o quelli triangolari, utilizzati nell’isola tra il XIX e il XX se- colo, sono per lo più prodotti industriali tessuti con fila- ti di lana, cotone e seta quali il crespo di lana e di seta, il damasco di cotone o seta, i taffettà uniti, cangianti o operati a motivi floreali sia in tinta unita sia policromi, i rasatelli in lana e cotone spesso stampati a motivi flo- reali o geometrici.15 La confezione prevede un sottile orlo realizzato a macchina o a mano. Questo tipo di fazzoletti viene stretto intorno al capo avvolgendo la capigliatura con le cocche riportate sulla sommità op- pure annodate sotto la nuca. I fazzoletti indossati in questo modo sostituiscono di fatto le cuffie, proteggo- no il copricapo soprastante dal contatto diretto con la capigliatura e danno sostegno e volume all’insieme del- l’acconciatura. In alcuni casi è presente un ricamo im- postato su uno dei lembi destinati a rimanere in vista quando indossato in insiemi complessi con benda o al- tri fazzoletti sovrapposti come avviene a Bono, Anela, Sennori. Questo genere di fazzoletti può anche essere indossato con le cocche morbidamente annodate sotto il mento o su un lato del volto e può essere a vista o associato ad un copricapo sovrapposto: velo o scialle di seta (Settimo S. Pietro, Monserrato, Pirri, Quartu, Selar- gius), manticello (Lanusei, Samugheo), benda (Atzara). A Busachi si segnala l’uso di un fazzoletto di tela di co- tone o lino, di forma quadrata, che, ripiegato a rettan- golo, viene indossato con i lembi liberi o annodati sotto il mento, posato su un fazzoletto stretto sul ca- po; il colore è bianco candido per l’uso giornaliero o giallo per il lutto. Nell’area centro-meridionale sono particolarmente diffusi ampi fazzoletti in tessuti di lana o cotone stampati.16 Sono caratterizzati da tonalità croma- tiche molto calde e cupe, con fondi uniti e cor- nici a grandi motivi floreali ottenuti a stampa. La grandissima diffusione di questi indumen- ti, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, fa supporre che il loro costo fosse divenuto accessibile ai più ed è da porre in relazione con l’altrettanto vasta presenza di tele di cotone stampato, le cosiddette indiane, che ricopri- ranno un ruolo molto importante 90

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91. Fazzoletti festivi, muccadòres, 91 provenienza varia, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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nella confezione di diversi indumenti tradizionali. I capi 92 destinati all’abbigliamento festivo delle ragazze o delle donne più giovani sono spesso a vivaci colori eviden- 92. Sant’Antioco, cartolina illustrata, inizio sec. XX. ziati con bordure e frange in tinta. Questi grandi fazzo- letti vengono in genere ripiegati a triangolo e poi adat- 93. Fazzoletto festivo da nubile, muncalóru, tati sul capo, fissandoli con una spilla al copricapo Settimo S. Pietro, prima metà sec. XX sottostante e lasciando i lembi aperti o annodati morbi- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. damente all’altezza del petto. In alcune località vengono appuntati al copricapo sottostante e fatti ricadere senza 94. Fazzoletto giornaliero, macalóru, Macomer, prima metà sec. XX ulteriori piegature. Questo modo di utilizzarli può aver Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. indotto alcuni viaggiatori dell’Ottocento, ed anche qual- che studioso locale, a ritenere diffusi nell’isola i mezzari genovesi. In realtà, salvo usi sporadici dei preziosi mez- zari in ambiti sociali particolarmente agiati, i fazzoletti di cui si parla possono essere considerati delle imitazio- ni a buon mercato.17 I fazzoletti in tibet di lana nei colori crema, tabacco, mar- rone bruciato, nero, blu hanno forma quadrata e vengo- no indossati ripiegati a triangolo. Attestati sin dalla fine dell’Ottocento, si diffondono presto in quasi tutta l’isola, in molte varianti locali, dapprima affiancandosi ai model- li di copricapo più arcaici e poi finendo per sostituirli quasi ovunque, con il variare dell’intero insieme vesti- mentario. Le dimensioni cambiano sia in relazione al luogo che ai momenti di utilizzazione. Con larga genera- lizzazione possiamo ad esempio affermare che nella Sar- degna centrale, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, le dimensioni medie sono piuttosto ampie mentre si riducono fortemente avvicinandosi ai momenti finali della loro utilizzazione (1950 ed oltre nell’abbiglia- mento di “transizione”).18 La confezione di questi capi 93 94

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95 96 prevede un sottile orlo realizzato a macchina o a mano o a piccoli smerli ricamati a punto festone con cordoncino di seta in tinta o in contrasto cromatico. In alcune loca- lità come Nuoro, Orosei, Fonni, Mamoiada, il fazzoletto viene ricamato in corrispondenza del triangolo posterio- re, con la medesima tecnica decorativa usata per altre parti dell’abito festivo, quali il corpetto, il grembiule o la gonna. Possono pertanto essere presenti temi floreali a ghirlanda, motivi geometrici a greca o triangoli, anche in combinazioni tra loro, realizzati a punto raso, er- ba, pittura, pieno, con fili di seta policromi e canu- tiglia d’oro e d’argento; per completare il ricamo sono talvolta inseriti lustrini, perline e vetri colo- rati. Nei luoghi in cui l’abito tradizionale viene ancora oggi utilizzato in ambito festivo si in- troducono ulteriori modifiche soprattutto nel- l’impostazione dell’ornato. Questo tipo di fazzoletti, che costituiscono, sia nella ver- sione inornata che in quella ricamata, la continuità tra il sistema vestimentario tra- dizionale e l’abbigliamento di “transizio- ne”, vengono indossati ripiegati a trian- golo, riducendone l’ampiezza con una o due pieghe in corrispondenza del lato lungo che incornicia il viso. In alcune località questa parte viene fissata a punti nascosti ad un sup- porto che ne irrigidisce il profilo (Fonni). Le cocche vengono in ge- nere raccolte incrociandole sotto il mento e fissandole verso l’interno, all’altezza dell’orecchio. In ambito domestico i lembi possono essere sollevati e riportati sulla sommità del capo. 99 100

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97 98 95. Fazzoletto giornaliero, muncalóru ispàrtu, Ittiri, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 96. Fazzoletto festivo, muccadòre, Orani, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 97. Fazzoletto festivo e di gala, muccadòre, Benetutti, 1948 Benetutti, coll. privata. 98. Fazzoletto festivo e di gala, muccadòre, Nuoro, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 99. Fazzoletto giornaliero, muncadòre biàncu, Busachi, primo decennio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 100. Fazzoletto festivo, mucadòre, Mamoiada, prima metà sec. XX Mamoiada, coll. privata.

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Manticelli ma quadrangolare piana (Ploaghe: mantéddu; Samu- Si tratta di un genere di copricapo molto diffuso nella gheo: mantighéddu; Lanusei: colòri ) o presentano un Sardegna dell’Ottocento e del primo Novecento che tro- lato arrotondato (Villagrande Strisaili: colòre ; Tertenia: va oggi attestazioni limitate per i citati fenomeni di mo- màntu) oppure, come il cappùzzu di Gavoi, sono sago- dernizzazione. Il copricapo definito manticello ha di- mati per adattarsi alla sommità del capo in una sorta di mensioni ridotte,19 ricopre il capo, i lati del volto e cappuccio i cui lembi inferiori scendono liberi sulle sfiora gli omeri. È confezionato per lo più con panno di spalle. A Ploaghe il manticello è confezionato con pan- lana ed è bordato con taffettà di seta o velluto, nastri e no di lana rosso o giallo di forma quadrangolare che passamanerie in tinta contrastante. Le cuciture sono rea- viene ricoperto con quattro elementi di tessuto di seta in lizzate a mano o a macchina. Alcuni modelli hanno for- tinta unita o velluto operato a fiorami; questi elementi 101-102. Manticello festivo e di gala, colòri, Lanusei, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 101

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sono così disposti da lasciare in evidenza, al centro, il panno rosso che forma un motivo a croce. Il ritratto di Anna Lucia Figone Spano, madre dell’archeologo Gio- vanni Spano, conservato presso la Facoltà di Lettere di Cagliari e risalente all’inizio del XVIII sec., è di partico- lare interesse per lo studio dell’evoluzione di questo co- pricapo perché mostra una versione più morbida di quella in voga attualmente, nella quale il tessuto di seta in colore contrastante è applicato nella sola parte ante- riore; interessante è anche il fatto che venga chiaramente 103 103. Serri, foto d’epoca, primo decennio sec. XX. 102

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104 105 104. Ploaghe, foto d’epoca, fine sec. XIX. 105. Fonni, foto d’epoca, primo decennio sec. XX. 106. Manticello festivo e di gala, mantéddu, Ploaghe, anni Cinquanta Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 107. Manticello, mantighéddu, nell’insieme festivo e di gala, Samugheo, 1930 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 108. Manticello festivo, mantìgliu, Carloforte, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 109. Manto di gala, capìtta, Osilo, seconda metà sec. XIX Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. 110. Manto di gala, capìtta, Osilo, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 111. Manto di gala, capìtta, Osilo, primo decennio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 106

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indossato sovrapposto ad una benda a soggolo. Lo stes- so modello è riprodotto in alcune tempere (1870-80) di Simone Manca di Mores che raffigurano una donna di Ploaghe in abito di gala con manticello giallo bordato di celeste. In Ogliastra i bordi del manticello sono evi- denziati con nastri di taffettà in colore contrastante ri- spetto al tessuto, e il punto di unione è anche sottoli- neato con un fine ricamo a dentelli realizzato con cordoncini di seta; tipico di tutta l’area ogliastrina è il modo di fissarlo sotto il mento con un soggolo a catena (gancèra, càncios de frénu, cadenàtzas) in lamina e fi- ligrana d’argento con ganci in lamina cuciti al tessuto. Anche in questo caso l’indumento si indossa sopra un fazzoletto o uno scialle. Il manticello in uso a Samu- gheo, che è parte di una complessa acconciatura costi- tuita da almeno tre fazzoletti di diverso tipo, ha forma rettangolare ed è confezionato con panno o tessuto ti- po loden di colore verde; la sola parte anteriore è rica- mata a motivi floreali e geometrici ed è guarnita con applicazioni di lustrini e passamanerie. A Fonni, di panno bordato d’azzurro, viene indossato in mo- do da ricoprire tutta la parte superiore del bu- sto tenendolo chiuso completamente sul petto. A Gavoi è bordato in taffettà di seta o pizzo nero e, negli esemplari recenti, viene in- dossato sovrapposto alla sola cuffia. 107 108 109

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Manti 112 L’iconografia più antica mostra con grande frequenza 113 immagini di donne abbigliate con manti da testa di am- piezza maggiore rispetto ai manticelli descritti in prece- denza. In qualche località questo tipo di copricapo è ancora presente nell’abbigliamento tradizionale e nume- rosi sono i reperti d’epoca che ne testimoniano una va- sta diffusione tra tutti i ceti sociali sia negli abiti di gala che in quelli giornalieri e da lutto. Si indossano sempre sovrapposti ad insiemi di cuffia/benda, cuffia/velo o faz- zoletto. L’ampiezza varia in relazione al modello mentre la lunghezza è tale da coprire il capo e tutto il busto ar- rivando fino al bacino. I modelli più semplici sono quel- li di forma quadrangolare, in piano, confezionati in pan- no o orbace e ornati con applicazioni di velluto, nastri e ricami. A Bitti un manto di questo tipo si indossa sopra l’insieme costituito da cuffia e benda o cuffia e fazzolet- to. Ad Aritzo (cappùcciu), dove si sovrappone allo scialle di seta o al velo di tulle, la forma è più complessa: ha la parte superiore sagomata che permette di calzarlo sulla testa come un cappuccio mentre i lembi sciolti arrivano a coprire i fianchi. A Desulo esiste un modello di forma trapezoidale in orbace, identico al grembiule (saùcciu ’e liàre) per un uso quotidiano e festivo, e un modello d’uso strettamente cerimoniale (cappùcciu) in panno nero con pieghe che partono a raggiera dalla sommità del capo e bordi in taffettà di seta, o in damasco di seta nero nelle ultime lussuose varianti. Di forma rettangola- re piana sono anche i manti di panno di lana verde o azzurro di S. Antioco (pannìcciu de colòri ). I manti delle ricche popolane di Cagliari (panattàre), detti mantéddu o mantìglia a arrànda ’e pràta, e quelli tipici degli abiti 114 115

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118 116. Iglesias, cartolina illustrata, inizio sec. XX. di gala di Iglesias, Alghero e Tortolì (mantìglia) hanno 116 forma ad amigdala con lati lunghi asimmetrici. Sono 117. Panattàra di Cagliari, cartolina illustrata, confezionati in panno di lana rosso con bordi in trina fine sec. XIX. d’argento lavorata a fuselli, oppure in raso di seta bian- co con larga bordura in raso di seta az- 118. Manto festivo e di gala, zurro. Sono indumenti riservati a mantìglia, Iglesias, seconda donne benestanti e maritate che si metà sec. XIX indossano sempre sopra la cuf- Roma, Museo Nazionale fia o in associazione al velo di delle Arti e delle Tradizioni tulle. Dal Nuorese provengo- Popolari. no manti della stessa forma, in panno bordato con na- 119. Manto festivo e di gala, stri a motivi floreali, op- mantéddu o mantìglia a pure confezionati con arrànda ’e pràta, Cagliari, preziosi lampassi broc- fine sec. XIX cati a motivi floreali Nuoro, Museo della policromi, orlati con Vita e delle Tradizioni 117 trine d’argento a fu- Popolari Sarde. selli; questi capi, la cui datazione può essere compresa tra il tardo Settecento e i primi de- cenni dell’Ottocento, sembrano essere associa- ti a sistemi vestimentari assai rari, di chiara influenza spagnola, prerogativa delle classi più elevate della società del tempo.20 112. Aritzo, anni Venti, fotografia di A. Ferri. 113. Desulo, foto d’epoca, anni Venti. 114. Manto festivo e di gala, cappùcciu, Desulo, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 115. Manto festivo e di gala, cappùcciu, Aritzo, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 119

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Scialli 120 121 Si tratta di grandi fazzoletti quadrangolari con frange che hanno incontrato larga fortuna nell’abbigliamento femmi- morbidamente sul petto. Solo nell’ultima fase di utilizza- nile a partire dalla fine dell’Ottocento, arrivando a sop- zione, dopo il 1920, in qualche località si è preso ad in- piantare le altre fogge di copricapo. Se ne distinguono dossarli a diretto contatto con la capigliatura raccolta a due grandi tipologie di importazione nazionale ed estera. crocchia: si tratta di momenti di grande trasformazione Scialli di seta in tessuti leggeri operati su base damasco che preludono ad una cessazione del loro utilizzo in o taffettà21 o più pesanti come i cannellati caratterizzati ambito tradizionale. da una bicromia o tricromia che valorizza i motivi flo- Grande fortuna hanno, in tutta l’isola, gli scialli in tibet reali stilizzati di grandi e medie dimensioni. Questo ge- di lana di forma quadrata22 nei colori tabacco, marrone, nere di scialli è usato in tutta l’isola negli insiemi vesti- nero o, più raramente, blu scuro. Si acquistano già or- mentari di gala di moltissimi paesi quali Aggius, Bitti, nati con frangia in cordoncino di seta in tinta, annodato Dorgali, Irgoli, Lula, Oliena, Orosei, Orune, Settimo San con la tecnica del macramè, oppure vengono confezio- Pietro, Sinnai, Quartu, per fare solo qualche esempio. nati in loco acquistando il tessuto e poi provvedendo a Vengono sempre indossati ripiegati a triangolo, even- realizzare la frangia con la forma di intreccio preferita.23 tualmente riducendo l’ampiezza anteriore con ulteriori L’altezza della bordura, il tipo di annodatura e anche la piegature come stabilito dalle usanze locali. Tradizional- lunghezza delle frange, variando da zona a zona, costi- mente sono indossati sovrapposti a cuffie o fazzoletti, lasciando ricadere i lembi lungo il busto o annodandoli tuiscono elemento di riconoscimento geografico e di datazione. Di norma gli esemplari più antichi hanno, infatti, dimensioni ridotte e frange più corte. L’in- troduzione di questi scialli sembra aver inizio nel primo Ottocento; si diffondono rapidamente e non sempre, ma spesso, sostituiscono i copricapo preesistenti o vengono indossati in alternativa 120. Dorgali, foto d’epoca, fine sec. XIX-inizio XX. 121. Dorgali, foto d’epoca, fine sec. XIX- inizio XX. 122. Scialle festivo e di gala, pannúzzu ’e sèda, Dorgali, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 123. Scialle festivo, pannúzzu recamàu, Dorgali, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 124. Scialle festivo e di gala, muncadòre, Oliena, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 125. Scialle festivo e di gala, muncadòre, Oliena, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 122

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126 127 128 ad essi; ad Orgosolo, ad esempio, lo scialle non sop- al modello codificato intorno al 1930 e utilizzato nell’in- pianta la benda nell’abito di gala, ma resta “confinato” sieme da sposa fino agli anni Cinquanta del Novecento. ad un uso giornaliero o semifestivo indossato sopra la In tutta la Sardegna centro-meridionale gli scialli di cuffia, con i lembi raccolti sotto il mento. Lo stesso tipo questo tipo presentano estesi ricami floreali a vivaci co- di scialli viene anche ornato con ricami floreali realizza- lori o prediligono cromatismi più raffinati e sobri nei ti con fili di seta policromi, secondo moduli decorativi toni spenti delle terre sul fondo tabacco o marrone del di tradizione settecentesca prima, ottocentesca poi, con tessuto. variazioni nella tipologia dei punti di ricamo e nei cro- matismi che giungono alla massima enfasi nei primi de- 126. Scialle festivo e di gala, sciallètto o mucatòre de sèta, cenni del Novecento. I motivi ornamentali interessano Orune, inizio sec. XX sempre la parte posteriore triangolare che ricopre il ca- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. po e le spalle e sono costituiti da mazzi di fiori circon- dati da ghirlande di fiori e spighe; sporadicamente sono 127. Scialle giornaliero, mucadòre, anche presenti elementi zoomorfi, uccelli esotici e far- Ollolai, prima metà sec. XX falle, chiaramente tratti dall’ornamentazione di nastri e Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. tessuti serici d’importazione. Anche la tipologia del ri- camo e la sua disposizione permettono l’attribuzione 128. Scialle festivo e di gala, issàllu ’e sèta, geografica e temporale. A Dorgali lo scialle, detto Orosei, fine sec. XIX pannùzzu recamàu, presenta delicati ricami floreali, Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. viene piegato a triangolo e indossato su una complessa acconciatura costituita dai capelli intrecciati con fazzo- 129. Scialle festivo e di gala, sciàllu, letti variopinti. Ad Oliena lo stesso tipo di scialle, mun- Settimo S. Pietro, inizio sec. XX cadòre, conosce nel tempo diversi stili di ricamo, fino Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 130. Oliena, foto d’epoca, inizio sec. XX. 131. Ollolai, foto d’epoca, anni Trenta. 132. Benetutti, foto d’epoca, fine sec. XIX. 96

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Veli Benché si tratti, per forma e dimensioni, di grandi fazzo- letti24 riservati ad un uso festivo, i veli vengono conside- rati a parte perché caratterizzati dall’impiego di tessuti trasparenti quali l’organza, la garza o il tulle meccanico di cotone, lino o seta, a maglia per lo più esagonale. È plausibile che i primi esemplari fossero già diffusi sul fi- nire del Settecento, presso i ceti abbienti, e che poi sia- no passati all’ambito popolare con sempre maggiore fre- quenza tra l’Ottocento e il Novecento con la crescente disponibilità sul mercato del tulle meccanico di cotone. 134 135 133 136

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133. Abito femminile festivo e di gala, Oristano, prima metà sec. XX Già in alcune tavole del Tiole e del La Marmora si os- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. servano diversi insiemi vestimentari di gala caratterizza- 134-136. Velo festivo e di gala, tùllu, Ittiri, prima metà sec. XX ti dal copricapo di velo; l’iconografia successiva attesta Sassari, coll. privata. un incremento dell’uso che diviene poi generalizzato. 137. Velo festivo e di gala, vélu, Oristano, prima metà sec. XX La diffusione sembra partire dalle coste via via raggiun- Oristano, coll. Enrico Fiori. gendo le aree più interne della Barbagia dove i veli di questo tipo sostituiscono i manti e i manticelli degli 138. Velo festivo e di gala, vélu, abiti tradizionali negli insiemi vestimentari definiti “co- Monserrato/Quartu S. Elena, fine sec. XIX stume da sposa” nei quali, seguendo la moda borghe- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. se, il velo bianco diviene vero simbolo delle nozze sia 139. Velo festivo e di gala, muccadòre biàncu, per il colore che per la leggerezza e la trasparenza del Teulada, prima metà sec. XX tessuto. I modelli di forma quadrata vengono indossati Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. ripiegati a triangolo, pertanto è frequente una ornamen- 140. Velo festivo e di gala, muncadòri biàncu, tazione ricamata simmetricamente negli angoli contrap- Iglesias, prima metà sec. XX posti o riservata alla sola parte triangolare che ricade Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. sulle spalle, destinando un ornato più semplice a quella 141. Velo festivo e di gala, muncadòre ’e tùllu, sottostante. Busachi, seconda metà sec. XIX I veli di forma quadrata o rettangolare vengono indossa- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. ti completamente aperti a ricadere sulle spalle; in questo 142. Osilo, cartolina illustrata, inizio sec. XX. caso la parte anteriore corrispondente alla sommità del 143. Abito femminile festivo e di gala, ’estìre rùiu, Ittiri, 1950 capo viene rinforzata e ornata con l’applicazione di un Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. pizzo meccanico o a mano. A Samugheo e Busachi il 144. Abito femminile festivo e di gala, Ollolai, inizio sec. XX velo (muncadòre ’e tùllu) viene ripiegato a metà, a for- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. ma di rettangolo. Altri tipi di velo di forma rettangolare vengono drappeggiati in vario modo attorno al capo, 138 139

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coprendo la gola e il petto (Osilo, Sennori: ’élu). 142 I motivi decorativi sono sempre di carattere floreale, più o meno raffinati, e sono realizzati con fili di cotone o seta in tinta messi in opera a punto catenella, filza, pieno, pieno imbottito, rammendo, tela, festone e cor- doncino con i quali si realizzano anche decorazioni a traforo a fili tirati. Come le bende, anche i veli richiedono un’accurata sti- ratura che può prevedere l’apprettatura a caldo o a freddo. Caratteristica dello “stile locale” è proprio il mo- do di stirare e posare sul capo un tipo di velo che per il resto potrebbe altrimenti risultare identico tra un paese e l’altro e che invece, proprio con questi accorgimenti, caratterizza fortemente lo stile vestimentario dell’una o dell’altra località. I veli di tulle vengono perciò inamida- ti in modi diversi a seconda dell’uso cui sono destinati. L’amido cotto o la colla di pesce danno consistenza qua- si vetrosa agli esemplari di Samugheo, Busachi, Iglesias, S. Antioco, Teulada ecc.; Ollolai, Aritzo, Orosei e tutta l’area del Campidano di Oristano e di Cagliari prediligo- no apprettature più leggere come anche Osilo, Sennori e Tempio; a Ittiri, Florinas e in tutta l’area anglonese, dove il velo si porta sciolto a ricadere sulle spalle, viene apprettata, e comunque rinforzata con un merletto di supporto, solo la parte anteriore. 140 141

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Grembiuli da testa 145 In alcune località della Sardegna centrale e meridio- 147 nale è attestato, fin dai primi decenni dell’Ottocento, l’uso di un copricapo del tutto analogo ad un grem- biule, di colore nero, che viene indossato ponen- dolo trasversalmente sul capo, come attestato dal- la tavola del Tiole raffigurante una popolana di Milis. I grembiuli da testa, soprattutto negli in- siemi giornalieri, sono in verità diffusi in tutta l’isola con diverse denominazioni quali pan- néllu ’e cugùddu o fàlda ’e coveccàre, defi- nizione questa che può anche far riferi- mento alle gonne da testa descritte più avanti. In qualche caso sono anche pre- senti i lacci che, privati della loro ini- ziale funzione, vengono legati a fioc- co e ricadono liberamente su una spalla. A Desulo questo copricapo è del tutto uguale al grembiule, sia per forma che per ornamen- tazione, e viene allacciato sot- to il mento con una catenella d’argento. I grembiuli da testa vengono sempre sovrapposti ad altri elementi (veli, fazzoletti, cuf- fie) ed è possibile che la loro presenza an- che in ambito festivo sia dovuta ad una iniziale necessità di proteggere dalle intemperie il copricapo sottostante quando questo sia realizzato in tessuto prezioso. Non è comunque da trascurare il fatto che questo genere di in- dumenti serve anche a mitigare l’aspetto festivo di un copricapo troppo chiaro o lussuoso se indossato in par- ticolari momenti della vita sociale quali le visite di con- doglianze o la partecipazione a funzioni religiose in suf- fragio di defunti. Un’ulteriore variante è costituita dai grembiuli posteriori da rialzare sul capo. A Isili il caratte- ristico indumento detto fàsca viene realizzato in tessuto pesante di lana e indossato allacciandolo in vita e rial- zandolo sulla testa a coprire la parte posteriore del bu- sto e il capo. A Ozieri, riservato alle donne agiate, è det- to màntu ed è confezionato in tessuto di seta di colore nero (raso, taffettà).25 I grembiuli da testa, dei quali si conservano solo pochi esemplari d’epoca, hanno cono- sciuto una notevole diffusione fino a tutto l’Ottocento analogamente a quanto è avvenuto nella penisola italia- na dove l’uso, a livello popolare, è documentato dalla fi- ne del Seicento ed è continuato per tutto l’Ottocento. 145. Grembiule da testa giornaliero, pannéllu ’e cugùddu, 146 Ittiri, inizio sec. XX, Sassari, coll. privata. 146. N.B. Tiole, Paysans de Milis, 1819-24, acquerello su carta. 147. Desulo, 1955, fotografia di Mario De Biasi. 148. Grembiule da testa festivo, saùcciu, Desulo, primi decenni sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 104

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Gonne da testa o gonne-copricapo tessuto contrastante è applicato sia all’esterno che al- Sono tipi di copricapo diffusi soprattutto nella Sardegna l’interno. La parte corrispondente al punto vita viene settentrionale (ad esempio a Sorso, Ittiri, Tempio), confe- posata sul capo, già coperto con un fazzoletto, così che zionati come una vera gonna arricciata se non fosse per l’indumento ricade lungo la schiena e, nella differente le ridotte dimensioni della lunghezza, dell’ampiezza to- lunghezza, mostra sia il bordo applicato sul diritto sia tale e del giro vita. Sono noti come bunnèdda a cappìt- quello sul rovescio. ta,26 munnèdda ’e cugùddu o suncurìnu o zuncurìnu.27 Per le loro dimensioni e per il modo di indossarle non 149. Alessio Pittaluga, Femme d’Usini (Donna di Usini), 1928 ca., possono perciò essere confuse con le doppie gonne litografia a colori, Cagliari, coll. Piloni. che coprono il capo rialzando la parte posteriore28 e 150. Tempio, foto d’epoca, inizio sec. XX. delle quali si dirà più avanti. È del tutto naturale inter- 151. Tempio, foto d’epoca, inizio sec. XX. rogarsi su una così strana foggia che, a guardare la fun- 152-153. Abito femminile “da visita”, Osilo, prima metà sec. XX zione, potrebbe essere sostituita con vantaggio da un Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. semplice manto. È possibile che derivi dalla necessità 154-156. Abito femminile giornaliero, Ittiri, prima metà sec. XX di coprire il capo uscendo di casa all’improvviso utiliz- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. zando proprio una vera gonna che, anziché essere in- dossata cingendola in vita, viene posata semplicemente sul capo; nel tempo questa consuetudine può aver dato luogo alla confezione di un vero copricapo uguale ad una piccola gonna. La descrizione di questi indumenti è puntuale nell’iconografia del primo Novecento e nume- rose sono anche le immagini fotografiche. La confezio- ne prevede l’uso dei tessuti più vari sia in lana che in cotone, in tinta unita e nelle diverse fantasie soprattutto scozzesi, rigate, a fiori e a fiamma; un largo bordo in 149 150 151 106

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Cappelli a tesa 157 158 Copricapo prettamente maschile, se ne conosce l’uso in ambito femminile solo grazie a fonti iconografiche del 157. Anonimo, Donna di Oristano, inizio sec. XIX, acquerello su carta, primo Ottocento. Si tratta di un cappello a cilindro, ro- Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. tondo, probabilmente di feltro nero, che viene indossa- 158. N.B. Tiole, Nuoveaux Maries, 1819-24, acquerello su carta. to sovrapposto all’insieme velo e cuffia, con l’aggiunta 159. Giuseppe Cominotti, Noce. Arrivée d’une jeune fille de Sinai di fiori e nastri di decoro sulla tesa. mariée à un riche cultivateur de Quartu, 1825, litografia a colori, Secondo quanto riportato dal La Marmora, «se il matri- in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora. monio ha luogo in una stagione in cui si teme l’azione dannosa del sole, le donne, in qualche contrada, ag- giungono al loro costume un cappello rotondo di fel- tro, che mettono solo in questa occasione ed ornano di piume, di galoni, di nastri e di fiori».29 Il Tiole, nelle ta- vole n. 5, 55 e 77, rappresenta una figura femminile che indossa questo particolare copricapo, confermando le fonti iconografiche del periodo. Sembrerebbe dun- que che si tratti di un capo prettamente maschile intro- dotto solo sporadicamente nell’abbigliamento femminile di gala,30 ma non è da escludere una sua utilizzazione in ambito giornaliero. Nella tavola n. 33 della Collezione Luzzietti31 del primo decennio dell’Ottocento, infatti, è raffigurata una donna di Oristano in abbigliamento quo- tidiano che indossa, sopra un grande fazzoletto annoda- to sotto il mento, un cappello rigido, di forma bombata, a testimoniare un uso probabilmente più esteso di quan- to non sia possibile dedurre dalle sole immagini di La Marmora e Tiole che di fatto riproducono lo stesso sog- getto in tenuta di gala.32 Nelle raccolte pubbliche e pri- vate, tuttavia, non risulta essere rimasta traccia di questo copricapo. 159 110

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CAMICIE Orune per definire la camicia da donna fatta di lino e tessuta in casa e richiama i termini rumeni iie e al- I ndumenti fondamentali del sistema vestimentario banese l’in}. A Nuoro, dove si usa la camicia corta, il popolare, sono attestate in numerose varianti; i termine lìnza indicava la camicia femminile mentre modelli destinati all’uso giornaliero sono realizzati quella maschile veniva detta ghentòne; entrambi i con tele piuttosto resistenti di cotone di produzione termini sono stati sostituiti nei primi decenni del No- industriale o lino tessuto in casa, con ornati molto vecento dal più comune camìsa.34 semplici posti soprattutto in corrispondenza dello Caratteristica della gran parte delle camicie è l’am- scollo e dei polsi. I capi festivi e di gala, realizzati piezza del tessuto della parte superiore e delle mani- con tele di maggior pregio, mostrano ricami ricerca- che che può essere raccolta con semplici increspature ti e preziosi, sempre più appariscenti a partire dai nascoste o con un ricamo geometrico realizzato su primi anni del Novecento. una apposita, fittissima increspatura. Tale ricamo è L’esame dei reperti permette di individuare tipologie tecnicamente definibile con il nome moderno di di camicie ascrivibili a due grandi gruppi: camicie “punto smock” del quale costituisce una raffinatissi- lunghe che coprono fino a metà gamba o alla cavi- ma variante locale. La modernità del termine non glia e camicie corte che coprono fino alla vita o al significa affatto una modernità della tecnica che è bacino. È possibile che l’archetipo comune sia stato invece attestata in ambito colto, nazionale ed estero, una camicia lunga, un originario capo con doppia almeno fin dal XV secolo e successivamente, in am- funzione intima e esterna, diffuso in tutta la Sarde- bito popolare, con attardamenti tipici dei passaggi e gna, che si è poi differenziato con modifiche struttu- della diffusione dalle classi agiate a quelle popolari. rali non significative ma con interventi decorativi as- Si tratta di un ricamo impostato sulle strette increspa- sai diversi determinati dal modello vestimentario ture del tessuto in corrispondenza del collo, dei polsi delle diverse località che può richiedere una maggio- e all’attaccatura delle maniche; su tali increspature, re o minore esposizione della camicia. La semplicità più o meno fitte in relazione al titolo del tessuto im- della struttura di questi indumenti li rende facilmen- piegato, si realizzano motivi geometrici o naturalisti- te adattabili a diverse corporature, le dimensioni so- ci stilizzati utilizzando più frequentemente la tecni- no pertanto piuttosto uniformi; l’ampiezza e la lun- ca del punto ondulato, punto erba, punto doppio o ghezza delle maniche sono condizionate dall’uso o punto incrociato. Quanto più sottile è il tessuto im- meno di un indumento a manica lunga (giubbetto, piegato, tanto più piccoli sono i punti di ricamo, tan- giacca o bolero) da sovrapporre alla camicia e dalla to più l’indumento è pregiato e costoso, specialmente tipologia della manica di questo stesso indumento. se ricamato con fili in tinta. Le fonti iconografiche non permettono di stabilire Questo genere di ricamo è attestato nell’abbiglia- con certezza se le camicie femminili rappresentate mento popolare in Albania, Grecia, Polonia, Roma- fossero di tipo lungo o corto, né si può affermare con nia, Spagna, Ungheria, oltre che in alcune zone del certezza che il lembo bianco che oltrepassa l’orlo nord Africa con varianti determinate dai motivi geo- delle gonne raffigurate dal Martelli o dal Dalsani sia metrici ricamati e dal tipo di filato usato per realiz- la parte inferiore della camicia e non un indumento zarlo (cotone in tinta con il tessuto o in contrasto a sé stante. cromatico). Come in Sardegna anche in questi luo- La denominazione locale non offre alcuno spunto per ghi si tratta di un tipo di ricamo presente soprattutto una differenziazione tipologica. Il termine camìsa, nelle camicie, dunque su tele di lino o cotone, ma con le varianti ’ammìsa, ’amìsa, camìgia, camìsia ed non mancano realizzazioni su tessuti più pesanti sia altre, è presente in tutta l’isola riferito indifferente- di lana che di cotone. In Sardegna è conosciuto con mente a modelli lunghi o corti. I diminutivi camisèd- diverse denominazioni: pùnt’ivànu (Samugheo), còro da e ’amisèdda sono peraltro usati rispettivamente a (Nuoro, Oliena, Orgosolo), alchìttu, razzòni (Viddal- Desulo e a Fonni anche per la gonnella di orbace33 e ba e area gallurese). per la sottogonna di tela di lino o cotone pesante. Ter- Per questo tipo di ricamo delle camicie nuoresi Gra- mine più antico ed attestato in tutta l’area mediterra- zia Deledda scrive: «Alle camicie trapuntate si fa il nea è lìnza, ma anche in questo caso non si può dire cuore “su coro” come si eseguisce anche in talune se i capi così denominati fossero lunghi o corti. Il Wa- camicie maschili. Questo cuore è una specie di rica- gner scrive: «Anticamente la camicia delle donne si mo ad ago sulla larga increspatura (“sas ispunzas”) chiamava líndza, parola che vive ancora nel Centro» che raccoglie l’immenso volume della tela sul collo e (Wagner, DES, lemma kamípa). Lo stesso autore preci- sui polsi. Ci vuole un’arte di Aracne per eseguire sa che è un termine diffuso a Bitti, Lula, Lollove e questi ricami variatissimi e belli. Occorrono molti 111

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“punti” e il nome di “coro” proviene da ciò che la fi- e ricamando diversi ordini di minuscoli archetti a punto occhiello intercalati da pippiolini, ragnetti e gura del ricamo è composta di cuori più o meno fini- rosette. Anche qui è da precisare che le bordure più antiche sono sottili, mentre nelle camicie di gala più ti, più o meno fioriti e piccoli. C’è il “cuore di sette” il recenti raggiungono dimensioni considerevoli.36 Si tratta di un insieme di punti di tradizione antica “cuore di nove”, ecc.».35 utilizzati nella piena aderenza al gusto isolano o suggeriti dalle riviste di ricamo che ripropongono i La denominazione “punto smock”, benché tecnica- temi della grande tradizione del merletto italiano rielaborati nel gusto proprio delle correnti stilistiche mente rispondente, non soddisfa pienamente le ca- del primo Novecento. Alla diffusione del ricamo concorre anche l’attività ratteristiche di questo magnifico ricamo che, data la delle monache, presso le quali le giovani di famiglia agiata apprendono le più raffinate tecniche per la forte connotazione isolana sarà definito, d’ora in poi, realizzazione dei corredi, e l’apertura di istituti reli- giosi che impegnano le giovani donne in attività di “punto sardo su tela arricciata”. Le denominazioni cucito e ricamo.37 Le trine a fuselli in sottile filato di lino sono piuttosto degli altri punti rimangono quelle da tempo codifica- rare, soppiantate dal più comune pizzo ad uncinetto o da merletti meccanici. Rarissimo è anche il chiac- te nei manuali di ricamo. Analizzando nel loro in- chierino talvolta utilizzato per interventi di riparazio- ne in sostituzione del merletto a “punto in aria”. Da sieme le camicie sarde nell’excursus cronologico in tenere presente il ricamo che orna le camicie di Teu- lada, sia maschili che femminili.38 Il pizzo San Gallo esame, si ha d’altro canto un campione completo di ed altri tipi di merletti meccanici entrano nell’ab- tutte le tecniche del ricamo in bianco utilizzate per bigliamento tradizionale dopo il primo venten- nio del Novecento e si diffondono solo laddove realizzare motivi geometrici e floreali. Si inizia con la tradizione del ricamo a mano non ha mai trovato uno sviluppo compiuto o sono impiega- gli elementari punto erba, catenella, vapore, mosca, ti in esemplari da riparare o da utilizzare in ambito giornaliero. spina, festone, strega, per arrivare al punto damasco, L’unione delle varie parti dell’indu- mento è realizzata a mano o a mac- lanciato, pieno, pieno imbottito, punto pisano, punto china a costura piatta o doppia, tec- niche che danno consistenza anche inglese, ricamo a intaglio o Richelieu; notevoli i punti ai tessuti più leggeri e rifiniscono sen- za sfilacciature quelli più pesanti, ga- di ricamo su tela sfilata che comprendono le nume- rantendo anche una maggiore resistenza ai lavaggi e al logorio dovuto all’uso. Solo rose varianti di punti a giorno realizzati a fascetti, a raramente, in esemplari rimaneggiati e comunque utilizzati al di fuori dall’am- punto maglia, cordoncino e rammendo in una gran- bito tradizionale, si osservano cuciture di qualità inferiore. Il lutto impone la de quantità tipologica. riduzione delle scollature, la rinuncia ai ricami vistosi con la sola concessio- Specialmente nei ricami del primo Novecento l’or- ne di quelli necessari per la struttura dell’indumento, ma in tutti i casi, an- nato floreale è realizzato sfruttando la traspa- che questi, semplificati. Per le vedove, specie nei primi tempi, anche l’ecces- renza ottenuta combinando insieme diversi sivo candore della camicia fresca di bucato doveva essere smorzato espo- tipi di fondi a giorno (retini su tela sfilata) nendola al fumo del focolare prima di indossarla. contornati a punto festone o cordoncino, per ottenere decori di grande effetto. Assai dif- fuso, dalla fine dell’Ottocento in poi, è anche il ricamo su tela sfilata, erro- neamente definito filet, caratteriz- zato da un reticolo di fondo lavo- rato a punto cordoncino sul quale, a punto rammendo, si eseguono i motivi ornamentali costituiti so- prattutto da rose, grappoli d’uva ed altri motivi fitomorfi stilizzati. Il filet vero e proprio o modano, vale a dire la rete annodata, ricamata a punto rammendo, oppure utilizzata come sfondo per l’applicazione di ricami a punto festone, è presente in rari e raffinati esemplari successivi agli anni Venti del Novecento. Da se- gnalare l’impiego del “punto in aria” (punto occhiello) realizzato ad ago, di tradizione cinquecen- tesca, per rifinire i ricami sullo scollo e sui polsi; è un punto di ricamo che richiede grande peri- zia: viene realizzato come un mer- letto partendo da una sola linea di appoggio 160 112

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Camicie lunghe La loro diffusione interessa tutta l’isola ad eccezio- ne della zona del Nuorese e della Baronia. Gli esemplari di struttura più arcaica nascono dall’unio- ne di una parte superiore costituita da cinque o sei ele- menti rettangolari, proporzionati alla taglia del com- mittente, uniti a formare busto e maniche, ai quali vanno aggiunti gli elementi ornamentali, vale a dire i polsi ed eventualmente i decori della scollatu- ra anteriore e del petto che possono essere preparati a parte e applicati successivamente insieme al bordo che rifinisce la parte poste- riore della scollatura; a questo insieme viene unita una parte inferiore, in genere costituita da due o quattro teli. La tela di cotone o lino impiegata per la confezione della parte supe- riore può essere molto sottile, quella utilizza- ta per la parte inferiore, sempre in lino o cotone, è in genere molto grossola- na e pesante tale da risultare più re- sistente all’attrito con i tessuti delle gonne. Talvolta la parte inferiore eccede, in larghezza, rispetto a quella superiore e, in corrispon- denza dei lati, lungo il punto di unione, si osservano due spacchi trasversali. La vesti- bilità è data da una lunga apertura longitudinale 160. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Bitti (circond. di Nuoro), 1878, litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 161. Camicia festiva e di gala, camìsa, Sinnai, seconda metà sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 161

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anteriore chiusa in corrispondenza del petto con asole trasversali che permettono l’inseri- mento di bottoni gemelli d’oro, d’argento o di filo di lino o cotone. Alcune camicie pre- sentano doppio davanti, vale a dire un’aper- tura posteriore, rifinita in modo più sempli- ce rispetto a quella anteriore, da utilizzare comunque come davanti quando ve ne sia necessità. L’ampiezza del tessuto in corri- spondenza dello scollo, dell’attaccatura delle maniche e dei polsi viene raccolta come de- scritto nella parte generale. Da un’area all’al- tra dell’isola cambiano in modo significativo la forma e le ornamentazioni dello scollo, del petto e dei polsi anche se si può affer- mare che comunemente gli esemplari di ga- la più antichi presentano ricami realizzati 162 con grande raffinatezza concentrati su scol- lo, polsi e parte anteriore centrale, mentre con l’avvicinarsi ai nostri giorni si abbando- na lo stile del ricamo antico a piccoli punti in favore delle grandi forme naturalistiche ottocentesche. Ad Aritzo, Samugheo, Busa- chi si può facilmente notare che il ricamo delle camicie di gala, dalla fine dell’Ottocen- to ad oggi, si è esteso progressivamente a tutta la parte anteriore, con grandi ornati flo- reali stilizzati realizzati su tela sfilata, con va- ri tipi di retini, ad intaglio, a punto pieno, erba e festone. A Tonara, dove le camicie antiche sono estremamente semplici e dav- vero rare quelle festive ricamate, la parte del petto e dei polsi vede spesso l’applicazione di pizzo San Gallo. Scolli rotondeggianti guarniti con volant e polsi lisci o a volant caratterizzano le belle camicie lunghe dell’area campidanese: Quar- 163 tu S. Elena, Settimo S. Pietro, Sinnai, Maraca- lagonis, Selargius. Il volant, i polsi e l’attacca- tura delle maniche presentano raffinati ricami con bordi a fuselli o ad ago negli esemplari di gala più antichi, profili ad uncinetto nei 162. Camicia, camìsa, Iglesias/Tratalias, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 163. Camicia festiva, camìja, Torralba, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 164. Camicia festiva, camìja, Thiesi, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 164

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capi più modesti o di datazione più recente. Nella stessa area, per un uso giornaliero o per le ragazze più giovani lo scollo può essere meno ampio e guar- nito con un collettino diritto e semplici ricami di rifinitura. Le camicie lunghe di Desulo, mol- to accollate, sono caratterizzate, nei modelli di gala, da ricami minuti e raffinatissimi realizza- ti in corrispondenza del col- lo, dei polsi e lungo l’apertura anteriore; anche gli esemplari destinati ad un uso giornaliero mostrano spesso rifiniture di grande pregio. In qualche caso il ricamo può essere realizzato con fili di cotone in colore con- trastante rosa o celeste (Ollolai, Sennori). Sulla parte anteriore, simmetricamente all’apertura, in senso longitudinale si realizzano, tal- volta, semplici impunture. Il lavaggio, la stiratura e l’apprettatura più o meno sostenuta, ottenuta con amido sem- plice o cotto, richiedono una cura particolare specie per la parte anteriore; le maniche delle ca- micie che devono essere indossate so- lo con il corpetto o con giubbetti a ma- nica aperta posso- no essere apprettate e pieghettate a fisar- monica in senso oriz- zontale o verticale (Quar- tu S. Elena, Settimo S. Pietro, Sinnai, Ploaghe). La trasforma- zione dell’abito tradizionale – avvenuta in alcune zone dell’isola sin dalla fine dell’Ottocento sulla scia della moda borghese, con il conseguente abbandono dell’in- sieme camicia/corpetto/giubbetto – in favore di giacche e bluse di foggia moderna ha comportato la sparizione o la modifica sostanziale di questo tipo di camicie che ritornano in qualche caso ad essere utilizzate come in- dumento intimo. 165. Camicia festiva e di gala, camìsa, Sinnai, seconda metà sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 165

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Camicie corte Alcuni modelli presentano apertura anteriore centrale e Questo gruppo comprende le camicie che coprono il sono formati dall’unione di cinque o sei parti rettangola- busto non oltre la linea dei fianchi. ri, proporzionate alla taglia del committente, alle quali L’ampiezza, in particolare quella delle maniche, varia in vanno aggiunti gli elementi ornamentali, vale a dire i funzione della utilizzazione con gli altri capi dell’abbiglia- polsi e i tre pezzi della scollatura anteriore e del petto, mento tradizionale ad essa sovrapposti, senza che questa in genere preparati a parte e applicati successivamente costituisca comunque un elemento di differenziazione ti- insieme alla finitura della parte posteriore della scollatu- pologica. Sono confezionate in tela di cotone o di lino di ra. Questa può essere costituita da un unico pezzo qua- colore bianco, di qualità varia, ma in genere piuttosto sot- drangolare o da due rettangoli uniti tra loro mediante un tile, con varie denominazioni in lingua italiana (percalle, bottone o un nastro per regolare l’ampiezza dell’indu- pelle ovo, madapolam, tela di Cambrai ecc.) mantenute, mento; in entrambi i casi il tessuto è arricciato in corri- con qualche trasformazione, anche nella parlata locale spondenza della scollatura. Queste varianti sono spesso (trambìcche, pèlle óvo, percàlle, madàpolam). Nella con- determinate dalla necessità di sostituire i pezzi deteriora- fezione dello stesso capo possono essere utilizzate tele di ti o di adattare l’indumento ad una diversa corporatura. varia qualità: cotone mediocre per la parte posteriore e La parte anteriore è sempre costituita da due elementi di ottima tela, molto sottile, di lino o di cotone, per la parte tessuto di forma rettangolare arricciati nella parte supe- anteriore; le maniche possono essere confezionate con riore corrispondente alla scollatura; tale arricciatura vie- tessuto uguale a quello della parte anteriore se destinate ne eseguita tirando in più ordini i fili di trama del tessu- a fuoriuscire dalle aperture delle maniche del giubbetto, to fino a ridurlo dell’ampiezza desiderata, ricamando in caso contrario possono essere di qualità inferiore. Per l’insieme con la tecnica del “punto sardo su tela arriccia- le stesse ragioni esposte sopra anche capi realizzati in te- ta” descritto in precedenza. Ciascuna manica è costituita la di cotone e di lino sottilissimo privilegiano l’uso di da un rettangolo di tessuto arricciato su uno dei lati bre- quest’ultimo per la confezione delle parti in vista. Il colo- vi nella parte centrale che viene fatta coincidere con la re della tela è il bianco in varie tonalità. L’uso abbastanza spalla mentre sul lato opposto il tessuto viene ridotto fi- diffuso dell’indaco in polvere o a scaglie per ottenere no ad ottenere l’ampiezza necessaria per il polso, con la l’azzurraggio del tessuto, vale a dire una lieve ombra stessa tecnica descritta per la parte anteriore della scolla- d’azzurro che dà più luce al bianco, ha portato, in alcuni tura. Un tassello sottoascellare di forma quadrangolare, casi, ad eccedere nell’uso ottenendo una particolare tona- che funge da collegamento delle parti suddette, aumenta lità di azzurro chiaro che è tipica delle camicie di Oliena l’ampiezza del giromanica; le dimensioni di questo inser- tra gli anni Venti e Sessanta del Novecento. to sono proporzionate alle dimensioni complessive del 166. Camicia festiva, camìsa, Mamoiada, inizio sec. XX Mamoiada, coll. privata. 166 167-168. Camicia festiva e di gala, 167 ’ammìsa, Oliena, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 168

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169 170 169-170. Camicia festiva e di gala, camìsa, Bono, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 171. Camicia festiva e di gala, camìsa, Dorgali, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 172. Camicia festiva, camìsa, Orosei, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 173. Camicia festiva, camìsa, Busachi, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 174. Camicia festiva e di gala, camìsa, Samugheo, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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175 176 capo. La parte anteriore della scollatura e i polsi sono ri- sono essere sostituiti da un semplice nastrino colorato o finiti in modi che variano sensibilmente in relazione alla da bottoncini di filo a forma di piccola bacca; quelle fe- funzione d’uso del capo (festivo, giornaliero, da lutto) stive hanno asole lunghe fino a cm 4-5 visto il maggior ed al luogo di provenienza dello stesso; in linea di mas- diametro dei bottoni d’oro; i polsi sono chiusi con pic- sima si nota la presenza di elementi decorativi più o coli gemelli d’oro, bottoncini di filo o di madreperla. Le meno elaborati realizzati su strisce rettangolari di lino o ornamentazioni sono realizzate rigorosamente a mano; di cotone di lunghezza sufficiente a coprire completa- la sporadica comparsa di applicazioni di pizzo meccani- mente la parte anteriore della scollatura e i polsi. Per co, realizzato con varie tecniche, è generalmente dovuta quanto attiene al ricamo e alle ornamentazioni vale ad una fase ultima di utilizzazione in ambito domestico quanto detto nella parte introduttiva sulle camicie. I capi o, ormai cessato l’uso abituale, a rimaneggiamenti re- esaminati presentano in genere scollatura e polsi lisci, centi per utilizzazioni in ambito carnevalesco o folclori- più rari gli esemplari con volant arricciato. Nelle camicie stico. La preparazione delle camicie festive, che rientra- festive una porzione di tessuto ricamato in abbinamento no nella tipologia descritta, è piuttosto laboriosa perché alla scollatura viene appuntata sulla parte anteriore al fi- richiede una accurata apprettatura dei ricami e del tes- ne di mascherarne l’apertura. Questo tipo di camicie suto delle parti anteriori la cui ampiezza viene ridotta viene sempre chiuso con bottoni gemelli d’oro o d’ar- stirando il tessuto a piccole pieghe parallele orientate gento passanti attraverso asole longitudinali aperte nel dal centro dell’indumento verso i lati.39 Alcuni tipi di ca- tessuto o a ponte. Le camicie giornaliere presentano micia corta presentano le parti anteriori lisce e cosparse asole piccole, per bottoni di dimensioni ridotte che pos- di ricami. Altri modelli confezionati tra gli anni Trenta e 120

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Quaranta del Novecento presentano invece apertura a doppio petto, foderata e irrigidita con più strati di tessu- to, da coprire con pettorine lavorate a parte eventual- mente intercambiabili (Benetutti). Le camicie da indos- sare con modelli di giacca di foggia borghese possono essere tagliate con giromanica di tipo moderno, presen- tano abbottonature centrali o laterali per tutta la lun- ghezza dell’apertura e colli montanti alla coreana con piccoli ricami o pizzi applicati. Pettorine 177 L’uso delle pettorine permette di lavare con frequenza le camicie senza rischiare il logorio delle parti anteriori, 175. Camicia festiva e di gala, camìsa, Ussassai, prima metà sec. XX di norma più ricamate. Questo tipo di indumenti non è Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. distinguibile, nelle fonti iconografiche, dalla parte ante- riore delle camicie e non potrebbe essere diversamente 176. Camicia, camìsa, Benetutti, 1948 dato che gli esemplari esaminati riproducono di fatto Benetutti, coll. privata. questa parte; sono dunque confezionati in due metà con ricami particolarmente pregiati e asole per permet- 177. Camicia e pettorina, camìsa e pettorìna, terne la chiusura. Si appuntano alla camicia inornata nell’insieme festivo e di gala, Benetutti, 1948 con spille, bottoni o laccetti, oppure con lacci passanti Benetutti, coll. privata. dietro le spalle, incrociati e riportati nella parte anteriore dove vengono annodati. I tessuti usati per confezionarle 178-180. Pettorina, pettorìna, Benetutti, 1948 e le tecniche di ricamo sono le medesime descritte per Benetutti, coll. privata. le camicie. Del tutto particolari le pettorine in uso a Be- netutti al principio degli anni Quaranta. Sono tagliate in un unico pezzo e coprono completamente la parte ante- riore della camicia che ha doppio petto ed è priva di or- namenti. Si fissano con asolette a piccoli bottoni cuciti alla camicia in corrispondenza delle spalle. Sono rica- mate su tela di lino semplice, tela di Fiandra operata, ra- so di seta o filet con ricami applicati. 178 180 179 121

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FAZZOLETTI, SCIALLETTI DA SPALLA E COPRISENO F azzoletti (del tutto simili a quelli da testa) e di Cagliari. I copriseno sono di due tipi. Il più sempli- scialletti da spalla si distinguono tra loro solo per ce è un fazzoletto (mucadòri ’e pitùrra, pannéddu, la presenza o meno di frange; possono avere forma pànn’’e pettùrra, pànnu de incordeddài) di medie di- quadrata o triangolare (sciallìnu, pèrr’’e sèra, mu- mensioni che viene fissato alle bretelle del corpetto e cadòre in trùgu), sono indossati ripiegati a triangolo lasciato ricadere sul petto o rimboccato all’altezza e incrociati sul petto fissando gli angoli anteriori alla della vita coprendo tutta la parte anteriore. È un faz- gonna, oppure piegati a sciarpa e indossati come sto- zoletto di produzione industriale, in tela di cotone la fissando le estremità anteriori dentro il corpetto, stampata nelle più diverse fantasie o, per la gala, in senza incrociarle. La diffusione di questi indumenti tessuti di seta operati; è presente anche nell’abbiglia- interessa tutta l’isola sia negli insiemi festivi che in mento quotidiano per proteggere la camicia nello quelli giornalieri, fatta eccezione per l’area centrale. svolgimento delle attività domestiche.40 Derivati dai Gli scialletti frangiati di seta possono fichu settecenteschi sembra- no essere i copriseno 181 a sciarpa usati in area logudore- essere in tessu- se (pettièra, iscèlpa), sono ti leggeri operati su in tulle bianco ricamato a mo- base damasco o taffettà, o tivi floreali o con leggeri tessuti più pesanti come i cannellati di seta color crudo o in fantasie del tutto uguali a quelli usati delicate. Una variante è quella in ra- come copricapo, salvo le dimensio- so o gros di seta, con fodera di sostegno, ni ridotte, oppure in crespo di seta sia ricamata a motivi floreali in seta o canu- in tinta unita che fantasia. Analoghi ai tiglia d’oro o d’argento, spesso in abbina- veli da testa sono anche i fazzoletti in tulle mento al corpetto. che, ripiegati a triangolo, coprono i giacchi- ni indossati nell’insieme festivo delle panattàre 181. Scialletto da spalle, pèrra, Iglesias, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 182. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Iglesias, 1878, litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 183. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Domestica del Campidano. Cagliari, 1878, litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 184. Abito da sposa e di gala della panattàra, Cagliari, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 182 183 122

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CORPETTI Q uesti indumenti, privi di maniche, aderenti al busto e tagliati per sostenere e dare risalto al seno, possono essere considerati, in Sardegna, gli indumenti più conservativi. Per il loro va- lore intrinseco, dovuto all’uso di tessuti pregiati, alla presenza di ricami elaborati e per la tipolo- gia sartoriale, che non consente riutilizzi del tessuto, sono tra i capi più rappresentati nelle colle- zioni pubbliche e private, specie nelle varianti festive e di gala. Come già altri studiosi hanno osservato, i modelli di corpetti sardi possono essere distinti in due grandi classi che delimitano due aree geografiche ben definite: corpetti o busti rigidi nella Sardegna settentrionale e nel Go- ceano e corpetti morbidi nella Sardegna centro-meridionale e nel Nuorese.41 Tale suddivisione, tuttavia, non tiene conto di alcune varianti proprie dell’area barbaricina che potrebbero rientra- re nella classe dei corpetti morbidi ma che presentano particolarità tali da costituirne una a sé stante che potrebbe definirsi “a fascia”. In tutti i casi i corpetti hanno dimensioni assai ridotte e richiedono l’impiego di una esigua quantità di tessuto; ciò spiega l’utilizzo di materiali di grande pregio, talvolta ritagli di capi di provenienza ecclesiastica o nobiliare rielaborati in ambito popo- lare. I colori sono di norma squillanti e le policromie accese nei capi destinati all’uso festivo, più smorzate in quelli d’uso feriale. Eccezione tra tutti il corpetto di Orgosolo (pàlas), tutto nero, con la sola nota del rosso dei profili, anche per l’uso festivo e di gala. Gli indumenti destinati al lutto prediligono i colori scuri, con nastri violacei; per il lutto vedovile è d’uso il nero assoluto, appena stemperato da applicazioni di nastri o trine in tinta. Corpetti rigidi o busti antichi, di metà Ottocento, sono realizzati con tessuti di Diffusi come già detto nella Sardegna settentrionale e nel un certo pregio quali lampassi in seta e cotone laminati e Goceano, i corpetti di questo tipo sono chiamati imbù- broccati, damaschi e rasi spolinati; sono frequenti le ap- stu a Osilo, Ploaghe, Bono, Ittiri, Cossoìne, ostìgliu a plicazioni di galloni e trine metalliche disposte in senso Sennori, per citare solo qualche caso; si tratta di termini verticale a sottolineare e dare maggior slancio alla linea. che richiamano i modelli di fine Seicento e Settecento tal- Nell’uso di tessuti a grande o medio rapporto, in genere volta citati nei lasciti testamentari. Questi indumenti sono a motivi floreali o fitomorfi, si coglie una notevole atten- costituiti da due parti simmetriche collegate, nella parte zione nell’orientare il tessuto per ottenere motivi decora- posteriore, da un intreccio di nastri passanti dentro sem- tivi simmetrici rispetto alla linea mediana dell’indumento. plici fori del tessuto o appositi occhielli rotondi; le due Il ricamo è piuttosto raro negli esemplari antichi e, quan- parti anteriori vengono allacciate sotto il seno con lacci do compare, su velluti o raso di seta, è schematico nella infilati in forellini rotondi rinforzati con anelli metallici e composizione ed elementare nella realizzazione che vede rifiniti a punto occhiello o cordoncino. In alcune aree la utilizzati il punto pieno imbottito, nodi, catenella, realiz- parte posteriore è costituita da un unico elemento al zati con fili e cordoncini di seta a colori vivaci. Sul finire quale se ne uniscono altri due laterali, sagomati, muniti dell’Ottocento i ricami si fanno sempre più presenti, cul- di occhielli che sostengono l’allacciatura anteriore. In tut- minando, dopo il primo decennio del Novecento, negli ti i casi la parte inferiore presenta una serie di alette for- ornati a grandi fiori a punto raso e pittura dalle delicate manti una sorta di baschina che consente una migliore sfumature, su fondi chiari in gros, taffettà o raso di seta. vestibilità. La fodera, in pesante tessuto di lino, cotone o canapa, è doppia e impunturata per sostenere l’inseri- 185. Corpetto festivo, imbùstu, Ittiri, primo decennio sec. XX mento degli elementi vegetali in palma nana, steli di Sassari, coll. privata. giunco e grano o stecche metalliche, che servono a so- stenere il busto. Le parti anteriori eccedono in lunghezza 186. Corpetto festivo, imbùstu, Berchidda, prima metà sec. XX rispetto alle altre e sono anch’esse irrigidite con stecche Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. metalliche o steli vegetali; queste appendici appiattisco- no il ventre oppure si affiancano o si incrociano tra loro 187. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, dando un caratteristico rilievo all’addome. Altro elemento primo decennio sec. XX caratterizzante sono le bretelle che per maggiore como- Sassari, coll. privata. dità, dove il giro manica sia molto stretto, possono essere allacciate e regolate dopo aver indossato il busto, utiliz- 188. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, prima metà sec. XX zando gli appositi laccetti anteriori. I modelli di gala più Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 189. Corpetto festivo, imbùstu, Ittiri, prima metà sec. XX Sassari, coll. privata. 124

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Nello stesso periodo si diffonde l’applicazione di paillet- tes, lustrini o perline e il ricamo con fili e canutiglie d’argento con i quali si creano esemplari davvero spet- tacolari. Altre innovazioni si devono al ricamo “a riccio”, realizzato con una apposita macchinetta, e all’uso dei fili in ciniglia di seta. In relazione all’uso festivo o giornalie- ro variano anche le allacciature realizzate con nastri di taffettà e raso di seta, talvolta in colori sfumati per la par- te posteriore, soutache di lana o di seta per la parte ante- riore. Questi tipi di corpetto sono bordati con nastrini soutache, taffettà o velluto di seta in tinta vivace anche in contrasto con il colore del tessuto. Negli esemplari giornalieri tutto l’apparato decorativo è estremamente semplificato e si ricorre frequentemente a nastri variopin- ti, di cotone, per le allacciature e le bordure. In alcune località come Ittiri, dove l’uso dell’abito tradizionale si è protratto fino a tutti gli anni Cinquanta, e ad Uri, l’allac- ciatura anteriore è stata sostituita da una sorta di pannel- lo rigido sul quale i nastri sono accostati e cuciti; tale pannello viene chiuso su un lato del busto con una serie di ganci. Nel corpetto di Osilo, spariti i nastri, la parte anteriore viene fermata con due elementi trapezoidali, quasi sempre in raso di seta cremisi, agganciati nella par- te centrale. I corpetti rigidi vengono indossati sotto corte giacche a bolero che ne lasciano in vista tutta la parte posteriore o sopra giacche e giubbetti più lunghi. L’affe- zione a questi indumenti è tale che nel primo Novecen- to, adottate gonne e giacche di foggia borghese, conti- nuano ad essere usati sopra o sotto questi capi in una assoluta dissonanza formale. Nel Goceano il modello so- pra descritto è riservato alle élite. Quello tipico dell’area (Anela, Bono, Benetutti, Bultei, Burgos, Illorai, Nule), in- fatti, pur essendo di tipo rigido, si differenzia per la lun- ghezza, che non arriva a coprire il punto vita, per la for- ma, all’incirca rettangolare, e per il fatto d’essere sempre confezionato per un impiego a doppio diritto. La parte posteriore centrale presenta comunque una doppia serie di nastri passanti in appositi forellini, che costituiscono la memoria, ormai priva di funzionalità, delle allacciature regolabili dei busti rigidi prima descritti. La parte esterna del diritto buono, realizzata con velluto o raso di seta, ri- camati o dipinti, è anche ornata da nastri multicolori a motivi floreali e nappine formate con cordoncini di seta policromi, particolare, questo, che collega quest’area al gusto estetico delle vicine zone delle Barbagie e del Mandrolisai. La parte interna, utilizzabile comunque co- me diritto per occasioni meno formali o mezzo lutto, mostra il modesto tessuto di fodera impunturato per trat- tenere le stecche; in molti casi si tratta di tessuti di coto- ne policromi a fiorami, oppure in tinta unita con motivi ornamentali dipinti. Anche le bordure presentano, su questo lato, ornamentazioni semplificate. 190. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 130 190

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199 191. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, prima metà sec. XX 200. Corpetto festivo e di gala, pàla a sùpra Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. (particolare della parte posteriore centrale) Nuoro, primo decennio sec. XX 192. Corpetto festivo e di gala, imbùstu, Torralba, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 201. Corpetto festivo e di gala, pàla a sùpra, 193. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, prima metà sec. XX Nuoro, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. Nuoro, coll. privata. 194. Corpetto festivo, imbùstu, Thiesi, primo decennio sec. XX 135 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 195. Corpetto giornaliero, imbùstu, Nughedu S. Nicolò, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 196. Corpetto giornaliero, imbùstu, Osilo, prima metà sec. XX Sassari, coll. privata. 197. Corpetto giornaliero, imbùstu, Benetutti, fine sec. XIX Benetutti, coll. privata. 198. Corpetto festivo e di gala, imbústu, Bono, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 199. Corpetto da mezzo lutto, imbùstu, Bono, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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Corpetti morbidi cano corpetti morbidi in panno di lana giallo che copro- Rientrano in questo gruppo i corpetti in uso nella Sarde- no completamente le spalle e si chiudono sul davanti gna centro-meridionale e in Gallura, dove si segnala un nascondendo parzialmente la camicia. Sono indumenti a modello (ciléccu) a struttura morbida con le due parti doppio diritto che sul lato più lussuoso presentano ap- anteriori interne irrigidite con stecche metalliche o steli plicazioni in velluto di seta a fiorami e ricami geometrici, vegetali. Anche per la confezione di questi corpetti si fa impostati lungo le linee di unione tra i diversi tipi di tes- largo uso di tessuti pregiati e di ricami soprattutto per gli suto, realizzati con cordoncini di seta; sul lato interno le indumenti festivi e di gala. I modelli sono assai vari e si applicazioni sono in velluto in tinta unita e i ricami linea- cercherà di dar conto, per brevità, di alcuni tra quelli più ri e geometrici un po’ semplificati. I corpetti di Orosei, particolari. Alcuni coprono le spalle ed hanno le parti Irgoli, Galtellì e Onifai, detti zustìllu, sono talmente ri- anteriori alte e rigide, unite tra loro con un gancio che dotti da coprire solo la parte superiore delle spalle, men- lascia comunque in vista il davanti della camicia (Nuoro, tre sul davanti consistono di due elementi rigidi che so- Orgosolo, Oliena, Orani: pàlas; Siniscola: zustìllu). Ad stengono lateralmente il seno e sono collegati tra loro da Orani è da segnalare un corpetto di tipo morbido assai un cordoncino colorato che attraversa trasversalmente il interessante perché unito alla gonna detta iscarramà- busto. Nella Sardegna centrale sono piuttosto interessanti gnu, descritta più avanti. A Bitti, Orune, Lula, Lodè, Lol- gli esemplari di Samugheo (corpìttu, cropìttu) che, nei love, con i termini solopàttu, soropàttu e soropàu si indi- modelli da adulta, conservano traccia della baschina ad 200 136

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202 203 alette; sono confezionati con tessuti broccati e laminati 202. Corpetto festivo e di gala, pàla a sùpra, Nuoro, fine sec. XIX in seta e cotone guarniti con trine e passamanerie men- Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. tre gli esemplari ricamati perpetuano, anche in tempi a 203. Corpetto festivo e di gala, pàla a sùpra, Nuoro, fine sec. XIX noi vicini, uno stile di disegno, schematico, naturalistico Nuoro, coll. privata. stilizzato, di antica tradizione. Anche a Busachi si trova- 204. Corpetto festivo e di gala, pàlas, Orgosolo, fine sec. XIX no corpetti (pàllas) interessanti per la qualità delle stoffe Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. impiegate, per le rifiniture realizzate con nastrini policro- 205. Abito festivo e di gala, Orgosolo, prima metà sec. XX mi sapientemente pieghettati e per la cura con la quale Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. vengono confezionati anche gli indumenti giornalieri il cui uso continua, tra le più anziane, anche attualmente. 204 In tutta l’area centrale, fino a Sorgono, i corpetti sono bordati con nastri a colori vivaci. L’area centro-meridio- nale mostra corpetti assai omogenei nel taglio, coprono infatti le spalle quasi fino al pun- to vita con grandi scollature quadrangolari o rotondeggianti, mentre è assai varia la scelta dei tessuti e l’ornamentazione. La confezione di capi festivi predilige, come nel resto dell’isola, tessuti di pregio sui quali vengono applicati trine, nastri, lustrini e perline a sottolineare le linee di cucitura sulle spalle o ad ornare le piccole parti an- teriori unite sotto il seno con una serie di ganci o nastri allacciati. I capi più lussuosi vengono anche ricamati con fili e canuti- glia d’argento sul tessuto broccato. Per i capi giornalieri la tipologia dei tessuti impiegati comprende velluti di cotone uniti o stampati, lampassi, damaschi e tutta la gamma dei tessuti di cotone operati e stampati. Questi capi sono cuciti a mano o macchina, tutti sono accuratamente foderati con te- le di cotone o di lino pesanti di colore chiaro, o con telette di cotone fantasia. 138

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212 206. Corpetto festivo e di gala, pàla 213 (particolare della parte posteriore centrale), Oliena, seconda metà XIX sec. Oliena, coll. privata. 207-208. Corpetto festivo e di gala, pàla, Oliena, 1954 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 209. Corpetto festivo e di gala, corpéttu, Ussassai, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 210. Corpetto giornaliero, palèttas, Tonara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 211. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, seconda metà sec. XIX Nuoro, coll. privata. 212. Corpetto festivo, cóssu, Quartu S. Elena, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 213. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 214. Corpetto festivo e di gala, provenienza sconosciuta, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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Corpetti a fascia pratico ed è anche difficile comprendere in quale tempo L’area della loro utilizzazione è circoscritta ad alcuni co- questo dettaglio si sia formato e poi codificato. L’icono- muni (Gavoi, Fonni, Mamoiada, Ovodda, Olzai, Ollolai) grafia e le fonti sono assai avare di documenti ed è, per- dell’area barbaricina, cui si aggiunge Dorgali, unica ec- tanto, preziosa la tavola n. 62 del Tiole raffigurante una cezione, in prossimità della costa orientale. Sono corpet- donna di Bitti42 che indossa, sopra l’insieme giubbetto ti costituiti da una stretta fascia di stoffa, irrigidita me- e corpetto, un ulteriore indumento a fascia fornito di diante l’inserimento di tessuti impunturati o di cartone, un’appendice a punta in corrispondenza della parte an- che cinge il busto passando sotto il seno, chiusa nella teriore centrale.43 Bisogna attendere l’ultimo quarto del- parte centrale e sostenuta da sottili bretelle. Tale fascia è l’Ottocento, con le tavole di Dalsani e Martelli, per tro- sempre costituita da tre elementi: uno posteriore centra- vare immagini femminili dei comuni in questione. Nella le di forma triangolare o trapezoidale, cui sono raccor- tavola del Martelli Donne di Bitti – Costume antico que- dati i due elementi che cingono il busto fino alla parte sto tipo di corpetto è descritto con maggiori particolari, anteriore. Il loro collegamento è dato da nastri passanti mentre è del tutto assente nell’opera di Dalsani che raf- dentro forellini, particolare questo che riporta ad una figura soltanto l’insieme moderno.44 Entrambi gli autori comune origine con i busti rigidi. Quanto la denomina- rappresentano invece con grande precisione i corpetti a zione locale dei busti rigidi appariva coerente con il punta di Fonni, Mamoiada, Ollolai rimasti sostanzial- modello e la funzione, tanto più la stessa denominazio- mente immutati fino ad oggi. Sul momento di formazio- ne imbùstu di Fonni, Mamoiada ecc. e la variante pàlas ne di questo modello è necessario compiere studi più di Ollolai e còsso di Dorgali, appare in evidente contra- approfonditi, confidando nel ritrovamento di qualche ca- sto con questo modello che, ridotto appunto ad una po risalente almeno alla prima metà del XIX secolo. Può striscia, ha perso totalmente la funzione di copertura e comunque avere senso attribuire alle punte anteriori una sostegno delle spalle, del busto e dei fianchi. La parte funzione di protezione magica del seno, di origine forse 215 216 215. N.B. Tiole, Paysannes de Bitti, 1819-24, acquerello su carta. 216. U. Martelli, Donne di Bitti – Costume antico, fine sec. XIX, litografia a colori. 217. Corpetto festivo, còsso, Mamoiada, prima metà sec. XX Mamoiada, coll. privata. 218. Corpetto festivo, còsso, Mamoiada, prima metà sec. XX Mamoiada, coll. privata. 219. Corpetto festivo, pàlas, Gavoi, prima metà sec. XX Gavoi, coll. privata. anteriore, assai singolare, presenta in corrispondenza del preistorica, della quale si è perso, nel tempo, il significa- seno due appendici triangolari più o meno appuntite, to. «Si può certamente affermare che le funzioni magi- sfilate e rigide, poste in prossimità della chiusura centra- che e quelle decorative si svilupparono, fino ad un cer- le. Si tratta di una forma che ha destato e desta grande to momento, insieme, soddisfacendo gli stessi obiettivi. curiosità e ha dato luogo a svariate interpretazioni sulla Si può anche affermare che il motivo della decorazione sua origine e sulla sua funzione. In realtà non sembra acquistò sempre maggiore autonomia, mentre lo scopo proprio possibile dire che la particolare foggia di questo magico restava indietro e tendeva a sparire … Ma non indumento e soprattutto delle sue punte abbia un fine scomparve del tutto».45 Il modello di corpetto dorgalese 146

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217 218 219 (còsso) appare del tutto particolare perché costituito da loni d’oro e d’argento e trine metalliche ornano gli in- una semplice striscia di tessuto prezioso che presenta, dumenti più antichi degli altri comuni, mentre i ricami nella parte anteriore, appena un accenno alle punte di floreali sulle punte e nella parte posteriore conoscono cui si è finora discusso. Tornando alla descrizione di discreta fortuna negli esemplari confezionati dai primi questi capi si conferma l’uso, specie in quelli festivi, dei decenni del Novecento in poi. Gli esemplari più antichi tessuti di pregio descritti per le altre tipologie con l’ag- sono bordati con panno scarlatto tagliato al vivo; bor- giunta di nastri di garza di seta, sovrapposti in più ordi- dure in velluto, taffettà o gros di seta sono segno di ni, e canutiglia d’argento negli esemplari di Ollolai; gal- grande lusso e di tempi più recenti. 147

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220 220. Corpetto festivo, pàlas, Ollolai, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 221. Corpetto festivo, còsso, Mamoiada, primo decennio sec. XX Mamoiada, coll. privata. 221

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CAPISPALLA I capispalla, vale a dire gli indumenti strutturati, di linea sia geometrica sia sagomata, che hanno come punto d’appoggio le spalle e coprono il tronco e le braccia, sono presenti nella sola variante corta, dota- ta di maniche. Tra la fine del XVIII e i primi decenni del XX secolo, la copertura di tronco e braccia è dunque assolta da camicie, corpetti e vari modelli di capispalla corti descritti all’interno di tre grandi gruppi: giubbetti, boleri, casacchini e giacchini. Giacconi, cappotti e mantelle sono invece del tutto sconosciuti anche nelle località montane dell’interno dove probabilmente erano utilizzati, all’occasione, dei manti simili a quelli maschi- li denominati sàccu. In generale sembrano essere sufficienti i copricapo di grandi dimensioni, descritti nelle apposite sezioni, i quali svolgono egregiamente la funzione di protezione dal freddo e dalle intempe- rie. Al di fuori delle fogge tradizionali, oggetto del presente studio, sono gli scialli di tibet di grandi dimen- sioni, drappeggiati sulle spalle, che sono usati esclusivamente nell’abbigliamento di “transizione” ancora vitale in alcune località dell’isola. 222-223. Giubbetto festivo, corìttu, Nuoro, fine sec. XVIII-inizio XIX 222 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 223

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Giubbetti 224 Il termine giubbetto viene proposto per comprendere tutti gli indumenti a strut- tura geometrica o sagomata confeziona- ti con tessuti pesanti (orbace, panno, velluto). La denominazione locale più diffusa in tutta l’isola è zippòne, gippòni, giuppòne, gippòne, varianti derivate dall’italiano antico “giup- pone” che definisce, fin dal Quat- trocento, un indumento che copre il busto ed è dotato di maniche. Sono comunque diffuse altre deno- minazioni quali camisgiòla e corìttu. La linea di questi capi riecheggia i modelli cinquecenteschi e sei- centeschi con la parte anteriore ridotta per lasciare in evidenza la camicia e il corpetto. Gli esemplari più anti- chi sono caratterizzati da maniche lunghe fino al polso con grandi aperture in senso longitudinale dall’ascella 224. Giubbetto festivo, zippòne, Tonara, inizio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 225. Giubbetto festivo, zippòne, Nuoro, prima metà sec. XX Nuoro, coll. privata. 225

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226-227. Giubbetto festivo e di gala, gippòne, Oliena, 1950 Nuoro, Museo della Vita 226 e delle Tradizioni Popolari Sarde. 227 228-229. Giubbetto giornaliero, 228 gippòne, Oliena, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari sarde.

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230. Giubbetto festivo, zippòne, 230 Ollolai, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 231. Giubbetto festivo, zippòne, Ollolai, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 231

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all’avambraccio (Nuoro, Oliena, Orgosolo, Tonara ed al- tri) dalle quali fuoriescono le ampie maniche delle cami- cie. Squarci o tagli nelle maniche rispondono all’esigen- za di ottenere una più ampia mobilità degli arti superiori che il taglio geometrico dell’attaccatura della manica non permetterebbe, e sono anche coerenti col gusto del XVI e XVII secolo che tende a valorizzare la camicia, trasfor- mandola così da capo intimo a capo esterno. In altri modelli lo stesso risultato è ottenuto con brevi aperture collocate in corrispondenza dell’ascella o dell’incavo del braccio. Sulla parte esterna della manica è pre- sente, lungo l’avambraccio, un’apertura chiusa con nastri o con appositi bottoni d’argento, muniti di ca- tenella, passanti entro lunghe asole. 234 232-233. Giubbetto festivo, cippòne, Fonni, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 234. Giubbetto giornaliero, zippòne, Orgosolo, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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239 È impossibile, in una trattazione di carattere generale, bile soprattutto nella parte posteriore. Si deve anche evi- descrivere le varianti di giubbetto usate nelle diverse denziare che le parti anteriori dell’indumento sono di aree dell’isola. I modelli rappresentati nell’iconografia del ampiezza maggiore rispetto agli esemplari d’epoca suc- primo Ottocento si rassomigliano tra loro più di quanto cessiva e possono essere accostate lasciando in parziale non appaia negli esemplari esaminati, datati tra la fine evidenza il busto oppure essere chiuse con lacci o bot- del XIX secolo e la prima metà del XX. Le illustrazioni toni. In questo periodo gli indumenti appaiono inornati risalenti al primo trentennio del secolo XIX, infatti, atte- stano la grande diffusione del giubbetto di panno rosso con maniche aperte o chiuse, mentre sembra più rara l’utilizzazione dell’orbace. La lunghezza è tale da sfiora- re i fianchi con una corta baschina ad alette, apprezza- 235-237. Giubbetto festivo e di gala, cippòne, Desulo, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 238-239. Giubbetto, zippòne, Mamoiada, fine sec. XIX Mamoiada, coll. privata. 240. Giubbetto, cippòne, Sorgono, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 240

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241-243. Giubbetto, cippòne, Atzara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 241 242

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244. Giubbetto, corìttu, Benetutti, fine sec. XIX Benetutti, coll. privata. 245. Giubbetto festivo, cippòne, Samugheo, prima metà sec. XX Samugheo, Museo Unico Regionale dell’Arte Tessile Sarda. 246. Giubbetto festivo e di gala, cippòne, Samugheo, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 244 245 164

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o presentano applicazioni di tessuto sovrapposte a sco- si assiste ad una riduzione delle ampiezze, dovuta all’in- po decorativo e vengono per lo più indossati sopra il fluenza della moda di fine Ottocento: le spalle si restrin- corpetto. La foggia così rappresentata si evolve in un gono e talvolta anche le maniche, le parti anteriori sono primo tempo con applicazioni di stoffe in tinta unita appena abbozzate e la stessa lunghezza è talmente ri- (velluto blu o azzurro) o nastri in colore contrastante. dotta che la baschina ad alette, priva ormai di una fun- Lo stacco tra i tessuti viene sottolineato con linee di ri- zione pratica, risulta spesso posizionata al di sopra del camo realizzato mediante cordoncini e fili di seta poli- punto vita, mantenendo una funzione esclusivamente or- cromi a motivi lineari e geometrici. Nel tempo i capi namentale. esaltano le differenze tra un paese e l’altro nel modulare La gran parte di questi capi, si è detto, è confezionata in la posizione delle applicazioni, il colore delle stesse e panno di lana rosso di qualità e gradazione cromatica di- nell’utilizzare, più o meno estesamente, i ricami. versa. In alcune località la predilezione per una tonalità A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, ai velluti in di rosso vivo o tendente all’arancio si mantiene fino alle tinta unita si sostituiscono quelli operati policromi acco- ultime fasi di produzione, in altre i cambiamenti cromati- stati a tessuti o nastri broccati; nel primo decennio del ci avvengono per il concorso di più fattori, quali la man- Novecento la quantità di simili applicazioni e l’estensio- cata presenza sul mercato di un certo tipo di tessuti o la ne delle parti ricamate è tale da occultare quasi comple- modifica del gusto che, avvicinandosi il primo Novecen- tamente la struttura del capo che continua ad essere rea- to, predilige tonalità più sobrie. Le pezze di panno rosso lizzata in panno rosso; nello stesso tempo in tutta l’isola sono importate dalla penisola italiana, dalla Francia e

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247-248. Giubbetto festivo e di gala, corìttu, Bono, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari. 249. Giubbetto da mezzo lutto, corìttu, Bono, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari. 247 248 249

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250. Giubbetto festivo, gruppìttu, Osilo, primo decennio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 251. Giubbetto festivo, coipìttu, Sennori, prima metà sec. XX 250 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. dalla Germania, ma non è infrequente anche l’impiego esclusivamente sotto il corpetto possono essere confe- di tessuti derivati da vecchie divise militari. All’inizio del zionati con tessuto di minor pregio nelle parti destinate XX secolo si diffonde l’uso dei coloranti all’anilina che a rimanere nascoste. È caratteristica comune alla gran in alcuni paesi vengono usati proprio per rafforzare o parte dei giubbetti in panno quella di non presentare scurire le tonalità di rosso. A Nuoro, ad esempio, i giub- fodere, ma di avere un rovescio rifinito in modo da pre- betti femminili confezionati in questo periodo mostrano starsi anche ad un uso a doppio diritto. Ciò consente già il ricorso a un panno di colore rosso cupo ottenuto una grande flessibilità nella combinazione dei vari capi infeltrendo il tessuto in un bagno di acqua e calce e sot- utilizzati sia al diritto sia al rovescio, giocando su una toponendolo a tintura con colori all’anilina per raggiun- dotazione minima di elementi base. Questa flessibilità è gere una tonalità bordeaux propria degli antichi indu- tanto più apprezzabile nelle varie norme del lutto per le menti da mezzo lutto. I capi destinati ad essere usati quali si rimanda alla parte introduttiva.46 I capi destinati 168

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ad essere indossati nelle sole varianti festive e di gala hanno perso, nel tempo, questa particolarità che è rima- sta soltanto in alcuni giubbetti usati nella Sardegna cen- trale. La confezione di questi indumenti è di norma as- sai accurata e presenta cuciture a macchina ribattute e rifinite a mano. Nei capi più antichi i ricami, se presenti, sono caratterizzati da motivi lineari, geometrici o natura- listici stilizzati. Tra la fine dell’Ottocento e per tutto il Novecento si diffondono i ricami naturalistici di medie e grandi dimen- sioni realizzati con fili di seta policromi o con fili e ca- nutiglie d’oro e d’argento. La decorazione invade le parti più in vista dell’indumento sia nel caso che il giubbetto venga indossato sopra il corpetto, come a Desulo, sia che ven- ga indossato sotto un corpetto o busto rigido, come avviene nell’insieme di gala di Sennori dove le maniche appaio- no come rigide ali ricoperte con un ricamo in canutiglia d’oro. Gli esemplari per lutto stretto sono confezionati in panno bruno o nero e in genere non presentano varia- zioni nel taglio, ma una estrema semplificazione delle ornamentazioni e dei ricami sempre realizzati in tinta. Per il lutto vedovile di fine Ottocento, in alcune località è prescritto l’uso di un indumento apposito che si diffe- renzia sia per il taglio sia per la denominazione dagli al- tri modelli.47 La stessa terminologia (zippòne, gippòni, giuppòne, gippòne) usata per i giubbetti appena descritti è anche frequente per modelli dalle caratteristiche di maggiore “modernità” che hanno sostituito i capi più an- tichi mantenendone comunque il nome. Alcuni modelli saranno descritti più avanti come boleri, altri ancora rientrano più propriamente tra i capi definiti come ca- sacchini e giacchini. 251

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Boleri equilibrate, lunghezze a metà spalla ed elementi anterio- Indumenti caratterizzati da una limitatissima lunghezza, ri assai ridotti che lasciano in evidenza la camicia ed il presentano sempre maniche lunghe e strette, in qualche busto. È possibile che la diffusione del bolero sia inizia- caso con brevi spacchi. Sono specialmente presenti nel- ta alla fine dell’Ottocento sulla scia della moda borghese la Sardegna centro-settentrionale, dove sono detti corìt- che nell’ultimo trentennio ne aveva decretato fasi alter- tu, e nella Baronia di Orosei dove sono chiamati zippò- ne di successo. In Sardegna, la fortuna di questo capo ne. A partire dalla prima metà dell’Ottocento è possibile prosegue fino al pieno Novecento. Il tessuto principe seguire l’evoluzione di modelli caratterizzati da forme per la sua confezione è il velluto di cotone o di seta, sia 252. Bolero festivo, corìttu, Ittiri, prima metà sec. XX Sassari, coll. privata. 253. Bolero festivo, corìttu, Ittiri, prima metà sec. XX Sassari, coll. privata. 252 253 170

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in tinta unita sia operato a motivi policromi, nelle varie zati con cordoncini di seta messi in opera a motivi lineari gradazioni di qualità che la condizione della committen- e geometrici in forte contrasto cromatico col tessuto di te consente. I colori sono i più vari anche se per la gala fondo. Sull’avambraccio sono presenti da un minimo di si prediligono varie tonalità di rosso, per la festa ordina- una sino a dieci asole, anch’esse finemente ricamate a ria il nero, mentre per gli indumenti quotidiani si utiliz- punto occhiello con cordoncini di seta; a queste corri- zano tessuti più modesti in una vasta gamma cromatica. spondono un pari numero di bottoni in filigrana d’argen- I ricami sono limitati a brevi fasce che percorrono, evi- to. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo si assiste denziandole, le linee di taglio e sono per lo più realiz- ad una notevole trasformazione di questo indumento.

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254 255 254-255. Bolero festivo e di gala, corìttu, Torralba, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 172

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256 257 256. Bolero festivo, corìttu, Ittiri, prima metà sec. XX Sassari, coll. privata. 257. Bolero festivo, corìttu, Torralba, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 258. Bolero festivo, corìttu, Bosa, seconda metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 174 258

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259 Le dimensioni diventano così ridotte che qualche bole- ro è, di fatto, costituito dalle maniche collegate tra loro, in corrispondenza delle spalle, con una striscia di tessu- to. L’ornamentazione ricamata a motivi floreali, di chia- ra impronta ottocentesca, prende il sopravvento e fre- quentemente viene accompagnata dall’applicazione di lustrini e perline. In questo periodo i boleri sono spes- so profilati con passamanerie, guarnizioni in organza e frangette di seta. Quale che sia la loro datazione gli esemplari esaminati presentano tutti cuciture a macchi- na con rifiniture interne di media o buona qualità e so- no foderati con resistenti tessuti di cotone in tinta unita, stampati o operati. Per capi destinati al lutto si utilizza- no tessuti scuri o neri e le ornamentazioni sono note- volmente ridotte. 260 259. Bolero festivo e di gala, corìttu, Cossoine, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 260. Bolero festivo e di gala, zippòne, Benetutti, 1948 Benetutti, coll. privata. 176

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Casacchini e giacchini ghezza totale dell’indumento. L’unico dettaglio che costi- Indumenti di diversa origine vengono compresi in que- tuisce una vera differenziazione è il disegno della manica ste due definizioni, la prima delle quali è riservata ad che può avere un alto risvolto rigido con profilo “a scu- un modello ben preciso, il cui uso pare attestato soltan- re”, messo ulteriormente in risalto dai larghi galloni ap- to nel circondario di Cagliari, mentre la seconda com- plicati, o terminare con un volant arricciato bordato con prende varianti utilizzate in tutta l’isola. un gallone o una trina d’oro. Sia il Tiole sia il La Marmo- I casacchini sono corte giacche che non oltrepassano i ra48 illustrano l’esemplare con volant sotto il quale sono fianchi, hanno la parte posteriore piuttosto aderente al indossate lunghe maniche di tessuto variopinto, con aso- busto e lasciano scoperto il petto. Le prime fonti icono- le e bottoni d’argento. La versione con manica “a scure” grafiche che ne attestano l’uso risalgono al primo decen- sembra invece destinata ad essere indossata lasciando in nio dell’Ottocento e la descrizione risponde appieno agli vista le maniche della camicia ornate di pizzi. I modelli a esemplari d’epoca presenti nelle raccolte pubbliche e volant sono peraltro associati a gonne rosse (si conosce private. Il casacchino è confezionato in velluto di seta un solo esemplare di colore azzurro) con alto bordo nero o color caffè scurissimo ed è sempre caratterizzato in tessuto di seta broccato analogo anche da maniche a tre quarti terminanti con volant arricciato o al grembiule, mentre l’esemplare “a risvolto “a scure” e da un accenno di baschina posteriore scure” si abbina ad una gonna in con piccolo gruppo di pieghe al centro. Le parti anterio- pesante tessuto broccato e lami- ri, appena accennate, sono irrigidite con steli vegetali o nato.49 L’abito di gala delle col- cordoncini inseriti all’interno della fodera. L’indumento è lezioni del Museo della Vita e interamente profilato con galloni d’oro con i quali sono delle Tradizioni Popolari Sarde anche bordate le aperture di due finte tasche. Due nastri di Nuoro rimanda a questa va- in gallone d’oro con frangia partono dallo scollo poste- riante; quello conservato a Ro- riore e ricadono sciolti, sopravanzando di poco la lun- ma, presso il Museo Nazionale 261. Giacchino festivo, gippòni, 261 Iglesias, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 178 262. Giacchino festivo, gippòni, Ussassai, prima metà sec. XX 262 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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263. Giacchino festivo, gippòni, Iglesias, primo decennio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. delle Arti e Tradizioni Popolari, mostra invece il tipo a volant, con manica staccata, abbinato al- la gonna di panno rosso. In tutti i casi si tratta di in- siemi vestimentari di massima gala riservati al ceto dei grandi possidenti del circondario di Cagliari.50 La foggia di questi capi deriva da casacchini e carachi settecente- schi nei quali è ugualmente possibile ritrovare sia la ma- nica a volant sia “a scure”, quest’ultima è assai frequente anche nelle marsine maschili della stessa epoca dette anche velàda, proprio lo stesso termine usato in Sarde- gna per questo tipo di casacchino distinto così, anche nel nome, da tutti gli altri capispalla. Di foggia legger- mente diversa è il casacchino che contraddistingue l’abi- to da sposa di Teulada, anch’esso in velluto con manica a tre quarti, caratterizzata da un alto risvolto in tessuto broccato a grandi motivi floreali.51 263 264. Giacchino festivo, gippòni, 179 Iglesias, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 264

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Giacchini delle più diverse fogge sono presenti in tutta molto diffusi i giacchini corti che sfiorano il punto vita l’isola discendenti da capi aulici o borghesi, più rara- ed hanno maniche diritte o lievemente arricciate nella mente di tradizione settecentesca, più spesso derivanti parte superiore. Sono anche frequenti modelli con ma- dalle varianti della moda ottocentesca. Sono confeziona- nica a pagoda tipicamente ottocentesca confezionati con ti con stoffe di varia qualità e peso: panno nero, raso, velluti di seta operati a motivi floreali in due o tre tona- lampasso lanciato, damasco semplice, lanciato o brocca- lità. I giacchini a baschina più o meno accentuata sono to, velluto liscio, stampato, operato e taffettà liscio o anch’essi presenti in molte località dove mantengono operato. I tessuti di cotone di vario tipo sono destinati la denominazione di zippòne, gippòni, tipica, come agli esemplari d’uso giornaliero. I giacchini possono es- si è visto, dell’antico giubbetto oppure, come a sere raggruppati in relazione alla linea della parte infe- Quartu S. Elena, prendono il nome di baschì- riore che può essere rettilinea, a punta, o presentare na, con ovvia derivazione dal dettaglio sar- una corta baschina. La parte anteriore è chiusa con una toriale che le caratterizza. serie di bottoni o ganci o rimane parzialmente accostata sul petto. Negli esemplari a punta le parti anteriori sono anche irrigidite con stecche metalliche o steli di giunco. Le maniche dei giacchini a punta, confezionati in panno, sono in genere percorse da nervature che raccolgono l’ampiezza del tessuto nella parte superiore del braccio per poi aprirsi a sbuffo nella parte inferiore, chiusa con un polsino di varia altezza. Grande risalto hanno anche le maniche dei modelli festivi e di gala propri delle clas- si medie di Quartu S. Elena, Settimo S. Pietro, Sinnai, detti spenséru o spénsu, nei quali il tessuto di seta viene arricciato o pieghettato solo nella parte superiore e infe- riore della manica in modo da formare uno sbuffo a ruota in corrispondenza del gomito dove sono anche applicati volant dai lobi arrotondati o triangolari. L’orna- mentazione di questi capi, assai fantasiosa, è realizzata con applicazioni di tessuti in colore contrastante, passa- manerie, nastri, cordoncini e galloni d’oro; più raro il ri- camo, caratterizzato da disegni piuttosto elementari, geometrici o floreali, realizzati con filati e tecnica al- quanto grossolani in evidente contrasto con la cura dei dettagli sartoriali che caratterizzano tali indumenti. Sono 265. Giacchino festivo, corìttu, Ozieri, prima metà sec. XX Ozieri, coll. privata. 266. Giacchino festivo, corìttu, Nughedu S. Nicolò, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 265

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266 Questi giacchini sono di norma confezionati con tessuti serici o di cotone di medio peso, nella più ampia gam- ma dei colori e delle tipologie; le maniche, sempre lun- ghe, sono diritte o appena rigonfie nella parte superio- re. Il giacchino può essere indossato con la baschina in evidenza o nascosta sotto la gonna. Chiaramente ispirati alla moda borghese del primo Novecento sono i giac- chini con breve collo montante e allacciatura centrale o laterale che, nella parte anteriore, imitano l’effetto otte- nuto indossando insieme la camicetta e il giacchino; la parte che simula la camicetta è perciò realizzata con tes- suti piuttosto leggeri, pizzo o tulle ricamato, mentre il giacchino è confezionato con tessuti di seta più pesanti quali i damaschi, i taffettà, i gros uniti o marezzati. Si prediligono colori molto scuri, in particolare il nero. Le decorazioni sono realizzate con applicazioni di souta- che, passamanerie, lustrini e perline. Tutti i modelli descritti vengono indossati sopra i corpet- ti tipici delle varie località, in evidente opposizione for- male, dati i caratteri di arcaicità che questi ultimi man- tengono; tale contrasto è tanto più accentuato laddove non si vuole rinunziare al corpetto rigido pur avendo smesso sia la camicia sia il giubbetto o il bolero e dun- que si indossa il corpetto sopra giacchini della foggia appena descritta. 181

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267 267-268. Casacchino di gala, velàda, Quartu S. Elena, prima metà sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 268

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MANICHE STACCATE, MANICOTTI, POLSINI M aniche staccate: Coprono l’avambraccio dal polso al gomito e vengono confe- 269 zionate con pregiati tessuti in seta. A quanto è dato sapere il loro uso è limi- tato ad una ristretta area del Campidano di Cagliari. Le fonti iconografiche più antiche, dal Tiole al La Marmora, ne documentano l’uso in insiemi vestimentari di gala del Campidano di Cagliari, sempre abbinate a casacchini di velluto con ma- niche a tre quarti con bordo a volant.52 Anche immagini fotografiche più recenti ne attestano l’uso a Quartu S. Elena, Sinnai e altri paesi del circondario di Caglia- ri. Manica a tre quarti con profili “a scure” mostra invece il casacchino (velàda) di velluto nero, proveniente da Quartu S. Elena, al quale sono cucite le maniche, con- fezionate a parte, in raso di seta rosso con polso guarnito con tessuto policromo e bordato con passamaneria e pizzo.53 Manicotti: Partendo dal polso coprono per metà l’avambraccio e nascondono le ma- niche delle maglie di lana eventualmente indossate sotto la camicia giornaliera por- tata con le maniche rimboccate, oppure, negli insiemi di gala, si intravedono appena sotto il polso della camicia. Di norma sono lavorati a coste con giro di ferri da calza utilizzando sottili filati di cotone o di lino di colore bianco; l’inserimento di filati di colore contrastante (rosso, azzurro, rosa) è limitato alla parte del bordo del polso ed è in genere lavorato a ventagli e traforo. L’iconografia più antica non ne attesta l’uso, potrebbe trattarsi di un’introduzione successiva ai primi anni del XX secolo del quale resta traccia in esemplari del centro Sardegna ed in particolare di Samugheo. Polsini: Confezionati in tela di cotone o di lino, sono presenti in quegli insiemi ve- stimentari che prevedono l’uso di giacche con manica stretta al di sotto delle quali la camicia può essere molto semplice perché destinata a rimanere completamente coperta. In questi casi, per simulare il possesso di più camicie ricamate, si indossa- no alti polsini ornati per lo più a motivi floreali con le tecniche già descritte per il ricamo in bianco delle camicie.54 I bordi possono essere completati da pizzo ad un- cinetto, archetti a punto occhiello o semplici smerli a punto festone. I polsini sono completi di occhiello, tagliato o a ponte, e bottone e vengono indossati sotto la ma- nica della giacca, tenendo in evidenza la sola parte ricamata. 270 271

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CINTURE 273 S ono accessori d’uso abbastanza limitato nell’iso- 272 la, completano l’abbigliamento femminile di ga- la di poche località ed hanno un impiego pretta- 274 275 mente ornamentale. Coprono l’area del punto vita compresa tra l’orlo inferiore del corpetto e la gonna e si utilizzano sia quando il corpetto viene indossa- to sotto il giubbetto (Quartu S. Elena, Monserrato, Bitti, Dorgali) sia quando viene indossato sopra (Nuoro, Orani). I modelli sono sostanzialmente due: a nastro avvolto e a fascia. Gli esemplari del primo tipo sono confezionati con un nastro di gal- lone in filato metallico dorato o argentato, largo cm 5-10, lungo fino a cm 350, con le estremità in lam- passo di seta o altri tessuti a righe o ricamati. La fo- dera è in genere in tela di cotone o di lino di colore chiaro cucita al gallone con piccoli punti nascosti. Le cinture di questo tipo (lazzàda o fàsc’’e cintróxu) si indossano avvolgendole almeno due volte attorno al punto vita, falsando i giri per aumentare la parte coperta, il lembo in lampasso viene rimboccato per tenere fermo l’indumento. A Bitti la cintura a na- stro avvolto (intrìzza o àsca) è preparata con nastri gobelin a motivi floreali o geometrici. Le cinture a fascia sono confezionate con gallone in filato metallico dorato o argentato o con nastri gobelin a motivi floreali o geometrici, in tutti i casi sotto la fodera di cotone è presente un tessuto di rinforzo. Le dimensioni in altezza variano tra cm 5 e 10, la larghezza corrisponde al giro vita. Vengono chiuse con due o più coppie di ganci o con cordelle passanti attraverso occhielli rotondi. Le cuciture so- no eseguite a mano o a macchina e gli occhielli possono essere rifiniti a punto festone, con cordon- cini di seta. Alcuni esemplari in gallone d’argento di fine XIX secolo, provenienti da Nuoro e Orani (chintóriu), sono profilati con un sottile tessuto di seta di colore celeste; a Dorgali le cinture (zimùs- sas) sono fatte mediante nastri decorati con insegne papali (zimùssa ’e cònca ’e pàpa), reali (zimùssa ’e cònca ’e re) o a motivi floreali policromi su fondo chiaro (zimùssa de sas rosichèddas). 269. Giuseppe Cominotti, Noce. Arrivée d’une jeune fille de Sinai mariée à un riche cultivateur de Quartu, 1825, litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora, Cagliari, coll. Piloni. 270. Manica staccata, manighìle, di casacchino (velàda) Quartu S. Elena, prima metà sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 271. Manicotto, manighìle, Samugheo, 1930 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 272-275. Cinture, chintòrias, Nuoro e Orani, seconda metà sec. XIX-inizio XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde (272-274) Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari (275).

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GONNE I nfinite davvero sembrano essere le soluzioni sartoriali e decorative escogitate in tutto l’ambito della Sardegna per produrre questo genere di indumenti che, per facilità di sintesi, vengono descritti raggruppandoli in cinque grandi categorie. Esistono comunque alcune caratteristiche comuni a tutte le gonne, il punto vita, ad esempio, è regolabile per poter accompagnare la pro- prietaria dell’indumento nelle sue variazioni di taglia o durante la gravidanza. Dato l’utilizzo prevalente di tessuti pesanti, quali lana e soprattutto orbace, nella sua confezione, alla gonna viene frequentemente associato l’impiego di cuscinetti o imbottiture per migliorarne la vestibilità e sostenerla nella parte superiore, in corrispondenza della vita, evitando così che scivoli lascian- do scoperti parte della camicia o del corpetto. Gonne a telo semplice o doppio Tonara, Meana e Belvì dovevano essere costituite da uno I viaggiatori dell’Ottocento, pur nel generale apprezza- o due teli di orbace, drappeggiati intorno ai fianchi, trat- mento per l’abito tradizionale sardo e in particolare per tenuti con legacci o ganci. Le figure delle tavole del La quello femminile, descrivono con evidente disappunto Marmora e del Tiole testimoniano senz’altro l’uso di capi l’abbigliamento dei paesi montani della Barbagia e del- aderenti, ma non è possibile stabilire se si tratti di uno o l’Ogliastra, quali Aritzo, Tonara, Belvì e Baunei, dove le due teli o del modello di gonna “a sacco” descritta più donne indossavano indumenti aderenti alla figura che avanti; fa eccezione l’indumento di Meana, riprodotto al- sottolineavano le forme ad ogni movimento. Tanto più la tav. 28 della Collezione Luzzietti, che è inequivocabil- tali “aderenze” dovevano stupire e sconcertare se si tie- mente un unico telo allacciato su un fianco.55 Il Museo ne conto del fatto che la moda italiana ed europea del Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma con- tempo prediligeva per gonne e sottane ampie rotondità serva un esemplare assai interessante di abito femminile e volumi esagerati. Le gonne delle barbaricine di Aritzo, completo proveniente da Tonara composto dai consueti capi in uso tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, ad eccezione della gonna arric- ciata sostituita da una coppia di teli confezionati in or- bace di colore rosso scuro. Se si posizionano questi teli 276 277 186

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davanti e dietro la figura, allacciandoli con legacci che li adattano alla circonferenza della vita, i due te- li si sovrappongono lasciando appena intravedere la camicia o la sottogonna. Si tratta dell’attestazione di una foggia di origine molto antica scomparsa per far posto prima ad una gonna d’orbace a pieghe, poi di orbace e panno con decorazioni applicate. Su questa gonna di foggia più evoluta si indossa un grembiule che mantiene, un po’ ridotta, la stessa forma trapezoidale del pannello anteriore appena mitigata da due pieghe in corrisponden- za del punto vita. A Tonara, nel primo Nove- cento, l’uso di questa coppia di indumenti, det- ti sas chìntas, era ormai limitato alle donne molto anziane o a ragazzine in età prepubera- le e del tutto eccezionale venne considerato il fatto che nel 1930, in occasione della cresima, si confezionassero per una ragazzina questi indumen- ti, anziché la gonna a pieghe. Gonne a sacco 278 È probabile che questo genere di gonne, presente soltanto nei paesi montani del centro Sardegna, sia inizialmente molto semplice e vede l’applicazione di na- il risultato di una elaborazione del modello prece- stri di taffettà uniti o operati, di velluto di seta e cotone; dente, a doppio pannello, avvenuta all’interno di ad Aritzo sono anche presenti applicazioni di sottili stri- un omogeneo gusto locale, dettato da esigenze sce dentellate di panno scarlatto. In ambiente agiato e pratiche e tradizioni culturali oggi difficilmente negli abiti di gala più recenti l’ornamentazione diviene comprensibili. Unendo semplicemente dei teli di preziosa ed è costituita da una fascia ricamata nella qua- tessuto in senso longitudinale si ottiene un indumen- le si susseguono motivi a triangolo, roselline, puntini, to molto semplice, una sorta di sacco con doppia aper- alternati a linee colorate, e motivi a dentelle realizzati tura che nel punto vita non presenta tagli, riprese o ac- con cordoncini di seta policromi nelle note dominanti corgimenti sartoriali particolari, ma viene semplicemente del giallo e con punte di azzurro e rosso. Su questo tipo ripiegato, stringendolo con una coppia di lacci nella di gonna si usano esclusivamente grembiuli a pannello parte anteriore e con un’altra in quella posteriore, fino a liscio, di forma trapezoidale o a striscia allungata. Le va- raggiungere l’aderenza desiderata.56 Si tratta dunque di rianti da mezzo lutto o quelle indossate da persone mol- un modello di struttura arcaica con un limitato costo di to anziane sono di colore rosso bruno e presentano po- produzione ed oltretutto assai versatile e funzionale per chi ricami. Per il lutto stretto si usa esclusivamente il la sua adattabilità alle variazioni di taglia nel corso degli colore nero con una quasi totale assenza di ricami rea- anni o durante la gravidanza. Questa tipologia è ancora lizzati mediante cordoncini di seta e nastri in tinta. presente in area barbaricina a Desulo, Aritzo e Belvì. Qualche ritocco al modello – una lieve increspatura del 276. Gonna a doppio pannello, chìntas, tessuto nella parte posteriore, dalla quale partono due Tonara, primo decennio sec. XX pieghe che consentono una maggiore scioltezza nei mo- Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. vimenti – ha nel tempo ingentilito la sua struttura auste- ra. Nei primi decenni del Novecento le gonne a sacco 277. Anonimo, Donne di Meana, inizio sec. XIX, acquerello su carta, vengono confezionate in orbace in tutte le sfumature Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. del rosso fino al bruno e al nero, con cuciture realizzate a mano o a macchina. L’unione dei diversi teli di tessuto 278. Gonna a sacco, camisèdda, Desulo, prima metà sec. XX e le linee di applicazione dei nastri sono sempre sottoli- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. neate con minuti ricami geometrici lineari realizzati con cordoncini di seta e cotone a vivaci colori (punto cate- nella, punto erba, punto mosca, punto pieno); tali rica- mi divengono via via più estesi fino a formare delle fa- sce ornamentali larghe fino a cm 10. Negli esemplari desulesi più recenti il cromatismo dei rossi si fa più ac- ceso e la metà inferiore dell’indumento viene realizzata con panno scarlatto. Come già detto l’ornamentazione è 187

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Gonne arricciate, a pieghe e plissettate latto delle donne di Osilo e quelle in damasco di seta Questo gruppo comprende la maggior parte delle gon- broccato e laminato, proprie dell’abbigliamento di gala ne caratterizzate da una notevole ampiezza del tessuto delle ricche campidanesi di Monserrato e Quartu S. Ele- che viene arricciato, pieghettato o plissettato con moda- na e ancora le gonne in pesante tessuto di cotone a ri- lità descritte più avanti.57 Per la confezione si usano ghe blu e rosse, detto abordàu o bodràu, caratterizzan- l’orbace, il panno di lana, il crespo di lana e di seta, il ti l’abbigliamento quotidiano e festivo delle popolane gabardine di lana e di cotone, il raso e il damasco di della Sardegna meridionale.58 seta, il lampasso broccato, il velluto di seta e di cotone, La parte anteriore di queste gonne è costituita da un ele- il rasatello di cotone stampato, e una gamma vastissima mento liscio o appena increspato sul punto vita, in alcu- di indiane e tessuti misti in lana, seta e cotone. I colori ni casi è un vero e proprio pannello indipendente unito variano in relazione al tipo di tessuto: negli esemplari per tutta la lunghezza da bottoni. L’apertura è in genere in orbace e panno di lana sono prevalenti le tonalità anteriore, mono o bilaterale, di cm 30-50. Il modello sar- del rosso per gli indumenti nuziali, festivi ed anche toriale è quasi sempre condizionato dalla scelta del tes- giornalieri, con le varianti di rosso cupo e marrone bru- suto, primo fra tutti l’orbace, in genere unito in numerosi ciato per le donne anziane e per il lutto, fino al nero teli fino a raggiungere l’ampiezza desiderata; regolazioni per le vedove. Per gli altri tipi di tessuto, sia uniti sia di taglia sono comunque rese possibili adattando la chiu- operati, la gamma cromatica è estremamente ampia; sura in vita mediante ganci o lacci. In qualche caso si per brevità si segnalano le gonne di velluto di seta scar- utilizzano due tipi di tessuto, ad esempio orbace nella 279 188

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279. Gonna festiva e di gala, munnèdda, 280 Ittiri, prima metà sec. XX Sassari, coll. privata. parte superiore e panno in quella inferiore, uniti in sen- so trasversale. Il tessuto così preparato può essere sem- 280. Gonna festiva e di gala, gunnèdda, plicemente arricciato riducendo l’ampiezza in vita me- Quartu S. Elena, fine sec. XIX diante punti filza nascosti o punto smock ricamato con Roma, Museo Nazionale delle Arti cordoncini robusti in tinta o formando una vera e pro- e Tradizioni Popolari. pria fascia di altezza variabile (da cm 10 a cm 40) costi- tuita dalle pieghe raccolte strettamente a partire dal pun- to vita fino a fasciare tutta l’area dei fianchi. Il tessuto può ricadere liberamente dando luogo a pieghe sciolte (Nuoro: fardètta ’e pànnu o tùnica ’e pànnu; Fonni: 189

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282 281 istàde) o essere “messo in piega” mediante cuciture o al- gli orli. In alcune località quest’uso, benché con le im- tre tecniche di modellazione per l’ottenimento di pieghe mancabili modifiche, si è mantenuto fino ai giorni nostri. più o meno ampie (da cm 0,8 a cm 5-6) a profilo arro- Ad Orgosolo la gonna di panno o saia di lana con bordo tondato o spigoloso; le pieghettature finissime, a sagoma inferiore di seta verde, detta vèste o arràsa, si indossa arrotondata o acuta, ottenuta con lavorazioni particolari sopra quella di orbace detta saìttu, anch’essa con bordo del tessuto, vengono genericamente definite plissettature. verde; ancora nel primo Novecento è diffuso l’uso di in- Gran parte delle gonne presentano due fessure longitudi- dossarle entrambe sopra una terza gonna di orbace bor- nali anteriori che, formando una sorta di patta, consento- data di rosso chiamata saìttu rùbiu; a Ollolai la gonna in no di indossarle con facilità e di adattarne le dimensioni panno plissettato, detta fardellìnu, è sovrapposta a quel- alla vita; essendo spesso coperta con un grembiule, la la di orbace detta uddìttu. Sotto le gonne di orbace o parte anteriore può essere confezionata con tessuti di panno era comunque consuetudine diffusa, anche nel qualità diversa, ad esempio cotonina a fiorellini, mollet- pieno Novecento, usare almeno una gonna arricciata tone a quadri ecc. per la parte anteriore di una gonna di confezionata in tela di cotone in minute fantasie giocate pesante panno di lana (Samugheo: chìnta ’e fàttu o su tonalità scure. Nella gran parte dei casi l’uso si è per- chìnta ’e pàllas; Busachi: unnèdda; Benetutti: munnèd- so progressivamente (Nuoro, Oliena, Gavoi ecc.) per un da). Le varianti documentate dopo la seconda metà del- processo di semplificazione dell’abbigliamento tradizio- l’Ottocento raggiungono volumi importanti ottenuti sia nale influenzato dal gusto estetico del Novecento che ri- con grandi ampiezze di tessuto sia sovrapponendo più disegna una figura femminile affusolata, riducendo dap- gonne di orbace o altra stoffa con differenze di lunghez- prima i volumi e poi anche le lunghezze delle gonne. za, talvolta studiate per evidenziare la stratificazione de- Negli esemplari datati dopo il 1930, in quasi tutta l’isola, 190

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283 si coglie lo sforzo di rimodellare le gonne, raccogliendo 281. Gonna festiva e di gala, gunnèdda, la grande quantità del tessuto con fitte pieghettature cu- Quartu S. Elena, fine sec. XIX cite che dal giro vita scendono verso il basso, interessan- Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. do in qualche caso tutta la fascia del bacino e dei fian- chi, oppure rendendo ancor più fitta la plissettatura o 282. Gonna festiva e di gala, unnèdda, Bono, prima metà sec. XX riducendo la larghezza delle pieghe. Di pari passo dimi- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. nuiscono le lunghezze – per mostrare calzature che se- guono anch’esse tipologie “alla moda” – mentre, quale 283. Gonna festiva e di gala, munnèdda, segno di lusso, aumentano in altezza tutti i bordi inferiori Torralba, prima metà sec. XX ornamentali delle gonne, siano essi in tinta unita, ricama- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. ti, o costituiti da più ordini di tessuto o nastri sovrappo- sti. In tal modo solo le gonne che mantengono lunghez- 284. Gonna festiva, gunnèdda, ze al piede danno realmente slancio alla figura, tutte le Sinnai/Maracalagonis, inizio sec. XX altre ottengono esattamente il risultato opposto. Le gon- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. ne di orbace e panno non vengono mai foderate se non lungo il bordo inferiore, in corrispondenza dell’orlo de- 285. Gonna festiva, fardètta, Iglesias, fine sec. XIX corato esterno; quelle realizzate con tessuti di seta e in Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. particolare con quelli broccati e laminati sono foderate con tela apprettata o incerata di cotone, lino o canapa nei colori avorio o celeste. 191

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286 286. Gonna festiva e di gala, munnèdda, Benetutti, 1948 287 Benetutti, coll. privata. 287. Gonna festiva, munnèdda, Benetutti, inizio sec. XX Benetutti, coll. privata. 194

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288. Gonna festiva, saigiòne, Atzara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 289. Gonna festiva, saigiòne, Sorgono, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 290. Gonna festiva e di gala, tùnica, Oliena, 1950 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 288 290 289

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291. Gonna festiva e di gala, uddìttu, Ollolai, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 292. Gonna festiva e di gala, fardètta, Mamoiada, fine sec. XIX Mamoiada, coll. privata. 293. Gonna festiva e di gala, uddìttu, Ollolai, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 291 293 292

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Gonne a gheroni 294. Gonne festive e di gala, saìttu e vèste, Questa definizione comprende le gonne di orbace nelle Orgosolo, prima metà sec. XX quali ad ogni piega, o al massimo ad un gruppo di due, Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. corrisponde un gherone, vale a dire una striscia di tessu- to di forma trapezoidale, lungo quanto l’altezza totale 295. Gonna giornaliera, saìttu, Orgosolo, primo decennio sec. XX della gonna, unito ad un altro in corrispondenza della Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. parte interna della piega (Nuoro: ghirònes); l’intera am- piezza della gonna (cm 380 e cm 480), ad eccezione del 296. Gonna festiva, ’amisèdda, Fonni, primo decennio sec. XX pannello anteriore,59 è perciò data dall’unione dei ghero- Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. ni; la parte inferiore della piega presenta una cucitura a costura semplice, quella superiore, ma non sempre, una 297. Gonna festiva, tùnica, Nuoro, prima metà sec. XX lieve impuntura che ne sostiene la piega. In corrispon- Nuoro, coll. privata. denza del punto vita, per circa cm 10, la parte superiore dei gheroni viene raccolta in una fitta increspatura per ridurre il tessuto e dare snellezza alla figura; il cinturino in corrispondenza del punto vita viene fatto con diversi tipi di tessuto di seta o cotone, unito o fantasia, e può anche essere guarnito con un profilo di panno scarlatto tagliato al vivo. La gonna a gheroni è usata a Nuoro, Orani e Orotelli per le gonne di orbace festive, giorna- liere e da lutto dette tùnicas, distinte anche nel nome da quelle semplicemente arricciate fatte in panno o altri tes- suti (fardèttas). La larghezza dei gheroni e, conseguente- mente, quella delle pieghe consentono di datare questi indumenti perché, come già detto per i modelli arriccia- ti, le gonne realizzate dopo il primo ventennio del No- vecento hanno pieghe molto più strette rispetto agli esemplari ottocenteschi. La parte anteriore, appena arricciata, presenta aperture longitudinali (màsculas) bordate con raso, taffettà o vel- luto di seta o di cotone, talvolta ricamati in abbinamento al corpetto festivo, specie negli esemplari successivi agli anni Trenta del Novecento. Il bordo inferiore è sempre guarnito con un nastro di altezza variabile tra i cm 12 degli esemplari antichi fino ad arrivare ai cm 18-20 degli esemplari più recenti. Nella seconda metà dell’Ottocen- to per le gonne giornaliere si utilizzano nastri di taf- fettà di seta a colori sfumati, rigati o Madras; per quelle di gala si predilige il nastro in taffettà o raso di seta rosso, in varie tonalità, o color ciclamino, meno frequente il nastro in gros di seta marezza- to che caratterizzerà invece questi capi a partire dalla fine dell’Ottocento. L’orlo presenta profili in panno scarlatto tagliati al vivo o un sottile profilo di velluto rosso o blu scuro. A diffe- renza delle gonne in orbace a semplici pie- ghe, le cuciture sono realizzate a mano con la sola eccezione della applicazione della bordura inferiore e della corrispondente fodera interna che possono essere ese- guite a macchina.60 297

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Gonne unite al corpetto 298. Gonna festiva unita al corpetto, vèste, Si tratta di indumenti assai particolari il cui Fonni, primo decennio sec. XX uso è attestato in poche località.61 Gli esem- Roma, Museo Nazionale delle Arti plari esaminati provengono da Fonni, nel- e Tradizioni Popolari. l’insieme costituito da imbùstu e vèste, e da Orani nell’insieme di pàla e iscar- 299. Gonna festiva, vèste, ramàgnu. Le fonti iconografiche non Fonni, prima metà sec. XX evidenziano mai questi capi dei qua- Fonni, coll. privata. li non si colgono le peculiari carat- teristiche quando vengono indos- sati. I due casi citati differiscono peraltro completamente tra lo- ro dato che il tipo fonnese presenta un corpetto a fa- scia con punte anteriori, unito alla classica gon- na di orbace o panno 298 plissettato; in questo caso l’insieme busto-gonna viene fili chiari dell’ordito. L’indumento, ornato con un nastro 299 indossato sotto il giubbetto di panno. Del tutto partico- in gros di colore variante dal rosso geranio al ciclamino, lare il caso di Orani, nell’insieme vestimentario detto è anche caratterizzato da una fittissima plissettatura serra- iscarramàgnu, dove il corpetto in panno di lana di colo- ta in corrispondenza della vita. La parte anteriore, appe- re rosso cupo, tendente al marrone, è di tipo morbido, na arricciata, presenta due aperture laterali piuttosto mal copre completamente la parte posteriore del busto e vie- rifinite se si considera il tono e la qualità raffinata dell’in- ne unito a grossi punti alla gonna che, allo stato attuale dumento. L’insieme descritto viene indossato sopra un delle conoscenze, costituisce un unicum in Sardegna. Si corto giubbetto in panno.62 tratta infatti di una gonna con ordito in canapa o lino di Alle caratteristiche particolari del tessuto si aggiunge an- colore naturale e trama in lana di colore marrone scuris- che quella della denominazione, iscarramàgnu, unica simo/nero; tale tessuto ha una lucentezza particolare do- anch’essa in Sardegna, che richiama il termine scara- vuta sia alla qualità del filato di lana, sia alla tecnica di manghion usato in epoca bizantina per indicare una ve- tessitura con trame a vista che coprono completamente i ste cerimoniale.63 202

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GREMBIULI I grembiuli caratterizzano l’abbiglia- mento popolare di tutto l’ambito euro- peo ed anche in Sardegna sono presenti in numerosissime varianti determinate dall’insieme vestimentario al quale si ac- compagnano, dall’area geografica di ap- partenenza e dall’occasione per la qua- le vengono indossati. Per necessità descrittiva le varie tipo- logie vengono ricondotte, in qual- che caso forzatamente, a grandi gruppi, abbiamo quindi: grem- biuli a pannello, arricciati o pie- ghettati e a ventaglio. Grembiuli a pannello In questo insieme vengono descritti i grembiuli a striscia allungata, quelli trapezoidali e quelli avvol- genti. I cosiddetti grembiuli a striscia allungata, denominati jìnta o chìnta, caratterizzano l’abbi- gliamento di alcuni paesi montani del centro Sardegna (Aritzo, Laconi, Belvì) per i quali le fonti danno numerose descrizioni e illustrazioni. Si tratta di grembiuli che poggiano sui fianchi allungandosi in una lunga striscia centrale con estremità inferiore arrotondata; sono sempre associati a gonne strette e aderenti alla figura. Paiono essere confezionati in tessuti pesanti, certamente orbace o panno, e non presen- tano alcuna ornamentazione. Gli esemplari di fine Ottocento e dei primi del Novecen- to hanno subito modifiche sia relative alla forma, che si è ulteriormente assottigliata e ingentilita, sia al tessuto, panno o vel- luto di seta con nastri a motivi floreali e zoomorfi applicati lungo il bordo. Questo tipo di grembiuli sono fermati in vita con semplici nastri o con ap- posite catenelle d’argento e vengono indossati con gonne a sacco. I grembiuli di forma trapezoidale, li- sci o appena arricciati, all’inizio del- l’Ottocento sono piuttosto comuni nella Sardegna centrale (a Desulo, Fonni, Gavoi, Mamoiada, Nuoro, Oliena, Ollolai, Orani, Orgosolo e in molti altri luoghi). Il tessuto più usato è il panno o il rasatello di vario colore bordato con un na- stro in tinta unita, ricamato o 204

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operato a motivi floreali e zoomorfi. Più rara l’ornamenta- zione ricamata quale quella di Nuoro e Orani, caratteriz- zata dal susseguirsi di piccoli motivi floreali e geome- trici disposti a cornici concentriche lungo il bordo inferiore, e quella di Orgosolo che invade buona parte della superficie con i noti motivi a punta, realizzati alternando organicamente filati di seta dai colori vivacissimi. I due esempi, del tutto diversi tra loro, sembrano co- munque riportare ad un antico signi- ficato simbolico dell’ornamentazio- ne, fortemente caratterizzante il sistema vestimentario di gala delle comunità citate. In particolare è da osserva- re che sia il complesso 300. Grembiule festivo e di gala, frànda, Nuoro, inizio sec. XX Nuoro, coll. privata. 301. Grembiule festivo e di gala, frànda, Orani, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 301 300

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302 303 302. Grembiule festivo, ’odàle, Gavoi, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 303. Grembiule festivo, saùcciu, Fonni, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 304. Grembiule festivo, saùcciu, Fonni, seconda metà sec. XX Fonni, coll. privata. 305. Grembiule festivo, antalèna, Orgosolo, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 304

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306 307 decoro costituito dal susseguirsi di spirali dei grembiuli ha forma trapezoidale, il ricamo lineare che contorna i di Nuoro e Orani, sia i citati elementi a punta di quelli nastri applicati e divide lo spazio in segmenti geometri- orgolesi, richiamano i motivi a meandro, a spirale, a ci, diviene nel tempo sempre più esteso, costituito da doppia protome propri di una simbologia preistorica più ordini decorativi, ma senza troppe concessioni al paneuropea. Quale che sia stato il significato iniziale di gusto naturalistico. In molti altri casi le forme trapezoi- questi simboli, è certo che la loro forza è stata tale da dali attestate nel primo Ottocento assumono dimensioni farli riprodurre, di generazione in generazione, sugli più ridotte e talvolta danno luogo a nuovi modelli di esemplari di gala, anche se nel tempo si è perso il si- forma quasi triangolare (Fonni: saùcciu) con bordi sem- gnificato della rappresentazione. La perdita della memo- pre più alti, spesso ricamati in combinazione con alcu- ria simbolica si conclude quando, dopo il primo tren- ne parti della gonna e del giubbetto. In altre località, tennio del Novecento, ai simboli descritti si affiancano come Mamoiada e Oliena, il modello trapezoidale viene con sempre maggiore invadenza i motivi floreali che fi- sostituito con varianti arricciate e ricamate di cui si trat- niscono per soppiantarli completamente, come è avve- terà più avanti. Alcuni grembiuli a pannello hanno dop- nuto in alcune varianti di grembiuli nuoresi, risalenti a pio diritto e il loro uso è dunque possibile anche in tut- quegli anni, voluti dalle committenti per rinnovare lo te le occasioni prescritte per le varie gradazioni di lutto stile dei grembiuli nuziali nell’ultima fase del loro utiliz- ad eccezione del lutto stretto per il quale è d’obbligo il zo. Ad Orgosolo il motivo a punta continua ad essere colore nero. presente ma, perso il magnifico risalto che caratterizza gli esemplari più antichi, appare soffocato, mortificato 306. Antonio Ortiz Echagüe, Comida en Mamoiada, 1907, olio su tela. quasi, avviluppato com’è da fiori e mazzolini ricamati 307. Grembiule festivo, ’odàle, Ollolai, primo decennio sec. XX introdotti negli esemplari di gala più recenti. Il processo Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. di modernizzazione e di trasformazione non si limita ai soli casi in questione, ma riguarda quasi tutti i tipi di grembiule. A Desulo dove il grembiule, detto saùcciu, 208

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Grembiuli arricciati Sono i grembiuli più comuni sia perché hanno soppian- tato nell’uso alcuni dei modelli di gala sopra descritti ed accompagnano il vestiario tradizionale fino alle ultime fasi della sua utilizzazione, sia perché sono quasi ovun- que utilizzati negli insiemi giornalieri e da lavoro. Esa- minando gli esemplari di gala si può dire che la gamma dei tessuti impiegati è davvero sterminata. Si passa in- fatti dai modelli in orbace, nei quali l’ampiezza è raccol- ta con plissettature, a tutta la gamma dei tessuti in seta, soprattutto taffettà liscio e operato, damasco, organza, raso, crespo sia in tinta unita che in più colori; molto ampia anche la gamma dei tessuti di cotone che com- prende tutte le tele bianche e quelle a colori stampate dette indiane, il rasatello stampato a piccoli motivi flo- reali policromi o nei toni dell’oro e dell’argento; altret- tanto vasta è la gamma dei grembiuli arricciati realizzati 308. Grembiule festivo, chìnta, Sorgono, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 309. Grembiule festivo, chìnta, Atzara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 310. Grembiule giornaliero, chìnta, Atzara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 308 309 310

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312 con tulle di seta, lino o cotone, ricamato a motivi florea- li con fili di cotone o di lino in tinta. Dopo il primo de- cennio del Novecento gli esemplari di gala sono sempre più spesso ornati con ricami naturalistici disposti su un angolo o a formare una vera e propria cornice che inte- ressa tutto il bordo inferiore; altrettanto frequenti sono le bordure di pizzo meccanico o a uncinetto. La tela di co- tone o di lino è utilizzata per tutti i grembiuli da lavoro e in particolare per quelli destinati alla panificazione. Si 311-312. Grembiule festivo, chìnta ’e annànti, tratta di capi molto semplici dei quali rimane traccia Samugheo, primo decennio sec. XX esclusivamente nei ricchi corredi dei primi del Novecen- Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. to nei quali si ritrovano grembiuli bianchi ricamati, da utilizzare in ambito esclusivamente domestico in occa- 313. Grembiule festivo, fardìtta, Bono, prima metà sec. XX sione di pranzi o altre circostanze eccezionali o destinati Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. alle balie che, pur indossando l’abito tradizionale del proprio luogo d’origine, possono sovrapporre ad esso 314. Grembiule festivo, provenienza sconosciuta, prima metà sec. XX un grembiule bianco particolarmente ornato che diviene Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. simbolo della loro stessa professione. Del tutto singolare pare il caso di Orani nel quale il grembiule bianco di te- 315. Grembiule festivo, fàrda, Benetutti, 1948 la, con falsature in pizzo ad uncinetto, filet, buratti o ri- Benetutti, coll. privata. cami su tela sfilata, è abbinato all’antico insieme di gala detto iscarramàgnu. Nell’uso quotidiano sono comuni i 316. Grembiule festivo, provenienza sconosciuta, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 317. Grembiule festivo e di gala, fàrda, Benetutti, 1948 Benetutti, coll. privata. 318. Grembiule giornaliero, pannéllu, Ittiri, inizio sec. XX Sassari, coll. privata. grembiuli di cotone stampato a motivi minuti sia nei co- 319. Grembiule festivo, fàrda, Benetutti, seconda metà sec. XX lori scuri che chiari. Tutte le varianti descritte trovano il Benetutti, coll. privata. loro corrispondente in nero per il lutto stretto e colori 320. Grembiule festivo e di gala, frànda, Orani, inizio sec. XX 311 spenti per gli altri gradi del lutto. Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 211

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Grembiuli a ventaglio Si tratta di una tipologia piuttosto omogenea ben rap- presentata, dal primo Ottocento in poi, negli insiemi di gala del Cagliaritano che, per l’indubbia valenza esteti- ca, ha attratto i viaggiatori e gli illustratori. Insieme ai casacchini già descritti e alle gonne di panno o velluto di seta rosso o di damasco fondo verde broccato a moti- vi floreali, caratterizzano l’abbigliamento nuziale e di ga- la delle ricche possidenti del circondario di Cagliari e in particolare di Quartu S. Elena, Sinnai, Monserrato e Se- largius. La stessa foggia è anche presente negli insiemi festivi e nuziali di Teulada e Pula in abbinamento sia a gonne di panno rosso che a un tipo più modesto di co- tone a righe rosse e blu (bordatino). Le denominazioni sono ovunque assai simili: frascadròxa, vascatròxa e deventàli. Si tratta di grembiuli che non oltrepassano la metà della lunghezza complessiva della gonna e vengo- no definiti a ventaglio perché caratterizzati da un grup- po centrale di pieghe in cui si raccoglie l’ampiezza del tessuto che si allarga verso il basso appunto come un ventaglio. Gli esemplari esaminati, risalenti alla seconda metà dell’Ottocento, sono confezionati con diversi tipi di tessuto. La parte centrale è in velluto di seta o panno 321 322 323 324 214

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in varie gradazioni di rosso, in qualche esemplare in panno o velluto blu scuro, le parti laterali sono confe- zionate in panno o altro tessuto di media qualità dato che vengono ricoperte con un alto bordo in lampasso broccato e laminato o broccatello a motivi floreali po- licromi su fondo color avorio o giallo. A impreziosire ulteriormente il capo contribuiscono le bordure in gallone d’oro e le trine lavorate a fuselli con filati d’oro caratterizzate dal motivo a ventaglietti. I model- li raffigurati nelle illustrazioni del primo ventennio dell’Ottocento presentano una forma a ventaglio me- no accentuata e bordi molto sottili, ma già nel 1837 il Valery testimonia la foggia compiuta, quale quella degli esemplari giunti fino a noi, che da quella data in poi sarà ampiamente documentata. Vale la pena di osservare che tutta l’iconografia citata mostra con chiarezza che i grembiuli di questo tipo non vengo- no allacciati in corrispondenza del punto vita, ma piuttosto sospesi con gli appositi lacci in modo da la- sciare bene in vista la parte superiore della gonna. In quasi tutte le raffigurazioni si notano, infatti, i nastri e le cordelle che, sostenendoli, ricadono in posizione perpendicolare e non inclinata come accadrebbe se i lacci fossero stretti attorno alla vita. Questo modo cu- rioso e per ora inspiegabile di indossare il grembiule è comune anche a pochi altri modelli dell’area cam- pidanese di cui gli stessi autori danno testimonian- za.64 Non esistono grembiuli a ventaglio da utilizzare in caso di lutto dato il carattere di grande lusso e ga- la dell’insieme vestimentario al quale questi capi fan- no riferimento. 321. N.B. Tiole, Paysanne de environ de Cagliari aux journe 325 de fête, 1819-24, acquerello su carta. 322. Quarto S. Elena (circondario di Cagliari). Costume di gala, 1898, litografia a colori, in E. Costa, Costumi sardi, Cagliari 1913. 323. Grembiule festivo e di gala, fascadròxa, Quartu S. Elena, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 324. Grembiule festivo e di gala, fascadròxa, Monserrato/Quartu S. Elena, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 325. Grembiule festivo e di gala, fascadròxa, Quartu S. Elena, seconda metà sec. XX Oristano, coll. Enrico Fiori. 216

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BIANCHERIA G li indumenti indossati a diretto contatto con il corpo sono originariamente caratterizzati dall’uso di tela di colore bianco dalla quale prendono la denominazione di biancheria. Le camicie, che pure sono confezionate con questo tipo di tessuto e nascono come indumento inti- mo, non vengono comprese nella biancheria poiché, nel periodo al quale fa riferimento il pre- sente studio, sono ormai pienamente trasformate in capi esterni. Il termine biancheria si esten- de e finisce per comprendere tutti gli indumenti di utilizzo intimo confezionati con vari tessuti: cotone, seta e lana, sia bianchi che colorati. Copribusto Questi indumenti si diffondono in ambito popolare alla fine dell’Ottocento quando la camicia perde la caratteri- stica di indumento intimo e diviene capo esterno per eccellenza. Si indossano a pelle, sotto la camicia, diver- samente dai modelli ottocenteschi a cui si ispirano desti- nati ad essere portati sopra i busti. È probabile che il lo- ro uso si diffonda prima tra i ceti abbienti per soddisfare un’esigenza di maggiore pudore e decoro, soprattutto in quelle aree nelle quali le ampie camicie corte, aperte sul lato anteriore, richiedevano una maggiore protezione del seno. Col tempo, negli insiemi di gala, si fa strada l’uso di mostrarne la parte superiore della scollatura or- nata di pizzi e ricami. Gli esemplari esaminati sono sen- za maniche, a spalla larga, sagomati in modo da aderire al corpo, dando risalto al seno, con scollature in genere quadrate o rotondeggianti adatte allo stile della camicia, più rari quelli a scollo triangolare. L’apertura può essere sia laterale sia anteriore, comunque chiusa con bottoni di madreperla o lacci.65 Sottogonne 326 Indumenti intimi sono sempre presenti nel corredo per- sonale delle donne sarde a partire dal primo Novecento. passandoli tra le gambe e fissandoli in corrispondenza I reperti di datazione anteriore sono invece assai rari, della vita. Il Wagner tra i significati del termine kamís˙ a salvo non si tratti di indumenti facenti parte di insiemi scrive: «Lo Spano, s.v. kamísia indica che la voce signi- di gala. È stato già segnalato che in molte raffigurazioni fica in log. anche ‘mestruo’ o lo significava almeno. In del primo trentennio dell’Ottocento66 si intravede, sotto questo senso si usava camisa in Spagna. Il Diz. Acc. la gonna, l’orlo inferiore di un indumento di tela bian- Spagn. lo registra come ‘p(oco) us(ado)’ nella lingua ca, che può essere sia l’orlo di una camicia lunga sia moderna. Ma occorre in scrittori antichi».67 Nessun aiuto quello di una sottogonna. Le camicie lunghe potevano in questa direzione è dato dalla terminologia più antica infatti assolvere anche alla funzione di sottogonna, a usata per indicare la sottogonna che riconduce sempre maggior ragione in tempi di grande scarsità di indu- alla camicia: i termini camìsa, camisèdda e ’amisèdda menti. Salva questa premessa è probabile l’utilizzo dif- indicano, infatti, sia la camicia sia la sottogonna di tela fuso di una o più sottogonne di foggia semplicissima e di lino o cotone pesante e, a Desulo e a Fonni, anche di tela resistente, considerato che l’uso di mutande era una modesta gonnella di orbace; al contrario il termine pressoché sconosciuto, anche nel primo Novecento, e càssiu, che nel Nuorese indica la sola sottogonna, in che, tra i ceti meno abbienti e meno esposti alle in- area logudorese indica la parte inferiore della camicia o fluenze delle mode esterne, compaiono soltanto dopo la stessa camicia.68 Altre denominazioni: tettèla a Dor- il 1920. Le stesse fonti orali che confermano l’inesisten- gali, istàde a Fonni, urési de tèla a Bitti, non portano al- za di mutande, infatti, riferiscono la consuetudine delle cun chiarimento. donne mestruate di sollevare i lembi della sottogonna È probabile che la sottogonna come capo a sé sia co- munque successiva alla camicia di tipo lungo e che si 218

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della parte posteriore e un alto volant sul fondo (Bitti) o applicazioni di pizzo San Gallo sul bordo inferiore, con passanastro e nastro in raso negli esemplari più re- centi. Rarissimi i ricami: essi si osservano solo in indu- menti provenienti da corredi di spose di condizione agiata e sono realizzati a motivi floreali a punto inglese. Le cuciture sono per lo più realizzate a macchina con unione del tessuto a costura semplice o doppia. 327 Sottovesti Indumenti intimi sostituenti nella funzione l’insieme co- 328 pribusto-sottogonna derivano anche dall’estrema sem- plificazione delle camicie che, nei primi decenni del sia affermata nell’uso prima per motivi di tipo igienico, Novecento, vengono private delle maniche specialmen- poi di tipo estetico, sulla scia delle mode che volevano te dove si adottano giacchini di foggia borghese a ma- volumi rigonfi delle gonne, ottenuti con più strati so- nica stretta. I modelli proposti dalle riviste di moda vrapposti di sottogonne e gonne. In tutti i casi gli esem- vengono adottati soprattutto nelle zone maggiormente plari esaminati, che non hanno mai datazioni anteriori soggette alle influenze del gusto nazionale o nei paesi ai primi anni del Novecento, presentano modelli piutto- che protraggono l’uso dell’abito tradizionale di gala e sto elementari, con ampiezze di cm 320 massimo. Sono da sposa, fino agli anni Cinquanta del Novecento, con in genere costituite da un rettangolo formato da due o continue modifiche e modernizzazioni che interessano più tagli di tela di cotone o di lino, arricciato in vita sia gli indumenti esterni sia quelli intimi; in questi casi con un semplice nastro passante in un orlo, o con una la parte superiore della sottoveste, che si intravede sotto serie di increspature rifinite con un sottile cinturino di la camicia, viene guarnita con ricami a macchina su tul- tela chiuso con lacci, ganci o bottoni. Modelli più raffi- le, a mano su tela sfilata, o ad intaglio. Gli esemplari nati presentano increspature più fitte in corrispondenza destinati ad essere indossati con abiti tradizionali d’uso giornaliero prima e di transizione poi (insiemi composti 326. Copribusto, copribùstu, Orosei, prima metà sec. XX da camicetta o blusa e gonna) presentano, lungo i bor- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. di, applicazioni di pizzo meccanico anche a colori, o ar- 327. Sottogonna, cànsciu, Torralba, prima metà sec. XX chetti a punto festone. Per la confezione di questi indu- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. menti si utilizzano tutte le varietà di tele di cotone e di 328. Sottogonna, tùnica ’e tèla, Oliena, 1954 lino usate per le camicie ed anche mussola o bisso di li- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. no e cotone molto sottili. Il colore preferito è il bianco, con modelli a spalla larga con scollo quadrato o arro- tondato, il taglio è diritto o leggermente svasato e la lunghezza al polpaccio; in qualche caso per ottenere un’ampiezza maggiore vengono inseriti due gheroni ai lati dell’indumento. La parte superiore viene sagomata con nervature verticali, pinces laterali o con piccolo carré sul quale è applicato il tessuto arricciato della par- te anteriore. Gli esemplari posteriori al 1930, provenien- ti da ricchi corredi, sono talvolta confezionati con bisso di lino rosa o celeste oltre che bianco e presentano di- mensioni più ridotte in larghezza ed in lunghezza, spal- line strette a nastro, bordi e falsature in pizzo meccani- co tipo Valenciennes, associati o meno a parti ricamate. Quale che sia l’epoca le cuciture sono comunque realiz- zate a mano o a macchina a costura semplice o doppia, con orli e rifiniture frequentemente eseguite a mano. Camicie da notte Sono poco presenti nelle raccolte sia per il carattere inti- mo sia per la natura assai modesta dei capi utilizzati in ambito popolare. L’iconografia ignora questo genere di indumenti, così poco diffusi che non esiste una deno- minazione specifica salvo quella di camìsa ’e nòtte: di fatto la stessa camicia giornaliera lunga veniva indossata 219

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Maglie intime Di produzione industriale, in maglia di lana o di cotone, a manica lunga, bianche o colorate, le maglie intime ri- sultano essere assai diffuse in Sardegna intorno al 1910. Sono capi d’origine moderna denominati quasi ovun- que màllia, franèlla o flanèlla. Gli esemplari esaminati sono, come è facile intuire, assai scarsi, e si riconduco- no sostanzialmente ad un unico modello in leggera ma- glia di lana o cotone a costine sottili, a manica lunga, con scollo arrotondato e breve apertura anteriore dotata di piccoli bottoni. I colori classici sono il bianco, il rosa, il giallo o il celeste. La scelta dei colori è data dal gusto personale, che può anche diventare gusto collettivo, come accade ad Orgosolo dove si predilige il giallo co- sì che il nome dato a questo capo è frànella zallìna, appunto “flanella gialla”. Non meno particolari alcuni esemplari di Ollolai personalizzati con il riporto, lungo lo scollo, degli stessi ricami policromi presenti nelle ca- micie. In tutta l’isola il colore più usato resta comunque il bianco in tutte le tonalità. 329 Mutande Le fonti scritte tacciono sulla presenza di questi indu- anche come camicia da notte oppure si andava a dormi- menti e a maggior ragione quelle iconografiche; non è re vestendo semplicemente il copribusto e la sottogon- dunque difficile accettare la diffusa convinzione che fos- na. È assai probabile che per tutto l’Ottocento fossero sero indumenti assai poco o nulla utilizzati, a livello po- indumenti già presenti nel guardaroba delle donne agia- polare, almeno fino alla seconda metà dell’Ottocento. te, ma è soltanto nei corredi degli inizi del secolo suc- Gli esemplari esaminati risalgono tutti al XX secolo, i cessivo che si ritrovano alcuni preziosi esemplari da usa- più vecchi ai primi anni del secolo, e provengono da re in occasione delle nozze o dopo il parto. Rarissimi gli ricchi corredi o sono stati fortunosamente recuperati do- esemplari giornalieri risalenti al primo decennio del No- po pressanti ricerche sul campo. vecento. Con le informazioni derivate dalle fonti orali è Grazie a testimonianze orali è comunque possibile se- possibile comunque affermare che i modelli sono in ge- guire un’evoluzione dei modelli partendo da quelli nerale semplici, tagliati a sacco o svasati mediante l’inse- usati intorno agli anni Novanta dell’Ottocento. Sono rimento di gheroni laterali. Le maniche, sia corte che modelli ampi e lunghi fino al ginocchio o oltre, con lunghe, sono unite al busto con tassello sottoascellare di volant guarnito da un piccolo pizzo. Si utilizza una tela forma quadrangolare, hanno media larghezza e polso di cotone di medio peso e il taglio non presenta altre chiuso con bottoncino in filo o madreperla. Più rari gli sagomature se non un semplice tassello quadrangolare esemplari senza maniche a spallina larga. Il tessuto uti- inserito in corrispondenza del cavallo per rendere più lizzato è la tela di cotone o di lino, di vario peso, in re- agevoli i movimenti; l’ampiezza del tessuto è raccolta lazione all’uso. La stessa distinzione vale per le guarni- in vita con piccole pieghe piatte oppure con un nastro zioni e i ricami. passante attraverso l’orlo. Una o due aperture sui fian- Dopo gli anni Venti del Novecento l’impiego della cami- chi, chiuse con bottoni o lacci, consentono di indossa- cia da notte diviene sempre più comune tra le giovani re l’indumento. generazioni che le confezionano ispirandosi ai modelli Come tutta la biancheria anche le mutande sono desti- illustrati nei cataloghi e nelle riviste di moda. Le cuciture nate al lavaggio con la lisciva pertanto la scelta del tes- sono realizzate a macchina, a costura semplice o doppia suto, dei pizzi e l’esecuzione delle cuciture sono studia- come è consuetudine per tutta la biancheria. ti per resistere a tale tipo di trattamento. Il modello descritto, e qualche sua variante, continua ad essere usato fino al primo decennio del Novecento soprattutto da donne anziane; le più giovani adottano modelli a gamba diritta, preferibilmente senza volant. I capi di corredo per le nozze vengono anche realizzati con tes- suti di cotone molto sottili, con pizzi e ricami; talvolta gli indumenti sono anche cifrati. Dopo il 1930 questo indumento assume caratteristiche moderne ed i modelli si adeguano al variare della moda.69 220

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330 Calze e uose 331 È necessario premettere che l’andare completamente 332 scalzi è condizione attestata dalle fonti iconografiche per la servitù, i più indigenti o per quanti siano impe- gnati in attività domestiche, soprattutto donne e ragazzi. Fonti orali confermano che nel quotidiano i più poveri non indossano calzature e, anche se le possiedono, le riservano alle occasioni festive per le quali il loro uso, e dunque anche quello delle calze, è d’obbligo. Si tratta di capi di abbigliamento dei quali solo raramente è pos- sibile ritrovare esemplari d’epoca e in genere di foggia festiva, perché tutti quelli d’uso giornaliero sono utiliz- zati fino alla loro consunzione. In tutti i casi sulla base dell’iconografia antica, dei reperti esaminati e delle fonti orali è possibile fare l’analisi che segue a partire dal primo Ottocento. Le calze (mìzas, crazìttas, carzìttas) arrivano fin sotto il ginocchio, più raramente lo copro- no salendo fino a metà della coscia e sono in tutti i casi trattenute con laccetti. Le calze festive sono in genere realizzate con filati di lino, lana e cotone di colore chia- ro, lavorati con giro di ferri a maglia rasata, a coste o con motivi a traforo. In alcune località anche le calze fe- stive sono di colore scuro, specialmente dove vengono indossate con scarponcini pesanti allacciati. A Nuoro, nei primi anni del Novecento, le calze erano realizzate con filo di cotone nero o marrone. A Busachi l’abbigliamento quotidiano dello stesso periodo poteva essere completa- to da calze in filo di lino blu e nero. Le fonti iconografi- che dei primi decenni dell’Ottocento mostrano una pre- valenza di calze chiare indossate con scarpe piuttosto scollate, il che potrebbe anche essere frutto di una rap- presentazione di maniera. La tav. 98 del Tiole mostra una improbabile mungitrice di Bono, in abito chiaramen- te festivo, con indosso calze di colore rosso e azzurro. Lo stesso si osserva alla tav. 55 dove, di spalle, pare es- sere raffigurata una donna dello stesso paese. Sempre nel Tiole si osservano calze di colore rosso (Baunei) mentre le donne di Belvì, alla tav. 84, e quella di Aritzo, alla tav. 85, indossano, sopra le calze bianche, delle pez- zuole o delle sopracalze colorate ricadenti sulle caviglie. L’uso di uose o sopracalze è attestato unicamente dalle fonti iconografiche dato che nessun reperto è giunto fi- no a noi. Nelle tavole della Raccolta Cominotti e della Collezione Luzzietti e in quelle del Dalsani oltre alle cal- ze chiare sono presenti sopracalze colorate per la verità molto simili a uose. Valery scrive, a proposito delle don- ne di Aritzo, che le più eleganti d’inverno portano le calze di lana rossa, le altre si accontentano di un pezzo di lana dello stesso colore, attaccata sotto il polpaccio che svolazza e spicca da lontano.70 329. Camicia da notte, Capoterra, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 330-332. Mutande, Capoterra, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 221

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333 334 335 333. N.B. Tiole, Paysans du village de Belvì, 1819-24, acquerello su carta. 334. Anonimo, Donne d’Ozieri, inizio sec. XIX, acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. 335. N.B. Tiole, Femme du village de Desulo, 1819-24, acquerello su carta. 336. Calze, mìzas, Sorgono, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 337. Calze, calzìttas, Quartu S. Elena, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 338. Scarpa, iscarpìna, Osilo, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 339. Stivaletto, buttìnu, Quartu S. Elena, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 340. Zoccolo, zócculu, càppu, Iglesias, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 341. Scarpa, iscarpìtta, Iglesias, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 342. Stivaletto, buttìnu, Sorgono, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 343. Scarpa, crapìtta, Sinnai, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 344. Scarpa, iscàrpa, Mamoiada, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 345. Scarpa, crapìtta, Pula, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 346. Scarpa, crapìtta, Sinnai, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 347. Scarpa, is’àrpa, Oliena, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 336 337 222

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CALZATURE P er le ragioni esposte anche le calzature antiche sono poco presenti nelle collezioni pubbliche e private con l’eccezione del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma dove si conserva una serie di calzature a corredo di quasi tutti gli abiti sardi presenti nelle sue raccolte. Scarpe basse, legger- mente appuntite, scollate e in qualche caso guarnite di fibbie d’argento, sono le più raffigurate nel primo Ottocento anche se non mancano i modelli più pesanti e accollati. Spesso sembra trattarsi di riproduzioni derivate da un’osservazione affrettata e perciò un po’ semplificate e poco dettagliate. A partire dalla metà dell’Ottocento le raffigurazioni, le immagini fotografiche e le raccolte pubbliche e private descrivono una notevole varietà di calzature femminili. Ciabatte e pantofole (cattòlas) in pelle e tessuto sono in genere ignorate perché destinate ad un uso familiare. Gli zoccoli con suola in legno, tacco basso e tomaia in tes- suto a fascia chiusa o aperta in punta sono invece piuttosto importanti negli insiemi giornalieri di molte località specialmente della Sardegna meridionale dove il loro uso è continuato fino alla metà del Nove- cento. Le scarpe (iscarpìnas, iscàrpas) festive sono in qualche caso realizzate con tessuti broccati che ri- mandano ad uno stile settecentesco, soprattutto in area campidanese e nell’Iglesiente. Sono piuttosto diffu- se anche semplici decolleté con tacco basso e tomaia in pelle martellata o vernice, di colore nero, con sottili profili laterali in pelle rossa. Sono assai frequenti anche scarpe allacciate guarnite di fiocchi, coc- carde o fibbie d’argento ed anche stivaletti in rasatello di cotone nero ricamato con elastici inseriti ai lati e con tacco basso. Altre calzature a tacco medio, con tomaia scollata e lacci, decorate di fiocchi o coccar- de in tinta contrastante o in nero per le vedove o con cinturino abbottonato di lato, sono diffuse in tutta la Sardegna nel primo decennio del Novecento insieme ad esemplari con tomaia a linguetta liscia o arric- ciata, talvolta anche impunturata con fili di seta in tinta contrastante e impreziosita da grandi coccarde di nastro variopinto. Piuttosto diffusi sono, nello stesso periodo, gli stivaletti in pelle o vernice forniti di banda elastica ai lati, con curioso tacco medio alto molto sagomato e rientrante nella parte posteriore. Tutti i tipi descritti hanno suola in cuoio liscio. Estremamente interessante è poi la gamma degli scarpon- cini e stivaletti allacciati (iscarponèddos, bòttes, bottìnos), in pelle scamosciata di colore naturale o in pelle liscia o martellata di colore nero, tutti caratterizzati dalla suola di cuoio imbullettata. La forma è spesso molto sfilata con punta rialzata verso l’alto, il tacco è medio, molto sagomato e rientrante. Le bullet- te metalliche hanno ampia capocchia scanalata a raggiera con convessità più o meno accentuata e sono battute con molta precisione seguendo la linea della suola. Manufatti realizzati da artigiani locali specia- lizzati, dopo il 1920 questi tipi di calzatura su misura iniziano ad essere soppiantati dai modelli pronti, preferiti soprattutto per completare gli insiemi da sposa e di gala mentre resistono ancora, specie nelle aree montane, calzature più ro- buste, soprattutto scarponcini o stivaletti allacciati e abbottonati, in qualche caso anche chiodati, da indossare quotidianamente. 338 223

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348 349 ACCESSORI DELL’ABBIGLIAMENTO U na parte dei manufatti compresi nella gioielle- co. Spille e spilloni sono piuttosto comuni nel vestia- ria tradizionale è costituita da accessori del- rio tradizionale dopo la fine dell’Ottocento; in prece- l’abbigliamento che hanno acquisito, nel tempo, una denza il loro uso è abbastanza limitato se si conside- grande valenza simbolica e ornamentale. ra la sola funzione di accessorio e si esclude quella Si escludono da questa trattazione, volutamente ornamentale. Gli spilloni e le spille usati per appun- semplificata, tutti gli ornamenti della persona senza tare altri tipi di copricapo sul fazzoletto o la cuffia, alcuna finalità pratica legata all’abito.71 I bottoni quali le bende e gli scialli, sono poco documentati gemelli (buttònes) in lamina e filigrana d’argento o dall’iconografia più antica, evidentemente così poco d’oro, da usare con le camicie, sono diffusi in tutta significativi da passare inosservati. In alcuni centri l’isola come anche quelli, dotati di catenelle o bar- dell’interno la benda viene fissata da spilloni d’oro o rette di sospensione (buttònes, buttonèras), utilizza- d’argento con capocchia a forma di martello o con ti per chiudere l’apertura delle maniche di giubbetti semplici spille d’oro a barretta; in altri luoghi, dopo il e boleri. Bottoni analoghi chiudono e ornano la par- 1920, nuovi tipi di spilla, quelli a losanga in lamina te anteriore di particolari tipi di giubbetto in uso tra la fine del XVIII e i primi decenni del XIX secolo, dei quali si hanno poche attestazioni iconografiche e ra- rissimi reperti.72 Ganci, fermagli e catene, in lamina e filigrana d’ar- gento (gancèras, cancèras, càncios de frénu) con in- serimento di pietre e vetri policromi, sono poi utiliz- zati per chiudere la parte anteriore di giubbetti e giacchini o per allacciare copricapo e grembiuli. Ti- pologicamente affini ai precedenti, ma molto più ra- ri, sono i portachiavi con più serie di catenelle com- plete di piccolo gancio fissati alla cintura mediante l’apposita linguetta e lasciati ricadere lungo un fian- co. Sono evidentemente riservati alle ricche padrone di casa che, anche con il possesso delle chiavi, osten- tano la loro posizione di potere nell’ambito domesti- 350 351 226

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352 353 d’oro, vengono appuntati sulle bende più a scopo de- mato. Simili a questi ultimi sono i fazzoletti corativo che funzionale. Dopo la seconda metà del- da mano realizzati con finissime tele di lino l’Ottocento si diffonde anche la grande spilla d’oro a o cotone che vengono decorati e cifrati con fiore utilizzata per fissare scialli e veli. Le spille da ca- le tecniche del ricamo in bianco, già descrit- micia, funzionali e non semplicemente ornamentali, te per le camicie; altri esemplari di fazzoletti sono assai rare e di evidente gusto Liberty. A Carlofor- da mano sono in tela stampata a vivaci co- te lo scialletto da spalla viene appuntato sul petto con lori e recano spesso le cifre trapuntate su una spilla impreziosita da corallo. Accessori dell’abbigliamento poco rappresentati ma un angolo. In entrambi i casi si tengono assai usati, sono le tasche staccate (buzzàccas, bu- vezzosamente in mano per un angolo la- sciàccas, bucciàccas) da indossare sotto le gonne, in sciandoli ricadere aperti per mostrarne la corrispondenza delle apposite aperture, o sotto il bellezza; il loro uso è testimoniato in tutta grembiule, fissate in vita con un laccio. Sono diffuse l’isola tra l’Ottocento e il Novecento e evi- in tutta l’isola ed hanno forma rettangolare o trape- dentemente costituiscono un raffinato ac- zoidale, dotate di una fessura longitudinale suffi- cessorio, nella funzione, simile al venta- cientemente ampia per introdurre agevolmente la glio, oggetto meno comune dei fazzoletti mano. Gli esemplari più comuni sono confezionati da mano ma anch’esso presente nell’ico- in pesante tessuto di cotone nelle più diverse fantasie; nografia d’epoca.73 quelli da abbinare a indumenti festivi sono realizzati con tessuti più pregiati e talvolta presentano ricami e 348. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Ragazza di Turri, 1878, bordure in passamaneria. Poco comuni sono invece i litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”, borsellini di tessuto ricamato chiaramente ispirati ai in Il Buonumore, Cagliari 1878; Cagliari, coll. Piloni. modelli in voga tra la fine dell’Ottocento e i primi del 349. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di San Vito, 1878, Novecento e quelli in pelle. Le borsette, esclusivamente litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”, del tipo a busta, sono usate assai raramente, specie in Il Buonumore, Cagliari 1878; Cagliari, coll. Piloni. nelle piccole città, e compaiono negli insiemi tradi- 350-351. Fazzoletti, muncadòres, Sinnai, inizio sec. XX zionali di gala indossati dalle ricche signore dopo il Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 1920. I fazzoletti da naso d’uso comune sono piutto- 352. Tasca, busciàcca, Settimo S. Pietro, prima metà sec. XX sto rari e si trovano in congruo numero soltanto nei Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. ricchi corredi, mentre si conservano più numerosi 353. Tasca, busciàcca, Sinnai, inizio sec. XX quelli d’uso festivo, in sottile tela di lino o cotone rica- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 227

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L’abbigliamento maschile 354

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COPRICAPO E ACCONCIATURE A ndare a capo coperto non è prerogativa soltanto femminile. Tutta l’iconografia conferma la consue- tudine degli uomini sardi di coprirsi accuratamente la testa, anche con più copricapo sovrapposti e, ancora nel 1932, Elio Vittorini può osservare, nel corso di una visita a Nuoro, che «certi uomini, con que- gli occhi da lupo e quella barba, si sono avvolta una sciarpa intorno al capo prima di calzare la berretta fenicia. Come avessero il mal di denti. O come sentissero uno strano bisogno di tenere la testa al caldo, chiusa ed oscura, in una fisica intimità».74 Lo studio comparato dell’iconografia, delle fonti e dei materia- li d’epoca, esaminati in un arco di tempo che va dalla seconda metà del Settecento alla prima metà del Novecento, insieme ai dati preziosi derivati dalle fonti orali, mostra una straordinaria varietà di tipi di copricapo, un succedersi di vere e proprie mode che vedono l’alterna utilizzazione dei modelli che di se- guito si descrivono, usati in occasioni festive e giornaliere, con le normali differenze di maggior pregio per quelle festive. Dopo la seconda metà dell’Ottocento la condizione di lutto vedovile impone anche per gli uomini il colore nero negli abiti e dunque anche nei copricapo; diversamente da quanto avviene per le donne non è dato di conoscere quali varianti cromatiche siano previste per la condizione di mezzo lutto e lutto leggero, probabilmente simili a quelle cupe e sobrie indossate anche dagli anziani. Le acconciature dei capelli descritte dalle fonti iconografiche per il primo Ottocento trovano conferma nelle fonti orali che testimoniano attardamenti di fogge e fedeltà alle acconciature tradizionali protratte fino alla fine dell’Ottocento. Dopo questa data, con una progressione sempre più rapida, si passa al taglio di capelli medio o corto che i copricapo finiscono per nascondere completamente. I capelli lunghi possono essere la- sciati sciolti sulle spalle con una o più treccine ai lati delle tempie come è esemplificato magnificamente dal- la figura n. 7 della tavola III, Vestimenti Sardi in Serie, disegnata da Cominotti per La Marmora.75 Fonti ora- li riferiscono che questa acconciatura è ancora usata a Nuoro alla fine dell’Ottocento da un vecchio possidente che usava rifarsi ogni mattina due trecce ai lati delle tempie. L’intera massa dei capelli può anche essere raccolta in una o due trecce: «Gli uomini di Quartu intrecciano i lunghi i capelli in due code, cui escono all’estremità due nastri di seta nera che s’annodano insieme; e questi con tutta la treccia raccolgono a sommo del capo sotto la berretta. Quelli di Pirri invece fanno le due trecce per egual modo, ma invece di coprirle le aggirano sopra il berretto, cingendolo a guisa di guernimento, e se le annodano sulla fronte».76 La treccia unica, avvolta a spirale intorno al copricapo, è raffigurata nella gran parte delle immagini risa- lenti ai primi decenni dell’Ottocento e si direbbe diffusa uniformemente da Nord a Sud.77 I capelli lunghi raccolti a treccia o a coda possono infine essere nascosti dentro vari tipi di cuffie che di seguito si descrivono. 355 230

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Cuffie dossata sotto il cappello a tesa specie negli insiemi festi- Le cuffie a sacco (còffia, iscòffia, toccàu), diffuse in tutta vi. Per un uso giornaliero, o sotto il fazzoletto, è anche l’isola, sono formate da un rettangolo di tessuto o ma- documentata la variante in tessuto.78 È una foggia evi- glia chiuso sul lato lungo ed arricciato ad una estremità dentemente in gran voga tra la fine del Settecento e la sulla quale viene talvolta appuntato un fiocco o una prima metà dell’Ottocento, vista la frequenza nell’icono- nappina. Il lato che rimane aperto, bordato con un na- grafia dell’epoca. Dopo la seconda metà dell’Ottocento stro sottile di tessuto di seta o cotone, viene calzato al- appare sempre meno documentata in favore della ber- l’altezza della fronte e il nastrino legato sulla sommità retta a sacco. Le cuffie modellate, simili nel taglio a del capo a formare un piccolo fiocco. Le cuffie sono in quelle femminili e infantili, sono riservate ad un uso genere confezionate lavorando ai ferri o a uncinetto fila- giornaliero in un ambito prettamente familiare e per ti di lana, lino o cotone; l’effetto è di fatto quello di una questa ragione sono per lo più riservate ad ammalati e reticella più o meno ampia (nero, verde e azzurro sem- anziani, anche nella variante da notte.79 brano essere i colori più usati) che raccoglie la capiglia- tura. Questo tipo di cuffia pare essere generalmente in- Berrette a sacco Quando si parla di questi copricapo il pensiero va a 356 357 quello sardo per antonomasia, la berretta a sacco (ber- rìtta, barrìtta), sopravvissuta a lungo anche in insiemi tradizionali per il resto fortemente contaminati dalla mo- da ottocentesca. Diffuso in tutta l’isola e comune a tutta l’area mediterranea, viene genericamente descritto di forma allungata, lungo circa cm 50, confezionato in or- bace, panno o maglia di lana nei colori nero, rosso o marrone, raramente di altri colori. La diffusione in una così vasta area e la durata di tale modello presuppongo- no la presenza di importanti centri di produzione dislo- cati in ambiti nazionali diversi, seguendo anche l’alter- narsi delle spartizioni territoriali che, nei vari periodi storici, avvantaggiano ora l’uno ora l’altro centro produt- tivo. In Sardegna si ha segnalazione di manifatture locali soltanto a partire dal XIX secolo, ma non è escluso che un qualche tipo di produzione, anche su scala ridotta, fosse già presente in precedenza.80 L’iconografia del primo Ottocento testimonia la diffusio- ne, in tutta l’isola, di berrette in diversi colori soprattutto nelle aree più esposte ai commerci e all’influenza citta- dina, mentre il nero gode maggior favore nel Nuorese e nelle Barbagie. Nella seconda metà dell’Ottocento le berrette di colore rosso divengono più rare e tale ten- denza continua fino ai momenti finali della sua utilizza- zione, nella prima metà del Novecento, con la sola ec- cezione dell’area campidanese.81 Data la mancanza di reperti del primo Ottocento non si può dire se questi ca- pi siano confezionati come quelli più tardi. La berretta “classica” di fine Ottocento è infatti a forma di tubo, lun- ga circa cm 120, chiusa alle estremità stondate; essa viene 354. Abito maschile festivo e di gala, Samugheo, 1930 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 355. Giuseppe Cominotti, Un jour de fête aux environs de Quartu, 1825, litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora. 356. Alessio Pittaluga, Marchand d’oranges de Millis (venditore d’aranci di Millis), 1828 ca., litografia a colori, Cagliari, coll. Piloni. 357. Anonimo, Uomo di Iglesias, inizio sec. XIX, acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. 358. Anonimo, Uomini campidanesi, inizio sec. XIX, acquerello 358 su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. 231

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364 365 366 367 359. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume maschile di Fonni, 1878, indossata infilandone una metà dentro l’altra, ottenendo litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”, in Il Buonumore, così un “sacco” lungo circa cm 60, il cui diametro varia Cagliari 1878. in relazione alla circonferenza del cranio. Tra i numerosi esemplari esaminati nessuno è risultato essere fatto di or- 360. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Desulo, 1878, bace ed eccezionale è anche l’utilizzo del panno di lana. litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”, La maggior parte delle berrette, quale che sia il colore, in Il Buonumore, Cagliari 1878. sono realizzate in filato di lana lavorato meccanicamen- te a maglia tubolare; il “tessuto” viene poi chiuso alle 361. Costumes de Tresnuraghes, 1850-63, litografia a colori estremità, infeltrito in bagni di acqua calda e infine fol- dal Journal Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni. lato e/o cardato sulla superficie esterna, così trattato so- miglia effettivamente ad un panno di lana morbido, il 362. Berretta a sacco, berrìtta, Dorgali, primo decennio sec. XX che può aver generato qualche confusione. La maglia Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. di lana e il fatto che la circonferenza attorno al capo non presenti cuciture né piegature rendono l’indumen- 363. Berretta a sacco, berrìtta, Cagliari, fine sec. XIX to particolarmente confortevole ed adattabile, così da Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. ipotizzarne una produzione su larga scala in due o tre misure in grado di soddisfare tutte le richieste. Ad un 364. Ovodda, 1903 ca., foto d’epoca. esame attento, i pochi capi d’epoca che non presentano il doppio tubolare risultano essere stati tagliati a metà 365. Sennori, 1903 ca., foto d’epoca. per eliminare la parte della circonferenza eventualmente logorata e poterne così continuare l’utilizzo, realizzando 366. Oliena, fine sec. XIX-inizio XX, foto d’epoca. un semplice orlo. Il modo di far ricadere la berretta sul- la spalla o di disporla sul capo non è mai casuale ma 367. Gavoi, fine sec. XIX-inizio XX, foto d’epoca. risponde a fogge tipiche delle varie località anche lega- te all’esercizio di particolari mestieri. Gli studenti resi- denti a Cagliari la portano nera, rovesciata all’indietro.82 233

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368 369 370 I rigattieri la indossano nera ripiegata in avanti o di la- to.83 Sopra la berretta può essere sovrapposto un fazzo- letto variopinto annodato sotto il mento. Fazzoletti co- lorati possono anche cingere la circonferenza della berrìtta. La berretta rossa, particolarmente gradita alla categoria dei macellai cagliaritani, si porta spesso ripie- gata in due o più cerchi concentrici sulla sommità del capo oppure adattata con un’alta piega esterna attorno alla quale viene avvolta la treccia di capelli, in tal caso viene detta a cécciu.84 368. Anonimo, Macellari di Cagliari, inizio sec. XIX, acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. 369. N.B. Tiole, Paysan de la ville de Sassari, 1819, acquerello su cartoncino, Cagliari, coll. Piloni. 370. Luciano Baldassarre, Pescatore di Cagliari, 1841 (in campo firma: Pedrone), litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni. 371. Sennori, inizio sec. XX, foto d’epoca. 372. Sassari, 1898 ca., foto d’epoca. 373. Luciano Baldassarre, Beccajo di Cagliari, 1841 (in campo firma: Pedrone), litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni. 374. Luciano Baldassarre, Costume d’Iglesias, 1841 (in campo firma: Pedrone), litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni. 375. Boucher de Cagliari, 1850-63, litografia a colori dal Journal Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni. 371 372 234

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373 374 375 Come quelle rosse anche le berrette nere sono portate troncoconica che troncocilindrica, quest’ultima spesso molto spesso ripiegate in tal modo che non è davvero confusa con una varietà di berretta a sacco. La variante possibile capire quale sia la vera lunghezza né delle rossa è usata in alternativa alla berretta a sacco ed è dif- une né delle altre.85 ficile trovare oggi una giustificazione per l’una o l’altra Forse una variante di queste berrette è quella a punta scelta. A Cagliari i rigattieri e i conducenti di carri le guarnita di nappina, descritta nella Collezione Luzzietti usano entrambe, e così pure i pescatori, anche se tutto alla tav. 47, Tempiesi, accompagnata dalla consueta ac- l’insieme degli indumenti fa propendere per una condi- conciatura a treccia rialzata. Alla fine della seconda metà zione più agiata di quanti indossano il fez.86 La variante dell’Ottocento le fogge schiacciate sembrano dimentica- in nero, in panno o orbace, è sopravvissuta nell’abbi- te mentre rimangono in vigore quelle ripiegate in avanti gliamento di Sanluri, ma non è escluso che anche in e poi indietro, oppure ricadenti su un lato o all’indietro. questo caso le berrette più antiche fossero analoghe a In questo periodo, come già detto, la lunghezza è mag- quella descritta e che l’alto costo o una qualche interru- giore che negli anni precedenti e il colore nero rimane zione del commercio abbia indotto alla sua riproduzio- in vigore fino alla scomparsa di tale copricapo che con- ne in panno o orbace. tinuerà a lungo ad essere indossato anche in insiemi ve- I berretti a tamburello, cioè di forma troncocilindrica stimentari tradizionali, sostanzialmente modificati, ad bassa, sono conosciuti con il nome di ciccìa, zizzìa, esempio, dall’introduzione dei pantaloni a tubo. giggìa.87 Di fatto nelle collezioni pubbliche e private so- no presenti solo le varianti infantili di fine Ottocento che Fez e berretti a tamburello saranno descritte nell’apposita sezione. La ricerca sul Entrambi sono copricapo rigidi, i primi ben raffigurati campo ha finora accertato la diffusione dello stesso co- almeno nell’iconografia del primo Ottocento, i secondi pricapo per adulti nel Nuorese, nelle Barbagie, nelle Ba- poco o nulla presenti probabilmente perché usati, in ronie, in Sarcidano e Trexenta. Ovunque viene descritto quel periodo, solo in ambito domestico. Il fez classico è come elemento comune ad uomini di varia condizione un copricapo rigido, piuttosto alto, di forma troncoconi- sociale, da utilizzare esclusivamente in ambito confiden- ca che nell’isola viene chiamato berrètta, o berriuòla; di ziale e domestico, dunque in tutte quelle situazioni per chiara influenza nordafricana o levantina, è diffuso in le quali non è prescritto l’uso della berrìtta. Il copricapo tutto il Mediterraneo. Nella Sardegna meridionale, area è realizzato in panno di lana, fustagno, velluto ed altri ti- di vasta diffusione, si predilige la variante in lana rossa, pi di tessuti di cotone, sempre di colore scuro, trapuntati ma è attestata anche quella di colore nero, sia di forma lungo la circonferenza per ottenere il profilo rigido della 235

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sagoma a tamburello. Le informazioni raccolte fanno ri- ferimento ad un periodo non anteriore agli ultimi de- cenni dell’Ottocento, ma non si può escludere che tale copricapo fosse diffuso anche in precedenza e che, nel- l’iconografia, sia stato convenzionalmente descritto co- me un fez o confuso con una berretta schiacciata.88 Come la berretta a sacco e il fez, infatti, anche il copri- capo a tamburello è diffuso in tutta l’area mediterranea; in Tunisia, dove vengono detti shishia, se ne produco- no ancora esemplari soprattutto di colore rosso e nero destinati al mercato nordafricano, realizzati in filato di lana di colore naturale, lavorato a maglia. Dopo la tin- tura, i manufatti vengono infeltriti e, a differenza delle berrette, battuti su sagome di legno per ottenere la for- ma desiderata e infine cardati a mano per raggiungere la classica finitura esterna che rende la loro superficie simile al panno.89 Fazzoletti 380 381 Diffuso soprattutto nel Cagliaritano e nell’Iglesiente, il fazzoletto maschile può essere definito un copricapo ac- cessorio della berrètta, sulla quale viene indossato pie- gato a triangolo e poi annodato sotto il mento,90 o av- volto attorno al capo lungo il bordo della stessa berretta. Gli esemplari esaminati, di datazione non anteriore alla fine dell’Ottocento, rientrano in questo secondo utilizzo. I fazzoletti maschili non differiscono affatto da quelli femminili dei quali mantengono anche la denominazio- ne. In entrambi i casi la forma è quadrata, da ripiegare lungo la diagonale, in tessuto di cotone o lana stampato in vivaci fantasie a minuti disegni geometrici spesso in- scritti in una o più cornici. Piegandolo più volte (muc- cadòri a s’antòcca) lo si può avvolgere attorno alla ber- retta come fosse un nastro, annodando le cocche sulla fronte o dietro la nuca.91 Sombreri e cappelli a tesa 382 383 Il sombrero, tipico copricapo spagnolo a tesa ampia, è piuttosto diffuso in ambito popolare nella Sardegna me- 376. Anonimo, Carratore di Cagliari, inizio sec. XIX, ridionale e nel Sassarese mentre sembra non sia mai pe- acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca netrato nell’area centrale dell’isola dove è conosciuto sol- Universitaria. tanto negli insiemi vestimentari dei “signori”; ovunque è denominato sombréri. Il periodo di maggiore diffusione 377. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di San Vito, 1878, sembra concludersi nella prima metà dell’Ottocento, per litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”, il quale abbiamo numerose immagini e notizie. Il som- in Il Buonumore, Cagliari 1878. brero, con o senza soggolo, viene calzato sopra una cuf- fia, in insiemi che denotano una condizione agiata o di 378. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume giornaliero di Pauli-Pirri, potere.92 È in feltro nero o di colore comunque scurissi- 1878, litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”, mo, guarnito con nastri rossi o gialli intorno alla calotta in Il Buonumore, Cagliari 1878. e con cordoni ricadenti oltre la tesa, ornati di nappine. È tipico dei comandanti di alcuni gruppi di miliziani a 379. Villamassargia, fine sec. XIX-inizio XX, foto d’epoca. cavallo, ed è anche il copricapo festivo e nuziale in tutta l’area dell’Iglesiente. Il La Marmora scrive: «D’estate, gli 380. Habitant de Campidane, 1850-63, litografia a colori abitanti della Sardegna meridionale, mettono sul berretto dal Journal Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni. un cappello di tela cerata, di cuoio, o anche di feltro; è un cappello basso a larghe falde che dà a quelli che lo 381. Alessio Pittaluga, Petit Baron ou Garde Nationale de Sassari portano un aspetto singolarissimo».93 L’Angius descrive (Baroncello, ossia Guardia Civica di Sassari), 1828 ca., litografia a colori, Cagliari, coll. Piloni. 382. N.B. Tiole, Paysan de Cabras, 1819-24, acquerello su carta. 383. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Proprietario di Milis, 1878, litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 237

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384 un cappello di foggia simile realizzato in paglia intreccia- ta usato dai contadini di Samassi.94 Del cappello a tesa in cuoio, detto montèra, non è rimasto alcun esemplare; le fonti informano della sua esistenza, ma senza darne de- scrizioni più precise.95 Nella seconda metà dell’Ottocento inizia la decadenza che si accompagna alla generale tra- sformazione del vestiario maschile così che, nella prima metà del Novecento il cappello è ancora usato a Teulada (cappéddu), con tesa di minori dimensioni e varianti an- che di colore chiaro, e, raramente, nel Cagliaritano. Nel Sassarese sopravvive negli insiemi cerimoniali indossati dai gremi96 e in quelli tradizionali con pantaloni a tubo.97 Berrette da notte Usate soprattutto in ambienti agiati non differiscono dal- le cuffie e dai camauri già descritti se non per l’uso di tessuti modesti di cotone. Così come per le cuffie da notte femminili il loro scarso valore economico ne ha determinato la totale dispersione; a tutt’oggi, infatti, nes- sun reperto d’epoca è stato da noi rinvenuto. 384. Teulada, anni Venti, foto d’epoca. 385 385. Teulada, anni Cinquanta, foto d’epoca. 238

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386 CAMICIE Al pari di quella femminile anche la camicia maschile è nata come indumento intimo, trasformandosi poi in in- dumento esterno chiamato con l’antico termine ghentò- ne, bentòne o ’entòne oppure con quello più moderno camìsa, cammìsa ed altre varianti simili. I capi destinati all’uso giornaliero sono realizzati con tele piuttosto resi- stenti di cotone, di produzione industriale, o di lino tes- suto in casa; per i capi festivi e di gala sono impiegate invece tele di maggior pregio. Per l’uso giornaliero gli ornati sono molto semplici mentre per quello festivo sono presenti ricami ricercati e preziosi sempre più ap- pariscenti a partire dai primi anni del Novecento; in tut- ti i casi l’ornamentazione riguarda il collo, i polsi e le parti di tessuto arricciate in corrispondenza dell’attacca- tura della spalla.98 I capi esaminati sono per lo più festi- vi, più rari quelli d’uso giornaliero, ma la differente uti- lizzazione non comporta alcuna variante di modello, solo, come si è detto, un diverso pregio del tessuto e dell’ornamentazione. La semplicità della struttura di questi indumenti li rende facilmente adattabili a diverse corporature, le dimensioni sono pertanto piuttosto uniformi; l’ampiezza e la lunghezza delle maniche va- riano in relazione all’uso dei capi che si sovrappongo- no direttamente alla camicia. Esistono essenzialmente due tipi di camicia maschile, uno più arcaico, l’altro più evoluto, entrambi molto semplici dal punto di vista sar- toriale perché costituiti dall’unione di parti di tessuto di forma rettangolare, proporzionati alla taglia del commit- tente, uniti a formare busto e maniche; a questi si ag- giungono i polsi, il colletto ed eventuali pettorine che sono preparati a parte e poi applicati successivamente. La camicia che mostra caratteri di maggiore arcaicità ha grande ampiezza ed ha completa apertura lon- gitudinale anteriore. Il colletto e i polsi sono bassi, diritti, con occhielli trasversali che con- sentono l’inserimento dei bottoni gemelli d’argento, d’oro o di filo. I ricami a moti- vi geometrici sulla tela arricciata e sul colletto sono realizzati con filati in bianco o a colori. Questo modello di tipo arcaico è ancora diffuso nei primi decenni del Novecento in 386-387. Camicia festiva, camìsa, Pula, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 387

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388. Camicia festiva, camìsa, Atzara, prima metà sec. XX 390 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 391 389-390. Camicia, camìsa, Orosei, inizio sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 241 391. Camicia festiva, camìsa, Samugheo, 1930 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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buona parte della Sardegna centrale ed è straordinaria- di insiemi festivi o propri della classe agiata residente mente simile agli esemplari in uso in Italia tra la secon- nel Cagliaritano e nel Sassarese. Tra la fine dell’Ottocen- da metà del XV e la prima metà del XVI secolo, sia per to e il primo dopoguerra, nei centri in cui si utilizza an- la struttura sia per i ricami a colori o in bianco, realiz- cora l’insieme tradizionale, le camicie, come gli altri ca- zati in corrispondenza del collo e dei polsi.99 pi, vengono arricchite di ricami e guarnite di pizzi ad La camicia più moderna è influenzata dai modelli otto- uncinetto del tutto sconosciuti per tutto l’Ottocento, centeschi e presenta apertura anteriore completa o par- vengono inoltre notevolmente dilatate le parti sulle qua- ziale e dimensioni più contenute pur mantenendo nella li il ricamo può essere applicato, cioè il collo, i polsi e sostanza la struttura descritta. La parte anteriore può in qualche caso le pettorine. presentare una pettorina allungata, completamente rica- mata negli esemplari festivi, o nervature verticali paral- 392. N.B. Tiole, Tempiese, 1819, acquerello su cartoncino, lele ai lati dell’abbottonatura, che in questo caso è del Cagliari, coll. Piloni. tipo moderno, con bottoncini in madreperla e occhielli. I colletti diritti sono in genere piuttosto alti. Vengono 393. Anonimo, Majoli, inizio sec. XIX, acquerello su carta, spesso montati anche colletti ripiegati a punte diritte o Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. arrotondate. La varietà delle rifiniture è assai notevole, specie negli esemplari festivi che sono, di consueto, 394. Anonimo, Isolano di Carloforte, inizio sec. XIX, quelli più conservati. L’iconografia del primo Ottocento acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca mostra camicie maschili con colli così alti da essere Universitaria. chiusi da due coppie di bottoni gemelli, specie nel caso 395. Corpetto festivo, còsso, Samugheo, 1930 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. FAZZOLETTI DA COLLO D el tutto identici a quelli da testa sono i fazzoletti da collo, che vengono indossati soprattut- to in area campidanese dove rimangono comunque relegati ad un ruolo accessorio di se- condo piano.100 I numerosi esempi riportati dalle fonti iconografiche testimoniano d’altra parte un’ampia diffusione di questi elementi già dall’inizio dell’Ottocento. 392 393 394 242

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CORPETTI E GILET I due termini distinguono i gruppi che rac- colgono le più importanti tipologie di indu- menti smanicati dell’abbigliamento maschile. Corpetti e gilet sono presenti negli insiemi ve- stimentari di tutta l’isola e vengono indossati direttamente sulla camicia, sovrapponendo ad essi giacche, giacconi o cappotti corti. Le cuciture e le rifiniture sono realizzate più fre- quentemente a mano che a macchina. Per le occasioni di lutto, e comunque per le persone anziane e le attività lavorative, i tessuti sono di colore e qualità più modesti. Corpetti Nel gruppo dei corpetti (còsso, cossètte, corpètte, groppètte, corìttu, ’oroppàdu, solopàu, soropàtu, zustìllu) vengono compresi i capi ad ab- bottonatura anteriore a petto semplice o doppio, privi di colletti o ri- svolti, che mostrano uno sti- le “tradizionale” molto 395

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397 398 396 396. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Tertenia, 1878, 399 litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”, 244 in Il Buonumore, Cagliari 1878. 397. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Benestante di Ozieri, 1878, litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 398. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Bitti, 1878, litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 399. Corpetto festivo, còsso, Atzara, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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esclusivamente ornamentale. Per il lutto vedovile tutti i tessuti e i filati impiegati per la confezione sono di colo- re nero. I corpetti confezionati in panno sono in genere sfoderati, quelli in velluto sono foderati con pesanti tele di cotone o di lino sia color crudo sia in colori fantasia. Talvolta la parte inferiore dell’indumento, che deve es- sere indossata dentro i calzoni a gonnellino, e quella posteriore, nascosta dal capospalla, sono realizzate con tessuti fantasia, rigati o a quadri, anche a colori vivaci. Le rifiniture sono sempre realizzate con grande cura, specie nell’applicazione dei nastri di seta usati per le bordure sottolineate frequentemente da linee di ricamo. Raramente i corpetti sono capi utilizzabili a doppio dirit- to dato che sono per lo più destinati ad essere indossati sotto altri capispalla. Riguardo al fatto che il corpetto de- ve essere indossato preferibilmente sotto altri indumenti quali giacche, cappotti ecc., si osserva che il nome solo- pattu, soropattu e soropau, usato a Bitti, Orune, Lula, Orgosolo, sembra derivare dallo spagnolo solopado che significa nascosto.101 400 preciso, sia per la foggia, che può derivare da modelli cinquecenteschi, che per le ornamentazioni del tutto coe- renti con lo stile vestimentario proprio della località di appartenenza, riconoscibile anche nell’abbigliamento femminile e infantile. Il tessuto più usato per la loro confezione è il panno di lana in varie tonalità di rosso e di azzurro; il velluto, in tinte piuttosto scure, viene usato sia da solo sia in combinazio- ne con il panno, creando particolari effetti cro- matici. In molti esemplari festivi, specie del pri- mo Novecento, si osservano estese applicazioni di velluto operato a motivi floreali in due o tre tonalità di colore. La parte anteriore presenta in qualche caso asole ricamate con fili di seta a viva- ci colori, in coppia con altrettanti occhielli rotondi attraverso i quali vengono sospesi i bottoni in fili- grana o lamina d’argento, a scopo funzionale o 400. Corpetto festivo, imbùstu, Dorgali, fine sec. XIX 401 Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 401. Gilet, corpéttu, Pula, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 402. Gilet, corpéttu, Sinnai, primo decennio sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 246

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403. Gilet giornaliero, grompètte, Orgosolo, seconda metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 404. Gilet festivo, farséttu, Cagliari, seconda metà sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 404 Gilet al colore del tessuto di fondo. Su capi con abbottonatu- Il gruppo dei gilet comprende i modelli derivati da ra centrale il ricamo viene realizzato simmetricamente quelli in voga nella moda maschile a partire dal secolo sulle due parti anteriori e sui risvolti bassi e arrotondati. XVIII, abbottonati a petto semplice o doppio, con ri- I bottoni sono rivestiti in tessuto o sono realizzati in la- svolti. Essi mantengono quasi tutti le denominazioni mina e filigrana d’argento; frequente è anche l’utilizza- usate per i corpetti, probabile testimonianza del fatto zione di monete antiche opportunamente dotate di ap- che possono avere sostituito modelli più antichi conser- piccagnolo ad anella o a catenella. La parte posteriore vandone comunque il nome. I tessuti impiegati sono i dei gilet è quasi sempre realizzata con tessuti di tipolo- più disparati: velluti di cotone o seta sia in tinta unita gia e colore diverso rispetto alla parte anteriore; per ot- che operati a motivi floreali, lampassi broccati a motivi tenere una maggiore aderenza può anche essere appli- floreali policromi, damaschi rigati o a motivi floreali, cata una piccola martingala regolabile in corrispondenza pekin, taffettà operati, e tutta la gamma dei tessuti di co- del punto vita. I gilet di questo tipo possono anche es- tone sia monocromi che fantasia da usare in combina- sere confezionati con pesante panno o orbace di lana di zione con insiemi giornalieri e festivi.102 Alcuni gilet fe- colore nero e mostrano un taglio del tutto uguale ai mo- stivi sono ricamati secondo il gusto della prima metà delli “continentali”. dell’Ottocento con fili di seta in tonalità sobrie abbinate 249

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GIUBBETTI E GIACCHETTE I capispalla maschili, al contrario di quelli femminili, presentano modelli dalle più disparate lunghezze e tipologie. I giubbetti e le giacchette, di seguito descritti, sono indumenti struttura- ti, di linea geometrica o sagomata, la cui lunghezza non oltrepassa la linea dei fianchi. Per il pe- riodo compreso tra la seconda metà del XIX e la prima metà del XX secolo le fonti iconografiche e le informazioni raccolte sul campo concordano nell’assegnare a questo tipo di indumento una funzione intermedia tra l’uso domestico e quello esterno. Solo in ambito familiare e nel corso di attività lavorative, vengono indossati da soli; al di là di queste occasioni, quanti possono permet- terselo sovrappongono a giubbetti e giacchette altri tipi di capispalla di diversa lunghezza, con o senza maniche. 405. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Contadino di Nuoro, 1878, litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 406. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Oliena, 1878, litografia a colori, in “Galleria di costumi sardi”, in Il Buonumore, Cagliari 1878. 407. Oliena, inizio sec. XX, foto d’epoca. 408. Giubbetto giornaliero, zippòne, Tonara, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 405 406 407 250

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Giubbetti hanno struttura geometrica e presentano maniche lunghe Per un lungo arco di tempo, tra l’Ottocento e i primi anni aperte dall’ascella all’avambraccio o con spacchi più pic- del Novecento, tutta l’iconografia mostra un gusto cro- coli dai quali fuoriescono comunque le maniche delle matico comune che caratterizza i giubbetti maschili del- camicie. In altri casi le maniche sono chiuse, ma il taglio l’isola. La gamma dei rossi e dei blu del panno, dell’or- è sempre di tipo arcaico senza sagomature allo scalfo. bace e del velluto viene proposta in una miriade di La lunghezza arriva, di norma, alla vita; alcuni modelli varianti che distingue, come una divisa, località di prove- vengono indossati ben chiusi, anche a doppio petto, in- nienza o attività professionali. Il colore nero è quello filati dentro i calzoni a gonnellino, altri vengono lasciati proprio del lutto vedovile. Come i giubbetti femminili, ricadere sopra quest’ultimo indumento, con le falde par- anche gli omonimi maschili sembrano derivare da fogge zialmente aperte, anche se le parti anteriori sono tagliate del Cinquecento e del Seicento. I giubbetti più arcaici per poter essere chiuse all’occorrenza. 408

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Questo modo di indossare il giubbetto, più adatto ad zioni anteriori alla fine dell’Ottocento, sono confezionati un uso domestico e quotidiano, almeno nel primo Otto- in panno rosso, il cui uso, assai comune anche in periodi cento, diventa comune anche nell’uso festivo e di gala precedenti, diviene generalizzato, sostituendo prima ne- in molti paesi della Sardegna centrale dove l’abito tradi- gli esemplari festivi e poi anche in quelli giornalieri l’or- zionale continua ad essere indossato fino ai primi de- bace rosso (Fonni, Tonara). Allo stesso tempo gli esem- cenni del Novecento. I giubbetti vengono indossati so- plari festivi si arricchiscono di ricami ed pra la camicia, raramente sopra un corpetto o un gilet e applicazioni estesi a larghe parti del- di norma viene sovrapposto ad essi almeno un altro ca- l’indumento, bordato con pospalla con o senza maniche, in molti casi anche altri due o tre, come ampiamente documentato dall’iconogra- fia antica prima e dalle fonti fotografiche poi. Gran parte dei capi esaminati, che non hanno data- 409-410. Giubbetto festivo, gippòne, 409 Oliena, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 252

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411. Giubbetto festivo, corìttu, gippòni, Cagliari, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 412. Giubbetto e corpetto, zippòne tancàu e soropàu, Orgosolo, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 413. Giubbetto, zippòne, nell’abito festivo, Nuoro, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 414. Giubbetto, zippòne a mànicas apèrtas, nell’abito festivo, Orgosolo, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 412

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nastri in seta in sostituzione del più modesto soutache di ghese. Sono confezionati in panno di lana rosso o vellu- lana. In alcune località sui giubbetti sono presenti, an- to di cotone sui quali vengono applicati, a scopo orna- che se in forma minore, i pattern decorativi propri di mentale, tessuti di grande pregio quali lampassi o velluti quelli femminili; in altre realtà si pensa di accentuare la di seta. Il ricamo è piuttosto raro, sottolinea lo stacco tra mascolinità degli abiti, privandoli di qualunque civetteria diversi tipi di tessuto e orna le maniche in corrispon- femminile in favore di una ricercata sobrietà di colori e denza dei polsi, chiusi con alcuni bottoni in lamina d’ar- forme. Ornamento tipico del giubbetto sono i bottoni gento, passanti attraverso asole ricamate. Le denomina- posti in serie a chiudere la manica in corrispondenza zioni sono identiche per le due fogge: zippòne, gippòni, dell’avambraccio e lungo la zona anteriore; queste parti gippòne, corìttu, zamàrra sono termini ricorrenti in tutta presentano pertanto occhielli rotondi e asole ricamate a l’isola, senza distinzione di modello. punto occhiello con fili di seta policromi. Un tipo di giubbetto molto particolare è quello usato ad Orgosolo, Giacchette una sorta di coprispalle confezionato in orbace nero Il termine giacchetta è decisamente appropriato per de- (zippòne tancàu) con maniche lunghe, che viene so- nominare il capospalla tipico del pescatore di Cagliari, confezionato in panno di lana blu tipo marina. Il taglio vrapposto ad un corpetto di taglio identico al zippò- di questo indumento è chiaramente derivato dalla corta ne tradizionale, ma meno ornato e privo di mani- giacchetta da marinaio, con piccoli risvolti e tasche oriz- che al quale si dà il nome di soropàu, comune, zontali nella parte anteriore chiusa con una serie di bot- come si è visto, ad altri tipi di corpetti usati toni metallici presenti anche sul polso. Il termine giac- nella Sardegna centrale. chetta comprende anche le varianti in orbace o panno, I giubbetti sagomati, con manica per molto corte, a manica stretta, profilate con soutache di lo più chiusa o con piccoli spac- lana e guarnite, nella parte anteriore, con alamari in cor- chi, rappresentano una foggia doncino. I giubbetti di foggia più arcaica non presentano più evoluta e sono diffusi fodere, ma sono accuratamente rifiniti per essere usati soprattutto tra la fine del- anche a doppio diritto (Nuoro, Oliena, Orani, Orotelli, l’Ottocento e i primi del Sarule); quelli di foggia più recente sono foderati con te- Novecento in aree più le di cotone di medio peso sia in tinta unita che fantasia. esposte al gusto bor- 415. Giacchetta, gianchètta, Cagliari, 416 seconda metà sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti 259 e Tradizioni Popolari. 416. Giuseppe Cominotti, Costumes sardes en serie, 1825, litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora.

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CINTURE L e cinture (chintòrias, chintòrzas, carrighèras, lazzàdas, vrentèras) sono accessorio indispensabile del- l’abbigliamento maschile e le fonti iconografiche ne rappresentano un gran numero di modelli. Sem- brano mancare solo in alcuni insiemi che prevedono l’uso di un panciotto con risvolti e abbottonatura centrale, ma potrebbero essere indossate al di sotto di esso e perciò non visibili. I numerosi esemplari con- servati presso raccolte pubbliche e private corrispondono pienamente alle illustrazioni e confermano la grande varietà di modelli, la loro qualità e valenza estetica. Gran parte delle cinture sono in cuoio di co- lore naturale o tinto, hanno altezze varie, tali, in qualche caso, da farle sembrare dei busti.103 La lun- ghezza è ovviamente proporzionata alla taglia del proprietario, e può anche essere regolata con lacci passanti attraverso appositi forellini, come avviene negli esemplari diffusi nel centro-Sardegna dove non godono di grande favore le cinture con fibbie. Queste sono invece presentissime in tutto il resto dell’isola e in particolare nel Cagliaritano dove le cinture che completano gli insiemi festivi e comunque quelli delle classi agiate sono impreziosite da grandi fibbie in lamina d’argento. Sono diffuse ovunque cinture festive impunturate e ricamate con fili di seta policromi a motivi geometrici, talvolta con le iniziali o l’intero no- me del proprietario, oppure intarsiate su un fondo di raso di seta a colori vivaci o lampasso policromo. 417. Cintura festiva, chintòria, Orani, seconda metà sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. Dalla cintura pende un acciarino metallico da usare con pietra focaia. 418. Fusciacca festiva, lazzàda, Cagliari, seconda metà sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 260 419. Cintura festiva, cìntu, Cagliari, seconda metà sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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Di tono più sobrio e comunque d’uso festivo o giornaliero, sono le cinture di pelle nera lavorata a sbalzo con sottili profili in pelle rossa. In pelle di colore naturale so- no le cinture con sacca portapolvere o portamonete applicata sulla parte anteriore; anche queste possono essere intarsiate e ricamate e vengono indossate da sole o in abbinamento ad un altro tipo di cintura. Lo stesso dicasi per le cartucciere, sempre in pelle naturale o colorata, dotate delle apposite piccole tasche cilindriche per l’al- loggiamento delle cartucce protette da un apposito lembo di cuoio.104 Le cinture molto alte, spesso colorate in rosso o verde, possono avere due o più affibbiature an- teriori che presentano interessanti lavorazioni artigianali. D’uso festivo sono anche le cinture di cuoio rivestito con lampassi policromi operati e broccati nelle più varie fantasie. Le cinture in tessuto, a fusciacca, sono tipiche dell’abbigliamento dei pe- scatori cagliaritani; l’uso festivo prevede l’uso di fusciacche in tessuti di seta operati, di chiara importazione nordafricana e levantina, quello giornaliero ricorre a sem- 417 plici fusciacche in tessuti di qualità inferiore. 418 419 261

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420 420. Cintura con tasca portapolvere, brentèra, Tonara, seconda metà sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 421. Cintura con tasca portapolvere, intórriu, Meana, seconda metà sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 422. Cintura festiva, chintòrza, Dorgali, seconda metà sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 423. Cintura festiva, intórriu, Meana, seconda metà sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 421 424. Cintura, cìntu, Oristano, prima metà sec. XX Oristano, coll. Enrico Fiori. 422 423 424

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425. Alessio Pittaluga, Proprietaire d’Iglesias (Possidente di Iglesias), 1828 ca., litografia a colori, Cagliari, coll. Piloni. 426. Alessio Pittaluga, Vendeur de lait de Cagliari (Venditore di latte di Cagliari), 1828 ca., litografia a colori, Cagliari, coll. Piloni. 427. Dorgali, inizio sec. XX, foto d’epoca. 425 426 427

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CAPPOTTI LUNGHI I n questa definizione sono compresi quei modelli di capispalla che coprono la figura almeno fino a metà polpaccio e che vengono sempre indossati sopra altri indumenti quali gilet, giub- betti o giacche. Vengono divisi in due tipologie sulla base del tessuto e del modello impiegati; al- l’interno di tali tipologie saranno tracciate ulteriori distinzioni. Serenìccu Cappotto di origine levantina detto serenìccu e pilùr- zu. Il termine serenìccu viene nel tempo attribuito anche a cappottini corti, di orbace, descritti più avan- ti, ma dovrebbe essere più precisamente destinato soltanto ad un modello di cappotto lungo, caratteriz- zato dall’uso di un particolare tipo di tessuto di lana, di produzione greca, piuttosto morbido, di colore marrone cioccolato, caratterizzato da un diritto piano e un rovescio a pelo corto di fili ritorti. Già il La Mar- mora aveva chiarito: «Non è fatto, come gli altri, di fu- resi nero, ma è di un panno grosso di color cioccola- ta che viene dal levante e dal regno di Napoli».105 Giuseppe della Maria aveva già rilevato questa carat- teristica avendo esaminato due esemplari di cappotto serenìccu conservati al Museo delle Arti e Tradizioni 428. Luciano Baldassarre, Uomo vestito del capottu serenicu, 1841, 428 429 litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; 430 Cagliari, coll. Piloni. 429. U. Martelli, Pescatore cagliaritano, fine sec. XIX, litografia a colori. 430-431. Cappotto lungo, serenìccu, Cagliari, seconda metà sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 264

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431 Popolari di Roma: «Questo caratteristico indumento – di del Settecento, a rivolgere le loro energie nella produ- origine balcanica e lavorato a Cagliari da cappottari greci zione di altri tipi di cappotti di orbace e panno, modelli – è presente in due preziosissimi capi, i soli sopravvissu- sardi, sollevando così le rimostranze del gremio dei sarti ti. Nella letteratura del costume sardo sono frequenti le cagliaritani. «La lunga causa che vide la comunità dei descrizioni del serenicu, spesso anche particolareggiate, greci difendersi contro le pretese del gremio dei sarti ca- ma non si riscontra in alcuna la indicazione della qualità gliaritani finì con la vittoria dei primi nella sentenza, della stoffa – che qui si accerta corrispondere a rustica emessa nel novembre del 1826, che li assolveva dall’ac- lana, che non è orbace – e in nessun testo si rileva la cusa di esercizio abusivo della professione, fino ad allo- presenza nell’interno del cappotto di una finta pelliccia ra esclusivo monopolio del gremio dei sarti di Cagliari. di lana scura, a filo ritorto, di lunghezza variabile da ca- La sentenza venne emessa dalla Reale udienza, la massi- po a capo, di cui sono dotati entrambi gli esemplari».106 ma magistratura dell’isola, e nasceva in un nuovo clima I cappotti prenderebbero il nome serenìccu dalla città di sociale e culturale, dopo un quindicennio di presenza Salonicco dalla quale venivano importati sia gli indu- continuativa della corte sabauda e di tutto il suo entura- menti confezionati sia il particolare tessuto; il nome ge a Cagliari; quello fu il periodo di maggiore successo pilùrzus, con cui sono anche conosciuti, sembra partico- dei maestri greci in città e nell’hinterland, al punto che i larmente adatto a definire il tessuto peloso con il quale loro manufatti erano preferiti rispetto a quelli dei sarti sono realizzati. Proprio la mancanza di questo tipo di del gremio cagliaritano».107 tessuto a causa della guerra greco-ottomana costrinse i I cappotti del tipo serenìccu giungono a Cagliari già cappottari greci, attivi a Cagliari già nella seconda metà confezionati, attraverso i porti di Livorno e Napoli e per 266

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mezzo di scambi commerciali con i Maltesi, ben prima 267 che i cappottari greci iniziassero un’attività stabile e con- tinueranno ad essere importati anche dopo questo mo- mento. È pertanto naturale che siano capi assai ricercati, costosi e dunque inizialmente riservati ai ceti più ricchi della società campidanese. Gli esemplari di serenìccu raccolti tra il 1905 e il 1911 per la Mostra di Etnografia Italiana, inserita nell’Esposizione Internazionale di Roma del 1911, costituiscono una fonte preziosa per la loro descrizione e confermano le peculiarità e l’alta qualità sartoriale di questi capi. Sono confezionati con il tessuto di lana già descritto, lunghi fino al polpaccio, hanno ma- niche lunghe e cappuccio. Un tono particolare è dato dalle rifiniture e dalle guarnizioni in panno rosso e bianco inserite lungo le linee di ta- glio della parte anteriore, in corrisponden- za degli angoli inferiori e delle tasche, do- ve è anche applicata una frangia celeste. L’indumento non viene abbottonato, ma le parti anteriori sono semplicemente acco- state, lasciando intravedere le falde interne in panno rosso con fitta impuntura longi- tudinale. Davvero particolare è la minuta ornamentazione inserita lungo il taglio delle maniche: minuscole spirali in panno rosso e bianco alternate tra loro a formare come un gioco di roselline. Il cappuccio presenta gli stessi motivi decorativi e la fodera in panno rosso. Cuciture e orna- mentazioni sono tutte realizzate a mano.108 432. Cappotto lungo, piccinnàu o serenìccu, Quartu S. Elena, prima metà sec. XX Oristano, coll. Enrico Fiori. 432

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Gabbànu 433 Più fonti danno testimonianza di questo cappotto, confe- zionato esclusivamente in orbace, certo il modello più nero, ma sono di concezione moderna, probabilmente antico tra quelli usati in Sardegna, che così viene descrit- derivati da modelli militari. Il taglio è a petto semplice o to da La Marmora: «Quest’indumento è usato nella pro- doppio, con o senza risvolti, chiuso con bottoni moder- vincia di Iglesias e in quasi tutta la parte settentrionale ni a due o a quattro fori. Il cappuccio, sagomato, è unito dell’isola. Il colore è sempre nero, non è foderato, né con bottoni nascosti nella parte posteriore del colletto e guarnito di stoffa di altro colore, come il soprabito gre- sagomate sono anche le maniche, tagliate a scalfo asim- co». La descrizione, alla quale si deve aggiungere la pre- metrico. La parte posteriore mantiene il lungo spacco senza del cappuccio, la mancanza di abbottonatura e l’attaccatura della manica impostata ad angolo retto, cor- risponde perfettamente alle raffigurazioni dei primi de- cenni dell’Ottocento109 nelle quali questo tipo di cappot- to è ben distinto da quelli decorati. Molto interessante è la tavola 27 della Collezione Luzzietti, Uomini del Mar- ghine, che descrive un capospalla lungo, presumibilmen- te di orbace, tutto nero, senza guarnizioni colorate, con lungo spacco posteriore. La figura mostra le due falde posteriori del cappotto rialzate simmetricamente: ciò fa supporre che questo sia dotato di fessure o di cordelle mediante le quali è possibile, all’occasione, sollevare le due parti laterali sia per cavalcare sia per evitare di in- fangarle. La funzione di questo capo, associato a insiemi vestimentari di medio livello, non pare essere festiva co- sì come non lo è quella dei cappotti lunghi di orbace che li sostituiranno a partire dal primo Novecento. Tali cappotti mantengono la stessa denominazione dei loro predecessori, vengono ancora confezionati con orbace 434 435 436 437 268

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che termina appena sotto una martingala alta, chiusa da uno o due bottoni. Le persone agiate aggiungono spes- so un colletto di pelliccia nera di agnellino (astrakan) o di pelliccia finta o di tessuto in lana bouclé. Più raro è il modello senza maniche, probabilmente derivato dal cappotto “da postiglione”, con mantella staccata, dotata di cappuccio, abbastanza lunga da coprire le braccia. Le raccolte pubbliche e private conservano ancora nu- merosi capi di questo tipo provenienti per lo più dalla Sardegna centrale dove sono stati utilizzati anche in as- sociazione a completi di velluto o fustagno. Cappotti di orbace o panno, detti cappòtte de saiàle, fiorètto, piccinnàu,110 sono stati a lungo oggetto di con- tesa tra i cappottari greci e il gremio dei sarti di Cagliari che accusavano i primi di non limitarsi a confezionare solo i serenìccus, per i quali avevano apposita licen- za, ma di tagliare e cucire anche cappotti lunghi, di orbace o panno di lana di vario tipo. La contesa eb- be termine nel 1826 con la vittoria dei cappottari greci che così poterono confezionare tutti i mo- delli di cappotto, anche quelli alla sarda, come evidentemente sono considerati questi ultimi. Possono essere ritenuti varianti dell’antica versio- ne del gabbànu di cui sopra, un po’ più corti, e soprattutto caratterizzati da profili e guarnizioni in tessuto di colore contrastante e dotati di cap- puccio con nappina variopinta.111 Per alcuni aspetti sembrano essere un’imitazione a buon mercato dei serenìccus, ma non si può esclu- dere che forme di gabbànu ornate, destinate ad un uso festivo o riservate ai ceti abbienti, fossero già presenti in Sardegna e che l’in- fluenza dei sarti greci abbia in qualche modo alimentato il gusto per l’ornamentazione poli- croma. Allo stato delle conoscenze non sem- bra essersi conservato alcun cappotto di que- sto tipo, né tra le collezioni pubbliche né tra quelle private. 433. Anonimo, Uomini del Marghine, inizio sec. XIX, acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. 434. Giuseppe Cominotti, Costumes sardes en serie, 1825, litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora. 435. Giuseppe Cominotti, Costumes sardes en serie, 1825, litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora. 436. Anonimo, Majoli, inizio sec. XIX, acquerello su carta, Collezione Luzzietti, Cagliari, Biblioteca Universitaria. 437. Iglesias, foto d’epoca, inizio sec. XX. 438. Cappotto lungo, gabbànu, Bitti, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 438

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CAPPOTTI CORTI, GIACCONI E GIACCHE S e i cappotti lunghi sembrano essere destinati soprattutto ad un uso invernale, non può dirsi ugualmente per i capispalla di lunghezza media. Cappotti corti, giacconi e giacche, che rien- trano in questa categoria, infatti, si utilizzano, indipendentemente dalla stagione, in tutti i mo- menti della vita sociale fuori dalla cerchia familiare, ma non è raro un impiego anche in ambito privato. Le occasioni ufficiali, di rappresentanza e cerimoniali, prescrivono l’uso di simili capi- spalla quasi per mitigare il tono eccessivamente informale e intimo dei corpetti, gilet, giubbetti e giacchette indossati sotto. 440 441 Cappotti corti Gabbannèlla, cappottìnu, cappottìnu ’e coidèra, evidenti diminutivi dei termini che sono propri dei cappotti lun- ghi, sono attribuiti ad un particolare capospalla corto diffuso in tutta l’isola. In qualche località gli esemplari realizzati in orbace o panno con applicazioni di tessuti, nastri e cordelle ornamentali, vengono anche chiamati serenìccu forse proprio per la presenza di questi ele- menti. La parte superiore è tagliata come i cappotti lun- 439 ghi, mentre le falde, di lunghezza pari a quella delle rà- gas, sono sagomate e svasate per accompagnare il taglio 270 dei calzoni a gonnellino: ciò è particolarmente evidente negli esemplari di Bitti, Fonni, Oliena, Orosei, Nuoro, per citare qualche esempio. Sono capi molto diffusi sia nelle varianti festive sia in quelle giornaliere, tutti pre- sentano ornamentazioni di tessuto, passamanerie, souta- che. La parte anteriore non viene chiusa e proprio per questo motivo è foderata, con un largo bordo di velluto di cotone o seta nei colori nero, blu, rosso o granato fi- no all’interno del cappuccio; la realizzazione di questa parte è molto curata e presenta fitte impunture longitu- dinali parallele che possono essere in tinta col tessuto, o 439. Zappatore sassarese, 1850-63, litografia a colori dal Journal Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni. 440. N.B. Tiole, Paysans de Samassi, 1819, acquerello su cartoncino, Cagliari, coll. Piloni. 441. Giuseppe Cominotti, Costumes sardes en serie, 1825, litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora. 442. Cappotto corto, gappòtte, Orosei, primo decennio sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde.

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in contrasto cromatico. Tali impunture posso- no essere realizzate a mano o a macchina con cordoncini di seta. L’indumento viene indos- sato aperto, tutt’al più affibbiato in corri- spondenza del collo con fermagli e catenelle d’argento; in qualche caso sono comunque presenti alamari e bottoni anche a solo scopo ornamentale. In corrispondenza dell’avam- braccio e intorno alle tasche sono anche appli- cate guarnizioni in velluto bordate con passa- manerie e cordoncini. Nella Sardegna centrale e settentrionale i cappottini sono quasi sempre or- nati con tessuti in tinta, dunque nero su nero, in un raffinato gioco di chiaroscuri determinato dalla lucentezza del velluto in contrasto con l’orbace. Si tratta di modelli in gran parte risalenti ai primi de- cenni del Novecento e non è da escludere che esemplari più antichi potessero mostrare una policromia maggiormente accentuata, abbando- nata in favore delle tonalità cupe che caratte- rizzano la moda maschile a partire dalla se- conda metà del XIX secolo. Da non trascurare il fatto che le norme per il lutto prevedevano che i vedovi indossassero sempre, fuori di casa, il cappottino nero col cappuccio cala- to sul volto e che in molti casi, dato l’alto costo di questi indumenti, la variante in nero può avere alla fine prevalso su quella policroma anche fuori dalla con- dizione di lutto. Tutti i cappottini pre- sentano rifiniture estremamente accura- te con fodere in rasatello di cotone stampato a grandi fiori, pekin, o altri ti- pi di tessuto rigato; le cuciture sono spesso realizzate a macchina mentre passamanerie e cordelle sono appli- cate a mano. Il ricamo è raro e limita- to a più corsi a punto catenella, erba o motivi a punto festone scalato (dentelle). 443. Cappotto corto festivo, cappottìnu o serenìccu, Dorgali, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 444. Cappotto corto giornaliero, cappottìnu, Gavoi, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 443 272

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Giacconi 446 I giacconi, simili per lunghezza ai cappottini, o le giacche, più corte, sono confezionati sia in pan- no sia in orbace e sono denominati gianchètta, zanchètta. Hanno taglio simile a quello di una giacca moderna, con linea diritta, risvolti e abbot- tonatura anteriore. Le tasche sono ad apertura trasversale, con bordo piatto o, in qualche caso, a battente. Il ricamo con cordoncini di seta o le applicazioni di alamari e passamanerie sono piut- tosto rari, mentre è frequente l’applicazione di un profilo di soutache di lana di colore nero o mar- ron. Le fodere sono di tessuto di cotone o di lana in tinta unita o in fantasia, comunque di colore scuro.112 In molte località questi indumenti sosti- 445. Giacca festiva, gianchètta, Pula, inizio sec. XX tuiscono il cappotto corto e vengono indossati Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. sia sopra i corpetti di foggia tradizionale che so- 446. Giacca festiva, gianchètta, Sinnai, primo decennio sec. XX pra gilet e panciotti di taglio più moderno. Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 275

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MANTI L’ unico mantello tradizionale usato in Sardegna, cono- sciuto come sàccu o sàccu ’e cobèrri, è formato da due teli di orbace uniti tra loro in senso longitudinale, sovrapposti ad altri due, e poi cuciti tra loro per tutto il perimetro così da formare un grande rettangolo.113 Su uno dei lati lunghi so- no cuciti due grossi ganci che consentono di fermare l’indumento sul petto se lo si posa sulle spalle, o sotto la gola se lo si posa sul capo; per il resto le fonti orali non dicono molto di più rispetto a quanto scritto da La Marmora: «Questa veste, fatta di solito con due teli di furesi nero applicati l’uno sull’altro e cuciti nel sen- so della lunghezza, è ancora molto comoda per viaggiare a cavallo, quando è un po’ ampia e allo- ra copre il corpo, dietro, fin sotto le reni e, davan- ti, le cosce e anche le gambe. Non è che una veste per la pioggia e per l’inverno, ma è tanto più utile in quanto tiene poco posto e in viaggio può servi- re da letto, da coperta e persino da tappeto per mangiare in aperta campagna. Questi sono, per lo meno, i servizi che io ne ho avuti e che il saccu offre ogni giorno ai pastori sardi».114 I mantelli esaminati non hanno datazioni anteriori alla fine dell’Ottocento e mantengo- no inalterato questo modello. È opportuno precisare che spesso il lato lungo anteriore ha angoli arrotondati e che in qualche caso è applicato un cappuccio. L’orbace nero, pesante e ben follato, è senz’altro il più usato, ma di grande bellezza sono anche i mantelli in orbace screziato ottenuto con lana di colore naturale abbinata nelle to- nalità del marrone/nero o del grigio/ne- ro. Tutte le fonti concordano sull’origine di questo mantello risalente, se non al nuragico, almeno al periodo romano. La funzionalità e la semplicità di rea- lizzazione, anche in ambito familiare non specializzato, ne ha decretato, nel tempo, la fortuna. Il modello è così “riu- scito” che ancora negli anni Settanta del Novecento è parte importante del corredo dei pastori dell’interno che per il resto hanno da tempo abbandonato l’abbi- gliamento tradizionale. 447. Mantello, sàccu, Orroli, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 448-449. Mantello, sàccu, Nuoro, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 276 447

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SOPRAVESTI IN PELLE E PELLICCIA Indumenti in pelle e pelliccia, senza maniche, hanno caratterizzato l’abbigliamento maschile in Sardegna fin dalla più remota antichità. Non si riportano gli innumerevoli studi che hanno trat- tato questo tipo di vesti realizzate in pelle e pelliccia di pecora, capra, agnello o capretto cui si ac- compagna, altrettanto numerosa, la documentazione iconografica, né sarà il caso di riafferma- re quanto questi elementi siano comuni a tutte le società pastorali e agricole del bacino del Mediterraneo. Questa tipologia vestimentaria continua ad essere largamente utilizzata, soprat- tutto nelle attività agricole e pastorali, fino alla prima metà dell’Ottocento, nei modelli arcaici più semplici, a pelo lungo. Per i capi destinati ad un uso più formale possono essere seguite delle linee di evoluzione e trasformazione, in relazione alle occasioni di utilizzazione, nell’arco di tempo al quale fa riferimento il presente studio. Colléttu li».115 Già nella seconda metà dell’Ottocento dunque, la “Coietto” è il nome italiano rinascimentale della più diffu- diffusione del colléttu è ovunque in calo e anche nella sa e ricercata sopraveste in pelle, priva di maniche, chia- Sardegna centrale, in genere più conservativa, questi ca- mata colléttu. Non a caso è tra gli indumenti più citati dal- pi sono già scomparsi o indossati da persone anziane. le fonti antiche che ne documentano la presenza in tutta I reperti d’epoca, rarissimi e in mediocre stato di conser- l’isola con particolare frequenza nel Sassarese, nell’Orista- vazione, sono tutti relativi ad un ambito di utilizzazione nese e nel Cagliaritano, zone nelle quali si realizzano cerimoniale. L’ausilio delle fonti iconografiche, per for- esemplari di grande pregio e dove l’uso si protrae, alme- tuna assai numerose, permette di descrivere sostanzial- no nelle occasioni festive e cerimoniali, fino al primo mente due modelli di colléttu: uno aperto nella parte Novecento. «L’uso del cojetto (sos corios) è mancato e anteriore e l’altro con aperture laterali, da indossare infi- credono bene di supplire col cappotto e col gabbano»: landolo attraverso il capo; costituisce elemento di diffe- così scrive l’Angius descrivendo l’abbigliamento degli uo- renziazione anche la profondità della scollatura che mini di Oliena e poi in riferimento ad Orani scrive: «Spia- sembra essere maggiore nei capi festivi per dare risalto ce che anche i vecchi abbiano con grave danno della loro alla parte anteriore del corpetto o del giubbetto, mentre sanità dimesso l’uso del cojetto e di altre vesti naziona- nei capi associati ad insiemi vestimentari più modesti la 450 451 452 453 278

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450. Giuseppe Cominotti, Costumes sardes en serie, 1825, litografia a colori, in Atlas de Voyage en Sardaigne par De Lamarmora. 451. Giovanni Marghinotti (attrib.), Vaccajo di Cagliari, prima metà sec. XIX, acquerello su cartoncino, Cagliari, coll. Piloni. 452. Luciano Baldassarre, Capo dei cavallanti, 1841, litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni. 453. Bosa, ante 1905, fotografia di Giovanni Nurchi. 454. Coietto festivo, colléttu, Oristano, seconda metà sec. XX (riproduzione del modello usato dal gremio dei falegnami) Oristano, coll. Enrico Fiori. 454

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scollatura, quadrangolare, è molto ridotta. Cordelle di 455 cuoio e una cintura, di varia altezza e modello, chiudono questo capo, mantenendolo ben aderente al busto. I col- léttus festivi possono essere confezionati con morbide pelli di capretto o cervo, quelli d’uso giornaliero con pel- li di minor pregio, sempre di colore chiaro. In tutti i casi il modello è sempre accuratissimo con taglio in corri- spondenza del punto vita dove le pelli sono disposte ad ampi gheroni in modo che la parte inferiore risulti larga e scampanata e consenta la più ampia libertà di movi- menti. Vale anche la pena di precisare che questo tipo di sopraveste deve essere indossato sopra l’insieme com- pleto di camicia, corpetto o gilet, giubbetto, calzone di tela e calzone a gonnellino oltre, naturalmente, alle uo- se, dunque la qualità di un capo morbido e ben sagoma- to è anche quella di ricoprire, senza appiattirli, tutti i ca- pi sottostanti. Soltanto raramente il colléttu sembra essere usato senza i calzoni a gonnellino, con i soli calzoni chiari, molto aderenti, come attesta una tempera di Ago- stino Verani che mostra un uomo di Tempio con colléttu corto e aperto su un fianco così da mostrare tutta la lun- ghezza del calzone.116 Pellami di prima scelta e tagli ac- curati sono poi completati da ricami e applicazioni di tessuto, anche in tinta contrastante, disposti attorno alla scollatura anteriore, che come si è detto è particolarmen- te profonda nei capi festivi. La presenza di bottoniere d’argento, fermagli e catene in lamina d’argento, persa la funzione originale, mantiene evidentemente solo quella ornamentale che dichiara anche il rango e la posizione sociale del proprietario. Sopra il colléttu possono essere indossati tutti i tipi di capispalla in tessuto o in pelliccia in relazione alla stagione e ai momenti di utilizzazione. Gilet di pelle e pelliccia Gilet di pelle e pelliccia corti o lunghi sono diffusi in tut- ta l’isola dove vengono chiamati bìst’’e péddi, èst’’e pèd- de, pèddes. Sono capi di taglio diritto, di fattura piuttosto semplice ed anche relativamente economici soprattutto nella versione lunga – più comune, fatta con pelli di pe- cora o capra, preferibilmente di colore scuro – che si adatta alle varie esigenze climatiche e lavorative. Si in- dossano comunemente con il pelo all’esterno, ma posso- no anche essere indossati al contrario. Una bella tempe- ra del Verani mostra un gruppo di mercanti di bestiame che indossano sia le pellicce con il pelo all’esterno sia quelle con il pelo all’interno; queste ultime, di colore chiaro, appaiono particolarmente eleganti e presentano 455. Gilet di pelle, pèddes, Orani, primo decennio sec. XX 456 457 Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 456. Nuoro, fine sec. XIX, fotografia di Antonio Ballero. 457. Giovanni Marghinotti (attrib.), Viandante di Bosa, venditore d’olio, prima metà sec. XIX, acquerello su cartoncino, Cagliari, coll. Piloni. 458. Gilet di pelle, pèddes, Nuoro, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 280

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459. Villamar, 1906 ca., foto d’epoca. 460. Gilet di pelliccia, pèddes, Tonara, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 461. Orgosolo, 1954, fotografia di Pablo Volta. 459 460 profili in tinta contrastante. Meno elegante, corto, ma niera e, grazie a dei successivi raffinamenti dovuti al pia- sempre di colore chiaro e con pelo all’interno, è il gilet cere degli ornamenti, la pelliccia ha perduto in questa indossato da una figura maschile raffigurata nella Colle- zona il suo aspetto grossolano: essa costituisce ora un zione Luzzietti.117 Così scrive il La Marmora a proposito capo molto elegante nell’abbigliamento di questi contadi- dei diversi modelli di pelliccia: «La forma di questa pel- ni».118 Le pellicce di questo genere rimangono a lungo in liccia è ovunque la stessa; benché abbia qualcosa di uso specie nelle zone dell’interno e in ambito pastorale, selvaggio e semibarbaro, essa è molto utile e comoda ma già nella seconda metà dell’Ottocento diviene più fre- perché, come il collettu, ripara dal sole, dal vento e dal- quente l’utilizzo di gilet di pelle di agnellino nero di for- la pioggia. Il modo comune di portarla è con il pelo al- ma sagomata e di tono più raffinato. Questi capi restano l’esterno; tuttavia la si mette al contrario, secondo il tem- completamente aperti nella parte anteriore dove risulta in po e la stagione, soprattutto quando le pelli sono ben evidenza il giubbetto e coprono la parte posteriore della conciate e ben bianche. Gli abitanti del Campidano di figura fino alla lunghezza dei calzoni a gonnellino, così Quartu sono quelli che più la usano in quest’ultima ma- da rendere necessaria una precisa sagomatura della parte 282

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461 inferiore e un accorto impiego dei pellami. La parte in- bouclé ad imitazione della pelliccia; gli uni e gli altri terna mostra il cuoio accuratamente conciato o è fine- vengono denominati a Nuoro stracànnu con chiaro rife- mente foderata in tessuto; spesso sono presenti tasche a rimento al termine “astrakan” che l’industria manifattu- battente impunturate con fili di seta policromi. Sul finire riera attribuisce, in quegli anni, anche ai tessuti che imi- dell’Ottocento si producono anche capi in pelle ben tano la pelliccia. Nelle raccolte pubbliche e private gli conciata con tasche esterne, del tipo a battente già de- esemplari di pellicce lunghe sono assai rari, sia per le scritto, e fodere in tessuto di cotone (fustagno, rasatello, oggettive difficoltà di conservazione, sia per la poca tela spazzina), preferibilmente di colore scuro. Esemplari considerazione di cui godevano persino presso i colle- festivi o comunque di lusso in uso tra la fine dell’Otto- zionisti: capi di uso giornaliero e con scarsa valenza cento e i primi del Novecento vengono confezionati con estetica. Più numerosi sono i gilet del tipo corto e sago- pellicce di agnellino persiano (astrakan). Nei primi de- mato, dei quali si conservano ancora diversi esemplari di cenni del Novecento, capi di tono elegante e adatti alla datazione compresa tra la fine dell’Ottocento e i primi stagione più calda vengono confezionati con tessuti decenni del Novecento. 283

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CALZONI I calzoni sono, per definizione classica, indumenti destinati a coprire il corpo dalla vita alle ca- viglie, con funzione sia intima sia esterna. Essi, in Europa e nel bacino del Mediterraneo, pre- sentano le forme e le origini più varie. Tra il XVIII e la prima metà del XX secolo, i calzoni esterni usati in Sardegna corrispondono sostanzialmente a quattro gruppi: a gonnellino, a gamba diritta, sagomati o a campana e quelli definiti come pantaloni a tubo, di foggia più moderna. Calzoni a gonnellino Possono essere considerati l’indumento più particolare del sistema vestimentario maschile, quello che ha destato il maggiore interesse tra gli studiosi di ogni tempo. La lo- ro diffusione interessa tutta l’isola dove sono variamente denominati (ràgas, fràcas, crazzònis de arròda, carzò- nes de furési). Vengono definiti calzoni a gonnellino per- ché tutte le varianti presenti nell’isola possono essere ri- condotte al modello del corto gonnellino arricciato, in orbace o panno di lana, i cui lembi inferiori sono uniti da una striscia dello stesso tessuto. Da più parti si sono fatte congetture sull’origine di tale indumento: alcuni lo fanno rientrare nell’ampio gruppo dei calzoni corti a gonnella che interessa tutta l’Europa, altri ne colgono la diretta discendenza dall’abbigliamento dell’età nuragica o romana, altri ancora li ritengono derivati dai calzoni co- siddetti “alla Rhingrave” diffusi tra gli abiti di corte alla fi- ne del XVII secolo. Va anche considerato che i calzoni a gonnellino vengono sempre indossati in combinazione con gli ampi e lunghi calzoni di tela, dei quali si dirà in seguito, che sono una via di mezzo tra capo intimo ed esterno: è dunque ipotizzabile che il gonnellino sardo sia entrato in uso per soddisfare l’esigenza di coprire il bacino in modo adeguato, necessità risolta altrove, in età medievale e rinascimentale, con le falde lunghe, ampie e arricciate delle casacche. Nella storia della moda euro- pea, con l’abbandono delle vesti lunghe, si assiste infatti a continue variazioni dell’insieme dei capi destinato a ri- coprire la parte inferiore del tronco, con le più bizzarre soluzioni che ora evidenziano, ora nascondono la zona pubica e le natiche. È dunque possibile che in ambito popolare sardo si sia consolidato l’uso di un gonnellino – derivato dalla casacca di cui si è detto prima e che ha assunto una propria fisionomia regionale – da indossare in combinazione con i larghi calzoni, in una soluzione flessibile e pertanto adattabile alle specifiche esigenze 462. U. Martelli, Rigattiere cagliaritano, fine sec. XIX, 462 litografia a colori. 463. Calzoni a gonnellino, carciòne de urési, Oliena, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 464. Calzoni a gonnellino, fràca, Dorgali, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 284

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culturali e climatiche. In Sardegna questo indumento cordino di rinforzo in corrispondenza del bordo inferiore mantiene evidentemente vivo un gusto tutto locale che, che può essere guarnito con un sottilissimo profilo di come le acconciature a trecce, richiama pienamente quel- panno scarlatto. A Fonni questo dettaglio ha acquisito un lo rappresentato dalla bronzistica nuragica.119 tale risalto che il gonnellino risulta fortemente scampana- Quale che sia la loro vera origine, si possono comunque to. Cortissimi, quasi a fascia, sono i calzoni di Samugheo, cogliere, anche se a grandi linee, dei veri mutamenti di Busachi, Laconi, Atzara, talmente succinti da arrivare ap- moda dagli esemplari esaminati e dal confronto delle pena a coprire il bacino. L’orbace, accuratamente pie- fonti iconografiche. I modelli anteriori alla seconda metà ghettato, forma, in questi esemplari, una banda compatta dell’Ottocento si desumono solo sulla base dell’iconogra- intorno ai fianchi, ricamata a punto catenella a motivi fia, non essendo giunto alla nostra conoscienza alcun re- curvilinei e rettilinei intersecati tra loro; la parte di tes- perto d’epoca; essi sono presumibilmente di orbace, ge- suto risparmiata da tale lavoro si apre a volant, bordato neralmente di colore nero, marrone o “foglia morta”, ma di velluto di cotone in tinta. Non esistono modelli spe- anche giallo miele, fulvo o rosso.120 Non si può esclude- cifici per un uso festivo o giornaliero, o per fasce di età; re che, in qualche parte dell’isola, già all’epoca, alcuni è la condizione del capo a segnare la differenza; si può esemplari fossero confezionati in panno di lana, come è però notare che, laddove il calzone a gonnellino è di accertato per il periodo successivo. È certo invece che in foggia molto corta, gli anziani ne indossano di più lun- tutta la Sardegna centrale il panno non è mai utilizzato ghi: uno stile più modesto, dunque, paragonabile a per la confezione dei calzoni e l’orbace mantiene il suo quanto accade anche per i pantaloni moderni. Alcuni primato fino alla scomparsa dell’abito tradizionale. Venia- esemplari festivi campidanesi mostrano tasche bordate mo dunque al periodo compreso tra la fine dell’Ottocen- con velluto in tinta contrastante e profili in cordoncino to e il primo ventennio del Novecento quando, anche a o soutache, mentre quelli da lutto sono rigorosamente seguito del primo conflitto mondiale, i giovani smettono neri. Le cuciture risultano realizzate a mano o a macchi- completamente l’insieme tradizionale o sostituiscono i na, con ricami e rifiniture comunque realizzati a mano; calzoni a gonnellino con quelli a tubo, di foggia moder- non sono presenti fodere, se non parziali, in corrispon- na.121 In tutta l’isola il calzone a gonnellino è ampio e la denza dell’orlo inferiore. lunghezza media arriva sino a mezza coscia. L’orbace o il panno, vengono arricciati in minute pieghe all’altezza Calzoni della vita, dove si applica un cinturino in tessuto di varia Confezionati in tela o diagonale di cotone o di lino, qual- altezza, mentre l’ampiezza della falda ricade in pieghe che volta di sottile orbace o tela di lana, sempre di colore sciolte o fitte plissettature. La parte anteriore presenta bianco, rappresentano, come si è visto, l’indispensabile una brachetta longitudinale a fessura, con sottile orlo na- scosto; talvolta la stessa apertura si ripete, perfettamente simmetrica, anche nella parte posteriore. L’orlo inferiore è spesso rinforzato con un profilo di tessuto (panno in tinta o in colore contrastante) che lo tiene leggermente rialzato; lo stesso profilo è anche applicato alla striscia di tessuto che unisce al centro i lembi del gonnellino. In al- cune località del Sassarese l’orbace viene accuratamente plissettato e lo stesso accade nei capi di Dorgali dove al- l’interno del bordo inferiore è applicata una striscia di tessuto policromo. In alcune località dell’interno, a Nuo- ro, Oliena, Fonni, Bitti, Orgosolo, per citare solo alcuni esempi, la moda locale vuole gonnellini piuttosto corti e ben svasati. Per ottenere ciò si inserisce un tessuto o un 465. Calzoni a gonnellino, crazzòni a ròda, Pula, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 466. Calzoni a gonnellino, ràgas, Tonara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 467. Calzoni a gonnellino, ràgas, Meana, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 468. U. Martelli, Costume festivo di Nuoro, fine sec. XIX, litografia a colori. 469. Villagrande, fine sec. XIX, foto d’epoca. 470. Bosa, ante 1905, fotografia di Giovanni Nurchi. 469 470 287

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471 472 complemento dei calzoni a gonnellino. Il modello ha in genere realizzate a macchina. Alcuni capi festivi in li- tale diffusione in Europa, presso le classi popolari, che no mostrano semplici ricami in corrispondenza delle è davvero arduo fare ipotesi sulla sua origine. Quello cuciture laterali lungo le gambe; più spesso la differen- sardo è realizzato unendo tra loro elementi di tessuto za tra i modelli festivi e quelli giornalieri è data soltanto di forma rettangolare non sagomati, e presenta varianti dalla scelta di tessuti più sottili per i primi, più pesanti determinate unicamente dall’ampiezza dell’inserto qua- per i secondi. Non è attestata nessuna variante cromati- drato cucito all’altezza del cavallo. Tale inserto ha di- ca e anche negli insiemi da lutto il colore chiaro resta mensioni medie di cm 20 x 20, ma raggiunge anche cm invariato. 40 x 40 negli esemplari più antichi del centro Sardegna. Per il resto la confezione è piuttosto semplice: tutti gli Calzoni a campana elementi vengono uniti tra loro con cuciture a costura Spesso confusi con i calzoni a gonnellino molto lunghi, doppia, la brachetta è formata da una lunga apertura i calzoni a campana (carzònis, crazzònis) costituiscono longitudinale con piccolo orlo, l’ampiezza del tessuto un modello a sé stante diffuso in prevalenza nel Sulcis viene raccolta in vita con semplici arricciature o piccole Iglesiente, ma attestato anche in alcune località della pieghe; lacci o semplici bottoni chiudono in vita l’indu- costa orientale.122 L’influenza iberica è chiarissima, le mento. La lunghezza è di norma a metà polpaccio sia differenze tra i capi spagnoli e quelli sardi sono deter- per i calzoni da raccogliere dentro le uose sia per quelli minate solo da piccoli dettagli. Si tratta sempre di cal- ricadenti sulla gamba. Gli esemplari provenienti dai zoni sagomati, confezionati in pesante orbace o panno paesi più freddi dell’interno hanno la parte inferiore di lana nero, con la parte superiore piuttosto ampia e confezionata in pesante tessuto diagonale di cotone, leggermente arricciata in corrispondenza del punto vita, quella superiore, che rimane coperta dai calzoni a gon- rifinita con cinturino in tessuto di varia altezza. La bra- nellino, è di tela di cotone più sottile. La cuciture sono chetta è longitudinale con orlo sottile. La lunghezza ol- trepassa il ginocchio e l’orlo inferiore, negli esemplari 471. Calzoni a gonnellino, crazzòni a ròda, Pula, inizio sec. XIX festivi e di gala più recenti, è spesso guarnito di pizzo, Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. memoria del fatto che questi calzoni a campana si in- dossassero sopra quelli di tela, descritti in precedenza, 472. Calzoni a gonnellino, frà’a, Orgosolo, prima metà sec. XX il cui orlo sporgeva al di sotto per alcuni centimetri. In Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. prossimità dell’orlo, sul lato esterno della gamba, sono talvolta presenti piccoli spacchi. 473. Teulada, 1926 ca., foto d’epoca. 288

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Pantaloni a tubo La descrizione che segue prende in considerazione sol- tanto i modelli di pantalone lungo, indossati con cami- cie, gilet, capispalla e copricapo di tipo tradizionale. Compaiono nell’iconografia del primo Ottocento relati- vamente ad alcune località della Sardegna settentrionale e meridionale, che più facilmente hanno subito l’influen- za della moda cittadina. Così scrive a questo proposito 474. Pantaloni a tubo festivi, carzònis, 474 475 Cagliari, seconda metà sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 475. U. Martelli, Pescatore cagliaritano, fine sec. XIX, litografia a colori. 290

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476 477 il La Marmora: «L’abbigliamento dei Sardi bottoni a vista, e tasche verticali con bordo nello stesso perde qualcosa del suo carattere quando tessuto. Le due gambe si restringono considerevolmente si lascia la classe dei contadini: il primo verso l’orlo che è tagliato al vivo. La confezione è accu- cambiamento riguarda i carzones. Le per- rata nel taglio e nelle cuciture e, in particolare, nell’ap- sone agiate e non titolate che abitano nei plicazione del cinturino in vita e delle tasche rinforzate paesi e che nell’isola sono chiamati mus- con ponticelli a punto occhiello per evitare strappi. sara (messire francese, “messere” italia- no), indossano a volte sul collettu un abi- GREMBIULI DA LAVORO to elegante, fatto che mi ricorda lo strano miscuglio d’abiti che fanno ancora certi N on si differenziano da quelli usati re negri dell’Africa. I nobili del paese ancora oggi, con o senza pettorina. I (cavalieri dei villaggi ) si distinguono dai materiali variano per le differenti profes- contadini esclusivamente per i pantaloni sioni: sono in gran parte in tela pesante, e per un maggior numero di ghiande e anche incerata, per mugnai, casari, pesci- di bottoni sul loro serenicu o cabanu; in vendoli, in cuoio per macellai, fabbri, ma- genere usano, come i campagnoli, il ber- niscalchi. Le informazioni si traggono dal- retto. Gli abitanti di città seguono in tut- le fonti antiche e dalle testimonianze orali to la moda francese o meglio quella del perché non se ne conserva alcun esempla- Continente».123 I pantaloni più antichi ri- re come accade per tutti gli indumenti da salgono alla seconda metà dell’Ottocento lavoro e di poco pregio che si utilizzano fi- e non sembrano differenziarsi dai mo- no alla loro completa distruzione. delli raffigurati nelle tavole a colori del primo Ottocento.124 La tipologia rimane quasi inalterata con differenze nella for- ma delle tasche o nella brachetta che può essere diritta, con bottoni in vista, più spesso nascosta in una piega del tes- suto, oppure a patta anteriore chiusa sui due lati o solo su uno. I tessuti usati, conformemente alla moda alla quale si ispirano, sono di colore piuttosto scuro, in fustagno, panno e altri tipi di tessuti di lana. In qualche caso lunghi pantaloni a tubo di colore scuro sono utilizzati anche sotto un corto cal- zone a gonnellino. Il loro uso, insieme ai capi tradizio- nali, dura fino al secondo dopoguerra, poi, fatte salve le eccezioni, vengono abbinati a gilet e giacca di foggia moderna confezionati nello stesso tessuto. Influenze esterne, ma di antica data, sono anche quelle che hanno portato all’introduzione dei pantaloni a tubo di colore rosso tra i pescatori del Cagliaritano, particolarità che già il La Marmora segnala: «I pescatori dello stagno di Ca- gliari e alcuni marinai dei paraggi, sono i soli, tra la gen- te del popolo, a portare i calzoni lunghi. Questi sono sempre color garanza».125 Tali pantaloni devono essere ritenuti festivi e, nell’uso giornaliero, durante la pesca, comunque alternativi ai calzoni bianchi di tela come quelli indossati sotto i calzoni a gonnellino. Il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma con- serva un raro esemplare di pantaloni di panno rosso ri- salenti alla fine dell’Ottocento. Sono piuttosto ampi nella parte superiore caratterizzata dall’apertura centrale, con 476. Costume di Ploaghe, 1898, litografia a colori, in E. Costa, Costumi sardi, Cagliari 1913. 477. Ozieri, seconda metà sec. XIX, foto d’epoca. 291

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GHETTE E UOSE L e ghette o uose sono indispensabile indumento dell’abbi- gliamento maschile nell’insieme costituito da calzoni a gonnellino e calzoni di tela, ma possono anche essere indos- sate con pantaloni a tubo. Se ne conoscono modelli a gamba chiusa, da infilare, detti càrzas, e modelli a gamba aperta, da allacciare o chiudere con bottoni, che vengono chia- mati burzighìnos. Entrambi possono essere in cuoio o orbace; in panno sono confezionati solo gli esem- plari più recenti. L’iconografia relativa a questi capi è davvero sterminata126 e numerosi sono anche i tipi risalenti alla fine dell’Ottocento e ai primi del Novecento, soprattutto del modello in orbace sia a gamba chiusa sia con lacci. Rarissimi invece gli esemplari in cuoio, noti soprattutto grazie alle fonti: «I borze- ghinos sono aderenti alla gamba, spesso aperti e allacciati sul polpaccio, di cuoio in alcune parti, in altre in fure- si nero. Questa calzatura, più comune nel settentrione, si mette in genere sopra le mu- tande di tela di cui si è parlato. Nel Campidano, al contrario, e nei dintorni della capitale, si usano di frequente le carzas, che si pos- sono considerare come delle grandi ghette larghe, senza lacci o bottoni, che si infilano come calze, sono fatte di furesi nero e talvolta di cuoio molto sottile finemente pieghettato. Sono allora di una notevole eleganza. Le carzas si infilano, di solito, 478 479 292

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sulle gambe nude».127 Dalle stesse fonti pare si 480 deduca la predilezione dei modelli in pelle sotti- le, anche di daino, per l’estate o comunque 481 quando si voglia vestire in modo più elegan- te.128 Sia le càrzas che i burzighìnos sono gam- 293 baletti ben sagomati per seguire la linea della caviglia e del polpaccio, dotati di una parte al- lungata che copre parzialmente la tomaia del- la calzatura e che può essere munita o meno di sottopiede in cuoio. In entrambi i modelli sembra essere più comune la lunghezza al gi- nocchio o a metà ginocchio, ma non mancano esemplari che arrivano alla coscia. La parte superiore viene sempre fermata con lacci, na- stri allacciati o affibbiati che possono essere in vista, anche a scopo ornamentale, o nascosti sotto la piega superiore della stessa uosa. Qual- che esemplare in orbace mostra minuti ricami in cordoncino di cotone o di seta lungo le cuciture, altri hanno applicazioni di tes- suto, anche in contrasto cromatico, sul bordo superiore; in altri casi lungo la parte che copre la scarpa è presente un sottile bordino di panno rosso, nero, o comunque abbinato al colore del giubbetto o del corpetto. Tutti gli esem- plari, anche quelli cuciti a macchina, pre- sentano molte parti accuratamente rifinite a mano. Le fodere, dove presenti, riguardano solo la parte interna della soprascarpa e sono in pesante tessuto di cotone di colore scuro (rasatello, fustagno, tela spazzina). 478. Uose, borzeghìnos, Cagliari, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 479. U. Martelli, Costume attuale di Bitti, fine sec. XIX, litografia a colori. 480. Uose, càrzas, Atzara, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 481. Uose, càrzas, Tonara, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.

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CALZATURE C operte quasi totalmente dalle uose, le calzature sono rappresentate in modo approssimativo nell’icono- grafia antica, ad eccezione di quelle dotate di grandi fibbie d’argento. Grazie alle fonti orali, alla con- sultazione di fondi fotografici e all’esame delle raccolte pubbliche e private, prima fra tutte la raccolta del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, è possibile affermare che, tra la prima metà del- l’Ottocento e i primi decenni del Novecento, le calzature più utilizzate sono gli scarponcini allacciati (bottì- nos, cosìnzos) sia per un uso giornaliero che festivo. Solo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, ma di rado, compaiono scarpe allacciate (iscàrpas, iscàrpas de cròmo), più eleganti, da indossare con insiemi festivi e nuziali. Gli scarponcini allacciati sono quasi sempre in pelle naturale, scurita per l’uso e l’applicazione di grasso; non mancano anche esemplari più raffinati in pelle nera con tomaia alta, quasi a stivaletto, dotati di elastici ai lati. La gran parte di que- ste calzature ha la suola in cuoio chiodato con bullette lisce o scanalate, talune di dimensioni davvero rag- guardevoli, applicate anche sul tacco. Tutti gli scarponcini hanno tacco medio-alto, spesso sagomato e rien- trante; la tomaia è sempre a punta rialzata e con allacciatura impostata in corrispondenza del collo del piede. Uno scarponcino proveniente da Fonni presenta tomaia a punta particolarmente affilata con allac- ciatura profonda e la solita suola con grandi bullette metalliche. Di estremo interesse sono le scarpe basse, di chiara origine settecentesca, con tacco ridotto, che presentano lacci e fibbia in lamina d’argento applicata in prossimità della punta. Questa tipologia di scarpa è spesso rappresentata nelle illustrazioni del primo Ottocento, raffiguranti gli abiti festivi dei macellai e dei pesca- tori di Cagliari o insiemi vestimentari dei ceti agiati. Un bellissimo paio di scarpe di questo genere comple- ta l’insieme festivo del pescatore di Cagliari conservato presso il Museo di Roma sopracitato, mentre le sole fibbie d’argento sono più frequentemente presenti nelle raccolte pubbliche e private. 482. Scarpe, buttìnus, Cagliari, seconda metà sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 482 294

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483 483. Orgosolo, 1956, fotografia di Pablo Volta. 484. Scarpe, bòttes, Orgosolo, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 484 295

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BIANCHERIA D alla trattazione sulla biancheria sono escluse le camicie che vengono descritte come capo esterno; per il resto il corredo minimo è costituito da maglie e mutande, rarissime nelle raccolte pubbliche e private, data anche la diffusione relativamente recente di questo tipo di in- dumenti, entrati in uso diffusamente solo a partire dalla prima metà del Novecento. Maglie intime prattutto in ambiti agiati tra la fine dell’Ottocento e i pri- Non si conosce nessun tipo di maglia intima di produ- mi del Novecento o comunque usato più frequentemen- zione artigianale o domestica; nel passato, infatti, la te da persone anziane. I modelli descritti, lunghi fino ai consuetudine di sovrapporre più indumenti per proteg- piedi, sono confezionati in pesante tela di cotone, anche gere e isolare il corpo era tale da renderne superfluo felpato, con o senza carré con abbottonatura centrale, l’utilizzo. In tutti i casi solo a partire dalla fine dell’Otto- manica ampia, lunga, completa di polsino. Per il perio- cento sembra venissero utilizzate maglie intime in fla- do precedente si può supporre che la sua diffusione nella o maglia di lana o cotone a manica lunga. L’unico fosse ancor più ristretta o del tutto sconosciuta tra le modello conosciuto (màllia, franèlla, flanèlla), ricorda- classi più povere. to dalle numerose testimonianze raccolte durante le ri- cerche sul campo, è di colore bianco o beige, a manica Calze e pezze da piedi lunga, a girocollo aperto, nella parte anteriore, con tre Le fonti iconografiche più antiche non sono di grande o quattro bottoncini. aiuto per quanto riguarda questi indumenti, per la de- scrizione dei quali si deve piuttosto ricorrere a fonti Mutande scritte e alla memoria di quanti, nel corso delle ricerche Indumenti poco descritti dalle fonti e rarissimi nelle rac- sul campo, hanno potuto darne testimonianza. Nessun colte museali e private, sono senz’altro diffusi sul finire dubbio, perciò, sulla loro diffusione, con le differenze dell’Ottocento. Gli unici esemplari di mutande risalenti già rilevate tra le varie classi sociali, anche se rarissimi con certezza al primo Novecento che si siano potuti esa- sono i capi anteriori agli anni Trenta del Novecento minare, sono conservate al Museo Nazionale delle Arti e conservati nelle raccolte pubbliche e private. È possibile Tradizioni Popolari di Roma nell’insieme maschile di che le calze siano state precedute dalle pezze da piedi Fonni. Sono mutande lunghe confezionate in pesante co- (pèzz’’e pèi) delle quali si è poi rinnovato l’uso dopo il tone felpato di colore bianco, sagomate sulla gamba, primo conflitto mondiale. Per quanto le fonti dicano che chiuse alla caviglia con due lacci. Le cuciture sono realiz- «le carzas si infilano, di solito, sulle gambe nude»,129 zate a macchina a costura semplice. Incerta è invece la non significa che il piede non fosse comunque protetto definizione di un secondo indumento proveniente da con pezze da piedi o con calze basse, ipotesi non chia- Bitti e conservato nello stesso Museo. Si tratta infatti di rita neppure dalle denominazioni più diffuse, mìzas, calzoni in grosso orbace bianco, a gamba diritta e lun- mìggias, peùncus, piùncos, riferite sia a calze basse che ghezza al ginocchio, che, probabilmente, venivano in- a calzettoni. La produzione artigianale di calze non sem- dossati nella stagione invernale sotto i calzoni di tela, co- bra avere caratteristiche particolari, infatti, salvo l’uso di munque sovrapposti ad una mutanda vera e propria in filati di cotone o lino per gli esemplari festivi e di lana un tessuto più adatto a stare a contatto con la pelle. sarda non tinta per tutti gli altri, i modelli sono a mezza Dopo la prima guerra mondiale, le mutande (mudàn- gamba, lavorati con giro di ferri a maglia rasata nel pie- das) diventano d’uso comune e si diffondono in tutta de e a coste sulla gamba.130 È invece interessante la l’isola i modelli in maglia di lana o di cotone, flanella o continuità della produzione fino a tutti gli anni Sessanta tela di cotone, lunghi fino alla caviglia; le forme sono del Novecento, a cui contribuisce anche la ripresa forza- sagomate, di tipo moderno, con chiusura anteriore a ta dovuta alle ristrettezze economiche durante il secon- bottoni o a semplice fessura; in questo secondo caso do conflitto mondiale; ciò ha portato ad una vitalità nel- vengono chiuse in vita con una coppia di lacci. la produzione e nell’uso di questo genere di calze, soprattutto all’interno delle comunità a forte vocazione Camicie da notte pastorale dove, anche in insiemi non tradizionali, si è Solo le fonti orali danno testimonianza di questo capo continuato a utilizzare scarponi di pelle anch’essi di di abbigliamento, chiamato camìsa ’e nòtte, diffuso so- confezione artigianale, eredi dei modelli ottocenteschi. 296

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ACCESSORI VARI I gioielli maschili definiti come ornamenti della persona sono meno numerosi di quelli femminili e restano comunque fuori dalla presente trattazione tesa a esaminare, anche se brevemente, so- lo gli accessori propri dell’abbigliamento che hanno importanza pari, se non maggiore, a quelli femminili come risulta dallo studio delle fonti.131 I bottoni gemelli (buttònes) in lamina e filigrana d’argento o d’oro, da usare con le camicie, sono diffusi in tutta l’isola e spesso vengono utilizzati in doppia coppia per fermare i colli delle camicie festive e nuziali. Bottoni simili, dotati di catenelle o barrette di sospensione, sono anche impiegati per chiudere l’apertura delle maniche di giubbetti o vengono posti in una o due file sulla parte anteriore di giubbetti e corpet- ti. Ganci, fermagli e catene in lami- na e filigrana d’argento (gancèras, cancèras), talvolta con pietre e vetri policromi, sono poi utilizzate per chiudere la parte anteriore di giac- che, cappotti, sia lunghi sia corti, e per ornare il colléttu. La presenza di tasche, nei calzoni a gonnellino e nei capispalla, rende meno necessario l’uso delle tasche staccate (buzzàccas, busciàccas, buc- ciàccas) tipiche del vestiario femmi- nile. Scarselle in cuoio, sospese alla cintura, con la funzione di portapol- vere o portamonete, sono descritte con una certa frequenza nell’icono- grafia del primo Ottocento.132 Poco si conosce dei borsellini o portamonete da tasca dei quali si conserva qual- che esemplare in tessuto ricamato, risalente al 1920, e alcuni modelli in pelle impressa. I fazzoletti da naso entrano nell’uso comune tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento e sono rara- mente documentati nelle raccolte pubbliche perché oggetti piuttosto co- muni, in tela di cotone di vario pre- gio e colore, talvolta cifrati su un angolo. 485. Giovanni Marghinotti, 485 Miliziano di Cagliari o Rigattiere, 1842 ca., Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. 297

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L’abbigliamento infantile

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«Custu pizzinneddu non porta manteddu, nemmancu 486. Abito infantile festivo e di gala, Nuoro, inizio sec. XX curittu, in dies de frittu non narat titia» (“Questo bambi- Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. nello non indossa fasce, né camicina, non si lamenta nel- le giornate più fredde”). Con questi versi di un canto na- 487-488. Copertine da neonato, mantèddos, Ollolai, inizio sec. XX talizio, noto e diffuso mediante numerose varianti in tutta Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. la Sardegna, può avere inizio una breve analisi dell’abbi- gliamento infantile nella Sardegna tradizionale in un pe- 489. Giuseppe Biasi, Battesimo a Nule, fine anni Dieci-inizio riodo di tempo compreso tra la prima metà dell’Ottocen- anni Venti, tempera e pastello su carta. to e gli anni Cinquanta del Novecento. Mantéddu e corìttu dunque, corredo minimo necessario per vestire il 490-491. Completo da Battesimo, Capoterra, prima metà sec. XX Bambino Gesù, al quale il canto fa riferimento, ma anche Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. corredo minimo di ogni altro neonato sardo. Mantéddu è il termine con il quale si indica la copertina o piccolo manto per il neonato, mantèddos sono anche dette le fa- sce da cui è avvolto il corpo dei lattanti, altrimenti deno- minate fàscas o zimùssas, termini che nel Sulcis indicano 487 488 300

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492 495 493 497 494 anche la fascia di tessuto, una sorta di marsupio, nella quale le donne portavano i neonati.133 Corìttu, vocabolo 496 anche questo ampiamente diffuso nell’isola per i capi destinati agli adulti, indica, per l’abbigliamento infantile, 302 una camicina, con o senza maniche, confezionata con tessuti leggeri di cotone o di lana; lo stesso termine vale anche per definire un corpetto realizzato in panno di la- na variopinto, destinato a bambini un po’ più grandi, e per il quale sono note nell’isola diverse denominazioni affini a quelle dei capi per adulti: cropéttu, cropìttu, còs- so e solopàttu. Tornando ai lattanti è corretto affermare che la pratica della fasciatura doveva essere ampiamente diffusa. Va- lery, infatti, in un passo del Viaggio in Sardegna pubbli- cato nel 1837, scrive: «Tra gli usi e i costumi del popolo applicati ai neonati alcuni sembrano risalire agli antichi: i bambini vengono ancora cosparsi di vino, di sale, avvolti nelle bende e non per questo sembrano poi stare tanto male». Lo stesso autore annota anche: «Un celebre ostetri- co parigino, Alphonse Leroy, ha anche lui raccomandato di incipriare i neonati con sale e di frizionarli con vi- no».134 È noto che l’uso di fasciare i bambini non è natu- ralmente esclusivo dell’isola, ma è diffuso in tutto il mon- do, in paesi distanti geograficamente e culturalmente

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492. Abitino da passeggio e da visita, istiréddu ’ónu, Benetutti, 1926 Benetutti, coll. privata. 493. Abitino da passeggio e da visita, Capoterra, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 494-497. Cuffiette, Capoterra, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 498. Abito da Battesimo, Berchidda, 1871 ca. Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. L’abitino, mai utilizzato, reca, lungo il bordo inferiore, l’etichetta con la scritta: “Firenze, 1871”. 499. Nuoro, fine sec. XIX, foto d’epoca. 498 attività lavorativa. La fasciatura d’altra parte, modellando artificialmente il corpo del bambino consente di omolo- differenti, ed ha attraversato indenne i diversi momenti garne l’aspetto a determinati valori ideali ed estetici, storici per arrivare fino a tempi a noi prossimi. Proprio adornandolo secondo la tradizione e la classe sociale di la straordinaria diffusione di questa consuetudine ha at- appartenenza. È indubbio che liberare il bambino dalla tratto l’attenzione di numerosi studiosi che hanno pro- stretta fasciatura consenta la possibilità di vivere i primi posto le più varie spiegazioni. Motivazioni pratiche o momenti dell’infanzia in modo sicuramente più ricco se funzionali alla sopravvivenza dei bambini e simboliche si pensa soltanto agli stimoli derivanti dall’essere più fa- o magico-rituali sono state più volte messe in relazione cilmente accarezzato e coccolato, dall’entrare, insomma, tra loro, nel tentativo di dare una credibile spiegazione in un più stretto rapporto fisico con i genitori o con chi di questa usanza. Per quanto riguarda le motivazioni lo accudisce. Bisognerà attendere il pieno Novecento funzionali, queste erano determinate dalla necessità di perché questo avvenga. Con tempi e modalità differenti offrire protezione dal freddo, contenimento delle mem- da zona a zona, alla fasciatura completa succede quella bra per permettere uno sviluppo armonico degli arti, un parziale che riguarda il tronco, avvolgendo l’addome e controllo alle intemperanze del neonato, si badava a sostenendo la schiena. La parte superiore del corpo vie- non sollecitare il suo istinto, non permettendogli, ad ne ricoperta con camiciole e coprifasce, quella inferiore esempio, la pratica del gattonare. Non trascurabile è an- con panni stratificati e con sacchetti allacciati mediante che la considerazione che la fasciatura protratta nel tem- lunghi nastri. Si utilizzano anche vestine, la cui lunghez- po sia stata anche un espediente per consentire alla ma- za supera di gran lunga l’altezza del bambino, confezio- dre di dedicarsi con maggiore libertà ai lavori quotidiani nate con materiali più o meno pregiati in relazione al ai quali era richiamata dopo la breve pausa post partum tanto più limitata quanto meno fortunate erano le sue 499 condizioni economiche. Tale espediente si sarebbe poi trasformato in una vera e propria pratica di puericultura applicata anche in ambiti familiari agiati dove le madri venivano comunque risparmiate da qualunque tipo di 303

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501 500 502 momento di utilizzazione. Per le occasioni che presup- nate in raso, taffettà e gros di seta che seguono i modelli pongono una visibilità pubblica anche il neonato ed “alla moda” sia nel taglio con corpino corto e gonna lun- eventualmente la sua balia devono confermare la posizio- ghissima, sia nelle applicazioni di pizzi a mano o mecca- ne sociale della famiglia mediante una dotazione vesti- nici, di soutache o nei ricami realizzati soprattutto a pun- mentaria adeguata. Le riviste di moda per signore, che fin to inglese, erba e pieno. Talvolta questi abitini sono dalla seconda metà dell’Ottocento dedicano alcuni settori completati da copertina e cuscino coordinati. Superata all’abbigliamento infantile, l’attività delle balie e l’uso di più o meno facilmente questa fase critica della loro esi- passare gli abiti smessi alla servitù, contribuiscono alla stenza i bimbi vestono in modo più comodo in una graduale diffusione di modelli che influiranno in maniera gamma di varianti coerenti con la foggia locale degli abi- determinante sulla produzione vestimentaria infantile e fi- ti per adulti, adeguate al ceto sociale della famiglia. Dalla niranno per sostituire del tutto le fogge tradizionali. fonti scritte e iconografiche si deduce che nel periodo Fin dai primi giorni di vita la testa del piccolo viene co- compreso tra la prima metà dell’Ottocento e gli anni perta con cuffie modellate di vario genere, in panno, tela Trenta del Novecento i bambini, dopo il primo anno di di lino e cotone, raso o taffettà di seta, chiamate carètta, vita e fino all’età di tre o quattro anni, indossano abiti cambùssu, iscòffia. Spesso consistono in esemplari mol- che possono essere ricondotti a due grandi gruppi. to elaborati e dai cromatismi accesi, ornati di ricami poli- Abitini con breve carré e gonna a pieghe o arricciature, cromi, passamanerie e frange in uno stile coerente con modello indifferenziato per entrambi i sessi e di lun- quello dell’insieme vestimentario tradizionale degli adul- ghezza variabile, talvolta eccessiva; a ciò fa riferimento ti, in altri casi si tratta di modelli più comuni e non di- il termine incoeddàdu, usato in area logudorese per in- stinguibili rispetto a quanto comunemente usato a livello dicare il bambino che, così vestito, è impacciato nei mo- popolare. Un capitolo a sé stante meritano gli abitini da vimenti proprio per l’eccessiva lunghezza dell’abito che battesimo. Fin dalla seconda metà dell’Ottocento inizia a può formare una sorta di strascico (coèdda).135 Questi scomparire l’uso degli insiemi tradizionali caratterizzati abitini hanno varie denominazioni, le più comuni sono: da colori squillanti, soprattutto per le copertine in panno rosso bordate con nastri colorati, e si attesta gradualmen- 500. Abitino, istiréddu, Bitti, inizio sec. XX te l’impiego dei lunghi abiti bianchi comuni, anche fuori Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. dall’isola, in area italiana ed europea. Gli insiemi tradizionali sono raramente conservati e si 501-502. Camicine, camisèddas, Capoterra, prima metà sec. XX deve ricorrere alle fonti iconografiche e alla ricerca sul Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. campo per averne una migliore conoscenza. Nelle rac- colte pubbliche e private è invece presente una grande 503. Giacchino coprifasce, corìttu, Bitti, seconda metà sec. XIX varietà di cuffiette e vestine battesimali lunghe, confezio- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 504. Gonnellina, mantéddu puzzonàdu, Bitti, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 304

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505 506 505. Camicia, camìsa, Bitti, inizio sec. XX istiréddu, èste, bèste, estèdda ecc.; più raro il termine Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. cavardìna usato nel Goceano e in una vasta parte del 506. Camicia, provenienza sconosciuta, inizio sec. XX Logudoro, per definire un abito di tela per ragazzi ricon- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. ducibile all’antico termine italiano “gavardina” che è un 507-508. Camicia e gonnellina, ’amìsa e vestèdda, tipo di veste da casa. Questi abiti sono confezionati con Ollolai, inizio sec. XX i tessuti più disparati, anche in funzione della stagione, Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. e non presentano particolari segni distintivi che consen- tano di ricondurli ad un preciso luogo della Sardegna 306 senza altri dati di contesto, e precorrono, in un certo senso, l’omologazione dei modelli infantili usati dopo i primi decenni del XX secolo.

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507 508 Più interessanti sono gli insiemi vestimentari maggior- adulti. Si tratta ovviamente di schematizzazioni utili per mente complessi di chiara impronta locale adatti a bimbi un approccio generale con l’argomento, ma che posso- molto piccoli, ma realizzati con tessuti, taglio e ornamen- no essere soggette a notevoli revisioni quando si analiz- tazioni che sono rappresentativi e distintivi del gruppo zano in dettaglio gli usi propri delle diverse comunità. culturale che li ha prodotti. L’abito di una bambina di Tra i cinque e gli undici anni, dunque, maschietti e fem- Ollolai di due anni è perciò assolutamente distinguibile minucce indossano abiti molto simili a quelli dei loro da quello delle coetanee di Bitti o Desulo. genitori, con le gradualità di pregio che le condizioni Questi abiti vengono indossati per un lasso di tempo sociali consentono, e con qualche differenza anche per abbastanza breve prima del passaggio alla fase successi- l’uso festivo o giornaliero non tanto nel modello quanto va, compresa tra i cinque e gli undici anni, per la quale nell’ornamentazione e nelle condizioni di usura dell’abi- si ricorre a varianti semplificate dell’abbigliamento degli to stesso. La documentazione sull’abbigliamento infantile 307

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per questa fascia di età non è vasta, né lo sono i capi 509 d’epoca arrivati sino a noi, destinati, infatti, a passare di fratello in fratello fino alla loro distruzione. Si rin- Si può dunque affermare che, nella gran parte dei tracciano però notizie interessanti anche attraverso casi, l’abbigliamento delle bambine compren- fonti inaspettate: nel mese di maggio del 1911 morì deva capi analoghi a quelli delle giovani improvvisamente ad Orosei una bimba di cinque donne realizzati con tessuti più modesti e anni; una lettera anonima accusò il patrigno di aver con scarso ricorso a ricami e altre orna- causato la morte della piccola per avvelena- mentazioni. L’impiego dell’orbace per le mento mentre la moglie, all’alba, lavava i gonne infantili scompare rapidamente panni al fiume. Ne derivò un procedimento sostituito dalle indiane, più a lungo però penale al termine del quale il patrigno ri- resiste nelle zone montane. L’insieme sultò essere innocente. Lo studio degli atti costituito da corpetto e camicia bianca è processuali si è rivelato prezioso per la pre- comune ancora nel primo ventennio del cisa descrizione dell’abbigliamento della Novecento quando inizia ad essere sosti- piccola. Fu infatti ordinata l’esumazione della tuito dalla camicia o blusa di cotone a salma, ma essendo stato esumato per errore il piccoli decori, tagliata nei modelli alla mo- cadavere di un’altra bimba, morta nello stesso da. Le calzature, che sono assai costose, non periodo, fu chiesto alla madre della piccola di riferire dettagliatamente sugli indumenti che sua 509. Corpetto festivo, solopàttu, Bitti, inizio sec. XX figlia indossava al momento del decesso e dell’inu- Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni mazione, proprio per fugare ogni dubbio sul rico- Popolari Sarde. noscimento del corpo. Nella dolorosa deposizione della madre troviamo pertanto sia la descrizione del- 510. Corpetto festivo, provenienza sconosciuta, l’abbigliamento giornaliero generalmente usato da prima metà sec. XX, Sassari, coll. privata. tutte le coetanee del paese, sia degli abiti che costitui- scono l’insieme tipico dell’abbigliamento festivo. La 511. Corpetto festivo e di gala, pàla a sùpra, madre informa anche della qualità e dello stato di con- Nuoro, inizio sec. XX, Nuoro, coll. privata. servazione dei vari indumenti e precisa che alcuni capi e i gioielli furono rimossi prima dell’inumazione.136 512. Gonna festiva e di gala, tùnica, Nuoro, prima metà sec. XX, Nuoro, coll. privata. 308 510

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differiscono dai modelli giornalieri delle donne adulte; 511 dove le condizioni climatiche lo consentono si utilizzano zoccoli di legno o si va del tutto scalze. L’abbigliamento dei maschietti di pari età è anch’esso una versione semplificata di quello degli adulti, compo- sto da calzoni e camicia di tela di cotone o lino con o senza l’uso del calzone a gonnellino di orbace. L’insieme di base è ovunque costituito dai calzoni di tela bianca e dalla camicia di tela sulla quale può essere sovrapposto un corpetto o un giubbetto; in questo caso le calzature sono spesso assenti. I bambini più grandetti o i figli dei possidenti completano l’insieme con gonnellino di orba- ce, cintura e uose e, in questo caso, indossano sempre scarponcini di pelle con suola chiodata. I copricapo so- no simili a quelli degli adulti sia nei modelli a sacco sia nelle fogge basse rotondeggianti. Per qualità e originalità spiccano i modelli detti zizzìa o giggìa con i relativi di- minutivi zizziéddu o cicciéddu; si tratta di berretti bassi, rotondi, confezionati in panno di lana, velluti di cotone e seta, decorati con ricami, applicazioni di vetrini e lustrini, 512

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513 514 515 513. Luciano Baldassarre, Ortolana sassarese, 1841, canutiglia, talvolta ornati anche con nappe e cordoncini litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; o semplicemente percorsi da impunture policrome; Cagliari, coll. Piloni. questa foggia è comune a tutta l’isola, ma gli esemplari 514. Ottana, inizio sec. XX, foto d’epoca. conservati provengono soprattutto dalla Sardegna cen- 515. Bitti, inizio sec. XX, foto d’epoca. trale e da Bitti anche se le fonti iconografiche, fotografi- 516. Nuoro, fine sec. XIX, fotografia di Antonio Ballero. che e orali ne documentano un uso molto più esteso. Le due ragazze indossano l’abito di Oliena. Anche per i maschietti, dopo gli anni Venti del Nove- 517. Desulo, 1955, fotografia di Mario De Biasi. cento si assiste alla graduale introduzione di calzoncini, camicie e copricapo di foggia moderna, che finiranno 516 per soppiantare l’insieme appena descritto. La quotidianità e la festa prevedono una qualità vesti- 310 mentaria differenziata anche per l’abbigliamento infanti- le; è stato già detto che il primo requisito dell’abito festi- vo è quello di essere in buono stato e non sembri cosa da poco in una società nella quale procurare anche una minima dotazione vestimentaria per tutta la famiglia ri- chiede una attenta gestione delle risorse e frequentissi- mo è l’adattamento di capi smessi. La biancheria intima è generalmente inesistente o ridotta all’essenziale ad ecce- zione delle sottogonne, dei copribusto, delle sottovestine e delle maglie intime che non differiscono da quelle de- gli adulti. Le sole fonti orali testimoniano l’uso diffuso delle mutande, per le bambine, a partire dal primo No- vecento, con le solite eccezioni per le classi disagiate o per comunità particolarmente conservative; al contrario nelle famiglie agiate, soprattutto cittadine e di estrazione borghese, il corredo intimo deve ritenersi assai più con- sistente. Per i maschietti vale la stessa osservazione, an- che considerato che i calzoni di tela dell’insieme tradi- zionale fungevano al contempo da capo intimo e che solo con l’introduzione dei calzoni di foggia moderna si diffonde l’uso delle mutande. La condizione di lutto inte- ressa anche i bambini. In caso di morte dei genitori i

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bambini più piccoli portano sulle vestine dei bottoni o femminucce. Molti sono i casi in cui lo stato di indigenza dei nastri neri; quelli più grandi indossano abiti neri o di gran parte delle famiglie non permette di osservare scuri per un periodo di tempo che varia dai sei mesi ad queste regole se non ricorrendo alla carità di vicini di ca- alcuni anni; la prescrizione del nero riguarda soprattutto sa e parenti; in mancanza di questi aiuti i bimbi conti- le bambine, mentre per i bambini è sufficiente l’uso di nuano ad indossare i loro abiti giornalieri, spesso mal- abiti scuri. Seguire le prescrizioni vestimentarie per il lut- conci, che nello stato di usura, piuttosto che nel colore, to costituisce un impegno economico rilevante: è pertan- mostrano il segno della loro dolorosa condizione di orfa- to naturale che la pratica più diffusa sia quella di tingere ni. Lo stato di mezzo lutto o di lutto leggero interessa so- di nero gli abiti solitamente usati, ottenendo spesso colo- prattutto le bambine che, in caso di morte di fratelli, ri scuri, ma non il nero assoluto, o di riciclare indumenti nonni o zii, aggiungono all’abito giornaliero un fazzolet- neri da adulto. Al lutto stretto segue almeno un anno di to scuro, mentre i maschietti portano una fascia di tessu- lutto intermedio o mezzo lutto segnato da abiti dalle tin- to nero o bruno sul braccio o su uno degli indumenti te sobrie e dall’uso di un fazzoletto giallo o nero per le che coprono il tronco. 517 311

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519 518 518. Cuffia festiva, carètta, Bitti, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 519. Copricapo festivo maschile, ciccìa, Bitti, inizio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 520. Cappottino festivo, cappottéddu, Nuoro, 1924 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 312 520

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Note 1. Il dibattito sul termine “costume” è in atto lucchese, l’uso delle bende par che sia ricor- 22. Sono di dimensioni notevolmente più da diversi anni sia in ambito regionale che na- dato soltanto per indicare il passaggio dall’in- grandi dei precedenti; le dimensioni del lato zionale. Non è possibile rappresentare in nota fanzia all’età adulta, là dove è scritto … “femi- variano da cm 83 a cm 160, ma i più comuni i contributi dei numerosi studiosi per i quali si na è nata, e non porta ancor benda” (Dante, sono quelli con misure medie di cm 120 circa, rimanda, pertanto, alla bibliografia generale di Purgatorio, XXIV, 43)». per lato. questo volume. 13. Il giallo è il colore riservato ai copricapo da 23. La gran parte degli scialli in tibet vengono 2. G. Deledda 1972, pp. 103-104. Vedi anche lutto il cui uso è attestato, almeno fino al primo importati dalla Toscana, dalla Lombardia e dal E. Delitala 1964. decennio del Novecento, in gran parte della Veneto dove sono diffusi a livello popolare, so- Sardegna e in particolare a Busachi, Nuoro, prattutto a Venezia, fin dalla seconda metà del- 3. M. Carosso 1984. Mamoiada, Sorgono e Meana, per citare solo l’Ottocento. La diffusione in Sardegna, dove si qualche esempio. Ciò conferma la regola, dif- utilizzano come copricapo soprattutto nella ver- 4. E. Vittorini 1952. fusa ampiamente in area europea, di riservare sione ricamata, aumenta sensibilmente dopo gli questo colore agli “esclusi”: musulmani, ebrei, anni Venti del Novecento quando se ne intensi- 5. F. Alziator 1963, Luzzietti, tavv. 21, 39. prostitute, boia, vagabondi, segnalando la loro fica la produzione e il loro prezzo di mercato li diversità con un nastro, un simbolo o un indu- rende evidentemente accessibili ad una larga 6. F. Alziator 1963, Luzzietti, tavv. 21-22, 40. mento obbligatoriamente giallo. Il giallo viene utenza. La variante in tinta unita di tibet di caricato di significati negativi a partire dal Me- grandi dimensioni (cm 180x180) e quella di la- 7. Nicola Tiole 1990, tavv. 87-88. dioevo e non è da escludere che, proprio da na bouclé con frange tubolari diventerà capo un passato così lontano, provenga l’uso di que- caratterizzante dell’abbigliamento popolare di 8. Un vivo ringraziamento per la cortese colla- sto colore per il copricapo femminile da lutto; “transizione” costituito da fazzoletto di tibet, borazione va al personale del Museo Naziona- la condizione di lutto comporta infatti un tale scialle, blusa, gonna lunga e grembiule. le delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma e a numero di restrizioni e proibizioni che, a ben quello del Museo della Vita e delle Tradizioni guardare, fanno della donna, e della vedova in 24. Le dimensioni medie sono di cm 150x150 Popolari Sarde di Nuoro. Non potendo farlo particolare, una sorta di reietta. Se si considera nelle forme quadrate, cm 100x120 in quelle singolarmente si ringraziano tutti coloro che, che la produzione serica è già affermata ad Or- rettangolari. nel corso delle ricerche sul campo, hanno ge- gosolo nella seconda metà del XVIII secolo e nerosamente offerto informazioni e suggeri- che da sempre si allevano esclusivamente ba- 25. È costituito da un elemento trapezoidale chi a bozzolo giallo, è possibile ipotizzare che con lato maggiore di circa cm 185, minore di menti; importanti momenti di approfondi- il colore del copricapo femminile giornaliero e cm 73 e lati obliqui di cm 137 ciascuno. Lungo mento e riflessione sono anche derivati di gala fosse in origine di colore giallo pallido il lato breve è unito ad un altro elemento di dall’incontro con appassionati e stu- dovuto al colore naturale del filato. Nel tempo, forma rettangolare di cm 73x96; questo ele- diosi locali nell’ambito delle attività ormai persa la memoria del simbolismo negati- mento è fatto in tessuto doppio. Lungo i lati svolte dall’autrice presso l’Istituto vo del giallo, al pari di altre modifiche introdot- obliqui del trapezio e nel punto di unione con Superiore Regionale Etnografico te nel vestiario, anche il copricapo può aver il telo rettangolare sono applicate, a distanza di Nuoro. subito una sorta di restiling cromatico tramite regolare, 44 anelline in metallo o asole a pon- l’utilizzo dello zafferano col quale si tinge la te. Attraverso tali anelle si infila un nastro che 9. Cfr. la vasta iconografia relati- trama prima della tessitura per ottenere un gial- arriccia l’indumento e lo fissa al punto vita. La va alla prima metà dell’Otto- lo più intenso e dorato. Anche ad Orgosolo il parte rettangolare doppia ricade sulla parte po- cento: A. della Marmora 1826; lutto vedovile prescrive l’uso di bende di seta steriore della gonna, quella trapezoidale viene tinte di nero ben serrate attorno al volto. rialzata sulla testa, per questa ragione, lungo il F. Alziator 1963, Cominotti; lato maggiore è presente un alto bordo che dà F. Alziator 1963, Luzzietti; 14. Per la produzione serica in Sardegna e in più consistenza all’indumento. Nicola Tiole 1990. Nella particolare ad Orgosolo vedi G. Carta Manti- glia, A. Tavera 1992. 26. P. Casu 2002, lemma cappìtta: Bunneddha collezione Piloni di Ca- a cappitta gonna che si metteva sul capo e gliari sono conservati im- 15. Le dimensioni del lato variano da cm 70 a scendeva sulle spalle e la schiena come uno portanti documenti ico- cm 90-100. scialle o un mantello. nografici del secolo XIX. 16. I più grandi misurano cm 175x175, la mi- 27. A. della Marmora 1826; vedi anche A. Usai 10. Il Casu riporta una sura media è di cm 100 per lato. 1977 dove invece il termine suncurinu sta per notizia curiosa al lem- “giustacuore”. ma carètta, scrive 17. “I Mezzari tra oriente e occidente” 1988. infatti: «Siccome an- 28. Per i modelli tempiesi raffigurati dal Tiole ticamente i cadaveri 18. Le dimensioni del lato arrivano ad un mas- vedi E. Delitala in Nicola Tiole 1990, pp. 33-34. si seppellivano col simo di cm 90 per gli esemplari più antichi, capo coperto da mentre in quelli più recenti le dimensioni del 29. A. della Marmora 1826. una cuffia, si dice lato si riducono fino a cm 50. per ischerzo: ancu 30. Copricapo ornati di fiori e piume, indossati sias in carètta! possa 19. Le dimensioni medie sono di cm 50-60 in insiemi di gala con casacchini del tutto simili per lato. a quelli sardi, sono usati in Spagna. Per l’uso di avere in testa la cuffia dei de- copricapo piumati di tradizione cinquecente- funti! Forse si vuole anche significare: 20. È ancora in corso lo studio di copricapo di sca, in ambito popolare, vedi G. Butazzi 1981. possa essere come i bimbi in cuffietta». P. Ca- questa foggia provenienti da Nuoro, Oliena, su 2002. Fonni, Ollolai e da altre località della Sardegna 31. F. Alziator 1963, Luzzietti. centrale. 11. Le bende hanno dimensioni assai variabi- 32. Così F. Alziator (1961) commenta: «Né la li, comprese tra cm 160 di lunghezza e cm 40 21. Le dimensioni di questo tipo di scialle va- descrizione dell’Angius né quella del Della di larghezza. riano da cm 83x85 a cm 98x98. Marmora fanno riferimento al copricapo raffi- gurato nella tavola. Il secondo Autore, tuttavia, 12. R.L. Pisetsky (1964-69, vol. II, p. 122) scri- ve, a proposito dell’uso di questo tipo di co- pricapo: «Ma in Dante stesso, quando il poeta si fa profetare dal rimatore Buonaggiunta de- gli Orbicciani, il gentile amore di Gentucca 313

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rappresenta due donne di Sinnai nella tavola za, le vedove di condizione agiata indossano, finire una veste preziosa detta skaramaggiov u VI della I e II edizione dell’“Atlante” con copri- alla fine dell’Ottocento, un giubbetto di panno crusoufanv tou o scaramangum indossata dal- capo duro, ma mentre quello di Oristano è a nero con la manica completamente chiusa, l’imperatore e dai dignitari in occasione della cupola, questo è a cilindro». detto corìttu, che viene associato a tutti i capi Santa Pasqua e di altre solenni festività religio- prescritti per l’abito nuziale e di gala confezio- se. Tale indumento poteva essere una lunga 33. M.L. Wagner 1960-64, lemma kamís˙a. nati in nero e con ricami in tinta. Dopo il 1930 tunica di colore variabile a seconda del tipo di questo capo sembra completamente in disuso ricorrenza e con bordi ricamati e dorati ed era 34. Per il termine lìnza usato a Nuoro vedi il e le vedove indossano il modello di giubbetto riservato appunto all’imperatore e ai dignitari confronto con il termine linja usato in Alba- con la manica aperta, confezionato in nero. di corte. Per il clero era prescritto l’uso in oc- nia, Bosnia Erzegovina, Dalmazia e Montene- casione della morte dell’imperatore. Lo stesso gro per indicare un elemento essenziale del- 48. A. della Marmora 1826. nome veniva anche attribuito ad un abito d’u- l’abbigliamento femminile, cioè la camicia so militare. Vedi E. Manara, “Gli abiti di corte lunga, munita di lunghe maniche. (“La chemi- 49. Valery 1996. dal De Cerimonis di Costantino VII Porfiroge- se «Dalmatica» un élément paleochrétien”, in nito e i riferimenti ai costumi dei personaggi Études et documents balkaniques et méditer- 50. Le fonti iconografiche più antiche e i re- raffigurati sui pannelli musivi del S. Vitale in ranéens, p. 31). Lo stesso termine linja è usato perti d’epoca ne attestano senz’altro l’uso a Ravenna”, in Aspetti e problemi degli studi sui nei villaggi calabresi di origine albanese, Vena Quartu Sant’Elena, Sinnai, Monserrato e Selar- tessili antichi (II Convegno C.I.S.S.T., Firenze di Maida e Caraffa per indicare camicie lun- gius. La diffusione di questa foggia, riservata 1981), a cura di G. Chesne Dauphinè Griffo, ghe, vedi M. De Fontanés, “Les vêtements tra- ad una ristretta cerchia di possidenti, sembra Edizioni C.I.S.S.T., Firenze 1981. Sulla deno- ditionelles de deux villages de Calabre (prov. essere documentata anche in altri centri vicini. minazione di skaramangia data ad abiti di De Catanzaro) d’origine albanaise, Vena et Ca- corte vedi anche G. Paulis 1983, p. 134. raffa: Essai d’approche historique”, in Per una 51. Altri elementi dell’insieme di gala teuladi- storia del costume mediterraneo 1994. no, quali la gonna di panno rosso e il grem- 64. Nicola Tiole 1990, tav. 5 (Nouveaux Mariés- biule a ventaglio, lo avvicinano al modello ve- Cap de Cagliari); tav. 8 (Paysanne des environs 35. G. Deledda 1972. stimentario in questione. de Cagliari); tav. 18 figura a sinistra (Paysan des environs de Cagliari aux jours de fête); tav. 35 36. Le dimensioni variano da cm 2 a cm 5. 52. Nicola Tiole 1990, tavv. 5, 18, 55, 77; Dalsa- (Habitans du Campidano de Cagliari); tav. 77 ni, in Il Buonumore 1878, tav. 6; cfr. anche la (sposa con due figure) senza didascalia. F. Al- 37. Per la diffusione del ricamo vedi P. Pique- fig. 159 a p. 110 di questo volume. ziator 1963, Luzzietti, tavv. 18, 20. reddu 1990, p. 333 sgg. 53. Si tratta di un raro esemplare conservato 65. Si evita di usare ganci o bottoni metallici 38. Per le caratteristiche del ricamo teuladino presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizio- perché l’operazione di candeggio effettuato vedi C. Rapallo 1983. ni Popolari di Roma. con la lisciva poteva corrodere il metallo mac- chiando il tessuto. 39. Le dimensioni di queste pieghe sono in 54. L’altezza dei polsini varia da cm 7 a cm 10. media di cm 1 negli esemplari di Bitti, Dorgali, 66. Cfr. in Nicola Tiole 1990 le tavole: n. 52 (De- Nuoro, Oliena, Orani, Orgosolo; stirature parti- 55. F. Alziator 1963, Luzzietti. Questo tipo di sulo); n. 73 (Desulo e Sorgono); n. 76 (Meana) colarmente raffinate prevedono anche pieghe gonna è indossato anche da una figura fem- e le tavole in A. della Marmora 1826, Atlas. di cm 0,5, quali quelle in voga a Orosei, Gal- minile della tavola Costumi sardi di Agostino tellì, Irgoli. Verani, nella collezione Piloni di Cagliari. 67. M.L. Wagner 1960-64, lemma kamís˙a. 40. A. Bresciani (1850) spiega l’uso di questo 56. La larghezza del punto vita è, in media, di 68. M.L. Wagner 1960-64 e P. Casu 2002, lem- fazzoletto copriseno con l’esigenza delle ra- cm 90 ed è compresa tra i cm 250 e 280 in ma cànsciu: In cànsciu in camicia. gazze del circondario di Cagliari, che si reca- corrispondenza dell’orlo inferiore. vano in questa città, di nascondere agli occhi 69. Alcune fonti hanno riportato la consuetu- dei forestieri le forme del seno troppo eviden- 57. Le ampiezze variano da cm 380 a cm 500. dine della minzione in posizione accovacciata ziate dalle camicie senza dover rinunciare ai o eretta delle donne sarde, continuata, in casi consueti corpetti. Il fazzoletto poteva tra l’altro 58. A Quartu Sant’Elena e nei paesi vicini il sporadici, fino alla metà degli anni Cinquan- essere tolto facilmente mentre si rientrava nel nome di questo tessuto ha dato il nome ad ta; tali funzioni venivano svolte in pubblico, proprio paese di origine dove l’insieme tradi- uno degli insiemi vestimentari detto su bistìri senza spostare alcun capo di abbigliamento a zionale non creava né scalpore, né imbarazzo. de abrodàu che sanciva il passaggio dalla fan- conferma del fatto che le mutande non erano Vera o no questa esigenza sembra comunque ciullezza alla giovinezza. capi del tutto comuni neppure in quegli anni. essere confermata dall’iconografia e l’inizio di questo uso non pare essere anteriore alla se- 59. La larghezza del pannello anteriore corri- 70. Valery 1996, p. 204. conda metà dell’Ottocento. sponde all’altezza del telo d’orbace, vale a di- re cm 50-60. 71. Sulla gioielleria tradizionale in Sardegna 41. Per lo studio dei busti rigidi vedi lo studio vedi la bibliografia generale. di G.M. Demartis 1998. 60. «Un pittoresco uso delle donne nuoresi è il rigettarsi la tunica sulle spalle (“a tunica ghet- 72. Vedi il ritratto di Maria Piras, e i giubbetti 42. Così l’Angius descrive l’abito di Bitti: «Sopra tada in coddos”). Ed ecco come: dopo averla raffigurati nelle tavole n. 14, 31, 35 in F. Alzia- il giubboncino di scarlatto (su corìthu) hanno indossata si piglia per i lembi del davanti e si tor 1963, Luzzietti, e in quelle n. 9, 35, 40 in la pala che consta di spalliera, e di antipetto, e rigetta prima su una spalla e poi sull’altra in Nicola Tiole 1990; cfr. inoltre le figg. 222-223 a questo in una forma non dissimile alla sum- modo che la tunica copre tutto il davanti della p. 150 di questo volume. mentovata caretta copre bene il petto», e quel- persona e ricade dietro descrivendo un V, col lo di Orune e il suo corpetto che pare essere suo orlo colorito lungo il dorso. Quando fa 73. Per i fazzoletti da mano e i ventagli vedi in proprio uguale a quello bittese: «Le donne usa- freddo e piove si getta in testa. Le nuoresi particolare le tavole n. 5, 35, 38, 53, 55, 58, 77, no la benda, come esse dicono, o il velo di li- hanno la mania dei fianchi prominenti. Perciò 82, 87, 88 in Nicola Tiole 1990 e quelle del Dal- no gentile, il giubbetto (su corittu) tutto fodera- indossano quante più tuniche hanno. Le spo- sani, in Il Buonumore 1878, n. 10, 12, 14, 18. to a velluto rosso o azzurro con vari ricami, se devono averne almeno tre in modo che con maniche fesse in avanti, che vestesi sopra sotto l’orlo di una si scorga quello dell’altra». 74. E. Vittorini 1952. un busto (s’imbustu) il quale in avanti gonfiasi G. Deledda 1972, p. 122. a somiglianza d’un petto di gallo con la testa 75. A. della Marmora 1826, Atlas. senza collo, sotto il quale portasi un corpetto di 61. Per i modelli di gonne unite al corpetto co- panno giallo, guarnito a velluto o nastro rosso me lo scarramàgnu vedi gli esemplari pubbli- 76. A. Bresciani 1850. o in broccato». V. Angius, in G. Casalis 1833-56. cati in Il merletto nel folklore italiano 1990, pro- venienti da Spezzano Albanese, si tratta di 77. Vedi, ad esempio, le tavole in F. Alziator 43. Vedi anche A. della Marmora 1826, Atlas. gonne molto sottili, con fitta plissettatura, unite 1963, Luzzietti: n. 1 (Macellari di Cagliari), n. ad un sottile corpetto con bretelle (XIX sec.), e 37 (Uomo di Sassari), n. 44 (Villani d’Osilo). 44. Dalsani, in Il Buonumore 1878, tav. 32. da Frascineto, con gonne a pieghe unite al cor- petto (pp. 313-316). Vedi anche gli esemplari 78. A. della Marmora 1826, Voyage. 45. J.C. Flügel 1987, p. 85 sgg. di gonne in pesante tessuto di lana, con breve corpetto a fascia e bretelle in España: tipos y 79. Resta incerto il modello del copricapo de- 46. Tali combinazioni meriterebbero uno studio trajes por Jose Ortiz Echagüe 1957. nominato camàuru o camàulu che il Wagner approfondito che può essere condotto soltanto (1960-64) traduce “lungo berretto” (lemma all’interno di trattazioni di carattere monografico 62. Vedi l’articolo di T. Putzu, G. Manca, “Iscar- kamáuru) e il Casu (2002) “berrettone” (lem- data la quantità di significati che esse comuni- ramàgnu, l’antico costume di Orani”, in Sarde- ma camàulu); dato che sia l’uno sia l’altro au- cano all’interno delle diverse comunità. gna Antica, a. IV, n. 7, 1° semestre 1995. tore ne evidenziano l’uso da parte di sacerdoti e che il termine “camauro” indica comunemen- 47. A Nuoro ad esempio, dove il giubbetto 63. Il termine iscarramagnu non risulta essere te la cuffia papale di velluto o raso di seta ros- chiamato zippòne è di colore rosso scarlatto e usato in altri paesi dell’isola per definire un so sagomata che scende fin sotto le orecchie, è presenta la manica aperta per tutta la lunghez- indumento popolare, mentre proprio lo stesso probabile che il termine di origine medievale termine è presente alla corte bizantina per de- 314

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si sia conservato in Sardegna, per indicare una 99. Le camicie sarde della fine dell’Ottocento 124. Cfr. nota 9. cuffia sagomata da utilizzarsi in ambito familia- presentano in molti casi ricami raffinatissimi re. Dell’esistenza di un copricapo in disuso già anche se poco appariscenti e rifiniture ad ar- 125. A. della Marmora 1826, Voyage. nel primo ventennio dell’Ottocento, presumi- chetti a “punto in aria”. Per questo tipo di rifi- bilmente proprio il camàulu, dà notizia il Del- nitura vedi R.L. Pisetzky 1964-69. 126. Cfr. la bibliografia generale di questo vo- la Marmora 1826, Voyage, che così scrive: «Al- lume. cuni abitanti del Campidano, vicino a Samassi, 100. Cfr. nota 9. raccolgono i capelli in una borsa di tela sulla 127. A. della Marmora 1826, Voyage. quale mettono una specie di calotta di panno; 101. Riguardo al fatto che il corpetto deve es- ma è un uso che sta per finire e non lo si trova sere indossato preferibilmente sotto altri indu- 128. «Usano i bonorvesi nel vestire maggior più che tra i vecchi». Vedi anche la descrizione menti quali giacche, cappotti ecc., si segnala eleganza degli altri del dipartimento. Molti però del copricapo di Armungia di V. Angius, in G. che il nome solopàttu, soropàttu e soropàu, alle brache (sas ragas) sostituiscono i pantaloni Casalis 1833-56. usato a Bitti, Orune, Lula, Orgosolo, sembra di panno ruvido. Nell’estate vestono gli usatti- derivare dallo spagnolo solopado che significa ni, o borsacchini di pelle di daino, in vece del- 80. Vedi F. Orlando 1998, p. 54. e F. Manconi “nascosto”. Vedi M.L. Wagner 1960-64, lemma le calze di panno». V. Angius, in G. Casalis 1992. solopáttu. 1833-56. 81. Tra i pochi copricapo d’epoca ancora esi- 102. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 2 (Majuoli). 129. A. della Marmora 1826, Voyage. stenti si segnala quello conservato al Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di 103. Le dimensioni variano dai 5 ai 25 cm. 130. L’abito festivo di Iglesias conservato al Roma, relativo all’insieme vestimentario del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popo- pescatore di Cagliari. 104. Questa tipologia è chiaramente descritta lari di Roma comprende anche un paio di cal- in Nicola Tiole 1990, tavv. 91, 93, 95. ze in filo di cotone lavorato a maglia rasata. 82. Cfr. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 2 (Ma- juoli). 105. A. della Marmora 1826, Voyage. 131. Sulla gioielleria tradizionale in Sardegna vedi la bibliografia generale di questo volume. 83. La berretta rossa rigida usata dai rigattieri 106. G. Della Maria, “Folklore sardo nel Mu- è probabilmente un fez. seo delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma”, 132. Molto spesso, inoltre, alla cintura sono in L’Unione Sarda, a. LXIX, n. 285, 30 novem- appesi acciarini per pietra focaia. 84. Tale foggia, che è assai comune in tutta bre 1957. l’isola e potrebbe risalire ad età rinascimentale, 133. M.L. Wagner 1960-64, lemma cˇimússa. è attestata in numerose illustrazioni della prima 107. Per lo studio del cappotto serenìccu vedi metà dell’Ottocento, vedi F. Alziator 1963, Luz- l’importante lavoro di S. Pira 1993. 134. Valery 1996, p. 149. zietti, tav. 37 (Uomo di Sassari), tav. 44 (Villa- ni d’Osilo). La stessa definizione a cécciu pare 108. Queste decorazioni sono presenti anche 135. M.L. Wagner 1960-64; P. Casu 2002. derivare dal cencio che è un cappello floscio nel secondo esemplare di serenìccu, non pub- di tessuto morbido simile alla berretta sarda. blicato, e conservato nelle raccolte del Museo 136. «Spogliata degli abiti che indossava, consi- Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di stenti in un grembiulino di filo a fondo grigio 85. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 15 (Uomini Roma. a piccoli quadrettini di colore scuro e di una di Bosa) la berretta nera, schiacciata, può es- maglia di lana bianca orlata ai bordi e all’incol- sere una berretta corta o anche una specie di 109. Vedi tavole in Nicola Tiole 1990, F. Alzia- latura, fu rivestita col costumino di Orosei e berretto a tamburello. tor 1963, Luzzietti, e di Agostino Verani con- cioè, conservando la maglia già notata le fu servate alla collezione Piloni di Cagliari. fatta indossare una camicia di lana cabrik, or- 86. Vedi di Raffaele Arui I macellai (metà sec. lata di pizzo con margini a linguette, l’orlo ri- XIX), tavola conservata al Museo G.A. Sanna 110. M.L. Wagner 1960-64, lemma picˇcˇinnáu: camato a trapunta con dei ricami a forma di di Sassari. «camp. “spezia de pannu po fai cappottus”, cuoricini, abbottonata agli occhielli con due “fioretto di Spagna e di Napoli” (Porru, App.)». bottoncini … Inoltre un giustacuore o corpetto 87. M.L. Wagner 1960-64, lemma cˇicˇcˇía. Il Ca- foderato all’interno di stoffa color limone e al- su (2002), che pure riporta il termine, lo tradu- 111. Cfr. nota 9. l’esterno con stoffe di due colori, uno bianca- ce “copricapo, berretto”, senza alcuna descri- stro e l’altro che era giallastro. Il margine ante- zione. Il Wagner li descrive come berrettini 112. F. Alziator 1963, Luzzietti, alla tav. 47 riore del lato foderato di stoffa color limone, rotondi di panno, di fustagno o di orbace sen- (Tempiesi). cioè interno aveva una orlatura di colore rosso za ala né visiera, senza dare alcuna informa- a fiorami e dal lato esterno una orlatura di co- zione sul loro uso se non che il diminutivo in- 113. Il mantello è lungo in media cm 300x140. lore celeste leggermente fiorata. L’orlatura infe- dica il berrettino dei ragazzini. riore del corpetto era di stoffa (di seta), di co- 114. A. della Marmora 1826, Voyage. lore rosa e pieghettata … Le due alette del 88. Vedi la tav. 27 (Uomini del Marghine) in corpetto erano tenute assieme da un nastro F. Alziator 1963, Luzzietti. 115. V. Angius, in G. Casalis 1833-56. pure di colore rosa … Inoltre una sottanina di tela bianca, liscia e allacciata in vita con un le- 89. Ancora nel primo Novecento i laboratori 116. Cfr. le tavole Costumi sardi e Tempio di gaccio di cotone, ed una gonnellina fondo blu tunisini alimentavano il commercio di questi Agostino Verani conservate alla collezione Pilo- chiaro con delle righe parallele longitudinali copricapo in tutto il Mediterraneo. ni di Cagliari. Simile a questa foggia anche disposte a coppia, una scura e l’altra giallastra, quella raffigurata alla tav. 37 in F. Alziator 1963, senza calze né scarpe. In testa le fu messo un 90. A. della Marmora (1826, Voyage), ritiene Luzzietti. fazzoletto a fondo di colore granato scuro con che questo modo di indossarlo non sia molto leggera fioritura … e nuovo di bottega. Aveva antico. 117. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 10. i capelli di colore castagno chiari, leggermente ricci, abitualmente aveva le trecciuole, ma non 91. Dalsani, in Il Buonumore 1878, attesta di- 118. A. della Marmora 1826, Voyage. ricordo se nel momento in cui fu deposta nella versi esempi di questa foggia di copricapo, cassa le aveva ancora. Ricordo che io, prima oltre le tavole qui pubblicate vedi la tav. 40 119. Calzoni a gonnellino o a girello di vario di deporla nella cassa, le avevo messo una ro- (Costume giornaliero di Pauli-Pirri). tipo sono presenti nell’abbigliamento popola- sa infilata nello sparato della camicia … non re europeo per tutto il XVIII e parte del XIX so se nella bara siano stati pure messi altri fio- 92. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 9, 17, 19. secolo. ri. So che la stessa mia suocera nel deporla nella bara le mise sotto la testa un capezzalino 93. A. della Marmora 1826, Voyage. 120. F. Alziator 1963, Luzzietti, tav. 7 (Vendi- foderato di stoffa a righe bianche e grigie … tor d’erba). Vedi anche G. Della Maria: «Il co- Ripeto ancora che quando tornai dal fiume 94. V. Angius, in G. Casalis 1833-56. lore nero delle ragas non era comune a tutti i trovai che detta mia figlia aveva ai polsi e alle costumi sardi. Oltre la documentazione icono- caviglie allacciati dei fili bluastri che le furono 95. M.L. Wagner 1960-64, lemma montèra grafica suddetta, comprova ciò il della Marmo- messi non so se da mia suocera o da altre per- log. “berretto di pelle”. ra e, particolarmente il Floris, il quale indica sone accorse, contro sos pipios cioè rimedio che – nella seconda metà del ’700 – i cagliari- contro le convulsioni dei bambini secondo il 96. Per l’abbigliamento dei gremi vedi C.A. tani, sassaresi e bosani usano le braghe anche costume locale. Fornisco a maggiore chiari- Sanna, Sassari: storia dei gremi e dei cande- d’un panno color miele, cioè fulvo, ossia gial- mento la foto di detta mia figlia, facendo però lieri, Sassari 1992 e la figura n. 8 della tav. III lo rosso», in N.B.B.S. 1956. notare che degli abiti sopra descritti, al mo- dell’Atlas di A. della Marmora. mento in cui fu deposta nella cassa, aveva la 121. P. Piquereddu 1987, p. 74. camicia che figura di indossare nella fotografia 97. Ancora nel primo Novecento nei Grandi stessa, ma non la sottana e il grembiulino, la Magazzini Angelo Tomè a Sassari sono venduti 122. V. Angius (in G. Casalis 1833-56) eviden- collana, gli orecchini e i bottoni della camicia i cappelli a larga tesa fabbricati dalla ditta Bor- zia l’uso nell’insieme di Posada: «I posadini ve- che figurano nella fotografia». salino proprio per soddisfare la richiesta locale. stono un cappotto di panno forese nero, lun- go sino a’ femori, guarnito di velluto nero o 98. Per le tecniche di ricamo si rimanda al te- azzurro, brache a campana, come dicono per sto delle camicie femminili. l’apertura vasta de’ cosciali, sopra i calzoni di lino con gambiere o borsacchini dello stesso panno, berretto nero o di colore rosso oscuro». 123. A. della Marmora 1826, Voyage. 315

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Tradizione e quotidianità. L’abbigliamento femminile a Ittiri Giovanni Maria Demartis Ancor oggi chi percorre le vie di Ittiri incontra con faci- Fra le diverse gonne quotidiane si possono distinguere lità donne che indossano gli ultimi esiti dell’antico abbi- quelle da lavoro, munnedduzzas, che hanno il retro lavo- gliamento tradizionale, nonostante il paese disti appena rato a semplici pieghe sciolte o ribattute, a pijas bettadas, una ventina di chilometri da Sassari.1 e quelle più pregiate, utilizzate per recarsi in rioni diversi Essendo scomparsa da qualche anno l’ultima ittirese che dal proprio, fittamente plissettate nel settore posteriore ed portava quotidianamente il busto e la camicia, le fogge ai fianchi con pieghette larghe meno di cm 1 che percor- di vestiario popolare che ancora sopravvivono nell’uso rono verticalmente tutta la superficie del tessuto. non folcloristico evidenziano un ibridismo che accosta In entrambe le tipologie le gonne sono lunghe sin quasi lunghe gonne, scialli, grembiuli e fazzoletti-copricapo a alle caviglie e vengono confezionate con sostenute tele bluse e maglioni di tipo commerciale, introdotti progres- di cotone, un tempo fornite da manifatture dell’Italia sivamente dopo il 1950. L’attuale sistema di abbiglia- settentrionale, caratterizzate da motivi a rigato, a scac- mento, utilizzato da gran parte delle donne che hanno chiera e scozzesi con fili tinti – e non stampati – nei vari superato i sessanta-settant’anni e che appartengono a fa- toni del grigio, dell’azzurro, del rosa, su fondo general- miglie dedite per lo più ad attività agropastorali o di mente bianco. piccolo artigianato, mostra una spiccata differenziazione La nomenclatura locale delle stoffe definisce tipologie di fra gli abiti feriali e quelli specifici delle cerimonie. gonne ormai canoniche: munnedda a rigadinu è detta la Al contrario, non esistono appariscenti variazioni volte sottana a righe verticali grigie o blu su bianco, a costas de a manifestare i dislivelli socio economici, come avveni- appiu (a coste di sedano) quella simile, ma a rigato irre- va, invece, in passato nel caso dei costumi di gala.2 golare, a mattones biaittos (a mattoni blu) quella a minuti Le donne che hanno rinunciato a “cambiarsi” con vesti quadretti turchini e bianchi, a mattones quella con vari alla moda, rifiutando una tendenza in auge nel paese decori scozzesi rossi, rosa e blu su fondo color crudo, a soprattutto dal 1960 al 1970, continuano a portare gli petta ’e sorighe (a carne di topo) quella a piccoli quadrati abiti tradizionali, sia perché per loro sono divenuti co- bianchi e rosa intervallati da righine grigie o celesti, ecc. me una seconda pelle, ma anche, come confessano in Tutte le munneddas de teletta hanno il pannello anterio- molte, perché sarebbe dispendioso, con una ridotta re, su cameddu ’e nanti, semplicemente ridotto in vita aspettativa di vita, acquistare un guardaroba “moderno” da quattro larghe pieghe, e chiudono su un lato, com- mentre si ha a disposizione un corredo di indumenti ti- pletamente aperto verticalmente, con bottoni a pressio- pici che deve essere necessariamente sfruttato. ne, in modo che è possibile riporle arrotolate a tubo al Infatti ormai vengono cuciti rari capi, dato che non si rovescio per preservarne la pieghettatura. Presso il punto ritiene più indispensabile affrontare confezioni spesso vita, sottolineato da una striscia di teletta che trattiene le lunghe e costose. Una notevole cura conservativa inte- pieghe, sa trinza, alla congiunzione del settore plissetta- ressa, diversamente, gli indumenti “buoni”, destinati a to con il pannello anteriore, sono risparmiate due fendi- seguire le proprietarie nella tomba ed i vecchi costumi ture verticali, sas mesas portas, una per lato, affinché si di gala che verranno ereditati da figlie e nipoti e sono possa accedere alla tasca sottostante, sa busciacca falza, sfoggiati nelle parate del folclore.3 cinta alla vita con nastri – oggi non più d’uso generale. L’elemento che caratterizza maggiormente l’abito popola- Tali aperture fanno sì, inoltre, che spostando i gancetti re feriale attuale di Ittiri – e con poche varianti della vici- metallici cuciti alla trinza le gonne possano essere adat- na Uri – è certamente la gonna di teletta, sa munnedda tate ai cambiamenti di taglia della proprietaria. de teletta. Le mesas portas, per impedire la rapida usura degli indu- menti, sono sempre rinforzate con un rettangolo di tes- 521. Giuseppe Biasi, Sera a Ittiri, 1914-18, suto in genere uguale a quello impiegato per la balza. pastello e tempera su carta (particolare). Le due donne in primo Questa è di norma più scura della teletta prevalente, ha piano indossano la gonna-copricapo, mentre la bambina sulla sinistra un’altezza di cm 20-30 ed è orlata in basso con uno 521 è avvolta nel grembiule-copricapo. 317

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stretto nastro nero di “lana e seta”. Anche le balze han- no una tipologia quasi fissa e, oltre che nelle telette più cupe già descritte, venivano confezionate con felpe riga- te, peffas, o con una sorta di tela scozzese bianca e blu detta tramagatta. Si deve notare che mentre la stoffa-base delle gonne, quando è a righe, le presenta sempre in senso verticale, per la balza si preferisce la disposizione orizzontale. La predilezione per questo genere di tessuti, ampia- mente usati nel vestiario giornaliero di svariate zone dell’Isola e su una vasta area europea dalla seconda metà del 1800, grazie all’enorme disponibilità di cotone proveniente dalle Indie, è data certamente dal loro costo moderato, dalla discreta resistenza all’usura e da motivi estetici – l’effetto conferito dalla pieghettatura è molto gradevole – ma an- che dal fatto che la griglia regolare delle deco- razioni facilitava l’esecuzione di pieghe picco- le e perfettamente uguali. La pieghettatura era ottenuta a mano, tramite fitte e strette imba- stiture orizzontali, praticate alla distanza di circa cm 2 l’una dall’altra, con resistenti fili di cotone che fermavano le pieghe. La gonna così lavorata (infilada) veniva successiva- mente bagnata con acqua calda perché i tes- suti infeltrissero leggermente fissando le pie- ghe e sovente soltanto dopo diversi anni si rimuovevano i fili, per indossarla. Quando l’indumento, per il lungo uso, per- deva il regolare assetto delle pieghe, s’iscor- riolaìada, era necessario procedere ad una nuova imbastitura, così si faceva dopo i rari lavaggi o se si decideva di tingerlo di colori più scuri. Le sottane di teletta ritenute più pregiate sono quelle più ampie, che richiedevano otto teli lar- ghi cm 50-60, otto cameddos, congiunti fra loro. Le giunture dei teli, coincidenti con le cimose, sono sempre cucite nel verso con la balza, al rove- scio, perché in tempi anteriori le gonne erano double face e fungevano anche da copricapo, come si dirà avanti. Alle sottane appena descritte è sempre associato un grembiule, su pannellu ’e falare, lungo quanto la gonna ed appena increspato in vita. Viene confezionato con le stoffe commerciali più disparate, dalle stesse telette, al ra- so di cotone alle tele stampate o operate, con vari colori e fantasie, quasi sempre scuri. Nei grembiuli da lavoro sono applicate una o due tasche. Il copricapo, muncaloru a corru, del quale oggi si fa a meno in diverse occasioni (ma non in chiesa ed ai fu- nerali), è un fazzoletto commerciale con decorazioni stampate, piegato a triangolo e modellato a soggolo 522-523. Abito femminile giornaliero, Ittiri, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. Le due immagini evidenziano i principali indumenti del vestiario femminile quotidiano di Ittiri, come si presentava attorno al 1950. La gonna di teletta è del tipo detto a mattònes. 522 523 318

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524 ᮤ 525 ᮣ 526 ᮤ 527 ᮣ

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524-527. Grembiule da testa giornaliero, pannéllu ’e cugùddu, Ittiri, prima metà sec. XX Sassari, coll. privata. Solo il grembiule alla fig. 527 ha dei decori stampati “in fabbrica”, gli altri sono realizzati in loco; il colore è dato con il pennello, “a tampone”, utilizzando delle mascherine. 528. Grembiule da testa giornaliero, pannéllu ’e cugùddu, Ittiri, inizio sec. XX Sassari, coll. privata. Il settore più stretto del grembiule cadeva sulle reni, mentre la parte larga, ribaltata, poggiava sulla testa, fasciando il busto. 528

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sotto il mento. Lo si porta di lanetta in inverno e di co- 531 tone nelle altre stagioni, scegliendo colori e disegni al- legros o serios, a seconda delle occasioni. È dato di sapere che la carta, prima della stampa sul tes- Quando si esce di casa con la gonna di teletta è uso so- suto, veniva pazientemente ritagliata con forbicine e la- vrapporre al fazzoletto un grembiule – copricapo –, che mette da barba e che con un ago venivano praticati fo- oggi alcune donne poggiano sugli omeri, detto pannel- rellini per dare effetti di punteggiato. Successivamente lu de cuguddare per distinguerlo da quello normale. con pennelli usati “a tampone” era applicato il colore A differenza di questo, quello copricapo ha sagoma puro (eventuali diluenti avrebbero creato aloni e sbava- quasi triangolare ottenuta da un rettangolo di stoffa ture) evitando spessori eccessivi. L’occhio addestrato strettamente plissettato alla base: quando viene indossa- dell’artigiana, sfruttando abilmente la ripetitività dei pic- to, il settore pieghettato, trinza, cade sulle reni ed il lato coli moduli ornamentali e la guida di righe tracciate sul opposto poggia sul capo, incorniciando il viso ed avvol- raso con il gesso, faceva sì che si producessero piccoli gendo busto e braccia. Il tessuto è lavorato a larghe pie- capolavori che soltanto il tatto permetteva di distinguere ghe, ben visibili quando l’accessorio è nuovo, e la trin- da quelli di fabbrica. Risulta, peraltro, che taluni pannel- za, orlata di terziopelo violaceo, evidenzia cordoncini di los sono decorati mediante un’unica mascherina mentre seta policroma applicati, sos cordones,4 che la decorano per altri ne occorrevano sino a cinque, corrispondenti e nel contempo fissano le pieghette. Per la confezione ad altrettanti passaggi di colore. Non di rado, oltre ai di questo copricapo si sceglievano più spesso stoffe ne- pigmenti ad olio, veniva applicata vernice dorata, anche re variamente stampate, soprattutto raso di cotone, ma da sola, conferendo particolare preziosità ai manufatti. non sono assenti altri tessuti e colori, sempre scuri. Dopo il 1960 fu Giuannina Soro a continuare l’arte dei Numerose decorazioni sono ormai codificate dall’uso: pannellos con ottimi risultati, ma non era raro che altre budrones de ua, fiores indeorados, listrones, rosigheddas, donne tentassero la stampa, per se stesse o per una ri- fozas de nughe, ecc. (grappoli d’uva, fiori dorati, bande, dotta committenza, con risultati sovente imperfetti, ma roselline, foglie di noce, ecc.). Le ornamentazioni erano gradevoli. così radicate che, a seguito della cessazione della produ- Si deve porre l’accento sul fatto che le due artigiane so- pramenzionate, a cui l’esecuzione dei grembiuli, per zione delle stoffe divenute tradizionali da parte delle quanto alternata alle faccende domestiche, permise di fabbriche continentali che le fornivano, negli anni at- contribuire non poco all’economia familiare, non si limita- torno al 1925-30, alcune artigiane ittiresi le riprodus- rono a riprodurre le vecchie decorazioni, ma ne crearono sero stampando in loco raso di cotone nero. È que- di nuove, assecondando l’ansia di novità e di esclusiva di sto l’unico caso finora noto di stampa di tessuti a molte clienti. livello popolare in Sardegna. A dispetto del costo relativamente modesto, l’effetto de- La “maestra” più rinomata di quest’arte era Rai- corativo dei pannellos de cuguddare era infatti notevole monda Ganduffu, scomparsa quasi centenaria pochi anni or sono, alla quale la maggior parte degli informatori ne attribuisce l’inven- zione, sebbene qualcuno asserisca che fu un pittore locale il primo a dipingere di- rettamente ad olio un pannéllu per fare un dono originale. Tia Remunda, invece, utilizzava sì colori ad olio, ma stampava le stof- fe mediante mascherine di carta opportunamente traforate.5 È probabile che l’intelligente artigiana abbia tratto ispira- zione dalle tecniche usate dai decoratori che in varie case ittiresi, almeno dal 1920, ornavano soffitti e pareti tramite stam- pi di cartone. 529. Gonna, munnèdda, Ittiri, anni Cinquanta, Sassari, coll. privata. 530. Gonna, munnèdda, Ittiri, inizio sec. XX, Sassari, coll. privata. Il tessuto della gonna è detto a mattònes, la balza di felpa a rigadìnu. 531. Gonna, su furési o sa munnèdda de furési, Ittiri, inizio sec. XX, Sassari, coll. privata. 530 L’antica gonna in orbace, su furési, con la balza di robusta tela azzurra. 323

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ed il possesso di svariati esemplari consentiva di variare ne lo portavano color avorio). Tipico dello scialle ittire- di volta in volta l’insieme ripetitivo del costume. Essi se è su biccu, una punta che sporge sopra la fronte, permettevano, inoltre, di celare completamente gli indu- prosecuzione della piega mediana, impressa con il ferro menti che vestivano il busto quando non erano in ordi- da stiro, che lo segna verticalmente lungo la schiena. ne e di nascondere fagotti, bottiglie o derrate alimentari, L’abbigliamento appena descritto è in genere anche sottraendoli agli occhi dei curiosi. quello funebre. Nel lutto stretto, che coinvolge le donne È bene rammentare, comunque, che l’uso del grembiu- che perdono il marito, i figli, i genitori o i fratelli, sono le-copricapo non è esclusivo di Ittiri e che, fermando banditi tutti i colori a favore del nero: tutti gli indumenti l’attenzione soltanto sul circondario, lo si ritrova simile debbono essere inornati, si deve portare sempre il faz- ad Uri, con decorazioni più modeste a Thiesi e Romana zoletto e, fuori di casa, lo scialle ben calato sulla fronte; e, monocromo, ad Ossi. si indossano calze nere, non trasparenti. A Ittiri, come in quei paesi, la leggerezza di questi ac- In circostanze luttuose che non le investono direttamen- cessori motiva l’utilizzazione invernale di uno scialle pe- te, come nel caso del decesso di vicini di casa o lontani sante, s’isciallu russu, nero o marrone, solitamente orla- parenti, molte donne si avvolgono in pubblico con il to con grosse frange. grembiule-copricapo alla rovescia, mostrando il lato non Pare quasi inutile insistere sul fatto che i ridotti lavaggi decorato. possibili per gran parte dei capi descritti ne impone una L’attuale sistema vestimentario tradizionale ittirese è l’esi- rotazione; per questo essi sono posseduti in discreto nu- to di uno più articolato e complesso, che ha subìto nel mero da ogni donna, alla quale sin dalla giovinezza la corso dell’800 e del ’900 lente modificazioni, sino all’in- famiglia forniva un corredo (sei gonne, sei pannellos, troduzione, dopo gli anni Cinquanta del 1900, di bluse ecc., in quelli più modesti) da utilizzare lungo tutto il cittadine, di borse e borsette signorili e di “permanenti”. corso della vita. Di queste variazioni, segno di vitalità e di capacità di Ciò avviene anche per il vestiario indossato attualmente adattarsi a nuove situazioni, possono essere seguite le nelle ricorrenze festive, che non si discosta molto da principali scansioni sin dalla fine del 1800. quello del lutto, visto che adotta cromatismi scuri, sino La documentazione che è stato possibile raccogliere fa al nero. Si consideri che la condizione di femina in lut- emergere una foggia femminile che denuncia caratteri di tu (donna in lutto), benché soggetta a minori restrizioni arcaicità e può essere ritenuta il “modello di base” di tut- del passato, secondo la tradizione ittirese non consente to il vestiario popolare di Ittiri, compresi i costumi di ga- di comparire in pubblico o di ricevere visite con vesti la. Se si prescinde da particolari accessori, da talune sciatte o usurate, per cui il lutto spesso finisce per coin- scelte cromatiche e dalla qualità dei tessuti impiegati, la cidere col lusso. struttura di tutti gli abiti femminili popolari ittiresi riman- Le gonne festive sono strutturalmente identiche a quelle da, infatti, al costume con la gonna d’orbace. di teletta. Sempre perfettamente pieghettate, possono Tale tipo d’abito era ancora indossato da anziane che essere di consistente stoffa blu, munnedda calorina (dal vestivano “all’antica” negli anni a cavallo della prima nome del tessuto: carolina) o grigio-scuro con quasi im- guerra mondiale. percettibili righine orizzontali bianche o turchesi o, nelle Il copricapo di questa foggia era formato da tre elementi forme più lussuose, di spesse stoffe di cotone nero, sa sovrapposti, su una pettinatura che prevedeva i capelli munnedda niedda. In esse la balza ha poco risalto es- raccolti in due trecce, avvolte a crocchia sopra la nuca, e sendo della medesima stoffa-base. Anche il tipo del fronte perfettamente libera. Prima si indossava s’iscoffia, grembiule festivo non si discosta da quelli feriali nelle una cuffia a sacco, grosso modo a forma di tre quarti di dimensioni e nella forma, però è confezionato con raso, sfera, che conteneva le chiome lasciandone in vista una damasco, pizzo, sete con inserti laminati o stampate a stretta striscia sopra la fronte. La cuffia adottava tessuti di fiorami, velluti operati, scelti in un’ampia gamma com- cotone scuro a fiorami stampati o calancà e talvolta lam- merciale e di norma a fondo nero, viola, blu, marrone o passo di seta; sulla sommità recava una coccarda di na- comunque scuro. stro o una corolla rigida tempestata di paillettes, s’istella Anche il fazzoletto dell’abito cerimoniale, simile a quello lustrinata; un nastro legato a fiocco sotto la nuca faceva feriale, è preferibilmente scuro, con decorazioni, opera- in modo che l’accessorio restasse fermo, tenendo in ordi- te o stampate, piuttosto sobrie e sovente è di seta o altri ne i capelli.6 tessuti pregiati. Sopra si fasciava a soggolo su muncaloru a corru, come Quando si esce di casa è uso sovrapporre al fazzoletto quello attualmente in uso, ma con decorazioni su fondo uno scialle, isciallu, di “lana e seta” fine, che la tradizione avorio o chiaro (oggi introvabili in commercio): pumas de vuole incornici il viso ed avvolga completamente omeri, paone, angheleddos, pira e mela, rosas siccas, colovuros e schiena, busto e braccia fin sotto la vita (oggi, se non si pansé, puzoneddos, faghefarinas, ecc. (piume di pavone, sta in chiesa, è portato anche soltanto sulle spalle). angioletti, pera e mela, rose appassite, garofani e viole, S’isciallu, importato quasi sempre da fabbriche lombar- uccellini, farfalle, ecc.), oltre che disegni geometrici. de, è rettangolare con corte frange e per lo più è nero, Ancora, veniva steso un ulteriore fazzoletto, legato sotto ma anche marrone o color cachi (nel passato le signori- il mento a fiocco e fluente a drappo sul dorso; il settore 324

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532. Busto, imbùstu, Ittiri, inizio sec. XX Sassari, coll. privata. La fitta allacciatura di nastro viola è fissa. Attraverso gli occhielli circolari ai lati passava il nastro che lo stringeva sotto il seno. L’indumento è realizzato con velluto di seta liscio e operato ed è decorato da cordoncini si seta applicati, cordònes. 532

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533. Busto, imbùstu, Ittiri, prima metà sec. XX Sassari, coll. privata. Il busto è realizzato con velluto di seta operato, adorno di nastri e trine dorate, in alternativa ai più diffusi cordònes. La chiusura non presenta nastri passanti ma un settore rigido ove i nastri appaiono cuciti orizzontalmente costituendo su pettìgliu bàsciu. 533 sopra la fronte, inamidato, era perfettamente semicirco- to, poteva essere sostituito, tuttavia, soprattutto da parte lare. Le donne più austere preferivano il fazzoletto di delle giovani donne, con fazzoletti stampati, identici a semplice tela bianca, muncaloru biancu o muncaloru quello a corru, detti muncaloros ispartos. ’e ciaffara, che era tipico anche del lutto stretto, caso in Decaduta la cuffia, assieme al fazzoletto bianco, attorno al cui veniva fermato con uno spillo sotto il mento, agu- 1920, il duplice copricapo formato da muncaloru a corru zadu, e ingiallito con il fumo. Questo telo, fuori del lut- e ispartu perdurerà sino agli anni a cavallo del 1940. 326

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L’unico indumento frequentemente lavato dell’antico ta da un fazzoletto bianco di tela o batista, su muncaloru guardaroba era la camicia, sa camija, perché stava diret- ’e coddos, che si disponeva sul petto come il fichu della tamente a contatto con il corpo e fungeva anche da moda settecentesca. Si indossava quindi s’imbustu, un biancheria da notte. La camicia ittirese è per lo più di bustino irrigidito con bacchette metalliche, bastonettes, e tela di cotone candido, più o meno fine, ma sempre più foglie di palma nana, sa pramma, contenute entro una compatta e sottile nella parte superiore, dossu, e grosso- fodera di “tela cruda” o lino locale, accuratamente im- lana nella sottogonna, su cansciu, cucita al punto vita e punturata. facilmente staccabile in caso di usura. L’ampio volume Come quelli del circondario, il busto ittirese è costituito del tessuto è ridotto allo scollo e ai polsini, inornati, a da due metà simmetriche munite di sottili bretelle e di fascia, con fitte pieghette. L’indumento è piuttosto so- spacchi nella parte inferiore, alettas, che lo fanno aderi- brio ad eccezione del collarittu, una striscia di tela alta re perfettamente e sostengono la gonna alla vita. In cor- poco più di cm 1 che ferma le pieghe lungo lo scollo, rispondenza della schiena le due parti sono unite con generoso, “a barca”. Nell’esiguo spazio di questa trinet- un’allacciatura fissa di nastro di lana (frisu) o di seta ta, entro due linee ricamate a spina di pesce si stendono (fetta) solitamente rossi, ma anche verdi, azzurri, rosa, minute decorazioni “a punto nodo”, bianco su bianco; viola o cremisi. sono schemi codificati: spirali e onde (caragolos e ba- Il busto feriale (che non poche donne indigenti portava- randiglias), cerchietti (lorighittas), rombi (limones), ret- no anche nelle feste) è ricoperto all’esterno di tessuti se- tangoli (su quadru), microscopici pallini (pibirinos), zig rici: terziopelo (velluto di seta) operato o liscio a fondo zag (ancas de musca), ecc. viola, verde, cremisi, cannella o azzurro oppure lampas- Il collarittu è sempre rifinito con file di piccolissimi archet- so o broccato a fiorami con sfondo giallo, bianco o vio- ti “a punto festone” detti baghiglias. la. In non pochi busti sono accostate stoffe diverse, rita- Si sa che per eseguire questi ricami, la tela era fissata gli o avanzi. ad un cuscino e che non era rara la lavorazione da par- Le decorazioni peculiari sono quei cordones descritti per te di adolescenti o bimbe, perché era una lavorazione il grembiule-copricapo, fissati in senso leggermente che richiedeva soltanto attenzione e pazienza, e la con- obliquo per far aderire le sete al supporto e mascherar- ta delle trame, copiando un collarittu precedente. ne le giunture. L’allacciatura del bustino avveniva con È interessante notare che il taglio delle camicie fa in mo- poche passate sotto il seno di un nastro di lana, frisu, do che possano essere indossate anche orientando il lato per lo più rosso, entro asole circolari praticate lungo i della schiena sul petto, perché in entrambi i versi è aper- lati anteriori dell’indumento, dette lorighittas. Il busto, la to uno sparato mediano e sullo scollo sono praticate due cui origine signorile tardo rinascimentale è nota, veniva asole (per inserire “bottoni sardi” o un laccetto) sia sul confezionato da mastras de imbustos (maestre di busti) ed era portato sin da piccine (dall’età di cinque o sei davanti che sul settore opposto. L’espediente facilita- anni) e dalle adulte anche durante la gravidanza7 ed i va la stiratura e permetteva di mettere in vista il pesanti lavori agricoli e domestici. lato più pulito quando non era possibile la- Il giubbetto, su corittu, in ambito domestico ed in estate vare e asciugare rapidamente l’indu- non veniva indossato, ma era richiesto per intervenire mento oppure di scegliere il verso alle funzioni religiose o per le visite. Si tratta di una sor- festivo (con le asole grandi). ta di attillato bolero che lascia scoperto il petto e, sulla La vistosa scollatura della schiena, la parte inferiore del bustino. Le maniche, unite camicia a memoria d’uo- sulle spalle con una sottile striscia, sono strette e sago- mo era opportuna- mate, squartate inferiormente lungo l’avambraccio e con mente dissimula- due aperture all’incavo del gomito, da cui sbuffa la ca- micia. Di solito il corittu feriale era di velluto nero o viola oppure di panno nero o rosso; i cordones di seta multicolore, peculiari del costume ittirese, ne seguono le linee di taglio ed i cuciti con contrasti cromatici forti soprattutto in quelli di scarlatto. Dieci o più finte asole di grandi dimensioni, traucchera, ornano ciascuna ma- nica dal gomito al polso. In genere solo due asole sono aperte per ospitare altrettanti bottoni sferoidali d’argen- to, muniti di ganci a T, in lamina traforata o in filigrana. Le maniche della giacchetta feriale, comunque, poteva- no essere arrotolate, prive di bottoni, assieme alla cami- cia fin sopra i gomiti, a corittu pijadu, per assicurare li- bertà di movimenti; del resto anche la camicia, quando non si portava il corittu, veniva spesso piegata in quel modo (in tal caso gli avambracci erano sovente coperti 327

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534 con le maniche della maglia di flanella che si portava gnificativo che in due liste dotali ittiresi del 18409 siano sotto e d’estate con le manighittas ritagliate da una vec- elencate per ciascuna ben quattro gonne d’orbace e chia maglia di lana). nessuna di teletta, il che fa intuire l’introduzione di que- La gonna del “costume antico”, su furesi o sa munnedda ste ultime in fasi successive. de furesi, come suggerisce la denominazione, era d’orba- Il gusto per i fianchi pronunciati, enfatizzati dallo stretto ce; di un tipo non finissimo a superficie villosa, tessuto e bustino, secondo alcune testimonianze orali, portava tinto nel paese. non solo a stratificare le sottane, ma ad indossare sotto I colori più comuni erano il fulvo, il marrone, il granato una sorta di corta gonna d’orbace impunturata, detta ra- (ma non era assente il nero) ottenuti con infusi vegetali guzza, o due cuscinetti, sos cabidaleddos. (dafne, robbia, campeggio). Anche le gonne d’orbace I grembiuli, nella fase d’uso di su furesi, erano molto si- sono plissettate sul retro, ma con pieghe larghe circa cm mili a quelli utilizzati come copricapo sui quali ci si è 2, in diversi casi più strette nella metà superiore. La bal- soffermati, a riprova dell’esistenza in passato di un’unica za più usata è detta sa forra de su furesi ed è di norma tipologia di pannellos, che potevano essere indossati ora di consistente tela turchina, alta da cm 15 a 20, utilizzata sulla gonna ora per coprire la testa. Su pannellu, infatti, anche come rinforzo delle mesas portas. Per la confezio- sino al 1920 circa era più ampio e corto dell’attuale, di ne di queste sottane sono necessari 5-6 teli d’orbace lar- profilo quasi triangolare, utilizzava spesso tessuti com- ghi circa cm 60, le cui giunture in tutti gli esemplari esa- merciali scuri stampati e presentava passamanerie seri- minati sono evidenti sul lato della balza.8 Sa trinza alla che o cordones nel settore vicino alla vita, strettamente vita è per lo più di panno rosso o velluto nero oppure pieghettato. viola; lo spacco laterale tipico delle gonne attuali in te- Qualche indizio fa immaginare che alla fine del 1800 il letta non è presente. pannellu potesse anche essere poggiato sulla testa, con Per quanto diverse informatrici attestino che verso gli i nastri che lo cingevano normalmente alla vita abban- inizi del 1900 su furesi veniva associato ad una gonna di donati lungo la schiena, quasi come avveniva a Osilo o teletta (che stava sopra d’inverno e sotto d’estate) è si- a Ossi, ove resta testimonianza di una sorta di grembiu- le posteriore, legato alla vita e ribaltato sul capo. Il copricapo “antico” più usato, comunque, era una gonna di teletta, sa munnedda de cuguddu, indossata quando ci si recava lontano da casa o in chiesa (lo scialle venne in- trodotto attorno al 1935). La gonnella, pressoché identica a quelle già descritte,10 era disposta a trinza, poggiando il settore normalmente coincidente con la vita sopra la fronte, facendo cadere il resto, come una cappa, sulla schiena e tenendola stretta al petto con le mani; così il pannello liscio restava all’in- terno e si evidenziava la pieghettatura. In alternativa la gonna di teletta, indossata sopra le altre, veniva ribaltata sul capo, a munnedda bestida e cugud- dada, sì da incorniciare chi la indossava in una sugge- stiva sagoma a mandorla. Entrambi i copricapo perdurarono sino al 1935 circa, an- che quando, decaduta la gonna d’orbace, venivano ab- binati alle comuni sottane di teletta. Le tre tipologie di copricapo descritte, evidentemente collegate fra loro strutturalmente, non esclusive di Ittiri 534. Maniche, manighìles, Ittiri, 1930 ca. Sassari, coll. privata. 535. Pettiera, pettièra, Ittiri, 1930 ca. Sassari, coll. privata. 535 I due elementi, realizzati in tessuti commerciali, soppiantarono rispettivamente il giubbetto ed il fazzoletto-copriseno. 328

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per quel che concerne l’architettura generale, sono dif- capillarmente dalla scuola fascista, fecero mettere da fuse su una vasta area isolana, con notevole concentra- parte, in ambito feriale, gli attillati giubbetti, a causa del- zione nel Settentrione, ed in ambito europeo (Spagna, la loro scarsa lavabilità. Corsica, Malta, Calabria, ecc.). La studiosa veneziana Alcune sarte crearono, così, i manighiles, che ricalcano Doretta Davanzo Poli ne rintraccia la prima attestazione la linea del corittu, ma hanno maniche “a palloncino” in un dipinto del Bellini (1450 ca), in cui riconosce le dal gomito in su e sono confezionati con stoffe lavabili, premesse delle tonde venete ricorrenti nelle successive facili da stirare e di costo contenuto, nei colori e nelle opere di Cesare Vecellio, dei Tiepolo e del Longhi. fantasie più varie. Non poche donne, parallelamente, In Sardegna è del più alto interesse un documento, cita- fanno a meno della camicia, altre continuano ad indos- to dal Costa, che riferisce dell’abitudine delle donne sas- sarla ma con maniche corte. saresi di intervenire ai funerali avvolte nella gonnella In quegli anni, al posto del fazzoletto copriseno viene in- (1527).11 Tuttavia pare percorribile l’ipotesi che vede trodotta la pettiera,14 una sciarpetta sagomata che le po- l’impulso maggiore all’acquisizione di copricapo tanto polane più eleganti fanno confezionare spesso nel me- caratteristici nella moda egemone del 1600, quando l’a- desimo tessuto dei manighiles. In questa tappa evolutiva bito femminile “elegante” constava di almeno due gonne è evidente il desiderio di uniformare gli indumenti che stratificate con la superiore aperta anteriormente, come coprono il busto in un insieme accordato, come nella una sorta di “grembiule posteriore” e come la gonna ne- moda corrente nelle città; è la premessa all’acquisizione ra detta capitta che, secondo la Deledda, faceva parte di quelle bluse e di quei maglioni che conferiscono ca- del costume da vedova nuorese nel 1800. rattere ibrido alle fogge che ancora resistono. Non è improbabile infatti, che la modestia imposta alle donne nell’abito per la chiesa ed ancor di più quella sor- Note ta di annullamento del corpo femminile previsto nel lut- to, abbia spinto ad utilizzare le sopragonne ed i grem- 1. Altri studi sul costume d’Ittiri: P. Piquereddu 1987; G.M. Demartis 1990. biuli aldilà della loro funzione primaria, come elemento 2. È noto che nelle cerimonie più importanti e nelle nozze, a Ittiri, era- moralizzatore (non esente da “civetterie”), in una società, no usate due diverse fogge, il fastoso bestire ruju ed il sobrio bestire come quella sarda, ove le ben note condizioni di indi- nieddu, rispettivamente dalle donne abbienti e dalle contadine povere. genza non consentivano il possesso di un guardaroba ar- 3. Cfr. nota precedente. I costumi di gala non vengono usati dalle an- ticolato.12 ziane che attualmente vestono nella vita normale abiti tradizionali, ma L’abito con la gonna d’orbace sul quale ci si è soffermati sono sfoggiati da giovani donne, che vestono normalmente “alla mo- rientra in una tipologia ben attestata da svariate fonti ico- da”, in occasione di parate folcloristiche o di qualche cerimonia locale. nografiche del 180013 per il circondario di Sassari. Que- 4. Questa tipica decorazione può essere forse accostata alla finitura sto fatto ne conferma l’interesse e ne attesta l’arcaicità. detta cordone de cojuados, citata da G. Calvia 1897. Come si è accennato a proposito del fazzoletto coprica- 5. Dalle ricerche effettuate risulta che veniva utilizzata qualsiasi carta po bianco, il particolare abito ed i suoi accessori a Ittiri consistente, dalla carta straccia al foglio di protocollo alla stagnola. erano usati anche per il lutto stretto (fu attorno al 1930 6. La forma della cuffia feriale non pare discostarsi da quelle delle cuf- che si adottarono le attuali fogge nere). fie festive, ancora confezionate. I soli segni che, sul comune vestiario, informavano del 7. Durante la gravidanza venivano allentati i nastri di chiusura del busto. lutto stretto di chi lo indossava, infatti erano il copricapo 8. Vedi in queste pagine quanto osservato per le gonne di teletta. e la camicia ingialliti col fumo ed il fazzoletto copriseno 9. F. Orlando 1998, p. 223. nero. Da questo si può forse intuire la rinuncia, anche 10. Le gonne in teletta del primo Novecento non presentano in genere per motivi economici, non solo a provvedersi di abiti l’apertura laterale ed hanno la balza sovente meno alta. nuovi per il lutto ma persino a tingere quelli già possedu- 11. D. Davanzo Poli 1990, p. 107; E. Costa 1909, p. 321. ti. Alcune informatrici ricordano, comunque, che la gon- La più antica attestazione della gonna copricapo per quel che concerne na bestida e cuguddada era di rigore per le vedove e che Ittiri risale alla prima metà dell’Ottocento e si deve all’Angius, che riferi- si poneva notevole attenzione nella scelta di indumenti sce dell’uso di “gittarsi” sul capo le gonne nere durante i funerali. Evi- sobri nelle decorazioni e esenti da colori sgargianti. dentemente in quell’epoca esistevano segni più eclatanti volti a definire Il sistema vestimentario ittirese subisce le più importanti il lutto rispetto a quanto attestato dalla fine del 1800. V. Angius, voce It- trasformazioni dopo il Primo Conflitto Mondiale. Dimen- tiri, in G. Casalis 1833-56. Si noti che in Sardegna la gonna copricapo ticata la gonna d’orbace, permangono quelle di teletta, non compare mai nelle vesti di gala. indossate sovrapposte sino a sette-dieci; l’allacciatura di 12. L’argomento è stato trattato in particolare in G.M. Demartis 2000. nastro che stringeva anteriormente il bustino viene sosti- 13. Basti citare, fra le tante, la “Donna di Codrongianos” riprodotta in tuita da su pettigliu, un elemento trapezoidale rigido un’incisione di Baldassarre Luciano. B. Luciano, Torino 1841. con nastri cuciti paralleli, non più solo rossi ma anche 14. Alcune di queste innovazioni, come l’introduzione del pettigliu e rosa o verdi o celesti, fermato con ganci metallici (man della pettiera, investono anche il costume di gala ittirese e gli conferi- mano che ci si avvicina al 1940 il pettigliu, diventa sem- scono caratteri distintivi rispetto a quelli del circondario. pre più alto, rendendo il busto scomodo e opprimente). Negli anni ’30, nuove abitudini igieniche, propagandate 329

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I costumi femminili di gala di Osilo e Ploaghe Giovanni Maria Demartis I costumi femminili di gala d’Osilo e Ploaghe (SS), cen- e che si macchiava se esposto all’umido o ad una legge- tri logudoresi vicinissimi fra loro, sono molto noti. Al- ra pioggia e costringeva a manutenzioni accurate e com- cune caratteristiche che li rendono inconfondibili han- plesse.2 no avuto ampia eco nelle parate folcloristiche, sin dalla Altrettanti metri di raso candido alto cm 30-40, ricamato “Prima Cavalcata Sarda” di Sassari del 1899 ed ancor da artigiane specializzate a motivi floreali con fili di se- prima, nel corso di tutto il 1800, hanno attirato l’atten- ta, di ciniglia policroma e laminette dorate e argentate, zione di viaggiatori e studiosi, che li hanno descritti e erano indispensabili per l’orlatura della gonna e del co- riprodotti in un vasto repertorio iconografico. pricapo. Le due fogge, come risultano attestate dai manufatti ela- I ricami si ispirano evidentemente a quelli dei paramenti borati negli anni a cavallo del primo Novecento, ap- ecclesiastici sette-ottocenteschi, ma non sono esenti da paiono assai dissimili, a dispetto della vicinanza geogra- influssi Liberty. L’indumento più caratteristico dell’intero fica dei paesi a cui appartengono. abbigliamento è sa capitta, una mantellina semicircolare Se si prescinde dalla qualità dei tessuti, dai cromatismi e che inquadra come in una nicchia, dalla testa sin quasi dai dettagli dell’ornamentazione, comunque, sono evi- alla vita, chi la indossa. denti alcune non secondarie analogie strutturali, quali il Questo accessorio viene poggiato sulla testa, sapiente- copricapo “a mantellina”, il busto rigido portato sopra il mente avvolta da un soggolo di tulle bianco o “azzurra- giubbetto, che giunge sino alla vita, e l’assenza del grem- to” ricamato a fiorami in tono. biule. Il terziopelo cremisi, oltre che per la cappa, è impiegato L’analisi di numerosi documenti a disposizione, ascrivibili per il giubbetto, gropittu, ermeticamente chiuso sul pet- ad un arco temporale che va dalla fine del 1700 sino al to, tanto che spesso non viene indossata la camicia,3 e 1950, infatti, evidenzia interessanti linee evolutive che con maniche aderenti, chiuse su ciascun avambraccio rendono non solo meno forte l’impressione di scelte da 10-12 bottoni di filigrana d’argento (eccezionalmente esclusivamente irrazionali nella creazione degli abiti, ma d’oro) che, mediante ganci a T, passano entro altrettante fanno individuare significative costanti nei fenomeni di lunghe asole. modificazione, comparabili con quelle che hanno subito Sulla giacchetta viene cinto il busto rigido, rivestito di la gran parte dei costumi femminili di gala di tutta l’Isola.1 broccati policromi, percorsi da passamanerie metalli- che, o di raso finemente ricamato, che chiude anterior- Osilo mente con ganci d’acciaio.4 Il costume femminile d’Osilo che ammiriamo nelle sfila- La gonna, faldetta, tutta di velluto granato, ha il pannel- te del folclore, ha assunto i caratteri che lo connotano lo anteriore staccabile e sul retro è abilmente composta agli inizi del 1900. in larghe pieghe, acannonada, sino alla balza candida Si tratta di un abito esclusivo delle donne abbienti, che di raso ricamato, identica a quella della capitta. “l’etichetta osilese” riservava alle grandi cerimonie religio- Caratteristica della foggia è l’insolito accordo cromatico se ed alle nozze, tantoché è denominato ’estire ’e cheja. di tutti gli indumenti, sostanzialmente limitato al bianco La veste è molto preziosa perché ha come tessuti pre- ed al cremisi. valenti il costoso terziopelo liscio (velluto di seta) ed il raso di seta ed è arricchita da elaborati ed estesi ricami. Ploaghe Per l’esecuzione del costume occorrevano oltre m 7 di Anche il costume femminile ploaghese è generalmente velluto di seta, tanto delicato, come affermano alcune conosciuto nella forma assunta attorno al 1900-20, ma si informatrici, che si poteva sciupare in fase di confezione presenta in due tipi principali; l’uno, riconoscibile per la presenza del terziopelo (velluto di seta) liscio granato, 536. Simone Manca di Mores, Danza accompagnata dalla chitarra, per fastosi ricami di canutiglia d’oro e per l’esteso uso 536 1870 ca., litografia a colori (particolare). di terziopelo fioradu (velluto di seta operato a fiorami) 331

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a fondo blu, è esclusivo del ceto benestante (sa ’este ’e velludu) mentre l’altro, destinato alle donne meno ab- bienti, è caratterizzato da applicazioni di scarlatto e, in genere, da decorazioni e tessuti più modesti (sa ’este de iscrallatta).5 Entrambi gli abiti, identici nella struttura complessiva, si indossavano nelle più importanti ricorrenze festive e nelle nozze. Si deve sottolineare che, a differenza di Osilo, ove il costume di gala era ben differenziato da quelli feriali, a Ploaghe sino al 1920 gli abiti della quoti- dianità non si discostavano da quelli cerimoniali neppu- re cromaticamente, ma solo per la qualità delle stoffe.6 L’elemento più tipico del costume è senza dubbio la cappa-copricapo detta mantéddu, ottenuta da un rettan- golo di panno giallo-senape rivestivo all’esterno di vel- luto di seta, raso o damasco blu sì da risparmiare un settore a forma di croce latina del tessuto di base, spie- gata localmente con la leggenda di un antico voto per la fine di una pestilenza. Il giubbetto, corìttu, di scarlatto o velluto cremisi, è chiuso a ciascun polso da due soli “bottoni sardi” e la- scia sbuffare attraverso ampi squarti le maniche della camicia di tela bianchissima, finemente pieghettate “a fisarmonica”, afozittadas. L’indumento è frunidu, cioè rivestito di sete preziose, più spesso chiare, anche rica- mate in oro, ed evidenzia sulle maniche le ribattiture della stoffa principale sui cuciti, segno che in origine era double face.7 Sul petto spicca un fazzoletto morigeratore e più comu- nemente una sciarpetta, istòla, ricamata variamente a fiori stilizzati. La gonna, tuniga, di panno nero, è composta sul retro a pieghe più o meno larghe ed ha un’alta balza, su fruni- mentu, per lo più di velluto o seta blu oppure di dama- sco chiaro; due vistose applicazioni di panno rosso o velluto granato, masculas, si stendono sulla metà supe- riore dell’indumento, ai lati, risparmiando anteriormente un piccolo triangolo nero. La caratteristica più singolare della gonna ploaghese, però, è sa groppa, una sporgen- za posteriore di circa cm 5-8 alla vita, determinata da una rigida ribattitura delle pieghe e da una semiluna di tessuto imbottito cinta sotto. Da diversi autori è stata ribadita l’origine aristocratica secentesca di quest’uso, volto ad enfatizzare l’ampiezza della sottana sotto il rigido bustino ed a celare le forme femminili. La croce del mantéddu, la stola copriseno, la tipologia dei ricami, esemplati su quelli dei paramenti sacri, ma- nifestano la forte influenza esercitata dalla chiesa sul co- stume ploaghese. 537. Abito di gala, Osilo, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. La gonna e la cappa sono in scarlatto. 538. Abito di gala, Osilo, 1930 ca. Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. Il panno rosso è ormai sostituito dal velluto di seta cremisi. 537 538

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539. Giubbetto festivo, corìttu, 539 Ploaghe, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. L’indumento veniva utilizzato double face. 540. Gonna festiva, tùniga, Ploaghe, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. Al periodo cui risale la gonna le applicazioni, masculas, non raggiungevano la balza. 541. Manticello festivo e di gala, mantéddu, Ploaghe, fine sec. XIX Roma, Museo Nazionale Arti e Tradizioni Popolari. 542. Abito femminile festivo, Ploaghe, anni Cinquanta Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. Si osservino i ricami dorati alle maniche del giubbetto e la groppa della gonna che enfatizza i fianchi. 540 334

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541 I processi di trasformazione I due abiti appena descritti sono la risultante di progressivi e lenti processi di modificazione e di arricchimenti avvenuti nel corso del 1800, co- me è ampiamente comprovato da numerosi do- cumenti (stampe, fotografie, acquerelli, fonti letterarie ed archivistiche). Queste attestazioni, opportunamente compa- rate, evidenziano che, grosso modo tra la fine del 1700 e la metà dell’800, presso entrambe le comunità erano in uso abiti non eccessivamente dissimili, che impiegavano soprattutto tele bian- che e pesanti stoffe rosse o nere sia di importa- zione (lino, cotone, saia, mezza saia, scarlatto, panno) sia locali (orbace e tela di lino) con un uso li- mitato di tessuti preziosi (sete, velluti, damaschi, brocca- ti) utilizzati soprattutto per busti e guarnizioni. In questa fase non si rileva una significativa presenza di ricami, ma l’applicazione di galloni e passamanerie.8 Ad Osilo, secondo una norma che pare avere attraver- sato i secoli sin quasi ai giorni nostri, gli indumenti ros- si, particolarmente di scarlatto, segnavano occasioni fe- stive e status socio-economici privilegiati mentre il nero connotava la quotidianità ed i ceti inferiori. Significativi mutamenti, testimoniati fra gli altri dal Tolu Liperi,9 avvennero verso il 1860, relativamente all’abito cerimoniale delle donne benestanti. Allora il fine scarlatto soppiantò del tutto la saia e l’or- bace, e venne utilizzato per la capitta, la gonna ed il giubbetto, che non presenta più lo squarto dall’ascel- la al polso nelle maniche, ormai strette e sagomate ed adorne sempre più spesso di bottoni in filigrana d’argento anziché di quelli, prima più comuni, in la- mina (a buccia). In quella fase il soggolo non viene più confezionato con il lino tessuto in casa ma con giacconetta10 o bisso trasparenti. Molte gonne e capitte sono ornate, invece che con i tradizionali stretti nastri bianchi o rosa, con larghi galloni commerciali di seta candida a fiorami (sos gallones de peri sa idda). Già attorno al 1880 queste orlature subiscono arric- chimenti: diventano più alte e recano graziosi rica- mi floreali policromi eseguiti in loco. Nello stesso periodo si rinuncia spesso al vecchio sistema di 542

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chiusura del busto con nastri, sostituito da due appen- 543 dici triangolari munite di ganci metallici. È verso i primi del 1900 che il costume di gala assume rire non prima del 1880, così come i ricami floreali.16 tutti i caratteri noti: lo scarlatto, infatti, viene soppiantato Le ulteriori alterazioni subite dal costume ploaghese ven- dal terziopelo, il velo è di tulle, le balze delle sottane, gono stigmatizzate dalla giuria della Cavalcata del 1899: non più fittamente plissate, ma acannonadas,11 ancora la croce del copricapo è quasi invisibile ed ormai giallo più alte, si ornano di vistosi fiorami che, grazie al sa- arancio anziché, come era prima, giallo-oro ed il celeste piente impiego dei punti “pieno e raso”, appaiono fine- che la contornava si è trasformato in blu; la gonna non è mente sfumati tanto da dare l’impressione di profondità. più conclusa dalla tipica balza turchina ma da stoffe va- Anche la capitta è circondata dalla medesima balza, riamente operate, in tutti i toni scuri dell’azzurro, del blu sottolineata da ruches di organza, tanto che il terziope- e del violetto.17 L’abito ha ormai assunto le caratteristiche lo è visibile in un esiguo settore e l’indumento, rispetto note, ma sarà negli anni posteriori alla I Guerra Mondia- ai precedenti esemplari in panno, è ormai quasi rigido. le che si arricchirà di quei ricami d’oro che segnano la Il Tolu Liperi individua giustamente fra le cause dei mu- foggia del ceto dominante. tamenti del costume la volontà delle fanciulle agiate di Le motivazioni dei cambiamenti appena sintetizzati sono distinguersi dal resto della popolazione femminile ed il le medesime segnalate per Osilo, ma vanno ricercate progressivo abbandono delle antiche attività di tessitura anche nella tendenza a differenziare decisamente il co- e di filatura che consentì alle donne d’Osilo di “gingil- stume da quello dei paesi circostanti e nella voga della larsi” con l’ago. A questi fattori bisogna senza dubbio moda cittadina che imponeva l’eleganza dei colori scuri aggiungere la massiccia offerta di tessuti serici di impor- e del nero opponendosi a quelli sgargianti del 1700. tazione presso le comunità isolane, avvenuta a partire Questo potrebbe spiegare il rifiuto della foggia comune dalla metà del 1800, la creazione di scuole di ricamo logudorese con gonna rossa, ma non si possono scarta- presso gli asili di suore aperti nel paese e la spinta al- re possibili rivoluzioni nella scala sociale della comunità l’arricchimento delle fogge determinata dalla ribalta del- ploaghese ed il decadere delle famiglie di prinzipales le parate folcloristiche e dai premi per i costumi più bel- che riservavano per sé quegli abiti. li e pittoreschi, in voga già alla fine del 1800. Per quanto attiene Ploaghe, è evidente il netto cambia- mento della gamma cromatica dei costumi segnato dal- l’abbandono, nella metà del 1800, dell’antico “abito ric- co”, denominato ’este a sa tadaja (veste alla balia),12 che comprendeva la classica gonna scarlatta, il velo bianco ed il giubbetto con buttonera del comune vestito festivo logudorese, in forme non troppo distanti da quelle coe- ve d’Osilo. La foggia che tutti conosciamo, in effetti, sembra trarre verosimilmente origine da un abito non festivo e non esclusivo del ceto egemone.13 Agli inizi del 1800 tale ve- ste conviveva con quella “di alta gala” rossa ed eviden- ziava un copricapo formato da un lungo telo giallo ap- pena orlato agli angoli di celeste ed una gonna d’orbace nero con bassa balza turchina e con le due aperture ver- ticali ai lati del pannello anteriore, presso la vita, rinfor- zate con panno rosso. Una ricca serie di immagini consente di seguire le pro- gressive trasformazioni del mantéddu, nel quale la ban- da celeste diviene sempre più larga sino a delimitare una grande croce gialla, che dalla metà del 1800 ridurrà in maniera crescente le sue dimensioni.14 Analogamente, nella gonna, che ormai adotta preferibil- mente panno nero anziché orbace, la balza aumenta di anno in anno in altezza e le masculas rosse divengono progressivamente più ampie. Si deve tener conto che, mentre l’esistenza della groppa e l’uso dello scarlatto per il giubbetto e le finiture della gonna sono attestati almeno dal primo venticinquennio del 1800,15 l’introduzione del velluto cremisi e del ter- ziopelo a fiori per l’abito delle “ricche” sembra compa- 336

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Note 544 1. Non è questa la sede per elencare le numerosissime fonti riguar- danti i due costumi in argomento, certo fra i più documentati dell’inte- Dalle vicende dei due costumi, in sintesi, emerge come ra Isola. Si citano soltanto i più significativi. da vesti sette-ottocentesche nelle quali aveva spicco il Per Osilo: A. della Marmora 1826, Voyage; V. Angius, voce Osilo, in G. rosso, attraverso successive scelte di tessuti e cromatismi Casalis 1833-56; A. Bresciani 1850; E. Costa 1913; F. Tolu Liperi 1913. diversi (cremisi e bianco ad Osilo e tinte scure a Ploa- Fonti iconografiche: F. Alziator 1963, Luzzietti ; F. Alziator 1963, Comi- ghe) siano stati elaborati abiti cerimoniali esclusivi delle notti; L. Piloni, E. Putzulu 1976. località di appartenenza. Per Ploaghe: V. Angius, voce Ploaghe, in G. Casalis 1833-56; E. Costa 1913. Linee comuni di entrambi i percorsi evolutivi, comun- Fonti iconografiche: oltre a immagini contenute nelle opere sopracitate, que, sono la rinuncia ai tessuti locali, la crescente impor- risultano molto interessanti due dipinti conservati nella parrocchiale di tanza assunta dalle sete, il significato di distinzione della Ploaghe, pubblicati in: G. Spanedda, Giustizia e Comunità nella Baro- classe benestante attribuito al velluto cremisi, l’affermarsi nia di Ploaghe, Roma 1995. Per i documenti d’archivio vedi alla nota 8. di ricami sempre più elaborati dopo il 1880 e la ricerca di una linea sempre più snella nella sagoma degli abiti, 2. Ad Osilo si può agevolmente osservare la grande cura che viene ri- che nell’800 erano caratterizzati dalla stratificazione di servata alla conservazione dei costumi. La gonna di velluto viene spes- più sottane e da gonne con ampi profili a campana. so riposta, con le pieghe ben sistemate interponendo carta di giornale arrotolata entro un’apposita cassa lignea, utilizzata anche per traspor- 543. Luciano Baldassarre, Donna d’Osilo, 1841, litografia a colori tarla. Una sagoma rigida rivestita di tessuto serve per adagiare la capit- da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni. ta affinché non si sformi. 544. Femme de Ploaghe, 1850-63, litografia a colori dal Journal 3. Nel paese è possibile trovare antiche camicie, di proprietà privata, Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni. ascrivibili alla metà del 1800, non dissimili da quelle di Ittiri descritte in Molte delle caratteristiche reali dell’abito di Ploaghe appaiono questo volume, ma confezionate in lino. Ad epoca più recente risalgo- male interpretate dall’autore della stampa, che ci restituisce un no esemplari in cotone, con scollo ricamato in rosso, a mezzo punto o “modello” di costume poco credibile. punto croce, con motivi di cuori, croci, calici, fiori stilizzati. Oggi, talo- ra, sotto il costume viene indossata una sottoveste di cotone, priva di maniche, di modello cittadino. 4. Alcuni busti recenti sono privi di bretelle. 5. Naturalmente esistono soluzioni per così dire “intermedie” fra le due fogge: ad esempio non sono insoliti abiti di scarlatto con ricami in oro ed accostamenti di giubbetti di velluto con la gonna ornata di panno rosso (su mesu velludu). 6. Attorno al 1920 si afferma a Ploaghe la foggia feriale moderna, con blu- se, gonne pieghettate scure che giungono al polpaccio e scialli frangiati. 7. Ritengo probabile che nell’800 il giubbetto indossato quotidianamen- te, in occasioni festive venisse rovesciato evidenziando il lato interno più pulito. 8. Tutto questo si attinge ampiamente dagli atti d’archivio pubblicati dal compianto F. Orlando 1998. 9. F. Tolu Liperi 1913. 10. Veniva denominata giacconetta o ciacconetta una sottilissima tela di cotone. 11. Il terziopelo mal si adattava alla fitta pieghettatura, tipica delle gon- ne di panno, perciò veniva lavorato a larghe pieghe stondate, desinenti da una bassa banda increspata alla vita, per prevenire la rapida rottura della delicata stoffa lungo pieghe a sezione acuta. Perciò la lavorazione del terziopelo avveniva interponendo fra le pieghe strisce rigide otte- nute arrotolando fogli di giornale, per pressione, e tenendole per alme- no un anno. 12. La denominazione deriverebbe dal fatto che nell’antica cerimonia del trasporto del corredo nuziale, le donne che sostituivano ritualmen- te le madri degli sposi portavano quel costume. Non è escluso però che il costume ricco logudorese fosse imposto alle balie paesane dalle famiglie abbienti sassaresi che le tenevano a servizio. 13. La destinazione non festiva pare emergere dal fatto che la gonna era più spesso d’orbace e che talora il costume non comprendeva il giubbetto. 14. Questo pone seri dubbi sull’attendibilità della presunta origine del- la croce sul mantéddu a seguito del voto per una pestilenza. 15. Vedi le descrizioni di V. Angius e le immagini del Cominotti. Cfr. alla nota 1. 16. La prima immagine datata che conosco della ’este ’e velludu è con- tenuta in: G. Voltan, Lo sport in Sardegna, Torino 1882, p. 90. Nel me- desimo volume è riprodotto un costume da giovinetta di Ploaghe, di tipo meno evoluto, erroneamente attribuito a Nuoro (p. 96) ed un co- stume femminile d’Osilo, ancora in scarlatto e con balze già ricamate. 17. E. Costa 1913, p. 210. 337

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L’invenzione del corpo arcaico. L’abito tradizionale sardo nella cultura visiva tra Otto e Novecento Giuliana Altea Abiti, corpi, immagini tamorfosi. Secondo Anne Hollander, la cultura visiva Le immagini delle arti visive costituiscono una fonte rico- delle varie epoche ci mostra «non come i vestiti erano nosciuta per la storia del costume, disciplina che – d’altro fatti, ma come ci si aspettava e si credeva che essi e i canto – deve non poco alla storia dell’arte e alla sua corpi dentro di essi apparissero».4 Ogni civiltà produttri- preoccupazione per la datazione dei dipinti. Accomunate ce di immagini elabora una propria idea circa l’aspetto in origine da un pronunciato interesse per l’analisi e la più “naturale” e desiderabile dei corpi, nudi o vestiti, classificazione formale, negli ultimi decenni la storia del ed è dalle immagini che gli individui imparano ad at- costume e la storia dell’arte hanno entrambe imboccato teggiarsi, a muoversi dentro gli abiti. una strada che le ha portate a incrociare le loro prospet- Questo discorso, avverte Hollander, vale soltanto per tive con quelle della storia sociale, della sociologia e dei l’abbigliamento di moda, mentre la non-moda, l’abbi- “cultural studies”.1 Ecco perché questo scritto, che consi- gliamento tradizionale, pertiene a società generalmente dera da un punto di vista storico-artistico le rappresenta- prive di una forte cultura figurativa, anche se provviste zioni dell’abito tradizionale della Sardegna, non si propo- di un ricco patrimonio di artigianato; l’apparenza del ne tanto di esaminare l’abbigliamento popolare attraverso corpo etnico o popolare è stata quindi originariamente i documenti delle arti visive, né di osservarne le rappre- costruita senza riferimento alle immagini,5 a quelle del- sentazioni sotto il profilo estetico, quanto di considerarle l’arte come a quelle riflesse dagli specchi.6 La moda è alla luce delle complesse e stratificate relazioni tra le im- autoriflessiva, la non-moda non lo è. I corpi etnici, mo- magini e i loro significati culturali. dellati dalla consuetudine con l’abito tradizionale, han- Non si vorrebbe, in altre parole, cercare nelle opere no una coscienza di sé che non deriva dall’assimilazio- d’arte testimonianze della formazione e dello sviluppo ne di codici visuali e dal costante confronto con essi. del costume popolare,2 servirsene quale supporto per «Noi non sappiamo neppure portare il vestito moderno una descrizione del sistema vestimentario sardo,3 ma come si deve», dice una delle donne di Desulo intervista- interrogarsi invece sui rapporti tra le rappresentazioni te da Marinella Carosso nell’ambito di uno studio sull’uso (artistiche e d’altro genere) dei costumi e i contenuti dell’abito tradizionale in quel paese.7 «L’indossare l’abito ideologici di cui esse sono ad un tempo prodotti e pro- tradizionale – commenta Carosso – diventa una maniera duttrici. In particolare, interessa qui vedere come la di vivere il rapporto col proprio corpo, così come deter- rappresentazione (e la percezione) del costume sia in- mina un certo comportamento. In effetti, l’abito indossa- separabile da quella del corpo che lo indossa, e come to implica un modo di tenersi ritte; le tasche della gonna questa a sua volta dipenda da un insieme variabile di sulle anche (nésigas) determinano una maniera di tenere assunti culturali. Se nelle immagini ottocentesche e pri- le braccia staccate dal corpo e di camminare ‘a mani lar- monovecentesche il vestiario tradizionale sardo è con- ghe’ manos iskappas. Gli elementi appoggiati sulla testa traddistinto da elementi relativamente stabili, cambia limitano i movimenti del busto e conducono lo sguardo però l’apparenza degli abiti, il profilo che disegnano e a dirigersi davanti a sé». Non si tratta, peraltro, di un con- con cui tagliano lo spazio, la maniera in cui cadono le dizionamento di carattere esclusivamente pratico e mate- stoffe; ugualmente, il corpo che essi rivestono cambia riale, determinato dalla forma e dalla consistenza degli nelle proporzioni, nei gesti, nelle posture. indumenti (a Desulo, le donne che vestivano il costume Il corpo, in effetti, è un costrutto culturale alla cui defi- abitualmente avevano un portamento e un modo di nizione concorrono idee, propositi e miti collettivi con- muoversi diverso da quelle che lo indossavano solo in tinuamente rinnovati; le immagini di moda offrono la circostanze particolari, matrimoni, processioni, sfilate);8 visualizzazione più clamorosa di queste successive me- piuttosto, la pesantezza e rigidezza di questi, i vincoli che impongono al movimento fisico sono interiorizzati 545. Mario Mossa De Murtas, Sposa del Campidano, 1918-22 ca., come altrettanti vincoli morali, condivisi con la comunità 545 olio su tela, Cagliari, coll. Piloni. locale e derivanti dall’identificazione con essa. 339

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Posti di fronte al compito di raffigurare dei corpi etnici, gli artisti di ambito non popolare lasciano filtrare nella rappresentazione i modelli della propria cultura visiva, e dunque della propria cultura tout court. Per mezzo di una serie di impercettibili aggiustamenti e correzioni di forme e di linee, i documenti visivi ci mostrano come anche nelle immagini dei costumi emerga la nozione di un corpo “contemporaneo”, di volta in volta plasmato dalle predilezioni estetiche proprie a ciascun momento storico. Quando non hanno visto in questa circostanza un limite all’attendibilità dei materiali iconografici ai fini della propria indagine,9 gli studiosi che si sono occupa- ti dell’abbigliamento sardo l’hanno attribuita a un pre- meditato intento degli artisti di adeguare il loro lavoro al gusto del pubblico borghese;10 se si dà credito alle tesi di Hollander, si deve invece pensare che si tratti in buona parte del riflesso spontaneo di schemi inconsa- pevolmente assimilati. 546. Giuseppe Cominotti, Batia (vedova) d’Ossi, 1825, acquerello su carta, Cagliari, Biblioteca Universitaria (particolare). 547. Giuseppe Cominotti, Taille parfaite, 1826, acquerello su carta, Cagliari, Biblioteca Universitaria (particolare). Busto di linea triangolare, seni alti e ben distanziati, punto vita leggermente rialzato: la vedova contadina ha nelle tavole di Cominotti la stessa silhouette della signorina elegante. 546 547 340 Abiti etnici e corpi di moda: l’Ottocento Quando Giuseppe Cominotti, architetto piemontese giunto in Sardegna negli anni Venti dell’Ottocento co- me funzionario dell’amministrazione sabauda, disegna la sua Raccolta di trenta costumi sardi particolarmente di Sassari e suoi dintorni, ha cura di specificare sul frontespizio: disegnati dal vero negli anni 1825 e 1826. Le tavole ad acquarello, ricche di notazioni pungenti e di particolari curiosi, non danno motivo di dubitare dei propositi realistici dell’autore. Con uno stile fresco, spi- gliato, ma attento alla resa del dettaglio, Cominotti ci consegna un’immagine tutt’altro che stereotipa della vi- ta sarda:11 descrive i popolani nel loro abbigliamento quotidiano (La filugnana-Costumi di Tissi ), documenta le fogge di transizione di quest’ultimo dal vestito tradi- zionale all’abito borghese (Venditrici di pane sassaresi, Cucina sassarese, Le donne al Rosello in Sassari, ecc.),

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548 551 ci informa sulle usanze dell’acconciatura dei capelli e grembiule, ha il busto dalla forma a triangolo, i seni alti sui copricapi maschili (Fisionomie sassaresi ), registra e il punto vita leggermente rialzato e nettamente sottoli- travestimenti carnevaleschi oggi scomparsi (Li studianti neato che ritroviamo nei figurini del momento. Se la in mascara), e così via. mettiamo vicino a una delle due eleganti raffigurate da Malgrado ciò, i corpi che Cominotti immagina sotto i ve- Cominotti nella tavola Taille parfaite (fig. 547) (inserita stiti popolari sono quelli costruiti dalla moda: la Batia nella raccolta anche se priva di ogni riferimento all’abito (vedova) d’Ossi della tavola n. 4 (fig. 546), col suo dop- tradizionale), ci accorgiamo di come le sagome delle pio soggolo bianco e nero, il corsetto a stringhe e il due figure siano quasi perfettamente sovrapponibili: la taille della vedova, sebbene appena modificata dal lieve gonfiarsi della gonna sui fianchi, non è meno parfaite secondo i criteri della moda di quella dell’azzimata si- gnorina. Nelle figure maschili, nelle quali l’analogia con la silhouette contemporanea è meno evidente, un con- fronto simile si può proporre tra il Pizzinnu vindendi 549 550 548. Joseph Trentsensky, Sarabus aus Sardinien, prima metà sec. XIX, litografia, Cagliari, coll. Piloni. 549. Costume Parisien, 1814. Figurino dal Journal des Dames et des Modes, Parigi. 550. Costume Parisien, 1817. Figurino dal Journal des Dames et des Modes, Parigi. I costumi del Sarrabus visti col filtro della moda del primo Ottocento: foggia aderente che rivela la struttura del corpo per lui, taglio a vita alta per lei, non troppo diversi dai contemporanei figurini delle riviste illustrate. 551. Luciano Baldassarre, Pastora della Gallura, 1841, litografia a colori da Cenni sulla Sardegna, Torino 1841; Cagliari, coll. Piloni. 341

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finociu (ragazzo che vende finocchi) e il giovane spasi- mante di Li studenti innamorati a Sassari: nel primo, il taglio attillato del giubbetto, la linea delle brache e dei borzacchini echeggia l’effetto creato nel secondo dal pa- strano e dai pantaloni. Ora, quando si sa, come in que- sto caso, che un pittore non intendeva idealizzare i suoi soggetti, e tuttavia raffigura abiti e corpi in modo analo- go a quello che si osserva in immagini idealizzate, «si può concludere che essi rappresentino non l’ideale ma la verità secondo la percezione generale».12 Cominotti di- pinge quindi effettivamente ciò che vede, ma lo vede at- traverso il filtro di un complesso di aspettative culturali. Quanto si è detto per Cominotti vale anche per la mag- gior parte degli autori ottocenteschi di tavole raffiguranti costumi sardi. Pochi anni prima dell’architetto piemonte- se, Joseph Trentsensky, elegante disegnatore neoclassi- co, offre un’altra testimonianza dell’intrusione della mo- da nella resa dell’abbigliamento e del corpo popolari. Nell’incisione di Trentsensky che ritrae una coppia del Sarrabus (fig. 548), la donna indossa un costume curio- samente altocinto, la cui linea, non documentata altri- menti tra le fogge sarde, riporta alle vesti Impero taglia- te sotto il seno diffuse fino al principio degli anni Venti (figg. 549-550); nel rappresentare il suo compagno, l’ar- tista ha fatto del proprio meglio per lasciar trasparire, sotto gli strati di tessuto, la ben proporzionata anatomia classica richiesta dalla moda maschile dei primi decenni del secolo, quando il taglio degli abiti da uomo puntava a creare, attraverso spalle discretamente imbottite e pan- taloni collanti, una sorta di «nudo classico fatto intera- mente di lana, pelle e lino».13 Nel 1841, le litografie che ornano i Cenni sulla Sarde- 552 gna di Baldassarre Luciano14 registrano il mutamento 553 342

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554 555 556 dell’ideale femminile, che ha adesso il busto più allunga- combinano a formare una rappresentazione che, pur es- to, la linea delle spalle arrotondata e cadente (qualità sendo ricca di particolari osservati dal vero (la descrizio- destinata a rimanere in auge sino alla fine degli anni Ot- ne del ballo tondo, il suonatore di piffero e tamburo,20 tanta),15 la gonna morbidamente espansa (fig. 551). Un perfino la chiesa sullo sfondo, recentemente identificata ideale rispecchiato anche, a un diverso livello di qualità con quella di S. Lussorio a Selargius),21 colpisce oggi co- artistica, da Giovanni Marghinotti, il maggior pittore sar- me complessivamente inattendibile. Memore – come la do di epoca romantica,16 nella cosiddetta Panettera,17 un critica ha unanimemente notato – del Goya dei cartoni dipinto pressoché coevo alle illustrazioni di Baldassarre per le arazzerie reali, Marghinotti ci mostra villani e foro- Luciano. La Panettera (fig. 552) mostra infatti un punto sette, atteggiati con garbo un po’ lezioso, mentre balla- vita leggermente ribassato, nonché quel segno di “aristo- no, amoreggiano e banchettano sull’aia. Se i loro abiti crazia fisica” di cui D’Annunzio avrebbe lamentato l’estin- sono identificabili, con maggiore o minor precisione, co- zione a fine secolo,18 le spalle cadenti, qui sottolineate me costumi soprattutto del Campidano, le gonne delle dalla profonda scollatura e dall’incrocio del fazzoletto. contadine sedute a terra, apparentemente fatte di seta e Lo stesso tipo femminile ritorna nell’olio Festa campestre non di pesante orbace, si allargano con un’abbondanza in Sardegna (fig. 553), dipinto da Marghinotti circa venti di tessuto che fa pensare alle nuove proporzioni assunte anni più tardi (1861). Nel quadro, giustamente indicato, dalla crinolina; un tratto di moda echeggiato anche, nel- insieme al suo pendant Partenza per la festa (1862), co- lo stesso periodo (1850-63), dalle tavole di costumi sardi me un “caposaldo iconografico” per l’arte locale,19 le pubblicate dal Journal Amusant nel contesto del suo convenzioni pittoriche, il riflesso del canone estetico “Musée Cosmopolite” (figg. 555-556).22 Certo, a differen- contemporaneo circa l’apparenza del corpo e una pro- za dei contadini e dei pastori ritratti nella maggior parte babile volontà di idealizzazione da parte dell’autore si delle illustrazioni etnografiche, quelli dipinti da Marghi- notti non sono dei semplici manichini, hanno una vita- 552. Giovanni Marghinotti, Panettera, 1842 ca., olio su tela, Sassari, lità e una carica emozionale che rispecchiano la simpatia Museo Nazionale G.A. Sanna. con cui il pittore guarda alla gente della propria terra.23 Uomini e donne si muovono però con una scioltezza e Nella popolana dipinta da Marghinotti come nelle tavole di costumi disinvoltura inaspettate, e con gesti che non stonerebbe- di Baldassarre Luciano, la linea cadente delle spalle e l’ampiezza ro in un salotto borghese, assecondati dalla morbidezza della gonna rispecchiano le linee della moda degli anni Quaranta di stoffe leggere e permeabili alla luce. dell’Ottocento. Nella seconda metà del secolo, con l’affermarsi delle poetiche realistiche e la diffusione della fotografia, le im- 553. Giovanni Marghinotti, Festa campestre in Sardegna, 1861, magini dei popolani sardi consegnateci dalle illustrazioni olio su tela, Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. dei libri di viaggio o dalle stampe etnografiche si fanno meno schematiche, acquistano un aspetto più naturale. 554. Carriage & Morning visiting dresses, figurini inglesi degli anni Tanto le litografie di Giorgio Ansaldi (Dalsani) apparse Quaranta dell’Ottocento. nel 1878 sul periodico cagliaritano Buonumore (fig. 557), quanto le incisioni di cui lo scrittore e pittore Gaston 555. Femme d’Osilo, 1850-63, litografia a colori dal Journal Amusant, Vuillier correda nel 1891 le sue cronache di viaggio in Parigi; Cagliari, coll. Piloni. Sardegna24 risentono meno di altre della suggestione del 556. Femme de Sinnai, 1850-63, litografia a colori, dal Journal Amusant, Parigi; Cagliari, coll. Piloni. Nelle illustrazioni di metà Ottocento, il volume delle gonne dei costumi sardi aumenta in proporzione al gonfiarsi delle crinoline nella couture dell’epoca. 343

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557 558 corpo contemporaneo; quelle di Vuillier si direbbero al- associato a quel tipo di abbigliamento le vuole invece meno in parte elaborate sulla base di materiali fotografi- appoggiate alla cintura),27 la ragazza che porta il Costu- ci.25 Tuttavia in entrambe le serie si coglie, nelle immagi- me ricco di Dorgali regge tra le dita un fiore sollevando ni femminili, una tendenza a sostituire, al torso con i seni il mignolo con gesto di studiata ricercatezza (fig. 558); in alti e ben divisi comune nei disegni degli anni Venti- Le canefore d’Aritzo di Vuillier (fig. 560), la portatrice Trenta e alle più modeste scollature degli anni Quaranta, d’acqua a destra cammina reggendo con la mano un un indistinto ma abbondante rigonfiamento pettorale, lembo della gonna, gesto che, entrato nell’uso negli ulti- che da un lato corrisponde all’effetto creato dalle camicie mi decenni dell’Ottocento, consentiva alle donne di go- sarde, con la loro ricchezza di pieghe, dall’altro fa pensa- vernare l’eccesso di stoffa dello strascico, mostrando al re al busto voluminoso e senza visibile separazione di tempo stesso il piede e un barlume di caviglia,28 come si seni caratteristico dell’ultimo quarto del secolo.26 Eviden- può vedere in vari dipinti dell’epoca (fig. 559). temente, il modo particolare in cui la camicia dell’abito Nell’ultimo quarto del secolo, sul mondo popolare sardo tradizionale riveste il corpo comincia ad essere percepito comincia a posarsi lo sguardo dei pittori. Alla fine degli con esattezza nel momento in cui viene a coincidere con anni Settanta il siciliano Giuseppe Sciuti inserisce, nel la silhouette divulgata dalla moda. programma decorativo del Salone Consiliare del Palazzo Accade inoltre che Ansaldi e Vuillier, come già i loro predecessori, attribuiscano ai contadini gesti dalla chiara 557. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume di Lanusei, 1878, connotazione non popolare. Nelle tavole di Ansaldi, il litografia a colori da Il Buonumore, Cagliari 1878; Cagliari, coll. Piloni. giovane in Costume di Fonni tiene le mani in tasca con la nonchalance di un cittadino (l’atteggiamento canonico 558. Dalsani (Giorgio Ansaldi), Costume ricco di Dorgali, 1878, litografia a colori da Il Buonumore, Cagliari 1878; Cagliari, coll. Piloni. 344

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559 560 della Provincia di Sassari, un Ingresso trionfale a Sassari di ogni caratterizzazione etnica riguardo al portamento. di Giommaria Angioy (1879) (fig. 1) in cui gli abiti tradi- Gesti e atteggiamenti sono pensati in funzione della cal- zionali della folla festante hanno numericamente e visi- colata regia dell’insieme; se, invece che costumi popola- vamente il sopravvento sui panni borghesi e le vesti tala- ri, i personaggi indossassero abiti alla moda, non note- ri;29 il piemontese Giovanni Battista Quadrone, chiamato remmo alcuna differenza. Le scene sarde di Quadrone in Sardegna dalla passione per la caccia, comincia negli hanno una verità di resa che le stacca dal tono aneddoti- anni Ottanta a trarre spunti pittorici dai propri soggiorni co di molti suoi lavori precedenti, tanto che la critica ha nell’Isola.30 attribuito a questa “scoperta” della Sardegna la svolta Sciuti – fedele al noto precetto morelliano di rappresen- dell’artista verso un fare meno manierato e più schietto.31 tare cose «non viste, ma immaginate e vere ad un tem- I suoi contadini (seppure occasionalmente non immuni po» – mette in scena paesani sardi che, per quanto pun- da stereotipi sentimentali, come la coppia di innamorati tigliosamente descritti nei dettagli del vestito, mancano in riva al mare di Idillio in Sardegna, del 1884)32 sono ri- tratti con una cura lenticolare che indugia volentieri sulla 559. Giovanni Boldini, Madame Max, 1896, olio su tela, descrizione di vesti lacere, rammendate e sporche. Parigi, Musée d’Orsay. L’aria straccionesca, da “pitocchi” che l’artista conferisce non di rado ai suoi modelli è specchio fedele di una 560. Gaston Vuillier, Le canefore d’Aritzo, 1891, realtà di stenti e di miseria, ed è d’altronde un dato at- litografia da Les îles oubliées … la Sardaigne, Parigi 1893. testato dall’abbondante materiale fotografico giunto fino a noi; tuttavia nelle foto questo aspetto finisce per no- Costume popolare e gesti non popolari: la camminata con la gonna tarsi appena, relegato in secondo piano dalla dignità e raccolta a mostrare la caviglia accomuna la contadina sarda descritta da Gaston Vuillier e la dama elegante ritratta da Boldini. 345

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561 dalla fermezza dei gesti, che riassumono il corpo en- tro contorni netti e sembrano come ridurre a sintesi 562 anche i cenci e la sporcizia (fig. 562). Proprio quei ge- sti fermi e sintetici, però, non entrano nell’orizzonte 346 del pittore, così attento a registrare i particolari; il suo occhio si fissa invece su pose e movenze che colpi- scono per la loro freschezza e naturalezza (fig. 561), ma che proprio per la stessa ragione non colgono la tipicità di un portamento altamente formalizzato qual era quello delle popolazioni rurali sarde. Il diverso è da lui ricondotto automaticamente al già noto: la don- na e la bambina di Cortile campidanese (fig. 563) col- te in un atto così spontaneo ed efficace, sembra di ve- derle vestite alla moda degli anni Ottanta, o, perché no, addobbate in uno dei travestimenti storici dei qua- li l’artista amava paludare le sue modelle per poi ri- trarle in pose squisitamente contemporanee.33 Sembra quindi una forzatura insistere, come si è fatto recente- mente, su un Quadrone primitivista, preda del fascino solenne e misterioso di una cultura arcaica e volto ad esaltarne la specificità.34 Cronista scrupoloso e attento del mondo popolare sardo, il pittore non ne percepi- sce l’alterità se non per riportarla entro i limiti rassicu- ranti di una realtà conosciuta. 561. Giovanni Battista Quadrone, Il guado, 1884, olio su tavola. 562. Visioni di Sardegna, cartolina illustrata, prima metà sec. XX. Editore Giuseppe Dessì, fotografia di Alfredo Ferri. 563. Giovanni Battista Quadrone, Cortile campidanese, 1884, olio su tela.

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564 la Sardegna non può che rimanere stupito dalla fascina- zione, potremmo dire quasi l’ossessione, per il costume L’abito tradizionale da marchio di subalternità popolare rispecchiata dalla produzione dei suoi artisti a simbolo identitario tra i primi del Novecento e gli anni Quaranta. Nei dipin- Come si è visto dagli esempi citati, per tutto l’Ottocento ti, nelle sculture, nei lavori d’arte applicata l’immagine è principalmente alla curiosità dei viaggiatori che dob- dell’abito tradizionale ricorre senza sosta; messi da parte biamo le raffigurazioni dei costumi della Sardegna: diari, generi consolidati come la natura morta o il nudo, gli memorie, cronache e reportage dall’Isola, arricchiti da il- artisti trovano il proprio tema prevalente, quando non lustrazioni che ritraggono con spirito documentario le esclusivo, nelle scene di vita paesana animate dal colore fogge dell’abito locale.35 Molto più rare sono le opere di dei costumi. Amorosamente descritti, i corpetti ricamati, pittura e, per quel che si sa, addirittura inesistenti quelle i giubbini di velluto, le gonne d’orbace non di rado per- di scultura. Quando si aggiungano ai dipinti di Marghi- dono il ruolo di elementi accessori per diventare il vero notti, di Quadrone e di Sciuti le decorazioni di Domeni- centro dell’immagine. co Bruschi nel Palazzo Viceregio di Cagliari,36 l’elenco si Questo interesse per l’abito tradizionale, prolungatosi può dire esaurito. Dei quattro, solo il primo è sardo: ben oltre i limiti di durata del clima culturale che in nella pittura come nell’illustrazione a carattere etnografi- epoca romantica ne aveva stimolato il sorgere in tutta co, sono quasi sempre gli osservatori esterni a registrare Europa,37 si lega al diffondersi nella regione, negli anni la pittoresca varietà dell’abbigliamento tradizionale. a cavallo tra Otto e Novecento, di ideali di riscatto poli- Nel Novecento, la situazione appare rovesciata: alla pe- tico, economico e sociale. Impegnati nella costruzione nuria di rappresentazioni pittoriche del secolo prece- di un’identità “nazionale” sarda, gli intellettuali isolani dente fa riscontro un diluvio di immagini, in gran parte ne cercano il fondamento nel mondo pastorale e conta- opera di autori isolani. Chi non conosca o conosca poco dino: un mondo che sino a poco prima era stato visto quale sinonimo di fame, miseria e subalternità culturale, 564. Costume di Samugheo (Sardegna), cartolina illustrata, e del quale il costume era il simbolo immediatamente ri- primo decennio sec. XX. Fotografia ritoccata. conoscibile.38 Se è vero quanto scrive Enrica Delitala, 565. Giuseppe Biasi, Grande festa campestre, 1910-11, olio su tela, coll. Regione Sardegna. 348

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che «i sardi non hanno amato molto l’abito tradizionale, 565 sentito non come emblema di una etnia ma come spec- chio di una situazione di soggezione ed arretratezza»,39 è dell’Unione Sarda41 descrive le reazioni provocate dalla anche vero che la rivalutazione del costume, innalzato a vista di una bella ragazza in costume di Osilo: «Gli am- vessillo di un’identità faticosamente inseguita, gioca un miratori che sul principio s’accontentavano di voltarsi, ruolo importante nella cultura sarda della prima metà poi di fermarsi, finirono per seguire, da uno diventar del secolo scorso. dieci, da dieci cinquanta, da cinquanta cento»; le frasi Con lo splendore dei suoi colori, la bizzarra eleganza salaci, la «gazzarra indecorosa, indecente», strappano al delle linee, lo sfarzo dei tessuti, il costume si presentava giornalista parole indignate: «Eppure a Roma di costumi come un segno ambivalente: era immagine ancestrale di strani, di fogge curiose … se ne vedono ogni giorno: bellezza ma anche di povertà e di sottomissione, e non africani, siamesi, persiani, beduini, montenegrini, india- di rado bersaglio – nei contatti dei sardi con il mondo ni, polacchi, russi, cinesi, americani, svizzeri, borghesi, esterno – di odiosi episodi di razzismo. All’inizio del militari, ecclesiastici, d’ogni forma, d’ogni colore … ep- Novecento, non era infrequente assistere, per le vie di pure mai ho osservato un agglomerato così … cretino di Roma, allo spettacolo degli scherni e dell’ilarità suscitati gente intorno a un costume che era bello, che non ave- dal passaggio di gruppi di sardi in visita alla Capitale. va nulla di ridicolo e che, per giunta, era italiano! Ah, Gli abiti tradizionali – a quell’epoca ancora comune- vivaddio, non i barbari siamo noi di Sardegna!». mente indossati nell’Isola fuori dalle città maggiori – atti- Quando non sono «le miserande torme di pellegrini» a ravano l’attenzione degli sfaccendati: «Mentre scappavo «deliziare questo popolo scettico di Roma, a dar materia da una conferenza e camminavo … per il corso Vittorio di caricature e di arguzie ai giornali umoristici della Emanuele – racconta il poeta sassarese Salvator Ruju –, città»,42 tocca ai commercianti di bestiame in trasferta di ecco, appare un gruppo di pellegrini sardi seguiti, direi lavoro. All’ingresso, nel vagone di un treno, di una co- quasi oppressi, da una folla di curiosi attratti dalla stra- mitiva di logudoresi con le bisacce di lana in spalla e le nezza e dalla stravaganza teatrale di certi nostri costumi berrittas in capo, «si ride, si grida, si sente dire: Sono della parte meridionale dell’isola».40 Un corrispondente sardignoli. Zulù! Che portate dentro quelle bisacce? Guarda un po’ che zucche sulla testa! E i sardi zitti, e i sardi pazienti … vogliono entrare, ma sono respinti, 349

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scacciati, insultati … Qui non c’è posto, non si sale, qui! Andate nei treni merci!».43 Il disprezzo razzista del costume sardo s’incontra anche nel ceto colto e fra gli stessi artisti. Nel 1914 il pittore “continentale” Carlo Mazza, vedendo, nel concorso per la decorazione del Palazzo Civico di Cagliari, il proprio bozzetto superato da quello, folto di costumi e di scene paesane, del sardo Filippo Figari, dà sfogo al proprio disgusto per i pastori avvolti in «laide e fetide pelli», e inveisce contro «questi negri della Sardegna, che (atteg- giandosi ) ad intenditori d’arte» vogliono «a tutti i costi fare del palazzo municipale tutta una magnificazione e una glorificazione del callo, della mastrucca e del ballo sardo … Come se la loro sfera intellettuale non potesse allargarsi al di là della cerchia dei ricordi di schiavitù, di servaggio e di tripudio belluino».44 Ma se agli occhi degli italiani il costume popolare iden- tifica l’altro, l’elemento estraneo che va espulso dalla compagine sociale per garantirne l’integrità, la borghesia intellettuale sarda ne fa la propria bandiera, trasforman- do, grazie al filtro primitivista, quella disprezzata alterità in una differenza seducente. Assunto a tramite per una visualizzazione dei fermenti politici e culturali che attra- versano la società isolana, l’abito tradizionale – rappre- sentato in immagini o, come vedremo, indossato fuori dal suo contesto abituale da individui non appartenenti alle classi popolari – non si limita ad esprimere le nuove idee identitarie, ma in qualche misura contribuisce esso stesso al cambiamento in atto.45 L’invenzione del corpo arcaico Da questo ribaltamento di prospettiva, l’apparenza dei costumi e dei corpi che rivestono esce profondamente trasformata. Basta confrontare i quadri “sardi” di Mar- ghinotti con quelli del protagonista del movimento arti- stico primonovecentesco nell’Isola, Giuseppe Biasi, per rendersi conto di come l’umanità descritta dal primo non abbia niente in comune con quella rappresentata dal secondo. Abbiamo già visto come in Festa campestre in Sardegna di Marghinotti la tipicità etnica suggerita dall’abbiglia- mento venga smentita dai corpi e dalle movenze: l’artista raffigura i popolani sardi avendo in mente un’immagine precostituita di corpo e un campionario di atteggiamenti fornitigli dalla propria quotidiana esperienza di vita bor- ghese; le convenzioni pittoriche e un probabile intento idealizzante fanno il resto. Circa cinquant’anni dopo il collega cagliaritano, Biasi dipinge a sua volta una Gran- de festa campestre (1910-11) (fig. 565). A prima vista, verrebbe da credere che, al pari di Marghinotti, anche lui pecchi di una certa genericità nella descrizione dei costumi, dato che le fogge e la combinazione dei singoli indumenti spesso non corrispondono a quelle richieste dai codici vestimentari che oggi ci appaiono normativi, ma che sarebbero divenuti tali solo più tardi, a seguito del processo di cristallizzazione messo in moto da mani- festazioni come la “Cavalcata Sarda” e in genere dallo 350

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sfruttamento del folklore ai fini dell’industria turistica.46 Biasi, s’intende, non è meno lontano di Marghinotti dal- le preoccupazioni etnografiche degli illustratori dell’Ot- tocento, ma al tempo stesso è attento a restituire una realtà attentamente osservata e fissata non di rado a mezzo di fotografie: gli abiti che vediamo nei suoi qua- dri sono quelli di un uso quotidiano che aveva regole molto più fluide di quanto oggi sia dato ricostruire a po- steriori (fig. 564). Ciò non toglie che, come Marghinotti, anche Biasi rein- venti i suoi contadini: solo che, mentre il primo li ri- modella in base a stereotipi di freschezza e innocenza arcadica risalenti al Settecento e rivisti alla luce del po- pulismo romantico, Biasi lo fa a partire da una visione primitivista che scorge in loro gli eredi fieri e incorrotti di un’antichissima civiltà. È questo che lo porta a sco- prirne le forme statiche e bloccate, condensate nella semplicità di schemi quasi geometrici. In Grande festa campestre, contadine, pastori e venditori ambulanti fan- no tutt’uno con le loro vesti, che ne modellano le figure attraverso profili netti e decisamente stagliati. Incornicia- ti dalle bende o incoronati dai berretti, i volti si incasto- nano entro campiture di tinte omogenee, prive di risalti plastici. Le gonne delle due ragazze a sinistra sono cilin- dri scuri su cui poggia il cilindro bianco dei torsi; quella della donna a destra è una macchia compatta dall’orlo curvilineo; altrettanto unite e senza movimento cadono le brache degli uomini. Tranne minimi accenni nelle ca- micie, gli abiti ignorano ogni panneggio, e non c’è da stupirsene, perché il panneggio – che è la stoffa reinter- pretata e rimodellata dall’arte, così come il nudo reinter- preta e rimodella il corpo spogliato – è un simbolo di civilizzazione e di “alta” cultura,47 carico di associazioni classiche che nulla hanno a che vedere con l’“arcaico” popolo sardo. Alla rigidezza dei tessuti corrisponde quella del porta- mento: tutti, perfino i bambini, sono eretti nella perso- na, gravi nel passo, parchi nei gesti delle mani – posate sulla bisaccia o sul vincastro, chiuse intorno al rosario – e delle braccia, tenute strettamente aderenti al busto. Sono questi gli uomini di cui si legge negli scritti degli artisti e letterati sardi del primo Novecento: «Figure rudi di montanari, [profilate] sul cielo come se fossero ger- mogliate dagli sterpi dei lentischi»,48 «uomini che ricorda- no, nelle linee dure e severe del viso, nell’atteggiamento fiero … gli antichi padri mastrucati degli storici romani e medioevali»;49 donne che incedono «con un passo che non è il passo di una contadina» e il cui «gesto, la grazia … vengono da lontano»,50 «donne di sangue e di fuoco dai profili orientali, voluttuose e ridenti nei corpetti di 566. Francesco Ciusa, La filatrice, 1908-09, gesso, Cagliari, Galleria Comunale d’Arte. 567. Filippo Figari, Cagliari baluardo di casa Savoia, 1916-24, olio su tela, Cagliari, Palazzo Civico, Salone del Consiglio. 568. Antonio Ortiz Echagüe, La festa della confraternita di Atzara, 566 1908-09, olio su tela, San Sebastiano, Museo de San Telmo. 567

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569 riveste appare loro come una sorprendente scultura co- lorata, il corpo etnico è percepito quale vivente incarna- porpora e d’oro, severe e composte nell’abbigliamento zione dell’ideale arcaico della statua, un ideale centrale, delle bende claustrali, bianchissime».51 come ha mostrato Maria Grazia Messina, per la definizio- Queste presenze fascinose e solenni non popolano sol- ne delle poetiche primitiviste nell’arte a cavallo tra Otto tanto i quadri di Biasi: le ritroviamo, tra il secondo e il e Novecento.52 quarto decennio del Novecento, nelle opere di uno scul- Nelle sculture di Ciusa, i rigidi contorni del costume det- tore come Francesco Ciusa, di pittori come Filippo Figa- tano le linee della composizione, semplificando e asciu- ri, Carmelo Floris e Cesare Cabras, di illustratori, decora- gando il classicismo rinascimentale, assimilato dall’artista tori e ceramisti come Edina Altara, Federico, Melkiorre e nei suoi anni formativi: qui è il cono di un mantello, là Pino Melis, di creatori di arti applicate come Anfossi e il doppio cerchio creato dalle maniche rigonfie di una Tavolara, e di altri ancora. In varia misura e con diverse camicia a definire il gioco dei volumi (fig. 566). I corpi inflessioni stilistiche, questi artisti traspongono nei loro dei contadini e dei pastori, accademicamente concepiti lavori l’impressione di staticità, rigidità e compattezza e veristicamente descritti, sono costretti a obbedire a suggerita dal corpo etnico. Se l’abito tradizionale che lo secche cadenze geometriche che li congelano in una fis- sità arcaica (e può accadere, come in L’anfora sarda del 569. Cesare Cabras, La sposa, 1923, olio su tela. 1928,53 che il contrasto tra il naturalismo dell’anatomia e la stilizzazione del costume esploda in modo stridente). Classici e accademici – di un classicismo tanto sopra le righe da sfiorare talvolta l’autoparodia –, ma non per questo meno statici e solenni, sono i paesani di Figari, di cui il costume non nasconde la potente muscolatura: la celebrata fierezza del popolo sardo fonde abiti e corpi in una sorta di armatura bronzea, segno esteriore di un’in- tegrità morale altrettanto salda e incrollabile (fig. 567). Ci vorrà un osservatore incline alla trasfigurazione mitica come D.H. Lawrence per cogliere nell’abito tradizionale sardo la stessa nota di indomita virilità: «E vedo il mio primo contadino in costume … come è bello e splendi- damente maschio! Cammina con le mani appoggiate die- tro la schiena, lentamente, eretto, distaccato. La splendi- da inaccessibilità, indomabile … Come è bella la virilità, se trova la sua giusta espressione! E come è resa ridicola dagli abiti moderni! … Com’è affascinante, dopo gli ita- liani morbidi, vedere queste gambe nei loro aderenti cal- zoni stretti sotto il ginocchio, così definite, così maschie, con ancora tutta la loro antica fierezza».54 In Lawrence come in Figari, l’abito-corazza che aderisce alle membra rivelandone il turgore, e la berritta, il lungo copricapo di volta in volta pendulo o eretto, diventano chiari traslati simbolici di una «mascolinità non piegata dai tempi».55 Aiutando a far scivolare nel mito una rappresentazione altrimenti realistica, l’insistenza sulla rigidezza delle pose e sull’orgogliosa baldanza degli atteggiamenti stacca Fi- gari da un precedente pittorico che pure non ha manca- to di esercitare su di lui una certa suggestione, quello costituito dagli spagnoli Ortiz Echagüe e Chicharro. Giunti in Sardegna all’inizio del secolo, Eduardo Chi- charro e Antonio Ortiz Echagüe hanno raffigurato il mondo popolare isolano nei termini realisti cari alla tra- dizione del costumbrismo iberico.56 Nei loro quadri ro- bustamente costruiti, illuminati da un colore pastoso e brillante, l’architettura stessa della composizione trova il suo perno nell’abito tradizionale, rappresentato con dovi- zia di dettagli (fig. 568). La loro ricerca di scioltezza e na- turalezza, combinata con un’attenta resa delle movenze del corpo etnico, riesce a darci un’immagine persuasiva, 354

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570 571 e, da un punto di vista documentario probabilmente fe- di analoghi riferimenti culturali: è il caso di Anselmo dele, della vita paesana. Bucci, che, giungendo da Parigi dove ha messo a punto Mentre è innegabile che l’esempio di Ortiz e Chicharro la propria formazione postimpressionista e sintetista, visi- abbia contribuito ad alimentare l’interesse degli artisti ta la Sardegna nel 1912.57 In uno dei quadri che ne ripor- sardi per la realtà contadina della loro terra, è anche ta, Il sindaco di Dorgali e l’assessore anziano (fig. 573) vero però che la prospettiva in cui questi ultimi si pon- – due ruvidi totem intagliati in una pasta di colore gono è diversa. Al corpo etnico dipinto dagli spagnoli spesso e senza finezze –, coglie alla perfezione l’accor- sostituiscono un corpo arcaico, che ne esaspera le carat- do tra l’astratta pezzatura di tinte del costume e l’impe- teristiche di gravità, solennità, staticità e fiera eleganza. netrabile e imperturbabile fermezza dei notabili di pae- Una ieratica immobilità contraddistingue i contadini di se, seduti ritti con le mani conserte o saldamente posate Carmelo Floris (fig. 570), quelli raffigurati con ossessiva sulle cosce. minuzia da Cesare Cabras (fig. 569), quelli di Melkiorre Se l’interesse di Bucci si arresta prevedibilmente alla Melis (fig. 572) e di suo fratello Federico (fig. 571), in- suggestione formale del corpo etnico (trasformato dal gabbiati entro spigolose geometrie decorative; veri e costume in un mosaico di bianchi, neri e rossi),58 da propri feticci tribali sono i pupazzi in legno e tessuto di Biasi e dagli altri artisti sardi d’inizio secolo la semplicità Anfossi e Tavolara (fig. 574), nei quali convivono stiliz- zazione astratta ed esattezza nella trascrizione delle for- 570. Carmelo Floris, Sposa in chiesa, 1932 ca., me del costume. olio su tela, Nuoro, MAN. Una cultura sensibile al fascino del primitivo ha prepa- rato gli artisti sardi a ricercarlo nella realtà che hanno 571. Federico Melis, Sposa antica, 1930, terraglia dipinta e invetriata, sotto gli occhi e ad intensificarne i tratti nelle loro ope- Cagliari, Rettorato dell’Università. re. Lo stesso accade a quanti arrivano nell’Isola provvisti La figura della sposa contadina, fissata in una posa frontale e statica, incarna il corpo arcaico in tutta la sua rigidezza cerimoniale. 355

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572 delle movenze, la rude eleganza del portamento che lo connotano vengono lette come indizi di nobiltà ancestra- 573 le: ai loro occhi sono segni di appartenenza a una razza eletta («perché se l’abito del lavoratore è sporco, il gesto 356 lo tradisce»),59 di cui fame e miseria non sono riusciti a piegare la dignità innata. Lo stesso abito tradizionale è visto come prova di una naturale raffinatezza di gusto; le contadine che ne tessono e cuciono le stoffe sono altret- tante artiste. Il costume popolare isolano è «una compo- sizione astratta di colori … una vera completa pittura, una sicura opera d’Arte, alla quale il pittore ultimo arri- vato non avrebbe potuto aggiungere che la propria ine- sperienza … ogni piccolo villaggio poteva essere una buona accademia, purché il pittore avesse avuto occhio per imparare. Chi non conosce quel piccolo capolavoro che è il grembiule delle donne di Orgosolo?».60 Corpi arcaici, moda e modernità Per quanto sottoposte a una forzatura in senso primitivi- sta (o forse proprio per questo motivo), le rappresenta- zioni della vita sarda di Biasi e dei suoi colleghi isolani dovevano apparire agli occhi dei contemporanei note- volmente più efficaci e convincenti di tutte quelle che le avevano precedute: non stupisce che nel 1910 si pen- sasse all’artista sassarese come al più adatto per dise- gnare dei manichini destinati all’esposizione di costumi sardi nella Mostra Etnografica in seno all’Esposizione di Roma dell’anno dopo.61 Ma, se Biasi e compagni “vedono” per la prima volta il corpo etnico dei sardi, che l’abitudine al corpo costruito dalla moda sottraeva allo sguardo degli illustratori e dei pittori dell’Ottocento, non per questo li si può dire im- muni dall’influsso del loro tempo. La filatrice di Ciusa, per esempio, trova una coincidenza con le linee asciutte della silhouette femminile della seconda metà del primo decennio grazie all’espediente della gonna trattenuta fra le ginocchia (fig. 566). I corpi dipinti da Biasi, poi, ri- sentono inequivocabilmente delle immagini suggerite dalla moda d’inizio secolo, in particolare di quelle crea- te da un grande couturier come Paul Poiret e divulgate attraverso le tavole di Georges Lepape, Paul Iribe e Georges Barbier. Mentre Poiret trasforma la figura fem- minile in una svelta sagoma adorna di esotici turbanti, inguainata in abiti quasi tubolari a vita alta o coperta da pantaloni da odalisca, Lepape e Iribe operano un deciso cambiamento nell’illustrazione di moda, introducendo disegni semplici e compatti, privi di dettagli ma capaci di restituire l’essenza dello chic contemporaneo con la stessa immediatezza degli scatti di pionieri della fotogra- fia moderna come Lartigue o Steichen (fig. 575). Moda, illustrazione di moda e fotografia si alleano all’arte pri- mitivista degli anni Dieci nel definire la nuova sensibilità verso una forma astratta e sintetica. Mettendo accanto alle illustrazioni di Lepape (fig. 576) le tavole e le xilografie di Biasi, si ritrovano nelle une e nel- le altre le stesse figurine eleganti stagliate a coppie con- tro sfondi dall’orizzonte basso, la stessa semplificazione

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572. Melkiorre Melis, Donna con velo e spighe, 1930, terracotta dipinta e invetriata, Nuoro, Archivio per le Arti Applicate. 573. Anselmo Bucci, Il sindaco di Dorgali e l’assessore anziano, 1912, olio su tavola. A chi è sensibile al fascino del primitivo non sfugge la rigidezza del corpo etnico. Anselmo Bucci, reduce da Parigi, coglie alla perfezione il portamento impettito e fiero dei due notabili di paese. 574. Casa ATTE, Uomo di Teulada e Donna di Sennori, 1925-29, corpi in legno intagliato e policromato, vesti in feltro e tela, bottoni in filigrana d’argento. 574 dei contorni, la stessa stilizzazione vagamente esotica dei modelle di questi quadri hanno tutta l’aria di essere si- visi. Nella xilografia Giovinette (1912-15) (fig. 577), Biasi gnore della buona società vestite da paesane, e a volte manipola i contorni delle gonne in modo da evocare la lo sono davvero: così Javotte Bocconi Manca di Villaher- jupe-culotte lanciata da Poiret nel pieno della sua ispira- mosa e sua sorella Anna posano impassibili e distaccate zione orientalista;62 in Visi di donne,63 lo scialle incorni- in sontuosi – e abbastanza improbabili – costumi di Nu- cia il volto triangolare con un effetto simile a quello pro- le color verde acqua e giallo senape.66 Qui Biasi tiene dotto dal turbante in una nota illustrazione dell’album presenti esempi iconografici di Zuloaga, pittore da lui Les Choses de Paul Poiret.64 Qui, probabilmente, non è il molto guardato, ma sembra anche rispondere in qual- caso di parlare di schemi e forme inconsciamente interio- che modo alla voga della robe de style, un tipo di abito rizzati: il glamour della moda è uno degli strumenti di cui dal corpetto attillato e dall’ampia gonna alla caviglia, Biasi – lettore della Gazette du Bon Ton, rivista d’avan- che a cavallo tra gli anni Dieci e i Venti costituì per guardia in questo campo e una delle principali testate qualche tempo un’alternativa conservatrice ai semplici e che contribuiscono alla diffusione del nuovo look di Poi- corti abiti a tubo venuti di moda nel dopoguerra. In ge- ret – si serve consapevolmente per condurre a termine il nere rappresentata nelle illustrazioni con immagini fron- proprio progetto di valorizzazione della Sardegna, della tali a figura intera, di grande effetto decorativo, la robe sua cultura e della sua tradizione. Stabilire un’analogia de style aveva in sé un elemento di travestimento (ri- visiva tra gli abiti delle contadine sarde e le creazioni specchiato anche dal nome) che si accordava bene con della couture parigina significava infatti rovesciare un se- lo spirito dei dipinti di cui parliamo. gno di rozzezza, arretratezza e miseria in uno di elegan- Per chi accettava o chiedeva di essere ritratta in questo za cosmopolita, far coincidere l’idea dell’arcaico con modo, la scelta di un abito tradizionale non doveva es- quella della più sofisticata modernità. sere priva di significato. È da credere che questo sia il È una strategia cui il pittore si atterrà anche in seguito, caso di Javotte e Anna di Villahermosa, aristocratiche ca- in una serie di immagini femminili a figura intera, con- gliaritane trapiantate a Milano, spinte verosimilmente da cepite come ritratti “in costume”. Raffigurate con indos- un sentimento “nazionale” a segnalare la loro apparte- so abiti tradizionali piuttosto scenografici, apparente- nenza sarda, tanto più in un momento in cui l’Isola, in- mente rielaborati dall’artista nelle fogge e nel colore,65 le nalzata agli onori delle cronache di guerra dall’eroismo 357

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575 576 577 della Brigata “Sassari”, godeva agli occhi degli italiani di del Salone Consiliare del Palazzo Civico di Cagliari;67 una popolarità senza precedenti. nel 1916, Mario Mossa De Murtas espone nella Mostra All’incirca negli stessi anni, l’uso dell’abito tradizionale dell’Autoritratto alla Famiglia Artistica di Milano la pro- come simbolo identitario è documentato da parte di di- pria effigie in «un abito sgargiante di contadino cagliari- versi artisti. Figari non esita a vestire i panni di uno dei tano» (fig. 580),68 gesto le cui implicazioni ideologiche suoi maschi e impettiti miliziani (fig. 567) nei dipinti sfuggono ai critici, che vi scorgono solo una delle tante «eccentricità» e «stranezze, non sempre di ottima lega» 575. Edward Steichen, Bakou et Pâtre. American, in Art e Décoration, presenti nella rassegna.69 Parigi 1911. L’abito in questione è quello di Teulada, prediletto dagli artisti per il suo stravagante garbo spagnolesco. Questi 576. Georges Lepape, illustrazione per Paul Cornu, L’Art de la robe, non si accontentano di esibirlo in ritratti e autoritratti, in Art e Décoration, Parigi 1911. ma in qualche caso arrivano ad indossarlo nella quoti- dianità: mentre il pittore Stanis Dessy (fig. 578) e l’illu- 577. Giuseppe Biasi, Giovinette, 1912-15, xilografia. stratore Tarquinio Sini (fig. 579) lo mettono per posare davanti al fotografo (e il secondo se ne fregia in un’au- La Sardegna vista dal salotto: la linea asciutta dei figurini di Lepape tocaricatura), Mossa De Murtas ne disegna per sé uno e delle foto di Steichen ritorna nelle figure femminili di Biasi. che fa eseguire da un sarto di grido, e che porta con Le contadinelle sarde vestono Poiret. noncuranza per le vie di Roma. «Un giorno me lo vidi arrivare in casa vestito da teuladino, – ricorda un cono- 578. Stanis Dessy in costume di Teulada, 1920. scente – con tanto di sombrero, di collo alto ricamato, Fotografia di Alfredo Ferri. di larghe brache sulle uose nere e bottoniera sul corset- to. Era di una eleganza sopraffina».70 Portare gli abiti tra- 579. Tarquinio Sini, Autocaricatura, in T. Sini, A quel Paese, dizionali è da un lato una dichiarazione identitaria, dal- Cagliari 1929. l’altro un segno di paradossale dandismo, personale 580. Mario Mossa De Murtas, Autoritratto, 1916. Foto d’epoca. L’abito tradizionale sardo come contrassegno di identità: l’eleganza spagnolesca del costume di Teulada, col grande sombrero e il colletto bianco inamidato, seduce tra gli anni Dieci e i Venti più di un artista. 581. I sardi ballano il fox-trot, illustrazione da Il Giornale d’Italia, Roma 1921. 578 579 580 581 358

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eccentricità e spirito di contraddizione, lo stesso che 582 spinge l’artista a partecipare in abiti da equitazione a una sfilata folkloristica, rispondendo, a chi gli domanda- 582. Edina Altara, illustrazione per il racconto di G. Fernando, va di quale paese fosse il suo costume, «io partecipo alla L’acqua muta, in Il giornalino della Domenica, 1 agosto 1920. cavalcata vestito da Sardo comune…».71 L’aneddoto ac- quista sapore se si tiene conto del fatto che buona parte 583. Mario Mossa De Murtas, Carnevale, copertina de Il giornalino dell’aristocrazia sarda indossava, in atto di omaggio al re della Domenica, 1920. in visita nell’Isola, i panni tradizionali dei vari paesi.72 La mise da teuladino suscita sensazione nel 1921, al Gran Il corpo arcaico si dinamizza al ritmo sincopato della musica Ballo delle Nazioni all’Hotel Excelsior di Roma, dove degli Anni Ruggenti. Mossa si lancia in scatenati fox-trot con la nota cantante Gabriella Besanzoni, vestita di un costume di Orgosolo (fig. 581).73 Ben conscio della carica simbolica espressa dall’abbigliamento, il pittore non si perita di attribuire quasi una coloritura politica al successo riscosso in que- sta occasione dai costumi sardi, dandogli il senso di un atto diplomatico di avvicinamento della Sardegna allo stato italiano: «Perché talvolta ci si affiata e ci si intende di più ballando lo jazz, al suono di un’orchestra diaboli- camente sincopata, anziché affliggendo il prossimo con la eterna questione del pecorino che ha reso tanto temuti e famosi i nostri parlamentari fra i loro colleghi».74 Verso il 1929, il costume è adottato come divisa quoti- diana dal pittore Brancaleone Cugusi,75 in un momento in cui il fervore identitario d’inizio secolo, dopo aver trovato uno sbocco politico nel sardismo del dopoguer- ra, è ormai entrato in fase discendente con il consolidar- si del regime fascista. Anche Cugusi è un dandy eccen- trico e sofisticato: «Personaggio strano e misterioso del quale nessuno sapeva nulla»,76 colpisce la fantasia del giovane Costantino Nivola. «Di nobile nascita, egli era giovane, distinto e raffinato. Estremamente magro e pal- lido … il costume sardo che indossava sempre, autenti- co o di sua invenzione, gli stava alla perfezione. Passeg- giava in piazza da solo o in mia compagnia. Il sarcasmo della gente di Sassari non lo toccava…».77 I sardi ballano il fox-trot: la dinamizzazione 583 del corpo etnico Quella della coppia di ballerini che, coperti di ruvido orbace, si dimenano seguendo i ritmi alla moda è un’immagine che sembra ironicamente prefigurare la trasformazione del corpo etnico – e del corpo arcaico che ne costituisce il riflesso primitivista nell’arte – per effetto dei processi di modernizzazione del dopoguerra. Prima ancora che l’incalzare dei mutamenti sociali e cul- turali porti in vaste aree dell’Isola all’abbandono dell’a- bito tradizionale, questo comincia ad acquistare nuovi caratteri nelle opere di alcuni artisti sardi, resi più ricetti- vi ai temi della modernità dal contatto diretto con l’in- dustria culturale e dall’esperienza della vita urbana in centri come Milano, Roma, Torino. Tarquinio Sini, Edina Altara e lo stesso Mario Mossa De Murtas sono tra i primi a sciogliere, nelle loro opere, l’esasperata rigidezza del corpo arcaico (figg. 582-583). Si tratta non a caso di artisti look-conscious, attenti alla loro apparenza, e nella cui attività la moda occupa un 359

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posto non secondario.78 Lavorando come illustratori per le riviste, come cartellonisti pubblicitari, bazzicando in vario modo gli ambienti dello schermo, sono divenuti più acutamente partecipi della nuova consapevolezza dei corpi in movimento provocata dal diffondersi del cinema e dell’istantanea fotografica.79 L’occhio meccanico, ormai onnipresente nella vita quotidiana, ha familiarizzato la gente con la propria immagine e l’ha abituata ad avere coscienza dei propri gesti; questi si sono fatti via via più fluidi, liberandosi da quella sorta di impaccio da cui in precedenza apparivano intralciati nelle rappresentazioni fotografiche, e per constatare il quale è sufficiente para- gonare l’elegante naturalezza delle mannequin nelle illu- strazioni di moda d’inizio secolo con l’aria infagottata e a disagio delle donne in carne e ossa riprese dal fotografo. Chi guarda ai corpi rivelati dalla moda, animati dalla dan- za e plasmati dallo sport, a corpi magri ed atletici, ab- bronzati e cosmetizzati, non può più coltivare come ideale la ieratica staticità dell’idolo primitivo, e nemmeno può concepire l’annullamento del corpo, la sua identifi- cazione totale con gli indumenti creata dall’abito tradizio- nale. Il primitivismo statico del corpo arcaico è distrutto 584 585 da un nuovo primitivismo ritmico e dinamico, quello del jazz, dell’art nègre, dei vari balli moderni che impazzano tra la gioventù degli anni Venti; l’acquisita abitudine alla semi-nudità, all’esposizione di porzioni più o meno vaste di epidermide (sulle spiagge, sulla scena e sullo scher- mo, ma anche in contesti ordinari grazie a fogge di ve- stiario sempre più succinte) frantuma l’identità corpo-co- stume, rende possibile per gli artisti pensare all’esistenza del corpo sotto il costume. Ad una delle sue contadine Mossa addirittura toglie la gonna (coprendola con una foglia di fico) nella copertina di un romanzo, una paro- dia della letteratura deleddiana del giornalista Pasquale Marica;80 le attraenti donnine in abiti sardi che popolano le illustrazioni di Sini hanno anch’esse evidentemente un corpo, delle membra agili e tornite: non sono diverse da quelle che in altri suoi disegni ritroviamo in vaporosi e audaci déshabillé. In queste illustrazioni, il registro ironico e scanzonato risolve l’opposizione tra nudità e abiti tradizionali mani- festata da opere come L’anfora sarda di Ciusa, in cui la 584. Ciriaco Piras, Anfora con nudini ai manici, 1924 ca., terracotta da stampo dipinta “a freddo”, Nuoro, Archivio per le Arti Applicate. Nel clima più disinvolto degli anni Venti, gli artisti sardi arrivano a conciliare identità etnica e fascino del corpo femminile. 585. Mario Mossa De Murtas, Contrasti, copertina de Il giornalino della Domenica, 1920. 586. Tarquinio Sini, Mondanità, 1928 ca., tempera su carta. 360

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prorompente fisicità del nudo urta contro l’astratta geo- precedenti nella grafica primonovecentesca, e che in ri- metria del costume, mentre l’accenno alla maternità ferimento alla Sardegna era stato toccato qualche anno smussa, senza eliminarla, l’antitesi ideologica tra sardità prima da Mossa in una copertina (fig. 585), verrà repli- e sensualità femminile. Restando in tema di anfore, il ri- cato dall’artista instancabilmente in successive serie di fiuto del nudo associato alla sardità è superato con di- cartoline.82 Nelle sue vignette, il mondo urbano è im- sinvoltura da un allievo di Ciusa, il ceramista Ciriaco Pi- personato quasi esclusivamente da piccanti fanciulle ras, che verso il 1924 modella due morbidi nudini in scollate e in calze di seta: una femminilizzazione che ri- cuffietta di Desulo come anse per una delle sue broc- specchia l’identificazione, diffusa nella cultura del mo- che in terracotta (fig. 584); ma il tabù si dimostrerà co- mento, tra moda, consumo, donna e modernità.83 La munque duro a morire. Ne è ancora condizionato, nel metropoli frivola, sensuale e prona alle seduzioni della 1930, Stanis Dessy, che dopo aver dipinto due Bagnan- merce è confrontata con una Sardegna ipervirilizzata, ti contadine in atto di spogliarsi sulla spiaggia ci ripensa simboleggiata da irsuti e satireschi paesani di Teulada e taglia il quadro in due, sopprimendo ogni riferimento (fig. 586): e non si fatica a immaginare quali fantasie al costume.81 avrà suggerito un simile accostamento, già ricco di sot- Nessuna pruderie ingombra invece il lavoro di Sini, che tintesi sessuali, in «altre suites di immagini più osé »,84 sulla contrapposizione tra gli abiti castigatissimi della oggi irreperibili ma citate dalla stampa dell’epoca. (Non contadina sarda e quelli rivelatori della garçonne, la era la prima volta, va detto, che le possibili implicazioni giovane donna disinibita dai capelli e dalle gonne corte erotiche del rapporto tra la donna cittadina alla ricerca che è come un’epitome del clima degli anni ruggenti, e di sensazioni forti e il rude, primitivo maschio sardo sul contrasto tra i rispettivi stili di vita, imbastisce un solleticavano l’immaginazione degli illustratori: si veda- fortunato ciclo di vignette (figg. 632-634). Il tema dei no, nel 1914, le peraltro caste tavole di Renato Ferrac- Contrasti tra città e campagna, che non mancava di ciù per il racconto La cena tragica di Nino Frongia).85 586 361

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La garçonne e il suo corrispettivo maschile, il dandy 587 vagamente effeminato, vestono l’abito tradizionale nelle rare illustrazioni di soggetto sardo di Loris Riccio, dise- entro villaggi appositamente ricostruiti, e come docu- gnatore di moda di Lidel e quindi, a Parigi, di Vogue e menti del passato, in un museo etnografico di cui si au- di Modes et Travaux. In ossequio all’imperativo della spica l’istituzione (seppure alcuni obiettino che alla Sar- magrezza imposto dai codici dell’eleganza anni Venti, degna servirebbe di più una mostra delle toilette di Riccio rimuove qualsiasi accenno di seno o fianchi dal- Gloria Swanson che un’esposizione di mastruche e ber- la figura delle sue sofisticatissime contadine. Magri so- rittas); allo stesso modo, l’eterna cuffietta di Desulo de- no anche gli improbabili paesani imbrillantinati dipinti ve cessare di infestare la letteratura e la pittura isolane.88 sulle ceramiche di Edina Altara, nelle quali il costume I proclami del Lunedì hanno ovviamente scarse possibi- sardo acquista le linee dell’ultima couture. lità di influire sulle usanze vestimentarie dei sardi, ma Il corpo arcaico si dissolve insomma sotto l’azione con- non si può dire neppure che riescano a modificare in giunta della moda e dell’ironia, elementi d’altronde inse- misura apprezzabile il corso dell’arte locale. Pittori e parabili. Incline al pastiche, alle mescolanze, all’accosta- scultori continuano imperterriti a fare dell’abito tradizio- mento irriverente, la moda tende sempre a presentare nale il motivo centrale delle loro opere; alcuni di essi una visione ironica di tutto ciò che è stato consacrato però non mancano di coglierne puntualmente le tra- dal tempo, della storia come della politica o della reli- sformazioni. Tra questi è Biasi, che pure lamenta la «mi- gione; l’abito tradizionale, per converso, presuppone la seria striminzita» di quei villaggi dell’Isola «dove il rullo fede in un insieme di valori stabili, che non è concesso compressore della civilizzazione standardizzata ha di- prendere alla leggera. Quando l’abito tradizionale si co- strutto le tradizioni … e la gente è divenuta miserabile, lora d’ironia, come accade con Sini, Mossa, Altara o Pi- indossando definitivamente la divisa della povera gen- ras, vuol dire che è stato già intaccato dai fluidi corrosivi te».89 Ragazze di Osilo (fig. 587), un grande olio da lui della moda. esposto nel 1930 alla Biennale di Venezia, sciorina da- vanti allo spettatore un quintetto di bellezze paesane Il tramonto dell’abito tradizionale Con la fine della guerra, la moda ha cominciato a pene- trare nei paesi della Sardegna, portandovi la sua pro- messa di cambiamento, di evasione dai ruoli prefissati, di nuove occasioni e di possibilità alternative. È a parti- re da questo periodo che l’abito tradizionale comincia a venir modificato dalle donne con l’introduzione di ac- cessori moderni (le scarpe sono tra le prime a essere so- stituite), e quindi via via trasformato nelle fogge di tran- sizione del “mezzocostume”,86 mentre dagli uomini è gradualmente abbandonato per il completo in fustagno o in velluto, “abito etnico” destinato a lunga vita87 (sarà questo abbigliamento di transizione ad ereditare nel se- condo dopoguerra le valenze identitarie già proprie del costume: negli anni Cinquanta, a New York, Costantino Nivola (fig. 592) poserà spavaldo in velluto e gambales davanti a una fontana di tubi metallici. Benché negli anni Venti l’uso dell’abito tradizionale ab- bia già iniziato a diradarsi, c’è chi, non pago dei mecca- nismi di modernizzazione in atto, vorrebbe affrettare la naturale opera del tempo: secondo i giovani intellettuali fascisti raccolti a Cagliari intorno alla redazione del Lu- nedì dell’Unione, i costumi sporchi e maleodoranti, «case popolari per le pulci», devono sparire; possono soprav- vivere tutt’al più come strumento di attrazione turistica, 587. Giuseppe Biasi, Ragazze di Osilo, 1929 ca., olio su tela (particolare). 588. Rina De Liguoro, foto d’epoca. 589. Melkiorre Melis, Donna di Oliena, 1925-30, terracotta dipinta e invetriata. Rina De Liguoro, gloria isolana del cinema muto, diventa una paesana sarda nelle ceramiche di Melkiorre Melis. 588 589 362

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590 591 592 col rossetto sulle labbra, gli occhi e le guance ritoccati schile di velluto, si può dire che – a riscontro dell’asim- dal make-up; invece dei rustici zoccoli calzati dalle mo- metria dei ruoli sessuali (la mobilità dell’uomo, evocata delle dei quadri giovanili dell’artista, le gonne corte alla in absentia dagli indumenti vuoti, contrapposta alla caviglia espongono scarpette col tacco alto, e quel poco staticità della donna) – la tela riassuma la diversa evo- di capigliatura che si affaccia dagli scialli ha tutta l’aria luzione dell’abbigliamento maschile e femminile nel di essere passata per le forbici e i ferri del parrucchiere. corso degli anni Trenta, il primo ormai sensibilmente Coperti di maquillage sono anche i volti delle donne staccato dai codici tradizionali, il secondo ancora lega- raffigurate nelle ceramiche di Federico e Melkiorre Me- to ad essi. lis, immagini (ovviamente da non intendersi come regi- Un contadino in abito di fustagno appariva già in un strazioni della realtà popolare, ma comunque sintomati- quadro del 1932 di Antonio Mura,92 artista privo delle che di un cambiamento in atto) di contadine che sotto i qualità pittoriche di Cugusi e del suo occhio per i parti- cappucci, le cuffie e i veli tradizionali esibiscono gli oc- colari. Ma ancora prima, nel 1930, Il vecchio Elia di Car- chi pesantemente bistrati e il trucco da maschera tragica melo Floris (fig. 590) aveva deposto la berritta per il delle dive del muto (figg. 588-589). La somiglianza tra i cappello a visiera e mostrava, sotto il mantello da pasto- soggetti di alcune mattonelle di Melkiorre Melis, in par- re, giacca e calzoni di foggia cittadina; nelle tele di Biasi ticolare, e le foto dell’attrice Rina De Liguoro, gloria iso- per la Stazione di Tempio, del 1932, «con le gabbanelle lana dello schermo, è tale da far pensare a un richiamo … nella parte superiore, i bei corpetti di pelle o di vel- premeditato. luto, i pantaloni si erano fatti stretti e lunghi, europei».93 In altre opere, sono gli uomini a mostrare i segni del Così li ritroviamo in molte opere tarde del pittore, che nuovo che avanza. Brancaleone Cugusi ci offre, nel verso la fine degli anni Trenta doveva registrare anche il 1936, la più attenta e convincente descrizione dell’abi- diffondersi di forme più compiute dell’abito “di transi- to di velluto (fig. 591): ampia camicia senza colletto, zione”. Si può dire insomma che Biasi non avesse torto gilet slacciato e pantaloni sdruciti nel colore verde do- quando, nel 1935, affermava che «la Sardegna che viene rato prediletto dai contadini,90 il tutto portato con ruvi- descritta dagli artisti sardi non è affatto la Sardegna di do aplomb di marca tradizionale. Un’analoga camicia trent’anni fa. È la Sardegna di oggi».94 bianca, dispiegata con lusso di panneggi, forma il mo- tivo centrale di un altro quadro di Cugusi, La cucitrice 590. Carmelo Floris, Il vecchio Elia, 1930, olio su compensato. (fig. 27),91 affascinante sintesi di realismo quasi docu- mentario (nella registrazione della posa e dell’abito da 591. Brancaleone Cugusi, Contadino in verde, 1936, olio su tela. lavoro delle due donne, in dettagli di sapore etnografi- co come i due cesti intrecciati) e di straniata, atempora- 592. Costantino Nivola nel giardino della sua casa ad East Hampton, le sospensione. Se quella posata sul panchetto a sinistra anni Cinquanta. della rammendatrice è, come sembra, una giacca ma- Dai contadini in posa per gli artisti all’artista che posa da contadino: col tramonto dell’abito tradizionale, è il completo di velluto a ereditarne il valore di simbolo identitario. 363

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E, potremmo aggiungere noi, sarebbe rimasta la Sarde- gna di domani, almeno per un’altra buona ventina d’an- ni, per quanto profonde e sconvolgenti fossero le tra- sformazioni sociali e culturali attraversate dalla regione. Messe accanto ai quadri del pittore sassarese, le foto- grafie scattate nell’Isola a partire dal 1955 dal suo quasi omonimo, Mario De Biasi,95 mostrano infatti una realtà ancora sorprendentemente simile: le desulesi inginoc- chiate in preghiera, le processioni con i confratelli bian- covestiti, le donne di ritorno dalla fonte con l’anfora in capo. Certo, in altre foto il sapore dei tempi mutati si fa sentire con prepotenza, generando “contrasti” non me- no acuti di quelli tratteggiati nelle vignette di Tarquinio Sini: la benzinaia di Desulo che manovra la pompa del distributore (fig. 593) è un’immagine altrettanto icastica del brusco urto tra modernità e tradizione, soltanto che ormai – incredibilmente, siamo alla metà degli anni Set- tanta – la prima è penetrata fin nel cuore della seconda. Banalizzazione commerciale e cristallizzazione 593 folkloristica Gli artisti che fra gli anni Dieci e i Venti costruiscono 593. Desulo 1974, fotografia di Mario De Biasi. l’iconografia della “sardità” contribuiscono anche, indi- La benzinaia in costume di Desulo è un efficace emblema rettamente, ad affrettare il declino dell’abito tradizionale. del contrasto tra modernità e tradizione. Se da un lato ci tramandano la memoria di fogge e usi 594. Melkiorre Melis, Desulese, 1925 ca., terracotta dipinta e invetriata. vestimentari non più esistenti, dall’altro operano una se- lezione di tipi che non sarà senza effetto, negli anni a 594 venire, sulla riduzione e l’irrigidimento normativo della straordinaria varietà del vestiario tradizionale, provocati dall’organizzazione del folklore a scopo turistico. Gli abiti più spesso raffigurati sono quelli di Desulo, Fonni, Ollolai, Atzara, Teulada, Sorso, Sennori: i costu- mi delle zone interne, dai volumi nettamente scanditi e profilati geometricamente, soddisfano il gusto secessio- ne-Déco, nel quale la maggior parte degli artisti sardi si sono formati, più dei pizzi vaporosi del Campidano, cari invece agli illustratori dell’Ottocento. Se Biasi, pur raccogliendo materiale per le sue opere un po’ in tutta l’Isola, dimostra in gioventù – come l’amico Mossa – una decisa predilezione per Teulada, Figari si concen- tra su Atzara, Floris su Ollolai, Delitala sui centri della Barbagia. L’abito tradizionale femminile di Desulo, particolarmen- te accattivante nel suo accordo di rossi, gialli e blu e re- so più aggraziato dalla caratteristica cuffia ricamata, è comunque il più popolare in assoluto. Il tema della “cuffietta di Desulo” conosce, tra gli anni Venti e i Qua- ranta (e oltre), variazioni senza numero in dipinti, og- getti d’arte applicata e illustrazioni (figg. 594-596), incre- mentando una voga che finisce per varcare i confini della regione, se è vero che, come riferisce Emma Cal- derini, nella Penisola si diffonde negli anni Trenta «l’uso del cappottino e della cuffietta desulese come eleganza infantile assai ricercata per l’originalità e la vivacità della foggia e del colore».96 Anche la Lenci mette in commer- cio la sua brava bambola in costume di Desulo, incon- gruamente bionda. 364

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Le desulesi imperversano con stucchevole ostinazione 595 nei cataloghi delle ditte ceramiche: sempre la Lenci (marchio già prestigioso, ma negli anni Trenta ormai in Generalmente malvisto nell’arte, il costume viene riso- decadenza e non restio ad appaltare su base regionale, spinto nell’ambito degli studi demologici, e, nel clima di ad artisti di secondo piano, il disegno dei modelli),97 la attenzione per il folklore regionale alimentato dal regi- Essevì e la C.I.A. di Sandro Vacchetti ne sfornano in me, conosce un ritorno d’interesse da parte degli illu- quantità. Nella loro produzione si coglie un progressi- stratori. Fra le duecento tavole del volume Il costume vo sfocarsi dei tratti del costume, rappresentato in mo- popolare in Italia, pubblicato da Emma Calderini nel do via via più generico e indifferenziato, finché da ulti- 1934, sono quelle dedicate alla Sardegna, legate alla tra- mo a “fare Sardegna” basterà la linea di un qualsivoglia dizione del figurino teatrale ancor più che a quella del- grembiule o velo con un accenno di bottone sardo. La l’illustrazione etnografica, mostrano gli abiti tradizionali, genericità della descrizione – riscontrabile anche nelle efficacemente stilizzati, indosso a immagini della pubblicità a partire dagli stessi anni personaggi che sono neutri ed (fig. 599) – va di pari passo con l’affermarsi di icono- eleganti manichini. grafie di un “blando esotismo”,98 in una serie di statui- Da un’esperienza diretta del- ne-soprammobili in cui sorridenti acquaiole e portatrici la realtà sarda nasce inve- di cesti sono colte in movimento, toccate da una brezza ce l’album di acquaforti birichina che solleva loro le gonne e i veli (fig. 598). acquerellate di Guido Con le movenze sinuose di una statuina di Cacciapuoti, Colucci, conservato nelle siamo in pieno musical anni Quaranta: il cestino, com- collezioni del Museo del- pleto di casco di banane tanto per aggiungere un tocco le Arti e Tradizioni Popo- di esotismo in più, echeggia un copricapo alla Carmen lari di Roma. Portata a ter- Miranda (fig. 597). mine nel 1936, sulla base Va da sé che neppure l’ombra del corpo etnico o del di materiali raccolti nel corpo arcaico sopravvive in queste leziose figurine. Di- 1928 durante un viaggio stribuite e vendute sul mercato nazionale, devono aver nell’Isola di circa un mese e fatto la loro parte nel rimuovere dall’idea di Sardegna di successivi studi al Museo ogni fastidiosa connotazione di orgoglio identitario, per di Villa d’Este a Tivoli,101 la rac- consegnarla definitivamente al limbo zuccheroso del colta rivela lo sforzo di restitui- folklore, di quel mondo agreste sterilizzato e addome- re, accanto all’apparenza dei sticato che la cultura del ruralismo fascista veniva ormai propagandando. 595. Pino Melis, Uscita dalla 596 Oltre che nelle arti applicate, l’abito sardo comincia, chiesa, metà anni Venti, col procedere degli anni Trenta, a perdere i propri terracotta dipinta e invetriata. contorni anche nell’arte “pura”, per effetto da un lato della lenta diffusione dei nuovi linguaggi, che portano 596. Federico Melis, Testina di a privilegiare l’elemento pittorico o plastico a svantag- desulese, 1928 ca., Nuoro, gio di quello descrittivo, dall’altro delle rampogne del- Archivio per le Arti Applicate. la critica italiana, che esorta assiduamente i pittori sardi ad accantonare i soggetti regionalisti, considerati un in- quinante elemento illustrativo, o perlomeno a sfumar- ne i tratti più appariscenti.99 Mentre gli artisti isolani tendono a minimizzare, da un certo punto in poi, il contenuto folkloristico delle loro opere, a metà decen- nio accade che i costumi sardi conoscano una qualche inattesa popolarità sulla Penisola: alcuni pittori, deside- rosi di ingraziarsi Cipriano Efisio Oppo, potente segre- tario della Quadriennale romana, rendono omaggio al- la sua origine sarda dipingendo figure graziosamente edulcorate, vestite di costumi che sono puri pretesti fi- gurativi. (I colleghi isolani, abbastanza naturalmente, non vedono di buon occhio questa incursione nel pro- prio territorio; alludendo alla Donna di Sardegna di Salietti esposta alla II Quadriennale, il solito Biasi la- scia cadere commenti sprezzanti su quel «paludamento sardo indossato da una donna lombarda. Opera di un pittore lombardo»).100 365

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vestiti, qualcosa della specificità antropologica di coloro che li indossano; non solo movenze e atteggiamenti (le mani infilate sotto il grembiule o nella cintura, un dato modo di sedere a terra con le gambe incrociate, ecc.), ma anche quella rigidezza del portamento sulla quale tanto avevano insistito gli artisti sardi d’inizio secolo. Di questi ultimi, Colucci dovette probabilmente vedere le opere (sappiamo che nel corso del suo viaggio entrò in contatto con pittori quali Delitala e Figari), e l’eco se ne avverte nella decisa geometrizzazione delle figure, sulla quale incide però, in qualche misura, anche una certa imperizia grafica dell’autore, particolarmente evidente nei disegni preparatori. 597 598 366

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599 600 597. Manifattura Cacciapuoti, Donna sarda, anni Quaranta, porcellana policroma. 598. Essevì, Acquaiola, seconda metà anni Trenta, terraglia a colaggio maiolicata dipinta a mano e all’aerografo. 599. Mario Caffaro Rore, La Littorina sulla ferrovia del Sulcis, 1935, manifesto, Genova, coll. Wolfson. 600. Fresca, freschissima Sardegna, 1997. Campagna pubblicitaria. La sineddoche pubblicitaria: velo e corsetto al posto dell’intero abito tradizionale. Da segno identitario forte, il costume diventa riferimento giocoso a un’idea di “tradizione” tanto generica quanto immediatamente riconoscibile. Epilogo: l’abito tradizionale nella cultura di massa identico costume femminile di Busachi. Nel sovrappor- Assecondato inizialmente dal clima ruralista degli anni re, all’ironia sul Kitsch turistico, un disincantato com- Trenta, il processo di banalizzazione dell’abito tradizio- mento sulla costruzione dell’identità etnica e di quella nale, assunto a emblema di una rassicurante Arcadia sessuale, Tilocca recupera le pose e l’allure del corpo paesana, subisce un’accelerazione nel dopoguerra, con arcaico, e addirittura trova, nel proprio autoritratto, ina- le crescenti fortune del turismo. spettate assonanze con Il Cainita di Ciusa, modellato Nel diluvio di immagini e di oggetti prodotti tra gli anni circa novant’anni prima. Quaranta ed oggi dall’industria del souvenir e da quella pubblicitaria, il costume sardo va incontro a bizzarre e 601. Aldo Tilocca, Real Good Time n. 3, 1999, spesso esilaranti trasformazioni. La biondina che sotto il proiezione di diapositive. Collezione dell’artista. velo e il corsetto vagamente tradizionali esibisce le All’insegna dell’ironia sul Kitsch turistico e della riflessione sull’identità gambe nude e i piedi calzati di tacchi a spillo per la etnica, personale e sessuale, il costume sardo riappare nell’arte degli pubblicità di un condizionatore (fig. 600) non è che anni Novanta. uno dei tanti esiti delle peripezie attraversate da quello che fu una volta l’espressione coerente ed organica di 601 una cultura. Seguirne le metamorfosi sarebbe lavoro af- fascinante, ma impossibile da svolgere in questa sede, così come impossibile (e poco utile al nostro discorso) sarebbe osservare gli sviluppi di quell’estremo filone – ormai dilettantesco – di pittura regionalista che soprav- vive fino ai nostri giorni, alimentando un mercato loca- le di piccolo cabotaggio. Ridotto a parodia di se stesso nella cultura di massa, espulso ormai da tempo dall’arte ambiziosa, l’abito tra- dizionale può occasionalmente riemergere nel lavoro di qualche artista, nel clima di rinnovato interesse per il tema identitario sorto con gli anni Novanta: così in Real Good Time n. 3 (1999) Aldo Tilocca (fig. 601) al- terna a una foto della statua nuorese del Redentore (soggetto ricorrente nella locale iconografia da cartoli- na) tre ritratti che raffigurano, in una eroicizzante ripre- sa dal basso, lui stesso, la moglie e il figlio vestiti di un 367

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Note 1. Cfr. J. Entwistle, E. Wilson 2001. lo agli omeri cadeva giù alquanto», «quella ca- te alle novità del “progresso”. dente grazia che è un segno d’aristocrazia fi- 2. Ci serviamo, qui e altrove nel testo, del ter- sica divenuto ormai rarissimo». 28. A. Hollander 1978, p. 340. Hollander lega mine “costume” per brevità, pur non dimenti- il diffondersi del gesto alla nuova consapevo- cando che, come ha giustamente rilevato G. 19. S. Naitza, Arte in Sardegna tra realismo e lezza delle gambe femminili creata dall’abitudi- Carta Mantiglia (1982) si tratta di definizione folklore, cat., Nuoro 1977. ne della bicicletta. inappropriata perché segnata da forti connota- zioni culturali. Su questi temi cfr. P. Piquered- 20. Si tratta di strumenti musicali il cui uso si- 29. Su Sciuti, cfr. M. Calvesi, A. Corsi, Giuseppe du 1987. multaneo fu presto abbandonato: cfr. la sche- Sciuti, Nuoro 1989; sulla decorazione del Pa- da di Festa campestre in Sardegna di G. Dore lazzo della Provincia, cfr. M. Magnani, “Il Pa- 3. In questo quadro di interessi si collocano (n. 112) in M.G. Scano 1997. lazzo”, in AA.VV., Il Palazzo della Provincia contribuiti di ambito storico-artistico come di Sassari, Sassari 1986, pp. 88-96; M.G. Scano quelli di W. Paris, “Moda del passato e costumi 21. Cfr. R. Serra, “La chiesa di San Lussorio a 1997, p. 221 sgg. popolari”, in Insularità 1996, pp. 85-90, e, per Selargius. Considerazioni in merito alla que- quanto riguarda i gioielli, A. Sari, “La gioielleria stione sul prospetto romanico del San Lucifero 30. M.G. Scano 1997, p. 265 sgg.; Giovanni dal Medioevo all’età moderna”, in Gli orna- di Cagliari”, in Sardegna, Mediterraneo e Atlan- Battista Quadrone 2002. menti preziosi dei Sardi, a cura di E. Atzori, tico tra Medioevo ed Età Moderna. Studi storici Sassari 2000, pp. 141-219. in memoria di Alberto Boscolo, a cura di L. 31. Cfr. G.L. Marini, “La colpa di essere troppo D’Arienzo, vol. I, Roma 1993, pp. 177-188. bravo”, in Giovanni Battista Quadrone 2002, 4. A. Hollander 1978, p. XII; più di recente, la pp. 11-35. Hollander è tornata sull’argomento con una 22. Fa eccezione la Dame de Sassari, ma solo mostra alla National Gallery e col relativo ca- perché desunta da una litografia della raccol- 32. Cfr. G.L. Marini, “La colpa di essere troppo talogo: Fabric of Vision. Dress and Drapery in ta di A. Pittaluga, Costumi della Sardegna – bravo” cit., p. 24. Painting, London 2002. Royaume di Sardaigne, incise da Levilly e Vittesse e stampate a Parigi nei primi decenni 33. Si veda ad esempio Annoiata (1874), in 5. A. Hollander 1995, pp. 17-24. del secolo. Dalla stessa fonte deriva anche la G.L. Marini, “La colpa di essere troppo bravo” Dama di Sassari di Baldassarre Luciano. cit., p. 51, n. 13. 6. M. Carosso 1984. Carosso ricorda che «nelle case tradizionali, gli specchi sono rari», e che a 23. Cfr. M.G. Scano 1997, pp. 49-50. 34. Nel recente catalogo Giovanni Battista Desulo «le donne che vestono in modo tradizio- Quadrone (2002), i brani del testo di G.L. Ma- nale non se ne servono per pettinarsi» (p. 91). 24. G. Vuillier 1893. La parte del testo relativa rini (“La colpa di essere troppo bravo”) dedi- alla Sardegna apparve dapprima nella rivista Le cati al rapporto dell’artista con la Sardegna 7. M. Carosso 1984, p. 79. Tour du Monde, a partire dal settembre 1891 riecheggiano con puntualità sorprendente un (cfr. la traduzione Le isole dimenticate. La Sarde- altro studio dedicato a un diverso artista, Giu- 8. M. Carosso 1984, p. 77. gna, pref. di A. Romagnino, trad. di M. Maulu, seppe Biasi, questo sì autore, alcuni decenni Nuoro 2002). Le 65 tavole che illustrano il testo, dopo, di una “scoperta della Sardegna” conce- 9. G. Carta Mantiglia 1982, p. 159. disegnate dall’autore, furono incise da Barbant. pita in termini di genuino primitivismo (cfr. G. Altea, M. Magnani 2001. Per un riscontro fra i 10. F. Orlando 1998, pp. 51-52. 25. Un’incisione come Donna di Desulo (n. 58), due testi, si vedano le pp. 12, 13 e 16 di Al- ad esempio, sembrerebbe derivare da una fo- tea-Magnani accanto alle pp. 25-27 di Marini). 11. Cfr. F. Alziator 1963, Cominotti. Cfr. anche tografia; la si confronti con la molto più idealiz- le schede n. 97a-97m di M.G. Cossu Pinna, in zata figura del Costume della festa (n. 46). 35. Per una rassegna più ampia di questi mate- Insularità 1996, pp. 193-196. riali (dei quali abbiamo qui considerato solo gli 26. Cfr. H. Koda 2001, pp. 53, 63. La preferen- esempi direttamente funzionali al nostro discor- 12. A. Hollander 1978, p. 327. za per un busto voluminoso dai seni non visi- so), si rimanda a F. Orlando 1998, pp. 43-52. bilmente separati sarebbe giunta poi all’apice 13. A. Hollander 1995, p. 95. verso il 1900, col trionfo del “monopetto”, 36. Per una ricostruzione del panorama artisti- contrappeso anteriore al sedere prominente co sardo nell’Ottocento, cfr. M.G. Scano 1997. 14. O Luciano Baldassarre. Non è chiaro se si richiesto dalla silhouette a “s” in voga nella tratti dell’autore del testo (il cui titolo completo Belle Epoque. 37. Il gusto revivalistico determinato in molti è Cenni sulla Sardegna ovvero usi e costumi, paesi europei dal National Romantic Move- amministrazione, industrie e prodotti dell’isola 27. Quelle presenti nell’abito tradizionale sardo ment si protrasse generalmente fino ai primi ornati di 26 tavole miniate, Torino 1841) o se maschile sono in effetti “finte” tasche, in cui è anni del Novecento. sia solo l’autore delle illustrazioni, siglate con impossibile riporre qualcosa. Nelle foto dell’Ot- le sue iniziali. Cfr. A. Gutierrez, scheda n. 46, tocento e del primo Novecento, la posa con le 38. Per un esame dello sforzo identitario del in Insularità 1996, pp. 165-166. mani in tasca non appare quasi mai (fa ecce- movimento intellettuale e artistico sardo del pri- zione una delle tavole di M.L. Wagner 2001, mo Novecento, cfr. G. Altea, M. Magnani 1995. 15. Cfr. H. Koda 2001, pp. 17, 33. fig. 5; il volume riunisce degli articoli pubblicati tra il 1907 e il 1914). La si ritrova invece, alla fi- 39. E. Delitala 1981. 16. Su Marghinotti cfr. M.G. Scano 1997; G. Do- ne degli anni Venti, nelle illustrazioni umoristi- re, Giovanni Marghinotti nel Museo Sanna, Sas- che di Tarquinio Sini, giocate sul contrasto tra 40. S. Ruju, “Note romane”, in La Nuova Sar- sari 1998. la Sardegna paesana e le usanze moderne; ma degna, 23 maggio 1902. l’intento è in questo caso attribuire ai contadini 17. Sul dipinto, cfr. M.G. Scano 1997, p. 117 e sardi un atteggiamento di nonchalance di fron- 41. C. Mariotti, “Barbari… ma chi?”, in L’Unione scheda n. 82 di G. Dore, p. 119; Insularità 1996, Sarda, 2 settembre 1902. scheda n. 96 di C. Limentani Virdis, p. 193. 42. P. Mureddu, “Note romane”, in La Nuova 18. In Il piacere (1889) Maria Ferres ha la li- Sardegna, 5 giugno 1902. nea delle spalle che «dall’appiccatura del col- 368

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43. S. Ruju, “La Sardegna che non piace”, in in Modern Art and Fashion, Cambridge, MA - T. Gronberg, “Paris 1925: Consuming Moder- La Nuova Sardegna, 26-27 luglio 1905. London 2003, pp. 124-126. nity”, in Ch. Benton, T. Benton, G. Wood, Art Deco 1910-1939, London 2003, pp. 157-163. 44. Lettera di Carlo Mazza all’Unione Sarda, 63. Fig. 112, in G. Altea, M. Magnani 1998. Cagliari, 21-22 marzo 1914. 84. P. Pallottino 1998, p. 18. 64. Les Choses de Paul Poiret, VI, Paris 1911. 45. Sul ruolo delle pratiche di vestiario e di 85. Pubblicate in Sardegna, Milano, marzo- adornamento come strumento di trasformazio- 65. Lo fanno pensare l’eccessiva ampiezza del- aprile 1914. ne sociale e politica, cfr. Fashioning the Body le gonne e la totale monocromia degli abiti Politic 2002. raffigurati in questa serie di dipinti, elementi 86. Consistente in una gonna pieghettata nera, insoliti nell’abbigliamento tradizionale sardo. marrone o blu, portata con una camicia non 46. Devo queste indicazioni alla cortesia di tradizionale, un fazzoletto e talvolta uno scial- Franca Rosa Contu, che ringrazio. 66. Ritratto di Javotte Bocconi Manca di Vil- le. Cfr. M. Carosso 1984, p. 76. lahermosa (1918 ca.), collezione Banco di Sar- 47. G. Doy 2002. degna, Sassari. Tetesedda (1918 ca.), collezio- 87. Cfr. U. Cocco, G. Marras 2000. ne privata, Sassari. Si deve alla famiglia Manca 48. F. Figari, “La civiltà di un popolo barbaro” di Villahermosa l’identificazione di Tetesedda 88. Cfr., sulla campagna di modernizzazione (1921), in Il Nuraghe, Cagliari, a. II, n. 17, con il ritratto di Anna Manca di Villahermosa. lanciata dal Lunedì dell’Unione, G. Altea, M. giugno-luglio 1924; ora in G. Murtas 1996, Magnani 2000, p. 280 sgg. pp. 194-199. 67. I dipinti del Salone Consiliare furono co- minciati nel 1916 e portati a termine dopo la 89. G. Biasi 1935, p. 41. 49. S. Ruju, “Tipi e paesaggi sardi di Grazia guerra. Deledda”, in La Nuova Sardegna, 11 gennaio 90. I pastori preferivano il marrone. Cfr. U. Coc- 1902. 68. G. Marangoni, “Le ultime esposizioni. L’au- co, G. Marras 2000, p. 124. toritratto. La mostra degli alleati”, in La Cultu- 50. G. Biasi 1935, p. 40. ra Moderna, Milano, a. XXVI, n. 2, 15 dicem- 91. G. Altea, M. Magnani 2000, pp. 163-165. bre 1916, p. 70. 51. S. Ruju, “Tipi e paesaggi sardi di Grazia De- 92. Antonio Mura, Contadino, 1932, collezione ledda”, in La Nuova Sardegna, 11 gennaio 1902. 69. G. Marangoni, “Le ultime esposizioni” cit. privata, Cagliari. Cfr. M.L. Frongia, Catalogo L’autoritratto di Mossa, noto da fotografie, sem- della collezione del Man, Nuoro 1999; Antonio 52. M.G. Messina 1994. bra sia andato smarrito nel 1927, dopo essere Mura, cat. a cura di M.G. Scano, Nuoro 1999. stato inviato ad una mostra a Firenze. 53. Galleria Comunale d’Arte di Cagliari. 93. U. Cocco, G. Marras 2000, p. 132. 70. P. Marica, “Sardi e battaglie d’altri tempi a 54. D.H. Lawrence 2000, pp. 104-105. Il tema Roma”, in Frontiera, Sassari, a. I, n. 1, gennaio 94. G. Biasi 1935, p. 33. della virilità primordiale espressa dall’abito 1968, p. 27. sardo è efficacemente sottolineato nella prefa- 95. Il fotografo Mario De Biasi si recò in Sar- zione di Luciano Marrocu. 71. A. Simon Mossa, “Ritratto di famiglia: zio degna per la prima volta nel 1955, insieme ad Mario”, in Frontiera, Sassari, a. IX, n. 101, 1976, Alfonso Gatto, come inviato della rivista Epo- 55. L. Marrocu, “Prefazione”, in D.H. Lawrence p. 158. ca. Cfr. Mario De Biasi 2002. 2000, p. 19. 72. L’episodio si riferisce alla cavalcata tenuta- 96. E. Calderini 1934, p. 66. 56. Cfr. M.L. Frongia 1995. si nel 1921 in occasione dell’arrivo a Sassari del re Vittorio Emanuele III; tra i mille cavalie- 97. A. Cuccu 2000, p. 101. 57. Cfr. Anselmo Bucci 1887-1955, cat. a cura ri che sfilarono vi erano anche diversi membri di E. Pontiggia, Milano 2003. dell’aristocrazia locale, vestiti in abiti tradiziona- 98. A. Cuccu 2000. li. Cfr. M. Riccio, “Le cavalcate in Sardegna in 58. Ecco come Bucci descrive l’abito tradizio- onore del Re”, in Noi e il Mondo, Roma, a. XI, 99. G. Altea, M. Magnani 2000, pp. 24-25. nale di Nuoro: «Mastruca irsuta, già nera; cami- n. 9, settembre 1921, pp. 653-657. Nel 1939, cia di tela, già bianca; gran cintura che regge- per festeggiare l’arrivo dei Principi di Piemon- 100. G. Biasi 1935, p. 8. va infilata una cote che sembrava uno stiletto; te, i nobili sardi avrebbero ugualmente indos- brache di tela, già bianche; ghette di orbace, sato il costume al ballo tenuto nella villa al- 101. Per le vicende dell’esecuzione e la suc- già nero» (A. Bucci, Pane e luna, Urbino 1977, gherese dei conti S. Elia. cessiva storia delle acquaforti del Colucci, cfr. p. 85; poi in Anselmo Bucci cit., p. 62). F. Orlando 1998. 73. Cfr. G. Altea, M. Magnani 1990, p. 131. 59. G. Biasi 1935. 74. Il Sardo in frak (M. Mossa De Murtas), “La 60. F. Figari, “La civiltà di un popolo barbaro” Sardegna al Gran Ballo delle Nazioni”, in Il cit., p. 196. Giornale d’Italia, Roma, 20 aprile 1921. 61. In una lettera a Lamberto Loria conservata 75. Pochissimo si sa di Cugusi (Romana 1903- nell’archivio del Museo delle Arti e Tradizioni Milano 1942), artista di notevoli qualità vissuto Popolari di Roma, Gavino Clemente, responsa- tra Sassari, Milano e Roma. Cfr. G. Altea, M. bile della raccolta dei materiali relativi alla Sar- Magnani 2000, pp. 163-165. degna, propone di affidare a Biasi, appena tor- nato da un viaggio nell’interno dell’Isola, il 76. C. Nivola, dattiloscritto inedito. Ringrazio disegno dei manichini per l’esposizione degli Ruth Guggenheim per avermi consentito di abiti tradizionali sardi. La realizzazione sarebbe citare il testo prima della pubblicazione. stata poi affidata a uno scultore. Clemente di- ceva Biasi «disposto ad eseguire tutti i tipi più 77. C. Nivola, dattiloscritto inedito. caratteristici, almeno una ventina, al prezzo di lire 15 per testa» (G. Clemente a L. Loria, Sas- 78. Sini nel 1914 lavorò come grafico a Parigi sari, 2 agosto 1910), e allegava due bozzetti di per una ditta di cosmetici, in seguito divenne, prova, oggi scomparsi. Malgrado il prezzo più come Mossa, ritrattista di dive e divette; Altara che modesto, Loria optava invece per delle fo- è stata attiva quale illustratrice di moda e negli tografie (L. Loria a G. Clemente, Roma, 6 ago- anni Trenta per qualche tempo anche come sto 1910). Anche queste sembrerebbe venisse- creatrice di moda a Milano. ro in un primo momento richieste al pittore, solito a fotografare i suoi soggetti e a conser- 79. Cfr. A. Hollander 1978, p. 332 sgg. vare le immagini come documentazione; ma alla fine si decise di assegnare l’incarico al fo- 80. P. Marica, Perché gli uomini a Tiulé porta- tografo cagliaritano Renzo Larco. Ringrazio An- no le mutande, Roma 1922. na Pau per avermi segnalato questi documenti, da lei rintracciati nel corso delle ricerche effet- 81. Cfr. G. Altea, M. Magnani 2002, pp. 71-72. tuate per questo volume. 82. Cfr. P. Pallottino 1998, pp. 68-101, con 62. Sulle jupes-culottes o jupes-sultanes e la lo- scheda di A. Pau. ro ricezione da parte della società degli anni Dieci, cfr. N. Troy, Couture Culture. A Study 83. Questo aspetto è sottolineato da Tag Gron- berg a proposito dell’Expo di Parigi del 1925: 369

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Un tipico costume sardo: editare i costumi in cartolina Enrico Sturani Siti e tipi e la propria terra come una sorta di ossimoro iconografi- Le cartoline regionali appartengono a due grandi tipo- co: un paese al tempo stesso aperto al futuro (nel Ricor- logie: “siti” e “tipi”. Essi sono compresenti solo nelle do di Cagliari spicca l’illuminazione pubblica coi fanali a cartoline con cui si inaugurò a fine ’800 questo tipo di gas) e radicato nel passato. Insomma, la Sardegna come supporto postale illustrato; poiché esse nacquero nelle sintesi di antico e moderno, di staticità e dinamismo. zone turistiche dell’oltralpe di lingua tedesca, sono tut- Vedremo poi come, negli anni ’20, questo contrasto fu tora note come “Gruss aus”; da noi questa formula suo- al centro di alcune serie di cartoline di gusto umoristico na “Saluti da…” o “Ricordo di…”. dell’illustratore Sini, mentre, nel secondo dopoguerra, Ricordo di Cagliari (fig. 602), qui edita e da qui spedita analoghe cartoline-ricordo composite di siti e tipi mute- nel 1899, ne è un buon esempio: essa riproduce insie- ranno di immagine e significato. Ora soffermiamoci sui me tre piccole fotografie, con angoli accartocciati e om- “tipi” presenti in questi “Ricordi”. bra portata, a trompe l’oeil, come fossero appoggiate sulla cartolina, più che riprodotte su essa; sono coordi- C’è costume e costume nate tra loro da fiori e dal cartiglio con la scritta che s’è “Costume d’Iglesias”, riferendosi a tre signori perfetta- detto. Una mostra via Roma a volo d’uccello, un’altra è mente impalati dinanzi al fotografo e identicamente ve- una veduta ravvicinata del monumento a Carlo Felice; stiti, non può che indicare l’abito tradizionale del luogo. infine, con effetto zoomata, si passa alla figura in piedi Il tipo cagliaritano in Ricordo di Cagliari, altrettanto im- di un “Rigattiere”; al tempo stesso ci siamo spostati dal- palato, viene invece indicato come “Rigattiere”, lascian- l’esterno all’interno, nello studio stesso del fotografo- do intendere che l’abito che indossa sia tipico del suo editore. Se con una lente guardiamo i personaggi che mestiere (svolgibile solo in un grande centro), ancor più compaiono nei due spazi pubblici, ci rendiamo conto che della città in cui lo svolge. Numerose cartoline, an- che dall’abito da città, borghese o moderno che dir si che edite in serie, esplicitamente titolate “Costumi sardi” voglia, si è passati al costume tradizionale. mostrano però dei mestieri (o, meglio, le fasi salienti del Un’altra cartolina di impostazione simile, Ricordo d’Igle- loro svolgimento) a cui si attende senza necessariamen- sias (fig. 603), accoppia tre uomini impalati in studio te indossare l’abito tradizionale (oppure usandone solo (“Costume d’Iglesias”) con la veduta di fumanti ciminie- alcune sue parti, in modo incompleto e casual ). re della “Miniera di Monteponi”. Per citare solo alcuni casi, ecco, nel primo ’900, un Co- Appare dunque chiaro che, agli albori della cartolina, gli stume sardo (fig. 604) mostrante una ragazza che, in editori sardi intendevano caratterizzare il proprio popolo gonna tradizionale e scialle e foulard correnti, rammen- da usando dei rocchetti cucirini importati dal continente 602. Ricordo di Cagliari. Editore Giuseppe Dessì, Cagliari, 1899. tenuti entro un cesto di produzione locale. Negli stessi Stampa in fototipia. anni, anche in Tempio (Sardegna). Costume: alla fonte (fig. 605) si può notare una certa coincidenza fra il co- 603. Ricordo d’Iglesias. Editore Fratelli Centos, Iglesias, 1899; stume di andare ad attingere acqua e l’indossare, magari spedita nel 1901. Stampa in fototipia. in modo non filologicamente ineccepibile, il costume. Dei primi anni ’10 è la cartolina Costume di Orzulei (sic) 604. Costume sardo. Editore non indicato, (fig. 606): essa mostra un gruppo di uomini colti dal vi- 1902 ca.; spedita nel 1905. Stampa in fototipia. vo, all’esterno, in costumi che conoscono tutte le varian- ti e le incertezze proprie del caso e del casual, della mi- 605. Tempio (Sardegna). Costume: alla fonte. Editore Stengel, seria e del tocco personale, compreso l’uso assortito di Lipsia, 1902 ca.; spedita nel 1905. Stampa in fototipia. pipa, sigaro toscano e sigaretta. A partire dai primi anni ’10, prima per conto di commit- 606. Costume di Orzulei (sic). Editore Casa Editrice Cartoline Illustrate tenti locali, poi in proprio, la torinese SAT edita vari Dallay, Sassari, 1910 ca. Stampa fotografica. 607. Costumi sardi. La trebbiatura nel Nuorese. Editore Alterocca, Terni, 1908 ca. Stampa in fototipia. Esiste anche una identica cartolina edita dalla SAT e spedita alla fine degli anni ’10 in fototipia colorata a mano. 371

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608 609 608. Costumi sardi. Bono: l’arcolaio. Editore SAT, Torino, 612. Scavi di Congiaus. Miniera Monteponi. Editore Giuseppe Dessì, da foto S. Guiso, Nuoro, 1914 ca. Cagliari, 1900. Stampa in fototipia. 609. Costumi sardi. Il balletto in Gallura. Editore Alterocca, 613. Sassari. Gara poetica fra improvvisatori Contini, Pirastru, Terni, 1920 ca. Fototipia colorata manualmente. Cubeddu, Testoni, Farina. Editore Tabaccheria Salvatore Porcu, Sassari, 1910 ca. Stampa in fototipia. 610. Costumi sardi. S. Antioco: suonatore di launeddas. Editore SAT, Torino, da foto Alinari, 1919 ca. 614. Sassari. Rinomato venditore di spugne. Editore A.C., Fotografia dipinta, rifotografata e stampata in fototipia. spedita nel 1904. Stampa retinata a colori. 611. Costume di Nuoro. Editore G. Modiano, Milano, 1925 ca. Da acquerello di Giacinto Satta. Quadricromia. 610 611 372

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612 613 614 soggetti che, dopo la Grande Guerra riprenderà nella attività e mestieri edite con relativa abbondanza sin dal serie “Costumi sardi”: ecco La trebbiatura nel Nuorese primo ’900: i minatori di Monteponi (fig. 612) o i pesca- (fig. 607) con contadino etno-casual; mentre Bono: l’ar- tori di tonno all’Isola Piana mostrano gente del popolo colaio (fig. 608) mostra delle donne in abito tradizionale in tenuta di lavoro che hanno il sapore della praticità (e mentre svolgono un’attività tradizionale (essendo seden- della miseria) quotidiana più che quello dell’esibizione taria, il costume inteso come folk way e quello inteso festiva di una tradizione; e lo stesso vale per il Ritorno come vestito coincidono). Analoga coincidenza si regi- dalla caccia (edita da Dessì senza località), mostrante stra per S. Antioco: suonatore di launeddas (fig. 610) e dei borghesi e dei nobili in una tenuta che allora, più per Il balletto in Gallura (fig. 609) (che nella prima edi- che “da caccia”, era definita “sportiva”. zione per conto di Dettori della Maddalena era più cor- In queste cartoline l’aspetto documentario prevale sulla rettamente indicato come La Maddalena, concorso di tipizzazione, spingendosi a volte sino all’individuazione costumi sardi alle feste patronali di S.M. Maddalena: il dei singoli personaggi ritratti: Sassari. Gara poetica fra balletto). improvvisatori (fig. 613) precisa i cognomi di ognuno Dei primi anni ’20 è la cartolina-quadretto di genere dei cinque competitori (di cui solo un paio con berretta Costume di Nuoro (fig. 611) mostrante degli uomini in e lacerti di costume); sempre per Sassari, il Rinomato costume alle prese con un cinghiale sgozzato. venditore di spugne (fig. 614) è gratificato dal mittente In tutti questi casi (scelti solo tra quelli esplicitamente con uno “Spero che lo conoscerà…” seguito, ad ogni titolati “costume”) la persona è colta preferibilmente in buon conto, da nome e cognome del raffigurato. esterno, mentre svolge un’attività “onde siccome suole”, In tutti questi casi ci si avvicina al ritratto e alla foto do- in un contesto sociale e urbano più o meno ampio e cumentaria; il singolo individuo rappresentato non è specifico; posa e sceneggiata permangono, ma non so- dunque sublimato nella generica idealità del tipo; non no dominanti; il costume-veste, non essendo il fulcro lo si presume un esempio perfetto; lo si prende per dell’attenzione, è quello che è. quello che è e non ci si stupisce né scandalizza se il suo Ovviamente gli esempi si moltiplicherebbero se pren- modo di vestire segue criteri personali o casuali piutto- dessimo in considerazione le altre numerose cartoline di sto che attenersi alla norma di un modello locale. 373

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619 620 615. Ulassai (Sardegna). Editore Stengel, Dresda, 1901 ca. 621 Stampa in fototipia. Si noti lo sfondo con cortecce di quercia da sughero 375 che danno un tocco di esotismo locale. 616. Cacciatore Sardo di Fonni con muflone ferito. Editore Giuseppe Dessì, Cagliari, 1902 ca. Stampa tipografica a retino colorata a mano. Si noti la funzione del muro di sfondo a far spiccare la figura e il suo costume. 617. Costume di Busachi (Sardegna). Editore Marietta Saba, spedita nel 1935. Stampa in fototipia. Si noterà che la coppia in posa è costituita da due uomini, Eraldo in costume da donna. 618. Orani (Sardegna). Editore Tabaccheria Salvatore Porcu, Sassari, spedita nel 1930. Si noterà che la coppia in posa è costituita da due donne, quella di destra con costume da uomo. 619. Costume di Sennori (Sassari). Editore A. Zonini, Sassari, 1904 ca. Stampa in fototipia. Si noterà come nello studio del fotografo lo sfondo sia stato azzerato ad arte (salvo la punta delle foglie di una palmetta che sbucano sulla destra). 620. Costume di Monserrato (Sardegna). Editore non indicato, 1905 ca. Stampa in fototipia colorata manualmente. Notare il poggiabraccio in carattere con le altre decorazioni riccamente borghesi dello studio fotografico. 621. Costume di Codrongianus (Sardegna). Editore Pietro Valdes, Cagliari, 1902 ca. Stampa in fototipia colorata manualmente. Notare il mostruoso accrocco ornamentale in stile oltraggioso ancor più che neobarocco.

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622 golo centro, anche piccolo, anche distante pochi chilo- metri dall’altro, abbia il proprio costume, sin dal primo Paese che vai, costume che trovi ’900 si scatenò fra gli editori di cartoline la nobile gara a Completamente diverse sono invece le numerosissime documentare l’esistente; unendo l’ideologia illuminista e cartoline dedicate ognuna a un differente costume (ma- positivista, si fece trapassare il gusto enciclopedico nella schile e femminile) di una diversa località. Anche se l’ar- mania tassonomica, sposando la molla della concorren- tista Maria Lai ha potuto riconoscere suo nonno in uno za commerciale con la richiesta collezionistica del mer- di tali personaggi – Ulassai (fig. 615) –, come a teatro, la cato. Ma questa tendenza, caratterizzante allora i produt- persona serve solo a mostrare il personaggio; il valore tori di cartoline del mondo intero, assunse in Sardegna documentario legato all’hic et nunc cede al valore esem- una forma particolare. Se in altre regioni italiane o in al- plare; il singolo sparisce per lasciare apparire il tipo. Non tri Paesi si moltiplicavano i soggetti relativi ai piccoli a caso, come ai tempi di Shakespeare, a volte troviamo mestieri in via di sparizione (Sicilia, Turchia, Nordafrica) dei costumi femminili indossati con grande nonchalance o alle ultime mode (Parigi), se a Napoli prevale la ten- da uomini (sbarbati per l’occasione) (figg. 617-618). denza al ritratto di genere, in Sardegna dominano le se- Quest’opera di transustanziazione dall’individuo al tipo, rie composte anche un centinaio di costumi locali diver- dal piano della realtà fattuale a quello ideale dei mo- si. Non che questi siano assenti per le altre regioni delli, è compiuto dal fotografo attraverso le varie tecni- d’Italia, ma la curiosa cartolina che accoppia la Conta- che di studio: anzitutto la posa assolutamente statica e dina di Varallo (con ombrello e scarponcini) al Costu- stereotipata; essa spicca su uno sfondo che può essere: me di Osilo (fig. 622) è un esempio di scambio ineguale: a) neutro o azzerato dal ritocco (con effetto metafisico) la serie avrebbe potuto continuare quasi all’infinito con (fig. 619); b) convenzionale (la presenza di una palmetta altri costumi sardi, mentre per il Piemonte non si sareb- crea un effetto distanziante di sapore esotista); c) bor- be andati molto oltre quel reperto valsesiano. ghese (questi popolani nel costume della festa sono fatti assurgere alla stessa dignità dei signori posando appog- Croce e delizia per l’etnografo giati, con incongruo effetto surreal-grottesco, a sedie, ta- Chi pratica l’etnografia con spirito positivistico-entomolo- volinetti e ciarpame arredatorio di stile neobarocco) gico non può che rallegrarsi per questa abbondanza di (figg. 620-621). Le tecniche di stampa fanno poi il resto, costumi sardi raffigurati nella loro ideale purezza. Ma non grazie al ritocco e a un abbozzo di colorazione che atte- può che scandalizzarsi quando scopre una inesatta indi- nuano o cancellano i particolari inutili, oppure enfatizza- cazione di località, che un costume locale è assemblato no quelli ritenuti significativi. con pezzi di origine geografica diversa, che è incompleto La fissità estatica, la sospensione dell’azione, l’azzeramen- o che è stato completato con parti posticce e di fantasia to temporale, lo spaesamento, la decontestualizzazione, (magari aggiunte a disegno sulla base fotografica). l’isolamento del singolo (anche la coppia o i gruppi fini- Osservazioni di questo tipo sono state fatte per quanto scono per risultare semplici somme di singoli) garantisco- concerne un’altra area geografica, l’Algeria; esse sono no l’effetto irreale. Ma, proprio in tal modo, ognuno dei sfociate nella demonizzazione della cartolina tout court, costumi esibiti, perde sia la sua casualità di indumento bollata come perverso veicolo di false apparenze, merce reale usato nel presente, sia il suo carattere storico di fos- dozzinale destinata a compiacere il facile gusto di coloni sile vivente, di sopravvivenza segnata dal tempo; esso ac- tanto ignoranti quanto arroganti; altri autori, più cauti, quista allora il valore eterno di un simbolo, non altrimen- prendono viceversa queste cartoline di donne in costu- ti che se fosse uno stemma, una bandiera locale o un me per quello che sono: composizioni, se non proprio celebre monumento (la Mole “è” Torino così come la di fantasia, composte all’insegna di un esotismo che usa Torre Pendente “è” Pisa e il Duomo “è” Milano). persone e capi di vestiario veri per costruire una foto- E, poiché ciò che è proprio della Sardegna non è avere grafia rispondente all’immaginario orientalista dei desti- un proprio costume regionale, ma il fatto che ogni sin- natari; allora, una volta applicato il beneficio d’inventa- rio, essi si rallegrano di trovare documentate, malgrado l’eventuale inaffidabilità dell’insieme, dei tatuaggi, dei gioielli, delle stoffe che sono realmente esistiti e che al- trimenti non avrebbero lasciato traccia di sé. Non so se e in che misura le cartoline dei costumi sardi siano affidabili. Per queste, come per ogni altro tipo di documento iconografico, dovrebbe comunque valere la pregiudiziale metodologica formulata da Magritte: “Ceci n’est pas une pipe ”. Queste cartoline non vanno prese come uno specchio della realtà; la realtà che mostrano, prima di quella dei costumi esibiti, è anzitutto la pro- pria, quella di un particolare tipo di merce prodotto in un certo modo e per un certo pubblico. Esse filtrano la 376

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realtà dei costumi attraverso un immaginario condiviso dal fotografo-editore, dai committenti-rivenditori, e da- gli utenti-acquirenti. E questi ultimi non sono necessa- riamente i personaggi fotografati in costume, né i loro compaesani per lo più analfabeti e comunque affatto alieni dall’uso (borghese e costoso) di spedire cartoline e soprattutto (almeno sino al 1905) di collezionarle. La verità di queste cartoline (direi delle cartoline in gene- rale) non va dunque necessariamente posta in rapporto alla realtà raffigurata, ma alle attese del loro pubblico. Nel nostro caso, la verità di queste cartoline di costumi sardi, non è leggibile in ognuna di esse, prese singolar- mente; essa sta nella loro realtà editoriale e collezionisti- 623 ca di formare una serie. Una per una, esse possono an- che essere prese in castagna, smascherate come false, imperfette, fantasiose (ma proprio così esse documenta- no la realtà della prassi degli studi fotografici del tempo); nel loro insieme esse ci comunicano una verità più gene- rale: che ogni singola località sarda ha il proprio costu- me; esse testimoniano globalmente la varietà specificata del popolo sardo; esse forniscono il ritratto psicologico e sociale di un popolo che, più che nell’immagine articola- tamente composta dell’affresco o della sinfonia, si rico- nosce (o accetta di essere riconosciuto) in quella atonale di un quadro puntinista o di un mosaico. 624 Il lento evolversi dell’immutabile Al Museo d’Arte Greca di Atene rimasi affascinato dal fat- 625 to che, di sala in sala, i soggetti erano immutabili, conge- lati nella stereotipicità dell’icona; ma, poiché ogni sala 622. Contadina di Varallo. Costume di Osilo (Sardegna). corrisponde a un secolo, in corrispondenza del Rinasci- Editore A. Guarneri, Milano, spedita nel 1902. Cromolitografia. mento si poteva notare sui volti sacri un vago sospetto di 623. Costumi sardi. Lanusei. Editore SAT, Torino, 1919 ca. ritratto, mentre in corrispondenza del barocco le punte Stampa in fototipia. dei cipressi sullo sfondo sembravano mosse dal vento. 624. Costumi sardi. Lanusei. Editore SAT, Torino, 1923 ca. Che cosa capita per le cartoline dei costumi sardi, an- Fotografia ritoccata, dipinta e stampata in fototipia. ch’esse autentiche icone? Ricordiamo alcune tappe del- 625. Costumi sardi. Campagna di Laerru. Editore SAT, Torino, 1923 ca. la specifica storia della cartolina e vediamo quali legge- Fotografia ritoccata, dipinta e stampata in fototipia. re, ma significative varianti, presentino i costumi sardi 626. Sardegna. Costume di Teulada. Editore Fotocelere, su esse raffigurati. Torino, 1925 ca. Stampa fotografica colorata manualmente. Il periodo d’oro delle cartoline illustrate inizia alla fine 627. Sardegna. Costume di Ittiri. Editore Fotocelere, ’800, quando esplose a livello mondiale il boom mania- Torino, 1925 ca. Stampa fotografica colorata manualmente. cale del loro collezionismo; esso termina attorno al Le cartoline di questa serie furono annualmente ristampate sino ai primi 1905, quando il raddoppio della tariffa di spedizione (i anni ’40, anche per conto della cartoleria Giuseppe Dessì di Cagliari. più le collezionavano “viaggiate”) si aggiunge allo sca- dere di una moda che, diffondendosi socialmente, ave- va cessato di costituire un segno distintivo per i ceti ele- vati. In questo breve periodo la cartolina rispose a una sete di sapere, di vedere, di documentarsi, di sognare a cui non rispondevano ancora il turismo, la stampa pe- riodica illustrata fotograficamente, la TV. Poiché la stam- pa in fototipia (e più raramente in vera fotografia) era commercialmente redditizia a partire da tirature di an- che solo 200 pezzi per tipo (e quindi pure con i piccoli impianti locali), si moltiplicò ogni genere di imprese: lo- cali, provinciali, regionali, nazionali, internazionali. Per le cartoline di costumi sardi prevalse su tutti Pietro Valdes di Cagliari; ma in questa città operavano anche 377

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Evaristo Mauri e Giuseppe Dessì. A Sassari spiccavano i (dagli anni ’20) la Fotocelere, entrambe di Torino; non nomi di G.B. Briasco e di Antonio Zonini. In questo pe- mancano l’Alterocca di Terni, la Marzari di Schio, la riodo precedente il 1905 (identificabile dal dorso “unito” Fratelli Pagno di Genova, la Grazzini & Pezzini, la Bro- destinato al solo indirizzo), fanno la loro apparizione ra- mofoto e la Cecami di Milano. Per tutte la mutazione ri editori del continente e anche alcuni stranieri come la stilistica è simile. NPG (Neue Photographische Geselschaft del berlinese Si è già visto come con la serie “Costumi sardi” della SAT, Reutlinger con filiale a Parigi) e soprattutto Stengel (con negli anni a cavallo della Grande Guerra, la fissità iconi- sede a Dresda e Berlino). ca del costume-vestito è scossa e dinamizzata dalle esi- In questa girandola di editori, spesso lo stesso cliché genze documentarie del costume come mestiere e come edito da uno veniva ripreso da un altro (sia che fosse usanza; ivi compresa l’usanza di svolgere le proprie atti- piratato, scambiato o ceduto), con tutti i rischi che, in vità in costume o di esibirsi in costume in occasione di questo passaggio di mani, andasse compromessa l’esat- feste. I personaggi in costume cessano insomma di fare tezza filologica della didascalia di accompagno. le belle statuine, escono dallo studio e ritrovano all’ester- Le cartoline di costumi, nei due sensi del termine, allora no, dinanzi o dentro le loro abitazioni, una realtà conte- edite sono comunque quelle sinora descritte. stuale; la quotidianità dell’ambiente finisce per dare un Dopo la crisi, molti editori locali spariscono oppure si tocco di verismo realistico in cui il costume mantiene a ridimensionano nettamente. Il fenomeno è verificabile stento la propria purezza esemplare. su scala mondiale: molti editori sopravvivono limitan- Gli editori del continente non spingono certo in questa dosi a ristampare i pochi soggetti più richiesti da parte direzione documentaristica, ma piuttosto verso il pittore- di un pubblico socialmente sempre più esteso, ma me- sco, sottolineato dall’introduzione via via più spinta del- no colto e raffinato; l’origine della banalizzazione delle l’uso del colore. Ciò è particolarmente evidente in due cartoline, che vedono aumentare le tirature e ridursi la diverse edizioni di identici “Costumi sardi” da parte del- varietà dei soggetti, sta proprio in questo fenomeno di la SAT; la prima edizione si presenta come una normale crisi commerciale e di mutamento del mercato. cartolina con il colore dato qua e là a grandi macchie e A partire dagli anni ’10 il mercato sardo è sempre più lo sfondo ritoccato all’ingrosso per non disturbare le fi- in mano a grandi ditte nazionali; prima la SAT e poi gure che devono spiccare su esso; la seconda edizione presenta gli stessi identici soggetti (alcuni costumi di un 628 tipo e alcuni dell’altro) interamente ridipinti a vivaci co- lori e poi rifotografati; in questo modo il soggetto non viene solo colorato, ma ne viene ridelineato il volto e l’espressione; lo sfondo è soprattutto oggetto di inter- venti pittorici: esso viene ridipinto di sana pianta, in cer- ti casi azzerando un muro scrostato, sostituito con un fondo azzurro unito su cui spicca un ramo fiorito, a da- re profondità e allegria all’immagine. Anche se la didascalia resta inalterata (Costumi sardi. Lanusei, oppure Costumi sardi della Baronia, Costumi sardi. Campagna di Laerru), l’edizione ridipinta a colori ha valore di quadretto di genere più che di documento fotografico (figg. 623-625); il pittoresco, il recupero no- stalgico della tradizione, l’aura romantica conferiscono un tono poetico-artistico che esula dal valore documen- tario e mantiene queste immagini fuori dal tempo, ma con una sfasatura rispetto all’ideale eternità iconica dei costumi-emblemi. Noteremo poi che i costumi-vestiti non sono più inqua- drati a piena cartolina, ma con un mezzo busto abbon- dante (sino alla coscia) o ristretto (sino al seno). Questa tendenza al ritratto, un tempo quasi ignota, andrà affer- mandosi nell’ultimo dopoguerra, quando a poco a po- co spariscono i costumi maschili e le belle ragazze sar- de in costume cominciano ad allargare nel sorriso la bocca truccata. Anche là dove si resta in studio, con i personaggi in co- stume a figura intera e senza interventi pittorici prevari- canti, possiamo notare una mutazione. Negli anni ’20, la Fotocelere di Torino, escludendo gli anziani e i ceffi 380

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629 630 briganteschi, limita i propri abiti locali alle belle ragazze 628. Costume sardo. Pula (Cagliari). Editore VAL-VIT, Roma, 1960 ca. in costume; il vestito sarà pure quello ereditato dalla Prodotta in Spagna. Stampa a retino con ricamo e appliques in tessuto. nonna, ma il modo di atteggiarsi posando è ormai det- tato da un’altra, differente tradizione, quella delle foto 629. Costumi sardi. Editore Bromofoto, Milano, 1953 ca. glamour dello spettacolo: un braccio è poggiato ad Stampa in “vera fotografia” con forte smaltatura anfora sul fianco, la bocca ben delineata dal rossetto si (donde il nome corrente di “Cartolina lucida”). schiude al sorriso, lo sguardo è malizioso o spavaldo, riccioli tirabaci sfuggono dal foulard, scarpe col tacco 630. Costumi sardi. Editore Bromofoto, Milano, 1953 ca. alto sporgono da sotto la gonna (fig. 627). Questa serie Stampa in “vera fotografia”. sarà ristampata sino ai primi anni ’40, anche per conto di Giuseppe Dessì, ora ridotto al ruolo di rivenditore. (fig. 629); questa non ha più nulla a che fare con la mo- Ormai la persona che posa in costume ha cessato di es- dernità: è un nuraghe; a conferma che le radici della tra- sere una sorta di manichino indifferente; l’accento si dizione sarda non sono solo antiche, ma antichissime (e posa su di lei e il costume diviene un suo abbellimen- anche un poco misteriose). to. Negli anni ’50 certe ditte di Milano o di Spagna si spingono ancor oltre, costruendo il costume sul sup- Dalla fotografia all’illustrazione porto stesso: con ricami, appliques di stoffa, spolveratu- Non è qui il caso di ripercorrere la storia delle “matite re di pelo di feltro, questo diviene un semplice abbelli- di un popolo barbaro”; ma, poiché gli illustratori sardi mento della cartolina stessa (fig. 628). hanno largamente fatto coincidere la propria attività A partire dagli anni ’50 la rivitalizzazione del folklore a con la raffigurazione dei costumi della loro terra, occor- opera degli Enti Turistici in funzione del nascente turi- re rilevare alcuni casi. smo, sia interno che dal continente, porta alla contem- Le prime cartoline documentanti graficamente dei costu- poranea ripresa sia delle feste tradizionali (con i relativi mi sardi sono quelle edite tra fine ’800 e primissimo ’900 balli e cavalcate) sia dei costumi; le cartoline “lucide”, da G. Dessì di Sassari come Album di costumi sardi; si in “vera fotografia” allora edite da varie ditte del nord tratta spesso di riprese grafico-tipografiche di fotografie, Italia, più che le singole persone in costume, documen- secondo l’abitudine invalsa prima dell’avvento della fo- tano ormai maggiormente dinamiche scene di ridenti totipia di “tradurre” le fotografie con sistemi manuali al bellezze in costume e a cavallo, bimbetti che, sempre a tratto; rispetto alle foto stampate che succederanno loro, cavallo e infagottati in un costume su misura copiato da esse hanno un’incisività e una leggibilità che ne esalta al quello del nonno, fingono di fumare la pipa (fig. 630), tempo stesso il valore documentario (si distingue perfet- sfilate per le vie cittadine, balli. tamente ogni particolare del costume) e la forza espres- Sempre alla metà degli anni ’50, la Bromofoto di Milano siva dei volti, ripresi anche in primo piano (Paesano di riprende l’antica tradizione delle cartoline “polittiche”; il Sorso firmata da Gaston Vuillier) (fig. 631). titolo non è più “Ricordo di…”, ma “Costumi sardi”: Questa tradizione, interrotta dall’avvento della fototipia quattro piccole foto mostrano a mezzo busto altrettante (ben più impastata e incerta, ma con il fascino della “ve- ridenti belle ragazze, una per paese, più una veduta rità” fotografica), riprende oltre trent’anni dopo (1936) nella serie di xilografie e bianchi e neri edita dal Comi- tato Nuorese Onoranze a Grazia Deledda; è significativo 381

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631 632 grafica specifica, Sini coglie con arguzia, nelle sue più varie articolazioni, il grande tema dell’incontro-scontro che i personaggi raffigurati non siano indicati come sim- tra modernità e tradizione che caratterizza la Sardegna boli locali, ma come specifiche persone (per esempio in quanto tale e che sarà destinato a segnarne il futuro. Ziu brazzos de ferru di Mario Delitala, xilografia più no- Questo è lo stesso tema che già abbiamo visto emergere ta con il titolo Ziu brancas de ferru) oppure come gene- nelle primissime cartoline di “Ricordo di…”; esso è pre- rici emblemi romantico-poetici (Il re della Montagna di sente, qua e là, anche in altre cartoline fotografiche del Francesco Congiu Pes). primo periodo centrate su una coppia-contrasto formata Di gran lunga le serie più interessanti – sia sul piano sti- da una persona in costume che si rapporta ad una sen- listico che dei contenuti – sono quelle create negli anni za costume: Giovinetta di Sennori (fig. 638), in costume, ’20 da Tarquinio Sini per le edizioni G. Ledda di Cagliari serve compostamente da bere a un borghese in camicia e per G. Dessì della stessa città, entrambe di dieci sog- e gambe accavallate; il Costume di Tempio è quello del- getti. Liberatosi dall’impaccio di una identificazione geo- le ragazze che girano per strada con un recipiente tenu- to in equilibrio sulla testa, servendo da bere ai passanti, nel nostro caso un giovanotto in giacchetta a quattro ta- sche e paglietta. La situazione pare invertirsi nella carto- lina pubblicitaria L’Amaro Felsina Ramazzotti in Sarde- gna (fig. 637): a mescere sono due signori in abito di città davanti a un gruppo di ragazze in costume. Sini coglie queste e altre simili situazioni, sottolinea le arie impacciate degli uni e quelle smaliziate degli altri, rileva la comicità insita nel contrasto (figg. 632-634); egli mostra lo stupore dei sardi dinanzi all’irruzione della modernità portata dalle primissime turiste, l’imbarazzo di queste a adattarsi a certe situazioni. Con humour leggero, con buona dose di autoironia, egli rivela un problema di sem- pre: come l’incontro tra genti diverse (per sesso, origini, tradizioni, vestiario) sia spesso un dialogo fra sordi in cui ad avere ragione è a volte solo quello che urla di più. Il contrasto è tanto più evidente – e ridicolo – quanto più Sini carica i tratti distintivi dei due elementi della coppia: lo scostumato costume della turista e quello rigido, serio, mummificante dei sardi. La verità colta da Sini in questo costume non sta nella sua resa filologica, ma nel suo es- sere considerato in modo comparato e differenziale. Senza troppe pretese artistiche è la serie bamboccesca firmata Griso, con una cartolina per località e priva di ogni specificità sia nel soggetto (Meditazione, Pane quo- tidiano, Fichi d’India ecc.), sia nel costume che, più che stilizzato, risulta abborracciato. 631. Paesano di Sorso (Sassari). Album di costumi sardi. Editore 633 Giuseppe Dessì, Cagliari. Stampa tipografica. L’autore, Gaston Vuillier, realizzò questo e altri ritratti di tipi sardi attorno al 1891; spesso si avvalse di una base fotografica. L’editore Dessì li trasformò in cartoline operando spesso dei tagli per riquadrarli sul nuovo formato. 632. Le gambine nude. Autore Tarquinio Sini. Editore Giuseppe Dessì, Cagliari, 1925 ca. Stampa in quadricromia da originale a tempera. Tra le due ragazze, la più vergognosa non è la più “scostumata”, ma proprio quella che indossa il costume tradizionale, forse conscia della propria arretratezza. 633-634. Istantanea strapaesana e Istantanea stracittadina. Autore Tarquinio Sini. Editore G. Ledda, Cagliari, 1927 ca. Stampa in quadricromia da originale a tempera. Fanno parte di una serie di 10 soggetti esistente anche con la sovrastampa dei “Vini tipici sardi” per le Cantine Sociali di Quartu (Cagliari). I sardi non sono qui solo “tipi da cartolina”, ma soggetti pittoreschi per le istantanee dei nuovi turisti; e ad essi, a loro volta, guardano con altrettanto curioso interesse. L’alterità, per una volta, 634 è costituita da una coppia dialettica il cui rapporto è reciproco. 382

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635. Costumi sardi. La danza. Autore Bakis Figus. Editore Garami, Milano, 1928 ca. Stampa a retino. 636. Costumi sardi. Desulese. Autore Bakis Figus. Editore Stabilimento Arti Grafiche Bertarelli, Milano, 1928 ca. Stampa a retino. 635 636 Splendide nella loro curiosa impaginazione (stilizzatissi- 383 me figurette alte appena pochi centimetri al centro della cartolina bianca) sono le nove litografie a due o a tre colori di Battista Ardau Cannas di Sassari. Più che esem- plificazioni geograficamente precise, questi personaggi- ideogrammi sono una sorta di variazione formale sul te- ma che dà il titolo alla serie: “Costumi sardi”. Altri illustratori, come Giacinto Satta, Lety Loy, Perrotti e un tardivo Primo Sinopico, con più o meno grande pro- lificità e riuscita, tra gli anni ’20 e ’50, hanno creato car- toline di tipi sardi in costume. Assolutamente eccezionali per bellezza decorativa sono le numerose serie ricavate da splendenti bozzetti a tem- pera dedicati da Bakis Figus soprattutto ai costumi fem- minili; se una serie è dedicata ai costumi di specifiche località, altre tre hanno invece carattere più generico (come rivelano titoli come Maternità, Alla fonte, Sull’aia, Primavera, Ninna Nanna, La danza (figg. 635-636) ecc.). La sua capacità di stilizzare lo porta a rispettare la specificità e leggibilità del soggetto trattato, facendone al tempo stesso una autentica sinfonia coloristica e compo- sitiva. Queste sue cartoline, edite sia per Garami di Mila- no che in proprio, ed anche come pubblicità dell’Amaro Felsina Ramazzotti, vanno dalla fine degli anni ’20 sino ai ’40; esse accendono di squillanti colori mediterranei la stilizzazione di Cambellotti; in certo qual modo traghetta- no il déco entro una luce solare. In questo modo egli è fedele alla tradizione dei costumi sardi, non tanto perché li rappresenta fedelmente, ma perché ne fa rivivere in modo personale e moderno i colori violenti e le linee geometriche. Assolutamente banale, con risvolti kitsch, è poi, nell’ul- timo dopoguerra, la stampa impastata di abborracciati costumi su foglio di sughero, come se una curiosità merceologica potesse vivificare usanze ridotte alla so- pravvivenza ad uso turistico.

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637 Tre casi esemplari Torniamo alle cartoline fotografiche edite a cavallo del- 637. L’Amaro Felsina Ramazzotti in Sardegna, 1920 ca. l’ultima guerra. Stampa tipografica colorata manualmente. La prima, stampata verso la fine degli anni ’50, docu- 638. Giovinetta di Sennori. Editore A. Zonini, Sassari, 1903 ca. menta la realtà di un centro minore, seppure in un Stampa tipografica. giorno eccezionale: Bitti. Festa del Miracolo (fig. 640). Fotografo, editore e paese coincidono: M. Bitti. Essendo 638 ripresa un po’ dall’alto, mostra ampiamente uno di quei luoghi attrezzati di botteghe e cappelle, sorte di caravan- 384 serragli, ove i sardi si radunano anche per più giorni fuori del paese in occasione delle feste principali. La ri- presa coglie sul fatto una folla eterogenea in cui si me- scolano persone e mezzi di trasporto, banchetti di vendi- ta di cibo e apparecchi radio, sacro e profano, tradizione e modernità. I due chierichetti che vanno a toccare la grossa motocicletta stanno accanto, ma senza degnarli d’attenzione, a due bimbi borghesi in fiammante costu- me tradizionale; un carro tirato da vacche, guidate da un uomo in tabarro e berretta sta pericolosamente mano- vrando fra un 1100 e una 600 da cui è appena scesa un’intera famigliola (forse 8 persone, infanti compresi). Vediamo uomini in doppiopetto e altri in camicia; donne in nero che si stanno meglio coprendo la testa con il foulard e altre a capo nudo e gonna a quadretti; quelli in costume tradizionale sono issati sui loro cavalli; i ca- rabinieri, in costume d’ordinanza, fanno crocchio. Chi chiacchiera in gruppo, chi vende, chi compra, chi si esi- bisce e chi sta a guardare; perfettamente al centro della scena è un fotografo; uno solo; fra pochi anni, invaso il campo, faticheranno a escludersi a vicenda dall’inqua- dratura. La struttura paratattica, priva del filo conduttore di una messinscena o sceneggiatura, è quella di un qua- dro fiammingo che possiamo descrivere ma non raccon- tare; c’è di tutto, ma manca un senso che distribuisca i vari elementi secondo un criterio gerarchico. La Sardegna si mostra qui, anche vestimentariamente, per quello che di fatto è: una realtà composita. Ma, nel- la testa di tutte queste persone c’è forse una comunanza di attese, di aspettative, un immaginario collettivo condi- viso; o, perlomeno, questa ipotesi fa comodo ai com- mercianti di cartoline che devono produrre merci desti- nate a piacere a un mercato quantomeno abbastanza esteso da assorbirne la tiratura. Saluti da Oristano (fig. 639) è di almeno dieci anni pre- cedente, ma mostra una mutazione antropologica ormai compiuta: questa scritta tipicamente localizzante mar- chia il ritratto di una biondona sorridente (forse la tori- nese Marisa Canavero, allora la più ricercata modella per cartoline); il capo è scoperto a mostrare la vaporosa messa in piega, le sopracciglia sono depilate ad arte, il sorriso è abbozzato, per non “siupare” il trucco, gli orecchini sono di false perle nello stile che i romani chiamano “generone”, del vestito si vede solo – semico- perto da rose – una spallina imbottita e un girocollo… Grand Hotel assieme ai film strappacore con Yvonne Sanson e Amedeo Nazzari hanno diffuso a scala nazio- nale un unico modello con cui identificarsi; lasciato nel

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639 640 639. Saluti da Oristano. Editore Cecami, 641 Milano, 1942 ca. Stampa in fototipia. 640. Bitti. Festa del Miracolo. Editore e foto M. Bitti, spedita nel 1959. Stampa in “vera fotografia”. 641. C’è per gli occhi la grande gioia dell’abbigliamento. Editore Bromofoto, Milano, spedita nel 1957. Stampa in “vera fotografia” con forte smaltatura. cassetto il costume che sarà ormai riesumato una volta Enti per lo sviluppo locale, vacanzieri e sardi in cerca di l’anno, il dì di festa, questo è il modello cui aspirano le facili radici. ragazze sarde di città (e tutte vorrebbero andare a vive- Il carattere documentario ha ormai ceduto alla sceneg- re in città). Questa immagine riassume un immaginario giata di genere: i sardi, a forza di raffigurarsi in costu- ormai nazionale, già diffuso prima che si dovesse demo- me, hanno finito per divenire dei sardi di maniera, per nizzare la TV. “sardizzarsi”; come tanti altri popoli che hanno trovato Possibile che l’immaginario sardo abbia per solo esito nelle proprie tradizioni folkloriche una risorsa turistica, una perdita di identità? La nostra terza cartolina (fig. 641) anch’essi finiscono per autoproporsi e autorappresen- mostra una realtà più complessa. Raffigura una coppia tarsi come attori di una sceneggiata in costume. di giovani sposi in costume “montata” su cavallo bianco Di quale costume si tratti, poco importa, purché sia pit- (già prima di Lawrence d’Arabia i cavallini sardi poteva- toresco. La didascalia deve allora finalmente rinunciare a no andare a nascondersi), stagliati su uno sfondo per qualsiasi pretesa localizzante; non raffigurando un luogo metà di mare e per metà di nuraghe. L’incongruo foto- della realtà, ma uno stato d’animo, essa suona: C’è per montaggio, ancor più che vero, è “ben trovato”, perfetta- gli occhi la grande gioia dell’abbigliamento. Anche se la mente consono con l’immaginario di promoter turistici, cartolina è in bianco e nero, possiamo sognare. 385

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“Sa veste” Bachisio Bandinu L’abito dei pastori, composto da bonette, gianchetta e La moda è nel gioco del tempo, nel ritmo del suo varia- pantalones a s’isporta, gambales e iscarpones, ha un re. Nella cultura pastorale il verbo variare è riferito alla forte carattere identitario, sino a porsi come metafora malattia mentale, variatu de conca, indica comunque stessa dell’essere pastore. Definito da un’appartenenza leggerezza, leggeri de cherveddu, e inconsistenza. Apre e rigorosamente caratterizzato per stoffa, colore e fog- il tempo alla novità e all’arbitrio, alla mutevolezza e al- gia. Obbligata la relazione tra i capi che lo costituisco- l’ostentazione. Insomma, la moda è una maniera di ve- no. È un modello istituzionale e sociale. È un’immagine stire esposta all’invenzione e alla meraviglia: come al psichica dell’identificazione profonda. Est pro sa vita, vento della novità, senza fermezza. Sa ’este istituisce il non è soggetto al variare delle stagioni e degli anni, non tempo lungo della tradizione nella riconferma de su appartiene al sistema mutevole della moda. Sa ’este est connotu. semper ipsa, comente s’homine. Proprio come l’uomo ri- L’abito, proprio perché è l’interpretazione personale di conferma se stesso nel tempo. un’istituzione sociale, deve essere caratterizzato da uno Il primo approccio con l’abito è un rito di iniziazione. stile: c’è una grazia, un decoro, unu ghettu, che non in- Su pitzinnu devet essire a campu, bisonzat de li picare dica soltanto un portamento, il modo con cui cade ad- sas misuras. Il ragazzo, finite le scuole elementari, va dosso alla persona, ma esprime anche una vicendevole all’ovile per diventare pastore: occorre prendergli le mi- corrispondenza tra corpo e vestiario. Segna una diffe- sure. Le misure sono quelle del vestito e degli scarponi. renza fondamentale tra l’uomo e il pagliaccio, tra iden- La madre lo accompagna dal sarto e dal calzolaio per- tità e mascheramento. Il giudizio si fa severo: gli hanno ché si tratta di misurare il corpo in senso fisico e simbo- messo addosso unu battile, uno straccio (battileddu è lico. Si stabilisce una forte relazione tra ’este e corpus. Il una maschera arcaica del paese di Lula). Vuol dire che vestito è personale e identitario. Quando tutto è pronto una persona non è se stessa, subisce una conformazio- c’è la vestizione che opera una metamorfosi: su pitzin- ne esterna nell’ordine del comico, del farsesco, del ca- nu diventat homine. Est zovanu fattu, fatto improvvisa- muffamento. Dechet, decet è il termine che indica una mente giovane, pronto per l’ovile. C’è stato un fare e un pertinenza e una connotazione stilistica. farsi per diventare homine de campu. Su bonette è la metafora de sa conca. Il berretto è la te- Quell’abito segna un distacco dalla madre, dalla casa, dal sta. Chentu concas, chentu berritas viene tradotto alla paese. Si entra nel regno del padre, si frequenta “l’univer- lettera con “cento teste, cento berretti”, in verità riman- sità dell’ovile” pro si fachere homine. È un cambiamento da ad un altro detto: “a ciascuna testa il suo berretto”. radicale: il passaggio dal cotto al crudo, dal molle al du- Non si vuole indicare tanto la disparità delle opinioni ro, dal dolce al salato. Nell’ovile non c’è letto, non c’è ta- quanto la corrispondenza tra berretto e testa. Non esi- volo né cucina. Quell’abito in campu indurisce il corpo e stono teste in serie e neppure berretti standard. anche l’animo per non temere i fantasmi, per non avere Bisogna affidarsi al racconto per registrare la scena ve- paura né dei vivi né dei morti. Dormire a costas a terra stiaria. vuol dire abituarsi a una vigilanza inconscia, a una psi- Giovanni mandava la sorella in tre negozi diversi per por- cologia dello stare all’erta. Di notte non ci si spoglia del- tare in casa una ventina di bonettes. Davanti allo specchio l’abito. Di giorno e di notte, d’estate e d’inverno, sa ’este iniziava la cerimonia delle prove. Mano a mano che in- è una seconda pelle che definisce, conforma e difende. dossava un berretto commentava: “custa no est sa conca Dà la forma al tempo che corre come il vento e lo defini- mea” e così di seguito continuava l’esercizio della prova. sce nell’eterno ritorno della scansione festa-lavoro. Infine ne selezionava due per verificare con maggior cura la pertinenza all’abito. Il giudizio definitivo veniva dato in 642. Orgosolo, dicembre 1954, fotografia di Pablo Volta. relazione alla figura totale dell’abito-corpo, dagli scarponi C’è una corrispondenza tra scarpone, gambale e bonette. alla testa. Il rito aveva fine quando mormorava: “sono io, 642 L’abito risponde a uno stile di forma, linea, colore. mi ci vedo, mi ci trovo, ci siamo”. Ma non sempre le cose 387

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643 effettuava un processo di accomodamento. Si trattava appunto di renderlo domestico in modo che stesse sul andavano per il verso giusto. A volte l’unico berretto scel- capo come in domo sua. to serviva come modello per una ricerca ulteriore presso La giusta postura indicava equilibrio e giustezza esteti- altri negozi. Poteva infatti capitare una differenza minima ca: non troppo rialzato sulla testa e non troppo incar- della tonalità del colore o una non precisa ampiezza del catu dentro, a volte con un leggero abbassamento della cerchio del berretto per continuare l’investigazione. Se la visiera sulla fronte. Ogni variazione della postura indi- sorella, ormai provata dall’andirivieni inconcludente, con- cava un mutamento dell’animo. Girare la visiera all’in- sigliava di andare egli stesso nel negozio per provare e dietro, su bonette a s’ala mala, esprimeva un rovescia- misurare, le veniva duramente obiettato che nel negozio mento delle emozioni, una tensione ludico-agonistica o egli non era libero di provare a lungo e di atteggiare il uno stato di ebbrezza alcolica. Metterlo di traverso indi- corpo, e che non gli andava di recitare in un luogo pub- cava un atteggiamento di sfida o di spavalderia, per blico, oltre al fatto che il negoziante avrebbe frettolosa- esempio nel gioco della morra o comunque in una for- mente approvato che quel determinato berretto gli anda- te concitazione emotiva. va a pennello, per quel che gli importava, tanto la testa Ma certamente il segnale più distintivo era legato ai mo- non è la sua. menti e situazioni in cui bisognava togliersi il berretto. Il colore è un indicatore di identità e di riconoscimento Questo gesto di grande valore simbolico era giustificato paesano. Vietati l’azzurro, il rosso, il giallo, l’arancione, soltanto in due occasioni: il passaggio della bara durante il viola, il bianco e in genere i chiari. Preferito è il grigio il funerale e la processione in onore del santo nelle feste nei suoi toni oscuri, con difficili concessioni in qualche comandate. La presenza perturbante della morte e il mi- paese al marrone e al verde cupo. L’identificazione cro- stero della divinità. Scappellarsi, dunque, non aveva un matica è così forte da esprimersi nella frase “custu est su carattere sociale in riferimento al ceto, allo status o al colore naturale ”, quello vero, quello che non si nota. ruolo di una persona e neppure alla differenza di genere L’immaginario è strutturato nell’ordine del nascondimen- come gesto di deferenza verso la donna. Non rientrava to, contro la visibilità manifesta. negli atti di rispetto e di saluto. Da questo punto di vista Non meno importante è l’ampiezza del berretto che con- la società pastorale era strutturata sul fantasma di parità: nota specificatamente identità paesane o di zona: il for- semus paris, tu non sei migliore di me né io pretendo di mato piccolo è quello di Orgosolo, quello medio è di esserlo. Certo, c’erano le differenze sociali ed economi- Bitti, Orune e Santu Lussurgiu, quello più largo è riferito che, ma nella psicologia più profonda emergeva il senti- alla Baronia e alle località centro-meridionali dell’Isola. mento di uguaglianza. Al di là di ogni classificazione di Una volta scelto, su bonette, bisognava domarlo affin- valore aggiunto, vigeva un diritto naturale di parità che ché si adattasse perfettamente alla testa. Si prendeva si esprimeva nel detto: “che cosa hai tu più di me?”. una spazzola bagnata e la si passava ai bordi affinché Quando qualcuno distratto tardava un attimo nel rimet- la stoffa perdesse la rigidità e si abbassasse ai lati per tersi il berretto veniva subito redarguito: “a ti lu pones su fare tutt’uno con il capo. D’altro canto la fabbrica li bonette”. Essere a conca nuda è la metafora della nu- produceva in serie e dunque bisognava personalizzarli. dità. Senza difesa, la testa scoperta è esposta allo sguar- La domatura indicava un intervento attivo e artistico, do che è sempre critico e persecutorio. Nell’antropologia sarda è complesso il rapporto tra nascondimento e svela- 643. Famiglia di Escalaplano, 1921, fotografia di Max Leopold Wagner, mento. La prima difesa è costituita dalla pelle che deve Berna, Istituto di Filologia Romanza “Karl Jaberg”. ispessire, accogliare, diventare scorza dura e resistente. La famiglia è una declinazione di abiti, nella differenza sessuale Di un uomo debole e malaticcio si dice che è a una pi- e nella differenza di età. tza, ha un solo strato di copertura e di difesa. Il bimbo appena nato est in pedde de mama, proprio perché nudo è esposto a mille insidie. È indifeso e può essere colpito dal malocchio e persino dai complimenti che gli si rivol- gono. Ecco perché bisogna subito avvolgerlo con le fa- sce che tengono il corpo stretto e tengono unite le mem- bra che rischiano la disarticolazione. Le giunture sono i punti deboli attraverso cui penetrano sguardi e parole malefiche. La nudità è umanità senza difesa. Naturalità senza cultura. È rischioso il passaggio dalla protezione e dal nascondimento del ventre materno al- la nudità disarmata. La visione del nudo è insostenibile e richiama immediatamente la copertura, il vestimento. Es- sere esposto allo sguardo significa correre il rischio di in- trospezione, di uno svelamento, di una caduta in posses- so dell’altro. Tra i ragazzi quando capitava di scorgerne 388

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uno nudo scattava subito l’aggressione: “tenelu, ca nos 644 lu coddamus ” e non certo mossi da una tensione eroti- ca quanto invece animati da una istanza punitiva. La nu- rapporto tra corpo e abito, un altro psichico che riman- dità è perturbante, ha a che fare col domestico e con da a s’ispiritu che anima la dote della grazia stilistica. l’estraneo: lo sguardo è nella proiezione dell’horribile Avere s’ispiritu nel portare l’abito vuol dire possedere visu, il monstrum. Visione soggetta a tabù. coscienza estetica dell’indossare. Non meno rilevante è il rapporto tra il nudo e il senti- È delicata e problematica la linea che divide il serio dal mento di vergogna: “cuati sa irgonza”, nascondi il ses- faceto, il sublime dal farsesco, il volto dalla maschera, so. Lo sguardo mette in atto processi violenti: denudare, l’uomo dal pagliaccio. Custode di questo confine è il ispilire, scoprire, svelare. Questa forza di denudamento sentimento di vergogna, un super-io giudicante che non dello sguardo opera a livello inconscio, basti pensare ai permette debordamenti ma è anche una linea divisoria numerosi sogni di vedersi svestita in chiesa o anche so- che discrimina i codici etici ed estetici dall’approssimati- lo con il capo o con i piedi nudi ed essere osservati con vo e dall’imparaticcio. Saper portare l’abito non è riferito sorriso beffardo e con atteggiamenti di giudizio severo. tanto a un’alta o bassa statura quanto alla grazia del Nella cultura sarda il complesso di vergogna è molto più portamento: una persona alta può non avere garbo così forte del complesso di colpa. Quest’ultimo è più dispo- come una di bassa statura può sembrare goffa. E tutta- sto ad una elaborazione attraverso la reciproca distribu- via spesso nei paesi una persona di media-bassa statura zione della colpa nel gioco vendicativo, invece l’espe- poteva eccellere per grazie ed eleganza proprio per la rienza di vergogna non ha rimedio e richiama il fantasma capacità di governare corpo e abito. Dallo stile promana di sparizione e di sotterramento: per non sopportare l’af- l’eros del corpo e dell’abito. fronto è preferibile stare “tre palmi sotto terra”. La nudità Il detto “essire foras de sa ’este ” indica compiutamente è legata al sentimento della vergogna. Coprirsi in senso l’identità tra vestito e corpo simbolico, stato personale, reale e simbolico rivela nell’inconscio sardo una costella- appartenenza, condizione d’equilibrio, codice sociale. zione dinamica di obblighi e divieti. Il nascondimento è “Come me lo immagino e me lo vedo il vestito?”. Questa inseparabile dal senso di vergogna. La nudità è un segre- è la domanda che indica la partecipazione dell’individuo to protetto: è una parte vulnerabile del sé. La vergogna nell’ideazione e nella fattura del vestito. Quando si va protettiva ha la funzione di serbare l’identità, il mondo dei valori condivisi dalla comunità. Freud ha scritto che 644. Orgosolo, 1955, fotografia di Mario De Biasi. la vergogna è una forma di resistenza contro la libido: Il rito di iniziazione avveniva attraverso un vestiario: una limitazione del suo investimento. Chi non prova ver- rito di passaggio da pitzinnu a homine. gogna non ha dignità sessuale. Il nudo richiama la ca- strazione e il tabù della “natura femminile”. Il massimo della vergogna è l’esposizione sessuale: essere messo in scena, al centro della derisione sociale. Saper portare l’abito implica una coscienza di sé. Lo sti- le è il buon portamento. Bragare è l’autostima di vestire l’abito in perfetta sintonia con il corpo secondo una visi- bilità calcolata e sapiente. Al contrario sa creita è darsi un credito estetico senza la giusta misura e senza la qualità confermata dal giudizio della gente. Est ’ocande creita, sta tirando fuori un credito arbitrario; cusse no istat ritzu de sa creita, atteggia cioè il corpo in movenze ostentate e non giustificate. La differenza tra braga e creita sta nell’attribuzione e nel riconoscimento sociale. In una comunità ipercritica bisogna dosare il modo e il tempo del mostrarsi per controllare i rischi dell’esposizione. Nessuna ostentazio- ne: bragare secondo uno stile è sancito dalla dimensio- ne festiva. È la gente stessa che riconosce alla persona i tratti eccellenti del portamento. La valutazione stilistica si condensa in una frase: “cusse ja nche la pesat sa ’este ”. Il verbo pesare in sardo copre un ricco campo semantico: alzare e alzarsi, lievitare rife- rito al pane, valutare il peso di una cosa, dare il nome del nonno o di un parente a un bambino: una pluralità di senso che richiama i verbi pensare e crescere. Pesare sa ’este ha un duplice significato: uno fisico, riferito al 389

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dal sarto per le misure si insiste nelle raccomandazioni: ta sullo scarpone e la distanza dalla piega del ginocchio. s’isporta de sos pantalones non deve essere troppo larga Era più facile ottenere questi requisiti dai gambali a cor- ché risulterebbe sgraziata e vistosa ma neppure appena rias regolabili in larghezza e meno vistosi; quelli a butto- pronunciata ché connoterebbe una maniera alla cavalle- nes risultavano più eleganti ma non regolabili. Lucidare i rizza. Il cavallo dei pantaloni non deve essere troppo bas- gambali era un impegno tutt’altro che ovvio: occorreva so ma neppure deve evidenziare le forme del corpo. La un lavoro insistente e quasi ossessivo per renderli lucidi. giacca, precisa sulle spalle, deve stringere lievemente sul- La stoffa dei pantaloni è di velluto liscio. Il colore più la vita. La giacca deve essere né lunga né corta: un’indica- diffuso è il marrone scuro ma anche il nero e il verde zione nient’affatto generica perché misura rigorosamente oliva, vietati il rosso, il giallo, l’azzurro, il viola, l’arancio- un modello ideale, ma lo stesso sarto possiede il prototi- ne, raro il grigio. po immaginario rispondente alla moda del proprio paese, La giacca è a un petto con due bottoni, con o senza mar- che può avere tratti minimi distintivi rispetto ad altri paesi. tingala. Alla camicia tradizionale in tessuto bianco di lino Tra gamba e gambale ci deve essere una rispondenza as- o di cotone, a colletto basso, succede ben presto la cami- soluta. Obbligata l’aderenza al polpaccio, la giusta cadu- cia col colletto dell’abito a sa civile. Negli anni Cinquanta 645 390

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si cominciò a usare anche il maglione a collo alto di co- 646 lore preferibilmente grigio. Gli scarponi di pelle poteva- no avere il fondo di gomma o di suola con i chiodi. L’alternativa al vestito pastorale era l’abito di panno con Il modello è canonico, sia per la festa che per il lavoro. giacca e calzoni lunghi: lo si usava in occasioni partico- La distinzione tra ’este de campu ed ’este de bidda, ’este lari, alla cerimonia del matrimonio o in un viaggio a Ca- de arribu ed ’este de fitianu, ’este de festa o de diatoglia gliari o in Continente, ma non si smette il bonette che ri- riguarda soltanto lo stato d’uso del vestito e può essere mane a garanzia dell’appartenenza e dell’identità. È un ricondotta a ’este nova / ’este vetza. È un abito che occu- abito sostanzialmente estraneo che connota un momen- pa un tempo totale, per esempio è impensabile l’uso di to particolare della vita ma non mette in atto un investi- una tuta per particolari momenti di lavoro come la mun- mento estetico ed erotico. gitura o la tosatura delle pecore o l’uccisione del maiale. Negli anni Sessanta avviene in Sardegna una mutazione Un abito per tutte le stagioni: non c’è scansione tra tem- antropologica: trasformazione del sistema degli oggetti, po di lavoro e tempo libero. Il lavoro del pastore non è contaminazione linguistica, crisi delle forme tradizionali un mestiere, come quello del fabbro o del falegname o del ballo e del canto, affievolirsi degli usi e costumi tra- del calzolaio, anzi non è un lavoro, è un modo di vive- dizionali. Il mutamento di mentalità, di comportamento re, è la vita. e di valori è in riferimento ai nuovi sistemi di comunica- La variante a sos pantalones a s’isporta era l’abito lungo zione, televisione, pubblicità, alla nuova merceologia di velluto a coste. In molti paesi pastorali convivevano consumistica (seppure nella forma impoverita di perife- indifferentemente, per esempio a Fonni, a Lula, a Ma- ria), all’industrializzazione, al turismo e all’incremento moiada, mentre a Bitti e a Orune e Orgosolo i pastori del terziario. Una mutazione di gusti, di orientamenti e usavano soltanto sos gambales. di scelte che, con termine a un tempo generico e preci- so, viene chiamata modernitate. Tutti questi fattori nella 645. Orgosolo, agosto 1955, fotografia di Pablo Volta. loro segreta e manifesta tessitura hanno determinato un Su bonette fa la testa, l’abito fa il monaco. cambiamento della scena tradizionale: lingua e linguag- L’abito gioca tra il chiaro e lo scuro. gi, vestiario e alimentazione, espressioni della festa e del lutto, forme della delinquenza e della conflittualità 646. Sardegna, 1968, fotografia di Gianni Berengo Gardin. sociale, tipologia del divertimento. Si può affermare che L’abito è un rapporto con lo spazio e col tempo. l’abito attraversi con filo distintivo tutta la tramatura del cambiamento. La civiltà pastorale entra in crisi, l’ovile 391

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647 nicazioni culturali che seppure confusamente pervado- no l’intera comunità paesana. D’altronde bisogna pur fa- muore come universo culturale, non è più centro di for- re i conti con la modernitate, anche nelle forme di ibri- mazione e di sapere, cessa di essere il polo alternativo e dazione, di compromesso e di disagio. corrispettivo del paese. Il pastore diventa mungitore, L’abito tradizionale perde spessore e peso, spazio privato versa il latte alla cooperativa e rientra in paese. Il mon- e pubblico. Si cambia col rischio di una difficile imitazio- do femminile, più aperto alle nuove sollecitazioni, non ne, ma sono arrivati i tempi in cui occorre far fronte al vede più nel pastore un referente affettivo. nuovo. Non c’è più una sintassi dell’abito, c’è una libera- La società tradizionale considera l’industria come tecnica lizzazione: un nuovo modo di vestire più che un nuovo della riproducibilità degli oggetti. Ciascun abito è assolu- abito. Il nuovo vestire è nel segno della variabilità, della tamente originale, non c’è copia. Se fosse riproducibile mutevolezza e della leggerezza. Come se l’abito avesse metterebbe in crisi l’identità, la specificità della persona. un basso grado di realtà e di definizione. Diverso il rap- L’opera artigiana inventa ciascuna volta il manufatto: il porto col tempo. Una babele dei segni, delle fogge, del- tentativo dell’uguale produce la ripetizione del diverso. le mode. Ebbene questa trasformazione antropologica può essere Il cambiamento vestiario potrebbe narrare mille storie di osservata attraverso la destrutturazione dell’abito. Il pri- timori e di speranze, di attaccamento al passato e di nuo- mo a entrare in crisi è il pezzo del vestiario più connota- ve acquisizioni identitarie, di atteggiamenti autoironici e to in senso pastorale: sos gambales e sos pantalones a di tentativi d’integrazione. Basti pensare all’esperienza s’isporta. Si usano più spesso i pantaloni lunghi di fusta- della donna nel passaggio dalla brusa, funnedda (fardet- gno e di velluto, e ben presto i giovani pastori passano ta), scialle al tailleur e al soprabito. Il commento era rigo- al blue-jeans. In questo passaggio si perde il rapporto at- roso: “no li dechet, s’idet chi non b’est naschita”, “si vede tivo e profondo con l’abito tradizionale. Viene meno la che col nuovo completino non c’è nata”. Proprio perché competenza del codice vestiario. Gradualmente la giacca nell’abito ci si nasce. Cambiando vestiario su corpus per- viene sostituita dal pullover e dal giubbotto, la camicia det su zeniu, perde identità, grazia e consapevolezza. dalla maglietta, le scarpe si acquistano nel negozio. Nell’abito femminile tradizionale il primo pezzo a cade- La perdita dell’abito esprime disagio, disadattamento e re è su mucatore, il copricapo, a mucatore chintu (le- una caduta di autostima vestiaria e più in generale una gato sotto il mento) esprimeva la forma più arcaica del- perdita di personalità. Il passaggio dal gambale al blue- la tradizione. Lo scialle rinforza la sua funzione estetica, jeans rimarca un salto culturale notevole, il jeans veicola una costellazione di atteggiamenti, di relazioni, di comu- 392

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privilegiando la dimensione erotica del bragare. Tradi- 648 zionalmente, nel vestiario femminile c’era una ricca op- zione di colori. La gonna finemente plissettata poteva coinvolto anche personaggi pubblici della politica, del essere blu (biaita), marrone (colore de caffè), bordeaux giornalismo, dell’arte e dell’imprenditoria e che ha tro- (colore de granata), grigia, beige, il nero che indicava vato in molti stilisti la consacrazione di “abito etnico” vedovanza divenne poi indice di eleganza. come lo definisce Marras nel libro scritto con Cocco, La camicetta era in sintonia cromatica con la gonna, blu, Una moda fuori legge. marrone bruciato, molto elegante il golfino nero. Le scar- Significativo è il recupero (ma per molti è una conti- pe erano blu, marrone, grigio, nero e poi anche bianche. nuità) dei pantaloni, soprattutto neri, dei giovani pastori La prima rivoluzione fu l’accorciamento della gonna, come segno di appartenenza e di riconoscimento. dalla caviglia ad appena sotto il polpaccio. Un ulteriore Questo fenomeno vestiario, sia quello pastorale sia quel- accorciamento al polpaccio o appena sopra fu subito lo “borghese”, è rilevante come rivalutazione e rilancio abbandonato perché “non corrispondeva al corpo”. La dei caratteri identitari della tradizione vissuti in un rap- critica era “sembrano ballerine”, tre centimetri assoluta- porto arricchente con la molteplicità delle identità con- mente antiestestici. Lo scialle di tibet a frunzas (frange) temporanee. Specificità e globalità. de seta è blu, marrone, grigio. Habitus come abitare: in domo propria e nella casa del Per le donne barbaricine il passaggio all’abito moderno mondo. è stato certamente una perdita di stile e di coscienza estetica ed etica. Purtroppo non c’è stata un’elaborazio- 647. Desulo, 1958, fotografia di Henri Cartier-Bresson. ne moderna del vestiario tradizionale ma bene auguranti L’abito sollecita lo sguardo: vedere ed essere visto. sono alcune proposte di modiste e stilisti, per esempio il Il segreto di una corrispondenza. recupero dello scialle, un’elaborazione della gonna e 648. Sardegna, 1968, fotografia di Gianni Berengo Gardin. della brusa. Sarebbe una variante singolare nella molte- L’esodo e il ritorno pongono l’abito tra conservazione e mutamento. plicità delle mode. Su bonette e sa fardetta sono segni di identità. Un fenomeno interessante è la riproposta moderna del- l’abito tradizionale maschile, giacca, pantaloni lunghi di velluto a coste ma anche liscio, spesso con l’antica ca- micia a collo basso. Una vera e propria moda che ha 393

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Le mode del vestire sardo Michela De Giorgio Esiste il racconto che in ordinata cronologia mostra l’ac- Il racconto del tramonto delle “coronitas” è di un anoni- celerazione delle mode, il gioco sociale dei conflitti d’ap- mo autore piemontese. Grazie a lui (era probabilmente parenza, la valenza simbolica di un capo di vestiario, la un ufficiale che soggiornò in Sardegna dal 1755 al 1759) velocità dell’imitazione che ne fa un oggetto di desiderio, l’isola remota gioca per la prima volta un piccolo ruolo un polimorfo segno di distinzione con tanti poteri: diffe- dinamico nel riassetto delle sensibilités collettive e nelle renziare le età, esaltare lo status sociale? Questo è esem- profonde trasformazioni delle abitudini vestimentarie, plare: «Sino alla fine circa dell’anno 1753 non sapevano che dalla metà del Settecento toccarono soprattutto la le Dame Sarde cosa fosse il porta Cuffia, ed usavano Francia prerivoluzionaria e, in misura minore, tutti i pae- d’andare col Capo scoperto, e senza altra acconciatura si dell’Europa occidentale. L’eloquenza sociale di questo che quella della Coronata[s]. Ma alcuni Uffiziali Piemon- tipo di racconti che assegna al tramonto di un accessorio tesi avendo cominciato ad ottenere da una Dama giova- (o di un vestito) una fine rigorosamente datata ha un vi- ne di lasciarsi acconciar li Capelli alla piemontese, a po- zio di metodo di molte storie di costume, che non sfuggì co, a poco tutte le altre di Cagliari la imitarono e gli stessi – quasi mezzo secolo fa – al geniale intuito di Roland Uffiziali essendo andati nell’anno 1755 in Sassari ottenne- Barthes: sono storie affascinate dal prestigio cronologico ro la stessa riforma nelle Dame Sassaresi di maniera che del regno e del sovrano, considerato «par essence le Por- nelle dette due Città non si vede più Coronita nelle Da- teur du Vêtement».3 me giovani, e portano cuffie di ottimo gusto, che si fan- Oltre che sabaudizzare, attraverso i mediatori galanti, la no mandare da Torino, ed amano le mode nelle medesi- leadership aristocratica della moda nella Sardegna pas- me, tanto quanto le nostre Dame».1 sata da poco ai Savoia, l’“anonimo piemontese” rileva Gli storici della moda (o piuttosto gli storici che si oc- l’esistenza di ceti che rispondono all’impulso accelerato- cupano di vestiti) sanno che dalla penna di un uomo re delle mode anche nell’isola gravata da un passato ata- del Settecento il racconto di una nuova moda può esse- vico e immobile. Nelle società di antico regime le donne re enfatico, perfino bugiardo, mai futile. La moda – o degli ambienti aristocratici urbani sono state le più dutti- meglio le mode, e soprattutto le mode dei vestiti – dal li nell’accogliere mode che innovano e distinguono, le Settecento non è più la pietra di paragone per misurare più veloci nel promuovere una cultura delle apparenze. l’adattamento dei costumi agli imperativi della morale In condizioni di ipoconsumo vestimentario (come erano religiosa. Sul vestito gli economisti del tempo comincia- quelle della Sardegna settecentesca), se la cima della pi- no a misurare il potere sociale di un prodotto che cam- ramide sociale dà qualche segnale mobile ed evidente, la bia la qualità della vita e stimola i consumi. Non è un base indossa l’uniforme della povertà: a Cagliari – scrive caso che nel XVIII secolo appaiano i primi libri sui ve- l’“anonimo piemontese” – l’abito delle donne del popolo stiti, non più semplici descrizioni ma codificazioni dei «è generalmente miserabile, ed appena sono coperte. diversi tipi di abbigliamento in correlazione ai mestieri, Vanno scalze anche nell’Inverno, ed in Capo, o non han- alle classi sociali, le città, le regioni.2 Da questa base no niente o portano un straccio di tela od un pezzo di descrittiva prende forma il discorso degli esegeti sette- forese».4 centeschi che nel dettaglio di un vestito, nella scelta di La repentina sparizione delle “coronitas” sembra un’ec- un accessorio o di un colore, nel modo di allacciare un cezione nella storia dell’abbigliamento delle sarde. Le nastro, scovano, oltre la materialità dei tessuti e degli caratteristiche geografiche della Sardegna che per secoli ornamenti, la sostanza sociale della moda, il suo im- la precludono al confronto con altre culture, l’arretratez- menso potere di esaltare il desiderio dei privilegiati di za della sua economia rurale e delle forze sociali che la distinguersi rispetto a chi sta più in basso. rappresentano hanno determinato l’immobilità dell’abbi- gliamento dei sardi, il legame duraturo con la loro tradi- 649. Edina Altara, Figura femminile in costume, anni Venti, zione vestimentaria. C’è un tempo sociale – un tempo a 649 collage di carte colorate. mille lentezze e a mille velocità – anche nella storia dei 395

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650 «più alto rango [che] adottano usualmente le mode italia- ne», c’è la base allargata della piramide sociale costituita vestiti, affermava Fernand Braudel nelle Strutture del dalle donne dei paesi, divise per ceto – «Dama, Signora, quotidiano. Tra due mondi, le mobili società dell’Occi- Nostrada, Contadina principale, Artegiana, Contadina dente, trascinate dalle “follie della moda”, e le stabili so- rustica» –, tutte fedeli «al costume delle loro rispettive cietà dell’Oriente, conservatrici nelle abitudini e nelle divise».7 fogge dei vestiti, c’è, anche in Europa, un “Oriente di Più o meno degli stessi anni – è il 1834 – un colto viag- calma e di stabilità” – gli ambienti rurali, dei contadini e giatore francese, Valery, pseudonimo di Antoine-Claude dei poveri – dove i vestiti sono quasi immutabili.5 Pasquin, restò incantato dalle contadine di Selargius ab- La Sardegna del Settecento e dell’Ottocento appartiene bigliate a festa in onore della Madonna dell’Odegistria. all’Oriente della stabilità vestimentaria. Una stabilità che Quei vestiti sontuosi erano l’antidoto al turbinare delle si prolunga nel Novecento, fino alla prima guerra mon- mode: «Durano molto a lungo e senza mai variare, sono diale. I racconti di viaggio ottocenteschi, che testimonia- economici nonostante l’alto costo. Quelle che li portano no la lunga durata dei vestiti tradizionali, sono anche le sfuggono ai capricci continui e dispotici della moda». Il prime fonti della loro visibilità. «I vestiti fanno impres- loro primato di bellezza era indiscutibile – «i cappelli pa- sione, creano la differenza, ma anche corrispondono al- rigini e i vestiti di tela indiana delle signore di Cagliari in le attese», ha osservato Daniel Roche di fronte agli abiti mezzo alla folla sembravano proprio ordinari al confron- spettacolari di cui già pullulavano i racconti di viaggio to dei nobili e brillanti costumi delle contadine tutte in settecenteschi.6 In realtà, eliminato un po’ di invadente ghingheri» –8 ma non era ferrea la frontiera che separava “colore locale”, i racconti di viaggio possono essere con- i vestiti autoprotetti dalle dinamiche del cambiamento siderati delle vere e proprie prove proto-etnografiche. perché prodotti da un’economia statica da quelli obbe- Dall’Ottocento, i viaggiatori hanno occhi più acuti, per- dienti alle leggi della moda. Il sovraconsumo di vestiario, cepiscono anche la trama nascosta dei vestiti, il loro vo- ler essere segno di distinzione sociale, di appartenenza 650. Gaston Vuillier, Il ritmo sardo e la danza del duru-duru, 1891, di classe, di funzione professionale o di mestiere. Im- acquaforte, da Les îles oublieés. La Sardaigne, Parigi 1891. peccabile è lo schema delle abitudini vestimentarie delle sarde tracciato dal capitano inglese William Henry Smyth 651. Gaston Vuillier, Le lavandaie d’Osilo, 1891, nel suo Sketch of the present state of the Island of Sardi- acquaforte, da Les îles oublieés. La Sardaigne, Parigi 1891. nia, pubblicato a Londra nel 1828. Dietro le donne di 396

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la moda come volontà di distinzione sociale, sono parte 651 integrante della cultura delle apparenze delle élites pa- rigine della prima metà dell’Ottocento a cui Valery ap- cento Paolo Mantegazza, antropologo, viaggiatore, divul- partiene. Ma il cappello, simbolo infranciosato di uno gatore d’eccezione, non ne avesse decantato la spettaco- statuto sociale, se si “sardizza”, è la piuma del ridicolo, larità. Nel febbraio del 1869, come componente della un’estetica del vestiario separata dal contesto della cul- Commissione Depretis, il deputato Mantegazza viaggiò tura materiale. per più di un mese in lungo e in largo per la Sardegna, Qualche decennio dopo, Grazia Deledda racconterà un curiosus naturae e di sardi e sarde. Nacque dal viaggio il cappello che diventa accessorio iniziatico, il simbolo am- racconto antropologico Profili e paesaggi della Sardegna. bito del rito di passaggio dallo stato di “rustiche” – ovve- Nell’Italia immediatamente postunitaria lo scienziato pio- ro «le donne vestite in costume, di civil condizione» – a niere dell’antropologia (che insegna dal 1870 nell’Uni- quello di “signore”. È un «uso strano e barbaro», secondo versità di Firenze)11 era stato il primo a tracciare mappe la scrittrice, quello che dispone che «le fanciulle signorili comparate della bellezza femminile. Nel cupo orizzonte di una certa condizione, o che hanno la madre vestita in delle malattie sociali (pellagra, rachitismo, malaria, cole- costume, non possono portare il cappello. Hanno invece ra, ecc.) dell’Italia appena unificata, aveva diffuso la fede fazzoletti di seta, che sfigurano il volto e il vestito, anche ostinata nel risorgimento dei corpi, piedestallo fisiologico se bellissimo. Andando però a marito possono adornarsi per la costruzione del nuovo stato nazionale. Il suo Fi- del cappello».9 “Maritata” è una parola magica nell’Italia siologia della donna (1893), che proclamava le pratiche di fine Ottocento, dischiude le porte di molte libertà e i diletti della cultura del self-help (diffusa già dagli anni comportamentali e di apparenza. Sul canto del cuculo le Settanta),12 divenne il manuale più credibile del “volere è ragazze nuoresi contavano il tempo che le separava dal potere” femminile dell’Italia di fine secolo. La più realista matrimonio e dal cappello, segno di distinzione sociale, (e più nota) cartografia di corpi perfettibili. Darwinista emblema di un ruolo molto desiderato.10 eterodosso, Mantegazza profanò la stilizzazione agiogra- Sarebbe rimasta poco eloquente la rappresentazione dei fica della bellezza femminile che il moralismo formalisti- vestiti tradizionali dei sardi e delle sarde, chiusa nei reso- co ottocentesco rappresentava come effetto della benefi- conti di viaggio (spesso non tradotti e rivolti ad un cer- ca “virtù plasmatica” dell’anima sul viso e sul corpo delle chio ristretto di lettori), se nella seconda metà dell’Otto- donne.13 Esercitato allo studio del dettaglio anatomico, indovinò nelle sarde corpi eleganti e sottili, crani dolicocefali, visi 397

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ovali e pallidi, occhi orizzontali, spesso grandi, «ricchis- no del pudore femminile, virtù individuale e sociale, simo seno», «linee posteriori di Venere Callipigia».14 Nel- con tempi regolati dalla “civiltà” che in Sardegna avan- l’abbagliante dovizia di colori dei loro vestiti («la tavo- zava a passi troppo piccoli per liberare le donne da lozza più tizianesca del mondo») vide le schermaglie del “un’ipocrisia” e sottrarle alla “tirannide” dei loro mariti. desiderio e deliberate volontà di seduzione. Due erano La civiltà, ovvero il progresso, per Mantegazza era il le caratteristiche della disciplina vestimentaria delle don- «concorso mirabile, armonico di cento movimenti», il ri- ne sarde: «molta copertura del capo e una grazia infinita sultato di «cento processi di affinamento, di elaborazio- per lasciar indovinare il più che si può le bellissime bel- ne, di transustanziazione».17 lezze del seno. Più di una volta vedete intorno a quel Come è compatibile questa fede nell’“indefinita perfetti- nido d’amore un duplice, un triplice, un quadruplice si- bilità” del progresso con lo spettacolo della “moda im- stema di baluardi, cortine, fossi, contrafforti e contraffos- mobile” a cui l’antropologo assiste nella Cattedrale di si: tutta una strategia di fascie, fascette, e camicie e mer- Nuoro durante la messa della Domenica delle Palme? letti; un arsenale strategico che dovrebbe esser fatto alla Un «gruppo di ben cento donne colla gonna bruna e difesa, ed è invece un’offesa continua, formidabile; tutto l’orlo rosso nel fondo; con una giacchetta scarlatta che un esercizio di parapetti attraverso a cui gli occhi profa- copriva una fascetta azzurra quasi aperta e colle punte ni non dovrebbero neppure gettare uno sguardo; e do- rivolte all’infuori, una camicia a merletti e una pezzuola ve invece e occhi e sguardi si ostinano ad entrare; tutto o bianca o gialla sul capo». Lo sfoggio degli “acconcia- un artificio di grazia che vuol molto nascondere e riesce menti femminili”, il repertorio dei modelli armoniosa- invece a mostrare assai; tutto un sistema di graziosissi- mente sgargianti, si chiama Natura. È effetto di ispirazio- ma, castissima e provocantissima ipocrisia».15 ne “naturale”, di imitazione con un orizzonte fisso, il Erano vestiti di “dissimulazione”, indiretti nell’erotismo paesaggio circostante. Mantegazza ne è entusiasta: «Co- come tutti gli abiti femminili ottocenteschi. La connota- m’eran graziosamente montanare! Com’era artistica quel- zione sessuale delle pratiche legate al modo di indossa- l’interpretazione dei monti! Il bruno maritato allo scarlat- re la camicia o di stringere il corsetto, poteva a buon di- to; un bosco di pini con una chiesuola ornata di terra ritto far parte della “psicologia ed etnografia dell’amore” cotta: un castagno indorato dal rosso d’un tramonto alpi- che Mantegazza nel 1884 avrebbe fatto oggetto di un no!».18 Gli abiti “paesaggistici” delle nuoresi aggiungono corso universitario. Una disciplina dai confini elastici che un tassello (finora inedito) alla rappresentazione ottocen- analizzava i mutamenti dei rapporti reali e simbolici fra i tesca del legame donna-natura. La Donna intesa come sessi, delle coercizioni normative che ne regolavano le alterità profonda, elemento cosmico che può farsi fiore, condotte relazionali, gli stili di corteggiamento e di sedu- sangue, terra feconda, sempre «uno stato superlativo del- zione, le norme vestimentarie. la materia», come la definiva Jules Michelet. Quando si Nell’isola lontana molte delle donne visibili a cielo aper- veste la donna sarda è in intima continuità con la natura, to avevano il viso coperto («in molti paesi della Sarde- come lo erano le dame d’Oriente «prima di adottare le gna le donne si coprono oltre il capo anche la metà in- sciocche mode d’Occidente» (che il grande storico france- feriore della faccia; od anche tutta la faccia meno gli se detestava).19 Specchio cromatico delle montagne, l’abi- occhi»).16 Sul saliscendi dei fazzoletti si misurava il desti- to tradizionale vince in bellezza il vestito “alla parigina” 652 653 654 398

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655 656 indossato da poche signore locali. Che isterilisce le bel- ma della “nazionalità” della moda riprese ardimento nel- lezze – «bionde e nere, alte e basse» –, tutte sotto «lo stu- le testate di moda italiane.21 pido giogo di un sarto parigino».20 I vestiti tradizionali delle sarde e dei sardi avevano un La voracità della moda francese rosicchia dove può, fino numero limitato e quantificabile di forme, di scansioni a Nuoro. Battistrada come sempre, Mantegazza è il pri- volumetriche, di colori e tessuti che variavano di villag- mo a confrontare il vestito tradizionale delle sarde con il gio in villaggio senza infrangere la tradizione originaria: famigerato “figurino”. Miracolo della moda di Parigi, pro- appartenevano al folclore, erano la moda immobile, l’an- va inimitabile di disegnatori e incisori insuperabili nell’e- timoda. La “moda parigina” era sempre “l’ultima moda”. videnziare con grazia gli elementi strutturali degli abiti, il Mutevole, futile, irrequieta, un trionfo inesauribile di tes- figurino è, dalla fine del Settecento, il contrassegno del- suti, guarnizioni infinite, colori inediti, rinati ogni volta l’egemonia della moda francese in Europa. Nella fase di dalla sfumatura precedente, come li raccontava, sotto vo- ostilità politiche e culturali dei primi anni Settanta del- lubili pseudonimi femminili, Stéphane Mallarmé («l’avana l’Ottocento, quando la Francia veniva rappresentata in detta ieri cachou e oggi gyzèle»).22 La moda è lo spetta- preda alle mollezze e alla degenerazione dei costumi, il colo di un “immenso desiderio di spendere”, uno dei figurino d’oltralpe fu particolarmente strapazzato e il te- tanti effetti della “democratizzazione delle apparenze”, i cui motori, imitazione e mobilità sociale, erano stati ac- 652. Donna in costume sardo, Sassari, 1865 ca., cesi in modo irreversibile dalla rivoluzione francese (do- fotografia di Adolphe Peuchet. po il 1789 «non c’era più modo di distinguere attraverso L’improbabile abbigliamento è sintomatico dell’interesse ottocentesco l’abbigliamento, le classi», notava J. Quicherat, autore di soddisfatto della sola e bastante “aria” esotica della modella: una fondamentale Histoire du costume français, pubbli- genericamente cipriota, turca, balcanica, calabrese o sarda, cata nel 1879).23 La “vita elegante” della prima metà del- incredibilmente identificata dal solo titolo. l’Ottocento, quella che Balzac teorizzava e raccontava (soprattutto attraverso i vestiti),24 era nata dal «movimen- 653. Donna di Samugheo, fotografia di Renzo Larco, to stesso della nostra rivoluzione», che era stata anche in Le vie d’Italia, marzo 1934. una questione di moda, «una lotta tra il panno e la seta». Si chiamava L’Ultima moda. Messaggero dell’Eleganza il 654. Donna di Teulada, in Le vie d’Italia, gennaio 1939. periodico illustrato a cui Grazia Deledda cominciò a col- La didascalia originale su questa bellezza femminile autarchica, nitido laborare da Nuoro, nei primi anni Novanta. Era diretto esempio di “pulizia” provinciale da riscoprire, riportava come in un da Epaminonda Provaglio, disinvolto editore piemontese cinegiornale: «Un aperto sorriso e una fronte spianata, indici sicuri di trapiantato a Roma, che, travestito à la Mallarmé da con- sanità fisica e morale». tessa Elda di Montedoro, si vantava di offrire alle lettrici 655. Donne di Mamoiada, fine sec. XIX, fotografia di Antonio Ballero. 656. Donna di Desulo, fine anni Venti, foto d’epoca. 399

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657 monianze di viaggio degli anni ’60-’80 raccontano le me- 658 tamorfosi del vestiario e l’abbandono progressivo del il meglio dei «più reputati periodici francesi congeneri», “costume sardesco” maschile e femminile tra lentezze, re- ovvero, plagio di figurini.25 Da quei disegni accattivanti sistenze o veloce adeguamento. Il passaggio al vestire se- al servizio della moda dalle mille facce, la ventiduenne condo “l’usanza corrente d’Italia” fu un processo a chiaz- scrittrice apprese il linguaggio della cultura delle appa- ze, non omogeneo.28 Il barone tedesco Heinrich von renze, lo statuto della descrizione delle riposte corrispon- Maltzan, “infaticato e sagace viaggiatore” che percorse la denze fra corpo e vestito, scoprì la loro specifica forza di Sardegna nel 1868, fu loquace sul “pittoresco” dei costu- persuasione letteraria rispetto alle pervasive descrizioni mi che andava perdendosi. A Sassari, lavoranti, facchini, di paesaggio. Nel bozzetto La donna in Sardegna, pub- conduttori d’asini, «tutti gli uomini dell’infimo ceto», si ve- blicato dalla rivista Natura ed arte nel marzo 1893, la stivano ormai come gli «ordinari proletari europei, cioè rappresentazione della versatilità dei vestiti tradizionali in un vestimento che non si distingue da quello del ceto delle sarde sembra aver assorbito la lezione mantegaz- migliore se non perché è logoro e stracciato». Von Malt- ziana: anche Deledda racconta “vestiti-paesaggio”: in zan racconta di aver visto «neri capannelli di uomini ve- Barbagia, ad Orune e a Bitti, «le vesti donnesche sono stire il loro cupo vestiario moderno, con in testa la ber- ruvide, strane, di orbace e di panno giallo … lassù la retta ancor più scura della notte».29 La conformità del donna è l’incarnazione perfetta del paesaggio». L’etnolo- nero, scelta cromatica che dà orgoglio e potenza alla vi- ga debuttante interpreta con acume la funzione sociale rilità borghese, avanzava verso il basso della società. del vestiario, dalla nascita alla pubertà, dal matrimonio Gli storici che si occupano di vestiti hanno in Sardegna alla morte. Individua l’opposizione fra la modestia (tal- un campo di lavoro vergine. Chi farà questa storia del volta ridicola e barbara, come a Tonara) dell’abito di tut- vestiario non potrà accontentarsi dell’impiego di opposi- ti i giorni e quello della ritualità e dello sfoggio festivo. zioni comode ma inadeguate: colto/popolare, ricco/po- Il suo racconto dei vestiti della donna sarda evita gli ste- vero, città/campagna, creazione/consumo, reale/immagi- reotipi della trionfante folclorizzazione tardottocentesca. nario. Le forme di acquisto e di possesso dei vestiti sono Grazia Deledda, scrittrice e lettrice dell’Ultima moda, ha anche lotte simboliche e il vestiario instaura una lingua l’occhio addestrato alla teatralizzazione delle apparenze comune parlata da chi sta in fondo alla piramide sociale di cui i giornali di moda sono maestri narratori. Sa che come da chi sta in cima. Daniel Roche ricorda che «la di- ne esistono di buone e di cattive: educata alle linearità namica della distinzione e dell’imitazione non coincide dei figurini, nei vestiti delle conterranee vede un’unifor- necessariamente con una cultura del sottosviluppo: sep- mità che non abbellisce – «La donna stretta nei ruvidi pure con materiali frustri e con mezzi limitati, con acces- giubboncelli di orbace, sotto le lunghe e ridicole cuffie, sori ridotti e all’insegna dell’economia dei dettagli, la sotto gli immensi e oscuri fazzoletti neri, nelle gonne competizione sociale e individuale si fa aperta».30 Le fron- strette e ridicole sembra brutta anche se è bella».26 La tra- tiere che separano il vestito della tradizione da quello dizione sfigura, l’orbace è un peso, un ostacolo alla mo- “alla moda” sono dunque porose e di difficile individua- dernità: «la donna sarda comincia a incivilirsi, nel linguag- zione. Il circuito delle fiere e dei mercati, la presenza di gio, nei tratti e nel vestire»,27 è il tramonto del secolo: nel venditori ambulanti, possono aver determinato l’ampiez- cammino dell’incivilimento c’è anche una silhouette che za, la cronologia, le variabili locali di un processo di tra- si affina. sformazione che è ancora tutto da verificare. Dell’“isolana tenacità”, virtù conservatrice che secondo Nei paesi la moda non stende le sue ali, ma quelle del- Mantegazza tenne i sardi e le sarde fedeli agli “inalterati” l’ideologia volano e ne preparano l’avvento. Il deside- vestiti tradizionali, è difficile scandire la durata. Le testi- rio di abbandonare il vestito tradizionale, il gusto della moda, come nasce a Seui, in piena Barbagia, alla fine dell’Ottocento? Charles Edwardes, l’ultimo degli scrittori- viaggiatori inglesi dell’Ottocento che visitò l’isola nel 1888, racconta di aver incontrato proprio a Seui una pic- cola avanguardia vestimentaria di ragazze «emancipate da ogni residuo di rustichezza». Vestite «alla cittadina, mette- vano in ridicolo la vita paesana, e vagheggiavano il Con- tinente».31 Madre e figlie emancipate gestivano una botte- ga, un miscuglio di merci, spilli ed aghi, carne in scatola e verdura fresca (modestissima mercanzia che fa delle esercenti un gruppo socialmente “intermediario” con il mondo produttivo d’oltre Barbagia). Oltre l’abbigliamento 657. Scolarette di Desulo, fine anni Venti, fotografia di Enrico Costa. 658. Donne di Iglesias, 1914, fotografia di Vittorio Alinari. 400

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che le distingue dalle compaesane (che «si coprono la te- viaggiatori ottocenteschi. Mantegazza (al solito, apripista) sta con fazzoletti di seta oppure di seta rossa, così che il si era chiesto se non fosse in quella essenzialità arcaica il copricapo scende ad angolo retto sulle scapole; le gonne punto più alto della libertà vestimentaria, quella per cui son color porpora con ampie guarnizioni color cremisi»), «ognuno può farsi sarto di sé stesso» (a questo serve lo le ragazze manifestano apertamente la loro fede anticleri- sguardo antropologico, a misurare la distanza tra il natu- cale (si fanno beffe del prete, non vanno a messa, dissua- rale e l’artificiale, il “selvaggio” e il “civilizzato”, l’isola e il dono il viaggiatore dal visitare la chiesa del paese). Dalla continente, l’Oriente e l’Occidente).33 sfera delle idee a quella delle cose e viceversa: nasce dal- Verso la fine del secolo cominciavano ad intrecciarsi pro- la dinamica culturale del progresso un’estetica morale al- getti e teorie sul vestito utopico, il vestito che avrebbe ternativa fondata sulla consapevolezza che anche i vestiti realizzato la perfetta affinità fra abito e figura, un conti- sono colpevolmente figli della tradizione. nuum tra panno e tessuto organico. I progetti di riforma Di volta in volta, gli storici dell’abbigliamento hanno cer- del vestire moderno – Mr. Oscar Wilde On Dress è del cato di misurare le rispettive posizioni di forza dei gruppi 1884 – si moltiplicarono di lì a pochi anni. Non si tratta di individui che nell’ambito delle proprie gerarchie socia- di un «revival antiquario di un costume antico», sosteneva li hanno dettato il tono dei gusti: notabili di paese, spose Oscar Wilde, ma della ricerca di una nuova regola del di contadini, ambulanti, merciaie, ragazze da marito, mo- vestire «dettata dall’arte, non dall’archeologia».34 Erano gli di nobilucci e rispettivi domestici. In tutte le categorie riformismi d’avanguardia da cui l’Italia fra i due secoli re- sociali sono le donne che si impegnano maggiormente stava esclusa. All’Esposizione Internazionale di Milano nel far circolare i nuovi oggetti e i nuovi valori dettati del 1906, prima occasione per fare il punto sullo stato dalla diffusione delle mode. Maestre di civetteria, le ne- della moda italiana, la sarta milanese Rosa Genoni mise gozianti di Seui potrebbero essere state creatrici a credito insieme Rinascimento, tradizione folclorica, sete e velluto. di nuovi bisogni cercando di far guadagnar terreno alle L’abito da ballo ispirato alla Primavera di Botticelli, quel- gonne nere o marroni del “costume di transizione”. lo da visita che rievocava la Santa Cecilia di Raffaello at- Charles Edwardes osservava che il vento del cambiamen- tingevano direttamente dalla tradizione artistica quattro e to aveva travolto per prima la mastruca, la «gran pelliccia cinquecentesca. Molte decorazioni erano riprese dai co- nera di pecora che portano i Sardi sulle spalle, fatta di stumi regionali. È il risultato più appariscente del “nazio- quattro pelli di montone o di capra»,32 descritta da tutti i nalismo quotidiano” dei comitati di moda antifrancesi,35 nell’aria orgogliosa dell’“Italia nova” giolittiana, politica- mente e economicamente rispettabile. Pochi anni dopo, il Padiglione sardo, allestito per la Mo- stra Etnografica delle Regioni d’Italia in occasione della grande Esposizione di Roma per il cinquantenario del- l’Unità d’Italia, fu per la Sardegna una vetrina di visibilità nazionale. Amplificata anche dal prestigioso periodico torinese La Donna che dedicò alla “dimenticata” Sarde- gna quattro pagine con fotografie dei vestiti tradizionali femminili: «È una sorpresa fantastica; un godimento este- tico, una meraviglia per la ricchezza di tanti abiti di po- vera gente», scriveva Renzo Larco, l’etnologo amateur che ebbe l’incarico di fotografare i paesi più pittoreschi della Sardegna per documentare l’ambientazione che sa- rebbe servita all’allestimento della mostra. Oltre la descri- zione delle minute differenze fra i costumi più ricchi del- l’isola, Fonni, Osilo, Sennori, Bono, Quartu Sant’Elena, Larco racconta le diverse modalità di indossarli secondo stato civile e condizione sociale. Vestiti, ma anche volto e mani, le uniche parti che la moda del tempo consenti- va di lasciar scoperte: «Certe mani rugose, secche, che sembrano staccarsi da qualche antica tela, sono in con- trasto colla freschezza della restante persona. Le donne della Sardegna nei momenti d’ozio incrociano sempre 659. Grazia Deledda in costume di Nuoro, anni Dieci, cartolina postale. 660. Sardegna, 1927, fotografia di August Sander, Archivio A. Sander. Gli edifici retrostanti, l’aratro e soprattutto l’abbigliamento indentificano 659 la scena prossima all’area agricola dei Campidani di Oristano. 402

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sul ventre le mani, senza intrecciare le dita, senza strin- 660 gere la carne, ma superficialmente, con un’inerzia indo- lente, così come gli scultori quattrocentisti atteggiavano mezzo e chiusi da un nastro azzurro, abbiano davvero le mani alle nobili sulle pietre sepolcrali nelle chiese». coperto i capelli ribelli di Maria José del Belgio, princi- Sullo scarto di giovinezza, effetto della bellezza di classe, pessa di Piemonte dopo il matrimonio con Umberto di i fisiologi coevi avrebbero chiamato in causa povertà, fa- Savoia, nel 1930. Per incarnare le molteplici quintessenze tica, ingiustizia sociale. Qui la rugosità delle mani è solo regionali dello spirito nazionale la principessa ereditaria objet d’art di arcaica e dura concretezza. Objet d’art, co- si assoggetterà a molti travestimenti con costumi locali. me i “costumi” che hanno una corporeità autonoma da Le mode di corte, è noto, hanno sempre avuto potenzia- chi li indossa – la gonnella che «ricade giù per le spalle lità unificanti, e il busto di ceramica di Essevì che la raffi- come un sacco piegato»; una balza scarlatta, che «guizza gura adolescente desulese è certamente il punto sommo come una fiamma»; «viste di dietro le fonnesi pare che della “nazionalizzazione” della cuffia. L’impronta princi- indossino una coda di rondine rossa con ornamenti az- pesca ne avvia la riproducibilità sino alla trasformazione zurri». Un oggetto alla moda: soltanto alla cuffia del co- più ambita in panno Lenci, su trecce bionde inequivoca- stume di Desulo (ma infantilizzata, mentre è indossata bilmente nordiche. dalle nubili e dalle coniugate) toccherà in sorte, unico Più modesto fu il destino della cuffia del costume di Isili, accessorio proveniente dall’ampio corpus vestimentario anch’essa omaggiata dalle pagine del periodico torinese tradizionale sardo, il balzo fra le novità esposte in vetri- insieme a tappetti e passatoie, frutto dell’“umile lavoro” na. La Donna ne esalta il successo commerciale in Italia delle artigiane isilesi, ruskiniane osservanti sotto la guida e all’estero («andranno a ricoprire civettuolamente la te- della “buona signora” Filomena Piras Calamida. Le tessi- stina di eleganti bambini»), dopo le mostre organizzate trici sarde – «non più estranee lavoratrici ma sorelle ca- dalle “Industrie femminili italiane”.36 Non sappiamo se i re, voi coll’offerta del vostro lavoro, noi coll’accoglienza due spicchi rotondeggianti di stoffa scarlatta cuciti nel onesta e lieta» – entrano nel cerchio allargato “femminil- femminista” che la redazione de La Donna anima con benemeriti resoconti delle “nobili imprese” del lavoro 403

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661 zante “nazionalizzazione” delle apparenze: «Gli abbiglia- menti caratteristici delle regioni sono scomparsi comple- femminile. Dal medagliere della solidarietà di sesso sem- tamente dalle città, persistono ed indugiano tra la gente bra esclusa Grazia Deledda. Un’ignota “Donna Maria” ac- montanina, e la Sardegna deve, al suo isolamento, i ri- cusa l’eroina culturale della Sardegna di aver privilegiato cordi fenici e greci ch’essa conserva nelle sue fogge», af- banditi e pastori a discapito delle opere delle donne: «Se ferma, nel 1914, Emanuele Gallo, autore de Il valore so- avesse consacrato un poco del suo tempo e del suo in- ciale dell’abbigliamento.39 gegno fervidissimo ad illustrare i meravigliosi lavori del- Il giudizio era condiviso dalla Guida della Sardegna del l’arte muliebre, lasciati dalle bisnonne, e che l’invenzione Touring Club Italiano che nel 1918 assicurava che «in della macchina ha portato via, oggi, chi scrive, avrebbe nessuna regione d’Italia i tradizionali costumi popolari buon giuoco, chè tutte le simpatie sarebbero già guada- sono conservati quanto in Sardegna. Se nelle città e spe- gnate alla causa del lavoro sardo femminile».37 cialmente nel mezzogiorno dell’Isola si vanno perdendo Mentre gli abiti immaginati da Oscar Wilde cercavano (e si nota a questo proposito l’influenza del servizio mi- nuove regole del bello, mentre la moda italiana era an- litare: gli uomini al ritorno abbandonano il costume e lo cora un’utopia,38 la Sardegna del primo Novecento re- indossano solo nelle feste e nelle cerimonie), se ivi i co- stava la roccaforte della fedeltà ai vestiti locali tradizio- stumi si perdono anche per il costo e la poca praticità, nali. Una delle rarissime indagini italiane sulle onorate nelle parti di più scarsa penetrazione del movimento, il virtù della moda, la moda che adora ciò che è strano, costume si è conservato largamente ed è usato dalla ge- anormale, inatteso, «senza preoccupazioni di euritmia», neralità dei locali». I mercati, le cerimonie di famiglia – descrive la Sardegna come l’isolata eccezione nell’avan- nascite, matrimoni, funerali –, le feste locali, le ordinarie funzioni religiose domenicali («Non si saprebbe consiglia- 661. Ballo in casa San’Elia, Cagliari, 28 marzo 1925, foto d’epoca. re a sufficienza di assistere a qualcuna», raccomandava la L’abito tradizionale, dismesso da tempo dalle classi abbienti sarde Guida) raccoglievano «folle completamente in costume e in particolare da quelle cittadine, è divenuto “travestimento” già che ridipingono altri tempi, anche nei loro comporta- a questa data. menti caratteristici».40 Forse era in tasca di D.H. Lawrence, rude viaggiatore che scoprì sulla sua pelle quello che la Guida metteva nero su bianco: l’isola «non è sito per il viaggiatore che ami i propri comodi; … il viaggio non è adatto né a ragazzi, né a vecchi, né a uomini molto bisognosi di cure, ed è an- che poco adatto per signore».41 Lo scrittore inglese, in viaggio nell’isola nell’inverno del 1921, si entusiasmò dei lunghi berretti dei sardi, «cimieri superbi», artificiali e anti- funzionali come un cilindro. Più di un copricapo, un pro- lungamento psicofisico della testa, una parte del «loro ineluttabile io». «È un segno di tenacia ostinata e potente. Non hanno nessuna intenzione di farsi domare dalla con- sapevolezza del mondo. Non vogliono indossare i banali abiti del mondo. Rozzi, vigorosi, decisi, persevereranno nella loro rozza, oscura stupidità e lasceranno che il grande mondo trovi la sua strada per il suo illuminato in- ferno. Il loro inferno è solo loro e lo preferiscono non il- luminato», scriveva Lawrence.42 Lo sconquasso postbelli- co autorizzava tutte le profezie, soprattutto vestimentarie. Il risultato comune dell’assimilazione capitalistica mondia- le o della grigia omogeneità proletaria, quell’uniformità delle apparenze che D.H. Lawrence paventava, sembra approdare anche in Sardegna. La Grande Guerra era stata la cesura. Lo scrittore aveva in- contrato molte paesane diventate eleganti. Si davano delle arie «con l’abito da città e scialli di seta nera sulla testa».43 Ma i “costumi” resistevano. La performatività dei vestiti delle sarde è interna alla scrittura di D.H. Lawrence, spec- chio dell’anima dei personaggi e dei loro caratteri morali. La descrizione delle stoffe e dei colori – rosso scarlatto, vermiglio, geranio intenso, papavero, rosa malva, lavanda, verde smeraldo, malachite, blu cielo, blu savoia, marrone 404

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rossiccio, color pulce, marrone robbia (nell’esattezza flo- indossa il «cimiero su- 663 realcromatica è riconoscibile la cultura dei fiori anglo- perbo», tre hanno il sassone) –44 è parte integrante dello statuto della narra- cappello, cinque il zione, spesso prevalente rispetto alle descrizioni del berretto (su bonet- paesaggio.45 te), il più vecchio L’antropologo, il filosofo, il romanziere, il saggista-viag- è in ragas e calzo- giatore, il poeta sanno bene che la fine dei vestiti “ar- ni bianchi, rattop- caici” è ineluttabile: «Si può dire che la tendenza dello pi evidenti. La leg- spirito moderno – aveva scritto Giacomo Leopardi nello gibilità dei valori Zibaldone – è di ridurre tutto il mondo una nazione, e egualitari dell’av- tutte le nazioni una sola persona. Non c’è più vestito venuta democratiz- proprio di nessun popolo, e le mode in vece d’esser na- zazione delle zionali, sono europee»:46 distinguersi per maggior somi- apparenze sta glianza, è il tratto moderno della moda che Leopardi è il in quei banali co- primo a individuare. La moda che detta legge al senti- pricapo. Ogni pae- mento, alla pratica del bello, all’emulazione sociale (l’«im- se potrebbe raccon- pulso moderno di uguagliare ogni cosa»), la moda che tare la retroguardia decreta l’opinione dominante in materia di costume, la vestimentaria locale: a moda polimorfa e dittatrice, avanzava a piccoli passi an- Desulo, nei primi anni Settanta che nei paesi della Sardegna. Dalle trincee del ’15-’18 del Novecento, l’ultimo vecchio molti reduci tornano in grigioverde (D.H. Lawrence ne ri- vestito con l’abito tradizionale corda la detestabile invadenza: «Ovunque andiate, do- era già un personaggio nella vunque vi troviate, vedete questo cachi, questo abbiglia- storia orale della comunità.49 mento da guerra grigio-verde … È il simbolo di quella La scomparsa nell’uso corren- universale foschia grigia che si è posata sugli uomini, te del vestito tradizionale dell’estinzione di tutta la luminosa individualità, la distru- femminile è segnata da un zione di ogni selvaggia unicità»).47 I vestiti tradizionali ritmo più moderato di rin- d’uso quotidiano che, rattoppati alla bene meglio, sareb- novo che è stato osserva- bero stati usati fino a consumarsi, interpretano parti im- to con attenzione dalle et- previste: a Pattada (nei primissimi anni Venti) i ragazzi nologhe (in Barbagia, a indossano l’antico costume (su costumene antigu) per Desulo, quasi tutte le donne appartenenti alla fa- mascherarsi a Carnevale, ormai scia d’età fra i cinquanta e nel paese sono solo tre o gli ottanta anni hanno indossa- quattro gli uomini che lo to il vestito tradizionale fino ai pri- indossano quotidiana- mi anni Ottanta).50 mente.48 Dobbiamo ac- Dobbiamo ricordare alcune funzioni inedite del vestito contentarci di ipotesi sulle tradizionale, in circostanze impreviste. La moda moderna fasi di apprendistato e degli anni Venti, la più moderna di tutte le mode (quella sui tempi di diffusio- che Tarquinio Sini esemplificò nel faccia a faccia fra la ne effettiva delle giovane, non a caso, desulese, in postura di religiosa abitudini vesti- sorpresa, e la Signorina con gesti e vesti canonici del mentarie post- garçonnismo cosmopolita) nascondeva nell’incontenibi- belliche. August le baldanza femminile gusci di riservatezza. L’enfasi del- Sander nel 1927 fo- la stampa fascista che esortava le “novelle figlie d’Italia” tografa un campione ad emulare le antenate dell’“Alma Roma” in vista delle che non è detto sia Olimpiadi di Amsterdam del 1928 (le prime con parteci- indicativo: vicino pazione femminile) si scontrava con la scarsissima diffu- ad Abbasanta, ot- sione dello sport fra le donne, denunciata dalla stampa to contadini alli- femminile più illuminata. La mancanza di confidenza con neati, nessuno 662. Lenci, Bambola in costume di Desulo, anni Trenta. Giocattolo significativo perché destinato senza pregiudizio alle bambine di Venezia come a quelle di Firenze (difficilmente a quelle sarde), facilitato in questo dalle inverosimili trecce bionde e dal faccino anonimo quanto caramelloso. 663. Essevì, Maria José di Savoia in costume di Desulo, seconda metà anni Trenta, terraglia a colaggio maiolicata. 662 405

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lo sport agonistico era testimoniata dalle tenute ginniche 664 delle italiane, infagottate, anche nelle gare internazionali e nazionali, in un abbigliamento «antiquato e pesante e Anglista, storico delle arti decorative, del gusto, delle impiccioso». Il punto estremo dell’arretratezza estetica apparenze, vide il primo ed ultimo esercizio di “moda delle squadre italiane è testimoniato dalla «piccola schie- regionalista”. Le «figurazioni stilizzate e simmetriche del- ra di sarde» che al concorso ginnico internazionale di Fi- le stoffe inserite nelle fogge moderne» erano state una renze si presenta vestita «con i ricchi costumi sardi … Fa- proposta di Maria Foschini, direttrice dell’ESVAM (Ente cevano pena a vederle saltellare sul ripiano di legno con Sardo Valorizzazione Artigianato Moda). Giacconi sporti- quelle sottanone larghe non so quanti metri e lunghe fi- vi, completi da spiaggia in stile caprese, ecc., accolsero no ai piedi, sollevando polvere e ilarità insieme».51 duttili gli innesti ispirati alle produzioni tessili sarde: Un tournant, quello degli anni Venti, che le élites sarde avevano, peraltro, nobili antecedenti, come «nelle prime vivono all’insegna di una mondanità più movimentata, basiliche cristiane si incastonavano frammenti di roma- tè danzanti, merende all’aperto, balli mascherati, espor- nità», scrisse Praz magnanimo. Allora l’isola era “povera tati sulla scena nazionale da Lidel (il raffinato periodico e intatta” e ai viaggiatori come Praz il suo passato non si fondato nel 1918 da Rina de Liguoro) che ha il monopo- presentava sfacciatamente «come qualcosa di artificiale». lio del racconto dettagliato, da Aosta a Messina, delle Tappeti, cestini d’asfodelo, perfino i vestiti “sardizzati”, eleganze araldiche italiane. È difficile interpretare con non sapevano di art-and-crafty tenuto in vita per attira- chiarezza il sentimento di appartenenza alle tradizioni re il turista, ma «ancora penetrato d’anima, ancora vissu- locali dell’aristocrazia sassarese paludata nei costumi di to d’istinto». Mezzo secolo fa nel paesaggio sardo «che Sennori, Dorgali, Bitti, Desulo per il ballo organizzato odora di sempre» il critico letterario dai cento occhi e dal conte Gaspare di Sant’Elia in omaggio al Duca di Pi- dalle curiosità sterminate vide un’incantata solitudine. stoia o al Conte di Torino, in visita in città nella prima- Gli ospiti sardi gli mettevano in mano «cartoline vistose, vera del 1925.52 Berrittas e corittos, credenziali dell’anti- di sapore moderno», con allettanti didascalie, “Sardegna ca fedeltà dell’aristocrazia sarda alla monarchia sabauda, pastorale”, “Silenzi primitivi”, ed altre con gli “splendidi rinnovano la memoria della “perfetta fusione” sardopie- costumi sardi”. Verosimilmente ebbe sotto gli occhi an- montese settecentesca. Ancora berrittas e corittos (mes- che la Pampanini, procace maggiorata di cui si avvan- sinscena immutata, ballo in casa Sant’Elia, senza principi taggiò il costume di Sennori, nell’inventiva nuova serie di Casa reale da riverire). Inidonei ai charleston e ai fox di cartoline turistiche. Basta poco per scompaginare il della socialità aristocratica, i costumi sardi dismettono il tempo, «la stagione fissa delle cose semplici e eterne», valore emblematico della fedeltà. Della scelta fra orbace, che sembrava antica per sempre.54 panno, lamé argento e oro è arbitro il gusto individuale. Il poter pescare così facilmente dal guardaroba folclori- 664. Silvana Pampanini in costume di Sennori, in Artigianato Sardo, co un “vestito da maschera” prova, oltre che l’abbon- Cagliari 1957. danza di costumi tradizionali, le solide relazioni gerar- chiche con i paesi del contado che offrono i panni del travestimento. I veri raduni di eleganza dell’alta società aristocratica testimoniati da Lidel non ammettono nei sa- lotti i vestiti tradizionali regionali. Fra danze a tema (pa- stor fidi, gitani, pirati, ecc.) e tableaux vivant laboriosi e spettacolari che il bel mondo produce negli instancabili anni Venti, è una rarità la Marianna Sirca “incontinenta- ta”, quadro-vivente interpretato da una gentildonna fio- rentina secondo una voga mondano-letteraria (ma l’abi- to tradizionale nuorese ha subito interventi arbitrari).53 Negli anni fra le due guerre, l’entusiasmo per le tradizio- ni locali si manifestò anche nell’arredamento. L’infatua- zione della borghesia per i mobili in “stile sardo”, deriva regionalista dello stile “umbertino” (salotti, sale da pran- zo e “da studio”), ricorse al panno colorato delle gonne (camiseddas) con galloni giallo o azzurro per foderare i cuscini che fiammeggiavano sul noce annerito dei diva- ni prodotti dai fratelli Clemente. Quando finì l’“antichità” della Sardegna? Si potrebbe sug- gerire, come data limite, anche una particolare contingen- za, interna all’evoluzione delle fogge del vestire. La sfila- ta di moda del 1957 al Padiglione dell’Artigianato sardo a Sassari ebbe in Mario Praz un testimone eccezionale. 406

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Note 1. Anonimo piemontese 1985, p. 41. 27. G. Deledda 1995, p. 255. Desulo, durante la prima messa domenicale nella chiesa parrocchiale, contò fra le ottanta e 2. R. Barthes 2001, p. 113. 28. G. Deledda 1995, pp. 85-89. cento donne che indossavano il vestito tradi- zionale; cfr. M. Carosso 1984, p. 78. 3. R. Barthes, “Histoire et sociologie du vête- 29. H. von Maltzan 1973, p. 311. ment. Quelques observations méthodologi- 51. M. De Giorgio 1992, pp. 251-252. ques”, in Annales, n. 3, Juillet-Septembres 30. D. Roche 1991, p. 506. 1957; ora in R. Barthes 2001, p. 31. 52. “Gazzettino”, in Lidel, 1925, aprile, fasc. 4, 31. C. Edwardes, La Sardegna e i sardi, trad. e pp. 10-11; maggio, p. 19. 4. Anonimo piemontese 1985, p. 49. cura di L. Artizzu, Nuoro, Ilisso, 2000, p. 180. Sui viaggiatori inglesi in Sardegna, cfr. M. Ca- 53. “Gazzettino”, in Lidel, 15 giugno 1928, p. 20. 5. F. Braudel, Civiltà materiale, economia e biddu, La Sardegna vista dagli Inglesi (I viag- capitalismo (sec. XV-XVIII), vol. I: Le Struttu- giatori dell’800), Quartu 1982. 54. M. Praz 1959, pp. 509-513. re del quotidiano, Torino, Einaudi, 1982. 32. C. Edwardes, La Sardegna e i sardi cit., p. 47. 6. D. Roche 1991, p. 14. 33. P. Mantegazza 1973, p. 365. 7. W.H. Smyth 1998, pp. 165-166. 34. O. Wilde, “More Radical Ideas upon Dress 8. Valery 1996, pp. 166-167. Reform”, in Miscellanies, citato in Cartamodel- lo. Antologia di scrittori e scritture sulla moda, a 9. G. Deledda 1995, p. 210. cura di P. Colaiacomo e M.V. Caratozzolo, Ro- ma, Luca Sossella Editore, 2000, p. 94. 10. M. De Giorgio, “Raccontare un matrimonio moderno”, in M. De Giorgio, C. Klapisch-Zu- 35. R. Carrarini 2003, p. 810. ber, Storia del matrimonio, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 307-311. 36. R. Larco 11 maggio 1911, pp. 20-21; R. Lar- co marzo 1934, pp. 161-176. La diffusione fino 11. Su Paolo Mantegazza è ancora una guida agli anni Trenta della cuffietta desulese (e del essenziale G. Landucci, Darwinismo a Firenze cappottino assortito) è confermata da E. Calde- tra scienza e ideologia (1860-1900), Firenze, rini 1934, p. 60. Olschki, 1977. 37. Donna Maria, “Sorelle nostre. Per una no- 12. Cfr. S. Lanaro, Nazione e lavoro. Saggio bile impresa di lavoro femminile in Sardegna”, sulla cultura borghese in Italia 1870-1925, Ve- in La Donna, 20 maggio 1911, n. 154, pp. 22- nezia, Marsilio, 1979. 23; sulle vicende del periodico torinese, cfr. D. Alesi, “«La Donna» 1904-1915. Un progetto 13. Cfr. M. De Giorgio 1992, pp. 147-149. giornalistico femminile di primo Novecento”, in Italia contemporanea, marzo 2001, p. 222. 14. P. Mantegazza 1973, p. 357. 38. N.G. Caimi, “L’utopia della moda italiana”, 15. P. Mantegazza 1973, p. 367. in La Donna, 5 agosto 1909. 16. P. Mantegazza 1973, p. 367. 39. E. Gallo 1914, pp. 310-313. 17. Citato in G. Landucci, Darwinismo a Fi- 40. L.V. Bertarelli 1918, pp. 19-20. renze cit., p. 152. 41. L.V. Bertarelli 1918, pp. 15-16. 18. P. Mantegazza 1973, p. 369. 42. D.H. Lawrence 2000. 19. Citato in R. Barthes, Michelet, Napoli, Gui- da Editori, 1973, p. 112. 43. D.H. Lawrence 2000. 20. P. Mantegazza 1973, p. 369. 44. Cfr. J. Goody, La cultura dei fiori, Torino, Einaudi, 1993. 21. S. Franchini, Editori, lettrici e stampa di mo- da. Giornali di moda e di famiglia a Milano 45. A. Hollander 1978. dal “Corriere delle Dame” agli editori dell’Italia unita, Milano, Angeli, 2002, p. 253. 46. G. Leopardi, Zibaldone, vol. I, Firenze, Sansoni, 1969, p. 100. 22. S. Mallarmé, La Dernière Mode. Gazzetta del Bel Mondo e della Famiglia, Milano, Edi- 47. D.H. Lawrence 2000. zioni delle Donne, 1979, p. 87. 48. P. Gaias, Sa Meliagra. (L’agrodolce del ri- 23. Citato in D. Roche 1991, p. 33. cordo), Sassari, EDES, 2001, pp. 133-134. 24. F. Boucher, Le vêtement chez Balzac. Ex- 49. M. Carosso 1984, p. 77. traits de la Comédie humaine, Paris, Editions de l’Institut français de la Mode, 2000. 50. M. Carosso individua tre modalità di scelta nell’indossare il vestito tradizionale: “perma- 25. Cfr. M. Giordano 1983, pp. 154-156. nente”, “parziale”, “circostanziale”; tra il 1981 e il 1983, gli anni della sua ricerca sul campo a 26. G. Deledda 1995, p. 260. 407

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Moda e tradizione. Sardegna: una realtà da cui attingere Bonizza Giordani Aragno La moda vive di rimandi, di sentimenti carichi di nostal- La moda è al centro del cambiamento delle tendenze, gia, produce richieste, accende desideri, alimenta il bi- segue le leggi della “ripetizione”, scadendo poi nell’imi- sogno etico di produrre manufatti “deperibili” nati per tazione. Per dare nuove idee modifica il corpo mediante assurgere a simboli effimeri dell’essere umano. forme, lunghezze, ampiezze: la costante di tutti gli stili- Nella nostra società globalizzata vale ancora quello che sti. La moda vive per la sua diffusione planetaria, capa- sosteneva Simmel: «Quanto più rapidamente cambia la ce di sintonia tra l’essere e l’apparire in quanto terreno moda, tanto più gli oggetti devono diventare economi- di ricerca del sé. ci, tanto più invitano i consumatori e costringono i pro- Al suo interno esistono eccezioni, differenti figure che duttori a un rapido cambiamento».1 rappresentano una realtà distinta per cronologia e ruolo La trasformazione è rapida ed efficace, fatta di “segni” sociale; personalità che hanno in comune la terra d’origi- usati con i codici giusti che si mescolano attingendo a ne, la Sardegna, e assieme un interesse nella ricerca, l’au- “culture e tradizioni” dimenticate dai più, ma che assu- dacia, l’anticipazione, la tecnica, la conoscenza, l’intuizio- mono con l’uso indiscriminato del “taglia-cuci” una va- ne nel “dare forma” a ciò che si vuole rappresentare. lenza contemporanea, ambita da tutti perché velata dal- Analizzando l’abito-costume, vi si può notare l’evoluzio- la “nostalgia”, riducendo il passato a ruolo d’ispirazione. ne storica del modello vestimentario, icona fortemente La moda, oltre ad essere immagine che si democraticiz- identificabile nella cultura di provenienza ma che pre- za nel quotidiano, è anche forma. Essa appartiene alla senta un’accentuazione di caratteri modali presi da una parte visibile del reale ma come ogni codice estetico coscienza che trae alimento dalla profonda radice esi- «travalica la forma e si trasforma in sostanza», diventan- stenziale. E sono diverse le interpretazioni suggerite dal- do artificio e poesia. le atmosfere e dalle soluzioni stilistiche più note, quelle Come non ammettere l’importanza di un capo che in- che la globalizzazione produce con il “tritar tutto”. dossato riesce ad avere un suo linguaggio, una sua Diviene interessante rileggere gli stili in una dimensione identità? Come scegliere allora i simbolismi inconsci re- irta di accentuate differenze, attraverso l’opera creativa lativi alle forme, al colore, al tessuto e quant’altro, cam- di designers per la moda che hanno in comune l’identità biando contesto, cambiando i significati? È questo il mi- territoriale, messi insieme dalla radice storica dell’abito, stero che avvolge la moda? Il perché una tendenza si per un desiderio comune di contenuti da tramandare. dice di moda? Forse perché l’interpretazione suscita de- Un filone, quello del costume, che alimenta da sempre sideri irrefrenabili? il rinnovamento dei canoni modali, nel quale risulta im- Non vi sono mai segni uguali, la moda riorganizza di portante la fase della scomposizione, fonte del vissuto e continuo nuovi codici soltanto perché ne esistono di pre- dello stratificato. cedenti, essa è in realtà il supporto visivo dei fenomeni Applicarsi all’impiego obsoleto di un tessuto, di una pie- che interessano il sociale. Non si può infatti relegarla solo ga, di una camicia, di un orlo, oppure di una determina- ad evento mondano: vuol dire avere una concezione ot- ta foggia, per creare una nuova silhouette che esige un tusa del sistema. La moda va inglobata in campi diversi costante rinnovamento, per poi partecipare allo spetta- del sociale: quelli che trattano i temi della vita. colo della vita nei tempi giusti della moda, equivale a tracciare un percorso a ritroso nei luoghi della diffusio- ne di uno stile, in cui i riferimenti alla tradizione sarto- 665. Umba (Umberto Giacopazzi), 1956 ca., modelli ESVAM, riale e all’inventiva stilistica sono l’itinerario. Sassari, archivio ISOLA. Gli inserti in tessuto sardo a motivi geometrici, selezionati Siglienti: uno stilista ante litteram da Maria Foschini, direttore artistico dell’ESVAM, erano disegnati da Eugenio Tavolara. Perno e motore del progetto La città leader della Sardegna all’inizio del secolo XX fu dell’Ente, che stabiliva un’apertura del tessile sardo verso la moda, Sassari, polo d’interessi artistici e culturali al di fuori de- tali inserti diverranno una costante riconoscibile nelle collezioni gli schemi creati dall’immagine da cartolina dell’isola. 665 firmate da Umba. 409

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666 dei disegni “primitivi” in cui il racconto, dato dal colo- re, dalla linea e dalla forma, allude agli antichi splendo- Viveva e lavorava nella città un gruppo di artisti e intel- ri regionali. Nei suoi progetti il colore, oltre che il dise- lettuali che credettero in un rinnovamento culturale gra- gno, sarà determinante. zie alle istanze moderniste di inizio Novecento, che portò È soprattutto la forma dello scialle ad attrarre il suo in- l’unificazione dei linguaggi regionali a vantaggio di un’ar- teresse, vista come «le ali fruscianti, che rivelano dispo- te, una cultura nazionale e italiana. sizione erotica e tendenza all’intrigo amoroso». Fu vitale la tendenza ad abbandonare il regionalismo Lo scialle ha avuto nella storia un lungo percorso di cui si per avviarsi verso “un’industrializzazione del folclore”.2 perdono le tracce: dai Fenici all’Oriente per poi riemer- Esempi straordinari furono i ricami antichi eseguiti dalla gere nel suo splendore sensuale in Catalogna. Molto po- Sardiniae Ars, nata per riaffermare stile e qualità alle polare in Occidente nel XIX e XX secolo, ha avuto una lavorazioni industriali oramai invasive del mercato, sul- diffusione paragonabile a quella del kimono in Oriente la scia del successo dell’omologa società Aemilia Ars, (importato in Europa all’inizio del XX sec.). Era conside- fondata nel 1898 con il contributo della regione Emilia. rato un capo-base dell’abbigliamento popolare, accesso- Nel ricco panorama culturale sassarese degli anni Dieci e rio di gran lusso per le donne alla moda. Lo scialle fu l’in- Venti del Novecento, si distingue un giovane, figlio della dumento più in voga,4 che permise all’abito una valenza borghesia illuminata, Nino Siglienti (Sassari, 1903-1929),3 maggiore proprio per la decorazione che ne accentuava dimostrando subito una profonda predisposizione al di- lo stile, esaltando la sovrapposizione delle forme. Scialle segno, accompagnata da una forte attenzione a quegli dunque quale indumento eclettico a carattere autonomo, oggetti e a quelle cose “artigianali fatte in casa” che ri- metafora di un’appendice decorativa che Siglienti poté mandano ad una solida radice storica legata alla terra assorbire dalle suggestioni pittoriche del capofila fra gli d’origine. Curioso e attento a tutti i mutamenti culturali, artisti sardi, quel Giuseppe Biasi suo concittadino. Siglienti s’interessò al filone di ricerca nato proprio allo- Nino Siglienti, a metà anni Venti, decise di lasciare Sas- ra, in cui la tradizione regionale, e soprattutto il costume, sari per Milano. Il pretesto sarebbe stato la frequenza costituiva una scelta all’interno della cultura vestimenta- della Scuola Superiore di Agricoltura: entrerà in realtà ria, orientamento che aveva radici antiche e allo stesso come figurinista nel prestigioso atelier di Luigi Sapelli, tempo sollecitazioni moderne: il costume cambia, si ade- in arte Caramba, importante figura manageriale e diret- gua alle esigenze delle mode, alle necessità pratiche. tore degli allestimenti per il Teatro alla Scala. Colpito dall’evolversi degli stili e dalla mobilità di un’iden- La terza Biennale Internazionale delle Arti Decorative a tità che andava perdendo i suoi connotati linguistici, Si- Monza, nel 1927, segnò il suo successo. Vi presentò i glienti volle affermare attraverso il proprio lavoro l’at- propri lavori come espressione della sua “bottega d’arte”, tualità fra tradizione e contemporaneo. Affascinato dalla ambiente allestito al pia- dicotomia di una società antica (rurale) e la nuova realtà noterra della Villa Reale, pre-industriale, che poi con l’andar del tempo diventerà sede della prestigiosa sempre più tecnologica e post-moderna, ne intuì la tra- esposizione, vicino ad sformazione epocale, carica di conflitti e di lusinghe. altri di noti artisti piemontesi. Nei suoi bozzetti di moda si evince quello stile che Colpì il pubblico e la critica guardava al Déco internazionale, trattato alla maniera l’allestimento dal carattere moderno, fuori dagli schemi scenografici di Ca- ramba, capace di creare tra spazi e volumi suggeriti 410 667

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668 a stuoia, ad erba, che abbelliva le vesti nei giorni di fe- sta e quello, più prezioso e di forma rettangolare, in tul- un rigore formale essenziale: «La candida teoria di arcate le bianco-avorio, leggero e impalpabile, fittamente rica- a tutto sesto che cinge le pareti della sala rivela uno spiri- mato e simile ad una mantiglia, da indossare intorno to non troppo lontano, nella sua semplicità di ascenden- alla scollatura della camisa. Nella sua visione, il grafismo za metafisica»,5 da un nitore protorazionalista. Il damier decorativo popolare si trasforma in una sontuosa decora- del pavimento, l’uso del manichino-stampella da lui dise- zione dalle linee sinuose cariche di fiori e fronde, in per- gnato rimandano agli interni della scuola “La Martine” di fetta sintonia con il linearismo Déco.8 La forma geometri- Parigi, diretta da Raul Dufy e creata dal coutourier Paul ca si ripete nella funzione strutturale del capo nato per Poiret. Il senso dell’artigianato come strumento didattico coprire, proteggere ed avvolgere. Gli scialli di Siglienti, per fare moda è ben chiaro nell’operare di Siglienti. ricamati da COSARIVE (Cooperativa Sarte Ricamatrici Ve- Considerato un artista ben inserito nell’ambiente lom- neziane), furono anche esposti, nel dicembre 1928,9 alla bardo, la sua attività spaziava dalla grafica pubblicitaria, I Biennale d’Arte Sarda a Sassari e venduti a costo eleva- al figurino teatrale, ai giocattoli in legno, ai mobili, alle to10 insieme a cuscini, tende, tessuti per arredamento e mattonelle in ceramica, ai disegni per ricami e soprat- tappeti ricamati; “sguardo complessivo” nello spirito di tutto alla già menzionata produzione di scialli in seta, un alto artigianato proposto dalla Wiener Werkstätte, in cui si coniugano quei richiami al Déco di gusto inter- movimento d’oltralpe che influenzò non poco l’iter pro- nazionale che definiranno il suo come uno stile antici- gettuale del giovane artista sardo. Orientamento radicato patore degli anni Trenta,6 sviluppo purtroppo precoce- nei soggiorni a Milano che, «nell’ardente desiderio del fa- mente interrotto nel 1929 con la morte. re», lascia intuire le peculiarità di quell’eclettica professio- Dei suoi scialli di ampie dimensioni, guarniti al fondo ne, allora sconosciuta, dello “stilista”. da un lunga frangia di seta, se ne conosce l’esistenza per una serie di testimonianze orali, e se ne ammira la Il dopoguerra: ESVAM, ISOLA, OECE composizione stilistica attraverso i documenti fotografici Nell’immediato dopoguerra, in pieno risveglio della Mo- in bianconero che rimandano per il colore alle tavole e da Italiana, abiti e accessori d’ispirazione sarda tornaro- ai disegni dei figurini.7 I motivi decorativi erano ispirati no ad interessare quelli che facevano moda. Capi in a tralci fioriti, che si dipanavano intorno al bordo, inva- piena tendenza – firmati anche da prestigiose sartorie dendo talvolta anche il centro. Una rivisitazione del pre- d’Alta Moda come le Sorelle Fontana a Roma o Nobera- zioso indumento tradizionale, in un misto tra quello so- sko a Milano ecc. – elaborati nei tessuti e nei ricami per brio e ingenuo di lana ricamata con filo a punto pieno, una valorizzazione di un artigianato forte di “preziosi” tessuti rustici, merletti, ricami. 666. Nino Siglienti, Bottega Siglienti, 1927, allestimento Nasceranno una serie di attività istituzionali, tra le quali per la III Biennale Internazionale delle Arti Decorative, una delle più importanti in Sardegna sarà costituita dal- Monza, Villa Reale, foto d’epoca. l’ESVAM (Ente Sardo Valorizzazione Artigianato Moda), sostenuto dall’Assessorato al Lavoro e Artigianato della 667. Nino Siglienti, scialle ricamato, 1927, foto d’epoca. Regione Autonoma. L’idea per un Ente sifatto si formerà Anche il manichino-portascialle è stato realizzato su disegno tra il 1951 e il 1952, inizialmente per volontà privata, cal- dell’autore. deggiata tra gli altri dall’allora sindaco di Cagliari Luigi Crespellani, il segretario regionale della Confartigianato 668. Nino Siglienti, indossatrice con scialle ricamato, 1927 ca., Giorgio Meli,11 il mobiliere Marino Cao e la signora Laura foto d’epoca. Migliavacca, amica “cordeliana” della intelligente e bril- lante giornalista esperta di moda Maria Foschini. Corri- spondente per Cordelia e residente nella capitale, Maria Foschini è incaricata della direzione artistica dell’ESVAM. Sarà la coppia Meli-Foschini a visitare i vari laboratori dell’isola per la selezione dei tessuti da impiegare nei ca- pi sartoriali. Con Maria Foschini e l’ESVAM si attua un esperimento “suscettibile di notevoli sviluppi” nel settore della haute couture. «I motivi del costume sardo assumo- no il ruolo di un utile suggerimento» dove lo scopo è «di impiegare la materia prima e la manodopera isolana met- tendole al servizio dei creatori della moda».12 In quest’otti- ca, nel 1951, in un momento decisivo che prepara l’istitu- zionalizzazione dell’ESVAM, era stato coinvolto l’allora giovanissimo Roberto Capucci, collaboratore nel laborato- rio Foschini appositamente attrezzato a Roma in via Bon- compagni. Nasce una prima collezione di circa 70 abiti, 411

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669 proposti in una sfilata cagliaritana allestita presso la Grot- ta Marcello in piazza Jenne, occasione il cui intento ha 669. Sfilata “Grotta Marcello”, Cagliari, 1951, foto d’epoca. più un senso dimostrativo che la consacrazione di un fi- Al centro, fra le modelle, l’esordiente sarto d’alta moda Roberto lone di ricerca “sardo”, ancora da mettere a fuoco.13 Capucci mentre raccoglie gli applausi del pubblico al termine All’esperimento, subentrando a Capucci, partecipa più della sfilata. Capucci aveva disegnato e realizzato per l’occasione tardi il disegnatore Umberto Giacopazzi (Umba era il circa 70 modelli. suo pseudonimo) le cui creazioni, fotografate nel 1954 da Scrimali (alcune locations saranno ambientate presso 670. Umba (Umberto Giacopazzi), 1956 ca., modello ESVAM, in le Saline di Cagliari), vengono indossate, come già per Artigianato sardo, Cagliari 1957. Capucci, dalla celebre modella di Dior, Ivy Nicholson. Lo spirito dell’operazione, centrata sull’abito moderno a 671. Umba (Umberto Giacopazzi), 1956, modello ESVAM, in Novità, partire dal reimpiego di tessuti artigianali, è ribadito nelle n. 68, Milano, giugno 1956. parole di Pasquale Marica che, nel suo libro Orgosolo,14 riportando l’immagine di un modello disegnato da Um- 672. Umba (Umberto Giacopazzi), 1954 ca., modello ESVAM, ba, descrive il progetto portato avanti da Maria Foschini in P. Marica, Orgosolo, Roma 1954. (della quale pubblica uno scritto) come «uno dei mezzi pratici coi quali si può saldare l’anello rotto che non 673-674. Giovanni Antonio Sulas, gonna, 1959 ca., modello OECE, consente alla Sardegna di ancorarsi del tutto all’Italia».15 carta con decori a inchiostro, Nuoro, Archivio per le Arti Applicate. L’operato dell’ESVAM sarà ereditato dal nuovo Ente re- gionale ISOLA (Istituto Sardo Organizzazione Lavoro Ar- 675-676. Giovanni Antonio Sulas, decoro per calzatura femminile, tigiano, ufficialmente varato nel 1957) che ne acquisisce 1959 ca., modello OECE, tempera e pastello su carta, Nuoro, Archivio i modelli, proponendoli nel corso di una sfilata l’anno per le Arti Applicate. successivo a quello inaugurale del Padiglione sassarese, Queste tomaie, progettate in seta elasticizzata colore nero o oro, vetrina istituzionale aperta dal novembre 1956. Evento presentano motivi sardeschi da Sulas riletti in piena adesione che tuttavia posticipa quello di Napoli nel quale gli ele- al gusto anni ’50. Alla realizzazione erano chiamate le ricamatrici ganti abiti d’ispirazione sarda erano stati presentati il 18 di Oliena, esperte nell’uso dei fili policromi. I preziosi manufatti febbraio 1956 al Palazzo dei Congressi nell’ambito della finali erano destinati al mercato nordamericano. Mostra d’Oltremare, accanto alle collezioni di sarti d’alta moda italiana già affermati: erano presenti con i loro abiti Schubert, Mingolini-Guggenheim, Ferdinandi, Gio- vanelli-Sciarra da Roma, Bellenghi e Pucci da Firenze, Germana Marucelli da Milano, e come giovani promesse furono premiati per i loro abiti Fausto Sarli e Umba.16 Sarà il fondatore e ideologo dell’ISOLA, Eugenio Tavolara (Sassari, 1901-1963),17 a sostenere in Sardegna l’attenzione 670 671 672 412

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674 673 sulla moda (l’ISOLA organizzerà altre occasioni di sfilata collaborando soprattutto col Consorzio Costa Smeralda. sino agli anni Settanta), impegnandosi a far conoscere il Sulas disegna intorno alla fine degli anni Cinquanta e i prodotto artigianale regionale che, grazie ad un’econo- primi Sessanta, su committenza del Progetto Sardegna mia interna, non aveva mai cessato di esistere. Questo finanziato dall’OECE (Organisation for European Econo- ambito sperimentale avrebbe dovuto vigilare e valorizza- mic Cooperation), una collezione composta da sciarpe, re il lavoro delle donne dedite al ricamo o alla tessitura, acconciature da sposa e soprattutto gonne femminili. complessivamente intente a costruire con la paglia o Per queste ultime progetta su carta i modelli in scala, in palma nana la cestineria, ad annodare il refe dei filet e modo da poter essere realizzate dalle donne-ricamatrici del macramè frangiato. Programma dell’ISOLA che sul di vari paesi: Oliena, innanzitutto, ma anche Samugheo, fronte maschile vedeva pure orafi, incisori del legno, bu- Santu Lussurgiu, Borore. I motivi decorativi, nella loro linatori del cuoio e ceramisti. grafia essenziale, rispecchiano una cultura che rielabora È ancora nel clima di ripresa e riorganizzazione che segni primitivi circoscritti in un geometrismo arcaico, Giovanni Antonio Sulas (Nuoro, 1911),18 quasi scono- quasi caratteri di alfabeti non traducibili (forme e atmo- sciuto a quelli del settore, realizza opere da sarto d’alta sfere che non a caso influenzeranno il pittore Giuseppe moda. Sarà designer per l’artigianato e l’arredo d’interni, Capogrossi, più volte ospite in quegli anni a Stintino). 675 676 413

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Interessanti sono pure i disegni di Sulas ispirati al primi- tivo popolare (legno, ceramica, tessitura, oreficeria) della Sardegna, sorta di figurativo arcaico, destinati alle tomaie per calzature femminili, realizzate in seta elasticizzata. I ricami delle artigiane di Oliena, spostati dai bellissimi scialli tradizionali alle scarpe, erano destinati a un vasto mercato il cui termine definitivo era l’America. Una cultura della tomaia, in cuoio o altro materiale de- corato, che troviamo già presente nelle scarpe tradizio- nali della festa, con motivi creati da fili colorati e migrati di volta in volta dalle scarpe femminili sino ai capispalla dei pastori indossati nella giornata “buona”. Lo stile sardo, lungo il percorso dagli anni Sessanta ad oggi, perderà molta della sua identità, ridotto a decoro per l’indumento o per l’oggetto “rustico”, deprivato della sua funzione pratica. Gli anni Settanta e la riscoperta della tradizione 677 In un periodo di dispersione (ma immediatamente ante- cedente al movimento di recupero degli anni Ottanta) è è stata penalizzata (oltre che coperta e bloccata dal pre- importante segnalare il lavoro di ricerca, catalogazione giudizio, appena stemperato nell’ambito dei grandi cen- ed elaborazione condotto dallo stilista cagliaritano Lucia- tri: Cagliari produrrà in ogni modo negli anni Novanta no Bonino (Carbonia, 1951) che, a partire dagli anni Set- la figura di Alessandro Lai, attivo e apprezzato costumi- tanta, per primo fra i moderni, legge e propaganda un’at- sta cinematografico e teatrale, di formazione internazio- tenzione verso il “geometrismo architettonico” riposto nale) dalla fondamentale assenza della filiera, prassi che nella costruzione dell’abito tradizionale. Bonino esordi- si potrebbe definire latitante a tutt’oggi. Non solo sono sce nel 1972 come stilista nelle collezioni di Alta Moda mancate le botteghe o le scuole,20 ma bisogna sottoli- per la maison Genova-Roma di Sergio Soldano, appli- neare come nell’isola fosse allora difficile superare le cando elaborati ricami di matrice turca ai giubbini in mille esigenze che investono l’ambito della moda: con- pelliccia. L’anno seguente apre il suo primo atelier a Ca- fezioni, trasporti, comunicazioni, diffusione, reperimen- gliari, varando un’attività che prova a radicare nell’isola to di mano d’opera specializzata, ecc. Prassi oggi forse alcune dinamiche della moda: utilizza per i suoi modelli in via di superamento. un tipo di jersey prodotto dalla ditta locale “Nuova Quir- Basti pensare inoltre che la prima pubblicazione specifi- ra” di Assemini. Verso la fine degli anni Settanta, nella ca sull’abito tradizionale, al di là del gran parlare sull’ar- boutique aperta a Cagliari dal 1975, compie con succes- gomento, è databile solo al 1981. Firmato da una foto- so l’interessante esperimento di tagliare gli scialli tradi- grafa, Chiara Samugheo, e arricchito da un saggio della zionali in bouclé (colori nero, blu, marrone) per ottener- studiosa Enrica Delitala,21 è il testo iniziatico e ancor oggi ne delle giacche-cardigan. Dal 1977 la confezione dei capi da lui disegnati è affidata a laboratori esterni. È del 677. Luciano Bonino, Trame di luce, collezione 1990, dettaglio di un 1982, sponsorizzata dall’ISOLA, la sua partecipazione al modello femminile, fotografia di Daniela Zedda. prêt-à-porter di Parigi, alla quale seguono Milano, Düs- Interessante la riproposizione del bottone sardo, accessorio che seldorf, New York. La figura di Luciano Bonino, dai con- costantemente ha attratto l’interesse dello stilista, qui, in un chiaro torni oggi ben definiti, propone in modelli unici, assor- riferimento agli orecchini di tradizione mediterranea in oro e corallo biti da una ristretta committenza privata o proposti in (racàles). mostre temporanee (spesso accompagnate da quegli stessi abiti tradizionali all’origine dei suoi ragionamenti 678. Luciano Bonino, camicia, 1992, foto archivio Bonino. compositivi), il costante tentativo di recupero della parte “moderna” e astratta contenuta nell’abbigliamento tradi- zionale, da lui rintracciata soprattutto nelle lavorazioni insistite delle pieghe a fisarmonica, nella magia delle simmetrie, nella sobria e raffinata eleganza del colore, nel misurato inserto di sontuoso ricamo, nel ricorso al- l’accessorio prezioso in filigrana, divenuto pretesto per microsculture di grande libertà creativa, spesso reinven- tate anche nella sostanza materica.19 Tuttavia la situazione sarda negli anni Ottanta, per quanti desiderassero cimentarsi nel campo della moda, 414

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678 terranea con preferenza per la Sardegna. “Un figlio del- la sua terra”, un isolano del secondo millennio. interessante per gli orientamenti di gusto che esso se- Antonio Marras ha modificato e ampliato ogni forma di gnala, dovuti a tutti quei gruppi folcloristici, soprattutto comunicazione come scelta semiotica, all’interno di quel quelli di recente formazione, che, come sostiene l’etno- patrimonio culturale non solo del costume ma dell’arte, antropologo Paolo Piquereddu in questa stessa pubbli- della letteratura, della mitologia arcaica dell’isola, dei sim- cazione, hanno assicurato continuità vitale all’abito tra- boli antichi e dei materiali tradizionali alfabetizzati come dizionale, pur apportandovi vistose modificazioni. sapiente simulatore di battaglie già vissute, in una visione narrativa in cui la violenza della storia si veste di glamour. Antonio Marras: fare moda dalla Sardegna È stata una necessità tra il tempo della tradizione, le ten- I riferimenti alla grande pittura di Giuseppe Biasi, alla denze internazionali del fare moda e il rapporto con l’ar- tradizione artigianale delle donne di Ittiri, alle fotografie te che hanno permesso a Marras quella indipendenza ingiallite, traccia e ricordo di volti sbiaditi, di corpi ve- linguistica che ha caratterizzato la sua ricerca. Si è servito stiti di anonimi emigranti, alle storie-leggenda di figure delle nuove tecnologie e della contemporaneità dei mes- femminili eroiche e umane, presenze nelle sere d’inver- saggi, alternate all’antico modo di fare artigianato, per no nelle tradizioni contadine, ricompaiono intense e alimentare quell’universo di segni tra l’onirico e il lettera- aggiornate dopo tanti anni nelle collezioni di Antonio rio, evocando volta per volta magiche presenze. Marras (Alghero, 1961).22 È una cerimonia antica e sacra quella della vestizione che Con lui rinasce vigoroso il filone costante e continuo di Marras propone ogni volta nelle sue performances. Vero ricerca nella tradizione sarda, non solo però quella stret- rifiuto ultraconsumista della moda a favore di un’ance- tamente legata al taglio degli abiti ma soprattutto (forza strale tradizione vestimentaria pensata per una donna e novità di Marras) alle atmosfere, alle storie, alle perce- quale parte centrale di una società matriarcale. zioni e suggestioni ad essi intrinseche o legate; ricerca I gioielli in filigrana, gli amuleti, le trine, le tele ricamate improntata sulla «primitività, ingenuità, e schiettezza».23 per lui dalle donne di Ittiri, gli intarsi di tessuti preziosi Sarà proprio l’algherese Marras a risvegliare con la sua e poveri assemblati da mani artigiane sono i frammenti arte in ambito internazionale un forte sentimento di ri- di un discorso tra storia e contemporaneità che lo stilista scoperta di antiche culture legate alla tradizione medi- non ha mai interrotto. Il tutto recuperato, studiato nelle varie soluzioni sempre diverse tra loro ma stilisticamen- te precise. L’abito-costume nella sua struttura compositi- va è ripetitivo nei secoli, si trasforma con Marras in un serbatoio di suggestioni. Marras si presenta in maniera diversa dal solito look prevedibile e crea da subito un interesse curioso. Il suo messaggio ha travalicato i confini dell’élite ed ha con- quistato i giovani. I costumi hanno preservato una serie di dettagli preziosi che messi insieme danno una visione particolareggiata di un’antica società rurale che viveva di pastorizia nelle aree interne montuose, di agricoltura nelle distese pia- neggianti e di pesca sul mare; ovunque le donne erano attive nell’abitudine industriosa del lavoro artigiano. L’abito-costume sardo, come si può constatare (si veda- no quelli nella raccolta del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, a Roma, o altri presso il Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde, a Nuoro), non ha subito radicali cambiamenti in questi ultimi tempi. Esso è rimasto fedele alla tradizione, si è ossidato nei musei ed è forte nella memoria degli isolani, presentandosi gene- ralmente integro da contaminazioni immediate.24 Questa immobilità, quest’orgoglio di esistere, questo in- tendere un vivere fatto di lavoro è il rituale che ha per- messo ad Antonio Marras di esprimersi con nuovi e anti- chi canoni fuori dal coro, forte di una vastità di soluzioni innovative. Marras, che non ha mai frequentato scuole di stile, si è impadronito, da buon isolano, di questa cultura che per nascita gli appartiene, ha celebrato con la sua moda una 415

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679 rinnovata identità culturale e dalla sua terra d’origine ha preso spunto per narrare le sue collezioni d’Alta Moda 680 che nascono dall’«idea di una tradizione etnica estetizza- ta e primitivizzata». 416 Il percorso di questo singolare stilista non è mai fine a se stesso. È un appuntamento stagionale in cui vengono pre- sentate “cose da indossare” che si arricchiscono volta per volta d’interventi sartoriali, di intuizioni stilistiche, di sto- rie, di racconti che ogni volta stupiscono in un crescendo. Collezioni che segnano nell’iter creativo una ricerca “tor- mentata” da cui lo stilista parte “per mai arrivare”. Nella sua prima collezione, presentata a Roma nel 1996, fu importante il contrasto tra barbarico e sontuoso per dare alle forme uno spessore. Il tutto sottolineato dalle trasparenze, dalle leggerezze e dalle fragilità in contra- sto a forme che drappeggiavano i corpi in tessuti lavo- rati a mano. Fu l’anno in cui la stilista giapponese Rei Kawakubo sbalordì Parigi con l’uso crudele delle prote- si che modificavano la figura femminile, rendendola “deforme”, cercando nell’innaturalità una frattura con lo stereotipo di bellezza edulcorata e commerciale in auge da troppo tempo. Un’operazione di rottura che Marras intuì e che inter- pretò alla sua maniera, guardando verso il patrimonio mitico e leggendario della sua terra: donne come fate gigantesche con abiti che per la loro forma non permet- tevano un atteggiamento banale. Abiti non solo di lusso per donne esclusive ma indumenti nati per vestire anti- che leggende, mescolate a realtà urbane, stratificate dal tempo e dalla memoria per il recupero dell’autentico. Eppure Marras non si accontentò di sole citazioni del passato né di soli dettagli, bensì analizzò le esigenze della vita quotidiana, servendosi d’interventi preziosi, alternati a manipolazioni come bruciature, slabbrature a vivo sul tessuto. Importante fu l’apporto di Maria Lai,25 straordinaria arti- sta e musa ispiratrice, che seppe idealmente dare alla collezione il suo contributo concettuale: la moda guar- da l’arte visiva e viceversa. Gli anni Novanta, per una forte connotazione democra- tica, hanno segnato un vestire diverso con la scoperta dell’usato (vintage), inteso non come bisogno economi- co ma come ricerca per un mercato saturo di moda. 679. Antonio Marras, Adelasia di Torres, collezione Alta Moda autunno-inverno 1998-1999, foto archivio Marras. Marras costruisce le sue collezioni mediante il racconto: la grande cappa rigida dalla quale emerge la testa della modella-regina, ricoperta di ornamenti e simboli, costituisce l’eco formale della rocca di Burgos o piuttosto di monte Gonare in Sardegna: Montagna sacra, metafora dell’universo femminile. E i fianchi della “montagna” sono campi arati realizzati con i tessuti dei quali è pervasa l’intera collezione, per la quale questo modello, in sfilata, ha costituito apertura e riassunto. 680. Antonio Marras, Adelasia di Torres, collezione Alta Moda autunno-inverno 1998-1999, foto archivio Marras. La gorgiera è ricavata da una gonna plissettata del costume di Ittiri. 681. Antonio Marras, Il sogno di andare restando, collezione autunno-inverno 2000-2001, foto archivio Marras.

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681 cati che si scontrano con la rude realtà materica. Creare nuove immagini evocative con la complicità degli stili, L’usato ha dato accesso ad una miriade di stili, livellan- contaminando l’informale e il formale in un fantastico do in maniera impressionante le scelte, alimentando il segno d’equilibrio in cui il riferimento al costume sardo vasto mondo del consumo. per immagini e per materie è costante. Marras lo tratta Marras, abituato a guardare gli abiti della sua gente, alla stessa maniera sacrale di come Yohji Yamamoto ha nell’usato cerca i contrasti e le forme trattando gli ele- usato il kimono, ma per il giapponese tutto è ridotto al- menti base dei capi come parti vitali della propria emo- l’essenzialità della forma, per Marras è dettaglio, è fran- tività. E il costume sardo è usato come spartiacque fra tumazione, è racconto. passato e presente. L’abito-costume, sia maschile sia femminile, ha nella ca- Con la collezione primavera-estate 1998, lo stilista arriva micia di lino, di cotone o di canapa un elemento “basi- all’abito destrutturalizzato, riletto attraverso una visione co”. La camicia può essere allungata, larga o corta, con interdisciplinare dei linguaggi. Gli indumenti vengono o senza collo, spesso ricamata, pieghettata, fornita di trasformati, frantumati, ripresi e slabbrati da interventi asole, guarnita talvolta da accessori in argento (gemelli); artigianali fatti d’intarsi di pizzo; si aggiungono alle lane i polsini per la donna spesso sono sapientemente rica- ruvide maschili i broccati e i nastri con ricami in filo e mati in tinta. Non a caso Marras ha scelto questo indu- paillettes, alla stessa maniera con cui le donne sarde de- mento da cannibalizzare, facendolo protagonista di due coravano lo zippone da festa. collezioni presentate a Milano per Sans titre. La camicia Ancora per l’Alta Moda, collezione autunno-inverno 1998- è un indumento che per lo stilista non presenta sostan- 1999 (Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma), la pro- ziali differenze tra femminile e maschile. Costruita di co- tagonista è la regina medievale Adelasia di Torres, morta tone dai diversi pesi, lino o canapa, essa è presente nel- rinchiusa nella torre dove era stata segregata. Colpisce la l’abito-costume e s’indossa quasi sempre direttamente costruzione del mantello-icona dalla forma grandiosa: sul corpo. Essa diviene per Marras pretesto per un fanta- montagna, tessuti giustapposti come campi arati, cono stico esercizio di stile. La camicia, visibile, vive di piccoli rigonfio, rigido e avvolgente, simile a sale, simbolo di accorgimenti (le differenze sono dovute al tessuto, come ricchezza per una società arcaica, “statua” che nasce dal nei cotoni classici da uomo) assumendo forme che si al- lago di Baratz alle porte di Alghero. Sale, acqua, per lungano a tunica da educanda, sopra grembiuli a piego- una regina che indossa preziosi cristalli, ricami pietrifi- ni e gilet nei toni del grigio come indumenti da lavoro. Il tutto prodotto in Sardegna, tessuto e confezione arti- gianale, dalla griffe emblematica Sans titre. Un esperimento interessante che mette in luce il rapporto tra imprenditoria locale e stile, un metodo promozionale che aveva avuto un precedente regionale con l’ESVAM. Anche per difficoltà gestionali, l’esperimento finirà ma la camicia sarà presente nelle successive collezioni di Anto- nio Marras, il filo conduttore nel primo prêt-à-porter, col- lezione autunno-inverno 1999-2000, a Milano, dedicata alla poetessa Annemarie Schwarzenbach. L’emancipazio- ne femminile si tutelava all’inzio del Novecento sotto le spoglie dell’androginia. La camisa, uno dei pezzi “arcaici” del costume stesso,26 viene presentata da Marras in una serie realizzata in candido popelin, abbinato a morbidi tweed mescolati a sete indiane, velluti e preziosismi e morbidezze alternate a linee severe dai caratteri maschili; i colori severi vivono nel gioco dei rossi, segnali forti e decisi come i bordi delle cimose, in una mescolanza di tessuti pregiati (panno, velluto liscio o operato, broccato). Una citazione che ritroviamo negli abiti femminili regio- nali, per la festa, al fondo delle pesanti vesti pieghettate o nel doppio petto dei corsetti (imbustu, cosso). Altere composizioni minimali, decostruite, che narrano di un nomadismo urbano. Piccoli segni di un passato da op- porre al consumismo degli abiti griffati, per una moda democratica. Per il prêt-à-porter primavera-estate 2000 che sfila a Mila- no le cose cambiano, il pubblico è diverso, diventa im- portante il prodotto. La moda, frutto di necessità sociali e 417

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formali, non è più distinzione di classe. I vestiti si espri- 682 mono quali linguaggi in cui il sociale vive solo come ci- tazione. Non è il nuovo o il vecchio il motore di una di- bana contemporanea e il ricordo lontano di un paese versificazione ma è il desiderio che spinge a scegliere di ancora vivo nel suo orgoglio isolano. indossare gli abiti. E Marras narra di un parco all’inglese fiorito, creato nell’arida Sardegna da una esule. Un con- Il futuro da esplorare trasto di desideri, un bisogno di contaminazioni. Da Anversa, città antica del Nord Europa, arriva un altro A Marras sono permessi tutti i codici estetici, purché sia- aspetto della Sardegna.29 Questa volta è un nomade che no rispettati gli “estremi”. La moda s’inserisce nell’arte, ha scelto di vivere lontano dalla sua terra, sublimandola reinventando i ruoli, rendendola popolare. Per Eleonora, attraverso i contrasti e le provocazioni. Un giovane ta- judicessa d’Arborea, Marras disegna la collezione prima- lento che lavora intorno ai temi della ricerca in cui l’ori- vera-estate 2002. Sono abiti illustrati da acconciature in- gine antica è il riscatto per l’individualità. Angelo Figus credibili, create da “pezze vintage” come giacche arroto- (Cagliari, 1975) è figlio di una madre sarta; «tutte le late cosparse di metallo alla maniera di una preziosa donne della famiglia materna sono sarte», da loro ha filigrana, oppure bisacce di feltro con puntali e bottoni fi- appreso l’arte del cucire, mentre suo padre, figlio di un ligranati, immagini suggestive che ricordano i ritratti di pastore, scegliendo il mestiere del macellaio, gli ha tra- Biasi dedicati a Teresita e a Tetesedda. smesso, dice Figus con ironia, «l’amore per il taglio».30 Ogni singola parte dell’abbigliamento vive una sua iden- tità, architetture che s’incastrano con abile sapienza nel 682. Angelo Figus, Quore di cane, giugno 1999, gioco delle proporzioni in cui la bellezza corporea si fotografia di Étienne Tordoir. abbina all’abito razionalmente studiato: le lunghezze va- L’abito-involucro, memoria di ataviche stratificazioni culturali, riabili del gonnellino nero (ragas o carzones), indossato evidenzia la fragilità dell’essere umano che lo indossa. sopra i pantaloni, si prestano ad ogni trasformismo dei generi tra allegorie, citazioni e memorie. 683. Angelo Figus, Abracadabra (Su pilloni ’e ferru), collezione Anche il mantello vive il suo momento, presentandosi primavera-estate 2001, fotografia di Marleen Daniels. nella sua fattura semplice: due rettangoli cuciti fra di loro La stessa formula magica accomuna queste scarpe affusolate, che su due lati consecutivi, e sul petto lacci come fermagli: Figus immagina in grado di trasformarsi in “ali per i piedi”, e l’aereo Marras cerca di abbattere le barriere fra tradizione e con- (l’“uccello di metallo”). temporaneità, tra forma e materia, tra ruolo e personag- gio, tra scena e racconto in una visione atemporale. Le modelle delle sue performances non sono “qualsiasi” ma scelte, vestite, truccate con una professionalità da pièce teatrale. I capi risaltano su questi corpi gracili e dai volti severi che interpretano l’idea registica dello stilista. Un fenomeno glam con connotazioni biografiche. Importan- te è il luogo di svolgimento della storia, che va disegnato con elementi scenografici che definiscono la poetica del- la collezione. È ancora il trip, il leitmotiv della prima collezione uo- mo, primavera-estate 2003, a Firenze. Il personaggio è Costantino Nivola, artista noto e auto- revole che “emigrò” a New York e che soffrì come tutti gli isolani di “nostalgia”.27 L’invito alla sfilata era un faz- zoletto maschile che racchiudeva un pugno di terra sar- da e i versi finali di una bellissima poesia di Nivola: «Anch’io come te non ero nato per vedere il mare». Sfilano uomini che indossano abiti in velluto dai tagli sartoriali e con la berretta in testa, una tradizione nell’ab- bigliamento dell’uomo sardo ancora presente ad Orune con il sarto Giovanni Porcu, detto Papassedda, e ad Ora- ni con Paolo Modolo.28 Un passaggio epocale tra strapese e stracittà: sfilano in- sieme uomini che indossano il gabbanu e la mastruca accompagnati dai suoni duri dei mamuthones, maschere popolari con campanacci, ricoperti di pelli di pecora in contrasto con operai che vestono panni ruvidi e T-shirt colorate, scritte e slabbrate. Un’evocazione di realtà ur- 418

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Per Figus è stato fondamentale l’incontro stimolante le con cui è ricoperto il sofà e delle piume con cui è fat- con Linda Loppa, la direttrice del Dipartimento di Moda to l’interno dei cuscini: l’erotico, il materico, in una con- dell’Accademia Reale di Belle Arti ad Anversa, che con centrazione spirituale di purezza. Bisogno di spaziare tra grande sensibilità e competenza ha seguito i suoi studi. forme inusuali, versione di un tecnocorpo che cita corpi Alla fine del corso, Figus presenta il suo Graduate Col- in forme rinascimentali, apportando protesi visibili, son- letion (1999), dal titolo Quore di cane. Un lavoro di tuosità di larghi cannelli, di buioné, di pieghe e volute moda maschile ispirato al nonno pastore, un omaggio dettate da un’esigenza di travestimento, per il bisogno di alla sua terra d’origine attraverso il mantello-capuccio. storicizzazione dei racconti e dei luoghi con una precisa- Il suo stile asciutto interagisce con l’abito, il corpo e le zione senza senso, coinvolgendo in una performance forme che vi gravitano intorno. Lo spazio è elemento funzionale la moda che diviene opera d’arte. coagulante, materia forte ed arcaica, creata da lui con la Decisivo in questo è l’intreccio tra mobilità intellettuale manipolazione del materiale che sembra feltro o orba- e globalizzazione degli stili. Performance come seduta ce; la forma ricorda il gabbanu ma è più avvolgente, alchemica, rito e cerimonia terapeutica, fase preparato- ha il colore naturale del cuoio, ma è feltro. ria, intorno ad una figura centrale femminile tra danza Interpreta la Sardegna come la terra del futuro, madre cerimoniale e rituale. di forme pulite e primordiali che definisce “lecorbusie- Scansione ossessiva nell’attuale processo di omologazione riane”, forti come il nuraghe: stile essenziale tra archi- culturale, è l’arcaico e il primordiale che diventa e si tra- tettura e natura che gli suggerisce forme scarne, prive sforma in un racconto fatto d’incubi e di autodistruzione. di bellurie. Simbolo-totem di una cultura rupestre. L’ultima collezione autunno-inverno 2002-2003 è più Nascono allora forme simili ad architetture “razionali e or- moda, una ricerca ironica e surreale delle forme, che ganiche” allo stesso tempo, scolpite per un corpo nudo e presenta nei dettagli camicie, gonne, giacche, cappelli e con drappeggi complessi, volumi e vuoti per restituire al- scarpe; una voluta citazione alle stravaganze del Nove- l’individuo la sua primordiale natura priva di stagioni, cento, secolo della moda. In una summa di “fatto a ma- senza tendenze, fuori tempo e astorica, priva di feticci in no”, ogni pezzo è un total look nella ricerca del comuni- una sintesi scultorea nella quale il corpo diventa arte. care emozioni. Le vesti sono da indossare a strati in una Il tirocinio per la costruzione di questa collezione in fel- sorta di confidenziale rapporto con il corpo; il soprabito tro lavorato a mano, trattato con la cardatura e poi la fila- senza maniche è di pelle conciata, oppure è veste senza tura (tecniche per arrivare al “panno”), è l’operazione ul- maniche in pelli d’agnello o di pecora come quelli in tima di una manipolazione effettuata sul tessuto grezzo. uso tra i pastori; le scarpe, fatte a mano alla maniera dei L’abito-involucro ha il colore caldo della lana non tinta, calzolai sardi, hanno un verso solo, il tacco di cuoio e la materia scelta da Angelo Figus come segno, simbolo di tomaia battuta, con le stringhe, di colore naturale.31 calore, matrice e madre dal generoso grembo. Si privilegia la donna-icona, tra seduzione mondana e Egli sceglie il ruolo difficile di viaggiatore cosmico, ela- universo grandioso. bora l’esercizio delle acquisizioni di memorie per espri- Il teatro affascina Figus nel 2000: nascono i costumi per mere il disagio di un’epoca ipertecnologica che ha pro- Ugo Rondine a Gand, in Belgio, ad Amsterdam per Clau- curato solo disastri. de Vivier, in Rêves d’un Marco Polo, e per il Lohengrin Ha successo ed è invitato a Parigi per l’haute couture. di Wagner nel 2002. Ultimo appuntamento è l’allesti- Critico per gli eccessi d’informazione, dice che «bisogna mento concettuale per la mostra dal titolo Genovan- esserci nati con l’abito-involucro. Questo permette di versaeviceversa. comporre quel filo diretto tra fisicità corporea e mate- La moda per Angelo Figus è importante ma è solo una ria, per arrivare ad una finalità estetica. E il tutto nasce parte del suo iter creativo, il futuro è tutto da esplorare. specificamente per “un’esigenza di corporalità”». Indubbiamente, essere figlio della Sardegna è una realtà La prima collezione autunno-inverno 2000-2001 di prêt-à- da cui attingere. porter, presentata in marzo a Parigi, è un coinvolgimento totale “oltre il corpo”, una progettualità oltre la fisicità 683 multifunzionale, interfacciata con sistemi di riproduzione tecnologica estrema. Coraggioso, è intenzionato a con- frontarsi con mezzi evoluti della propria storia. Sfilano fanciulle accompagnate dalla voce di Maria Callas che canta “son giunta” nei panni di Eleonora ne La Forza del destino. Indossano abiti in lana, feltro e velluto, in una rivisitazione post-moderna. L’ispirazione è costituita dalle forme dei mobili di una casa vissuta da donne, ibridazio- ne tra contemporaneità e passato, il sofà come curva femminile, corpo come silhouette, per una dimensione nuova. Una dimostrazione simbiotica tra forme inanima- te e forme umane. La natura che si riappropria della pel- 419

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Note 1. G. Simmel 1985, p. 49. seppe imprimere un rinnovamento a quelle mente. Alcune sfumavano da tutti i grigi al ne- istanze regionalistiche, prima che la creatività ro, altre dal verde cupo al grigio-verde, altre 2. Seguono la scia di un artigianato artistico di isolana si trasformasse in “stile sardo”. ancora da tutti i toni del marrone. Ebbi, credo, grande valore, le ceramiche Déco di Federico la stessa sensazione della moglie di Lawrence Melis e i giocattoli di legno e stoffa dalle for- 10. G. Altea, M. Magnani 1989, scheda p. 181, durante il suo viaggio in Sardegna, nello sco- me cubiste della casa ATTE, di Tosino Anfossi fig. 41. vare in un magazzino una pezza di “bordau”. ed Eugenio Tavolara. Anche l’arte figurativa di- Finirono tutte nel mio “studio” di Castello. Di- mostrò gli stessi interessi, cercò nella propria 11. Nostro cortese informatore in questa oc- ventarono le prime gonne, sciarpe, stole di cultura d’origine spunti per esaltarne i conte- casione. ispirazione sarda. Cominciarono ad uscire in- nuti. In ambito sassarese furono alcuni pittori dossate dalle amiche e dalle prime sparute a raccontare la propria terra con magica poe- 12. M. Foschini 1957, p. 55. clienti. Fu poi la volta de “s’isciallu de ispu- sia, come Giuseppe Biasi e Mario Delitala. gna”, scialle di lana: nero, blu, marrone, che le 13. È da questa congiuntura che alcune signo- donne sarde indossavano e ancora portano tut- 3. Per Siglienti cfr. il volume monografico a re cagliaritane vestiranno in quegli anni abiti ti i giorni. Divenne una sorta di giacca-cardigan lui dedicato di G. Altea, M. Magnani 1989. Capucci, anche in particolari occasioni come che finiva con le frange di lana, ritorte, dello Nel 1922, l’anno in cui terminò gli studi all’Isti- quelle legate al matrimonio. È il caso dell’abito stesso scialle. Da allora ogni tessuto, passama- tuto Tecnico “La Marmora”, Nino Siglienti fu da sposa e di un altro da ricevimento non solo neria, bottone, ricamo ed altro è fonte di ispira- preso totalmente dalle “arti applicate” e visse disegnati ma anche “cuciti” (testimonianza di- zione per le mie creazioni alla “sardesca”. Sono con partecipazione attiva il clima artistico sas- retta della proprietaria), verso la fine degli an- state inoltre: “trame di luce”, “pieghe del pre- sarese. All’inizio lo troviamo coinvolto dai sog- ni Cinquanta, dal celebre sarto d’alta moda, sente”, “segni del tempo”. Hanno rappresentato getti isolani, s’interessò agli ornati, alle decora- unici superstiti di un più vasto guardaroba, in la Sardegna all’Expò di Siviglia, alla Galleria zioni in ceramica tra il rustico e il fiabesco; collezione privata cagliaritana; la stessa dalla Comunale d’Arte e Villa Satta di Cagliari, inse- grande amico di Eugenio Tavolara e Mario quale provengono due interessanti fotografie guendo l’idea di un “bello quotidiano”. Vanno Onofaro, formarono insieme un vivace trio, so- della sfilata 1951, ambientata nella Grotta Mar- in giro portate con orgoglio da ogni tipo di gnando d’imporre nel Continente “uno stile cello (fig. 669); l’immagine non pubblicata ri- donna; ringrazio le più coraggiose che le han- sardo” attraverso il filone popolare delle arti prende il solo Capucci a figura intera mentre, no spavaldamente indossate in tempi in cui decorative. Tavolara e Anfossi emergeranno tra gli applausi del pubblico cagliaritano, attra- non erano ancora di moda. Continuo ad affian- con i pupazzi, mentre Siglienti con la sua “bot- versa la passerella. care questa ricerca ad altre nello stesso settore, tega” milanese. Il soggiorno a Milano fu un certo che il connubio tra arte-cultura-moda e “periodo d’oro” per il giovane che si cimentò 14. P. Marica 1954. tradizione possa essere l’anello di congiunzione su vari fronti delle arti decorative non ultimo la tra la nostra isola ed il resto del mondo». moda. Apprezzamento confermato con la III 15. P. Marica 1954, p. 241. Biennale Internazionale delle Arti Decorative 20. La prima scuola sarda che dedica attenzio- di Monza alla quale furono invitati, dopo una 16. B. Giordani, Fausto Sarli, cinquant’anni ne all’insegnamento di materie inerenti la mo- severa selezione, solo due artisti sardi: Melkior- di stile italiano, Roma 2002. da è l’Istituto Europeo di Design a Cagliari, re Melis con opere in ceramica e Nino Siglienti che apre un Dipartimento di Moda; luogo fe- con la “bottega”. Per un approfondimento sul 17. Per un approfondimento dell’opera di Tavo- condo (oggi soppresso) a cui toccò il difficile clima artistico della Sardegna del primo Nove- lara, massimo designer sardo per l’artigianato, si ruolo del battistrada e che resistette, fino a che cento si veda, G. Altea, M. Magnani 1995. veda il volume di G. Altea, M. Magnani 1994. fu possibile, al “nulla” intorno. Tra i suoi inse- gnanti vi troviamo Luciano Bonino, docente di 4. Non a caso la nota ditta Carlo Piatti, nel 1925, 18. Per un approfondimento sulla figura di Gio- Storia del costume cinematografico. bandì un concorso nazionale per disegni di vanni Antonio Sulas cfr. G. Altea, M. Magnani “gusto moderno” destinati al tema dello scialle 2000, pp. 155, 165, figg. 160a-b. 21. C. Samugheo 1981. in seta (G.R. Fanelli 1986). 19. In uno scritto introduttivo a scopo didattico, 22. Antonio Marras nasce nel 1961 ad Alghero 5. G. Altea, M. Magnani 1989, p. 57. composto per descrivere il proprio lavoro e so- (SS), antica fortezza regia sul mare. Città, la prattutto gli esordi di esso, inserito nella mostra più catalana della Sardegna, che domina con 6. G.R. Fanelli 1986. del 2001 titolata Le pieghe del presente, da lui al- il suo golfo una parte del Mediterraneo pro- lestita nello spazio comunale del Lazzaretto di prio dirimpetto a Barcellona. È il centro nel 7. Archivio Siglienti, Grottaferrata, Roma. Cagliari, Luciano Bonino scrive: «Il colpo di ful- quale Marras ha scelto di vivere e lavorare. Da mine avvenne nei primissimi anni ’70. All’inter- qui ha mosso i primi passi verso la moda, da 8. G. Altea, M. Magnani 1989, p. 61, fig. 44. no di uno di quei grandi magazzini al centro di lui affrontati fin da piccolo tra le “pezze”, un Cagliari con dentro ogni tipo di merce. Là arri- commercio avviato dal padre Efisio (titolare 9. L’anno successivo, nel 1929, la Sardegna vi- vavano una volta alla settimana da tutti i paesi dell’omonimo negozio algherese) che ha in- de lo svolgimento di un importante evento: la della Sardegna con le macchine a nolo, le pro- dotto Antonio ad usarle in maniera creativa e Mostra dell’Artigianato. Questa fu un riepilogo prietarie degli “Empori”. Vestite ormai del loro quale mezzo espressivo per la comunicazio- di quella bella stagione del Déco di cui fecero “mezzo costume”, gonna a pieghe, camicetta o ne. Per un approfondimento sul lavoro di An- parte Nino Siglienti, i fratelli Melis, Tarquinio golfino e scialle di tutti i giorni. Rientravano ca- tonio Marras cfr. G. Altea, A. Borgogelli 2003. Sini, Tosino Anfossi, Eugenio Tavolara, Edina riche dei loro pacchi gialli legati con lo spago a Altara, Loris Riccio e le sorelle Coroneo, un riempire i loro: “al paradiso delle signore”. Era- “drappello” che animò un filone artistico che no là, allineate sugli alti scaffali di legno, delle grosse pezze di tessuto di lana plissettato fine- 420

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23. G. Altea, M. Magnani 1998, p. 19. ancora la mancanza: stampa specializzata, foto- grafi, documentaristi, grafici, editori, ecc., oltre 24. All’inizio del secolo, fino agli anni Cin- che del più agevole consenso da parte del lar- quanta, ci fu una vera e propria mobilitazione go pubblico. popolare che chiedeva di preservare, conser- vare e garantire una serie di esemplari d’abiti 30. Angelo Figus frequenta il Liceo Scientifico come testimonianza di un patrimonio tradizio- ad Oristano. Vuole fare l’architetto e decide nale di manufatti. Questo interesse, alimentato d’iscriversi al Politecnico di Milano, frequen- da un insieme di iniziative istituzionali e da tando (con poco entusiasmo) i corsi di Archi- studiosi, ha formato una coscienza e una co- tettura. Sfogliando i giornali conosce i “Sei noscenza del valore non solo delle fogge, ma d’Anversa” e stabilisce definitivamente di fre- anche della ricerca sull’uso delle materie, del- quentare, a partire dal 1996, il Dipartimento di le tinture, dei ricami, degli interventi e delle Moda presso l’Accademia Reale di Belle Arti. stratificazioni che il tempo ci ha tramandato. Scopre con gioia che in questa città di trecen- La posizione geografica dell’isola, il suo esse- tomila abitanti si può vivere e studiare con re circondata dal mare, se da un lato ha limi- poca spesa e con serenità. Si getta a capofitto tato o ha reso difficile i contatti, ha per altri in “quattro anni indimenticabili”. L’Accademia versi preservato integra la sua tradizione, che offre la possibilità di una sperimentazione co- abbraccia oltre al costume anche il folclore, stante e allargata. Si può lavorare in laborato- la lingua e le strutture socio-economiche. rio, oltre alla frequentazione delle lezioni teo- La scelta di tanti giovani stilisti di ispirarsi al- riche, e soprattutto si possono concretizzare le l’iconografia attinta ad una salda ed orgogliosa individuali elaborazioni in piena libertà, con il tradizione è la dimostrazione di come le forme supporto intelligente dei docenti. Qui Figus scelte nelle varie tipologie vestimentarie di di- completa la sua formazione mediante lo stu- verse classi sociali, di paesi differenti, abbiano dio delle materie di Arte, Figura dal Vero e in comune l’abito: immagine sobria ed austera Storia del Costume. per l’uomo, elegante e preziosa per la donna. L’iconografia legata in particolare allo studio 31. Le calzature tradizionali della Sardegna, di della forma nella tradizione del costume sardo difficile reperimento, sono ampiamente docu- rivela un’autonomia di linguaggi da sempre mentate, sia nella variante maschile che fem- sentita e sottolineata dai piccoli dettagli che minile, nella straordinaria raccolta di abiti tradi- permettono una sostanziale diversificazione. zionali sardi del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma. 25. Maria Lai è nata a Ulassai (NU) nel 1919; al- lieva di Arturo Martini, ha sviluppato dal 1958 a Roma la sua ricerca. Trasferitasi in Sardegna nel 1994 vive e lavora a Cardedu (NU). 26. P. Toschi 1963, p. 49, nota. 27. Costantino Nivola nasce a Orani (NU) nel 1911, luogo che oggi ospita un Museo e una Fondazione a suo nome. Muore a East Hamp- ton, Long Island, New York, nel 1988. 28. Sono queste, tra le tante sparse nei vari centri, le sartorie più conosciute anche perché vantano tra i loro clienti molti personaggi noti dello spettacolo, dello sport e del mondo poli- tico nazionale e internazionale. Questo aspetto rende evidente come, da una decina d’anni a questa parte, si possa realmente parlare di fe- nomeno circa il risveglio d’interesse verso l’abi- to in velluto (per questo argomento si rimanda al saggio di Bachisio Bandinu e a quello di Marco Vannini in questo volume), che esce dall’ambito agro-pastorale per divenire simbolo distintivo di eleganza (esito analogamente por- tato alla ribalta da Dolce & Gabbana per l’abito in velluto e coppola di matrice siciliana). 29. Nella Sardegna contemporanea, anche sulla scia di un riconoscimento e di una attenzione mai riscontrati prima per la moda sarda all’in- terno di quella italiana, si assiste ad appunta- menti oramai cadenzati e costanti: Monte Go- nare (Orani), Scalinata di Bonaria (Cagliari), Piazza Eleonora (Oristano), Moda Mare (Porto Cervo), sostenuti da figure molto attive, re- sponsabili di altrettanti atelier sartoriali, quali Paolo Modolo, Francesca Pilotto (nota per ave- re messo a punto un tessuto composto dal su- ghero, risorsa locale), le Sorelle Piredda, recen- temente presenti alle sfilate di prêt-à-porter di Milano. Questa indubbia vivacità regionale, ol- tre che tenere viva l’attenzione dei media sul settore, ha avviato la formazione e il consolida- mento di quella filiera della quale l’isola soffre 421

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Sul concetto “sistema di vestiario”. Due etnografie a confronto Marinella Carosso Il problema è insolubile finché non si sia definito Analizzare un “sistema vestiario” in Sardegna il sistema in base a criteri interni Perplessa sull’uso improprio che si fa del concetto “si- (Roland Barthes) stema vestiario” e visto che continua ad essere “inutiliz- zabile”, come direbbe Jeanne Favret-Saada, mi sembra opportuno proporre in questa occasione alcuni chiari- Nei miei percorsi di ricerca etnografica ho avuto modo menti su tale concetto a seguito delle riflessioni antro- di analizzare numerosi capi di vestiario ricamati, situati pologiche maturate attraverso le mie ricerche. in due contesti culturali diversi. In Italia, in ambito rura- Visto che in questo ultimo decennio si osserva una ten- le, ho colto, attraverso la configurazione dei valori fem- denza generalizzata ad usare il termine “analisi” come si- minili, il funzionamento di un sistema vestiario tradizio- nonimo generico di “studio”, devo precisare che sia nel nale. In Francia, in contesto urbano, ho identificato, caso sardo che in quello parigino si è trattato di una ve- attraverso il mestiere artigianale dei ricamatori, materia- ra e propria analisi: ho scomposto teoricamente oggetti li, tecniche, stili di abiti ricamati dell’alta moda. – in questo caso capi di vestiario – nei loro elementi es- Le due unità di ricerca sono situate una in Sardegna, a senziali e nei loro particolari al fine di coglierne le rela- Desulo, paese della provincia di Nuoro; l’altra a Parigi. zioni di abbinamento o di esclusione fra gli elementi Esse hanno in comune un fatto curioso, la superficie stessi o di identificarne materiali e tecniche. territoriale: i 7.472 ettari di Desulo sono quasi gli stessi In francese il termine vestimentaire è abbastanza recen- della città di Parigi intra muros. te e si usa infatti soltanto dalla fine del XIX secolo, non In entrambi i casi i capi di vestiario analizzati sono fem- lo traduco quindi letteralmente con il neologismo “vesti- minili e, in entrambi i casi, le fonti orali, visive, materia- mentario”. La traduzione in italiano del concetto système li sono state raccolte a viva voce attraverso la ricerca et- vestimentaire utilizzato nelle pubblicazioni in francese è nografica sul campo. Tuttavia, ciò che differenzia le “sistema vestiario”. Inoltre il termine italiano “vestiario” due ricerche è l’impostazione teorica che le sottintende. si rivela particolarmente adeguato in quanto ingloba nel In Sardegna le fonti orali hanno fatto emergere delle suo campo semantico sia il “costume” inteso come fatto preoccupazioni di definizione di ciò che è un sistema sociale normativo che l’“abbigliamento” inteso come fat- di vestiario ad un dato momento. Mentre a Parigi, fin to individuale. dall’inizio della ricerca, si è imposta una problematica Detto ciò riprendo il filo conduttore del concetto “siste- focalizzata sulla nozione di stile proprio ad ogni “mae- ma vestiario”. Come sottolinea Barthes, gli studi consa- stro-ricamatore”. Ne consegue che le diverse imposta- crati al costume, siano essi storici o psicologici, non zioni teoriche si iscrivono, per quanto concerne l’analisi hanno mai veramente considerato il vestiario come un del sistema di vestiario sardo, nell’ambito dell’Antropo- “sistema”, cioè «come una struttura i cui elementi non logia dell’Arte, mentre lo studio del mestiere di ricama- hanno mai un valore proprio, ma sono significanti solo tore parigino in quello della Tecnologia Culturale. in quanto legati da un complesso di norme collettive».2 Tenendo conto che una vera e propria Antropologia del Anche se Barthes non fa riferimento all’Antropologia, la Vestiario o delle Arti del Corpo ha difficoltà ad emergere sua definizione risulta molto appropriata in ambito et- – mentre la Storia del Tessile si sta sempre più affer- nografico. Ci si può chiedere come mai una proposta di mando –, propongo di esaminare in questo saggio alcu- metodo così chiara non abbia trovato utilizzazioni ade- ni nodi teorici relativi a tali difficoltà, in modo particola- guate. Come si possono spiegare le difficoltà a servirsi re il concetto “sistema vestiario”.1 della definizione teorica proposta da Barthes? Si può riaffermare nel 2003 ciò che Barthes sosteneva già cinquanta anni fa: «Nessuna storia del costume si è preoc- 684. Abito femminile festivo, Desulo, prima metà sec. XX cupata di definire quel che potrebbe essere a un dato 684 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. momento un sistema di vestiario». Per definire un sistema 423

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vestiario – la stessa cosa si può dire anche per il concet- Queste quattro personalità non sono da interpretare co- to più generale di sistema di oggetti etnografici – non è me permanenti, ma flessibili. La possibilità di portare al sufficiente individuare gli elementi materiali che lo diritto o al rovescio certi capi oppure certi tessuti, certi compongono ma è indispensabile cogliere i nessi nor- ornamenti, permettono ad ogni donna di comporre e di mativi immateriali che ne regolano il funzionamento. sfumare la sua personalità tramite i capi di vestiario che Sono questi ultimi che permettono di elaborare i com- indossa. Anche se il registro di base è fondato sulla plessi significativi del sistema e di collegarli alla configu- “buona padrona di casa”, il sistema offre la possibilità di razione dei valori che Barthes indica come “ordine as- oscillare – ad esempio – fra una “buona padrona piutto- siologico”. sto seria” oppure una “buona padrona di casa felice”. Fra le principali difficoltà inerenti a questo insieme di Questa possibilità di oscillazione è indispensabile sia per operazioni teoriche, la confusione creata dalla diacronia l’interpretazione d’insieme del sistema e sia per la lettura e, in conseguenza, la necessità di distinguere il piano dei ricami che a loro volta offrono la possibilità di co- sincronico da quello diacronico è stata, nel mio proces- gliere la nozione di sfumature. Se in un primo tempo il so di elaborazione teorica, determinante. Senza questa sistema può sembrare rigido, man mano che si penetra precauzione di metodo non sarebbe stato possibile arri- al suo interno ci si rende conto che ha un certa elasticità. vare ai risultati ottenuti. Inoltre l’interpretazione dei ricami fa emergere dei “fatti Tenendo conto che gli antropologi dell’area europea indiziali” di sensibilità che sfuggono al sistema.4 vanno abbastanza facilmente dal sincronico al diacronico L’interpretazione delle quattro personalità ideali femmi- ci si può chiedere: come sono arrivata a formulare chia- nili che modellano il funzionamento del sistema di ve- ramente questa distinzione – che ha in seguito totalmen- stiario tradizionale di Desulo è collegata all’aspetto più te modificato il mio rapporto con il passato anche per gli saliente del sistema stesso: la possibilità di portare un altri argomenti studiati3 – e ad applicarla alle ricerche sul certo numero di capi al diritto o al rovescio. vestiario tradizionale locale in Sardegna? Riflettei sul rap- Il sistema si costruisce e si definisce attraverso: porto fra l’Antropologia e la Storia e sulla distinzione fra a) i capi di vestiario che ne sono alla base; i metodi di lavoro della Storia delle Tradizioni Popolari e b) gli insiemi o unità d’uso; quelli dell’Antropologia Sociale, in seguito ad una pre- c) la loro tipologia; ziosa critica rivolta da Isac Chiva al mio progetto di Dot- d) la reversibilità di certi capi; torato. Isac Chiva mi rimproverò di “flirtare” con gli sto- e) le unità di significato; rici e mi invitò a non integrare in modo acritico le fonti f) i modi di abbinare capi al diritto con capi al rovescio; di archivio in un testo etnografico; mi sfidò per vedere g) le personalità ideali femminili che reggono l’ordine se, in area europea, avrei trovato un argomento adatto assiologico interno. ad essere studiato in modo sincronico, attraverso le sole Come dicevo è stata l’interpretazione dei ricami a per- fonti orali, visive, materiali, raccolte sul campo secondo mettere di cogliere le sfumature del sistema. I ricami co- il metodo classico che caratterizza l’impostazione resa stituiscono più sottosistemi, o sistemi parziali, del siste- prestigiosa da Malinowski. Sul momento ritenni queste ma principale. I motivi dei ricami sono una ventina: con osservazioni un po’ troppo dure… ma accettai. Fra i te- un solo punto si formano più motivi. I colori del cor- mi di ricerca che ho avuto modo di approfondire nel- doncino di seta o di cotone (perlé o mouliné ) utilizzato l’ambito degli studi in Sardegna, quello del vestiario si è per ricamare sono a numero chiuso: sette. Il punto di ri- rivelato il più adeguato a mettere in pratica le critiche e camo dominante è un punto pieno la cui esecuzione fa le sfide di Isac Chiva. sí che l’ago trapassi interamente il tessuto e in conse- guenza il motivo è visibile sia al diritto che al rovescio. Definire il sistema vestiario tradizionale femminile Nel loro insieme e a prescindere da un certo numero di di Desulo fattori su cui non entrerò in merito, i ricami si suddivi- È stato lo studio dei valori femminili locali a permetter- dono in obbligatori e facoltativi. Detto ciò, non si deve mi, attraverso un processo di reificazione, nell’accezione pensare che il sistema vestimentario sardo, di cui ho data da Francesco Remotti, di entrare, progressivamente, enucleato i tratti essenziali che lo costituiscono e lo fanno nel complesso funzionamento del sistema del vestiario funzionare, sia un corpo coerente di significati che aspet- tradizionale e a isolare gli elementi che mi hanno con- tavano soltanto di essere scoperti. Fra le principali diffi- sentito di definirlo. I valori femminili, riconosciuti sia coltà: molta opacità nella percezione del funzionamento dalle donne che indossano regolarmente il vestito tradi- implicito del sistema da parte degli attori sociali; la diffici- zionale (una minoranza), sia dalle altre che lo indossano le connessione tra le diverse fonti; il groviglio e la com- parzialmente o saltuariamente e sia dagli uomini, si mo- plessità cognitiva delle unità di significato. dellano su quattro personalità ideali la cui traduzione Il sistema vestiario tradizionale femminile di Desulo, letterale in italiano è da considerarsi, per ora, provviso- scomposto secondo l’insieme di procedure teoriche par- ria: la donna seria (“seria”); la donna massaya (“buona zialmente esaminate in questa sede, ha permesso più padrona di casa”); la donna briosa (“felice”); la donna possibilità di interpretazione in funzione dei livelli di macca tutta (“pazzerella”). descrizione adottati. Approfondire i livelli descrittivi ha 424

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fatto emergere sottosistemi del sistema principale. Ad 685 esempio, l’interpretazione dei ricami a nido d’ape bian- co su bianco della camicia è molto sottile e richiede no “la buona padrona di casa in armonia con se stessa e precise competenze tecniche. È soltanto a qualche me- felice”. tro di distanza che si può fare una lettura dei ricami dei polsini. I ricami bianco su bianco permettono un’espres- Identificare dei materiali da ricamo a Parigi sione creativa personalizzata, un modo delicato e ap- A Parigi ciò che caratterizza il sapere di un “maestro-ri- prezzato di comunicare fra donne. Ogni donna può mo- camatore” è il suo stile inteso come risultato di esecu- dulare la sua felicità o la sua serietà attraverso i motivi a zione che consente di individuarne, anche in sua assen- punti contati del nido d’ape: za, la composizione e l’impronta creativa. L’oggetto di a) motivi corti e aperti: dai 3 ai 60 fili che traducono la vestiario ricamato prodotto in un dato atelier artigianale donna “seria”; si valuta, in primo luogo, su criteri come: i materiali con b) motivi larghi e chiusi: dai 60 agli 81 fili che traduco- 685. Desulo, 1955, fotografia di Mario De Biasi. 425

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686 damento, la biancheria per la casa o quella intima, il problema del numero dei materiali è molto più limitato, cui è stato ricamato, le sfumature dei colori, la perfezio- trattandosi principalmente di fili. Mentre per il ricamo ne del disegno. L’esecuzione tecnica manuale non è fra i couture, tanto per fare un esempio concreto, una ditta primi criteri. Tale gerarchia interna dei saperi del mestie- francese che produce paillettes di qualità propone un re mi ha condotta a identificare i numerosissimi materiali catalogo di duemila forme che a loro volta si possono ri- usati nei laboratori di ricamo artigianale couture, che la- chiedere in cinquecento tinte differenti. Oltre a queste vorano esclusivamente per l’alta moda dei sarti e il prêt- cinquecento tinte, la ditta accetta di fare delle gamme à-porter degli stilisti. Al fine di evitare che il termine particolari di colori soltanto per gli atelier che sono fra i “identificare” passi inosservato, mi pare utile sottolinea- suoi migliori clienti e con cui ha affinità di stile. re che su un campione di ricamo del 1989, collezione Il ricamo couture è il regno delle sfumature dei colori. estate, richiesto dal sarto Lacroix al “maestro-ricamato- Come dicevo le sfumature ottenute svolgono un ruolo re” Lesage, di una dimensione di cm 39 di altezza e cm importante nella definizione dei saperi del mestiere e 43 di larghezza, ho identificato ventidue materiali rica- nella percezione dello stile che caratterizza ogni atelier. mati a mano (a ago o a uncinetto da ricamo) su quattro La ricchezza delle possibilità di sfumature (nuances, dé- supporti di tessuti diversi a loro volta già ricamati a gradés), di “effetti monocromatici chiaro/scuri tono su to- macchina. no” (camaïeu) che materiali come paillettes, pietre non In effetti fra le principali difficoltà con cui mi sono con- sfaccettate (cabochons), strass, perle, fili metallici, cor- frontata nel corso delle ricerche a Parigi ci sono state l’i- doncini offrono è enorme. Esistono delle sottili differen- dentificazione, la classificazione, la distinzione fra “gam- ze di effetto cromatico fra pietre perforate che si cuciono mes” e “fantaisie” di centinaia e centinaia di materiali direttamente sul supporto (pierres à coudre) e pietre in- utilizzati per il ricamo couture. Preciso che per gli altri castonate (bijoux). A queste innumerevoli sfumature di settori professionali del ricamo, come ad esempio l’arre- colori si aggiungono gli effetti luminosi delle molteplici forme di sfaccettatura degli strass, gli accostamenti opa- 686. Réné Bégué detto Rébé, “maestro-ricamatore” parigino, chi o brillanti degli “ori”, che possono essere “veri”, “fan- nel suo atelier con una ouvrière, “operaia”, al telaio da ricamo. tasia”, “soffiati”, “ritorti”, e altri effetti speciali. Ad esem- Parigi, marzo 1961. pio, su un ricamo per un vestito di Chanel, collezione Parigi, Bibliothèque Nationale de France, Cabinet des Estampes. estate 1986, le sfumature delle paillettes sono state ritoc- Nell’ambito professionale dei mestieri del ricamo artigianale, il genere cate a ricamo ultimato con un verniciatore a spruzzo usa- femminile “ricamatrice” non è utilizzato per definire l’esecuzione del to da certi pittori contemporanei e dai carrozzieri. lavoro manuale. Questa padronanza delle sfumature costituisce uno degli aspetti fondamentali dei saperi del “maestro-ricamatore”. Il quale è anche un ricercatore attento a scoprire mate- riali nuovi che possono essere di produzione artigianale, industriale o di recupero. Per questi ultimi deve frequen- tare regolarmente i mercati delle pulci, le vendite all’asta di abiti vecchi, oppure cercare di procurarsi i materiali dai suoi colleghi. Esiste una circolazione di vecchie scor- te di materiali di atelier di ricamatori che sono andati in pensione o hanno dichiarato fallimento. Fino agli anni Cinquanta c’è stata nello Jura una produzione francese di strass di qualità. Attualmente la provenienza dei materiali fa sí che il mestiere di ricamatore sia situato al crocevia di più culture; essa segue principalmente l’asse Parigi, Lione, Milano, Tirolo, Boemia, Germania per quanto ri- guarda l’Europa. Negli anni Novanta un ricamatore ha scoperto delle decalcomanie dorate prodotte negli Stati Uniti e delle boules in vero oro prodotte in Giappone che hanno suscitato l’interesse di altri suoi colleghi, con- tribuito a mettere in discussione il segreto professionale e sottratto il lavoro al doratore parigino a cui normal- mente si ricorreva per ritoccare le sfumature dorate. Sempre in merito ai materiali, allargando le ricerche sul campo a Lione presso i produttori di cordoncino metal- lizzato dorato (Lione si caratterizza per gli “ori”’), ho avu- to modo di constatare che i ricami di numerosi vestiti tradizionali dell’Asia e dell’Estremo Oriente sono eseguiti 426

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con cordoncino lionese. In tale ambito, l’impostazione Alcune ipotesi conclusive della tecnologia culturale consente di seguire trasmissio- Sarebbe creativo se chi studia il vestiario, ad esempio in ni di saperi fra le culture. Ma sono state le perle e le per- Trentino, si interessasse anche a quello della Sardegna, line storicamente prodotte a Venezia e in questi ultimi se chi lo studia in Africa lo confrontasse anche a quello secoli in area alpina, dal Jura alla Boemia passando per dell’Asia in modo da creare situazioni di ricerca dialogica il Tirolo, a permettermi di constatare come i materiali da fra culture attraverso le arti del corpo. Sarebbe euristico ricamo prodotti in Europa siano stati oggetto di scambio se chi svolge ricerche su fonti d’archivio, iconografiche, privilegiato con le civilizzazioni degli altri continenti. In su collezioni di tessili, accessori, ornamenti di epoche di- effetti le stesse perle che ho identificato su abiti da sera verse, le comparasse con i risultati delle ricerche sul dell’alta moda parigina o italiana si ritrovano utilizzate campo; ciò consentirebbe di sbanalizzare stereotipi come per ricami o collane delle popolazioni della Nuova Gui- “costume popolare”, “costume tradizionale”, e offrirebbe nea o dell’Amazzonia.5 nuovi spunti per immaginare in altri termini i corpi ve- stiti e calzati di donne e uomini del passato. Attraverso Confronto fra i due contesti etnografici: tali ottiche si creerebbero le condizioni di un aggiorna- Desulo e Parigi mento epistemologico che dimostrerà come certi studi Mentre in Sardegna i livelli di interpretazione si sono via sul vestiario condotti in area europea costituiscano dei via approfonditi – quasi incapsulati – sempre più all’in- contributi inevitabili per l’antropologia contemporanea. terno della configurazione dei valori, a Parigi le piste di ricerca si sono dilatate conducendomi non soltanto in Note altre regioni francesi ma anche di là dell’area europea. In effetti i capi del vestiario Made in France disegnati a 1. L’autrice ringrazia le donne di Desulo, soprattutto Sebastiana Gioi, Parigi, ricamati parzialmente in India con materiali pro- Francesca Pranteddu e Tomasa Zanda; i “maestri-ricamatori” di Parigi, venienti dall’Europa, si inseriscono nei meandri della fra cui François Lesage e Annie Trussart, e il personale dei loro atelier globalizzazione. Per i ricamatori artigianali parigini non che sono stati i suoi interlocutori nell’ambito delle ricerche sul campo. si può parlare di “sistema” ma di altri concetti come “re- Un ringraziamento particolare a Giuliana Sellan e a Vanessa Maher del- ti”, “stili”, “trasmissioni”. A Parigi il sistema, anche se ci l’Università di Verona che hanno incoraggiato le ricerche sull’antropo- fosse, sfuggirebbe alla definizione. Nello studio del ve- logia del vestiario e dei mestieri della moda, favorito la realizzazione di stiario non tutto fa sistema. questo saggio di sintesi comparativa e ne hanno permesso la ristampa. A Desulo, i valori che fanno funzionare il sistema di ve- 2. R. Barthes 1974, pp. 136-152. stiario attestano il potere creativo della società su se 3. M. Carosso, “La généalogie muette”, in Annales ESC, 4, 1991, pp. 761- stessa. 769. A Parigi, l’assenza dei valori fa sí che il sistema non esi- 4. R. Barthes 1974, pp. 136-152. sta. Gli oggetti di vestiario ricamati hanno soltanto un 5. C. Lévi-Strauss, Tristes Tropiques, Paris 1995; Ph. Descola, Les lances valore economico proprio, sfuggono alle norme collet- du crépuscules. Relations Jivaros, Haute-Hamazonie, Paris 1993. tive e passano attraverso mani anonime che non comu- nicano direttamente fra loro. Il concetto di “sistema vestiario” non si dovrebbe utiliz- zare in modo confuso e ambiguo senza porre in luce i processi di costruzione e le dinamiche che lo sottinten- dono. Le due ricerche dimostrano che non tutte le fonti consentono di definire un sistema. Ciò che accomuna le due ricerche è la nozione di sfuma- tura. Nel caso sardo le sfumature hanno permesso di far respirare il sistema e di inserirlo nella sfera delle emozio- ni. Nel caso parigino le sfumature costituiscono un crite- rio importante per la definizione del sapere e per carat- terizzare lo stile di un “maestro-ricamatore”. Visto che per quanto riguarda le analisi del vestiario tradi- zionale femminile di Desulo le ricerche si sono ristrette nell’ambito del Musée de l’Homme (Département Techno- logie Comparée e Département Europe) e per quanto ri- guarda lo studio del mestiere artigianale di ricamatore a Parigi al Musée des Arts et Traditions Populaires (sono stata uno dei curatori della mostra Artisans de l’Élégan- ce), trovo che la nozione di sfumature di un sistema ve- stiario o degli stili di un mestiere potrebbe essere utile a ripensare la museografia. 427

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Roma 1911. L’avvio di una raccolta museale nazionale Stefania Massari La collezione di abiti sardi conservati nel Museo Nazio- milioni stanziati, saranno ad ogni modo sufficienti a nale delle Arti e Tradizioni Popolari si costituisce tra il contenere anche quelle poche collezioni che sarà pos- 1906 e il 1911 nell’ambito della Esposizione Internazio- sibile mettere insieme».3 Per comprendere la particola- nale tenutasi a Roma nel 1911 grazie al lavoro svolto rità della raccolta, bisogna ricordare che gli abiti espo- dall’etnografo Lamberto Loria (1855-1913) che, con l’aiu- sti nella Mostra Etnografica rappresentano quanto di to economico del conte Giovannangelo Bastogi (1850- meglio era stato prodotto in Italia. Con l’occasione erano 1915), aveva fondato a Firenze il Museo di Etnografia stati infatti raccolti, sul territorio nazionale, circa cinque- Italiana, inaugurato in data 20 settembre 1906. L’Istituto cento costumi regionali oltre a centocinquanta maschere da poco fondato si era arricchito presto di notevoli colle- «la parte più preziosa dell’intera collezione … di massi- zioni, tanto che quando si penserà di preparare a Roma mo pregio sia per il suo valore pecuniario che scientifico la Mostra di Etnografia italiana per celebrare il Cin- … basti osservare che gli usi e i costumi propri delle va- quantenario dell’Unità d’Italia, il Comitato Esecutivo si ri- rie regioni italiane vanno uguagliandosi ogni giorno di volgerà proprio alla Direzione del Museo per l’organiz- più: sempre più rari diventano quindi gli oggetti e gli in- zazione. Al Loria viene infatti affidato l’incarico di dumenti caratteristici, e il loro valore aumenta di conse- raccogliere il materiale scientifico per l’esposizione e con guenza con singolare rapidità».4 La raccolta si inserisce l’occasione viene stabilito un accordo tra l’etnologo e il dunque in quella corrente di studi di etnografia italiana Presidente del Comitato per il quale le collezioni già esi- che dedica particolare attenzione all’abito per le sue ca- stenti nel Museo fiorentino avrebbero costituito il nucleo ratteristiche identitarie, ritenute essenziali per compren- principale dell’esposizione romana, assieme agli oggetti dere gli usi della nazione. Infatti nel catalogo compilato che il Comitato avesse acquistato o fossero stati offerti, nel 1906 dal Loria e da Aldobrandino Mochi (1874-1931), per l’occasione, da privati. Tale collezione sarebbe stata relativo al Museo fiorentino, il vestiario e gli ornamenti, donata, dopo il 1911, allo Stato, insieme alla raccolta di gli abiti originali di uso quotidiano, festivo, cerimoniale, proprietà Loria, a patto che il Governo, accettando il do- integri nelle stoffe e negli ornamenti come collane, brac- no, avesse costituito un Museo Nazionale di Etnografia, cialetti, anelli, spilloni, monili ecc., costituiscono un ap- come si legge nel documento d’archivio del 17 luglio posito paragrafo.5 1911 risalente all’epoca in cui il materiale era ancora si- Per la Mostra Etnografica, di fatto, il Loria aveva raccolto tuato nel Palazzo delle Scuole in Piazza d’Armi, sede sul campo, grazie al suo lavoro e a quello svolto dai suoi dell’esposizione, dove, inizialmente, si prevedeva di col- collaboratori, centinaia di abiti tradizionali che verranno locare il costituendo Museo.1 esposti nel Palazzo delle Scuole e nel Palazzo delle Ma- Secondo il progetto che l’architetto Cesare Bazzani2 ave- schere e dei Costumi (già Palazzo dei Cimeli) in Piazza va preparato per tale edificio il costo complessivo del- d’Armi, oggi quartiere Prati.6 l’operazione ammontava a circa due milioni di lire, ed Come viene indicato dallo stesso Loria nel suo fonda- era comprensivo di eventuali ampliamenti in considera- mentale articolo, apparso sul primo numero di Lares,7 zione del fatto che «l’Istituto, per la sua stessa natura, per la raccolta di oggetti legati a usi e costumi della Sar- potrà avere una notevole espansione solo durante alcu- degna l’etnologo si era avvalso in particolare dell’aiuto di ni decenni: poi l’opera livellatrice della civiltà e il conse- Domenico Lovisato, dell’allora Ministro di Agricoltura, In- guente sparire dei costumi propri delle varie regioni, dustria e Commercio Cocco Ortu, di Raffele Meloni, del renderanno sempre più difficili e rari gli acquisti del prof. Pietro d’Achiardi e del prof. Dino Provenzal. Tutta- nuovo materiale scientifico e i locali costruiti coi due via la maggior parte della collezione sarda esposta nel 1911 si deve a Gavino Clemente, che acquisisce a Sassari 687. Corpetto festivo numerosi costumi della sua provincia, oltre a un’interes- Atzara, primo decennio sec. XX santissima collezione di merletti e stoffe relativi agli abiti 687 Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. tradizionali di Iglesias, Dorgali, Fonni, Bitti, Oliena, Sarule, 429

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688 Gavoi, Orani, Sennori, Mamoiada, Orgosolo, Osilo, Ollo- le vere e antiche cinture paesane, dette “carrighera”, pa- lai e Nuoro. Diversamente Luigi Caocci di Aritzo si ado- rola che deve corrispondere all’italiano “cartucciera” pera, tra il 1908 e il 1909, per la raccolta di costumi, oltre perché, sebbene allora non usassero le attuali cartucce, che della sua città, di Desulo e di Tonara; da Antonio pure in quella venivano riposte, entro piccoli cilindri di Costa provengono invece gli abiti di Sorgono, di Atzara, latta, le quantità di polvere occorrenti carica per carica, di Samugheo e di Busachi, acquisiti nel 1909-10, anno e da ciò la parola “carrighera” da “corrige” che vuol dire in cui si data l’acquisizione fatta da Giovanni Mura Agus carica. Volendosi usare i cinti tutte e due, contempora- relativa ai costumi di Meana. Si tratta nel complesso di neamente ai nuovi i vecchi cinti, si potrebbero applica- una fantasmagoria di costumi dai colori incredibili, dai re quegli agli abiti da festa e questi all’abito da lavoro».8 bordi ricamati, dagli accostamenti arditi, la cui caratteri- Come è noto a conclusione della Mostra Etnografica tut- stica principale è la decorazione “arcaica” che delinea le to il materiale verrà imballato e chiuso in casse deposi- cuciture appiattite e rinforzate per sostenere la trama tate prima negli scantinati di Palazzo Bazan a Valle Giu- pesante dell’orbace che negli abiti femminili segnano lia e poi trasferite nel sottosuolo di Villa Mills al Palatino l’attaccatura dei nastri o dei velluti e delimitano le orla- e quindi a Tivoli dove vi rimarranno per decenni nono- ture delle tasche o gli spacchi. Diversamente i costumi stante venga costituito ufficialmente il Regio Museo di maschili, da quelli di Silanus, Bortigali a quelli del Cam- Etnografia italiana con Regio Decreto n. 2111 del 10 set- pidano, presentano nel complesso colori più scuri e so- tembre 1923 (art. 1).9 no per lo più costituiti da calzoncini stretti, sempre in L’art. 1 del Decreto stabilisce infatti che tutto il materiale orbace, con un corpetto di velluto aderentissimo, chiuso raccolto per la Mostra Etnografica che era stato imballa- da bottoncini, e una giacchetta corta. to nel 1912, doveva essere trasferito nei locali di Villa Molti sono gli abiti originali ma troviamo anche fantasio- d’Este mentre all’art. 2 viene precisato che il museo «sarà se ricostruzioni come documenta la lettera di Mura Agus formato dalla raccolta etnografica che lo Stato possiede al Loria del 27 dicembre del 1910 in cui, in aggiunta agli e dagli oggetti provenienti da doni, da acquisti o da de- abiti già inviati, scrive: «Ho creduto necessario, oltre a positi, e che possono, per qualsiasi modo, illustrare la cinti di uso moderno e di impostazione nuorese, inviarle storia, i costumi e le arti della nazione italiana». Si tratta, 430

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nel caso dei costumi, di una collezione importantissima in corteo, al suono della musica, dalla villa fino alla fon- che comprende abiti all’epoca già introvabili o andati in tana dell’Ovato per disporsi a semicerchio lungo tutta la disuso, che resteranno per decenni piegati nelle casse di balconata in occasione della loro “prima” presentazione legno le quali avranno tuttavia il vantaggio di preserva- al pubblico al ritmo della Canzone di maggio in risposta re, fino ad oggi, quasi intatto lo stato di conservazione a quella esigenza di un ritorno alla tradizione avvertita dei tessuti, siano essi di origine vegetale o animale. Villa persino dalla Principessa di Piemonte che, nell’estate del d’Este è stata dunque un rifugio “di fortuna”, provvisorio 1933, si era fatta fotografare con indosso costumi regio- ma provvidenziale, per la raccolta la cui destinazione fi- nali italiani. Nella villa estense la Sardegna è il secondo nale non poteva essere, come proposto, la villa dei fasti dei cinque gruppi di costumi e segue il Piemonte scelto rinascimentali del Cardinale Ippolito d’Este (1509-1572), per primo in relazione alle feste del Centenario svoltesi certo non adatta ad esporre il lascito del Loria.10 nel 1948 nella Regione, sede ufficiale delle celebrazioni, Di fatto, come si legge negli Atti del III Congresso Na- come designato dal Capo dello Stato. Ragioni storiche e zionale di Arti e Tradizioni popolari del 1934, pubblicati ideali ricollegano dunque il Piemonte alla Sardegna che nel 1936, la sezione di Antropologia nella XXI Riunione per «varietà, originalità e bellezza delle sue fogge» rico- della Società Italiana per il Progresso delle Scienze, par- pre uno dei primi posti «non solo fra le regioni d’Italia, tendo dalla considerazione che in quasi tutti i paesi “ci- ma anche a confronto dei costumi popolari di tutta Euro- vili” esistano musei dedicati all’“antropologia nazionale”, pa. La fedeltà agli antichi usi, propria dell’isola generosa, si era espressa a favore del trasferimento a Roma del ha fatto sì che alcuni elementi del vestire sardo siano Regio Museo di Etnografia, proponendo una sede degna conservati attraverso non solo i secoli ma i millenni, am- e consona all’importanza dell’istituzione che veniva vista mirabile sopravvivere di quella che fu la grande civiltà come un centro di ricerca e laboratorio di studi di etno- mediterranea. Così nel costume maschile, la mastruca o grafia. Tuttavia, nonostante l’ordine del giorno venisse beste ’e pedde, pellicciotto senza maniche rivoltabile a se- presentato dal Direttore dell’Istituto di Antropologia del- conda delle stagioni, è già ricordata negli antichi classici, l’Università di Roma, Sergio Sergi (1878-1972), in accordo e le ragas, specie di sottanella bianca, che ricorda le fu- con Raffaele Corso (1883-1965) e fosse approvato all’u- stanelle balcaniche e i kilts scozzesi, perpetuano la fog- nanimità dall’assemblea plenaria, la collezione conti- gia della balza sottostante alla lorica dei legionari roma- nuerà a giacere ancora per molti anni nelle casse tanto ni. Nel costume femminile invece, è dato riscontrare il che Giuseppe Ceccarelli (1889-1959), nella sua relazione ricordo di elementi orientali e medioevali, o spagnoli. del 2 febbraio del 1945, lamenta che la sezione più inte- ressante del Museo, «quella che costituisce forse il suo principale centro d’attrattiva dei costumi delle varie re- gioni d’Italia» – circa 1000 esemplari –, continui a permanere nei depositi di Villa d’Este dove nel 1948, si terrà la Maggiolata del Costume popolare italiano. Festa in costume dove saranno presentati gli abiti tradizionali delle varie re- gioni che scenderanno 688. Grembiule festivo e di gala Nuoro, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 689. Giubbetto festivo Ploaghe, primo decennio sec. XX Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. 431 689

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Specialmente a questi ultimi si deve 690 l’intensità cromatica, la ricchezza e la fastosità che rendono famosi i 690. Corpetto festivo costumi delle donne di Sardegna, Sorgono, primo decennio sec. XX e ne fanno risaltare la naturale Roma, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari. bellezza. Grande varietà di fog- ge presenta anche il coprica- po, sia con panni da testa o veli ricamati coi quali le donne usano coprire la bocca qualche volta fin sopra al naso: caratte- ristica, specialmente nelle bimbe, la cuf- fietta, che riprende nei diversi colori, i motivi cromatici del vestito o ne costituisce un indovinato comple- mento».11 Già l’anno pri- ma vi erano stati segnali di interesse su questa impor- tante collezione, prodotto di un artigianato specializza- to o di un’attività domestica, in occasione della Mostra di Stampe popolari e iconografia del costume organizzata nel 1947 da Paolo Toschi (1893- 1974), in collaborazione con la Società di Etnografia Italiana, a Palazzo Venezia a Roma con il materiale della Raccolta Loria a cui farà seguito la sezione dedi- cata all’arte popolare nella mostra su L’Arte nella vita del Mezzogior- no d’Italia tenutasi nella sede ro- mana dal marzo al maggio 1953. Bisogna inoltre ricordare che già nel gennaio del 1938 il Ministro dell’Educazione Nazionale, Giusep- pe Bottai (1895-1959), aveva nomi- nato un Comitato direttivo del Re- gio Museo di Etnografia italiana presieduto dal Ceccarelli e compo- sto dal Toschi e da Guglielmo De Angelis d’Ossat (1907-1992) con l’incarico di sistemare la raccolta Loria in occasione della prevista Esposizione Universale di Roma del 1942 (E42) approvata con legge n. 2174 del 26 dicembre 1936. Con l’occasione il Ministro aveva anche proposto di costituire (grazie alla raccolta Loria) un Museo del Costume italiano nel quartiere dell’EUR nell’edificio destinato al Museo di Etnografia collocato tra i “Musei d’Arte e di Scienza” pre- visti per la piazza Imperiale.12 Tuttavia la raccolta Loria verrà definitivamente trasferita da Tivoli a Roma in occa- sione della mostra dedicata al folklore italiano a cura di 432

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Toschi, titolare all’epoca della cattedra di Storia delle Note Tradizioni popolari dell’Università di Roma, tenutasi per l’Esposizione Internazionale dell’Agricoltura (EA53) nel 1. Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari (MAT), Archivio Palazzo dei Congressi dell’EUR.13 Storico, f. 783. La settima sala dell’esposizione, dedicata interamente al 2. Cfr. G. Piantoni, Roma 1911, Roma 1980, pp. 27-38. costume popolare italiano, presenta diversi costumi sar- 3. MAT, Archivio Storico, f. 783. di e singoli elementi come la caratteristica mastruca del 4. MAT, Archivio Storico, f. 783. pastore sardo. 5. L. Loria, A. Mochi 1906, p. 25; cfr. C. Cucinotta 1956. A conclusione della mostra, sempre nel 1953, il materiale 6. Catalogo della Mostra di Etnografia Italiana 1911, p. 16 sgg. etnografico verrà collocato nei magazzini dell’attuale pa- 7. L. Loria, “Due parole di programma”, in Lares, I, 1912, p. 14 sgg. lazzo situato in piazza Marconi (già piazza Imperiale), se- 8. MAT, Archivio Storico, f. 779, doc. 41. de definitiva del Museo dove negli anni successivi con- 9. Archivio Centrale dello Stato (ACS), Raccolta ufficiale delle leggi e de- fluirà il resto della collezione come risulta dal documento creti, R.D. n. 2111. Atti del Governo, Registro 217, f. 11; cfr. G. Ceccarel- dell’8 novembre 1955 che si riferisce al trasporto della li, “Per il Museo Etnografico Nazionale”, in Atti del III Congresso Nazio- raccolta da Villa d’Este e dai sotterranei della Galleria Na- nale di Arti e Tradizioni popolari (1934), Roma 1936, pp. 577-585. zionale d’Arte Moderna, altra sede provvisoria della colle- 10. Cfr. sull’argomento D. Faccenna, S. Massari, T. Tentori, L’abito la- zione,14 nella sede definitiva del Museo. All’atto della sua ziale e il donativo Attilio Rossi, Roma 2001, pp. 5-19. inaugurazione, avvenuta nel 1956, l’istituzione reca la de- 11. MAT, Archivio Storico Museo di Etnografia Italiana, Tivoli, AXT, II nominazione di Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Segretariato dep. 6. Mostra Maggiolata del Costume italiano. popolari – come da Decreto n. 1673 del Presidente della 12. Cfr. S. Massari 2000, pp. 286-287. Repubblica dello stesso anno –; in essa un’intera sezione 13. P. Toschi, Mostra del Folklore, Roma 1953, pp. 30-34. è dedicata al costume, secondo quanto stabilito dall’ap- 14. ACS, AA. BB. AA.; Div. III, 1929-1960, 445; per un’analisi particola- posita Commissione, nominata due anni prima, con il reggiata M. Calvesi, E. Guidoni, S. Lux, E42. Utopia e scenario del Regi- compito di stabilire il programma espositivo del Museo. me, II, Roma 1987, pp. 385-402. La Commissione, sotto la presidenza di Toschi, è compo- 15. A. Toschi 1956, pp. 59-61. sta da Paolo Dalla Torre, Pier Silverio Leicht (1874-1956), 16. S. Massari 2000, pp. 268-280. Giuseppe Ceccarelli, Roberto Almagìa (1884-1962), Giu- 17. Allo stato attuale presso il MAT si conservano sessantanove costu- seppe Cocchiara (1904-1965), Felice Rimondini, Giorgio mi completi acquisiti prima del 1911 (inv. 23170-23843), a cui si ag- Rosi direttore, Gaetano Perugini (1910-1977), Giuseppe giungono, dopo il 1964, altri tredici costumi e circa cinquanta pezzi Vidossi (1878-1969), Aldo Grillo (1921-2003) a cui si ag- singoli. giunge, con Decreto del 31 marzo 1955, Tullio Tentori (1920-2003) con l’incarico di seguire l’ordinamento della collezione. Ordinamento che vede la sesta sala dedicata interamente all’esposizione dei costumi ed un’apposita vetrina con gli abiti sardi collocati accanto agli austeri co- stumi pugliesi e ai costumi da sposa di Piana degli Alba- nesi (Sicilia). In particolare, nella tredicesima vetrina ven- gono esposti gli abiti di Osilo, Busachi, Bitti, Sorgono, Atzara. Allo scopo di movimentare l’allestimento, prossi- mi alla parete d’uscita, si decide di collocare due cavalli sardi montati da uomini con i costumi di Meana o Sen- nori e due donne con gli abiti di Samugheo e Sennori.15 Nell’attuale sistemazione abbiamo dedicato, all’interno della sezione “Riti, Feste e Cerimonie”, una sala, allestita in maniera estremamente flessibile, agli abiti e ai loro or- namenti per permettere, sul tema, la sequenza di mostre temporanee,16 convinti che il costume tradizionale, da la- voro o da festa, sia l’espressione migliore per illustrare “usi e saperi” e fonte inesauribile di ispirazione per le ge- nerazioni future come dimostrano gli abiti dei giovani sti- listi analizzati da Bonizza Giordani Aragno al cui testo, in questo volume, si rinvia. Immagini del presente ma anche di un passato prossimo che rivive nelle forme e nei tessu- ti degli abiti sardi che ricoprono, ancor oggi, una parte importante nel definire l’“identità” locale, giacché si ricol- legano al modo che ha l’uomo moderno di pensarsi e rappresentarsi in rapporto con la realtà che lo circonda.17 433

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Musei e costumi Paolo Piquereddu «Le ferrovie hanno in pochi anni trasformato l’aspetto queste testimonianze prima che «la civiltà continentale della Sardegna; e sebbene ciò abbia portato seco la pie- del tutto le cancelli»; la nascita del mercato di abiti tradi- na distruzione dei boschi e molte cattive abitudini del zionali, e dunque di un interesse collezionistico, che se- Continente, è tuttavia nel complesso un grande bene. Sa- gnala come questi oggetti siano ormai usciti dall’ambito rebbe però utile raccogliere le ultime vestigia del passato d’uso; la fiducia nella fotografia quale strumento di do- prima che la civiltà continentale del tutto le cancelli. cumentazione oggettiva della realtà, e nel contempo la Nel 1882 quando mi recai a Cagliari per dirigervi il Mu- consapevolezza che per l’uso di questo straordinario seo Nazionale di antichità, io aveva da poco visitato i mezzo fosse necessaria una correttezza metodologica. maggiori Musei etnografici d’Europa. Compresi quindi Temi che, peraltro, informano le iniziative museali e in l’immenso vantaggio che sarebbe venuto alla Sardegna generale di documentazione e ricerca d’ambito etnoan- ed agli studi, se anche a Cagliari si fosse costituito un tropologico dell’ultimo ventennio dell’Ottocento e ali- museo di tal natura. La speculazione delle antichità in mentano la crescita del fenomeno delle esposizioni Sardegna era allora del tutto ignota. Queste si donava- che, oltre alle innovazioni dell’industria, alle novità arti- no; e, data la grande generosità ed ospitalità degli abi- stiche e alle culture coloniali, riservano dei settori alla tanti, sarebbe stato assai facile ottenere da ogni comune presentazione e illustrazione comparative delle partico- dell’Isola vesti, mobili antichi, che ora scarseggiano e si larità culturali regionali del giovane Stato italiano. vendono a prezzo assai caro. In fondo le esposizioni temporanee di questo scorcio La persona alla quale esposi il mio progetto (alla quale dell’Ottocento appaiono come prove generali delle ini- spettava nel caso appoggiarlo) non aveva la cultura ne- ziative museali che di lì a poco avrebbero avuto il loro cessaria per comprenderlo. Auguro ad altri conseguire avvio nel territorio nazionale. ciò che a me non fu dato compiere. Nel 1881 si tenne a Milano l’Esposizione Industriale Na- Sarebbe pure utile fare una raccolta scientifica di fotogra- zionale che comprese anche una sezione dedicata a 140 fie di tipi sardi. Dovrebbe esser fatta da persona pruden- costumi provenienti da tutta l’Italia, tra i quali alcuni sar- te, accorta, che si assicurasse delle vere origini etniche di. La loro partecipazione è documentata dall’album fo- delle persone di cui raccogliesse e facesse le fotografie. tografico di Giovanni Battista Ganzini: le immagini mo- Altrimenti si correrebbe il rischio (ciò che è di recente strano gli abiti indossati da manichini nel sommario avvenuto ad un distinto antropologo italiano) di giudica- contesto scenografico dello studio, come se fossero den- re del tipo etnico dei Sardi prendendo a base fotografie tro una vetrina museale. di Italiani della Penisola, che vollero farsi fotografare in Secondo le intenzioni degli organizzatori, gli abiti inviati costume sardo».1 per l’esposizione avrebbero dovuto costituire il primo In queste parole del grande storico Ettore Pais sono rias- nucleo di un Museo Etnografico Italiano a Milano. L’idea sunte le tematiche intorno alle quali nelle prime decadi non ebbe seguito e i costumi vennero in parte dispersi. del Novecento si sviluppò il dibattito per la creazione di Già da qualche anno prima, peraltro, immagini di costu- un grande museo di etnografia sarda, e di costumi in mi sardi venivano presentate da fotografi locali o operan- particolare: la trasformazione sociale dell’isola – rappre- ti nell’isola in esposizioni nazionali e internazionali; in sentata dal Pais attraverso un simbolo dinamico ed effi- particolare si ricordano due fotografi attivi a Cagliari: cace come la ferrovia –, che minaccia le testimonianze di Agostino Lay Rodriguez, che prese parte alla Prima Espo- un’antica civiltà; la necessità e l’urgenza di preservare sizione Sarda del 1871 e all’Esposizione Universale di Vienna del 1873, e Giuseppe Luigi Cocco che, sempre 691. Gruppo di abiti femminili su manichini degli anni Settanta; con fotografie di costumi, partecipò alla stessa Esposizio- da sinistra verso destra si individuano i costumi di Quartu S. Elena, ne viennese e all’Esposizione di Parigi del 1878. Macomer, Nuoro, Samugheo, Cabras, e ancora Nuoro nel manichino Ma i costumi sardi sono anche al centro delle grandi ma- seduto. Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde, nifestazioni di Sassari del 1899 in onore della visita dei 691 fotografia di Virgilio Piras. 435

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Reali, e in particolare della cavalcata che segna la nascita 692 di uno dei grandi eventi folcloristici isolani e nel contem- po, per le riprese che ne fece un operatore inviato dai Lumière, la nascita del cinematografo in Sardegna.2 Nel 1911 cinquantotto abiti e un gran numero di altri manufatti tradizionali dell’isola si uniscono a Roma agli oltre trentamila oggetti raccolti in tutta l’Italia, sotto la direzione di Lamberto Loria, per la grande Mostra di Et- nografia Italiana che avrebbe dovuto porre le basi del Museo Nazionale di Etnografia. Per una serie di vicende negative, in primis la morte di Loria nel 1913, il progetto non ha un pronto sviluppo; dopo una prima permanen- za nei magazzini di diversi musei, i materiali, dopo il 1923, sono ospitati a Villa d’Este a Tivoli e infine, con l’apertura del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari nel 1956, trasferiti nel palazzo dell’EUR, sede dell’importante struttura museale.3 Per quanto attiene all’auspicio di Ettore Pais relativo al- la costituzione di un museo di etnografia della Sarde- gna, negli ultimi anni Venti e negli anni Trenta l’idea viene ripresa in numerosi articoli di studiosi e appassio- nati di cose sarde, che sottolineano in particolare l’ur- genza di salvaguardare i costumi popolari. Marcello Vinelli, nel 1927, dopo aver segnalato la progres- siva sparizione delle tradizionali tipologie di abbigliamen- to maschile e femminile ed effettuato una documentata rassegna delle sue varietà e delle cause della decadenza, concludeva: «Se [in] un Museo cui si adunassero questi esemplari dei nostri bei costumi sia ancora possibile sal- vare o si ricostituissero quelli che non son più, dai più an- tichi agli ultimi sopravvissuti negli elementi essenziali ed accessori; una raccolta in cui si accogliesse tutto quanto possa giovare a loro illustrazione non avrebbe minor nu- mero di visitatori di quelle altre raccolte pur esse degnissi- me di rispetto, in cui si custodiscono altri più freddi e me- no estetici documenti della nostra vita passata».4 Il tema dell’abbandono generalizzato del vestiario tradi- zionale, del collezionismo degli abiti e dell’urgenza della creazione di un museo vengono ulteriormente trattati da Doro Levi in occasione della manifestazione inaugurale della Mostra delle Arti Popolari della Sardegna tenutasi a Cagliari nel 1937: «Già i limiti delle zone circoscritte nel centro dell’Isola tra le sue montagne, in cui l’attaccamen- to al costume ancora si mantiene, si vanno restringendo sempre più; già la maggior parte delle popolazioni in- dossa solamente l’abito di gala, e veste panni comuni nei giorni feriali; già rifiutano di indossarlo del tutto i giova- ni, che per un motivo o l’altro, per la guerra o per gli studi, sono vissuti qualche tempo sul Continente o nelle grandi città dell’Isola. E la caccia ai costumi, come a tutti gli altri oggetti di arte popolare sarda, da parte di incetta- tori e collezionisti si fa sempre più accanita; i costumi au- tentici si fanno sempre più rari, si usano solo dei singoli pezzi dell’antico costume in mezzo a indumenti, sottane 692. Abito maschile di area campidanese, anni Venti Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna, fotografia di Raimondo Santucci. 436

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e corpetti, moderni: non passeranno, ahimè, molti anni attengono al vestiario popolare; sostanzialmente, dun- che, smesso ormai del tutto per fatalità della vita umana que, gli abiti che attualmente costituiscono la raccolta ve- l’uso dell’antico costume, i pochi autentici abiti di gala stimentaria del museo sono quelli donati da Gavino Cle- ancora rimanenti, quelli delle nozze e delle grandi feste, mente. Risalenti per la gran parte alla fine del XIX secolo saranno discesi, per l’ultimo rito solenne, nelle tombe dei e ai primi del Novecento, più della metà degli indumenti vecchi di oggi. Ecco perché per la Sardegna è più urgen- della collezione Clemente provengono dalle Barbagie e te e più doverosa che per qualsiasi altra regione d’Italia dal Nuorese, ma risulta ben rappresentata anche l’area l’attuazione di quella impresa, che è certamente il voto centro-settentrionale dell’isola; per quanto attiene alla ti- comune e ripetuto da tutti gli organizzatori delle Mostre pologia si tratta prevalentemente di abiti femminili festivi, d’arti popolari d’Italia: la creazione d’un Museo dedicato con una buona percentuale del tipo vedovile. a tali arti; qui far presto significa cogliere ancora in vita La raccolta è stata oggetto di uno studio di Gerolama quello che domani bisognerà riscavare, disseccato e sco- Carta Mantiglia che in forma catalografica ha descritto lorito nei ricordi e negli archivi».5 97 capi di vestiario e accessori maschili, e ben 327 fem- In questo scenario culturale si inscrive la pubblicazione minili, per un totale di 424 oggetti. di un’opera quale Arte Sarda (1935) di Giulio Ulisse Ara- «La collezione Clemente … presenta caratteristiche analo- ta e Giuseppe Biasi, vero manifesto della concezione del ghe … alle raccolte italiane dei primi decenni del secolo, folclore nella Sardegna degli anni Trenta, mantenutasi con prevalenza di certi materiali, di certe zone di prove- sostanzialmente uguale fino agli anni Cinquanta del No- nienza e nell’ambito di una medesima classe oggettuale, vecento.6 di materiali estremamente elaborati quanto a decorazio- A parte l’episodio fondamentale della mostra del 1911, è ni, forme e materia di costruzione. Preoccupazione co- solo negli anni Cinquanta del Novecento che gli abiti tra- stante e grave del Clemente fu quella di raccogliere og- dizionali della Sardegna fanno il loro ingresso nelle strut- getti “non inquinati” da elementi recenti e da prodotti di ture museali. Ancor prima della citata apertura (1956) del tipo industriale: anzi, in casi limite, per fortuna abbastan- Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Ro- za rari, il Clemente giungerà a far preparare su commis- ma, nel 1950 si inaugura la sezione etnografica “Gavino sione oggetti che dovevano rispondere ai requisiti stabili- Clemente” del Museo Nazionale Giovanni Antonio Sanna ti – non sappiamo su che base – dallo stesso Clemente».9 di Sassari, che viene associata alle ricche raccolte archeo- Ancora agli anni Cinquanta risale la raccolta di abiti con- logiche e d’arte che formavano la collezione del munifico servata nel Museo Sardo di Antropologia ed Etnografia, mecenate cui il museo è dedicato, e ai reperti mano a sorto nel 1953 a Cagliari per iniziativa del professor Carlo mano acquisiti a partire dal 1880, anno della sua inaugu- Maxia nell’edificio dell’Istituto di Anatomia Umana Nor- razione ufficiale come Regio Museo Antiquario di Sassari.7 male, dove fu ospitato per circa 45 anni. La collezione di abiti tradizionali e di oggetti vari d’inte- Attualmente il museo, che afferisce al Centro Interdiparti- resse etnografico fu donata al museo con atto notarile mentale dei Musei e dell’Archivio Storico dell’Università del 20 agosto del 1947: «Il Signor Clemente Comm. Gavi- di Cagliari, ha sede nella Cittadella Universitaria di Mon- no, allo scopo di lasciare duratura testimonianza del suo serrato. Nato allo scopo di documentare sia le caratteristi- affetto filiale per la Sardegna e di incrementare il suo pa- che fisiche dei sardi sia le componenti culturali, dispone trimonio etnografico … dona allo Stato e per esso alla di una raccolta di reperti scheletrici umani dal neolitico Soprintendenza alle Antichità della Sardegna, la propria ai nostri tempi, calchi di ominidi fossili, due mummie, collezione a condizione che venga costruito … non oltre una collezione di vasellame e di utensili d’epoca proto- l’anno 1950, nel parco circostante il Museo Nazionale storica. A questa si unisce la collezione di interesse etno- G.A. Sanna un fabbricato da destinare all’esposizione del grafico; dislocata in una grande sala, comprende oggetti materiale etnografico, nel quale la collezione venga de- del lavoro pastorale, strumenti musicali popolari e ordi- corosamente collocata ed esposta in sale separate e con- gni sonori vari, un’importante raccolta di ex voto, costi- traddistinta dalla speciale dicitura: “Museo Gavino Cle- tuita da 56 reperti quasi tutti provenienti dalle Chiese di mente”. La collezione è composta di 428 oggetti».8 San Palmerio e di San Serafino di Ghilarza e la citata col- L’interesse della collezione risiede proprio nella figura lezione di costumi. La collezione, solo in parte esposta del donatore, che ebbe un ruolo preminente nell’atti- nelle vetrine del nuovo allestimento, consta di 34 abiti vità di reperimento e musealizzazione dei documenti di tradizionali, quasi tutti femminili, e 4 da miliziano, risa- arte popolare sarda nella prima metà del Novecento. lenti al periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e i Gavino Clemente, originale figura di imprenditore che, primi anni del Novecento e derivanti da acquisizioni ef- partendo da motivi e stilemi della tradizione sarda, sep- fettuate dal professor Maxia nei primi anni di costituzione pe produrre mobili e arredi con esiti talvolta di sor- del museo. La gran parte dei capi attiene alla Sardegna prendente qualità e originalità, fu il principale collabo- centrale; ciò è da attribuire al fatto che furono venduti al ratore di Lamberto Loria nell’opera di reperimento dei museo dalla signora Caterina Zoroddu di Bosa, all’epoca manufatti sardi per l’esposizione romana del 1911. impegnata in un’intensa attività di intermediazione com- Dagli anni Cinquanta ad oggi il Museo Sanna ha acquisito merciale nel campo del vestiario tradizionale del Nuorese molti altri reperti d’interesse etnografico, ma pochi di essi e delle regioni più vicine.10 437

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693 dentore. A seguito della costituzione, nel 1972, dell’Isti- tuto Superiore Regionale Etnografico, il Museo del Co- Sebbene collocato all’interno di un Istituto universitario, stume assume la denominazione di Museo della Vita e il museo è costantemente meta di visitatori, anche gra- delle Tradizioni Popolari Sarde, e viene incorporato nel- zie alla sua organica collaborazione con le amministra- l’Istituto quale essenziale strumento di conoscenza e di- zioni locali e le scuole, per mostre temporanee e inizia- vulgazione del patrimonio etnografico e della vita socia- tive didattiche. le e popolare della Sardegna. Agli anni Cinquanta del Novecento risale infine la co- Ancor prima che alla nuova denominazione possa far struzione del Museo del Costume e delle Arti Popolari seguito un rinnovamento dei contenuti e dei significati, di Nuoro, monumento alle tradizioni vestimentarie della il museo viene aperto al pubblico nell’agosto del 1976: Sardegna in forma di «ambiente sardo immaginario, un pur in assenza di un’organica sistemazione espositiva, “paese fantastico” che vuole rappresentare il “paese-iso- appare urgente far conoscere alla collettività i numerosi la” ricomposto per frammenti e memorie di luoghi di- materiali accantonati da tanti anni. L’Istituto Etnografico versi, rivissute dal progettista in termini personali, in avvia, nel contempo, una metodica attività di acquisizio- una dimensione “colta” per “citazioni”, moduli stilistici, ne di nuove collezioni nonché del loro studio e catalo- riferimenti formali fondati su di una interpretazione re- gazione. gionale-vernacolare dell’esistente architettonico sardo».11 Al di là della denominazione, presagio di tematiche af- All’originale museo, disegnato dall’architetto Antonio Si- ferenti all’intero universo del mondo popolare sardo, di mon Mossa su incarico della Regione Sarda, vengono fatto il museo trova ancora oggi la sua connotazione nel- assegnate in dote le collezioni all’uopo acquistate dalla l’esposizione di una grande raccolta di abiti e gioielli tra- stessa Regione.12 dizionali, originata dagli assunti del clima culturale degli Per quanto riguarda in specifico l’abbigliamento, che anni Venti e Trenta del secolo scorso, che classificavano ovviamente costituisce la parte più significativa dei ma- tali materiali come documenti d’arte popolare, meritevoli teriali, vengono trasferiti nella nuova sede una cinquan- dunque di tutela e conservazione in quanto connotati tina di costumi più una serie di indumenti vari. Tra i esteticamente. materiali sono compresi 7 abiti di proprietà del Museo L’allestimento che negli anni Settanta dà corpo a tale in- Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, pro- tendimento riflette quell’assunto di base: gli abiti sono venienti dalla mostra del 1911, il cui prestito viene di- esposti in vetrine isolate, privi di apparati informativi sulla sposto dal professor Paolo Toschi.13 provenienza, funzione e contesto di utilizzo degli stessi: L’attività del museo, tuttavia, non riesce ad andare oltre basta mostrarli per giustificarne la funzione e appagare il l’episodica realizzazione di mostre temporanee, spesso concomitanti con i festeggiamenti di fine agosto del Re- 438

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visitatore, così come per i quadri e le sculture nei musei d’arte. Questo avviene mentre nel resto d’Italia il Conve- gno Nazionale di Museografia Agricola di Bologna e San Marino di Bentivoglio (gennaio 1975) e la pubblicazione di Alberto Mario Cirese, Oggetti, segni, musei,14 pongono al centro del dibattito le forme, le tecniche e l’organizza- zione del lavoro contadino. «La rappresentazione del lavoro basata sulle tecniche da- va vita a impegni comuni di museografia scientifica che sostituivano al modello per tipi d’oggetti ancora ricono- scibile nell’antico Museo Pitrè, o per ricostruzione di ambienti (Casa-museo di Palazzolo Acreide e altri) con- siderati ingenui e non scientifici, una sorta di geometria della rappresentazione, in piccoli spazi, di grandi pro- cessi produttivi e sociali, quasi “radiografati”, colti cioè in quella che ne appariva l’essenza storicamente specifi- ca (le forme del lavoro), e che forse configurava il mo- do che gli intellettuali non organici a quel mondo ave- vano di sentire la pietas verso qualcosa di immaginato astrattamente e non vissuto. Basata sul presupposto “metalinguistico” (ricostruire at- traverso gli oggetti la conoscenza delle relazioni della vita passata), questa museografia intendeva anche avvi- cinare il pubblico di musei e mostre a convenzioni co- muni della statistica, del disegno tecnico, della relazione modellistica, delle scritture delle relazioni di parentela, dell’ergonomia, democratizzando così gli strumenti del- l’analisi scientifica».15 In un simile contesto teorico un museo come quello nuorese, che trovava il suo elemento unificatore nella qualità dei reperti, esempi di arte, ancorché popolare, appariva un po’ come un organismo alieno. Non a caso il testo di Cirese sottolineava come «la maggior parte de- gli oggetti che essi [i musei folclorici] devono riunire non aveva per destinazione normale le pareti, i piedistalli, le bacheche o l’esposizione. Un attrezzo è nato per l’uso in certe condizioni ambientali che non sono certamente quelle delle sale dei musei. Un costume o un’acconcia- tura sono fatti per il corpo che agisce e vive, in contesti reali, e non per il falso movimento (e la falsa staticità) di 693. Interno del Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde, Nuoro, fotografia di Virgilio Piras. Gli abiti montati su manichini sono collocati in vetrine in grado di ospitarne fino a un massimo di quattro; ai reperti non viene associata alcuna scenografia o apparato di contestualizzazione storico-culturale. Questa impostazione risale al 1976, anno dell’apertura definitiva del museo. 694. Abito femminile festivo e di gala di Aritzo, primo decennio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 695. Abito femminile festivo e di gala di Settimo S. Pietro, fine sec. XIX-inizio XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 696. Abito femminile festivo di Tonara, 1956 Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 697. Abito femminile festivo e di gala di Orune, primo decennio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 698. Abito femminile giornaliero di Busachi, primo decennio sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 694

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quei manichini contro il cui impiego nei musei di tradi- zioni popolari ha giustamente polemizzato Paolo To- schi».16 E, ancora: «È evidente che il compito dei musei della vita popolare non può essere solo quello di riunire gli oggetti classificabili come artistici».17 «Ma l’opera vera del museo sta poi nella ricerca a livello museografico delle connessioni più profonde. E qui viene di nuovo in campo il compito dei musei folclorici come centri di ri- cerca e di propulsione della ricerca».18 Di fatto, grazie alla struttura operativa e alle risorse com- plessive dell’ISRE, il museo nuorese, direttamente o indi- rettamente, può portare avanti quelle attività di studio e di ricerca indicate da Cirese come fondamentali. Per quan- to attiene in particolare all’abbigliamento esse si esplicano sia con indagini sul campo relative alle tecniche e ai con- testi d’uso, sia attraverso lo studio dei materiali e delle metodologie di conservazione e di allestimento. Quest’attività determina nuove acquisizioni di materiali, dei quali si cerca di sapere il più possibile (età, proprie- tari, ragioni della vendita, costi e modalità di confezio- namento), e nuove competenze museografiche. Delle vetrine si apprezza la loro funzione protettiva e di evi- denziazione dei materiali; dei manichini, umiliati quali esempi di allestimenti posticci, viene confermata l’insosti- tuibilità per la buona conservazione degli indumenti, per la loro corretta esposizione e per la migliore compren- sione del modo d’uso, spesso non così ovvio e intuitivo come potrebbe sembrare; essi assumono dimensioni più adeguate, spesso con adattamenti e modifiche alla taglia degli abiti; questi vengono curati, puliti, stirati, rispettati, amati. Rispettati e amati perché talvolta ceduti al museo da donne e uomini costretti a privarsene per ragioni economiche, o perché doni di persone, spesso neppure agiate, che attraverso di essi manifestano sentimenti di appartenenza e di affezione al museo e alla sua missio- ne. Un atteggiamento nei confronti delle cose affatto in- concepibile per la museografia demoantropologica italia- na degli anni Settanta e Ottanta; riprendendo le parole di Pietro Clemente che, partito dalla lezione del suo maestro Cirese, sviluppa un’originale riflessione attraver- so la quale supera «l’illusione museografica razionalista», apparsagli precocemente una «museografia impossibile»: «Chi di noi museografi razionalisti d’allora amava gli og- getti? Amavamo le nostre idee, con le quali venivamo scoprendo mondi, ma amare gli oggetti! Gli oggetti sono “documenti”, i documenti non si amano, si studiano».19 Amando gli abiti, dai poco più di 400 capi di vestiario della fine degli anni Settanta, il museo ha raggiunto gli attuali 1850, quadruplicando quindi la dotazione iniziale e formando la più ampia e qualificata collezione di abbi- gliamento tradizionale sardo; un repertorio che compren- de prevalentemente reperti risalenti all’ultimo ventennio 699. Abito femminile festivo e di gala di Oliena, prima metà sec. XX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 700. Abito femminile festivo di Orani, fine sec. XIX Nuoro, Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde. 699

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dell’Ottocento e a quello iniziale del Novecento, con qualche escursione alla fine del Settecento e, all’estremo temporale opposto, agli anni Settanta del secolo scorso. Nel frattempo acquisisce una popolarità e un gradimento sorprendenti per un museo etnografico che, con cifre comprese tra le 40.000 e le 60.000 presenze annue, divie- ne, a quanto è dato di sapere, il più frequentato della Sardegna, nonché la struttura di riferimento per le attività di assistenza e consulenza a musei e associazioni locali in materia di abbigliamento popolare, e per le relazioni e scambi con istituzioni museali italiane e straniere; in que- sto ambito s’inscrive la recente donazione (2000) di un costume femminile nuziale di Orgosolo al Museo delle Trame mediterranee di Gibellina (Sicilia). Abiti sardi sono approdati con vicende e motivi diversi in vari musei esteri, compresi due dei più importanti al mondo: il Metropolitan Museum of Art di New York e il Musée de l’Homme di Parigi. Il Metropolitan, museo di carattere enciclopedico nato nel 1870, dispone di più di 2 milioni di opere d’arte di tutto il mondo, dall’antichità ad oggi, compreso uno straordinario patrimonio tessile e vestimentario. Il suo Costume Institute possiede più di 75.000 abiti e accessori provenienti dai cinque continenti e relativi a sette secoli di storia, da lussuosi costumi di corte a costumi regionali popolari di tutto il mondo; non ha una sua esposizione permanente ma è accessibile a studiosi, designer, studen- ti e ogni anno realizza tre mostre temporanee tratte dalla collezione. Il museo possiede due costumi femminili della Sarde- gna, uno di Sennori, l’altro di Desulo. La scheda descrittiva del primo informa che si tratta di un «costume femminile contadino, di gala o di nozze, di Sen- nori risalente al XIX e al XX secolo, formato da 10 pez- zi: un giubbetto di velluto color magenta con maniche aperte decorate con ricami d’oro; gonna di lana plisset- tata con larga banda ricamata; corsetto ricamato in oro e argento; grembiule di seta blu chiaro, ricamato; camicet- ta bianca di cotone, fazzoletto blu chiaro; copricapo di lino bianco e pizzo écru; collana in filigrana d’oro e ce- stino di paglia intrecciata. Il corsetto è probabilmente del 19º secolo; il resto del 20º secolo». L’abito è stato donato al museo dall’onorevole Claire Boothe Luce il primo marzo del 1956. In nota la scheda precisa che venne offerto alla signora Luce nel 1954 nel corso di una visita ufficiale in Sardegna. Claire Boothe Luce, nata a New York nel 1903, giornalista e scrittrice, fu molto nota negli Stati Uniti quale editor, a partire dal 1933, della rivista di moda e costume Vanity Fair e per aver sposato il magnate della carta stampata Henry R. Luce (Time, Life, Fortune). Membro del Congresso sta- tunitense dal 1943 al 1947, fu ambasciatore americano in Italia dal 1953 al 1957. La scheda del secondo abito riporta:20 «Regionale, Sar- do, tardo 19º-inizi del 20º secolo. Completo femminile, 5 pezzi di lana rossa con applicazioni di pannelli di se- ta blu, tratti di ricami gialli lungo le giunture e linee 700

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diagonali ornamentali»; segue un’accurata descrizione Un’analisi della missione sarda di Jacques Millot e delle dei diversi pezzi. Circa la provenienza, la scheda infor- scelte del suo itinerario sarebbe estremamente indicativa ma che si tratta di un acquisto effettuato nel 1967 da per una ricostruzione degli interessi degli studiosi di et- Irene Lewisohn Bequest presso il signor Ermanno De nologia europea afferenti al Musée de l’Homme nei pri- Notti di Roma. La presenza di questo costume al Metro- mi anni Sessanta. I luoghi di provenienza dei reperti in- politan si deve dunque a Irene Lewisohn Bequest, l’e- dicano comunque con chiarezza la centralità pressoché rudita filantropa che, ritenendo gli abiti una autonoma esclusiva della Barbagia e del Nuorese. Viene da chie- e universale forma d’arte, con le sue donazioni permise dersi se una così forte presenza di Orgosolo, ma anche la nascita nel 1937 del Museum of Costume Art, le cui di Nuoro e Oliena, non sia da connettere allo straordina- collezioni vennero incorporate dal Costume Institute rio successo riscosso nell’ambiente antropologico france- del Metropolitan nel 1946.21 se, e del Musée de l’Homme in particolare per la presen- L’approdo al Metropolitan di un abito di Sennori e di za di Jean Rouch, dal film di Vittorio De Seta Banditi a un altro di Desulo non può essere casuale: il primo è Orgosolo (1961) e naturalmente dalla famosa inchiesta di uno degli abiti più noti dell’isola, sempre presente nelle Franco Cagnetta,25 che ne costituì la base di partenza. grandi manifestazioni tradizionali; lo stesso vale anche La presenza di Desulo conferma invece un dato già noto, per quello di Desulo, probabilmente reperito sul mer- più volte sottolineato anche in questo testo, e cioè che il cato antiquario della capitale. suo costume era quello che più diffusamente rappresen- Il costume femminile di Desulo è presente anche al Mu- tava l’immagine della Sardegna all’esterno dell’isola, un sée de l’Homme di Parigi,22 insieme a due di Orgosolo, ruolo favorito dalle prime campagne di promozione turi- uno femminile, l’altro da ragazzo.23 Furono acquistati nel stica che nell’abito di Desulo, così fortemente connotato 1963 dall’allora direttore del museo Jacques Millot, nel da tonalità solari e primarie, trovavano un veicolo di im- corso di una missione in Sardegna finalizzata all’arricchi- mediata ed efficace riconoscibilità geografica e culturale. mento delle collezioni europee: «Intraprese in occasione Ritornando alle collezioni indumentarie dei musei dell’iso- delle Esposizioni universali del secolo scorso, le collezio- la, si segnalano gli abiti inseriti in alcuni musei locali di ni europee sono state continuamente arricchite; esse si recente costituzione: l’etnografico della Casa Montanaru compongono di circa 50.000 pezzi e conoscono ancora di Desulo (1995), della lavorazione del lino di Busachi, una crescita costante. A partire dagli anni Cinquanta le il Museo Unico Regionale dell’Arte Tessile di Samugheo ricerche sul campo si sono moltiplicate assicurando una (2002) e il Museo Francesco Bande di Sassari. Per il se- loro documentazione e arricchimento».24 condo e il terzo si tratta della naturale espansione delle Oltre a una serie di oggetti vari (timbri per il pane, pal- tematiche cui le raccolte sono primariamente dedicate; a me intrecciate, launeddas, taglieri, forchette e cucchiai li- Busachi sono esposti alcuni abiti recentemente ricostrui- gnei da pastore, qualche dolce ricoperto di glassa, realiz- ti sulla base di fogge locali di fine Ottocento; a Samu- zato per S. Efisio, e altri in pasta di mandorla), nella gheo, accanto alla vasta collezione tessile, sono in mo- stessa collezione il museo comprende vari indumenti stra due abiti del paese, uno maschile, la cui datazione isolati e accessori dell’abbigliamento: un corpetto femmi- può essere attribuita alla prima metà del XIX secolo, e nile di Orgosolo; una cuffia di Bitti; uno scialle di Oliena; uno femminile, databile ad un periodo compreso tra la un “copri cuffia” di Oliena e un altro di Bitti; una collana fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. di corallo rosso e filigrana d’argento e un amuleto di Samugheo, Busachi e soprattutto Desulo, rispetto agli al- Oliena; un anello di metallo dorato, pietre rosse e blu in tri paesi dell’isola, sono tra quelli che hanno mantenuto un castone di Orgosolo; fermagli e catenella d’argento più a lungo l’uso del vestiario tradizionale, e forse pro- per tenere il grembiule e bottoni per maniche di camicia prio per tale motivo in queste comunità il processo di di Nuoro; dieci bottoni per la camicia di Orani. un loro riconoscimento come documenti da riporre in un museo è stato più recente. 701. L’attuale allestimento del Museo Sardo di Antropologia ed Etnografia, Monserrato, Cittadella Universitaria, fotografia Archivio Museo Sardo di Antropologia ed Etnografia. Il Museo, che afferisce al Centro Interdipartimentale dei Musei e dell’Archivio Storico dell’Università di Cagliari, è sorto nel 1953 per iniziativa del professor Carlo Maxia nell’edificio dell’Istituto di Anatomia Umana Normale, dove è stato ospitato per circa quarantacinque anni. 702. Ritratto del fisarmonicista Francesco Bande, anni Ottanta. Sassari, Museo Francesco Bande, fotografia Archivio Museo Francesco Bande. 703. Costume di scena di Francesco Bande, 1950 ca. Sassari, Museo Francesco Bande, fotografia Archivio Museo Francesco Bande. Si tratta dell’abito tradizionale di Bultei, paese d’origine di Bande, indossato sul palco dal musicista, come si vede nell’immagine precedente. In particolare si evidenzia la ricchezza dei ricami del 701 giubbetto, realizzati da Marietta Bande, sorella di Francesco. 444

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702 703 sulla camicia chiusa al collo da bottoni d’oro, giubbetti con spalle, maniche e dorso impreziositi da grandi ricami Nel caso di Desulo, a prescindere da ogni considerazione a motivi floreali, bottoni in filigrana d’argento alle mani- sulle modalità espositive, impressiona la marginalità dei che, uose profilate di rosso o di trine multicolori – corri- pochi abiti (tre femminili e uno maschile) riuniti nel mu- spondono all’abito un poco vistoso di una moderna stel- seo, soprattutto se si considera l’importanza del suo abbi- la del rock. In genere con risultati meno apprezzabili per gliamento femminile che fa parte del paesaggio culturale le troppe scorciatoie sulla qualità e per la preminenza e dell’immaginario tradizionale dell’isola. Vero simbolo dell’invenzione rispetto ai modelli originari di foggia otto- indumentario della Sardegna, celebrato in un’infinità di centesca, questa moda dell’iperornativismo sarà seguita stampe, pitture, cartoline, fotografie e filmati, per ciò che da diversi singoli artisti e da numerosi gruppi folcloristici. esso rappresenta per tutti i Sardi, non solo per i Desulesi, È questo uno dei musei privati che la mano pubblica meriterebbe da solo un museo. dovrebbe aiutare ad uscire non tanto dalla dimensione Anche a Macomer, il Museo Arti Antiche, allestito in una affettiva di luogo dedicato a moderni Lari domestici, il casa dell’Ottocento ove sono ricostruiti alcuni ambienti che costituisce per l’onesta visibilità il maggior pregio domestici e di lavoro della società tradizionale (fabbro, del museo, quanto dalla precarietà del contesto espositi- falegname, calzolaio), espone alcuni abiti tradizionali vo che può pregiudicare nel tempo la conservazione di montati su manichino. In particolare appare interessante questi significativi documenti dell’abbigliamento e della un abito maschile che alla berritta e al giubbetto associa musica tradizionale e insieme della mentalità e dell’im- i calzoni a tubo, indumento che in questo territorio eb- maginario popolare dell’isola nel secondo dopoguerra. be diffusione più precoce rispetto alle Barbagie e al me- ridione dell’isola. Alcune recenti decisioni governative in materia di beni Il Museo Francesco Bande, iniziativa privata nata in un culturali annunciano la costituzione del Museo della contesto di carenza finanziaria ma col pregio di una for- Moda italiana, una struttura policentrica con sedi a Mi- te motivazione affettiva, è un piccolo quanto originale lano, Roma, Torino, Firenze e Napoli. Nelle comunica- monumento/documento intitolato al più famoso suona- zioni ufficiali viene sottolineato che le creazioni di mo- tore sardo di organetto degli anni Cinquanta-Ottanta del da che tale iniziativa intende tutelare e valorizzare sono, Novecento.26 Oltre a una preziosa raccolta d’organetti prima ancora che oggetti d’uso, delle opere d’arte: ana- appartenuti al musicista, l’unica sala del museo, ove si logamente, negli anni Venti e Trenta del Novecento, tengono anche lezioni di musica sarda, espone su mani- per giustificare l’ingresso del vestiario popolare nei mu- chini una quindicina d’abiti maschili e femminili e, in sei se ne sottolineavano i requisiti artistici: il museo nel- vetrina, vari indumenti isolati. Molti degli abiti apparte- la sua accezione originaria di casa delle Muse ritorna nevano ai familiari di Francesco Bande, come per esem- con forza d’attualità. pio l’abito di nozze della madre Giuseppina, di Bultei, Pur senza le referenze autoriali che caratterizzeranno i donde provengono anche alcune altre vesti dell’Otto- costituendi musei della moda, anche per quelli delle tra- cento, e alla vedova Bastianina Mannu, di Ossi. dizioni vestimentarie il senso e il requisito primario di Ma l’interesse maggiore deriva dal fatto che quelli ma- attrattività alla visita passa ancora attraverso i contenuti schili sono in sostanza gli abiti di scena dell’artista, con- estetico-artistici e una poetica affettiva: sono questi i primi fezionati tra il 1950 e il 1970 e ricamati dalla sorella Ma- stimolatori di un contatto tra oggetto esposto e visitatore. rietta: si tratta di costumi completi di Bultei che per la Perciò l’ormai avviato progetto di rinnovamento del Mu- ricchezza dei particolari ornamentali – pizzi abbondanti seo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde/Museo del Costume, che modifica tutto dell’assetto espositivo da cui è stato caratterizzato per circa trent’anni, pur su- perando l’attuale frammentazione espositiva delle vetri- ne, mantiene al centro del suo discorso la grande colle- zione di costumi popolari. A questi oggetti si affida il compito di introdurre il visita- tore alla conoscenza del grande patrimonio tecnico e di significati simbolici del sistema vestimentario della Sarde- gna tradizionale. Allo stupore, che deriva dalla presenta- zione in sequenza delle tante varietà di fogge, colori e materiali, si chiede di evocare volti, pensieri e sentimenti delle tante donne e uomini della Sardegna che li hanno tagliati, cuciti, ornati, talvolta solo indossati, nella speran- za che possano far comprendere come, nella infinita po- vertà della Sardegna di fine Ottocento, quelle donne e quegli uomini siano stati comunque in grado di riservare alla propria vita elementi di grande grazia e dignità. 445

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Note 1. In E. Pais 1999, pp. 432-433. L’attivazione acquisti effettuati da collezionisti vari; dodici tonhole; armseye gusset; CF slit; top roughly della linea ferroviaria effettivamente segnò un erano stati donati dai Comuni; sette derivava- pleated into (later?) narrower bottom of coar- cambiamento epocale; anche un giovane Max no dalla collezione del sacerdote nuorese Rai- ser-grade commercial cotton; machine stitched; Leopold Wagner, chiudendo nel 1914 un suo mondo Calvisi; sette erano di proprietà del open at each side waist, with added narrow si- articolo sulla Barbagia e paventando l’ulterio- Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popo- de panels below; full length; (d) short corset: re sviluppo delle strade ferrate anche nelle lari di Roma, relativi cioè alla raccolta costitui- entirely pieced of several figured and unfigu- zone più remote dell’isola, notava: «E come ta per la Mostra del 1911; infine sei proveniva- red silks and silver metal figured ribbons, em- queste antiche cassapanche, così scompariran- no da donazioni di privati. Oltre ai capi di cui broidered elaborately; sleeveless; notched CF no gradualmente le suppellettili antiche, le sopra vennero trasferiti al Museo quaranta ca- opening, with single hook at hem; lining also tradizioni degli antenati, le usanze patriarcali pi di vestiario vari (giubbetti, corsetti, scialli, pieced but with printed cottons and silk broca- per fare posto alla tanto lodata “civiltà”. Anco- cuffie ecc.), provenienti da disparate località. des; (e) apron: long flat rectangle, tapering at ra pochi anni e la ferrovia – una società geno- Pare opportuno ricordare come i dodici costu- bottom; red felt body with blue panels around vese ha ormai elaborato il progetto – “renderà mi donati dalle amministrazioni comunali fos- edges; yellow embroidery articulating edge of accessibili” anche queste regioni vergini, e sero il risultato di un appello che l’Assessorato body and corners, especially elaborate at upper commercio e traffico trionferanno sulla poesia al Turismo rivolse ai Sindaci dell’Isola, affin- corners; horizontal band across mid-center of e sull’arte. Così va il mondo!». M.L. Wagner ché disponessero la donazione di una coppia blue silk with abstract and floral embroidery 2001, p. 167. di costumi dei rispettivi centri per esporli nel and metallic ribbon at edges; (f) fitted cap of costituendo Museo». P. Piquereddu 1987, pp. red felt with blue silk edges and extensive yel- 2. Si veda G.G. Cau. Pionieri del cinemato- 78-79. low and multicolored embroidery articulating grafo in Sardegna. 1897-1907, Sassari, 1995. joins and shape; orange ribbon ties (later ad- Con motivazioni convincenti l’autore avanza 14. A.M. Cirese 1977. Sull’influenza di questo dition). Wool, silk, metal Class III». Reference: l’ipotesi che le scene della cavalcata, le più lavoro sulla museologia demoetnoantropolo- Anna Maria Colombo, Giampiero Speziale, I belle della serie del viaggio dei Reali in Sarde- gica degli anni Settanta e Ottanta e in genera- Costumi della Sardegna, Nuoro, 1983, pp. 116- gna, siano state riprese dall’operatore il giorno le sul dibattito in corso nel settore si vedano 124. Purchase: Irene Lewisohn Bequest. Ven- precedente la vera manifestazione, nel corso P. Clemente 1996; 1999. dor: Mr. Ermanno de Notti, Rome, Italy, 1967. delle prove generali. Si tratterebbe dunque di Note: Probably from the town of Desulo, in the «una fiction: una minicavalcata di appena cin- 15. In P. Clemente, “Il Museo che non è un province of Nuoro, east central Sardinia. Apron quanta secondi, girata con la consapevolezza Museo”, in Il Bosco delle cose. Il Museo Gua- can be worn over head for church or against e la complicità di dame e cavalieri». Ivi, p. 68. telli di Ozzano Taro, Parma 1966, p. 19. rain. Condition: Good; shirt collar smocking torn in one place; general wear. 3. Sulla storia del Museo Nazionale delle Arti 16. A.M.Cirese 1977, p. 38. e Tradizioni Popolari si veda il testo di Stefa- 21. Le schede catalografiche e le fotografie nia Massari in questo volume. Cfr. inoltre La- 17. A.M.Cirese 1977, p. 40. degli abiti sardi al Metropolitan si devono al- res, vol. I, 1912, pp. 9-55, con saggi di L. Lo- l’amichevole disponibilità di Chris Paulocik e ria, A. Mochi, F. Baldasseroni. 18. A.M.Cirese 1977, p. 49. Beth Alberty, Costume Institute Metropolitan Museum of Art, New York. 4. M. Vinelli 1927, p. 530. 19. P. Clemente, “Il Museo che non è un mu- seo” cit., p. 21 22. Devo tutte le informazioni e le schede sui 5. D. Levi 1937, p. 175. reperti sardi al Musée de l’Homme alla corte- 20. CI 67.29a-f REGIONAL Sardinian, late 19- sia della signora Yvonne de Sike, Responsabi- 6. G.U. Arata, G. Biasi 1935. early 20th c. le delle Collezioni europee del museo. «Woman’s ensemble, 5 pieces, of red wool with 7. Sulla storia e le collezioni del museo si veda applied panels of blue silk and lengths of yel- 23. Si ritiene utile riportare qui di seguito le Il Museo Sanna in Sassari, Sassari 1986; E. low embroidery along seams and decorative schede dei tre abiti Contu, M.L. Frongia, Il Nuovo museo Nazionale diagonals: (a) short jacket of red wool felt de- “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari, Sassari corated as above, with especially elaborate em- ITALIE. Sardaigne. 1976; G. Spano, Iniziazione ai miei studi, Ca- broidery on the lower sleeves; collarless; CF ope- Desulo Costume de femme: gliari 1997. ning; long sleeves with notch at ends; red velvet 1 “cuffia”: bonnet, broderie jaune & multico- interfacings; (b) skirt, the body of red wool 8. G. Carta Mantiglia 1979, p. 17. with deep hem band of red wool felt (probably lore, 2 rubans de soie rouge. replacement) surmounted by band of blue silk 2 “camisa”: chemise toile de coton blanc, en- 9. G. Carta Mantiglia 1979, pp. 17-18 and yellow embroidery; blue silk and embroi- dery treatment around waist; CB body pleated colure ronde plissée & brodée, manches 10. Alcuni reperti del museo furono riprodotti into waistband, the pleats partly sewn down; longues froncées à poignets brodés. in una pubblicazione che ebbe notevole riso- flat front, with some additional vertical em- 3 boutons jumelés dorés, filigrane & perles nanza, Vanità sarda 1986. broideries at sides and vertically across hem rouges. bands; crude slit pocket proper R seam; (c) 4 “gipponi” ou “corittu”: gilet à manches lon- 11. G. Lilliu 1987, p. 15. white commercial cotton chemise; full bodied gues, soie brochée rouge, top gathered into high standing collar with fine broderie jaune & multicolore. 12. Si veda al riguardo, G. Tore 1976; P. Pi- geometric smocking; white embroidery on 5 “corpetto” ou “solopattu”: gilet sans man- quereddu 1987, pp. 78-79; G. Lilliu. 1987, pp. shoulder section; full sleeve finely-gathered into ches, soie brochée, broderie 11-13. shoulder section and smocked cuff with but- jaune & multicolore, galon argent. 13. Più precisamente: «Diciotto provenivano da 446

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6 “gonna” ou “uresi”: jupe en laine tissée “or- tions de costumes du sud-est du continent ac- bace” rouge, avec ruban de quises dans le cadre de la collection de Jacques soie bleue & bande de drap fin rouge dans d’Aumale, qui témoignent des modes vestimen- le bas, fronces dans le dos. taires de la fin du XIXème siècle en Méditer- ranée orientale», in Les Collections du Musée de 7 “grembiule”: tablier en drap fin rouge, orné l’Homme. Nota redatta da un collettivo per il soie bleue, et broderie rinnovamento del Musée de l’Homme, 22 juil- jaune & multicolore; chainette & agrafes en let 1996. Presentata alla Commissione culturale argent avec pierres de del Senato nel settembre 1997. couleur pour attacher dans le dos. 25. F. Cagnetta, Banditi a Orgosolo, Nuoro 8 “grembiule”: tablier pour la tête, en laine tis- 2002. sée “orbace” rouge ornée soie bleue, et broderie jaune & multicolore. 26. Sulla figura di Francesco Bande e sul suo ruolo nella musica sarda del secondo dopo- ITALIE. Sardaigne guerra, nonché sul padre Mario, pure apprez- Orgosolo Costume de femme: zato suonatore d’organetto e la figlia Inoria che 1 “cuffia”: bonnet soie brochée multicolore a continua a tener viva una tradizione musicale giunta alla terza generazione, si veda G. Sanna, fleurs. Sonadores e Cantadores, Mario, Francesco e 2 “camisa”: chemise toile de coton blanc, lar- Inoria Bande, Cagliari 2001. ge encolure plissée & brodée, manches lon- gues froncées à poignets brodés. 3 gros boutons jumelés filigrane doré & pier- res rouges. 4 “gipponi” ou “corittu”: gilet à manches lon- gues, drap rouge, ornée soie bleue & bro- deries multicolores. 5 “corpetto” ou “solopattu”: gilet sans man- ches, soie noire bordée de drap rouge. 6 “gonna” ou “bunnedda”: jupe en laine tissée “orbace” rouge brique plissée, ornée bande de soie verte & drap rouge dans le bas. 7 “grembiule”: tablier soie noire brodée soie multicolore, motif du lotus stylisé. 8 “fazzoletto” ou “velu”: couvre-tête en soie tissée jaune avec 3 épingles longues en mé- tal doré. ITALIE. Sardaigne Orgosolo Costume de garçonnet: 1 “berritta”: coiffure, drap noir. 2 “camisa” ou “bentone”: chemise toile de coton blanc, encolure ronde froncée & brodée, manches longues froncées à poignets brodés. 3 “corittu”: veste courte, drap rouge orné de velours bleu foncé, broderies multicolores, manches longues à crevé. 4 “calzonis” (1) ou “carzones”: pantalon en toile de coton blanc avec une jupe courte “bragas” (2) en laine tissée “orbace” noire cousue à fronces à la taille du pantalon. 5 “burzichinos”, ou “bozzochinos” ou “cam- bittas”: jambières en laine tissée “orbace” noire, fenneture à agra- fes. 24. «Les musées d’anthropologie culturelle eu- ropéenne à travers le monde, même très riches, ne possèdent le plus souvent que des collections à caractère régional, parfois national. Les col- lections européennes du musée de l’Homme, qui proviennent de différentes cultures eu- ropéennes et se distinguent pour leur organi- sation en ensembles significatifs et cohérents, sont uniques au monde par leur étendue géo- graphique (tous les pays sont représentés, seu- le l’Angleterre l’étant pauvrement) et chrono- logique. Entreprises à l’occasion des Expositions uni- verselles du siècle dernier, les collections eu- ropéennes n’ont jamais cessé de s’enrichir; el- les se composent de quelque 50 000 pièces et connaissent encore une croissance régulière. A partir des années 1950, les recherches de ter- rain se sont multipliées, assurant leur docu- mentation et leur enrichissement. Elles ont été récemment enrichies des collec- 447

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Profili economici del settore abbigliamento in Sardegna Marco Vannini Un comparto meritevole di attenzione indotti dalla crescita del reddito, che confermano l’ipo- La presenza di un contributo di analisi economica po- tesi che il consumatore ama la varietà, ossia che al cre- trebbe apparire fuori posto nel contesto di un volume scere dell’agiatezza tende ad allargare sistematicamente dedicato prevalentemente all’abbigliamento tradizionale il proprio paniere di consumo per includervi beni diffe- in Sardegna. Un tema, quest’ultimo, caro agli studiosi di renziati e personalizzati; sia quelli legati all’evoluzione antropologia e tradizioni popolari, ma appena sfiorato dei valori etici, che portano gruppi consistenti di consu- dagli economisti a causa della modesta incidenza quan- matori a considerare attributi finora inediti dei beni da titativa del comparto. Tuttavia, allargando il discorso an- acquistare, come l’impronta ecologica o, più in generale, che al cosiddetto “abito etnico” e alla confezione artigia- l’impatto sociale. La produzione standardizzata di massa nale di capi di abbigliamento, si entra in un campo di incontra evidentemente notevoli difficoltà a soddisfare sicuro interesse non solo sotto il profilo quantitativo ma questi nuovi bisogni; si aprono così nuove opportunità anche qualitativo. Da alcuni anni, infatti, tanto la rifles- per molte produzioni tradizionali e per tutte quelle atti- sione teorica sui fattori chiave dello sviluppo e sull’evo- vità che, a torto o a ragione, vengono considerate in sin- luzione dei modelli di consumo nelle società ricche, tonia con i nuovi valori.2 quanto i riscontri empirici sull’emergere di iniziative pro- L’attuale risveglio d’interesse in seno al mainstream duttive con forti connotazioni territoriali, fenomeno in- non deve far dimenticare il lavoro degli studiosi dello spiegabile alla luce della visione classica dei processi di sviluppo locale, come Giacomo Becattini3 e Sebastiano industrializzazione, hanno richiamato l’attenzione dell’a- Brusco,4 che con molto anticipo hanno riconosciuto nel nalisi economica verso le attività tipiche. distretto industriale italiano un esempio di organizza- Sul piano strettamente teorico merita ricordare almeno zione produttiva funzionale alla crescita delle compe- due aspetti. Il primo, sottolineato da P. Romer,1 è il rico- tenze e alla diffusione delle idee generatrici di valore. noscimento che l’arretratezza economica di un paese può Il comparto dell’abbigliamento in Sardegna è stato analiz- dipendere non solo da un deficit di elementi materiali zato prevalentemente nell’ambito di ricerche più ampie (impianti, strade, materie prime ecc.) ma anche da un de- incentrate sul settore tessile,5 che insieme alla chimica ha ficit di idee, intendendo con ciò qualcosa di più ampio rappresentato uno degli assi portanti delle politiche pub- del classico divario tecnologico. L’attenzione si sposta da bliche volte a modernizzare la base produttiva dell’isola.6 fattori quali il risparmio e l’accumulazione ai meccanismi A questo punto occorre precisare i termini impiegati, in che favoriscono la diffusione delle idee capaci di genera- quanto espressioni quali abbigliamento, tessile-abbiglia- re valore economico. Il secondo aspetto è rappresentato mento, moda, industria della moda, sistema moda ecc. dall’evoluzione dei modelli formali impiegati dagli econo- possono assumere significati diversi a seconda del conte- misti, all’interno dei quali è divenuto possibile studiare le sto e, soprattutto, non sempre individuano una contro- implicazioni di ipotesi meno restrittive (e più realistiche) parte univoca fra gli aggregati delle statistiche ufficiali. In rispetto al binomio convenzionale di mercati concorren- particolare, a partire dalla più recente classificazione del- ziali e razionalità olimpica, come ad esempio l’esistenza le attività economiche dell’Istituto Centrale di Statistica, si di prodotti differenziati, rendimenti crescenti, processi di definisce come “industria della moda” l’aggregato com- apprendimento e dinamiche spaziali. prendente le sottosezioni “industrie tessili e dell’abbiglia- Sotto il profilo empirico, invece, assumono particolare mento” e “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti rilievo i mutamenti dei modelli di consumo: sia quelli in cuoio e pelli”. Questo sottoinsieme, chiamato a volte TAC per ricordare 704. Modelli sartoriali in velluto, 2001, fotografia di Salvatore Ligios. la triade tessile-abbigliamento-calzature, può risultare a L’abito in velluto, di pertinenza esclusiva di pastori e contadini, seconda dei casi troppo ristretto o troppo ampio. Se ad dagli anni Ottanta – crescendo come fenomeno di moda (anche da esempio si desidera misurare il peso economico del siste- esportazione) fino all’attuale diffusione –, è divenuto l’abito elegante ma moda, limitarsi al TAC sarebbe riduttivo,7 in quanto si 704 da indossare per la festa. 449

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705 ni del sistema delle confezioni e si conclude con alcune osservazione sulle politiche economiche rivolte al raffor- lascerebbero fuori almeno tre importanti gruppi di atti- zamento degli elementi positivi emersi negli ultimi anni. vità: quelle integrate col ciclo produttivo del tessile-ab- bigliamento (produzione di bottoni, accessori, cerniere L’industria della moda in Sardegna: struttura ecc.) o affini a quest’ultimo (produzione di profumi, produttiva e analisi finanziaria gioielli, occhiali); quelle riguardanti la distribuzione dei Prima di addentrarci nell’analisi riguardante la Sardegna, prodotti del TAC; quelle relative alla congerie di iniziati- è opportuno riassumere gli elementi principali che carat- ve che ruotano intorno al fenomeno moda (showroom, terizzano oggi il settore moda a livello internazionale e sfilate, editoria specializzata ecc.). Se invece l’analisi nazionale. Da un lato si registra un andamento congiun- vuole approfondire la situazione a valle della filiera tes- turale sfavorevole, con riduzione degli scambi commer- sile, come nell’interessante ricerca del CIRIEC per la Re- ciali internazionali, dovuto in gran parte alle vicende del- gione Toscana,8 allora si possono omettere le imprese l’economia americana e ai suoi riflessi sulle economie dei produttrici di beni intermedi, le industrie tessili e quelle paesi collegati; dall’altro lato, come conseguenza dei pro- conciarie. cessi di integrazione economica mondiale, si assiste alla Nel nostro caso l’obbiettivo è quello di documentare crescita impetuosa delle quote di mercato di alcuni paesi l’evoluzione del settore nel suo complesso, così da poter in via di sviluppo e in particolare della Cina. Secondo la disporre di una cornice di riferimento dentro la quale in- Banca Mondiale, quest’ultima vedrebbe salire la propria terpretare il recente fermento che ha interessato più da quota complessiva di mercato dall’attuale 20% al 50% en- vicino il comparto dell’abbigliamento. Con ciò intendia- tro il 2010. A conferma di ciò le più recenti statistiche del mo sia l’affacciarsi sulla scena internazionale di alcuni WTO relative alle quote mondiali di esportazioni nel set- stilisti il cui lavoro affonda le radici nella cultura locale, tore abbigliamento nel 2001 indicano per la Cina il 18,8% sia l’apparente maggiore dinamismo di un certo numero e per l’Unione Europea il 24,1%. L’Italia, fra il 1990 e il di laboratori che operano nel campo delle confezioni tradizionali. Il lavoro, pertanto, si apre con un’analisi del 705. Sartoria Modolo, interno del laboratorio, Orani, 2003. TAC in Sardegna alla luce dei dati più aggiornati (il quin- quennio 1996-2000), prosegue con un approfondimento riguardante una selezione ragionata di imprese e artigia- 450

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2001, vede ridursi la sua quota dall’11% al 7,2%. Sul ver- territorio nazionale in maniera significativamente più sante delle importazioni, l’aggregato UE-USA-Giappone equilibrata rispetto al settore manifatturiero. fa la parte del leone tanto per i prodotti dell’abbigliamen- Il settore TAC in Sardegna ha una tradizione artigianale to (80%) quanto per i prodotti tessili (39,2). antica e molto spiccata.13 Oltre l’83% delle imprese sono Secondo la ricostruzione effettuata dall’ISTAT col Censi- artigiane. Esso comprende fondamentalmente i laboratori mento intermedio del 1996, l’industria della moda italia- di tessitura e realizzazione dei tappeti originali insieme na occupava 927.000 addetti distribuiti in 105.840 azien- ad alcune medie imprese che si occupano di fibre e di de. In base alle cifre dell’occupazione lo spessore del confezionamento di vestiti. Il settore, definito dalla classi- TAC, in Italia, risulta doppio rispetto al settore alimentare ficazione ISTAT Ateco91 con i codici di ramo 17, 18 e 19, e circa quattro volte maggiore di quello del settore chi- si articola nei seguenti sottosettori: preparazione e filatura mico. In termini relativi, l’occupazione del TAC rappre- di fibre tessili; tessitura di materie tessili; finissaggio dei senta il 19% dell’occupazione manifatturiera e il 6,7% di tessili; confezionamento di articoli in tessuto; fabbricazio- quella totale dell’industria e dei servizi. Come sottolinea ne di maglierie, confezione di articoli di vestiario, prepa- Hermes Lab9 questi rapporti crescono visibilmente se si razione e confezione di articoli in pelliccia, fabbricazione usano le definizioni estese del settore, ma in ogni caso, di articoli da viaggio e borse, fabbricazione di calzature. anche guardando al solo tessile-abbigliamento, mostrano Nel 2000 le imprese tessili, dell’abbigliamento e delle cal- una specializzazione produttiva che nell’ambito dell’UE zature in Sardegna erano 967 e costituivano circa il 7% si riscontra solo in Portogallo e Grecia. delle aziende dell’industria in senso stretto operanti sul In termini di fatturato il valore stimato per fine 200310 è territorio regionale. Si ripartivano per forma giuridica di 44 miliardi di euro. Questo risultato, che ci riporta a per l’85,8% come ditte individuali o società di persone valori inferiori a quelli del 1999, riflette una riduzione (rispettivamente 76,1% e 9,7%), per il 7,5% come società del saldo commerciale (esportazioni meno importazioni) di capitale e per il 6,6% come società cooperative. con l’estero, che rimane comunque positivo e pari a po- Il settore raccoglieva nel 2000 il 6,5% degli addetti totali co più di 12 milioni di euro, non compensato dalle fonti dell’industria in senso stretto (3.699 occupati), ponendo- di domanda interne. La quota delle esportazioni sul fat- si al settimo posto nella graduatoria regionale. È costi- turato continua a oscillare intorno al 60%. A guidare le tuito prevalentemente da piccole imprese (micro impre- esportazioni nel settore sono la Lombardia (31,6%), il Ve- se secondo la classificazione UE), con una dimensione neto (17,3%), la Toscana (17,2%) e il Piemonte (11,1%). media pari a 3,8 unità di lavoro. All’interno esistono delle Con una quota dello 0,07% la Sardegna si colloca al differenze significative a seconda del tipo di produzione. terz’ultimo posto della graduatoria regionale, seguita da La dimensione media nell’abbigliamento (2,4) e nelle cal- Basilicata e Valle d’Aosta. zature (1,8) rispecchia un’organizzazione di tipo artigia- Sul piano qualitativo è importante segnalare come i cedi- nale mentre nel tessile raggiunge un valore di 6,8 addetti menti descritti siano da addebitare non solo alle debo- come riflesso della presenza delle uniche realtà industria- lezze del quadro macroeconomico interno ed esterno, li del settore. Dal 1996 al 2000 il profilo complessivo del ma anche «all’apprezzamento dell’euro che ha ridotto la settore in termini di addetti è rimasto pressoché inaltera- competitività delle merci italiane in segmenti di mercato, to, mentre è aumentato leggermente il numero di impre- anche di fascia media, ormai molto sensibili a fattori di se. Nel biennio 1997-98 al calo nel numero di imprese prezzo e sempre meglio presidiati dall’offerta dei paesi del comparto industriale del tessile si è accompagnato un emergenti».11 I riflessi negativi sono stati più pronunciati incremento dell’occupazione nelle produzioni a carattere nell’industria tessile e nell’abbigliamento-maglieria-calzet- prevalentemente artigianale. teria, ma all’interno di ciascun comparto «le performance delle imprese terziste e, in generale, di quelle con le più 4000 3.644 3.566 3.664 3.626 3.699 deboli relazioni di filiera sono risultate le peggiori».12 3500 Giova ricordare che nel Paese vi sono circa 15 distretti a 3000 897 885 864 898 967 prevalente specializzazione nella filiera del tessile-abbi- 2500 gliamento. Alla loro omogeneità interna si contrappone 2000 1996 1997 1998 1999 2000 la diversità dei rispettivi sistemi produttivi, evidente an- 1500 che a livello provinciale e regionale, in termini di pro- 1000 pensione all’export, presenza di grandi imprese e utilizzo di marchi propri. Sul piano dimensionale, l’intero settore 500 è caratterizzato da una forte presenza di imprese micro 0 (meno di 10 addetti) e piccole (10-50 addetti), con un’in- cidenza occupazionale, al Censimento intermedio 1996, Imprese Addetti pari rispettivamente al 26% e al 44% del totale di settore. Le stesse classi dimensionali nel settore manifatturiero in- Tav. 1 - Imprese e Addetti del TAC, 1996-2000 (fonte: Elaborazioni cidono in misura pari al 24,9% e al 31,7%. È infine inte- su dati Annuario Statistico 2003 - Osservatorio Industriale). ressante notare che l’industria della moda è presente nel 451

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10,0 2,7 3,9 7,7 Il comparto tessile chiude mediamente i propri bilanci 8,0 -1,0 2,0 in perdita. Il 21% del valore aggiunto è assorbito dai 6,0 -2,4 Addetti creditori, l’1,3% dallo Stato per imposte e tasse e circa il 4,0 Imprese 74,5% è utilizzato per la remunerazione degli addetti 2,0 del comparto. Una parte del valore aggiunto rientra sot- 0,0 to forma di ammortamenti per circa il 26,1%. -2,0 -4,0 -1,3 80,0 74,5 -2,1 60,0 40,0 20,0 21,0 26,1 0,0 Oneri 1,3 -22,9 -20,0 finanziari Imposte Tav. 2 - Variazioni percentuali 1996-2000 (fonte: Elaborazioni -40,0 su dati Annuario Statistico 2003 - Osservatorio Industriale). Per valutare lo stato di salute del settore dal punto di vi- Costo del Ammortamenti Utile o sta economico e finanziario sarebbe necessario disporre Lavoro perdita netta dei bilanci di esercizio di tutte le imprese censite, ma dell’esercizio ciò non è possibile. Tuttavia, grazie alle informazioni dell’Archivio Bilanci dell’Osservatorio Industriale, siamo Tav. 4 - Distribuzione media del valore aggiunto tra i fattori primari in grado di ricostruire per gli anni 1994-2001 l’andamen- 1994-2001 (fonte: Elaborazioni su dati Annuario Statistico 2003 - to di un gruppo particolare di imprese appartenenti al Osservatorio Industriale). settore. Si tratta in pratica di 37 società di capitale con l’obbligo del deposito di bilancio, 23 fra Srl ed Spa e 14 I dati della tav. 5, relativi a fatturato e valore aggiunto, cooperative, per un totale medio di 1.251 addetti nel pe- mostrano un andamento altalenante: con un picco nel riodo considerato, che figurano nella speciale graduato- periodo 1996-97, un calo nei due anni successivi e un ria delle imprese guida operanti in Sardegna, ovvero di accenno recente di ripresa. L’andamento a livello aggre- quelle imprese che nella distribuzione statistica ordinata gato è trainato dai risultati del settore del trattamento in senso decrescente per fatturato e valore aggiunto si delle fibre tessili e nasconde un calo del settore abbi- collocano fra il 100° e il 75° percentile. gliamento per tutto il periodo 1995-99, solo in parte Sulla base del contributo al valore aggiunto dell’indu- controbilanciato dai dati dell’ultimo triennio. stria in senso stretto, il settore si colloca al quinto posto della graduatoria regionale, con una media dell’8,9% ne- 160.000 45.000 gli 8 anni considerati. A questo risultato concorre preva- lentemente il trattamento delle fibre tessili (86,3%), men- 140.000 40.000 tre l’abbigliamento partecipa per il restante 13,7%. 120.000 35.000 ABBIGLIAMENTO 13,7% 100.000 30.000 25.000 80.000 20.000 60.000 15.000 40.000 10.000 20.000 5.000 00 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 Valore aggiunto Fatturato TRATTAMENTO FIBRE TESSILI 86,3% Tav. 5 - Fatturato o valore aggiunto del Tessile e Abbigliamento (fatturato scala di sinistra, v.a. scala di destra, milioni di Euro) Valore aggiunto ANNO (fonte: Elaborazioni su dati Annuario Statistico 2003 - Osservatorio Industriale). Contribuzione % 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 media dei sottosettori Rivolgendo ora l’attenzione agli equilibri economico-fi- nanziari, consideriamo gli indicatori riportati nella tav. 6, ABBIGLIAMENTO 24,71 19,5 16,25 11,01 10,16 11,88 12,16 4,18 13,7 che fotografano l’impresa mediana (interpretabile come l’impresa dal comportamento tipico in relazione all’uni- TRATT. FIBRE 75,29 80,4 83,75 88,99 89,84 88,12 87,84 95,82 86,3 verso considerato) sotto sei diversi profili. Inutile dire TESSILI che in un’analisi esaustiva questi andrebbero commentati in maniera coordinata. Qui possiamo darne solo una let- Totale 100 100 100 100 100 100 100 100 100 tura veloce. Tav. 3 - Ripartizione del valore aggiunto fra i sottosettori (fonte: Elabo- razioni su dati Annuario Statistico 2003 - Osservatorio Industriale). 452

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80,0 72,6 I primi due (a,b), in particolare nell’ultimo triennio, ci 60,0 restituiscono un quadro preoccupante. L’impresa tipica 40,0 20,3 25,5 stenta ad aumentare la propria presenza sul mercato 20,0 (variazioni del fatturato modeste o negative), è scarsa- -19,4 1,0 mente dinamica (valore aggiunto calante) e, stando al- 0,0 l’indicatore relativo alla crescita globale del patrimonio -20,0 Utile netto Interessi Ammortamenti Retribuzioni Imposte di proprietà degli azionisti, vive una fase di staziona- -40,0 d’esercizio passivi e tasse rietà/regresso. Il rapporto fra risultato netto e capitale materiali e al personale proprio (ROE) e fra reddito operativo e capitale investi- to (ROI), che esprimono rispettivamente il grado di re- immateriali lorde munerazione del rischio effettivamente sostenuto dal- l’imprenditore (da confrontare in equilibrio con un tasso TAV. 6 - INDICATORI DI BILANCIO MEDIANI (PANEL OSSERVATORIO INDUSTRIALE) privo di rischio) e la capacità di produrre reddito a pre- scindere dalla struttura finanziaria (da valutare alla luce ANNI del costo medio del danaro) assumono, anche tenendo conto di alcune peculiarità del contesto locale che com- INDICI MEDIANI 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 portano la sottostima degli utili contabili, valori estrema- mente modesti. Dato che il ROI è influenzato dal margi- a) Sviluppo ne sulle vendite (ROS) e dal volume di queste ultime (Turnover), non stupisce che anche questi indicatori as- Variazione fatturato 13,0 7,3 -2,0 5,4 1,1 -10,6 0,1 sumano valori molto contenuti. È interessante valutare gli indicatori di produttività (c), Variazione valore aggiunto 11,1 9,1 -6,2 6,6 -1,0 -1,4 -3,1 che dipendono sia da scelte interne all’impresa sia da fat- tori ambientali che non ricadono sotto il suo controllo, in Variazione Capitale Netto 2,9 0,6 0,0 3,6 0,0 0,4 -3,6 rapporto alla media regionale. Il valore aggiunto per ad- detto si attesta su valori inferiori a quelli relativi al siste- b) Redditività ma, (8-15 migliaia di euro nel comparto tessile contro 25- 30 migliaia di euro per addetto del sistema Sardegna) così ROE (Return on Equity) 0,5 4,3 0,0 0,2 0,0 0,0 -1,2 come il fatturato per addetto (17-42 migliaia di euro con- tro 71-86 migliaia di euro per addetto per la Sardegna). Il ROI (Return on Investment) 2,0 3,3 1,1 1,5 1,0 0,0 0,0 costo del lavoro per addetto è lievemente crescente dal 1994 al 2000, mentre il cash flow per addetto mostra un ROS (Return on Sales) 1,7 4,4 1,2 0,7 1,9 0,0 0,0 andamento negativo tranne che nel 1995 e nel 1996. Infine, un rapido sguardo ad alcuni aspetti squisitamen- Turnover 0,8 0,8 0,7 0,7 0,6 0,6 0,5 te finanziari, accanto a una certa rigidità della struttura dell’attivo e alla quasi totale assenza di investimenti im- Valore aggiunto su attività 26,7 27,4 23,0 23,0 21,9 15,7 15,5 materiali, permette di evidenziare: un rapporto fra passi- vità e capitale netto (leverage), indice del rischio finan- Oneri Finanziari su Fatturato 3,0 3,5 3,6 4,3 3,8 3,1 3,1 ziario dell’impresa, inferiore rispetto ai corrispondenti valori regionali (dove le passività sono circa il triplo del c) Produttività netto); un fragile equilibrio finanziario a breve, testimo- niato dal cedimento del rapporto disponibilità ed esigi- Valore aggiunto su 1,2 1,4 1,2 1,1 1,3 1,2 1,1 bilità (attività correnti/passività correnti); un andamento Costo del lavoro molto variabile sia delle fonti di natura strutturale sia di quelle autogenerate. Valore aggiunto per addetto 12,9 17,8 13,1 14,2 10,2 8,0 15,4 (migliaia di euro) Tendenze attuali nel settore abbigliamento-moda Nelle sezioni precedenti abbiamo delineato lo scenario Fatturato per addetto 33,1 42,0 24,5 28,0 20,9 17,1 31,3 più ampio entro il quale, da alcuni anni a questa parte, (migliaia di euro) si assiste in Sardegna a un evidente fermento nel campo dell’abbigliamento/moda: una miscela di successi ecla- Costo del lavoro per addetto 10,1 11,9 10,7 10,8 10,2 9,7 11,7 tanti come quello dello stilista algherese Antonio Marras, (migliaia di euro) rilanci emblematici di attività sartoriali tradizionali come quella di Paolo Modolo, sviluppo di configurazioni di fi- Cash flow per addetto -0,3 1,3 0,3 -0,1 -0,2 -0,6 -1,6 liera come nell’area industriale di Tossilo-Macomer. Do- (migliaia di euro) cumentare una congerie così eterogenea di casi è diffici- le sia perché mancano informazioni ufficiali sia per le d) Struttura dell’attivo e del passivo Immobilizzazioni immateriali 0,1 0,1 0,0 0,0 0,0 0,1 0,1 su Attivo Immobilizzazioni materiali 37,5 29,5 41,1 31,9 38,7 38,0 38,3 su Attivo Passività a BT su Passività 78,1 72,5 71,4 67,5 70,3 72,9 81,8 Passività a MLT su Passività 21,9 27,5 28,6 32,5 29,7 27,1 18,4 e) Gestione circolante e liquidità Disponibilità su Esigibilità 114,0 126,8 125,0 116,9 111,0 109,4 90,0 Rotazione crediti commerciali gg 73,9 73,0 75,1 66,9 81,8 162,3 136,6 Rotazione debiti commerciali gg 185,8 228,2 219,0 230,5 214,0 74,7 64,4 Cash flow su Attività 5,0 9,9 3,6 0,0 1,1 -7,2 -0,4 MOL su Oneri finanziari 2,9 2,5 1,9 2,2 2,2 2,1 2,1 f) Equilibrio delle fonti e degli impieghi - Liquidità Passività su Netto 1,9 1,8 2,3 1,8 1,9 1,3 1,4 Cash flow su Totale fonti -0,8 6,4 0,7 -1,6 -1,2 -9,7 -2,9 di liquidità Impieghi autogenerati CL 87,4 77,3 81,1 87,2 84,8 83,3 78,5 su Impieghi di liquidità Impieghi strutturali CL 12,6 22,7 18,9 12,8 15,2 16,7 21,5 su Impieghi di liquidità Fonti autogenerate CL 89,5 87,5 83,5 85,2 87,9 63,5 79,2 su Fonti di liquidità Fonti strutturali CL 10,5 12,5 16,5 14,8 12,1 36,5 20,8 su Fonti di liquidità Tav. 6 - Indicatori di bilancio mediani (fonte: Elaborazioni su dati Le imprese guida in Sardegna 2001 - Osservatorio Industriale). 453

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706 ti: quello dei sarti e/o stilisti, dove troviamo essenzial- mente microimprese artigiane totalmente dipendenti peculiarità delle attività considerate. Abbiamo dunque dalla fama e personalità del titolare; quello dei confezio- optato per una serie di interviste, effettuate nell’ottobre nisti dove operano imprese di dimensioni medie, carat- 2003, tramite un questionario strutturato (incentrato su terizzato da strutture industriali più articolate. struttura aziendale, tecnologia, legami col territorio e con Il primo gruppo è presente in tutto il territorio, anche nei la tradizione) somministrato a un sottoinsieme di trenta villaggi più piccoli.15 Si tratta di artigiani della confezione operatori rappresentativi dei comparti sartoria e confe- che operano su scala estremamente ridotta con la forma zione industriale. Non abbiamo invece considerato i casi societaria prevalente di ditta individuale oppure di picco- eccezionali e idiosincratici, per altri versi straordinaria- la cooperativa. Alcuni sarti locali sono stati capaci di cre- mente importanti, di stilisti quali Antonio Marras e Angelo scere professionalmente e rimanere innovativi, creando Figus, dei quali soltanto il primo mantiene un significati- aziende che impiegano intorno ai 10 dipendenti e che vo rapporto economico col territorio, attraverso la realiz- partecipano ad eventi di spicco regionali e nazionali. Al- zazione – accanto alle collezioni disegnate per Kenzo tri hanno acquisito fama perché tramandano tecniche (Parigi) e per BVM (Bologna) – di una linea in serie limi- e/o fogge tradizionali che vanno scomparendo – è il ca- tata prodotta ad Alghero con personale locale e tecniche so dei completi in velluto dei laboratori Modolo e Papas- semiartigianali.14 sedda ma anche del macramè di Daniela Langione e dei Preliminarmente ricordiamo che la produzione di capi ricami delle sorelle Piredda. La maggior parte dei sarti di abbigliamento in Sardegna è una attività minoritaria, i continua un’attività classica di taglio e confezione su mi- cui volumi di produzione sono molto bassi. Ciò impedi- sura. Quanti hanno scelto di utilizzare nel loro lavoro sce il formarsi di una filiera, di una rete densa e articola- tessuti realizzati artigianalmente sul territorio hanno avu- ta di rapporti di fornitura fra le imprese attive nel setto- to modo di constatare come gli artigiani (soprattutto le re. La tendenza prevalente è quella di svolgere in seno donne) non attribuiscano un valore economico primario all’azienda tutte le fasi di produzione. Altra conseguenza alla propria attività: la produzione artigiana viene messa dei bassi volumi è la scarsità di materiali nel mercato lo- in secondo piano se gli impegni familiari lo domandano, cale: i fornitori italiani non trovano conveniente battere rendendo così difficile programmare i volumi di produ- la piazza sarda, in quanto gli acquisti tendono ad essere zione e sviluppare percorsi innovativi che richiedono im- inferiori al minimo richiesto per la vendita, e i cataloghi pegno costante. non vengono rinnovati se all’invio iniziale non fa segui- to alcun acquisto. 706. Sartoria Papassedda, interno del laboratorio, Orune, 2003. In questo contesto è più accurato parlare di settore del- l’abbigliamento in Sardegna avendo in mente due ambi- 454

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Tutti i sarti curano i propri capi nei dettagli per distin- riconoscendo che spesso sono i media a sottolineare guerli dal prodotto di serie ed aumentarne il valore, e connotazioni etniche (vere o presunte) nelle collezioni puntano su una clientela fedele che spesso necessita del degli stilisti sardi di successo. La “sardità” – insistono capo su misura per problemi di vestibilità. Alcuni di loro molti operatori – è una cosa che abbiamo dentro e come hanno fatto leva su questo segmento per attrarre anche tale non deve essere citata forzatamente, perché fa co- una clientela che sceglie la moda su misura pur avendo munque parte di noi. Se in alcuni casi le loro creazioni alternative di tutti i prezzi e qualità; altri ritengono che la non sembrano confermare questa visione del problema concorrenza di prezzo delle collezioni di serie sia insoste- (il richiamo ai segni più conclamati della cultura locale è nibile salvo che per i capi una tantum, come l’abito da piuttosto diffuso), in altri il legame con la tradizione si sposa, o quelli meno impegnativi, come le camicie, e che fonda soprattutto sull’uso di modelli, tecniche e materiali la produzione sartoriale sia quindi destinata a scomparire. che derivano dall’evoluzione novecentesca dell’abito tra- Nelle sartorie più moderne la produzione, con fasi di la- dizionale (la riproposizione del completo di velluto in vorazione tutte interne all’impresa, prevede taglie stan- quanto “abito etnico” dei sardi).16 dard, modificabili su richiesta nei dettagli. La confezione Il settore delle confezioni di serie ha vita difficile e le su misura in senso stretto non supera il 40%. Tutti gli in- imprese solide che producono con proprio marchio si tervistati ritengono che non sia ipotizzabile la creazione contano sulle dita di una mano. Circa 20 altre aziende – di una filiera e di comparti specializzati in Sardegna, per- tra confezioni e maglieria – producono interamente in ché i volumi di produzione non lo consentono. I materiali conto terzi. – dai tessuti ai bottoni alle cerniere lampo – vengono dall’esterno dell’isola, specialmente quelli più eccentrici LA PRODUZIONE INDUSTRIALE DI ABBIGLIAMENTO IN SARDEGNA rispetto ai trend di moda correnti. Acquistando al di sot- to del volume minimo richiesto dai fornitori (in genere Settore Numero di imprese 25-30 metri di tessuto) si va incontro a una maggiorazio- ne di prezzo di circa il 20%, alla quale si aggiungono le Confezioni 10 spese di trasporto; accade così che si tenda ad acquista- re più materiali di quelli necessari al momento, con evi- Maglieria 5 denti inefficienze nella gestione del magazzino. La maggior parte delle sartorie si rivolge al mercato loca- Intimo, mare, calzetteria 17 le e vende direttamente al cliente finale, con una base di vendita che va dai cento ai settecento clienti regolari. In Abbigliamento tecnico, moquettes ecc. 69 alcuni casi economicamente significativi, tuttavia, circa la metà della produzione si divide fra Italia ed estero. TOTALE 101 Il fatturato delle sartorie del capoluogo si inquadra me- diamente tra i 100-250 mila euro all’anno. Nelle sartorie (fonte: Consorzio 21, Officina Tessile Polaris). più piccole la reticenza a divulgare gli aspetti contabili non consente alcuna stima. La concorrenza dei distretti industriali italiani e stranieri Le sartorie utilizzano generalmente macchinari a basso non è facilmente sostenibile sia per la distanza dei mer- contenuto tecnologico, evitando le procedure compute- cati sia per i limiti dell’organizzazione produttiva. Tutte rizzate, salvo che per la gestione amministrativa e le re- le imprese contattate sottolineano il problema della fram- lazioni esterne. I contatti personali e la partecipazione a mentazione produttiva e dei fallimenti dei tentativi volti a eventi di settore costituiscono ancora i principali mezzi conseguire una maggiore coesione. Poiché nel comparto per estendere l’attività. gli impianti industriali sono più sofisticati, la produzione Il comparto sartoria è molto attivo nella formazione: tutti totalmente standardizzata, la specializzazione intensa, è gli intervistati sono impegnati in iniziative formative e di evidente che il gap di idee (anche di quelle sottese alle aggiornamento, la cui qualità è tuttavia universalmente politiche pubbliche) costituisce forse l’aspetto più pro- criticata. Molti sottolineano come la formazione del per- blematico. Fa eccezione il caso dell’area di Tossilo-Ma- sonale avvenga comunque sempre nell’azienda, soprat- comer, dove a parte le fasi di design e di progettazione tutto col ricorso ai contratti di formazione-lavoro. La du- – sviluppate all’esterno – esiste una significativa integra- rata dei contratti, ritenuta insufficiente, e la suddivisione zione verticale nello svolgimento delle operazioni di delle ore fra teoria e pratica al loro interno ostacolano campionatura e raccolta ordini, da una parte e di stiratu- tuttavia una piena efficacia di questo strumento. ra, confezione e imbustamento dall’altra. Il richiamo a una generica “sardità” è stato indicato co- Contrariamente ai sarti, i confezionisti usano le nuove me fonte di ispirazione primaria dalla maggior parte de- tecnologie anche per la modellistica ed il taglio e utilizza- gli intervistati; al tempo stesso, praticamente tutti si di- no internet per comunicare con fornitori e clienti. L’uso chiarano poco entusiasti di un recupero di temi e motivi efficiente delle tecnologie trova però un grosso limite nel- della tradizione sarda basato su stereotipi ricorrenti (cul- la mancanza, in loco, di figure professionali specializzate tura agro-pastorale, ricordi della preistoria nuragica), pur (per esempio scarseggia la figura del modellista e dell’as- sistente tecnico ai macchinari). Ciò tende anche a mitiga- re il reclutamento. Raramente le aziende superano i 60 455

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impiegati. Molte di esse, inoltre, non hanno un incenti- moda da elementi culturali le cui dinamiche trascendo- vo a lasciare lo status di aziende artigiane per quello di no la sfera di influenza degli operatori individuali. imprese industriali: godono di maggiore flessibilità con- Affinché un settore costituito da monadi arroccate (ma trattuale, hanno un migliore accesso agli incentivi pub- meritevole di attenzione, non foss’altro per la capacità blici, e di conseguenza una gestione più leggera. Que- mostrata da alcune di esse di rispondere ai segnali del sto porta a contenere il numero di addetti regolari entro mercato) possa crescere ed assumere un rilievo economi- il limite di 15 previsto dalla normativa sull’artigianato. co significativo è dunque fondamentale un intervento La maggior parte delle aziende sarde producono in conto pubblico lungimirante, non circoscritto a rimuovere i limi- terzi, e non hanno perciò contatti diretti con la distribu- ti evidenziati dagli artigiani (per esempio formazione, co- zione. Per i produttori a marca propria il controllo della sti di trasporto, trasmissione delle competenze ecc.) ma distribuzione e dei punti vendita diventa importantissimo rivolto a rafforzare quegli elementi della cultura locale proprio quando i mercati, come nell’attuale fase congiun- che da un lato ne promuovono l’immagine all’esterno, turale, non sono in grado di sostenere le vendite. Come dall’altro ne salvaguardano gli aspetti meno banali e ste- testimonia l’esperienza dei tre principali confezionisti a reotipi. Un precedente in questo senso è offerto, per il marca propria della Sardegna, la possibilità di controllare settore tessile come per altri comparti produttivi artigiana- la distribuzione e spingere i propri prodotti mediante le li, dall’esperienza svolta dall’ISOLA sotto la guida di Eu- giuste collocazioni in vetrina e in sala è cruciale. genio Tavolara a cavallo fra gli anni Cinquanta e i Sessan- ta. Una felice combinazione di know-how artigianale e Conclusioni competenze progettuali di alto profilo riuscì in quegli an- L’interrogativo principale cui questo lavoro intendeva ni a creare un’immagine della Sardegna ricca di spessore dare risposta riguardava le cause dell’attuale fervore che culturale, ma anche di richiamo commerciale. Produzioni caratterizza il comparto dell’abbigliamento-moda in Sar- a forte connotazione identitaria come quelle del settore degna. A tal fine, dopo aver ricostruito il quadro econo- abbigliamento sentono oggi il bisogno di un retroterra di mico entro cui collocare il fenomeno, abbiamo svolto questo tipo, anche per contrastare l’immagine al momen- un’indagine riguardante quattro aspetti critici dell’attività to vincente di un paradiso balneare dorato quanto privo delle imprese operanti nei comparti della sartoria e della di caratterizzazione. Ma proprio il carattere indiretto e confezione industriale. La ricerca ha messo in luce il fat- pervasivo di queste forme di intervento le rende partico- to che lo sviluppo osservato è il risultato di un adegua- larmente difficili da mettere in pratica. mento creativo alle trasformazioni della domanda cui però non corrisponde, oggi, un’evoluzione coerente del- Note l’organizzazione produttiva. Ciò è tanto più importante se si considera l’estrema volubilità della domanda e la 1. P. Romer 1993. sempre più breve vita commerciale dei prodotti in que- sto settore. Sono pochi gli operatori che hanno mostrato 2. A. Sassu, S. Lodde 2003. consapevolezza di ciò o che, avendola, sembrano deter- minati a perseguire i cambiamenti necessari, la cui at- 3. G. Becattini 1987. tuazione non è peraltro agevole né scontata. Se infatti si desidera mantenere quella prerogativa artigianale cui il 4. S. Brusco 1989. prodotto deve il suo successo iniziale si deve rinunciare ad un rilevante sviluppo dei volumi di produzione. 5. Vedi: V. Dettori 1986; S. Domeneghetti 1997; L. Milani 1990. Come indicano molte storie di successo in un settore solo apparentemente lontano da quello della moda, 6. Sugli esiti di tali interventi non possiamo soffermarci, per cui si riman- quello enologico, è possibile trovare un punto di equi- da, oltre che ai lavori appena citati, a L. Cannari, S. Chiri 2000; R. Paci, F. librio fra queste opposte esigenze solo attraverso una Pigliaru e M. Vannini, Il ritardo economico della Sardegna. Ipotesi inter- costante opera di diversificazione delle proposte e di pretative e strategie di intervento, dattiloscritto, Regione Autonoma della miglioramento dei processi produttivi. Ciò può avvenire Sardegna, Cagliari 1995. in vari modi: reinventando vecchi processi, utilizzando tecniche più sofisticate, intensificando la qualità della 7. H. Lab 2001. formazione, ricercando forme inedite di collaborazione, ideando nuove strategie di marketing. In altre parole 8. CIRIEC, Il Sistema Moda in Toscana: un’analisi comparata degli sce- organizzandosi al meglio per cogliere le opportunità of- nari competitivi e della domanda di lavoro, 1998. ferte dalle caratteristiche dei consumatori postindustria- li. Chiedere all’artigiano di accollarsi da solo gli investi- 9. H. Lab 2001. menti che questo obbiettivo richiede è velleitario (ma può succedere, come è accaduto recentemente in altre 10. Cfr. Sistema Moda Italia, “La filiera tessile-abbigliamento-moda ita- aree del Meridione). Nel caso specifico della Sardegna, liana”, in Nota Congiunturale, settembre 2003. inoltre, occorre riconoscere il ruolo cruciale svolto nella 11. Sistema Moda Italia, “La filiera tessile-abbigliamento-moda italiana” cit., p. 2. 12. Sistema Moda Italia, “La filiera tessile-abbigliamento-moda italiana”, cit., p. 3. 13. Per una ricostruzione di alcuni profili storico-economici vedi ad esempio: M.L di Felice, L. Sanna, G. Sapelli 1997; S. Ruju 1988. 14. G. Altea, A. Borgogelli 2003. 15. Per una mappa dell’abito in velluto vedi: U. Cocco, G. Marras 2000. 16. U. Cocco, G. Marras 2000. 456

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