Nel 1912 il transatlantico Titanic nel viaggio inaugurale cozzò contro un iceberg e colò a picco. In quella evenienza, la classe di provenienza di ciascun passeggero fu uno dei fattori che determinarono la possibilità di salvarsi o meno. La lista ufficiale delle vittime, infatti, con particolare riguardo alle donne, evidenzia che su un totale di 143 viaggiatrici di prima classe, solo quattro perirono (delle quali tre avevano scelto volontariamente di rimanere sulla nave). Tra quelle di seconda classe, le vittime furono 15 su 93 e nella terza classe 81 donne su 179 affondarono con la nave. I passeggeri di terza classe ricevettero l’ordine di rimanere sotto coperta e in alcuni casi fu fatto eseguire sotto la minaccia delle armi.

Questo quadro drammatico, in apparenza lontano nel tempo, torna oggi come un monito ad illuminare di una luce abissale, la vicenda dei quattro uomini intrappolati nel sottomarino da turismo originariamente diretti a visitare proprio quelle vestigia del 1912. Di questi signori sappiamo i nomi, le posizioni sociali, le precedenti avventure; sono definiti miliardari avventurieri, dato che sembrano praticare per diletto le aree estreme di cui l’umanità non ha ancora preso pienamente possesso: lo spazio ed il vasto mare. Sono gli stessi, infatti, che hanno pagato un biglietto certo di primissima classe per andare a fare un giro in orbita, e che adesso esplorano gli anfratti marini, forse anche con l’intento di dare un occhio, oltre che al Titanic, a quei fondali così ricchi di metalli che, già adesso, sono contesi tra gruppi minerari, sempre alla ricerca di nuovi giacimenti da sfruttare.

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Difficile, infatti, che i «magnati» , facciano qualcosa per puro gusto dello spettacolo o dell’avventura per l’avventura, non sono certo Corto Maltese. Si viaggia nello spazio per saggiare la possibilità che, un giorno, ridotta la terra ad un enorme pattumiera, chi se lo potrà permettere possa governare i suoi nuovi dannati da un pianeta artificiale in orbita o, ancora, vivere nelle e delle ricchezze ancora immense ed immerse negli oceani.

D’altra parte da Jules Verne ai giorni nostri la lista dei romanzi e dei film di fantascienza è lunga e suggestiva. E allora, per salvare questi importanti personaggi, che prima di tutto sono persone e come tali vanno salvate, ecco che vengono mobilitati i mezzi necessari, senza risparmio di risorse, trovando forme di coordinamento tra marina, aviazione, di diversi Paesi. Uno sforzo encomiabile, che ci auguriamo abbia successo, non solo perché verranno salvate delle vite umane, ma anche perché verrà dimostrata la forza della volontà politica se si mette al centro dell’azione comune un obiettivo condiviso.

Ecco che scatta l’analogia vertiginosa ed anche questa, almeno per certe coscienze, abissale: come mai neanche una pallida parvenza di azione di salvataggio è stata messa in opera per i seicento ammassati nella stiva del peschereccio inabissatosi al largo delle coste greche? Forse perché di queste persone, vite come le nostre, con pari dignità e diritto alla felicità, non sappiamo nemmeno i nomi, tranne qualche fantasmatica identità che ci appare comunque sfocata, come se guardata attraverso l’acqua che li ha inghiottiti?

Cosa possiamo imparare da queste vicende? La morale è semplice: quando c’è la volontà di salvare non si bada a spese, si trovano i fondi, si mobilitano le tecnologie, si superano le barriere politiche. E non è forse questo l’impegno che le Nazioni Unite hanno preso oramai tanti anni or sono, impegnandosi, tutte insieme, a lottare contro la povertà, i cambiamenti climatici, per favorire l’accesso di tutti a quei diritti umani di base che sono l’istruzione e la sanità? Se le distanze tra i pesi e le misure si allunga troppo la corda della solidarietà di specie si rompe, e la biologia ci dice che la specie umana governa, con molta incoscienza, questo pianeta perché è l’unica in grado di aiutarsi nei momenti del bisogno. Non scordiamocelo mai.