L’osteria della Casa dello Zoppo non solo profuma di tempio dalle obliate sacralità. È dove, nel fiume degli antenati e dei discendenti, si può ancora udire la melodia.

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La locanda ai margini d’Europa, di Enrico Maria Milič, Bottega Errante edizioni 2023, pp. 232

Il romanzo di Enrico Maria Milič ripercorre la storia della famiglia Devetak, che da cinque generazioni porta avanti la cucina della “Lokanda Devetak 1870” a San Michele del Carso. Una saga familiare che si svolge nel cuore dell’Europa, sul Carso, su una terra aspra, fatta di pietre, e attraversata da un confine che ha seguito linee divergenti e mobili tra Italia e Slovenia, una specie di cerniera che tiene unite le comunità di confine, quelle stesse che – come è accaduto anche nella storia più recente – sono state messe le une contro le altre da politiche dissennate. Una terra che l’Europa considera marginale ma che è invece fortemente amata da coloro che l’hanno abitata e che la abitano, nonostante le difficoltà.
Come ci sono arrivate le persone in queste terre apparentemente inospitali? Ci sono arrivate secoli fa, cercando un posto dove fermarsi e da chiamare casa. E lì sono rimasti, a dispetto delle asprezze del territorio, della miseria, della fatica. Tutto ha avuto inizio nella giustapposizione tra due paesi che si guardano in faccia, e che, anche esprimendosi con lingue diverse, raccontano vite molto simili.

Al paese fondato dai veneti, quello dei vicentini, fu dato il nome di San Martino, il santo che onora e rende fertili i campi. Al paese degli sloveni, che loro stessi avevano sempre chiamato Vrh, cioè “la vetta”, fu dato
anche un nome in italiano, quello dell’arcangelo, la divinità che connette il cielo e la terra: San Michele. Così, accanto al nome di Grossa Pietraia dato al colle dagli sloveni, fu affiancato il nome italiano di Monte San Michele.

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Terre di confine che hanno visto alternarsi signori e padroni, quelli di ieri e quelli di oggi, ordini che prima arrivavano da Vienna in tedesco e poi da Roma in italiano: ma quello che non è mai cambiato è stato il dover seguire quello che i potenti decidevano, trasformandoli da contadini e allevatori in cavatori e operai dell’industria. Ma loro lì sono rimasti; ci sono tornati anche dopo essere stati “spostati” durante la Prima guerra mondiale, quando il fronte serpeggiava proprio tra questi paesini del Carso, i soldati morivano come mosche e i carsolini aspettavano di poterci tornare; ci sono tornati sempre, determinati, caparbi e resistenti.

L’autore, dopo avere accompagnato il lettore attraverso la storia più remota di queste terre, fa un balzo in avanti per arrivare alle storie contemporanee, a partire dal racconto di Gabriella Cottali, nata nel 1964, di radici carsoline, figlia di una Visintin, ma nata a centinaia di chilometri dal Carso, a Brescia. Gabriella all’inizio degli anni Settanta si trasferisce con la famiglia a San Martino, che era il paese d’origine della madre; suo fratello è malato e si pensa che là il clima sia più adatto. Per Gabriella, ragazzina nata e cresciuta in un condominio in città, il salto è notevole, soprattutto a scuola, dove lei è molto più avanti rispetto ai bimbetti del paese. Un giorno, Gabriella e una sua amica si spingono, di nascosto, fino a San Martino, il paese sloveno.

Siamo in mezzo all’Europa, per un tiro di sputo siamo in Italia, in un’osteria slovena tenuta da cattolici, in un paese dove il Partito comunista è fortissimo ma non riuscirà mai a conquistare del tutto il potere. Siamo nell’Occidente capitalista ma, a tre chilometri in linea d’aria, dal 1945 c’è la cortina di ferro tra Est e Ovest. A un tiro di fionda, iniziano l’Europa orientale, i Balcani e la Jugoslavia del maresciallo Tito, (..) Di solito in questa osteria si canta in sloveno, si bestemmia in italiano, ci si aggredisce sulla politica, si ride, tutti bevono e mangiano, chi è ospitale o rispettoso saluta in entrambe le lingue.

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Parcheggiata fuori davanti all’osteria c’è un’auto sportiva rossa: è di Uštili, Avguštin Devetak. Ancora non lo sanno, ma i loro destini presto si incroceranno, per sempre.
Anche il nonno di Uštili si chiamava Avguštin: la sua famiglia viveva a San Michele dal lontano 1755: era nipote di Marija e Ivan il vecchio, di mestiere šuster, una parola del dialetto sloveno derivata dal tedesco schuster, cioè calzolaio. E tra una riparazione e l’altra, con sua moglie, dapprima offrivano un bicchiere di vino, poi qualcosa da mangiare: insomma, alla fine divennero osti e l’ospitalità divenne la cifra distintiva della famiglia. Di generazione in generazione, passando attraverso le traversie del territorio, è proprio questa capacità di accogliere l’eredità che l’Uštili di Gabriella riceve dai suoi antenati.

Uštili, Avguštin, nato alla fine degli anni Cinquanta, è figlio di una società europea e occidentale nel suo momento di boom economico post bellico. In quegli anni (tra il 1960 e il 1980), anche nei paesi del Carso la gente, soprattutto gli uomini, lasciano la terra per spostarsi a lavorare in fabbriche e cantieri. A San Michele però resiste l’osteria dei Devetak, e diventa il luogo di aggregazione per italiani e sloveni: nella sala troneggia la televisione, una finestra sul mondo capace di unire ciò che la politica e la Storia hanno diviso. Finite le scuole medie, Uštili vorrebbe continuare a studiare, magari trasferirsi in città, ma suo padre si oppone, pretende che sia lui a portare avanti l’osteria e la tenuta dei campi. E così Uštili, che ancora da del voi al padre, resta. La sua vita è come quella di tutti i ragazzi e si divide tra lavoro, puntate in discoteca e associazioni sportive. Uštili, come suo padre, è sì cattolico e democratico, ma è soprattutto uno slavo del sud, e come tutti gli slavi del sud piange la morte del maresciallo Tito – nel 1980. Per tutti, il maresciallo era il simbolo della liberazione degli sloveni dalla sottomissione fascista.

Uštili e Gabriella iniziano a frequentarsi e la cosa suscita molte perplessità negli abitanti dei due paesi. La gente prova a mettere in testa a Gabriella domande e dubbi, si prodiga in giudizi e preconcetti misti a verità. A farlo, sono gli italiani del paese di San Martino e anche qualcuno in famiglia. Alla stessa maniera, la gente e i familiari intorno a Uštili si scandalizzano che lui frequenti un’italiana. Uštili in cuor suo sa che quella è la donna della sua vita, la persona giusta, lo capisce anche osservandone il padre, un uomo onesto, e ben voluto da tutti; però sa anche quanto sia importante che la scelta sia davvero giusta, per gli equilibri familiari, per l’attività di famiglia, per le relazioni sociali. Dopo tante elucubrazioni, a settembre del 1982, si sposano. Lei ha diciotto anni, lui venticinque. Si sposano nella chiesa di San Martino, l’unico paese di lingua italiana del Carso e, poi, salgono sulla Fiat 132 dell’amico Enzo: Uštili guida verso la grande festa che si tiene nella casa dei Devetak, a San Michele, l’ultimo paese sloveno e slavo d’Europa verso occidente.

Gabriella entra così in questa famiglia decisa ad integrarsi con i nuovi familiari: impara lo sloveno, vuole comunicare nella lingua della famiglia di suo marito. Si adatta ad abitare tutti insieme, in un’unica abitazione sopra l’osteria. Gabriella vuole essere accettata fino in fondo, respingendo le illazioni dei clienti che non gradiscono che parli sloveno. Così facendo, senza saperlo, lotta per tenere fede a una tradizione che vale per tutti i carsolini da secoli: quella di integrarsi nella cultura e nella lingua della famiglia di arrivo. Lei non aveva neanche lontanamente immaginato di diventare una cuoca, eppure si getta con entusiasmo in questa nuova vita, impara la cucina carsolina di fianco alla suocera che le dà fiducia e appoggio. Poi, negli anni Ottanta, quando la cucina italiana diventa una moda e l’enogastronomia una filosofia di vita, anche l’osteria dei Devetak si aggiorna, proprio grazie a Gabriella, che contribuisce alla creazione del nuovo menù, al passo coi tempi.

Uštili si occupa della sala e della gestione della locanda, a partire dall’insegna esterna, bilingue: una scelta precisa di resistenza della famiglia all’essere assimilati dalla tendenza maggioritaria. Una scelta però non apprezzata da tutti. E poi la stampa del menù, le ricevute fiscali in due lingue, la scelta dei vini, che studia sul territorio e nel corso da sommelier.

Gabriella va avanti e indietro tra ricordi e nuovi gusti. Nerina assaggia, alcune volte perplessa, altre volte ripulisce golosa il piatto, ride con Gabriella dei tentativi migliori e di quelli peggiori. Poi, quando sono persuase della ricetta, i piatti arrivano in tavola, ai nuovi clienti: sono soprattutto cittadini di lingua italiana, alla ricerca di cibi dai profumi delle generazioni degli antenati, adattati per loro.

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Il romanzo intergenerazionale di Milič parte da lontano e poi si focalizza sui decenni più recenti, ripercorrendo la storia della famiglia Devetak, di Renato e Helka, dapprima, della figlia Nerina, delle zie che aiutano all’osteria, e poi del figlio Uštili e di sua moglie Gabriella, dei nipoti, di Sara e Pavel, di Tatjana e di Tjaša; una storia che viaggia dagli anni Sessanta e Settanta, per arrivare agli anni Ottanta, dopo la morte di Tito, quando la situazione geo-politica dell’area balcanica subirà un duro scossone. Una famiglia che, a cascata su ogni generazione, si dedica alla ristorazione, cambiando di pari passo con i tempi, cercando sempre di migliorare.
Il viaggio nel tempo prosegue negli anni Novanta, quando la ristorazione, l’enogastronomia, la tutela dei cibi e delle ricette locali diventano eccellenze del territorio, e provano a resistere alla globalizzazione alimentare. E anche la locanda Devetak si adegua ai tempi. Fino agli anni Duemila, quando i due presidenti delle Repubbliche di Slovenia e d’Italia, Pahor e Mattarella, assieme a dodici sindaci del territorio e ad altri ospiti, gusteranno un pranzo presso la Lokanda.

Un romanzo che ci regala una storia familiare come simbolo di una intera comunità, che ci racconta un pezzo di Europa a cavallo di un confine sensibile; ci parla di lingue che si fronteggiano, che si mescolano, di tradizioni, di cibo, di legami. Da un lato l’Italia, dall’altro la Jugoslavia, dapprima; poi, dopo la dichiarazione d’indipendenza, la Slovenia. Una passeggiata nel tempo, attraverso i decenni, al fianco di una famiglia.
L’autore ha scritto questo libro grazie a centinaia di ore di interviste e chiacchierate nei due anni della pandemia, dopo la richiesta dei Devetak di trascrivere la storia della famiglia.

Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

ENRICO MARIA MILIČ Triestino del 1976, ha studiato antropologia a Belfast. A Roma nel 2000 è uno dei fondatori di Studenti.it ma solo dal 2010 inizia a occuparsi di cibo, campagne e cucina. Tra il 2011 e il 2015 porta centinaia di triestini italiani ad alcuni corsi di orticoltura che si tengono nei campi di Pliskovica, un paesino in Slovenia a loro sconosciuto, malgrado sia a qualche chilometro dalla città. Dal 2022 collabora con Slow Food Italia e, come volontario, è tra i creatori del Presidio della Pecora Carsolina Istriana. Ha scritto articoli per “l’Unità”, “Internazionale” e per alcune pubblicazioni accademiche. Collabora come autore e creativo per documentari d’autore, video commerciali, progetti creativi. Dal 2021 ha la doppia cittadinanza: italiana e slovena.

Foto usata per la composizione in copertina: “Il Carso a Duino”, fonte Wikipedia