Montagne360 | Novembre 2022

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NOVEMBRE 2022 € 3,90La rivista del Club alpino italiano dal 1882 Montagne360. Novembre 2022, € 3,90. Rivista mensile del Club alpino italiano n.122/2022. Poste Italiane Spa, sped. in abb. Post .45% art. 2 comma 20/blegge 662/96 Filiale di Milano. Prima immissione il 27 Ottobre 2022 PRIGIONIERI DEL NANGA Lʼincredibile storia di Cesar Rosales di Marcarà, primo alpinista andino a scalare la Montagna Nuda

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Clima, si chiedono risposte

Di crisi climatica ho scritto spesso su Peak&Tip Anche prima che si chiamasse “crisi”, quando i più si limitavano ad associare i numerosi effetti imprevisti e imprevedibili di certi eventi estremi al cambiamento climatico. Lo scorso settembre sono tornato sul tema (“Si mobilitano gli scienziati del clima”) e dopo la lettura del mio editoriale ci avete scritto in molti. Tra le lettere ricevute c’è quella di Daniele Capirone, che per sua stessa ammissione è un «escursionista e frequentatore di montagne da circa quarant’anni». Riporto un passaggio significativo della sua lettera: «Poiché questo argomento è sempre più presente su qualsiasi rivista, giornale o notiziario […] sto cercando di capire come posso fare la mia parte. Sarò anche distratto, tuttavia non ho ancora letto da nessuna parte proposte pratiche e realistiche per ovviare a questo problema: solo dichiarazioni di intenti, proclami e idee che, da ignorante quale sono, reputo poco realizzabili nella realtà. Intendiamoci, non sono assolutamente contrario ad avere un mondo più pulito, più sostenibile, meno inquinato. Ma come?». Il tema, gentile Daniele, è caro a tutti noi, e lei non sottovaluti il suo livello di conoscenza. Nella sua lettera è evidente come sia ben informato. La consapevolezza fa sorgere domande, spesso legittimamente scomode. Ma proprio ponendo le domande giuste è possibile costruire risposte efficaci. Ritengo che il primo grande obiettivo ancora da raggiungere completamente sia proprio quello della consapevolezza. Le risposte sui grandi temi, poi, non spettano direttamente a noi, ma neppure possiamo immaginare (o pretendere) che vengano solo calate dall’alto. C’è qualcosa che possiamo fare nel nostro quotidiano, qualcosa che è alla nostra portata. La sua lettera mi ha riportato alla mente un articolo che lessi tempo fa su Il Post che riportava il risultato di una serie di interviste realizzate da Annie Lowrey (e pubblicate su Atlantic). Ridurre sprechi energetici e consumi, scegliere mezzi di trasporto meno impattanti, prendere meno aerei, ridurre l’uso dell’auto, installare pannelli solari, fare la spesa in modo consapevole sono tra le azioni che rientrano nel cosiddetto“performative environmentalism”, cioè “l’ambientalismo delle azioni quotidiane e individuali”. L’utilità dei comportamenti individuali nel contrasto alla crisi climatica negli ultimi anni è stata ridimensionata da alcuni intellettuali e

attivisti che sostengono che solo governi e organizzazioni internazionali possono mettere in campo azioni efficaci. Certamente spetta in primo luogo a loro pianificare e attuare strategie e interventi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Ma noi cosa possiamo fare? Peter Kalmus, scienziato del clima alla Nasa, intervistato da Lowrey sull’Atlantic, afferma che quello sui comportamenti individuali è una specie di «falso dibattito». Se l’impegno e le azioni di ciascuno servissero soltanto a ridurre il proprio contributo in termini di emissioni, allora sarebbero completamente inutili: «ma è soltanto l’un per cento dei motivi per farlo». Di cosa è fatto allora il restante 99 per cento di buoni motivi? Lowrey, riporta Il Post, scrive che a causa della natura umana ci sono comportamenti che iniziano a diffondersi e diventano collettivi senza una ragione logica (ma, aggiungo, spesso di marketing), e cita come esempio l’esplosione di acquisto di Suv. Diversi studi dimostrano però che anche i comportamenti individuali sostenibili si diffondono, e la loro diffusione potrebbe aiutare i governi – con l’esempio dal basso – a essere più incisivi nel contrasto ai cambiamenti climatici attraverso leggi stringenti. Se ognuno dunque facesse la propria parte, forse faciliteremmo la via a soluzioni globali più incisive. «Il nocciolo del problema, almeno in Italia, sta nella più assoluta indifferenza del mondo partitico (politico sarebbe troppo impegnativo) riguardo a detta “crisi”...» ci scrive Ettore Scagliarini, Socio Cai da oltre 55 anni. «Non ho letto che tale argomento fosse al centro di qualsivoglia partito nelle recenti elezioni. Da tempo, emeriti rappresentati di quel mondo mettono in discussione tale emergenza, scendendo anche... a sbeffeggiamenti di chi asserisce l’esistenza di tale emergenza». Caro Ettore, la politica ha senz’altro delle responsabilità. La sua percezione, tra l’altro, è corretta. A confermarlo è l’analisi di Greenpeace, che insieme all’Osservatorio di Pavia (istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione) ha monitorato le dichiarazioni dei principali leader politici durante la campagna elettorale. Risultato? Le loro dichiarazioni durante i telegiornali in merito alla crisi climatica sono appena il 3,8% di quelle rilasciate sull’ambiente e meno dello 0,5% sul totale delle dichiarazioni. C’è ancora molta strada da fare.

PEAK&TIP novembre 2022  Montagne360 1

SOMMARIO

01 Peak&tip

News 360

Segnali dal clima

10 Prigionieri del Nanga

Alberto Peruffo

16 Montagna e fulmini Lorenzo Arduini

20 A proposito di sostenibilità

Raffaele Marini

22 Il “caso” Doganaccia Mauro Chessa

24 Io sono Bea Lorenza Giuliani

28 Nel continente buio Franco Aichino

29 La medicina e la montagna Franco Finelli

30 InQuota, il meglio del cinema di montagna

32 La festa dell’inclusione Lorenzo Arduini

34 Un presidio nella natura Cai Abruzzo

36 Grotte in crisi climatica Sara Segantin e Lorenzo Peter Castelletto

40 I seniores e le Alpi Maurizio Carbognin

44 La via di mezzo Susanna Bellanzon

48 Offida, tra sacro e profano Franco Laganà

54 I giganti verticali Andrea Forni

58 Magie del bosco Francesco Mezzavilla

62 I risultati di un lungo studio Centro Studi Materiali e Tecniche VFG

PORTFOLIO

64 La natura come opera d’arte Museo Nazionale della Montagna, Torino

RUBRICHE

72 Arrampicata 360°

74 Cronaca extraeuropea

Nuove ascensioni

78 Libri

82 Salendo si impara

Fotogrammi d’alta quota

Lettere

Nella foto, alpinisti verso il cuore della parete Diamir, Nanga Parbat, 8126 m (foto Alberto Peruffo)

IN EVIDENZA

10 PRIGIONIERI DEL NANGA

L’incredibile storia di Cesar Rosales di Marcarà raccontata da chi ha condiviso con lui la salita in vetta all’Ottomila più difficile e ricco di storia

16 MONTAGNA E FULMINI

I consigli di Davide Di Giosaffatte, Istruttore nazionale di alpinismo e scialpinismo del Cai e guida alpina, sui comportamenti da tenere se si viene sorpresi da un temporale su un sentiero o in parete

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OFFIDA, TRA SACRO E PROFANO

Un itinerario ad anello tra le colline marchigiane, toccando quattro chiese e pedalando su e giù per i vigneti, tra storia e Docg

In questo numero

GIGANTI VERTICALI

Avventura norvegese alla conquista di due fra le quattordici cascate più alte al mondo. Ecco il racconto della spedizione

64 LA NATURA COME OPERA D'ARTE

La nuova mostra al Museomontagna, curata da Daniela Berta e Veronica Lisino, racconta l’attività artistica di Adolf Kunst, tra tradizione, gioco e ironia. È visitabile dal 5 novembre 2022 al 2 aprile 2023

Cesar Rosales è il primo alpinista delle cordigliere andine, indios, nativo sudamericano della Cordillera Negra a essere salito in vetta al Nanga Parbat. È la storia di apertura di questo mese. Nelle prossime pagine troverete anche i consigli di Davide Di Giosaffatte, istruttore nazionale di alpinismo e scialpinismo del Cai e guida alpina, sui comportamenti da tenere se si viene sorpresi da un temporale su un sentiero o in parete. Un approfondimento è invece dedicato all’Appennino e ai suoi abitanti alla luce di un ennesimo progetto di ampliamento di un’area destinata allo sci invernale.

E poi ancora vi raccontiamo la storia di Beatrice Colli, la stella del free climbing italiano: diciassette anni, un Oro nel 2021 in Russia, un altro lo scorso agosto a Dallas. Nelle prossime pagine parliamo anche di cicloturismo con un itinerario a Offida, nelle Marche, e uno che taglia la penisola dal Mare Adriatico al Mar Tirreno. Spazio anche al torrentismo con un’avventura norvegese alla conquista di due fra le quattordici cascate più alte al mondo. Il portfolio è dedicato alla nuova mostra del Museomontagna, curata da Daniela Berta e Veronica Lisino, che racconta l’attività artistica di Adolf Kunst, tra tradizione, gioco e ironia.

E poi attualità, cronache di nuove ascensioni, libri e notizie dal mondo Cai.

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Sviluppo e tutela

La crescita economica dei territori montani non è in antitesi, ma può essere conciliata con l’attenzione all’ambiente.

«Per il Cai non ci deve essere contrapposizione tra montanari e cittadini, tra ambiente ed economia. Sviluppo e tutela troppo spesso vengono posti in antitesi, ma esistono altre soluzioni molto competitive che consentono una crescita economica senza aggressioni all’ambiente». Il Presidente generale del Club alpino italiano Antonio Montani ha ribadito questa posizione in due occasioni lo scorso mese di settembre. La prima sulle Apuane, la seconda in Valle d’Aosta, territori dove il Sodalizio è impegnato per trovare una soluzione alle criticità ambientali legate all’escavazione del marmo e alla realizzazione di nuovi collegamenti funiviari. Il 17 e il 18 settembre i vertici del Cai si sono incontrati al Rifugio Carrara per una riunione del Comitato direttivo centrale e della Conferenza dei Presidenti regionali e provinciali. Le cave sono state il filo rosso che ha guidato gli intervenuti in un’escursione la mattina seguente, con la quale hanno potuto “toccare con mano” la devastazione sulle Alpi Apuane. «Chiediamo l’istituzione del Parco nazionale delle Alpi Apuane», ha affermato Montani. «La nostra presenza vuole essere un gesto di vicinanza a un territorio che si batte per il rispetto dell’ambiente, che può essere coniugato con le attività produttive». Sulla stessa lunghezza d’onda il delegato del Cai all’ambiente Mario Vaccarella, che ha ribadito: «far coesistere tutela e sviluppo richiede una responsabilità e un senso della Natura non indifferente, che spesso nelle istituzioni manca. L’attività produttiva delle cave deve essere ricondotta alle attività principali del marmo, in maniera non esasperata e dannosa». Pochi giorni dopo, ad Aosta, il Presidente generale è intervenuto alla presentazione dei risultati della petizione “Salviamo il Vallone

delle Cime Bianche”, che Cai Valle d’Aosta e comitato “Ripartire dalle Cime Bianche” hanno rivolto ai valdostani per chiedere al Consiglio regionale di «mettere da parte ogni proposito di realizzazione di nuovi impianti di risalita nel vallone, ancor più anacronistici con la rapidità dell’evoluzione climatica», e di predisporre uno specifico piano di gestione dell’area, «meglio se nell’ambito di un Parco in continuità con quello dell’Alta Val Sesia». In meno di un anno sono state raccolte 1900 firme, grazie all’impegno di decine di volontari che hanno girato la Valle d’Aosta presentandosi alla porta delle case dei valdostani per un confronto vero. Il rispetto e l’applicazione rigorosa di leggi e vincoli è un tema sul quale il Presidente generale Montani ha posto fortemente l’accento. «Esigiamo che non vengano prese scorciatoie, che

non si faccia finta di niente e non si passi sopra alle norme per la tutela dell’ambiente, che devono essere sempre rispettate». Marcello Dondeynaz, referente di “Ripartire dalle Cime Bianche” e componente della Commissione interregionale tutela ambiente montano Liguria, Piemonte, Valle D’Aosta del Cai ha spiegato come la petizione abbia dato voce «alle valdostane e ai valdostani che ritengono che il patrimonio naturale e culturale di questa regione vada valorizzato e non dissipato. La risposta è stata ampia, con un sostegno diffuso». Dal canto suo, il presidente del Cai Vda Piermauro Reboulaz ha fatto notare come l’eco della petizione abbia fatto salire il numero degli escursionisti sui sentieri del Vallone. «Il valore delle Cime Bianche è intrinseco, non c’è bisogno di interventi invasivi e impattanti per valorizzarlo».

Il Cai lo ha ribadito sulle Apuane e in Valle d’Aosta
NEWS 360
Sopra, le cave di Campocecina
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SPELEOLOGIA

TRACERKANIN, STUDIO DELLE ACQUE SOTTERRANEE DEL MONTE CANIN

TracerKanin è un progetto transnazionale mirato allo studio idrogeologico del massiccio carsico del Monte Canin/Kanin, nelle Alpi Giulie. La Fase Due del progetto ha interessato il versante meridionale del massiccio sloveno, alla ricerca di informazioni sulle concentrazioni dei traccianti nelle acque e sui tempi di restituzione. Questi dati saranno un importante tassello per la conoscenza idrogeologica del massiccio del Canin. Partecipano: Centro di ricerche carsiche “C. Seppenhofer” di Gorizia, Commissione Grotte “E. Boegan” Sag - Cai e Società Adriatica di Speleologia di Trieste, Karst Research Institute, Zrc Sazu (Postojna, Slovenia), Dzrjl Ljubljana Cave Exploration Society, con il coordinamento del Laboratorio speleologico e di tecniche fluorimetriche di Farra d’Isonzo.

ALBANIA: RAGGIUNTO NUOVO LIMITE DI PROFONDITÀ IN GROTTA

Durante l’estate una spedizione polacca alla “Shpella e Valbones” ha raggiunto la profondità di -637 metri, rendendola la più profonda dell’Albania. Sono state due settimane di intensa attività con la presenza di 24 speleologi polacchi. Citiamo la presenza dell’unico italiano presente

quest’anno, Andrea Pereswiet-Soltan del G.S. Proteo di Vicenza, che si è occupato dello studio dei chirotteri. L’Albania possiede uno straordinario patrimonio carsico, oggetto di spedizioni da diversi Paesi, tra cui l’Italia. Si hanno spesso importanti risultati; una speleologia albanese più strutturata rappresenterebbe un fondamentale riferimento per tutte le attività legate al carsismo.

IMPORTANTE GIUNZIONE

NEL COMPLESSO DEL COLCIAVATH

Nelle Dolomiti Friulane, ai primi di settembre, una nuova grotta denominata “Fichetto” è stata congiunta con il complesso del Colciavath (sinora formato da

Abisso Ottavo Nano e Monsardò). Questo collegamento è importante perché costituisce un by-pass molto utile per superare gli strettissimi meandri che caratterizzano il primo chilometro dell’Abisso Ottavo Nano. La giunzione consentirà di raggiungere più agevolmente le zone remote. La profondità della grotta rimane -440 metri; lo sviluppo, ora, supera i 3 chilometri. Le esplorazioni sono state condotte dall’Unione Speleologica Pordenonese del Cai di Pordenone e dal Gruppo Speleologico Sacile.

DICEMBRE A CAGLI PER IL RADUNO “RISORGENZE”

Ad agosto è stato comunicato a sorpresa “Risorgenze 2022”, il raduno speleologico previsto a Cagli (PU) dal 7 all’11 dicembre. Di solito, gli incontri sono annunciati con un certo anticipo e si svolgono, spesso, tra fine ottobre e inizio novembre. I luoghi storico – paesaggistici e le aree carsiche nel territorio dell’incontro sono comunque molto interessanti e la comunità speleologica ha accolto con curiosità la notizia. Serve anche ricordare che dagli anni ’80 l’incontro nazionale è sempre un appuntamento molto atteso. Avrete più informazioni nel sito del raduno www.risorgenze.it

Osservatorio ambiente a cura di cctam

VERSO LA MONTAGNA DI DOMANI

Un pascolo con mandria e pastori… una foto della montagna di oggi, che sembra la montagna di ieri. Ma che sarà anche la montagna di domani? La domanda è importante. Cambiamenti climatici, cambiamenti sociali, cambiamenti economici e anche cambiamenti politici: il mondo che frequentiamo e amiamo sta attraversando un’evoluzione che ancora non fa intravedere il nuovo futuro. Su quali punti fermi bisogna puntare? Di sicuro occorre un’economia sostenibile tra tradizione e innovazione, per salvare e rinforzare le comunità locali, ma con una tutela completa della ricchezza naturale intesa come paesaggio e biodiversità collegata. Occorre riuscire a salvaguardare le specificità di ogni montagna italiana, mettendole però in rete ed evitando l’omologazione di uno sviluppo turistico che ha rivelato tutti i suoi limiti anche economici, oltre che ambientali. Occorre riaffer-

mare con forza che questa montagna biodiversa esiste ed è ancora la spina dorsale della nostra penisola, di fronte a una politica che non la considera. Occorre ricordare ancora una volta che solo la gestione del territorio montano vuol dire prevenzione. Questa è la montagna di domani che il Cai dovrà contribuire a costruire, magari grazie proprio alla sua biodiversità. Una montagna vissuta… non usata!

Echi sotterranei a cura di massimo (max) goldoni Il meandro della Seconda Grotta sotto il Dente di Carnino (CN) - Foto Luana Aimar
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CONFRONTO E DIALOGO CON IL TERRITORIO

Cinque slot da venti minuti ciascuno ogni giovedì sera, per affrontare problematiche o proposte con il Presidente generale Antonio Montani. Questa la nuova opportunità che la Presidenza del Club alpino italiano mette a disposizione dei presidenti delle Sezioni,

dei Gruppi regionali, degli Organi tecnici territoriali e dei componenti degli Organi tecnici centrali e delle Strutture operative. «Questa iniziativa vuole essere un momento di confronto e dialogo tra la Presidenza del Club alpino italiano e le strutture periferiche», afferma il Presidente Montani. «Un appuntamento per discutere delle problematiche dei singoli territori e proporre idee e solu-

SOSTENIBILITÀ, SCUOLA E GIOVANI

Dal 5 ottobre è online sul canale YouTube del Cai un webinar di cinquanta minuti dedicato alle scuole, per stimolare le giovani generazioni a prendere conoscenza e coscienza dei principi, sanciti da trattati internazionali,

della sostenibilità ambientale, da seguire nei comportamenti e nelle attività quotidiane di ciascuno. Il filmato vede alternarsi clip, letture, citazioni e interventi incentrati sull’Agenda 2030 e sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile, sulla crisi climatica e sulla necessità di azioni immediate per mitigare l’innalzamento delle

zioni innovative per il futuro». Gli interessati possono prendere in autonomia appuntamento

online con il Pg attraverso Google Calendar: calendar.app. google/1QSz7fEq4ZnHAabj7

SAPORI E MESTIERI

DA VALORIZZARE

Una due giorni a Castelbuono (PA) dedicata alla conoscenza, alla produzione e alla valorizzazione della manna da frassino delle Madonie, tra seminari in aula e passeggiate all’interno di frassineti attualmente operativi nella raccolta della

manna. Questo quanto organizzato lo scorso settembre dal Comitato scientifico del Cai Sicilia per valorizzare sapori e antichi mestieri di montagna, come quello dei mannaroli, che rischiano di scomparire. La manna è il liquido che fuoriesce dalle incisioni aperte sulla corteccia di due specie di frassino (il Fraxinus ornus e il Fraxi-

temperature, fino ad arrivare alla cittadinanza responsabile, alla difesa della biodiversità del nostro pianeta e alle azioni formative per i giovani. Il video ha avuto la funzione primaria di supportare le attività in aula e in ambiente organizzate dalle scuole medie e superiori che hanno aderito alla Giornata della Sostenibilità,

indetta dal Cai proprio il 5 ottobre nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile di ASviS. Ora resta a disposizione degli istituti come punto di partenza per iniziative e progetti da portare avanti nel corso dell’intero anno scolastico. Link diretto: www.youtube.com/watch?v=ipkn6Kw3anI

nus augustifolia), ampiamente utilizzata nell’arte culinaria. «La sua raccolta ha costituito per lungo tempo una delle principali attività economiche del comprensorio delle Madonie, almeno fino a quando i prodotti di sintesi non hanno reso la produzione di mannite naturale poco remunerativa», spiega Gaetano Dongarrà del Cai

Palermo. «Le due giornate di studio sono state aperte, oltre che ai soci Cai, anche agli operatori del settore e alle autorità locali e regionali, per una maggiore sensibilizzazione verso un’attività che, con opportuni provvedimenti e incentivi, potrebbe riappropriarsi di fasce di mercato caratterizzate dall’alta qualità dei prodotti».

«Escursioni per sentieri, rifugi, bivacchi… e qualche arrampicata fino alla cima». Sono queste le parole con le quali Andrea presenta il sito di cui è amministratore, che ha come teatro principalmente le Terre alte del nord-est: dalle Dolomiti al Lagorai, dalle Piccole Dolomiti alle Prealpi trevigiane, dal Massiccio del Grappa al Canale del Brenta, dalla Valsugana alla Valle Aurina. Oltre alla descrizione degli itinerari sono presenti diversi contenuti che vogliono essere di servizio all'escursionista, come le informazioni sull'utilizzo della carta topografica e del Gps, i link per consultare le previsioni meteo e la descrizione dei simboli della segnaletica Cai e della scala di difficoltà dei sentieri.

Web & Blog permontagnepersentieri.wordpress.com NEWS 360
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TARGA D'ARGENTO ALLA MONTAGNATERAPIA CAI

“A Ornella Giordana e Marco Battain, promotori in ambito Cai, interpreti generosi e testimoni di una originale solidarietà alpina, la terapia della montagna, a favore dei meno fortunati”.

Questa la motivazione con la quale il Comitato esecutivo della 51esima edizione del Premio Internazionale di Solidarietà Alpina ha assegnato, lo scorso settembre a Pinzolo, la Targa d’Argento alla coppia di Soci torinesi del Cai. I due, uniti da anni nella vita e nell’impegno nei confronti del prossimo, sono stati tra i principali promotori, all’interno del Cai, della Montagnaterpaia, un concetto di ambiente naturale come fonte di benessere che può e deve essere accessibile per tutti. Ornella Giordana è coordinatrice del Gruppo di lavoro sulla Montagnaterapia all’interno della Commissione centrale escursionismo, mentre Marco Battain attualmente è presidente del Cai Torino e componente della Commissione centrale medica. «Tra i valori del Club alpino italiano c’è la solidarietà, concretizzata nell’accompagnamento di persone che scalano la parete nord della propria vita, resa più difficile dalla malattia o dallo stigma. Noi dobbiamo e abbiamo il privilegio di accompagnarle», ha affermato Ornella Giordana. «Questo riconoscimento non va solo a noi, ma alla “Montagnaterapia” in senso lato. In Italia ci sono tantissime persone con disabilità e in montagna c’è posto per tutti», ha aggiunto Marco Battain.

NUOVA EDIZIONE DELLA MOSTRA “PRESENZE SILENZIOSE”

19 pannelli (100x70 cm) con informazioni interessanti e aggiornate sui grandi carnivori e una nuova veste grafica, 40 disegni fatti a mano, 30 fotografie e 6 cartine di distribuzione con gli ultimi dati. Questi i numeri della nuova versione della mostra del Cai “Presenze silenziose. Ritorni e nuovi arrivi di carnivori in territorio italiano”. «Dopo la felice esperienza della prima edizione, con oltre 72 esposizioni in tutta Italia e più di 40mila visitatori, il Gruppo grandi carnivori del Cai ha lavorato in questi mesi al fine di aggiornare i contenuti e rivedere graficamente la mostra, con l’obiettivo di renderla più godibile e ancor più centrata rispetto al posizionamento del nostro Sodalizio su questi temi», afferma il Coordinatore nazionale del Ggc Davide Berton. Con “Presenze silenziose” il Gruppo grandi carnivori vuole dunque far conoscere meglio il complesso mondo dei predatori selvatici, con i loro equilibri naturali e quelli, più delicati, insiti nel rapporto con l’uomo e le sue attività. Le Sezioni del Cai potranno ospitare gratuitamente la mostra in base alla disponibilità, facendo richiesta via mail a grandicarnivori@cai.it

ERRATA CORRIGE

Nel numero di Settembre 2022, a pagina 32, per un errore di battitura, sono state invertite le prime due cifre dell’altitudine del Changabang a cui, anziché 6864 metri, ne sono stati attribuiti 8664. Ci scusiamo con i lettori: in tempi di fake news, non era nostra intenzione “creare” un nuovo, importante Ottomila.

La notizia dal mondo

GHIACCIAI SORVEGLIATI SPECIALI

La stagione delle alluvioni in Pakistan è iniziata il 7 maggio con il collasso di un lago glaciale del ghiacciaio Sishper, nel distretto di Hunza, favorito da una persistente ondata di calore che ha provocato un’allarmante fusione dei circa 7200 ghiacciai del Paese, la più vasta estensione glaciale fuori dalle regioni polari. Sui greti già gonfi d’acqua si è poi riversata quella portata da piogge monsoniche più intense del consueto, alimentate dalle alte temperature oceaniche: quasi un terzo del territorio nazionale è stato colpito da inondazioni, con oltre 1500 morti, più di 30 milioni di sfollati e danni gravissimi alle infrastrutture e alle abitazioni.

Mentre la situazione era ancora tutt’altro che normalizzata è giunta la notizia che l’Onu, attraverso l’Un Development Program, ha stanziato 37 milioni dollari per completare il progetto avviato nel 2017 in collaborazione con il Pakistan Meteorological Department allo scopo di mappare oltre 5000 ghiacciai e di allestire un sistema di monitoraggio e di rapido allarme nel caso di Glacial Lake Outburst Flood (Glof), le inondazioni-lampo provocate dall’improvviso cedimento dei bacini che con sempre maggior frequenza si formano sulle lingue glaciali. La rete di controllo interesserà entro la fine dell’anno prossimo 24 vallate delle province di Gilgit Baltistan e Khyber-Pakhtunkhwa ritenute ad alto rischio, per poi estendersi ad altre zone. L’appalto per la fornitura di apparecchiature idrometeorologiche, di comunicazione e informatiche per la creazione di un sistema di allertamento precoce è stato vinto dalla Cae, azienda italiana specializzata in tecnologie per il monitoraggio e l’allertamento multirischio.

a cura di mario vianelli Guilhem VellutWikimedia Commons
NEWS 360
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Rift Valley: laghi che crescono

Nel 2016 il completamento della diga Gilgel Gibe III sul fiume Omo, in Etiopia, fu accompagnato da aspre polemiche, e non solo per la sommersione di terre e la dislocazione delle popolazioni locali: ambientalisti e idrologi temevano che la riduzione della portata durante il riempimento dell’invaso avrebbe innescato l’abbassamento del Lago Turkana, di cui l’Omo è il principale immissario. Si prevedeva la suddivisione del lago in due bacini minori, l’annientamento della pesca che sostiene molte comunità locali e l’inesorabile avanzata del deserto, sul modello della catastrofe del Lago d’Aral, con cui il Turkana condivide il fatto di essere un bacino endoreico – cioè senza emissario –, la salinità delle acque e l’ambiente desertico circostante. È perciò con sorpresa che si sta assistendo all’innalzamento del livello del lago, per di più a un ritmo allarmante: un rapporto

del governo kenyano stima che nel decennio 2010-20 la superficie del lago sia aumentata del 10%, sommergendo circa 800 kmq di territorio e costringendo almeno 25.000 persone ad abbandonare i loro villaggi. All’estremità meridionale le acque hanno superato il recente complesso vulcanico noto come “The Barrier” e si sono unite a quelle del Lago Logipi, formando un unico corpo idrico.

Fenomeni analoghi si stanno verificando anche negli altri laghi del settore kenyano del Grande Rift, la gigantesca fossa tettonica che corre dal Libano fino al Mozambico e che finirà per tagliare in due il continente africano. Proprio la forte attività sismica e tettonica hanno indotto alcuni studiosi a ipotizzare che l’innalzamento dei laghi possa dipendere dall’emersione di falde acquifere sconosciute. Ma più probabilmente la cause vanno ricercate nell’incremento delle precipitazioni sugli

altopiani circostanti, circa un terzo in più del consueto negli ultimi anni; piovosità attribuita al Dipolo dell’Oceano Indiano, una configurazione meteorologica che induce un notevole riscaldamento della superficie oceanica.

Variazioni periodiche del livello dei laghi dell’Africa orientale si sono verificate anche in passato, ma mai con questa rapidità, perlomeno in epoca storica. È difficile prevedere gli sviluppi futuri, ma è probabile che l’acqua continui a salire fino a trovare un nuovo equilibrio: in aggiunta ai deflussi delle piene, più pioggia significa una maggiore ricarica delle falde, che alimentano le sorgenti che alimentano i laghi. È probabile che in futuro questo significhi una maggiore disponibilità di risorse – acqua, alberi, pascoli – in terre povere e aride, ma per ora le popolazioni locali devono affrontare un piccolo “diluvio universale” che incide su ogni aspetto della vita delle comunità sommergendo villaggi, scuole, pozzi, strade, pascoli e coltivazioni, ma anche strutture turistiche e attività artigianali e industriali. Si stima che in tutto il Kenya via siano stati negli ultimi anni circa 400.000 sfollati ambientali; ma anche chi rimane, incalzato dalle acque, è costretto a cambiamenti radicali nello stile di vita, con un notevole aumento, fra l’altro, di aggressioni da parte di coccodrilli e ippopotami e delle malattie diffuse dall’acqua. Riguardo alla vita selvatica, più disponibilità idrica e più vegetazione potranno favorire molte specie animali, ma altre – come gli uccelli limicoli che si nutrono in acque basse, o i fenicotteri che filtrano l’acqua salina – ne risentiranno negativamente. Osservato speciale è poi il Lago Baringo, d’acqua dolce, che si sta rapidamente avvicinando al Lago Bogoria, fortemente salato; ormai distano pochi chilometri e la loro giunzione avrebbe pesanti effetti su entrambi gli ecosistemi.

Il rapido innalzamento dei laghi dell’Africa orientale pare contraddire le tendenze globali, ma non è che uno degli aspetti del cambiamento climatico
Pablo Necocheaflickr 8 · Montagne360 · novembre 2022 SEGNALI DAL CLIMA  A CURA DI MARIO VIANELLI

Prigionieri del Nanga

L’incredibile storia di Cesar Rosales di Marcarà raccontata da chi ha condiviso con lui la salita in vetta all’Ottomila più difficile e ricco di storia di Alberto Peruffo – foto Archivio Peruffo

Nell’estate del 2022, prima stagione post-Covid, mi trovo ai piedi del Nanga Parbat per realizzare un sogno collettivo: portare Cesar Rosales Chinchay, già mio compagno in alcune spedizioni esplorative, in vetta all’Ottomila più difficile e ricco di storia. Sarebbe il primo alpinista delle cordigliere andine, indios, nativo sudamericano della Cordillera Negra, cresciuto nella Scuola di Andinismo Don Bosco dell’Operazione Mato Grosso italiana e diventato una delle migliori guide peruviane, a farcela. Cesar Rosales di Marcarà, sul Nanga Parbat! Una storia, che se accadesse, sarebbe incredibile.

LE SPEDIZIONI INTERNAZIONALI

Partiamo con pochi mezzi economici e materiale ridotto all’osso, tanto da condividere scarpe e scarponi, sacchi e sacconi. Al Campo Base ci troviamo subito al centro di diverse spedizioni internazionali, più o meno commerciali. Ci sono alpinisti che giungono da tutto il mondo. Tra essi scalatori famosi o perlomeno conosciuti nell’ambito del circuito degli Ottomila, come il turco Tunç Findik (al suo ultimo Ottomila), gli italiani Marco Confortola e Mario Vielmo (al loro 13° Ottomila), gli amici veneti Tarcisio Bellò e Nicola Bonaiti, poi argentini, polacchi, rumeni, belgi, giapponesi, ma anche una buona e inconsueta presenza femminile, come la discreta e gentile svizzera Sophie Lavaud, al suo 13° Ottomila, o come la nuova stella del firmamento mediati-

ALPINISMO
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Nella foto, molte tende al Campo 2, 5950 metri
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co, la norvegese Kristin Harila che sta tentando di superare il record dello sherpa Nirmal Purja (14 Ottomila in un anno). Infine, non ultima, la giovane britannica Adriana Bownlee, sempre in cerca di record e di fama, al suo 8° Ottomila ad appena 21 anni, in competizione con il pakistano Shehroze Kashif, più giovane di un anno, che sarà soccorso dagli elicotteri dell’esercito. Tutti più o meno accomunati dall’aver la salita preparata dagli Sherpa, con grande utilizzo di corde fisse, campi installati e, gli ultimi citati, facendo notevole uso di ossigeno supplementare. Insomma, una montagna addomesticata, al cospetto della parete Diamir dove Reinhold Messner fece la prima salita solitaria di un Ottomila, senza ossigeno e completamente “by fair means”, nel 1978, per suggellare le parole di Albert Frederick Mummery, che qui nel 1895 fece iniziare la storia dell’himalaysmo. La stessa parete dove Reinhold perse nel 1970 il fratello Günther e di cui all’inizio della spedizione è stato ritrovato lo scarpone destro, identificato grazie a un controllo incrociato sui libri che avevo con me. Il reperto ci era stato consegnato in custodia da due pastori locali, prima di essere spedito in Italia, dopo avere avvisato personalmente lo stesso Messner.

UNA SALITA SUPER

A stupire tutti sarà comunque la salita in velocità, leggera, di Cesar Rosales insieme con il gruppo di guide valdostane capitanate da Marco Camandona, al suo 12° Ottomila. Al momento giusto e dopo un’ottima strategia di acclimatazione, durata un mese, nonostante il meteo poco favorevole, nell’arco di poco più di 24 ore, Cesar, coordinato e supportato dal mio lavoro dietro le quinte, per tutto il necessario, insieme con il fuoriclasse François Cazzanelli e Jerome Perruquet (e a seguire tutta la squadra valdostana) raggiungono gli 8126 metri della cima. Partono alle 5 del mattino dal Base (François alle 10), saltano il campo 1, il campo 2, arrivano al campo 3, a circa 6800 metri verso le 17, riposano qualche ora e alle 21 partono per la cima, saltando il campo 4, per toccare la cima alle ore 7,30. Cesar e François, dopo una pausa al campo 3 per attendere il ricomporsi di tutta la squadra di vetta, un po’ in difficoltà in discesa, scendono di-

Sopra, Alberto e Cesar, appena scesi dal Nanga Parbat. Sotto, il bellissimo e affollato Campo Base nel versante Diamir, 4200 m

Lontani dalla bolgia degli Ottomila. Lontani dai falsi miti e dagli eroi fittizi costruiti dai social media
ALPINISMO 12 · Montagne360 · novembre 2022

rettamente al Campo Base (4200 m). Tutto ovviamente senza l’uso di ossigeno supplementare. In sintesi, alle 22 del giorno successivo alla partenza, lo riabbraccio. Una salita super dal punto di vista sportivo. Ma non solo.

CI UNISCONO I SOGNI

Su Cesar Rosales posso raccontarvi una breve ma straordinaria, storia. Figlio di campesinos della Cordillera Negra, oratoriano della parrocchia di Marcarà dell’Operazione Mato Grosso, da dove parte il meraviglioso esperimento delle Guide

Don Bosco a opera di Giancarlo Sardini e di altre straordinarie persone, tra le quali mi piace ricor-

Sopra, Alberto e Cesar, durante l'acclimatazione.

A destra, Cesar Rosales sulla via del ritorno a valle, a fine spedizione

Contro i crimini ambientali

Alberto Peruffo è attivista socioambientale da tanti anni in prima linea su molte questioni territoriali. La foto “Stop Pfas”, scattata il 4 luglio 2002 a Cesar in vetta al Nanga Parbat, vuole essere un simbolo suggestivo della lotta globale contro tutte le sostanze chimiche emergenti, invisibili, di nuova generazione, sversate indiscriminatamente in ambiente, responsabili di grandi crimini ambientali e del cambiamento climatico. Un obiettivo per tutti, difficile e ambizioso. Questo il messaggio condiviso anche dall’Onu nella recente Missione in Veneto per indagare sui diritti umani violati e l’inquinamento tossico in Italia, azione sempre coordinata

da Alberto Peruffo, tra i promotori di questa lotta divenuta internazionale e che, grazie a relazioni di varia natura, come quella con Greenpeace International, ha portato pure nell’abbigliamento sportivo il percorso Pfc Free, preso in carico in primis da Gore-Tex e ora dalle maggiori aziende che producono tessuti idrorepellenti, compresi quelli per l’alpinismo. Dopo 20 anni di alpinismo esplorativo e impegno culturale su vari fronti, Peruffo si rende disponibile a fare serate presso le Sezioni del Cai italiane con una nuova conferenza dal titolo Prigionieri del Nanga. E altre incredibili storie, con passaggi su montagne straordinarie in Hindu Kush

(area Chiantar), Karakorum (area Rakaposhi e Batura), Himalaya (area Cho Oyu Nord e Kangchenjunga Sud) Cordillera Blanca (area Huantsan).

Per contatti: albertoperuffo@gmail.com

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dare gli alpinisti Padre Topio e Franco Michieli, Cesar si distingue subito per forza, abilità, ma soprattutto umanità e volontà, davvero superiori al normale. Avendolo avuto come compagno in spedizioni difficili, come l’area Zemu del Kangchenjunga, o lo Huantsan nella Cordillera Blanca, posso dire che pochi alpinisti mi hanno colpito come Cesar. Col tempo sono diventato una specie di fratello maggiore. Ci dividono quindici anni. Ci uniscono i sogni. Ne avevamo uno: quello di portarlo su un Ottomila, per dare merito al suo impegno ventennale, ma pure per valorizzare tutto il percorso delle Guide Don Bosco e riprendere in mano le sorti future del Centro Andinismo Renato Casarotto, frutto del lavoro di moltissimi volontari, tra cui i contributi delle decine di migliaia di soci delle Sezioni Vicentine del Cai. Ce l’abbiamo fatta.

Chi conosce la mia piccola storia di alpinista, di ricercatore, probabilmente sa quanto ho fatto per far riemergere la figura di Renato Casarotto, legata indissolubilmente al mio maestro d’alpinismo, l’accademico montecchiano Giacomo Albiero (lui stesso in esplorazione sullo Huantsan molti decenni prima di me con una spedizione condotta da Giovanni Dolcetta), ma soprattutto alla parete Nord dell’Huascaran, dove il progetto Andinismo OMG è fiorito, dopo la morte di Battistino Bonali e Giandomenico Ducoli. “Andare in alto per aiutare chi sta in basso”, oppure “Andinismo no es alpinismo, es mucho más”. Con Cesar, questo sogno collettivo di andare in alto per aiutare chi sta in basso – mostrando che c’è una forma diversa di alpinismo, fatto di solidarietà e libertà, di amicizia e ricerca culturale, non solo di competizione e mercato dell’ego – credo abbia raggiunto un punto fermo, esemplare.

THELMA & LOUISE AL MASCHILE

Ricordo la telefonata di Giancarlo Sardini a Cesar quando rientrammo a Gilgit. Erano quasi in lacrime entrambi, come accadde qualche giorno prima quando Cesar e mia moglie si sentirono per comunicare la cima appena raggiunta, al cellulare. Insomma, ci sono molti legami di prossimità, di famiglie, di amicizie, di culture, un pluralismo di relazioni che cementano questo sogno. Tanto da farlo diventare un fatto – ora che è accaduto – di grande valore collettivo, sociale. Dimenticavo il finale della nostra microspedizione: per scappare dai “Prigionieri del Nanga” – gli alpinisti citati prima – dopo averli aiutati a portare materiale al campo 1 per il loro estremo tentativo, io e Cesar siamo scesi tutto d’un fiato verso valle. Abbiamo finito il nostro viaggio di amicizia fraterna fino ai confini con la Cina, noleggiando una macchina, come Thelma & Louise, al maschile, ribaltando il tragico finale, lungo la mitica KKH –sulla Via della Seta – con una puntata nelle valli remote dell’Hindu Kush e del Karakorum, in cerca di nuove montagne, mai salite. Lontani dalla bolgia degli Ottomila. Lontani dai falsi miti e dagli eroi fittizi costruiti dai social media, a immagine e somiglianza dell’ossigenato mondo “neocolonialista” che essi veicolano. Ci siamo tuffati e inebriati al Festival Hunza di Karimabad e abbiamo capito che la vita è gioia, democrazia, mutualismo, impegno, follia nel partire senza sapere quando ritorni. Consapevoli di dover esser anticorpi laddove i sogni possono trasformarsi in prigioni. Soprattutto quando rientri nel clima infuocato delle città. Viva Cesar! Rosales. Di Marcarà. Sperduto paesello delle cordigliere andine.

* Alpinista, attivista, scrittore, regista, Sezione Cai Montecchio Maggiore

Sopra a sinistra, lo scarpone destro di Messner, in mano al suo ritrovatore, in custodia presso la nostra tenda. Sopra, Cesar Rosales in vetta, con la bandiera del Perù, 8126 m (foto François Cazzanelli)

ALPINISMO
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Montagna e fulmini

I consigli di Davide Di Giosaffatte, Istruttore nazionale di alpinismo e scialpinismo del Cai e guida alpina, sui comportamenti da tenere se si viene sorpresi da un temporale su un sentiero o in parete di Lorenzo Arduini

METEOROLOGIA 16 · Montagne360 · novembre 2022

Sopra, il cielo squarciato da una tempesta di fulmini (foto ethink - Pixabay)

«Ad attirare maggiormente i fulmini sono le parti di terreno, come creste, cime o alberi isolati, che si innalzano rispetto a ciò che c’è intorno. Durante un temporale è dunque importante evitare di stazionare in luoghi più esposti di altri a una scarica elettrica di questo tipo». A parlare è Davide Di Giosaffatte, Istruttore nazionale di alpinismo e scialpinismo del Cai, componente della Scuola centrale di scialpinismo del Sodalizio e guida alpina di Castelli (TE). «La scarica di un fulmine, a parte rari casi, è sempre mortale se ci colpisce in modo diretto oppure se cade nelle immediate vicinanze dal punto in cui ci troviamo. La potenza di un fulmine è infatti talmente alta che il corpo umano non può resistere. Se invece la scarica cade a una distanza non eccessivamente ridotta e si viene colpiti da fenomeni indiretti, è possibile venirne fuori». Fatto, quest’ultimo, che a Di Giosaffatte è accaduto una trentina di anni fa, quando un fulmine si è abbattuto nei pressi del sentiero che stava percorrendo alla Cima Alta (Prati di Tivo), mentre era di ritorno da una scalata. Insieme ai suoi compagni venne scaraventato a terra dallo spostamento d’aria, fortunatamente senza ulteriori conseguenze.

FULMINI, MOSCHETTONI E PICCOZZE

Quando si è impegnati in un’escursione, oppure in un’ascensione su ghiaccio o su neve, le componenti metalliche della propria attrezzatura possono attirare i fulmini, in maniera direttamente proporzionale alle loro dimensioni. «Anche tenere tanti piccoli oggetti di metallo vicini tra loro fa crescere il pericolo, dato che si viene a formare un corpo significativo. Un semplice moschettone, al contrario, è in genere poco pericoloso». La piccozza, dal canto suo, merita un discorso a parte. «È un attrezzo che può attirare i fulmini non solo per il materiale con cui è costruito, ma anche per la sua forma. Se la si tiene in alto, sopra la testa, il pericolo aumenta». Questo vale anche per i bastoncini, che non devono mai essere puntati verso l’alto durante un temporale. «Gli ultimi modelli, poi, sono quasi sempre di carbonio, fattore che aggrava la situazione».

La scarica di un fulmine è pericolosa anche se quest’ultimo cade a una certa distanza dall’escursionista
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I COMPORTAMENTI DA TENERE

A qualche lettore di questa rivista sarà sicuramente capitato, durante un temporale, di aver sentito “ronzare” la propria piccozza. «Questo è un chiaro segnale che ci avverte di essere in mezzo a una quantità importante di scariche elettriche. La prima cosa da fare, se ne abbiamo la possibilità, è allontanarsi velocemente dalla posizione nella quale ci troviamo, dirigendoci verso zone più lontane da creste e asperità rivolte verso l’alto». La scarica di un fulmine è pericolosa anche se quest’ultimo cade a una certa distanza dall’escursionista. «Quindi allontanarsi di poco non è sufficiente». Se invece il temporale arriva quando ci si trova in parete, la questione è diversa. «Dobbiamo considerare che non ci troviamo su un’asperità o una cima, dunque si può valutare di attendere che la situazione meteorologica migliori. La corda, bagnandosi, potrebbe diventare un conduttore, certo, ma il rischio è molto minore rispetto allo stare attaccati, ad esempio, al cavo metallico di una ferrata. Ritengo che, rispetto a una via alpinistica, sia molto più pericoloso trovarsi su un percorso attrezzato o, appunto, su una ferrata, per la presenza di lunghi tratti di materiale metallico da cui bisogna stare assolutamente lontani. È un errore davvero grave affrontare un percorso di questo tipo con previsioni meteo dubbie».

L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE

E qui arriva l’importanza di un’approfondita preparazione dell’escursione o della salita alpinistica, durante la quale non può mancare la valutazione delle previsioni meteorologiche. «Al giorno d’oggi sono sempre più attendibili. Eccetto rari casi, dunque, se si viene sorpresi da un temporale in parete, o ancora peggio su una ferrata, significa che sono stati commessi degli errori i giorni precedenti all’uscita». L’istruttore abruzzese del Cai esclude, invece, che una bicicletta a pedalata assistita possa esporre un cicloescursionista a una scarica elettrica. «La bicicletta è più bassa della persona in piedi, e ritengo improbabile che venga tenuta issata sopra la testa. A mio avviso, l’attenzione va posta sul luogo in cui ci si trova, più che sul mezzo di spostamento».

VALUTARE LE OPZIONI

MENO PERICOLOSE

Relativamente all’ipotesi di sbarazzarsi della piccozza e della chincaglieria metallica in caso di temporale, cosa che può esporre a pericoli di altro tipo se ci si trova su terreno difficile, nel bel mezzo di una via di alta difficoltà, Di Giosaffatte è del parere che una soluzione ottimale non esista. «Va fatta una valutazione su quale sia la situazione di pericolo meno alta. Il criterio che dobbiamo sempre seguire è quello di offrire ai fulmini meno “punte”, meno “apici” possibili. Se siamo lontani da cime, creste o alberi possiamo aspettare il miglioramento della situazione». Le caratteristiche del luogo in cui ci si trova sono

METEOROLOGIA
«L’attenzione va posta sul luogo in cui ci si trova, più che sul mezzo di spostamento»
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più importanti anche delle posizioni che l’escursionista può assumere. «Rannicchiarsi è sicuramente meglio che restare in piedi. Questo però conta poco nel caso in cui ci si trovi in un punto esposto ai fulmini. Isolarsi dal terreno è anch’essa una buona soluzione, ma è molto difficile da mettere realmente in pratica, con l’acqua che può fare da conduttore». L’ipotesi di scendere a corda doppia sotto un temporale può essere un’opzione praticabile, ma anche in questo caso

bisogna valutare tempi e urgenza. «Nel caso sia pomeriggio inoltrato, l’attesa può esporre ad altri pericoli con l’arrivo del buio, dunque conviene scendere. Se, al contrario, si hanno ancora diverse ore di luce davanti e la zona, per la sua conformazione, non è esposta a fulmini, è più conveniente stare fermi e attendere la fine del temporale. Muoversi orizzontalmente su roccia bagnata può infatti causare scivolate, considerato anche che la concentrazione personale, quando si è sotto l’acqua, è minore rispetto a quella che si ha in un contesto normale. E gli errori in calate in corda doppia possono avere conseguenze gravissime». Un’ultima situazione che abbiamo voluto discutere con l’istruttore abruzzese è il caso in cui ci si trovi in un rifugio con una finestra aperta. «Se il rifugio non è dotato di un parafulmine, una finestra aperta può costituire una sorta di invito al fulmine, in quanto una discontinuità nella superficie lo può attirare. Una finestra può essere pericolosa anche per il fatto che il vetro è meno resistente di un muro, dunque può infrangersi e ferirci. Durante un forte temporale conviene perciò stare lontani dalle finestre, oltreché tenerle chiuse, in particolare se l’edificio non è dotato di parafulmine».

Nella pagina a sinistra, Davide Di Giosaffatte. Sopra, temporale vicino alle Tre Cime, sulle Dolomiti (foto AdobeStock) Torsten SimonPixabay
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A proposito di sostenibilità

Alla luce di un ennesimo progetto di ampliamento di un’area destinata allo sci invernale, ragioniamo sulle necessità dell’Appennino e dei suoi abitanti e di cosa sia auspicabile per il loro futuro

Ed eccoci ancora a ragionare, analizzare e scrivere su di un ennesimo progetto di ampliamento di un’area sciabile e connessi impianti tecnici di funzionalizzazione. Non è nelle nostre intenzioni e consuetudini ragionare per schemi aprioristici, bensì cercando di avvicinarci alla questione con uno sguardo il più possibile obiettivo e disincantato. Partiamo quindi dalla considerazione generale che l’industria sciistica ha senza dubbio rappresentato negli scorsi decenni un importante fattore di crescita economica delle aree di montagna. Ancora oggi, la redditività economica delle imprese che gestiscono gli impianti sciistici non sembra, per la maggior parte dei casi, ancora minacciata,

anche se un certo numero di esse beneficia di sovvenzioni pubbliche, malgrado si conoscano numerose stazioni in difficoltà o abbandonate.

Per quanto riguarda la redditività delle società di gestione degli impianti, le dimensioni dei comprensori sembrano giocare un ruolo fondamentale non disgiunte dalle mutate condizioni meteo climatiche che, di fatto, riducono la quantità complessiva dell’innevamento naturale sia in termini quantitativi sia di periodo.

INNEVAMENTO ARTIFICIALE

Questa situazione ha spinto la quasi totalità delle stazioni sciistiche a dotarsi di impianti di innevamento artificiale per assicurare una durata economicamente accettabile alla stagione sciistica. Tali

A sinistra, il Lago Scaffaiolo visto dal Rifugio Duca degli Abruzzi. Sopra, la valle di origine glaciale sul versante emiliano, tra il Monte Corno alle Scale e il crinale

Monte CupolinoMonte Spigolino (foto Mauro Chessa)

AMBIENTE - DOGANACCIA
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impianti implicano notevoli investimenti finanziari per la costruzione della rete idrica e dei bacini di raccolta, oltre a un grande consumo di energia e di acqua, che viene sottratta agli ecosistemi o ad altri usi.

Le più quotate Società di produzione e costruzione di impianti di innevamento “tecnico” (così lo definiscono), affermano che il 90% delle stazioni sciistiche alpine e il 70% di queste stazioni sull’Appennino sono dotate appunto di questo tipo di impianti.

In Appennino le conseguenze del riscaldamento globale e dei cosiddetti cambiamenti climatici sono ormai evidenti.

Un altro elemento determinante riguarda le considerazioni che i più quotati analisti di settore compiono, fra i quali spicca Laurent Vanat con il suo annuale report, iniziando a definire il cosiddetto mercato dello sci quale un mercato maturo almeno a livello italiano e in parte europeo. La prova di ciò lo si ha nella sempre maggiore spinta sia alla destagionalizzazione proponendo gli impianti di risalita non solo come funzionali alla pratica dello sci di pista, ma quali mezzi di trasporto pubblico (naturalmente ecosostenibile), sia alla realizzazione dei cosiddetti collegamenti intervallivi per ampliare l’offerta dei vari comprensori. Sono segnali di forza e di intraprendenza industriale o di debolezza del sistema ?

COSA SERVE ALL’APPENNINO?

Inoltre si assiste a una massiccia immissione di fondi pubblici sia per realizzare questi nuovi impianti sia per finanziare le cosiddette razionalizzazioni e funzionalizzazioni di quelli esistenti.

Ma l’Appennino Tosco-Emiliano ha proprio bisogno di tutto ciò in prospettiva futura?

Vero è che l’amministratore locale può farsi identificare come colui “che ha portato ingenti risorse sul territorio”, senza però verificare la sostenibilità economica dell’investimento, a maggior ragione se sostenuto da fondi pubblici e quindi dalla collettività.

Sembra che non vi siano alternative.

Probabilmente allargando lo sguardo e la riflessione a orizzonti un po’ più di medio termine potremmo convenire sul fatto che in questa situazione di stagnazione duratura del mercato sciistico, forte concorrenza internazionale, cambiamenti climatici in corso e conflitti con la protezione della biodiversità, è necessario profilare un tipo di sviluppo delle aree montane che proponga una riflessione profonda sull’economia dello sci da discesa e, nel contempo, offra delle valide alternative alle comunità di montagna, ovunque risiedano e indipendentemente dalla presenza di impianti di risalita.

Le comunità appenniniche hanno in sé tutte le risorse ambientali, culturali e valoriali per sperimentare quel che comunemente viene definita economia territoriale diffusa, dove il territorio e le popolazioni che lo abitano e lo mantengono si mettono in gioco per essere attori primi del loro presente, ma soprattutto del futuro che consegneranno ai loro figli, senza farsi dettare agende e modelli di vita da terzi.

Ciò, per ora in linea teorica, viene definita sostenibilità.

* Presidente Commissione Centrale Tutela Ambiente Montano

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Il “caso” Doganaccia

Sul tema della nuova funivia, le istanze e i dubbi tecnici, ambientali e di opportunità del versante toscano di Mauro Chessa*

Il versante che verrà interessato dall’impianto Doganaccia - Lago Scaffaiolo è sempre più spesso in sofferenza per lo scarso innevamento. La Società Metereologica Subalpina già nel 2006 documentò come, al di sotto degli 1800 - 2000 m di quota, nemmeno l’innevamento artificiale può ragionevolmente garantire adeguate condizioni. Chi frequenta l’Appennino pistoiese sa anche che quel versante, il cui crinale sfiora appena i 1800 m di quota, beneficia di una notevole insolazione, essendo esposto a sud-est, ed è assai esposto ai venti che entrano dalla costa, non essendoci alcun rilievo che lo protegga dalle perturbazioni

temperate atlantiche. La ventosità del versante rappresenta un problema anche per la fruibilità della già presente cabinovia, che non raramente deve interrompere il servizio per le raffiche.

I DUBBI

Sotto il profilo sciistico il nuovo impianto potrebbe giovare alla stazione del Corno alle Scale, sul versante emiliano, quindi drenerebbe l’utenza toscana, sottraendola ai già sofferenti impianti dell’Abetone (hanno ripetutamente beneficiato di fondi pubblici per sopravvivere), per consentire a questa di raggiungere più rapidamente il versante opposto. Se questo è l’obbiettivo, sareb-

Sopra, il versante toscano tra la Doganaccia e il Lago Scaffaiolo che verrà attraversato dalla funivia in progetto (foto Mauro Chessa)

AMBIENTE - DOGANACCIA
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be opportuno sapere come si intende far fronte all’aggravio sulla viabilità toscana: le code sulla statale del Brennero sono famose. Inoltre il parcheggio dell’impianto esistente, che collega il paese di Cutigliano alla Doganaccia (punto di partenza del nuovo impianto), è palesemente insufficiente ad accogliere ulteriore utenza, ed è appeso a un versante di non eccelsa stabilità, quindi è veramente difficile immaginarne l’ampliamento, così come è già insufficiente la viabilità che attraversa Cutigliano per raggiungerlo.

L’IMPATTO AMBIENTALE

A fronte di queste incongruenze di carattere tecnico risulta pure evidente il notevole impatto ambientale che avrebbe la nuova funivia, il cui tracciato taglia diagonalmente il versante per oltre 2 km e approda sul crinale, interessando la Zona Speciale di Conservazione Monte Spigolino - Monte Gennaio, le cui misure prevedono espressamente il “divieto di realizzazione di nuovi impianti di risalita a fune e nuove piste da sci”. Questo divieto è stato cancellato con l’inserimento dell’impianto nella variante al Piano delle Aree Sciistiche Attrezzate del Ptc della Provincia di Pistoia (2018); ed è incredibile perché la Valutazione Ambientale Strategica che correda la stessa variante evidenzia chiaramente la forte incidenza dell’impianto sulle caratteristiche ambientali e paesaggistiche, oltre a individuare “importanti impatti” anche a riguardo della pericolosità geomorfologica. Sempre in tema di limitazioni urbanistiche il Piano di Indirizzo Territoriale regionale prescrive per questa zona che nessun manufatto possa “interferire o limitare le visuali panoramiche, gli scenari, i coni e bersagli visivi, le vette e i crinali o gli altri elementi emergenti del paesaggio montano”; “compromettere gli assetti paesaggistici e ambientali del paesaggio forestale e di prateria montana”; “incrementare gli impatti antropici sugli ecosistemi prativi montani”, e non si capisce come questa funivia possa rispettare tali limitazioni.

UN PROGETTO INSOSTENIBILE

Insomma questo progetto è nato in un momento storico diverso (nell’attuale contingenza la priorità sociale non può essere quella di impegnare risorse pubbliche per realizzare e poi mantenere in vita un impianto di risalita), si trascina a fronte di uno scenario climatico ed economico che lo rende palesemente insostenibile e con una pesantissima incidenza ambientale certificata, anche se irragionevolmente cancellata con un maldestro escamotage burocratico.

* Commissione Regionale

novembre 2022 · Montagne360 · 23

Io sono Bea

Diciassette anni, un Oro nel 2021 in Russia, un altro lo scorso agosto a Dallas, Beatrice Colli è la stella del free climbing italiano. Abbiamo parlato con lei e con il suo allenatore, Fabio Palma, che nel recente passato è stato presidente dei Ragni di Lecco

Beatrice Colli è il nuovo astro nascente dell’arrampicata. Nata a Colico (in provincia di Lecco), dove ha mosso i primi passi – a undici anni – nella locale sala boulder del Cai, si è presto spostata a Lecco dove, nel 2016, è entrata nel team dei Ragni. Così la racconta Fabio Palma, presidente dei Ragni di Lecco e suo allenatore: «Beatrice era una bambina gracile ma dallo sguardo molto serio e aggressivo quando mi si presentò nel 2016. Pochi mesi dopo si era integrata così bene con gli altri della mia squadra che quando li portavo in giro per allenamento in macchina era sempre il centro dell’attenzione, faceva letteralmente “cinema” ed era un continuo ridere. Ma poi sa trasformarsi durante gli allenamenti e le gare, con una focalizzazione sull’obiettivo che raramente ho riscontrato anche in ambiti professionali internazionali. Se maturità ed equilibrio sono due concetti fondati sulla capacità di pianificare il futuro, Bea è matura come pochissimi adulti da me frequentati a qualunque livello e in qualunque contesto». E dopo i numerosi successi nazionali e internazionali, Bea è tornata da Dallas, lo scorso ago-

ARRAMPICATA 24 · Montagne360 · novembre 2022

sto, con un Oro (il secondo della sua carriera) nei Campionati del mondo Speed giovanile. «È un’atleta portentosa e scalatrice di classe (due 8b a 15 anni, senza le gare sarebbe a mio parere già al 9a), continua Palma. «Ma soprattutto ha una mente complessa e sofisticata e un’intelligenza fuori dal comune, talvolta a disagio nell’accettare ciò che è precostituito per le persone normali».

NON È UNA COTTA, MA VERO AMORE Beatrice, per partire dall’inizio, com’è nato questo amore per l’arrampicata?

«Sugli alberi, sui muretti, su tavoli e divani di casa, mi arrampicavo ovunque. Potrei dire che l’ho sempre avuto nel sangue e fortunatamente ho colto l’occasione di far crescere questa passione grazie alla mia famiglia che fin da subito mi ha sostenuto. Ho iniziato in una piccola palestra di boulder in gestione al Cai del mio paese e ho avuto la fortuna di incontrare le persone giuste che hanno fatto in modo di trasformare questa mia cotta per l’arrampicata in un vero amore, spingendomi sempre più avanti e portandomi fino all’agonismo. Ed ecco che sono entrata nel gruppo agonistico dei Ragni di Lecco e ho conosciuto Fabio Palma, tuttora mio allenatore ed esempio, e ho creato un rapporto fantastico con coloro che condividevano la mia stessa passione».

Che cosa scatta nella testa di un’atleta quando affronta una prova?

«Se si potesse davvero descrivere cosa scatta nella mia testa quando sono in gara, allora si potrebbero risolvere tanti problemi che spesso mi portano a fallire la gara stessa. Tanti pensieri, tante emozioni, tante cose occupano la mia mente quando sto gareggiando, ma se dovessi descrivere una gara perfetta allora direi che sono felice, penso a cose belle, sono piena di energia e non mi concentro davvero su cosa penso. Nel momento in cui sono sotto la parete e sto sistemando la pedana la mia mente è completamente vuota, salgo senza nemmeno sapere cosa sto facendo e quando scendo non mi ricordo cosa è successo. Quindi ciò che scatta è il nulla, e se scatta il nulla allora so per certo che sarà la gara giusta».

«Sugli alberi, sui muretti, su tavoli e divani di casa, da piccola mi arrampicavo ovunque»
Nella foto, Beatrice Colli dopo uno scontro diretto in Coppa del Mondo perso per pochi centesimi
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Un’immagine che non dimentichi e una da dimenticare.

«Un’immagine che non dimenticherò mai sono i viaggi che hanno accompagnato le gare di Coppa del mondo a cui ho partecipato: Corea, America, Francia, Svizzera… Il loro ricordo ha preso un posto nel mio cuore e mi piace riviverli nella mente, riguardare le foto, sono stati dei viaggi indimenticabili. Ciò che li ha resi speciali è stato il brivido in più aggiunto dalla gara; in questo 2022 ho conosciuto il nuovo e vero mondo delle gare, con i senior, forti, belli, seri, concentrati, il posto in cui ho sempre sognato di stare. Per quanto riguarda l’immagine da dimenticare, potrà sembrare noioso, ma non voglio dimenticare nulla. Tutto quello di cui ho fatto esperienza mi è servito, facile o difficile che sia stato, c’è stato e mi ha insegnato a comportarmi. Fallire una gara fa male, come fosse un cuore spezzato, ed è quel dolore che ti grida in faccia che ti fa crescere e ti permette di affrontare ciò che potrai incontrare più avanti.

Grazie al fallimento sono riuscita a vincere». Poi ci pensa e aggiunge: «L’unica cosa che voglio davvero dimenticare è il dolore causato dalla quantità di peperoncino nei cibi coreani».

SACRIFICI? SÌ MA NE VALE LA PENA

Com’è scandita la tua giornata?

«La mia giornata classica è divisa in due parti, scuola e allenamento, la mattina sono seduta al banco e seguo le lezioni e il pomeriggio mi alleno. L’unica cosa che cambia è la palestra, a volte sono a Milano, a volte a Lecco, altre nel mio garage. Poi ci sono anche le giornate speciali in cui salgo su un aereo e volo dall’altra parte del mondo e vivo tante belle emozioni».

Come riesci – se ci riesci – a far coesistere l’arrampicata con il resto della tua vita di ragazza? «È difficile rendere l’idea della vita che faccio, agli occhi degli altri sembra “tutto un sacrificio”, in realtà il mondo dello sport è parecchio più grande di quanto ci si possa aspettare. Andare in palestra significa in fondo uscire con gli amici e fare qualcosa di produttivo. Andare in trasferta significa anche andare in vacanza con altri amici. Magari il sabato sera sono a casa a fare i compiti di matematica per la verifica della settimana dopo, ma in fondo sono comunque felice. E soprattutto durante l’estate la mia vita si stravolge perché sono sempre in viaggio, sempre con i miei amici e quella che voi chiamate la “vita di ragazza” riesco a viverla anco-

A sinistra, settembre 2021, alla prima grande prova con le senior, Campionato mondiale di Mosca.

A destra, sempre durante il Campionato del mondo a Mosca

«Quando sono sotto la parete e sto sistemando la pedana la mia mente è completamente vuota»
ARRAMPICATA 26 · Montagne360 · novembre 2022

ra meglio. Alcuni sacrifici vanno fatti, sicuramente sono tanti, ma senza dubbio ne vale la pena». A livello di tecnica e di soddisfazione, come definiresti la differenza tra scalare indoor e outdoor?

«La scalata outdoor è una vera e propria arte. Non sono esperta e non so nemmeno se mai lo diventerò, ma per quello che ho conosciuto finora posso certamente dire che è un’avventura splendida. Permette di conoscere meglio se stessi sotto pressione: quando si scala la parete di una montagna si devono tenere sotto controllo molte cose e in questo modo ci si può accorgere di come si è fatti, come si reagisce, come ci si comporta… Scalare indoor invece riesco a visualizzarlo solo come uno sport per cui ci si allena per raggiungere degli obiettivi; la tecnica e la soddisfazione della scalata su roccia permangono anche in questa parte dall’arrampicata, ma sicuramente si tratta di qualcosa di diverso, più attinente all’agonismo».

ASPETTANDO LE OLIMPIADI

Che cosa vedi nel tuo futuro (a breve e a lungo termine)?

«Nel mio futuro vedo tanto allenamento, tante altre gare e tanti altri viaggi. Vedo anche una me più grande, che finalmente vivrà nel suo mondo, gestito da sé, quindi una grande novità che non vedo l’ora di affrontare. E tra tanti altri allenamenti vedo ancora molta esperienza da fare per raggiungere l’obiettivo di tutti i grandi sportivi, le Olimpiadi». Hai già fatto serate e interviste, e Palma dice che sei molto portata. Cosa ti dà relazionarti con gli altri?

«Mi piace sapere cosa gli altri pensano di me, e quindi mi piace anche condividere quello che vivo. Non lo faccio per esibire il mio titolo di campionessa del mondo, o per vantarmi della mia partecipazione a una gara, lo faccio per raccontare a coloro che hanno voglia di ascoltarmi quello che provo. È anche un modo per rendersi conto di quello che si è diventati. A volte non è facile essere fieri di se stessi, perché si vuole sempre di più e non si riesce a essere soddisfatti. Parlare alle persone giuste fa sì che i tuoi sforzi vengano ripagati dalla loro ammirazione, e questo regala la forza di continuare ancora più forte di prima». A 15 anni avevi salito due 8b e Palma dice che senza le gare saresti già molto sopra l’8c. Lui era diventato famoso con le vie in montagna. Ti vedremo un giorno sull’8b in montagna?

«Un giorno in un futuro lontano potrò coltivare l’altro lato del mio amore per l’arrampicata e forse se ancora mi piacerà potrò dedicarmi alla scalata outdoor».

novembre 2022 · Montagne360 · 27

Nel continente buio

Raccontare l’esplorazione e ricercare nuovi materiali e nuove tecniche: questi i due punti centrali che sono emersi nell’incontro padovano della Commissione centrale speleologia e torrentismo del Cai

Proviamo a immaginare un continente immerso del buio assoluto o chiuso da pareti altissime che impediscono di comprenderne lo sviluppo e la direzione. L’approccio analitico diviene importante per comprendere quali passi fare e quale è la strada giusta per raggiungere la cima. E da sempre il torrentismo e la speleologia, in particolare, hanno insito il seme della ricerca scientifica. Oggi, con un briciolo di vanto, come confermato dal Presidente generale Antonio Montani presente alle giornate organizzate a Padova alla fine dello scorso mese di settembre, questo spirito di approccio scientifico alla montagna sopravvive quasi intatto fra speleologi e torrentisti.

UN’OCCASIONE DI CONFRONTO

Nell’affascinante cornice della città di Padova, in collaborazione della locale Sezione Cai, speleologi e torrentisti del Club alpino italiano si sono dunque incontrati dal 30 settembre al 2 ottobre per confrontarsi e scambiarsi esperienze sulle tematiche delle due attività gestite dalla commissione centrale per la speleologia e il torrentismo. Due sono i “fil rouge” principali che hanno guidato la kermesse, attraverso mostre fotografiche sulle esplorazioni di torrenti e grotte svolte sotto la bandiera del Club alpino italiano; il raccontare l’esplorazione e la ricerca e i materiali e le tecniche. In entrambe le sessioni sono stati presentati degli elaborati che dimostrano il livello oramai raggiunto dagli appassionati delle due discipline e dai titolati e qualificati delle scuole del Club alpino italiano in torrentismo e speleologia. Nel

concreto abbiamo visto presentare studi compiuti sul tracciamento delle correnti d’aria e sulla fauna in grotta, sulla genesi, infine ricerche atte a mappare il mondo immerso nel buio. Allo stesso modo oltre all’importanza di comprendere cosa ci accade intorno, speleologi e torrentisti hanno la necessità di realizzare strumenti e attrezzature per fare il giusto passo nella giusta direzione. Da qui la ricerca si orienta sui materiali, con un occhio rivolto al passato e una mano protesa al futuro. Così da un lato gli studi sulle corde utilizzate a lungo in grotta si collegano a un filone storico che, in passato, ha rivoluzionato il nostro modo d’essere; dall’altro invece la presentazione del prototipo di un nuovo ancoraggio polivalente, sposa il concetto che torrentisti e speleologi hanno ancor oggi insito il lume della ricerca.

L’AMBIENTE

Proprio da questa voglia di conoscere nasce anche il concetto di rispetto dell’ambiente, sfociato durante questa tre giorni in una tavola rotonda con la partecipazione della Tam (Tutela ambiente montano) sull’acqua come bene primario e da tutelare. Una disamina approfondita sulla situazione delle fonti idriche dal punto di vista qualitativo ma non solo. L’acqua è un elemento sociale fondamentale. Importanza emersa in maniera preponderante, cosi come la necessità di un impegno di ognuno di noi, governanti inclusi, nel proteggerla e preservarla il più possibile. Forse il punto sostanziale di questo percorso fatto dalla Commissione centrale speleologia e torrentismo negli ultimi tre anni è la necessità sempre più forte di condividere e comunicare. Non stiamo parlando di una

comunicazione fatta di mostre o conferenze ma di qualcosa di diverso. Volendo sintetizzare abbiamo visto nascere uno scambio interno dal Club alpino italiano e uno diretto verso l’esterno. In seno al Cai si è iniziato a parlare e confrontarsi in maniera trasversale attraverso le collaborazioni realizzate con Commissione centrale medica, Tutela ambiente montano, Commissione centrale speleologia e torrentismo e il laboratorio e la torre presso il centro studi di Padova. Un confronto che porterà di sicuro a una crescita a livello di conoscenze e un’apertura della visione globale di tutte le commissioni coinvolte. L’impiego da parte della Commissione centrale speleologia e torrentismo e dei suoi titolati e qualificati di strumenti informatici e dei canali social, nata anche dalla necessità di superare le barriere comunicative innalzate dalla pandemia, hanno aperto e rinnovato la voglia di comunicare all’esterno. Quanto emerso durante il congresso non può che essere una premessa a un frizzante futuro.

* Membro della Commissione Centrale per la Speleologia e Torrentismo

CONVEGNI CAI – IL PUNTO
Sopra, il Presidente Montani (nella foto, a destra) durante un momento del convegno
28 · Montagne360 · novembre 2022

Medicina e montagna

La salvaguardia della salute dei Soci è una delle finalità della Commissione Centrale Medica. Vediamo con quali collaborazioni, strumenti e prospettive di Franco Finelli*

LLa Commissione Centrale Medica è un Organo Tecnico del Cai, Sodalizio che, dopo una prima fase caratterizzata dall’esplorazione e dalla ricerca, una seconda legata alla frequentazione, una terza dedicata alla tutela dell’ambiente montano, ha sviluppato di recente una quarta finalità: la salvaguardia della salute e del benessere dei propri Soci. La Commissione opera in collaborazione con le numerose Commissioni periferiche, regionali, intersezionali e sezionali, promuovendo e organizzando tutto ciò che concerne la formazione sanitaria per le altre discipline del Sodalizio, mettendosi a disposizione delle Sezioni per lezioni di primo soccorso o riguardanti temi specifici sulle patologie nelle quali si può incorrere durante la frequentazione delle Terre alte. Tanti gli argomenti da trattare, cosicché ha costituito gruppi di lavoro, alcuni dei quali con un proprio “decalogo” con le principali raccomandazioni.

Uno di questi gruppi, denominato “Presidi e farmaci”, ha l’intento di approntare un kit di primo soccorso per i Soci o la cassetta di pronto soccorso nei rifugi o ancora di affrontare la tematica di una certificazione sanitaria per i Titolati del Cai.

MONTAGNATERAPIA

Proseguono i lavori congiunti con la Società Italiana di Medicina di Montagna SIMeM e la Società italiana di Montagnaterapia SIMont. Ricordiamo che la Montagnaterapia definisce un originale approccio metodologico a carattere terapeutico-riabilitativo o socio-educativo, finalizzato alla prevenzione secondaria, alla cura e alla riabilitazione degli indivi-

dui portatori di differenti problematiche, patologie o disabilità; esso è progettato per svolgersi, attraverso il lavoro sulle dinamiche di gruppo, nell’ambiente culturale, naturale e artificiale della montagna. La Montagnaterapia si attua nella dimensione di piccoli gruppi, anche coordinati fra loro; utilizza controllate sessioni di lavoro a carattere psicofisico e psicosociale (con forte valenza relazionale ed emozionale), che mirano a favorire un incremento della salute e del benessere generale e quindi un miglioramento della qualità della vita. Dal 2020 il Gruppo di lavoro Montagnaterapia è confluito nella Commissione Centrale per l’Escursionismo.

LE COLLABORAZIONI

Da alcuni anni la Commissione Centrale Medica partecipa ai lavori dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) sul Goal 3 “Salute e benessere” attraverso la partecipazione a numerosi incontri, l’elaborazione di documenti scritti e la realizzazione di eventi.

Dal 2018 poi il Cai, d’intesa con il Cnr, ha avviato attività scientifiche congiunte nel campo della Terapia Forestale, con specifico riferimento alla caratterizzazione e distribuzione nello spazio e nel tempo delle concentrazioni di composti organici volatili biogenici (Bvoc), misurate presso siti e lungo percorsi forestali e montani, e a sessioni sperimentali per la verifica diretta della funzionalità rispetto a parametri psicologici.

Più recentemente, Ibe-Cnr e Cai hanno prodotto il secondo libro Terapia Forestale, pubblicato da Cnr Edizioni, con la collaborazione scientifica di Centro di Riferimento Regionale in Fitoterapia (Cerfit) - Azienda Ospedaliera Universitaria Ca-

reggi di Firenze. Il progetto si riferisce al campo emergente della Terapia Forestale, sempre più riconosciuta quale medicina complementare naturale sulla base delle evidenze scientifiche rispetto alla funzionalità su numerosi aspetti della salute psicofisica umana.

I CONVEGNI E IL FUTURO

Molti di questi argomenti hanno trovato supporto scientifico grazie alla collaborazione, ormai storica, con la Società Italiana di Medicina di Montagna (SIMeM) con la quale si è organizzato il 24 settembre scorso il primo Convegno congiunto al Terminillo: in quella giornata sono stati affrontati vari temi (come la geologia e la geomorfologia dell’Appennino, o come la flora e la fauna dell’Italia centrale), tra cui appunto la Montagnaterapia e la Terapia forestale. Sono stati anche presentati gli studi inerenti la fisiologia e le patologie più frequenti alle medie e alte quote.

È inoltre in fase di sviluppo la collaborazione con il Cnsas, per tutto quanto concerne l’emergenza sanitaria in montagna e in ambiente ipogeo.

Si intravedono spazi di intesa con altre Associazioni, quali Slow Food e Slow Medicine, che a loro volta rivolgono i loro interessi a una frequentazione consapevole delle Terre alte, collegata a stili di vita che prevedono una sana alimentazione e attività fisica.

Di tutti questi temi e di altro ancora si parlerà il prossimo 26 novembre a Bologna, dove avrà luogo il 1° Congresso della Commissione Centrale Medica, quando le Professioni Sanitarie presenti nel Cai e tutti i Soci interessati saranno a confronto.

* Presidente Commissione Centrale Medica

CONVEGNI CAI – IL PUNTO
novembre 2022 · Montagne360 · 29

InQuota, il meglio del cinema di montagna

Nasce la nuova piattaforma di streaming promossa da Cai e Trento Film Festival, per portare nelle case e sui dispositivi di tutti gli appassionati tanti film di alpinismo, avventura e natura, con un abbonamento annuale, scontato per i Soci Cai

a cura della Redazione

Era in cantiere da tempo e dal 25 ottobre è finalmente online: InQuota è la piattaforma di streaming che si rivolge a tutti gli appassionati di cinema e di montagna, frutto del lavoro congiunto del Trento Film Festival e del Cai, in particolare del Centro di Cinematografia e Cineteca.

«Quante volte ci siamo sentiti domandare come fosse possibile riguardare o condividere un certo film dopo averlo apprezzato in sala a Trento o in qualche serata organizzata dalle Sezioni Cai, o vedere i tanti film del Festival persi perché non si è in grado di andarci, per altri impegni o per la distanza? InQuota è la risposta concreta che diamo a un pubblico che sappiamo essere in costante

crescita, e che al piacere della sala cinematografica unisce il desiderio delle visioni private, on demand» spiega Nicoletta Favaron, presidente del Centro e vicepresidente del Trento Film Festival. Soddisfazione espressa anche dal presidente del Festival, Mauro Leveghi: «Durante gli anni duri della pandemia il Festival ha dovuto reinventarsi, immaginando e realizzando nuovi strumenti per relazionarsi col suo pubblico. Abbiamo testato sul campo il potenziale dello streaming, capendo che la domanda era alta. Il Festival da quest’anno è tornato giustamente alla sua normalità, il “grande schermo”, riempiendo le sale: con InQuota vogliamo offrire al nostro pubblico anche la possibilità di continuare a godere da casa, ogni giorno dell’anno, di film unici e introvabili altrove».

Nelle foto di queste pagine, due fotogrammi dei film Climbing Iran (sopra) e Cielo (nella pagina a destra), due delle pellicole disponibili da subito su inquota.tv, la nuova piattaforma di streaming del Cai e del Trento Film Festival

CULTURA
30 · Montagne360 · novembre 2022

IL MEGLIO DEL CINEMA DI MONTAGNA

Il logo di InQuota è stato realizzato dall’artista spagnolo Javier Jaén, autore del manifesto del Festival nel 2019, mentre la piattaforma adottata è quella sviluppata dal provider di servizi di streaming neozelandese Shift72 e dalla società francese Festivalscope, partner web dei maggiori festival e mercati cinematografici internazionali, a partire dalla Mostra del Cinema di Venezia.

«Senza dover cercare, più o meno nascosti tra servizi e abbonamenti diversi, i titoli in tema, gli abbonati a InQuota potranno ora trovare su un’unica piattaforma il meglio del cinema di montagna, natura e avventura», spiega Sergio Fant, responsabile della programmazione cinematografica del Festival e ora anche curatore dei contenuti della nuova piattaforma.

Si parte con oltre venti film, protagonisti delle ultime edizioni del Trento Film Festival o selezionati dal Centro di Cinematografia e Cineteca del Cai. Grande spazio ai film di alpinismo e arrampicata: Dirtbag: The Legend Of Fred Beckey di Dave O’Leske, ritratto del celebre alpinista americano, il cui nome ha evocato mistero, sarcasmo e adulazione fin dagli anni ‘40; Manaslu di Gerald Salmina, biografia di uno dei più grandi alpinisti del nostro tempo, Hans Kammerlander; La montaña desnuda dell’alpinista basco Alex Txikon, che ripercorre la prima invernale al Nanga Parbat nel 2016, realizzata insieme ad Ali Sadpara e Simone Moro; ma anche Climbing Iran di Francesca Borghetti, il documentario sulla vita dell’arrampicatrice iraniana Nasim Eshqi, presentato nel 2021 a Trento e tornato ora di grandissima attualità di fronte alle drammatiche violenze che stanno colpendo i manifestanti in Iran, di cui Nasim si sta

facendo portavoce cercando di sensibilizzare il mondo alpinistico internazionale. Diversi i film premiati dalla Giuria Internazionale del Festival, a partire dalle Genziane d’Oro Señorita Marìa, la falda de la montaña di Ruben Mendoza, vincitore nel 2018, A Tunnel dei georgiani Nino Orjonikidze e Vano Arsenishvili, premiato nel 2020, e Anche stanotte le mucche danzeranno sul tetto di Aldo Gugolz, che ha ottenuto il Gran Premio Città di Trento nel 2021. Spazio anche ai film più amati e premiati dal pubblico, come Cielo di Alison McAlpine, Fine Lines di Dina Khreino e Mountain di Jennifer Peedom, con la voce narrante di Willem Dafoe. Debuttano sulla piattaforma anche molti film italiani, tra cui Il cercatore d’infinito, dedicato ad Armando Aste, grande rocciatore trentino scomparso nel 2017, socio onorario del Trento Film Festival, e Oltre il confine. La storia di Ettore Castiglioni, entrambi firmati da Andrea Azzetti e Federico Massa.

UNA PIACEVOLE ABITUDINE

«Ai film presenti dall’inizio, ogni settimana si aggiungerà un nuovo titolo, per ampliare costantemente la library fino ad arrivare a regime a un centinaio di film disponibili, e far diventare l’appuntamento con le novità di InQuota una piacevole abitudine», ricorda Fant.

Il costo dell’abbonamento annuale è di 50 euro: gli oltre 10mila utenti già registrati sulla piattaforma in occasione delle scorse edizioni del Festival riceveranno un codice sconto per sottoscrivere l’abbonamento al costo di 40 euro, mentre per i soci Cai è prevista un’ulteriore speciale offerta a 30 euro. Tutte le informazioni per abbonarsi e per scoprire i film online su www.inquota.tv.

novembre 2022 · Montagne360 · 31

La festa dell’inclusione

In centinaia hanno partecipato, lo scorso settembre a Domodossola, al secondo Raduno nazionale di escursionismo adattato del Cai “A ruota libera” di Lorenzo Arduini

Sono cambiate le montagne e i sentieri, ma i colori, la partecipazione, l’entusiasmo e i sorrisi sono stati gli stessi. Dopo la “prima” in Val Parma del 2021, Domodossola è stata il teatro, sabato 10 e domenica 11 settembre scorsi, della seconda edizione del Raduno nazionale di escursionismo adattato del Cai “A ruota libera”. Un fine settimana dedicato agli escursionisti con mobilità ridotta, che ci piace definire “completo”: è stato infatti vettore di conoscenza, cultura, natura, relazioni interpersonali, convivialità e, soprattutto, solidarietà e inclusività. Qualche numero? 400 partecipanti circa tra persone con disabilità e accompagnatori, 37 Sezioni Cai di tutta Italia rappresentate. Tra loro il Presidente generale Antonio Montani e il Ministro del Turismo Massimo Garavaglia.

DALL’ALPE LUSENTINO ALLA CICLABILE DELLA TOCE

La domenica, giorno delle escursioni, in 317 sono saliti all’Alpe Lusentino e hanno percorso a piedi un itinerario ad anello di circa 4 km sui pendii del Moncucco, tra i 1068 e i 1216 metri. Protagoniste sono state le joëlette (carrozzine monoruota in grado di percorrere i sentieri grazie all’aiuto di almeno due accompagnatori), con le quali 20 delle oltre 60 persone con disabilità presenti sono state accompagnate dai volontari del Cai opportunamente formati. 40 cicloescursionisti, tra cui diversi ipovedenti sui tandem mtb, hanno invece percorso la ciclabile della Toce, 20 km andata e ritorno da Domodossola a Villadossola. Sull’Alpe Lusentino il lungo serpentone colorato si è inoltrato nel bosco per poi uscire su verdi pendii e, come avvenuto lo scorso anno, percorrere l’ultimo tratto fino al punto di partenza zigzagan-

do sull’erba in discesa, tra l’entusiasmo generale. Non sono stati pochi gli escursionisti incontrati lungo il sentiero che hanno voluto sapere qual era l’associazione organizzatrice di un evento così bello. Altri, facendosi di lato per favorire il passaggio delle joëlette, non hanno utilizzato parole, ma si sono limitati a un lungo, sentito applauso. Stesse positive sensazioni durante la pedalata, che si è svolta su terreno sterrato lungo il fiume Toce, con suggestivi scorci di paesaggio montano e fluviale.

«Da tutta Italia, persino dalla Sicilia, si sono riunite oggi le nostre Sezioni impegnate nell’accompagnamento delle persone con disabilità», ha affermato il Presidente generale del Cai Antonio Montani al termine della camminata. «Oggi è una grande festa che dimostra come la solidarietà possa abbattere le barriere permettendo a tutti di frequentare la montagna, un’attività in grado di portare grossi benefici nella vita di tutti i giorni grazie all’aumentata fiducia in se stessi e alla socialità che comporta».

ESCURSIONISMO ADATTATO
Sopra, foto di gruppo all’Alpe Lusentino al termine dell’escursione
32 · Montagne360 · novembre 2022

Sopra, da sinistra, Paolo Pozzo (Presidente Cai Domodossola), Antonio Montani (Presidente generale Cai), Massimo Garavaglia (Ministro del Turismo), Roberto Manfredi (Presidente Cai Liguria) e Bruno Migliorati (Presidente Cai Piemonte).

Sopra a destra, il tratto finale dell'escursione all'Alpe Lusentino

INVESTIRE NEL TURISMO ACCESSIBILE

La visita del Ministro Massimo Garavaglia è avvenuta al termine delle escursioni, nell’area multifunzionale della Cooperativa sociale “La Prateria”. «I volti allegri e sorridenti che ho visto oggi dimostrano quanto di buono ci sia nell’attività del Cai. Questa giornata è la prova di quanto i fondi che il Ministero del Turismo ha assegnato al Club alpino italiano siano stati utilizzati in una delle migliori maniere possibili», ha affermato il ministro. «Abbiamo il dovere di investire nel turismo accessibile, in particolare quando parliamo di montagna. Dobbiamo fare di tutto affinché la sua frequentazione sia davvero aperta a tutti». Il Presidente

generale Montani lo ha ringraziato calorosamente per aver portato il proprio saluto in una giornata speciale come questa. «Nella storia della nostra Repubblica non ricordo un ministro che abbia avuto un rapporto di amicizia così profondo nei confronti del Club alpino italiano. I fondi straordinari che il Mitur ha stanziato quest’anno a nostro favore sono stati impiegati anche per rafforzare ulteriormente i nostri progetti di Montagnaterapia. La solidarietà tra persone, uno dei nostri valori fondanti, aiuta a essere liberi e ad abbattere le barriere. La Montagnaterapia e l’escursionismo adattato ne sono la migliore dimostrazione».

PRIMO GIORNO ALL’INSEGNA DELLA CULTURA

In apertura abbiamo parlato di un weekend completo, che ha visto tra i protagonisti anche la cultura. Nella prima giornata di “A ruota libera”, sabato 10 settembre, sono stati infatti organizzati una serie di tour guidati a piedi, durante i quali i partecipanti, suddivisi in gruppi, hanno potuto conoscere il centro storico di Domodossola e il Sacro Monte Calvario, un complesso di edifici di culto, patrimonio dell’umanità Unesco, costruito sulla sommità del colle che domina il paese. In serata, presso la Chiesa Collegiata, si è tenuto il concerto di benvenuto dell’Orchestra filarmonica Amadeus.

Tra i partecipanti all’evento, il sindaco di Domodossola Fortunato Lucio Pizzi, la Vicepresidente generale del Cai Laura Colombo, il presidente della Commissione centrale escursionismo del Cai Marco Lavezzo, la coordinatrice del gruppo di lavoro Montagnaterapia della Cce Ornella Giordana,

il presidente del Cai Piemonte Bruno Migliorati, il presidente del Cai Liguria Roberto Manfredi e il presidente del Seo Cai Domodossola Paolo Pozzo.

Tutti hanno evidenziato l’impegno dei tanti volontari del Cai che dedicano tempo ed energie per permettere a tutti di poter godere

della natura e dei paesaggi che la montagna offre.

La 2a edizione di “A ruota libera” è stata organizzata dal Seo Cai Domodossola, con la collaborazione della Commissione centrale escursionismo, del Cai Piemonte e del Raggruppamento Intersezionale Cai Est Monte Rosa.

Il valore del volontariato Cai
«Oggi è una grande festa che dimostra come la solidarietà possa abbattere le barriere»
novembre 2022 · Montagne360 · 33

Un presidio nella natura “Ram - Rifugi Aperti del Mediterraneo 2022” rappresenta l’impegno verso l’equilibrato rapporto tra rifugi e natura. L’escursione verso il Rifugio Marcello Di Marco, in Abruzzo, è stato l’ultimo appuntamento a cura del Cai Abruzzo - foto di Giuseppe Tortoreto e Francesco Sulpizio

Il 18 settembre, al Rifugio Marcello Di Marco, 1747 metri, nel Parco Nazionale della Maiella, si è svolta la nona edizione della manifestazione “Ram - Rifugi Aperti del Mediterraneo 2022” organizzata dal Gruppo Regionale Abruzzo del Cai, con la collaborazione della Sezione di Pescara. L’evento, oramai consolidato nel panorama regionale, a dimostrazione del suo valore culturale, ha ricevuto il patrocinio della Presidenza generale del Cai e l’alto patrocinio della Regione Abruzzo, del Parco Nazionale Maiella, della Provincia di Pescara, del Comune di Caramanico, di Anci, Ance, Uncem, di Federparchi, e di Slow Food Abruzzo e

Molise. Oltre questi patrocini, sono stati presenti Roberto Orsatti per la collaborazione avuta con la Soprintendenza del Ministero dei Beni Culturali di Chieti/Pescara, Angelo D’Alonzo Presidente dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Pescara e Daniele Perilli Responsabile del Servizio regionale del Soccorso Alpino e Speleologico.

UNO SGUARDO VERSO IL MEDITERRANEO Assistiti da una giornata dal clima perfetto, gli escursionisti si sono ritrovati in località Mammarosa e dopo le esigenze organizzative e il saluto del Presidente del GR Abruzzo, Francesco Sulpizio, hanno iniziato la salita da Fonte Tettone. Dopo la

RIFUGI 34 · Montagne360 · novembre 2022

Sopra, al Rifugio Marcello Di Marco.

In alto a destra, un’altra immagine del rifugio (sullo sfondo, la Catena del Gran Sasso). Sotto, un momento della manifestazione

“Ram - Rifugi Aperti del Mediterraneo 2022”

prima pendenza, il sentiero B1, denominato dal Parco Sentiero della Pace, il tracciato diventa arioso e panoramico, e si vede il gruppo del Gran Sasso, con la sua vetta del Corno Grande (2912 m), la più alta di tutti gli Appennini. Ma lo sguardo verso est ha regalato la meraviglia e la comprensione della vicinanza del Mare Adriatico, del suo ambito geografico più ampio, il Mediterraneo, riferimento storico, culturale, naturale, entro cui si svolge concettualmente la manifestazione. Nell’introdursi nella Riserva Naturale Orientata Valle dell’Orfento, il paesaggio infinito si stratifica con quinte montuose, vallive e pianeggianti, fino allo strapiombo del vallone

della Sezione Cai di Pescara Patrizia Piccoli, dal rappresentante del Cai interregionale rifugi Nicola Caldarale, dal sindaco di Caramanico Luigi De Acetis e da Dino D’Alessandro del Parco Nazionale Maiella. Il vicepresidente della Commissione nazionale Rifugi, Marcello Borrone, ideatore del programma e della manifestazione, nel presentare gli ospiti ha descritto la finalità dell’azione che il GR Abruzzo, dal lontano 2010, si pone. Quella di dare ai rifugi abruzzesi il senso del presidio culturale. Oltre ai servizi essenziali, sicurezza, vitto e alloggio, dal carattere dell’essenzialità, il rifugio è luogo della conoscenza dell’intorno e del lontano intorno. E in questo spazio complesso e frequentato, ha ricordato il valore del patrimonio collettivo, come sono i bivacchi, da curare e non vandalizzare. Diventare custodi di questi semi e segni dell’ingegno, dal valore della sicurezza per la vita umana, per i quali il Cai è impegnato dal 1863, con mezzi economici non sempre sufficienti ma con un cuore che sa trasformarsi in fenomenali braccia operanti.

IL PASSAGGIO SENZA TRACCIA

A sinistra, foto di gruppo con le bandiere istituzionali delle Sezioni partecipanti

inestricabile dove l’Eremo di Santo Spirito, nella foresta di faggi in attesa del foliage, diede dimora al Papa del gran rifiuto Celestino V. Arrivati al Rifugio Marcello di Marco (1747 m), gli escursionisti sono stati accolti dalle bandiere delle Sezioni partecipanti (Avezzano, Ortona, Pescara, Popoli, Vallelonga) e del Parco Nazionale della Maiella.

UN PATRIMONIO COLLETTIVO

I partecipanti sono stati salutati dal Presidente

Come in ogni edizione, vi è stato un momento di approfondimento culturale e quest’anno si è svolto il concerto della Falaut Flute Orchestra, in collaborazione con I Flauti di Toscanini di cui è direttore Paolo Totti. A seguire il pranzo, che gode fin dal primo anno del patrocinio di Slow Food, preparato con prodotti locali e di filiera corta. Ram vuole essere un impegno verso l’equilibrato rapporto tra rifugi e natura e per questo limita la partecipazione al fine di stabilire anche un altro principio, quello del passaggio senza traccia. Lasciare il luogo del rifugio come è stato trovato. Un arrivederci all’edizione numero 10, il prossimo anno.

novembre 2022 · Montagne360 · 35

Grotte in crisi climatica

Pioggia. Batte sul tetto metallico del bus numero 30, quello che mi porta a casa. Piazza Unità d’Italia, simbolo della città di Trieste, è offuscata dall’acqua, tanto da sembrare un quadro impressionista. Non è la prima volta che la grande piazza centrale è sommersa e non sarà certo l’ultima: gli eventi estremi e il susseguirsi di periodi di siccità a piogge intense e violente stanno purtroppo diventando la nuova normalità climatica. La causa è l’agire umano e, oltre a intervenire sulla mitigazione, siamo arrivati a un punto in cui dobbiamo anche lavorare al meglio sull’adattamento. Cosa succede però sotto di noi? In quelle cavità che forano il Carso triestino come un groviera? Perché? E con che conseguenze? La speleologia è da sempre una passione, uno stile di vita, una grande famiglia, ma oggi è diventata anche un campo di ricerca vitale. L’illusione che il cuore della Terra sia salvo dai cambiamenti esterni è ormai svanita e la consapevolezza crescente che i delicati equilibri sotterranei siano sempre più a rischio spinge speleologi e ricercatori a unire gli sforzi per invertire la rotta. Si è dimostrato infatti che il mondo ipogeo non solo non è al sicuro dagli eventi atmosferici della superficie, è anche sempre più colpito dall’inquinamento e dall’innalzamento della temperatura globale.

MONDI D'ACQUA

Le grotte ci parlano una lingua antica, che ci permette di ricostruire l’andamento del clima fino a migliaia di anni fa: secondo alcuni studi, analizzando stalagmiti e stalattiti possiamo andare indietro di 500.000 anni. La polvere, i pollini, i minerali e le altre sostanze accumulate da queste formazioni rocciose nella loro vita millenaria sono un archivio naturale che ci racconta la storia

del clima con la precisione temporale di circa un anno. E adesso non è raro trovarle inquinate e rovinate dalle immondizie portate dalle piene, che rimangono incastrate fin sulle volte immense delle grotte più grandi, e dai veleni che, dopo aver contaminato l’acqua e devastato ecosistemi, restano appiccicati alla roccia. Queste nuove testimonianze ci parlano di una storia che stiamo scrivendo da poco, ma che rischia, nello spazio di poche battute, di cancellare per sempre le migliaia di pagine che hanno scritto i secoli e i millenni prima di noi. La prima abitante delle grotte a pagare le conseguenze di crisi climatica e inquinamento è colei che le ha create e continua a modellarle e tenerle in vita: l’acqua. Gli speleologi raccontano di pozze e laghi sotterranei talmente trasparenti che a volte l’acqua non si vede nemmeno, narrano di sculture meravigliose e tunnel e skellops e piscine e concrezioni che mai nessuna cattedrale umana potrà eguagliare. Già tutto questo basterebbe a giustificare un dovere collettivo di tutelarle e proteggerle. Ma non finisce qui: le falde acquifere carsiche forniscono acqua potabile al 25% della popolazione globale. E sono fra gli ambienti più vulnerabili all’inquinamento. L’Unione Europea ha finanziato uno studio sull’impatto dei fenomeni meteorologici estremi sull’inquinamento delle falde acquifere (Imka – Impact of hydrological extremes on alpine karst groundwater resources; 2012-2016) e il risultato è stato chiaro: nessuna delle sorgenti carsiche selezionate, dov’è stato effettuato un campionamento microbico, rispettava i requisiti legali di sicurezza per l’acqua potabile. Ça va sans dire, quando l’inquinamento arriva nelle profondità della terra, il tempo di farsi qualche domanda è stato superato da un pezzo. Revisione dei sistemi di tutela delle acque sotterranee e delle

SPELEOLOGIA
Gli effetti del riscaldamento globale si rilevano anche nel sottosuolo. In questo senso le acque, la flora e la fauna ipogee lanciano l’allarme di Sara Segantin e Lorenzo Peter Castelletto – foto di Lorenzo Peter Castelletto
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Nelle foto di questa pagina, alcune stanze della Grotta Pod Lanisce, nelle Prealpi Giulie.

A sinistra, una formazione particolare causata dall'erosione dell'acqua, che gli autori hanno chiamato "vertebra di balena"

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misure sulla sicurezza idrica sono due dei provvedimenti necessari per far fronte a questi problemi, che impattano direttamente la nostra salute.

QUESTIONI DI BIODIVERSITÀ

Anche le microplastiche, che ormai si trovano ovunque si decida di cercarle, sono arrivate a intaccare i delicati equilibri delle nostre grotte. Finora sono state monitorate molto poco, ma grazie alla collaborazione tra atenei italiani e stranieri, istituzioni e gruppi speleologici, c’è un impegno crescente nell’affrontare anche questo aspetto. Il motivo? Sapere significa poi avere gli elementi per agire con efficacia e consapevolezza.

Uno dei pilastri della lotta alla crisi climatica è la tutela della biodiversità e l’ecosistema ipogeo è in questo particolarmente prezioso. Protei – i piccoli draghetti nuotatori –, geotritoni e varie specie di pipistrelli sono senz’altro i più conosciuti, ma nelle 5658 cavità italiane in cui sono state trovate forme di vita, la lista non si ferma certo qui. Gli inquilini del mondo sotterraneo sono anche minuscoli insetti, muffe e altri animali molto particolari, che in milioni di anni si sono adattati a una vita difficile, al buio, al freddo, nel silenzio; veri e propri miracoli della natura. Sono però miracoli tanto resistenti ad ambienti così inospitali, quanto delicati e vulnerabili ai fattori di cambiamento provenienti dall’esterno. Basta aver visto una volta la delicatezza quasi trasparente della pelle del proteo, che vive solo nelle grotte carsiche di Italia, Slovenia, Croazia e Bosnia, per rendersene conto. “Vedere”. Non è scontato. Quanti hanno davvero la possibilità di vedere la realtà complessa e ingarbugliata delle grotte? Di toccarne con mano il valore e la meraviglia? Di comprenderne l’importanza per la nostra stessa sopravvivenza?

Per questo raccontare, mostrare, far conoscere è così importante. Per quel che riguarda la biodiversità, la Società Speleologia Italiana porta avanti a tal fine un’iniziativa chiamata “Animale di grotta dell’Anno”. Ogni anno viene scelto un animale ipogeo su cui portare l’attenzione: nel 2022 è stato scelto il Miniottero, una specie di pipistrello abituata a vivere in grandi colonie. Questa caratteristica gli ha garantito in passato sicurezza verso i predatori e maggiori possibilità di sopravvivenza, ma oggi lo mette a serio rischio, perché la distruzione di un solo rifugio comporta la distruzione dell’intera colonia. In Sardegna per esempio, i Miniotteri svernano in un’unica grotta da cui dipende la sopravvivenza di tutti gli esemplari dell’isola. Questi pippistrelli, oggi classificati come ‘vulnerabili’, sono responsabili per il 99% –assieme ad altri predatori insettivori – del contenimento degli insetti dannosi all’agricoltura (i pe-

sticidi, oltre ad avvelenare falde acquifere, terreni, animali e persone, contribuiscono solo all’1%!).

ESPLORANDO IL FUTURO

Far scoprire l’importanza della biodiversità sotterranea e la sua influenza diretta sul nostro quotidiano a pubblici sempre più ampi è una sfida indispensabile alla loro conservazione, a cui ogni speleologo, alpinista e amante della montagna può contribuire.

Recenti studi lavorano anche sugli effetti del riscaldamento globale sull’ossigenazione delle grotte: pare che l’aumento della temperatura esterna riduca la ventilazione a molti metri di profondità, portando a drastiche perdite di ossigeno. Il ricercatore spagnolo David Domìnguez-Villar, del dipartimento di Geologia dell’università di Salamanca, ha invece analizzato la variabilità termica della Grotta di Postumia, scoprendo che il calore viene condotto dalle rocce fin dall’interno della grotta e, seppur con un ritardo di una ventina d’anni, anche le temperature del mondo sotterraneo stanno inesorabilmente aumentando, con conseguenze spesso irreparabili, soprattutto per gli ecosistemi.

La pioggia batte forte e per l’esplorazione di oggi dovrò preparare anche l’impermeabile, se non il canotto. È ormai evidente che nel 2022 per trovare un luogo dove gli effetti della crisi climatica non sono ancora arrivati bisogna fare tanta strada anche nelle viscere della terra. In pochi anni un luogo simile potrebbe non esistere più. Tocca alla grande famiglia della speleologia farsi portavoce di questa lotta. Il compito è arduo, senz’altro, ma se ci piacessero le cose facili non andremmo certo a patire freddo, umido e fatica infilandoci in meandri, cunicoli e laghi gelati. Quando il gioco si fa duro i duri iniziano a esplorare e, in questo caso, l’esplorazione parla di grotte e di futuro.

SPELEOLOGIA
A sinistra, sempre nella Grotta Pod Lanisce, uno speleologo risale una cascata
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ALLEGATO

IL CALENDARIO 2023 Tredici panorami per sognare IN
LA CARTINA • In scalata lungo la via Normale con le gloriose guide dei Catores • Facili escursioni e grandi panorami: dal Puez all’Alpe di Siusi • Artigianato del legno e gastronomia: le sorprese della cultura ladina Meridiani Montagne + Calendario € 11,90 - Solo rivista € 7,50 Sassolungo e Val Gardena Una cattedrale nelle Dolomiti a solo in più € 4,40

I seniores e le Alpi

La grande traversata delle Alpi a misura di seniores è un progetto pluriennale del Gruppo Cai d’Argento della Sezione di Verona, con il coinvolgimento di amanti della montagna “over”, abituati ad andar per monti e con le gambe allenate

Non ci accontentavamo più delle escursioni del giovedì sui monti “di casa” (Baldo, Lessinia, Piccole Dolomiti), tutti i giovedì dell’anno, estate e inverno. E anche i giri in pullman sulle Dolomiti centrali incominciavano ad andarci stretti: Val di Fassa e Val Gardena talvolta ci sembravano un grande, bellissimo “parco dei divertimenti”, piuttosto che una piccola, grande avventura con un’immersione totale nelle montagne.

La gran parte di noi seniores non viene da grandi esperienze di alpinismo o di escursionismo (magari andavamo in montagna da giovani…), ma la consuetudine settimanale dell’andar per monti in compagnia dopo la pensione ha fatto crescere in molti una grande passione.

L’ILLUMINAZIONE

Abbiamo incominciato a cercare una montagna meno addomesticata passando qualche giorno nelle laterali della Val di Zoldo. La ancora selvaggia Val Pramper è stata una specie di illuminazione: dovevamo cercare ambienti montani di quel tipo.

Alcuni di noi da giovani avevano fatto le Alte vie delle Dolomiti e anche della Val d’Aosta, da rifugio a rifugio. Ma riproporre quei percorsi e quelle modalità non sarebbe stato alla nostra portata, così come tratti del Sentiero Italia CAI. Dovevamo trovare soluzioni alternative, che consentissero una conoscenza dei diversi ambienti alpini a un gruppo di “arzilli vecchietti”.

In primo luogo occorreva selezionare i partecipanti, sia rispetto alla forma fisica che alla flessibilità e capacità di adattamento (non tutti sono abituati a dormire in rifugio). Alle nostre escursioni del giovedì i Soci si iscrivono con un sistema di prenotazione online (indispensabile, visto

ESCURSIONISMO 40 · Montagne360 · novembre 2022

che abbiamo 100-150 partecipanti su tre itinerari ogni settimana), ma non potevamo rischiare di avere per una settimana persone inadatte. Abbiamo optato per una riunione degli interessati, nella quale io ho un po’ esagerato le difficoltà, anche relative alla promiscuità del dormire nei rifugi: si è realizzata una autoselezione, con qualcuno che è letteralmente fuggito dalla riunione. Siamo rimasti una ventina (un numero ideale per un progetto di questo tipo), a cui si è aggiunto qualcuno negli anni successivi per sostituire qualche defezione.

IL DEBUTTO

I luoghi scelti per i pernottamenti dovevano con-

sentire un trasporto dei bagagli abbastanza comodo, in modo da dover portare sulle spalle solo l’occorrente per l’escursione giornaliera e al massimo per una notte in rifugio.

Anche l’impegno delle escursioni doveva essere attentamente calibrato: qualche escursione impegnativa (per noi significa 800-1000 m di dislivello) alternata a percorsi più semplici e magari a metà settimana una “giornata pigra” (una visita turistica o un trasferimento), che consentisse il recupero dalla fatica, che con l’età diventa sempre più lento.

I pensionati sono “occupatissimi” (volontariato, viaggi, nipoti ecc…) e quindi occorreva program-

Sotto, uno dei Laghi di Campagneda, durante l'escursione in Valle d'Aosta
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mare per tempo il trekking, anche perché trovare posto nei rifugi per 20 persone non è semplice. È così maturata l’idea di una specie di “traversata delle Alpi a misura di seniores”, che consentisse a tutti di vedere i diversi ambienti alpini, aldilà delle Dolomiti.

Abbiamo cominciato dalle Valli Valdesi. Anni prima ero stato in alta Val Pellice, per un interesse per la storia dei Valdesi e per un omaggio a Willy Jervis, partigiano caduto nella Resistenza, padre dello psichiatra Giovanni, che avevo conosciuto per ragioni di lavoro: ero stato folgorato dal Prà, dopo il Rifugio Jervis. Il gestore Roby Boulard era disponibile a venire con il fuoristrada a prendere i bagagli e quindi siamo partiti con la “traversata” a fine giugno. Quell’anno (2018) aveva fatto molta neve tardiva, ma con l’aiuto di Roby abbiamo individuato i percorsi da fare in zona in sicurezza (comunque avremmo avuto con noi i ramponi…). Poi ci siamo trasferiti in Val Germanasca a Prali, dove abbiamo avuto un interessantissimo incontro con il pastore valdese. Nei

giorni successivi siamo saliti al Rifugio Lago Verde (ancora in parte coperto dalla neve) e abbiamo fatto la traversata dei 13 Laghi (non abbiamo raggiunto Punta Cialancia per la troppa neve).

UN OMAGGIO ALLA MONTAGNA “VERA”

L’anno successivo è stato d’obbligo rendere omaggio alla montagna “vera”: abbiamo optato per una soluzione logistica più comoda in un albergo a fondovalle, dal quale ci siamo mossi ogni giorno verso la Val Veny, la Valnontey e il Rifugio Vittorio Sella, lla Valsavarenche e il Nivolet, la Valtournenche e la Valle del Lys.

Molti anni prima io avevo partecipato a una Settimana nazionale di fondo escursionistico del Cai in Valtellina ed ero stato colpito dalla salita con gli sci in Val Poschiavina dalla Val Malenco. Nel 2020 era scoppiata la pandemia e quindi temevamo di dover bloccare tutto: per fortuna abbiamo approfittato di una pausa nelle restrizioni a inizio settembre e il Rifugio Zoia, a 2000 metri e a un quarto d’ora dal parcheggio delle auto, ci ha accolto al meglio. Da lì le escursioni in Val Poschiavina e al Rifugio Marinelli-Bombardieri. A Chiareggio eravamo “passati” il giorno dell’arrivo, per una escursione che ci consentisse almeno di “annusare” il Ventina e il Disgrazia. Avevo visto e letto molti articoli e servizi fotografici sull’Alpe di Devero e Veglia e mi/ci solleticava l’idea di restare una settimana finalmente in un ambiente senza accesso alle auto. È stato

Sotto, i seniores del Gruppo Cai d’Argento della Sezione di Verona in posa al confine italo-svizzero, in Val Poschiavina

ALPINISMO
La gran parte di noi seniores non viene da grandi esperienze di alpinismo o di escursionismo
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un po’ più complicato individuare le location per dormire, ma poi le soluzioni trovate sono state graditissime a tutti e abbiamo potuto immergerci (solo con gli occhi!) nel numero infinito di laghi naturali e artificiali della zona (con una digressione anche in Val Formazza).

UN ARRICCHIMENTO

Mancavano i due estremi della catena alpina. Quest’anno siamo stati nel Parco delle Alpi Marittime: base a Terme di Valdieri per fare le escursioni ai laghi di Fremamorta, al Rifugio Livio Bianco, al Genova e alla diga e centrale elettrica di Entraque, oltre al magnifico Centro Uomini e lupi, con una conclusione di due giorni al Rifugio Questa con il giro dei laghi di Valscura. L’anno prossimo in giugno abbiamo in programma la chiusura del cerchio (almeno per il momento) nel Parco del Triglav: non solo il Lago di Bohinj e i suoi dintorni ameni, ma la Valle dei Sette Laghi.

In conclusione, nessuna impresa particolare, ma un accesso informato alle Terre alte, che ha arricchito anche il nostro modo di andare per monti

il giovedì e ci ha fatto apprezzare meglio anche i monti di casa. L’entusiasmo crescente che ha caratterizzato i successivi trekking non era inferiore a quello che esprime un giovane scalatore alla conclusione di una difficile via: sia nei neofiti della montagna, che scoprono paesaggi ed emozioni sconosciute, sia nei veterani che godono di poter tornare ancora “sul luogo del delitto”.

Sopra, in senso orario, uno dei laghi di Valscura, nel Parco delle Alpi Marittime; verso il Rifugio Marinelli Bombardieri al Bernina; il Rifugio Valasco, nell’omonimo vallone. Sotto a sinistra, il Bivacco Guiglia

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Incastonato nel cuore del paese, con splendida vista sulle Pale di S.Martino, questo piccolo hotel vanta una solida tradizione di ospitalità che rende il soggiorno davvero piacevole. A disposizione gratuita degli ospiti WI-FI. Nuova sauna sotto le stelle. 2 escursioni con racchette da neve con la nostra guida alpina tra sentieri e boschi incontaminati dalle bellezze della natura, nell’incantevole Parco naturale di Paneveggio Pale di S. Martino, dove è possibile percorrere sentieri, avventurarsi in trekking e vie ferrate o impegnarsi su pareti di vari gradi di difficoltà.

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La via di mezzo

Escursione coast-to-coast in bici inseguendo il sole: dall’Adriatico al Tirreno, percorrendo 416 chilometri e affrontando 5200 metri di dislivello

testo e foto di Susanna Bellanzon

Partire con il sole che sorge dall’Adriatico e arrivare con il sole che si tuffa nel Tirreno non è un’idea originalissima, c’è chi lo fa in un giorno, ma è un’impresa romantica perfetta da affrontare con mio marito. Per questo partiamo con un treno regionale da Milano, cambio a Bologna e proseguimento sempre in treno fino a Cesenatico. Viaggiamo con vecchie citybike, con grosse borse sul portapacchi: da dietro sembriamo due ippopotami sulle ruote.

LA PARTENZA

1° giorno: Cesenatico – Predappio (57,8 km, dislivello 737 m)

Dal lungomare puntiamo verso l’entroterra e in 15 chilometri entriamo nella piazza di Cesena. Siamo già assetati. Deviamo sulla strada secondaria verso Bertinoro, su colline assolate e senz’acqua. A Bertinoro ci fermiamo per dissetarci; ci apostrofano incuriositi: «Non ci viene mai nessuno quassù in bici!». Ci attende ancora la salita di Meldola alla Rocca delle Caminate. All’arrivo a Predappio ci offrono della birra rinvigorente.

CICLOESCURSIONISMO 44 · Montagne360 · novembre 2022

In basso a sinistra, un’alba sul Mare Adriatico. In basso, viaggiare lenti seguendo i propri pensieri

Suscitiamo perplessità, ci chiedono se viaggiamo con bici elettriche.

2° giorno: Predappio – Dicomano (60,7 km, dislivello 981 m)

Viaggiare in bici comporta silenzio, se non altro per risparmiare il fiato; fantastico sulla buffa toponomastica: chissà quanti incontri romantici a Premilcuore! Proprio qui entriamo nella Foresta Casentinese, un territorio con ecosistemi ottimamente conservati. Sopraggiunge un ciclista inglese, viaggia da Londra a Istanbul: siamo ammirati dall’impresa. Verso il valico Tre Faggi i pochi motociclisti ci salutano con pollici alzati galvanizzanti. Al passo entriamo in Toscana: siamo a 930

metri e abbiamo affrontato pendenze del 9%.

3° giorno: Dicomano – Carmignano (61,7 km, dislivello 501 m)

Vicino a Firenze la strada è trafficata; improvvisamente ci sentiamo piccoli, lenti e indifesi. Arriviamo in città affiancando l’Arno, anche lui alla ricerca del mare. Puntiamo a Signa, lungo una sterrata: siamo abbagliati dalla luce, il caldo è insopportabile. Si addensano nuvoloni scuri: il temporale ci raggiungerà proprio sulla salita di Carmignano. Il nostro alloggio, sotto la rocca, è un’antica dimora del Quattrocento che ospita alcuni appassionati di fantasy-medioevale agghindati da cavalieri, dame e principesse. Qui i più strani sembriamo noi due.

4° giorno: Carmignano – Orsigna (59,2 km, dislivello 1674,5 m)

Risaliamo allo spartiacque della Romagna: Orsigna è la frazione più lontana da Pistoia, sessantadue abitanti prima che vi morisse Tiziano Terzani. Qualche ciclista, di quelli che corrono leggeri, vedendoci carichi ci consiglia la strada più lunga ma meno pendente: alla fine totalizzeremo oltre mille metri di dislivello con lunghi sterrati e pendenze anche del 17%. Una giornata campale! Quando arriviamo a Orsigna siamo stremati. Non sappiamo dove dormire ma abbiamo i sacchi a pelo. Per un giro di coincidenze conosciamo Emanuela: insiste per ospitarci, e ci accoglie con grande simpatia. Scopriamo d’essere vicini di casa Terzani, quando si dice il caso!

PACE E SILENZIO

5° giorno: Orsigna – Montecarlo (58 km, dislivello 744,6 m)

Ci hanno parlato della Svizzera Pesciatina, una porzione di territorio montuoso e boschivo, con una decina di piccoli borghi, le Dieci Castella della Valleriana; una zona di grande bellezza naturalistica, di pace e silenzi. Percorriamo un itinerario intricato fuori dalle rotte ordinarie, scopriamo paesaggi sconosciuti. Questi borghi hanno la caratteristica d’essere esposti a sud: scendendo per la via pesciatina cogliamo quei pugni di case appoggiate ai crinali dei monti, ammiriamo questo bello che ci viene gratuitamente offerto.

Raggiungiamo Pietrabuona, la castella più a sud, e dopo Pescia risaliamo a Montecarlo.

Verso S. Martino in Colle, vicino al nostro agriturismo, ci preoccupa il fumo nero che esce da un casolare: è il principio di un incendio, allertiamo immediatamente il 115. Tutto si risolverà poi con qualche danno alla casa ma nessuna vittima. Siamo in fondo a uno sterrato dove la collina declina fino al Quercione, una pianta monumentale di

Sotto, colline assolate verso Bertinoro.
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oltre 500 anni, un fusto di 4 metri e rami di oltre 30 metri; sarà la quercia dove il gatto e la volpe impiccarono il burattino Pinocchio? Il paese di Collodi è a un tiro di schioppo.

6° giorno: Montecarlo – Pieve Santo Stefano (34,8 km, dislivello 198 m)

La mattina abbiamo appuntamento con un vecchio amico sotto alla Rocca del Cerruglio, una delle fortezze meglio conservate della zona. Maurizio arriva in bici da corsa. A Lucca faremo il giro delle mura, e lungo la Via Francigena guadagneremo casa, dove approfitteremo della lavatrice, del frigorifero e della piscina.

Per gentile concessione di Map data: © OpenStreetMap; Map: © Webmapp; autore: Marco Barbieri

CICLOESCURSIONISMO
In alto a sinistra, a Firenze, in posa davanti a Ponte Vecchio. Sopra, sulla sterrata da Firenze a Signa, mentre si addensano grandi nuvoloni scuri. Sotto, l'ecosistema della Foresta Casentinese offre un'elevata fitodiversità, con ben 1357 specie censite
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L’ARRIVO AL MARE

7° giorno: Pieve Santo Stefano – Lido di Camaiore (30,6 km, dislivello 177 m)

A breve pucceremo i talloni nel mare. Con Maurizio imbocchiamo la provinciale Lucca-Camaiore, ma anziché scendere direttamente dal Montemagno, deviamo verso Panicale, e risaliamo la valle. Superata una curva, lo spettacolo delle pendici ci ammutolisce: ci ha preceduti di pochi giorni un incendio che ha lasciato dietro di sé nera distruzione e nell’aria aleggia il puzzo di bruciato. A Pieve a Elici ci affacciamo su una balconata naturale che spazia a occidente fino al mare. Salutiamo Maurizio con la promessa di future pedalate e proseguiamo sulla litoranea fino a Lido di Camaiore. Dopo una settimana e 363 km congiungiamo idealmente le acque dell’Adriatico a quelle del Tirreno.

8° giorno: Lido di Camaiore – La Spezia (52,7 km, dislivello 196,8 m)

Ci coglie una sensazione di vuoto, la fine di un’esperienza che avremmo voluto più lunga.

È dunque deciso: seguiamo la litoranea risalendo verso nord, in Liguria. Scavalliamo e scendiamo a Lerici. Tutto sembra sorriderci: le case dagli intonaci colorati, le finestre occhieggianti dietro le persiane, il golfo blu intenso, gli alberi frondosi. Arriviamo al porto di La Spezia al cambio turno degli operai dei cantieri. La città coniuga in sé l’economia mercantile-militare con il turismo; osservo abbigliamenti balneari in pieno centro. Scopriamo che possiamo caricare le bici sul prossimo treno Intercity. E in un soffio è già casa, dopo 416 chilometri e 5200 metri di dislivello.

È stato un viaggio esplorativo, non una sfida ma una pedalata a volte impegnativa, condotta a ritmo libero. Ciò che mi sono lasciata alle spalle alla fine l’ho ritrovato di fronte, in un naturale ciclo temporale.

Sopra, l’arrivo a Orsigna. Sotto, le pendici toscane che digradano al mare: un incendio ha lasciato dietro di sé nera distruzione. In basso, vista sull’Oasi di Massaciuccoli e, in fondo, il Mare Tirreno
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Offida, tra sacro e profano

Un itinerario ad anello tra le colline marchigiane, toccando quattro chiese e pedalando su e giù per i vigneti, tra storia e Docg testo e foto di Franco Laganà*

Una piazza del popolo tra le più belle dei borghi italiani, cuore della vita cittadina dove si affacciano il medievale palazzo comunale, il teatro a ferro di cavallo “Serpente aureo” e la grande Collegiata di fine ‘700 dotata di cupola. Poi una chiesa, S. Maria della Rocca, che si erge isolata su una rupe, con la cripta affrescata nel ’300 dal Maestro di Offida, unica traccia rimasta del grande monastero voluto dai potenti monaci farfensi. Il torrione circolare della rocca, progettata a fine ’400 dal fiorentino Baccio Pontelli, il palazzo

Castellotti Pagnanelli, polo culturale della città, che ospita il Museo Archeologico “G. Allevi”, la Pinacoteca, il Museo delle Tradizioni Popolari e il Museo del Merletto e del Tombolo (una chicca: l’abito indossato da Naomi Campbell). Ancora: la chiesa di S. Agostino con la Cappella del Miracolo Eucaristico che conserva il reliquario gotico contenente l’ostia sacra, l’ex chiesa di S. Francesco sede l’Enoteca Regionale. Poi: un altro museo ospitato nel laboratorio appartenuto allo scultore offidano Aldo Sergiacomi (19121994) e un carnevale storico, assolutamente da vedere e vivere.

CICLOESCURSIONISMO
Marche
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TRA VIGNE E ULIVI

Questo è il biglietto da visita di Offida: uno dei centri storici più interessanti e meglio conservati della provincia di Ascoli Piceno, incastonata nel paesaggio collinare a cavallo delle valli del Tesino e Tronto, costruito nei secoli dalla mezzadria tra gli aspri calanchi e disegnato dai vigneti che si alternano alle coltivazioni di olivo. Il Piceno si è affermato per i suoi vini rossi, i primi a ottenere riconoscimenti nazionali, progressivamente affiancati da bianchi autoctoni, riscoperti da

produttori ed enologi locali che ne hanno saputo intuire le potenzialità. La prima Doc istituita è stata il Rosso Piceno nel 1968, ottenuta con un mix di Montepulciano e Sangiovese, affiancata dal Rosso Piceno Superiore, prodotto in un’area più ristretta e affinato in botti di legno per almeno un anno. Nel 1975, fu istituita la Doc Falerio, bianco ottenuto con uve di Trebbiano Toscano, Passerina e Pecorino. Nel 2001 è la volta dei vini Offida Doc, poi trasformati nel 2011 in Docg, con le seguenti tipologie: Passerina, Pecorino e Rosso, quest’ultimo ottenuto con almeno l’85% di Montepulciano, seguito nello stesso anno, dalle tipologie Passerina spumante, vinsanto e passito, denominate Terre di Offida.

* Accompagnatore di Cicloescursionismo e Operatore Naturalistico e Culturale, Presidente Comitato Scientifico interregionale Marche-Umbria
Sopra, i Monti Gemelli tra i vigneti (foto Nicola Santini). Sotto, davanti al Palazzo Comunale di Offida
L’itinerario ad anello descritto è ideale da percorrere in mtb in primavera o in autunno
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Lunghezza: 27 km

Dislivello: 800 m

Difficoltà tecnica: MC/MC

Con l’anello in bicicletta proposto, si va su e giù per i vigneti, passando per quattro chiese rurali, storici punti di riferimento per la popolazione, sparsa nel territorio. Da Offida (292 m) si sale per la SP43 fino alla chiesa di San Barnaba, secolo XVIII, dalla facciata quadrata molto semplice dotata di un campanile a vela, dedicata al santo cipriota protettore dalla grandine: la prima delle quattro che incontreremo, pedalando “e mirando” per colline.

La seconda chiesa che si incontra lungo il percorso è San Filippo: realizzata a fine secolo XVIII, si erge solitaria tra i vigneti sul crinale individuato dal torrente Fiobbo e dal fosso San Filippo: l’edificio, di dimensioni non piccole e con il suo alto campanile, rappresenta un significativo punto di riferimento paesaggistico, visibile anche in lontananza. Autore del progetto, in stile neoclassico, è stato l’architetto ticinese Pietro

Maggi, che all’epoca stava operando a Offida per la costruzione della Collegiata e del nuovo ospedale. Pedalando con lentezza, lo sguardo si perde tra i vigneti e si incontrano le tante aziende attive nel settore vitivinico-

Per gentile concessione di Map data:

© OpenStreetMap; - Map: © Webmapp; autore: Marco Barbieri

A sinistra, la cartina dell’itinerario descritto in queste pagine

1. Monumento merlettaie - Offida (foto Nicola Santini)

2. Davanti al Palazzo Comunale di Offida

3. S. Maria della Rocca

4. S. Maria della Rocca (foto Nicola Santini)

5. Tra vigneti e calanchi (foto Nicola Santini)

6. Cippo commemorativo (foto Nicola Santini)

7. I vigneti sotto San Lazzaro

lo presenti nel territorio. Tra salite e discese, grappoli rosso cupo e d’oro lucente, qualche breve tratto da fare a piedi, si giunge alla nostra terza chiesa, quella di San Lazzaro: edificio a pianta rettangolare, restaurato in anni

Itinerari
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Un viaggio da Milano lungo la Via del Sale, capace di sorprendere sino all’ultimo, fino al bagno rigenerante dalla spiaggetta di San Fruttuoso.

“Uno slow travel, compiuto in gran parte a piedi, nei cibi del silenzio, che stanno dietro al frastuono della società dell’ingordigia.” Paolo Rumiz

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ITINERARI novembre 2022  Montagne360 51
ENRICO BRIZZI L’IMPREVEDIBILE MARE DI MILANO
IRENE PELLEGRINI
E BARBARA GIZZI
IL GUSTO
DI CAMMINARE

recenti, in posizione rialzata e punto di riferimento per tutta l’omonima Contrada. Ma c’è spazio anche per tanta storia, quella importante, che ha segnato la vita di tutti noi: procedendo sulla SP176 Collecchio, scendendo per il torrente Lava, per poi salire in cresta arriviamo a Villa Stipa, dove troviamo il Cippo dei partigiani. Il luogo apparteneva al generale Luigi Stipa, ingegnere aeronautico progettista del primo aereo a reazione. L’ingegnere Stipa, ebbe un ruolo fondamentale nella “Rat-Line”, l’organizzazione che dal settembre 1943 al giugno 1944 riuscì a fare oltrepassare le linee tedesche a molti prigionieri alleati, fuggiti dal campo d’internamento di Servigliano (FM). Diversi componenti del Comando furono fucilati, feriti o catturati e la stele posta accanto alla villa ricorda il loro sacrificio. Lasciato questo luogo struggente, si sale in cresta e il percorso diventa sterrato, fiancheggiando in salita i vigneti di Offida. Al bivio, si scende fino alla Madonna della Sanità, ultima delle quattro chiese di questo itinerario, altro piccolo edificio sacro di campagna, dove nel mese di giugno,

la popolazione locale organizza una festa. Si prosegue su sterrata con ampio panorama sul paese sopra la rupe e poi, tramite un sentiero segnato tra i vigneti, si fiancheggia il torrente Lama e si raggiunge la SP43 salendo di nuovo a Offida. L’itinerario ad anello descritto è ideale da percorrere in mtb al risveglio della primavera oppure in autunno, quando le foglie ai tingono di giallo e di ros-

so: in inverno potrebbe essere problematico, in quanto quando i tratti sterrati si allentano e non consigliato in estate, quando a quote basse fa ormai sempre troppo caldo.

Del vino abbiamo detto, ma qui si possono trovare mille prelibatezze, dalle famose olive ascolane, ai formaggi, all’anice di Castignano: poi i pizzi al tombolo, tanto artigianato di qualità. ”E il naufragar m’è dolce…”.

Itinerari
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I giganti verticali

Avventura norvegese alla conquista di due fra le quattordici cascate più alte al mondo. Ecco il racconto della spedizione di Andrea Forni

Finalmente ci siamo! Sotto di noi una verticale di quasi 1000 metri, è la partenza della cascata Kjerrskredfossen!

Arrivare fin qui è stata dura, non solo fisicamente, ma anche emotivamente per i continui impedimenti e rinvii a seguito della pandemia.

C’è voluto lo sforzo di tutta la squadra, undici persone che ci hanno creduto, lavorato e combattuto per poter essere qui ora, per portare avanti il Progetto Ewa, un ambizioso progetto esplorativo dei 14 canyon con le cascate più alte al mondo, delle quali a oggi è stato percorso il Mattenbachfalle in Svizzera, la seconda cascata più alta al mondo (cfr. Montagne360, Settembre 2020). Ma torniamo all’avventura norvegese. Il 14 luglio siamo partiti in cinque dall’Italia con due mezzi camperizzati, abbiamo percorso 2500 km fino a Oslo dove, incontrati gli altri amici e completata la squadra, abbiamo proseguito fino a Gudvangen. Lì ci aspettava una valle spettacolare, eravamo alla base di grandi verticali cariche d’acqua. Allestito il campo base, abbiamo preparato il materiale e iniziato a monitorare i parametri per affrontare la discesa, ma per le avverse condizioni meteo siamo rimasti in attesa.

PRIMA DISCESA NORVEGESE: KJERRKREDFOSSEN

Il 19 luglio finalmente si parte! Inizia l’avvicinamento: 15 ore, 18 km, 1200 metri dislivello, due passi montani, neve, ghiaccio, laghi, zaini pesanti, anzi pesantissimi, ma è tutto reso sopportabile dall’adrenalina e dall’emozione di essere lì. Raggiungiamo un lago ghiacciato a quota 1650 m, le cui rive fanno da cornice al nostro campo avanzato. Montiamo le tende, accendiamo i fornelli e ceniamo. Il sole, ancora alto, riflette i suoi colori sull’acqua, ma le temperature sono rigide e il forte vento sembra entrarci nelle ossa.

Ora abbiamo bisogno di riposare perché domani

sarà una lunga giornata.

La sveglia è presto, smontiamo e ci prepariamo. Per raggiungere la sommità della grande cascata occorre scendere 400 m di quota in ambiente morenico, utilizzare la corda in due punti, e superare passaggi tra neve e ghiaccio.

Ecco l’affaccio: la vista è spettacolare e la cascata è maestosa.

La progressione è molto tecnica poiché la cascata precipita per 500 m quasi verticalmente e per trovare i punti di sosta occorre valutare metro per metro. Mettiamo in volo il drone come ausilio per scegliere la linea di calata. Scegliamo la riva sinistra e iniziamo ad attrezzare. La roccia è compatta, ma la ferrite affatica il trapano e ci danneggia due punte. Complessivamente installiamo 12 frazionamenti per scendere i primi 480 m. Sono le ore 19 ed è palese che non concluderemo la discesa in giornata, dunque scegliamo di fermarci in questa scomoda ma ampia cengia, la chiameremo “campo meraviglia”. Dopo aver al-

Sotto, Kjerrkredfossen, sulla testa del gigante (foto Olivier Chao Fuster).

Nella pagina a destra, Vinnufallet, un saluto vertiginoso (foto Stefano Farolfi)

TORRENTISMO
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lestito il bivacco, ci raggiunge l’ultimo di noi alle ore 22, poi un brodo caldo e andiamo a dormire, ma non sarà una notte facile. Piove, il vento aumenta ed entra acqua nelle tende.

Sveglia alle 7, i viveri scarseggiano, chiudiamo il campo e continuiamo la discesa. Affrontiamo gli ultimi due tratti, il secondo dei quali è continuo in parete di 220 metri. L’ultimo di noi arriva alla base della verticale alle ore 20. Eureka, la prima grande avventura verticale norvegese è conclusa!

SKORGA, LA CASCATA PODEROSA

Il secondo obiettivo della spedizione sarebbe dovuto essere Storeskredfossen, ma dopo aver effettuato una prospezione con l’ausilio del drone, rileviamo che la verticalità della cascata non è continua. Riteniamo, quindi, di non percorrerla non considerandola un’unica grande verticale, condividendo in seguito con Wwd (Word Waterfall Database) una relazione per l’esame dei dati raccolti. Decidiamo quindi di spostare il campo base a Sunndalsora, dove si trovano gli altri due giganti del nostro progetto: le cascate di Skorga e Vinnufallet.

Le condizioni meteo continuano a essere sfavorevoli. È il 24 luglio e siamo a corto di giorni, decidiamo l’azzardo: scendere Skorga in giornata, compreso l’avvicinamento. All’indomani si parte alle ore 3 della mattina e in 6 ore siamo alla sommità. La cascata è veramente poderosa, con una portata notevole (stimata empiricamente 2 m3/s). Dopo attenta valutazione capiamo che a causa del disgelo e dell’innalzamento improvviso delle temperature è impossibile affrontare la discesa in stile torrentistico. A questo punto, per ottimizzare le tempistiche, lasciamo gli zaini a monte e torniamo al campo base per poi risalire con materiale aggiuntivo da campo e affrontare il quarto obiettivo norvegese.

SECONDA DISCESA NORVEGESE VINNUFALLET

Dal fondo valle Vinnufallen è spettacolare: si presenta con una verticalità estrema e tante cascate d’acqua che scendono lungo tutta la verticale. Lungo il sentiero ci accompagna un freddo gelido e una fitta nebbia ci impedisce di vedere i compagni che hanno un passo più veloce. Superiamo Skorga, dove avevamo lasciato gli zaini, e proseguiamo fino alla base del ghiacciaio Vinnu, 1100 m, dove allestiamo il campo avanzato. C’è così freddo che siamo costretti a cenare nelle tende e alle ore 19 siamo già tutti dentro il sacco a pelo. L’indomani ci alziamo presto, sono le 5, c’è già luce, ma la temperatura bassissima ci impedisce

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di partire. Aspettiamo un paio d’ore poi, installata la prima sosta, inizia la discesa. Anche questo gigante inizia con uno strapiombo, sono 150 m con una portata notevole. L’acqua è tanta e dobbiamo valutare con l’ausilio del drone quale possa essere la linea di calata migliore. Decidiamo di attraversare il flusso dell’acqua per spostarci in riva destra, dove la discesa sembra più agevole: l’acqua scorre velocemente e abbiamo difficoltà con gli zaini a stare in piedi e fare opposizione alla sua forza. Solo dopo 6 calate riusciamo a guadagnare la riva opposta dove proseguiremo per tutta la discesa. Posizioniamo tanti armi esposti e le cenge dove sostare sono veramente piccole, si riesce a stare al massimo in due persone. Anche se attrezziamo con tiri di corda molto lunghi, la discesa ci tiene impegnati per ben 17 ore. Terminiamo all’imbrunire, sono le 23 e 30 e accendiamo le torce frontali per percorrere il sentiero d’uscita. Grande soddisfazione per questa discesa anche per i risultati delle misurazioni, in base alle quali si potrebbe modificare la sua posizione nella classifica delle cascate più alte al mondo. Aspettiamo che la documentazione da noi raccolta sia verificata da Wwd. È stata una bellissima avventura con una fantastica squadra, tecnicamente preparata che ha lavorato per raggiungere un altro grande risultato.

TORRENTISMO
In questa pagina, in senso orario, Kjerrkredfossen, l'acqua glaciale (foto Stefano Farolfi); il ghiacciaio di Vinnu (foto Stefano Farolfi); Kjerrkredfossen, inizia la poggia, l'acqua aumenta (foto Oliver Chao Fuster); Kjerrkredfossen, il campo avanzato sul lago ghiacciato (foto Stefano Farolfi)
Anche se attrezziamo con tiri di corda molto lunghi, la discesa ci tiene impegnati per ben diciassette ore
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Sotto, in senso orario, Kjerrkredfossen, i giovani eroi (foto Stefano Farolfi); Vinnufallet e la sua acqua scrosciante (foto Stefano Farolfi); il team internazionale (foto Oliver Chao Fuster)

IL TEAM

Andrea Forni, Sirio Bologna, Gianluca Dotta, Davide Borgobello, Angela Maria Passiu, Alessandro Bandera, Maria Vittoria Macciò, Olivier Chao Fuster, Simon Welschen, Stefano Farolfi, Lorenzo Rossato.

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Magie del bosco

Diffuso in tutte le regioni italiane esclusa la Sardegna, il faggio contribuisce all’equilibrio dell’ecosistema forestale. E in questo periodo dell’anno ci regala la bellezza del foliage

Quante volte nel corso delle nostre escursioni in aree montane ci è capitato di attraversare boschi di faggio allo stato puro oppure in associazione con abete rosso, abete bianco o altre specie? La faggeta, nelle sue varie tipologie, derivate spesso dall’indirizzo silvi-colturale indotto dalle attività dell’uomo, oppure dalle caratteristiche ambientali (tipo di suolo, indice di piovosità, temperatura, esposizione dei versanti e altre ancora), si presenta a noi nelle sue varie forme.

In Italia il faggio è diffuso in tutte le regioni esclusa la Sardegna. Rispetto a ciò, a fianco di conoscenze particolarmente note, appare importante evidenziare alcune specifiche caratteristiche della faggeta.

DAL FOLIAGE AGLI ALBERI DELLE NAVI

I mezzi di informazione ci permettono spesso di osservare la bellezza delle faggete, soprattutto quelle strutturate come fustaie nella fase autunnale caratterizzata dal foliage, quando le fronde progressivamente si ammantano della caratteristica colorazione che passa dal giallognolo al rossiccio più o meno intenso. Nei mesi di ottobre e novembre, a seconda delle aree geografiche, questi boschi cambiano completamente colore, offrendo a tutti noi una completa immersione nella natura dominata da colorazioni molto variegate. Tale fenome-

no naturale si apprezza molto nelle faggete gestite come fustaie dove, alla suggestione degli sviluppi colonnari delle varie piante, si associa la colorazione delle chiome.

A tanta bellezza si deve aggiungere l’uso proficuo fatto dall’uomo nei vari utilizzi del faggio. Si va dalle note carbonaie, dove l’accumulo di rami seguito alla loro copertura con terreno e successiva accensione con combustione controllata, produce carbone da ardere facilmente trasportabile. In Veneto la Repubblica Serenissima di Venezia sfruttava il faggio per l’allestimento della sua flotta navale che nel passato ha dominato il Mare Mediterraneo orientale. Due erano gli utilizzi principali ricavati dalle fustaie di faggio. Presso l’attuale Riserva di Somadida (Auronzo), si trova ancora la località denominata “Costa dei Pennoni”, dove venivano abbattuti i faggi colonnari adatti a formare gli alberi delle navi. Il Bosco del Cansiglio, invece, era destinato a “Bosco da Reme”: qui si raccoglievano i faggi adatti a produrre i remi delle galee.

L’ECOSISTEMA FORESTALE

A tutto ciò, in gran parte noto ai cultori delle scienze forestali, si deve aggiungere un importante contributo portato dal faggio all’intero ecosistema forestale. Si tratta del fenomeno della pasciona e delle sue implicazioni ecologiche. Per pasciona si intende la fase ricorrente ogni 3-5 o 6 anni di forte sviluppo dei semi, noti come faggiole. L’abbondante produzione con conseguente caduta al suolo viene generata dalle piante mature al fine di favorire la rinnovazione della specie. Tale fenomeno però avviene in certe annate in modo talmente esplosivo da condizionare positivamente la vita degli animali che si cibano di tale risorsa. La repentina e abbondante presenza di semi costituisce la risorsa forestale nota come produttività primaria, che

AMBIENTE
Il futuro delle faggete, in particolare nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, non appare molto roseo
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innesca meccanismi ancora poco noti ma in via di indagine da parte di alcuni ricercatori (compreso l’autore, ndr). La sequenza temporale si attua nel seguente modo: in primavera ed estate avviene la produzione di semi sui rami; in autunno si verifica la caduta delle faggiole; in inverno e nella successiva primavera avviene la ricerca a scopo alimentare delle faggiole da parte degli utilizzatori. Tutto ciò favorisce un repentino aumento delle popolazioni animali, soprattutto roditori che di questi semi si cibano, con conseguente aumento delle specie come i carnivori o i rapaci notturni che li cacciano. Nello specifico questa rete trofica, indagata negli ultimi 33 anni presso la Foresta del Cansiglio (Veneto, Friuli Venezia Giulia), ha permesso di confermare anticipatamente il successo riproduttivo della civetta capogrosso, già a partire dall’anno

antecedente la sua nidificazione, caratterizzato dal fenomeno della pasciona. Quando poi a questa si abbina quella contemporanea dell’abete rosso, con forte produzione di coni e conseguente liberazione dei semi che cadono a terra, il successo riproduttivo dei rapaci notturni che predano i roditori aumenta significativamente. Questo avviene anche per l’allocco, la civetta nana e per tutte le specie che sfruttano queste risorse. Un ulteriore settore di indagine relativo alla pasciona del faggio ha portato, sempre in Cansiglio, a una scoperta particolarmente importante. Nei mesi autunnali conseguenti alla pasciona del faggio, il bosco evidenzia un aumento delle presenze degli uccelli migratori. In particolare i fringillidi come il fringuello e la peppola, che attraversano la foresta in fase di trasferimento verso i quartieri più meridionali. Questi, a seguito dell’abbondante presenza di risorse trofiche, si fermano in questa foresta utilizzandola come stop over ossia area di recupero delle energie.

IL FUTURO DEL FAGGIO

Per concludere, però, tra tante notizie positive, non si può fare a meno di ricordare che il futuro delle faggete, in particolare quelle presenti nei pa-

AMBIENTE
Nei mesi di ottobre e novembre, a seconda delle aree, questi boschi cambiano completamente colore
Nella pagina precedente e in questa pagina, i colori delle faggete nelle diverse stagioni (foto Veronica Borsato)
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Sopra, in senso orario, un faggio secolare con le sue radici (foto Felix-Mittermeier. de, Pixabay); un bosco di faggio (foto Veronica Borsato); le foglie del faggio nel periodo autunnale (foto Heike, Pixabay)

esi che si affacciano sul Mare Mediterraneo, non appare molto roseo. Infatti da una recente indagine sembra che il faggio in Europa meridionale, Italia compresa, qualora continui questo trend climatico, possa far registrare problemi di sopravvivenza. Un gruppo di lavoro composto da 48 ricercatori operanti in 324 siti europei, mediante l’analisi degli anelli di accrescimento annuali, ha notato una forte riduzione delle fasi di sviluppo. Tale fenomeno potrebbe portare alla scomparsa del faggio verso la fine di questo secolo. La speranza naturalmente è che tutto ciò non si avveri.

* Cai Sezione Conegliano (TV), membro Citam VFG

Bibliografia

Del Castillo E.M. (& altri 47 Autori) 2022. Climate-change-driven growth decline of European beech forests. Communications Biology, 5:1-9.

Favaretto A., Mezzavilla F., 2018. Il Valico Montano del Monte Pizzoc. Risultati delle indagini, anni 2004-2017. ANLC, Regione Veneto

Mezzavilla F., 2014. Il Faggio e la fauna. Corpo Forestale dello Stato, MIPAAF. Tipografia DBF, Seren del Grappa. Pp. 120.

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I risultati di un lungo studio

Le prove sulle Abalakov continuano: il lavoro portato avanti dal distaccamento Vfg (Veneto-Friulano Giuliano) del Centro Studi Materiali e Tecniche ha dato risultati rassicuranti a cura del Centro Studi Materiali e Tecniche VFG del Cai

Due inverni, un’estate e un autunno, 224 prove in laboratorio (su cemento cellulare areato) e 80 in ambiente su ghiaccio. Sono questi i numeri del lavoro che il distaccamento Vfg (Veneto-Friulano Giuliano) del Centro Studi Materiali e Tecniche ha portato avanti per studiare la resistenza di un “particolare” ancoraggio usato nelle attività di arrampicata sulle cascate di ghiaccio e nell’attività di alpinismo in ambiente di alta montagna.

IL LAVORO IN LABORATORIO

Il lavoro è iniziato dapprima in laboratorio su blocchi di cemento cellulare aerato. Ciò ha permesso di studiare varie tipologie di Abalakov (a partire dalla classica configurazione orizzontale), svincolandosi dalla variabile temperatura; si è registrato il carico di rottura e filmata ogni prova per catalogare i diversi tipi di rottura relativi alle Abalakov considerate. Oltre a quelle orizzontali sono state provate anche quelle verticali (fori uno sopra l’altro), oblique (fori posti a 45° tra di loro) e inclinate (fori orizzontali ma inclinati, come nell’infissione delle viti da ghiaccio, di 20 e 30 gradi verso la direzione di carico). Visto lo spessore dei blocchi di questo particolare materiale reperibili in commercio (si è utilizzato il blocco di Ytong® “sismico”, che tra i prodotti disponibili è quello che presenta il maggior valore di densità), si sono utilizzate le viti da 17 cm di lunghezza e, inoltre, per fare in modo che tutte le clessidre avessero la stessa dimensione si è utilizzata una dima.

LE VERIFICHE SUL CAMPO

Una volta esaminati i risultati di questa prima

tornata di prove, il passaggio successivo è stato quello di spostarsi sul campo per provare su ghiaccio quelle tipologie di Abalakov che avevano mostrato la resistenza maggiore. In questo

MATERIALI
1
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Nelle immagini di queste pagine, esempi di prove in laboratorio (foto 1, 2 e 3) e in ambiente (figure 4 e 5)

caso, visto che non c’erano più problemi legati alle dimensioni del materiale su cui eseguire le clessidre, oltre a quelle realizzate con le medesime dimensioni delle precedenti, si sono provate anche quelle costruite con le viti più lunghe disponibili sul mercato, in modo tale da registrare la massima resistenza ottenibile da questo tipo di ancoraggio.

I RISULTATI

I risultati di questa seconda serie di test in ambiente, non sono certo confrontabili con i valori ottenuti su Ytong®, tuttavia dai video girati durante l’esecuzione di ogni singola prova si è visto come le modalità di frattura siano compatibili con quelle ottenuti sul cemento aerato e questo risulta interessante perché conferma la bontà dell’utilizzo di questo materiale per simulare il ghiaccio nei test di laboratorio.

Dal punto di vista dei risultati si è confermato quanto ci si aspettava, ovvero che molto dipende da due fattori: la sezione resistente dell’Abalakov stessa (quindi la lunghezza delle viti da ghiaccio con cui viene costruita) e la qualità del ghiaccio. Mentre sulla prima condizione è facile cautelarci utilizzando le viti di lunghezza massima disponibile, sulla seconda, purtroppo, è necessaria una buona capacità di valutazione della compattezza del ghiaccio e ciò è legato molto all’esperienza dell’alpinista.

Lasciamo al lettore interessato la curiosità di andare a leggere i due articoli presenti sul sito del Csmt (www.caimateriali.org\download\articoli e dispense, alla voce Tecniche), che riguardano appunto i risultati ottenuti sia in laboratorio che in ambiente; sarà probabilmente molto rassicurante leggere i valori di resistenza ottenuti (su ghiaccio di buona qualità), per le tipologie di Abalakov orizzontale e verticale.

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La natura come opera d’arte

La mostra Adolf Kunst 1882-1937. Paesaggi di carta, che chiude la stagione espostiva 2022 e apre il 2023 al Museomontagna, nasce dalla collezione creata nel 2021 con la donazione di oltre 300 beni da parte degli eredi dell’artista: opere incisorie, pittoriche e di design oltre a materiale documentario (fotografie, rassegna stampa, pubblicazioni), disegni e manufatti. Nel 2021 una campagna di catalogazione e digitalizzazione ha consentito di rendere le opere fruibili online sul portale del patrimonio culturale del Club alpino italiano (CAISiDoc.cai.it).

La raccolta rappresenta nella sua pienezza la visione artistica di Kunst, in cui motivi paesaggistici, elementi naturali e rappresentazioni architettoniche montane occupano una parte molto rilevante della sua produzione artistica, derivata naturalmente dalla formazione accademica, ma ancor prima da un sentimento di affinità, fisica e spirituale, con la natura e le montagne.

Adolf Kunst nasce a Ratisbona nel 1882 e studia architettura a Monaco di Baviera, dove muore nel 1937 dopo essere stato a lungo docente del politecnico della città.

In quella stagione particolarmente fervida per l’incisione mitteleuropea, Kunst guadagna un posto di rilievo tra i nomi della grafica degli esordi del Novecento, sebbene i suoi lavori abbraccino un’ampia gamma di tecniche che includono anche design in legno e metallo, pittura a olio e acquerello, disegno a matita. Tale versatilità si nutre dello spirito della Secessione, che proprio a Monaco, oltre che a Vienna, ha visto i suoi natali e lo sviluppo dell’ideale della Gesamtkunstwerk, opera d’arte totale che fonde in sé i diversi campi artistici.

Il periodo di attività artistica di Kunst è compreso tra il 1904 e il 1936 e conserva le tracce di frequenti viaggi che

toccano le Alpi tedesche, trentine e sudtirolesi, svizzere e francesi.

La sua opera – generalmente caratterizzata dalla compresenza di leggerezza atmosferica, profondità di rappresentazione ed equilibrio compositivo – vede la più sofisticata e frequente espressione proprio nella rappresentazione di ambienti naturali, in particolare vedute montane ed elementi del paesaggio alpino.

L’esposizione, a cura di Daniela Berta e Veronica Lisino, è intesa come occasione unica per far conoscere la varietà della produzione grafica di Kunst – indubbiamente la più cospicua – ma anche generi di lavori non noti.

La mostra si articola in un percorso tematico che prende avvio dal profilo biografico, illustrato da stampe fotografiche originali e documenti, a introduzione dei soggetti favoriti: paesaggi montani innanzitutto, ma anche elementi botanici, con freschi e delicati ritratti floreali, e le architetture alpine: chiese, cappelle, abitazioni tradizionali. Se dai lavori grafici emerge un’impostazione tradizionale, rigorosa nella composizione, essenziale nel gusto ed estremamente curata nei dettagli, è nei manufatti di uso domestico e nelle fotografie che ritraggono momenti privati, che l’artista rivela un animo giocoso e ironico, amante della vita nella natura prima ancora che della sua rappresentazione. Una sezione espositiva è interamente dedicata al design per l’infanzia: giocattoli, libri pop up, carte da gioco, marionette e altre creazioni spesso ispirate a ricordi e soggetti montani. Qui una suggestiva installazione multimediale, a cura di auroraMeccanica | Narrative Space Studio di Torino, anima, con tecnica mista di motion graphic 2D e stop motion, i personaggi e i giochi creati su carta dall’artista tedesco.

PORTFOLIO
La nuova mostra al Museomontagna racconta l’attività artistica di Adolf Kunst, tra tradizione, gioco e ironia
PORTFOLIO novembre 2022  Montagne360 65

A pag. 64, Autore non identificato, Adolf Kunst mentre dipinge, fotografia, 1930 circa

01. Il lago di Hintersee con l’Hochkalter, xilografia a più colori, 1904-1936, tav. 1 della cartella su Berchtesgadener Land

02. L’Untersberg, xilografia a più colori, 1904-1936, tav. 3 della cartella su Berchtesgadener Land

03. Casa di periferia (nell’Au vicino a Monaco), acquaforte e acquatinta, 1904-1936

04. Autore non identificato, Adolf Kunst alla macchina fotografica, fotografia, 1920 circa

05. Casa ad Au (Monaco di Baviera), acquaforte e acquatinta, 1904-1936

06. Genziana, acquaforte e acquatinta, 1904-1936

07. Castello sulla cima, acquaforte e acquatinta a più colori con remarque, 1919 circa. Variante dell’ex libris per Augusta Wirth

08. Giovani betulle, acquaforte e acquatinta, 1904-1936

09. Cappella con pioppo (Wörth an der Donau), acquaforte e acquatinta, 1904-1936

10. Pace in cielo, acquaforte e acquatinta, 1904-1936, tavola della cartella Pace

11. Nella brughiera, disegno acquerellato, 1926, compreso in uno degli album che Kunst illustrò per le figlie dal 1925 al 1933 con disegni acquerellati, piccoli quiz e divertenti giochi pop-up che ricordano i momenti più piacevoli e significativi della vita famigliare

12. Nella piscina comunale di Starnberg, disegno acquerellato, 28 giugno 1931, compreso in uno degli album realizzati da Kunst per le figlie

13. Sera d’inverno (Valle dell’Isar), xilografia a più colori, 1904-1936

14. Pini, xilografia a più colori, 1904-1936

15. Autore non identificato, Adolf Kunst lavora al dipinto a olio della chiesa di Maria zu den sieben Linden, a Unterwössen (Chiemsee), fotografia, 10 agosto 1936

01 02
66 Montagne360  novembre 2022  PORTFOLIO

IL CATALOGO

Accompagna la mostra un catalogo bilingue italiano-inglese: una selezione di oltre 200 opere è corredata da testi storico-critici e approfondimenti tecnici di Armando Audoli, Vincenzo Gatti, Cristian Perissinotto, oltre al contributo di Gerhard Lutz, nipote dell’artista e attento garante della sua eredità artistica, che ha redatto gli apparati in volume.

Catalogo a cura di Daniela Berta e Veronica Lisino.

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06 68 Montagne360  novembre 2022  PORTFOLIO
08 10 07 09 PORTFOLIO novembre 2022  Montagne360 69
12 11 70 Montagne360  novembre 2022  PORTFOLIO
13 14 15 ADOLF KUNST 1882-1937 PAESAGGI DI CARTA MUSEO NAZIONALE DELLA MONTAGNA, TORINO DAL 5 NOVEMBRE 2022 AL 2 APRILE 2023 Una mostra del Museomontagna con Cai – Club alpino italiano, Città di Torino, Regione Piemonte, Fondazione Crt PORTFOLIO novembre 2022  Montagne360 71

I nostri campioni mondiali

450 giovani dai 16 ai 20 anni, da tutto il mondo, sotto un unico tetto per una dieci giorni super intensa. Boulder Lead e Speed hanno portato all’Italia: 3 Ori, 2 Argenti, 1 Bronzo

ICampionati Mondiali Giovanili IFSC, l’evento più importante della stagione giovanile, si sono tenuti negli USA, Dallas dal 22 al 31 agosto scorso, impegnando Juniors U20, Youth A U18 e Youth B U16. L’Italia, con 40 convocati, si è comportata molto bene. Nella Speed titolo mondiale per Beatrice Colli U20, Marco Rontini U18, Francesco Ponzinibio U16; e Argento per Sofia Bellesini U18. Nel Boulder: Argento a Matteo Reusa U16 e Bronzo a Alessia Mabboni U20. Nella Lead sfiorato il Bronzo con Alessia Mabboni U20 quarta.

SPEED Juniors U20

Nei Femminili Oro a Beatrice Colli (già Oro Youth A 2021), arrivata in Semifinale dopo aver battuto la giapponese Kanami Suzuki (8.17 vs 9.61) e la spagnola María Laborda Sagaste (7.77 vs 8.73). Nel confronto con Franziska Ritter, Beatrice fermerà il cronometro a 7.53 vs i 7.67 della tedesca, entrando così in Finale. Finalina per Oksana Burova (UCR) e la Ritter, e Bronzo per quest’ultima

(7.80 vs 8.12). Nel testa a testa per il titolo, la tedesca Nuria Brockfeld cadrà all’inizio della linea, lasciando l’Oro alla Colli 7.77. 15° Erica Piscopo battuta dalla Ritter (8.13 vs 8.22). Nei Maschili l’Italia è ai Quarti di finale con Luca Robbiati 6° che, dopo aver battuto Alessandro Giorgianni 12° (5.96 vs 7.50), sarà eliminato da Hryhorii Ilchyshyn (Ucr) 6.22 vs 11.88. In Finale l’ucraino perde il primo gradino contro Shuto Fujino (Jpn) 5.85 vs 5.94. Bronzo nella Finalina il tedesco Leander Carmanns contro il tailandese Aphiwit Limpanichpakdee, fuori podio (5.74 vs 6.41). 16° Andrea Bortolotto battuto da Carmanns (5.84 vs 6.85).

Youth A U18

Marco Rontini è Oro. In Semifinale arriva dopo un duello contro Bernabé Fernández Alejo (Esp) e il canadese Le Dylan e supererà Rafe Stokes (Gbr) 5.89 vs 6.00). Nella Big Final, la falsa partenza di Marius Payet Gaboriaud (Fr), come il suo precedente avversario Samuel Watson (Usa) in Semi, consegna il titolo al nostro Rontini. 3° Watson in Finalina

contro Stokes 5.37 vs 5.99 che aveva precedentemente battuto Daniele Balestrazzi 11° 5.93 vs 6.07; 10° Francesco Govoni, a cui scivolerà un piede nel testa a testa con il francese Max Mengual (6.21 vs 7.15)

Nei Femminili Sofia Bellesini arriva alla Big Final contro la francese Manon Lebon, dopo aver battuto di larga misura Saveena Fillingham (Gbr), Kaitlyn Bone (Usa). E in semifinale Anna Maria Apel (Ger) 7.74 vs 7.87. Purtroppo le scivolerà un piede e il cronometro si fermerà a 9.05 consegnando il Titolo alla Lebon 7.67. A Sofia l’Argento. Bronzo di Ai Takeuchi (Jpn) in Finalina contro la Apel. Dopo aver battuto l’americana Sophia Curcio (8.79 vs 8.96), arriva 7° Francesca Matuella, eliminata nei Quarti dalla Lebon (7.69 vs 8.33).

Youth B U16

A sinistra, dai Mondiali Giovanili IFSC di Dallas 2022 l’Italia torna a casa con 3 Ori e 1 Argento in Speed; 1 Argento e 1 Bronzo in Boulder. Sfiorato il podio nella Lead (foto Caleb Timmerman IFSC)

Francesco Ponzinibio domina fino in Finale. Vince negli Ottavi 6.88 vs 7.00 Samuele Graziani 11°. Contro Tabuchi Motonori (Jpn) che cade, stoppa il cronometro a 6.78. In Semi supera Damir Toktarov 6.52 vs 7.01 e si affronta in Finale contro Ginta Uegaki (Jpn). Una falsa partenza di quest’ultimo incorona Francesco all’Oro. 3° Toktarov che vince in Finalina Aodhan Umlauf (Ger) 6.18 vs 6.53. Nei Femminili Italia ai Quarti con Eva Mengoli. Battuta Oceane Gelina (CAN), caduta a metà linea negli Ottavi 9.13, Eva sarà bloccata da Martyna Stokowiec (Pol) 8.62 vs 10.56. In Semi la polacca cadrà all’ultima presa contro Ksenia Horielova 8.388 (Ucr). Con 8.95 Polina Khalkevych (Ucr) è in Finale battendo Maelane Villedieu 8.96. Ma le verrà strappato l’Oro dalla Horielova (Ucr) 8.48 vs 8.63. Bronzo a Villadieu in Finalina contro la Stokowiec 8.86 vs 9.10.

BOULDER

Juniors U20

2° e 3° posto sui 6 blocchi delle Qualifiche per Michele Bono 6T6z 11 11 e Nicolò Sartirana 6T6z 15 14. In Semi, con il predominio di

ARRAMPICATA 360° A CURA DI ANTONELLA CICOGNA E MARIO MANICA · ANTCICO@YAHOO.COM
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A sinistra, il podio Boulder Youth

A Femminile ai Mondiali Giovanili 2022 IFSC: da sinistra 3° Alessia Mabboni (I), 1° Sara Copar (Slo), 2° Mihika Nagashima (Jpn) (foto Archivio IFSC)

26). Luca Malosti 28° (Q 24.45).

Nei Femminili, Giappone e Repubblica Ceca a contendersi il titolo da subito. In Qualifica 2 Top sulle due linee per Natsuki Tanii. 2° Nonoha Kume 43+ e 49+. 3° Michaela Smetanova 41 e 48+. Federica Papetti 18° con 29+ e 33; Savina Nicelli 19° con 32+ e 29+. Nelle Semi Kume, in testa con un Top, rimarrà prima anche in Finale con l’Oro a 40+ prese. Argento a Natsuki 39+, seconda anche in Semi con 41. Divario per la Smetanova che, terza in Semi 39+, strappa il Bronzo alla presa 27+. Brave Nicelli e Papetti che in Semi con 30+ e 30 prese, chiudono complessivamente 10° e 11°.

Belgio e Giappone, passerà il turno Nicolò 5° con 3T4z 7 7. In Finale, secondo blocco ostico per tutti e 6 gli atleti. Oro a Hannes Van Duysen (Bel) 3T3z 5 3, seguito da Zento Murashit (Jpn) 2T3z 3 4 e da Junta Sekiguchi (Jpn) 2T3z 3 7. 6° Sartirana 1T3z 2 10. Bono 18° 2T3z 7 7. Nei Femminili, predominio francese di Zelia Avezon: prima in tutti e tre i turni, e Oro mondiale con 3 blocchi flash su 4 (4T4z 8 6). Argento a Selma Elhadji Mimouine (Fr) con 3T4z 3 4 (3 blocchi flash); 5a in Qualifica (4T4z 8 12) e 6a nelle Semi (1T3z 1 7). Bronzo a Kylie Cullen (Usa) 3T4z 5 5 (di cui 2 flash); 6a in Qualifica, 2a in Semi 1T4z 3 11. In Qualifica Irina Daziano è al 2° posto 5T5z 10 7 (2 blocchi flash); 16° Beatrice Colli 2T4z 11 9; 21° Federica Papetti 2T3z. Nelle selettive Semifinali 12° posto per la Daziano 0T3z 0 5 e 18° alla Colli 0T0z 0 8.

Youth A U18

Alessia Mabboni bissa il risultato dell’anno scorso, chiudendo con un gran Bronzo. In Qualifica 4° Francesca Matuella 4T6z 14 14, 16° Alessia Mabboni 3T4z 6 11. Prime e seconde Sara Copar (SLO) e Mihika Nagashima (JPN) che terranno questa posizione nei tre turni di gara. In Semi, Alessia è quarta 1t4z 3 11 dietro a Lina Funa (Slo) 1T4z 1 18, ed entra in Finale. La Copar si aggiudica l’Oro con 4t4z 5 5 (3 flash), Argento la Nagashima 3t 4z 10 7 (1 flash). Terza Alessia 3T 4z 11 8.

Nei Maschili strapotere giapponese rotto da Gran Bretagna. L’Italia è 13° nei 6 boulder di Qualifica con Luca Boldrini 4T5z 11 12, ma nelle Semi si ferma 15° con 1T3z 3 11. Nel primo turno Ritsu Kayotani (JPN) è 5° con

6T6z 14 14, ma dalle Semi alle Finali non si sposterà dalla prima posizione, e vince l’Oro con 4T4z 7 4 (3 flash). Vicecampione Toby Roberts (Gbr) 4T4z 12 8. Gli unici dei 6 finalisti a chiudere tutti e 4 i blocchi. Bronzo a Sorato Anraku (Jpn) 3T4z 8 8.

Youth B U16

Matteo Reusa sul podio con l’Argento, ribaltando l’esito delle Finali. In Qualifica Reusa è 13° 4T4z 17 15. Riccardo Vicentini 16° 3T5z 5 12; in testa Augustine Chi (USA) 6T6z 12 11 (3 flash) seguito da Kodai Yamada (JPN) 6T6z 16 10 e da Hugo Hoyer (USA) 5T6z 5 7 (5 flash). In Semi la posizione viene mantenuta dai tre, con Chi e Yamada che risolvono flash 3 tre dei 4 blocchi. Reusa è subito dopo, 4° con 4T4z 6 5 (2 flash). Nel turno decisivo per il titolo, Hoyer chiude Oro con 3T4z 5 7 (1 flash), seguito dal nostro Matteo, Argento 3T4z 16 14. 3° Hinata Terakawa (Jpn) 2T4z 3 4. Nei Femminili podio USA e giapponese con battaglia nei tre turni tra Anastasia Sanders e Natsumi Oda. Oro alla Sanders con 4T4z 4 4, tutti i blocchi flash. Argento per Natsumi Oda, con medesimo risultato ma dietro all’americana nelle Semi. Bronzo a Kaho Murakoshi (JPN) 4T4z 7 7 (2 flash). Elena Brunetti 26° posto 0T4z 0 7.

LEAD Juniors U20

Predominio Giappone-Slovenia. L’Oro è di Zento Murashita con 44+ prese, seguito da Junta Sekiguchi 43+ e Lorro Črep 38+. Bella prestazione di Giorgio Tomatis che tra gli 8 finalisti (JPN, SLO, USA, CZE) chiude 6° con 38+ prese, dopo un bel 8° tra i 26 semifinalisti con 30 prese. Paolo Sterni 21° (Q 17.78, S

Youth A U18

Predominio giapponese rotto dall’Argento britannico Toby Roberts 38+, secondo anche in Semi 32+. L’Oro va così a Sorato Anraku 38+, 1° anche in Semi 28+. Bronzo a Rikuto Inohana 35+, che in Qualifica e Semi arriva 7° e 6°. Accedono alle Semi Luca Boldrini e Sergio Bortolameotti chiudendo 16° (22+) e 23° (21+).

Nei Femminili Qualifica con il terzetto di podio già in posizione: Alexandra Totkova, Sara Copar, Gayeong Oh. Ma tallonato dalla nostra bravissima Alessia Mabboni in 5a posizione 39+ e Top. In Semi Alessia arriva terza con 35 prese, dietro la Totkova 40+ e la Copar 36+; ma scivolerà fuori podio nelle Finali con 25+, dietro i 2 Top dell’Oro Totkova (Bulg) e dell’Argento Copar (Slo) e i 39+ del Bronzo Oh (Kor).

Youth B U16

Francia Giappone e Repubblica Ceca sul podio mondiale, con Max Bertone a dominare Semi e Finale sempre con il Top. Riku Ishihara, in Qualifica in testa con 2 Top e in Semi 5° (36+), impugna l’Argento con 44+ prese. Bronzo a Lukas Mokrolusky 44+, 7° in Semi e 3° in Qualifica. Bella prestazione di Riccardo Vicentini, sempre significativamente avanti nei tre turni (4.9, 33+,38+), 7° in Finale dietro a Hugo Hoyer 6° 39+. Matteo Reusa con 31 prese in Semi chiude 13°.

Nei Femminili Oro a Chaeyeong Kim (S.Kor) 47+ che strappa il titolo per un soffio alla francese Meije Lerondel 47. Bronzo a Kaho Murakoshi 41+ (JPN). Elena Brunetti, in Qualifica 13a con 31+ e 39+, in Semi arriva 24° con 21+ prese. 37° Emma Ferraro (Q 15+ e 26).

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S u quest’incredibile pilastro roccioso di mille metri, nel 1989, una cordata tedesca altrettanto incredibile porterà le alte difficoltà dell’arrampicata libera oltre i 6000 metri di quota. Parliamo di Nameless Tower 6251 m, alle Torri del Trango (Pakistan), dove Kurt Albert, Wolfgang Güllich, Milan Sykora e Christoph Stiegler realizzano Eternal Flame alla Sud: «La via più dura su roccia finora aperta in Himalaya, o nel Karakoram in free climbing», spiegherà Albert all’American Alpine Journal. 80% della linea in libera, 4 lunghezze di artificiale. Per una difficoltà complessiva di VI 7b+ A2. Due mesi di duro lavoro con cima nell’aria sottile il 20 settembre. Mai vista una cosa così.

Dopo questa rivoluzionaria FA, diverse forti cordate tenteranno la Rotpunkt integrale. Con insuccesso, assistiti da pessimo tempo. Ma alcune segnando passi decisivi verso la prima libera. Nel 2003, Denis Burdet e Nicolas Zambetti (CH) con Toni Arbonès da secondo (ESP), liberano 2 dei 4 tiri di artificiale con diff. 7c (5.12d) e 7c+ (5.13a). Nel 2005, Iker e Eneko Pou (ESP) trovano una variante boulderosa spesso bagnata di 7c+/8a per L10 (che non liberano, pur provando tutti i movimenti in top rope), a destra di quella sezione liscia e senza prese levigata dall’acqua, che i primi salitori avevano attrezzato con una fila di spit. Sarà poi nel 2009, che Thomas e Alexander Huber, assistiti da ottime condizioni meteo, realizzano la prima libera integrale in 4 giorni e con 4 tiri di variante alla via originale. I primi due di 7a+ (5.12a) lungo 30 metri di sottili fessure per evitare il fatidico traverso/ pendolo in artificiale a L2; e gli altri due di 7c (5.12d) lungo una nuova fessura, 4 metri a destra della variante Pou (L10). I due fratelli tedeschi valuteranno la linea 7c+, con il tiro crux a oltre 6000 m.

Da quella prima Rotpunkt degli Huber, nessuno ci era poi più riuscito. Cattive con-

dizioni del tempo, alte difficoltà in parete. Ma quest’anno Eternal Flame è tornata a riaccendersi, con due nuove ripetizioni Rotpunkt di eccezionale livello.

La prima del catalano Edu Marin supportato, nella parte di assicurazione recupero materiale e installazione delle fisse, dal padre Novato Marin e dal fratello Álex. In molte sezioni il catalano fisserà prima le corde per poi liberare i tiri successivamente, concatenandoli velocemente. Tutti i tiri da capo cordata senza mai discendere a terra. Attacco il 25 giugno scorso in una prima finestra di bello, con cima il 21 luglio. 28 giorni in parete di cui 10 da solo in tendina alla Sun Terrace (la grande cengia a 5600 m da dove parte Eternal Flame), in attesa di una nuova finestra di bello che arriverà il 17 luglio. La lunghezza chiave di 7c+ affrontata il 19/07, valutandola addirittura 8c. Via salita per la variante Huber.

La seconda della cordata italiana-austriaca Jacopo Larcher e Barbara Babsi Zangerl, con terza salita in libera di Eternal Flame (18-23 luglio 2022). E prima femminile Rotpunkt per Barbara.

L’INTERVISTA

Con Jacopo Larcher abbiamo fatto una lunga chiacchierata.

Dopo una grande esperienza di notevoli Rotpunkt su El Capitan, tra cui El Nose, perché questa linea?

«Questa parete è fatta per l’arrampicata in libera in alta quota. Un pilastro perfetto. Quando lo vedi non puoi che aver voglia di salirlo. Eternal Flame è tra le più famose al mondo, e di certo la più famosa di Nameless Tower. La scelta è stata semplice, ed evidente. Era una sfida importante. Un sogno poterla ripetere. L’anno scorso il mal tempo ci aveva rigettato. Così eccoci qui di nuovo!»

CRONACA EXTRAEUROPEA A CURA DI ANTONELLA CICOGNA E MARIO MANICA · ANTCICO@YAHOO.COM
Ritorno di fiamma Sulla più famosa big wall del Karakorum, il catalano Edu Marin e la cordata italo-austriaca di Jacopo Larcher e Barbara Babsi Zangerl portano a tre le Rotpunkt sull’iconica linea di Eternal Flame
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Dunque, non eravate nuovi alla linea.

«La logistica, l’avvicinamento e come acclimatarsi meglio sono stati frutto dell’esperienza del 2021, ma di Eternal Flame avevamo salito solo i primi due tiri. Per il resto, il 90-95% della via è stata una sorpresa. Ci aspettavamo più lunghezze mediocri, invece non ce n’è stata una deludente. Arrampicata in fessura perfetta dall’inizio alla fine. Solo un tiro in cima presentava scaglie un po’ più grosse, ma la qualità della roccia è sempre stata spaziale».

Paragoni?

«Difficile farne. Diciamo, come una via di Yosemite in alta quota».

Quanti tiri si salgono?

«Eternal Flame inizia da Sun Terrace, la grande cengia a un terzo della parete Sud. Sono 24 tiri a partire da qui. Ma per arrivarci si percorrono i primi 10 tiri della via degli Sloveni, dieci in base a come li spezzi. Quindi alla fine sali complessivamente oltre 30 lunghezze, 900-1000 metri di parete». La vostra terza ripetizione in libera è sulla variante degli Huber?

«Sì, perché è la più logica per arrampicare in libera. Ripercorre la via originale a parte quattro tiri».

Come avete organizzato i campi?

«Abbiamo dormito la sera prima di attaccare al Campo Base, ai piedi della Sud. Poi sempre in portaledge. Le prime 3 notti a Sun Terrace 5600 m. Quindi a Snow Ledge

6000 m, dove abbiamo trascorso le ultime 2 notti. Il sesto giorno, quello della cima, siamo discesi al CB».

E la progressione?

«I tiri duri fatti entrambi da capocordata: 3 tiri di 7c e il tiro chiave di 7c+. Sui tiri più facili ci siamo alternati in cordata come al solito, affrontandoli però entrambi sempre in libera. E in modo che ognuno ne facesse esattamente la metà da primo. Quindi, il terzo giorno ho iniziato io sul tiro successivo, pur avendo fatto io l’ultima lunghezza del giorno prima. E tutti i tiri li abbiamo saliti senza mai cadere. Una cosa inaspettata e una grande soddisfazione».

Sezioni di boulder e di resistenza. Lunghezze di 7a, 7a+, 7b, 7c (di cui due di fila) da salire in arrampicata libera nell’aria sottile. Il tiro chiave di 7c+ a 6100 metri. L’avette fatta tutta a vista o flash, quindi?

«Per noi una via è così quando i tiri li sali tutti con quello stile in quella stessa salita. Quindi non abbiamo dichiarato che la nostra Rotpunkt è stata tutta a vista o flash, avendo noi già salito così le prime due lunghezze nel 2021».

Condizioni meteo e della parete?

«Con il meteo siamo stati molto fortunati. Condizioni eccezionali. Siamo partiti con una lunga finestra di bello. E a parte il terzo giorno freddissimo, dove abbiamo scalato poche ore, con 3 tiri complessivi, il problema

è stato poi il caldo, con lo zero termico a 6000 metri. Pessimo per l’ambiente, e le scariche. A due terzi della parete, dalla cengia Snow Ledge, che come dice il nome è quella dove c’è sempre neve, continuava a colare acqua e i tiri sotto erano completamente bagnati. Per fortuna di notte ghiacciava un po’, quindi avevamo due o tre ore la mattina per provare le lunghezze asciutte prima che ricominciasse “la doccia”. Il secondo e il terzo giorno siamo stati molto rallentati per questo. Il quarto giorno, superata Snow Ledge, abbiamo proseguito abbastanza velocemente, con 5 lunghezze compreso il crux di 7c+. Ridiscesi a Snow Ledge, il quinto giorno abbiamo fatto pochi tiri per esigenze filmiche. In cima siamo arrivati per questo il sesto giorno. Nel complesso però la parete si è rivelata molta più asciutta delle aspettative. Di solito in cima ci sono più tiri di misto, ma quest’anno abbiamo usato la piccozza solo per una lunghezza, in uscita sulla rampa di ghiaccio di 80°». I tiri che vi hanno dato più difficoltà? «Ogni tiro è stato difficile, una sfida a sé. Arrampicare tra i 5000 e i 6000 metri è decisamente più faticoso. Babsi ha patito la quota un po’ di più, per il mal di testa. O la sera, perché faticava a mangiare. Io sono stato più fortunato. I due tiri chiave di seguito (7c e 7c+) sono sopra Snow Ledge a 6100 metri. E la mancanza di ossigeno si sente, soprattutto sulle lunghezze più di resistenza. Ma nel complesso non abbiamo avuto grossissimi problemi. Tranne sul secondo 7c sotto Snow Ledge, in parte ghiacciato. E sul 7b subito sotto, perché faceva particolarmente freddo e si faticava ad arrampicare».

Per il crux confermate la difficoltà di 7c+, o di 8a come proposto da Marin? «Confermiamo il 7c+».

Nella pagina a fianco, Jacopo Larcher e Barbara Zangerl in cima a Nameless Tower 6251 m, Torri di Trango (PK), dopo la terza Rotpunkt di Eternal Flame (foto Austin Siadak).

A sinistra, Jacopo Larcher in libera su Eternal Flame nell’aria sottile. Barbara ha firmato la prima Rotpunkt femminile della linea. Nameless Tower 6251 m, Torri di Trango, PK (foto Jonathan Faeth)

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Il volto roccioso del Monte Rosa

Un grande bastione di gneiss dove stava un’unica via, tracciata nel 1959. Il 16 giugno 2022, però, Fabrizio Manoni e Andrea Lanti si sono avventurati lassù, sul “triangolo” della parete est della Cima di Jazzi (3804 m), e vi hanno lasciato un secondo notevole itinerario

Ha quasi novant’anni ma se dovesse capitarvi tra le mani, magari nella ristampa anastatica del 2008 dell’editore Alberti di Verbania, L’epopea del Monte Rosa di Eugenio Fasana resta una lettura vivamente consigliata. Un libro che si apre descrivendo subito, con prosa d’altri tempi ma godibile, «l’altare di Valpadana»: quel «colosso alpino che sopravanza, a destra e a sinistra, la cerchia di punte visibili col suo profilo a sega». Il Fasana osserva «da un punto qualunque della pianura lombarda», da cui il Monte Rosa «si presenta come il vero protagonista della cerchia alpina». Tanto che il «contadino padano, che vive all’aperto dall’alba al tramonto, ne conosce tutte le mutazioni di luce e di colore». E senza saperne il perché «gode della presenza e benignità» della «gran montagna, sede delle nevi e di chi sa quali oscure forze naturali» proprio come «l’Everest sublime» per «i pastori tibetani».

C’ERA UNA VOLTA IL GHIACCIO

La parete est del Monte Rosa, che chiude la valle Anzasca dominando Macugnaga, vanta in effetti dimensioni himalayane, che i numeri rendono piuttosto bene: circa 2500 metri di altezza dal ghiacciaio del Belvedere alla cresta sommitale e circa 3000 di larghezza, con quattro punte – Gnifetti (4554 m), Zumstein (4563 m), Dufour (4634 m) e Nordend (4612 m) – a coronare il tutto. Una fortezza senza eguali nelle Alpi, magnifica dal Passo di Monte Moro (2868 m, raggiungibile in funivia) da cui cercare le storiche vie di salita a cominciare dal canalone Marinelli, salito il 22 luglio 1872 da Ferdinand Imseng e compagni e tra le perle della carriera alpinistica di Achille Ratti –papa Pio XI – che lo scalò il 31 luglio 1889, trentatré anni prima di salire al soglio pontificio.

Alpinismo pionieristico, da «slanci lirici», a

cui già il Fasana guardava con nostalgia. E si chiedeva, nel volume citato, «chi fa oramai ascensioni così dette di ghiaccio?». La considerazione successiva è piuttosto interessante: «Gli alpinisti d’oggi (siamo nel 1931, ndr), fatti astuti dagli accorgimenti della tecnica, armati di super-ramponi e di lunghe punte in duralluminio in funzione di chiodi di sicurezza, affrontano solo nelle migliori condizioni di neve le pareti di ghiaccio celebri». In questo modo «nella scorsa stagione 1930, ad esempio, vennero ripetute famose ascensioni in un tempo sorprendentemente breve, scegliendo, per mandarle ad effetto, il mese di giugno». Una candida via di salita: così appariva novant’anni fa, all’inizio dell’estate, il canalone Marinelli. Nel giugno 2022, invece, complici le scarse precipitazioni invernali e il caldo, il bianco era già un ricordo e di arrampicarsi lassù, dove il 10 giugno 1969 il leggendario Sylvain Saudan scese con gli sci, non se ne parlava proprio.

LA RINVINCITA DELLO GNEISS

Fabrizio Manoni, classe 1963, è un fuoriclasse silenzioso. Uno di quelli per cui, per misteriose ragioni, il tempo sembra non passare: forse perché la voglia di scalare è sempre la stessa, adesso come nel 1986 sulla Nordest dello Shivling (6543 m) – fantastica impresa – o come nel 1993 sulla Ovest del Makalu (8463 m) – tentativo sulla più ardua muraglia di tutti gli Ottomila. E non teme, Fabrizio, di legarsi con alpinisti molto più giovani di lui, come Tommaso Lamantia e Luca Moroni sul Mittelrück (3363 m) nel 2021 (ne abbiamo parlato in queste pagine nel dicembre scorso) o come Andrea Lanti sulla Cima di Jazzi (3804 m) qualche mese fa. E detto questo, il lettore preparato avrà capito il perché del lungo preambolo sulla Est del Monte Rosa, che oltre il Nordend si abbassa a destra (nord) allo Jägerjoch (3910 m), risale allo Jägerhorn (3970 m), prosegue con il Piccolo e il Gran Fillar (3620 e 3676 m) e si riprende – eccola – con la Cima di Jazzi.

NUOVE ASCENSIONI A CURA DI CARLO CACCIA
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Nella pagina accanto, il "triangolo" della Cima di Jazzi. Il "triangolo" vero e proprio, alto 300 metri, si distingue sopra la più appoggiata sezione basale (anch'essa di circa 300 metri). Manoni e Lanti, superato lo sperone centrale sulla verticale della vetta, hanno poi salito direttamente il "triangolo" (foto F. Manoni). In questa pagina, tre momenti della scalata (foto A. Lanti)

Siamo sulla cresta di confine. E se in Svizzera, dall’altra parte, la nostra montagna non è più di un placido rilievo che forma un tutt’uno con il Findelgletscher, in Italia precipita con un complesso versante sui pascoli alti di Macugnaga. E lassù, con il vertice quotato 3428, spicca il cosiddetto “triangolo”: una parete nella parete, un appicco roccioso di 300 metri sostenuto da speroni inframezzati da gole incassate e violato il 28 e 29 giugno 1959 da Nino Bertolini, Mario Bisaccia, Pierino Jacchini, Luigi Bodio e Aldo Fontana. La loro via, piuttosto impegnativa (VI e A2 con 22 chiodi e 2 cunei), è rimasta per oltre sessant’anni l’unica della struttura, con gli alpinisti maggiormente attratti dalle vicine salite su ghiaccio della grande Est. «Una volta si andava in Valle Anzasca per quelle avventure – spiega Manoni –, per quegli itinerari che negli ultimi tempi sono diventati assai problematici, impercorribili in estate perché mai in condizioni. L’attenzione si è quindi spostata sulla roccia, su pareti non dimenticate ma comunque trascurate, che oggi stanno avendo la loro rivincita. Proprio come il “triangolo” della Jazzi con il suo gneiss di qualità, dove io e Andrea Lanti, il 16 giugno scorso, siamo riusciti ad aprire una seconda via di ampio respiro. Era una mia vecchia idea, che sono contento di aver realizzato con un giovane di Macugnaga. Nella parte bassa siamo saliti per lo sperone centrale, a sinistra del ca-

nale facile ma pericoloso della linea storica. Sopra, sul “triangolo” vero e proprio, siamo invece passati a destra di Jacchini e soci, procedendo direttamente ma sempre con logica alpinistica, senza forzature. Che vuol dire seguire le fessure e aggirare gli strapiombi. La prima sezione della nuova via, che attacca a 2800 metri ed è lunga 600, è chiaramente la meno impegnativa – sono 7 tiri con difficoltà fino al 6a – mentre la seconda è piuttosto dura: il “triangolo” è sempre verticale e compatto e non regala niente, con 2 tiri di 6c, 2 di 7a (obbligato) e 2 di 6b. Il tutto protetto a rari spit – li ammetto senza problemi ma li uso con parsimonia! – da integrare con friend fino al numero 2».

IL VOLO DEL VETERANO

A proposito di ancoraggi fissi e mobili: mentre Fabrizio stava piantando uno spit, tenendo con una mano il trapano e con l’altra un appiglio, quest’ultimo ha pensato bene di rompersi. E la conseguenza, ahimè, è stata un gran volo: «Sono cascato per una quindicina di metri – racconta Manoni –, fermato da un friend 0.3. E fortunatamente, a parte un gomito ammaccato e un dito tagliato, non mi sono fatto niente di grave. Così sono andato avanti, con il gomito gonfio – che in verità non era messo troppo bene, visto che una volta a casa non mi ha lasciato scalare per un mese – e tamponando in qualche modo il mio povero anulare. Comunque ci siamo divertiti, risolvendo sul posto i pochi dubbi sulla linea da seguire, individuata dal basso. È stato bello salire su quello gneiss rossiccio che ricorda il granito, con fessure brevi che non richiedono incastri ma anche con piccoli strapiombi e placche. Una via varia, insomma, da cui siamo scesi in doppia e dove contiamo di tornare per migliorare le soste, attualmente con un solo spit».

Il veterano quindi non si ferma: le montagne cambiano ma lui no, positivamente stimolato dalla differenza di età con i suoi compagni. Li invita ad avere riguardo, perché potrebbe essere loro padre, ma poi sta davanti, scherza con loro e abbatte ogni barriera anagrafica. Un po’ come Igor Koller, l’uomo del Pesce sulla Marmolada, stupito nel vedere i suoi soci perennemente giovani e lui sempre più vecchio. «Ma che scherzo è questo?», si chiedeva. E si rispondeva da solo, pensando alla sua inestinguibile passione.

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Bianco e Rosa

Due colori, due mondi, due novità editoriali per chi ama la storia dell’alpinismo

Che del Monte Bianco si sappia molto, se non tutto, mentre il Monte Rosa continui a celarsi dietro una cortina di riservatezza, viene precisato fin nell’Introduzione che Camanni scrive per il ponderoso lavoro di Massimo Beltrame. Il perché di così poca conoscenza già se lo domandava Gian Piero Motti nella sua Storia dell’alpinismo. È quindi con uno stato d’animo inevitabilmente diverso che ci si accosta alla lettura di questi due volumi. Al primo con il piacere calmo di ripercorrere le gesta dell’alpinismo fin da quando questo “s’inventò”; al secondo con il fervore di andare a vedere quel che finalmente ci viene svelato. Leggerli insieme o uno dopo l’altro è un viaggio entusiasmante e intenso. È del resto incontestabile che i due grandi massicci alpini siano molto di più che non la semplice palestra dove far vivere quella passione per l’inutile che spinge a sfidare sé stessi sul terreno d’avventura in alta quota; di là da questo esercizio, è come se entrambi funzionassero come un immenso specchio del divenire sociale, qui nel passaggio dal moderno al contemporaneo. È senz’altro questa l’attrattiva dei due regesti storici approdati nei mesi scorsi in libreria: aprire al lettore scenari che offrono spunti di riflessione di là dalla mera conquista delle cime – come si è soliti definirla con quel linguaggio militaresco che vorremmo archiviare una volta per tutte. Stefano Ardito, giornalista e videomaker che alle montagne di casa e del mondo dedica con passione la sua carriera professionale, torna sul Monte Bianco dopo tante pubblicazioni peculiari e una precedente monografia di fine anni Novanta. L’edizione attuale per Laterza nella collana dei Robinson lo spinge a un discorso di impronta storico-divulgativa e, come ha già fatto per l’Everest con il libro uscito nella medesima serie due anni fa, parte dalle origini e in una cavalcata temporale ci sospinge in avanti paragrafo dopo para-

grafo, ricordando anche diatribe e controversie che ne hanno segnato la storia – dal fatidico 8 agosto 1786, quando Jacques Balmat e Michel-Gabriel Paccard, sudditi di casa Savoia, calcarono per primi la bianca cupola glaciale, all’omaggio a colui che del Monte Bianco rimane un simbolo ineguagliabile, Walter Bonatti. Come si diceva, quel che vive dietro lo spettacolo alpinistico è un caleidoscopio di passaggi epocali – dall’illuministica spinta per lo studio dell’alta quota di fine Settecento, quando i ghiacciai andavano verso la massima estensione di metà Ottocento, all’alpinismo di scoperta e poi sportivo, con la corsa alle grandi pareti e l’alta difficoltà, le due guerre mondiali, la tecnologia, le performance di velocità, i recenti crolli di porzioni di roccia e il più generale mutamento del terreno dovuto ai cambiamenti climatici di cui la montagna è prima testimone. Stesso percorso rigorosamente cronologico lo segue Massimo Beltrame, che al Monte Rosa valsesiano aveva dedicato un volume nel 2017, già per il Centro Studi Zeisciu. Con questo nuovo lavoro dichiara il suo intento fin dal sottotitolo – 250 anni di scalate nella voce dei protagonisti – uno studio per appassionati, che magari già conoscono questo “fiore di montagna”, come lo definisce Patrick Gabarrou. Qui lo scorrere degli eventi è accompagnato da estratti di pubblicazioni, lettere, diari, testimonianze e una vera e propria messe di fotografie. La storia inizia prima di quella del Monte Bianco: nel 1778, infatti, sette giovani gressonari, in cerca della Valle Perduta di tradizione walser, si spinsero fino ai 4178 metri della cosiddetta Roccia della Scoperta. Ma la cassa di risonanza che personaggi famosi alla De Saussure fecero per il Monte Bianco qui non si attivò, essendo gli autori dell’exploit tutti valligiani a cui non importava fare pubblicità alla salita. Potremmo quasi dire che l’invisibilità del Monte Rosa stia tutta in questo primo atto rimasto a lungo ignoto.

L’autore conclude la sua immane e avvincente ricostruzione storica con il Tamara Tour Italia che il 14 settembre 2020 ha portato la forte scalatrice altoatesina Tamara Lunger sulla punta Nordend, con Fabio Iacchini. Un bel modo per aprire l’universo maschile di conquistatori-alpinisti alle meno “gallonate” signore delle cime. E a questo proposito, non me ne vogliano gli autori, mi permetto due osservazioni. La prima riguarda il Monte Rosa e la storica traversata di cui furono protagoniste le britanniche Anne ed Ellen Pigeon nel 1869: quello che viene definito “episodio curioso” fu in realtà un’accanita indagine dell’Alpine Club che non le credeva capaci di un’impresa fino ad allora sfuggita. Le due sorelle dovettero portare una circostanziata testimonianza per essere alfine riconosciute. Anche nel libro sul Monte Bianco, dove di alpiniste se ne ricordano assai poche, si fa il torto a una fortissima Loulou Boulaz di declassarla a seconda di cordata, quando si sa che le grandi ascensioni di cui fu protagonista furono ispirate soprattutto da lei e salite a comando alternato. La storia è ancora in parte da scrivere.

LIBRI  A CURA DI LINDA COTTINO
Stefano Ardito
Monte
Bianco
Laterza 304 pp., 24,00 €
Massimo Beltrame Monte Rosa Zeisciu
418 pp., 45,00 € 78  Montagne360   novembre 2022

300 PP., 23,00 €

Che cosa sappiamo in Italia della storia degli Ottomila, K2 a parte ovviamente, di cui forse conosciamo fin troppo? Molto dell’Everest, grazie anche al bel volume di Mick Conefrey pubblicato a cinquant’anni dalla prima salita, un po’ del Nanga Parbat e delle sue storie tragiche, poco degli altri. Ora Conefrey – che ha scoperto nella storia delle grandi montagne un filone da esplorare con la solerzia dell’investigatore – torna a noi con un accuratissimo racconto dei tentativi alla terza vetta della Terra, il Kangchenjunga, l’Ottomila più orientale del Nepal, culminati il 25 maggio 1955 con la salita vittoriosa dei britannici George Band e Joe Brown. Il suo racconto ha

Biblioteche Cai

il passo di un documentario della Bbc, dove peraltro ha lavorato per anni, e davanti ai nostri occhi passano con vividezza i protagonisti di un’epopea durata oltre mezzo secolo. Cominciata nel 1899 davanti all’obiettivo di Vittorio Sella, che “round Kangchenjunga” aveva accompagnato Douglas William Freshfield con il fratello Emilio, l’assistente Erminio Botta e la guida Angelo Maquignaz. Già basterebbe per farci vergognare della scarsa considerazione per questa vetta. Ma Conefrey non si ferma certo ai personaggi più noti, dedica la giusta attenzione all’assalto finito in carneficina di Aleister Crowley con Alcesti Rigo de Righi, un altro italiano, ai tentativi di Paul Bauer, pressoché dimenticati a causa delle sue simpatie nazionalsocialiste, ma decisamente in anticipo sui tempi, e alla spedizione internazionale di Günter Oscar Dyhrenfurth. Una disamina approfondita, alla quale va aggiunta la piacevolezza di una scrittura asciutta e misurata e la traduzione di Piernicola D’Ortona (oltre alla revisione di Roberto Mantovani). Le immagini fornite dalla Fondazione Sella e dal Museo della Montagna, in esclusiva per l’edizione italiana, aumentano il valore di questo nuovo, eccellente lavoro di Conefrey.

TOP 3 I TITOLI PIÙ VENDUTI NELLE LIBRERIE SPECIALIZZATE IN MONTAGNA E ALPINISMO

LIBRERIA LA MONTAGNA, TORINO

1. P. Cognetti, Le otto montagne, Einaudi

2. R. Messner, M. Ralph, Montagne degli dei, Corbaccio

3. AA. VV., G. C. Grassi, L’inesauribile scalata di un sognatore, Museo Nazionale della Montagna

LIBRERIA BUONA STAMPA, COURMAYEUR

1. A. Cittadella, Il cielo delle Alpi, Laterza-Cai

2. F. Faggiani, Le meraviglie delle Alpi, Rizzoli

LIBRERIA MONTI IN CITTÀ, MILANO

1. H. Barmasse, Cervino, Rizzoli

2. S. Metzeltin, L. Cottino, L’alpinismo è tutto un mondo, Cai

2. A. Paleari, Una breve estate, Monte Rosa edizionii

LIBRERIA GULLIVER, VERONA

1. Russo Bros, OpOp, strade nascoste per veronesi in salita, Autopubblicato

2. F. Ardito, A ciascuno il suo cammino, Ediciclo

3. Beppe Muraro, Sui sentieri della libertà, Cierre

LIBRERIA PANGEA, PADOVA

1. Alex Cittadella, Il cielo delle Alpi, Laterza

2. Jean-Cristophe Rufin, Fiamme di pietra, E/O

3. G. Cenacchi, Dolomiti cuore d’Europa (a cura di G. Mendicino), Hoepli

CENTOVENTI BIBLIOTECHE SEZIONALI IN RETE

Il 18° Seminario autunnale, ospitato il 1° ottobre dalla Sezione di Chivasso nel suo Centenario, è stata l’occasione per una riflessione sulle oltre 120 biblioteche sezionali aderenti a BiblioCAI. Dopo l’impegno ventennale per portare a regime la catalogazione del patrimonio documentario, è ora necessario concentrarci su come rendere più viva e fruibile la custodia: è un organismo in crescita. La riflessione è apparsa di ampio respiro e foriera di progetti di lunga durata. Siamo partiti dalle linee guida di un maestro della biblioteconomia mondiale, S.R. Ranganathan, che evidenziano come i libri esistano per essere usati, siano nati per tutti e libero debba esserne l’accesso, che le biblioteche debbano essere centri di attività e di vita, dove ogni lettore possa trovare il suo libro e ogni libro possa avere il suo lettore, fino ad arrivare ad una vasta riflessione che investe tutto l’attuale contesto della fruizione della cultura, non nascondendoci le problematiche legate alla affluenza dei lettori e al coinvolgimento dei soci – nel nostro caso – verso la lettura e la (ri)scoperta del grande patrimonio documentario conservato nelle nostre sezioni. Uno strumento fondamentale in questo contesto è la Teca digitale del Cai con i periodici dal 1865, liberamente fruibili e in continuo incremento, grazie al sostegno della Sede centrale. Il circuito BiblioCAI si propone ancora una volta di contribuire alla vitalità dei progetti delle sezioni, valorizzando quella passione per la montagna che diventa conoscenza e trasmissione.

LIBRERIA CAMPEDEL, BELLUNO

1. G. Romagnoli, Sogno bianco, Rizzoli

2. A. Bortoluzzi, Montagna madre, Biblioteca dell’Immagine

3. M. Triches, Diario delle Alpi, MonteRosa Edizioni

LIBRERIA SOVILLA, CORTINA D’AMPEZZO

1. G. Cenacchi, Dolomiti cuore d’Europa (a cura di G. Mendicino), Hoepli

2. AA. VV., Gente dei Monti Pallidi, Nuovi Sentieri

3. P. Malaguti, Il Moro della cima, Einaudi

TOP GUIDE

1. E. Cacchio, Passaggio a Nord Ovest, Versante Sud

2. G. Rizzoli, I monti dell’Alto Serio, Equa editrice

3. M. Venturini, Bastoncini, scarpe e... Valle d’Aosta, Martini Multimedia

novembre 2022  Montagne360 79

DA CERCARE IN LIBRERIA

in collaborazione con la libreria La Montagna di Torino librerialamontagna.it

NARRATIVA

Enrico Brizzi

L’imprevedibile mare a Milano Gioie e stupori di sette viandanti tra Piazza Duomo e la Riviera di Levante. Ponte alle Grazie, 325 pp., 16,80 €

Mauro Corona Arrampicare

Una storia di rocce, di sfide e d’amore. Solferino, 150 pp., 16,00 €

Maria Corno

Quando cammino canto Il cammino come esercizio di trasformazione. Ediciclo, 253 pp., 18,00 €

Franco Faggiani

Le meraviglie delle Alpi Natura, cultura, cammini e racconti. Rizzoli, 220 pp., 24,90 €

Monika Helfer

I Moosbrugger

Romanzo ambientato tra le montagne austriache. Keller, 210 pp., 16,50 €

Tom Longstaff

Attraverso l’ignoto

I miei viaggi dall’Himalaya all’Artico. Res Gestae, 396 pp., 22,00 €

Reinhold Messner, Ralf-Peter Martin

Le montagne degli dei Viaggio sulle montagne sacre di tutto il mondo. Corbaccio, 251 pp., 25,00 €

Adriano A. Michieli

Il Duca degli Abruzzi e le sue imprese Vita e avventure di Luigi di Savoia. Edizioni Theoria, 202 pp., 16,00 €

Jean-Christophe Rufin

Fiamme di pietra

Romanzo ambientato nel Monte Bianco. e/o, 282 pp., 18,00 €

Manara Valgimigli

La strada, la bisaccia e la pipa Scritti di montagna. Lindau, 122 pp., 14,00 €

MONTAGNA

Antonio G. Bortoluzzi

Montagna madre Trilogia del Novecento, un secolo di vita sulle Terre alte.

Biblioteca dell’Immagine, 366 pp., 18,00 €

Il collezionista

ALTRI CENTO, MILLE, TUTTI DA LEGGERE

Quattordici? Ma i grandi libri di montagna, quelli da leggere o rileggere subito, da collezionare in prima edizione (perché nulla vale il tenere fra le mani un volume come lo ha visto e forse voluto l’autore) sono cento, mille, di più. Abbiamo cominciato il mese passato a metterne in fila quattordici, lo stesso numero degli Ottomila. Nel frattempo ne abbiamo discusso ancora fra noi (intendiamo noi due autori di questa rubrica, in attesa che i lettori dicano la loro) e ce ne sono venuti in mente tanti altri. Ecco un nuovo elenco, così alla rinfusa: Paolo Monelli, Le scarpe al sole, 1921 (Cappelli Editore, Bologna 1921); Dino Buzzati, Bàrnabo delle montagne, 1933 (Treves-Treccani-Tumminelli, Milano 1933); Dino Buzzati, Il segreto del bosco vecchio, 1935 (Fratelli Treves, Milano 1935); Marcello Pilati, Arrampicare: storie di roccia, 1935 (L’Eroica, Milano 1935); Arturo Tanesini, Tita Piaz, il diavolo delle Dolomiti, 1941 (L’Eroica, Milano 1941); Heinrich Harrer, Il ragno bianco, 1958 (Garzanti, Milano 1959); Beth Day, Vita con gli orsi, 1956 (Garzanti, Milano 1958); Mario Rigoni Stern, Storia di Tönle, 1978 (Einaudi editore, Torino 1978); Reinhold Messner, Everest, 1978 (Istituto Geografico De Agostini, Novara 1979); Kurt Diemberger, K2 Il nodo infinito, 1988 (Dall’Oglio, Varese 1988); Nick Bullock, Arrampicare libera, 2012 (Edizioni Versante Sud, Milano 2014). Ne aggiungiamo due ancora, tra quelli di recente pubblicazione: Mick Fowler, Su ghiaccio sottile, 2005 (Alpine Studio, Milano 2010); Andy Kirkpatrick, Psycho Vertical, 2009 (Edizioni Versante Sud, Milano 2011). A proposito del numero quattordici, che abbiamo inizialmente scelto come limite, va detto che l’editore inglese Vertebrate Publishing ha pubblicato nel 2020 The 100 Greatest Climbing and Mountaineering Books, a cura di Jon Barton. Ne parleremo. Dite intanto la vostra, per quanto sarà possibile riferiremo le vostre scelte. Scrivete a ilcollezionista.360@gmail.com.

Letture per ragazzi

Il ponte dei cani suicidi, di Daniele Nicastro Pelledoca editore, Milano, 2022, 16,00 € Nel libro di Nicastro è la leggenda di nonna Elvira sul ponte del diavolo a dare il via al racconto delle vicende del giovane Martino affetto da semi sordità, costretto a portare un apparecchio acustico o a decifrare le labbra di chi gli parla, bullizzato dai coetanei e iper-protetto da un madre apprensiva che vede pericoli e ostacoli ovunque. Il ponte è quello sul torrente Lys, acqua impetuosa che scende direttamente dai ghiacciai del Monte Rosa lungo la valle di Gressoney (in Valle d’Aosta), fino al paese di Pont St. Martin. Secondo la leggenda, il buon eremita Martino ingannò un misterioso forestiero, il diavolo in persona, che accettò di finanziare la costruzione del ponte a patto di prendersi l’anima del primo uomo o donna che lo avesse attraversato. Martino gli offrì un cane affamato: un tocco di pane e quello si tuffò e si sfracellò sulle rocce sottostanti. Così i Walser, che popolarono la valle scavalcando i monti dalla vicina Svizzera, diedero al paese il nome del loro antico benefattore e dimenticarono il diavolo. Ma per sempre? Forse no, perché, immagina l’autore, il volo leggendario del cane si ripete misteriosamente, e il diavolo si disvela all’improvviso con un urlo ringhiato che minaccia il nuovo Martino: se disubbidisce, sarà punito, lui come il suo amato cane che rimpolperà il mucchio di cadaveri pelosi e sanguinolenti che giacciono ai piedi del ponte. O forse la voce del diavolo è solo un rumore ovattato, e il volo è il vuoto e la solitudine che Martino prova ogni giorno? Forse sono i suoi timori e le sue paure a generare l’incubo dei cani suicidi, ad alimentare il suo senso di inadeguatezza e a rispolverare in modo angosciante l’antica leggenda? Con maestria letteraria Nicastro fonde realtà e leggenda, disagio e discriminazione con inclusione e amicizia, oggi con ieri, in un racconto ricco di mistero che mette a nudo le paure nostre e altrui del “diverso”. Dagli 11 anni

LIBRI
80  Montagne360   novembre 2022

344 PP., 18,00 €

L’immenso e ricco universo delle piante incrocia l’esperienza del buddismo. E così come Homo Radix, alias Tiziano Fratus, la vive, così ce la racconta e ci rende partecipi. Il volume è ponderoso e invita a un vero e proprio viaggio alle radici (potrebbe essere altrimenti?) della vita, fisica e spirituale. Non è un libro da leggere tutto d’un fiato, bensì da centellinare e meditare in silenzio, meglio se in natura, perché «il silenzio monumentale di un bosco resta casa-madre», scrive l’autore. Meritorio il lavoro editoriale di PianoB per la sua costanza nell’avvicinare i lettori all’essenza della natura.

AA. VV.

TELEMARK JOURNAL INTERNATIONAL THE WHITE PLANET 344 PP.

IN VENDITA SU: https://bit.ly/3ujCL99 C’è da mettersi comodi, perché i racconti che Luca Gasparini ha riunito in questo quarto volume, una Special Edition che pare una macchina del tempo, garantiscono immersione totale negli anni ’80, l’era del rinascimento del telemark: sfilano i suoi protagonisti con le loro visioni e i loro viaggi, i manifesti della disciplina, l’evoluzione dello stile, i pellegrinaggi, le sillogi storiche. Narrazioni che appagano con il gusto vivificante del sogno a occhi aperti. Non solo per adepti del tallone libero, ma per tutti gli appassionati di neve e avventura. In italiano e inglese.

230 PP., 20,00 €

184 PP., 18,00 €

Dopo i libri-reportage con cui Mario Casella ci ha incantato accompagnandoci in luoghi dal fascino per noi sempre un po’ esotico come il Caucaso e i Carpazi, questo suo nuovo lavoro è come un ritorno alla Heimat ticinese. Il libro è infatti il ritratto di Roberto Donetta, tipo di montanaro fuori dall’ordinario, vissuto tra Otto e Novecento, di cui solo da qualche decennio sono state ritrovate migliaia di lastre fotografiche. Fu proprio l’entusiasmo per la fotografia e per la cultura a sostenerlo nell’affrontare la durezza della vita di montagna e le tante avversità. Un romanzo biografico di intensa poesia.

ALBERTO RE ORIZZONTE MONTAGNE PRIULI&VERLUCCA 544 PP., 25,00 €

«Guida alpina, il mestiere più bello del mondo! Qualcuno lo dice, ma per me lo è». Sta tutto in questa frase lo spirito con cui Alberto Re ha vissuto la sua lunga ed entusiasmante carriera come conduttore di cordata, viaggiatore e salitore di montagne nel mondo. Ma non solo: amico di tanti, a cominciare dai protagonisti del verticale e della cultura alpinistica della seconda metà del ’900, ambasciatore dell’etica, sempre attento ai giovani. Il tempo corre ed è inevitabile tornare col ricordo ai “giorni grandi”, quelli di cui scrive in questo Lichene con l’abituale semplicità e freschezza.

La prima a conquistarci è la copertina: un disegno fiabesco che illustra una delle dimensioni del libro – il cielo, le stelle, l’aurora boreale che, come un gigantesco tendaggio, viene sollevata da un omino affacciato su un ambiente vasto, in cerca della sua via. I nostri progenitori, fossero qui a guardarci, ci compatirebbero per quel che era istintivo e abbiamo perso, in una parola: alienazione – dalla natura e da noi stessi. Tant’è che oggi senza mappe, bussola o gps, ausili che ci guidano solo su vie standardizzate, ci sentiamo smarriti. Ma perdersi, per ritrovarsi, è proprio quello che ci invita, e ci insegna, a fare Michieli – geografo, esploratore che si dedica alla ricerca di relazioni con la terra sin da quando, diciottenne, intraprese la traversata delle Alpi a piedi; venne poi la Scandinavia, innumerevoli volte, e poi montagne, ghiacciai, isole, altopiani, foreste... Il libro, però, non è rivolto a chi fa sport estremi, è davvero per tutti, perché come recita il sottotitolo – “guida tecnico-filosofica all’orientamento naturale” – orientarsi è una delle dimensioni più importanti del vivere: «L’umanità ha estremo bisogno di persone che sappiano orientarsi nel reale e che smettano di obbedire al virtuale». Si scopre così che imparare a individuare i dettagli, anche sonori, presenti in natura, oltre che rendere ricca e avvincente ogni escursione, consente di costruire mappe mentali di luoghi ignoti come quelle dei posti che ci sono abituali; e si sperimenta sul campo che scoperte casuali possono rivelarsi utili, come espresso dal concetto di serendipità, su cui l’autore si sofferma. Le oltre duecento pagine scorrono leggere, ricche di bei disegni e consigli pratici: per orientarsi nel bosco seguendo il moto apparente del sole, interpretare il cielo stellato e il movimento lunare, le nuvole, il vento. In definitiva, ascoltare la terra e diventarne compagni.

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Terza dimensione

Salendo s’impara che nelle carte topografiche – oggetti d’indiscussa attrattiva – ci si può letteralmente entrare. Quando, per esempio, apriamo una mappa sul tavolo per pianificare un’escursione che abbiamo in mente, e passando il dito sulla superficie piana iniziamo a immaginare quello a cui andremo incontro e ciò che vedremo, è un po’ come se ci saltassimo dentro, facendoci piccoli piccoli, tanto quanto la scala di riduzione dalla cartina impone. Oppure, all’opposto, quando fisicamente ci ritroveremo lungo quel per-

corso, e magari riapriremo la carta per aver conferme a un bivio del sentiero, saremo noi che rimarremo della nostra proporzione mentre lei crescerà a dismisura trasfigurandosi in vere vette e valli, torrenti, dirupi e altopiani, bocchette e creste. Diverrà lo scenario maestoso da cui siamo attorniati. Uno spettacolo non più fatto delle due dimensioni del foglio di carta stampata. Ma tridimensionale, totalmente immersivo, in realtà aumentata. Perché, quando siamo in montagna, la percezione di tutto ciò che ci circonda aumenta.

SALENDO SI IMPARA A CURA DI BRUNO TECCI E FRANCO TOSOLINI ILLUSTRAZIONI DI LUCA PETTARELLI

Coconut Connection

Dopo aver esplorato la costa di Baffin a bordo del famoso Dodo’s Delight, Nicolas Favresse e Sean Villanueva decidono di intraprendere una spedizione di free climbing nel mese di luglio. Tuttavia, con l’interruzione del ghiaccio marino, l’accesso è quasi impossibile. Assieme a tre alpinisti italiani (Matteo Della Bordella, Matteo De Zaiacomo e Luca Schiera) si avvicinano con gli sci sul mare ghiacciato a giugno e si ritrovano bloccati per quasi due mesi in una valle piena di incredibili grandi muri. Nico e Sean sono musicisti famosi, ma quali strumenti possono portare gli italiani al concerto?

Il video ha ritmi sostenuti che si alternano a pause mai troppo lunghe e con una buona scansione. L’avvicinamento alla parete dura parecchi giorni e la successione della temporalità è filmata e montata velocemente e con leggerezza in modo da non sbilanciarne i tempi. Così come risulta credibile e reale il gioco dell’attesa per arrampicare. Piccole pause, musica, ritmo, autoironia, a tratti anche supponenza, per una sosta in attesa del ritorno di condizioni meteo più favorevoli. Ed ecco finalmente la visione del Great Sail Peak (Canada, Isola di Baffin), con i suoi oltre mille metri di parete verticale, che si apre ai loro occhi e a quelli dello spettatore dopo oltre sette giorni di marcia fra ghiaccio, rocce e acqua. Una pausa prima dell’impegno dell’arrampicata e il gioco continua. Le note di Bella ciao e di altri pezzi musicali suonati

CINETECA CAI NOVITÀ IN CATALOGO

1) La frequentazione dell’orso, di Federico Betta (Italia 2022, 60’)

2) Malacarne, di Lucia Zanettin (2021, 91’)

3) Torna nuovamente disponibile Fallet, di Andreas Thaulow (Norvegia 2014, 15’)

dalla chitarra, dal violino e dal flauto in maniera accattivante anche se non sempre in sintonia fra strumenti e voci. C’è tempo, nel gioco e nello scherzo, per qualche riflessione, pensieri appena accennati, frasi apparentemente buttate lì a caso come «… dal seme della follia nasce l’albero della saggezza». Ma l’atteggiamento cambia radicalmente appena mani e piedi cominciano a cercare le giuste prese per salire. Una linea pulita fra fessure, camini, diedri, tetti e strapiombi che viene superata con dinamicità ed elasticità.

Ci si ritrova immersi in un ambiente meraviglioso e unico. La progressione e le soste in parete ricalcano un po’ lo stile, per inquadrature e struttura, di China Jam, film di Nicolas Favresse del 2014. È il loro stile, la loro cifra narrativa che potrebbe sembrare sconta-

ta ma che riesce comunque a trasmettere leggerezza e capacità tecniche notevoli. E la leggerezza conduce alla gioia e alla felicità come l’immagine di vetta, dove Matteo Della Bordella, Luca Schiera, Matteo De Zaiacomo, Nicolas Favresse e Sean Villanueva si abbracciano e urlano tutta la loro felicità. Due stili di raccontare l’alpinismo che si intrecciano: quello di Dodo’s Delight e quello dei Ragni di Lecco e in questa occasione fanno bene a entrambi. I primi oramai si auto replicavano dopo la spinta iniziale innovativa così come i Ragni di Lecco che alternavano buoni prodotti ad altri meno efficaci. Anche qui l’ironia e la presa in giro sono a tratti eccessive ma le riprese in parete, l’attenzione al particolare, la sequenza dinamica dell’ascensione sono ben costruite ed efficaci.

FOTOGRAMMI D’ALTA QUOTA A CURA DI ANTONIO MASSENA
La prenotazione dei titoli è riservata alle Sezioni Cai | Per informazioni sul prestito: www.cai.it/cineteca · cineteca@cai.it
Regia: Sean Villanueva O’Driscoll (Belgio 2017), 36 minuti Anteprima italiana al Trento Film Festival 2018
Sopra, marcia di avvicinamento al Great Sail Peak. Sotto, Favresse, Villanueva, Della Bordella, De Zaiacomo e Schiera in vetta al Great Sail Peak. Sotto a destra, Matteo De Zaiacomo in parete (foto Archivio Trento Film Festival)
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Film Festival.

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Il grande alpinismo e il mitico Changabang

Gentile Direttore, ho appena finito di leggere Montagne360 di settembre, e vorrei farvi i complimenti. Sono un modesto alpinista, soprattutto oggi che ho doppiato ampiamente la boa dei sessant’anni, ma ho sempre letto molto sull’argomento montagna e sulle grandi scalate. Ricordo come fosse oggi la notizia della strepitosa ascensione di Boardman e Tasker sulla parete ovest del Changabang, nel 1976. Né mi sono perso, nel 1980, il libro La montagna di luce, di Peter Boardman. Si tratta di una salita mitica, che fece strabuzzare gli occhi ai giovani alpinisti della mia generazione. Trovare il racconto della prima ripetizione sulla nostra rivista è stata una graditissima sorpresa. Avevo già letto la notizia sul web, ma poter seguire lo svolgersi dell’azione direttamente dalle parole di uno dei protagonisti, il neozelandese Daniel Joll, è stato davvero interessante. E che dire, poi, delle fotografie, tutte belle, compresa quella di copertina. Da ultimo, una segnalazione, di cui vi sarete già accorti: le prime due cifre della quota della montagna sono invertite: 8664 m al posto di 6864. Credo sia stato un errore di battitura che può scappare alla rilettura. Poco male: la scelta dell’articolo, la traduzione e le illustrazioni valgono bene anche un minuscolo errore. Continuate così, regalateci altri articoli come questo: il grande alpinismo è sempre, insieme a tutti gli altri argomenti che arricchiscono ogni mese la lettura di Montagne360, uno dei punti di forza della nostra rivista.

Caro Guido, la ringraziamo per gli attestati di stima. Siamo contenti che l’articolo le sia piaciuto. Avevamo già segnalato la notizia della ripetizione della parete ovest sullo Scarpone online e poi abbiamo subito deciso di andare a cercare i protagonisti della scalata. Conoscevamo la storia della prima scalata di Boardman e Tasker sul Changabang, ed è stato un piacere occuparci di una montagna che è stata teatro di una pagina tanto importante dell’alpinismo contemporaneo. Anch’io avevo trovato di grande interesse il libro di Boardman, quello che cita nella sua lettera: lo stile dell’autore è stupefacente, una novità rispetto alla scrittura alpinistica a cui in quegli anni eravamo abituati. Siamo anche andati a cercare tutto ciò che era stato pubblicato in Italia su quella montagna, in particolare dalla Rivista della Montagna, che se ne occupò nel 1977, con un bell’articolo di Joe Tasker, preceduto dall’illuminante introduzione di Gian Piero Motti, per continuare con quanto raccontava Scándere 1981-’82, l’annuario della Sezione Cai di Torino, che faceva il punto sulla storia alpinistica del Changabang e sulla salita dei torinesi nel 1981. Insomma, appena arrivata la notizia ci siamo tuffati nel lavoro di ricerca e ci siamo ritrovati in una storia appassionante, che il tempo aveva un po’ sbiadito, ed è stato davvero interessante re-immergerci nel sentimento alpinistico di quegli anni ormai lontani, quando i giovani dell’epoca avevano in mano le redini di un cambiamento epocale e tanti sogni poi diventati realtà.

LETTERE  PER INVIARE LE VOSTRE LETTERE SCRIVETE A: REDAZIONE360@CAI.IT
86  Montagne360   novembre 2022

La Energy CR3 è un’imbragatura molto comoda e leggera, ideale per l’arrampicata su roccia a tutti i livelli. Grazie al suo design essenziale, è un’ottima scelta per ogni specialità, dalla scalata indoor alla falesia fino al trad. L’interno termoformato permette un perfetto adattamento al corpo di cintura e cosciali, assicurando un comfort eccezionale. Le regolazioni garantiscono la personalizzazione del prodotto.

RAPID MID GTX di SCARPA, massima versatilità per qualsiasi terreno

Calzatura da avvicinamento progettata per muoversi più velocemente su terreni montani con il giusto supporto e protezione. È impermeabile, perfetta per le giornate piovose. RAPID MIX GTX è un modello leggero, flessibile e con una buona aderenza per garantire stabilità e sicurezza. Ideale per trail tecnici e per le arrampicate grazie alla facilità di attacco all’imbragatura. È altamente performante nelle discese ripide e veloci. Questa scarpa rappresenta il punto di incontro tra le scarpe da hiking, escursione, corsa e arrampicata. Grazie all’assenza di punti soggetti all’abrasione, di sutura e di piega, questo modello è resistente e durevole nel tempo.

Rinvio BERRY SET DY

Presentato tra i prodotti della prossima collezione Climbing Technology PE 2022, Berry Set DY è un rinvio leggero ideale per vie lunghe e arrampicata sportiva. Il moschettone superiore, con leva dritta best-grip, è dotato di chiusura catch-free che agevola l’inserimento e la rimozione dal punto di ancoraggio. Quello inferiore, caratterizzato da leva in filo, presenta l’innovativo sistema di chiusura brevettato FG (Free Gate), consistente in una copertura d’acciaio inossidabile che rende più fluidi i movimenti di aggancio e sgancio evitando che la corda si impigli nel moschettone. Il moschettone inferiore è provvisto del ferma-fettuccia in gomma FIXIT che ne previene la rotazione durante l’uso e protegge la fettuccia dall’usura.

Giacca ROCK EXPERIENCE ALASKA: un capo-bit

Rock Experience Alaska è un capo particolarmente indicato per le attività aerobiche in montagna, dallo scialpinismo alle attività in quota, senza dimenticare lo sci in pista. Confortevole e leggera, segue il corpo in ogni movimento e garantisce un’ottima traspirabilità e protezione da vento e intemperie. Alaska è un capo cosiddetto “Eco Bit”, realizzato quindi con elementi riciclati e PFC-FREE, ossia privi di sostanze nocive e tossiche per l’uomo e per l’ambiente. Il tessuto a tre strati è waterproof e caratterizzato da una colonna d’acqua di 20K e una traspirabilità di 40K. Alaska presenta zip waterproof, cuciture termonastrate, cerniere di ventilazione sotto le braccia e cappuccio regolabile tramite doppia coulisse e utilizzabile anche con il casco. Coulisse sul fondo del capo e sistema a velcro sui polsini assicurano la massima libertà di movimento e ne migliorano l’indossabilità. La giacca presenta due tasche, una frontale e una interna in rete, e un taschino porta skipass sulla manica. È disponibile nella versione maschile nei colori blu/arancio, black/brown, Yellow/grigio. La versione femminile si presenta nei colori blue/lilla, pink e brown/lilla/nero.

NOVITÀ DALLE AZIENDE · A CURA DI SUSANNA GAZZOLA (GNP)
Imbragatura C.A.M.P. ENERGY CR 3, leggera e polivalente per arrampicata su roccia
ottobre 2022  Montagne360 87

Montagne360

La rivista del Club alpino italiano

Direttore Responsabile: Luca Calzolari Coordinatore di redazione: Lorenza Giuliani Redazione: Lorenzo Arduini, Stefano Mandelli, Gianluca Testa

Segreteria di redazione: Carla Falato Tel. 051/8490100 - segreteria360@cai.it

Hanno collaborato a questo numero: Franco Aichino, Susanna Bellanzon, Leonardo Bizzaro, Carlo Caccia, Cai Abruzzo, Maurizio Carbognin, Lorenzo Peter Castelletto, Centro Studi Materiali e Tecniche VFG, Mauro Chessa, Antonella Cicogna, Linda Cottino, Riccardo Decarli, Franco Finelli, Andrea Forni, Massimo “Max” Goldoni, Franco Laganà, Mario Manica, Roberto Mantovani, Giorgio Maresi, Raffaele Marini, Antonio Massena, Francesco Mezzavilla, Museo Nazionale della Montagna, Alberto Peruffo, Luca Pettarelli, Sara Segantin, Bruno Tecci, Franco Tosolini, Mario Vianelli

Progetto grafico/impaginazione: Francesca Massai Impaginazione: Lisa Cavallini Tel. 051 8490100 - Fax 051 8490103

Cai - Sede Sociale: 10131 Torino, Monte dei Cappuccini. Sede Legale: Via E. Petrella, 19 - 20124 Milano Cas. post. 10001- 20110 Milano - Tel. 02 2057231 (ric. aut) - Fax 02 205723.201 - www.cai.it. - c/c bancario IBAN: IT48 W056 9601 6200 0000 0200X27 - Banca

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SUMMARY  | SOMMAIRE  |   ZUSAMMENFASSUNG

01. Peak&tip; 04. News 360; 08. Climate warning; 10. Prisoners of the Nanga; 16. Mountain and lightning; 20. Speaking of sustainability; 22. The Doganaccia “case”; 24. My name is Bea; 28. In the dark continent; 29. Medicine and the mountains; 30. InQuota, the best of mountain cinema; 32. The celebration of inclusion; 34. A garrison of nature; 36. Caves in climate crisis; 40. Seniors and the Alps; 44. The middle way; 48. Offida, between sacred and profane; 54. Vertical giants; 58. The magic of the forest; 62. The results of a long survey; PORTFOLIO 64. Nature as an artwork; COLUMNS 72. Climbing 360; 74. News International; 76. New Ascents; 78. Books; 82. You climb and learn; 84. Frames at altitude; 86. Letters.

01. Peak&tip; 04. News 360; 08. Les signaux du climat; 10. Prisonniers du Nanga; 16. Montagne et foudre; 20. Sur la durabilité; 22. L’“affaire” Doganaccia; 24. Je m’appelle Bea; 28. Dans le continent obscur; 29. La médicine et la montagne; 30. InQuota, le meilleur du cinéma de montagne; 32. La fête de l’inclusion; 34. Une garnison de la nature; 36. Grottes dans la crise climatique; 40. Les seniors et les Alpes; 44. La voie médiane; 48. Offida, entre le sacré et le profane; 54. Géants verticaux; 58. La magie de la forêt; 62. Résultats d’une longue étude; PORTFOLIO 64. La nature comme œuvre d’art; RUBRIQUES 72. Escalade 360; 74. International; 76. Nouvelles ascensions; 78. Livres; 82. On apprend en escaladant; 84. Photogrammes en altitude; 86. Lettres.

01. Peak&tip; 04. News 360; 08. Warnungen vom Klima; 10. Die Gefangene des Nangas; 16. Berg und Blitz; 20. Zum Thema Nachhaltigkeit; 22. Der „Fall“ Doganaccia; 24. Ich heiße Bea; 28. Auf dem dunklen Kontinent; 29. Medizin und Berg; 30. InQuota, das Beste aus Bergkino; 32. Das Fest der Inklusion; 34. Eine Garnison der Natur; 36. Höhlen in der Klimakrise; 40. Die Senioren und die Alpen; 44. Der Mittelweg; 48. Offida, heilig und profan; 54. Vertikale Riesen; 58. Der Zauber des Waldes; 62. Ergebnisse einer langen Studie; PORTFOLIO 64. Natur als Kunstwerk; KOLUMNEN 72. Klettern 360; 74. Internationales; 76. Neue Besteigungen; 78. Bücher; 82. Bergsteigen macht den Meister; 84. Fotogramme aus großer Höhe; 86. Briefe.

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