Alessandro Santoro, docente di scienze delle finanze all’università Bicocca di Milano, si è appena chiusa la «rottamazione quater» delle cartelle fiscali, e il vice-premier Salvini ha rilanciato l’idea di un «pace fiscale per 15 milioni» di persone. Che senso ha?
Mi sembra che sia in una posizione ortogonale rispetto a quanto il suo stesso governo ha annunciato di fare nella delega fiscale che è in discussione in parlamento. La delega punta sul concordato preventivo attraverso la quale l’amministrazione dovrebbe definire, contribuente per contribuente, procedure di rientro in termini accettabili. Senza contare il fatto che la «rottamazione quater» dovrebbe avere prodotto risultati superiori alle attese. Con le sue affermazioni Salvini rischia di provocare un effetto boomerang: se il contribuente percepisce l’arrivo di un’altra rottamazione più generosa, potrebbe decidere di non versare quanto previsto. Del resto questo è già successo in passato.

Salvini potrebbe risponderle che è possibile fare entrambe le cose: concordato preventivo e le rottamazioni di cartelle…
E avrebbe torto perché è impossibile che l’amministrazione abbia oggi le risorse sufficienti per fare quello che il governo ha annunciato, cioè il concordato preventivo, e contemporaneamente gestire un ulteriore smaltimento delle posizioni passate.

Quella di Salvini è una manovra elettorale?
Mi sembra che le sue parole seguano una logica diversa da quella della politica fiscale in senso stretto. Lo si capisce dalle dichiarazioni del direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Ruffini o da quelle del viceministro all’Economia Maurizio Leo.

Stiamo parlando di un condono oppure no?
Il dibattito non mi appassiona. Dipende da come sono scritti i provvedimenti. Se stiamo parlando di una riduzione dell’imposta dovuta, allora è un condono. Se invece ci sono riduzioni di interessi e sanzioni, questo magari non è un condono in senso stretto, anche se è una forte riduzione dell’ammontare dovuto. In fondo è ciò che ha fatto la rottamazione, ad esempio.

La «pacificazione» è stata seguita da altri governi, Renzi per esempio. Qual è stato il bilancio?
Negativo. Lo ha detto la Corte dei Conti nel suo ultimo rapporto. Il gettito fiscale ottenuto è stato al di sotto delle previsioni. I contribuenti non hanno pagato la rate perché, in sostanza, è arrivata un’altra rottamazione delle cartelle più conveniente delle precedenti. Stiamo parlando di un sistema perverso che si autoalimenta. Non conviene allo Stato da nessun punto di vista. Lo sa anche il governo che lo ha scritto nella relazione tecnica dell’ultima legge di bilancio. Tutto questo toglie ogni giustificazione economica a una simile politica. Quella etica è, per usare un eufemismo, altamente discutibile.

«Pizzo di Stato», «Ostaggi dell’Agenzia delle Entrate». Perché le destre puntano sull’inimicizia fiscale?
Non solo le destre, ma in passato anche i Cinque Stelle. Duole dirlo, ma la situazione permette di rivolgersi a molte persone e hanno gioco facile nell’essere trasversali. Può capitare anche al dipendente o al pensionato di non avere pagato una cartella. Ma, per com’è fatto il nostro sistema fiscale, è chiaro che intendono avvantaggiare le piccole e le piccolissime attività economiche dove si nasconde l’evasione fiscale.

Ci sono duemila miliardi di debiti fiscali non riscossi. Da dove nasce questo problema?
Dalla sostanziale inefficienza della macchina della riscossione. Il fenomeno è stratificato e risale a molti anni fa quando era in mano ai privati e non veniva realizzata. O era molto trascurata. Così si sono accumulate cartelle fiscali non gestite. Una montagna di debiti fiscali teorici che in buona parte non possono essere più riscossi. Senza contare il fatto che l’agenzia della riscossione in Italia ha meno poteri rispetto a quelli di altri paesi.

Quali potrebbero essere le soluzioni?
Non usare criteri astratti. Eliminare debiti entro i 30 mila euro come sostiene Salvini significa fare confusione perché esistono situazioni molto diverse. Bisogna partire dal singolo contribuente. Oggi abbiamo le tecnologie necessarie per usare i dati in tempo reale. In tutti i paesi occidentali un piano di riscossione è fatto sulla probabilità di riscuotere la somma dovuta. Invece in Italia si usa una logica burocratica basata su un criterio cronologico: si va dal debito più antico a quello più giovane. Il risultato è che passa un sacco di tempo tra il momento in cui il debito è definitivo e quello in cui inizia la riscossione. E chi ha più mezzi nel frattempo trova una soluzione a proprio vantaggio.