Quaderni di analisi 1 (Introduzione all'analisi della musica post-tonale)

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Quaderni di analisi

a cura di Domenico Giannetta

I Introduzione all’analisi della musica post tonale

Edizioni del Conservatorio di Musica Fausto Torrefranca

Quaderni di analisi

I Introduzione all’analisi della musica post tonale Comitato scientifico e redazionale:

Maria Paola Borsetta Domenico Giannetta Vittorino Naso Karen Odrobna Gerardi Francescantonio Pollice

«Quaderni di analisi» è una pubblicazione del Conservatorio di musica «Fausto Torrefranca» di Vibo Valentia ideata e diretta da Domenico Giannetta La fase redazionale del volume si è chiusa il 21 dicembre 2020.

Ristampa 2022

Progetto grafico di copertina by Giano

© Copyright 2020 Edizioni del Conservatorio di Musica Fausto Torrefranca

Via Corsea 89900 Vibo Valentia Tel. 0963 375235 www.consvv.it Tutti i diritti riservati

ISBN 978 88 945943 0 0

INDICE v Presentazione vii Introduzione Quaderni di analisi 3 Breve guida per l’analisi della musica post tonale Domenico Giannetta 61 Appendice: Classificazione degli insiemi di classi di altezze SAGGI 69 Simmetria ed equilibrio nel Quaderno musicale di Annalibera Maria D’Agostino 81 Procedimenti seriali in The Turn of the Screw di Benjamin Britten Luigi Sassone 99 La «bellezza dell’incompleto» in Rain Tree Sketch II di Toru Takemitsu Alberto Capuano 107 Uno sguardo sul mondo sonoro di Claude Debussy Marco Ginese 121 Viaggio nella musica di Stravinskij Dario Callà 145 Il primo libro dei Préludes di Claude Debussy: tonalità ed interferenze modali Domenico Giannetta

PRESENTAZIONE

«Mi resi conto che non esiste una reale e oggettiva separazione tra suono e silenzio, ma soltanto tra l’intenzione di ascoltare e quella di non farlo».

Questa frase di John Cage ben riassume lo spirito alla base del lavoro del prof. Domenico Giannetta e degli studenti che hanno contribuito così brillantemente alla stesura di questo volume. L’intenzione di ascoltare, di analizzare, di studiare questo complesso repertorio, tanto più se si tiene conto dell’eterogeneo panorama musicale novecentesco in cui tutto ciò si forma e si sviluppa, fornisce elementi inestimabili di progresso all’esecutore, al teorico, allo studente, all’ascoltatore.

Uno studio evoluto, maturo, che testimonia la bontà del lavoro del prof Giannetta che ringrazio ancora per la sua proposta, da me accolta con grande entusiasmo e degli studenti coinvolti.

Unainiziativaeditoriale,dedicataaglistuditeorico analitici,chesaràseguitada altre simili, e che è una conferma delle capacità, delle attitudini e delle grandi professionalità presenti nel nostro Conservatorio Torrefranca.

Vittorino Naso

Direttore del Conservatorio

Questo volume nasce come diretta conseguenza di una stimolante e proficua esperienza didattica. All’inizio dell’anno accademico 2019 2020, un gruppo di nove studenti particolarmente brillanti (in ordine alfabetico: Dario Callà, Alberto Capuano,Marco Ceravolo,Maria D’Agostino, Alessandro D’Amico, Marco Ginese, Maria Caterina Rottura, Luigi Sassone e Umberto Scaramuzzino), iscritti all’ultimo anno del Triennio accademico dopo aver già frequentato con me le prime due annualità (obbligatorie) di Teoria dell’armonia e analisi , mi ha chiesto infatti la disponibilità di tenere un corso ulteriore, come disciplina opzionale, dedicato allo studio e all’analisi dei linguaggi musicali del XX secolo. Dopo aver chiesto l’apposita autorizzazione al Direttore (che all’epoca era il prof. Francescantonio Pollice) e al Consiglio Accademico, ha visto così la luce il corso di Introduzione all’analisi della musica post tonale, che si è svolto nel secondo semestre (in gran parte con modalità di didattica a distanza, a causa della concomitante pandemia per il covid 19 che ha flagellato, per la prima volta, l’Italia e il mondo intero nella primavera del 2020).

Al termine del corso, e in vista dell’imminente sessione di esami, ho proposto agli studenti di realizzare un lavoro monografico di tipo storico analitico una sorta di tesina dedicata ad un compositore, o ancor meglio ad una singola composizione appartenente al repertorio preso in considerazione che avrebbero poi dovuto discutere mettendo in evidenza le specificità di uno stile, da inquadrare nel contesto dell’eterogeneo panorama offerto dalle molte voci significative emerse nel Novecento. Ed è stato proprio in occasione degli esami che mi sono reso conto di quanto entusiasmo ed interesse avessero profuso questi ragazzi nel voler approfondire temi oggettivamente ostici per la maggior parte dei loro colleghi, preparando e illustrando alla commissione degli elaborati estremamente curati e di grande valore e accuratezza scientifica.

Accogliendo il suggerimento della collega prof.ssa Karen Odrobna Gerardi (docente di Composizione e componente della commissione d’esame), nei giorni successivi ho sentito gli studenti per sondare la loro disponibilità a ricavare dalla propria tesina un vero e proprio saggio, da inserire poi in una pubblicazione miscellanea realizzata a cura del Conservatorio, con la supervisione del sottoscritto, dedicata al tema oggetto del corso. Dopo aver ottenuto la loro adesione convinta ed entusiasta, ho sottoposto quindi l’idea al nuovo Direttore del Conservatorio, il prof. Vittorino Naso, che sentitamente ringrazio per aver sposato con entusiasmo il mio progetto.

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Quando ho chiesto ai ragazzi la disponibilità ad affrontare questa sfida, non ho naturalmente nascosto loro le difficoltà che un’iniziativa del genere avrebbe comportato: scrivere un saggio che rispettasse tutti i criteri di rigore scientifico richiesti da un lavoro musicologico era infatti qualcosa di molto più impegnativo rispetto alla realizzazione di una tesina, decisamente più informale nella sua stesura e spesso basata semplicemente su un powerpoint composto da alcuni esempi musicali poi commentati a voce.

Alla luce di tutto questo, non mi ha sorpreso affatto che alcuni studenti abbiano successivamente declinato, sia pure a malincuore, il mio invito, perché pressati da altri impegni accademici (la maggior parte degli interessati, del resto, ha completato il proprio percorso di studi proprio nel 2020, tra sessione estiva ed autunnale, sostenendo al contempo l’esame di ammissione al Biennio specialistico presso il nostro Conservatorio, o presso altri Istituti di alta formazione musicale), o semplicemente perché più interessati all’aspetto performativo, piuttosto che a quello speculativo, della musica. In ragione di questo, sono davvero felice che cinque studenti siano invece riusciti a portare a compimento, dopo un attento lavoro di stesura e di revisione, il proprio elaborato che è poi confluito in questo volume.

Da parte mia, l’idea di accollarmi l’onere di curare una pubblicazione di questo tipo che ha comportato anche la necessità di dover indirizzare dei giovani studiosi che, per quanto in gamba, erano comunque alla loro prima esperienza in questo campo nonmi ha spaventato neanche per un momento, pur tramutandosi alla lunga in unsignificativocarico dilavoro che ha sottrattotempo ai miei studi. D’altro canto, tuttavia, ritengo che il primo compito di un insegnante debba essere proprio quello di valorizzare il talento dei propri allievi, e dato che l’analisi musicale è il campo che probabilmente padroneggio meglio, ho pensato che fosse mio dovere adoperarmi in tal senso.

Va sottolineato, del resto,comegli Istituti di altaformazioneartistica emusicale, dopo la riforma del 1999 che li ha di fatto significativamente avvicinati al mondo universitario, abbiano oggi il dovere di affiancare alle tradizionali attività di produzione musicale anche iniziative nel campo della ricerca. Il Conservatorio di Vibo Valentia, che peraltro è l’unico in Italia intitolato proprio ad un musicologo, si è già attivato in tal senso, come dimostra la collana editoriale dedicata alla pubblicazione delle opere di Nicola Antonio Manfroce, che ho il piacere e l’onore di dirigere. Con questa nuova iniziativa editoriale si vuole adesso offrire uno spazio anche agli studi teorico analitici, che da sempre in Italia non godono delle medesime attenzioni che vengono loro riservate all’estero. ***

Il volumesi aprecon unmio scrittodal titolo Breve introduzione all’analisi della musica post tonale:sitratta,difatto,delladispensacheavevorealizzatoinoccasione del corso, e che ho pensato fosse opportuno inserire in questa sede. Le motivazioni di questa scelta sono molteplici. Prima di tutto intendevo fornire ai lettori in

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particolare a coloro i quali non avessero particolare dimestichezza con gli argomenti trattati un quadro di riferimento che consentisse loro di contestualizzare al meglio i saggi che seguono, tanto più che questi ultimi si basano proprio sulle conoscenze che gli studenti hanno acquisito frequentando il corso. In tal modo, inoltre, ho permesso agli autori dei saggi di non appesantire eccessivamente la propria trattazione con l’obbligo di spiegare e contestualizzare la metodologia analitica di volta in volta applicata. In terzo luogo, infine, ciò farà sì che in futuro io stesso possa eventualmente adoperare questa pubblicazione come se si trattasse di una sorta di libro di testo, nel caso in cui fossi nuovamente chiamato a tenere un corso dedicato a questi argomenti.

In appendice a tale scritto ho ritenuto opportuno riportare la classificazione degli insiemi di classi di altezze, limitatamente a quelli formati da un minimo di tre fino ad un massimo di sette altezze, per agevolare il lettore che più volte troverà tali set citati nei diversi saggi che compongono il volume. Rispetto alla tradizionale classificazione elaborata da Allen Forte, in questo caso ho voluto riportare, accanto alla forma primaria di ciascun set, anche l’ordine normale dell’inversione (soltanto per gli insiemi in cui tale risultato differisca dal precedente), l’eventuale “elemento” corrispondente (accordo o scala) così come viene identificato nel sistema tonale, e la forma primaria alternativa adottata per alcuni set da John Rahn.

I primi tre saggi degli studenti sono dedicati all’analisi di altrettante composizioni che, ciascuna a suo modo, esplorano aspetti significativi della produzione post tonale.

Rispettando scrupolosamente l’ordine cronologico delle composizioni analizzate, si inizia con il saggio di Maria D’Agostino nel quale, dopo un’iniziale disamina sulle ragioni che hanno condotto Schoenberg e la sua cerchia alla codificazione del «metodo di composizione con dodici note poste in relazione soltanto l’una con l’altra», viene analizzata una delle composizioni più note del primo compositore italiano ad aver adottato la tecnica dodecafonica, Luigi Dallapiccola (1904-1975). Si tratta del Quaderno musicale di Annalibera (1952), con il quale il compositore da un lato rende omaggio a Bach, e quindi indirettamente alla tradizione del contrappunto dei secoli XVII XVIII, e dall’altro adotta una personalissima interpretazione del metodo dodecafonico, ispirata a Schoenberg e a Berg per la libertà espressiva e formale, ma anche a Webern per il rigore con cui viene individuata ed elaborata la serie posta alla base dell’intera raccolta di undici brani pianistici. D’Agostino, in particolare, si concentra sul secondo brano della raccolta, Accenti, mettendo in evidenza le numerose simmetrie interne alla serie che influenzeranno anche l’organizzazione formale della composizione.

Il saggio di Luigi Sassone, invece, si concentra su una delle personalità musicali più significative, ma forse anche meno approfondite, del XX secolo: il compositore inglese Benjamin Britten (1913 1976). La sua particolarissima estetica, apparentemente tradizionalista ma in realtà estremamente permeabile ai nuovi fermenti che animavano il continente europeo a metà del secolo scorso, viene esaminata minuziosamente attraverso l’analisi di una delle sue partiture più

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Quaderni di analisi interessanti, The Turn of the Screw (1954), opera tratta dall’omonimo racconto di Henry James. Mentre la prima parte del saggio è dedicata ad illustrare l’impianto strutturale dell’opera, con una particolare attenzione nei confronti dei rapporti di simmetria, è soprattutto la parte centrale dello scritto di Sassone dedicata a mettere in evidenza l’originalissima adozione da parte del compositore delle tecniche seriali a colpire l’interesse del lettore, facendoci scoprire un compositore assolutamente aggiornato sulle tendenze di più recente introduzione nel dibattito musicologico. L’ultima parte del saggio, che propone una carrellata dei più significativi motivi presenti nell’opera, ci consente infine di apprezzare l’omaggio che il compositore rende alla tradizione, ed in particolare alla tecnica wagneriana dei leitmotive.

Il saggio di Alberto Capuano, infine, si occupa di una composizione pianistica (Rain Tree Sketch II, 1992) del compositore giapponese Toru Takemitsu (19301996). L’analisi minuziosa effettuata sulla partitura, vòlta a mettere in evidenza le particolari combinazioni sonore, l’estrema libertà ritmico metrica e le suggestioni sonoriali, è fondamentalmente un pretesto per illustrare il mondo espressivo del compositore, fortemente influenzato dall’estetica orientale. Ciò che emerge con forza è il tentativo di conciliare un linguaggio che guarda alle più significative esperienze del Novecento europeo, da un lato, con una visione debitrice della cultura giapponese (interessante il confronto con il gagaku, il genere musicale eseguito fin dall’VIII sec. presso la corte imperiale), e orientale in senso lato, dall’altro. Si tratta in definitiva di un’operazione culturale che potremmo considerare opposta e contraria rispetto a quella portata avanti da Claude Debussy la cultura orientale filtrata attraverso gli occhi di un occidentale un secolo prima, ed è estremamente interessante osservare come entrambi i compositori giungano a soluzioni compositive analoghe, pur con delle specificità assolutamente individuali:la perfetta integrazione fra le due dimensioni del linguaggio musicale, la reiterazione delle medesime figurazioni che produce un sostanziale effetto incantatorio, una dinamica tendenzialmente delicata, e una texture costituita da più strati sovrapposti, con l’unica differenza degna di nota, in Takemitsu, rappresentata da un impianto metrico assolutamente libero e privo di impulsi regolari.

Seguono quindi due lavori dedicati a fornire uno sguardo d’insieme sulla produzione di due dei compositori più significativi del Novecento: Debussy e Stravinskij.

Lo scritto di Marco Ginese, dopo aver proposto una panoramica sui numerosi fermenti culturali in atto nell’Europa a cavallo tra XIX e XX secolo, con una particolare attenzione rivolta alla profonda evoluzione subita in quel periodo dal linguaggio musicale, si concentra sul mondo espressivo di Claude Debussy (18621918), mettendone in evidenza la natura fondamentalmente sfuggente, quasi inafferrabile. Estremamente suggestivo è il confronto con l’elemento liquido peraltro suggerito anche dai titoli di numerose partiture del compositore francese che viene esplicitato passando in rassegna tutti gli aspetti del linguaggio musicale (armonici, melodici, ritmici e timbrici). A fungere da guida in questa disamina sarà la partitura di Pagodes (1903), brano pianistico che viene scandagliato a fondo e la

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cui fonte di ispirazione orientale che richiama alla mente i contenuti esposti nel precedente saggio di Capuano consente al compositore di mettere da parte secoli di tradizione musicale colta occidentale per proporre una logica completamente nuova, intrisa di suggestioni esotiche, sia per le peculiarità tecniche intrinseche al linguaggio adoperato, sia per il mondo sonoro che ne scaturisce.

Il saggio di Dario Callà approfondisce invece la figura di Igor Stravinskij (1882 1971), proponendo una nuova periodizzazione della sua produzione che, contrariamente a quella tradizionale tripartita (periodo russo, neoclassico e seriale), suddivide ulteriormente la prima fase distinguendo fra un periodo giovanile (di apprendistato sotto la guida di Rimskij Korsakov), un periodo popolare (intriso di citazioni di temi tratti dal folklore russo e contrassegnato dai grandi balletti parigini) e un periodo cubista (rappresentato essenzialmente dalle opere di teatro da camera nate durante la prima guerra mondiale). Per quanto riguarda l’analisi, i lavori esaminati in modo più minuzioso sono: Petrushka (in particolare la costruzione dell’episodio iniziale), Le Sacre du printemps (l’Introduzione, realizzata tramite la progressiva sovrapposizione di brevi motivi ostinati, e Les augures printaniers, con il celebre accordo in realtà un poliaccordo ribattuto ossessivamente con una scansione ritmica sempre cangiante), L’histoire du soldat (brano analizzato ricorrendoadun’impostazioneanaliticasuggeritadalleideedi Pietervander Toorn), Pulcinella (di cui viene messo in evidenza il linguaggio che combina insieme la tonalità settecentesca con aggregati sonori post tonali) e Threni (il più significativo lavoro seriale di Stravinskij, che rende palese la particolare libertà con la quale il compositore russo adotta il metodo dodecafonico).

Il volume si conclude infine con un mio saggio, tratto da una conferenza tenuta nell’ormai lontano 2010, dedicato alla perfetta simbiosi esistente, nella musica di Debussy, fra tonalità e sistemi sonori non diatonici. Prendendo come punto di riferimento il primo libro dei Préludes (1909 10), viene illustrato come molti procedimenti armonici apparentemente riconducibili alla tradizionale sintassi tonale ravvisabili nei brani che compongono la raccolta, nascondano tra le pieghe alcune peculiarità che possono essere definite “interferenze modali”. Particolarmente rilevante èla relazione che si instauracon la scala esatonale, ovvero con il sistema sonoro che più di ogni altro sembrerebbe essere antitetico rispetto alla tonalità, soprattutto per l’impossibilità di dar vita a relazioni di quinta e a movimenti per semitono. Anche la relazione con i modi pentatonici, che pure presentano maggiori affinità con le comuni scale diatoniche, viene esaminata sotto questa nuova luce, fornendo una nuova chiave di lettura per interpretare quegli aggregati, così frequenti nella produzione del compositore francese, formati dalla sovrapposizione di intervalli di seconda e/o di quarta ***

In conclusione, desideravo ringraziare tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo volume, ed in particolare il Direttore, prof. Vittorino Naso,

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le colleghe prof.sse Maria Paola Borsetta e Karen Odrobna Gerardi che hanno avuto la pazienza di leggere le bozze e darmi preziosi suggerimenti in merito, e naturalmente gli studenti che hanno partecipato al progetto. Ci si augura che questo volume sia soltanto il primo di una serie dedicata all’approfondimento analitico, e che questa branca degli studi musicali e musicologici possa attecchire sempre di più presso il nostro Conservatorio rendendolo, nel tempo, un punto di riferimento in ambito nazionale.

Vibo Valentia, 23 novembre 2020

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Domenico Giannetta

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BREVE GUIDA PER L’ANALISI DELLA MUSICA POST-TONALE DOMENICO GIANNETTA

1. Introduzione alla musica post-tonale

Musica tonale e musica post tonale

È consuetudine ampiamente diffusa classificare la produzione di Johann Sebastian Bach (1685 1750) come “musica barocca”, sebbene nelle arti figurative l’età barocca, alla morte del compositore, si fosse ormai conclusa da diversi decenni. In modo analogo, nonostante Robert Schumann (1810 1856) venga considerato l’anima stessa del romanticismo musicale, è indubbio che dal punto di vista cronologico sia l’epoca beethoveniana, semmai, a coincidere con il periodo romantico propriamente detto. La mancata corrispondenza cronologica nello sviluppo di fermenti e stilemi che, pur nella specificità dei diversi linguaggi artistici, possano essere considerati affini, dovrebbe suggerirci di adoperare con una certa cautela questo modello di periodizzazione per identificare specifici stili musicali, anche se è comunque innegabile constatarne la praticità. Qualora, tuttavia, volessimo basarci sulle caratteristiche peculiari del linguaggio musicale, e impostare soltanto su di esse una segmentazione del continuum temporale, potremmo identificare l’ampio periodo storico che va dall’inizio del Seicento alla fine dell’Ottocento come l’età della musica tonale, essendo proprio la tonalità l’elemento unificante capace di rendere in linea di massima omogenea come forse mai nella storia la musica scritta, generazione dopo generazione, in tutto l’occidente europeo. Entrando maggiormente nel dettaglio, si può individuare: unafaseiniziale,corrispondentealXVIIsecoloeai primi decenni del XVIII, in cui si verifica la graduale affermazione dei principi tonali, con il progressivo radicarsi nella coscienza collettiva del concetto di accordo e di rivolto, e il contestuale sviluppo di una sintassi armonica specificamente tonale;1 una fase intermedia, dalla metà del Settecento fino alla morte di Beethoven (1827), che rappresenta l’apogeo della tonalità;2

1 Questo periodo viene da taluni storici identificato come l’età del basso continuo.

2 Non sorprende, pertanto, che questo periodo venga considerato “classico”, e rappresenti per la musica il punto di riferimento che le altre espressioni artistiche ravvisano nell’antichità greco romana

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ed infine una fase terminale, in cui i principi basilari della tonalità entrano progressivamenteincrisi,portandogradualmentealladissoluzionestessadel sistema tonale.

Quest’ultima fase del periodo tonale si rivela particolarmente significativa e meritevole di un approfondimento. Il desiderio di sfuggire all’invadente cono d’ombra proiettato dalle figure titaniche del periodo precedente, porta i compositori “romantici” a cercare strade alternative nel delineare il proprio percorso artistico. Oltre al parziale rifiuto delle forme classiche, questi tentativi portano all’esplorazione di nuove relazioni tonali,3 alla moltiplicazione dei punti di riferimento,4 ad una sintassi armonica basata sulla trasformazione accordale,5 e al progressivo superamento della distinzione fra consonanza e dissonanza.6 Quest’ultimo punto, particolarmente degno di nota, viene sintetizzato dalla celebre espressione “emancipazione della dissonanza”: nel momento in cui la dissonanza si svincola dall’obbligo di risoluzione, suo connotato ineludibile fin dai tempi di Palestrina, diventa superfluo continuare a classificarla come tale.

Il progressivo allentamento dei vincoli tonali (tonalità allargata) sfocia, inevitabilmente, nel graduale superamento della tonalità. Negli anni a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del XX secolo si apre quindi un’epoca di transizione, che in quanto tale può essere paragonata soltanto ad un altro periodo storico: ci riferiamo all’epoca, collocata tra la fine del XVI secolo e i primi decenni del successivo, dominata dalle figure artistiche di due compositori italiani, Claudio Monteverdi (1567 1643) e Girolamo Frescobaldi (1583 1643), che hanno contribuito enormemente ad impiantare i germi del nuovo sistema tonale in un contesto ancora caratterizzato dalla polimodalità rinascimentale In quegli anni, tuttavia, si procedeva gradualmente verso uno stile uniforme e ben definito, quello tonale appunto assecondando delle spinte che potremmo definire “convergenti” mentre ciò che accade a cavallo fra XIX e XX secolo è piuttosto paragonabile ad un piccolo big bang: la dissoluzione del sistema tonale, infatti, non porta automaticamenteallasuasostituzione con un nuovosistemadi riferimentocondiviso da tutti, ma al contrario ad una esplosione di spinte individualistiche, e pertanto “divergenti”, ad una moltiplicazione di soluzioni escogitate per uscire dall’impasse. Tutto questo, da un lato, potrebbe creare alcune difficoltà a chi, privo di chiari punti di riferimento, tentasse di avvicinarsi a questo repertorio, ma dall’altro lato è

3 Si pensi alle cosiddette affinità di terza, che prima affiancano e poi sostituiscono le relazioni di quinta basate sul rapporto tonica dominante: per un approfondimento, cfr. Diether de la Motte, Manuale di armonia, ed. it., Roma, Astrolabio, 2007, pp. 213 225.

4 Prima tramite l’impiego sempre più massiccio di dominanti secondarie, con la relativa tonicizzazione dei gradi secondari, che porta inevitabilmente verso il cromatismo; quindi attraverso l’impiego di un sistema tonale che sembra oscillare fra due toniche, spesso fra loro relative (è ciò che accade, per esempio, nello Scherzo in sib minore op. 31 di Chopin: cfr. Charles Rosen, La generazione romantica, ed. it., Milano, Adelphi, 1997, p. 287).

5 Su questo principio si basano le cosiddette teorie neo riemanniane.

6 Tutti questi aspetti sono descritti in Loris Azzaroni, Canone infinito. Lineamenti di teoria della musica, Bologna, CLUEB, 1997, pp. 269 270.

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innegabile constatare come questa situazione abbia dato vita ad uno dei periodi artistici più interessanti e affascinanti da approfondire.7

Dal punto di vista terminologico vi è, a tutt’oggi, una grandissima confusione in merito. Etichette come tonalità sospesa, atonalità o pantonalità, politonalità o polimodalità, neotonalità o neomodalismo, e svariate altre, sono state introdotte, e vengono comunemente utilizzate, per identificare le correnti stilistiche che si sono sviluppate nei decenni posti a cavallo fra i due secoli. Si tratta, in fondo, di etichette che hanno tutte in comune più che altro il desiderio di “contrapporsi” al preesistente sistema tonale, ma nessuna di esse corrisponde ad una categoria definita in modo chiaro e incontrovertibile. Esaminando una qualsiasi composizione scritta in quel periodo storico, in sostanza, appare arduo il compito di associarla senza ombra di dubbio ad una sola delle precedenti etichette, essendo generalmente ravvisabili al suo interno stilemi eterogenei combinati insieme, e magari ancora intimamente connessi a principi di derivazione tonale.

Nel tentativo dimettere unpo’ di ordine inquesta galassia di definizioni,i teorici hanno proposto, di recente,l’impiego di un unico termine omnicomprensivo: musica post tonale. Con questa nuova etichetta si vuole non soltanto identificare tutto ciò che è venuto “dopo” il linguaggio tonale,8 contrapponendosi ad esso, ma anche mettere in evidenza come, al di là dell’apparente frammentazione del panorama musicale di inizio Novecento, vi sia tutto sommato una sostanziale affinità tra stili apparentemente così contrastanti.9 Anche perché, vista con lo sguardo di oggi, la produzione di quel periodo storico si rivela non soltanto molto meno eterogenea di quanto si ritenesse in passato, ma per giunta molto più affine alla tonalità di quanto all’epoca non ci si rese conto: saranno le correnti artistiche che si sarebbero poi sviluppate nei decenni successivi, con la più brusca frattura nei confronti della tradizione di cui sono responsabili, a farci capire, a posteriori, come vi sia una sostanziale continuità fra la musica tonale e le esperienze compositive che si sono sviluppate a cavallo dei due secoli. E, del resto, persino il più “rivoluzionario” fra gli esponenti di questa epoca di transizione, Arnold Schoenberg, non ha mai fatto mistero di considerarsi non tanto un rivoluzionario, appunto, quanto piuttosto il legittimo erede della grande tradizione musicale classico romantica tedesca.

7 Lepeculiarità stilistichedella prima “epoca di transizione” (quellacollocata fra XVIe XVII sec.)sono state approfondite in Loris Azzaroni, Ai confini della modalità. Le Toccate per cembalo e organo di Girolamo Frescobaldi, Bologna, CLUEB, 1986; entrambe le epoche di transizione sono state invece discusse in Domenico Giannetta, Fra modalità e tonalità nelle epoche di transizione, in La tradizione tedesca nel Bicentenario di Haydn e Mendelssohn 1809 2009 Atti del II Convegno di Analisi Musicale, a cura di Andrea F. Calabrese, Reggio Calabria, Laruffa Editore, 2011, pp. 157 179.

8 Compresi gli sviluppi più estremi che si verificheranno a partire dagli anni ’20.

9 Su questo argomento cfr. Mauro Mastropasqua, Introduzione all’analisi della musica post tonale, Bologna, CLUEB, 1995, pp. 11 12.

D. GIANNETTA
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: Breve guida per l’analisi della musica post-tonale

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Dalla tonalità sospesa all’atonalità

Per tonalità sospesa si intende, sostanzialmente, un linguaggio che cerchi di occultareiprincipidel sistematonale senzaperònegarlideltutto: perottenerequesto risultato fa uso soprattutto di accordi vaganti che, essendo teoricamente riconducibili a più tonalità nello stesso istante, tendono a rendere indefiniti i nessi tonali basati sulla funzionalità armonica; oppure che, proprio a causa della molteplicità dei loro significati, consentono a più toniche potenziali di convivere nello stesso istante una accanto all’altra senza che nessuna di esse riesca a prevalere o a manifestarsi chiaramente.10

Dal punto di vista pratico, la proliferazione delle toniche “virtuali” avrà come logica conseguenza la progressiva ma inevitabile sostituzione della scala diatonica con un sistema scalare via via sempre più denso, cromaticamente saturo, fino a giungere alla scala cromatica dodecafonica. In questo contesto, ogni singolo suono può essere interpretato come sensibile di una nuova tonica, e dunque la presenza di un unico punto di riferimento tonale diventa sempre più sfocata. Potremmo anzi dire che, mentre nel sistema tonale, compresa la tonalità allargata, l’individuazione di una tonica di riferimento è ancora indispensabile per tenere in piedi la fitta rete di connessioni logiche fra i diversi suoni, o fra le diverse regioni tonali, nella tonalità sospesa questi vincoli si sono talmente allentati che ormai la ricerca di una singola tonica appare non soltanto un’operazione estremamente complicata, ma per certi versi anche controproducente. La scala cromatica, infatti, è un sistema sonoro “chiuso”,all’internodelqualecisi puòmuovereliberamente,enell’ambitodel quale la ricerca di un unico punto di riferimento si rivela del tutto superflua, se non inutile. A questo punto, eliminando il punto di riferimento unico, ovvero l’ultimo fragile legame che ancora giustificava l’etichetta “tonalità”, i tempi sono ormai maturi per la sua completa negazione, ovvero per l’atonalità.

In linea di massima si identificano con questo termine le composizioni scritte da Arnold Schoenberg (1874-1951) e dai suoi allievi Anton Webern (1883-1945) e Alban Berg (1885 1935) è la cosiddetta Seconda scuola di Vienna a partire dal 1908. Si tratta di lavori caratterizzati da un sistema di strategie compositive volte ad evitare in tutti i modi possibili che un singolo suono possa ergersi sugli altri, diventando inevitabilmente un punto di riferimento analogo a ciò che la tonica rappresentavaperlamusicatonale.Nonostanteiltermine atonale siaormaidiventato di usocomune,èinteressanteosservarecomealsuoprimoapparirevennefortemente osteggiato dallo stesso Schoenberg, il quale riteneva giustamente che esso indicasse la negazione della musica stessa: semmai, secondo il compositore austriaco, sarebbe stata più appropriata la definizione di musica atonicale (per mettere in evidenza l’assenza di uno specifico suono che funga da tonica), oppure quella di musica

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10 Ibid., pp. 12 14

: Breve guida per l’analisi della musica post-tonale 7 pantonale (persuggerirelamolteplicitàdellerelazioniesistentiinuncontestosonoro di questo tipo).11

Avendo, tuttavia, la progressiva “emancipazione della dissonanza” portato al venir meno della distinzione fra consonanza e dissonanza, con i relativi obblighi di risoluzione, su quali principi si basa dunque la sintassi armonica nella musica atonale? Fondamentalmente il proliferare di aggregati armonici sempre più complessi, spesso formati da cinque, sei o più suoni, farà sì che diventi spontaneo giustapporre a questi organismi armonici il proprio “complementare”, ovvero un aggregato formato da tutti i suoni rimanenti per completare nel più breve tempo possibile il sistema sonoro di riferimento (che in questo caso è la scala cromatica).12

Un qualcosa di simile, del resto, accadeva anche nel sistema tonale: ma in quel contesto, basato fondamentalmente sulla triade, servivano almeno tre accordi diversi percompletareil totale diatonico,eciòhadatovitaallefunzioniarmonicheditonica, dominante e sottodominante, e alla relativa sintassi basata sul loro avvicendamento. Nella musica atonale, invece, possono bastare anche solo due aggregati per completare il totale cromatico; ma ciò, di fatto, finisce paradossalmente con l’impoverire la logica armonica, che dopo due soli “accordi” potrebbe aver già espresso tutte le sue potenzialità. Tutto questo, unito alla necessità di rispettare scrupolosamente tutte le prescrizioni di un sistema sonoro nel quale andava costantemente “negata” la presenza di ciò che è più naturale aspettarsi, ovvero un punto di riferimento, ha fatto sì che la gran parte delle composizioni che si possono considerare atonali a tutti gli effetti siano di dimensioni brevissime, talvolta addirittura aforistiche: si pensi ad esempio ai Sechs kleine Klavierstücke op. 19 (1911) di Schoenberg (cfr. Esempio 1), o alle Bagatelle per quartetto d’archi op. 9 (1913) di Anton Webern. Lo stesso Schoenberg, quindi, si rese presto conto che, se avesse voluto proporsi come un degno continuatore della grande tradizione musicale tedesca, avrebbe dovuto confrontarsi al più presto con le grandi forme (opera, sinfonia, poema sinfonico…), e tutto questo gli sarebbe stato precluso se fosse rimasto vincolato ai principi così vincolanti della musica atonale.

11 Arnold Schoenberg, Manuale di armonia, ed. it., Milano, Il Saggiatore, 1963, pp. 509 510, n. 1: «È unterminedacuidevotenermilontano,perchésonoun musicistaenonhonullaachefareconl’atonale. Il termine “atonale” potrebbe solo indicare qualcosa che non corrisponde affatto alla natura del suono. […] Un pezzo di musica sarà sempre “tonale” almeno nella misura in cui tra suono e suono deve sussistere una relazione in virtù della quale i suoni, giustapposti e sovrapposti, danno una successione riconoscibile come tale. La tonalità può essere allora forse non avvertibile o non dimostrabile, questi nessi possono risultare oscuri, difficilmente comprensibili o persino incomprensibili. Ma chiamare talune specie di rapporti atonali, è altrettanto inammissibile quanto lo sarebbe chiamare “a spettrali” o “a complementari” dei rapporti tra colori. […] Se proprio si cercano appellativi, si potrebbe ricorrere a “politonale” o “pantonale”: ma ad ogni modo bisognerebbe stabilire se non si tratti ancora semplicemente di tonalità»

12 Si tratta del cosiddetto principio della complementarità (Loris Azzaroni, Canone infinito , cit., p. 271). Nel repertorio post tonale, per indicare una combinazione simultanea di suoni è più opportuno adoperare il termine aggregato, piuttosto che quello di accordo: quest’ultimo rimanda infatti ad implicazioni tonali ormai del tutto superate.

D. GIANNETTA

Esempio 1: Arnold Schoenberg, Sechs kleine Klavierstücke op. 19 (1911), n. 1

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Quaderni di analisi

Caratteristiche della musica atonale

Se la tonalità si basa sulla funzionalità armonica mentre nella tonalità sospesa le funzioni armoniche non vengono negate, ma diventano anzi “ipertrofiche”, ovvero si possono riferire anche a più toniche potenziali contemporaneamente nella musica atonale si assiste invece alla completa assenza di una sintassi di tipo funzionale.

Se nella tonalità prevalgono armonie di tipo tradizionale (triadi e settime) che nella tonalità sospesa vengono affiancate e in gran parte sostituite dalle cosiddette armonie vaganti (triade aumentata, settima diminuita, seste aumentate…) nella musica atonale si ravvisano quasi esclusivamente aggregati armonici complessi e non convenzionali.

Se nella tonalità si percepisce chiaramente una dimensione orizzontale o lineare (melodia) e una dimensione verticale (armonia), nella musica atonale vi è una totale “integrazione” fra le due dimensioni, tanto che risulta spesso impossibile, o comunque superfluo, distinguere l’una dall’altra.13

Se nella musica tonale vi è una totale coincidenza fra “logica” ed “effetto” , ovvero ciascuna connessione fra due diverse armonie non soltanto risponde a dei principi chiaramente definiti, ma produce anche un risultato uditivo coerente con tali principi (basato sulla prevista risoluzione di eventuali dissonanze, o sulla relazione dominante tonica di origine naturale), nella musica atonale si assiste ad una completa“dissociazione”fraidueaspetti:postoundeterminato aggregatoarmonico, infatti, non soltanto non siamo assolutamente in grado di prevedere quale possa essere il movimento intrapreso dalle singole voci (e quindi la “logica” sottesa al collegamento), ma non possiamo nemmeno stabilire una qualche relazione gerarchica o di causa effetto dopo la comparsa del successivo aggregato (ovvero quale sarà l’“effetto” che verrà prodotto).

In definitiva, se la musica tonale lancia costantemente dei segnali all’ascoltare, aspettandosi che questi li raccolga e che elabori di conseguenza delle aspettative di continuazione (che possono poi trovare conferma, o eventualmente essere disattese), invitandolo pertanto ad un ascolto “attivo”, nella musica atonale l’effetto di “spiazzamento” è talmente radicato, potremmo dire “elevato a sistema”, che l’ascoltatore è disorientato, non è in grado di formulare delle aspettative, e dovrà quindi rifugiarsi in un ascolto di tipo “passivo”, basato esclusivamente sulla valutazione “sonoriale” di ciò che sta percependo.

D. GIANNETTA:
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Breve guida per l’analisi della musica post-tonale
13
Mastropasqua, Introduzione all’analisi , cit., pp. 29 33.

Quaderni di analisi

2. La riscoperta della modalità

Modalità vs tonalità*

In termini drasticamente essenziali e sintetici, si può affermare che la modalità si basi fondamentalmente su un sistema sonoro di tipo “chiuso”, costituito cioè da un numero ben definito di suoni che determina, al contempo, la definizione stessa del sistema sonoro (pentafonico, esafonico, eptafonico, e via dicendo…). Nell’ambito di un modo si ravvisasemprela presenzadi unsuonoche funge da puntodi riferimento, e l’unico tipo di relazione possibile è quella che si genera tra questo suono, da una parte, e tutti i restanti suoni, dall’altra. È una situazione perfettamente equilibrata, e quindi sostanzialmente statica.

Alcuni modi sono diatonici, in quanto derivati dalla stessa scala da cui trae origine il sistema tonale: in particolare abbiamo i cosiddetti modi ecclesiastici o gregoriani (dorico, frigio, lidio e misolidio), oltre a quelli introdotti nel XVI secolo da Glareanus (ionico ed eolico).14 Altri modi traggono invece origine da scale “non diatoniche”, ma ci occuperemo di questi sistemi sonori in un secondo momento.

La tonalità armonica maggiore/minore poggia invece su una fitta rete di relazioni inquadrate in un sistema gerarchico che vede a capo un’armonia, la triade di tonica, a sua volta coadiuvata da due armonie che ricoprono un ruolo privilegiato (la dominante e la sottodominante), per proseguire poi nella scala gerarchica verso armonie via via più periferiche. In astratto, quindi, sono numerosissime le armonie che si possonorelazionare direttamente o indirettamente con la tonica, in un contesto dinamico e molteplice, e questo dà luogo ad un sistema “aperto” che Riemann definisce Tonalität. 15

Suggestivo potrebbe essere a questo proposito un confronto fra musica ed astronomia, discipline peraltro gemellate per la comune appartenenza al Quadrivium (nella classificazione delle arti liberali che rimase in vigore per tutto il medioevo ed oltre). La modalità può essere paragonata al “sistema tolemaico”, secondo il quale il Sole ed i pianeti ruotano intorno alla Terra a velocità costante e su orbite perfettamente circolari e concentriche: vi è un unico punto di riferimento centrale conilqualesirelazionanotuttigli altricomponenti delsistema. La tonalità armonica presenta invece delle somiglianze con il “sistema eliocentrico”, in base al quale i pianeti, Terra compresa, ruotano intorno al Sole a velocità differenti e su orbite eccentriche ed ellittiche: anche in questo caso vi è un punto di riferimento centrale (la tonica), ma ciascuno dei pianeti si comporta nei confronti del Sole in funzione

* Questo paragrafo è tratto da Giannetta, Fra modalità e tonalità…, cit., pp. 157 159.

14 Per un quadro completo sui modi diatonici e sulla loro origine storica, cfr. Domenico Giannetta, Elementi di armonia e contrappunto, Firenze, Phasar, 2019, pp. 6 7.

15 Su questo concetto cfr. Carl Dahlhaus, Teoria della tonalità armonica, in La teoria funzionale dell’armonia, a cura di Loris Azzaroni, Bologna, CLUEB, 1991, pp. 159 168.

10

: Breve guida per l’analisi della musica post-tonale 11

della propria posizione nel sistema, così come ciascuno degli altri suoni instaura con la tonica un rapporto che dipende della sua posizione nella scala.16

Un altro paragone possibile è quello con i sistemi di governo. La modalità diatonica è assimilabile aduna monarchia assoluta, in cui vi è una sola persona posta a capo di tutto il sistema, ai voleri della quale deve sottostare il popolo con scarse, se non nulle, possibilità di poter sovvertire l’ordine costituito. La tonalità armonica è invece paragonabile ad un sistema di governo decisamente più complesso e moderno, come ad esempio una repubblica democratica in cui il potere di un presidente è vincolato al controllo di un Parlamento democraticamente eletto dal popolo, popolo che in qualunque momento può ritirare la fiducia espressa scegliendosi altri rappresentanti.

Sintetizzando, quindi, potremmo dire che quando, in un gruppo di suoni organizzato in forma di scala, un suono assume un ruolo privilegiato, ponendosi come punto di riferimento del sistema, si assiste al nascere della modalità. Quando poi anche tutti gli altri suoni del sistema sonoro si organizzano in una struttura gerarchica complessa, la modalità cede il passo alla tonalità. Questa elementare descrizione sintetizza senz’altro in modo efficace l’evoluzione cronologica del linguaggio musicale (scala → modo → tonalità), ma se da un lato la tonalità rappresenta senza dubbio l’evoluzione del precedente sistema “polimodale” in vigore fino al XVI secolo, dall’altro non possiamo non constatare come di tanto in tanto, già a partire da Beethoven e poi in misura via via sempre maggiore nel corso del XIX secolo, si assista al riemergere di configurazioni sonore di chiaro stampo modale. Va comunque osservato che, spesso e volentieri, si tratta più che altro di suggestioni, in quanto la sintassi armonica appare ancora riconducibile a quella tonale.17

La terza via: il neo modalismo

Se l’atonalità rappresenta la via percorsa in area austro-tedesca per tentare di accantonare una volta per tutte il sistema tonale, in area francese, invece, due compositori Gabriel Fauré (1845 1924), ma soprattutto Claude Debussy (1862 1618) da una parte non si ostinano a mantenere in vita a tutti i costi la tonalità, ma dall’altra non tentano nemmeno di negarne i principi di base. Scelgono invece di percorrere una “terza via” che si basa essenzialmente sul recupero della modalità diatonica, inquadrata però in un contesto armonico decisamente più complesso rispetto a quello che aveva visto nascere questi sistemi sonori nel quale si ravvisa ancora la presenza, almeno in parte e comunque sotto traccia, di connessioni armoniche di tipo tonale.18

16 Azzaroni, Ai confini della modalità…, cit., pp. 19 20.

17 Cfr. Azzaroni, Canone infinito…, cit., pp. 249 250.

18 Questo argomento è approfondito in Domenico Giannetta, La terza via: una sintassi armonica per la musica modale, «I Quaderni del Conservatorio Umberto Giordano di Foggia», I, 2013, pp. 47 64

D. GIANNETTA

Quaderni di analisi

Accanto alla modalità diatonica, tuttavia, i due compositori introducono nel proprio linguaggio anche i modi pentatonici, che del resto possono anche essere definiti modi diatonici difettivi (ovvero privi di due suoni). Si tratta di sistemi sonori peculiari della musica di origine popolare, e non a caso i primi compositori a farne usonell’ambitodellamusicacoltafuronogliesponentidelle Scuolenazionali,i quali basarono il proprio stile proprio sul recupero delle tradizioni musicali locali.19 I modi pentatonici, tuttavia, non possiedono storicamente una propria sintassi armonica, trattandosi di sistemi sonori peculiari di repertori di tradizione popolare tramandati oralmente, e pertanto prevalentementemonodici.20 Non stupisce quindi che si assista spesso ad una contaminazione fra modalità pentatonica e sintassi tonale.21

Nel tentativo di aggirare questo inconveniente, che impedisce alla modalità di trovare piena ospitalità nell’ambito della musica colta occidentale, Debussy rivolge la propria attenzione ad una cultura musicale piuttosto lontana dal punto di vista geografico, ma capace di produrre una delle più complesse forme di eterofonia: stiamo parlando del gamelan, la tipica orchestra di metallofoni indonesiana che Debussy ebbe modo di ascoltare a Parigi in occasione dell’Esposizione universale del 1889, ricevendone una fortissima impressione. Nel gamelan ogni strumento ha un compito ben preciso, in base alla durata del suono che è in grado di emettere: a strumenti che hanno una lunga risonanza vengono affidate calme melodie nucleari, paragonabili ad un cantus firmus, mentre linee melodiche via via più rapide sono eseguite dagli strumenti con risonanza più breve.22 Pagodes (dalla raccolta pianistica Estampes, 1903) rende molto bene l’idea di come Debussy sia riuscito a trasporre sulla tastiera del pianoforte, attraverso una texture basata su tre strati sovrapposti, lo spirito del gamelan. La scala pelog, uno dei due modi in cui viene suddivisa l’ottava nella musica gamelan, è composta da sette suoni, ma poiché due di questi suoni non vengono quasi mai adoperati, essa presentaqualchepuntodicontattoconla scala pentatonica anemitonica.In Pagodes, quindi, Debussy non soltanto riproduce la texture stratificata del gamelan, ma tenta di simularne anche la sonorità, facendo uso di un modo pentatonico (si do# re# fa# sol#) che si completa, di tanto in tanto, con i suoni “mancanti” mi e la: ciò risulta ancora più evidente esaminando le misure iniziali della composizione, dove, dopo l’incipit esclusivamente pentatonico, fa la sua comparsa il primo suono “estraneo”

19 Le ragioni dell’interesse di Debussy nei confronti della modalità pentatonica potrebbero essere riconducibili alla sua esperienza al seguito di Nadezda von Meck, nobildonna russa che si avvalse delle sue doti di pianista nel periodo 1880 1882, durante il quale il compositore francese ebbe modo di soggiornare in Russia e di venire in contatto con la produzione di Musorgskij e degli altri esponenti del Gruppo dei Cinque, rimanendo affascinato da questo “nuovo” mondo sonoro (cfr. François Lesure, Debussy. Gli anni del simbolismo, ed. it., Torino, EDT, 1994, pp. 33 50).

20 Gli stessi modi ecclesiastici, del resto, sono stati di fatto abbandonati quando, all’inizio del XVII secolo, l’organizzazione prevalentemente orizzontale della polifonia rinascimentale aveva ceduto il passo alla nascente accordalità armonica.

21 Giannetta, La terza via…, cit., pp. 48 49.

22 Diether de la Motte, Manuale di armonia, cit., pp. 319 320; Azzaroni, Canone infinito…, cit., pp. 252 253.

12

la (b. 5), seguito poi dal mi a b. 7, mentre a partire da b. 11 il contesto modale torna ad essere rigorosamente pentatonico. 23

Esempio 2: Claude Debussy, Pagodes (bb. 1 12), da Estampes per pianoforte (1903)

23 Giannetta, La

via…, cit., pp. 49 50.

D.
13
GIANNETTA
: Breve guida per l’analisi della musica post-tonale terza

Quaderni di analisi

La scala per toni interi

Accanto alla scala pelog, nel repertorio gamelan viene utilizzata una seconda struttura scalare, definita slendro, che divide l’ottava in cinque parti quasi uguali. Dato che una simile organizzazione delle altezze è del tutto incompatibile con il sistema temperato equabile, indispensabile per gli strumenti ad accordatura fissa, Debussy adotta un ingegnoso compromesso ricorrendo alla scala per toni interi, la quale, dividendo l’ottava in sei parti uguali, simula in modo molto efficace la peculiarità più significativa della scala slendro, ovvero la distribuzione uniforme dei suoni e, pertanto, l’assenza di un chiaro punto di riferimento. Ed infatti in Voiles (dal primo libro dei Préludes) ritroviamo la medesima organizzazione della texture già vista in Pagodes, ma questa volta nell’ambito di un sistema modale esatonale. 24

Esempio 3: Debussy, Voiles (bb. 10-17), dai Préludes per pianoforte, Premier livre (1911)

Debussy non è il primo compositore a fare uso di questo sistema scalare. Si trovano frammenti di scala per toni interi già in alcuni autori romantici (in particolare l’ultimo Liszt),ma si tratta più che altro di una conseguenza dell’impiego sistematico della triade aumentata come armonia vagante, capace di sfuggire al potere centripeto di una tonica. Nella musica degli esponenti della Seconda scuola di Viennaquestatendenzadiventaancorapiùmarcata,erappresentaunodeitentativi messi in atto da questi compositori di evitare l’affermazione di un suono che funga da punto di riferimento.

Ibid , p. 51.

14
24

L’impiego della scala esatonale nella musica di Debussy assume però una connotazione differente. In effetti una delle caratteristiche peculiari della scala slendro è proprio l’assenza di un suono di riferimento, ovvero di un suono che, a priori, possa essere considerato più importante degli altri. Ma il fatto che tutti i suoni possano liberamente combinarsi fra di loro fa sì che non esista una sintassi armonica basata sull’alternanza fra aggregati consonanti e dissonanti, anche perché tutte le combinazioni verticali di suoni possibili in questo sistema sonoro possiedono un grado di consonanza/dissonanza “neutro”. Ed inoltre non esiste un rapporto gerarchico fra melodia e accompagnamento, ma tutti gli eventi sonori godono dello stesso peso gerarchico.25 Tutte queste caratteristiche sono perfettamente mutuate, da Debussy, nel contesto di un sistema esatonale: non è oggettivamente possibile, infatti, determinare univocamente quale sia il suono di riferimento di Voiles, ed inoltre l’impossibilità di costruire triadi consonanti (nel senso “tonale” del termine) utilizzando unicamente i suoni della scala per toni interi (nell’ambito della quale spiccainfattil’assenzadi intervalli di quintagiusta)spiegala presenzadi successioni accordali atipiche come quelle presenti nel brano.26

Si viene a formare, così, una nuova sintassi armonica, basata essenzialmente sul principio della complementarità (cfr. p. 7, n. 12): questo suggerisce un evidente parallelo con le coeve esperienze della musica atonale, e giustifica l’etichetta di musica post-tonale che oggi i teorici preferiscono applicare a tutta la produzione musicale di questo periodo storico.

Esempio 4: Debussy, Voiles (bb. 54 61)

25

De la Motte, Manuale di armonia, cit., p. 321.

26 Domenico Giannetta, Voiles dal primo libro dei Preludi per pianoforte di Claude Debussy, «Musica Domani», 149, dicembre 2008, pp. 20 21 (nella rubrica «Prove di Analisi» a cura di Susanna Pasticci).

D. GIANNETTA
: Breve guida per l’analisi della musica post-tonale 15

Quaderni di analisi

Ciò significa che l’eventuale presenza di combinazioni armoniche riconducibili al sistema tonale, come ad esempio un accordo di sesta aumentata francese, dovrà sempre essere ricontestualizzata alla luce del nuovo sistema sonoro, nell’ambito del quale svolgerà una funzione meramente “sonoriale”, in quanto nessuna risoluzione avrà più luogo, né ci si aspetta che debba verificarsi.

Esempio 5: Debussy, Dialogues du vent et de la mer (riduz. per due pianoforti, bb. 25 28), da La mer, trois esquisses symphoniques pour orchestre (1905)

Altri sistemi sonori non diatonici

Accanto ai modi pentatonici che comunque, come abbiamo visto, derivano pur sempre dalla scala diatonica e alla scala per toni interi, un altro sistema sonoro che si riscontra con una certa frequenza nel repertorio post tonale è la scala ottatonica, o scala alternata. Deve il suo nome al fatto che è formata dall’alternanza regolare di toni e semitoni, per un totale di otto altezze racchiuse nell’ambito di un’ottava. Peculiare delle musiche di tradizione popolare dell’Europa orientale, l’impiego di questa struttura scalare si riscontra principalmente, non a caso, nelle opere di Bartók e Stravinskij.

Esaminando le prime cinque misure di Quinte diminuite di Bartók, possiamo osservare come nel pentagramma superiore il profilo melodico sia composto esclusivamentedai suoni la si do re,mentrenellamanosinistrasonopresentii suoni mib fa solb lab: la “somma” di questi due tetracordi che sono a loro volta frammentidi duediverse scale minori dàoriginealla scala ottatonica (mib fa solb lab la si do re). Nelle battute successive (bb. 6-12) i due tetracordi vengono invertiti di posizione, dando origine ad una diversa configurazione (o modo) della medesima scala: la si do re mib fa solb lab, con l’unica eccezione dovuta alla presenza del do# di b. 10. Il nuovo episodio che inizia a b. 11 è basato su una diversa scala ottatonica, questa volta priva di due suoni: sol la (sib) do reb mib (fab) solb: si osservi come quattro dei sei suoni “presenti” (la do mib solb) siano in comune con la scala ottatonica precedente.

16

I vantaggi offerti dalla scala ottatonica sono soprattutto dovuti alla sua affinità con le scale diatoniche: oltre ad essere formata dalla combinazione di due tetracordi diatonici, una scala ottatonica permette di ricavare dai suoni che la compongono diverse combinazioni di suoni che suonano “familiari” all’orecchio dell’ascoltatore, fra le quali due accordi di settima diminuita, e ben quattro triadi maggiori ed altrettanteminori.Lascalainizialedi Quinte diminuite (mib fa solb lab la si do re), ad esempio, è formata dalla combinazione di due settime diminuite (mib solb la do + fa lab si re), e da essa si possono ricavare, con le opportune trasformazioni enarmoniche, le triadi maggiori fa la do, lab do mib, si re# fa# e re fa# la, e le triadi minori fa lab do, lab dob mib, si re fa# e re fa la. Accanto alle inflessioni diatoniche, tuttavia, una scala ottatonica presenta al contempo caratteristiche analoghe alla scala per toni interi: possiede una struttura intervallare simmetrica, formata dalla reiterazione di un modulo composto da tono+semitono; esistono soltanto tre varianti possibili di una scala ottatonica: tutte le altre sono composte dagli stessi identici suoni di una delle tre scale di partenza; i suoni di questo sistema sonoro si possono combinare fra di loro in tutti i modi possibili, dando origine ad aggregati che non siano necessariamente riconducibili ad un contesto diatonico.27

Un altro sistema sonoro, anch’esso caratteristico della musica di Bartók, è la cosiddetta scala acustica:derivadaiprimidodici armonici di unsuonofondamentale dato e, nella musica del compositore ungherese, sostituisce spesso la scala diatonica. 28 Nel caso in cui il suono fondamentale sia il do, la scala sarà allora formata dai suoni: do re mi fa# sol la sib.

27

Per un approfondimento sull’impiego della scala ottatonica, cfr. Joel Lester, Analytic Approaches to Twentieth Century Music, New York, Norton, 1989, pp. 162 168.

28

Erno Lendvai, La sezione aurea nelle strutture musicali bartókiane, «Nuova Rivista Musicale Italiana», XVI/3, 1982, pp. 340 399: 364 367.

D. GIANNETTA
17
:
Breve guida per l’analisi della musica post-tonale Esempio 6: Bartók, Quinte diminuite (bb. 1 14), da Mikrokosmos per pianoforte (1939)

Quaderni di analisi

Esempio 7: Bartók, Sonata per due pianoforti e percussioni Sz. 110 (1939) III tempo: Allegro non troppo (bb. 4 8)

L’aspetto più interessante di una scala acustica è il fatto che essa presenti delle affinità con ciascuno dei sistemi sonori esaminati in precedenza: è una scala eptafonica, come le scale diatoniche, e anche da essa si possono ricavare i modi pentatonici anemitonici (dalla scala dell’esempio precedente, eliminando il fa# e il sib, si ottiene infatti il modo pentatonico do re mi sol la); contiene quattro toni interi consecutivi (sib do re mi fa#), e quindi cinque suoni su sei in comune con una scala esatonale; nel suo insieme una scala acustica può essere considerata come la combinazione tra un frammento di scala per toni interi (do re mi fa#) e un frammento di scala ottatonica (cfr. la successione dei suoni mi fa# sol la sib do).29

Neo tonalità

Negli ultimi decenni alcuni teorici hanno proposto una nuova etichetta per raggruppare tutte quelle esperienze “post tonali” di segno opposto rispetto all’atonalità riconducibile alla Seconda scuola di Vienna. Con l’espressione neo tonalità, infatti, si vogliono identificare quelle correnti, prima ritenute eterogenee e diseguali, che hanno in comune le seguenti caratteristiche: una sonorità che per certi versi si rivela affine a quella “tonale”; - una sensazione di stabilità che viene trasmessa da alcuni aggregati, i quali possono essere considerati, con un ossimoro, delle “toniche non tonali”; - il riaffiorare, più o meno episodico, di collegamenti armonici che ricordano la sintassi tonale; una certa regolarità e simmetria presente nel fraseggio e nelle “strutture di raggruppamento” . 30

29 Sulla relazione fra scala acustica e scala ottatonica, cfr. Domenico Giannetta, I Nocturnes di Claude Debussy: uno studio analitico, Lucca, LIM, 2007, pp. 12 13.

30 Per “struttura di raggruppamento” si intende il modo in cui le diverse unità formali si combinano fra di loro, dando origine ad unità di livello superiore.

18

Tutto ciò può verificarsi tramite il ricorso a sistemi sonori differenti rispetto a quelli peculiari del sistema tonale, come avviene nel neo modalismo con i modi pentatonici o con le scale non diatoniche; ma si può ottenere un risultato analogo anchetramitelacompresenzadipiùsuonichefungonodapuntodiriferimento,come accade nella politonalità o nel polimodalismo. 31 Volendo mettere a confronto la neo tonalità con la tonalità da una parte, e con l’atonalità dall’altra, possiamo osservare che: la sintassi armonica nella tonalità si basa sulle tradizionali funzioni armoniche, le quali diventano poi “ipertrofiche” nella tonalità sospesa (come abbiamo visto) per sparire infine del tutto nell’atonalità; nella neo tonalità, invece, si possono ancora ravvisare, di tanto in tanto, lacerti di funzionalità armonica, ma nella maggior parte dei casi gli organismi armonici appaiono come “defunzionalizzati”, ovvero come entità dotate di un carattere meramente “sonoriale”; se nella tonalità prevalgono accordi di tipo tradizionale (triadi e settime), che lasciano poi il campo alle armonie vaganti nella tonalità sospesa, nell’atonalità gli aggregati sono quasi esclusivamente di tipo non convenzionale; nella neo tonalità si alternano invece senza preclusioni aggregati convenzionali e non convenzionali; - l’integrazione lineare/verticale, che rappresenta una delle connotazioni più caratteristiche dell’atonalità, ed è invece raramente rinvenibile in contesti tonali, è una cifra peculiare anche della musica neo tonale; se nella tonalità vi è una chiara separazione fra ciò che viene percepito come consonante e ciò che appare invece dissonante, con tutti gli obblighi di risoluzione del caso, e nella musica atonale si assiste alla sostanziale equiparazione fra consonanza e dissonanza, nella neo tonalità vi è una sostanziale indifferenza da questo punto di vista: gli aggregati non vengono percepiti né come consonanti, né come dissonanti, ma in qualche modo come se fossero “neutri”; la giustapposizione delle diverse combinazioni armoniche avverrà allora soltanto sulla base di principi di tipo “sonoriale”; infine, rispetto al ruolo “attivo” richiesto all’ascoltatore di musica tonale, e al ruolo sostanzialmente “passivo” del fruitore di musica atonale, l’ascoltatore di musica neo tonale è coinvolto in un effetto che spesso e volentieri si rivela “incantatorio”, con una sensazione di sospensione dello scorrere del tempo, o di tempo che scorre in modo “circolare”, dovuta alla reiterazione delle medesime idee musicali che in taluni casi può verificarsi per più e più volte consecutive.32

31 Il concetto di neo tonalità è ampiamente illustrato in Mastropasqua, Introduzione all’analisi…, cit., pp. 15 17.

32 Per uno specchietto riassuntivo sull’argomento, cfr. Ibid , p. 23.

D. GIANNETTA
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: Breve guida per l’analisi della musica post-tonale

Quaderni di analisi

3. Analizzare la musica post-tonale

Il nome delle note

Come abbiamo avuto modo di vedere, la musica post tonale si basa non più sulla scala diatonica eptafonica, ma sulla scala cromatica dodecafonica: nell’ambito di un’ottava sono quindi presenti dodici suoni diversi fra loro, indipendentemente dal modo in cui verranno effettivamente segnati in partitura. Ciascuno di questi suoni prende il nome di “altezza”: do# e reb, pertanto, rappresentano un’unica altezza. 33

La prassi corrente, condizionata dalla nostra eredità tonale, ci porta a chiamare questi suoni adoperando soltanto sette “nomi” di note (do, re, mi, fa, sol, la, si), a cui si aggiungonoi suoni alterati indicati tramite diesis o bemolle.Matutto questoè utile soltanto nel repertorio tradizionale, basato in gran parte su scale formate da sette suoni, dove effettivamente ha senso differenziare un do# da un reb, con il primo suono che tendenzialmente sarà seguito da un movimento cromatico ascendente (do# re), mentre il secondo muoverà in senso discendente (reb do).

Qualora prendessimo invece in considerazione le misure iniziali di Voiles, brano di Claude Debussy basato sulla scala esatonale, o scala per toni interi, potremmo verificare l’imbarazzo del compositore nel momento in cui deve decidere se chiamare una delle sei altezze che figurano in questo sistema sonoro sol# (come avviene a b. 1) oppure lab (b. 2).

Nel caso in cui la composizione fosse stata scritta nella tonalità di do maggiore, infatti, la scelta sarebbe stata dettata dal comportamento del suono nel contesto: il compositore avrebbe quindi optato per sol# laddove tale suono avesse preceduto il la naturale, e per lab quando fosse stato seguito dal sol naturale. Ma in un contesto basato sulla scala esatonale questa altezza non può essere considerata come un semplice suono alterato, in quanto si tratta di uno dei sei suoni che costituiscono il sistema sonoro di riferimento! Sarebbe stato opportuno, quindi, indicarlo sempre nello stesso modo, ma tutto ciò si scontra con le abitudini dettate da un sistema di 33 Joel

20
Lester, Analytic Approaches…, cit., p. 66.

-tonale

notazione forgiato in un’epoca in cui era impensabile ipotizzare di poter far a meno delle scale diatoniche basate su sette suoni principali, più altri suoni alterati.

Debussy sceglie pertanto di utilizzare il lab nei casi in cui il suono sia preceduto dal sib, e il sol# quando invece è seguito dal fa#, in quanto dal suo punto di vista, ancora condizionato dalla tradizione, un movimento melodico sib sol# sarebbe apparso concettualmente inappropriato, e comunque di lettura meno agevole.

Per i compositori delle generazioni successive, invece, non vi sarà alcuna ragionevole differenza nel chiamare un suono do# o reb, indipendentemente dal contestoincui essosi vengaa trovare. Nel profilomelodico concui si aprela Musica per archi, celesta e percussioni di Béla Bartók (1881-1945), possiamo verificare come il suono do# venga indicato sempre nello stesso modo, indipendentemente dal fatto che sia seguito dal re o dal do naturale.

Esempio 9: Béla Bartók, Musica per archi, celesta e percussioni Sz. 106 (1936), bb. 1 3

In questo repertorio, inoltre, la distinzione fra intervalli enarmonicamente equivalenti, come ad esempio do mib e do re#, perde di significato, così come non ha senso dire che il primo di questi due intervalli sia consonante ed il secondo dissonante, dato che entrambi sono formati dalle medesime altezze! Anzi, per paradosso, nella musica atonale basata sullo sfruttamento “calcolato” di tutti i dodici suoni della scala cromatica e poi come vedremo anche in quella dodecafonica che estremizza questo concetto, i segni di alterazione vengono utilizzati sempre e comunque, anche per i suoni “naturali” (ammesso che questo termine abbia ancora un senso in questo contesto).

Esempio 10: Arnold Schoenberg, Sechs kleine Klavierstücke op. 19 (1911), n. 1 (bb. 1 5)

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Breve guida per l’analisi della musica post

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Zero fisso e zero mobile

Allo scopo di aggirare i limiti di un sistema di notazione inadeguato per questo tipo di musica, alcuni teorici hanno suggerito l’impiego di un nuovo metodo per identificare le note utile per l’analisi del repertorio post tonale. Tale metodo si basa sui numeri,lostrumentopiùoggettivoemenoequivocabilechesipossaimmaginare, e prende in considerazione il numero di semitoni che separano le altezze fra di loro. Unaprimaapplicazionepraticadiquestatecnicaanaliticaconsistenell’assegnare a ciascun suono della scala cromatica un numero fisso, partendo sempre dal do. In tal caso avremmo: 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 do do#/reb re re#/mib mi fa fa#/solb sol sol#/lab la la#/sib si Questa impostazione si definisce notazione con zero fisso. A ciascun suono è attribuito un numero corrispondente alla distanza in semitoni che intercorre rispetto al do: ad esempio per raggiungere il mi occorre contare quattro semitoni partendo dal do: do# (1) re (2) re# (3) mi (4).

La notazione con zero fisso presenta il vantaggio di chiamare un suono sempre nello stesso modo, indipendentemente dal contesto in cui ci troviamo (quindi il mi sarà sempre associato al numero 4),ma dal punto di vista analitico ciò si rivelamolto spesso svantaggioso, in quanto ciascuna composizione avrà sempre un suono (che non sia necessariamente il do) che funge da ideale punto di riferimento, analogo, per certi versi, a ciò che rappresenta la tonica nella musica tonale. Sarebbe pertanto opportuno attribuire a questo specifico suono il numero 0, ovvero il punto a partire dal quale si calcolano tutte le distanze intervallari: questa seconda impostazione prende il nome di notazione con zero mobile. Nel precedente esempio bartókiano il suono che sembra ricoprire questo ruolo è il la: è a partire da questo suono, infatti, che si avviano i primi due frammenti motivici. Adeguando pertanto lo schema precedente, otteniamo la seguente configurazione: 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 la la#/sib si do do#/reb re re#/mib mi fa fa#/solb sol sol#/lab

Sarà poi sufficiente assegnare a ciascun suono presente in partitura il numero corrispondente, come indicato nell’esempio seguente. L’indicazione posta fra parentesi quadre [la = 0] è utile per evidenziare con chiarezza il suono preso come punto di riferimento quando si applica la notazione con zero mobile. 34 34 Ibid., p. 67.

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Così come nella notazione tradizionale chiamiamo un suono sempre nello stesso modo indipendentemente dall’ottava in cui si dovesse trovare, nello stesso modo adopereremo un unico numero per tutte le ripetizioni della medesima altezza nelle diverse ottave.Tutti i sib etuttii la# chefigurerannonellapartituradi Bartók,quindi, saranno sempre associati al numero 1, sia che si trovino appena sotto il do centrale, come avviene nell’esempio precedente, sia che invece siano posizionati una o due ottave sopra o sotto: tutti questi suoni rappresentano quella che si definisce una classe di altezze Esistono in tutto dodici classi di altezze. Il nostro sistema numerico, quindi, sia nella notazione con zero fisso che nella notazione con zero mobile, presenterà soltantonumeri chevannoda 0a11:arrivatiall’ottava sopra(teoricamenteil numero 12) si riparte da 0. Si tratta quindi di un sistema numerico a modulo 12. 35

Intervalli

Il vantaggio dato dall’adoperare i numeri per indicare le altezze si evidenzia in molti ambiti. Prendiamo ad esempio il calcolo degli intervalli: piuttosto che determinare se l’intervallo in questione sia maggiore, minore, giusto, e via dicendo, per classificarlo sarà sufficiente indicare il numero di semitoni che separa i due suoni. E visto che i due suoni sono associati ad altrettanti numeri, sarà sufficiente una semplice sottrazione aritmetica a partire dal suono più acuto.

L’intervallo do mi, ad esempio, verrà definito intervallo 4 (i4), perché quattro sono i semitoni che separano i due suoni, come abbiamo visto prima: se, nell’ambito della notazione con zero fisso, sappiamo che do = 0 e mi = 4, basterà fare 4‐0 per calcolare l’intervallo. Se invece volessimo calcolare l’intervallo re solb, posto che re = 2 e solb = 6, con la sottrazione 6‐2 otteniamo facilmente i4, scoprendo inoltre l’analogia fra questo intervallo e quello precedente, analogia che sarebbe apparsa assai meno evidente se avessimo definito i due intervalli rispettivamente terza maggiore e quarta diminuita, una distinzione fra l’altro del tutto fuori luogo in un repertorio in cui la scelta di una grafia (solb), piuttosto che un’altra (fa#), è dettata spesso da ragioni del tutto casuali.

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23
: Breve guida per l’analisi della musica post-tonale Esempio 11: Bartók, Musica per archi, celesta e percussioni, bb. 1 3 [la = 0] 35 Susanna Pasticci, Teoria degli insiemi e analisi della musica post tonale, «Bollettino del GATM», II/1, 1995, p.

Quaderni di analisi

Talvolta l’operazione di sottrazione può dar luogo a numeri negativi: ad esempio per l’intervallo sib re risulta sib = 10 e re = 2, e quindi 2 10 = ‐8. In tali casi sarà necessario aggiungere al numero del suono più acuto il numero fisso 12: (2+12)‐10 = i4.

Tutti gli intervalli superiori a i11, infine, devono essere ricondotti all’interno della medesima ottava secondo un ragionamento simile a quello degli intervalli composti che, nella teoria musicale tradizionale, vengono sempre identificati con i corrispondenti intervalli semplici (ad es. un intervallo di decima maggiore si considera a tutti gli effetti una terza maggiore). Per ottenere questo risultato pratico, a tutti gli intervalli superiori a i11 dovrà essere sottrattoil numero fisso 12, o multipli di esso (ad es. i15 diventa 15 12 = i3).

Il rivolto di un intervallo, detto anche intervallo complementare, si ottiene sottraendo il numero dell’intervallo dal numero fisso 12: ad esempio il rivolto dell’intervallo 4 (come ad es. do mi) sarà i8, perché 12 4 = 8 (e infatti il rivolto di do-mi è mi-do, e otto sono i semitoni che intercorrono fra mi e do). La tecnica è simile a quella degli intervalli tradizionali, in cui la somma fra l’intervallo originale e il proprio rivolto dà sempre come risultato 9. In questo caso, però, la somma di un intervallo e del suo rivolto darà sempre 12, perché abbinando ad un intervallo il suo complementare si ottiene sempre l’ottava, e nel nostro sistema l’ottava corrisponde a i12, dato che sono proprio dodici i semitoni presenti nella scala cromatica. Presentiamo quindi una tabella che metta a confronto il codice identificativo dei diversi intervalli con la classificazione tradizionale: appare subito evidente la drastica semplificazione proposta dalla nuova impostazione teorica.

tipo di intervallo classificazioni tradizionali corrispondenti complementare i0 unisono i12 i1 semitono, seconda minore, unisono aumentato i11 i2 tono, seconda maggiore, terza diminuita i10 i3 terza minore, seconda aumentata i9 i4 terza maggiore, quarta diminuita i8 i5 quarta giusta, terza aumentata i7 i6 tritono, quarta aumentata, quinta diminuita i6 i7 quinta giusta, sesta diminuita i5 i8 sesta minore, quinta aumentata i4 i9 sesta maggiore, settima diminuita i3 i10 settima minore, sesta aumentata i2 i11 settima maggiore, ottava diminuita i1 i12 ottava, ottava giusta (= i0) i0

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All’iniziopotrebbeappariredifficilecalcolareconunacertarapiditàgli intervalli con il nuovo sistema. Possono rivelarsi utili a questo scopo alcuni pratici consigli:

- l’intervallo 1 corrisponde al semitono, indipendentemente che esso sia cromatico o diatonico; il suo complementare è i11, e corrisponde alla settima maggiore; l’intervallo 2 è invece il tono; i10 sarà quindi il suo complementare, ovvero la settima minore; il tritono dividel’ottava indue parti esattamenteuguali: essocorrisponde quindi all’intervallo 6, numero che divide a metà l’ottava (i12); non a caso, infatti, il complementare di i6 sarà pari a sé stesso (12 6 = 6);

- la quarta giusta è un semitono più piccola del tritono, e corrisponderà quindi a i5, mentre la quinta giusta è un semitono più grande del tritono, e quindi sarà i7; dividendo l’ottava in tre parti uguali si ottiene la triade aumentata, formata da unaterzamaggioreeunaquintaaumentata(osestaminore):questidueintervalli corrispondono quindi rispettivamente a i4 e i8, perché dividendo 12 in tre parti uguali otteniamo la sequenza numerica 4 8 12;

- analogamente, dividendo l’ottava in quattro parti uguali otteniamo la settima diminuita, formata da terza minore, quinta diminuita e settima diminuita: questi intervalli corrispondono rispettivamente a i3, i6 e i9, perché dividendo 12 in quattro parti uguali si ottiene 3-6-9-12.

Tutti gli intervalli possibili emergono da uno dei precedenti ragionamenti.36

36

Cfr. Lester, Analytic Approaches…, cit., pp. 70 71.

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4. La teoria degli insiemi

Insiemi di classi di altezze

Un insieme di classi altezze (pitch class set, o pc set in inglese) è un gruppo di classi di altezze che possiamo riscontrare in una determinata composizione musicale o in una parte di essa a livello melodico (e quindi in una successione lineare), a livello armonico (sotto forma di aggregato), oppure come interazione fra dimensione orizzontale e verticale.

Un insieme di classi di altezze, secondo la teoria degli insiemi (set theory), può essere formato da un minimo di tre fino ad un massimo di nove classi di altezze. 37 Ciascun insieme di classi di altezze viene identificatotramite una sequenza numerica collocata fra parentesi quadre: i numeri sono posti in ordine progressivo, partendo da zero (adoperando quindi la notazione con zero mobile), e sono separati fra di loro da una virgola.

Vediamo alcuni esempi pratici. Nella parte iniziale di Voiles di Debussy (cfr. Esempi 3 e 8) erano presenti soltanto le seguenti classi di altezze: mi, fa#, sol#/lab, sib, do, re. Attribuendo il numero 0 alla nota mi, otteniamo quindi il set [0,2,4,6,8,10], corrispondente al codice 6 35 che contraddistingue la scala esatonale in questo sistema di classificazione.38

Esempio 12: set 6 35 (scala esatonale)

Nella parte conclusiva della stessa composizione (cfr. Es 13), il medesimo set viene utilizzato anche per creare delle combinazioni verticali di suoni: ciò rappresenta un chiaro esempio della perfetta integrazione fra dimensione orizzontale lineare (melodica) e verticale (armonica) che contraddistingue questo tipo di repertorio.

37 Allen Forte, The Structure of Atonal Music, New Haven London, Yale University Press, 1973. 38 Il codice 6 35 indica semplicemente che, nel sistema di classificazione elaborato da Forte, si tratta del trentacinquesimo set fra tutti quelli formati da 6 classi di altezze (cfr. a questo proposito la Classificazione degli insiemi di classi di altezze pubblicata in questo volume, pp. 61 65).

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Breve guida per l’analisi della musica post-tonale

Esempio 13: Debussy, Voiles (bb. 54 57)

Esaminiamo adesso le misure iniziali di un altro brano tratto dal primo libro dei Préludes di Debussy:

Esempio 14: Debussy, La cathédrale engloutie (bb. 1 2), dai Préludes, Premier livre (1911)

Il frammento è impostato sulla scala pentatonica: possiamo infatti riscontrare la presenza esclusiva delle seguenti classi di altezze: sol, la, si, re e mi. Assegnando alla nota sol il numero 0 otteniamo quindi l’insieme di classi di altezze [0,2,4,7,9], che corrisponde al set 5-35.

Esempio 15: set 5-35 (scala pentatonica)

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Trasposizione di un insieme

Un insieme di classi di altezze può essere facilmente traposto: sarà sufficiente sommare a ciascun numero dell’insieme originale un numero fisso che corrisponde all’intervallo di trasposizione Se, ad esempio, volessimo trasportare il set dell’esempio precedente [0,2,4,7,9] una terza maggiore sopra (intervallo i4), dovremmo sommare il valore 4 a ciascuno dei numeri presenti nel set. 39

set originale 0 2 4 7 9 intervallo di trasposizione +4 +4 +4 +4 +4 set trasposto (+4) 4 6 8 11 1 (13-12)

Otteniamo quindi il set [4,6,8,11,1].

Esempio 16: set 5 35 con trasposizione +4

Possiamoineffetti riscontrarequesto insieme di classi di altezze inunsuccessivo episodio della medesima composizione:

Esempio 17: Debussy, La cathédrale engloutie (bb. 16 17)

39 Lester, Analytic Approaches…, cit., pp. 82 83. Il valore 13 (9+4) corrisponde ad un intervallo composto (è infatti superiore a 12): va quindi trasformato nel corrispondente intervallo semplice sottraendo il numero fisso 12

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Quaderni di analisi

Un determinato set e la sua trasposizione hanno in comune la medesima successione intervallare, ovvero la sequenza degli intervalli formati dalle classi di altezze adiacenti. La successione intervallare di un set si indica con una successione di numeri separati da trattini.40

Confrontiamo dunque la successione intervallare del set originale con quella della sua trasposizione:

- set originale [0,2,4,7,9] → successione intervallare: 2-2-3-2 set trasposto [4,6,8,11,1] → successione intervallare: 2 2 3 2

Ordine normale

L’insieme di classi di altezze [4,6,8,11,1] visto in precedenza può essere anche indicato, disponendo i numeri in ordine crescente a partire dal più piccolo, come [1,4,6,8,11].

Esempio 18: set 5-35 con trasposizione +4 riordinato

Ma come facciamo a renderci conto che il set [1,4,6,8,11] e il set originale [0,2,4,7,9], che presentano due differenti successioni intervallari rispettivamente 3-2-2-3 e 2-2-3-2 rappresentano comunque due “varianti” del medesimo insieme classificato da Forte come 5 35? Per raggiungere questo scopo dobbiamo procedere al calcolo dell’ordine normale (normal order).41

Per ordine normale si intende la disposizione dei suoni di un insieme di classi di altezze che inizia sempre con 0 e contiene la numerazione “più bassa possibile” di quel set. Partendo quindi dall’insieme [1,4,6,8,11] iniziamo ad assegnare alla prima altezza (sol#) il numero 0: per ottenere questo risultato sarà sufficiente sottrarre i1 da tutte le classi di altezze del set. Così facendo si ottiene:

Esempio 19: set precedente con nuova numerazione

40 Forte, The Structure of Atonal Music, cit, p. 63, cit. in Pasticci, Teoria degli insiemi…, cit., p. 36.

41 Pasticci, Teoria degli insiemi…, cit., pp. 30 32.

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: Breve guida per l’analisi della musica post-tonale 29

Quaderni di analisi

Troviamo adesso l’intervallo più grande tra quelli che si formano fra due suoni consecutivi del set, ricordandoci di calcolare anche l’intervallo che si forma tra l’ultimo suono e la ripetizione del primo all’ottava sopra: tra sol# e si: i3 [3 0] tra si e do#: i2 [5 3] tra do# e re#: i2 [7 5] - tra re# e fa#: i3 [10-7] tra fa# e sol# all’ottava sopra: i2 [(0+12) 10]

L’intervallo più grande è i3, e si presenta due volte (fra sol# e si, e fra re# e fa#). Ordiniamo quindi le classi di altezze iniziando da quelle superiori dell’intervallo più grande, e quindi partendo rispettivamente da si e da fa#, e infine numeriamo assegnando il numero 0 al suono iniziale del set risultante: Esempio 20: possibili ordini normali del set

Confrontiamo adesso le due sequenze numeriche. Poiché sono fra loro identiche tranne che per il terzo suono che corrisponde a 4 nel primo set e a 5 nel secondo set se ne deduce che il primo set consente di avere la numerazione più bassa possibile per questo insieme di classi di altezze: la prima sequenza numerica corrisponderà quindi all’ordine normale del set 5-35, ed essa coincide esattamente con la forma originale che avevamo già ricavato dalle misure iniziali de La cathédrale engloutie (Esempio 14).

Inversione di un insieme

Quando si sostituiscono tutti i suoni che compongono un insieme di classi di altezze con i suoni che corrispondono ai rispettivi intervalli complementari, si dà origine all’inversione di un set. Per ottenere questo risultato sarà sufficiente sottrarre dal numero fisso 12 i numeri corrispondenti alle singole altezze.42

42 Prima di compiere questa operazione, è preferibile ordinare e numerare il set in modo tale che il primo valore corrisponda a 0 (notazione con zero mobile), cosa che si verifica a priori nel caso in cui il set venga espresso attraverso il suo ordine normale: ciò fa sì che i numeri del set corrispondano automaticamente agli intervalli che si formano rispetto alla prima classe di altezze del set, rendendo più semplice il calcolo dei rispettivi intervalli complementari

30

Prendiamo ad esempio come punto di riferimento il nostro set pentatonico 5-35 [0,2,4,7,9] (Esempio 15). Gli intervalli che si formano tra i suoni superiori e il suono di riferimento sol sono: i0, i2 (2 0 =2), i4 (4 0 = 4), i7 (7 0 = 7) e i9 (9 0 = 9). Come prima operazione sostituiamo quindi ciascun intervallo con il suo complementare:

intervalli originali 0 2 4 7 9 intervalli complementari 12 (= 0) 10 8 5 3

Se, infatti, scrivessimo questo insieme di classi di altezze [sol la si re mi] con tutti gli intervalli rivoltati, otterremmo il set seguente:

Esempio 21: set 5 35 invertito

L’operazione successiva consiste nel riordinare il set mettendo tutte le altezze in ordine crescente, partendo sempre dal suono che abbiamo associato al numero 0 (in questo caso sol) e trasportando tutti gli altri suoni un’ottava sopra: Esempio 22: set precedente riordinato

Perconcludere,saràsufficientecalcolarel’ordine normale diquesto set (secondo le regole esposte in precedenza), ottenendo così:

Esempio 23: ordine normale del set precedente

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Possiamo quindi dedurre che l’inversione dell’insieme di classi di altezze 5-35, corrispondentealla scala pentatonica, dà origine ad un set identico a quello originale [0,2,4,7,9], fatta salva la trasposizione +8 (una sesta minore sopra, da sol a mib).

Forma primaria

Solo in alcuni casi, tuttavia, l’ordine normale di un set rimane immutato anche realizzandone l’inversione: in altri casi, invece, l’inversione produce un ordine normale del tutto differente. In tal caso i due ordini normali (quello del set originale e quello ricavato dalla sua inversione) dovranno essere messi a confronto e, applicando un ragionamento analogo a quello messo in atto per determinare l’ordine normale di un set (ovvero la ricerca della numerazione “più bassa possibile”), si potrà ottenere la forma primaria del set.

La forma primaria corrisponde alla sequenza numerica con cui un determinato set è stato classificato nell’elenco stilato da Allen Forte (cfr. pp. 61-65).

Contenuto intervallare

Una classe intervallare è un raggruppamento di intervalli fra loro equivalenti. Esistono in tutto sei classi intervallari (da 1 a 6), e ciascuna di esse comprende: l’intervallo semplice il cui numero corrisponde alla classe, il suo complementare, e tutti gli intervalli composti equivalenti ad esso o al suo complementare. 43

classi intervallari intervalli corrispondenti classe 1 i1, i11 (i13, i23…) classe 2 i2, i10 (i14, i22…) classe 3 i3, i9 (i15, i21…) classe 4 i4, i8 (i16, i20…) classe 5 i5, i7 (i17, i19…) classe 6 i6 (i18…)

Attraverso le classi intervallari è possibile determinare il contenuto intervallare di un set, che contribuisce a determinarne la sonorità, e la maggiore o minore affinità con le combinazioni di suoni che sono peculiari della musica tonale. Un insieme di classi di altezze in cui prevalgano le classi intervallari 2 e 5, ad esempio, ricorderà in modo più evidente un contesto diatonico rispetto ad un set in cui siano predominanti le classi intervallari 1 e 6. 44

43 Per convenzione non si considerano gli intervalli i0 (unisono) e i12 (ottava), che formerebbero teoricamente la classe intervallare 0: cfr. Pasticci, Teoria degli insiemi…, cit., p. 33.

44 Lester, Analytic Approaches…, cit., p. 97.

32

Per determinare in modo oggettivo il contenuto intervallare di un set, in ogni caso, occorre calcolarne il vettore intervallare, un codice numerico di sei cifre che sintetizza le ricorrenze di tutte le classi intervallari presenti in quel determinato insieme di classi di altezze: gli intervalli sono calcolati tenendo conto delle distanze intervallari che si possono formare tra ciascun elemento del set e tutte le altre classi di altezze presenti nel medesimo set. 45

Ad esempio, per il nostro set pentatonico 5 35 [0,2,4,7,9] abbiamo i seguenti intervalli: partendo da 0, otteniamo i2 (2 0), i4 (4 0), i7 (7 0) e i9 (9 0); partendo da 2, otteniamo i2 (4 2), i5 (7 2) e i7 (9 2); partendo da 4, otteniamo i3 (7+4) e i5 (9 4); - partendo infine da 7 otteniamo i2 (9-7).

Raggruppando adesso tutti gli intervalli individuati nelle diverse classi intervallari, otteniamo la seguente configurazione:

classi intervallari ricorrenze

classe 1 0 (i1) + 0 (i11) = 0 classe 2 3 (i2) + 0 (i10) = 3 classe 3 1 (i3) + 1 (i9) = 2 classe 4 1 (i4) + 0 (i8) = 1 classe 5 2 (i5) + 2 (i7) = 4 classe 6 0 (i6) = 0

Il vettore intervallare del set 5-35 sarà quindi [032140].

Il vettore intervallare di un determinato set anche nel caso in cui venga traposto, invertito, o riordinato rimane sempre lo stesso Rispetto alla successione intervallare,cherimanecostantesoltantonelcasodi trasposizione,questostrumento rappresenta dunque un sistema molto più efficace per verificare che due set apparentemente diversi siano invece due differenti configurazioni del medesimo insieme di classi di altezze.

Vi sono, tuttavia, alcuni set che, pur essendo completamente differenti, possiedono comunque il medesimo vettore intervallare: i set di questo tipo si definiscono Z correlati È il caso, ad esempio, dei set 5 12 [0,1,3,5,6] e 5 36 [0,1,2,4,7], che presentano il medesimo vettore intervallare [222121]: i due set saranno quindi indicati rispettivamente con le sigle 5 Z12 e 5 Z36 46

45 Pasticci, Teoria degli insiemi…, cit., pp. 34 35.

46 Ibid., p. 44.

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Operazioni di segmentazione

Per analizzare un brano appartenente al repertorio post tonale applicando la teoria degli insiemi è necessario, prima di tutto, segmentare la composizione in parti più piccole, in modo tale che in ciascuna di esse tutti gli eventi melodici e/o armonici presenti siano prodotti esclusivamente, o quasi, dalle classi di altezze che costituiscono un determinato set. I singoli insiemi di classi di altezze individuati in questo modo potranno poi essere esaminati singolarmente, oppure messi a confronto alla ricerca di eventuali caratteristiche comuni che possano emergere come tratti stilistici peculiari di quella specifica composizione.

Da tutto ciò si deduce come il processo di segmentazione sia di fondamentale importanza, perché sarà proprio in funzione delle scelte operate in questa fase preliminare che l’analisi potrà prendere una direzione piuttosto che l’altra, facendo emergere un determinato insieme di classi di altezze al posto di un altro. Naturalmente ogni singola scelta dovrà essere attentamente ponderata e motivata, ma in senso assoluto non esistono regole precise in merito: saranno quindi la sensibilità dell’analista e la sua esperienza a consentirgli di effettuare le scelte più appropriate per il brano in questione, al fine di metterne in evidenza le caratteristiche più salienti e più evidenti anche all’ascolto. 47

Aprimavistasembrerebbeparadossalecheunametodologiaanaliticachesi basa su principi così rigorosi, quasi matematici, preveda una fase preliminare che si rivela poi decisiva nel determinare i risultati analitici in cui prevale un approccio empirico e altamente soggettivo.48 In realtà, però, è facile riscontrare come in molti casi sia la stessa organizzazione degli eventi musicali a suggerire le operazioni di segmentazione, e dato che il compito dell’analista non è quello di imporre la propria visione, quanto piuttosto quello di assecondare e far emergere nel modo più oggettivo possibile le caratteristiche peculiari del brano che sta analizzando e facilitarne così la comprensione, gran parte delle perplessità espresse in precedenza vengono a cadere.49

47 Lester, Analytic Approaches…, cit., pp. 89 90.

48 Pasticci, Teoria degli insiemi…, cit., p. 53.

49 In una prima fase storica, fino agli anni Sessanta del secolo scorso, si è cercato di interpretare la musica post tonale come se si trattasse di musica tonale “alterata” dalla presenza di cromatismi e di armonie con suoni aggiunti e/o modificati cromaticamente: l’introduzione della teoria degli insiemi ha finalmente consentito di analizzare queste composizioni basandosi su una logica completamente indipendente rispetto a quella imperniata sulla funzionalità armonica che governa il sistema tonale (cfr. Ian Bent William Drabkin, Analisi musicale, Torino, EDT, p. 126).

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5. La dodecafonia

Un nuovo metodo compositivo

Gli esponenti della Seconda scuola di Vienna proseguirono il loro cammino nell’ambitodell’atonalità finoaglianni dellaprimaguerramondiale.Comeabbiamo già avuto modo di vedere, tuttavia, i limiti di un metodo compositivo basato sulla “negazione” (ovvero: “tutto ciò che non si può fare”) piuttosto che su principi costruttivi, che impediva di fatto la costruzione di grandi architetture musicali, portarono Arnold Schoenberg ad un profondo ripensamento del suo percorso di artista, che si tradusse in circa un decennio di silenzio creativo (1914 23): in quel periodo, infatti, nessuna partitura degna di nota uscì dalla penna del compositore austriaco, tranne qualche abbozzo di composizioni che non vennero poi completate.

Va detto, comunque, che negli stessi anni i suoi allievi, e in particolare Alban Berg, proseguirono a pieno ritmo con la propria attività: proprio nel 1921 22, non a caso, Berg concluse la stesura della partitura del Wozzeck, il suo capolavoro operistico, oltre che il manifesto del teatro espressionista atonale.50

Dopo lunghe e sofferte riflessioni, Schoenberg giunse infine alla decisione di istituireunmetodocompositivoarticolatosuregolechiareedestremamenterigorose, basato in modo scientifico sul principio dell’equiparazione delle dodici altezze della scala cromatica (o dodecafonica). Questo metodo compositivo, passato alla storia con il termine improprio di dodecafonia (dal nome della scala di riferimento), venne tuttavia definito dal suo autore «metodo di composizione con dodici note poste in relazione soltanto l’una con l’altra».51

Dopo aver sperimentato un impiego sistematico delle dodici classi di altezze in composizioni come i Cinque pezzi per pianoforte op. 23 e la Serenade per sette strumenti op. 24, la prima composizione basata integralmente sul nuovo metodo compositivo fu la Suite für klavier op. 25 (1923). È curioso che il primo pezzo dodecafonico della storia ricalchi il modello di una forma compositiva nata oltre due secoli prima, la suite barocca: i titoli dei brani sono infatti Präludium, Gavotte, Musette, Intermezzo, Menuett e Gigue.

La serie di dodici suoni

Il nuovometodocompositivosi basasuunprincipiotantosemplicequandorigoroso: per evitare che un singolo suono possa diventare più importante degli altri,

50 Berg dimostrò con Wozzeck come fosse comunque possibile costruire un lavoro di grandi dimensioni basandosi sui principi dell’atonalità; di contro, tuttavia, va osservato come l’adesione di Berg all’atonalità (e poi alla dodecafonia) sia sempre stata filtrata dal desiderio di mantenere in vita principi costruttivi di origine “tonale”, ponendosi quindi come compositore in una posizione di compromesso fra “nuovo stile” e recupero della tradizione.

51 Arnold Schoenberg, Composizione con dodici note, in Stile e idea, Milano, Feltrinelli, 1982, p. 110.

D. GIANNETTA:
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Quaderni di analisi

assumendo inevitabilmente il ruolo di suono guida (diventando così un surrogato della tonica), esso dovrà essere obbligatoriamente inserito in una successione che comprenda tutti e dodici i suoni del sistema sonoro di riferimento. Nessun suono, quindi, potrà essere riproposto (a meno che non venga ripetuto immediatamente dopo la sua comparsa) prima che siano stati presentati tutti i suoni di questa successione, che prende il nome di serie 52 Solitamente la serie dodecafonica viene presentata all’inizio della composizione sottoformadilineamelodica,comenell’esempioseguentetrattodal Präludium della Suite op. 25:

Esempio 24: Arnold Schoenberg, Präludium (bb. 1 3), dalla Suite op. 25 (1923)

Osservando la successione dei suoni affidati alla mano destra, possiamo ricavare la serie che caratterizzerà tutti i brani della Suite: mi-fa-sol-reb-solb-mib-lab-re-sido la sib. Come possiamo verificare, il dodicesimo suono (sib) viene ribattuto più volte dopo la sua prima comparsa, ma ciò non contrasta con i principi che governano questo metodo compositivo: la cosa importante è che non si ritorni ad un suono della serie già esposto in precedenza se prima la serie non è stata presentata per intero.

In altri casi, tuttavia, la serie dodecafonica può essere presentata sotto forma di aggregati:

Esempio 25: Arnold Schoenberg, Klavierstück op. 33a (1929), bb. 1 2

52

A dire il vedo, l’idea di Schoenberg non era del tutto inedita: già nel 1919, infatti, il compositore austriaco Josef Matthias Hauer (1883 1959) era pervenuto ad un risultato analogo, ma evidentemente con minor fortuna.

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: Breve guida per l’analisi della musica post-tonale 37

La serie è formata in questo caso dalla successione: si do fa sib+la do# re# fa#+lab re mi sol: si osservi come, da questo punto di vista, la dodecafonia possa essere interpretata come un’applicazione sistematica del principio della complementarità (cfr. p. 7, n. 12)

Per rendere più varia l’organizzazione sonora di una composizione musicale, evitando la monotonia che sarebbe derivata dalla reiterazione della medesima serie, Schoenberg escogita l’adozione di alcuni principi di elaborazione derivati dalla prassi del contrappunto fiammingo e poi bachiano: inversione della serie, ottenuta sostituendo ciascun intervallo con il suo complementare retrogradazione della serie, ottenuta partendo dall’ultimo suono e procedendo poi a ritroso - inversione e retrogradazione applicate simultaneamente alla serie

Si ottengono in questo modo le quattro forme primarie della serie: forma originale (O), forma inversa (I), forma retrograda (R), e forma retrograda inversa (RI) Ciascuna delle quattro forme primarie può poi essere trasposta in modo tale che il primo suono corrisponda a ciascuno dei dodici suoni della scala cromatica: si ottengono così, da ciascuna forma primaria, 12 forme seriali, per un totale di 48 forme seriali complessive, tutte riconducibili all’unica serie dodecafonica di partenza, che costituisce così il “minimo comune multiplo” della composizione.

Le forme della serie

Una serie dodecafonica può essere analizzata con le medesime tecniche basate sui numeri illustrate nelle pagine precedenti. Prima di tutto attribuiamo al primo suono della serie il valore 0(applicando quindi la notazione con zero mobile),e numeriamo poi gli altri suoni di conseguenza. Prendendo come punto di riferimento il primo suono (mi) della serie della Suite op. 25, e attribuendo ad esso il valore 0, otteniamo quindi la seguente tabella di conversione: 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 mi fa fa#/solb sol sol#/lab la la#/sib si do do#/reb re re#/mib

Attribuiamo adesso i corrispondenti numeri alla serie dodecafonica in esame:

Esempio 26: analisi della serie dodecafonica della Suite op. 25 di Schoenberg

D. GIANNETTA

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Questa successione di suoni, e quindi di numeri, rappresenta la forma originale [O] della serie. Partendo di volta in volta da una diversa altezza, si producono complessivamente 12 diverse trasposizioni della serie: per ottenerele corrispondenti sequenze numeriche, sarà sufficiente applicare le operazioni matematiche viste a proposito degli insiemi di classi di altezze:

forma originale 0 1 3 9 2 11 4 10 7 8 5 6 trasposizione +1 1 2 4 10 3 0 5 11 8 9 6 7 trasposizione +2 2 3 5 11 4 1 6 0 9 10 7 8 trasposizione +3 3 4 6 0 5 2 7 1 10 11 8 9 trasposizione +4 4 5 7 1 6 3 8 2 11 0 9 10 trasposizione +5 5 6 8 2 7 4 9 3 0 1 10 11 trasposizione +6 6 7 9 3 8 5 10 4 1 2 11 0 e così via…

Compiendo poi l’operazione inversa, ovvero trasformando i numeri nei corrispondenti suoni, secondo la tabella di conversione esposta in precedenza, possiamo ottenere la successione delle altezze che identifica ciascuna trasposizione della serie originale, come ad esempio la forma seguente con trasposizione +6:

Esempio 27: trasposizione +6 della serie dodecafonica della Suite op. 25 di Schoenberg

Osservando le battute iniziali del Präludium (cfr. Esempio 24), possiamo facilmente verificare come le note eseguite dalla mano sinistra corrispondano proprio alla trasposizione +6 della serie dodecafonica, anche se i suoni che vanno dal quinto all’ottavo (do la re sol#) sono combinati contrappuntisticamente con i suoni che vanno dal nono al dodicesimo (fa-fa#-mib-mi), altra possibilità di elaborazione della serie che verrà approfondita in seguito.

Un’operazione un po’ più complessa consiste nell’invertire gli intervalli presenti nella serie dodecafonica originale, sostituendo ciascun intervallo con il proprio complementare: sarà sufficiente sottrarre dal numero fisso 12 il numero corrispondente a ciascuno dei suoni della serie. Partendo quindi dalla forma originale della serie della Suite op. 25, calcoliamo la sua inversione: 12 12 12 12 12 12 12 12 12 12 12 forma originale 0 1 3 9 2 11 4 10 7 8 5 6 forma inversa 0 11 9 3 10 1 8 2 5 4 7 6

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Trasformando la sequenza numerica in suoni reali, ecco come si presenta la forma inversa [I] della serie:

Esempio 28: forma inversa della serie dodecafonica della Suite op. 25 di Schoenberg

A sua volta, naturalmente, la serie inversa può essere trasposta, ottenendo complessivamente 12 ulteriori forme seriali.

Un’altra operazione possibile, ricavata come la precedente dalle tecniche contrappuntistiche del passato, consiste nel presentare i suoni della serie dodecafonica nell’ordine opposto rispetto a quello originale, partendo cioè dall’ultimo suono e procedendo poi a ritroso. Nella fattispecie, la forma retrograda [R] della Suite op. 25 è:

Esempio 29: forma retrograda della serie dodecafonica della Suite op. 25 di Schoenberg

La forma seriale precedente non inizia con il suono mi (il nostro valore 0), ma con il sib (corrispondente a 6). Per ottenere la forma retrograda che inizia con 0 sarà quindi necessario calcolare la trasposizione ±6 della forma seriale precedente:

forma retrograda che inizia con 6 6 5 8 7 10 4 11 2 9 3 1 0 forma retrograda che inizia con 0 0 11 2 1 4 10 5 8 3 9 7 6

Naturalmente, anche dalla forma retrograda della serie si possono ricavare complessivamente 12 diverse trasposizioni, comprese le due che abbiamo appena visto.

Per concludere, si possono applicare contemporaneamente le operazioni di inversione e di retrogradazione, ottenendo così la forma retrograda inversa [RI] della serie: sarà sufficiente partire dalla forma inversa e quindi retrogradarla. Esempio 30: retrogradazione della forma inversa della serie

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Trasportando poi la serie in modo tale che inizi con il valore 0 (±6) otteniamo: forma RI che inizia con 6 6 7 4 5 2 8 1 10 3 9 11 0 forma RI che inizia con 0 0 1 10 11 8 2 7 4 9 3 5 6

In alternativa, si può ottenere il medesimo risultato partendo dalla forma retrograda che inizia con il valore 0 (che abbiamo ricavato in precedenza) calcolando l’inversione di ciascuno dei suoni che la compongono, come possiamo verificare dalla seguente tabella: 12 12 12 12 12 12 12 12 12 12 12 forma retrograda 0 11 2 1 4 10 5 8 3 9 7 6 forma RI 0 1 10 11 8 2 7 4 9 3 5 6

Inutile a dirsi, anche dalla forma retrograda inversa si ottengono 12 trasposizioni.

Il quadrato magico

Per poter analizzare concretamente una composizione dodecafonica, servirà avere a disposizione uno specchietto che presenti tutte le 48 forme seriali, in modo tale da essere in grado di riconoscere l’apparizione di una di esse nel brano che si sta tentando di analizzare. Calcolare tutte le forme, una per una, è tuttavia un lavoro lungo e noioso. Esiste però una tecnica che consente di ridurre drasticamente il numero delle operazioni, dando origine ad uno schema grafico molto intuitivo e pratico basato su un quadrato formato da 12 righe e 12 colonne: chiameremo questo grafico quadrato magico.

La prima operazione per costruire un quadrato magico consiste nel riportare sulla prima riga, da sinistra verso destra, la sequenza numerica corrispondente alla forma originale [O] della serie. Successivamente riporteremo sulla prima colonna, dall’altro verso il basso, la forma inversa [I], ottenuta sottraendo dal numero fisso 12 i numeri corrispondenti della prima riga: 0 1 3 9 2 11 4 10 7 8 5 6 11 9 3 10 1 8 2 5 4 7 6

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A questo punto dovremo inserire su ciascuna riga (sempre da sinistra a destra) la sequenza numerica corrispondente alle diverse trasposizioni della forma originale: l’intervallo di trasposizione sarà determinato dal numero collocato sulla prima colonna. Per esempio, la trasposizione +1 della forma originale sarà inserita nella riga in cui è presente il numero 1 come valore iniziale (e quindi sulla sesta riga del grafico precedente). Ripetendo l’operazione per ciascuna riga, otterremo infine il grafico completo: 0 1 3 9 2 11 4 10 7 8 5 6 11 0 2 8 1 10 3 9 6 7 4 5 9 10 0 6 11 8 1 7 4 5 2 3 3 4 6 0 5 2 7 1 10 11 8 9 10 11 1 7 0 9 2 8 5 6 3 4 1 2 4 10 3 0 5 11 8 9 6 7 8 9 11 5 10 7 0 6 3 4 1 2 2 3 5 11 4 1 6 0 9 10 7 8 5 6 8 2 7 4 9 3 0 1 10 11 4 5 7 1 6 3 8 2 11 0 9 10 7 8 10 4 9 6 11 5 2 3 0 1 6 7 9 3 8 5 10 4 1 2 11 0

Se i nostri calcoli saranno stati corretti, dovremo ottenere una sequenza di 0 sulla diagonale principale, quella che parte dalla prima casella in alto a sinistra e termina con l’ultima casella in basso a destra (nel grafico precedente la diagonale è stata evidenziata adoperando un colore più scuro).

Il quadrato magico contiene tutte le 48 forme seriali

Le 4 forme primarie sono collocate sui bordi esterni del quadrato: la forma originale [O] corrisponde ovviamente alla prima riga letta da sinistra verso destra (è la sequenza numerica da cui siamo partiti);

- la forma inversa [I] corrisponde alla prima colonna letta dall’alto verso il basso (è la sequenza numerica ottenuta calcolando l’inversione di ciascuno degli intervalli della forma originale); la forma retrograda [R] corrisponde all’ultima riga, letta però da destra verso sinistra (come indica la direzione della freccia);

- la forma retrograda inversa [RI], infine, corrisponde all’ultima colonna, letta però dal basso versol’alto (sempre seguendo la direzione della freccia).

Le 11 trasposizioni della forma originale (esclusa quindi quella che inizia con il numero 0) saranno indicate dal simbolo O accompagnato da un indice numerico che coincide con il primo valore numerico della sequenza. Ad esempio, sulla seconda rigadelgraficotroviamola forma seriale O11,sulterzorigola forma O9,ecosì via…

La stessa cosa vale per le diverse trasposizioni ricavate da I, da R e da RI

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I I1 I3 I9 I2 I11 I4 I10 I7 I8 I5 I6 → O 0 1 3 9 2 11 4 10 7 8 5 6 R6 O11 11 0 2 8 1 10 3 9 6 7 4 5 R5 O9 9 10 0 6 11 8 1 7 4 5 2 3 R3 O3 3 4 6 0 5 2 7 1 10 11 8 9 R9 O10 10 11 1 7 0 9 2 8 5 6 3 4 R4

O1 1 2 4 10 3 0 5 11 8 9 6 7 R7 O8 8 9 11 5 10 7 0 6 3 4 1 2 R2 O2 2 3 5 11 4 1 6 0 9 10 7 8 R8 O5 5 6 8 2 7 4 9 3 0 1 10 11 R11 O4 4 5 7 1 6 3 8 2 11 0 9 10 R10 O7 7 8 10 4 9 6 11 5 2 3 0 1 R1 O6 6 7 9 3 8 5 10 4 1 2 11 0 R ← RI6 RI7 RI9 RI3 RI8 RI5 RI10 RI4 RI1 RI2 RI11 RI ↑

Se nella partitura che stiamo analizzando, quindi, trovassimo una successione di suoni che, trasformati in numeri, corrispondesse alla sequenza [4-5-2-3-0-6-11-8-17 9 10], dovremmo prima di tutto individuare le forme seriali che iniziano con il valore numerico 4 (O4, I4, R4 e RI4) sui quattro bordi esterni del grafico, e poi per esclusione isolare l’unica sequenza numerica che coincide esattamente con quella data, che nel nostro caso sarà RI4. 53

Il grafico precedente si rivela utilissimo per classificare e identificare ciascuna delle 48 forme possibili di una serie dodecafonica. Il punto, però, è che una partitura non è formata da numeri, ma da suoni, da altezze musicali. Per evitare di dover analizzare preventivamente la partitura, trasformando ciascun suono presente nel corrispondente numero applicando la notazione con zero mobile, potrà essere un’ottima idea costruire un secondo quadrato magico che, partendo dal precedente, sostituirà ciascun numero con la classe di altezze corrispondente, secondo la tabella di conversione stabilita in precedenza, ricordando che nel caso in esame il numero 0 corrisponde al suono mi

Può essere utile,in questo caso,indicarele classi di altezze corrispondenti ai tasti neri del pianoforte sia come diesis che come bemolle, perché non sappiamo a priori in quale delle due vesti si potranno presentare in partitura tali suoni.

53 In termini rigorosamente matematici, l’espressione «quadrato magico» usata per definire questo grafico non sarebbe del tutto appropriata: un quadrato magico prevede infatti che la somma di tutti i valori collocati su ciascuna riga, su ciascuna colonna e su ciascuna diagonale, corrisponda sempre allo stesso risultato. In questo caso, mentre vengono soddisfatte le prime due condizioni, le diagonali non rispettano però questo principio: tutto sommato, però, ritengo che l’espressione sia fortemente evocativa e quindi ho ritenuto opportuno farne uso.

42

I I1 I3 I9 I2 I11 I4 I10 I7 I8 I5 I6

O mi fa sol do#/ reb fa#/ solb re#/ mib sol#/ lab re si do la la#/ sib R6

O11 re#/ mib mi fa#/ solb do fa re sol do#/ reb la#/ sib si sol#/ lab la R5

O9 do#/ reb re mi la#/ sib re#/ mib do fa si sol#/ lab la fa#/ solb sol R3

O3 sol sol#/ lab la#/ sib mi la fa#/ solb si fa re re#/ mib do do#/ reb R9

O10 re re#/ mib fa si mi do#/ reb fa#/ solb do la la#/ sib sol sol#/ lab R4

O1 fa fa#/ solb sol#/ lab re sol mi la re#/ mib do do#/ reb la#/ sib si R7

O8 do do#/ reb re#/ mib la re si mi la#/ sib sol sol#/ lab fa fa#/ solb R2

O2 fa#/ solb sol la re#/ mib sol#/ lab fa la#/ sib mi do#/ reb re si do R8

O5 la la#/ sib do fa#/ solb si sol#/ lab do#/ reb sol mi fa re re#/ mib R11

O4 sol#/ lab la si fa la#/ sib sol do fa#/ solb re#/ mib mi do#/ reb re R10

O7 si do re sol#/ lab do#/ reb la#/ sib re#/ mib la fa#/ solb sol mi fa R1

O6 la#/ sib si do#/ reb sol do la re sol#/ lab fa fa#/ solb re#/ mib mi R RI6 RI7 RI9 RI3 RI8 RI5 RI10 RI4 RI1 RI2 RI11 RI

Non è affatto un caso che la serie della prima composizione propriamente dodecafonica, quella su cui abbiamo lavorato nei precedenti paragrafi per costruire i due quadrati magici, presenti come suono iniziale e come suono conclusivo due altezze a distanza di tritono (mi e sib). Il tritono, infatti, è l’intervallo che, dividendo induepartiesattamenteugualil’ottava,fungemoltospessonelrepertoriopost tonale da asse di simmetria, con un ruolo paragonabile a quello svolto dall’intervallo di quintagiusta(che,dal puntodi vistaacustico,divideinduepartil’ottava) nel sistema tonale. 54

54 La costruzione di un grafico molto simile al secondo quadrato magico (ma realizzato direttamente, senza passare dal quadrato magico costruito con i numeri) èillustrata in Lester, Analytic Approaches…, cit., pp. 180 182. Lester, tuttavia, classifica le forme retrograde e retrograde inverse della serie senza tener conto del primo suono presente in ciascuna di esse, ma facendo riferimento esclusivamente alle corrispondenti forme originali e inverse. Nel nostro grafico, ad esempio, la forma retrograda che inizia con sib/la# vieneclassificatacome R6, inquantolaprimaaltezza(sib/la#)corrispondealvalore6 (posto che mi = 0), mentre nel grafico proposto da Lester sarebbe stata identificata con la sigla R, perché si tratta del perfetto rovesciamento dell’ordine dei suoni della forma originale della serie

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6. Operazioni con le serie dodecafoniche

Sotto serie

Una serie dodecafonica può essere suddivisa in due, tre o quattro frammenti più piccoli di pari dimensioni formati rispettivamente da sei, da quattro o da tre suoni ciascuno che prendono il nome di sotto serie La necessità di suddividere una serie in sotto serie, eil numerodi suoni di cui sarà formata ciascuna sotto serie, dipenderà esclusivamente dall’uso che il compositore stesso farà della serie nella partitura posta sotto esame.

Prendiamo ad esempio il caso del Präludium della Suite op. 25 di Schoenberg. Abbiamo visto nell’Esempio 24 che il brano inizia con la presentazione della serie dodecafonica completa sotto forma di linea melodica affidata alla mano destra. Sulla partitura, quindi, riportiamo in prossimità della prima nota il simbolo O (forma originale), e successivamente numeriamo tutte le note che fanno parte della serie con i corrispondenti numeri di posizione (da 1 a 12), con i quali identificheremo la successione dei dodici suoni che compongono questa specifica forma seriale 55

Esempio 31: numeri di posizione nella forma originale della serie della Suite op. 25

Avevamo poi visto come contemporaneamente, alla mano sinistra, fosse stata affidatalapresentazionedella forma-seriale O6,nell’ambitodellaquale,dopoisuoni 1 2 3 4 (sib dob reb sol), i successivi quattro 5 6 7 8 (do la re sol#) erano combinati contrappuntisticamente con gli ultimi quattro 9 10 11 12 (fa fa# mib mi).

L’Esempio 32 illustra tutto questo: anche in questo caso, in prossimità del suono iniziale è stato posto il simbolo che contraddistingue la forma seriale (O6), mentre i numeri di posizione identificano i diversi suoni.

55 È importantenon confonderequestanumerazione, cheindicaesclusivamentela “posizione”occupata dai diversi suoni (dal primo al dodicesimo) nella successione prevista per una determinata serie, con le tecniche di analisi numerica (numerazione con zero fisso e con zero mobile) esaminate in precedenza (econlequali abbiamoanchecostruitoil primo quadrato magico),cheinvecesibasavano sulledistanze intervallari fra i diversi suoni. Nel testo e negli esempi, ogni volta che faremo riferimento ai numeri di posizione adopereremo la grafia in corsivo (1, 2, 3…), mentre i numeri che indicano le classi di altezze verranno sempre indicati in grassetto (0, 1, 2…).

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-tonale

Esempio 32: numeri di posizione nella forma seriale O6 (mano sinistra)

Come è facilmente intuibile, quindi, la serie dodecafonica della Suite op. 25 di Schoenberg si può suddividere in tre sotto serie, ciascuna delle quali formata da quattro suoni.

Ne abbiamo un esempio eclatante esaminando l’inizio del Menuett, quinto brano della Suite. Come possiamo vedere, la forma originale si presenta smembrata in tre sotto serie, che alterano inoltre l’ordine di presentazione: il brano inizia infatti con la seconda sotto serie (solb mib lab re) affidata alla mano destra, cui segue la prima sotto serie (mi fa sol reb) presentata dalla sinistra, per concludere con la terza sotto serie (si do la sib) di nuovo alla mano destra. Numeriamo i suoni di conseguenza, iniziando quindi dal numero di posizione 5:

Esempio 33: Schoenberg, Menuett (bb. 1 4), dalla Suite op. 25 (numeri di posizione)

Permutazioni e interpolazioni

Un’altra operazione possibile con le sotto-serie consiste nel variare l’ordine interno con cui si presentano i suoni che le compongono, realizzando una sorta di rimescolamento della successione delle altezze che prende il nome di permutazione.

Le bb. 3 4 del Menuett, basate sulla forma seriale I6 (sib la sol reb lab si solb do mib re fa mi), illustrano un caso di permutazione che coinvolge ciascuna delle tre sotto-serie:

D. GIANNETTA
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Esempio 34: Schoenberg, Menuett (bb. 1 4), forma seriale I6 con permutazioni

Possiamo osservare che:

la prima sotto serie (sib la sol reb) vede l’ordine dei suoni permutato nella successione reb-la-sib-sol (corrispondente ai numeri di posizione: 4-2-1-3); la seconda sotto serie (lab dob solb do) viene permutata nella sequenza lab do dob solb (numeri di posizione: 5 8 6 7); la terza sotto serie (mib re fa mi), infine, vede l’ordine dei suoni capovolto in mi fa re mib (numeri di posizione: 12 11 10 9)

Osserviamo adesso il seguente frammento tratto dalla Gavotte, secondo brano della Suite op. 25 di Schoenberg:

Esempio 35: Schoenberg, Gavotte (bb. 14 15), dalla Suite op. 25

Concentrando la nostra attenzione su ciò che avviene a b. 15 (la seconda dell’esempio), possiamo riscontrare nuovamente la presenza della forma seriale I6, sempre suddivisa nelle tre sotto serie: sib la sol do#, lab si fa# do e mib re fa mi: anche in questo caso, tuttavia, i suoni che compongono le tre sotto serie non rispettano necessariamente l’ordine in cui si sarebbero dovuti presentare.

Esempio 36: Schoenberg, Gavotte (bb. 14 15), numeri di posizione con permutazioni

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In particolare: - la prima sotto serie (sib la sol do#) è suddivisa in due bicordi, ma rispetta comunque la successione originale (numeri di posizione: 1 2 + 3 4); la terza sotto serie (mib re fa mi), invece, presenta i suoni permutati nella successione re mi fa mib (numeri di posizione: 10 12 11 9); ancora diversa è la situazione della seconda sotto serie (lab si fa# do) che vede i suoni si fa# do (numeri di posizione: 6 7 8) riuniti in un unico aggregatoepresentatiall’inizio,mentreilsuono 5 (lab)èstatoseparatodagli altri tre e presentato per ultimo, in bicordo con il suono 9 della terza sotto serie: in questo caso possiamo dire che all’interno della seconda sotto serie è intervenuta un’interpolazione (rappresentata in questo caso dai suoni 10 12 11 della terza sotto serie).

Qualcosa di simile accade a b. 14, laddove si palesa la forma seriale I7: la prima sotto serie (dob sib lab re) viene presentata come aggregato, con i suoni 1 2 3 4 ordinati dall’alto verso il basso; la terza sotto serie (fab mib solb fa) presenta i suoni permutati nella successione solb fab mib fa (numeri di posizione: 11 9 10 12); la seconda sotto serie (la do sol reb), infine, vede i suoni do sol reb riuniti nell’aggregato conclusivo (insieme al suono 12 della terza sotto serie), mentre il suono 5 era stato presentato nell’aggregato iniziale insieme ai quattro suoni della prima sotto serie: anche in questo caso, quindi, la seconda sotto serie ha subito un’interpolazione, inglobando i suoni 11 9 10 della terza sotto serie

Un altro esempio di interpolazione lo possiamo individuare a b. 15 del Präludium, e vede questa volta protagonista la forma originale della serie.

la prima sotto serie (mi fa sol reb) forma il primo aggregato di quattro note (sul battere di b. 15), con i suoni 1 2 3 4 perfettamente ordinati dall’alto verso il basso; la seconda sotto serie (solb mib lab re, numeri di posizione: 5 6 7 8) forma invece un secondo aggregato di quattro note (in corrispondenza del secondo tempo di battuta), ma questa volta i suoni sono “ordinati” se vale sempre

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: Breve guida per l’analisi della musica post-tonale Esempio 37: Schoenberg, Präludium (b. 15), numeri di posizione con interpolazione

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il principio della “lettura” dall’alto verso il basso secondo la successione 8 6 5 7, che rappresenta una permutazione di quella originale; la terza sotto serie (si do la sib), infine, è scissa in due bicordi: il primo è formato dai suoni 11 12 (la sib) ed è presentato subito dopo il primo aggregato di quattro suoni,mentre il secondo bicordo, formato dai rimanenti suoni 9 10 (si do), segue il secondo aggregato; tra i due bicordi che costituiscono la terza sotto serie, quindi, vi è l’interpolazione dell’intera seconda sotto serie.

Sotto serie come aggregati

Il precedente esempio ha illustrato il caso, piuttosto frequente, in cui una sotto serie si presenta sotto forma di aggregato, con tutti i suoni che la compongono esposti simultaneamente. Un esempio eloquente di questa ulteriore possibilità offerta dal metodo dodecafonico è rappresentato dal Klavierstück op. 33a di Schoenberg, composizione di cui ci siamo già occupati in precedenza (cfr. Esempio 25). In questo caso, la forma originale della serie dodecafonica su cui si basa il brano (sib fa do si la fa# do# re# sol lab re mi) viene presentata in senso melodico soltanto nelle bb. 32 33 (pentagramma superiore):

Esempio 38: Schoenberg, Klavierstück op. 33a (bb. 32-33), forma originale della serie

All’inizio, invece, vengonopresentati tre aggregati di quattro suoni, ciascuno dei quali corrisponde ad una delle tre sotto serie in cui viene suddivisa la serie: la simultaneità con cui vengono presentati i suoni, tuttavia, rende impossibile determinare l’esatta successione dei suoni della serie, i quali peraltro vengono talvolta “rimescolati” all’interno delle tre sotto serie.

Esempio 39: Schoenberg, Klavierstück op. 33a (bb. 1 2), numeri di posizione

48

In particolare: - il primo aggregato (sib fa do si) vede isuoni della prima sotto serie (numeri di posizione: 1 2 3 4) ordinati “correttamente” dall’alto verso il basso (secondo il modus operandi che abbiamo visto essere tipico di Schoenberg); la seconda sotto serie (la fa# do# re#) viene invece “rimescolata” nel secondo aggregato dando origine, dall’alto verso il basso, alla successione 6 8 7 5; la stessa cosa avviene nella terza sotto serie (sol lab re mi), con la combinazione 9 12 11 10 (sempre leggendo i suoni dall’alto verso il basso).

Esaminiamo adesso i tre aggregati di b. 2, che si basano sulla forma seriale I5 L’aspetto piùinteressante è che non soltanto l’ordine di presentazione delle tre sotto serie viene rovesciato (si comincia con la terza e si conclude con la prima), ma che anche la posizione dei suoni all’interno dei tre aggregati viene ribaltata come in uno specchio: il terzo aggregato di b. 2, infatti, presenta i suoni della prima sotto serie (1 2 3 4) ordinati dal basso verso l’alto, al contrario di quanto avveniva con il primo aggregato di b. 1; il secondo aggregato di b. 2 presenta i suoni 5 6 7 8 permutati nell’ordine 5 7 8 6 (letto dall’alto verso il basso), esattamente l’opposto della sequenza 6 8 7 5 del secondo aggregato di b. 1; la stessa cosa avviene con il primo aggregato di b. 2, che presenta i suoni della terza sotto serie permutati nell’ordine 10 11 12 9, all’opposto della sequenza 9 12 11 10 dell’ultimo aggregato di b. 1.

Combinatorialità esacordale

Abbiamo visto nelle pagine precedenti come l’applicazione pratica del metodo dodecafonico da parte del suo stessoinventoresia piuttostolibera, trasegmentazione della serie in tre sotto serie (trattate poi con una certa indipendenza), permutazioni e/o interpolazioni nella successione originale dei suoni, e raggruppamento di più suoni sotto forma di aggregati. Potremmo anzi dire che Arnold Schoenberg sia piuttosto restio ad abbandonare del tutto quelle tecniche compositive basate sull’elaborazione tematico-motivica che, mutuate dalla grande tradizione classicoromantica tedesca, gli sono particolarmente congeniali.56

Nelle sue composizioni dodecafoniche, quindi, accade talvolta di assistere ad un completo rimescolamento dei suoni della serie dopo che questa è già stata presentata e riproposta più volte esattamente come nel repertorio tonale un tema, dopo essere stato presentato, può essere elaborato anche profondamente.57

56 Lester, Analytic Approaches…, cit., pp. 191 195.

57 Ibid., pp. 235 238.

D. GIANNETTA
49
: Breve guida per l’analisi della musica post-tonale

Quaderni di analisi

Queste tendenze divennero via via più evidenti nella fase tarda della produzione di Schoenberg, quella successiva al 1933 annoin cui, in seguitoall’ascesa al potere del nazifascismo, il compositore, di origine ebraica, si trasferì negli Stati Uniti d’America.58

Una tecnica particolarmente amata da Schoenberg consiste nel costruire una serie dodecafonica facendo in modo che la seconda metà quella che comprende i numeri di posizione 7 8 9 10 11 12 abbia il medesimo “contenuto”, in termini di classi di altezze, della prima: in altre parole, mettendo momentaneamente da parte l’effettiva successione dei suoni, il secondo esacordo così si definisce la seconda metà della serie presenterà il medesimo insieme di classi di altezze, opportunamente trasposto e/o invertito, del primo, facendo comunque in modo che i due esacordi, combinati insieme, diano origine ad una serie dodecafonica completa.

Due esacordi che manifestano una proprietà di questo tipo si definiscono combinatoriali. 59 Ne abbiamo un esempio proprio con la serie dodecafonica del già citato Klavierstück op. 33a:

Esempio 40: serie dodecafonica del Klavierstück op. 33a di Schoenberg

Estrapolando i suoni del primo esacordo, e considerandoli come un insieme di classi di altezze, possiamo facilmente calcolare prima l’ordine normale, ovvero la disposizione dei suoni più “stretta” possibile (fa fa# la sib si do), e quindi la forma primaria, individuando così il set 6-5 [0,1,2,3,6,7]. Compiendo adesso la medesima operazione con i suoni del secondo esacordo, otteniamo la forma primaria do# re re# mi sol lab, che corrisponde al medesimo set 6 5 [0,1,2,3,6,7]. I due esacordi presentano quindi il medesimo “contenuto” in termini di altezze, e sono correlati fra diloroper inversione:inmodoparticolare,tra do si sib la fa# fa la forma primaria del primo esacordo espressa con il nome dei suoni e do# re re# mi sol lab, vi è una relazione di inversione con trasposizione +1 (da do a do#).60

58 Il mantenimento dei principi peculiari della musica tonale nelle sue opere dodecafoniche costò a Schoenberg aspre critiche da parte di quei compositori che, nel secondo dopoguerra, tentarono di dar vita ad un nuovo linguaggio che, basandosi proprio sulla musica seriale, tagliasse definitivamente i ponti con la tradizione (cfr. oltre). È rimasto celebre, in particolare, il pamphlet scritto da Pierre Boulez nel 1952, pochi mesi dopo la morte di Schoenberg (cfr. P. Boulez, Schoenberg è morto, in Note di apprendistato, Torino, Einaudi, 1968).

59 Lester, Analytic Approaches…, cit., pp. 209 215.

60 Sono proprio le serie dodecafoniche che presentano una combinatorialità esacordale per inversione ad essere particolarmente utilizzate da Schoenberg nei suoi lavori (cfr. Ibid., p. 211).

50

: Breve guida per l’analisi della musica post-tonale 51

Tutto ciò significa che esisterà una forma seriale inversa, con una specifica trasposizione, che presenterà nel suo primo esacordo il medesimo contenuto, in termini di classi di altezze, del secondo esacordo della serie originale: questa forma seriale in effetti esiste, ed è I5.

Esempio 41: forma seriale I5

Non è quindi un caso che a b. 2, subito dopo la presentazione della forma originale della serie sotto forma di tre aggregati, venga introdotta proprio la forma seriale I5, anch’essa sotto forma di tre aggregati (cfr. Esempio 39). Così come non è affatto un caso che, per tutta la composizione, si assista unicamente alla riproposizione di queste due forme seriali e delle rispettive forme retrograde 61

Per avere un riscontro pratico delle possibilità connesse all’impiego della combinatorialità esacordale, osserviamo che cosa accade nelle bb. 25 26 del Klavierstück, laddove Schoenberg sovrappone le due forme seriali O e I5

Esempio 42: Schoenberg, Klavierstück op. 33a (bb. 25 26), esacordi sovrapposti

Come possiamo vedere, a parte l’estrema libertà con la quale viene gestita la successione dei suoni si osservi a b. 25, nella forma seriale I5, il ritorno dei suoni 1 2 3 dopo la presentazione dei suoni 4 5 6 il primo esacordo di O viene sovrapposto al primo esacordo di I5, così come a b. 26 vengono sovrapposti i rispettivi secondi esacordi. Grazie alla combinatorialità che contraddistingue questa serie, entrambe le sovrapposizioni danno origine ad un raggruppamento di dodici classi di altezze tutte diverse fra di loro. Si evitano in tal modo sovrapposizioni a breve distanza della medesima classe di altezze che avrebbero messo in eccessivo risalto questo suono in un sistema in cui va evitato nel modo più assoluto che una singola altezza possa assumere un ruolo predominante che invece si sarebbero

61 Una forma retrograda, in effetti, si limita ad invertire l’ordine di successione dei due esacordi: se essi sono combinatoriali, tale proprietà verrà mantenuta anche scambiandoli di posizione.

D. GIANNETTA

Quaderni di analisi

inevitabilmente prodotte sovrapponendo due forme seriali di una serie non combinatoriale. Ed inoltre ciascuna sovrapposizione di esacordi dà origine ad una diversa organizzazione dell’insieme cromatico che crea varietà e consente quindi al compositore di sfuggire momentaneamente alla tirannìa della serie senza comunque derogare dai principi di base del metodo dodecafonico. Peraltro, la serie dodecafonica del Klavierstück op. 33a è concepita in modo tale che, anche sovrapponendo le corrispondenti tre sotto serie, formate da quattro suoni ciascuna, delle due forme seriali O e I5 ovvero gli aggregati presentati nelle bb. 1 2 si evita comunque di produrre il raddoppio di una singola classe di altezze. Ne abbiamo una dimostrazione nelle bb. 10-11 laddove, con uno splendido effetto a “chiasmo”, le due forme seriali vengono scambiate fra i due pentagrammi, presentandole la seconda volta in forma retrograda. 62

Esempio 43: Schoenberg, Klavierstück op. 33a (bb. 10 11), sotto serie sovrapposte

62 L’argomento della combinatorialià esacordale è ripreso e approfondito, in questo volume, nel saggio di Luigi Sassone, Procedimenti seriali in The Turn of the Screw di Benjamin Britten, pp. 88 93.

52

7. Oltre la dodecafonia

Simmetrie notevoli

Se l’interpretazione schoenberghiana del metodo dodecafonico lascia spesso aperte le porte a possibili eccezioni in merito al trattamento della successione dei suoni della serie, la stessa cosa non vale per Anton Webern, compositore la cui produzione rivela un rigore impressionante che richiama alla mente la tradizione contrappuntistica della scuola fiamminga argomento su cui Webern basò, non a caso, la propria tesi di dottorato presso l’Università di Vienna e, naturalmente, il magistero di Johann Sebastian Bach.

Un primo esempio significativo, da questo punto di vista, è offerto dalla Sinfonia per orchestra da camera op. 21 (1928), la cui serie dodecafonica è la seguente: Esempio 44: serie dodecafonica della Sinfonia op. 21 di Webern

Dalla serie è possibile ricavare il seguente quadrato magico: ↓ I → O 0 3 2 1 5 4 10 11 7 8 9 6 9 0 11 10 2 1 7 8 4 5 6 3 10 1 0 11 3 2 8 9 5 6 7 4 11 2 1 0 4 3 9 10 6 7 8 5 7 10 9 8 0 11 5 6 2 3 4 1 8 11 10 9 1 0 6 7 3 4 5 2 2 5 4 3 7 6 0 1 9 10 11 8 1 4 3 2 6 5 11 0 8 9 10 7 5 8 7 6 10 9 3 4 0 1 2 11 4 7 6 5 9 8 2 3 11 0 1 10 3 6 5 4 8 7 1 2 10 11 0 9 6 9 8 7 11 10 4 5 1 2 3 0 R ← RI ↑

D. GIANNETTA: Breve
53
guida per l’analisi della musica post-tonale

Quaderni di analisi

Come possiamo osservare, questo quadrato magico presenta una contro diagonale (chepartedall’ultimacasellainbassoasinistraesi concludeconlacasella in alto a destra) integralmente occupata dal valore 6 (ancora una volta il tritono, la cui importanza nel repertorio post tonale è stata più volte messa in evidenza). Si verifica una situazione di questo tipo in quanto la serie utilizzata da Webern è perfettamente simmetrica: la forma seriale R, infatti, è identica alla forma originale (entrambe sono evidenziate in grassetto nel quadrato magico), così come la forma RI è identica alla forma I. Ciò significa che di questa serie esistono soltanto 24 forme seriali, la metà di quelle disponibili solitamente.

A ben guardare, si tratta di un caso di combinatorialità esacordale, con il secondo esacordo che corrisponde al retrogrado del primo con trasposizione +6. Ma, a differenza di quanto abbiamo visto nel paragrafo precedente, in questo caso la corrispondenza fra i due esacordi non riguarda soltanto il “contenuto” ovvero le classi di altezze presenti in entrambi gli esacordi ma anche e soprattutto l’esatta successione dei suoni. È questa ricerca estrema della simmetria che caratterizza, più di ogni altro aspetto, la produzione musicale di Anton Webern.

Ne abbiamo un altro eclatante esempio con la serie del Concerto per nove strumenti op. 24 (1934):

Esempio 45: serie dodecafonica del Concerto op. 24 di Webern

Questa serie viene suddivisa, nel corso della composizione, in quattro sotto serie, ciascuna delle quali formata da tre suoni: tenendo conto di questo, il corrispondente quadrato magico verrà realizzato evidenziando i sotto-quadrati formati da tre celle per lato.

Dall’esame del quadrato magico (vedi pagina seguente) emergono alcuni aspetti interessanti, come la presenza di una piccola contro diagonale basata sul valore 6 (si osservino le caselle più scure) all’interno di determinati sotto quadrati.

Vi sono poi quattro forme seriali, evidenziate da una freccia (O, R4, I1 e RI9), che presentano una grande affinità: in esse ritroviamo infatti le medesime sequenze numeriche che contraddistinguono le quattro sotto serie della serie originale ([0-113], [4 8 7], [9 5 6] e [1 2 10]), ma con una diversa successione 63

Nella forma seriale R4, ad esempio, si comincia con la sotto serie [4-8-7] (che era la seconda nella forma originale), segue poi [0-11-3] (che era la prima in O), quindi [1 2 10] (che era la quarta in precedenza) e infine [9 5 6] (che era la terza).

63 Cfr. Lester, Analytic Approaches…, cit., p. 221. La diversa numerazione delle forme seriali, rispetto a quelle indicate da Lester, è la diretta conseguenza di quanto affermato a p. 43, n. 54.

54

Un analogo rimescolamento avviene nelle forme seriali I1 e RI9, come la seguente tabella cerca di dimostrare evidenziando la posizione “migrante” della prima sotto serie [0-11-3]:

prima sotto serie seconda sotto serie terza sotto serie quarta sotto serie forma originale [0-11-3] [4-8-7] [9-5-6] [1-2-10] forma R4 [4-8-7] [0-11-3] [1-2-10] [9-5-6] forma RI9 [9-5-6] [1-2-10] [0-11-3] [4-8-7] forma I1 [1 2 10] [9 5 6] [4 8 7] [0 11 3]

Tutto ciò avviene perché le quattro sotto serie sono, in realtà, quattro diverse configurazioni di un’unica cellula melodica. Prendiamo ad esempio la prima sotto serie [0-11-3] e confrontiamola con la quarta [1 2 10]: Esempio 46: confronto tra la prima e la quarta sotto serie del Concerto op. 24

Se numerassimo la quarta sotto serie assegnando il valore 0 alla nota do, otterremmo la sequenza numerica [0-1-9]: essa rappresenta l’inversione della prima sotto serie [0 11 3], come possiamo verificare con un semplice calcolo.

D. GIANNETTA:
55
Breve guida per l’analisi della musica post-tonale
↓ I I11 I3 I4 I8 I7 I9 I5 I6 I1 I2 I10 → O 0 11 3 4 8 7 9 5 6 1 2 10 R10 O1 1 0 4 5 9 8 10 6 7 2 3 11 R11 O9 9 8 0 1 5 4 6 2 3 10 11 7 R7 O8 8 7 11 0 4 3 5 1 2 9 10 6 R6 O4 4 3 7 8 0 11 1 9 10 5 6 2 R2 O5 5 4 8 9 1 0 2 10 11 6 7 3 R3 O3 3 2 6 7 11 10 0 8 9 4 5 1 R4 O7 7 6 10 11 3 2 4 0 1 8 9 5 R5 O6 6 5 9 10 2 1 3 11 0 7 8 4 R4 ← O11 11 10 2 3 7 6 8 4 5 0 1 9 R9 O10 10 9 1 2 6 5 7 3 4 11 0 8 R8 O2 2 1 5 6 10 9 11 7 8 3 4 0 R RI2 RI1 RI5 RI6 RI10 RI9 RI11 RI7 RI8 RI3 RI4 RI ↑

Quaderni di analisi 12 12

forma originale 0 11 3 forma inversa 0 1 9

Confrontiamo adesso la prima sotto serie [0 11 3] con la terza [9 5 6]:

Esempio 47: confronto tra la prima e la terza sotto serie del Concerto op. 24

Numeriamo adesso il secondo gruppo di suoni assegnando il valore 0 all’ultima nota fa: siottienecosì[3 11 0],cherappresentala retrogradazione dellaprima sotto serie [0-11-3].

Per concludere, confrontiamo la prima sotto serie [0 11 3] con la seconda [4 8 7]:

Esempio 48: confronto tra la prima e la seconda sotto serie del Concerto op. 24

Numeriamo il secondo gruppo di suoni assegnando il valore 0 all’ultima nota fa# e otteniamo così [9-1-0], ovvero il retrogrado della forma inversa [0-1-9], e quindi il retrogrado inverso della prima sotto serie.

La prima sotto serie, quindi, viene gestita in questa composizione come se si trattasse di una serie dodecafonica in miniatura, applicando ad essa le medesime operazioni (inversione, retrogradazione e inversione del retrogrado) che sono normalmente riservate ad una serie completa. Le diverse disposizioni geometriche della sotto serie [0-1-3] emergono anche osservando il quadrato magico, e in particolare i quattro gruppi di caselle evidenziati con un bordo più spesso.

Tuttociòrappresentaunaperfettasintesifrala tecnica dodecafonica eletecniche peculiari della tradizione musicale tedesca: pensiamo ad esempio alle fughe di Bach e in particolare a quelle che contraddistinguono opere come l’Offerta musicale BWV 1079 (1747) e l’Arte della fuga BWV 1080 (1747-1750) per giungere infine ai principi di elaborazione motivico tematica su cui si basano le opere di Haydn, Beethoven (Quartetto per archi op. 135) e Brahms.

56

L’omaggio a Bach

È estremamente interessante osservare come di tanto in tanto, nelle composizioni dodecafoniche degli esponenti della Seconda scuola di Vienna, affiori un implicito omaggio a Bach espresso in termini puramente musicali.

Ne abbiamo un primo riscontro osservando la serie della Suite op. 25 di Schoenberg: leggendo le ultime quattro note in senso retrogrado emerge infatti la successione sib la do si, la quale, secondo la notazione alfabetica in uso nei paesi di lingua tedesca, corrisponde alle lettere B-A-C-H.64

Esempio 49: serie dodecafonica della Suite op. 25 (1923) di Schoenberg

Un casoancora più affascinante e sofisticatosi verificatuttavia nel Quartetto per archi op. 28 (1938) di Webern, laddove la sigla B A C H non si ricava direttamente dalla forma originale della serie, ma corrisponde alle ultime quattro altezze, lette in senso retrogrado,delle forme seriali IedR,comeillustrailcorrispondente quadrato magico:

I

O sol solb la lab do do# sib si mib re fa mi lab sol sib la do# re si do mi mib solb fa fa mi sol solb sib si lab la do# do mib re solb fa lab sol si do la sib re do# mi mib re do# mi mib sol lab fa solb sib la do si do# do mib re solb sol mi fa la lab si sib mi mib solb fa la sib sol lab do si re do# mib re fa mi lab la solb sol si sib do# do si sib do# do mi fa re mib sol solb la lab do si re do# fa solb mib mi lab sol sib la la lab si sib re mib do do# fa mi sol solb sib la do si mib mi do# re solb fa lab sol R RI

64 Si tratta del cosiddetto “motivo BACH”, il più celebre crittogramma musicale, adoperato dallo stesso compositore in diverse sue composizioni (ad esempio come terzo soggetto del Contrapunctus XIX dell’Arte della fuga).

D. GIANNETTA:
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Breve guida per l’analisi della musica post-tonale

Quaderni di analisi

Le diverse sfumature di grigio che caratterizzano le caselle del quadrato magico mettono inoltre in evidenza una interessante proprietà geometrica, dato che i suoni compresi all’interno delle medesime fasce cromatiche danno origine a sequenze di altezze identiche, lette nelle due dimensioni, che convergono verso il suono posto al vertice.Tuttociòfasìchesiabbialasensazionechequesta serie dodecafonica tragga la sua origine proprio dalla successione sib la do si posta in basso a sinistra.

Osserviamo poi la particolare costruzione di questa serie, suddivisa in tre sotto serie di quattro suoni ciascuna, di cui la terza rappresenta la trasposizione +8 della prima, mentre la seconda ne è l’inversione o il retrogrado. Che una sotto serie possa essere al contempo l’inversione o il retrogrado di un’altra è reso possibile dal fatto che la forma originale della serie sia identica alla forma RI. 65

Ed infine, osserviamo come il primo sotto quadrato possa essere “ruotato” su sé stesso dando origine ad altri sotto quadrati sulla diagonale principale:

I

O sol solb la lab lab sol sib la fa mi sol solb solb fa lab sol sol lab fa solb solb sol mi fa la sib sol lab lab la solb sol

sol solb la lab lab sol sib la fa mi sol solb solb fa lab sol R RI

Anche il terzo esponente della Seconda scuola di Vienna, Alban Berg, non ha mancato di rendere omaggio, a modo suo, a Bach.

La serie dodecafonica su cui si basa la sua ultima composizione, il Violinkonzert (1935), presenta un forte legame con la tonalità: i primi nove suoni corrispondono

65 Lester, Analytic Approaches…, cit., pp. 223 224. È proprio analizzando le serie dodecafoniche di Webern che sipuò constatare l’efficacia del modus operandi applicato in questo testo per la costruzione del quadrato magico: così come nel caso della Sinfonia op. 21 abbiamo verificato la perfetta identità tra le forme seriali O ed R, nel Quartetto op. 28 emerge invece l’identità tra le forme seriali O ed RI (nel sistema adoperato da Lester, invece, le forme seriali “gemelle” della forma originale sono classificate rispettivamente come R6 e RI9).

58

: Breve guida per l’analisi della musica post-tonale 59

infatti a quattro triadi minori e maggiori, incatenate fra di loro, le cui fondamentali peraltro coincidono con le corde vuote del violino (sol re la mi). La presenza di riferimenti tonali, del resto, si riscontra in tutta la produzione di Berg, e contraddistingue l’approccio molto personale del compositore alla dodecafonia.

Esempio 50: serie dodecafonica del Violinkonzert (1935) di Berg

Le ultime quattro altezze, si do# mib fa che corrispondono ad un frammento di scala per toni interi fanno invece riferimento all’incipit del corale Es ist genug adoperato da Bach per concludere la cantata O Ewigkeit, du Donnerwort BWV 60. Lo stesso corale viene poi citato direttamente da Berg nell’ultimo movimento del concerto, laddove viene affidato ad un coro di clarinetti.

La serialità integrale

L’estremo rigore che contraddistingue la produzione musicale dell’ultimo Webern funse da punto di riferimento per la generazione di compositori che si affacciò alla ribalta nell’immediato secondo dopoguerra (fra i quali spiccano Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen, Luigi Nono, Bruno Maderna, Luciano Berio e Henri Pousseur), e che trovò negli Internationale Ferienkurse für Neue Musik, organizzati a partire dal 1946 a Darmstadt, il naturale luogo di incontro e di confronto: non è un caso,infatti, che si definiscasolitamente questafase storicacome“avanguardia post weberniana”.

Lo stesso Igor Stravinskij (1882 1971), quando a partire dal 1952 decise di compiere il grande passo avvicinandosi gradualmente alla musica seriale dopo aver a lungo avversato la dodecafonia schoenberghiana, fu proprio alla musica di Webern che guardò con interesse.66

Il naturale sviluppo del pensiero weberniano fu la progressiva “serializzazione” di tutti i parametri musicali: dapprima la durata dei suoni, e successivamente la dinamica, i modi di attacco e il timbro.67

Il primo significativo passo verso la cosiddetta serialità integrale fu compiuto nel 1949 da Olivier Messiaen (1908 1992) con il brano Mode de valeurs et d’intensités, secondo dei Quatre Études de rythme per pianoforte.68

66

67

68

Ibid., pp. 242 252.

Ibid., pp. 264 267.

Elvidio Surian, Manuale di storia della musica, IV: Il Novecento, Milano, Rugginenti, 1996, pp. 1010 1011.

D. GIANNETTA

Quaderni di analisi

Messiaen strutturò la composizione basandosi su quattro modi: un modo melodico formato da 36 altezze; un modo delle durate composto da 24 valori di durata (dalla biscroma alla semibreve puntata); un modo degli attacchi con 12 diverse possibilità; un modo dei livelli d’intensità, con 7 diverse dinamiche.

Ciascun suono nel brano compare sempre con la medesima durata, con un determinato modo di attacco e con una precisa dinamica, e non è affatto necessario che si completi l’intera sequenza prima che possa essere ripetuto un valore precedente: è questo, essenzialmente, ciò che distingue un modo, secondo l’impostazione che ne dà Messiaen, dalla musica seriale vera e propria.

Mode de valeurs et d'intensités vennepresentatoa Darmstadt nell’estatedel1950 suscitando, nonostante la sostanziale monotonia del brano, il fortissimo interesse di due giovani compositori, Pierre Boulez (1925 2016, già allievo di Messiaen) e Karl Heinz Stockhausen (1928 2007), che intravidero nella tecnica adoperata da Messiaen l’intuizione giusta per portare a compimento la rivoluzione culturale avviata da Schoenberg quasi 30 anni prima.

Il primo significativo risultato di questa nuova stagione creativa fu Polyphonie X (1951) per 18 strumenti di Boulez, la prima composizione in cui ogni parametro (altezze, durata, timbro, attacchi e dinamiche) viene rigorosamente “serializzato”: il discorso musicale si presenta estremamente frammentato, e ciascun singolo suono si riduce di fatto ad un “punto” isolato, dando origine ad una concezione puntillistica della scrittura musicale, anch’essa del resto già ampiamente prefigurata nelle ultime composizioni di Anton Webern.69

Nel 1952 Boulez presenta invece Structures I per due pianoforti, un brano se possibile ancora più rigoroso dal punto di vista dell’organizzazione seriale di tutti i parametri musicali: il compositore rende omaggio al suo maestro ricavando la serie fondamentale delle altezze da Mode de valeurs et d’intensités.70

L’eccessivo rigore di questa tecnica compositiva portò tuttavia, nel giro di pochissimi anni, al suo completo superamento, e favorì al contempo l’affermarsi di una concezione diametralmente opposta: dall’iperdeterminismo della serialità integrale si passò infatti all’indeterminazione posta alla base della musica aleatoria introdotta in Europa da John Cage (1912 1992), il primo compositore americano capace di imporre la sua personale estetica nel vecchio continente.71

69 Ibid., p. 1012. 70 Ibid. 71 Azzaroni, Canone infinito , cit., p. 275.

60

APPENDICE

Classificazione degli insiemi di classi di altezze

La tabella seguente elenca i set soltanto quelli formati da un minimo di tre ad un massimodisette classi di altezze secondolaclassificazionepropostadaAllenForte che è considerata di riferimento nella musicologia internazionale.

Per ciascun insieme di classi di altezze viene indicato: il nome del set (detto anche Forte’s name), nell’ambito del quale il primo valore numerico indica quante classi di altezze siano contenute nel set, e il secondo la sua catalogazione fra tutti gli insiemi che presentano quel determinato numero di classi di altezze (i set sono ordinati in funzione della propria forma primaria); la forma primaria, ovvero la successione più compatta possibile degli intervalli che compongono il set; l’eventuale ordine normale dell’inversione: questo dato viene riportato a differenza di quanto accadenell’elenco proposto da Forte soltanto nel caso in cui non coincida con la forma primaria, per agevolare lo studioso risparmiandogli un’ulteriore operazione, altrimenti la casella è vuota; il vettore intervallare; l’eventuale armonia tonale (triade, settima, nona, accordo alterato…), o struttura scalare, a cui corrisponde il set in questione; in questa casella viene anche riportata, laddove presente, la forma primaria alternativa per lo stesso set ottenuta da John Rahn applicando un diverso algoritmo.1

nome del set forma primaria ordine normale inversione (ev.) vettore intervallare armonia tradizionale corrispondente (ev.)

3-1 0,1,2 210000

3-2 0,1,3 0,2,3 111000

3 3 0,1,4 0,3,4 101100

3 4 0,1,5 0,4,5 100110

3 5 0,1,6 0,5,6 100011

3-6 0,2,4 020100

3-7 0,2,5 0,3,5 011010

3-8 0,2,6 0,4,6 010101 sesta aumentata italiana

3 9 0,2,7 010020

3 10 0,3,6 002001 triade diminuita

3 11 0,3,7 0,4,7 001110 triade maggiore/minore

3-12 0,4,8 000300 triade aumentata

1 John Rahn, Basic Atonal Theory, New York, Schirmer Books, 1987.

4 1 0,1,2,3 321000

4 2 0,1,2,4 0,2,3,4 221100

4-3 0,1,3,4 212100

4-4 0,1,2,5 0,3,4,5 211110

4-5 0,1,2,6 0,4,5,6 210111

4 6 0,1,2,7 210021

4 7 0,1,4,5 201210

4 8 0,1,5,6 200121

4-9 0,1,6,7 200022

4-10 0,2,3,5 122010

4-11 0,1,3,5 0,2,4,5 121110

4 12 0,2,3,6 0,3,4,6 112101

4 13 0,1,3,6 0,3,5,6 112011

4 14 0,2,3,7 0,4,5,7 111120

4 Z15 0,1,4,6 0,2,5,6 111111

4-16 0,1,5,7 0,2,6,7 110121

4-17 0,3,4,7 102210

4 18 0,1,4,7 0,3,6,7 102111

4 19 0,1,4,8 0,3,4,8 101310 settima di 6a/7a specie

4 20 0,1,5,8 101220 settima di 4a specie

4-21 0,2,4,6 030201

4-22 0,2,4,7 0,3,5,7 021120

4-23 0,2,5,7 021030

4-24 0,2,4,8 020301

4 25 0,2,6,8 020202 sesta aumentata francese

4 26 0,3,5,8 012120 settima di 2a specie

4 27 0,2,5,8 0,3,6,8 012111 settima di 1a/3a specie

4-28 0,3,6,9 004002 settima diminuita 4-Z29 0,1,3,7 0,4,6,7 111111

5-1 0,1,2,3,4 432100

5 2 0,1,2,3,5 0,2,3,4,5 332110

5 3 0,1,2,4,5 0,1,3,4,5 322210

5 4 0,1,2,3,6 0,3,4,5,6 322111

5-5 0,1,2,3,7 0,4,5,6,7 321121

5-6 0,1,2,5,6 0,1,4,5,6 311221

5-7 0,1,2,6,7 0,1,5,6,7 310132

5 8 0,2,3,4,6 232201

5 9 0,1,2,4,6 0,2,4,5,6 231211

5 10 0,1,3,4,6 0,2,3,5,6 223111

62 Quaderni
di analisi

5 11 0,2,3,4,7 0,3,4,5,7 222220

5 Z12 0,1,3,5,6 222121

5-13 0,1,2,4,8 0,2,3,4,8 221311

5-14 0,1,2,5,7 0,2,5,6,7 221131

5 15 0,1,2,6,8 220222

5 16 0,1,3,4,7 0,3,4,6,7 213211

5 Z17 0,1,3,4,8 212320

5 Z18 0,1,4,5,7 0,2,3,6,7 212221

5-19 0,1,3,6,7 0,1,4,6,7 212122

5-20 0,1,3,7,8 0,1,5,7,8 211231 (anche 0,1,5,6,8/0,2,3,7,8)

5-21 0,1,4,5,8 0,3,4,7,8 202420

5 22 0,1,4,7,8 202321

5 23 0,2,3,5,7 0,2,4,5,7 132130

5 24 0,1,3,5,7 0,2,4,6,7 131221

5-25 0,2,3,5,8 0,3,5,6,8 123121

5-26 0,2,4,5,8 0,3,4,6,8 122311

5-27 0,1,3,5,8 0,3,5,7,8 122230

5 28 0,2,3,6,8 0,2,5,6,8 122212

5 29 0,1,3,6,8 0,2,5,7,8 122131

5 30 0,1,4,6,8 0,2,4,7,8 121321

5-31 0,1,3,6,9 0,2,3,6,9 114112 nona di dominante minore

5-32 0,1,4,6,9 0,3,5,8,9 113221

5-33 0,2,4,6,8 040402

5-34 0,2,4,6,9 032221 nona di dominante maggiore

5 35 0,2,4,7,9 032140 scala pentatonica

5 Z36 0,1,2,4,7 0,3,5,6,7 222121

5 Z37 0,3,4,5,8 212320

5-Z38 0,1,2,5,8 0,3,6,7,8 212221

6-1 0,1,2,3,4,5 543210

6 2 0,1,2,3,4,6 0,2,3,4,5,6 443211

6 Z3 0,1,2,3,5,6 0,1,3,4,5,6 433221

6 Z4 0,1,2,4,5,6 432321

6 5 0,1,2,3,6,7 0,1,4,5,6,7 422232

6-Z6 0,1,2,5,6,7 421242

6-7 0,1,2,6,7,8 420243

6 8 0,2,3,4,5,7 343230

6 9 0,1,2,3,5,7 0,2,4,5,6,7 342231

6 Z10 0,1,3,4,5,7 0,2,3,4,6,7 333321

6 Z11 0,1,2,4,5,7 0,2,3,5,6,7 333231

APPENDICE: Classificazione
classi
63
degli insiemi di
di altezze

6 Z12 0,1,2,4,6,7 0,1,3,5,6,7 332232

6 Z13 0,1,3,4,6,7 324222

6-14 0,1,3,4,5,8 0,3,4,5,7,8 323430

6-15 0,1,2,4,5,8 0,3,4,6,7,8 323421

6 16 0,1,4,5,6,8 0,2,3,4,7,8 322431

6 Z17 0,1,2,4,7,8 0,1,4,6,7,8 322332

6 18 0,1,2,5,7,8 0,1,3,6,7,8 322242

6 Z19 0,1,3,4,7,8 0,1,4,5,7,8 313431

6-20 0,1,4,5,8,9 303630

6-21 0,2,3,4,6,8 0,2,4,5,6,8 242412

6-22 0,1,2,4,6,8 0,2,4,6,7,8 241422

6 Z23 0,2,3,5,6,8 234222

6 Z24 0,1,3,4,6,8 0,2,4,5,7,8 233331

6 Z25 0,1,3,5,6,8 0,2,3,5,7,8 233241

6-Z26 0,1,3,5,7,8 232341

6-27 0,1,3,4,6,9 0,3,5,6,8,9 225222

6-Z28 0,1,3,5,6,9 224322

6 Z29 0,1,3,6,8,9 224232 (anche 0,2,3,6,7,9)

6 30 0,1,3,6,7,9 0,2,3,6,8,9 224223

6 31 0,1,3,5,8,9 0,1,4,6,8,9 223431 (anche 0,1,4,5,7,9/0,2,4,5,8,9)

6-32 0,2,4,5,7,9 143250

6-33 0,2,3,5,7,9 0,2,4,6,7,9 143241 undicesima di dominante 6-34 0,1,3,5,7,9 0,2,4,6,8,9 142422 6-35 0,2,4,6,8,10 060603 scala per toni interi

6 Z36 0,1,2,3,4,7 0,3,4,5,6,7 433221

6 Z37 0,1,2,3,4,8 432321

6 Z38 0,1,2,3,7,8 421242

6-Z39 0,2,3,4,5,8 0,3,4,5,6,8 333321

6-Z40 0,1,2,3,5,8 0,3,5,6,7,8 333231

6-Z41 0,1,2,3,6,8 0,2,5,6,7,8 332232

6 Z42 0,1,2,3,6,9 324222

6 Z43 0,1,2,5,6,8 0,2,3,6,7,8 322332

6 Z44 0,1,2,5,6,9 0,3,4,7,8,9 313431

6 Z45 0,2,3,4,6,9 234222

6-Z46 0,1,2,4,6,9 0,3,5,7,8,9 233331

6-Z47 0,1,2,4,7,9 0,2,5,7,8,9 233241

6 Z48 0,1,2,5,7,9 232341

6 Z49 0,1,3,4,7,9 224322

6 Z50 0,1,4,6,7,9 224232

64 Quaderni
di analisi

7 1 0,1,2,3,4,5,6 654321

7 2 0,1,2,3,4,5,7 0,2,3,4,5,6,7 554331

7-3 0,1,2,3,4,5,8 0,3,4,5,6,7,8 544431

7-4 0,1,2,3,4,6,7 0,1,3,4,5,6,7 544332

7 5 0,1,2,3,5,6,7 0,1,2,4,5,6,7 543342

7 6 0,1,2,3,4,7,8 0,1,4,5,6,7,8 533442

7 7 0,1,2,3,6,7,8 0,1,2,5,6,7,8 532353

7 8 0,2,3,4,5,6,8 454422

7-9 0,1,2,3,4,6,8 0,2,4,5,6,7,8 453432

7-10 0,1,2,3,4,6,9 0,2,3,4,5,6,9 445332

7-11 0,1,3,4,5,6,8 0,2,3,4,5,7,8 444441

7 Z12 0,1,2,3,4,7,9 444342

7 13 0,1,2,4,5,6,8 0,2,3,4,6,7,8 443532

7 14 0,1,2,3,5,7,8 0,1,3,5,6,7,8 443352

7-15 0,1,2,4,6,7,8 442443

7-16 0,1,2,3,5,6,9 0,1,3,4,5,6,9 435432

7-Z17 0,1,2,4,5,6,9 434541

7 Z18 0,1,2,3,5,8,9 0,1,4,6,7,8,9 434442 (anche 0,1,4,5,6,7,9)

7 19 0,1,2,3,6,7,9 0,1,2,3,6,8,9 434343

7 20 0,1,2,4,7,8,9 0,1,2,5,7,8,9 433452 (anche 0,1,2,5,6,7,9)

7-21 0,1,2,4,5,8,9 0,1,3,4,5,8,9 424641

7-22 0,1,2,5,6,8,9 424542

7-23 0,2,3,4,5,7,9 0,2,4,5,6,7,9 354351

7-24 0,1,2,3,5,7,9 0,2,4,6,7,8,9 353442

7 25 0,2,3,4,6,7,9 0,2,3,5,6,7,9 345342

7 26 0,1,3,4,5,7,9 0,2,4,5,6,8,9 344532

7 27 0,1,2,4,5,7,9 0,2,4,5,7,8,9 344451

7-28 0,1,3,5,6,7,9 0,2,3,4,6,8,9 344433

7-29 0,1,2,4,6,7,9 0,2,3,5,7,8,9 344352

7-30 0,1,2,4,6,8,9 0,1,3,5,7,8,9 343542

7 31 0,1,3,4,6,7,9 0,2,3,5,6,8,9 336333

7 32 0,1,3,4,6,8,9 0,1,3,5,6,8,9 335442

7 33 0,1,2,4,6,8,10 262623

7 34 0,1,3,4,6,8,10 254442 scala acustica

7-35 0,1,3,5,6,8,10 254361 scala diatonica

7-Z36 0,1,2,3,5,6,8 0,2,3,5,6,7,8 444342

7 Z37 0,1,3,4,5,7,8 434541

7 Z38 0,1,2,4,5,7,8 0,1,3,4,6,7,8 434442

APPENDICE: Classificazione
65
degli insiemi di classi di altezze

SIMMETRIA ED EQUILIBRIO NEL QUADERNO MUSICALE DI ANNALIBERA

L’approdo alla musica dodecafonica come sostenuto dal suo stesso inventore, il compositore austriaco Arnold Schoenberg (1874 1951) può essere considerato la mera conseguenza di quanto accadde tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo in Europa: dopo oltre due secoli di musica tonale, infatti, le varie sperimentazioni dei compositori sia nell’ambito del progressivo allentamento della sintassi armonica tradizionale (tonalità sospesa, atonalità) che in quello delle proposte alternative che condussero infine alla neo tonalità determinarono la dissoluzione del sistema armonico di riferimento per creare nuovi modelli, i quali ovviamente, pur dimostrandosi eredi di quelli precedenti, dagli stessi avevano necessità di distaccarsi.1

Già durante il Romanticismo (anzi, in alcuni casi con l’ultimo Beethoven) vi era stato l’allontanamento da quei rapporti tonali che avevano caratterizzato tutto il periodo classico: esempio lampante di ciò era stata la sostituzione delle relazioni di quinta (derivate dal rapporto tonica dominante) con le affinità di terza. 2 Ciò aveva significato che, se inizialmente la tonalità che si contrapponeva a quella di impianto ovvero la tonalità artefice della tensione da risolvere prima della conclusione del brano era quella del V grado, durante il Romanticismo fu quella del III grado a prendere il sopravvento. Tutto questo, ovviamente, venne amplificato ulteriormente durante il tardo romanticismo quando, oltre alle affinità di terza, si svilupparono altre tipologie di rapporti.

In area tedesca, il compositore che nel XIX secolo si distinse maggiormente per la sua carica rivoluzionaria fu Richard Wagner (1813 1883), con il suo uso estremo di cromatismi e accordi che non potevano essere spiegati con nessuno degli schemi tradizionali: l’essenza della sua musica, e del cambiamento da essa portato, è sintetizzata in un unico accordo, il cosiddetto ‘accordo del Tristano’ (chiamato così poiché corrisponde alla prima armonia presente nell’opera Tristan und Isolde), talmente particolare da non poter essere identificato in altro modo 3

L’accordo si presenta con la seguente disposizione:

1 Su questo argomento cfr., in questo volume, Domenico Giannetta, Breve guida per l’analisi della musica post tonale, pp. 3 19.

2 Sul concetto di affinità di terza, cfr. Diether de la Motte, Manuale di armonia, Roma, Astrolabio, 2007, pp. 213 225.

3 Ibid., pp. 292 295.

Nonostantesia formato da quattro suoni, non può essereconsideratoun canonico accordo di settima, in quanto è composto da una triade minore (sol# si re#) e da un intervallo di settima diminuita (sol# fa). Le interpretazioni che, nel tempo, i teorici hanno tentato di fornire per rendere più agevole la descrizione di questo accordo, hanno raggiunto un unico risultato: non è possibile classificarlo seguendo i modelli precedenti,in quanto esso e, piùin generale, tutta la composizione da cui èricavato non risponde alla sintassi armonica tradizionale ma asseconda i principi della tonalità allargata

L’esempio fornito può essere utile per comprendere come pochi decenni dopo, nel panorama musicale delprimo Novecento tedesco,irapporti sintattici etonali non fossero più posti alla base della composizione di un brano musicale: era questo il contesto in cui in seguito all’avvento della tonalità allargata e poi della tonalità sospesa, e alla conseguente saturazione dello spazio cromatico hanno preso vita le innovazioni dellaSecondascuoladi Vienna,destinateacambiareil corsodella storia della musica per sempre.

Per diverso tempo si è fatta confusione tra musica atonale e musica dodecafonica, probabilmente per via della comune origine riconducibile alla cerchia formata da Arnold Schoenberg e dai suoi allievi Alban Berg ed Anton von Webern, ma in realtà si tratta di sistemi molto diversi tra loro poiché, nonostante siano entrambi “dodecafonici” (ovvero basati sull’impiego regolare di tutti i dodici suoni della scala cromatica in condizioni di pari importanza), l’atonalità non fornisce regole, ma si basa essenzialmente sulla “negazione” dei principi tonali; la dodecafonia, invece, sfrutta le potenzialità di una successione di dodici suoni (ovvero la serie) in modo assolutamente rigoroso e quasi matematico.4

Una volta compresi i princìpi che stanno alla base dei due sistemi, ci si potrebbe chiedere il motivo per cui, data l’impossibilità di creare composizioni corpose e importanti a causa dellamancanza di regole definite nell’atonalità, non si sia arrivati prima alla codificazione del metodo dodecafonico, considerando anche le numerose affinità fra i due approcci. La risposta non è del tutto scontata, ed infatti trascorsero ben nove anni (1914 1923, ovvero il periodo del cosiddetto “silenzio creativo” di

4 Per approfondimenti riguardo l’atonalità e la dodecafonia, cfr. Giannetta, Breve guida…, cit., pp. 6

70
Esempio 1: Richard Wagner, Tristan und Isolde, Preludio (bb. 1 3)
9 e 35

Schoenberg) prima che prendesse corpo il «metodo di composizione con dodici note poste in relazione soltanto l’una con l’altra».5

Il problema non si riscontrava tanto nell’identificazione del “numero” dei suoni da prendere in considerazione che era ovvio, dato il principio dello sfruttamento intensivo di tutte le risorse sonore a disposizione, dovessero essere dodici6 bensì nella “disposizione” che essi dovevano avere per evitare gerarchie e, quindi, l’eventuale creazione di un punto di riferimento che potesse ricordare la tonica.

L’intuizione decisiva non è forse da attribuire al maestro, quanto piuttosto all’allievo,poichéfuWebern allalucedeisuoistudimusicologicinell’ambitodella musica polifonica dal Quattrocento al Settecento a suggerire probabilmente al suo mentore di utilizzare gli artifici contrappuntistici tipici dei compositori fiamminghi e di Johann Sebastian Bach.

Nacquero così le quattro “operazioni” tipiche della musica dodecafonica, sintetizzate poi nella costruzione del cosiddetto quadrato magico:7

1. trasposizione

2. inversione (I)

3. retrogradazione (R)

4. inversione del retrogrado (RI)

La musica composta nell’ambito della dodecafonia dagli esponenti della Seconda scuola di Vienna è stata indubbiamente varia, poiché i compositori sono riusciti a declinare le regole generali all’interno di contesti più personali e più liberi, fatta eccezione per Webern: quest’ultimo lo stesso che ispirerà, nella seconda metà del secolo,imusicisti radunati a Darmstadte li porteràacrearelacosiddetta serialità integrale fu talmente rigoroso da comporre brani che, per rispettare esattamente i princìpi sottesi al sistema, consistevano spesso di pochi suoni “disseminati” sul pentagramma, quasi come se si trattasse di singoli micro eventi musicali, tanto che negli anni la sua musica venne definita “puntillista”. Il rigore che lo ha caratterizzato non si riscontra soltanto nell’aspetto formale delle composizioni, bensì anche ad un livello più profondo, e nello specifico nella configurazione del quadrato magico: in effetti, all’interno di quest’ultimo si ritrovano numerosissime simmetrie numeriche, costruzioni interne, sottogruppi, che rendono la composizione ancora più complessa e difficile da analizzare.8

5 Questa espressione, con la quale il compositore era solito definire la nuova tecnica compositiva, appare in Arnold Schoenberg, Composizionecon dodici note, in Stileeidea, Milano, Feltrinelli, 1982, pp. 105 140: 110 (il saggio è a sua volta ricavato da una conferenza tenuta presso l’Università di California Los Angeles il 26 marzo 1941).

6 In effetti, già altri compositori del periodo, tra cui Josef Matthias Hauer (1883 1859), compositore e musicologo contemporaneo a Schoenberg, avevano ipotizzato un nuovo modo di comporre che fosse basato su un’unica serie di dodici suoni, in modo tale che nessuno prevalesse sugli altri

7 Per la costruzione e l’impiego del quadrato magico per l’analisi della musica dodecafonica, cfr. Giannetta, Breve guida…, cit., pp. 40 43.

8 Ibid., pp. 53 56.

M.
D’AGOSTINO: Simmetria ed equilibrio nel Quaderno musicale di Annalibera 71

Quaderni di analisi

Per molto tempo si è pensato che tutto ciò fosse una prerogativa esclusiva di Webern; in realtà, sono presenti numerosissimi esempi di altri compositori che, pur nell’ombra, hanno sfruttato i modelli viennesi e, nello specifico, weberniani, per la creazione delle loro opere, arrivando a risultati decisamente sorprendenti.

Uno dei compositori in questione è Luigi Dallapiccola (1904 1975) il primo musicistaitalianoadadottareilmetodododecafoniconeisuoilavori delqualeverrà analizzatoil quadrato magico ricavatodalla serie sucuisibasail Quaderno musicale di Annalibera.

Prima di focalizzare l’attenzione sull’aspetto analitico, però, occorre contestualizzare l’opera: si tratta di un insieme di undici brevi brani pianistici, composti nel 1952 in occasione del Pittsburgh International Contemporary Music Festival e dedicati alla figlia del compositore, Annalibera. Ciò che sembrerebbe atipica è la collocazione temporale di quest’opera, che si dimostra essere uno dei più importanti lavori dodecafonici italiani ma, contemporaneamente, uno dei primi: in effetti, la dodecafonia era nata ufficialmente nel 1923 con la Suite für Klavier op. 25 di Schoenberg, ed erano trascorsi quindi molti anni da quella data. Questo non dovrebbe, però, stupire, se si considera la condizione musicale italiana all’inizio del XX secolo: la penisola, un tempo frammentata in tante scuole e altrettante idee, nell’Ottocento aveva circoscritto quasi completamente la sua produzione musicale all’ambito operistico, e questo aveva fatto sì che i suoi esponenti venissero in gran parte esclusi dalle innovazioni che avevano caratterizzato il Romanticismo e, ancor di più, l’epoca tardo romantica in Europa.

Fu solo negli ultimissimi anni del XIX secolo che l’immobilismo iniziò a dissolversi, ed il merito è stato principalmente di un gruppo di quattro musicisti, passati allastoria conil nome di ‘generazione dell’Ottanta’ (in quanto tutti eranonati intorno agli anni ’80 del 1800): Ottorino Respighi, Ildebrando Pizzetti, Gianfrancesco Malipiero e Alfredo Casella riuscirono ad avvicinarsi tanto alla neo modalità (basti pensare, ad esempio, che Respighi, tra i suoi lavori, annovera un Concerto in modo misolidio) quanto all’atonalità (come dimostra, per esempio, il Secondo Concerto per violino e orchestra di Malipiero), aprendo la strada a sperimentazioni più spinte, attuate non solo da loro, ma anche e soprattutto dai compositori della generazione successiva, tra cui lo stesso Luigi Dallapiccola. Nello specifico, Dallapiccola fu un grande rappresentante italiano anche di quello che si può definire neo madrigalismo, 9 ovvero di quella corrente che voleva riportare alla luce le composizioni e le tecniche del Seicento e del Settecento italiano riorganizzandole in chiave moderna, come ad esempio tramite la stessa dodecafonia schoenberghiana.10 L’unionetra questi due aspetti hadato vitaal Quaderno musicale

9 Su questo argomento, cfr. www.sapere.it/sapere/strumenti/studiafacile/musica/La nuova musica dell avanguardia/La nuova musica dell avanguardia/Dodecafonia e sperimentazione nella nuova musica italiana.html, pagina web consultata in data 13/09/2020.

10 Vi è una significativa differenza nell’applicazione del metodo dodecafonico da parte dei tre compositori della Seconda scuola di Vienna: nelle composizioni di Schoenberg (e ancor di più in quelle

72

di Annalibera, che risulta essere un chiaro omaggio ad entrambi i mondi: a quello moderno, per il metodo compositivo utilizzato, e a quello barocco per via dei vari riferimenti a Bach, come suggeriscono sia il titolo (Bach, in effetti, aveva composto, per sua moglie, il Quaderno di Anna Magdalena Bach), sia l’utilizzo molto spinto del contrappunto, sia il ‘motivo BACH’ (sib la do si), che rappresenta il “simbolo” nascosto del primo degli undici brani (che si intitola, per l’appunto, Simbolo).11

Se, tuttavia, i brani sono organizzati in modo “schoenberghiano”, ovvero sfruttando una maggiore libertà (come si vedrà in seguito con l’analisi di Accenti, secondo brano della raccolta), e non mancano al contempo i riferimenti al passato barocco, si scorge anche una forte influenza di Webern nella costruzione del quadrato magico

L’esempio seguente mostra la serie fondamentale della suite:

Esempio 2: Luigi Dallapiccola, serie dodecafonica del Quaderno musicale di Annalibera

Applicandola notazione con zero mobile,eprendendocomepuntodiriferimento il suono la#, si ottiene la seguente tabella di conversione:12

la#/sib si do do#/reb re re#/mib mi fa fa#/solb sol sol#/lab la 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

Nella pagina seguente viene presentato il quadrato magico, realizzato prima con i numeri, e poi trasformando i numeri nelle classi di altezze corrispondenti: di Berg), in effetti, si riscontra una maggiore libertà, mentre l’approccio di Webern è preciso ed estremamente rigoroso Da questo punto di vista è indubbio che Dallapiccola si avvicini maggiormente alla dodecafonia di Schoenberg.

11 La comprensione del ‘motivo BACH’, tuttavia, non è del tutto immediata, in quanto non viene presentato in modo originale, bensì trasposto: nella voce più acuta della mano destra, infatti, si avvicendano le note mib re fa mi, che corrispondono ai numeri [3 2 5 4]; questi ultimi diventeranno [0-11-2-1] (ovvero sib la do si) solo trasponendo la prima sotto serie di 9 semitoni (cfr. Enrico Tricarico, Analisi del Quaderno musicale di Annalibera di Luigi Dallapiccola, Noto, Studiomusicalicata, 2015, pp. 3 4).

12 Per la notazionecon zero mobile, cfr. Giannetta, Breve guida…, cit., p. 22; per il concetto di tabella di conversione cfr. Ibid., p. 37.

M.
D’AGOSTINO: Simmetria ed equilibrio nel Quaderno musicale di Annalibera 73

la#/ sib si fa#/ solb re#/ mib sol#/ lab re sol do#/ reb fa la do mi R6

11 la la#/ sib fa re sol do#/ reb fa#/ solb do mi sol#/ lab si re#/ mib R5 O4 re re#/ mib la#/ sib sol do fa#/ solb si fa la do#/ reb mi re#/ mib R10 O7 fa fa#/ solb do#/ reb la#/ sib re#/ mib la re sol#/ lab do mi sol sol# lab R1 O2 do do#/ reb sol#/ lab fa la#/ sib mi la re#/ mib sol si re si R8

O8 fa#/ solb sol re si mi la#/ sib re#/ mib la do#/ reb fa sol#/ lab fa#/ solb R2

O3 do#/ reb re la fa#/ solb si fa la#/ sib mi sol#/ lab do re#/ mib do R9

O9 sol sol# lab re#/ mib do fa si mi la#/ sib re fa#/ solb la sol R3 O5 re#/ mib mi si sol#/ lab do#/ reb sol do fa#/ solb la#/ sib re fa do#/ reb R11

O1 si do sol mi la re#/ mib sol#/ lab re fa#/ solb la#/ sib do#/ reb la R7

O10 sol#/ lab la mi do#/ reb fa#/ solb do fa si re#/ mib sol la#/ sib re R4

O6 mi fa do la re sol#/ lab do#/ reb sol si re#/ mib fa#/ solb la#/ sib R RI6 RI7 RI2 RI11 RI4 RI10 RI3 RI9 RI1 RI5 RI8 RI

74 Quaderni di analisi Tabella
I I1 I8 I5 I10 I4 I9 I3 I7 I11
2
6 O 0 1 8 5 10 4 9 3 7 11 2 6 R6 O11 11 0 7 4 9 3 8 2 6 10 1 5 R5 O4 4 5 0 9 2 8 1 7 11 3 6 10 R10 O7 7 8 3 0 5 11 4 10 2 6 9 1 R1 O2 2 3 10 7 0 6 11 5 9 1 4 8 R8 O8 8 9 4 1 6 0 5 11 3 7 10 2 R2 O3 3 4 11 8 1 7 0 6 10 2 5 9 R9 O9 9 10 5 2 7 1 6 0 4 8 11 3 R3 O5 5 6 1 10 3 9 2 8 0 4 7 11 R11 O1 1 2 9 6 11 5 10 4 8 0 3 7 R7 O10 10 11 6 3 8 2 7 1 5 9 0 4 R4 O6 6 7 2 11 4 10 3 9 1 5 8 0 R RI6 RI7 RI2 RI11 RI4 RI10 RI3 RI9 RI1 RI5 RI8 RI I I1 I8 I5
10
4 I9
3
7
11
6 O
1: Primo e secondo quadrato magico
I
I
I
I
I
I
I
I2 I
O

Osservando il duplice schema precedente, è possibile innanzitutto evidenziare la tipica caratteristica di ogni quadrato magico: quella di avere la diagonale principale formata esclusivamente dal valore 0: Tabella 2: Diagonale principale

Esaminando con attenzione la Tabella 2, emerge però la presenza di una particolarità molto interessante: prendendo come riferimento i blocchi formati da quattro celle costruiti intorno alla diagonale principale, come viene illustrato nella Tabella 3, si può facilmente constatare come, al loro interno, incrociando le posizioni,si ottenganogli intervalli complementari rispettoaidiversi numeriinseriti. Ciò accade in effetti per qualunque quadrato magico, ma in questo caso la cosa si ripete anche prendendo in considerazione altri blocchi formati da quattro celle che sono però “distanti” rispetto alla diagonale principale.

M. D’AGOSTINO
75
0 1 8 5 10 4 9 3 7 11 2 6 11 0 7 4 9 3 8 2 6 10 1 5 4 5 0 9 2 8 1 7 11 3 6 10 7 8 3 0 5 11 4 10 2 6 9 1 2 3 10 7 0 6 11 5 9 1 4 8 8 9 4 1 6 0 5 11 3 7 10 2 3 4 11 8 1 7 0 6 10 2 5 9 9 10 5 2 7 1 6 0 4 8 11 3 5 6 1 10 3 9 2 8 0 4 7 11 1 2 9 6 11 5 10 4 8 0 3 7 10 11 6 3 8 2 7 1 5 9 0 4 6 7 2 11 4 10 3 9 1 5 8 0
: Simmetria ed equilibrio nel Quaderno musicale di Annalibera
Tabella 3:
0 1 8 5 10 4 9 3 7 11 2 6 11 0 7 4 9 3 8 2 6 10 1 5 4 5 0 9 2 8 1 7 11 3 6 10 7 8 3 0 5 11 4 10 2 6 9 1 2 3 10 7 0 6 11 5 9 1 4 8 8 9 4 1 6 0 5 11 3 7 10 2 3 4 11 8 1 7 0 6 10 2 5 9 9 10 5 2 7 1 6 0 4 8 11 3 5 6 1 10 3 9 2 8 0 4 7 11 1 2 9 6 11 5 10 4 8 0 3 7 10 11 6 3 8 2 7 1 5 9 0 4 6 7 2 11 4 10 3 9 1 5 8 0
Blocchi di quattro celle fra loro “complementari”

Quaderni di analisi

Per quanto riguarda le permutazioni, invece, si puòritrovare lo stesso frammento di serie con i suoni disposti in modo sempre diverso: questo aspetto riveste una grande importanza specialmente in Accenti, in quanto, trattandosi di un brano caratterizzato dalla presenza di soli aggregati, il rimescolamento della disposizione dei suoni della serie nelle diverse voci risultaestremamentefrequente. Ecconealcuni esempi (da notare la raffinata disposizione, come illustra l’ordinata distribuzione delle diverse sfumature di grigio), ma se ne possono ravvisare molti altri, come si vedrà in seguito:

Il sotto quadrato 4x4 evidenziato al centro della Tabella 4 presenta, ancora una volta, coppie di altezze “complementari” disposte in modo simmetrico rispetto ad un asse di simmetria (in questo caso il segmento centrale evidenziato in nero): si otterranno, quindi, da un lato e dall’altro rispetto al segmento, delle altezze invertite in modo speculare (come 11 e 1 evidenziate da un cerchio, 5 e 7, e così via…).

Focalizzando adesso l’attenzione su uno specifico brano della raccolta, Accenti, sarà possibile comprendere quanto l’uso delle permutazioni sia importante per la sua struttura.

Come accennato in precedenza, Accenti presenta la peculiarità di sfruttare soltanto aggregati (a dimostrazione dell’integrazione lineare/verticale, tipica sia della musica atonale che di quella dodecafonica) e, nello specifico, due soli aggregati per ciascuna forma seriale: ogni aggregato, quindi, sarà composto da sei suoni, i quali possono, ovviamente, rimescolarsi tra di loro.

Nell’esempio seguente, le forme-seriali sono identificate tramite la sigla corrispondente ricavata dal quadrato magico (cfr. Tabella 1).

76
Tabella 4: Permutazione delle sotto serie 0 1 8 5 10 4 9 3 7 11 2 6 11 0 7 4 9 3 8 2 6 10 1 5 4 5 0 9 2 8 1 7 11 3 6 10 7 8 3 0 5 11 4 10 2 6 9 1 2 3 10 7 0 6 11 5 9 1 4 8 8 9 4 1 6 0 5 11 3 7 10 2 3 4 11 8 1 7 0 6 10 2 5 9 9 10 5 2 7 1 6 0 4 8 11 3 5 6 1 10 3 9 2 8 0 4 7 11 1 2 9 6 11 5 10 4 8 0 3 7 10 11 6 3 8 2 7 1 5 9 0 4 6 7 2 11 4 10 3 9 1 5 8 0

Esempio 3: Luigi Dallapiccola, Accenti (analisi)

Come si evince dall’Esempio 3, nel brano sono presenti complessivamente otto forme-seriali, e in ognuna di esse vi è un rimescolamento dei suoni. Per comodità,

D’A
M.
GOSTINO: Simmetria ed equilibrio nel Quaderno musicale di Annalibera
77

Quaderni di analisi

quindi, è preferibile schematizzare il tutto, considerando che i numeri inseriti nell’esempio sono i numeri di posizione, quelli che identificano la successione dei dodici suoni che compongono una specifica forma seriale. 13 Neglischemiseguenti,i numeri di posizione sonoriportati nellarigachepresenta l’intestazione “posizione”.

forma seriale O altezze la# si fa# re# sol# re sol do# fa la do mi numeri 0 1 8 5 10 4 9 3 7 11 2 6 posizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

forma seriale I8 altezze fa# fa la# do# sol# re la re# si sol mi do numeri 8 7 0 3 10 4 11 5 1 9 6 2 posizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

forma seriale RI1 altezze si mib solb sib re lab reb sol do la mi fa numeri 1 5 8 0 4 10 3 9 2 11 6 7 posizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

forma seriale R9 altezze sol re# do lab mi sib fa si fa# la re do# numeri corrispondente 9 5 2 10 6 0 7 1 8 11 4 3 posizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

forma seriale RI5 altezze mib sol sib re fa# do fa si mi do# sol# la numeri 5 9 0 4 8 2 7 1 6 8 10 11 posizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

forma seriale R7 altezze fa do# la# fa# re sol# re# la mi sol do si numeri 7 3 0 8 4 10 5 11 6 9 2 1 posizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

Cfr. Ibid., p. 44.

78
13

forma seriale RI3 altezze do# fa sol# do mi la# mib la re si fa# sol numeri 3 7 10 2 6 0 5 11 4 1 8 9 posizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

Alla luce di questo, vi è da sottolineare un’ulteriore importante particolarità: precedentemente si accennava alle possibili permutazioni che riguardano diversi frammenti di serie; tutto ciò può essere accertato anche osservando le forme seriali adoperate dal compositore, in quanto, poiché ci troviamo di fronte ad aggregati formati da sei altezze, è molto comune, come già detto, che la posizione dei suoni sia sottoposta ad un rimescolamento.

Osservando bene le altezze in ciascuna delle forme seriali presenti nel brano, infatti, si può verificare come gli stessi suoni siano presenti anche in un’altra forma seriale:

➢ la forma seriale identificata come I8 presenta, nelle prime sei posizioni, le prime sei altezze di R7, seppur permutate, e ovviamente viceversa;

➢ la forma seriale RI1 presenta, nelle prime sei posizioni, le prime sei altezze della forma-seriale originale (O), e viceversa;

➢ la forma seriale R9 presenta, nelle prime sei posizioni, le prime sei altezze di I10 (forma seriale che però non viene adoperata nel brano in questione); ➢ la forma seriale RI5 presenta, nelle prime sei posizioni, le prime sei altezze di O4 (anche questa forma seriale non è presente nel brano analizzato).

Da questo sguardo generale ci si può rendere conto di come vi sia una caratteristica di fondo che permea tutto il brano: ciascuna forma seriale che nel quadrato magico risulta essere “verticale” (ovvero di tipo I o RI) è associata ad una forma seriale “orizzontale” (di tipo O o R). Nello specifico, una forma seriale di tipo I è abbinata ad una di tipo R (e viceversa), mentre una forma seriale di tipo O è abbinata ad una di tipo RI (e viceversa), secondo le relazioni seguenti: O

In definitiva, quindi, dall’analisi di questo breve brano si può capire come, in realtà, la dodecafonia sia un metodo compositivo estremamente complesso e vario, nonostante sia basato su un assunto semplicissimo. La sostanziale indifferenza di questa musica nei confronti del risultato sonoro, nonché la radicalizzazione delle idee dei compositori viennesi, hanno fatto sì, tuttavia, che i suoi risvolti storico analitici si siano rivelati neltempo tutto sommato più proficui edinteressanti rispetto alla concreta presenza di questo repertorio nei programmi da concerto.

M.
D’AGOSTINO: Simmetria ed equilibrio nel Quaderno musicale di Annalibera 79
x = RIx+1 Rx = Ix+1

PROCEDIMENTI SERIALI IN THE TURN OF THE SCREW DI BENJAMIN BRITTEN*

L’opera

Benjamin Britten (1913 1976) è uno dei tanti compositori del Novecento che, pur rimanendo fedele ai principi e agli stilemi romantici, non rinuncia a confrontarsi con le nuove tendenze e le avanguardie del secolo, divenendo così un compositore eclettico, capace di sviluppare uno stile unico anche se osteggiato dai pregiudizi del pubblico inglese. In questo saggio non verrà esaminato il suo stile in senso generale, ma ci si soffermerà sulle influenze seriali ravvisabili nella sua musica in completa simbiosi con il suo stile sostanzialmente tonale.1

La composizione presa in esame come esempio è un’opera di teatro da camera, basata su un libretto di Myfanwy Piper, moglie dell’artista John Piper, amico del compositore. Il libretto è basato sul romanzo The Turn of the Screw (1898) di Henry James.L’operafucommissionatadallaBiennalediVeneziaerappresentata,inprima mondiale, il 14 settembre 1954 al Teatro La Fenice di Venezia. La registrazione originale fu realizzata durante lo stesso anno, sotto la direzione del compositore.

The Turn of the Screw rappresenta anche un nodo di svincolo nel percorso artistico del compositore inglese, poiché in seguito Britten esplorerà formule drammatiche nuove e tornerà ad impiegare principi compositivi connessi con la musicaseriale. L’opera,inun prologoedueatti,èsuddivisainsedici scene,ciascuna preceduta da una variazione del tema Screw («vite») presentato nel prologo. Tematicamente, la composizione conferisce un ruolo centrale ad un verso preso in prestito dal poema The Second Coming di W. B Yeats: «The ceremony ofinnocence is drowned» («Il rito dell’innocenza annega»).2

Dal punto di vista formale, l’opera è sostenuta da un rigido schema fondato su un tema di base, che fungeda elemento unificatore dell’intera composizione, seguito da quindici variazioni, ciascuna in una tonalità diversa, e si conclude con una grandiosa passacaglia il cui basso ostinato è costituito dalle note del tema stesso.

* Il saggio contiene degli esempi ricavati dalle fonti citate, in seguito tradotti in italiano con l’aggiunta di considerazioni personali.

1 Atalriguardo,peravereunavisionecompletasulsuostilecompositivo,sirimandaaPhilipRupprecht, Britten’s Musical Language, New York, Cambridge University Press, 2002, testo dal quale sono ricavati alcuni degli esempi riportati in questa sede

2 William Butler Yeats, The Second Coming, «The Dial», LXVIII, 1919 20.

Quaderni di analisi

Le tonalità o, per meglio dire, i centri tonali, iniziano dal suono la e seguono per tutto l’atto I un itinerario ascendente, mentre nell’atto II presentano una disposizione discendente per gradi contigui, fino a tornare alla tonalità di partenza.

Le variazioni scavano sempre più in profondità nel tema principale, alludendo al progressivo sprofondare nell’orrore senza via d’uscita dei protagonisti dellavicenda, concezione ulteriormente potenziata da una complessa trama di richiami tematici e strumentali.

Esempio 1: Schema che illustra i centri tonali delle diverse variazioni3

Esaminando l’esempio precedente, si può notare la simmetria intervallare esistente fra i due atti. Non a caso, Britten utilizza una delle quattro procedure principali dellamusicaseriale:lasuccessionedei centritonali dell’attoII,infatti, non è altro che l’inversione di quella dell’atto I.

Questa decisione è fortemente legata alla presenza delle forze sovrannaturali nella trama dell’opera: l’ultimo centro tonale dell’atto I, che è anche il primo dell’atto II, coincide infatti con l’apparizione dei fantasmi, aspetto che lungo tutto l’atto II diventa predominante. Non a caso, il penultimo centro tonale tocca tutti i gradi della scala, e in esso si verifica una lotta tra i due suoni-perno la e lab, che richiamano rispettivamente la dimensione terrena e quella sovrannaturale.

Già dal prologo si intravede la struttura intervallare del tema principale, che mette inoltre in evidenza i caratteristici salti di quarta ascendente (cfr. Es. 2).

82
3
Cfr. Rupprecht, Britten’s Musical Language , cit., p. 145.

Esempio 2: Britten, The Turn of the Screw, prologo, bb. 27 30 (riduzione per canto e pianoforte)4

Durante il prologo, in particolare, vengono presentati due “temi” dai quali, come si vedrà in seguito, scaturiscono le varie cellule motiviche (cfr. Es. 3). Il primo dei due è il tema Screw, che può essere considerato il tema principale dell’opera: esso, infatti, viene indicato in partitura come «Theme», ed è seguito da un crescendo di dinamica e dalla quasi totale apparizione verticale di tutti i dodici suoni della scala cromatica. Giunti a questo punto, inizia il tema Thread («filettatura»), che secondo altre fonti può anche essere definito Anxiety (per l’atmosfera che accompagna la sua apparizione,maancheacausadiunacellulamotivicache verràanalizzata inseguito) o Travel (inquantoviene presentatoduranteil viaggiodellagovernante, Mrs.Grose) 5

4 Ibid., p. 145. 5 Le definizioni corrispondenti ai diversi temi e motivi sono riportati in lingua originale, così come sono ricavati dalla fonte.

L. SASSONE:
83
Procedimenti seriali in The Turn of the Screw di B. Britten

Esempio 3: I due temi principali dell’opera6

Caratteristica principale del tema Thread è, ancora una volta, la simmetria intervallare rispetto al tema Screw: 6 Ibid., p. 142.

84 Quaderni di
analisi

Come si può notare dall’esempio precedente, il tema Thread non è altro che l’alter ego del tema Screw.Ancoraunavolta Britten fauso dell’inversione per creare nuovo materiale tematico e rafforzare lo schema formale dell’opera. Il tema Thread oscilla tra la maggiore e la minore. All’ascolto, inoltre, è percepibile il VII grado abbassato, che emerge sia dalla figurazione simmetrica iniziale la mi sol re che dalla linea melodica discendente che porta alla chiusa del tema: questo VII grado abbassato (viene definito in questo modo per facilitare la comprensione) darà la possibilità a Britten di richiamare la sonorità del modo misolidio nel corso della composizione.

Da questi due temi (anche se il secondo è già di suo derivato dal primo), Britten trarrà quasi tutto il materiale tematico dell’opera. Inoltre, il tema Screw diventerà, lungo tutta la composizione, una forza che man mano corromperà gli animi dei protagonisti. 7 Ibid., p. 143.

L. SASSONE: Procedimenti seriali in The Turn of the
85
Screw di B. Britten
Esempio 4: Confronto fra i due temi e relative simmetrie7

La serie

La serie dodecafonica di The Turn of the Screw, per facilità, sarà analizzata tramite la notazione con zero fisso, associando quindi al suono do il valore “0”: si ottiene così la successione 0 5 2 7 4 9 6 11 8 1 10 3, dove il suono iniziale (la) corrisponde al numero 9. 8

La serie presenta delle caratteristiche che la rendono simmetrica: essa si muove infatti per salti di quarta giusta ascendente alternati a salti di terza minore discendente.

Esempio 5: forma seriale O9 della serie dodecafonica

Una caratteristica che visivamente non può sfuggire è la presenza delle due scale esatonali, ottenute estrapolando dalla serie i suoni in modo alternato (cfr. nell’esempio, le note di colore bianco vs quelle di colore nero). Questo amplifica il significato simbolico del tema e della serie stessa: il tema Screw, infatti, con la sua stessa forma ricorda proprio la filettatura di una vite, ovvero una spirale, e la serie, come si vedrà in seguito, ha come punto di forza, dal punto di vista formale, proprio la ciclicità.

Britten fa un uso della serie che appare sensibilmente differente rispetto alla prassideicompositoridell’epoca,percertiversianchepiuttostoconservativo:infatti, pur avendo a disposizione una serie che possiede molte peculiarità particolarmente adatte alla musica dodecafonica, il compositore britannico la utilizza principalmente nei modi seguenti:

• generazione di materiale tematico e di sonorità adatte per la vicenda

• impiego della serie sotto forma di “acrostico”

• impiego della serie come basso o cantus firmus

• impiego della serie in combinazione con forme antiche come la fuga, la passacaglia o il tema con variazioni

• uso della serie in due o più trasposizioni simultaneamente (dal punto di vista tonale si tratta di solito di due tonalità molto vicine, legate dalla presenza di molte altezze in comune).

Il ricorso ad un’analisi basata sulla Set Theory elaborata da Allen Forte, ed i riferimenti alla combinatorialità esacordale di Milton Babbitt di cui si parlerà in

8 La prima presentazione del tema Screw corrisponderà quindi alla forma seriale O9: cfr., in questo stesso volume, Domenico Giannetta, Breve guida per l’analisi della musica post tonale, pp. 37 43; la notazione con zero fisso è illustrata in Ibid., pp. 22 23.

86
Quaderni

seriali in

Turn of the Screw di B. Britten 87 seguito, serviranno a denotare la grande intuizione di Britten nell’utilizzare stilemi “dodecafonici” nella musica tonale, ammesso che si possa ancora definire tale.9 Costruendo quindi il quadrato magico, si possono evidenziare le simmetrie e l’aspetto ciclico della serie:10 I I5 I2 I7 I4 I9 I6 I11 I8 I1 I10 I3 O 0 5 2 7 4 9 6 11 8 1 10 3 R3 O7 7 0 9 2 11 4 1 6 3 8 5 10 R10 O10 10 3 0 5 2 7 4 9 6 11 8 1 R1 O5 5 10 7 0 9 2 11 4 1 6 3 8 R8 O8 8 1 10 3 0 5 2 7 4 9 6 11 R11 O3 3 8 5 10 7 0 9 2 11 4 1 6 R6 O6 6 11 8 1 10 3 0 5 2 7 4 9 R9 O10 1 6 3 8 5 10 7 0 9 2 11 4 R4 O4 4 9 6 11 8 1 10 3 0 5 2 7 R7 O11 11 4 1 6 3 8 5 10 7 0 9 2 R2 O2 2 7 4 9 6 11 8 1 10 3 0 5 R5 O9 9 2 11 4 1 6 3 8 5 10 7 0 R RI9 RI2 RI11 RI4 RI1 RI6 RI3 RI8 RI5 RI10 RI7 RI

Si possono subito osservare le principali “simmetrie notevoli” presenti nel quadrato, dalle quali ricavare le seguenti conclusioni:

1. oltre alla diagonale principale (integralmente basata sul valore 0), sono presenti altre diagonali basate su valori “pari” fissi (2, 4, 6, 8, 10) o su valori “dispari” alternati (5 9, 7 11, 9 1, 11 3, 1 5 e gli opposti 7 3, 5 1, 3 11, 1 9, 11 7);

2. a causa di una delle caratteristiche esaminate in seguito, si può notare la perfetta corrispondenza tra le forme seriali di tipo O e RI (e, di conseguenza, anche I ed R), valida per tutte le trasposizioni: ciò comporta la naturale formazione di altre micro simmetrie nel quadrato;

3. la serie è basata su uno dei sei esacordi possibili che vengono definiti da Milton Babbit «All Combinatorial Hexachords» (si tratta in particolare di quello che verrà definito esacordo C), e presenta quindi soltanto due delle quattro trasformazioni possibili della serie. 11

9 Per un approfondimento sulla Set Theory, cfr. Ibid., pp. 26 34.

10 Il concetto di quadrato magico è illustrato in Ibid., pp. 40 43.

11 Milton Babbitt, Some Aspects of Twelve Tone Composition, «The Score and I.M.A Magazine», XII, 1955, pp. 53 61.

L. S
ASSONE: Procedimenti
The

Quaderni di analisi

Dall’analisi del quadrato magico, infatti, si può verificare come siano possibili 24 forme seriali complessive al posto delle consuete 48, è ciò a causa dell’identità citata in precedenza nel punto 2: tutto ciò è dovuto proprio alla combinatorialità esacordale della serie, argomento che verrà affrontato in modo specifico nel prossimo paragrafo.

La combinatorialità esacordale

In senso generale, la combinatorialità esacordale è la suddivisione di una serie dodecafonica in due set “complementari” formati da sei suoni ciascuno (esacordi), ciascuno contenente le altezze mancanti nell’altro. Per essere più precisi, i due esacordi vengono accoppiati secondo un preciso “intervallo di simmetria” . 12

Esempio 6: serie dodecafonica basata sulla combinatorialità esacordale ricavata da Moses und Aron di Arnold Schoenberg (vengono accoppiati i due esacordi ricavati dalla serie originale [P 0 nell’esempio] con quelli ricavati dalla forma seriale I 3) 13

Il termine “combinatoriale” sembra essere stato applicato per la prima volta alla musica dodecafonica da Milton Babbitt nel 1950, in occasione della recensione di due libri di René Leibowitz.14 Per definizione, una serie dodecafonica presenta una combinatorialità esacordale nei confronti di un’altra serie nel caso in cui i rispettivi primi due esacordi completino il “totale cromatico”, o insieme combinatoriale (la stessa cosa vale naturalmente mettendo a confronto i rispettivi secondi esacordi, in quanto una serie dodecafonica per sua natura deve sempre contenere un rappresentante di ciascuno dei dodici suoni della scala cromatica).

12 La combinatorialità esacordale è discussa, in questo stesso volume, in Giannetta, Breve guida per l’analisi…, cit., p. 49 52.

13 Arnold Whittall, Serialism. Cambridge Introductions to Music, New York, Cambridge University Press, 2008, p. 108.

14 Si trattava per la precisione dei libri Schoenberg et son école (1947) e Qu’est ce que la musique de douze sons (1949); in questa occasione, Babbitt introduce anche il termine serie derivata: cfr. Milton Babbitt, recensione senza titolo, «Journal of the American Musicological Society», III/1, 1950, pp. 57 60 (la discussione sulla combinatorialità si trova a p. 60)

88

Immaginando una serie dodecafonica i cui due esacordi vengano definiti “M” ed “N”, affinché si generi una combinatorialità esacordale dovrà essere possibile costruire un contrappunto di prima specie con un’altra serie che presenta in successione “N” e poi “M”, in modo tale che avvenga quanto segue:

• la voce 1 presenterà tutti i dodici suoni della serie 1;

• la voce 2 presenterà tutti i dodici suoni della serie 2;

• laprimametà(primo esacordo)dellavoce1(serie 1)elaprimametà(primo esacordo) della voce 2 (serie 2), sommati insieme, presenteranno tutti i dodici suoni della scala cromatica (insieme combinatoriale);

• lastessacosasiverificheràcombinandoinsiemelasecondametà(il secondo esacordo) delle due serie.

In definitiva, quindi, quando si verifica la seguente situazione:

• voce 1: M + N

• voce 2: N + M le due serie dodecafoniche si trovano in una relazione di “combinatorialità esacordale” .

Quando vengono accoppiati, i due esacordi combinatoriali rispettano comunque i principi della dodecafonia, presentando infatti tutti i dodici suoni della scala cromatica senza che nessuno di essi venga raddoppiato, cosa che accadrebbe invece combinando fra loro due serie, o due forme seriali, fra loro non combinatoriali Esistono quattro tipologie principali di combinatorialità esacordale, secondo le quali un esacordo può essere:

• combinatoriale per trasposizione: si riferisce alla proprietà di un esacordo che si rivela combinatoriale con una (o più di una) delle sue trasposizioni; la combinatorialità per trasposizione è data dall’assenza di classi di altezze condivise tra un esacordo e una (o più di una) delle sue trasposizioni; ad esempio, l’esacordo 0,2,4,6,8,10, e la sua trasposizione un semitono sopra 1,3,5,7,9,11, non presentano alcun suono in comune.

• combinatoriale per retrogradazione: questa situazione è molto più frequente, in quanto ciascuna serie dodecafonica presenta una relazione di questo tipo con sé stessa.

• combinatorialità per inversione: si genera quando il primo esacordo della prima serie viene accoppiato al secondo esacordo della serie inversa, o di una sua trasposizione, in modo tale che uno sia il complemento dell’altro

• combinatorialità retrogrado inversa:siproducegrazieall’assenzadi altezze condivise tra gli esacordi di una serie e quelli delle corrispondenti forme seriali di tipo RI; questa situazione si verifica soltanto in particolari circostanze, come si vedrà in seguito.

L. SASSONE: Procedimenti seriali in
89
The Turn of the Screw di B. Britten

Quaderni di analisi

Inoltre, gli stessi esacordi possono essere classificati in:

• esacordi semi combinatoriali (quando rientrano in una delle precedenti categorie)

• esacordi totalmente combinatoriali (quando soddisfano tutte le elaborazioni precedenti)

Gli esacordi semi combinatoriali sono insiemi i cui esacordi sono in grado di dare origine ad un insieme combinatoriale quando vengono accoppiati ad una determinata trasposizione delle sue trasformazioni di base (R, I, RI): ad esempio, ciascun esacordo che contiene uno 0 nel suo vettore intervallare possiede una combinatorialità per trasposizione (inaltre parole,perottenere una combinatorialità un esacordo non può essere trasposto per un intervallo uguale ad un’altezza che contiene).15

Soltanto sei forme primarie di esacordi hanno invece la proprietà di essere totalmente combinatoriali Milton Babbitt li ha classificati seguendo l’ordine alfabetico: A, B, C, D, E e F.

Questi esacordi saranno esaminati in dettaglio nelle seguenti tabelle: verranno in particolare evidenziate tutte le caratteristiche che interessano il nostro caso, ovvero l’esacordo definito C.

Babbitt classifica questi insiemi combinatoriali in quattro ordini:

• primo ordine: possono avere un complemento esacordale per ciascuna delle quattro elaborazioni tradizionali (O, I, R, RI); ciò può essere osservato grazie al corrispondente vettore intervallare (cfr. Tab. 2): si noti, infatti, che la trasposizione utile (Ox) è costituita da quegli intervalli assenti nel vettore intervallare dell’esacordo; quindi, nel caso dell’esacordo A [0,1,2,3,4,5], il vettore intervallare sarà [543210], e l’intervallo mancante sarà proprio l’intervallo utilizzato per ottenere il complemento di O, ovvero O6. Inoltre, generalmenteseun esacordo è combinatoriale per trasposizione,si genererà come minimo una bi combinatorialità: questo perché qualsiasi intervallo diverso da un tritono darà origine, tramite l’inversione, ad un’altezza differente, e di conseguenza prenderà forma un nuovo set. Quindi O6 crea il primo insieme combinatoriale per gli esacordi del primo ordine, e poiché l’inversione dell’intervallo 6 (il tritono) è ancora 6, gli esacordi A, B e C sono esacordi del primo ordine. 16

15 Per il concetto di vettore intervallare, cfr. Giannetta, Breve guida per l’analisi…, cit., p. 33.

16 Si osservi, infatti, come ciascun vettore intervallare nel gruppo degli esacordi del primo ordine non presenti alcun rappresentante per la classe intervallare 6

90

• secondo ordine:crea insiemi combinatoriali (o complementi esacordali)con sé stesso a due livelli di trasposizione all’interno di ciascuna elaborazione tradizionale; al suo vettore intervallare manca la classe intervallare 3: dato che gli intervalli 3 e 9 sono l’uno l’inversione dell’altro, O3 e O9 producono gli insiemi combinatoriali per gli esacordi del secondo ordine

• terzo ordine: dà origine a insiemi combinatoriali con sé stesso a tre livelli di trasposizione all’interno di ciascuna delle elaborazioni; al suo vettore intervallare mancano le classi intervallari 2 e 6: O2 /O10 e O6 creano quindi gli insiemi combinatoriali per gli esacordi del terzo ordine; dato che gli intervalli 2 e 10 sono l’uno l’inversione dell’altro, mentre l’intervallo 6 è l’inverso di sé stesso (come già visto per gli esacordi del primo ordine), si parla in questo caso di terzo, e non di quarto, ordine.

• quarto ordine (o sesto ordine, secondo la definizione di Babbitt), più comunemente noto come scala per toni interi: possiede sei livelli di trasposizione per ciascuna elaborazione tradizionale; nel suo vettore intervallare mancano le classi intervallari 1, 3 e 5: le trasposizioni O1/O11, O3/O9 e O5/O7 danno quindi origine ad altrettanti insiemi combinatoriali

Tabella 1: classificazione degli esacordi totalmente combinatoriali

esacordi e corrispondente forma primaria grado di simmetria possibili tricordi generatori

A [0,1,2,3,4,5] del primo ordine (un solo asse di simmetria tritono)

B [0,2,3,4,5,7] del primo ordine (un solo asse di simmetria tritono)

C [0,2,4,5,7,9] del primo ordine (un solo asse di simmetria tritono)

D [0,1,2,6,7,8] del secondo ordine (due assi di simmetria)

(0,1,2), (0,1,3), (0,1,4), (0,2,4)

(0,1,3), (0,1,5), (0,2,4), (0,2,5)

(0,2,4), (0,2,5), (0,2,7), (0,3,7)

(0,1,2), (0,1,5), (0,1,6), (0,2,7)

E [0,1,4,5,8,9] del terzo ordine (tre assi di simmetria) (0,1,4), (0,1,5), (0,3,7), (0,4,8)

F [0,2,4,6,8,10] del quarto ordine (sei assi di simmetria) (0,2,4), (0,2,6), (0,4,8)

L. SASSONE:
Procedimenti seriali in The Turn of the Screw di B. Britten 91

Quaderni di analisi

Tabella 2: vettore intervallare degli esacordi totalmente combinatoriali

esacordi vettore intervallare forme seriali Ox o Ix necessarie per produrre l’insieme combinatoriale

A [0,1,2,3,4,5] [543210] O6 o I11 B [0,2,3,4,5,7] [343230] O6 o I1 C [0,2,4,5,7,9] [143250] O6 o I3 D [0,1,2,6,7,8] [420243] O3 / O9 o I5 / I11 E [0,1,4,5,8,9] [303630] O2 / O6 / O10 o I3 / I7 / I11 F [0,2,4,6,8,10] [060603] O1 / O3 /O5 / O7 / O9 / O11 o I1 / I3 / I5 / I7 / I9 / I11 tricordi esacordi 3 1 (0,1,2) A, D 3-2 (0,1,3) A, B 3-3 (0,1,4) A, E3 3-4 (0,1,5) B, D2, E3 3-5 (0,1,6) D 3 6 (0,2,4) A, B, C, F3 3 7 (0,2,5) B, C 3-8 (0,2,6) F6 3 9 (0,2,7) C, D 3-10 (0,3,6) nessuno 3 11 (0,3,7) C, E3 3-12 (0,4,8) E, F

Tabella 3: tricordi generatori che possono essere adoperati per costruire serie combinatoriali (gli esponenti indicano quanti modi ha quel determinato tricordo per formare l’esacordo)

Riportando l’attenzione alla serie di The Turn of the Screw, si possono riscontrare le seguenti corrispondenze: O 0 5 2 7 4 9 6 11 8 1 10 3 RI 0 5 2 7 4 9 6 11 8 1 10 3 R3 3 10 1 8 11 6 9 4 7 2 5 0 I3 3 10 1 8 11 6 9 4 7 2 5 0

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esacordo

tricordo generatore forme seriali Ox o Ix adoperate per produrre l’esacordo

C [0,2,4,5,7,9] (0,2,4) [O o I4] + [O5 o I9] C [0,2,4,5,7,9] (0,2,5) O + I9 C [0,2,4,5,7,9] (0,2,7) [O5 o I7] + [O2 o I4] C [0,2,4,5,7,9] (0,3,7) I7 + O2

Conoscendo il tricordo generatore: si possono pertanto dedurre i possibili accoppiamenti e i conseguenti insiemi combinatoriali (sigla: I.C.):

O 0 5 2 7 4 9 6 11 8 1 10 3 I.C. I3 3 10 1 8 11 6 9 4 7 2 5 0 I.C. I9 9 4 7 2 5 0 3 10 1 8 11 6 I.C. O6 6 11 8 1 10 3 0 5 2 7 4 9 I.C. I.C. I.C. I.C. I.C.

Sonorità prevalenti

Come accennato in precedenza, già nel prologo di The Turn of the Screw vengono presentati i processi compositivi e gli incipit intervallari più utilizzati durante tutta l’opera. L’influenza dei due temi è rintracciabile nelle continue armonie quartali caratteristiche della sonorità “inglese”: queste sonorità ricorrenti verranno identificate attraverso la classificazione di Allen Forte.17

All’interno della serie dodecafonica è possibile estrapolare i seguenti set: (2-3) (2-5) 3-7 4-10 4-23 5-23 6-8 (10-3) (10-5) 9-7 8-10 8-23 7-23 6-32

17 Cfr. la Classificazione degli insiemi di classi di altezze (limitatamente a quelli formati da tre a sette classi di altezze) pubblicata in questo volume, pp. 61 65.

L. SASSONE
: Procedimenti seriali in The Turn of the Screw di B. Britten 93

Quaderni di analisi

Non tutti i set precedenti verranno adoperati in modo esplicito da Britten ma, fra questi, i tre seguenti sono i più ricorrenti:

• 3-7[0,2,5]: combinazioneadoperataspessissimodaBritten,soprattuttosotto forma di aggregato;18 inoltre, si vedrà in seguito come la quinta giusta sia l’intervallo su cui si basa la maggior parte del materiale tematico.

• 4-23 [0,2,5,7]: come già visto, questo set è presente nella struttura melodica della serie e dà origine ai diversi tetracordi

• 6-32 [0,2,4,5,7,9]: contiene i primi sei suoni di una scala maggiore, sistema sonoro utilizzato frequentemente (si tratta infatti di una composizione che tende a richiamare sonorità squisitamente tonali).

Esempio 7: Sovrapposizione dei due set usati più frequentemente all’interno della serie

Inoltre,sonopresentifrequentementeanchei set 4-26[0,3,5,8]e5-32[0,1,4,6,9], e il modo misolidio, con le relative sonorità.

Motivi e cellule ritmiche

La serie diventa per Britten la fonte di quasi tutto il materiale tematico presente nell’opera, il quale sarà organizzato sotto forma di motivi ricorrenti per identificare un personaggio, una situazione, o un particolare stato emotivo psicologico.

Gli esempi seguenti illustrano alcuni dei motivi (dei quali alcuni si riducono a dei semplici incisi) ricavati dalla serie. 19

18 Arnold Whittall, The Music of Britten and Tippett: Studies in Themes and Techniques, New York, Cambridge University Press, 1990.

19 Gli esempi si basano sulla classificazione proposta in Sara Elizabeth Smith, A Study and Analysis of the Instrumental Theme and Variations in Benjamin Britten’s The Turn of the Screw, Master of Arts thesis, New York, Eastman School of Music of the University of Rochester, 1983 (la tesi può essere letta al seguente link: http://hdl.handle.net/1802/3990).

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Il primo gruppo di motivi si basa sull’intervallo di quarta ascendente:

Esempio 8: Screw, prologo (la serie dodecafonica sotto forma di tema)

Esempio 9: Mrs. Grose, atto I, inizio scena II

Esempio 10: Confession, finale atto I, n. 89

Vi sono poi i motivi costruiti sull’intervallo di quarta discendente (messo in evidenza tramite il segno x)

Esempio 11: Quint’s call, atto I, scena VIII, b. 5

L. SASSONE: Procedimenti seriali in The Turn of the Screw di B. Britten 95

Esempio 12: Anxiety, atto I, scena I, 7 bb. dopo n. 3 (evidente in questo caso l’affinità con il tema Thread: cfr. Esempi 3 4)

Esempio 13: Mrs. Grose’s Despair, atto I, scena V, n. 39

Gli esempi seguenti illustrano le cellule motiviche basate sul set 3-7 (0,2,5):

Esempio 14: Lullaby, atto I, scena VII, 5 bb. dopo n. 59

Esempio 15: Quint motive, atto I, scena IV, n. 26

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Quaderni di analisi

Esempio 16: Shock, atto I, scena IV, n. 27

Caratteristica è inoltre la cellula contenente diversi intervalli di terza minore (presumibilmente ricavati dal medesimo set 0,2,5): da notare la presenza dei “bemolle” (in particolare il lab), che vengono adoperati per suggerire l’influenza del fantasma (elemento sovrannaturale) nell’animo di Miles, il ragazzo.

Esempio 17: Malo, atto I, scena V, n. 51

Ed infine altre due cellule motiviche che apparentemente non hanno alcuna relazione con il tema principale, ma che sono usate di frequente durante le relative scene:

Esempio 18: Lake, atto I, variazione VI, b. 8

In questo caso una possibile affinità è data dalla presenza del set 4 23 (0,2,5,7), comune ad entrambe le figurazioni nel secondo pentagramma è stato trasposto in modo tale da avere come suono di riferimento il sol anche se si tratta di una relazione meno evidente rispetto a quelle esposte negli esempi precedenti.

L. SASSONE: Procedimenti seriali in The Turn
the
97
of
Screw di B. Britten

Quaderni di analisi

In quest’ultimo esempio non emerge alcuna relazione evidente con il tema, ma soltanto la presenza del fa# e del lab, suoni che simboleggiano rispettivamente Miss Jessel e la dimensione sovrannaturale.

Conclusioni

Come già accennato nella parte introduttiva del saggio, Britten potrà anche essere considerato un compositore conservativo rispetto ai suoi contemporanei, ma si tratta senz’altro di un artista decisamente eclettico. Gli spunti analitici presentati in questa sede, del resto, tendono ad evidenziare, per quanto possibile, il suo desiderio di padroneggiare ed esplicitare l’intero bagaglio di esperienze maturate durante il proprio percorso artistico

Per quantoriguardainvece il suoriscontropratico,questoscrittomira soprattutto a fornire, agli interpreti e ai semplici ascoltatori, una possibile chiave di lettura per decifrare la natura di questa affascinante composizione: un direttore d’orchestra potrà così decidere in quali modi evidenziare il tema portante dell’opera nelle sue diverse sfaccettature, sia durante le variazioni che nelle rispettive scene. Tale approccio può avere un’importanza analoga a ciò che rappresenta lo studio del testo per un attore. L’ascoltatore, invece, potrà soffermarsi su aspetti più profondi dell’opera rispetto al solo “ascolto di pancia”, o alla conoscenza superficiale della trama.

Infine, dal punto di vista didattico, l’opera lascia ampio spazio ad ulteriori approfondimenti: si assiste, infatti, ad un compendio di principi caratteristici delle avanguardie del XX secolo, ma anche ad un ritorno alle forme antiche esposte in chiave moderna, per non parlare poi dei richiami riconducibili alla trama e al carattere ambiguo dell’intera opera di Henry James.

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Esempio 19: Miss Jessel, atto I, scena VII, 1 b. prima di n. 66; atto II, scena VII, n. 104

LA «BELLEZZA DELL’INCOMPLETO» IN RAIN TREE SKETCH II DI TORU TAKEMITSU

Introduzione

Addentrarsi nella musica di Toru Takemitsu (1930 1996) è come varcare le soglie di un giardino incantato, popolato dalle presenze invisibili degli spiriti del kami. La cultura orientale, pregna di raffinata estetica, convive, nelle sue composizioni, in perfettaarmoniaconlaculturaoccidentale.Sebbeneinfluenzatodall’espressionismo viennese e dai compositori francesi (da Debussy a Messiaen), Takemitsu ha sviluppato un mondo sonoro totalmente nuovo e originale. L’interesse per gli stilemi musicali giapponesi da una parte, e l’impiego dei complessi linguaggi armonici del Novecento europeo dall’altra, hanno permesso di combinare due culture estremamente distanti fra loro.

Nelle opere di Takemitsu la componente timbrica riveste un ruolo di primaria importanza: rifiutando l’uso di una ritmica e di una dinamica di stampo tipicamente occidentale, le lunghe risonanze e i silenzi pongono maggiormente l’accento su una concezione musicale affine alla secolare tradizione giapponese. Sin dagli esordi compositivi, il pianoforte ha rappresentato per Takemitsu un veicolo privilegiato di interazione fra queste diverse tecniche.

Una delle sue ultime creazioni prima della prematura scomparsa, Rain Tree Sketch II (1992), segna la fine di un percorso iniziato nel 1981 con Rain Tree Sketch per trio di percussioni e seguito, l’anno successivo, da un’opera per pianoforte recante lo stesso titolo. L’immagine, la visione musicale dell’‘albero della pioggia’ rivela una forte sensibilità verso il mondo naturale, impronta inconfondibile del pensiero e dell’estetica giapponese.1 Così come nei tipici giardini nipponici rocce, acqua, vegetazione e paesaggio artificiale mirano a ricreare un’armonia spaziale e umana, così anche la musica di Takemitsu, nonostante una veste apparentemente occidentale, cela un modo di articolare lo spazio timbrico e la forma assolutamente estraneo ai principi costruttivi europei.2

1 Nei paesi anglosassoni, con rain tree si indentificano gli imponenti alberi di Samanea saman, specie appartenente alla famiglia delle Fabacee nativa dell’America centrale e meridionale, ampiamente diffusa anche nei paesi tropicali del Pacifico. È molto apprezzata per la maestosa chiomaombrelliforme degli esemplari adulti. L’epiteto di ‘albero della pioggia’ deriva forse dalla suggestione data dalle sue foglie o dai suoi fiori.

2 Per approfondimenti sul contenuto del presente paragrafo, cfr.: (1) voce: Takemitsu, Toru, in Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti. Le biografie, VII, a cura di Alberto

Quaderni di analisi

Analisi dell’opera

Rain Tree Sketch II appartiene all’ultima produzione artistica di Takemitsu, in cui le strutture armoniche e formali, slegate da una logica di tipo europeo, tendono invece a prediligere nettamente l’aspetto timbrico spaziale. Le strutture armoniche occidentali vengono impiegate in funzione di uno spazio sonoro in cui gli aggregati accordali si susseguono, ma senza funzionalità: suono puro, silenzio e sottilissime sfumature diventano le protagoniste della composizione. L’asimmetria della durata dellebattute,lepauselunghissimeelaframmentazionedinamicaimpedisconoinfatti uno sviluppo consequenziale del materiale sonoro. La sensazione è quella di una perenne fluttuazione. Ne scaturisce un effetto incantatorio, diretta suggestione dell’estetica giapponese: il principio del yohaku no bi, traducibile come «bellezza dell’incompleto», indica nella compresenza di spazi e di vuoti, di suoni e di silenzio, il fascino dell’opera stessa.3

L’armonia

Sin dalle primissime battute è possibile ravvisare come gli accordi, pur essendo simili a settime o triadi tradizionali, non si riferiscano a nessuna tonalità in particolare. Nonostante la presenza di numerosi re nel registro grave (come il suono con cui si conclude il brano, cfr. Es. 1) possa far pensare ad una presunta tonalità di re maggiore/minore sensazione ulteriormente enfatizzata dal fatto che i suoni caratteristici di re minore (triade costruita sul I grado, sensibile) si ripresentino più volte nel corso di Rain Tree Sketch II è impossibile parlare di un centro tonale. Esempio 1: Takemitsu, Rain Tree Sketch II, b. 46 (conclusione)

Basso, Torino, UTET, 1988, pp. 625 626; (2) Susanna Pasticci, L’influenza della musica non occidentale sulla musica occidentale del XX secolo, in Enciclopedia della musica, a cura di Jean Jacques Nattiez, V: L’unità della musica, Torino, Einaudi, 2005, pp. 285 304: 301 3 La pittura sumi e, sviluppatasi tra il XIV e il XV secolo, riflette in modo significativo questo ideale estetico mutuato dalle ricerche spaziali degli artisti cinesi. L’utilizzo essenziale della china mira ad evocare le forme naturali rappresentate, che sembrano emergere dalla carta come da una foschia misteriosa.

100

Gli aggregati armonici (a volte in forma di cluster) fungono esclusivamente da “materiale di costruzione”, mancando proprio una logica che regoli la loro formazione e successione. Tuttavia una particolare interazione tra l’aspetto verticale e quello orizzontale conferisce agli accordi una forte coerenza interna: piuttosto che di polifonia in senso occidentale, sarebbe più corretto parlare di eterofonia: ogni linea si sovrappone alle altre senza mai integrarsi con esse.

All’inizio del brano èpossibile osservarecomeleprime trenote(la re do#)della linea melodica superiore rappresentino il nucleo originario degli aggregati armonici di quasi tutta la composizione. Il primo aggregato, do#-re-la, riprende difatti le note della figurazione orizzontale, ma anche il secondo e il terzo aggregato ricordano questo tipo di costruzione:

Esempio 2: Takemitsu, Rain Tree Sketch II, b. 1

La medesima situazione si verifica nella battuta seguente e a b. 4 (Es. 3), questa volta tre semitoni più in basso.

Esempio 3: Takemitsu, Rain Tree Sketch II, b. 4

A CAPUANO
La
101
:
«bellezza dell’incompleto» in Rain Tree Sketch II di T. Takemitsu

Poco più avanti, nella sezione Poco meno mosso (Tempo II), vengono ripresi alla lettera i tre aggregati iniziali:

Esempio 4: Takemitsu, Rain Tree Sketch II, b. 9

Il ritmo, il tempo e il suono

Il ritmo, in Rain Tree Sketch II, è estremamente libero e flessibile: le pause lunghissime e le battute dalla lunghezza irregolare a loro volta spesso suddivise al loro interno tramite stanghette tratteggiate danno la percezione di un andamento costantemente fluttuante, mai stabile. I valori sempre cangianti e quasi imprevedibili contribuiscono ad interrompere un flusso ritmico e temporale regolare. Eppure, la percezione che ne risulta è assolutamente armoniosa. In Rain Tree Sketch II Takemitsu mira ad evocare effetti di misteriosa lontananza tramite specifiche indicazioni: le legature di valore che si prolungano oltre i segni di battuta, i segni di dinamica che raramente superano il mf e i brevi fraseggi separati dalle pause aiutano l’interprete nel suggerire lo scenario, lo sketch onirico dell’evento naturale. I contrasti timbrici si limitano ad un’alternanza fra il p e il pp (talvolta mf), ma senza cambiamenti bruschi o accentuati:

Esempio 5: Takemitsu, Rain Tree Sketch II, bb. 15 16

102
Quaderni di analisi

La musica di corte giapponese

L’articolata scrittura di Rain Tree Sketch II è strettamente legata all’influenza del gagaku: espressione dell’estetica eleganteeraffinata del miyabi (雅),èmusicad’arte per professionisti e conoscitori, simbolo musicale della casa imperiale giapponese.

L’orchestra del gagaku consiste in una vasta gamma di strumenti a fiato (ryūteki, flautotraverso; hichiriki, flauto adancia doppia; shō, organo a bocca), acorde(biwa, liuto a quattro corde; gakusō, cetra a 13 corde) e a percussione (shoko, gong di bronzo a sospensione; kakko, tamburo cilindrico; taiko, tamburo cilindrico sospeso). Sfumature controllatissime, fusione di timbri e colori, tempi lenti, fluttuazioni dinamiche ridotte al minimo: una grandiosa ed equilibrata raffinatezza, in cui i movimenti delle mani e del corpo dei musicisti sono perfettamente coordinati durante l’esecuzione. Indipendentemente dal suo legame con la corte, il gagaku è imperiale nel senso che il suo risultato artistico è grandioso e austero, e la sua struttura è complessa ma al tempo stesso delicata.4

I soffusi contrasti timbrici e melodici, che si fondono in un arazzo di intricata eterofonia, emergono frequentemente nella texture di Rain Tree Sketch II.

Nell’esempio seguente viene riportato un brano rappresentativo di gagaku: i fiati e gli organi a bocca eseguono la melodia fondamentale e la adornano con armonie caratteristiche; gli strumenti a corda sottolineano il ritmo con arpeggi rapidi; le percussioni, infine, marcano il tempo con sequenze prefissate di colpi di tamburo.5

Esempio 6: Frammento di gagaku

4 Joseph S. C. Lam, Le musiche di corte dell’Asia orientale: una prospettiva storica e culturale, in Enciclopedia della musica, a curadi Jean Jacques Nattiez, III: Musica e culture, Torino, Einaudi, 2003, pp. 256 260.

5 Ibid , p. 259

A CAPUANO: La «bellezza dell’incompleto» in Rain Tree
II
T. Takemitsu 103
Sketch
di
BIWA KOTO TAIKO
SHŌ WōA SHŌKO RYŪTEKI
HIKIRICHI KAKKO

Quaderni di analisi

Nella composizione di Takemitsu (Es 7), il taiko viene sostituito dal re, che risuona lungamente nel registro grave; gli accordi dello shō vengono simulati dagli aggregati armonici superiori, costruiti in forma di cluster; mentre le figurazioni arpeggiate sono invece un diretto rimando alle cetre lunghe (koto).6

Esempio 7: Takemitsu, Rain Tree Sketch II, bb. 17 18

I frequenti passaggi all’unisono risentono della forte influenza delle strutture eterofoniche del gagaku. Nell’esempio seguente, la ripetizione della linea superiore nel registroinferiore, piùche un passaggio canonico,ovveroscrittopolifonicamente, evoca una texture simile all’Etenraku descritto in precedenza.

Esempio 8: Takemitsu, Rain Tree Sketch II, bb. 19 21

L’aspetto nonverticaledi Rain Tree Sketch II èevidenziato anchedalle differenti indicazioni dinamiche affidate ad ogni parte. L’esempio seguente mostra più di quattro linee sovrapposte, ognuna con una sua particolare dinamica: le voci tendono allo stesso tempo a fondersi e a rimanere udibili in modo indipendente.7

6 Niels Christian Hansen, Different Approaches to an Improvisational Practice Based on the Piano Music of Toru Takemitsu, «The Journal of Music and Meaning», VI, 2008, consultabile al link: http://www.musicandmeaning.net/issues/showArticle.php?artID=6.4

7 Niels Christian Hansen, “Japanese in Tradition, Western in Innovation”: Influences from Traditional Japanese Music in Toru Takemitsu’s Piano Works, «Dutch Journal of Music Theory», XV, 2010, pp. 97 114.

104

Conclusioni

Nei paesi dell’Estremo Oriente il concetto di “musica” è molto ampio: esso comprende non soltanto i suoni organizzati (come nella tradizione occidentale), ma anche la danza, i costumi, alcune forme teatrali e i testi sacri cantati.8 Nell’antica Cina la parola “musica” (yue) veniva scritta con un omografo di “gioia, piacere, divertimento”;9 in Giappone il termine gagaku definisce complessivamente sia le forme strumentali sia la danza. Perfino il buon governo, secondo il pensiero confuciano, viene influenzato dalle corrette pratiche musicali.

L’arte dei suoni non era semplicemente finalizzata al piacere dell’ascolto, ma aveva anche una rilevante finalità didattica e spirituale. L’armonia terrena che la musica è capace di generare è espressione diretta delle leggi del cosmo. Le forme e i fenomeni naturali, quali le stagioni, il legno, la pietra, l’acqua, sono manifestazioni dell’universo al pari della materia, del tempo e della musica. Il suono è dunque un qualcosa di tangibile, al pari della materia che l’ha generato: anzi, più esso è lungo ed isolato, più l’ascoltatore può percepirne l’intima sostanza.10

8 Robert C. Provine, La storia come nozione fondamentale nella musica dell’Estremo Oriente, in Enciclopedia della musica, a curadi Jean Jacques Nattiez, III: Musica e culture, Torino, Einaudi, 2003, pp. 223 224.

9 Maurizio Scarpari, Antica Cina. La civiltà cinese dalle origini alla Dinastia Tang, Roma, Gruppo Editoriale L’Espresso, 2004, pp. 116 121.

10 Curt Sachs, Storia degli strumenti musicali, ed. it. a cura di Paolo Isotta e Maurizio Papini, Milano, Mondadori, 2003, pp. 187 190.

A CAPUANO: La «
dell’incompleto» in Rain
105
bellezza
Tree Sketch II di T. Takemitsu
Esempio 9: Takemitsu, Rain Tree Sketch II, b. 30

Al pari di questa concezione, le delicate sfumature e i riverberi che pervadono la partitura di Takemitsu riflettono la compenetrazione dell’elemento naturale nella struttura musicale. La costruzione triadica di Rain Tree Sketch II, da questo punto di vista, rappresenterebbe soltanto un “pretesto”: nonostante i numerosi riferimenti tonali, qualsiasi possibile consequenzialità armonica viene interrotta da profondi silenzi, in un mondo sonoro cristallino. L’interesse di Takemitsu è quello di creare una spazialità, in cui pieni e vuoti, suono e silenzio, si dispongono ariosamente. Questo processo musicale, che ricorda da vicino la pittura decorativa tradizionale, prende le distanze dalla composizione come costruzione di nessi sonori nel tempo. Rain Tree Sketch II è una “tela temporale” in cui i “colori musicali” si pongono fra il tempo e lo spazio, fra musica e pittura.11

11 Proprio così scriveva Morton Feldman riferendosi alle sue opere, strettamente legate alle contemporanee creazioni pittoriche di Kline, De Koonig e Rothko: cfr Gianmario Borio, Morton Feldman e l’Espressionismo astratto: la costruzione di tempo e suono nelle miniature pianistiche degli anni Cinquanta e Sessanta, in Itinerari della musica americana, a cura di Gianmario Borio e Gabrio Taglietti, Lucca, LIM, 1996, pp. 119 134.

106
Quaderni

UNO SGUARDO SUL MONDO SONORO DI CLAUDE DEBUSSY MARCO GINESE

Dalla seconda metà dell’Ottocento fino alla prima guerra mondiale, l’Europa vive una fase storica densa di fermenti culturali. Per quanto riguarda la musica, tralasciando gli esponenti più conservatori, si assiste inquel periodo all’introduzione di grandi innovazioni. In area austro tedesca, Richard Wagner (1813 1883) a partire dal Tristan und Isolde (1857 1859) allarga i confini della tonalità, annullando di fatto la differenza tra consonanza e dissonanza.1 Seguirà quindi Richard Strauss (1864 1949), che giunge addirittura a sospendere i nessi tonali in quanto in un dato momento, magari solo per alcuni istanti, più toniche principali e/o secondarie potevano coesistere, portando inevitabilmente alla saturazione dello spazio cromatico che rende tutte le note potenziali toniche, e pertanto, di fatto, annullandole.2

Un tale raggiungimento, tuttavia, rappresenta soltanto il punto di partenza per la Seconda scuola di Vienna: Arnold Schoenberg (1874-1951), ultimo erede della tradizione musicale romantica tedesca, traghetta la tonalità ai suoi estremi confini, giungendo alla sua totale negazione conl’atonalità, e successivamente alla completa equiparazione dei suoni della scala cromatica con la dodecafonia. Facendo esplicito riferimento allo stile seriale dell’ultimo Webern (compositore che, insieme a Berg, fu allievo di Schoenberg), infine, si pongono le basi iper-razionali degli esponenti della Scuola di Darmstadt, toccando il limite delle possibilità esecutive umane, tanto che il passo successivo non potrà che essere la musica elettronica.

In America, tra musica jazz, sperimentale e colta, partendo da Ives, Cowell e Varèse, si giunge fino a John Cage (1912 1992), che propone un’equiparazione fra rumore e musica e l’adozione di procedimenti aleatori, con effetti d’ascolto che sono apparentemente, e sorprendentemente, simili al serialismo più complesso, ma ottenuti partendo da una filosofia completamente diversa, dove il compositore trascrive solamente ciò che la probabilità, o la natura, suggeriscono. Nell’Europa orientale e in Russia, i compositori più sperimentali subiscono l’influenza del repertorio popolare, introducendo nella propria musica una forte irregolarità ritmica, situazioni politonali e poliritmiche, e una sonorità estremamente percussiva. Il più influente fra loro è il dirompente Igor Stravinskij (1882 1971), che nel primo

1 Si parladi tonalità allargata quando, per quanto complesse possano essere le dissonanze e le relazioni tonali, sifa comunque sempre riferimento ad un unico centro tonale;grande spintapropulsiva, in questo contesto, sarà data anche dal cromatismo, il quale preannuncia la successiva completa dissoluzione del sistema tonale. Su questo argomento cfr., in questo stesso volume, Domenico Giannetta, Breve guida per l’analisi della musica post tonale, pp. 3 9.

2 Da questo modus operandi trae origine il concetto di tonalità sospesa: cfr. Ibid

Quaderni di analisi

Novecento richiama su di sé tutte le attenzioni oscurando tanti altri compositori importanti. Tra le due guerre mondiali si evidenzia anche una generale volontà di ritorno al “classico” , che in musica significa essenzialmente il classicismo settecentesco, ma visto adesso sotto una nuova luce.

Facendo adesso un passo indietro, e tornando alla Francia della belle époque e in particolare a Parigi, in quel periodo, e non solo, vera e propria culla dell’arte e della cultura , appena terminata la guerra franco-prussiana, dopo la repressione della Comune di Parigi, e durante la seconda rivoluzione industriale, nascono molte correnti culturali estremamente significative che, come avviene quasi sempre, dopo aver preso piede nella letteratura e nelle arti figurate, giungono soltanto in un secondo momento a interessare la musica.

Dalla crisi del positivismo fino al decadentismo, che conduce infine al simbolismo, protagonisti della scena diventano i cosiddetti “poeti maledetti” , Mallarmé, Verlaine e Rimbaud. La ragione non è più l’unica interprete della realtà, con significati profondi che spesso sfuggono agli “scientisti” che calcolano i fenomeni visibili sottovalutando l’intuizione dell’irrazionale. La società ipocrita li porta ad isolarsi, esaltando la malattia, la decadenza fisica e la morte. Piuttosto che una storia, si racconta lo stato d’animo dei protagonisti, svelando l’ignoto con metaforee simbolismi, spesso oscuri, conmusicalitàe ritmo dei versi cheporteranno alla nascita del verso libero. L’arte vista come unica forma di conoscenza: il mistero, l’esasperazione dell’individualismo e dell’egocentrismo, portano alla nascita del superuomo (con Nietzsche) e della psicanalisi (con Freud).

L’impressionismo, invece, nato in campo pittorico, grazie soprattutto a Édouard Manet, vede un ampio uso del chiaroscuro, dei colori non diluiti e della pittura en plein air. 3 L’obiettivo è quello di fissare il fenomeno ottico nel preciso istante in cui si verifica, come avviene nella fotografia, esaltando la mutevolezza della realtà visiva.4 A tale scopo, si preferisce l’uso del colore al disegno lineare.

Vi è poi l’Art Nouveau, 5 che privilegiando il gusto per ciò che è nuovo e libero combinato con l’elemento naturale, diffonde anche l’uso dell’arabesco uno stile ornamentale composto da geometrie “fitomorfe” (ispirate alla forma delle piante), di origine mediorientale, che ha come unità base una forma di foglia o di fiore in grado di trasmettere una sensazione di serenità ed eterna vitalità.6

3 Nel 1863, Manet espose per la prima volta al pubblico Le Déjeuneur sur l’herbe, vero e proprio manifesto nel nuovo stile pittorico, destando grande scandalo in pubblico e critica.

4 Come accade in modo magistrale nella serie dei trentuno dipinti dedicati alla cattedrale di Rouen realizzati da Claude Monet tra il 1892 e il 1894, dove si ha lo stesso soggetto e lo stesso punto di vista, ovvero il portale della cattedrale, ma ciò che varia sono le condizioni della luce che vi si riflette. Si enfatizza così uno tra i nuovi concetti di paesaggio, quello urbano.

5 Ispirata all’Arts and Craft inglese, anticapitalista, proponeva il ritorno alla vita sana e naturale; in quello stesso periodo, i fratelli Lumière favorirono la nascita del cinema e si perfezionava la fotografia

6 Ciò ispirò anche Claude Debussy per i Deux arabesques per pianoforte (1888 1891), come era già accaduto, diversi decenni prima, con Arabeske op. 18 (1839) di Robert Schumann, una composizione raffinata, sinuosa ericca di abbellimenti. Uno stile musicale “floreale” del tutto simile sipuò riscontrare

108

In questo contesto post impressionista e simbolista si forma Claude Debussy (1862-1918), ispirato dalla letteratura e dalle arti figurative, forse ancor più che dalla musica del suo tempo.7 Mai come in quest’epoca, infatti, si stabilisce un grande punto di contatto tra le diverse arti, conseguenza anche del grande vessillo wagneriano della Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale che suggestionò i compositori successivi, e tra questi lo stesso Debussy, anche come ideale di libertà artistica. Il diffuso sperimentalismo che ne seguì fu uno dei pochi elementi in comune fra le numerose esperienze musicali fiorite in tutto il continente europeo negli ultimi decenni del XIX secolo.

Debussy non può essere considerato impressionista in senso stretto.8 Forse sarebbe più appropriato accostarlo al simbolismo, anche se in realtà nel suo linguaggiosinotal’influssodinumerosealtrecorrenti culturaliparigine.9 Importante fontedi ispirazionefuinfineFryderyk Chopin(1810 1849),inparticolare perquanto riguarda l’uso della timbrica fluida di un pianoforte quasi “parlante” e per la ripresa delle forme antiche in chiave moderna (come il preludio).

La Parigi musicale di quegli anni vedeva all’opera personalità eterogenee come Gabriel Fauré (1845-1924), Vincent D’Indy (1851-1931), Erik Satie (1866-1925), Paul Dukas (1865 1935), e poi Maurice Ravel (1875 1937) Fauré, in particolare, riuscì ad unire l’antico al moderno, aggirando le tendenze dell’epoca e mescolando tonalità e modalità. Nel suo Clair de Lune (Menuet), seconda delle Deux mélodies op. 46 (1888) su testo di Paul Verlaine, il compositore introduce ad esempio la presenza ambigua di un sol naturale in un contesto che per il resto richiama alla mente la tonalità di sib minore, riconducendolo così ad un sistema sonoro di tipo dorico. 10 Tutto ciò accade mentre, nel frattempo, persiste ancora una sintassi armonica di tipo tonale. A partire da questo momento, e poi in modo ancora più evidente con Debussy, prenderà le mosse il cosiddetto neo modalismo, che non consiste soltanto nella riproposizione dei modi antichi, come fecero già alcuni compositori romantici, ma che rappresenta un “nuovo” impiego della modalità 11

anche nel Parsifal (1877 1882) di Wagner, nella seconda scena dell’atto II ambientata nel giardino di Klingsor con la comparsa delle celebri fanciulle fiore.

7 È questa, infatti, la convinzione espressa dal compositore Paul Dukas (cfr. Baroni Fubini Petazzi Santi Vinay, Storia della Musica, Torino, Einaudi, 1988, p. 385).

8 Alcuni componenti della commissione del Conservatoire misero in evidenza il carattere “impressionistico” dei lavori che il compositore inviava periodicamente dall’Italia dopo aver vinto il Prix de Rome nel 1884: questo termine, tuttavia, alludeva essenzialmente al fatto che la sua musica procedesse per immagini e macchie sonore, ma finì con il favorire l’erroneo accostamento alla concomitante corrente artistica. Va comunque osservato che, in modo del tutto analogo, anche gli impressionisti preferivano l’accostamenti dei colori come strumento principale dell’elaborazione del dipinto in sostituzione del disegno lineare (cfr. Ibid., pp. 388 389).

9 Debussy mise in musica numerosi testi poetici di autori del suo tempo, fra i quali spiccano senz’altro i simbolisti Verlaine e Mallarmé, ma figurano anche, fra gli altri, Baudelaire e Maeterlinck.

10 Si tratta del primo (protus) degli antichi modi gregoriani. La mélodie è una forma musicale analoga al Lied tedesco, e prevede un accompagnamento musicale, solitamente pianistico, ad un testo poetico di grande valore artistico.

11 Su questo argomento cfr., in questo volume, Giannetta, Breve guida per l’analisi…, cit., pp. 11 12.

M. G
INESE
: Uno sguardo sul mondo sonoro di Claude Debussy 109

Quaderni di analisi

Lo stile compositivo debussiano

Da questo momento in poi fungerà da punto di riferimento l’analisi di Pagodes. 12 Debussy crea le sue regole dando vita ad un linguaggio singolare. Il sistema sonoro pentatonico, il più utilizzato dallamaggior parte delle tradizioni popolari del mondo, era già stato introdotto nella musica colta nella seconda metà dell’Ottocento dai principali esponenti delle Scuole nazionali, in particolare in Russia dal ‘Gruppo dei Cinque’ , ed è noto quanto la musica di Musorgskij abbia influenzato il giovane Claude.13 Le misure iniziali di Pagodes (bb. 1 4), basate sul modo pentatonico si do#-re#-fa#-sol#, mettono inoltre in evidenza il legame con un altro mondo sonoro con cui Debussy venne in contatto durante i suoi anni di formazione: nel 1889, durante l’Esposizione Universale di Parigi, il compositore all’epoca ventisettenne ebbe infatti modo di ascoltare il gamelan, la tipica orchestra di metallofoni indonesiana che adopera due diversi sistemi di intonazione formati essenzialmente da cinque suoni ciascuno.14 Pur trattandosi di una divisione dell’ottava che non coincide con il temperamento equabile, Debussy pensò bene di adattarla agli strumenti occidentali adoperando il sistema sonoro che più vi si avvicinava (per l’appunto, la scala pentatonica), ma al contempo mantenendo la peculiare tipologia di scrittura di questa musica, nell’ambito della quale la gerarchia degli strumenti viene stabilita in base alla durata della risonanza: gli strumenti con risonanza minore eseguono quindi delle melodie più veloci, mentre quelli con risonanza lunga introducono dei suoni singoli, dando origine ad una “stratificazione dei livelli di velocità” che si può apprezzare in tutta la sua evidenza nell’esempio seguente.

Esempio 1: Claude Debussy, Pagodes (bb. 1 6)

12 Si tratta del primo dei tre brani che compongono la raccolta pianistica Estampes (1903).

13 Cfr. François Lesure, Debussy. Gli anni del simbolismo, Torino, EDT, 1994, pp. 33 50.

14 Giannetta, Breve guida per l’analisi…, cit., pp. 12 13

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Il contesto sonoro iniziale, caratterizzato dalla presenza dell’intervallo di seconda maggiore (fa# sol#), mantiene un livello di consonanza/dissonanza “neutro”, che del resto è tipico del sistema scalare utilizzato. Schoenberg sottolinea come Debussy adoperi gli accordi per quarte fondamentalmente come un «mezzo d’espressione impressionista» 15 Osservando la partitura di Pagodes, in effetti, si ha proprio una sensazione di staticità, di totale assenza delle classiche funzioni armoniche: gli eventi che ricordano, seppur in maniera velata, le relazioni fra tonica e dominante, non seguono qui le regole di risoluzione, e quelli che, secondo i canoni dell’armonia tradizionale, sarebbero da considerarsi come “errori” nel moto delle parti(comelequinteele ottaveparallele)sonoinvecegiustificatidalcontestosonoro complessivo del tutto inconsueto.

Esempio 2: Claude Debussy, Pagodes (bb. 41 43)

La musica, fino a quel momento, aveva da sempre rispecchiato, nell’alternanza fra dissonanza e consonanza, l’egemonia ed il principio universale degli armonici naturali: il linguaggio musicale, almeno in occidente, per sua natura era sempre stato direttamente legato all’emozione, in grado di disporre l’animo e, secondo la cimatica, anche la materia in modo tale che la soggettività rendesse sensibili alle frequenze di una o dell’altra tonalità.16

Debussy, invece, valorizza un aspetto che fino a quel momento aveva goduto di un interesse soltanto marginale da parte dei compositori precedenti: l’effetto timbrico-coloristico del suono.

15 Arnold Schoenberg, Manuale di armonia, Milano, Il Saggiatore, 1991, pp. 503 504.

16 Tutto ciò ha inizio con Pitagora e i suoi esperimenti con il monocordo, l’Armonia delle Sfere, i rapporti tra i pianeti rappresentati dal principio geometrico e matematico della Tetraktys, e la sequenza degli armonici naturali. Dopo la nascita della tonalità, padre Athanasius Kircher (1602 1680), con Musurgia Universalis (1650), un’enciclopedia che tocca tutti gli aspetti della musica, si occupa anche della “teoria degli affetti”, secondo la quale ad ogni tonalità corrisponde un affetto, un’emozione diversa. La cimatica è una teoria, introdotta nel 1967 dallo studioso svizzero Hans Jenny, che tenta di dimostrare la capacità delle onde sonore di creare delle forme nel mondo fisico.

M. GINESE: Uno sguardo sul mondo
sonoro di Claude Debussy
111

di analisi

La «poetica dell’acqua»: testimonianze17

Scrive il compositore, in una lettera ad un suo corrispondente: «avrei dovuto intraprendere la bella carriera del marinaio […] solo per caso ho cambiato strada. Ciononostante ho mantenuto una passione sincera per il mare» 18 Ricorda come il mare continuasse a «fare il suo sonoro sciabordio che culla la malinconia di chi ha sbagliato spiaggia».19 Molte altre lettere svelano la sua passione prorompente per il mare. La natura era la sua fonte primaria d’ispirazione, e con essa cercava di eliminare dalla musica le costrizioni dell’accademismo: la rigenera così con l’acqua che crea, distrugge e purifica.

Dunque sono proprio gli “elementi fluidi” specialmente l’acqua, ma anche l’aria alla base della sua estetica. L’acqua è elemento simbolista, con la “sonorità liquida” acquisita dalle parole, immagine dell’ambiguità e del doppio senso, del conscioedell’inconscio.20 Èperòancheelementoimpressionista,cometestimoniano i vari studi pittorici dedicati ai riflessi della luce sull’acqua: «L’acqua è il tema simbolista per eccellenza […] Si può dire che tutta quest’epoca possieda una visione del mondo riflessa dalle immagini molteplici dell’acqua»,21 con riflessi e contorni a volte confusi, sempre sottili e fragili.

Va osservato, tuttavia, che Debussy rimane lontano da intenzioni di facile descrittivismo, ritenendo sempre più importante quell’empatia misteriosa con il mondo circostante: «Si rende forse il mistero di una foresta misurandone l’altezza degli alberi? e non è piuttosto la sua profondità insondabile a mettere in moto l’immaginazione?».22 Kandinskij afferma che «Debussy non usa mai, neppure nelle immagini impressionistiche, una descrizione interamente materiale, elemento caratteristico della musica a programma, ma si limita a valutare il valore interiore del fenomeno».23 Non importa né il paesaggio musicale, né la pittura acquatica, ma la “qualità liquida” dell’essenza della musica. Percepito ciò, nel contesto storico, è possibilecomprenderemegliolefunzionalitàall’internodel processodi “rivoluzione del linguaggio” .

17

L’argomento di questo paragrafo è ricavato da Francesco Spampinato, La poetica dell'acqua in Debussy, «Diastema: Interpretazione e analisi della musica», XXIV, 2001, pp. 35 55.

18

Dalla lettera di Claude Debussy ad André Messager del 12 settembre 1903 (cfr. Claude Debussy, I bemolli sono blu. Lettere 1884 1918, Milano, Archinto, 2004, p. 94).

19

20

Dalla lettera di Claude Debussy a Jacques Durand del 26 agosto 1911 (cfr. Ibid., p. 157).

«L’acqua in tutte le sue forme in quanto mare, lago, fiume, fonte, ecc. una delle tipizzazioni più ricorrenti dell’inconscio, così come essa è anche la femminilità lunare che è l’aspetto più intimamente connesso con l’acqua» (Carl Gustav Jung, Mysterium Coniunctionis, Torino, Bollati Boringhieri, 1990, [Opere, 14/2], p. 285)

21 Michel Imberty, Il senso del tempo e della morte nell’immaginario debussiano, «Nuova Rivista Musicale Italiana», XXI, 1987, pp. 383 409.

22

Claude Debussy, Monsieur Croche antidilettante, Paris, Gallimard, 1950, p. 115.

23 Vasilij Kandinskij, Dello spirituale nell’arte, Milano, Feltrinelli, 1974, p. 84 (ed. orig. Über das Geistige in der Kunst, München, Piper, 1910).

112
Quaderni

Già dai titoli di alcune sue composizioni, come ad esempio Dialogue du vent et de la mer, si può ben comprendere il gioco tra i fluidi:24 i riferimenti di questo tipo, comunque, abbondano nel suo linguaggio, dando origine ad un singolare contesto musicale.

Caratteristiche tecniche e fluidità degli elementi

La sensazione di “liquidità” si deduce da raffinati accorgimenti e procedure tecnico stilistiche. Essa viene suggerita anche da alcuni titoli (La mer, La cathédrale engloutie, Voiles, Reflets dans l’eau, La mer est plus belle, Sirènes, ecc ), così come dall’agogica, ma ciò non significa che in assenza di un esplicito titolo “acquatico” non si possa percepire comunque una sensazione del genere. Un discorso di questo tipo, infatti, si può applicare ad una composizione come Pagodes, una delle più “acquatiche” della sua produzione. Questo brano prende il nome da una tipica costruzione orientale con funzione essenzialmente religiosa, ma che può fungere anche da parafulmine o da torre di avvistamento costruita su diversi piani sovrapposti, ciascuno dei quali di forma quadrangolare o ottagonale, che solitamente si costruiva nelle vicinanze di una sorgente d’acqua.

Fluidità armonica

La “stratificazione di differenti livelli di velocità”, ricavata dal gamelan, come si è già detto, vede nelle voci gravi le note lente più risonanti e nelle voci superiori le note rapide e poco risonanti (cfr. Es. 1). Quasi come una sovrapposizione di onde del mare e di frequenze, acute e gravi, si osserva all’inizio di Pagodes una triade del VI grado (bb. 3 4: sol# si re#) costruita sulla memoria d’ascolto del I grado presentato dalle voci più gravi.

La scala pentatonica, priva della sensibile, ammorbidisce i rapporti tensivi interni in un contesto che appare scorrevole e sospeso nel tempo. Il grado di dissonanza/consonanza “neutro” dà la sensazione che i diversi aggregati si giustappongano: un po’ come l’acqua, apparentemente insapore ed incolore, forse perché si tratta dell’elemento prevalente nell’organismo umano e sulla Terra, un elemento al quale siamo totalmente avvezzi.

24 La collaborazione dei due fluidi è quasi palese in Voiles (dai Préludes per pianoforte, libro I), fin dall’iniziale rievocazione dello statico contesto acquatico, nell’attesa che il vento gonfi le vele dell’imbarcazione, subito dopo suggerite da una rapida scala ascendente. Qui l’agogica sembra assecondare la trama del racconto: al primo soffio di vento (b. 42), infatti, corrisponde En animant, poi Emporté, e quando il vento soffia in poppa compare au Mouvement, per concludere infine con un diminuendo dinamico e agogico doucement en dehor (dolcemente in rilievo) quando la paura del navigatore sembra ormai superata.

M. G
INESE: Uno sguardo sul mondo sonoro di Claude Debussy 113

Fluidità melodica

L’acqua si può trovare in molteplici contesti. In Pagodes si può percepire il brio dell’acqua, forse di una fontana zampillante, grazie ad una melodia sinusoidale continuamente reiterata (bb. 78 79):

Esempio 3: Claude Debussy, Pagodes (bb. 77 80)

Oppure il ritmico e costante (presunto) sgocciolare (bb. 45 49), supportato da uno scorrere animato enfatizzato dalla figurazione ritmica ripetuta: con l’introduzione del mi# (b. 46), si passa momentaneamente ad un modo lidio difettivo (si do# re# mi# fa# sol#), prima di ritornare alla scala pentatonica iniziale (b. 53).

114 Quaderni di
analisi

L’acqua del mare ondeggia, mentre acqua non libera di scorrere ricade su sé stessa, alternando spinta ed inerzia fino al placarsi delle forze, divenendo stagnante (bb. 27-36). Una pozza stagnante si arricchisce di riflessi e di ombre, lente ed ipnotiche.

GINESE
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M.
:
Uno sguardo sul mondo sonoro di Claude Debussy Esempio 4: Claude Debussy, Pagodes (bb. 44 55)

Il pedale può enfatizzare l’ondeggiare o la staticità.25 I fondali traspaiono dietro le volubili figure riflesse, che con la luce acquistano tinte vive e mutevoli, con bordi sottili e fragili. Questo principio impressionistico (studi dei riflessi della luce sull’acqua) rende essenziale il suono, il colore, rispetto alla descrizione, alla forma. Sensazione visiva piuttosto che linee marcate.26 L’occhio alterna l’immagine del fondale e quella del riflesso. Un’oscillazione di luci ed ombre, tra fissità ed instabilità, dove l’immagine riflessa diventa incantatoria.

L’acqua scorrevole viene rappresentata da sequenze di note con “inclinazione discendente”, proprio come per forza di gravità scende, fino alle profondità della Terra, come anche il fenomeno botanico del “geotropismo” secondo il quale le radici delle piante gravitanoversoil centro ravvisabile nell’ipnotica frasemelodica (bb. 7 8) riproposta in tutto il brano.

25 «Davanti l’acqua profonda, scegli la tua visione; puoi vedere a tuo piacimento il fondale immobile o la corrente, la riva o l’infinito; hai il diritto ambiguo di vedere e di non vedere […]. Una pozzanghera contiene un universo. Un istante di sogno contiene un’anima intera» (Gaston Bachelard, L’eau et les rêves. Essai sur l’imagination de la matière, Paris, Corti, 1992, p. 67). 26 Questo effetto si può ben notare in Pour l’égyptienne, dalle Six épigraphes antiques per pianoforte a quattro mani (1914).

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Quaderni di analisi
Esempio 5: Claude Debussy, Pagodes (bb. 27 36)

La dimensione orizzontale si percepisce come un continuum ininterrotto di figurazioni e suoni che appaiono e scompaiono, come onde a ritmo costante che spesso ripropongono la medesima frase, o quasi, creando ripetizioni ipnotiche anche grazie alla tecnica della “duplicazione” , ovvero l’immediata riproposizione di ciascuna frase melodica (bb. 3 4 + 5 6; 7 8 + 9 10...) che viene percepita come un tutt’uno. Questa tecnica è un pilastro della sua musica.

La “duplicazione ondeggiante” prevede invece un ampliamento dell’effetto di “dondolamento” tramite un incremento di energia, senza però variare la figurazione (bb. 15 18):

L’acqua ondeggiante del mare viene spesso richiamata con la componente fluido lineare del “principio di linearità” che usa gli intervalli più piccoli, di seconda maggiore o minore, a ritmo costante, spesso con una legatura di valore che ne amplifica l’effetto, creando oscillazione e intensità variabile.

M.
GINESE
: Uno sguardo sul mondo sonoro di Claude Debussy
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Esempio 6: Claude Debussy, Pagodes (bb. 7 9) Esempio 7: Claude Debussy, Pagodes (bb. 13 18)

Fluidità ritmica

Il ritmo, fluido ed uniforme, ricrea la sensazione di ondeggiamento e, grazie ad una frequenza poco nitida ed avvolgente presente negli strati inferiori, completa il racconto sonoro con gli elementi presenti nelle altre voci a disposizione.

L’accelerazione e il gioco composto dalle terzine e dalle sincopi animano le oscillazioni periodiche col dondolante 6/8, che risulta sia binario che ternario. La medesima cosa accade con la trasformazione in “ternarie” delle figurazioni apparse in un primo momento come “binarie” (bb. 11 14: cfr. Es. 7).

A volte il compositore estende su più misure ciò che prima ne occupava un numero inferiore, passando da un ritmo tetico ad uno anacrusico o acefalo, semplicemente compiendo uno spostamento di semiminima, che poi si “confonde” all’interno delle diverse ripetizioni (si osservi, ad esempio, ciò che avviene nella mano sinistra tra le bb. 37 38 e le bb. 88 90, e poi tra b. 75 e le bb. 91 98, in cui la figurazione precedente viene ripetuta e dilatata).

118 Quaderni
di analisi
Esempio 8: Claude Debussy, Pagodes (bb. 37 38) Esempio 9: Claude Debussy, Pagodes (bb. 88 89)

Fluidità timbrica

Come si è già sottolineato in precedenza, Arnold Schoenberg osserva come Debussy adoperi gli accordi per quarte come «mezzo d’espressione impressionista».27 A volte il compositore alterna quinte e quarte, senza alcuna funzione armonica (bb 27 30: cfr. Es. 5). Vi è un largo uso delle ottave, con la sola aggiunta di una quinta o di una quarta, forse per ottenere un suono “inconsistente” dal punto di vista armonico (bb. 37 39).

Esempio 10: Claude Debussy, Pagodes (bb. 37 40)

L’uso dei timbri fluidi, delicati, dove sembra quasi che le dita del pianista siano un tutt’uno col martelletto del pianoforte e, scorrendo sulla tastiera, quasi penetrano il suono. Anche il pedale gioca un ruolo fondamentale.

Nella sua orchestra, del resto, Debussy preferisce adoperare strumenti con un transitorio d’attacco e un transitorio d’estinzione (ovvero il tempo che impiega il corpo vibrante a passare da uno stato di riposo ad uno di vibrazione e viceversa) medio lungo: ecco dunque fiati ed archi, ma anche le arpe che rievocano le cascate di suoni.

In orchestra gli strumenti, alternandosi, compaiono e scompaiono gradualmente, e creano un flusso continuo ondeggiante: dinamiche che partono dal pianissimo ma non vanno mai oltre il forte, sia in campo pianistico che orchestrale. La tipica conclusione di un brano, in diminuendo, corrisponde spesso ad una dissolvenza.

GINESE
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M.
: Uno sguardo sul mondo sonoro di Claude Debussy
27 Cfr.
n. 15.

Quaderni di analisi

Struttura formale

Debussy tende ad occultare il più possibile una struttura che sia riconducibile ad una forma classica, anche se essa è ben presente alla base delle sue composizioni. Nel caso di Pagodes si può ipotizzare un’organizzazione formale di questo tipo:

A TR B

A Coda a1 a2 a3 (a1) b1 b2 a1 a2 a3 c a1 c bb. 1-22 23-32 33-52 53-77 78-98

Ne emerge quindi una struttura ternaria ABA seguita da una Coda. Gran parte della composizione si basa di fatto sugli elementi contenuti nelle bb. 7 8, che vengono continuamente variati e riproposti (cfr. Es. 6).

Conclusioni

Molto altro ci sarebbe ancora da dire, o da scrivere, per potersi considerare pienamente consapevoli del mondo espressivo di Claude Debussy, la cui comprensione, del resto, non si può limitare soltanto all’esecuzione, all’ascolto, all’analisi o alla contestualizzazione della sua musica, ma dovrebbe comprendere tutti questi aspetti messi insieme.

In linea teorica, per quanto si cerchi di esplorare a fondo un fenomeno, nella maggior parte dei casi vi saranno sempre e comunque degli aspetti che sfuggiranno ad ogni tentativo di indagine, specialmente nel campo della creazione artistica. Ogni compositore, a modo suo, ha reso omaggio alla propria arte, ma nel caso di Debussy si assiste ad una vera e propria rivoluzione del linguaggio che, tramite accorgimenti tecnico-stilistici, prende lemosse da constatazioni più pratiche e concrete giungendo ad altre più astratte ed evanescenti, delle quali risulta oggettivamente impossibile determinare la reale origine.

120

VIAGGIO NELLA MUSICA DI STRAVINSKIJ

DARIO CALLÀ

Quando ci si accosta all’opera di un compositore, soprattutto di un autore capace di segnare un’epoca, appare quasi naturale ricorrere a schemi o modelli di lettura universalmente riconosciuti. Nel caso di Igor Stravinskij (1882-1971),in particolare, in genere si suddivide la sua produzione in tre grandi fasi: una prima fase, quella “russa”, che vede il compositore come un grande sperimentatore di nuove tecniche e, dunque, un innovatore; una seconda fase “neoclassica”, nel corso della quale Stravinskij volge apparentemente le spalle agli spiriti riformatori e si accosta ai modelli del passato; una terza fase “dodecafonica e seriale”, che lo vede di nuovo progressista ed innovatore.

In realtà, da più parti si ritiene che una tale periodizzazione risulti riduttiva. L’essenza ultima del geniodi Stravinskij risiedeinfondo nella sua personalitàlibera, nel volere accogliere tutto ciò che incontra e che riconosce come un arricchimento, uno stimolo per esprimersi. Uno spirito libero capace di farsi affascinare dalle cose, dagli eventi con cui viene incontatto, quasi attendendochel’ispirazione simanifesti, per poi esprimere la verità attraverso la sua arte. Un artista contraddistinto dalla capacità di stupirsi, di porsi davanti ad ogni scoperta con un atteggiamento ricettivo.

Il motivo conduttore di tutta l’opera di Stravinskij, come tenterò di dimostrare in questo lavoro, è la “s composizione” di tutta la musica con cui viene a contatto o perlomeno di quella che suscita il suo interesse per sottoporla ad una “ricomposizione” che, attraverso il suo estro creativo, incorpora in essa tutto il suo vissuto, ciò che ha recepito dal mondo esterno, ciò che ha assimilato.

Nelle composizioni di Stravinskij si ritrova, come vedremo in seguito, una grande differenziazione stilistica che va ad abbracciare quasi tutte le facce della musica post tonale, specialmente quelle che possiamo circoscrivere all’interno di quel fenomeno che complessivamente si definisce neo tonalità. 1 All’interno di questo contesto, tuttavia, mentre nella musica di Debussy e di Fauré prevale l’impiego di sistemi sonori riconducibili alla modalità cosa che ha portato i teorici a coniare l’espressione neo modalità per definire il loro stile compositivo , in Stravinskij predominano invece la politonalità e il polimodalismo ovvero la presenza di più suoni che fungono contemporaneamente da punto di riferimento , una tecnica che, più di ogni altra, è stata approfondita dal compositore russo.

1 Sul concetto di neo tonalità, in tutte le sue numerose sfaccettature, cfr., in questo volume, Domenico Giannetta, Breve guida per l’analisi della musica post tonale, pp. 18 19.

I periodi stilistici

Periodo russo

Come già ricordato in precedenza, la tradizionale articolazione dei periodi stilistici del compositore è tripartita.

Stravinskij, allievo di Rimskij-Korsakov (1844-1908), avvia la sua carriera grazie alla collaborazione con Sergej Diaghilev (1872 1929), ed ha quindi un primo approccio alla composizione di carattere sostanzialmente patriottico. Il primo periodo viene infatti definito “russo”, è caratterizzato da una rielaborazione personale delle musiche del folklore nazionale, e utilizza un linguaggio sonoro inedito. Nelle composizioni di questo periodo ricorrono caratteristiche e scelte stilistiche comuni: si riscontra l’impiego di scale modali, di figurazioni ritmiche contrastanti rispetto alla scansione metrica, e di blocchi contrappuntistici che non lasciano spazio all’elaborazione tematica 2

Dalmiopuntodivista,tuttavia,taleperiodopotrebbeessereasuavoltasuddiviso in tre sotto periodi: (1) periodo giovanile, (2) periodo popolare e (3) periodo del teatro da camera o periodo cubista. Anche se tali sotto periodi vengono solitamente raggruppati sotto l’etichetta omnicomprensiva di “periodo russo” specialmente per quanto concerne i primi due , vi sono in realtà delle buone ragioni che suggeriscono di considerare a parte il sotto periodo giovanile, tanto più che a partire dal sotto periodo popolare iniziano ad emergere con forza le peculiarità stilistiche dello Stravinskij “maturo”.

Il periodo russo-giovanile si identifica con gli anni di formazione trascorsi sotto la guida di Rimskij Korsakov, durante i quali il giovane Igor accoglie tutte le innovazioni apportate da Debussy e Ravel, sempre però filtrate attraverso le sonorità della musica russa. Stravinskij stesso però, in età avanzata, definì questi primi lavori come privi di personalità, anche se gli andava comunque riconosciuta una certa abilità tecnica nell’utilizzare la materia sonora. Tra le composizioni di questa fase si possono ricordare: Le faune et la bergère (1907), la Sonata per pianoforte (1904), la Sinfonia in mi bemolle op. 1 (1907), Scherzo fantastique op. 3 (1908), Feu d’artifice op. 4 (1908) e L’uccello di fuoco (1910).

Per chiarire i concetti espressi in precedenza, a proposito del periodo russo giovanile, è sufficiente osservare l’Esempio 1, dove si ritrova la combinazione di suoni reb mib fa sol la si: essa, infatti, non è altro che una scala per toni interi, tipico stilema debussiano, inquadrata però in una sonorità popolare russa. La composizione stessa si basa sul testo di tre poesie di Aleksandr Puskin.3

2 Cfr. Mario Carrozzo Cristina Cimagalli, Storia della musica occidentale, III, Roma, Armando, 2009, p. 393.

3 Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Le_faune_et_la_bergère.

122
Quaderni di analisi

Il successivo periodo russo popolare coincide con l’affermazione del compositore presso il grande pubblico, resa possibile soprattutto grazie all’inizio della collaborazione con Sergej Diaghilev, impresario dei celebri Ballets Russes, che nel 1910 gli commissiona L’uccello di fuoco, anche se il “vero” esordio si avrà nel 1911 con Petrushka (che verrà esaminato in seguito). Questa fase della sua produzione si concluderà nel 1917, quando il compositore si affaccia al teatro da camera.

L’ultima fase della sub-tripartizione ipotizzata in precedenza è sicuramente la più controversa: il periodo “cubista” , infatti, viene spesso sottovalutato dagli storici, e non percepito come distinto rispetto al periodo russo, al quale viene asetticamente associato. A questainterpretazione se ne contrappone però un’altra, secondola quale la produzione del compositore si articolerebbe in quattro parti, individuando e considerando pertanto il periodo cubista come una fase a sé stante inserita tra il periodo russo e quello neoclassico.4 È quest’ultima l’interpretazione a cui si fa riferimento in questa sede.

Analizzandolecaratteristichedellecomposizionistravinskiane diquestoperiodo non si può non soffermarsi sui costanti richiami alla musica russa, come ad esempio l’utilizzo di chiare sonorità popolari. Il teatro da camera stravinskiano è sicuramente

D. CALLÀ: Viaggio nella
di Stravinskij 123
musica
Esempio 1: Le faune et la bergère II. Il fauno. Moderato Allegro moderato 4 Carrozzo Cimagalli, Storia della musica occidentale…, cit., pp. 393 399.

Quaderni di analisi

identificato da Renard (1916) e L’histoire du soldat (1918), opere nelle quali l’ascoltatore è obbligato a crearsi diversi punti di vista, non potendo immedesimarsi visivamente nella vicenda, concetto che fa sì che questo periodo si possa accostare perfettamente al cubismo. È in questa fase che si ritrovano anche tutti i condizionamenti da parte del cabaret e del jazz: proprio in L’histoire du soldat, infatti, si vedrà il palesarsi dell’influsso sul compositore del ragtime più autentico.

Periodo neoclassico e dodecafonico

Per quanto riguarda i restanti due periodi, “neoclassico” e “dodecafonico”, la loro consueta descrizione si rivela più che esaustiva. Nel periodo neoclassico, Stravinskij si rifà alla musica del Settecento, sovrapponendo ad essa il suo nuovo linguaggio sonoro affermato nel periodo russo. Affacciandosi alla dodecafonia, in maniera totalmente diversa da Schoenberg, suo dichiarato rivale, il compositore elabora invece lavori di grande rigore espressivo, legati a suggestioni liturgiche. Egli vedeva nell’utilizzo di questa tecnica un formale e rigoroso recupero delle antiche forme contrappuntistiche rinascimentali, in particolare quelle della Scuola fiamminga a cui il serialismo, in qualche modo, è legato. Questi due periodi verranno approfonditi successivamente nelle analisi specifiche.

Dentro la musica

Petrushka

Il balletto, come già espresso in precedenza, fu considerato il vero esordio musicale del compositore e segnò una rivoluzione nella storia della musica. La composizione nasce come concerto per pianoforte, strumento che in effetti figura nell’organico orchestrale.

Il primo quadro dell’opera vuole descrivere la Fête populaire de la semaine grasse di San Pietroburgo, e tenta quindi di inscenare la confusione delle feste popolari, l’atmosfera delle bancarelle, degli spettacoli di strada e del teatro delle marionette.

Analizzando l’incipit del primo quadro (Esempio 2) si può già intuire in cosa consista l’innovazione di Stravinskij. Il tutto inizia con una scrittura apparentemente regolare: vediamo i corni e i clarinetti che danno vita ad un tappeto sonoro realizzato tramite dei trilli,mentreil flauto presenta lamelodia. È importante sottolineare come tutti questi strumenti ripetano ossessivamente le stesse quattro altezze (la re mi sol), annullando totalmente la possibilità di un’elaborazione armonico melodica di stampo tradizionale

124

In queste prime cinque misure, infatti, il compositore crea una cosiddetta “fascia sonora”, la quale consiste nell’utilizzo di un numero circoscritto di suoni ripetuti ossessivamente, con l’obiettivo di creare una specifica atmosfera. In questo caso, infatti, tutto l’episodio ha lo scopo di immergerci nellaconfusione del giorno di festa creando al contempo un’aspettativa verso qualcosa che dovrà succedere: l’idea è anche quella di imitare e riprodurre la sensazione che si vive immediatamente prima di un concerto, quando gli strumenti vengono accordati.5

Compiendo invece un’indagine di tipo analitico, la fascia sonora presentata può essere spiegata in due modi diversi, entrambi validi e strettamente interconnessi tra diloro:potrebbetrattarsiinfattidiunafasciabasatasuun modo pentatonico difettivo, in cui è assente il suono do, oppure potremmo trovarci di fronte ad un accordo per quarte (mi-la-re-sol) su cui poi si sviluppa tutto il resto dell’episodio.

Nelle prime cinque misure, inoltre, si possono riscontrare chiare caratteristiche neo tonali:

• sintassi armonica completamente annullata

• integrazione tra dimensione lineare e verticale: melodia e armonia si basano sui medesimi suoni

• assenza di necessità di risolvere (indifferenza tra consonanza e dissonanza)

• effetto incantatorio

Dopo questa fase iniziale, a b. 6 subentra un nuovo elemento motivico e ritmico:

5

101 102.

D. CALLÀ: Viaggio
Stravinskij 125
nella musica di
Esempio 2: Petrushka primo quadro, bb. 1 6 Joel Lester, Analytic Approaches to Twentieth Centhury Music, New York London, Norton, 1989, pp.

Esempio 3: Petrushka primo quadro, bb. 6 12

Quaderni di analisi

Questo nuovo motivo, ripetuto ossessivamente come i precedenti, introduce due nuove altezze (si do#), le quali non si integrano ai suoni precedenti, ma vi si sovrappongono dando così vita ad una texture “stratificata”.6

La presenza del si nel flauto (b. 9) fa sì che, sommandolo ai suoni precedenti, si espliciti un modo pentatonico “completo” (sol la si re mi). Successivamente (b. 14) vi sarà un ulteriore nuovo elemento che introdurrà il sib e il do, facendo diventare il sistema sonoro un modo eptafonico “incompleto” (sol la sib do re mi).

Continuando a scorrere la partitura, si può notare come tutti gli elementi si sovrappongano senza mai mescolarsi fra di loro, creando così una fitta rete stratificata, priva come sempre di uno sviluppo verso qualcosa, che mantiene in vita la fascia sonora. Si tratta di tanti piccoli enunciati sovrapposti e ripetuti, senza uno sviluppo melodico, che danno vita ad un sistema complesso ottenuto, però, tramite la sovrapposizione di linee semplici.

È importante sottolineare un altro aspetto fondamentale dello stile stravinskiano: la ricerca di una sonorità che simboleggi una situazione, un personaggio, un determinato elemento, per il resto della composizione.

Un esempio rappresentativo in tal senso è l’evento accordale illustrato nell’Esempio 4: esso rappresenta il personaggio di Petrushka, e si trattò di un elemento talmente innovativo da far sì che il poliaccordo formato dalla sovrapposizione delle triadi di do maggiore e di fa# maggiore (quest’ultima in primo rivolto) prendesse il nome di ‘accordo di Petrushka’. 7

6 Ibid., pp. 40 42.

7 Sul concetto di poliaccordo cfr. Vincent Persichetti, Armonia del ventesimo secolo, Milano, Guerini, 1993, pp. 125 150.

126

Tali suoni sono stati scelti in modo da creare diverse sfumature di consonanza e dissonanza, classica peculiarità neo tonale; la combinazione delle due triadi può anche essere considerata come parte di una scala ottatonica (do do# re# mi fa# sol la-la#), sistema sonoro tipico della musica russa molto utilizzato da Rimskij Korsakov.8

Ultimo argomento di discussione, già accennato in precedenza, è la totale mancanza di elaborazione armonica e melodica nella musica di Stravinskij. Riallacciandoci al discorso sull’accordo di Petrushka, per comprendere questo concetto è sufficiente osservare la partitura dell’episodio Désespoir de Petrushka (Esempio 5), momento di grande crescita dinamica che ha lo scopo di rappresentare la disperazione del personaggio. È proprio qui che si svela il genio del compositore: egli infatti riesce a ricreare una crescita tensiva, perfettamente paragonabile ad una sequenza cadenzale, senza però l’utilizzo di alcuna elaborazione armonica. Vi è solo una continua ed ossessiva riproposizione delle sonorità caratteristiche del personaggio con la sovrapposizione continua di uno strumento sull’altro affiancata da una progressiva ed impetuosa crescita dinamica coronata da un climax caratterizzato dalla presenza di tutti gli strumenti.

D. CALLÀ:
127
Viaggio nella musica di Stravinskij
Esempio 4: Petrushka secondo quadro (n. 49)
8
18.
Cfr.
Giannetta, Breve guida…, cit., pp.
16

Esempio 5: Petrushka secondo quadro (n. 60)

128 Quaderni di analisi
D. CALLÀ: Viaggio nella
di Stravinskij 129
musica

Le Sacre du printemps

Composto due anni dopo Petrushka, Le Sacre du printemps (1913) ebbe un successo strepitoso. Il balletto si ispira ai riti ancestrali della Russia pagana basati su sacrifici umani: lo scopo dell’opera, infatti, è proprio quello di ricreare un’atmosfera cruda e primitiva.

In questa partitura la tecnica della “stratificazione” è portata agli estremi per rappresentare il risveglio della natura dopo la stagione invernale. L’inizio dell’opera (Esempio 6) è caratterizzato dal tema esposto dal fagotto solo, presentato però in un registro acutissimo molto scomodo per lo strumento: la scelta di ricorrere ad una sonorità così estrema, quasi precaria, è probabilmente dovuta al desiderio di esprimere fin da subito l’atmosfera ancestrale che il compositore ha in mente.

Esempio 6: Le Sacre du printemps Introduzione, bb. 1 9

A questa melodia arcana, senza punti di riferimento, che ricorda una sorta di la minore naturale, si sovrappongono i corni, i quali ripeteranno sempre la medesima cellula (do#-re-do#), quindi i clarinetti, con una scala cromatica prima discendente e poi ascendente, poi ancora i corni, e via dicendo.

130 Quaderni
di analisi

Si crea così una struttura basata sulla stratificazione che si potrebbe definire un “dialogo fra sordi”, in cui ciascuno strumento ripete ossessivamente la propria idea motivica senza che si crei alcuna interazione. L’intensità sonora aumenta tramite l’ingresso di altri strumenti, e il climax viene raggiunto soltanto grazie alla continua sovrapposizione di idee indipendenti. A sottolineare l’assoluta assenza di elaborazione tematica, l’Introduzione si conclude con un improvviso arresto che fa immediatamente spazio al primo episodio, Les augures printaniers. Quest’ultimo viene preceduto dalla riproposizione della melodia iniziale del fagotto (Esempio 7), la quale viene seguita da una nuova idea tematica espressa dal pizzicato dei violini (reb sib mib sib) che riprende il tema principale del Canto dei battellieri del Volga, caratteristico canto popolare russo.9

Esempio 7: Le Sacre du printemps Introduzione (n. 12)

Immediatamente dopo, la composizione esplode con lapresentazione del celebre poliaccordo (Esempio 8), tipicamente stravinskiano, formato dalla sovrapposizione di due accordi semplici: la triade maggiore fab lab dob e un’ipotetica settima di dominante in primo rivolto (sol sib reb mib).

In questo episodio si palesa inoltre una marcata elaborazione ritmica ottenuta tramite l’impiego di accenti spostati che creano raggruppamenti volutamente irregolari.

9

492: 462.

D. CALLÀ: Viaggio
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nella musica di Stravinskij
Cfr. Roman Vlad, Rilettura della “Sagra”, «Nuova Rivista Musicale Italiana», XVII/3 4, 1983, pp. 426

di analisi

L’histoire du soldat

Con L’histoire si entra a pieno titolo nel terzo sotto periodo russo: il periodo cubista. La partitura fu composta nel 1918 su libretto in francese di Charles Ferdinand Ramuz; tuttavia, a causa dell’assenza del canto, non può essere definita una vera e propriaopera.Inessa,infatti,vièunavocenarranteeundialogoparlatofraildiavolo e il soldato. Le voci degli attori si sovrappongono molto spesso alla musica, altre volte sono presenti tra un pezzo musicale e l’altro, e l’azione sulla scena viene suggerita mimicamente. La musica non solo funge da interludio fra i vari episodi, ma accompagna i mimi e i ballerini ponendo l’accento sui momenti salienti; è inoltre innovativa e particolare in quanto accosta forme e stili diversi: una marcia, un valzer e un corale bachiano, collegati ad un tango argentino e ad un ragtime americano. Nella musica stravinskiana alla base di tutto, come già visto in precedenza, vi sono le ripetizioni, le quali vanno a sostituire l’elaborazione armonica e melodica. Secondo lo studioso Pieter van den Toorn, si possono ritrovare nelle sue composizioni due categorie di ripetizioni, già preannunciate in Le Sacre du printemps per poi essere consolidate in L’histoire du soldat 10

10 Pieter C. van den Toorn, Stravinsky and The Rite of Spring, Berkeley, University of California Press, 1987, p. 99, cit. in Richard Desinord, Active stasis: repetition and the façade of discontinuity in Stravinsky’s Histoire du soldat, Master of Arts thesis, State College, Pennsylvania State University, 2016 (gli esempi 9 10 11 presentati nelle pagine seguenti sono tratti da quest’ultimo testo)

132
Quaderni
Esempio 8: Le Sacre du printemps Les augures printaniers (n. 13)

Basandosi sulle definizioni espresse da van der Toorn, si può effettuare una divisione e un’analisi più approfondita dei singoli macro blocchi. Osservando infatti le ripetizioni, e schematizzandole in una successione ordinata, si può comprendere la grande importanza e la versatilità di questo strumento, principalmente quando si osservano le reiterazioni presenti anche all’interno delle singole ripetizioni. Ci sono dei momenti, infatti, in cui una linea melodica che si presenta come un’entità a sé stante, al momento della successiva entrata dell’intero blocco cambia la propria funzione, facendo sì che essa venga reinterpretata soltanto come strumento di lancio per l’intero blocco.

La sezioneA vieneintrodottadall’elementoA2(cfr.Esempi 9 10),il qualeviene ripetuto due volte prima dell’entrata dell’elemento A1. A1 e A2 infatti, come verrà espresso successivamente, non sono altro che parti di un singolo blocco che è stato suddiviso. Stesso ragionamento si può attuare con B1 e B2, dove in questo caso l’elemento di collegamento è lampante: osservando le bb. 27 29 si può notare come anch’essi facciano parte di un singolo macro blocco grazie alla connessione tra i due blocchi nella voce inferiore dell’armonia di B2. Mentre le voci superiori delineano al meglio il profilo di B2, l’armonia sottostante rimarca delle sezioni discendenti di B1.

I blocchi C non sono altro che linee ascendenti e discendenti che si muovono con andamento costante senza armonie aggiunte: qui si osserva che l’entrata del diavolo è sottolineata dagli annunci di C1.

L’elemento D, paragonabile ad un caesura fill, è un semplice elemento di collegamento tra le sezioni B e A’.11

11 Una caesura fill è, secondo la Sonata Theory, un breve elemento melodico che “riempie” lo spazio sonoro teoricamente vuoto subito dopo una cadenza sospesa, o half cadence (cfr. James Hepokoski Warren Darcy, Elements of Sonata Theory, New York, Oxford University Press, 2006, p. 40).

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Stravinskij 133
nella musica di
Esempio 9: L’histoire du soldat Classificazione dei blocchi

Esempio 10: L’histoire du soldat Individuazione dei blocchi nella partitura

134 Quaderni
di analisi
D. CALLÀ: Viaggio
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nella musica
136 Quaderni di analisi

Il basso ostinato, identificato con X, viene utilizzato in modo tale da mettere in relazione e far interagire tutti i blocchi sovrastanti, facendo anche sì che ognuno di essi possa presentarsi, svolgersi e concludersi senza dar conto al resto che lo circonda. X si arresta, infatti, solo alla conclusione di A e di A’.

L’unicità delle ripetizioni in L’histoire è data dal manifestarsi nei vari frangenti di linee o blocchi prima che si sia affermata una struttura stabile della composizione.

Si possono trovare due tipologie di linee:

Esempio 11: Lista di successioni con multiple interazioni teorizzata da Horlacher12 (nell’esempio sono presenti soltanto le prime due)

La prima colonna presenta un’interazione in cui esiste una prima linea indipendente, la quale può essere seguita da una seconda o da una terza che conclude il discorso (che comunque può anche non concludersi). La seconda colonna, invece, si riferisce ad interazioni basate sulla sovrapposizione, come per esempio l’elemento X che permette la libera presentazione degli elementi superiori.

Tornando ora al discorso precedente su A1 e A2, la loro presentazione calza perfettamente con la classificazione della prima colonna: si può definire A1 come la seconda linea conclusiva del segmento indipendente A2. 12

D. CALLÀ:
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Viaggio nella musica di Stravinskij
Gretchen Horlacher, Building Blocks, New York, Oxford University Press, 2011, p. 26.

Quaderni di analisi

Pulcinella

Con Pulcinella (1920) Stravinskij entra nel suo periodo neoclassico. Questa nuova fase della sua produzione sbalordì lo stesso pubblico, sconcertato nel ritrovare nel compositore un linguaggio così “tradizionale”. Egli si rifà alla musica settecentesca, prendendo spunto da Pergolesi e da altri autori del periodo, adoperando però un’armonizzazione “sporcata”: si ritrovano in partitura, infatti, dei suoni che vengono aggiunti alle armonie tradizionali, producendo così delle dissonanze.

Esempio 12: Pulcinella Ouverture, bb. 1-3 (riduzione per pianoforte)

Fin dall’inizio della composizione risulta ben chiara la tonalità d’impianto (sol maggiore),comenellepiùcanonichecomposizionisettecentesche,magià sul battere di b. 2 si può notare la presenza di un presunto poliaccordo (do la do sol si mi) totalmente incoerente rispetto a sol maggiore. Subito dopo, a b. 3, si ritrova un’altra anomalia: si presenta infatti la triade di tonica con all’interno anche il suono la Il secondo brano (Serenata) è ancora più significativo:

Esempio 13: Pulcinella Serenata, bb. 1 2 (riduzione per pianoforte)

Dopo un classico inizio in do minore, cominciano a presentarsi i suoni estranei: a b. 2 si trovano due quinte sovrapposte (fa do + sol re), e subito dopo una triade di sottodominante con il sol al posto del lab (fa sol do).

Per riassumere, il compositore riesce a creare una sonorità familiare con suoni estranei dando origine ad una sostanziale indifferenza tra consonanza e dissonanza: si vede, infatti, come i suoni dissonanti si comportino come se non fossero tali

Il tutto consiste nell’utilizzare la tecnica della stratificazione tra la melodia e il basso settecentesco, codificando in questo modo il suo stile neoclassico.

138

: Viaggio nella musica di Stravinskij 139

Threni, id est Lamentationes Jeremiae Prophetae

L’approdo di Stravinskji alla dodecafonia fu quanto mai inaspettato. Anche se già in precedenza il compositore aveva stupito il grande pubblico con drastici cambiamenti stilistici, come fece con la fase neoclassica, con l’adozione del metodo dodecafonico lo scalpore suscitato fu sicuramente più significativo. Il motivo di questo grande “scandalo”, se così si può definire, è dovuto anche alla grande disparità di vedute tra lui e Arnold Schoenberg, codificatore di quella tecnica dodecafonica che segnò significativamente tutto il panorama musicale europeo di metà secolo.

La composizione che segnò il passaggio definitivo di Stravinskij alla dodecafonia fu Threni per soli, coro e orchestra (1958) Prima di analizzare la composizione, e la serie posta alla sua base, è necessario compiere un ragionamento per capire come il compositore sia giunto al risultato finale: naturalmente si tratta di un ragionamento ipotetico, ma utile per capire il complesso processo compositivo.13

Esempio 14: Threni, id est Lamentationes Jeremiae Prophetae (incipit)

13 David H. Smyth, Stravinsky as Serialist: The Sketches for “Threni”, «Music Theory Spectrum», XXII/2, 2000, pp. 205 224.

D.
CALLÀ

Quaderni di analisi

Come primo passaggio, è necessario estrarre il contenuto melodico della voce superiore nel duetto iniziale, ricavandone la serie.

Esempio 15: Threni, id est Lamentationes Jeremiae Prophetae (estrazione della serie)

Successivamente si può notare come il compositore preferisca adoperare la cellula fa fa# come elemento conclusivo, anziché iniziale, trasportando tutto un tono sopra: a tal proposito viene modificato anche il tetracordo [0,2,5,7] 14

Esempio 16: Threni, id est Lamentationes Jeremiae Prophetae (analisi)

La versione finale si raggiunge invertendo il sol e il sol# ed aggiungendo il re# all’inizio: quest’ultimo suono, letto enarmonicamente come mib, avrà un ruolo centrale in tutta la composizione.

L’ultima riflessione da fare riguarda la parola «incipit», che naturalmente non ha un ruolo melismatico ma, ripetuta dal soprano, dà la possibilità di inserire le note aggiuntive.

14 Corrisponde al set 4 23: cfr. la Classificazione degli insiemi di classi di altezze pubblicata in questo volume, pp. 61 65.

140

Esempio 17: Threni (configurazione ritmica)

Una delle ipotetiche idee iniziali del compositore era quella di avere una semplice omoritmia a specchio tra le due voci del duetto, poi però abbandonata ricorrendo ad una diversificazione nella scansione sillabica così da avere una configurazione ritmica indipendente tra le due voci, come appare nel risultato finale.

Esempio 18: Threni (serie)

D. CALLÀ:
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Viaggio nella musica di Stravinskij

Esempio 19: Threni (quadrato magico)15 I I5 I4 I7 I10 I6 I11 I8 I1 I9 I2 I3 O 0 5 4 7 10 6 11 8 1 9 2 3 R3

7 7 0 11 2 5 1 6 3 8 4 9 10 R10

8 8 1 0 3 6 2 7 4 9 5 10 11 R11

5 5 10 9 0 3 11 4 1 6 2 7 8 R8 O2 2 7 6 9 0 8 1 10 3 11 4 5 R5 O6 6 11 10 1 4 0 5 2 7 3 8 9 R9 O1 1 6 5 8 11 7 0 9 2 10 3 4 R4 O4 4 9 8 11 2 10 3 0 5 1 6 7 R7 O11 11 4 3 6 9 5 10 7 0 8 1 2 R2 O3 3 8 7 10 1 9 2 11 4 0 5 6 R6 O10 10 3 2 5 8 4 9 6 11 7 0 1 R1 O9 9 2 1 4 7 3 8 5 10 6 11 0 R RI9 RI2 RI1 RI4 RI7 RI3 RI8 RI5 RI10 RI6 RI11 RI

Dopo aver illustrato il quadrato magico della composizione sul quale non mi soffermo in quanto privo di simmetrie interne in cui appaiono naturalmente tutte e quattro le canoniche trasformazioni della serie e le rispettive trasposizioni, è importante porre l’attenzione su una particolare configurazione utilizzata dal compositore: la forma retrograda inversa della serie con trasposizione +6 (RI6).

Questa forma seriale ricopre un ruolo molto importante in quanto è presente e caratterizzante nei brani successivi dell’opera: si può individuare, ad esempio, in De Elegia Prima, e in particolare nell’episodio intitolato Aleph.

Esempio 20: Threni De Elegia Prima (Aleph) 15 Per la costruzione del quadrato magico, cfr. Giannetta, Breve introduzione…, cit., pp. 40 43.

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Quaderni di analisi
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O

L’estetica di Stravinskij

Per concludere, è importante compiere una riflessione sulla parabola artistica del compositore. Egli infatti venne molto criticato per l’assenza di uno stile unitario: basti pensare al suo approccio alla dodecafonia, avvenuto in tarda età dopo che, per decenni, venne considerato antitetico rispetto a Schoenberg. Tutto ciò contribuì a diffonderenelgrandepubblicoenellacriticalasensazionedi unpercorso incoerente. Soffermandosi però ad analizzare la produzione stravinskiana nel suo insieme, ci si può rendere conto di come il compositore russo abbia seguito in realtà un percorso artistico estremamente coerente, come si è cercato di mettere in evidenza

D. CALLÀ:
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Viaggio nella musica di Stravinskij
Esempio 21: De Elegia Prima forma seriale RI6 (6-7-0-8-1-10-3-11-2-5-4-9)

Quaderni di analisi

in queste pagine. Stravinskij, infatti, in ciascuno dei suoi periodi stilistici “scompone” qualsiasi materiale musicale con cui venga a contatto per poi “ricomporlo” ricorrendo al suo particolarissimo modus operandi, facendo sì che quello che poteva essere considerato il suo punto debole una sostanziale incapacità di elaborazione motivico tematica divenga invece il suo più grande punto di forza: in tal modo egli diventa una delle voci più autorevoli del XX secolo e dell’intera storia della musica.

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IL PRIMO LIBRO DEI PRÉLUDES DI CLAUDE DEBUSSY: TONALITÀ ED INTERFERENZE MODALI*

Introduzione

L’interpretazione armonica della musica di Claude Debussy rappresenta una vera e propria sfida: una lettura basata sull’armonia funzionale, infatti, si rivela del tutto inadatta a “spiegare” la relazione che si instaura fra i diversi aggregati; nonostante siano stati tentati diversi approcci di tipo schenkeriano alle partiture del compositore francese, inoltre, va osservato che anche questi si limitano sostanzialmente ad una descrizione degli eventi sonori, e non possono quindi essere considerati “analisi” nel senso stretto del termine.1

La significativa presenza, nella musica di Debussy, di sistemi sonori derivati da strutturescalari alternativeallascaladiatonica,hascatenatotuttaunaseriedirimandi geografici e culturali: secondo De la Motte, Debussy ricorre spesso alla scala esatonale e alla scala pentatonica nel tentativo di adeguare il modo slendro del gamelan la musica tradizionale di Giava e di Bali che il compositore francese avrebbe ascoltato in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1889 al temperamento equabile,2 mentre invece la presenza nelle sue composizioni della scala ottatonica,peculiare dellamusica popolareslava, sarebbeil retaggio dei viaggi del giovane Claude in Russia come pianista al seguito di Madame von Meck.3 Ma, al di là delle possibili influenze culturali, che comunque non rientrano nel campo di indagine del presente studio, va osservato che anche un approccio analitico di tipo modale, che si basi cioè esclusivamente sull’uso e sull’interazione di questi particolari sistemi sonori, non basta da solo a far luce sulla complessità del linguaggio musicale debussiano.

* Il testo che segue, opportunamente rivisto e aggiornato, è ricavato dalla conferenza dal medesimo titolo tenuta presso l’Istituto Musicale Pareggiato ‘G. Lettimi’ di Rimini il 5 novembre 2010 in occasione dell’ottava edizione del Convegno di Analisi e Teoria Musicale organizzato dal G.A.T.M.

1 Sono esempi di questo tipo: Matthew G. Brown, Tonality and form in Debussy's Prélude à l'après midi d'un faune, «Music Theory Spectrum», XV/2, 1993, pp. 127 143, e Annie K. Yih, Analysing Debussy: Tonality, motivic sets and the referential pitch class specific collection, «Music Analysis», XIX/2, 2000, pp. 203 229

2 Diether de la Motte, Manuale di armonia, Roma, Astrolabio, 2007, pp. 319 321.

3 FrançoisLesure, Debussy. Gli anni del simbolismo, Torino,EDT,1994,pp.33 50;sullecaratteristiche della scala ottatonica cfr. inoltre, in questo volume, Domenico Giannetta, Breve guida per l’analisi della musica post tonale, pp. 16 18.

Quaderni di analisi

Quando non si riesce a spiegare un fenomeno, diventa quasi naturale cercare di aggirare il problema individuando ciò che è assente, piuttosto che mettere in evidenza gli aspetti che, pur essendo realmente presenti, sfuggono ad una piena comprensione. Ecco perché si parla spesso, a proposito della musica di Debussy, di “armonia defunzionalizzata”, un termine conil quale si vuolesottolineare il fatto che la relazione fra i diversi aggregati, piuttosto che ricalcare la sintassi armonica tradizionale, sembra scaturire da esigenze puramente “sonoriali”: il moto delle parti, ed in particolare gli scivolamenti per grado congiunto così tipici nella musica di Debussy, producono quasi incidentalmente degli aggregati sonori che si giustappongono o si contrappongono a seconda dei casi.4

In realtà Debussy non rinunciamai del tuttoal “potere unificatore” della tonalità, e segnatamente a quelle successioni cadenzali codificate dalla tradizione che producono un senso di appagamento nell’ascoltatore: assistiamospessissimo,infatti, a movimenti lineari del basso che richiamano la cadenza autentica (D T), oppure a percorsi armonici più articolati che potremmo tranquillamente analizzare con la classica simbologia funzionale.5 Ma, allo stesso tempo, nella sua musica vi è un continuo alternarsi di strutture scalari sempre diverse, grazie alle quali il linguaggio armonico si arricchisce enormemente e assume un carattere cangiante.

La vera essenza della musica debussiana, quindi, sembra fondarsi proprio sulla perfetta coesistenza fra due procedimenti molto diversi: tanto “centripeto” in quanto basato sulla tonica e sulla logica armonica tradizionale il primo, quanto invece “centrifugo” e vòlto a creare atmosfere suggestive ed imprevedibili il secondo. Si genera quindi una perfetta integrazione fra tonalità e modalità. O, per meglio dire, il sistema tonale, che rimane pur sempre alla base, viene arricchito dalla presenza di “interferenze modali”.

Occorreprecisare,tuttavia,checonquestotermine nonsi intende,inquestasede, semplicemente lo spostamento cromatico di uno o più suoni, a partire da una tonalità maggiore ominore, che determinaun’inflessione “modaleggiante”, comeavvienead esempio nelle battute iniziali del Rondeau à la Mazur op. 5 (1826) di Fryderyk Chopin, laddove l’impianto armonico non viene più di tanto compromesso dalla sostituzione del sib (IV grado di fa maggiore) con il si naturale che richiama molto chiaramente il modo lidio. 6 Nel secondo movimento della Quarta Sinfonia op. 98 (1885) di Johannes Brahms, la presenza della modalità sembra essere più invasiva, in quanto capace di condizionare la costruzione degli accordi e quindi la struttura armonica della composizione, ma anche in questo caso avvertiamo la presenza del modo frigio come una deviazione più o meno momentanea dal tono d’impianto (mi

4 Questi aspetti sono approfonditi in Mauro Mastropasqua, Introduzione all’analisi della musica post tonale, Bologna, CLUEB, 1995, p. 15 e in Domenico Giannetta, I Nocturnes di Claude Debussy: uno studio analitico, Lucca, LIM, 2007, p. xix.

5 Cfr. ad esempio il caso delle misure iniziali di Reflets dans l’eau, dal primo libro delle Images per pianoforte, descritto in Mastropasqua, Introduzione all’analisi…, cit., pp. 15 16, 83.

6 Domenico Giannetta, La terza via: una sintassi armonia per la musica modale, «I Quaderni del Conservatorio Umberto Giordano di Foggia», I, 2013, pp. 47 64: 48.

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maggiore). Persino la scala acustica, quando viene adoperata dallo stesso Debussy, può essere considerata più che altro una versione modificata della scala diatonica piuttosto che una struttura scalare a sé stante, come avviene invece nella musica di Béla Bartók.7

Ciò che si intende con il termine “interferenza modale”, quindi, è una sorta di simbiosi che si viene a creare fra due diversi sistemi sonori, in cui il sistema principale, in questo caso la tonalità, pur mantenendo le sue caratteristiche e la sua riconoscibilità, viene integrato da stilemi e peculiarità tipici di un sistema sonoro teoricamente incompatibile con esso, perché basato su una diversa suddivisione intervallare dell’ottava, come avviene nella scala per toni interi o nella scala ottatonica, o semplicemente perché privo di semitoni e quindi di tensioni tonali, come nel caso dei modi pentatonici.

Per vedere all’opera questo procedimento compositivo esamineremo adesso il primo libro dei Préludes una delle opere pianistiche più significative di Debussy, composta tra il 1909 e il 1910 , ed in particolare proprio gli episodi che evidenziano la presenza di interferenze modali. La scelta di analizzare composizioni pianistiche, piuttosto che sinfoniche, è stata dettata sia dall’esigenza di avere una maggior semplicità di lettura degli esempi musicali citati, sia dal bisogno di ottenere dei dati non condizionati dalla particolare tecnica di orchestrazione debussiana, la quale prevede spesso una stratificazione di più eventi sonori che produce particolari effetti sonoriali.8

Interferenze esatonali

Il modus operandi descritto in precedenza raggiunge la massima efficacia allorquando Debussy riesce a conciliare gli opposti, nella fattispecie far convivere il sistema tonale con la scala per toni interi, ovvero con il sistema sonoro che più di ogni altro sembrerebbe contraddire le peculiarità dell’armonia tonale. Le caratteristiche di un modo esatonale sono infatti le seguenti:

- esistono soltanto due scale per toni interi, senza alcun suono in comune, e quindi fra loro “complementari”; nell’ambito di un modo esatonale, la divisione dell’ottava in sei parti uguali ostacola la percezione di relazioni funzionali fra i gradi della scala, e fa sì che nessun suono possa fungere a priori da suono di riferimento (tonica o finalis), e al contempo che ciascun suono possa ricoprire di volta in volta tale ruolo;

7 Il ruolo fondamentale svolto dalla scala acustica nella musica di Béla Bartók è ampiamente descritto in Ernö Lendvai, La sezione aurea nelle strutture musicali bartókiane, «Nuova Rivista Musicale Italiana», XVI/3, 1982, pp. 340 399: 364 373.

8 Questo aspetto è discusso in Giannetta, I Nocturnes di Claude Debussy…, cit., pp. 231 241.

D. G
IANNETTA
: Il primo libro dei Préludes di Claude Debussy… 147

Quaderni di analisi l’assenza di intervalli di quinta giusta, infine, impedisce la costruzione di aggregati consonanti nel senso tonale del termine, favorendo quindi una sostanziale “indifferenza” fra consonanza e dissonanza.

Nei dodici brani che costituiscono il primo libro dei Préludes si ravvisano soltanto due casi di esatonalità pura, indipendenti da qualsiasi tipo di influenza tonale, ed essi corrispondono alle due sezioni esterne di Voiles (bb. 1 40 e 48 64) e ad alcuni episodi di Ce qu’a vu le Vent d’Ouest (bb. 19 20; 23 28; 35 37).9 Esistono poi altre due situazioni esatonali, ma queste sono come “sporcate” dalla presenza di suoni estranei al sistema sonoro (Le vent dans la plaine bb. 21-27; Des pas sur la neige bb. 12 15).

Molto più frequenti sono, invece, le situazioni in cui tonalità ed esatonalità operano in simbiosi. L’esempio seguente propone l’incipit di Danseuses de Delphes, il primo dei Préludes: la linea del basso farebbe pensare ad un contesto tonale (T D), confermato dal successivo ritorno alla tonica (sib) all’inizio di b. 2; questa sensazione è rafforzata dagli aggregati costruiti sul primo tempo (la triade perfetta maggiore di tonica) e sul terzo tempo (triade di dominante con quinta alterata).

Esempio 1: Debussy, Danseuses de Delphes, bb. 1 2

L’armonia posta sul secondo tempo, tuttavia, è di più complessa lettura: volendola“costringere” a tutti i costi in un contesto tonale, la si potrebbe interpretare comeuna settimadi sensibile (la do mib sol)conl’appoggiaturainferiore dellaterza (do), ma il significato assunto dalla figurazione puntata nel prosieguo del brano (cfr. specialmente bb. 3-4) farebbe propendere per una lettura armonica rovesciata, in cui il si naturale funge da nota reale e il successivo do da nota di passaggio. Letta in questi termini, la contestualizzazione di questo aggregato nell’ambito della tonalità di sib maggiore appare quantomeno forzata; al contrario, tutti i suoni che costituiscono il secondo ed il terzo aggregato fanno parte di un’unica scala esatonale: la si do# mib fa sol (con il do naturale, come detto, nota di passaggio).

9 Le peculiarità specificamente esatonali di Voiles sono analizzate in Domenico Giannetta, Voiles dal primo libro dei Preludi per pianoforte di Claude Debussy, «Musica Domani», 149, dicembre 2008, pp. 20 21 (nella rubrica «Prove di Analisi» a cura di Susanna Pasticci)

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: Il primo libro dei Préludes di Claude Debussy… 149

Poiché, come detto in precedenza, in una scala per toni interi non è presente alcun intervallo di quinta giusta, ne consegue che la tonica e la dominante di una qualsiasi tonalità armonica, distanti fra di loro appunto per tale intervallo, debbano necessariamente appartenere alle due diverse scale esatonali. Operando quindi una sintesi fra tonalità ed esatonalità si potrebbe dire che, data una qualsiasi tonalità, le due uniche scale esatonali possibili conterranno una il suono che funge da tonica, e l’altra il suono che funge da dominante: si otterrà quindi il “modo esatonale di tonica” T(E) e il “modo esatonale di dominante” D(E). 10

Figura 1: Relazione fra la tonalità di do maggiore e le due scale esatonali complementari

Nel caso in specie, quindi, il secondo e il terzo aggregato di b. 1 appartengono al modo esatonale di dominante D(E) e, giustapponendosi alla triade perfetta maggiore di tonica (sib re fa), producono la successione armonica T D, generando un’interferenza esatonale nell’ambito della tonalità di sib maggiore.

Esempio 2: Debussy, Danseuses de Delphes, b. 1 (interferenza esatonale)

10

La possibilità che, nella musica di Debussy, un contesto esatonale possa svolgere una funzione dominantica, è suggerita in Alfonso Alberti, Le Sonate di Claude Debussy: contesto, testo, interpretazione, Lucca, LIM, 2008, pp. 143 146.

D. GIANNETTA

Quaderni di analisi

Esaminando poi ciò che accade a b. 6, quando il motivo iniziale viene ripreso e variato, la precedente lettura armonica (il do interpretato come nota di passaggio tra il si naturale e il do#) si dimostra ancora più appropriata, e si esplicita ulteriormente il carattere esatonale del secondo e del terzo aggregato, che corrispondono in questo caso a due triadi aumentate.

Un’altra commistione simile si verifica nell’episodio conclusivo del brano (cfr. Es. 3): nelle bb. 25-26 viene ulteriormente riproposto l’incipit di Danseuses de Delphes, che adesso, tramite l’accordo di passaggio sol si mib (*), estende il principio della nota di passaggio all’intera triade aumentata; successivamente, nelle bb. 27 28, appare un altro aggregato esatonale, sol-la-do#-fa (**), che viene però alternato con la reiterazione al basso della successione D T (fa sib), fino alla conclusione sulla triade maggiore di tonica (b. 29): anche in questo caso, quindi, l’impianto tonale è riconoscibile, ma viene arricchito incorporando al suo interno un’interferenza esatonale.

Esempio 3: Debussy, Danseuses de Delphes, bb. 23 31

Qualcosadisimileavvienenellemisureconclusivedi Ce qu’a vu le Vent d’Ouest (Es. 4): il brano termina (b. 70) sulla triade maggiore di tonica con la sesta aggiunta (fa# la# do# re#).11 In uncontestotonale, questa armonia dovrebbe esserepreceduta dalla dominante, ma in questo caso tale funzione viene espletata da un insieme di classi di altezze (b. 69) riconducibile alla scala esatonale di dominante D(E): do# re# fa sol la (si), con quest’ultimo suono da considerarsi sottinteso.12

11 Questo accordo, che a partire dal periodo romantico viene adoperato di tanto in tanto come armonia conclusiva, è descritto in Domenico Giannetta, Elementi di armonia e contrappunto, Firenze, Phasar, 2019, pp. 25 26.

12 Domenico Giannetta, Le transizioni modali nella musica di Claude Debussy, «Rivista di Analisi e Teoria Musicale», XVIII/1, 2012, pp. 29 47: 38 40.

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Esempio 4: Debussy, Ce qu’a vu le Vent d’Ouest, bb. 68 71

Nelle bb. 9 12 di Les sons et les parfums tournent dans l’air du soir (Es. 5) accade qualcosa di leggermente diverso: sul suono del basso la (tonica del brano che viene esplicitata nelle battute iniziali), viene costruita una triade aumentata (la do# mi#), dando origine ad un episodio basato sulla scala esatonale di tonica T(E), la si-do#-re#-mi#-sol, ma questi aggregati esatonali vengono alternati con la triade minore costruita sul VI grado (fa# la do#). Non è ben chiaro se questo accordo “tonale” debba essere considerato come il semplice risultato del moto delle parti in un contesto esatonale (fa# da leggersi come nota di passaggio tra il mi# e il sol naturale), oppure se, al contrario, vista la sua collocazione sul tempo forte, debbano essere invece i due aggregati esatonali ad essere considerati rispettivamente come appoggiatura e accordo di volta in un contesto tonale, ma di fatto è proprio questa ambiguità di fondo che consente una perfetta integrazione fra i due sistemi sonori.

Esempio 5: Debussy, Les sons et les parfums tournent dans l’air du soir, bb. 9 12

La danse de Puck propone qualcosa di ancora diverso: nelle bb. 24 27 (Es. 6) si ha l’alternanza regolare fra la triade maggiore di tonica (mib sol sib), con doppia appoggiatura della terza e della quinta, e un aggregato che nel suo complesso è ricavato dalla scala esatonale di tonica (mib fa sol la si/dob reb).

D. GIANNETTA
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: Il primo libro dei Préludes di Claude Debussy…

Quaderni di analisi

È proprio la tonica mib a fungere elemento di connessione fra le due situazioni armoniche, nonostante le bb. 25 e 27 siano basate sulla reiterazione al basso del suono dob: ciò è possibile in virtù della sostanziale indifferenziazione gerarchica fra i suoni che abbiamo visto essere una delle caratteristiche della scala per toni interi. 13

Interferenze pentatoniche

L’altra importante categoria di strutture modali che Debussy incorpora spesso nel sistema tonale è quella basata sulla scala pentafonica anemitonica 14 Qui il discorso diventa però più sfumato, perché non abbiamo più a che fare con un sistema scalare nettamente contrapposto alla tonalità: un modo pentatonico, infatti, corrisponde di fatto ad un modo diatonico “difettivo”, ed anzi, aggiungendo i due suoni mancanti, da ciascun modo pentatonico si possono ottenere ben tre modi eptafonici diatonici, come si evince dalla “stella modale” di Bronson. 15

La caratteristica peculiare dei modi pentatonici, pertanto, è l’ambiguità: nonostante sia sempre ravvisabile, in teoria, un suono di riferimento a differenza di quanto avviene nei modi esatonali , esso possiede comunque un peso specifico molto relativo, e può quindi essere facilmente sostituito o affiancato da altri suoni del sistema che condividono questa funzione. Ciò rende possibile passare agevolmente da un modo ad un altro, oppure creare una situazione armonica ibrida che oscilli fra due o più modi pentatonici

13 Sul rapporto fra tonalità e scala per toni interi nella musica di Debussy cfr inoltre Arnold Whittal, Tonality and the whole tone scale in the music of Debussy, «The Music Review», XXXVI/4, 1975, pp. 261 271, e John K. Novak, Whole Tone as Extension of Tonal Harmony in the Music of Debussy: An Underestimated Technique of Conjunction, «International Journal of Musicology», 1/2015, pp. 79 99.

14 Cfr., in questo volume, Giannetta, Breve guida per l’analisi della musica post tonale, pp. 11 13.

15 Bertrand H. Bronson, The ballad as song, Berkeley Los Angeles, University of California Press, 1969, p. 85. Il modello grafico in questione, ideato dall’etnomusicologo americano per interpretare le specificità melodiche presenti nel repertorio della ballata anglo americana, è stato ripreso in Tullia Magrini, L’analisi, in Universi sonori. Introduzione all’etnomusicologia, a cura di T. Magrini, Torino, Einaudi, 2002, pp. 94 128: 97 99, e in Giannetta, Elementi di armonia e contrappunto, cit., p. 7.

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Esempio 6: Debussy, La danse de Puck, bb. 24 27

Prendiamo ad esempio in considerazione l’episodio centrale di Voiles (Es. 7), interamente basato sul modo sib-P5 (sib reb mib solb lab: tutti i tasti neri del pianoforte).16 La reiterazione al basso del sib porterebbe a pensare che sia quest’ultimo il suono di riferimento; tuttavia si può notare come anche il mib collocato in punti strategici sia dal punto di vista melodico (è il suono da cui si avvia la scala ascendente di b. 42, riproposta poi a b. 43) che armonico (suono fondamentale della triade mib solb sib su cui il brano “cadenza” nelle bb. 45-47) rivendichi un ruolo di primo piano; e, per concludere, anche il reb, collocato in una posizione metrica accentata nelle bb. 45 46, può avanzare le sue pretese. Tutto ciò concorda perfettamente con quanto detto in precedenza, dal momento che il modo pentatonico in questione può essere interpretato come modo difettivo delle seguenti tonalità: sib minore, mib minore e reb maggiore o minore.

Un altroesempiosimilesi ha nellemisureiniziali di Les collines d’Anacapri (Es. 8), imperniate sul modo si P2 (si do# mi fa# sol#): in questo caso i suoni che si contendono il ruolo di “tonica” sono il si (che predomina nelle bb. 1 2 e 5 6) e il sol# (su cui si conclude la sequenza melodica discendente delle bb. 3-4, e sul quale viene costruito il successivo aggregato sol# si do# mi). Le successive bb. 7 8 sembrano addirittura voler enfatizzare la rivalità tra i due potenziali suoni di riferimento.

16 Per la classificazione dei modi pentatonici, e la simbologia adoperata in questa sede, cfr. Giannetta, I Nocturnes di Claude Debussy…, cit., pp. 11, 274, e Domenico Giannetta, Il mondo è fatto a scale. Studio teorico sulle relazioni possibili fra scale e modi, «Rivista di Analisi e Teoria Musicale», XIV/1, 2008, pp. 59 86: 76 77.

D. GIANNETTA
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: Il primo libro dei Préludes di Claude Debussy…
Esempio 7: Debussy, Voiles, bb. 42 47

Sono soltanto due gli accordi tonali che si possono costruire con i suoni di un modo pentatonico, una triade maggiore ed una minore con eventuale settima 17 I due esempi precedenti dimostrano come il linguaggio debussiano non trascuri affatto la possibilità di sfruttare questi oggetti sonori, ma un modo pentatonico può anche essere visto come il risultato della sovrapposizione di quattro quinte giuste, ad esempio do sol re la mi: ciò vuol dire che un accordo per quinte sovrapposte (o per quarte, se si preferisce) sarebbe, in senso stretto, l’aggregato pentatonico per eccellenza.18

Non va infine trascurato che i modi pentatonici nascono spesso come modi “additivi”, sviluppandosi intorno ad un nucleo centrale formato da una terza minore e una seconda maggiore (ad es. sol mi re, da cui deriverebbe do re mi sol la):19 in tal senso, i tipici aggregati pentatonici fanno largo uso della sovrapposizione di intervalli di seconda maggiore (cfr. ad es. l’aggregato si do# mi fa# presente nell’ultima battuta dell’Es. 8).

I casi di pentafonia pura, nel primo libro dei Préludes, non sono frequentissimi: oltre ai due appena esaminati se nepresenta unaltro nelle bb.16-21 de La cathédrale engloutie (Es. 9), dove al modo pentatonico si do# re# fa# sol# (bb. 16 18) viene giustappostol’altromodopentatonico mib fa sol sib do (bb.19-21); trai duesistemi modali vi è soltanto un suono in comune, il re# reinterpretato enarmonicamente

17 Mastropasqua, Introduzione all’analisi…, cit., p. 45.

18 Ibid., p. 31.

19 Lendvai, La sezione aurea nelle strutture musicali bartókiane, cit., pp. 350 351.

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come mib 20 Si può osservare in questo episodio la presenza sia di aggregati per quinte sovrapposte (ad es. si fa# do# sol# re# sul terzo tempo di b. 16), sia di numerose sovrapposizioni di seconda maggiore.

Esempio 9: Debussy, La cathédrale engloutie, bb. 16 21

Molto più frequenti nella produzione debussiana, oltre che interessanti ai fini della ricerca qui condotta, sono tuttavia i casi in cui la pentafonia emerge nel bel mezzo di un contesto che presenta tutte le caratteristiche peculiari del sistema tonale.

Esaminiamo ad esempio le misure iniziali di Minstrels (Es. 10): la linea affidata alla mano sinistra evidenzia un chiaro percorso armonico basato sulla tonalità di sol maggiore, con l’alternanza fra tonica e dominante e la successione ii D T collocata al termine delle due frasi di quattro misure ciascuna. Il fa# (sensibile), presentato dalla mano destra in concomitanza con il suono re della sinistra (*), costituisce una conferma ulteriore della funzione dominantica svolta da quest’ultimo suono.

20 Giannetta, La terza via…, cit., p. 63.

GIANNETTA
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: Il primo libro dei Préludes di Claude Debussy…

Esempio 10: Debussy, Minstrels, bb. 1 12

Anche la terza frase (bb. 9 12) sembrerebbe proseguire sulla stessa falsariga, sebbene il presunto aggregato “dominantico” posto al termine di b. 10 (**) possa apparire un po’ strano: prima di tutto, infatti, non contiene la sensibile (fa#), e poi è basato sui suoni del modo sol P1 (sol la si re mi), lo stesso sistema sonoro che, sfruttando la somiglianza con la tonalità di sol maggiore (dentro cui è “contenuto” come modo difettivo), ha preso quasi inavvertitamente il suo posto a partire da b. 9.21 La cosa piùinteressante, poi, è scoprire che, andando aritroso, anche nella prima parte del brano quella che sembrava chiaramente tonale sono nascoste delle “isole” pentatoniche: la prima metà di ciascuna delle bb. 1 3, ad esempio, è basata (comprendendo anche le notine di abbellimento) sul modo pentatonico visto in precedenza, e la stessa cosa accade per la b. 4 nel suo insieme; ancora più sorprendente è poi osservare che la seconda metà di ciascuna delle bb. 1 3, sempre comprendendo i suoni di abbellimento, mostra una forte affinità con il modo esatonale di dominante D(E), per quanto difettivo (è infatti privo dei suoni mi e sol#/lab).

21 La conferma è data dal fatto che il movimento del basso re sol, che nelle misure precedenti aveva dato origine ad un contestuale movimento armonico riconducibile alla successione D T, non produce adesso alcuna attività nel moto delle parti.

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Quaderni di analisi

Minstrels offre un altro interessante esempio di interferenza pentatonica nelle bb.18 21(Es.11): subitodopolasuccessioneD→VII(dominantesecondariariferita alla triade di fa# maggiore, b. 18), l’accordo di settima di dominante riconduce sulla tonica principale sol, inquadrata però nuovamente all’interno del precedente modo pentatonico (b. 19)

Esempio 11: Debussy, Minstrels, bb. 18 21

Le misure iniziali de La fille aux cheveux de lin (Es. 12) sembrerebbero eludere una lettura di tipo tonale, anche se: la cadenza plagale S T (bb. 2 3) suggerisce un possibile solb maggiore;lasecondafrase(bb.5 6),puressendotonalmenteambigua, termina comunque con la successione “funzionale” D→VI (tonicizzazione del VI grado maggiore); la terza frase, infine, si conclude con una successione armonica che potrebbe essere interpretata come D11 T nel tono d’impianto (bb. 9-10).

Il secondo periodo, tuttavia, si avvia (b. 12) con una linea melodica ascendente basata sul modo solb P2 (solb lab dob reb mib), confermato e “verticalizzato” dall’aggregato sottostante (*) aggregato formato da una sovrapposizione di quinte giuste (solb reb lab mib) combinata con quella di intervalli di seconda maggiore (dob reb mib) prima di tornare alla triade di tonica (b. 13), svolgendo pertanto una funzione assimilabile a quella dominantica. Andando a ritroso, in effetti, si può constatare che questa interferenza pentatonica fosse già apparsa al termine di b. 9 (**): quella che era stata interpretata in precedenza come una chiara armonia dominantica(undicesimadidominanteprivadellaterza fa),infatti,puòessereadesso vista come un’armonia basata sulla verticalizzazione del modo pentatonico di b. 12.

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: Il primo libro dei Préludes di Claude Debussy…

Più avanti nello stesso brano (Es. 13) si presenta prima la successione DD9 D9 , non conclusa con l’approdo alla tonica (b. 17), e poi la modulazione alla variante della relativa minore (mib maggiore) già anticipata dalla tonicizzazione di b. 6 alla cui tonica si giunge tramite la successione D11 T (bb. 18-19). L’aggregato dominantico di b. 18 (*), tuttavia, è simile a quello di b. 9 (accordo di undicesima privo della terza), e corrisponde infatti al modo sib P3 (sib do mib fa lab) su cui si basano anche gli aggregati posti sul terzo tempo di b. 19 e di b. 20 (**).

Come se non bastasse, poi, Debussy introduce una seconda interferenza pentatonica, che si esplicita sui primi due tempi delle bb. 19, 20 e 21, e che corrisponde al modo mib fa sol sib do: se il primo modo pentatonico (sib P3) aveva carattere “dominantico”, evenivaincorporatoinsenoallatonalitàproprioconquesta funzione, questo secondo modo (mib P), pur essendo molto simile al precedente presenta infatti ben quattro suoni su cinque in comune con esso , ha un chiaro carattere “tonicale”, corrispondendo infatti alla triade maggiore di tonica (mib sol sib) cui vengono aggiunti la seconda (fa) e la sesta (do)

158 Quaderni
di analisi
Esempio 12: Debussy, La fille aux cheveux de lin, bb. 1 13

Esempio 13: Debussy, La fille aux cheveux de lin, bb. 17 22

Le misure conclusive del brano, infine, presentano un’altra interessante interferenza pentatonica: quella che a prima vista sembrerebbe una successione “plagale” (in senso lato) ii5 T (bb. 35 36), infatti, si rivela essere un breve “ripieno pentatonico” basato sulmodo solb P2 (solb lab dob reb mib).22 Il medesimosistema sonoro era già apparso a b. 12 (cfr. Es. 12), laddove ricopriva una funzione dominantica: per questa ragione, la conclusione di La fille aux cheveux de lin può essere vista come una reinterpretazione della cadenza autentica D T.

Esempio 14: Debussy, La fille aux cheveux de lin, bb. 35 39

Considerando anche l’altro ripieno pentatonico, quello che appare nelle bb. 24 25, e poi nelle bb. 26 27, basato sul modo difettivo solb sib reb mib (manca il lab) che è poi lo stesso dal quale viene ricavato il motivo di incipit (bb. 1 2) , si può notare come tutti i modi pentatonici che Debussy adopera nel brano contengano il suono mib (b. 12: solb lab dob reb mib; b. 18: sib do mib fa lab; b. 19: mib fa sol sib do; b. 24: solb (lab) sib reb mib): non è quindi un caso che, per tutta la durata della composizione, questo suono contenda al solb il ruolo di “tonica”.

22 Sul concetto di ripieno relativamente alla musica di Debussy, cfr. De la Motte, Manuale di armonia, cit., pp. 327 332.

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: Il primo libro dei Préludes di Claude Debussy…

Quaderni di analisi

La cathédrale engloutie propone un altro genere di interferenza pentatonica in seno alla tonalità. Le bb. 22-27 sono basate sostanzialmente sulla tonalità di do maggiore, come sievincedalla successionearmonica che sfociasulla triadedi tonica all’inizio di b. 28 (Es. 15).

La reiterazione della successione sol la re, prima alla mano sinistra (bb. 22 24), e poi alla destra (bb. 25 27), richiama tuttavia alla mente un evento cadenzale nell’ambito di un possibile re dorico, sistema modale che verrebbe del resto confermato dalla scala discendente, da re a re, affidata prima alla mano destra (bb. 23 24) e poi alla sinistra (bb. 25 26). Escludendo proprio la scala, però, tutte le armonie utilizzate da Debussy sono ricavate dal modo sol P3 (sol-la-do-re-fa), con il risultato di avere aggregati tipicamente pentatonici come re fa sol la do (*) 23 A b. 27, ecco che la scala discendente basata sul modo dorico, e lo stesso aggregato pentatonico, vengono reinterpretati “tonalmente” generando una potenziale successione ii D(?) che riconduce alla tonica di do maggiore.

Esempio 15: Debussy, La cathédrale engloutie, bb. 22 30

La successione armonica conclusiva dello stesso brano, riproposta due volte nelle bb. 86 87 (Es. 16), sembrerebbe a tutti gli effetti una sequenza D T, ma in realtà l’aggregato con funzione dominantica è privo della terza (si), sostituita invece dalla quarta (due quarte sovrapposte: sol do e re sol, separate dalla seconda maggiore do re): tutti i suoni che interessano le misure conclusive della composizione sono infatti ricavati dal modo pentatonico difettivo do re mi sol (la).

23 Si osservino le sovrapposizioni di seconda maggiore fa sol e sol la, e quelle di quarta giusta re sol e sol do, tipiche di un sistema sonoro di questo tipo

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Esempio 16: Debussy, La cathédrale engloutie, bb. 84 89

Un lungo episodio basato sul modo mib P4 (mib solb lab dob reb) interessa le bb. 41 48 de La danse de Puck (Es. 17: l’unico suono estraneo nel passaggio in questione è il sol naturale, ma con chiara funzione di nota di passaggio), per sfociare infine sul doppio pedale mib-sib che potrebbe ricoprire la funzione di dominante (di lab maggiore), come sembrerebbe confermare la concomitante successione ii D7 (bb. 49-50). In luogo della prevista triade di tonica, tuttavia, si manifesta una sorta di cadenza d’inganno D vi (b. 51), con la particolarità, tuttavia, che l’armonia del VI grado continua ad essere supportata dal doppio pedale: la somma delle due entità armoniche(mib sib + fa lab do) produce così il nuovomodo mib P2 (mib fa lab sib do, bb. 51 52), che in ogni caso possiede un carattere “tonicale”, visto che corrisponderebbe alla triade maggiore di tonica (lab do mib) con la seconda (sib) e la sesta (fa) aggiunte.

Esempio 17: Debussy, La danse de Puck, bb. 47 55

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Quaderni di analisi

La nostra rassegna si conclude con Les collines d’Anacapri, brano che presenta una forte componente pentatonica evidente fin dalle battute iniziali. Il frammento motivico iniziale (b. 1), basato sul modo si P2 (si do# mi fa# sol#), viene continuamenteriproposto,inalteratonei suoni ma collocatonei contesti armonici più disparati: sulla triade di la maggiore a b. 63, su un pedale di sol# nelle bb. 66 67, e così via…; nelle bb. 73 84, poi, questo frammento ritorna in modo ossessivo, passandodallamanodestraallasinistraeviceversa,evienecombinatoconaltri modi pentatonici: nelle bb. 76 80 (Es. 18) la linea melodica si basa infatti sul modo do# P2 (do# re# fa# sol# la#), mentre nelle successive bb. 81 82 si genera il modo si P1 (si-do#-re#-fa#-sol#). La somma di questi tre modi pentatonici dà come risultato la tonalità di si maggiore della quale rappresentano altrettanti modi difettivi , che infatti Debussy esplicita sotto forma di una scala discendente affidata alla mano sinistra (bb. 81 82), prima della nuova (duplice) riproposizione del frammento tematico iniziale (bb. 83 84), il quale verrà poi ossessivamente ripetuto per tutta la parte conclusiva del brano.

Esempio 18: Debussy, Les collines d’Anacapri, bb. 79 84

Conclusioni

Lo studioso inglese Robert Wienpahl, che ha indagato a fondo il periodo storico in cui, fra XVI e XVII secolo, la “tonalità armonica bimodale” ha preso il posto della “modalità gregoriana multipolare”, ha coniato l’espressione monality (alla lettera: «monalità») per identificare quel repertorio di transizione che presenta caratteristiche “ibride”, che conserva cioè tracce evidenti di strutture scalari modali,

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ma che al contempo comincia ad aprirsi all’organizzazione basata sulle funzioni armoniche peculiare della tonalità moderna.24

Nella produzione artistica di Claude Debussy avviene qualcosa di molto simile, soltanto che i termini sono come invertiti: è la tonalità armonica, questa volta, ad essere sostituita da un nuovo tipo di tonalità (neo tonalità) che incorpora al suo interno caratteristiche ricavate da altri sistemi sonori. In questa sede ci siamo limitati ad esaminare l’interferenza prodotta nel sistema tonale dai modi esatonali e dai modi pentatonici, perché si tratta dei casi più frequentemente riscontrabili nelle composizioni prese in esame, ma non vanno dimenticate le interferenze di tipo ottatonico, che ricoprono un ruolo non marginale nel linguaggio di Debussy.25

È vero che in alcune composizioni l’impianto tonale si palesa in modo chiaro ed incontrovertibile, riducendo le interferenze modali ad un mero ruolo di suggestione coloristica,così comein altri casi èevidente l’intenzione del compositore di sfruttare a fondo le peculiarità di un particolare sistema sonoro, eludendo ogni possibile riferimento tonale: l’esempio più emblematico, in tal senso, è naturalmente quello di Voiles Vi sono poi alcune composizioni in cui la sovrabbondanza cromatica che le caratterizza tende ad occultare la percezione di eventuali interferenze modali, e ciò accade soprattutto nei brani che compongono il secondo libro dei Préludes (1913). MatuttociònontogliecheunadellepeculiaritàpiùoriginalidellamusicadiDebussy sia proprio l’abilità nello sfruttare a suo vantaggio la riconoscibilità di quei procedimenti armonici tipici del sistema tonale, su tutti le relazioni funzionali che si instaurano fra le diverse armonie: ciò consente al compositore di introdurre, in un contesto che viene avvertito dall’ascoltatore come familiare e rassicurante, aggregati sonori che di tonale hanno ben poco, e che rivelano invece un’evidente origine esatonale o pentatonica.

Non è impossibile, in molti casi, ricondurre comunque simili oggetti sonori ad una possibile spiegazione in senso funzionale, ma quando la presenza di triadi con suoni aggiunti, o di accordi complessi privi di uno o più suoni, diventa non più l’eccezione, ma la regola, sorge spontaneo il dubbio che possa essere un altro il principio posto alla base della formazione degli aggregati.

L’interpretazione proposta in questo studio si basa su un dato di fatto, ovvero la presenza di scale modali non eptafoniche nel linguaggio debussiano: anche quando esse non appaiono in modo scoperto, quindi, si può ritenere che l’autore ne faccia uso, magari in modo inconscio, per generare linee melodiche, piuttosto che combinazioni accordali, che arricchiscono le potenzialità del sistema tonale senza contraddirlo del tutto. Il risultato ultimo è quello di un linguaggio molto personale, né tonale, né propriamente modale, ma tutte e due le cose insieme.

24 Robert W. Wienpahl, English Theorists and Evolving Tonality, «ML», XXXVI, 1955, p. 380, cit. in Loris Azzaroni, Ai confini della modalità. Le Toccate per cembalo e organo di Girolamo Frescobaldi, Bologna, CLUEB, 1986, pp. 48 49, n. 19; R. W. Wienpahl, Modality, monality and tonality in the sixteenth and seventeenth centuries, «ML», LII, 1971, pp. 407 417; LIII, 1972, pp. 53, 59 73.

25 Su questo argomento cfr. Joel E. Suben, Debussy and octatonic pitch structure, Ann Arbor, UMI, 1983, e Allen Forte, Debussy and the octatonic, «Music Analysis», X/3, 1991, pp. 125 169

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