Ecoscienza 4/2022

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LA RICCHEZZA DELLE A 100 ANNI DALL’ISTITUZIONE DEI PRIMI PARCHI ITALIANI, CRESCE LA CONSAPEVOLEZZA DEL VALORE DEGLI SPAZI NATURALI TUTELATI LIMITARE IL RUMORE ESPERIENZE DI MONITORAGGIO, LA SICCITÀ DELL’ESTATE 2022 SOSTENIBILITÀ E CONTROLLO AMBIENTALE Spedizione PostatargetIn caso di mancato recapito restituire all’ufficio Bologna CMP

FARE SISTEMA TRA TUTTE LE AREE PROTETTE

L’Italia è il Paese europeo con la maggiore ricchezza di biodiversità, un patrimonio di bellezze naturalistiche ammirato in tutto il mondo. Un tesoro che si esprime anche con una gran quantità di habitat naturali che, con le aree protette, vanno salvaguardati con strategie di conservazione e politiche di sviluppo che facciano perno sulla sostenibilità.

I battistrada della conservazione della natura, in Italia, sono stati i due parchi storici che hanno appena compiuto cento anni di vita: il parco nazionale del Gran Paradiso e quello d’Abruzzo, divenuto poi d’Abruzzo, Lazio e Molise, nati entrambi nel 1922. Da allora il panorama delle aree protette in Italia si è progressivamente arricchito.

Per questo scopo fu varata, oltre trenta anni fa, la legge quadro istitutiva delle aree naturali protette, la 394 del 1991. L’obiettivo era di rendere omogeneo e favorire l’incremento dei parchi in Italia. La tutela della natura è diventata ancora più rilevante con l’importante e recente modifica dei principi fondamentali della Costituzione, grazie alla quale viene sancito, all’articolo 9, che la Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni.

A dimostrazione di quanto fatto dalle aree protette possiamo osservare come oggi ci siano più di 50 coppie nidificanti di gipeto sulle Alpi. Il grifone è tornato a nidificare in Sicilia sulle rupi di Alcara, grazie agli interventi del parco regionale dei Nebrodi. Il falco pescatore nidifica nuovamente in Italia grazie al progetto realizzato dal Parco regionale della Maremma in collaborazione con quello della Corsica. Il lupo ha riconquistato tutta la catena appenninica e buon parte di quella alpina grazie anche alla presenza di una fitta rete di parchi nazionali e regionali e alle azioni di tutela cui è stato sottoposto. La lontra sta conquistando nuovi territori anche con il contributo di protezione che hanno garantito alcuni parchi nazionali quali Cilento, Appennino

lucano, Sila e Pollino. La foca monaca è ricomparsa nell’area marina protetta delle isole Egadi e nelle acque dell’Arcipelago Toscano, dove persino il falco pescatore è tornato a nidificare.

Possiamo dire che, a cento anni dalla loro prima istituzione, i parchi hanno dato e stanno dando uno straordinario contributo alla tutela nostra biodiversità, dopo aver affrontato periodi di grande difficoltà, come quello degli anni ‘70, quando molte specie, a partire dal lupo e altre che ho prima citato, sono state vicinissime all’estinzione.

L’Italia, in Europa, ha il maggior numero di specie animali e vegetali. Oltre 1.300 specie di piante e 10.000 di animali sono endemiche, cioè vivono solo nel nostro paese. Il numero delle aree protette italiane è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi 50 anni. Oggi abbiamo 24 parchi nazionali, 146 regionali, 32 aree marine protette e una rete di oltre 400 riserve naturali. Questo sistema copre il 10,5 % della superficie a terra e l’8% a mare. Con le aree Natura 2000 e quelle esterne ai parchi, raggiungiamo il 21% di superficie tutelata a terra e il 16% a mare. Un’estensione

importante, ma ricordiamoci che l’Europa chiede di più. Nella Strategia europea per la biodiversità al 2030 è stato indicato l’obiettivo di raggiungere il 30% di territorio protetto sia a terra che a mare per la fine del decennio. Questo vuol dire aumentare di circa la metà la superficie a terra e quasi raddoppiare quella a mare.

Possiamo anche affermare che le aree protette italiane sono divenute modelli per lo sviluppo sostenibile e per la transizione ecologica, prima ancora che questo termine fosse coniato. Valorizzazione di prodotti tipici e a basso impatto ambientale, turismo sostenibile, diffusione delle energie rinnovabili, riduzione delle emissioni sono tutte azioni che da anni si fanno all’interno delle aree protette. Nel 2019, prima della pandemia, si erano registrate 27 milioni di presenze turistiche nelle aree protette italiane che determinavano 105 mila posti di lavoro e movimenti per 5,5 miliardi di euro. Nei parchi ci sono oltre 230 mila aziende agricole, 150 prodotti Dop, Doc, Igp e Igt, con una grande presenza del biologico.

Questo valore aggiunto dei parchi italiani impone che tutte le istituzioni, a partire dal Parlamento e dal Governo, assumano

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 3 EDITORIALE
FOTO: FEDERPARCHI

EDITORIALE

come propri i valori fondamentali della natura e ne facciano la punta di diamante valorizzando la storia di cento anni di esperienze e conoscenze dei parchi. Portare al 30% la quota di territorio “protetto” come chiede l’Unione europea è un obiettivo ambizioso ma non impossibile. Basta partire da quello che è già disponibile o predisposto. Ci sono parchi nazionali che aspettano solo il via libera definitivo e altri territori che chiedono di diventarlo. È quindi indispensabile completare l’iter per parchi nazionali di Portofino e del Matese, istituiti dal 2017, così come portare avanti gli ampliamenti di parchi esistenti come quello importante sul territorio della Val Grande. Stesso discorso vale per il mare dove sono decine le aree marine che potrebbero essere facilmente istituite nel giro di pochi anni. Ci sono, però, criticità che vanno affrontate e risolte. In Italia persistono grandi differenze tra parchi nazionali e regionali. Negli ultimi anni quelli regionali sono stati sostanzialmente trascurati dai Governi centrali (e anche

da molte Regioni) e soffrono di una cronica carenze di fondi. Eppure in termini di superficie e di importanza per la biodiversità essi sono equivalenti a quelli nazionali: Etna, Nebrodi, Delta del Po, Maremma, Adamello Brenta, Alpi Marittime, Ticino e tante altre aree protette regionali di grandi dimensioni o di importante valore per la conservazione andrebbero valorizzate anche nell’ambito delle politiche statali.

I parchi nazionali, al contrario, non hanno grandi problemi di risorse economiche. Eppure esiste uno strumento, il Piano triennale della aree protette, che potrebbe ovviare a questa grave discrepanza tra il livello regionale e quello nazionale. Peccato che sia stato finanziato e utilizzato l’ultima volta nel 2003. Era una valida leva di riequilibrio tramite la quale lo Stato stanziava risorse sia per i parchi nazionali sia per quelli regionali e per questi ultimi chiedeva alle Regioni un cofinanziamento; in tal modo si potevano mettere in campo strategie di sistema su scala nazionale e non localistica. Va anche rimarcato come i parchi nazionali siano, a loro volta, frenati da regole di bilancio

e di governance ingessate e burocratiche, che spesso rendono difficile il pieno utilizzo dei fondi disponibili e un’efficace continuità nella gestione delle attività di conservazione.

Vi sarebbe poi la necessità di un più rigoroso metodo scientifico nell’elaborazione delle strategie di tutela. Si tratta di un’attività complessa e servirebbe un piano specifico per ogni specie animale o vegetale minacciata, al fine di individuare le cause e le conseguenti azioni di tutela da mettere in campo per la loro conservazione. Questa è la missione primaria che coinvolge tutte le aree protette, un impegno rilevante a tutela della biodiversità che necessita costantemente interventi di innovazione, organizzazione e ricerca, finalizzati a preservare questi meravigliosi scrigni di bellezza e sostenibilità costituiti dai nostri parchi.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 4

Rivista di Arpae Agenzia regionale prevenzione, ambiente ed energia dell’Emilia-Romagna

DIRETTORE Giuseppe Bortone Segreteria: Ecoscienza, redazione Via Po, 5 40139 - Bologna Tel 051 6223887 ecoscienza@arpae.it

Progetto grafico Miguel Sal & C.

Impaginazione, grafica e copertina Mauro Cremonini (Odoya srl)

Stampa Premiato stabilimento tipografico dei comuni Santa Sofia (FC)

Registrazione Trib. di Bologna n. 7988 del 27-08-2009

Numero 4 • Anno XIII Ottobre 2022

ISSN 2039-0424

SOMMARIO

3 Editoriale Fare sistema tra tutte le aree protette Giampiero Sammuri

6 Meteo e clima Estate 2022: futuro e presente si toccano a cura dell’Osservatorio Clima e dell’Area Idrologia della Struttura IdroMeteoClima di Arpae Emilia-Romagna

Aree naturali protette

10 La rivoluzione verde delle aree protette italiane Oliviero Montanaro

12 Un secolo di Parco nazionale Gran Paradiso Italo Cerise

41 Mappe acustiche stagionali nei comprensori sciistici

Filippo Berlier, Marco Cappio Borlino, Daniele Crea, Christian Tartin, Christian Tibone

44 Le strade sorgente di rumore numero uno Paola Maggi

46 Il monitoraggio dei cantieri di grandi opere in Lombardia Emanuele Galbusera, Federica Ghezzi, Roberta Pollini, Valeria Spirolazzi

48 Porti, infrastrutture e non solo: i monitoraggi di Arpal

Cinzia Barbieri, Sergio Brillante, Alessandro Conte, Federica Debarbieri, Andrea Lazzara

50 La qualità acustica nelle scuole altoatesine A cura del Laboratorio Analisi aria e radioprotezione di Appa Bolzano

DIRETTORE RESPONSABILE

Stefano Folli

In redazione: Daniela Merli Barbara Galzigna

COMITATO EDITORIALE

Coordinatore Eriberto De’ Munari Paola Angelini Raffaella Angelini Giuseppe Battarino Vito Belladonna Francesco Bertolini Gianfranco Bologna Giuseppe Bortone Roberto Coizet Nicola Dall’Olio Paolo Ferrecchi Matteo Mascia Michele Munafò Giancarlo Naldi Giorgio Pineschi Attilio Raimondi Karl Ludwig Schibel Andrea Segré Stefano Tibaldi Alessandra Vaccari

14 Il Parco Gran Paradiso e la sua vocazione alla ricerca Bruno Bassano

16 100 anni di Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise Intervista a cura di Francesco Tancredi

18 Il turismo sostenibile e slow nelle aree protette A cura di Federparchi

20 Quale agricoltura nelle aree protette? Luigi Servadei

22 Il Cai e la valorizzazione delle aree protette Raffaele Marini

24 Il contrasto agli incendi del Parco del Vesuvio Stefano Donati

26 La collaborazione chiave della sostenibilità Fausto Giovanelli

28 Sasso Fratino, la prima riserva naturale integrale Luca Santini

30 In Emilia-Romagna un sistema consolidato Barbara Lori

Inquinamento acustico

34 Individuazione e gestione delle zone silenziose Francesco D’Alessandro, Lucia Pasini, Anna Callegari, Francesco Borchi 37 Unione europea, difficilmente raggiungibile l’obiettivo del rumore entro il 2030

38 Descrittori di eventi sonori nelle aree di quiete Christian Tibone, Giovanni Brambilla, Anna Callegari

52 Controlli fonometrici, l’attività di Arpav in Veneto Franco Andolfato

54 Rumore dall’autodromo, il caso di Imola Tiziano Turrini, Raffaele Ferrillo

56 Marche, il rumore a 20 anni dalla legge regionale

Enrico Lanciotti, Stefania Barletti, Emidio Bellabarba, Daniela Giuliani, Paolo Micucci, Marta Rabini, Barbara Scavolini

58 Caratterizzazione acustica del gioco padel Emidio Bellabarba, Enrico Lanciotti, Emanuela Apostoli

60 Effetti del rumore dei fuochi di fine anno sui cani Enrico Lanciotti, Emidio Bellabarba, Maria Chiara Catalani

62 Aeroporto di Ciampino, un caso nazionale per rumore Tina Fabozzi

64 Normale tollerabilità, verso una migliore valutazione Massimo Garai

66 Problemi applicativi della norma sul rumore intrusivo Giorgio Campolongo

68 Linee guida sull’impatto acustico Attualità

69 Il buon uso degli spazi verdi e blu per la promozione della salute e del benessere

70 Una task force contro le notizie false online Ruben Razzante

Rubriche

72 Legislazione news 73 Osservatorio ecoreati

74 Mediateca

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022
Chiuso in redazione: 31 ottobre 2022 Tutti gli articoli, se non altrimenti specificato, sono rilasciati con licenza Creative Commons http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/4.0/
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METEO E CLIMA

ESTATE 2022: FUTURO E PRESENTE SI TOCCANO

LE INTENSE ANOMALIE CLIMATICHE OSSERVATE NEL PERIODO ESTIVO E I LORO GRAVI IMPATTI SUI SISTEMI SOCIO-ECONOMICI E L’AMBIENTE NATURALE CONFERMANO L’URGENZA DI NUOVE E PIÙ INCISIVE AZIONI DI ADATTAMENTO E CONTRASTO ALLA CRISI CLIMATICA SIA A LIVELLO INDIVIDUALE SIA A LIVELLO INFRASTRUTTURALE E TERRITORIALE.

L’estate 2022 verrà ricordata per l’intensa siccità che ha colpito ampie aree dell’Europa sud-occidentale e del Mediterraneo, in concomitanza con prolungate e intense onde di calore, che si sono estese dalla penisola Iberica all’Europa centrosettentrionale, toccando anche le regioni italiane. Nel Nord Italia queste condizioni si sono innescate in un anno iniziato già in condizioni di scarsità di precipitazioni e con temperature superiori alla norma, che hanno amplificato gli impatti delle anomalie climatiche estive. L’anno 2022 è infatti iniziato con il ritorno della siccità che aveva caratterizzato anche la prima metà del 2021, poi conclusasi con l’arrivo delle piogge autunnali. La ricarica è però stata solo parziale, a seguito di un autunno e di un avvio di inverno con precipitazioni totali solamente prossime alle attese e insufficienti per colmare il deficit pregresso. Con il nuovo anno intense anomalie termiche positive e le precipitazioni molto scarse hanno interrotto la ricarica delle riserve idrologiche superficiali e sotterranee e ridotto estremamente i contributi del manto nevoso alpino e appenninico, che nel corso della primavera sono andati incontro a una fusione anticipata. A maggio, le temperature si sono assestate su valori tipicamente estivi, il manto nevoso alpino si è praticamente dileguato e la domanda di risorse idriche da parte dei settori agricoli e civili è aumentata, innescando velocemente criticità locali anche per l’uso idropotabile.

In Emilia-Romagna, dal punto di vista termico, secondo il dataset climatico ufficiale dell’Osservatorio clima di Arpae (https://dati.arpae.it/dataset/ erg5-eraclito), maggio è stato il secondo più caldo dal 1961 insieme al 2003 e dopo il 2009, giugno il secondo più caldo dopo il 2003 e luglio il secondo più caldo dopo il 2015. Ad agosto si è assistito a un’attenuazione delle anomalie termiche e il mese, pur presentando valori medi

FIG. 1 TEMPERATURE MEDIE ESTIVE

Serie delle temperature medie estive sull’EmiliaRomagna dal 1961 a oggi.

A)

Temperatura (°C)

26 24 22 20 18 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020

MeteoGrid - Anomalia di precipitazione (mm) giugno-agosto 2022 su 1991-2020

B)

MeteoGrid - Anomalia di precipitazione (mm) dal 1° gennaio al 31 agosto 2022 su 1991-2020

FIG. 2 ANOMALIA DI PRECIPITAZIONE Mappe di anomalia di precipitazione cumulata sull’estate (A) e da gennaio ad agosto (B) rispetto al clima 1991-2020.

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-1000 -1000 -400 -200 -100 -400 -200 -100 -80 -60
-20 -80 -60 -40
10 30 50 70 90
150 300 500 150 300 500
-40
-20
10 30 50 70 90

superiori alle attese di 0,7 °C, è rimasto prossimo alla variabilità climatica degli ultimi 30 anni. La temperatura massima assoluta dell’estate è stata di 41,2 °C, registrata a Granarolo Faentino il 23 luglio, ma già il 3 luglio si erano raggiunti a Sant’Agata Bolognese 41,0 °C.

Come si può vedere in figura 1, che presenta la serie delle temperature medie regionali per la stagione estiva dal 1961 al 2022, nel complesso in Emilia-Romagna l’estate 2022 è stata la seconda più calda dal 1961 dopo il 2003 e simile all’estate 2012, con un’anomalia stagionale di temperatura media regionale di +1,8 °C rispetto al clima 1991-2020, e di ben +3,4 °C rispetto al clima 1961-1990. Il contributo maggiore a queste anomalie estive è dato soprattutto dai valori di temperatura massima, la cui anomalia nel 2022 rispetto al clima 1961-1990 è di circa 4,7 °C, mentre quella della temperatura minima è pari a 2 °C.

Al 31 agosto, il numero totale di giorni caldi (giorni con temperature massime regionali superiori a 30 °C), è stato di 53, e già si configura come il secondo valore più alto della serie dopo quello del 2003, mentre il numero di notti tropicali (giorni con temperature minime regionali superiori a 20 °C) ha registrato 4 occorrenze e risulta poco elevato, forse anche per la particolare scarsità di umidità nell’aria che ha reso più intenso il raffreddamento radiativo notturno e ha causato il verificarsi di frequenti inversioni termiche.

Dal punto di vista delle precipitazioni, l’estate meteorologica (mesi di giugno, luglio e agosto) del 2022 è stata solo lievemente inferiore alle attese, soprattutto grazie ai frequenti temporali delle ultime settimane di agosto. Nella figura 2a è presentata la mappa dell’anomalia della precipitazione cumulata estiva rispetto al clima 1991-2020. Se consideriamo invece le precipitazioni cumulate da inizio anno, le precipitazioni totali del 2022 risultano essere a fine agosto decisamente inferiori alle attese. Nella figura 2b è invece riportata la mappa di anomalia della precipitazione cumulata dal 1° gennaio, che presenta valori negativi su tutto il territorio regionale, particolarmente intensi sui crinali. Se si considera la serie delle precipitazioni cumulate da gennaio ad agosto mediate sul territorio regionale, il valore del 2022 risulta essere il settimo più basso della serie. Va però ricordato che le cumulate da gennaio a luglio 2022 sono risultate le più basse osservate dal 1961 a oggi, quindi le piogge della seconda metà

FIG. 3

BILANCIO IDROCLIMATICO

Serie dei valori di Bic medio regionale cumulato dal 1° gennaio al 31 agosto dal 1961 a oggi.

BIC (mm)

FIG. 4

PORTATA DEL FIUME PO

Andamento medio mensile delle portate del Po a Pontelagoscuro per l’anno 2022 confrontato con quello dell’anno 2021 e con quello di lungo periodo, per il quale vengono rappresentati i valori minimi (rosa) e medi (verde) mensili.

Portata [m 3 /s]

300 200 100 0 -100 -200 -300 -400 -500 -600 2500 2000 1500 1000 500 0

1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020

Po a Pontelagoscuro

di agosto rappresentano un primo timido passo di rientro verso la normalità.

In queste condizioni di alte temperature e scarse precipitazioni, il bilancio idroclimatico (Bic) dell’Emilia-Romagna, cioè la differenza tra precipitazioni ed evapotraspirazione potenziale, è risultato eccezionalmente negativo. La figura 3 riporta la serie dei valori di Bic medio regionale cumulato dal 1° gennaio al 31 agosto, per gli anni dal 1961 al 2022. Il valore del 2022 è il quarto più basso della serie dopo il 2017, il 2012 e il 2003, anni che presentano le quattro temperature massime estive regionali più alte dal 1961.

In particolare l’estate 2022 presenta il terzo valore più basso di Bic. È plausibile che il valore del 2003 sia leggermente inferiore a quello del 2022 in quanto, nonostante le temperature estive siano state leggermente più alte nel 2022, le cumulate di precipitazione nel 2003 sono state inferiori a quelle del 2022.

Con riferimento all’idrologia regionale, si è riscontrato che nei mesi da giugno a settembre anche le portate medie mensili dei corsi d’acqua principali dell’EmiliaRomagna sono risultate inferiori alle medie storiche del periodo di riferimento (2001-2021), raggiungendo valori confrontabili con i minimi storici nei mesi di giugno e luglio.

A differenza del 2021, quando l’arco alpino nel corso dell’estate è stato interessato da frequenti eventi precipitativi

e le precipitazioni invernali avevano garantito una copertura nevosa invernale consistente, nel 2022 le piogge sono state particolarmente scarse su tutto il Nord Italia e, come già menzionato, a fine maggio la copertura nivale alpina era praticamente inesistente. In particolare, le anomalie pluviometriche più intense sono state osservate nelle aree piemontesi che hanno sofferto una delle siccità più estreme degli ultimi 60 anni.

Con l’arrivo dell’estate, i contributi più rilevanti alle portate dei fiumi sono derivati dall’intensa fusione dei ghiacciai in presenza di anomalie termiche estive così intense da portare per giorni lo zero termico al di sopra delle più alte vette alpine. Nonostante questi contributi, le portate medie mensili del Po, rappresentate nella figura 4 per la stazione idrometrica vicino alla foce di Pontelagoscuro sono state particolarmente scarse, confrontabili con i minimi storici del lungo periodo (1923-2021) nei mesi da giugno a settembre, e insufficienti a compensare con l’irrigazione i gravi deficit traspirativi delle piante. Le condizioni siccitose di quest’anno hanno portato infatti l’umidità del suolo a valori estremamente bassi nel corso dell’estate e a un abbassamento della falda ipodermica, aumentando le richieste irrigue delle colture.

La scarsità di risorse idriche ne ha reso particolarmente difficoltosa la gestione, portando a una forte competizione fra i

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Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre 1923-2021 Minimo storico 2022 2021

METEO E CLIMA

vari usi, che si è tradotta in riduzioni della produttività sia nel settore agricolo sia nella produzione di energia idroelettrica e termoelettrica, in mancanza di sufficienti risorse per il raffreddamento delle centrali, ma anche in numerose locali crisi potabili e in notevoli impatti ambientali. In questo contesto va menzionata la rilevante risalita del cuneo salino nel delta del Po, che si è esteso per una lunghezza massima stimata pari a circa 34-36 km dalla foce lungo il Po Grande e pari a circa 37-39 km dalla foce lungo il ramo di Goro, mentre per i rami di Gnocca, Tolle e Maistra la lunghezza di intrusione è risultata pari alla lunghezza del ramo (figura 5).

Il diverso andamento di precipitazioni e temperature nel periodo tra il 2000 e il 2022, si manifesta anche sugli indici vegetativi, ricavati da dati telerilevati, che descrivono l’attività fotosintetica della vegetazione forestale delle aree collinari e montane della regione. Come viene evidenziato dalla figura 6, il 2022 presenta un valore medio di indice di vegetazione Ndvi (Normalized difference vegetation index), tra giugno e luglio tra i più bassi dell’archivio storico, ma più alto rispetto agli anni siccitosi storici (2003, 2012, 2017). La probabile causa va ricercata nei deboli ma frequenti temporali estivi che quest’anno hanno interessato principalmente le aree appenniniche della regione, oltre al fatto che la scarsità di precipitazioni ha un effetto più significativo su questo indice rispetto alle elevate temperature.

In più, si osserva che la collina occidentale (PR-PC) presenta costantemente valori maggiori di Ndvi rispetto alle altre macroaree. Questo è dovuto, oltre che a un clima più continentale rispetto al resto della regione, anche alla diversa copertura vegetale dell’area. In particolare, in tale area la copertura boschiva è prevalentemente composta da querce, carpini, castagni e faggi, mentre nelle altre macroaree sono presenti anche rilevanti superfici di conifere e aree calanchive (che presentano fisiologicamente valori inferiori di indici vegetativi).

Con l’arrivo dell’autunno, la progressiva attenuazione delle condizioni di siccità e la riduzione delle esigenze irrigue, è necessario procedere a un riesame della stagione appena passata. In particolare, va considerato che le scarse risorse idrologiche disponibili erano per una frazione significativa correlate alla fusione dei ghiacciai, una risorsa che nelle attuali condizioni climatiche difficilmente sarà possibile recuperare. Le proiezioni climatiche indicano che un’estate come

FIG. 5 CUNEO SALINO

Estensione di risalita del cuneo salino nei rami del delta del Po a luglio 2022.

FIG. 6 INDICE DI VEGETAZIONE

NDVI

Valori medi dell’indice Ndvi per anno, nell’area collinare della regione (divisa per province), per il periodo giugno-luglio.

Collina FC-RN Collina BO Collina RE-MO Collina PR-PC

NDVI

0,86 0,84 0,82 0,80 0,78 0,76 0,74 2000 2002 2004 2006 2008 2010 2012 2014 2016 2018 2020 2022

quella del 2022 (oppure 2003, 2012, 2017), con valori termici lontani dalla media della curva di distribuzione del clima 1961-1990, potrebbe verificarsi più spesso nel trentennio 2021-2050. Sebbene la persistente scarsità di precipitazioni nell’intero corso dell’anno potrebbe configurarsi, anche nel clima futuro, come un evento non così frequente, sono da attendersi una riduzione significativa delle precipitazioni, in particolare un incremento del numero massimo di giorni consecutivi senza precipitazione nella stagione estiva, contestualmente a un aumento della richiesta evapotraspirativa dell’atmosfera che potrebbe accelerare la perdita di acqua dal suolo. In queste condizioni, i ghiacciai e le altre risorse nivali potrebbero ridursi significativamente, e la possibilità che la fusione delle nevi si protragga fino alla tarda stagione primaverile potrebbe essere ulteriormente ostacolata dall’aumento delle temperature.

Alla luce di queste considerazioni, diventa necessario procedere sia alla pianificazione sia all’attuazione di misure che possano alimentare il processo di adattamento ai cambiamenti climatici, tramite una riduzione degli sprechi e degli usi superflui della risorsa idrica e al contempo aumentando la capacità di raccolta e di riuso delle acque. Questo implica un cambiamento sia nella sfera delle abitudini

individuali sia a livello infrastrutturale e territoriale, ad esempio migliorando i sistemi di raccolta delle acque piovane e limitando le ingenti perdite nella rete di distribuzione. Infine, risulta particolarmente stringente la necessità di azioni di adattamento nel settore agricolo volte, da un lato, a una migliore gestione della risorsa idrica (efficientamento delle tecniche di irrigazione, sistemi di raccolta e riuso ecc.), dall’altro a una gestione agronomica che favorisca una minore richiesta idrica, tramite ad esempio la scelta di varietà colturali meno idroesigenti o tecniche di gestione del suolo che ne aumentino la ritenzione idrica. Si tratta solo di alcune possibili misure di contrasto alla siccità, la cui importanza emerge con chiarezza nei momenti di crisi come l’estate 2022, ma che indicano una direzione, quella dell’adattamento ai cambiamenti climatici, verso la quale è necessario procedere indipendentemente dalle situazioni emergenziali.

a cura dell’Osservatorio Clima e dell’Area Idrologia della Struttura IdroMeteoClima di Arpae Emilia-Romagna

Hanno collaborato Efthymia Chatzidaki (Distal, Università di Bologna) e Alice Vecchi (Disci, Università di Bologna)

I dati idrologici riportati nel presente contributo risultano provvisori e saranno suscettibili di variazioni in corso di elaborazione definitiva.

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UN TERRITORIO PIÙ RICCO CON LE AREE PROTETTE

Realtà e prospettive a 100 anni dall’istituzione

Iprimi due parchi d’Italia, quello del Gran Paradiso e quello d’Abruzzo, Lazio e Molise, hanno appena compiuto 100 anni di vita. Da allora tanta strada è stata fatta per valorizzare e ampliare gli spazi di territorio da proteggere, sia dal punto di vista normativo (arrivando al nuovo articolo 9 della Costituzione, che finalmente ha promosso al rango più alto la tutela dell’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi) sia da quello gestionale e culturale. Le aree naturali protette oggi in Italia coprono il 10% del territorio nazionale a terra e l’8% in mare.

Gli articoli che seguono sono un viaggio attraverso i parchi, le aree protette e le riserve naturali d’Italia. Per capire come sono cambiati in questi anni, per conoscere la loro storia, il loro contributo all’economia, alla valorizzazione dell’ambiente, del patrimonio naturale e delle comunità locali,

ma anche le loro difficoltà e le prospettive future, che tanto hanno a che fare con lo sviluppo sostenibile, la ricerca scientifica e la transizione ecologica.

Tanti animali e tante piante che hanno rischiato l’estinzione hanno potuto ripopolare queste zone ricche di natura e biodiversità. Così come tante persone hanno imparato ad amare i parchi, in cerca di vacanze in luoghi di quiete, colore e salubrità (27 milioni sono state le presenze nel 2019).

Le aree verdi sono un luogo privilegiato dove ricercare un delicato equilibrio tra conservazione della natura e attività umane, per fare formazione ed educazione ambientale, creare benessere, sviluppo rurale e socio-economico. Si tratta di territori pieni di tradizioni e cultura, da preservare e valorizzare, anche nell’interesse delle future generazioni. (BG)

LA RIVOLUZIONE VERDE DELLE AREE PROTETTE ITALIANE

AREE NATURALI PROTETTE

L’attenzione e l’impegno che il Ministero della Transizione ecologica riserva al sistema delle aree protette italiane hanno contribuito a renderle un laboratorio a cielo aperto di conservazione e valorizzazione della biodiversità. Il dicastero è parte attiva nel loro rilancio attraverso vari strumenti, il più recente dei quali è il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr): circa il 30% dei fondi riguarda la rivoluzione verde e la transizione ecologica. Sono stati stanziati, infatti, 100 milioni di euro per il rafforzamento della gestione dei ventiquattro parchi nazionali e delle ventinove aree marine protette, nell’ambito dell’investimento “Digitalizzazione dei parchi nazionali e delle aree marine protette”. Sempre nel Pnrr, è previsto l’investimento “Ripristino e tutela dei fondali e degli habitat marini”, il cui obiettivo è fronteggiare il degrado degli ecosistemi mediterranei e recuperare entro il 2026 almeno il 20% dei fondali e degli habitat marini nelle acque italiane, con uno stanziamento di 400 milioni di euro.

Negli anni, le aree protette hanno consolidato un ruolo di laboratorio privilegiato per lo sviluppo sostenibile, mettendo in campo esperienze, attività e buone pratiche nell’ambito dell’educazione ambientale, delle produzioni e filiere agro-alimentari di qualità, del turismo, della nuova imprenditoria giovanile e dei processi partecipativi, temi che sono alla base del ricercato riequilibrio tra conservazione della natura e attività umane.

Il contributo dei parchi alle attività di ricerca ha fatto sì che l’Italia diventasse leader in Europa per i progetti sui bandi Life.

Sempre a livello internazionale, il sistema delle aree protette – terrestri e marine – italiane è tra i principali protagonisti di programmi e convenzioni Unesco: il nostro Paese vanta il primato di siti patrimonio mondiale dell’umanità (ben 58), di cui alcuni riconosciuti per

criteri naturali, come le Dolomiti e l’Etna, e altri riconosciuti per valori paesaggistici che interessano diverse aree protette, come i parchi nazionali delle Cinque Terre e del Cilento. Ma l’Italia è anche capofila per numero (20) e rilevanza delle aree Mab (Man and biosphere) che, come dichiara il nome, è un programma dell’Unesco istituito per promuovere su base scientifica un rapporto equilibrato tra uomo e ambiente.

È importante ricordare poi che, per quanto concerne l’assunzione degli impegni italiani per il raggiungimento dei target del 30% e del 10% di aree protette a terra e a mare previsti dalla Strategia europea per la biodiversità al 2030, il Ministero ha sempre sostenuto questo obiettivo nelle sedi europee, internazionali e nel particolare contesto del Mediterraneo, svolgendo sempre un ruolo propulsivo nell’assunzione degli impegni da assumere e delle modalità con le quali raggiungerli.

Inoltre, il Ministero ha sostenuto e sostiene le aree protette, oltre che con gli stanziamenti ordinari, con una serie di iniziative specifiche volte a rafforzare il ruolo degli enti gestori come attori principali per lo sviluppo sostenibile del territorio. Tra queste, evidenzio i programmi “Parchi per il clima” e “Amp

per il clima”, finalizzati alla mitigazione e all’adattamento ai cambiamenti climatici e dunque a benefici climatici e ambientali nelle zone ricadenti nelle aree protette nonché le Zone economiche ambientali (Zea) che corrispondono ai parchi nazionali e prevedono agevolazioni e vantaggi fiscali per i comuni ricadenti nelle aree del parco e per chi volesse aprire al loro interno attività imprenditoriali, con caratteristiche ecosostenibili.

Se a tutto questo aggiungiamo che un traguardo rilevante per affrontare una transizione ecologica mirata, come previsto dall’istituzione nel 2021 del Ministero della Transizione ecologica, è stato conseguito nel febbraio di quest’anno con l’inserimento della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi tra i princìpi fondamentali della Costituzione della Repubblica italiana, possiamo senz’altro affermare che siamo sulla buona strada per una conservazione e promozione strategica della biodiversità, motore primario di sviluppo sostenibile e benessere sociale.

Oliviero Montanaro

Direttore generale Protezione della natura e del mare, Ministero della Transizione ecologica

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 10
L’ATTENZIONE CHE IL MITE RISERVA AL SISTEMA DEI PARCHI TERRESTRI E DELLE ZONE TUTELATE IN MARE HA CONTRIBUITO A RENDERLI UN LABORATORIO A CIELO APERTO DI CONSERVAZIONE E VALORIZZAZIONE DELLA BIODIVERSITÀ. SIAMO SULLA BUONA STRADA PER UNA PROMOZIONE STRATEGICA DI QUESTO MOTORE PRIMARIO DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE.
ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 11

UN SECOLO DI PARCO NAZIONALE GRAN PARADISO

AREE NATURALI PROTETTE

Il Parco nazionale Gran Paradiso celebra quest’anno il centenario di istituzione insieme al Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, ricorrenza che questi due parchi storici hanno voluto festeggiare con tutte le aree protette del nostro Paese, che hanno contribuito con la loro azione a conservare uno straordinario patrimonio di biodiversità, di paesaggi e di natura che tutto il mondo ci invidia. I valori posti alla base della loro istituzione sono quelli della conservazione della biodiversità e dello sviluppo sostenibile che oggi sono patrimonio di tutti, ma che cento anni fa rappresentavano, se non un’utopia, un segno di grande lungimiranza in un periodo post bellico caratterizzato sicuramente da altre priorità.

L’istituzione del Parco nazionale Gran Paradiso risale al dicembre 1922, ma la sua storia inizia un secolo prima, nel 1821, con l’emanazione delle Regie patenti di Thaon di Revel che impedivano la caccia allo stambecco in tutto il regno e che possiamo considerare come il primo atto di tutela del suo animale simbolo. Nel 1856 re Vittorio Emanuele II istituì la riserva reale di caccia acquisendo dai valligiani e dai comuni l’utilizzo esclusivo dei diritti venatori. La riserva significò benessere per la popolazione locale: fu creato un Corpo di vigilanza, furono restaurate chiese, argini e case comunali, furono costruiti casotti per le guardie, case di caccia e una rete di 350 chilometri di strade e mulattiere per collegare i paesi con le case di caccia e queste ultime tra di loro. La maggior parte di queste mulattiere è ancora oggi percorribile e rappresenta un importante elemento per la fruizione dell’area protetta. Nel 1913 si svolse l’ultima caccia reale e sei anni più tardi casa Savoia decise di cedere allo Stato i territori della riserva di sua proprietà con i relativi diritti a condizione che si prendesse in considerazione l’idea di istituire un parco nazionale per la protezione della flora e della fauna alpina.

Lo sviluppo del Parco Gran Paradiso

Le vicende storiche che hanno segnato il primo secolo di vita del Parco del Gran Paradiso possono essere sintetizzate in quattro periodi: il primo, dalla sua istituzione alla fine della seconda guerra mondiale, il più critico e difficile, caratterizzato da una gestione fortemente centralizzata, poco attenta alle esigenze delle popolazioni locali con risultati modesti sia sul piano della conservazione sia su quello dello sviluppo; il secondo, di vera e propria rinascita, grazie all’istituzione nel 1947 dell’ente Parco e del suo corpo di sorveglianza e all’opera straordinaria svolta da Renzo Videssot; il terzo, gli anni 70-80, caratterizzato da una forte conflittualità con le comunità locali a causa della definizione dei confini; e infine l’ultimo trentennio, segnato dall’entrata in vigore della legge quadro sui Parchi e le aree protette nazionali (la n. 394/1991) grazie alla quale al parco fu finalmente riconosciuto anche un ruolo attivo nello sviluppo del suo territorio – e non più solo in quello

strettamente legato alla conservazione –secondo principi largamente condivisi a livello internazionale che riconoscono la presenza dell’uomo e la sua interazione con l’ambiente naturale di fondamentale importanza per la conservazione della stessa.

Questo è il periodo più fecondo che ha permesso, in sinergia con gli enti locali, di sviluppare diverse attività funzionali alla fruizione dell’area protetta anche a fini turistici: la realizzazione dei centri visita, l’istituzione delle guide del parco, la creazione del marchio di qualità “Gran Paradiso”, la promozione di eventi culturali, sportivi e didattici, le azioni proposte nella Carta europea del turismo sostenibile.

Nell’ultimo decennio, in particolare, sono stati realizzati nuovi e importanti centri visita e, grazie ai fondi dei bandi “Parchi per il clima” del Ministero della Transizione ecologica, sono state avviate iniziative volte a promuovere la mobilità sostenibile e interventi finalizzati al miglioramento delle prestazioni energetiche di fabbricati sia dell’ente Parco sia dei comuni del parco

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 12
DA RISERVA REGIA A ENTE PER LA TUTELA, L’OSSERVAZIONE E LO STUDIO DELLA FLORA E DELLA FAUNA E PER LO SVILUPPO INTELLIGENTE DEL TURISMO E DEL TERRITORIO. OGGI LE AREE PROTETTE POSSONO E DEBBONO OPERARE PER FAVORIRE QUELL’EQUILIBRIO TRA UOMO E NATURA IN GRADO DI GARANTIRE UN’EFFETTIVA TRANSIZIONE ECOLOGICA. FOTO: ARCHIVIO PNGPLUCIANO RAMIRES

con particolare riferimento agli edifici scolastici.

Il Parco nazionale Gran Paradiso è stato l’estremo rifugio dello stambecco sulle Alpi, ha salvato questa specie dall’estinzione e ha contribuito a reintrodurla in tutto l’arco alpino. Oggi ospita una fauna ricca e varia e rappresenta un luogo eccezionale per l’osservazione e lo studio di animali in condizioni di assoluta naturalità. È un laboratorio a cielo aperto da utilizzare con intelligenza per capire le trasformazioni in atto sulla biodiversità, anche dovute ai cambiamenti climatici, e per contrastarle grazie alla capacità di resilienza degli habitat e degli ecosistemi naturali presenti al suo interno. La straordinaria biodiversità che il parco possiede è la ragione stessa della sua esistenza ed è grazie a essa e alla sua conservazione che il Parco nazionale del Gran Paradiso ha potuto ottenere prestigiosi riconoscimenti internazionali quali il diploma europeo delle Aree protette dal 2006 e l’inserimento nella Green list Iucn dal 2014, certificazione finalizzata a verificare la capacità di un ente di saper salvaguardare specie e habitat a rischio, e anche di promuovere azioni a favore dell’economia locale secondo principi di sostenibilità. Sono

risultati derivanti dal lavoro collettivo svolto con competenza, professionalità e passione da tutto il personale amministrativo, tecnico e dal Corpo di sorveglianza del Parco.

Sorveglianza, ricerca e turismo

Il Corpo di sorveglianza è costituito da donne e uomini che, grazie al lavoro di vigilanza svolto dall’alba al tramonto, hanno maturato una profonda conoscenza del territorio, della sua biodiversità e dell’ambiente del parco; un Corpo la cui progressiva specializzazione ha consentito di assegnare allo stesso un ruolo sempre più importante di supporto e collaborazione nell’ambito della ricerca scientifica applicata alla conservazione. La ricerca scientifica, svolta in collaborazione con prestigiose università italiane e straniere e con istituti specializzati, è uno degli elementi caratterizzanti del parco ed è intesa nella sua accezione più vasta: dal monitoraggio e dal censimento delle popolazioni di ungulati al monitoraggio di altre specie animali, dallo studio del ritiro dei ghiacciai, conseguenza evidente dei cambiamenti climatici in atto, allo stato delle acque; dall’individuazione di tutti

gli habitat presenti sul territorio ai servizi ecosistemici che erogano. Nei suoi cento anni di vita, pur tra molte difficoltà e anche con sacrificio da parte delle comunità umane, che hanno conservato con la loro intelligente operosità enormi spazi naturali per le generazioni future, il Parco nazionale Gran Paradiso ha prodotto un grande sforzo per quanto concerne la tutela e la conservazione del suo patrimonio naturale e ambientale che oggi è anche l’elemento caratterizzante del suo territorio posto alla base della sua offerta turistica.

Le sfide che attendono il parco nel prossimo futuro riguardano il difficile compito di preservare le peculiarità del suo ambiente naturale e di promuovere contestualmente politiche innovative e consapevoli a favore dello sviluppo locale. Tale obiettivo primario deve essere perseguito soprattutto in un momento come questo di grandi trasformazioni nel quale le aree protette possono e debbono operare per favorire quell’equilibrio tra uomo e natura in grado di garantire una effettiva transizione ecologica.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 13
Italo Cerise Presidente del Parco nazionale Gran Paradiso FOTO: ARCHIVIO PNGPLUCIANO RAMIRES

IL PARCO GRAN PARADISO E LA SUA VOCAZIONE ALLA RICERCA

AREE NATURALI PROTETTE

Il Parco nazionale Gran Paradiso, in collaborazione con università e istituti di ricerca sia nazionali sia esteri, è impegnato da anni in ricerche ecologiche ed etologiche a breve e lungo termine su specie di interesse conservazionistico. Le azioni di ricerca svolte e le collaborazioni in atto hanno trasformato il parco in un “laboratorio naturale” per lo studio di specie e habitat non sottoposti a pressione antropica, una vera e propria “palestra” per giovani ricercatori, dottorandi e laureandi che al Parco hanno la possibilità di svolgere la propria tesi e dunque sperimentare, in prima persona, tutti gli aspetti di una ricerca ecologica sul campo.

I progetti in corso sono molti e variano dallo studio dell’eco-etologia di specie come lo stambecco, il camoscio e la marmotta alpina, allo studio delle trasformazioni ambientali e faunistiche a seguito dei cambi climatici e dell’abbandono delle pratiche silvopastorali, al monitoraggio dei laghi alpini e dei ghiacciai.

Le diverse valli del parco, grazie alle condizioni di protezione, alle loro caratteristiche di alta naturalità e quindi di particolare interesse dal punto di vista della conservazione si sono trovate, nel corso degli anni, a ospitare molti progetti di ricerca a lungo termine di rilevante interesse. Questa elevata concentrazione di attività di ricerca ha anche favorito l’organizzazione di periodici eventi di divulgazione scientifica, che trovano nel Parco nazionale Gran Paradiso un ambiente particolarmente idoneo per questo tipo di attività, apportando fra l’altro, un indotto non trascurabile per le comunità locali.

La particolarità dell’area è quella di avere un elevato grado di protezione, assicurata dalla presenza di un Corpo di sorveglianza autonomo, e di essere dotata di strutture logistiche, in quota e in fondovalle, utili come supporto per lo svolgimento delle azioni di campo. Molte delle aree di

studio sono state infatti attivate in zone caratterizzate da una buona presenza di tali strutture, in quanto la possibilità di pernottamento in quota di ricercatori e studenti rende possibile il monitoraggio intensivo delle specie oggetto di studio.

Negli ultimi anni, molti progetti di ricerca si sono focalizzati sugli effetti del riscaldamento globale che, in montagna, sta avendo effetti particolarmente rilevanti e negativi. La raccolta dei dati, specie quella di lungo periodo, consente di avere informazioni che rendono possibile la realizzazione di modelli statistici in grado di predire l’evoluzione di densità, distribuzione e dinamica delle diverse popolazioni di animali protetti e delle differenti componenti dell’ecosistema.

Le ricerche di lungo periodo sullo stambecco e i regolari conteggi esaustivi effettuati due volte l’anno dagli addetti del Corpo di sorveglianza hanno, ad esempio, messo in evidenza che anche l’animale simbolo del parco sta registrando risposte negative all’aumento progressivo delle temperature. Una specie che si è evoluta in un ambiente alpino allo scopo di fronteggiare il suo peggiore nemico, la neve, si trova negli ultimi anni ad affrontare la sua quasi totale assenza, con conseguenze sia sulla sopravvivenza dei capretti sia su quella degli adulti, con il progressivo invecchiamento della popolazione e quindi una minore spinta riproduttiva.

Le alte temperature e i ridotti apporti idrici modificano inoltre la qualità delle praterie alpine e condizionano gli

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 14
SONO OGGI ATTIVI OLTRE 40 PROGETTI CHE COINVOLGONO 9 DIVERSI DIPARTIMENTI UNIVERSITARI E HANNO IN PROGRAMMA DI TESTARE OLTRE 90 DIVERSE IPOTESI DI RICERCA. LA RACCOLTA DEI DATI, SPECIE DI LUNGO PERIODO, CONSENTE DI REALIZZARE MODELLI STATISTICI IN GRADO DI PREDIRE L’EVOLUZIONE DELLE DIFFERENTI COMPONENTI DELL’ECOSISTEMA. FOTO: ARCHIVIO PNGP

spostamenti altitudinali degli animali che, anche per le elevate temperature estive, usano quote sempre più elevate per fronteggiare i costi della termoregolazione, spesso rinunciando ad alimentarsi. Risultati analoghi si ricavano dalle aree di studio sulla marmotta alpina e sul camoscio, che vivono in simpatria con lo stambecco. La marmotta viene studiata anche come possibile indicatore dello stato di conservazione delle praterie di altitudine, che utilizza in modo selettivo. Per la conservazione di questa specie, nel lungo periodo, preoccupa la rapida risalita altitudinale sia dell’arbusteto sia del bosco, conseguenze sia del riscaldamento globale sia del progressivo abbandono delle prassi tradizionali di gestione dell’alpeggio, legate alla cura della vegetazione con la ferti-irrigazione e il taglio delle specie non consumate dagli erbivori al pascolo.

In un’area protetta è certo fondamentale lasciare procedere l’evoluzione naturale di habitat ed ecosistemi, tuttavia in alcune aree (di studio appunto) ci si pone l’obiettivo di fronteggiare queste profonde modificazioni dell’uso del suolo, cercando di mitigare gli effetti dei cambi climatici. La perdita, esempio, delle praterie secondarie di media quota, spesso alternate al bosco continuo, ha per certo degli effetti rilevati sulla conservazione di un numero di specie che, seppur ristretto, ha un valore rilevante in termini di conservazione, in quanto spesso si tratta di specie delicate e inserite nella direttiva Habitat.

La conservazione delle praterie passa anche attraverso una corretta gestione del pascolo domestico e anche su questo tema il parco ha, negli ultimi anni, attivato specifici progetti di ricerca basati sulla misurazione degli effetti del pascolo sulla conservazione di alcuni taxa animali, sia vertebrati sia invertebrati, con un focus particolare sugli impollinatori selvatici. Il grado di conservazione di questa componente faunistica è da tempo messo in evidenza come particolarmente rilevante per il funzionamento dell’ecosistema nel suo complesso e anche queste specie sono condizionate dagli effetti del cambiamento climatico, oltre che dall’uso – seppur non direttamente all’interno dell’area protette – di pesticidi e inquinanti vari.

Lo studio dell’eco-etologia del camoscio ha invece messo in evidenza rilevanti novità sul comportamento riproduttivo di questa specie e, negli ultimi anni, sui possibili effetti legati al ritorno di un grande predatore: il lupo. Il Parco

nazionale Gran Paradiso da quasi due secoli non registrava la presenza di grandi carnivori predatori, un tempo rappresentati soprattutto dalla lince (tuttora non segnalata nel Parco), quindi il ritorno di un grande carnivoro come il lupo avrà certamente effetti rilevanti sulla dinamica di popolazione delle sue principali specie preda: il camoscio, appunto, il capriolo e il cinghiale sopra tutti.

Molte altre specie sono fatte oggetto di indagini approfondite, tra queste l’aquila reale e il gipeto, o avvoltoio degli agnelli. La prima specie è da sempre presente nel parco, in cui si registra la più alta densità rispetto all’intero arco alpino, mentre la seconda è stata oggetto di recente reintroduzione in diversi siti e paesi dell’arco alpino, dalle Alpi Marittime fino alle regioni alpine dell’Austria. Di queste specie si indagano, oltre a densità e distribuzione, anche il successo riproduttivo annuale, il comportamento spaziale e la territorialità.

Nel complesso sono oggi attivi oltre 40 progetti di ricerca nel parco che coinvolgono 9 diversi Dipartimenti universitari e che hanno in programma di testare oltre 90 diverse ipotesi di ricerca: questi numeri rendono l’idea dello sforzo e della vocazione che questa area protetta ha per la ricerca scientifica.

Non sempre i temi di ricerca forniscono risposte utili direttamente per la conservazione e spesso non subito ci si rende conto dell’importanza dei risultati ottenuti: talvolta infatti solo dopo diversi

anni si comprende il reale valore dei dati raccolti, purché collezionati sul lungo periodo e con la stessa metodologia. Questa è davvero la cosa più difficile da mettere in atto nei progetti di ricerca: attivare una raccolta dati con metodi standardizzati e sostenibili nel tempo (sia in termini di costi sia di persone che ci lavorano) e mantenerla in più possibile inalterata, nonostante il cambio del personale, dei funzionari e dei direttori. Questa è una sfida che in verità non molte aree protette, a livello europeo, sono riuscite finora ad affrontare e vincere. Spesso se è presi dalla tentazione di sperimentare nuove metodologie, talvolta chiaramente più efficaci e precise, abbandonando quelle storiche. Questa scelta se da un lato spesso migliora la precisione del dato raccolto, dall’altro porta alla perdita di valore delle serie temporali storiche, rendendo vano il lavori di ricerca fino a quel momento svolto.

Senza considerare infine che in natura i tempi dei cambiamenti e delle trasformazioni sono il più delle volte molto lenti e che quindi possono essere interpretati correttamente solo con serie di dati decennali, quelli che la fretta di proporre il nuovo e il migliore da parte di nuovi ricercatori, funzionari e amministratori non consentono di ottenere.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 15
Bruno Bassano Direttore del Parco nazionale Gran Paradiso FOTO: RCHIVIO PNGPFEDERICO PERETTI

100 ANNI DI PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO, LAZIO E MOLISE

AREE NATURALI PROTETTE

“Occorre uscire dalla logica del Parco come ‘riserva indiana’ e considerarlo parte integrata nelle dinamiche territoriali di sviluppo sostenibile”. Giovanni Cannata, rettore dell’Università degli studi del Molise per ben 18 anni, è presidente del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise dal 2019. A lui chiediamo di raccontarci cent’anni di parco, obiettivi e sviluppi futuri.

Presidente, il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise ha tagliato quest’anno il traguardo del secolo di vita assieme al Parco nazionale del Gran Paradiso. Un’occasione per stilare un consuntivo e tracciare le linee d’intervento per le stagioni a venire. Qual è la sua visione sul ruolo attuale dei parchi naturali?

In un Paese che molto spesso incontra difficoltà nell’attuazione di politiche

efficaci per il governo del territorio, diventa strategico considerare le aree protette come modello di governance tra tutela e sviluppo sostenibile. Il ruolo cardine del Parco verte, ovviamente, sulla conservazione dei beni ambientali a vantaggio delle generazioni future ma occorre tenere conto di tutte le variabili in gioco e quindi di tutti gli strumenti della programmazione territoriale. L’obiettivo è quello di riuscire a trovare un equilibrio tra conservazione, crescita economica e sviluppo sociale. Senza dimenticare che ci troviamo in un territorio fortemente antropizzato che è prevalentemente costituito da aree collinari e montane, la cui tutela determina la salvaguardia di porzioni di territorio fondamentali per le comunità che vivono a valle. In questo quadro, il concetto di sviluppo sostenibile diventa fondamentale e richiede capacità di valutare costi e benefici della conservazione.

Com’è cambiato il ruolo del parco in questi anni?

Il 9 settembre del 1922, per iniziativa di un direttorio provvisorio presieduto dall’onorevole Erminio Sipari, parlamentare locale e autorevole fondatore del Parco, un’area di 52.000 ettari divenne Parco nazionale. L’idea alla base della sua costituzione, su impulso della comunità scientifica e della associazioni ambientaliste, era quella di imporre divieti. Oggi, invece, le politiche ambientali devono trovare un giusto compromesso tra le azioni compatibili con la tutela dell’ambiente e, per alcuni ambiti dell’astinenza dall’uso, la dimensione del non fare. Un bosco storico, ad esempio, è un “biotopo” di straordinaria importanza ma se necessita di interventi a vantaggio della collettività, quegli interventi devono essere effettuati con tutte le cautele del caso.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 16
IL PARCO COMPIE QUEST’ANNO UN SECOLO DI VITA, NON SOLO UNO SPAZIO DI CONSERVAZIONE E TUTELA DELLA BIODIVERSITÀ MA ANCHE UN LUOGO PER ORIENTARE LE PERSONE A COMPORTAMENTI E STILI DI VITA IN ARMONIA CON L’AMBIENTE E LA NATURA. INTERVISTA A GIOVANNI CANNATA, PRESIDENTE DEL PARCO NAZIONALE DAL 2019.

Dunque, non solo conservazione e sostenibilità.

Formazione ed educazione ambientale sono temi centrali nelle politiche del Parco per orientare le persone verso comportamenti e stili di vita in armonia con l’ambiente e la natura. Dedicheremo le iniziative del centenario al tema centrale dell’educazione ambientale. Venerdì 9 settembre, ad esempio, al Centro natura del Parco, in Via Colli dell’Oro a Pescasseroli (AQ), si è svolto un convegno dedicato a questo tema, alla presenza del Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, con la partecipazione del Ministero della Transizione ecologica e un nutrito gruppo di relatori esperti della materia.

Educazione ambientale ma non solo. Quali altre iniziative sono in cantiere?

Nel 2023 pubblicheremo una raccolta di tutte le ricerche che sono state condotte dal Parco, per il Parco e con il Parco. Un patrimonio di grande rilievo che darà impulso, ne sono certo, a un lavoro sinergico con gran parte delle aree protette. Mi auguro di convincere i miei colleghi presidenti di Parco a destinare una parte adeguata dei fondi alla ricerca. Ricerca e conservazione sono due aspetti complementari di un modo più moderno ed efficace di pensare e agire per tutelare le risorse naturali. Oggi, ad esempio, conservare l’orso bruno marsicano, salvato dall’estinzione proprio grazie all’azione di tutela del Parco, vuol dire salvaguardare e promuovere le condizioni ambientali e gestionali che più rispondono ai requisiti biologici ed ecologici della specie. Fare ricerca per la conservazione si traduce innanzitutto nel conoscere le caratteristiche e i requisiti critici per la sua popolazione e quindi, individuarne le principali minacce e i meccanismi attraverso cui agiscono.

Qual è la percezione di turisti e residenti nei confronti del Parco?

In passato i parchi erano concepiti in genere come spazi “chiusi”; oggi rappresentano spazi fortemente richiesti per la fruibilità. Dal punto di vista turistico, la percezione è di una meta particolarmente ambita. Negli ultimi anni si sono riversate nei territori del Parco centinaia di migliaia di turisti, ma il punto critico è un altro: la percezione più attenta dei visitatori nei confronti della fauna e della flora. Il Parco è un paradiso di biodiversità che va tutelata anche nei confronti di chi, macchina fotografica alla

mano, cerca incontri troppo ravvicinati con gli animali. Servirebbe, dunque, un’attività di formazione alla fruizione delle aree protette che permetta di conservare al meglio il nostro patrimonio faunistico e floristico.

Una forma di salvaguardia da estendere anche alle comunità che abitano il parco?

Soltanto a chi rema contro, a chi non rispetta regole e leggi. Mi riferisco in particolare agli allevatori che talvolta abbandonano le pratiche della guardiania delle greggi, non prima, però, di aver avuto accesso ai fondi comunitari. O a tutti i cacciatori che non sempre rispettano i divieti che comunque mal tollerano; non ho nulla contro la categoria, ma le leggi vanno rispettate e al Parco è demandato l’onere di vigilare.

Quali sono i progetti futuri e quali le priorità?

In primis, rafforzare l’attenzione verso la dimensione socio-economica, senza però far calare l’attenzione sulla vigile salvaguardia. Ho voluto fortemente che venisse redatto un bilancio sociale, ovvero un documento con il quale il Parco possa comunicare periodicamente in modo volontario gli esiti della sua attività, non limitandosi ai soli aspetti finanziari. A mio avviso è importante che tutti abbiano consapevolezza, sia internamente all’organizzazione sia esternamente, di cosa viene realizzato con le risorse che i contribuenti mettono a disposizione.

Altre azioni?

Aumentare la fruibilità del Parco mettendo in sicurezza e rendendo funzionale il patrimonio di strutture fisiche fisse (edifici del parco, del Cai e dei Comuni), alcune delle quali

inutilizzabili perché non compatibili con il quadro normativo vigente. Inoltre, occorrerà garantire la copertura telefonica di rete in tutta l’area protetta affinché si possa intervenire prontamente in caso di emergenza.

Nel piano sono previsti altri interventi?

Sarà prioritaria l’attivazione di una formazione continua dei guardiaparco. Sarà altresì fondamentale sostenere l’aggiornamento professionale adeguandolo ai nuovi obiettivi, attivando strumenti idonei a formare e assumere i giovani che vogliano avviarsi a questa professione.

In ultimo, che suggerimento darebbe ai visitatori per scoprire il Parco a cent’anni dalla sua nascita?

Consiglio a tutti di vivere l’area percorrendola in lungo e in largo, seguendo attentamente le indicazioni che sono disponibili presso i nostri centri visita, infopoint e anche sul nostro sito: il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise dispone di una vasta rete di sentieri che copre l’intero territorio. Tutti coloro che volessero fare escursioni da soli, potranno usufruire della carta turistica, scegliendo tra i circa 150 itinerari escursionistici, per una lunghezza complessiva superiore a 750 km. È un territorio che merita di essere conosciuto nella sua interezza. Una volta entrati nel Parco è consigliabile lasciare l’automobile a fondovalle, negli appositi parcheggi o nei paesi e proseguire la visita a piedi. Solo così si potrà percepire la presenza degli animali, senza disturbarli, osservare gli ambienti naturali e godere del contatto con la natura.

Intervista a cura di Francesco Tancredi, Arta Abruzzo

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 17

IL TURISMO SOSTENIBILE E SLOW NELLE AREE PROTETTE

AREE NATURALI PROTETTE

Le presenze turistiche nelle aree protette aumentano costantemente, un trend che va gestito con cura per evitare che il “successo” turistico dei parchi, in Italia e in Europa, si trasformi in un boomerang per la tutela degli ecosistemi. Turismo sostenibile vuol dire soprattutto rispetto per gli habitat naturali e per la biodiversità, e quindi avere il senso del limite che, per le aree protette, può significare anche numero chiuso per alcune zone.

Già nel 2014 l’Unione mondiale per la conservazione della natura (Iucn) aveva stabilito che nelle aree protette la tutela della biodiversità poteva e doveva andare a braccetto con forme di sviluppo sostenibile. Il turista, quando decide di visitare un parco, crea un indotto economico importante: dorme, mangia, vuole muoversi in maniera sostenibile, fa acquisti e visita i borghi nei pressi delle aree protette. La sua presenza è un importante fattore di sviluppo, ma allo stesso tempo occorre che egli si adatti all’ambiente e non il contrario, altrimenti si rischia di trasformare anche le aree protette in giganteschi luna park.

La pressione sui parchi è molto forte. Nel 2019, prima della pandemia, si erano registrate 27 milioni di presenze turistiche nelle aree protette italiane che determinavano 105 mila posti di lavoro e movimenti per 5,5 miliardi di euro1 E il Covid-19 non ha frenato la voglia di visitare i parchi, al contrario. Tutti i segnali parlano di un aumento dei flussi dopo i lockdown.

Mobilità sostenibile e sicurezza

Creare un turismo rispettoso degli habitat significa anche favorire il contatto e le relazioni con le comunità e riscoprire il valore del tempo rallentando i ritmi di vita invece che traslarli nell’esperienza

turistica e viverla freneticamente. La sostenibilità del turismo si misura anche nella sua modalità di svolgimento e nella capacità di creare un contatto “reale” fra il turista e il contesto naturale in cui si trova.

Su questo terreno acquista particolare importanza l’aspetto che riguarda la mobilità verso e all’interno delle aree protette. Solo per citare un esempio fra i tanti: il recente intervento nell’altopiano di Castelluccio di Norcia, nel Parco dei Monti Sibillini, ha cambiato completamente il modo di fruire la bellezza della fioritura primaverile. Le strade che costeggiano i campi erano ridotte a immensi parcheggi, addirittura con danni alle colture. Con la chiusura al traffico veicolare, grazie a una rete di navette e al servizio di prenotazione, la visita è diventa più slow per il turista e più sostenibile per l’ambiente. Interventi di questo genere si stanno diffondendo dai grandi parchi alpini a quelli prospicenti il mare. Anche se rimane

aperto il grande tema di come raggiungere le aree protette: favorire il trasporto su ferro con adeguate reti di interscambio è fondamentale, così come il sostegno che il sistema dei parchi da sempre offre allo sviluppo delle grandi ciclovie e ai cammini nord-sud ed est-ovest.

Oltre ad agire sul tempo e sulla mobilità, va presa in considerazione anche l’intensità dell’esperienza. Chi va in natura molto spesso “guarda ma non vede”; per questo motivo Federparchi raccomanda il più possibile le visite guidate, condotte da guide esperte dei luoghi, della biodiversità e della cultura locale. La guida aiuta nella scoperta del territorio, fa conoscere le piante e gli animali che si incontrano, individuandone le tracce e illustrando il loro modo di vivere, arricchendo in tal

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 18
L’ITALIA, NEL 2021, È IN EUROPA IL PAESE CON IL MAGGIOR NUMERO DI RICONOSCIMENTI CETS, UNA CERTIFICAZIONE DI QUALITÀ ELABORATA DA EUROPARC FEDERATION, ASSOCIAZIONE CHE RAGGRUPPA OLTRE SEICENTO ENTI PARCO E SOGGETTI IMPEGNATI NELLA CONSERVAZIONE. UNO STRUMENTO UTILE PER VALORIZZARE IL SISTEMA PARCHI E RISPETTARNE GLI ECOSISTEMI. 1 Parco Alpi Apuane, via Vandelli.

modo l’esperienza emotiva dell’escursione turistica.

Vi è anche un altro aspetto per cui la guida riveste un ruolo fondamentale: quello della sicurezza. In natura il rischio zero non esiste, qualsiasi tipo di attività deve essere svolta avendo consapevolezza del percorso, del meteo, avendo un abbigliamento adeguato e, dove occorre, l’attrezzatura necessaria. Vale soprattutto per la montagna, ma anche per la collina, i laghi e le aree marine.

La Carta europea del turismo sostenibile

Al fine di favorire un turismo orientato alla sostenibilità si sta diffondendo in Europa la Carta europea del turismo sostenibile nelle aree protette (Cets). Una certificazione di qualità elaborata da Europarc Federation, l’associazione europea che raggruppa oltre seicento fra enti parco e soggetti impegnati nella conservazione e di cui Federparchi è la sezione italiana. Più che l’attestato in sé si tratta di un percorso condiviso che coinvolge tutti i soggetti interessati: il parco, gli enti locali, le associazioni presenti sul territorio e gli operatori del settore. Federparchi fornisce supporto e spesso segue gli enti parco nell’iter di certificazione, anche grazie all’importante funzione del Ministero per la Transizione ecologica per ciò che riguarda le aree protette nazionali. La Cets, inoltre, viene riconosciuta come requisito che consente l’accesso ad alcune risorse aggiuntive come quelle per le zone economiche ambientali (Zea).

La Cets è articolata in parti successive e, dopo che il Parco l’ha ottenuta (Cets Parte 1 – Certificazione dei Parchi), può a sua volta riconoscere come sostenibili, se impegnati in attività concrete, anche gli operatori economici del turismo attivi localmente (Cets Parte 2 – Certificazione degli operatori del turismo); infine il Parco può coinvolgere i propri operatori certificati in attività di collaborazione con tour operator del turismo che possono a loro volta ricevere la certificazione di

1

sostenibilità (Cets Parte 3 – Certificazione dei tour operator).

Servono impegno e dedizione per ottenere e mantenere questo riconoscimento che, una volta acquisito, offre una garanzia di qualità per quanto riguarda la gestione dei flussi nei parchi e il tipo di offerta che viene presentata ai visitatori.

I risultati poi si vedono. L’Italia, nel 2021, risulta il paese in Europa con il maggior numero di aree protette che hanno ricevuto la Cets, con 44 aree certificate di cui 21 sono Parchi nazionali2. Al secondo posto c’è la Spagna con 29. In Europa sono 112 in tutto le aree protette che l’hanno ottenuta; una garanzia per chi vuole conoscere ed esplorare la natura nel pieno rispetto della biodiversità.

Al 31 dicembre 2021 hanno ottenuto la Carta per la prima volta le seguenti aree protette: Parco naturale regionale delle Alpi liguri; Parco nazionale Isola di Pantelleria; Parco nazionale del Vesuvio. Hanno invece rinnovato: il Parco nazionale delle Cinque Terre, il Parco nazionale Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna e il Parco nazionale Arcipelago toscano.

La Carta prevede l’elaborazione di strategie e piani d’azione particolareggiati per il territorio con l’obiettivo di produrre benefici per le comunità e per l’ambiente nel massimo rispetto degli ecosistemi. Vediamo nel dettaglio i tre step3.

La Parte I coinvolge l’ente parco e gli stakeholder locali, prevede il piano di azione per il turismo sostenibile, articolato su cinque anni e aggiornato e integrato nella fase di rinnovo.

La Parte II riguarda la certificazione, per tre anni, delle strutture turistiche locali con una metodologia che prevede disciplinari di attività parametrati in funzione delle diverse esigenze e caratteristiche del territorio.

La Parte III della Cets prevede, infine, il coinvolgimento dei tour operator (o di soggetti analoghi) in grado di costruire e vendere proposte turistiche in aziende certificate che operano nelle aree protette certificate.

Non è un percorso semplice né breve, ma sicuramente si tratta di uno strumento utile a valorizzare quel bene comune costituito dal sistema dei parchi.

A cura di Federparchi

NOTE

1 Unioncamere, dati aggregati 2015

2 L’elenco aggiornato delle aree protette certificate Cets in Italia è online sul sito federparchi all’indirizzo www.federparchi.it/ pagina.php?id=30

3 La documentazione, i dettagli e le linee guida per le 3 fasi della Cets sono disponibili sul sito www.federparchi.it/pagina.php?id=27

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 19
FOTO: FEDERPARCHI

QUALE AGRICOLTURA NELLE AREE PROTETTE?

TRA

AREE NATURALI PROTETTE

L’agricoltura ha un ruolo di primaria importanza nella salvaguardia dell’ambiente e delle risorse naturali e nel mantenimento della biodiversità, soprattutto in contesti di elevato valore naturale e paesaggistico come le aree protette.

L’agricoltura ha modellato nel corso dei secoli il paesaggio e la maggior parte della biodiversità nelle aree rurali è legata alle attività agricole tradizionali, con molti ecosistemi che dipendono da una particolare gestione agricola.

L’agricoltura rappresenta una delle attività economiche più importanti all’interno delle aree protette e quella che può maggiormente integrarsi con le misure di conservazione del capitale naturale. A conferma di questo, si stima che all’interno delle aree protette nazionali e regionali siano presenti circa 300.000 aziende agricole e zootecniche (fonte: Rete rurale nazionale, 2019). L’importanza del ruolo degli agricoltori come presidio territoriale, ambientale e sociale è ormai ampiamente riconosciuta. Per questo motivo, nelle aree protette c’è, innanzitutto, la necessità di impedire l’abbandono delle attività agricole tradizionali, che sono portate avanti quasi sempre in contesti territoriali disagiati e marginali e, pertanto, più suscettibili a questo fenomeno.

L’abbandono dei sistemi agricoli e pastorali tradizionali o la sostituzione delle pratiche agricole tradizionali con sistemi meccanizzati, intensivi e fortemente dipendenti dall’utilizzo di prodotti fitosanitari e il sovra-pascolo sono tra le principali cause di pressione e minacce per gli ecosistemi naturali.

La legge quadro sulle aree protette n. 394/1991 ha tra le proprie finalità quella di salvaguardare le attività agrosilvo-pastorali. Il mantenimento e la valorizzazione dell’agricoltura nelle aree protette assicura la gestione del territorio, lo sviluppo socio-economico e la permanenza delle comunità rurali.

Un’agricoltura sostenibile nelle aree protette è di fondamentale importanza, poiché consente di conciliare le attività economiche con le esigenze di tutela e conservazione dell’ambiente e della biodiversità.

Le aziende agricole presenti all’interno delle aree protette dovrebbero adottare pratiche di gestione agroecologiche e pratiche zootecniche sostenibili rispettose dell’ambiente e valorizzare la propria multifunzionalità.

Nelle aree protette devono essere promossi e incentivati i sistemi di produzione agricola a basso impatto ambientale, l’agricoltura biologica, la produzione e la commercializzazione di prodotti di qualità, l’avvio di attività extra-agricole legate al turismo e la diversificazione dell’economia delle aree rurali.

Nell’ambito dei sistemi di produzione a basso impatto ambientale, l’agricoltura biologica riveste un ruolo centrale per la tutela del territorio e delle risorse naturali e per la conservazione della biodiversità. L’agricoltura biologica è la pratica agricola basata sul divieto di utilizzo dei prodotti chimici di sintesi ed è ritenuta il modello più avanzato di agroecologia

sostenuto dalla Politica agricola comune (Pac). Questo tipo di agricoltura fornisce alimenti sani e di qualità e contribuisce direttamente alla conservazione della biodiversità, eliminando la pressione e la minaccia diretta per le specie e gli habitat causate dai prodotti fitosanitari. Inoltre, l’agricoltura biologica ripristina e mantiene la fertilità del suolo e le sue pratiche prevedono anche la creazione e il mantenimento di infrastrutture verdi.

La recente approvazione della legge 23/2022 per la tutela, lo sviluppo e la

Opportunità legate all’istituzione dei Distretti biologici nelle aree protette

Limitare l’uso dei prodotti fitosanitari

Incentivare l’uso sostenibile delle risorse naturali e locali Garantire la tutela degli ecosistemi e promuovere un’economia circolare

Perseguire uno sviluppo attento alla conservazione delle risorse per salvaguardare l’ambiente, la salute e le diversità locali

Promuovere azioni finalizzate alla tutela, valorizzazione e conservazione della biodiversità agricola e naturale

TAB. 1 DISTRETTI BIOLOGICI

Opportunità legate all’istituzione dei Distretti biologici nelle aree naturali protette (legge 23/2022)

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 20
SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE E SVILUPPO ECONOMICO, L’AGRICOLTURA HA UN RUOLO DI PRIMARIA IMPORTANZA NELLA TUTELA DI HABITAT E BIODIVERSITÀ, OLTRE ALLE POTENZIALITÀ PER IL TURISMO RURALE E LE PRODUZIONI TIPICHE DI QUALITÀ. IL PSN DELLA PAC 2023-2027 E NUOVI STRUMENTI NORMATIVI CONSENTONO DI PROMUOVERE PRATICHE PIÙ SOSTENIBILI. FOTO: PARCO NAZIONALE APPENNINO TOSCO-EMILIANO

competitività della produzione agricola con metodo biologico consentirà di promuovere ulteriormente la diffusione di questa pratica, soprattutto in contesti di elevato valore naturale come le aree protette.

Tra i diversi strumenti previsti dalla legge 23/2022, i biodistretti (tabella 1) possono rappresentare un’importante opportunità per gli enti gestori delle aree protette e per le aziende agricole per promuovere approcci integrati di sviluppo territoriale legati alle attività di produzione agricola e alla sostenibilità ambientale.

In linea con le strategie comunitarie sulla biodiversità al 2030 e Farm to fork, previste nell’ambito del Green deal europeo, e con il Piano strategico nazionale delle Pac 2023/2027, in corso di predisposizione da parte del Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e forestale, la legge 23/2022 ha l’obiettivo di destinare almeno il 25% della superficie agricola nazionale all’agricoltura biologica entro il 2030.

La Strategia comunitaria sulla biodiversità e la Strategia Farm to fork prevedono, inoltre, la riduzione del 50% del rischio e della quantità dei pesticidi utilizzati in agricoltura. L’aumento delle superfici agricole destinate all’agricoltura biologica e del numero di aziende agricole che praticano il metodo biologico e l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari sono obiettivi fondamentali da perseguire, soprattutto in contesti sensibili dal punto di vista ambientale come le aree protette.

All’interno delle aree protette l’agricoltura, oltre a contribuire alla conservazione e alla tutela delle risorse naturali e della biodiversità, ha grandi potenzialità legate all’agriturismo e al turismo rurale, alle produzioni tipiche di qualità e all’introduzione di attività extra-agricole e di servizi alla popolazione delle aree rurali. La multifunzionalità e la diversificazione delle attività delle aziende agricole è un fattore essenziale per garantire la loro sostenibilità economica, in particolare per le aziende localizzate nelle aree marginali e montane.

Il turismo rurale consente di coniugare sinergicamente le attività produttive, la trasformazione in azienda delle materie prime e la vendita diretta con l’attività ricettiva e di ristorazione. Nelle aree protette ci sono molti esempi di aziende agricole che hanno diversificato la propria strategia di commercializzazione dei prodotti tipici e biologici, in particolare attraverso la filiera corta, la vendita diretta, anche in forma associata, o la creazione di reti di produttori.

Le aziende agricole che hanno diversificato le loro attività attraverso le varie forme di agriturismo hanno anche dimostrato di partecipare attivamente alla difesa dell’ambiente e alla valorizzazione del paesaggio, restaurando edifici rurali abbandonati, creando e mantenendo ecosistemi naturali, allestendo strutture che favoriscono la fruizione delle aree naturalistiche, oltre a favorire lo sviluppo dell’offerta enogastronomica e culturale.

Le produzioni agricole di qualità rappresentano una componente fondamentale dell’economia delle aree protette. Nelle aree protette vengono prodotte alcune eccellenze agroalimentari del nostro Paese: 150 produzioni Dop e Igp, 263 prodotti agroalimentari tradizionali (Pat) e biologici e 198 prodotti classificati nell’Atlante dei prodotti dei Parchi (Federparchi 2021). Le eccellenze agroalimentari, le produzioni di qualità e quelle da agricoltura biologica sono il risultato di un legame indissolubile tra agricoltura, natura e territorio.

La relazione tra agricoltura e conservazione della natura rappresenta una straordinaria opportunità per uno sviluppo rurale sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale. Il mantenimento delle pratiche agricole tradizionali nelle aree protette contribuisce alla salvaguardia del territorio e alla tutela delle risorse naturali, garantisce la conservazione della biodiversità e del paesaggio rurale, preserva la cultura e le tradizioni locali e favorisce la fruizione turistica del territorio. Gli agricoltori sono depositari di un patrimonio di conoscenze tecniche e culturali che costituisce tuttora un valore che va salvaguardato. Al fine di garantire il mantenimento

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E NORMATIVI

e la valorizzazione dell’agricoltura tradizionale, gli indirizzi di pianificazione delle aree protette dovrebbero ridurre i vincoli e le restrizioni alle pratiche agrosilvo-pastorali, incentivare le pratiche agroecologiche e la diversificazione dell’economia di questi territori.

Nelle aree protette dovrebbero essere promossi, anche mediante l’utilizzo dei finanziamenti del Piano strategico nazionale della Pac 2023/2027 (tabella 2), interventi che sostengano, incentivino e premino gli agricoltori e le loro produzioni, accompagnandone la conversione verso pratiche più sostenibili, e che favoriscano la multifunzionalità dell’azienda agricola.

Luigi Servadei

Rete rurale nazionale del Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e forestale

Interventi per il mantenimento e la valorizzazione dell’agricoltura e per lo sviluppo rurale nelle aree naturali protette

Regimi ecologici per ambiente e clima

Interventi agro-climatico-ambientali

Agricoltura biologica

Investimenti per rafforzare la competitività e sostenibilità delle aziende agricole

Investimenti nelle aziende agricole per la diversificazione in attività non agricole

Investimenti non produttivi a finalità ambientale

Insediamento dei giovani agricoltori e avvio di imprese rurali Promuovere e sostenere regimi di qualità riconosciuti a livello Ue e nazionale

Iniziativa Leader per lo sviluppo locale

TAB. 2 INTERVENTI PSN

Gli interventi del Piano strategico nazionale della Pac 2023-2027 per il mantenimento e la valorizzazione dell’agricoltura e per lo sviluppo rurale nelle aree naturali protette

AA.VV., 2019, La tutela della biodiversità nei siti Natura 2000 e nelle aree naturali protette. Opportunità e sfide dello sviluppo rurale, Rete rurale nazionale 2014/2020, Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali.

AA.VV., 2018, La politica di sviluppo rurale 2014/2020 per la biodiversità, Natura 2000 e le aree protette, Rapporto Rete rurale nazionale.

Commissione europea, 2021, Strategia Ue sulla biodiversità per il 2030.

Commissione europea, 2021, Strategia Ue Farm to Fork

Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Piano strategico nazionale della Pac 2023-2027 (versione 31/12/2021).

Regolamento (UE) n. 2021/2115 del 2 dicembre 2021 recante norme sul sostegno ai piani strategici della Pac.

Legge 9 marzo 2022, n. 23, “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico”.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 21

IL CAI E LA VALORIZZAZIONE DELLE AREE PROTETTE

AREE NATURALI PROTETTE

L’impegno del Cai (Club alpino italiano) per la tutela e la valorizzazione delle aree protette affonda le radici nell’articolo 1 del proprio Statuto, nelle attività messe in campo sino a oggi dalle sezioni, da singoli soci e più in generale da tutto il sodalizio nelle collaborazioni e sinergie con i diversi enti Parco e con le pubbliche amministrazioni a vario titolo competenti in materia.

Un impegno che ha richiesto e richiede condivisione di obiettivi e in particolare uno sforzo corale di tutto il Cai nel trasferire all’intero corpo sociale le motivazioni per un impegno coerente e attivo anche e soprattutto nei comportamenti quotidiani.

La centralità della montagna sarà uno dei punti fondanti delle attività del Cai per gli anni prossimi e potrà trovare pratica attuazione nelle politiche attive di gestione delle aree protette alle quali le giovani generazioni sono sin d’ora chiamate a dare un contributo concreto di partecipazione e di proposta.

L’appartenenza territoriale è certamente un valore più che positivo se orientato verso la cura del valore identitario delle popolazioni locali, diversamente ottiene l’effetto di produrre marginalizzazione se non localismo sfrenato che identifica nel Parco, o comunque in qualsiasi area sottoposta a vario regime di protezione per motivi ambientali, un vincolo e un ostacolo allo sviluppo della economia locale.

Le politiche di coesione sociale e territoriale, progressivamente messe in campo dall’Unione europea tendono proprio a superare questa frattura e fra i tanti driver di economia territoriale riconoscono alle aree protette o parchi una funzione centrale.

La presenza di un rappresentante del Cai all’interno di Federparchi, l’associazione mantello degli enti gestori delle aree protette, ha permesso e facilitato l’acquisizione di collaborazioni e scambi esperienziali positivi anche se, in ragione

della natura e della funzione propria, Federparchi ha primariamente svolto un’azione di pressione verso il Ministero competente e il Governo in generale.

Negli ultimi anni si è sviluppato a livello mondiale un gran fermento generativo di principi e norme che hanno in buona parte modificato e orientato verso prospettive maggiormente partecipative la visione globale delle aree protette. L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, le grandi strategie che l’Europa unita si è data e che si sono consolidate nel Green deal (Strategia Ue per la biodiversità 2030, Strategia Ue 2030 per le foreste, Farm to fork) sono tutti strumenti che hanno di fatto posto l’orizzonte in avanti nel tempo traguardandolo al 2030 e quindi impegnando tutti i corpi sociali a una rivisitazione delle politiche al momento in essere.

Naturalmente anche all’interno del Cai, a partire dalla Commissione centrale tutela ambiente montano fino al Comitato centrale di indirizzo e controllo, questo processo di rivisitazione e di attualizzazione dei principi esposti nel “Nuovo bidecalogo” (contenenti le linee di indirizzo e di autoregolamentazione del Club alpino italiano in materia di ambiente e tutela del paesaggio)

ha generato un fecondo momento di ideazione e proposizione che è sfociato nell’approvazione, da parte appunto del Comitato centrale di indirizzo e controllo del documento di posizionamento “Il Cai e il Sistema delle aree protette”.

In primo luogo, vi si afferma che la definizione di “Sistema delle aree protette” permette di racchiudere sotto un’unica dizione sia le zone identificate dalla legislazione italiana (quali i parchi nazionali, le aree marine protette, i parchi naturali regionali o interregionali, le riserve e altri siti tutelati) sia tutte le aree che ricadono sotto le direttive europee Habitat e Uccelli, le quali hanno dato vita alla Rete dei Siti Natura 2000, estesa in tutta l’Unione europea.

Ciò permette e induce a una visione di sistema, appunto, che supera la parcellizzazione territoriale e richiede valutazioni globali e scientificamente sostenute.

In questa ottica il Cai, per la sua capillare distribuzione territoriale, rappresenta un formidabile soggetto di intermediazione sociale, nonché protagonista nell’osservazione del territorio, svolgendo il ruolo di attore propositivo di una sussidiarietà orizzontale sulle principali tematiche ambientali riguardanti la montagna.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 22
UN’ATTIVITÀ PER LA CONSERVAZIONE E LA GESTIONE DEL CAPITALE NATURALE E DEI SERVIZI ECOSISTEMICI E PER LA PROMOZIONE DI UN’ECONOMIA DIFFUSA A SOSTEGNO DELLE POPOLAZIONI RESIDENTI, CON L’IMPEGNO DI FAR RISPETTARE LE NORME NAZIONALI ED EUROPEE IN MATERIA DI PROTEZIONE DELLA NATURA E DEL TERRITORIO MONTANO. FOTO: CAI

Il valore sociale del territorio

Il riconoscere la valenza sociale dell’identità di “Parco naturale” (sia esso regionale o nazionale o europeo) costituisce un valore culturale rilevante per le aree marginali che permette di costituire e rafforzare le identità locali. Solo se si riconosce e si è orgogliosi di appartenere a un territorio, le giovani generazioni possono impegnarsi per la sua promozione e valorizzazione. È l’idea dell’Europa della “piccole patrie” (da patres, la terra dei padri). L’effetto propedeutico e positivo delle aree protette può anche essere misurato in termini di benessere sia delle popolazioni locali sia dei frequentatori, e di produzione di servizi ecosistemici, quali acqua, regolazione del clima, protezione dei suoli e dalle catastrofi naturali. Oggi un’accorta politica delle e per le aree protette deve necessariamente coniugare gli storici principi conservazionistici con quelli della gestione partecipata e della valorizzazione delle produzioni locali, quali vettori di una economia territoriale diffusa, la quale sarà maggiormente condivisa dalle popolazioni locali nel momento in cui la custodia della biodiversità insita nei siti viene acquisita come missione delle popolazioni stesse.

Gli impegni che il Cai ha codificato nel documento di posizionamento, e per il raggiungimento dei quali tutti i soci sono chiamati a essere parte attiva, partono dall’assunzione del valore intrinseco del Sistema delle aree protette (parchi nazionali, regionali, riserve naturali, Rete Natura 2000) e dalla difesa dell’integrità delle singole aree protette. Tenendo conto degli obiettivi di conservazione per cui esse sono state istituite e riconoscendone la funzione di protezione, conservazione e gestione del capitale naturale e dei servizi

ecosistemici che esso genera, l’impegno è quello di promuoverne la diffusione e la conoscenza all’interno del corpo sociale del Cai quale elemento di formazione e arricchimento culturale. Il sodalizio riconosce altresì il valore di promozione di un’economia diffusa a primario sostegno delle popolazioni residenti, con l’impegno di far rispettare sia la legislazione nazionale sia le direttive europee in materia di protezione della natura e delle aree protette. Sono infatti le stesse popolazioni residenti il perno sociale custode della cultura e delle tradizioni e dei valori identitari della montagna.

Per questo il Cai, sempre nel documento di posizionamento, ritiene utile partecipare al processo di revisione e aggiornamento, a trent’anni dalla sua emanazione, della legge quadro sulle Aree protette (6 dicembre 1991 n. 394). Ritiene indispensabile incardinare questo processo di revisione all’interno delle normative europee espresse dal Next generation Eu e individuare e proporre un piano nazionale di ampliamento del Sistema delle aree protette al 30% del

territorio nazionale e alla protezione in maniera rigorosa del 10% del territorio, così come richiesto dalle strategie europee. Per il raggiungimento di tali obiettivi, il Cai si avvale delle approfondite conoscenze geografiche, ambientali e socioeconomiche dei propri iscritti e realizza progetti, in sinergia con gli enti di gestione delle aree protette, in particolare di educazione ambientale, osservazione e rilievo della biodiversità e del territorio e citizen science. Di conseguenza, il sodalizio impegna i propri rappresentanti nominati negli organi direttivi dei vari enti Parco a promuovere questi principi durante lo svolgimento del loro mandato.

La tutela e la valorizzazione delle aree protette rappresenta quindi un obiettivo di primaria importanza per il Cai, non solo come fattore intrinsecamente identitario, ma anche come valore culturale e sociale.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 23
Raffaele Marini Presidente della Commissione centrale Tutela ambiente montano del Cai FOTO: CAI FOTO: CAI

IL CONTRASTO AGLI INCENDI NEL PARCO DEL VESUVIO

AREE NATURALI PROTETTE

Il Parco nazionale del Vesuvio, istituito nel 1995, occupa una superficie di 8.482 ettari e interessa il territorio di 13 comuni, per un totale di oltre 350.000 abitanti. Si estende, come vera e propria isola di naturalità, all’interno di una delle aree più alterate, antropizzate e densamente popolate d’Europa. Nel corso della drammatica estate del 2017, anche il territorio del parco nazionale del Vesuvio è stato attraversato da violentissimi incendi di matrice dolosa, che hanno comportato ingenti impatti sulle comunità animali e vegetali presenti, con conseguenti fenomeni di dissesto dei versanti, non più contenuti dalla vegetazione. Questo grave momento di crisi ha aperto una fase nuova, di rilancio e rinascita del Parco nazionale, con una serie di azioni sul tema della mitigazione del rischio incendi di cui questo articolo è una breve sintesi.

Dall’inizio del 2018, il dipartimento di Agraria dell’Università Federico II, coordinato da Antonio Saracino, ha condotto per conto dell’ente Parco una serie di studi interdisciplinari sugli effetti del fuoco, per la programmazione degli interventi di rinaturalizzazione e difesa del suolo delle aree percorse da incendio. Le ricerche hanno evidenziato che, sebbene l’incendio abbia attraversato oltre 3.000 ettari di parco, sono rimasti danneggiati severamente solo 400 ettari, in particolare le pinete di pino domestico o marittimo, oggetto di interventi di forestazione seriale e monospecie nel corso del primo e secondo dopoguerra. Il pino non è una specie autoctona dell’area vesuviana ed è molto vulnerabile agli incendi. Nelle aree del parco dove era presente la macchia mediterranea spontanea, o i boschi di leccio, l’incendio ha prodotto danni molto più contenuti, dimostrando come la comunità vegetale originaria del Vesuvio sia resiliente agli incendi.

Sulla scorta di questi studi e di linee guida redatte dall’ente Parco con il supporto

1

dell’Università, sono stati per prima cosa effettuati interventi di messa in sicurezza e bonifica delle aree percorse dal fuoco, con i tagli delle piante bruciate a rischio schianto in prossimità di edifici, strade e sentieri, anche con il contributo del reparto Carabinieri biodiversità di Caserta. Contestualmente, l’ente Parco si è dotato di una serie di strategie di prevenzione dal ripetersi di incendi boschivi. In primis, con il supporto scientifico del Consorzio universitario grandi rischi (Cugri), è stato redatto un nuovo piano pluriennale antincendio boschivo, approvato dal Ministero della Transizione ecologica e dalla Regione Campania. Il cuore del piano è la convenzione tra il Parco e la Direzione regionale dei Vigili del fuoco, stipulata dal 2018, per l’organizzazione del sistema di prevenzione e pronto intervento sui focolai di incendio. Essa prevede l’allestimento di due presidi temporanei dei Vigili del fuoco nell’area del parco, a Terzigno ed Ercolano, sui due versanti del vulcano, forti di 4 automezzi, che per i 3 mesi più a rischio hanno garantito un intervento tempestivo sui focolai di incendio nei 5 anni successivi. Pur restando costante il numero dei focolai (di matrice umana, dolosa o colposa), si

è ridotta del 90% l’estensione in ettari delle aree bruciate, rispetto alla media pre-incendio del 2017, così come la durata degli interventi. In sintesi, la vicinanza e la rapidità di intervento hanno consentito di gestire i focolai nelle prime fasi dell’emergenza, impedendo che nascessero dei veri incendi boschivi. Risultati che non è esagerato definire eccezionali, se comparati al contesto degli incendi regionali e nazionali dello stesso periodo. Sul fronte prevenzione antincendio, l’ente Parco ha anche ripristinato e potenziato il proprio sistema di videosorveglianza, forte di 32 punti di ripresa, con telecamere a fuoco fisso e motorizzate, e 10 lettori di targhe, che ha permesso di raggiungere elevati standard di controllo del territorio. Il sistema è affidato in gestione al reparto Carabinieri Parco nazionale del Vesuvio.

Con il programma parchi per il clima finanziato dal Ministero della Transizione ecologica nel 2020, è inoltre partito il progetto “Zonizzazione dinamica della pericolosità degli incendi boschivi mediante l’uso di immagini satellitari Sentinel 2”, che prevede l’impiego di dati satellitari e una rete di sensori a terra per misurare l’umidità dei suoli. Sono state attivate

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 24
LA PREVENZIONE PER IL RISCHIO INCENDI, LA PROGRAMMAZIONE DI INTERVENTI DI RINATURALIZZAZIONE E DI DIFESA E MESSA IN SICUREZZA DEL SUOLO SONO AL CENTRO DEL PROGRAMMA DI STRATEGIE DI CUI L’ENTE PARCO SI È DOTATO PER TUTELARE I BOSCHI DAI ROGHI, IN SINERGIA CON VIGILI DEL FUOCO, CARABINIERI, ENTI LOCALI E UNIVERSITÀ.

anche alcune convenzioni con i Comuni, per l’attivazione e il potenziamento dei Nuclei comunali di protezione civile che svolgono attività Aib. Inoltre, l’ente Parco ha promosso un inedito approccio congiunto, assumendo il ruolo di capofila delle 13 amministrazioni comunali, ai fini della redazione del piano di gestione forestale di tutte le aree pubbliche ricadenti nel perimetro dell’area protetta. Attualmente è in corso la procedura per l’individuazione del soggetto redattore del piano.

Sempre nel 2020, è emersa la necessità di avviare gli interventi di restauro ambientale e rinaturalizzazione, mirati alla difesa del suolo, al contenimento delle specie alloctone nelle aree bruciate e all’accelerazione della ricostituzione delle associazioni vegetali colpite dal fuoco. Nell’ambito della collaborazione con il dipartimento di Agraria, è stata definita una metodologia per la progettazione degli interventi, che prevede la messa a dimora di un mix di 10 specie di alberi e arbusti autoctoni, resilienti agli incendi, secondo una struttura a “isole” di 1.000 m2, localizzate in maniera casuale, a imitare la natura, per estensioni complessive di circa un ettaro, secondo 9 schede progettuali modulari, distinte per tipologia ambientale, esposizione, altimetria e caratterizzazione microclimatica. Ciò al fine di sostenere la ripresa vegetativa, senza effettuare una riforestazione tradizionale, per non pregiudicare gli equilibri ecologici spontanei, in linea con la mission di tutela della biodiversità delle aree protette.

Un primo progetto, nel comune di Trecase è stato inserito nei finanziamenti del “Programma nazionale di incremento della resilienza dei sistemi forestali” del 2018 del Ministero dell’Ambiente ed è oggi in fase di appalto: prevede la realizzazione 140 nuclei vegetali di 1.000 m2, distribuiti in modo irregolare, con densità di 5 nuclei per ettaro e 120 alberi e arbusti di diverse specie per ogni nucleo; la superficie lorda interessata è di 114 ettari, la superficie netta di lavorazione è di 14 ettari. Un secondo progetto, gemello del precedente, nel comune di Ottaviano, è stato inserito nel programma di interventi per la mitigazione e l’adattamento ai

1 Due automezzi di primo intervento antincendio dei Vigili del fuoco presso uno dei due presidi del Parco nazionale del Vesuvio.

2 Un tratto di pineta bruciata nel Parco nazionale del Vesuvio.

3 Un’area del Parco nazionale del Vesuvio oggetto di intervento di rinaturalizzazione post-incendio.

2

TAB. 1

SPECIE ARBOREE E ARBUSTIVE

Specie impiegate negli interventi di naturalizzazione, per ogni nucleo. 3

Specie arboree Percentuale Numero piante su 1.000 m2

Quercus ilex (leccio) 40 36

Quercus suber (sugherella) 10 9

Quercus pubescens (roverella) 10 9

Fraxinus ornus (frassino) 10 9

Pinus pinea (pino domestico) 10 9

Specie arbustive

Percentuale Numero piante su 1.000 m2

Arbutus unedo (corbezzolo) 20 18

cambiamenti climatici del 2019 del Ministero dell’Ambiente ed è anch’esso in fase di appalto. Tutti i progetti prevedono cure colturali per i tre anni successivi all’impianto.

Alcuni primi interventi di rinaturalizzazione dimostrativi, secondo questa metodologia, sono già stati realizzati a valere su finanziamenti privati, concessi da aziende nell’ambito di progetti di responsabilità sociale d’impresa. Grazie a un protocollo di intesa con la società srl AzzeroCO2, il Parco nazionale del Vesuvio ha aderito al programma “Mosaico Verde”, realizzando 4 nuclei di vegetazione all’interno della

riserva forestale Tirone alto Vesuvio e 3 nuclei lungo le fasce perimetrali del sentiero n. 11 La pineta di Terzigno. L’ente Parco ha anche aderito al programma “A misura di Verde” del gruppo Colussi, che ha finanziato la realizzazione di altri 7 nuclei di vegetazione autoctona in altrettante aree della riserva forestale. Questi progetti, realizzati a cavallo del 2021 e 2022 mostrano già riscontri positivi.

Stefano Donati

Direttore ente Parco nazionale del Vesuvio

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 25

LA COLLABORAZIONE CHIAVE DELLA SOSTENIBILITÀ

AREE NATURALI PROTETTE

Il Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano nel 2021, per celebrare i suoi primi vent’anni, ha scelto di mettere in evidenza la “mappa delle collaborazioni” instaurate, sia sul territorio sia fuori, e i risultati raggiunti grazie a esse.

Per necessità o forse per virtù, questo parco nazionale è infatti nato e cresciuto nel segno della ricerca di collaborazioni con gli enti locali e regionali, con le scuole e le università, con le imprese, le associazioni e anche le singole persone.

Emblematici alcuni fatti. Nel difficile percorso di creazione del Parco, i Comuni non hanno dato un semplice parere, come accaduto per tutti gli altri parchi nazionali. È stata invece loro richiesta una ben più impegnativa deliberazione sul perimetro. Sono stati a pieno titolo co-fondatori.

I “centri visita” di questo parco non sono stati concepiti e costruiti come uffici pubblici, ma pensati e realizzati in convenzione con imprese private impegnate nell’accoglienza turistica (alberghi, ristoranti, bar) e posizionati nei punti strategici o topici del territorio. Queste imprese sono oggi testimonial del parco e, tutto l’anno, festività comprese, affiancano ai loro servizi commerciali (mangiare, dormire ecc.) la capacità di informare e consigliare i turisti che vogliono visitare e conoscere i valori del parco nazionale.

Per il peculiare ambito territoriale, questo parco – articolato su 2 regioni, 4 province, diversi comuni, con una superficie ristretta e che si sviluppa prevalentemente sui crinali – ha dovuto investire in iniziative culturali e promozionali sull’intero territorio dei comuni interessati e non solo all’interno del proprio perimetro, anche perché estremamente ristretto e talora definito per rispondere a esigenze particolari di

La mappa delle collaborazioni

Dopo i suoi primi 20 anni, il Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano ha voluto formalizzare questo suo approccio collaborativo in un documento, in una mappa delle collaborazioni (disponibile anche sul web), un elenco puntuale e ragionato, distinto per tipologia di collaborazione, per intensità e durata del rapporto e ambito in cui esso si esplicita (ambiente, turismo, agricoltura, educazione).

Abbiamo registrato (ma il numero è in continuo divenire) 2.197 collaborazioni con istituzioni pubbliche, 2.553 collaborazioni con associazioni, 1.441 collaborazioni con imprese private. Di tutte queste, 3.040 sono collaborazioni occasionali e 1.628 sono collaborazioni permanenti.

1.645 collaborazioni riguardano il settore

educazione-formazione, mentre 626 riguardano il turismo e 157 riguardano collaborazioni con altre aree naturali protette nazionali o regionali.

A ciascuno di questi numeri corrisponde un nome e, soprattutto, un’azione, un progetto, un risultato raggiunto (o almeno perseguito) per lo sviluppo sostenibile del territorio.

È evidente che una tale mappa, oltre che un elenco aggiornato e organizzato, costituisce e costruisce anche una vision ed è uno strumento di governance non meno importante dei vari piani e regolamenti che sono necessari nella vita di un ente. Esprime una fotografia viva dell’effettiva realtà dell’attività e della missione concreta dell’ente.

L’ immagine principale con cui nell’occasione il Parco nazionale celebrò il ventennale è stata una galleria di volti e di persone. E la principale manifestazione celebrativa è stata svolta come una serie

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 26
gruppi di pressione. IL PARCO NAZIONALE DELL’APPENNINO TOSCO-EMILIANO, COME MOLTE ALTRE AREE PROTETTE, FONDA LE SUE ATTIVITÀ SULL’INTERAZIONE DIRETTA CON ENTI, ISTITUZIONI, IMPRESE, ASSOCIAZIONI E PERSONE DEL TERRITORIO. SERVIREBBE UN MAGGIORE RICONOSCIMENTO DEL RUOLO DA PROTAGONISTI NELLA TRASFORMAZIONE E CONVERSIONE ECOLOGICA. FOTO: GIULIANO BIANCHINIPARCO NAZ. APPENNINO TOSCO-EMILIANO

di testimonianze di questi protagonisti della vita dell’ente parco, che non sono soggetti o dipendenti o funzioni in prima persona dell’ente stesso.

Molto probabilmente è stato proprio lungo questa strada, che il Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano è arrivato a incontrare il programma Uomo e biosfera (Mab) dell’Unesco e a promuovere con un certo successo la riserva Uomo e biosfera dell’Appennino tosco emiliano, nata nel 2015. Sei anni dopo la stessa è stata ampliata in modo molto significativo, riuscendo di nuovo a investire su un tema di collaborazione territoriale, cioè sulle relazioni tra le aree naturali e le aree urbane, tra le aree rurali e quelle industriali, tra quelle caratterizzate da norme di tutela e quelle prive di restrizioni.

In sostanza, il riconoscimento Mab Unesco a riserva di biosfera ha sigillato un grande patto territoriale nel segno della sostenibilità e degli obiettivi Onu per il 2030, che è stato sottoscritto e condiviso da una grande quantità di soggetti pubblici e privati e anche sottoscritto fisicamente da tantissime singole persone, dando continuità e ampliando l’audience di quanto aveva fatto fino al 2015 il Parco nazionale.

Particolarmente penetrante, questa politica delle collaborazioni è stata riguardo al turismo sostenibile con attività come “neve natura”, con azioni come quella citata dei centri visita e, da ultimo, la certificazione della Carta europea del turismo sostenibile (Cets).

Forse altrettanto significativa è stata la collaborazione con oltre un centinaio di imprese di ristorazione e agricole su quelli che sono stati – ormai per 15 anni – i concorsi menù a km zero, ora ribattezzati Upvivium, che vedono una collaborazione tra soggetti pubblici e privati di tante riserve di biosfera italiane.

Anche la strategia forestale del parco, per la misurazione di crediti di sostenibilità, con una piattaforma per la loro commercializzazione (https://creditisostenibilita.it),fondata su pianificazione e certificazione della gestione dei boschi, è basata fondamentalmente sul patto con quasi 30 amministrazioni locali di uso civico (boschi di proprietà collettiva di comunità locali) oltre alle collaborazioni con le università.

I parchi per un equilibrio positivo tra comunità e ambiente

Quella del Parco tosco-emiliano non è un’esperienza isolata. In verità tutti i parchi italiani stanno sempre più investendo energie nell’attivare collaborazioni con i principali stakeholder dei propri territori, evolvendo rispetto al loro imprinting originale.

In tutto il mondo i parchi sono nati come qualcosa di “altro” rispetto al territorio, quasi unicamente concentrati sulla funzione di conservazione; invece oggi tendono piuttosto a essere qualcosa che è profondamente “dentro” alle dinamiche delle comunità su cui insistono, stimolandole ad assumere i valori dell’ambiente e della sostenibilità.

Ciò è conseguenza anche della necessità storica, legata alla crisi climatica, che fa sì che tutti debbano occuparsi della sostenibilità. Nel contesto attuale i parchi (che comunque nel frattempo sono diventati istituzioni non solo accettate ma anche, tutto sommato, più riconosciute e diffuse dalla maggioranza della popolazione) non sono più soli nella missione di costruire un equilibrio positivo tra gli uomini e l’ambiente. In questo non essere più soli, i parchi hanno una grande opportunità, a condizione che non percepiscano come competitiva la relazione con i nuovi soggetti attenti all’ambiente, ma siano loro stessi stimolo e fulcro di collaborazioni con tutti o soggetti

interessati seriamente allo sviluppo sostenibile.

La missione dei parchi sul territorio non è più qualcosa di separato rispetto alla sua governance complessiva; la missione dei parchi è piuttosto qualcosa che sta dentro le comunità e i territori e deve cercare e avere capacità di leadership, di ricerca e sviluppo sostenibile per i territori: una missione profondamente culturale.

Queste considerazioni purtroppo non trovano coerenza nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, a cui va mossa una critica in tal senso. Il Pnrr, che su molti ambiti punta sullo sviluppo sostenibile, trascura proprio i parchi che furono e sono i primi protagonisti e promotori di queste tematiche, in qualche caso testimoni isolati e coraggiosi, della missione di tutela della natura e dell’ambiente. Nel Pnrr i parchi non sono infatti, purtroppo, stati considerati istituzioni protagoniste di trasformazione e conversione ecologica dei territori, delle loro economie, dei loro modelli di vita. Questo è un limite molto grave, soprattutto nel momento in cui la Costituzione italiana ha riconosciuto il valore dello sviluppo sostenibile, e anche il valore degli ecosistemi della biodiversità.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 27
Fausto Giovanelli Presidente del Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano FOTO: ALTERECO SCPARCO NAZ. APPENNINO TOSCO-EMILIANO

SASSO FRATINO, LA PRIMA RISERVA NATURALE INTEGRALE

AREE NATURALI PROTETTE

Sasso Fratino è stato il primo luogo circoscritto a riserva naturale integrale in Italia. Archetipo delle foreste vetuste, stimola la nostra fantasia e ci parla degli equilibri della natura primigenia e delle ingenti risorse di biodiversità che rendono possibile e migliorano la vita degli uomini, anche negli sterminati campi operativi della ricerca scientifica.

Fabio Clauser nel 1955 era amministratore delle foreste Casentinesi e stava portando in esecuzione il piano di gestione della foresta di Badia Prataglia, del quale era stato redattore nel 1952. Per sollecitare l’istituzione della riserva naturale integrale di Sasso Fratino utilizzò un espediente: quello di appellarsi, di fronte alla sua amministrazione centrale, alle difficoltà oggettive nello sfruttamento economico dell’area (soprattutto l’esbosco). Nessuno saprà mai se nel riuscire a difendere tale sterminata bellezza sia stato decisivo dover utilizzare quel grimaldello “produttivistico”.

Le motivazioni e gli eventi di quei giorni pionieristici sono raccontati nella nota introduttiva al volume “La Riserva di Sasso Fratino” di Fabio Clauser: “Ero arrivato come esecutore del piano a dover progettare il taglio del bosco sulle pendici settentrionali di Poggio Scali: Sasso Fratino. Mi sono trovato davanti a un bel dilemma: onorare il mio piano o fare, come ora si direbbe, un passo indietro? Il bosco che avevo di fronte era rimasto pressoché intatto perché praticamente inaccessibile. Ma le nuove tecnologie – le gru a cavo importate dalla Svizzera – rendevano possibile e conveniente esboscare i grandi tronchi di ottimo legno da quelle pendici fino allora difese da balze rocciose e dalla mancanza di strade dove attestare gli impianti tradizionali. Il piano di gestione prescriveva di percorrere tutto quel versante. Ma una cosa è scrivere il piano e un’altra trovarsi ad applicarlo, a decidere

della vita e della morte di alberi così straordinari, al loro cospetto (...) L’aspetto estetico, si è visto, fu determinante nel proporre l’istituzione della riserva naturale Integrale: esso conserva certamente intatta la sua importanza”. Per far accettare la proposta si rivelarono fondamentali anche gli sforzi congiunti del professor Pavan dell’Università di Pavia, e del professor Gösswald dell’Università tedesca di Würzburg. Antonio Sansone, relatore per conto del Demanio forestale, subito dopo l’acquisto da parte dello Stato delle Foreste casentinesi (nel 1914), nel 1915 parlava già delle: “Ripe della Penna, delle Cullacce, le vallette dei Forconali come luoghi che costituiscono altrettanti recessi inaccessibili, dove sarebbe facile conservare alla natura tutto il suo carattere senza alterazione alcuna nella flora e nella fauna (...) non che di danno alla foresta, potrebbero riuscire uno dei suoi più belli ornamenti e oggetto di studio prezioso (...) le piante stravecchie seccano e cadono sotto il peso delle nevi e per l’urto dei venti; e subito al loro posto sottentra nuova vegetazione rigogliosa, dovuta al sottobosco che non manca mai ed aspetta che gli si faccia un po’ di luce per prendere sviluppo. È il vero tipo della faggeta naturale, quale difficilmente si troverebbe in altri posti (...) oggi sorge ovunque la richiesta di riserve… e per la creazione di queste non potrebbe esservi località più adatta di questa foresta”.

Nel 1959 viene istituita a Sasso Fratino la prima riserva naturale integrale d’Italia, negli stessi territori indicati dalla relazione Sansone, su un’area di 113 ettari sul versante nord-est di Poggio Scali. È un atto interno dell’amministrazione. La ratifica ministeriale ci sarà solo nel 1971. Non va trascurato che Sasso Fratino si era sempre tutelata da sé, proprio per le difficoltà a essere raggiunta e attraversata da strade di esbosco. Nel 1838 le foreste diventarono proprietà diretta del Granduca di Toscana Leopoldo II e

la relazione dei due selvicoltori boemi, Antonio Seeland e Karl Siemon, a cui era stato affidato il compito di stilare un rapporto sul loro stato di conservazione, fa riferimento ad aree difficilmente

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NEL PARCO NAZIONALE DELLE FORESTE CASENTINESI, MONTE FALTERONA E CAMPIGNA CI SONO OGGI QUATTRO AREE A PROTEZIONE INTEGRALE, IN CUI SI ENTRA SOLO PER MOTIVI DI STUDIO O SORVEGLIANZA. L’IMPORTANZA STORICA, CULTURALE, AMBIENTALE ED ESTETICA È TESTIMONIATA ANCHE DAL SUGGELLO COME PATRIMONIO MONDIALE DELL’UMANITÀ UNESCO. FOTO: PARCO NAZ. FORESTE CASENTINESI, MONTE FALTERONA E CAMPGNA FOTO: PARCO NAZ. FORESTE CASENTINESI, MONTE FALTERONA E CAMPGNA

accessibili ancora con grande abbondanza di faggi maturi e “stramaturi”. Si tratta di territori concessi all’Opera del Duomo di Firenze per le esigenze di materiali e proventi per la costruzione del massimo tempio, la nuova Cattedrale di Firenze.

L’Opera amministrò per 400 anni la “Macchia di Santa Maria del Fiore”. Uno scritto di questa istituzione, del 1721, cita tutta la zona: “la motta di Sasso Fratino, la Fossa, l’Asticciola che confina con Poggio Scali quanto acqua pende verso il Campo alla Sega e Campo Minacci e sono tutti luoghi dove i conduttori non vi hanno mai tagliato per essere impraticabile per vie”1 Non è un caso che Sasso Fratino contenga faggi contemporanei a personalità del Rinascimento come Leonardo e Michelangelo. Il riconoscimento di patrimonio dell’umanità Unesco al Parco nazionale ha permesso di dare forma concreta a un concetto che mi sta particolarmente a cuore e che ha caratterizzato il mio mandato amministrativo alla guida

dell’Ente: sviluppo e conservazione, valori considerati spesso in antitesi, contribuiscono in realtà allo stesso fine. Realizzano il medesimo patto di alleanza con la natura.

Cos’è una riserva naturale integrale? Un’opportunità offerta agli ecosistemi di ricreare le loro condizioni primigenie. Ma è anche un laboratorio per capire come la natura affronta le sue crisi e si adatta al cambiamento. Per noi rappresenta anche la possibilità di vedere, come un film all’indietro, la storia della nostra interazione con il creato. Se “ciò che è bello salverà il mondo”, come scriveva Dostoevskij, chi gode di questo statuto detiene anche la grazia di essere buono e utile, e quindi degno di tutela e conservazione. Perché quest’ultima non diventa un ostacolo alla valorizzazione economica dei territori ma, al contrario, gli è strumentale.

Nel parco ci sono oggi quattro aree a protezione integrale, in cui si entra solo per motivi di studio o sorveglianza: Sasso Fratino, Monte Falco-Poggio

Piancancelli, Monte Penna-Poggio Ratoio (del demanio statale) e la Pietra (del demanio regionale toscano).

La classificazione come core area di Sasso Fratino, prima riserva naturale costituita in Italia, ha rinforzato il valore e l’ineluttabilità del regime speciale di tutela. Nel contempo il suggello Unesco ha valorizzato circa seimila ettari “cuscinetto” (buffer area) di territorio di elevatissimo valore ecosistemico ed estetico, anche nella chiave della sua valorizzazione turistica internazionale.

Presidente del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna

NOTE

1 Gabbrielli A., Settesoldi E., 1977, “La storia della foresta casentinese nelle carte dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze dal secolo 14. al 19.”, Roma, Ministero dell’agricoltura e delle foreste, Corpo forestale dello Stato, Azienda di Stato per le foreste demaniali, pp. 73-74.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 29
Luca Santini FOTO: PARCO NAZ. FORESTE CASENTINESI, MONTE FALTERONA E CAMPGNA

IN EMILIA-ROMAGNA UN SISTEMA CONSOLIDATO

AREE NATURALI PROTETTE

La Regione Emilia-Romagna ha preceduto l’iniziativa statale della legge quadro nazionale sulle aree protette n. 394/91, istituendo 8 parchi regionali attraverso la prima legge regionale cornice, la n.11 del 1988, “Disciplina dei parchi regionali e delle riserve naturali” e da quell’anno si è avviato un processo che ci vede impegnati ancora in un’ottica di miglioramento continuo.

Oggi il sistema regionale delle aree protette è una realtà consolidata e articolata, ne fanno parte: 14 parchi regionali; 15 riserve naturali; 5 paesaggi naturali e seminaturali protetti; 34 aree di riequilibrio ecologico; 1 parco interregionale; 2 parchi nazionali; 17 riserve statali. I siti di importanza comunitaria sono 159 di cui: 71 Zsc (zone speciali di conservazione); 68 Zsc/ Zps (zone speciali di conservazione/ zone di protezione speciale); 19 Zps (zone di protezione speciale), 1 Sic (sito di interesse comunitario) marino.

2009 29 151.000 6,71% 127 256.866 11,42% 293.957 13,07%

2015 69 214.897 9,55% 158 270.727 12,04% 355.088 15,79%

2020 71 227.704 10,12% 158 269.408 11,98% 366.974 16,31%

2021 71 230.380 10% 159 301.761 13,20% 400.766 17,53%

TAB. 1 SISTEMA REGIONALE DELLE AREE PROTETTE Evoluzione nel numero e nella superficie di aree protette e siti della rete Natura 2000 in Emilia-Romagna.

Il totale della superficie protetta sia a terra sia a mare in Emilia-Romagna ammonta a circa 400.766 ettari; quella a mare è costituita dal recente Sic Adriatico settentrionale e dalla Zsc del relitto del Paguro per un totale di 31.226 ettari. Quindi, nonostante il territorio sia in gran parte caratterizzato da vaste aree fortemente antropizzate (soprattutto lungo la via Emilia), intersecato da numerose infrastrutture viarie e da un’utilizzazione agricola del suolo molto

intensa e che ha lasciato poco spazio alle aree naturali e seminaturali, il territorio protetto è quasi triplicato dagli anni 80, in cui sono state istituite le prime aree protette della Regione, passando da poco più del 6% al 17,53% di oggi (tabella 1).

L’ultima legge organica sulla materia (Lr 24/2011 “Riorganizzazione del sistema regionale delle Aree protette e dei siti Rete Natura 2000 e istituzione del Parco regionale dello Stirone e

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IL SISTEMA DELLE AREE PROTETTE IN EMILIA-ROMAGNA È IN CRESCITA E OGGI COPRE OLTRE IL 17% DELLA SUPERFICIE. L’IMPEGNO DELLA REGIONE È SIGNIFICATIVO SIA IN TERMINI FINANZIARI SIA PER LA PROGRAMMAZIONE STRATEGICA E DI TUTELA DELLA BIODIVERSITÀ. IN PROSPETTIVA SERVONO UN RILANCIO DELLA RETE ECOLOGICA E UNA REVISIONE DELLA GOVERNANCE.
1
FOTO: FRANCESCO GRAZIOLI
Aree
Siti
Aree
N. Superficie (ha) % superficie N. Superficie (ha) % superficie Superficie (ha) % superficie
Anno
protette
rete Natura 2000
protette e siti rete Natura 2000

TAB. 2

AREE PROTETTE

Suddivisione della superficie delle aree protette in EmiliaRomagna sulla base degli enti per i parchi e la biodiversità istituiti con la Lr 24/2011.

Emilia occidentale 40.261 850 20 4.210 - 11.511 46.929 58.440 92.271

Emilia centrale 17.651 820 291 29.778 - 16.690 25.191 41.880 73.731

Emilia orientale 20.370 790 370 4.991 - 20.356 15.385 35.740 41.906

Delta del Po 55.297 56 251 872 3.539 39.117 29.680 68.798 86.278 Romagna 6.064 318 23 2.949 - 5.653 22.610 28.263 31.964

Totale 139.643 2.834 955 42.800 3.539 93.326 139.795 233.121 326.150

del Piacenziano”) ha ridisegnato la governance, dando vita, in sostituzione dei preesistenti consorzi di enti locali gestori dei parchi regionali e alle Province per le riserve naturali, a cinque enti denominati “per i parchi e la biodiversità”, corrispondenti a porzioni del territorio regionale, suddiviso in macroaree di scala sovraprovinciale: Emilia occidentale, Emilia centrale, Emilia orientale, Delta del Po e Romagna. Ogni macroarea ha caratteristiche proprie, ambientali e naturali, così pure un diverso peso delle aree protette ricadenti, sono state tuttavia ritenute dal legislatore abbastanza omogenee e razionali dal punto di vista gestionale. Ogni ente, dopo la recente Lr 4/2021, è competente per la gestione non solo delle aree protette e dei siti Rete Natura 2000 totalmente ricompresi nelle aree protette, ma anche dei siti Rete Natura 2000 solo parzialmente inclusi nei perimetri dei parchi regionali, delle riserve naturali, dei paesaggi naturali e seminaturali protetti (tabella 2).

Un recente rapporto formulato per valutare luci e ombre della riforma operata con la Lr 24/2011, e quindi dell’efficacia di questi enti quali strumenti principali per perseguire le finalità di conservazione della biodiversità, ha evidenziato anche alcune direttrici su cui concentrare l’azione regionale. Nel complesso la Lr 24/2011 ha consentito una buona organizzazione territoriale del sistema regionale delle aree protette e dei siti Rete Natura 2000, e di conseguenza una migliore azione di tutela e conservazione della biodiversità regionale.

1 Il lago Baccio nel Parco del Frignano, nel territorio del comune di Pievepelago (MO).

2 Castagneto secolare Poranceto nel Parco regionale dei laghi di Suviana e Brasimone, sull’Appennino bolognese.

FIG. 1 CONTRIBUTI REGIONE EMILIA-ROMAGNA

Contributo totale della Regione Emilia-Romagna alle spese di gestione corrente degli enti gestori delle aree protette negli anni.

Tutto questo anche grazie alla Regione Emilia-Romagna (figura 1), che ha da sempre contribuito in modo significativo al finanziamento degli enti gestori delle aree protette; se analizziamo il contributo regionale alle spese di parte corrente, si rileva che tende ancora negli anni a crescere, arrivando a un ammontare di quasi 6 milioni di euro, ben oltre il 50% del totale della spesa totale di ciascuno, mentre il coinvolgimento finanziario degli enti locali è sempre diminuito; se inoltre consideriamo la mancata

partecipazione delle Province alle spese, a partire dal 2018, la percentuale di contribuzione degli enti locali si attesta su valori massimi di poco superiori al 20%, fino ad arrivare a poco più del 7% nel caso peggiore.

Rispetto alle spese d’investimento, si registra un analogo significativo impegno della Regione, in quanto nel decennio che va dal 2009 fino a oggi, il contributo specifico concesso dall’assessorato competente è stato di oltre 16 milioni

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 31
2
Ente di gestione per i parchi e la biodiversità Superficie (ha)
Parchi
Riserve naturali
Aree di riequilibrio ecologico Paesaggi protetti Riserve statali incluse nel Parco siti rete Natura 2000 Aree protette e siti rete Natura 2000 interni o parzialmente ricompresi nelle aree protette esterni alle aree protette totale
FOTO: FRANCESCO GRAZIOLI
5.700.000 5.200.000 4.700.000 4.200.000 3.700.000 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021 2022

AREE NATURALI PROTETTE

di euro. A questi si aggiungono i finanziamenti che fino a questo momento gli stessi enti sono riusciti a ottenere nell’ambito della programmazione dei fondi strutturali del periodo 2014-2020: per il Por Fesr circa 4,6 milioni di euro e sui vari bandi afferenti alle Misure forestali del Psr circa 7,7 milioni. Questi ultimi interventi sono stati resi possibili in quanto i due programmi regionali hanno previsto un punteggio premiale a favore dei progetti proposti dagli enti gestori delle aree protette. Inoltre, per il triennio in corso è in attuazione il recente programma regionale d’investimenti 2021-23 che dà a tutti gli enti la possibilità di progettare per la conservazione della natura, destinando una quota fissa del 30% del budget a questa finalità. La percentuale di autofinanziamento degli enti (vendita tesserini per la raccolta dei prodotti del sottobosco, tesserini per l’attività venatoria e piscatoria, introiti derivanti da attività di educazione ambientale e visite guidate, vendita di pubblicazioni e gadget) è molto variabile: in territori molto ricchi di risorse naturali quali funghi e pescato arriva al 29% delle entrate complessive di parte corrente, ma in generale è molto bassa fino a risultare quasi irrisoria in alcuni casi. Dal varo della Lr 24/2011, si stima in genere un’accresciuta capacità operativa degli enti, sia sul piano tecnico sia su quello amministrativo, anche grazie a una dotazione organica nella maggioranza dei casi abbastanza adeguata (tabella 3).

Il rapporto finalizzato alla clausola valutativa della Lr 24/2011 passa in rassegna poi una serie di attività e compiti prioritari degli enti per valutarne la portata e l’efficienza come, ad esempio, l’implementazione degli strumenti di pianificazione e gestione previsti dalla legge, piani, regolamenti e programmi, la capacità progettuale, l’impegno nello svolgere attività di conservazione della biodiversità, vigilanza ed educazione. Il quadro che ne emerge è servito a tratteggiare sì le performance degli enti e le tendenze in atto, ma soprattutto rende possibili alcune considerazioni.

Un fatto certo che emerge è che, anche a seguito delle diversità ambientali e di contesto socioeconomico delle macroaree, nonché della storia delle diverse aree protette, ciascun ente esercita in maniera diversa e indipendente la missione assegnata.

Con il suo contributo – in piena sintonia con il patto per il clima e l’Agenda 2030 – la Regione rafforza la propria centralità nell’attività di programmazione strategica e di rilancio della biodiversità, attraverso un’azione che detti la strada per il raggiungimento degli obiettivi comuni.

A cominciare dalla valorizzazione del ruolo delle aree protette come custodi della diversità biologica, in armonia con la società e gli enti impegnati al fianco della Regione per la tutela dei servizi ecosistemici. Nella consapevolezza che la strategia europea della biodiversità si pone come obiettivo l’incremento in termini di superficie, la Regione si impegna con il rilancio della rete ecologica regionale, con particolare attenzione alle connessioni ecologiche e alla valutazione di volta in volta delle minacce alla loro interruzione. Inoltre, la governance degli enti di gestione per i parchi e la biodiversità necessita di una revisione, tenendo anche conto delle variate competenze provinciali in seguito al riordino

istituzionale e che quindi introduca un ruolo regionale di partecipazione alle principali scelte.

Non da ultimo, la Regione continuerà a impegnarsi al fianco dei territori, per valorizzare le eccellenze regionali alla scala internazionale, supportando le aree Mab istituite e i siti patrimonio dell’umanità Unesco riconosciuti e candidati, come l’ultima candidatura del “Carsismo nelle evaporiti e grotte dell’Appennino settentrionale”, nata nell’ambito della stretta e storica collaborazione tra la Federazione speleologica regionale della Regione Emilia-Romagna (Fsrer), le università del territorio e gli enti di gestione delle aree protette.

Barbara Lori

Assessora alla Programmazione territoriale, edilizia, politiche abitative, parchi e forestazione, pari opportunità, cooperazione internazionale allo sviluppo Regione Emilia-Romagna

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 32
Ente di gestione N. unità di personale Vigilanza Personale tecnico Personale amministrativo Direttore Totale Emilia occidentale* 4 11,4% 25 71,4% 6 17,1% - 35 Emilia centrale 13 54,2% 6 25,0% 5 20,8% 1 25 Emilia orientale 4 17,4% 9 39,1% 10 43,5% 1 24 Delta del Po 0 0,0% 14 73,7% 5 26,3% 1 20 Romagna 0 0,0% 12 80,0% 3 20,0% 1 16 Totale 21 17,5% 66 55,0% 29 24,2% 4 120 * La funzione del direttore dell’ente è esercitata attraverso la convenzione con altro ente. TAB. 3 DOTAZIONE ORGANICA AREE PROTETTE Personale degli enti gestori delle aree protette in Emilia-Romagna suddiviso per funzioni (dati 2019). 3
3 La grotta del Farneto, nel Parco dei gessi bolognesi.
FOTO: FRANCESCO GRAZIOLI

RUMORE, UN PROBLEMA DA NON SOTTOVALUTARE

Gestione, monitoraggio e contenimento

L’Organizzazione mondiale della sanità riconosce l’esposizione all’inquinamento acustico come una reale e preoccupante criticità per le persone. Il rumore nelle aree antropizzate o naturali ma frequentate dall’uomo è in continua crescita. Per limitare l’esposizione alle emissioni sonore (non solo delle persone, ma anche degli animali) diverse istituzioni si sono impegnate a definire i criteri sulla gestione delle zone individuate come silenziose sia in agglomerati urbani sia in aperta campagna. Queste aree sono considerate come centrali per offrire ristoro dagli effetti nocivi del rumore, per questo è fondamentale monitorarle anche da questo punto di vista.

Nel servizio presentiamo l’intervento ministeriale a tutela delle zone per la conservazione della geofonia e biofonia naturali. Partendo dalla direttiva europea per la protezione dall’inquinamento acustico e dalle altre norme in

materia, presentiamo poi una serie di esempi di monitoraggio in Italia, soprattutto riguardo alle sorgenti sonore provenienti da infrastrutture stradali, cantieri, porti e anche nelle scuole. Tra gli esempi riportati, c’è quello dell’aeroporto di Ciampino, il primo caso nazionale ad aver adottato il piano degli interventi di contenimento e abbattimento del rumore (Pcar).

Proponiamo infine una riflessione sull’aspetto della valutazione della tolleranza al rumore. È possibile definire il concetto di “normale tollerabilità” al suono? Inevitabilmente si passa attraverso singole sensibilità molto complesse da gestire, soprattutto nel contesto della risoluzione dei contenziosi. Una recente norma tecnica presenta un criterio aggiornato e scientificamente fondato per la valutazione del rumore intrusivo, ma i problemi applicativi non mancano e c’è un dibattito in corso sull’univocità delle misurazioni previste. (DM)

INDIVIDUAZIONE E GESTIONE DELLE ZONE SILENZIOSE

In data 23 maggio 2022 è stata data notizia, sulla Gazzetta ufficiale n. 119, della pubblicazione sul sito del Ministero della Transizione ecologica del decreto del direttore della direzione generale Valutazioni ambientali n. 16 del 24 marzo 2022 “Definizione delle modalità per l’individuazione e la gestione delle zone silenziose di un agglomerato e delle zone silenziose in aperta campagna, in ottemperanza al comma 10-bis, articolo 4 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 194”, corredato dai relativi allegati. Si è trattato del punto di arrivo di un percorso iniziato sul finire del 2019, allorquando Ispra, per dar seguito agli adempimenti di cui al succitato comma 10-bis che poneva in capo all’istituto la formulazione della proposta normativa, ha avviato un tavolo tecnico per la discussione e la definizione della nuova proposta normativa a cui hanno partecipato, oltre ai rappresentanti di Ispra e del Mite, delegati del Cnr, dell’Anci, delle Arpa/Appa e delle università.

Il nuovo decreto stabilisce che le zone silenziose di un agglomerato e le zone silenziose in aperta campagna sono aree di pubblica fruizione o comunque accessibili al pubblico, dedicate allo svago, al ristoro e alla conservazione degli

ambienti sonori naturali caratterizzati dalla geofonia e dalla biofonia. Esse non risentono o risentono in misura non significativa dei suoni tecnologici e in misura contenuta dei suoni antropici; sono caratterizzate dalla predominanza di suoni desiderati caratteristici della zona e pertanto attesi dai fruitori e coerenti con le loro aspettative; tali zone vengono considerate quali aree di buona qualità acustica.

Nel caso delle zone silenziose di un agglomerato, la cui delimitazione è in capo all’autorità competente, è definito il valore limite di 55 dB(A) L den per il rumore prodotto dalle sorgenti di rumore considerate nella redazione della mappa acustica strategica. Per quanto concerne le zone silenziose in aperta campagna, alle Regioni/Province autonome è assegnato il compito di promuoverne l’individuazione preliminare da parte dei Comuni, secondo modalità alternative stabilite dal decreto, nonché di procedere alla successiva delimitazione finale.

Il decreto disciplina la gestione delle aree silenziose già precedentemente individuate e prevede anche l’istituzione presso il Mite di una banca dati delle zone silenziose, progettata e realizzata da Ispra, finalizzata alla raccolta e alla diffusione dei dati alla cittadinanza

nonché alle comunicazioni che il Mite stesso deve periodicamente rendere alla Commissione europea. I contenuti del decreto sono stati presentati per la prima volta al 48° Convegno nazionale dell’Associazione italiana di acustica (Matera 25-27 maggio 2022) [1]

Criteri di individuazione delle zone silenziose negli agglomerati

La delimitazione delle zone silenziose di un agglomerato, esistenti o oggetto di pianificazione acustica, avviene mediante l’adozione di criteri acustici e non acustici: alcuni criteri assumono carattere obbligatorio, mentre altri possono essere utilizzati in modo facoltativo, a supporto della valutazione (figura 1).

I criteri obbligatori acustici si possono sintetizzare in:

- Lden ≤ 55 dB(A) in riferimento alla mappatura acustica strategica (art. 3, Dlgs 194/2005)

- classe acustica non superiore alla III.

I criteri obbligatori non acustici prevedono invece:

- estensione territoriale di almeno

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 34
INQUINAMENTO ACUSTICO
IL MINISTERO DELLA TRANSIZIONE ECOLOGICA HA APPROVATO I CRITERI PER IDENTIFICARE E GESTIRE LE ZONE SILENZIOSE DI UN AGGLOMERATO E IN APERTA CAMPAGNA. QUESTI AMBIENTI NATURALI SONO CARATTERIZZATI DA UNA LORO TIPICA GEOFONIA E BIOFONIA E TUTELATI DAI SUONI DI ORIGINE ANTROPICA, DIVENTANDO COSÌ LUOGHI DI BUONA QUALITÀ ACUSTICA.

3.000 m2 (fatto salvo quanto previsto per le reti di zone silenziose)

- adeguata destinazione d’uso dei piani urbanistici comunali: ad esempio aree di prevalente interesse naturalistico, paesaggistico, archeologico, architettonico e storico-artistico.

I criteri facoltativi stabiliscono per l’autorità competente la possibilità di introdurre ulteriori condizioni più restrittive:

- Lden ≤ 50 dB(A) oppure estensione territoriale della zona silenziosa maggiore di 10.000 m2

- facilitazione dell’accessibilità pedonale nella delimitazione di una nuova zona silenziosa, oggetto di pianificazione acustica, al fine di perseguire condizioni di equità sociale

- analisi degli aspetti di percezione relativi alla fruizione della zona silenziosa, in particolare riguardanti la descrizione del paesaggio sonoro (con riferimento alle norme ISO 12913)

- definizione di una rete di zone silenziose di un agglomerato: in presenza di più aree aventi dimensioni minori di 3.000 m2 delle quali si intende tutelare la qualità acustica, l’autorità può individuare una rete di zone silenziose all’interno dell’agglomerato, tra loro connesse da elementi di contiguità spaziale, quali percorsi e spazi pedonali o piste ciclabili.

Criteri di individuazione delle zone silenziose in aperta campagna

Le zone silenziose in aperta campagna, esistenti o oggetto di pianificazione acustica, sono caratterizzate dalla prevalenza dei suoni della natura che inducono sensazioni percettive di quiete. Anche la delimitazione delle zone silenziose in aperta campagna avviene mediante l’adozione di criteri acustici e non acustici, alcuni obbligatori, altri facoltativi.

Con riferimento ai criteri obbligatori acustici, l’individuazione delle zone silenziose in aperta campagna è in prima istanza effettuata sulla base delle caratteristiche acustiche della zona, che non deve risentire del rumore prodotto da infrastrutture di trasporto, da attività industriali o da attività ricreative ed essere contraddistinta dalla presenza prevalente di suoni naturali (biofonia e geofonia).

Per una selezione preliminare delle aree candidate a essere delimitate quali zone silenziose in aperta campagna, sono utilizzate le informazioni desunte dalle

FASE 2: SELEZIONE

FASE 1: PRE-SELEZIONE

MAPPA LDEN

PCCA

≤ 55 dBA ≤ classe III

(50 dBA)

È È

AREE POTENZIALMENTE SILENZIOSE

È

PIANO URBANISTICO

FIG. 1 ZONE SILENZIOSE

< 3.000 m2 (10.000 m2) & Rete ZS

TAB. 1 DISTANZE DALLE SORGENTI DI RUMORE

Distanze ritenute idonee dalle sorgenti considerate (elaborazione effettuata sulla base dei dati pubblicati nel Report dell'Agenzia europea per l'ambiente n. 14/2016).

È È

È È

ANALISI DEGLI ASPETTI DI PERCEZIONE (es ISO 12913)

 

È È

ANALISI DELLE CONDIZIONI DI ACCESSIBILITÀ PEDONALE (15 min – 4 km/h)

È

ZONA SILENZIOSA

< 3.000 m2 (10.000 m2)

ZONA NON SILENZIOSA

> 3.000 m2 (10.000 m2)

Diagramma di flusso delle attività previste per l’individuazione delle zone silenziose all’interno di un agglomerato, con indicati in rosso i criteri obbligatori e in blu i criteri facoltativi.

Distanza

Assi stradali, a eccezione delle strade classificate come E, E-bis, F, F-bis dal Dlgs 285/1992 >3.300

Assi ferroviari >2.000

Aeroporti principali* >4.500 Altri aeroporti, aviosuperfici ed elisuperfici >2.700 Attività industriali, portuali e ricreative >2.200 *come definiti dal Dlgs 194/2005, art. 2 lett. b)

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 35
Sorgente di rumore idonea (m) ZONA SILENZIOSA (INSERITA IN UNA RETE DI ZS) SELEZIONE DELLE AREE DI INTERESSE RISPETTOSE DEI CRITERI ACUSTICI E DELLE CONDIZIONI DI EQUITÀ SOCIALE

INQUINAMENTO ACUSTICO

mappature acustiche, ove disponibili, al fine di individuare direttamente o indirettamente (mediante calcolo o simulazioni modellistiche) le porzioni di territorio con valori uguali o inferiori a 50 dB(A) Lden; laddove non sono disponibili i dati delle mappature acustiche, possono invece essere applicate distanze dalle sorgenti di rumore, definite all’interno del decreto, tali da garantire ragionevolmente valori di Lden non superiori a 50 dBA (tabella 1). Altro criterio obbligatorio è quello correlato alla classificazione acustica del territorio comunale, rispetto alla quale sono ritenute adeguate esclusivamente le aree in classi non superiori alla III.

Un’ulteriore selezione avviene poi sulla base di criteri obbligatori non acustici, relativi a una dimensione minima dell’area che deve essere (salvo specifiche eccezioni) uguale o superiore a 5 km2, e alla sua destinazione d’uso, come definita dagli strumenti territoriali e urbanistici vigenti, rispetto a cui si individuano aree caratterizzate da pregio naturalistico, paesaggistico, archeologico, architettonico, storico-artistico (ad esempio aree naturali protette, aree della rete Natura 2000 ecc.). Infine i criteri facoltativi, da poter adottare in aggiunta ai criteri obbligatori, sono legati all’analisi degli aspetti di percezione e alla descrizione del paesaggio sonoro (norme ISO 12913), all’utilizzo di ulteriori descrittori acustici, all’applicazione dello schema metodologico per il calcolo del Quietness

suitability index, Qsi (Agenzia europea dell’ambiente, Report n. 14/2016) e alla valutazione dell’impatto acustico dovuto alle rotte di sorvolo aereo.

Modalità di gestione delle zone silenziose

Anche in relazione alle modalità di gestione delle zone silenziose è necessario operare un distinguo fra quelle la cui applicazione è obbligatoriamente prevista e altre che sono invece facoltative. Rientrano fra le modalità di gestione obbligatorie le misure volte alla conservazione delle zone silenziose, che il Dlgs 194/2005 stabilisce siano previste nei piani d’azione predisposti dalle autorità competenti. Inoltre, per le zone silenziose di un agglomerato, il raggiungimento dell’obiettivo di evitare aumenti del rumore nelle zone silenziose deve essere verificato e rendicontato nell’ambito degli aggiornamenti della mappa acustica strategica e del piano d’azione dell’agglomerato. È altresì stabilito che i comuni territorialmente competenti richiedano, nell’ambito delle procedure di valutazione previsionale ex art. 8, legge 447/1995, un’attenta valutazione dell’impatto acustico prodotto sulla zona silenziosa da nuove opere e insediamenti in progetto. Infine, le misure volte alla conservazione delle zone silenziose in aperta campagna

devono essere adottate in coerenza e in sinergia con le azioni di tutela già definite per le aree naturali protette e/o appartenenti alla rete Natura 2000, per le aree archeologiche ecc.

Per quanto concerne le modalità di gestione facoltative, è previsto che le autorità competenti possano eseguire attività mirate di monitoraggio del rumore, pianificare la delimitazione di nuove zone silenziose a seguito di interventi di risanamento e assicurare l’integrazione e la sinergia con gli interventi pianificati dagli strumenti di gestione di altre matrici ambientali.

1. Cnr-Iia presso il Ministero della Transizione ecologica

2. Arpae Emilia-Romagna

3. Università degli studi di Firenze, Dipartimento di Ingegneria industriale

Gli autori vogliono qui ricordare la collega Rosalba Silvaggio che, con la professionalità, la disponibilità e la gentilezza che la contraddistinguevano, ha coordinato per Ispra i lavori del Tavolo tecnico sulle zone silenziose.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

[1] F. Borchi, A. Callegari, F. D’Alessandro, L. Pasini, F. Asdrubali, “Nuovi criteri sull’individuazione e la gestione delle zone silenziose”, 48° Convegno nazionale Aia (Associazione italiana di acustica), Matera, 25-27 maggio 2022.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 36
Francesco D’Alessandro1, Lucia Pasini1, Anna Callegari2, Francesco Borchi3

DALL’AGENZIA EUROPEA PER L’AMBIENTE

UNIONE EUROPEA, DIFFICILMENTE RAGGIUNGIBILE L’OBIETTIVO DEL RUMORE ENTRO IL 2030

In Europa, circa 18 milioni di persone sono soggette a lunga esposizione al rumore proveniente dai trasporti. Attraverso l’azione inquinamento zero, la Commissione europea si è prefissata l’obiettivo di ridurre del 30% il numero di persone esposte continuamente alle emissioni acustiche per i trasporti, partendo dalla situazione rilevata nel 2017. In base alla valutazione dell’Agenzia europea dell’ambiente pubblicata a settembre 2022, il raggiungimento di questo obiettivo risulta improbabile se non saranno previste ulteriori modifiche normative o legislative, questo a causa soprattutto della difficoltà di limitare l’esposizione a un elevato numero di persone al rumore del traffico stradale. Per il perseguimento di questo obiettivo la Commissione europea ha individuato la necessità di: - verificare che la percentuale di persone sottoposte a inquinamento acustico sia ridotto del 30% entro il 2030 - migliorare il quadro normativo in tema di rumore su pneumatici, veicoli stradali, ferrovie e aeroplani sia a livello europeo che extra-europeo - aggiornamento nel 2022 degli obiettivi di riduzione del rumore in Europa e inserirli nella direttiva End - migliorare l’integrazione tra i piani di azione per la mitigazione del rumore e i piani di mobilità urbana sostenibile, con lo scopo di potenziare il trasporto pubblico green e la mobilità attiva.

Su questo assetto, sono stati misurati i progressi verso gli obiettivi stabiliti, le cui valutazioni continuano a basarsi

Strade

sul numero di persone che sono sottoposte in Europa a inquinamento acustico derivante da strade, ferrovie e aerei. Il disturbo elevato si riferisce alle funzioni di esposizionerisposte delineate nelle linee guida sul rumore ambientale dell’Oms (Oms Europa, 2018) e sui dati presentati nell’ambito della direttiva End sul numero di persone esposte a livelli di rumore medi annuali di 55 dB o superiori durante il giorno, sera e periodo notturno (Lden).

Data la complessità dell’obiettivo prefissato, l’Unione europea ha ipotizzato due scenari, uno conservativo e meno ambizioso e uno ottimistico (tabella 1). Il primo prevede il rispetto dei requisiti di legge per la riduzione del rumore alla sorgente e l’attuazione di alcune misure di mitigazione non vincolanti. Il secondo presuppone l’attuazione di un insieme di misure di riduzione del rumore più ambiziose e che superano le normative vigenti.

I risultati di questa valutazione suggeriscono che non ci sono prospettive di raggiungere una riduzione del 30% del numero di persone perennemente disturbate dal rumore dei trasporti entro il 2030, anche se venissero attuate un consistente numero di misure di contenimento del rumore.

Fonte: Agenzia europea per l’ambiente https://www.eea.europa. eu/publications/outlook-to-2030/outlook-to-2030-can-the

Ferrovie

Aerei

Scenario conservativo 2030

Aree urbane: - regolazione del livello sonoro dei veicoli a motore - flotta dei veicoli elettrici al 25% - aumentare del 5% l’uso di asfalto a basso rumore - incrementare dell’1.3% l’uso delle barriere acustiche sulle strade principali

Aree extra-urbane: - regolazione del livello sonoro dei veicoli a motore - aumentare del 5% l’uso di asfalto a basso rumore - incrementare dell’1,3% l’uso delle barriere acustiche sulle strade principali

Aree urbane: - nuove infrastrutture ferroviarie urbane - sulle principali linee ferroviarie adottare la politica del freno silenzioso

Aree extra-urbane: - aumentare le linee veloci e ad alta velocità - sulle principali linee ferroviarie adottare la politica del freno silenzioso - incrementare le linee elettriche

Risultato nessun cambiamento significativo più di 800 mila persone altamente disturbate dal rumore (+35%)

Aree urbane ed extra-urbane: - aerei più silenziosi - migliorare le procedure di atterraggio e decollo

Scenario ottimistico

2030

Aree urbane: - regolazione maggiore del livello sonoro dei veicoli a motore - flotta dei veicoli elettrici al 50% - aumentare del 10% l’uso di asfalto a basso rumore - incrementare dell’3% l’uso delle barriere acustiche sulle strade principali - riduzione del limite di velocità a 30 km/h sulle strade principali interne all’agglomerato urbano

Aree extra-urbane: - regolazione maggiore del livello sonoro dei veicoli a motore - aumentare del 10% l’uso di asfalto a basso rumore - incrementare del 3% l’uso delle barriere acustiche sulle strade principali

Aree urbane: - minor incremento delle infrastrutture ferroviarie urbane - politica del freno silenzioso sulle maggiori tratte ferroviarie - manutenzione e rettifica delle rotaie

300 mila persone altamente disturbate dal rumore in meno (-37%)

Aree urbane ed extra-urbane: - aerei più silenziosi - migliorare le procedure di atterraggio e decollo - coprifuoco notturno - altre azioni per bilanciare l’effetto del rumore

Aree extra-urbane: - diminuzione delle linee veloci e ad alta velocità - politica del freno silenzioso per il trasporto merci - aumentare l’elettrificazione delle linee - manutenzione e rettifica delle rotaie

Risultato 2,7 milioni di persone altamente disturbate dal rumore in meno (-20%) più di 100 mila persone altamente disturbate dal rumore (+4%) 600 mila persone altamente disturbate dal rumore in meno (-71%)

TAB. 1 SCENARI

Scenari ipotizzati dall’Unione europea con il rispetto dei requisiti di legge e con misure di riduzione del rumore più ambiziose.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 37

DESCRITTORI DI EVENTI SONORI NELLE AREE DI QUIETE

Evitare e ridurre il rumore ambientale, allorché i livelli di esposizione possono causare effetti nocivi per la salute umana, nonché tutelare la buona qualità acustica sono i principi ispiratori della direttiva europea per la determinazione e la gestione del rumore ambientale. Le aree di quiete possono svolgere l’essenziale finalità di ristoro dagli effetti nocivi dell’esposizione al rumore.

La funzione delle aree di quiete

Dall’ultimo rapporto pubblicato dall’Agenzia europea per l’ambiente nel marzo 2021 si evince che l’inquinamento acustico è ancora molto diffuso in tutta Europa e soprattutto nelle aree urbane, dove il traffico veicolare rappresenta la principale fonte di inquinamento acustico e almeno un cittadino su cinque è esposto a livelli di rumore ritenuti dannosi per la salute umana.

È da sottolineare che il termine “quiete” indica una condizione di tranquillità esterna che permette il riposo del corpo o che dà serenità allo spirito e non necessariamente corrisponde al silenzio. In questa ottica il termine “zone silenziose”, ripreso nella normativa italiana, sembra essere fuorviante o comunque non appropriato. Al conseguimento della condizione di quiete, o “calma”, può concorrere la presenza di suoni desiderati, quali quelli naturali dovuti alla biofonia (suoni creati dagli organismi viventi quali insetti, uccelli ecc.) e alla geofonia (suoni dell’ambiente come per esempio il vento o la pioggia). Questi suoni, infatti, risultano molto più accettabili di quelli tecnologici e del rumore antropico.

Uno dei requisiti per le zone silenziose, siano esse esistenti o pianificate, è la loro accessibilità e pubblica fruizione. Per svolgere la loro essenziale finalità di ristoro dagli effetti nocivi dell’esposizione

1

2

al rumore è necessario che all’interno di tali aree, caratterizzate da un’accentuata naturalità, siano impediti aumenti del rumore ambientale al fine di perseguire e conservare la buona qualità acustica. La presenza di tali zone, tra l’altro, è un fattore di valorizzazione del territorio e può contribuire alla promozione di un turismo ecosostenibile.

Metodo per valutare l’interferenza di eventi sonori in aree di quiete

L’interferenza di singoli eventi sonori è stata valutata analizzando i rilievi fonometrici condotti in alcune aree del Comune di Chamois (AO), noto per l’attenzione verso un turismo a mobilità

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 38
INQUINAMENTO ACUSTICO
L’INQUINAMENTO ACUSTICO È ANCORA MOLTO DIFFUSO IN TUTTA EUROPA: UN CITTADINO SU CINQUE È ESPOSTO A LIVELLI RITENUTI DANNOSI PER LA SALUTE UMANA. È QUINDI CENTRALE GARANTIRE LA PRESENZA DI ZONE CHE POSSANO OFFRIRE RISTORO DAGLI EFFETTI NOCIVI DELL’ESPOSIZIONE AL RUMORE E MONITORARLE PER PROTEGGERLE. L'ESEMPIO DI CHAMOIS.

FIG. 1

RILIEVI FONOMETRICI

30 40 50 60 70 80 90 Short L Aeqh [dB(A)]

Soglia eventi LAeqh + 3 dB LAeqh

Esempio di individuazione degli eventi basata sul superamento della soglia K per il descrittore Ir; Chamois centro, inverno. 11:00 11:15 11:30 11:45 12:00 Tempo [s]

FIG. 2

RILIEVI FONOMETRICI ORARI

Esempio di confronto tra i valori orari di LAeqh, Ir e indice Hrm, linea tratteggiata blu valore medio; Chamois centro, periodo estivo.

LAeqh progressivo

dolce, inserito tra i comuni “Perle delle Alpi” e unico comune italiano sulla terraferma in cui non circolano automobili, raggiungibile solo a piedi, in

1 Chiesetta del paese di Chamois (AO).

Villaggio d'inverno. 3 Lago di Lod d'estate.

nello studio sono stati considerati i descrittori acustici Intermittency Ratio (Ir) e Harmonica (Hrm). Entrambi i descrittori analizzano con un diverso approccio il contributo di energia sonora di singoli eventi sonori (auto, aerei, vari rumori antropici ecc.) che emerge dal rumore di fondo in una determinata area.

In particolare l’Ir, espresso in percentuale, con valore compreso tra 0 e 100, quantifica il contributo di energia sonora di tutti gli eventi con livelli di pressione sonora superiori a una determinata soglia rapportandolo all’energia sonora totale espressa in termini di livello continuo equivalente:

dove il termine LAeq,T,events è il livello equivalente rapportato al tempo di misura T degli eventi sonori eccedenti la soglia K, definita per il rumore stradale come K = LAeq,T + 3 dB) e LAeq,T è il livello continuo equivalente anch’esso rapportato al tempo T (figura 1).

Analogamente la componente di eventi sonori Evt dell’indice Hrm, calcolata su base oraria, valuta il contributo sonoro degli eventi emergenti dal rumore di fondo mediante la seguente relazione:

ove LAeqT è il livello continuo equivalente orario (T = 3600 s) e [(LA95)w]eq è il livello equivalente dei livelli percentili (LA95)[i,i+w] determinati su una finestra temporale mobile di ampiezza w = 600 s e passo i = 1 s. La formulazione dell’indice Hrm che ne deriva è:

HRM = BGN + EVT = 0,2*(LA95eq - 30) + 0,25*(LAeq - LA95eq)

dove Bgn è la componente caratterizzante il rumore di fondo.

Risultati dell’analisi

bicicletta o attraverso la funivia che parte dal fondovalle.

In ambienti rurali, la presenza di eventi sonori improvvisi e chiaramente distinguibili dal rumore di fondo può contribuire sensibilmente al disturbo delle persone. Tra le numerose formulazioni proposte in letteratura per la caratterizzazione di questi eventi,

Per l’importazione delle serie temporali LAeq,1s acquisite nei rilievi fonometrici, la loro elaborazione e la restituzione anche grafica dei risultati è stato sviluppato uno script in ambiente “R”. In ogni sito e per ogni singola ora si è proceduto al calcolo dei livelli LAeq, LA5, LA10, LA50, LA90, LA95, all'identificazione automatica degli eventi basata sul superamento della soglia K, per il calcolo del descrittore IR e alla determinazione dell’indice Harmonica mediante le sopra citate relazioni.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 39
3
2
02/08 13:00 02/08 13:00 02/08 13:00 02/08 17:00 02/08 17:00 02/08 17:00 02/08 21:00 02/08 21:00 02/08 21:00 03/08 01:00 03/08 01:00 03/08 01:00 03/08 05:00 03/08 05:00 03/08 05:00 03/08 09:00 03/08 09:00 03/08 09:00 03/08 13:00 03/08 13:00 03/08 13:00 03/08 17:00 03/08 17:00 03/08 17:00 03/08 21:00 03/08 21:00 03/08 21:00 04/08 01:00 04/08 01:00 04/08 01:00 04/08 05:00 04/08 05:00 04/08 05:00 04/08 09:00 04/08 09:00 04/08 09:00 >80 70 50 30 100 80 60 40 20 0 10 8 6 4 2 0 70 60 50 40 30 80 60 40 20 0 6 4 2 0 LAeqh [dB(A)] IR [%] HRM L Aeqh [dB(A)] IR [% ] HRM Tempo [ore] Tempo [ore] Tempo [ore]

INQUINAMENTO ACUSTICO

La figura 2 mostra che nel centro del paese di Chamois nel periodo notturno (22-06) a livelli medi di rumore (LAeq) intorno ai 50 dB(A) corrispondono valori molto bassi di Ir che denotano l’assenza di eventi sonori chiaramente eccedenti il rumore di fondo e, conseguentemente, anche il contributo del parametro Evt è esiguo nel valore complessivo di Hrm. Diversamente, nel tempo di riferimento Tr diurno (0622) la presenza di eventi sonori rilevanti, che contribuiscono considerevolmente al valore di LAeqh, comporta valori maggiori di Ir. Tale situazione è evidenziata anche dall’analisi statistica dei valori orari di Ir riportata in figura 3.

Si è proceduto anche a valutare la correlazione tra i valori orari dei parametri Ir ed Evt (figura 4), in quanto entrambi descrivono la presenza di eventi sonori. Dai dati rilevati sono stati ottenuti valori di correlazione soddisfacenti per una stima in prima approssimazione di Evt. È da sottolineare che il valore percentuale di Ir è un’indicazione cumulativa del contributo degli eventi sonori al valore di LAeq, come esplicitato nella relazione.

Si osserva che in aree particolarmente silenziose l’indice Hrm può assumere valori negativi in quanto la sua formulazione originaria, sviluppata in contesti urbani, stabilisce una soglia di 30 dB(A) per il livello [(LA95)w]eq. Questa particolarità può essere proficua per evidenziare con immediatezza aree di quiete acustica. In alternativa occorre impostare per il livello [(LA95)w]eq una soglia più bassa, ad esempio 25 dB(A), e, comunque, non inferiore al rumore autogenerato dalla strumentazione utilizzata per i rilievi.

Le analisi evidenziano l’opportunità di valutazioni specifiche per le aree in aperta campagna attraverso lo sviluppo di procedure automatiche per l’individuazione di eventi sonori chiaramente distinguibili dal contesto naturale e che sono presenti nei vari periodi dell’anno a seguito delle diverse attività antropiche e l’inclusione del loro contributo nella descrizione dell’ambiente sonoro, al fine di valutare la percezione e la reazione dell’uomo al loro manifestarsi in contesti rurali e montani.

FIG. 3 ANALISI STATISTICA DEI VALORI

Box plot degli Ir orari a Chamois centro, suddivisi per Tr diurno e notturno e per stagione.

IR [%]

1. Arpa Valle d’Aosta, Saint-Christophe (AO)

2. Cnr-Stems, Sede di Ferrara

3. Arpae Emilia-Romagna

FIG. 4 CORRELAZIONE TRA VALORI ORARI

Grafico a dispersione dei valori orari di Ir e Evt.

100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 10 8 6 4 2 0

Giorno Notte Giorno Notte Giorno Notte Estate Autunno Inverno

Estate Autunno Inverno

EVT IR [%]

CHAMOIS 0 20 40 60 80 100

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

EVT = 0.398+0.086×e(0,042IR) r = 0,93

Tibone C., Brambilla G., Callegari A., Berlier F., Crea D., Tartin C., Cappio Borlino M., 2022, "Applicazione di descrittori di eventi sonori nelle aree di quiete", Atti Aia 2022, Matera, 25-27 maggio.

Alsina-Pagès R.M., Benocci R., Brambilla G., Zambon G., 2021, "Methods for noise event detection and assessment of the sonic environment by the Harmonica Index", Applied Sciences, 11, 8031.

Tibone C., Brambilla G., 2021, "Raccolta dati e analisi acustiche del paesaggio sonoro in aree alpine”, Seminario “Il paesaggio sonoro nella progettazione della città e degli edifici”, Dicam Università di Trento, 17 settembre 2021.

Brambilla G., Callegari A., Tibone C., 2021, "L'individuazione delle zone silenziose in aperta campagna", Atti Aia 2021, online 24-28 maggio.

Tibone C., Masoero M., Berlier F., Tabozzi G., Crea D., Tartin C., Cappio Borlino M., Agnesod G., 2020, "Seasonal Variability of the Acoustic Climate of Ski Resorts in the Aosta Valley Territory", Environments, 7, 18.

Tibone C., Crea D., Tartin C., Berlier F., Agnesod G., Cappio Borlino M., Tabozzi G., Delponte L., 2018, "Approccio alla caratterizzazione delle aree naturali di montagna: 1996–2018", Atti Aia 2018, Aosta, 20-22 giugno.

Wunderli J.M. et al., 2015, "Intermittency ratio: A metric reflecting short-term temporal variations of transportation noise exposure", Journal of Exposure Science and Environmental Epidemiology, 26, pp. 1–11.

Mietlicki C., Mietlicki F., Ribeiro C., Gaudibert P., Vincent B., 2014, "The Harmonica project, new tools to assess environmental noise and better inform the public", Proceedings Forum Acusticum 2014, Kraków, 7-12 Sept.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 40
Christian Tibone1, Giovanni Brambilla2, Anna Callegari3

MAPPE ACUSTICHE STAGIONALI NEI COMPRENSORI SCIISTICI

AFFIANCATO

In una regione con specificità territoriali come la Valle d’Aosta, per le valutazioni acustiche, è necessario tener conto non solo delle peculiarità morfologiche, ma anche dell’utilizzo del territorio: ad esempio l’uso turistico di alcune aree ne modifica in modo sostanziale il clima acustico. Proprio per questo motivo, ad esempio, a livello di programmazione è stata prevista una zonizzazione acustica stagionale: aree di montagna in estate poco frequentate e inserite in classe I, in inverno per la presenza delle stazioni sciistiche vengono classificate anche in classe IV. Arpa Valle d’Aosta ha da sempre riservato attenzione a queste aree con monitoraggi che, negli anni passati, ne hanno permesso la caratterizzazione dal punto di vista del clima acustico. Per analizzare la rumorosità di alcuni comprensori sciistici, a specifiche campagne di misure strumentali si è affiancato l’utilizzo dello strumento modellistico che ha permesso di ricreare la situazione dei comprensori nel loro complesso e di analizzare diversi scenari.

Di seguito vengono riportati i risultati ottenuti per diversi comprensori sciistici:

- Chamois (comune della valle laterale della Valtournenche) comprensorio a servizio di un villaggio di montagna non accessibile alle automobili e caratterizzato da una frequentazione più contenuta - Pila (comune di Gressan), comprensorio in prossimità della città di Aosta molto affollato nella stagione invernale - Cervinia (comune di Valtournenche) comprensorio esteso di alta montagna, frequentatissimo in inverno e che usufruisce della presenza del ghiacciaio per lo sci estivo.

Nella realizzazione di tutti i modelli è stata data importanza all’orografia, non trascurabile in ambiente di montagna, ai tracciati degli impianti di risalita e alle aree di aggregazione.

Per quanto riguarda il calcolo sono stati utilizzati sia l’algoritmo ISO 9613-2 sia l’algoritmo Cnossos.

Chamois

Chamois è un piccolo paese situato a 1.800 m slm con circa 100 abitanti residenti. Nel periodo di alta stagione (sia in inverno sia in estate) il paese si anima di un turismo di famiglie. Caratteristica particolare del comune è rappresentata dall’assenza di traffico veicolare: il

centro è raggiungibile solo tramite una teleferica.

Il clima acustico di Chamois risente pertanto di questa peculiarità ed è caratterizzato da livelli particolarmente bassi e concentrati nei punti di aggregazione: il centro del paese, da cui partono gli impianti di risalita e la zona circostante il lago di Lod, situato in quota e dove si concentrano alcune attività.

Nel caso di Chamois la costruzione del modello si è incentrata principalmente sulla caratterizzazione delle aree più frequentate, in particolare la zona del centro paese e l’area del lago di Lod. Per la taratura del modello sono stati utilizzati i risultati di 13 punti di misura dislocati in tutto il comprensorio.

Nel complesso, come ci si poteva aspettare, la stazione di Chamois non risulta molto rumorosa, se non nelle aree maggiormente frequentate: significativo l’aspetto per cui lungo gli impianti di risalita e le piste da sci e, in generale, lontano dai centri di affluenza l’impatto sonoro risulti molto contenuto.

La costruzione del modello in questo caso si è dimostrata difficoltosa proprio a causa dei bassi livelli sonori dell’area.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 41
IN VALLE D’AOSTA A SPECIFICHE CAMPAGNE DI MISURAZIONE IN LOCO SI È L’UTILIZZO DELLO STRUMENTO MODELLISTICO. TALE APPROCCIO, ANCHE IN CONTESTI NON CONVENZIONALI, PUÒ FORNIRE SPUNTI ED ELEMENTI PERFORMANTI E UTILI SIA PER SCATTARE UNA FOTOGRAFIA DELLO STATO DI FATTO SIA PER UNA CORRETTA FUTURA PIANIFICAZIONE. 1 Veduta di Chamois.

INQUINAMENTO ACUSTICO

Pila

Il comprensorio di Pila è caratterizzato principalmente dalla vicinanza con la città di Aosta, con la quale è direttamente collegato oltre che da una strada regionale anche da una telecabina: tale caratteristica rende Pila estremamente frequentata anche per le uscite di una giornata, sia da residenti sia da turisti di ogni tipologia, sia per sciare sia per praticare altre attività. Pertanto, dal punto di vista acustico, non sono presenti solo gli impianti da sci, ma anche un importante confluire di attività commerciali e pubblici esercizi nella zona bassa del comprensorio. Per la taratura del modello del comprensorio di Pila sono stati utilizzati circa 50 punti di misura, utili alla caratterizzazione dei diversi impianti di risalita, differenti tra loro per tipologia, anzianità e usura, frequentazione ecc. Tale caratterizzazione ha fornito un importante database utilizzabile anche per altri comprensori sciistici e per analizzare eventuali ulteriori scenari. La diversità della tipologia degli impianti presenti nella stazione di Pila è risultata evidente dai rilievi e dalla mappatura modellistica: gli impianti più vecchi e usurati (A) producono molto più rumore rispetto a quelli nuovi (B), come indicato nella prima mappa di figura 1. Analizzando il contributo sonoro degli impianti di risalita è emerso inoltre come essi non siano sorgenti lineari, ma un insieme di tante sorgenti puntuali costituite dalle stazioni di partenza e di arrivo e dai tralicci di sostegno.

Cervinia

Cervinia è una nota e rinomata stazione sciistica situata in testata alla Valtournenche ai piedi del Monte Cervino da cui prende il nome. È molto frequentata sia in inverno sia in estate in quanto gli

impianti, per la presenza di un ghiacciaio in alta quota, sono aperti agli sciatori anche nel periodo estivo. Nel presente studio ci si riferisce comunque solo alla stagione invernale, per un più immediato confronto con gli altri comprensori.

Lday dBA < 35 35-40 40-45 45-50 50-55 55-60 > 60

FIG. 1 MAPPATURE ACUSTICHE Misurazioni effettuate nei comprensori sciistici

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 42
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a Pila, Chamois e Cervinia. Pila Chamois Cervinia

Cervinia, rispetto alle altre stazioni, è caratterizzata da un maggiore afflusso di persone e da un paese più animato, con strade più trafficate, anche al suo interno, con un buon numero di attività commerciali e pubblici esercizi e una via centrale affollata.

La costruzione del modello è stata più complessa rispetto agli altri comprensori a causa dell’articolazione della stazione sciistica: strade interne, anche trafficate, strade pedonali affollate, presenza di più attività, anche di après ski, e nel complesso un domaine skiable più ampio: dai 2.000 m slm del paese fino ai 3.500 m di Plateau Rosa.

Vista l’estensione del comprensorio, non è stato possibile effettuare rilievi in modo diffuso come per le altre stazioni: per la taratura e la verifica del modello di Cervinia sono comunque stati utilizzati i risultati di una ventina di punti di misura.

Anche per quanto riguarda Cervinia emerge come il contributo alla rumorosità sia concentrato in maniera significativa nelle aree di partenza e di arrivo degli impianti. In più gli impianti di questa stazione sono moderni e il loro tracciato è piuttosto alto rispetto al terreno, pertanto l’impatto acustico risulta

2 Scorcio della stazione sciistica di Pila.

3 Cervino con fonometro.

4 La stazione sciistica di Cervinia.

inferiore in confronto agli impianti più piccoli che solitamente seguono il pendio.

L’utilizzo dello strumento modellistico in un contesto diverso dal consueto ambiente urbano o di infrastruttura trafficata ha permesso di estendere i risultati delle misure fonometriche su tutto il territorio oggetto di analisi e allo stesso tempo di verificare la bontà del modello predittivo, utile anche in vista di un futuro utilizzo in altre realtà analoghe e per l’analisi di diversi scenari.

La principale difficoltà di questo tipo di approccio è quella di rappresentare attraverso il modello le condizioni

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

particolari delle aree oggetto di studio: livelli sonori piuttosto bassi, sorgenti a volte discontinue e poco definite. Nonostante le difficoltà e le osservazioni specifiche è comunque emerso che un approccio modellistico anche in contesti non convenzionali può fornire spunti ed elementi performanti e utili tanto a una fotografia dello stato di fatto quanto a una futura pianificazione.

Filippo Berlier, Marco Cappio Borlino, Daniele Crea, Christian Tartin, Christian Tibone

Arpa Valle d’Aosta

Tibone C., Berlier F., Crea D., Tartin C., Cappio Borlino M., 2021, “Livelli acustici in una stazione turistica: effetti delle restrizioni anti-Covid”, in Atti del 47 Convegno nazionale Aia, 24-28 maggio 2021.

Tabozzi G., 2018, “Caratterizzazione acustica di aree in ambito montano”, Politecnico di Torino.

Agnesod G., Tibone C., Tartin C., Crea D., Berlier F., Cappio Borlino M., Tabozzi G., Delponte L., 2018 Approccio alla caratterizzazione delle aree naturali di montagna: 1996-2018”, in Atti del workshop “Sostenibilità delle attività di svago: animazione o quiete?” del Convegno nazionale Aia, Isbn 978-88-88942-57-5, Aosta, 20-22 giugno 2018.

Tibone C., Masoero M., Berlier F, Tabozzi G., Crea D., Tartin C., Cappio Borlino M., Agnesod G., 2020, “Seasonal variability of the acoustic climate of ski resorts in the Aosta valley territory”, Environments, 7,18; doi:10.3390/environments7030018, pp. 1-28.

Direttiva (UE) 2015/996 della Commissione del 19 maggio 2015 che stabilisce metodi comuni per la determinazione del rumore a norma della direttiva 2002/49/ CE del Parlamento europeo e del Consiglio, Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L 168/, 01/07/2015.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 43
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LE STRADE SORGENTE DI RUMORE NUMERO UNO

INQUINAMENTO ACUSTICO

Il traffico stradale, per la sua diffusione capillare sul territorio, rappresenta la sorgente di rumore più importante, specialmente nelle aree urbane. I livelli di rumore generati da una strada dipendono principalmente dalle caratteristiche dei flussi di traffico che su essa transitano, come ad esempio il numero e il tipo dei veicoli (leggeri, pesanti, a due ruote) e la velocità di percorrenza; dipendono anche dalle caratteristiche della strada stessa, come ad esempio il tipo di pavimentazione e la pendenza. I principali meccanismi che generano il rumore di una strada sono il rotolamento della ruota sulla superficie stradale e le emissioni del motore; su questi meccanismi si deve, perciò, intervenire se si vogliono ridurre le emissioni rumorose alla sorgente.

I limiti normativi

Nella normativa nazionale le infrastrutture di trasporto, che comprendono le strade, sono trattate in modo specifico, in virtù del ruolo di servizio pubblico svolto. La legge quadro n. 447/1995 ha infatti previsto l’emanazione di specifici regolamenti per la disciplina dell’inquinamento acustico prodotto dalle infrastrutture di trasporto: per le strade è il Dpr n.142/2004 che definisce innanzitutto la fascia di pertinenza acustica, cioè la striscia di territorio, individuata per ciascun lato del confine stradale, all’interno della quale sono fissati i limiti di immissione del rumore che l’infrastruttura deve rispettare, espressi in termini di livello continuo equivalente ponderato “A” diurno (dalle 6.00 alle 22.00) e notturno (dalle 22.00 alle 6.00) (LAeq,TR), secondo la definizione del Dm 16/03/1998. L’estensione della fascia, l’eventuale suddivisione in due parti una più vicina all’infrastruttura (fascia A) e una più distante (fascia B) e i limiti di rumore da rispettare dipendono dalla tipologia di

infrastruttura (autostrada, extraurbana, urbana ecc.) e dal fatto che essa sia di nuova realizzazione o già esistente al momento di entrata in vigore del decreto. Introducendo il concetto di fascia di pertinenza acustica si presume che, nella striscia di territorio più a ridosso dell’infrastruttura, essa sia un’importante, se non la principale, sorgente di rumore, per la quale vengono definiti limiti specifici; per le altre sorgenti di rumore (ad esempio attività industriali o produttive), invece, i limiti da rispettare continuano a essere quelli della classificazione acustica comunale (Dpcm 14/11/1997).

All’esterno della fascia di pertinenza i limiti che l’infrastruttura deve rispettare sono quelli della zonizzazione acustica, in quanto allontanandosi dall’infrastruttura, dal punto di vista del rumore immesso nell’ambiente, essa diventa una delle

molte sorgenti di rumore presenti (non più la principale) e il suo contributo si somma a quello delle altre sorgenti.

Le misure

Il rumore prodotto dal traffico stradale è un fenomeno che ha caratteristiche di casualità e deve pertanto essere quantificato in un intervallo temporale che possa rappresentare in modo adeguato tale caratteristica. Per questo motivo la normativa vigente (Dm 16/03/98) prevede che le misure di rumore stradale, in particolare quelle finalizzate al controllo del rispetto dei limiti di rumore, abbiano una durata non inferiore a una settimana e quantifichino i livelli di rumore medi settimanali diurni e notturni. La stessa normativa stabilisce

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 44
L’IMPATTO DELLE EMISSIONI ACUSTICHE DERIVANTI DALLE INFRASTRUTTURE SU RECETTORI SENSIBILI, COME LE AREE RESIDENZIALI, PUÒ ESSERE MITIGATO CON AZIONI DI CONTENIMENTO E PROTEZIONE, COSÌ COME PREVISTO DALLA NORMATIVA NAZIONALE ED EUROPEA IN MATERIA DI INQUINAMENTO ACUSTICO.

che nelle misure di rumore stradale il microfono sia posto a una distanza di 1 m dalle facciate di edifici più esposti al rumore, a una quota di 4 m da terra, oppure, in caso di assenza di edifici, in corrispondenza della posizione occupata dai recettori sensibili.

Le mitigazioni

Per ridurre l’inquinamento acustico prodotto dal traffico veicolare il gestore dell’infrastruttura può, e deve in caso di superamento dei limiti normativi, realizzare interventi di mitigazione del rumore raggruppabili principalmente in tre categorie:

- interventi sulla sorgente: sono le misure di mitigazione realizzate direttamente sulla sorgente di rumore e che agiscono sul meccanismo di generazione del rumore stesso. Nel caso delle strade consistono, ad esempio, nella stesura di asfalto fonoassorbente, nella regolamentazione della velocità veicolare e del transito dei mezzi pesanti, nella realizzazione di rotatorie che contribuiscono a rendere più fluido il traffico o di varianti al tracciato che spostino il traffico veicolare verso zone meno urbanizzate

- interventi lungo la via di propagazione: sono le opere di mitigazione realizzate sulla via di propagazione del rumore, tra la sorgente e i ricettori. Rientrano in questa categoria le barriere acustiche, le dune e i terrapieni, le barriere vegetali, le gallerie artificiali e i sistemi di copertura a cielo aperto (baffles). Questi rappresentano i sistemi di mitigazione più utilizzati. Le diverse tipologie e strutture disponibili (in termini di materiale, di altezza ecc.) consentono di progettare l’intervento adattandolo agli obiettivi di mitigazione che si vogliono raggiungere. In termini di rumore abbattuto le barriere rappresentano una delle misure più efficaci, anche se spesso sono di difficile inserimento paesaggistico e non sempre tecnicamente realizzabili, ad esempio, nelle situazioni ad alta urbanizzazione dove gli edifici da proteggere dal rumore sono in affaccio all’infrastruttura

- interventi diretti al ricettore: sono le opere di mitigazione realizzate sul ricettore, finalizzate a migliorare l’isolamento acustico dell’edificio e alla riduzione del rumore registrato negli ambienti interni. Rientrano in questa categoria l’installazione di doppi vetri, di guarnizioni a porte e finestre, la sostituzione dei serramenti esistenti con nuovi a elevata prestazione fonoisolante. La normativa prevede che questo tipo

di interventi, andando direttamente a interferire con la proprietà privata, siano adottati solo qualora non siano tecnicamente realizzabili interventi alla sorgente o sulla via di propagazione o qualora lo impongano valutazioni tecniche, economiche o di carattere ambientale.

La direttiva europea 2002/49/CE

La direttiva europea 2002/49/CE

Environmental noise directive (End), recepita in Italia con il Dlgs 194/2005, è il riferimento normativo principale a livello europeo per quanto riguarda la determinazione e la gestione del rumore ambientale prodotto, in particolare, da aeroporti, strade e ferrovie. Definisce un approccio comune per tutti gli Stati membri al fine di “evitare, prevenire o ridurre, secondo le rispettive priorità, gli effetti nocivi, compreso il fastidio, dell’esposizione al rumore ambientale”. A tale scopo la End individua tre principali azioni:

- la determinazione dell’esposizione al rumore ambientale mediante la mappatura acustica realizzata sulla base di descrittori e metodi di determinazione comuni - l’informazione del pubblico in merito al rumore ambientale e ai relativi effetti - l’adozione di piani d’azione, in base ai risultati della mappatura acustica, allo scopo di evitare e ridurre il rumore ambientale dove necessario.

La normativa attribuisce ai gestori delle infrastrutture la responsabilità di queste azioni. Poiché le sorgenti di rumore e il territorio su cui esse vanno a impattare si evolvono nel tempo, la direttiva europea prevede che i gestori ripetano il processo di mappatura acustica e piano d’azione almeno ogni 5 anni affinché la gestione del rumore sia costantemente aggiornata. Dal 2002, anno di emanazione della End, ci sono state tre fasi di attuazione della

direttiva, mentre è in corso la quarta fase, relativa al quinquennio 2022-2026.

Per le strade il processo di mappatura riguarda esclusivamente gli assi stradali principali, quelli cioè su cui transitano più di 3.000.000 di veicoli all’anno. La mappatura acustica consiste nel determinare la situazione di rumore generata dal traffico sugli assi principali utilizzando descrittori acustici e metodi di calcolo del rumore standard stabiliti dalla stessa End, nello stimare la popolazione esposta al rumore e nell’individuare le situazioni di superamento dei limiti di rumore. Sulla base del quadro fornito dalla mappatura acustica il gestore elaborerà quindi il piano d’azione, destinato a individuare gli interventi finalizzati a gestire e ridurre i problemi di inquinamento acustico, da pianificare per i successivi cinque anni.

Dalla sua emanazione il testo della End ha avuto importanti modifiche che riguardano i nuovi allegati II e III riguardanti, rispettivamente, il nuovo metodo di calcolo dei livelli di rumore Cnossos-Eu e i metodi di determinazione degli effetti nocivi, l’allineamento della direttiva End alla direttiva Inspire, il nuovo meccanismo digitale obbligatorio di scambio delle informazioni (Reportnet 3.0) e le modalità per l’individuazione e la gestione delle zone silenziose, che sono state oggetto del decreto 24 marzo 2022 n. 16. Per un corretto approccio a queste novità il gestore dovrà fare costantemente riferimento alle disposizioni normative, alle indicazioni operative e alle linee guida del Mite, adottate dal Dm 26 maggio 2022 n. 72 e disponibili sul sito www.mite.gov.it/pagina/direttiva-200249-ce

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 45

IL MONITORAGGIO DEI CANTIERI DI GRANDI OPERE IN LOMBARDIA

INQUINAMENTO ACUSTICO

In Lombardia negli ultimi dieci anni sono state realizzate infrastrutture di importanza strategica con una conseguente presenza di numerosi cantieri sul territorio. Anche a seguito dell’attuazione delle misure previste nel Pnrr, nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) e in previsione delle future olimpiadi invernali MilanoCortina 2026, il territorio regionale risulterà interessato da cantieri di nuove opere. In una regione intensamente urbanizzata è inevitabile che tali opere interferiscano con i centri abitati già in fase di cantiere, per cui la problematica dell’inquinamento acustico risulta rilevante. In questo contesto il Piano di monitoraggio ambientale (Pma) riveste un ruolo di fondamentale importanza per gli aspetti correlati all’acustica, sia in fase di realizzazione dell’opera sia nella fase di esercizio. In particolare, in fase di cantierizzazione il Pma consente di intervenire per il miglioramento di interventi di mitigazione acustica previsti in fase di progettazione.

L’indicatore “Valore indicizzato del parametro”

Nell’ambito del monitoraggio acustico delle grandi opere vengono utilizzati alcuni indicatori che permettono di individuare soglie di allerta preventive ai superamenti dei valori di riferimento normativi. L’indicatore individuato per il rumore è il valore indicizzato del parametro (Vip) e consente di valutare il disagio in fase di costruzione dell’opera (CO) rispetto alla situazione preesistente (AO). La variazione di questo indice permette di mettere in atto azioni di verifica della situazione ambientale e di adozione di misure correttive, preventive del raggiungimento di reali criticità. La criticità del cantiere può essere valutata dalla variazione del parametro Vip, ovvero dal ΔVip, tra la situazione

AO e quella in CO. L’esperienza maturata sui cantieri ha confermato l’utilità di tale indicatore ed è stata effettuata un’analisi critica per il suo affinamento. Sono stati analizzati i dati di rumore in CO per grandi opere per un totale di più di 3.500 campioni. Nell’83% dei casi si è riscontrata una bassa criticità (ΔVip<2), nel 6% una situazione sopra la soglia di attenzione (2≤ΔVip<3) mentre nell’11% l’impatto del cantiere superava la soglia di intervento, imponendo azioni mitigative (ΔVip≥ 3).

Un valore di ΔVip molto basso rappresenta una situazione in cui il rumore misurato in CO ha valori poco più alti o uguali rispetto alla situazione AO. Il caso in cui ΔVip è addirittura negativo, rappresenta un’anomalia che merita di essere analizzata con attenzione, in quanto può essere sintomo di errori nelle caratterizzazioni del clima acustico di AO o CO. Infatti, le misure di AO devono essere svolte in condizioni il più possibile simile a quelle del CO per essere rappresentative della situazione in assenza delle attività di cantiere e quindi consentire il confronto col CO. Se le misure AO vengono effettuate troppo

tempo prima dell’inizio del cantiere potrebbe essere opportuno ripeterle poco prima dell’inizio delle stesse.

Nel corso degli anni si sono verificati anche casi in cui i cantieri hanno invece determinato impatti importanti. Successivamente alle segnalazioni sono stati svolti importanti interventi di mitigazione (barriere mobili, terrapieni) e la riduzione del passaggio dei mezzi. A fronte di tali azioni, le successive misure in CO hanno riportato una diminuzione del rumore e il ΔVip ha mostrato la risoluzione della criticità.

Vi sono stati inoltre cantieri caratterizzati da ΔVip molto elevati (>7), contraddistinti da livelli in AO notevolmente inferiori al limite di zona e da lavorazioni in CO molto impattanti. In questi casi gli interventi di mitigazione verosimilmente attuabili non hanno permesso di rientrare al di sotto della soglia di intervento. Una consistente azione mitigativa, ad esempio il dimezzamento dei livelli di emissione sonora, potrebbe comunque risultare con ΔVip ancora elevato. Queste situazioni critiche (ad esempio su versanti o aree con limitati spazi) rappresentano il 3,3%

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 46
L’UTILIZZO DELL’INDICATORE “VALORE INDICIZZATO DEL PARAMETRO” , CHE VALUTA IL DISAGIO CAUSATO DAL RUMORE IN FASE DI COSTRUZIONE DELL’OPERA RISPETTO ALLA SITUAZIONE PREESISTENTE HA PERMESSO ALLE AUTORITÀ COMPETENTI LOMBARDE DI FOTOGRAFARE E INTERVENIRE EFFICACEMENTE NELLA GESTIONE DI SITUAZIONI COMPLESSE.

dei dati analizzati: nel caso è necessario procedere con azioni mitigative o soluzioni progettuali e di cantiere alternative e finalizzate almeno alla riduzione del disturbo. Talvolta le misure hanno evidenziato situazioni prossime ai limiti di legge. Qualora in AO si riscontrassero livelli molto bassi e notevolmente inferiori al limite di zona e nel CO si evidenziasse il superamento dei limiti, la possibilità, per l’autorità competente, è ricorrere alla deroga ai limiti stessi. Nei casi in cui il valore misurato in AO è di poco inferiore al limite di zona, può capitare che le attività di cantiere, pur non avendo valori di ΔVip superiori alle soglie di criticità, provochino il superamento del limite stesso. Nel caso in cui si misurassero invece già in AO valori sopra i limiti di zona, sarebbe opportuno gestire preventivamente la situazione con le amministrazioni competenti.

Considerazioni per un monitoraggio più efficace

In conclusione, dall’esperienza maturata negli anni in Lombardia si può dire che l’utilizzo del Vip consente di fotografare efficacemente una situazione complessa. Il limite più significativo di tale parametro è legato a situazioni di misure AO, non sempre completamente rappresentative del contesto territoriale. Per ovviare a questa anomalia potrebbe risultare necessario programmare le

misure AO poco prima dell’avvio delle attività di cantiere. Inoltre, in CO è opportuno che le attività di monitoraggio ambientale siano pianificate ed eseguite in concomitanza con le lavorazioni più rappresentative o potenzialmente impattanti. Tali attività dovrebbero quindi essere programmate in sinergia con la direzione lavori e con una scelta dei punti di monitoraggio coerente con la reale configurazione di cantiere.

Una seconda valutazione deriva dalla scelta delle soglie di allarme (attenzione e intervento) per meglio rappresentare situazioni con AO molto al di sotto o prossimi ai limiti di zonizzazione. Queste situazioni potrebbero essere gestite attraverso l’implementazione di ulteriori soglie di allarme, così da fornire agli esperti incaricati della valutazione dell’impatto delle opere un valido strumento per l’immediata e sintetica visione dello stato dell’ambiente interessato.

Per una preventiva valutazione delle condizioni potenzialmente critiche potrebbe essere valutata un’integrazione delle soglie:

- ΔVip≤0 evidenzia, in assenza di mitigazioni importanti, la necessità di un approfondimento di misure, ad esempio, per la fase AO, ripetendole in assenza delle attività di cantiere o in CO effettuandole in presenza di lavorazioni rappresentative del reale impatto del cantiere

- ΔVip>5 caratterizza una situazione critica indotta da lavorazioni per cui eventuali misure mitigative, per quanto

efficaci, non comportano una riduzione sufficiente. Tale situazione può essere evidenziata qualora il parametro Vip risultasse maggiore di 8 già in AO.

Un ulteriore aspetto riguarda il rispetto dei tempi nella comunicazione di criticità riscontrate durante le attività di monitoraggio. Affinché il flusso di informazioni sia efficace, devono essere seguiti tutti gli step che il metodo prevede: la comunicazione tempestiva del superamento, la verifica del dato misurato correlato alle attività in essere, l’eventuale accertamento del superamento della soglia tramite la ripetizione della misura, l’attuazione delle azioni mitigative e la comunicazione delle stesse. Una comunicazione tempestiva e completa delle criticità e delle potenziali lavorazioni impattanti permette una migliore pianificazione delle misure mitigative da adottare in funzione delle varie tipologie di lavorazioni. Spesso però, anche a causa della complessità delle relazioni esistenti tra i diversi soggetti coinvolti nella realizzazione delle grandi opere, si possono riscontrare ritardi nelle comunicazioni.

Pertanto, sarebbe utile valutare l’inserimento nei capitolati d’appalto di indicazioni più stringenti in merito alle azioni da compiere, in particolare per le criticità non preventivamente considerate in fase progettuale.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 47
Emanuele Galbusera, Federica Ghezzi, Roberta Pollini, Valeria Spirolazzi Arpa Lombardia

PORTI, INFRASTRUTTURE E NON SOLO: I MONITORAGGI DI ARPAL

INQUINAMENTO ACUSTICO

Arpa Liguria svolge diverse attività legate al monitoraggio delle fonti di rumore; alcune sono legate alle prerogative del territorio, come la presenza di porti di interesse nazionale o di tracciati autostradali che, spesso, corrono a distanza ridotta dai nuclei abitativi. Altre azioni svolte dall’Agenzia si collegano all’individuazione e caratterizzazione delle zone silenziose.

Il rumore portuale

La rumorosità “portuale” è addebitabile a un complesso di sorgenti e attività: si va dagli impianti delle navi, alla movimentazione delle merci, dal traffico ferroviario e veicolare agli impianti a terra. Scendendo più nel dettaglio, Arpa Liguria ha svolto, negli anni, campagne di misura del rumore immesso nell’abitato da attività e infrastrutture dei porti sia della Spezia sia di Genova, scali che sono prospicienti l’abitato cittadino. Per le valutazioni sono stati utilizzati, quali valori di riferimento e confronto e in attesa dell’emanazione dell’apposito decreto, i limiti assoluti di immissione, come stabiliti dalla classificazione acustica comunale.

La Spezia Ma scendiamo nel dettaglio. L’area portuale della Spezia è separata dalla città dal solo tracciato di un’importante strada urbana; questo fa sì che si registri un impatto significativo della movimentazione e del traffico indotto, soprattutto sui recettori più prossimi. A esso si aggiunge la percezione del rumore, anche a distanze maggiori, emesso dai generatori di corrente all’interno delle navi (rumore a bassa frequenza). Per caratterizzare acusticamente le aree circostanti il porto, Arpa Liguria dal 2011 a oggi ha effettuato diverse campagne di monitoraggio, in continuo e corredate da rilievi su tempo breve, con cadenza annuale, in punti di misura stabiliti in collaborazione con un tavolo

1

tecnico composto da Comune, Provincia, Autorità di sistema portuale del mar Ligure orientale e Capitaneria di porto. Le campagne hanno evidenziato impatti da sorgenti diverse a seconda della zona, con una prevalenza di rumore veicolare e ferroviario (connesso alle attività portuali) oppure dovuto al carico, scarico e movimentazione delle merci. I superamenti rilevati hanno interessato prevalentemente il tempo di riferimento notturno e si sono localizzati nelle aree poste di fronte ai terminal portuali e alle aree a prevalenza di carico, scarico e movimentazione container (foto 1). Questi punti di misura sono in classe acustica IV e i valori misurati di immissione (LAeq), in facciata ai ricettori, sono pari a circa 62,0÷64,0 dB(A).

Le misure hanno, inoltre, evidenziato la presenza di componenti a bassa frequenza in corrispondenza dei periodi di ormeggio delle navi, situazione che si può mettere in relazione agli esposti pervenuti da una zona collinare sovrastante il porto.

Genova

Per quanto riguarda il porto di Genova, negli ultimi anni è stata posta particolare attenzione al terminal container situato di fronte ai quartieri di Pegli e Prà - Palmaro. Parte dell’attività è stata svolta nell’ambito di un tavolo tecnico che ha coinvolto gli enti territoriali e, in parte, all’interno del progetto Rumble. Le misure effettuate hanno evidenziato come le immissioni dovute alle navi all’ormeggio, con impianti accesi, possano alterare sensibilmente la rumorosità di fondo, soprattutto di notte e nella parte medio bassa dello spettro.

Conclusioni analoghe si possono trarre da rilevazioni eseguite per altre infrastrutture portuali di Multedo, come il terminal traghetti e il porto Petroli (in questo caso alla componente “motore” si aggiunge l’immissione, a frequenze maggiori, dovuta ai sistemi di pompaggio per la movimentazione dei prodotti petrolchimici).

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 48
L’AGENZIA SVOLGE DIVERSE ATTIVITÀ DI MONITORAGGIO DELLE FONTI DI RUMORE, ALCUNE CONNESSE ALLE PREROGATIVE DEL TERRITORIO, CON I SUOI PORTI DI INTERESSE NAZIONALE E I TRACCIATI AUTOSTRADALI CHE SPESSO CORRONO A DISTANZA RIDOTTA DAI CENTRI ABITATI, ALTRE COLLEGATE ALLA CARATTERIZZAZIONE DELLE ZONE SILENZIOSE.

Le infrastrutture stradali e ferroviarie

Per quanto concerne i cantieri di costruzione delle infrastrutture più importanti (come il terzo valico e il nodo ferroviario di Genova), il rispetto delle prescrizioni impartite con la Via e con i successivi provvedimenti comunali è verificato, oltre che dal Comune e da Arpa Liguria, con misure a campione o a seguito di esposto anche direttamente dal committente (secondo un programma concordato con la parte pubblica, che prevede di individuare e mitigare le problematiche causa di disturbo).

Nel caso della realizzazione di gallerie (frequenti in Liguria a causa della natura montuosa della regione) le principali cause di disturbo acustico sono connesse alle lavorazioni notturne di scavo e agli sbocchi in superficie degli impianti di ventilazione per il ricambio dell’aria. Nel caso di lavorazioni a cielo aperto, si sono evidenziate criticità soprattutto quando realizzate su tratte nell’abitato, anche a pochi metri dagli edifici; le attività più impattanti si sono dimostrate il consolidamento con palificazioni e il riporto e la compattazione di terra e roccia (che, a seconda dei casi, può provocare vibrazioni significative).

Proprio per la sua particolare conformazione orografica, in Liguria, è frequente che i tracciati autostradali corrano all’interno dei centri abitati, provocando forti disagi, mitigati per lo più con barriere acustiche. Oltre alle criticità persistenti dovute a mitigazioni non ancora presenti, negli ultimi anni in zone densamente abitate di Genova si è verificata la rimozione parziale o completa di barriere già installate (prevedendone un successivo ripristino, solo in parte a oggi avvenuto).

A fronte di questa situazione, Arpa Liguria, da luglio 2020, sta procedendo a uno screening fonometrico nelle zone abitate in cui il traffico autostradale risulta maggiormente impattante; gli esiti di questi monitoraggi sono poi trasmessi agli enti competenti. Le misure hanno confermato le criticità in molte situazioni, dovute sia agli ingenti flussi di traffico, anche pesante, sia alla prossimità delle infrastrutture alle abitazioni (foto 2).

La tutela delle zone silenziose

1 Estratto di mappa riportante i siti di misura affacciati sul porto della Spezia e soggetti a livelli superiori al valore limite di immissione.

2 Uno dei siti della campagna di misura del rumore autostradale in corrispondenza di tratti con barriera acustica parzialmente rimossa, nel territorio comunale di Genova.

Il tema, introdotto in Italia con il Dlgs 194/2005, ha ricevuto nuovo impulso dal Dm 16/2022, che stabilisce le modalità per l’individuazione e la gestione di queste aree. Arpa Liguria ha partecipato al gruppo di lavoro, coordinato da Ispra, per definire la proposta di allegato tecnico al decreto e, successivamente, ha portato avanti un’attività di acquisizione ed elaborazione, in ambiente Gis, di informazioni utili per l’individuazione di massima delle possibili aree silenziose in aperta campagna. Al momento lo studio sta interessando le province di Genova e Savona.

Parallelamente, è in corso un’attività sperimentale di monitoraggio che coinvolge un’area all’interno del Comune di Genova, il Parco urbano del Rio San Pietro nel ponente della città. Si tratta di una stretta valletta perpendicolare alla linea costiera, incuneata in un quartiere densamente edificato, interessato da viabilità principale, linea ferroviaria, da un’acciaieria e a poca distanza dall’aeroporto. La valle ha mantenuto buone caratteristiche naturali, con un fitto bosco alle quote inferiori e zone aperte verso la sommità. Le fonometrie, ripetute in diversi periodi dell’anno, sono eseguite in alcuni punti lungo la direttrice di vallata e a diverse quote. Le misure, eseguite su tempo breve e durante gli orari di apertura, acquisiscono anche i multispettri di Leq su 1 s, per consentire l’analisi dinamica in banda di frequenza. I primi riscontri hanno fornito valori compatibili con la classe acustica I – valori di LAeq compresi fra 36 e 46 dB(A) – e, dal punto di vista spettrale, con una buona diversità sonora. Eventi di origine naturale ben distinguibili nella parte medio alta dello spettro che si sovrappongono, insieme a eventi antropici isolati, a una rumorosità di medio-lungo raggio proveniente dal complesso delle sorgenti presenti nel tessuto urbano, rumorosità che va a costituire un fondo tendenzialmente stazionario e indistinto, dominante alle frequenze più basse.

Cinzia Barbieri1, Sergio Brillante1, Alessandro Conte1, Federica Debarbieri1, Andrea Lazzara2

Arpa Liguria

1. Ufficio Inquinamento acustico

2. Comunicazione

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 49
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LA QUALITÀ ACUSTICA NELLE SCUOLE ALTOATESINE

“La qualità acustica nelle scuole altoatesine è un tema di cui ci occupiamo ormai da diversi anni”, afferma Luca Verdi, direttore del laboratorio analisi Aria e radioprotezione di Appa Bolzano. “A oggi abbiamo misurato ormai più di 2.000 ambienti scolastici e abbiamo potuto constatare che con una seria progettazione è possibile ottenere una buona qualità acustica nelle scuole”.

Qualità acustica e apprendimento

Una buona qualità acustica in un’aula scolastica è determinante per l’efficacia dell’apprendimento, ancora di più se l’insegnamento è veicolato in un’altra lingua, come in Alto Adige, dove tale aspetto è molto rilevante.

In un’aula con un tempo di riverbero corto, il suono diretto viene “sporcato” poco da quello riflesso dal soffitto e percepito anche da chi è seduto negli ultimi banchi. In più, il suono in eccesso, ovvero quello riflesso due o più volte, è assorbito dall’isolamento acustico del soffitto e dalla parete di fondo. In un’aula con un tempo di riverbero corto si comprende molto bene ciò che viene detto, perché il parlato risulta chiaro, e questo anche quando più persone parlano contemporaneamente. Al contrario, in un’aula con un tempo di riverbero molto lungo, si ha difficoltà a capire quando parlano insegnanti e studenti. Le parole dette vengono riflesse dalle superfici fono-riflettenti di soffitto, pavimento, pareti e parete di fondo. Questo suono riflesso più volte o diffuso peggiora la comprensione del parlato perché si sovrappone al suono diretto. Condizioni acustiche non ottimali rendono la comunicazione verbale difficoltosa, riducono l’intelligibilità delle parole – con conseguente calo nell’apprendimento, difficoltà di concentrazione nonché problemi nell’elaborazione delle parole – e inoltre rendono gli ambienti più rumorosi.

1

Una buona comprensione verbale si raggiunge riducendo il tempo di riverbero, la rumorosità presente, migliorando il rapporto segnale/rumore e garantendo la distanza minima e il contatto visivo tra alunno/a e insegnante.

Qualità acustica e problemi di udito

Una qualità acustica ottimale è ancora più importante se nell’ambiente scolastico sono presenti bambini e bambine con difficoltà di attenzione o con problemi di udito, avendo essi necessità di una migliore chiarezza comunicativa. Un’acustica non ottimale fa sì che bambini e bambine con problemi di udito siano svantaggiati dal punto di vista dell’apprendimento rispetto agli altri e questo solo per un ambiente non a norma. “Nelle direttive provinciali per l’edilizia scolastica1, emanate nel 2009 e da applicare sia nelle nuove costruzioni sia nelle ristrutturazioni, la Provincia autonoma di Bolzano ha inserito la norma DIN 18041 della Germania2 come norma di riferimento”, spiega Richard Oberkalmsteiner, ispettore tecnico nel Laboratorio Analisi aria e radioprotezione. “In tale norma sono definiti i tempi di riverbero ottimali richiesti (TSoll) nel caso sia di insegnamento a normo-udenti sia

di insegnamento inclusivo a bambini con problemi d’udito”.

Tempi di riverbero più corti, previsti dalla norma DIN 18041:2016-03, sono richiesti non solo per allievi con problemi di udito ma anche per coloro il cui apprendimento avviene in una lingua diversa dalla madrelingua, per quelli che necessitano di una maggiore intelligibilità del parlato, che hanno difficoltà di concentrazione, con Adhd e per quelli descritti nella Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità.

Inoltre, nel 2013, con l’Accordo di programma in favore dei soggetti portatori di handicap 3 la Provincia autonoma di Bolzano ha stabilito che le scuole sono tenute a soddisfare le condizioni acustiche previste dalle direttive scolastiche (insegnamento inclusivo) nel momento in cui un bambino o una bambina con problemi di udito entra nell’asilo nido, nella scuola dell’infanzia, nella scuola primaria e nella scuola secondaria.

A livello nazionale sono state pubblicate

1 Esempio di un’aula scolastica risanata dal punto di vista acustico attraverso l’applicazione di pannelli fonoassorbenti a soffitto.

2 Misura del tempo di riverberazione in un’aula scolastica, effettuata da un tecnico di Appa Bolzano, con il metodo del rumore impulsivo.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 50
INQUINAMENTO ACUSTICO
NEGLI ULTIMI 13 ANNI, DOPO L’EMANAZIONE DELLE DIRETTIVE PROVINCIALI PER L’EDILIZIA SCOLASTICA CONTENENTI ANCHE LE CONDIZIONI ACUSTICHE DA GARANTIRE PER L’INSEGNAMENTO NELLE AULE, APPA BOLZANO HA EFFETTUATO 2.000 MISURE DEI TEMPI DI RIVERBERO NEGLI EDIFICI. L’OBIETTIVO È MIGLIORARE L’EFFICACIA DELL’APPRENDIMENTO. FOTO: APPA BOLZANO

le due norme UNI 11532-1:20184 e UNI 11532-2:20205 che si sono ispirate alla norma DIN 18041, ma che sono molto più articolate e complete e che riportano anche dei casi studio.

Nella figura 1 sono riportate situazioni misurate da Appa Bolzano nelle aule scolastiche, a partire dalle materne, da confrontare con i tempi di riverbero previsti dalla norma, riportati sulle diverse linee. Nel caso A4 dell’insegnamento inclusivo, le aule didattiche che sono sotto la curva blu con una tolleranza del 20% sono idonee per l’insegnamento e per la comunicazione inclusivi, quindi per bambini con problemi di udito. Il patrimonio informativo raccolto dagli esperti di Appa ha anche una rilevanza scientifica, come dimostrato in recenti congressi nazionali ed europei.

Ristrutturazione e risanamento

In provincia di Bolzano in tutte le scuole in cui è previsto l’inserimento scolastico di bambini e bambine con problemi d’udito vengono effettuate le misure delle condizioni acustiche nell’anno scolastico precedente all’anno d’inserimento nella scuola, in modo che i risanamenti acustici necessari possano essere portati a termine in tempo. Negli ultimi anni sono stati eseguiti risanamenti acustici anche per la presenza di insegnanti con problemi di udito. “Informare e sensibilizzare le scuole e gli enti locali sui vantaggi di una buona acustica nelle aule scolastiche e sulla normativa provinciale in materia di acustica è per Appa Bolzano di fondamentale importanza”, sottolinea

ancora Verdi. “Nel caso di avvio di una ristrutturazione generica o di un risanamento energetico nelle scuole, è necessario pianificare anche gli eventuali miglioramenti acustici per le aule scolastiche, come previsto dalle direttive per l’edilizia scolastica. I risanamenti acustici delle aule scolastiche, infatti, se integrati nei lavori di ristrutturazione generici dell’edificio oppure di risanamento energetico, possono essere realizzati spendendo molto meno rispetto a un risanamento acustico effettuato in un secondo momento, a lavori già finiti”.

A cura del Laboratorio Analisi aria e radioprotezione di Appa Bolzano

NOTE

1 “Direttive per l’edilizia scolastica”, decreto del Presidente della Provincia 23 febbraio 2009, n. 10. “Regolamento di cui all’articolo 10

della legge provinciale 21 luglio 1977, n. 21: ‘Direttive per l’edilizia scolastica’”, Bollettino ufficiale della Regione Trentino-Alto Adige n. 15/I-II, 07/04/2009.

2 DIN 18041:2016-03, “Hörsamkeit in Räumen: Anforderungen, Empfehlungen und Hinweise für die Planung”.

3 “Accordo di programma in favore dei soggetti portatori di handicap”, deliberazione della Giunta provinciale del 15 luglio 2013 n. 1056. Accordo di programma ai sensi dell’art. 21/ sexies della legge provinciale 30 giugno 1983, n. 20, e successive modifiche (Nuove provvidenze in favore dei soggetti portatori di handicap), Bollettino ufficiale della Regione Trentino-Alto Adige n. 30/I-II, 23/07/2013.

4 UNI 11532-1:2018, Caratteristiche acustiche interne di ambienti confinati. Metodi di progettazione e tecniche di valutazione. Parte 1: Requisiti generali.

5 UNI 11532-2:2020, Caratteristiche acustiche interne di ambienti confinati. Metodi di progettazione e tecniche di valutazione. Parte 2: Settore scolastico.

FIG. 1

TEMPO DI RIVERBERO

Misurazioni del tempo di riverbero nelle aule scolastiche, confrontate con i tempi di riverbero previsti dalla norma DIN 18041:2016-03, che li chiama TSoll (linee colorate).

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 51
T - DIN
- A1 MUSICA, A2 PARLATO, A3 INSEGNAMENTO, A4 INCLUSIONE, A5 SPORT±20% occupato
Fonte: DIN 18041: 2016-03 2 FOTO: APPA BOLZANO 4,00 3,80 3,60 3,40 3,20 3,00 2,80 2,60 2,40 2,20 2,00 1,80 1,60 1,40 1,20 1,00 0,80 0,60 0,40 0,20 0,00 Tempo di riverbero [500Hz1.0kHz] [s] 10,0 100,0 1000,0 volume ambiente [m3]
18041:2016-03
10000,0 100000,0

CONTROLLI FONOMETRICI, L’ATTIVITÀ DI ARPAV IN VENETO

INQUINAMENTO ACUSTICO

La legge regionale istitutiva di Arpav, la n. 32 del 1996, prevede che l’Agenzia svolga le attività tecnico-scientifiche connesse all’esercizio delle funzioni pubbliche per la protezione dell’ambiente relative all’inquinamento acustico, provvedendo in particolare a effettuare il controllo delle fonti di rumore.

Le norme in materia di inquinamento acustico sono state poi specificate con la legge regionale 21/99, che ha indicato che per le funzioni tecniche di controllo di propria competenza i Comuni e le Province si avvalgano dell’Arpav. L’applicazione delle sanzioni previste dalla legge quadro 447/1995 e di quelle previste dalla legge regionale (queste ultime riguardano essenzialmente le attività temporanee quali i cantieri e gli spettacoli) spettano al Comune territorialmente competente. È l’Agenzia, però, in quanto organo accertatore, che provvede alla contestazione dei superamenti dei limiti.

I Comuni richiedono quindi di routine ad Arpav di effettuare controlli fonometrici. Talora, specialmente per i controlli che riguardano il periodo notturno, il numero di richieste eccede le possibilità di svolgimento, perciò con una procedura regionale formalizzata nell’ambito del sistema qualità, sono stati indicati alcuni criteri di priorità. Nelle parole di una circolare del direttore generale Arpav del 1999, “gli interventi dell’Agenzia sono prioritariamente diretti al controllo delle fonti di inquinamento acustico più problematiche per l’ambiente o perché più intense o perché coinvolgenti un maggior numero di persone: in tal senso le campagne d’indagine si rivolgeranno in prima istanza al disturbo acustico arrecato dalla infrastrutture di trasporto, dalle attività produttive – in particolare industriali e artigianali – idonee a provocare immissioni rumorose ad ampio raggio, nonché alle discoteche; la priorità degli interventi sarà, poi, determinata, in base alla localizzazione delle sorgenti

esaminate, dando priorità alle aree sensibili e residenziali”. All’arrivo delle richieste, viene perciò assegnata una priorità alta, media o bassa con un punteggio che tiene conto della tipologia del ricettore e del

numero di unità abitative coinvolte, dando la precedenza alle sorgenti di rumore industriale e alle infrastrutture di trasporto, nonché alle sorgenti che interessano il periodo notturno. Vengono penalizzati, in termini di priorità, i

FIG. 1

CONTROLLI IN VENETO

Numero di sorgenti controllate e numero di superamenti dei limiti in Veneto negli anni 2014-2021.

numero sorgenti controllate percentuale superamenti

numero di sorgenti controllate

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 52
L’AGENZIA MONITORA TRA LE 150 E LE 250 SORGENTI L’ANNO NELLE 7 PROVINCE. GLI INTERVENTI SONO PRIORITARIAMENTE DIRETTI AL CONTROLLO DELLE FONTI DI INQUINAMENTO ACUSTICO PIÙ PROBLEMATICHE PER L’AMBIENTE, O PERCHÉ PIÙ INTENSE O PERCHÉ COINVOLGENTI UN MAGGIOR NUMERO DI PERSONE. NEL 70% DEI CASI RIGUARDANO LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE.
2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021
300 250 200 150 100 50 0 60 50 40 30 20 10 0 % di superamenti

Comuni privi di classificazione acustica del territorio, anche se ormai oltre il 92% dei Comuni veneti si è dotato di questo strumento.

Complessivamente, come illustrato dalla figura 1, Arpav riesce a monitorare annualmente tra le 150 e le 250 sorgenti, suddivise tra le 7 province, e i superamenti, in media, interessano il 40% delle sorgenti controllate.

Considerando le tipologie di sorgenti sonore individuate da Ispra per la comunicazione annuale da parte del Sistema agenziale dei dati utili per la redazione dell’Annuario dei dati ambientali, si osserva che mediamente circa il 70% dei controlli riguarda le attività produttive in senso stretto e le attività commerciali e di servizio. Inoltre, le sorgenti di rumore costituite da attività industriali e artigianali sono origine, da sole, di mediamente un terzo dei controlli effettuati da Arpav.

Quest’ultimo dato riflette la situazione urbanistica regionale, che è caratterizzata da una mescolanza molto spinta tra attività produttive e residenze, con conseguente frequente vicinanza tra le abitazioni e le sorgenti di rumore artigianale e industriale. La densità di unità locali produttive è infatti di 23,3 per km2 (15,6 la media italiana). Si tratta di imprese mediamente di piccola dimensione, con 4,3 addetti per impresa (3,9 in Italia) e 11,8 se si considerano le imprese nell’industria in senso stretto (9,9 in Italia).

I controlli sulle infrastrutture di trasporto nel periodo di tempo considerato hanno costituito mediamente il 22% del totale: parte dell’attività è stata generata dalla progressiva entrata in funzione, negli ultimi anni, di nuove infrastrutture (passante di Mestre, superstrada Pedemontana Veneta, terza corsia dell’autostrada A4, alta velocità ferroviaria ecc.).

I controlli relativi alle attività commerciali e di servizio hanno subito nell’ultimo biennio una consistente riduzione, di oltre il 50%, a causa delle vicende legate all’epidemia di Covid-19 e alla conseguente forzata chiusura o limitazione delle attività: mentre infatti negli anni 2014-2019 venivano eseguiti mediamente 77 controlli all’anno, il numero medio nel biennio 2020-21 è stato di 33. In particolare nel 2020 e nel 2021 sono venuti praticamente a cessare gli esposti relativi alla musica e al vociare dovuto ai pubblici esercizi nel periodo notturno (figura 2).

Mentre fino al 2020 l’attività relativa agli agenti fisici, tra cui il rumore, era

organizzata su base provinciale, a partire dal 2021 è stata regionalizzata ed è svolta da due Unità con competenza sovraprovinciale: una sul Veneto orientale (Padova, Venezia, Treviso e Belluno), l’altra sul Veneto occidentale (Vicenza, Verona e Rovigo). Indipendentemente dall’organizzazione dei controlli sul territorio, sin dal 2016 Arpav si è dotata di due procedure di prova regionali, facenti parte del sistema qualità dell’Agenzia: una relativa alla misura del rumore negli ambienti abitativi, l’altra nell’ambiente esterno.

In particolare, dal 2016 viene dichiarata nei rapporti di prova l’incertezza di misura e, in caso di superamento dei limiti, si tiene conto dei casi di “conformità presunta” ai valori limite. Infatti, secondo la norma UNI 11326-2, nei casi in cui l’intervallo di incertezza (l’errore di misura, come un tempo veniva chiamato) si sovrappone in certa misura con il limite, “si vuole essere certi (con il livello fiducia prefissato) del mancato rispetto dei valori limite prima di intraprendere azioni con effetti indesiderati per i responsabili di tale mancato rispetto”. Ad esempio, nel caso di misure condotte in ambiente abitativo, è necessario che le soglie di accettabilità o il limite differenziale previsti dall’art. 4 del Dpcm 14/11/97 “Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore” vengano superati di più di 0,8 dB (valore che corrisponde all’incertezza estesa unilaterale al livello di fiducia del 95%) per procedere alla contestazione del superamento, contestazione che comporta, oltre all’irrogazione della sanzione amministrativa prevista dalla

FIG. 2

SORGENTI

Sorgenti di rumore controllate distinte per tipologia.

numero controlli

120 100 80 60 40 20 0

legge quadro, l’esecuzione di lavori di mitigazione da parte del detentore della sorgente sonora. Ad esempio, un livello differenziale notturno misurato di 3,5 dB è, a fronte del limite differenziale di 3 dB, da considerarsi “presumibilmente conforme” tenuto conto dell’incertezza di misura.

Esaminando i grafici riportati nelle figure 1 e 2 si nota una tendenza calante nel numero complessivo dei controlli, anche se potrebbe esservi un effetto confondente dovuto alla situazione anomala creatasi nell’ultimo biennio. Causa di questo trend di diminuzione si ritiene essere il progressivo aumento dell’attività preventiva, in termini di esame delle documentazioni di impatto acustico, in quanto si è finalmente affermata negli ultimi anni l’applicazione, da parte della Regione e degli enti locali, di quanto previsto dall’art. 8 della legge quadro “Disposizioni in materia di impatto acustico”.

Per la redazione della documentazione di impatto acustico, i tecnici incaricati fanno riferimento alle linee guida predisposte da Arpav nel 2008, che sono strutturate in capitoli in base alle varie tipologie di sorgenti sonore (infrastrutture di trasporto, attività produttive, postazioni di servizi commerciali polifunzionali, circoli privati e pubblici esercizi, impianti sportivi e ricreativi).

Franco Andolfato

Unità Agenti fisici area ovest, Dipartimento regionale Rischi tecnologici e fisici, Arpav

attività produttive attività di servizio e/o commerciali attività temporanee infrastrutture di trasporto altro 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

“Rapporto statistico 2020 Regione Veneto” https://statistica.regione.veneto.it/ Pubblicazioni/RapportoStatistico2020/index.html

Ispra, “Annuario dei dati ambientali”, https://annuario.isprambiente.it/ UNI/TS 11326-2:2015 “Acustica - Valutazione dell’incertezza nelle misurazioni e nei calcoli di acustica - Parte 2: Confronto con valori limite di specifica”. Ddg Arpav n. 3/2008, www.arpa.veneto.it/temi-ambientali/agenti-fisici/rumore/ documentazione-di-impatto-acustico

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 53

RUMORE DALL’AUTODROMO, IL CASO DI IMOLA

INQUINAMENTO ACUSTICO

La presenza di un autodromo all’interno o vicino a un contesto urbano rappresenta certamente un importante elemento di attrazione turistica, commerciale ed economica per il territorio, ma allo stesso tempo costituisce una fonte di criticità ambientale, come rumore e inquinamento atmosferico, in particolare per coloro che vivono nelle aree adiacenti l’infrastruttura.

Gli interessi economici del territorio e degli appassionati degli eventi motoristici spesso si scontrano con le lamentele delle persone che risiedono o lavorano in prossimità dell’impianto e sono esposte ai disagi che un’attività motoristica continuativa nel tempo inevitabilmente comporta.

Non è un caso che nelle località in cui sono presenti i più importanti autodromi italiani si siano costituiti comitati di cittadini che lamentano i disturbi prodotti dalle diverse manifestazioni motoristiche, in particolare per le emissioni sonore.

Il circuito di Imola

L’autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola non fa eccezione. L’impianto si snoda nella zona pedicollinare della città, a ridosso del fiume Santerno ed è collocato all’interno del tessuto urbano, vicino al centro storico. È stato inaugurato il 25 aprile 1953 durante la disputa del Gran premio Coni, prova del campionato italiano di motociclismo. Nel corso della sua storia l’impianto, il quale è stato oggetto più volte di ristrutturazioni del circuito, ha visto lo svolgimento delle più importanti manifestazioni motoristiche e automobilistiche, quali il campionato mondiale di Formula 1, il Motomondiale, il mondiale Superbike, il mondiale di Motocross, oltre alle gare del campionato Le Mans Series, campionato velocità

Attualmente l’autodromo ospita nel corso dell’anno prove tecniche e gare sia di tipo automobilistico sia motociclistico, ma la loro massima espressione è nel campionato mondiale di F1; il circuito è inoltre utilizzato dalle case automobilistiche e motociclistiche per lo svolgimento di test dei propri veicoli. Oltre agli eventi sportivi strettamente motoristici l’autodromo si caratterizza per un utilizzo polifunzionale con lo svolgimento di manifestazioni sportive non motoristiche, eventi musicali e culturali, manifestazioni fieristiche. La lunghezza del tracciato varia in funzione della tipologia di manifestazione motoristica svolta, andando dai 4.909 metri per le auto ai 4.936 metri per le moto, con una pendenza intorno al 9%. Contrariamente alla maggior parte delle piste motoristiche, il senso di marcia del circuito è antiorario.

Dal punto di vista del contesto territoriale una caratteristica significativa, che lo distingue dai restanti impianti motoristici nazionali, è data dalla presenza di abitazioni residenziali poste nell’area interna alla pista, consistenti in circa 25 unità immobiliari che ospitano un’ottantina di residenti. Sono inoltre presenti aree agricole, un parco pubblico e un polo sportivo polifunzionale. Nell’area interna si intrecciano anche strade pubbliche, normalmente aperte alla libera circolazione.

A nord dell’area esterna all’autodromo si colloca il centro residenziale più importante della città di Imola, con le prime abitazioni poste a una distanza di circa 150 metri. A est, a ridosso della curva Rivazza, è presente un altro gruppo significativo di abitazioni. L’area sita a nord-ovest del circuito vede la presenza di un primo limitato fronte abitativo a circa 150 metri dalla pista e un

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 54
moto ecc. L’INFRASTRUTTURA MOTORISTICA È SORTA NEGLI ANNI ‘50 ALL’INTERNO DEL TESSUTO URBANO, CHE CON IL TEMPO SI È ESPANSO E HA VISTO SORGERE AREE RESIDENZIALI NELLE VICINANZE DELL’AUTODROMO. ARPAE EMILIA-ROMAGNA È IMPEGNATA, INSIEME AL COMUNE E ALL’AUSL, A MONITORARE E MITIGARE LE EMISSIONI ACUSTICHE PRODOTTE IN PISTA. FIG. 1 AUTODROMO ENZO E DINO FERRARI, IMOLA (BO) Le 9 postazioni di misura per il monitoraggio dei livelli sonori prodotti dall’attività di pista.

nucleo più consistente posto a circa un chilometro di distanza. L’area posta a sudsud-est è caratterizzata da un’area agricola e dalla presenza di abitazioni sparse; fa eccezione un edificio scolastico situato a circa 70 metri dall’infrastruttura.

Il sistema di monitoraggio del rumore

La normativa di riferimento per la disciplina delle emissioni sonore prodotte nello svolgimento delle attività motoristiche di autodromi, piste motoristiche di prova e per attività sportive è rappresentata dal Dpr 304/2001 “Regolamento recante disciplina delle emissioni sonore prodotte nello svolgimento delle attività motoristiche, a norma dell’articolo 11 della legge 26 novembre 1995, n. 447”. Ai sensi della normativa vigente, gli autodromi sono classificati come sorgenti fisse di rumore e sono pertanto soggetti ai limiti determinati dai Comuni con la classificazione acustica, ma non si applica il disposto normativo che definisce i valori limite differenziali di immissione.

Il Dpr 304/2001 prevede l’installazione di un sistema di monitoraggio del rumore a cura dei gestori degli autodromi, in accordo con i Comuni interessati, sentito l’organo tecnico di controllo (Arpae EmiliaRomagna).

Presso l’autodromo “Enzo e Dino Ferrari” di Imola, è attiva dal 2003 una rete di monitoraggio dei livelli sonori prodotti dall’attività di pista, più volte oggetto di revisione e attualmente composta da nove postazioni di misura, riportate nella figura 1

Per una gestione condivisa delle problematiche acustiche, nel 2014 è stato sottoscritto, tra Comune, Ausl, Arpae, ConAmi e Formula Imola Spa, uno specifico protocollo, successivamente sostituito nel 2020 con un altro accordo firmato da Comune, Arpae e Ausl. I protocolli, pur nel rispetto delle specifiche competenze dei soggetti sottoscrittori, rappresentano uno strumento di raccordo fra le diverse esigenze per rendere sostenibile, sul piano ambientale, un’infrastruttura che per sua natura e collocazione ha un impatto significativo sulla città, tramite la condivisione delle informazioni, delle criticità e della ricerca di azioni migliorative.

I principali obiettivi degli atti sottoscritti sono i seguenti: implementare la conoscenza del clima acustico delle zone circostanti la struttura sportiva, rendere pubblici i dati di rilevamento ambientale, valutare la ricaduta territoriale

delle emissioni sonore prodotte dall’autodromo, valutare i possibili interventi di mitigazione, condividere le regole per la predisposizione di un piano di gestione acustica e autoregolamentazione dell’attività da parte del gestore.

Nell’ambito di quanto previsto dalla normativa e degli accordi locali, compito del gestore è quello di verificare il corretto funzionamento delle centraline di monitoraggio, eseguendo le necessarie manutenzioni ordinarie e straordinarie e le periodiche tarature, provvedendo, con cadenza mensile, allo scarico, elaborazione e trasmissione ad Arpae dei dati registrati dalle postazioni di misura.

I dati acquisiti nel corso degli anni dal sistema di monitoraggio rappresentano un riferimento per il gestore nella programmazione annuale delle attività.

Le singole manifestazioni motoristiche sono infatti distribuite nel corso della stagione sulla base dei calendari delle varie Federazioni motoristiche, delle esigenze commerciali e dei livelli sonori attesi. Verifiche tecniche sono inoltre eseguite dagli addetti alla pista durante le giornate di attività, anche con misure fonometriche puntuali, finalizzate ad accertare la conformità acustica dei singoli veicoli alle regole contrattuali sottoscritte e a definire il numero dei mezzi che possono accedere contemporaneamente in pista.

Arpae esegue la verifica del corretto funzionamento delle centraline fonometriche del sistema di monitoraggio dell’autodromo mediante misure comparative con la propria strumentazione, il controllo amministrativo sulla documentazione tecnica relativa alla strumentazione utilizzata dal gestore, l’esecuzione di ulteriori monitoraggi presso abitazioni, edifici scolastici o aree circostanti la pista motoristica.

Oltre all’attività istituzionale sopra riportata Arpae esegue, con cadenza di norma mensile, anche la verifica e la validazione dei dati elaborati dal gestore, trasmettendo una specifica relazione tecnica a Comune e Ausl.

Se necessario vengono eseguite anche elaborazioni e valutazioni specifiche dei dati rilevati dalla rete di monitoraggio con l’obiettivo di approfondire l’esposizione sonora complessiva di ricettori sensibili quali ad esempio le strutture scolastiche presenti nell’intorno dell’infrastruttura motoristica, oltre a studi specifici su alcuni ricettori sensibili al fine di acquisire elementi di conoscenza utili anche a individuare eventuali interventi di mitigazione.

Dati, informazioni, valutazioni e criticità emergenti vengono riportati all’interno di un tavolo tecnico, istituito nell’ambito dei protocolli operativi, che rappresenta un importante momento di confronto fra i diversi soggetti sottoscrittori, per cercare, attraverso le rispettive competenze e conoscenze, di giungere a decisioni e soluzioni che contemperano i diversi interessi coinvolti.

Il tavolo tecnico si riunisce periodicamente, coinvolgendo in alcuni casi anche la proprietà e la gestione dell’impianto, oltre ai rappresentanti di altre realtà interessate, come dirigenti scolastici e comitati cittadini, per confrontarsi su tematiche specifiche. Proprio in considerazione dell’importanza che riveste l’autodromo in merito al clima acustico della città è attualmente in fase di predisposizione, da parte del Comune di Imola, una revisione del piano di risanamento comunale del polo funzionale autodromo.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 55
Tiziano Turrini, Raffaele Ferrillo Arpae Emilia-Romagna

INQUINAMENTO ACUSTICO

MARCHE, IL RUMORE A 20 ANNI DALLA LEGGE REGIONALE

IN ATTUAZIONE DELLA LEGGE QUADRO 447/95, LA REGIONE HA

UN

In attuazione della legge quadro 447/95, la Regione Marche ha emanato un proprio corpus di provvedimenti: la Lr n. 28 del 14/11/2001 e le Dgr 896/2003 e 809/2006. La completezza con cui sono stati elaborati questi testi ha prodotto una grande consapevolezza in merito alla tutela dall’inquinamento acustico e un corrispondente fermento del mercato professionale. In questo articolo vengono illustrati gli effetti della legge regionale a vent’anni dalla sua emanazione.

Le origini della legge e gli strumenti attuativi

La legge quadro sull’inquinamento acustico 447/95, all’art. 4 comma 1, ha attribuito alle Regioni il compito di introdurre con una propria legge tutta una serie di criteri indispensabili per definire a livello locale le norme per la tutela dell’ambiente abitativo ed esterno dall’inquinamento acustico.

La Regione Marche ha ottemperato a questo obbligo attraverso l’emanazione della Lr 28/01 recante “Norme per la tutela dell’ambiente esterno e dell’ambiente abitativo dall’inquinamento acustico nella Regione Marche”.

In attuazione di questa sono state successivamente pubblicate la Dgr 896/2003, contenente i criteri e le linee guida specifici in materia, e la Dgr 809/2006, con parziali modifiche rispetto alla delibera precedente. Questi provvedimenti hanno fornito specifiche e dettagliate disposizioni in merito alle competenze di Regione, Province e Comuni oltre che ai criteri per: - la classificazione e la caratterizzazione acustica dei territori comunali - la redazione dei piani di risanamento acustico comunali e di quelli volontari delle imprese - la redazione dei piani di risanamento delle infrastrutture di trasporto di interesse regionale e locale

FIG. 1 TCA

Densità dei tecnici competenti in acustica per km2. Dati nelle diverse Regioni italiane [1, 3, 4].

Fonte: https://agentifisici. isprambiente.it/enteca/ home.php www.regione.marche.it/ Regione-Utile/Ambiente/ Rifiuti-e-inquinamento/ Inquinamento-acustico dati Istat 2019.

FIG. 2 PCAC

Regioni con più del 50% di Comuni dotati di Piani di di classificazione acustica comunale. Dati dell’ Osservatorio rumore di Ispra.

Fonte: https://agentifisici. isprambiente.it/index.php/ rumore-37/osservatoriorumore/banca-dati

0,14 0,12 0,10 0,08 0,06 0,04 0,02 0

TCA/km 2 Abruzzo 100 90 80 70 60 50

BasilicataCalabriaCampaniaEmilia-Romagna

Liguria Molise Sicilia FriuliVeneziaGiulia

Lombardia Piemonte Toscana Lazio Marche PugliaSardegnaTrentino-AltoAdigeUmbriaValled’AostaVeneto

Percentuale

Valled’Aosta MarcheLombardia Toscana Veneto LiguriaPiemonteEmilia-Romagna Umbria TrentinoAlto-Adige Lazio FriuliVeneziaGiulia

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 56
APPROVATO CORPUS COMPLETO DI PROVVEDIMENTI CHE HA PRODOTTO UN CIRCUITO VIRTUOSO E CONTRIBUITO ALLA DIFFUSIONE DI UNA GRANDE CONSAPEVOLEZZA, IN MERITO ALLA TUTELA DAL RUMORE, TRA GLI ENTI RESPONSABILI DELLE AUTORIZZAZIONI E DEI CONTROLLO E I PROFESSIONISTI.

- la redazione delle relazioni biennali sullo stato acustico del Comune - la redazione della documentazione di impatto e clima acustico - la certificazione acustica degli edifici - il rilascio delle autorizzazioni comunali per le attività temporanee. In particolare, gli aspetti più rilevanti introdotti da tale normativa riguardano la descrizione dettagliata di come devono essere redatte le relazioni acustiche di progetto da presentare a fini autorizzativi (impatto, clima acustico e certificazione acustica degli edifici) e la predisposizione di uno schema di “regolamento-tipo” per le attività temporanee con apposita modulistica.

Inoltre già dal 2003 la Dgr 896/03 ha posto l’attenzione sull’utilizzo nei cantieri di macchine conformi alla direttiva 2000/14/CE che era stata da poco recepita con il Dlgs 262/2002.

Gli effetti della normativa regionale sull’inquinamento acustico

Nelle Marche si contano a oggi iscritti all’elenco nazionale Enteca, previsto dal Dlgs 42/2017, 1.241 tecnici competenti in acustica (Tca), circa 1 ogni mille abitanti della Regione e oltre 1 ogni 10 km2 (figura 1)

Confrontando questi dati con quelli corrispondenti delle altre regioni si evidenzia come le Marche siano ai primi posti a livello nazionale, a conferma di come il rinnovato interesse verso la tutela dall’inquinamento acustico, prodotto da questa normativa, abbia generato grande fermento nel mercato. Anche per quanto riguarda l’approvazione dei piani di classificazione acustica comunale (Pcac) la Regione Marche si attesta tra le prime in Italia (figura 2). In questo caso, oltre a una normativa dettagliata che ha aiutato i Comuni nel procedere a questo adempimento, ha giovato il provvedimento che ha reso l’approvazione dei Pcac propedeutica alla possibilità di apportare delle varianti ai Piani regolatori generali. Di conseguenza le amministrazioni comunali hanno ricevuto un forte stimolo nell’approvazione dei Pcac tanto che a oggi, e già da diversi anni, 220 Comuni su 227, pari al 97%, risultano dotati di piano. Questi numeri attestano la Regione Marche al secondo posto a livello nazionale, dietro solo alla Valle d’Aosta, avente 74 comuni e una copertura del 100% (dati Istat 2019 e Osservatorio rumore di Ispra).

TAB. 1 ATTIVITÀ ARPAM

Attività di Arpa Marche in campo acustico.

*I dati relativi alle misure del 2020 sono fortemente condizionati dalle restrizioni conseguenti alla pandemia da Covid-19.

Fonte: Dati Arpam.

2007 19 42 0 0 61 553

2008 31 25 2 0 58 503 2009 13 28 2 0 43 409

2010 7 36 1 0 44 354

2011 12 45 1 0 58 323 2012 19 39 0 0 58 361

2013 7 25 4 1 37 326

2014 10 20 0 0 30 501 2015 13 20 0 0 33 473

2016 5 18 0 0 23 620

2017 2 25 4 0 31 363

2018 4 21 1 0 26 275

2019 0 21 0 1 22 322

2020* 3 3 0 0 6 389

Le ricadute sulle autorizzazioni e i controlli

La Lr 28/01 e le Dgr a essa correlate hanno creato condizioni di interesse alla problematica dell’inquinamento acustico che, forse anche per via del suo aspetto puntuale rispetto ad altre tematiche ambientali, troppo spesso veniva messa in secondo piano, spostando l’attenzione a eventuali casi da risolvere specificatamente attraverso interventi ex post.

Infatti da un’analisi dei dati Arpam degli ultimi 14 anni in merito al rilascio di pareri e controlli effettuati si evidenzia come, a fronte di un elevato numero di autorizzazioni rilasciate, nel corso degli anni le attività di controllo effettuate su segnalazione hanno subito una notevole diminuzione con una leggera prevalenza per quanto riguarda le attività produttive (tabella 1).

Per i servizi commerciali la riduzione risulta meno marcata in quanto condizionata dalle attività temporanee di intrattenimento musicale, soprattutto nelle zone costiere e nei periodi estivi. Dal numero di misure effettuate relativamente al rumore generato dalle infrastrutture di trasporto (strade e ferrovie) si evidenzia come tale problematica rivesta un ruolo marginale rispetto alle altre sorgenti.

Le opportunità future

L’accuratezza della normativa della Regione Marche in materia di inquinamento acustico ha creato un circuito virtuoso sulla tematica che ha coinvolto gli enti preposti alle autorizzazioni, quelli addetti al controllo e i professionisti; oltre a limitare i casi di disturbo da rumore ha parallelamente contribuito ad accrescere il mercato che ruota attorno alla materia.

Tale normativa sebbene ben strutturata necessita comunque di aggiornamenti. Un importante slancio potrebbe essere prodotto dalle opportunità che si verranno a creare nell’immediato futuro, dall’emanazione dei decreti previsti dal Dlgs 42/2017, dai provvedimenti che verranno emanati a seguito del Pnrr, nonché dai cosiddetti Ecobonus e Sismabonus, in merito all’acustica in edilizia, di cui alla legge 77/2020 di conversione del cosiddetto decreto Rilancio (Dl 34/2020).

Ulteriori sviluppi potrebbero venire dal processo già avviato con l’istituzione del Ministero della Transizione ecologica, che si auspica intervenga anche su una tematica così importante come l’inquinamento acustico.

Enrico Lanciotti, Stefania Barletti, Emidio Bellabarba, Daniela Giuliani, Paolo Micucci, Marta Rabini, Barbara Scavolini

Arpa Marche

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 57
Misure attività produttive Misure servizi commerciali Misure strade Misure ferrovie Totale misure Pareri rilasciati

CARATTERIZZAZIONE ACUSTICA DEL GIOCO PADEL

INQUINAMENTO ACUSTICO

Il padel è uno sport che si sta ampiamente diffondendo e molti sono i campi da gioco nati per venire incontro alla richiesta di maggiori infrastrutture sportive; campi da gioco in contesti urbanizzati stanno creando problematiche di disturbo da rumore nei confronti delle residenze situate in prossimità di questi ultimi. Questo lavoro si pone l’obiettivo di fornire, attraverso una banca dati di misure effettuate, la descrizione acustica del fenomeno padel come strumento utile per la redazione di valutazioni di impatto acustico.

Perché misurare il rumore del padel

Il padel è una disciplina sportiva, simile al tennis, nata in Messico negli anni ’70 che si gioca in doppio, ossia con due squadre da due elementi ciascuna utilizzando una racchetta a forma di “pala” solida e forata. Per le sue caratteristiche di sport facilmente accessibile, dinamico e accattivante, il padel, pur non essendo ancora annoverato tra le discipline olimpiche, sta riscuotendo un grande successo tanto che a oggi arriva a contare oltre 360 club affiliati.

I campi da padel non richiedono l’utilizzo di grandi superfici e quindi sono facilmente realizzabili anche in zone più densamente abitate. Il campo di gioco regolamentare è realizzato tramite una specifica pavimentazione e una recinzione costituita da griglie metalliche e “pareti” composte da pannelli di materiali resinosi e sintetici, plexiglass ecc.

Il padel è uno sport che negli ultimi anni ha riscosso un grande interesse, tanto che sono stati realizzati moltissimi campi da gioco e altri se ne prevedono nel prossimo futuro.

Tale attività, nella provincia di Ascoli Piceno, ha creato in diversi casi non pochi problemi dal punto di vista del rumore prodotto tanto che, nel mese di aprile del 2019, a seguito di un esposto da parte di

residenti prossimi a un centro sportivo, il Comune competente ha chiesto ad Arpa Marche la verifica del rispetto dei limiti di rumore previsti dalla normativa vigente. I rilevamenti fonometrici effettuati dai tecnici competenti in acustica dell’Arpam, oltre che a riscontrare un effettivo superamento del valore limite differenziale diurno nella condizione di finestre aperte, hanno evidenziato anche la presenza di componenti impulsive. L’atto amministrativo di diffida con la richiesta di risanamento acustico emesso dal Comune sulla base delle risultanze del rilevamento fonometrico da parte dell’Arpam, ha creato molto scalpore anche presso la stampa locale tanto che diversi giornali titolavano “I giocatori di padel fanno troppo rumore. Il Comune chiude il circolo” e “Chiudono tre campi di ‘Padel Time’: i rumori sono troppo forti ”. La risonanza mediatica ha destato molta preoccupazione nei titolari di impianti e in quelli interessati alla realizzazione di nuovi. Su mandato di questi, diversi tecnici competenti si sono rivolti ad Arpam per avere informazioni relative al rumore prodotto da questa attività sportiva, le cui caratteristiche a oggi risultano per lo più sconosciute.

Modalità e risultati delle misure

Il rumore generato dal Padel è essenzialmente: - dovuto ai colpi della racchetta sulla pallina e di quest’ultima sulle pareti della recinzione - di natura antropica dovuta ai giocatori. Per descrivere la sorgente è stata effettuata una serie di misure nelle principali direzioni di emissione rappresentate dai lati (lungo e corto) del campo ed è stata verificata la rilevanza delle due componenti di rumore sopra descritte. Le misure sono state effettuate, con l’utilizzo di 2 fonometri Brüel & Kjær modello 2250, nell’intorno del campo da padel del Circolo tennis Piceno di Ascoli Piceno che ha permesso lo svolgimento dell’attività. I rilevamenti sono stati eseguiti nella posizione centrale dei due lati del campo alle distanze di 2,5 e 5 m dal confine del campo e alle altezze di 1,5 e 4 m (figura 1).

I rilievi fonometrici sono stati condotti in diversi giorni, nei quali il campo era occupato da atleti differenti per sesso, preparazione fisica, agonismo e capacità. Per ogni punto sono state effettuate misure della durata di 10 minuti. L’elaborazione dei dati si è concentrata sulle misure effettuate nella peggiore condizione acustica, che è risultata

FIG. 1 PUNTI DI MISURA Schema di un campo da padel con dimensioni e posizionamento dei punti di misura.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 58
L’ESPERIENZA DI ARPA MARCHE NELLA MISURA E GESTIONE DELL’INQUINAMENTO ACUSTICO PRODOTTO DAL PADEL, UNO SPORT SIMILE AL TENNIS, CHE HA RACCOLTO NEGLI ULTIMI TEMPI UN AMPIO CONSENSO TRA GLI SPORTIVI, MA IL CUI RUMORE, SOPRATTUTTO QUANDO SVOLTO IN IMPIANTI VICINI ALLE ABITAZIONI, HA PORTATO MOLTO DISAGIO AI RESIDENTI.
A1
D1
–D2
C1
–C2
d=5m
B1 (h 1,5m) – B2 (h 4m)
(h 1,5m) – A2 (h 4m) d=2,5m d=5m 10 m 20 m
(h 1,5m)
(h 4m)
(h 1,5m)
(h 4m)
d=2,5m

essere quella relativa a partite giocate da 4 uomini adulti, in quanto il rumore prodotto è sempre superiore a quello generato da squadre femminili o miste. Per ogni misura è stato determinato il LAeq e da questo sono stati estrapolati i livelli di rumore dovuti ai colpi e quello di natura antropica. Tutte le misure risultano caratterizzate dalla presenza di componenti impulsive. Nella tabella 1 vengono riportati il valore medio, massimo, minimo e la deviazione standard delle misure. Il livello di rumore residuo rilevato alle altezze di 1,5 m e 4 m è risultato rispettivamente pari a 44,3 dB e 45,0 dB.

In figura 2 e 3 si riportano i grafici relativi a vari confronti delle distribuzioni dei livelli di LAeq misurati nei diversi punti di misura.

Considerazioni finali

Dall’analisi dei risultati si evince chiaramente che il rumore rilevato sul lato lungo risulta superiore a quello del lato corto anche nei punti a 4 m e quindi meno soggetti all’effetto schermante della parete (cfr. A2-C2).

Il LAeq rilevato sia nel punto A sia nel punto B al variare dell’altezza (1,5 m e 4 m) rimane sostanzialmente stabile in quanto ci si trova in una posizione relativamente vicina al lato lungo del campo, caratterizzato dalla presenza della griglia metallica che non ostacola la propagazione del rumore; diversamente, mantenendo il fonometro a una altezza fissa (1,5 m o 4 m) con il passaggio dal punto A a 2,5 m al punto B a 5,0 m di distanza dalla recinzione, si osserva un decadimento di circa 2 dB sul livello totale. Relativamente al lato corto si è evidenziato che, con il passaggio da 4 m a 1,5 m da terra, si assiste a una diminuzione dei livelli di LAeq a causa dell’attenuazione della parete con cui è realizzato questo lato; tale diminuzione risulta più marcata nel punto C (~7 dB) in cui la distanza tra fonometro e parete è pari a 2,5 m, in quanto l’effetto di schermo risulta più efficace a distanza ravvicinata, rispetto al punto D (~5 dB) distante 5 m.

Nel passaggio dal punto C al punto D (da 2,5 m a 5 m di distanza) si osserva che il decadimento del rumore complessivo assume un comportamento più irregolare, poco meno di 3 dB per i rilevamenti a 4 m e circa 1 dB per quelli a 1,5 m, infatti la parete risulta efficace in termini di attenuazione solo sul rumore antropico, mentre nel rumore dei colpi diventa a sua volta sorgente in quanto parte attiva del gioco.

TAB. 1 MISURE DI RUMORE

Risultati delle elaborazioni delle misure.

A1 A2 B 1 B2 C1 C2 D1 D2

LAeq medio - Misura [dB] 63,0 63,0 61,0 61,0 51,3 58,2 50,4 55,5 dev. st. 1,8 1,8 1,1 1,0 1,8 2,3 2,8 3,3

LAeq min - Misura [dB] 60,8 61,3 59,5 59,8 48,8 55,0 46,2 51,3

LAeq max - Misura [dB] 66,2 66,2 63,1 62,9 54,5 63,8 56,1 61,4

LAeq medio - Solo colpi [dB] 68,8 68,9 66,8 67,0 58,3 63,5 56,5 60,7

dev. st. 1,5 1,4 1,1 0,9 1,5 1,3 2,8 2,4

LAeq min - Solo colpi [dB] 67,3 67,6 65,8 66,1 56,3 61,9 53,3 57,9

LAeq max - Solo colpi [dB] 70,7 70,8 68,4 68,2 60,5 65,9 60,0 63,8

LAeq medio - Antropico [dB] 57,5 57,2 54,3 54,2 47,4 54,1 47,3 51,9

dev. st. 3,2 3,4 1,3 1,3 1,7 2,7 3,0 4,7

LAeq min - Antropico [dB] 54,3 53,6 52,8 52,7 44,3 50,0 43,8 46,8

LAeq max - Antropico [dB] 61,8 61,4 55,8 55,8 50,6 59,4 51,5 59,0

Distanza fonometro-parete d=2,5m

A1 (h=1,5m) LL A2 (h=4,0m) LL C1 (h=1,5m) LC C2 (h=4,0m) LC

LAeq [dB]

70 65 60 55 50 45

FIG. 2 COMPARAZIONE DISTANZA FONOMETRO-PARETE Confronto delle distribuzioni dei livelli di LAeq misurati a diverse altezze mantenendo fissa la distanza fonometro parete.

LAeq [dB] LAeq [dB] LAeq [dB]

B1 (h=1,5m) LL B2 (h=4,0m) LL D1 (h=1,5m) LC D2 (h=4,0m) LC

Altezza fonometro-terreno h=1,5m

Altezza fonometro-terreno h=4,0m

A1 (d=2,5m) LL B1 (d=5,0m) LL C1 (d=2,5m) LC D1 (d=5,0m) LC

Distanza fonometro-parete d=5,0m 70 65 60 55 50 45 70 65 60 55 50 45

70 65 60 55 50 45

FIG. 3 COMPARAZIONE ALTEZZA FONOMETRO-SUOLO Confronto delle distribuzioni dei livelli di LAeq misurati a diverse distanze dal campo mantenendo fissa l’altezza.

In conclusione si ritiene che nelle valutazioni di impatto acustico relative alla sorgente padel si debba tener conto dei seguenti fattori:

1) la sorgente risulta caratterizzata da componenti impulsive

2) la sorgente produce minore rumore lungo la direzione del lato corto per via degli effetti di schermo della parete

3) i livelli di rumore dovuti ai colpi e quelli di natura antropica incidono

A2 (d=2,5m) LL B2 (d=5,0m) LL C2 (d=2,5m) LC D2 (d=5,0m) LC

rispettivamente per un 20% e un 80% della durata della misura. Un approfondimento futuro potrebbe essere quello di valutare il comportamento acustico a distanze considerevolmente maggiori.

Emidio Bellabarba, Enrico Lanciotti, Emanuela Apostoli Arpa Marche

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 59

EFFETTI DEL RUMORE DEI FUOCHI DI FINE ANNO SUI CANI

INQUINAMENTO ACUSTICO

In quasi tutto il mondo la notte del 31 dicembre è tradizione sparare petardi e fuochi per allontanare dalle città gli spiriti maligni, a quanto pare molto sensibili al rumore. Tale usanza però, oltre al problema della sicurezza delle persone, determina una serie di inconvenienti tanto che molti comuni ricorrono a ordinanze sindacali volte al divieto d’uso dei fuochi d’artificio per tutelare la qualità dell’aria, la tranquillità dei cittadini nonché la salvaguardia degli animali.

Sono state quindi effettuate misure a cavallo della mezzanotte presso due quartieri residenziali, con lo scopo di caratterizzare la rumorosità prodotta dai “botti di fine anno” e di analizzare gli effetti che questa tipologia di sorgente può produrre sugli animali domestici e, in particolar modo, sui cani.

Risultati delle misure effettuate

Le misure sono state effettuate in due siti, nelle province di Ascoli Piceno e Fermo, nella notte tra il 31 dicembre 2021 e il 1° gennaio 2022 dalle 22.30 alle 1.00 circa. Da queste sono emerse diverse informazioni, molte delle quali erano facilmente intuibili, altre invece determinate a seguito dell’elaborazione dei dati acquisiti, hanno permesso di riscontrare alcune correlazioni tra la rumorosità rilevata e i possibili disturbi generati sui cani. Dall’analisi del tracciato di misura (figura 1) si evince a colpo d’occhio il consistente aumento dei livelli di rumorosità dovuto all’inizio dello scoppio dei primi petardi. In entrambi i siti di misura si sono riscontrati innalzamenti di oltre 20/30 dB della rumorosità rispetto al livello residuo riscontrato in assenza di botti e, come ci si poteva attendere, la presenza di componenti impulsive dovute agli scoppi. Lo spettro in cui si concentra la rumorosità risulta essere compreso circa tra i 100 Hz e i 16 kHz.

FIG. 1 LIVELLI SONORI

Tracciato del Livello LAeq rilevato dalle 23:45 alle 00:20 – Sito 2. FIG. 2

SPETTRI SONORI

140 120 100 80 60 40 20

23.50

Ambientale

Residuo

Il sistema uditivo dei cani e quello

dell’uomo

Gli esseri umani sono spesso portati a pensare che le capacità uditive dei cani siano simili alle loro; in realtà ci sono diversità anche significative, tra ciò che ci aspettiamo che i cani possano sentire e ciò che possono effettivamente ascoltare. Pertanto, prima di esaminare una serie di risposte comportamentali potenzialmente problematiche strettamente associate al funzionamento del sistema uditivo del cane, sono stati ricercati i fattori che maggiormente incidono sulla funzione uditiva stessa. La figura 3 mostra le diversità tra gli audiogrammi per alcune tipologie di cani rispetto a quello del “cane medio” ottenuto come media degli audiogrammi di 11 razze di cane non specificate, da cui si nota come la risposta uditiva è notevolmente influenzata dalla taglia, ossia dalle dimensioni dell’animale

e della morfologia della scatola cranica. Individui più piccoli generalmente sono in grado di percepire frequenze più alte. Nella figura 4 viene messo a confronto l’audiogramma dell’uomo e quello del cane; dalla sua analisi si possono subito evidenziare alcuni aspetti del comportamento dell’udito dell’uomo rispetto a quello del cane. In termini di frequenze, tipicamente, il range udibile dell’uomo va da 20 Hz a 20 kHz mentre per i cani le frequenze udibili vanno dai 65 Hz ai 45 kHz; all’aumentare dell’ampiezza (intensità) però la gamma si allarga.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 60
I PROBLEMI CAUSATI DAI TRADIZIONALI “BOTTI DI CAPODANNO” HANNO SPINTO MOLTI SINDACI A EMETTERE ORDINANZE DI DIVIETO PER LA TUTELA DELLE PERSONE, DELL’AMBIENTE E DEGLI ANIMALI. QUEST’ULTIMI SONO IN PARTICOLARE MOLTO SENSIBILI AL RUMORE. LO STUDIO DI ARPA MARCHE SU QUESTA TIPOLOGIA DI EMISSIONI ACUSTICHE E I RELATIVI EFFETTI SUI CANI.
La sensibilità dei cani al suono è maggiore rispetto a quella dell’uomo a frequenze superiori ai 4.000-8.000 Hz; la soglia di udibilità risulta essere normalmente di 0 dB (livello di pressione sonora, Spl]) a 2 kHz per l’uomo e 0 dB (Spl) tra 1000 Hz e 16000 Hz per i cani, a seconda della loro taglia [3]. L’intervallo di sovrapposizione della soglia Leq dB LAeq dBA KI f Hz Leq dB LAeq dBA KI f Hz
Sito 1 84,23 80,0 sì 100-16000 53,6 45,4 noSito 2 76,91 71,9 sì 100-16000 56,1 40,01 no -
TAB. 1 DATI Sintesi dei dati rilevati.
12,50
31,50 50
125 200 315 500 800 1.250
3.150
12.500
Spettro in terzi d’ottava del rumore residuo (in rosso) e ambientale (in azzurro) nel Sito 2.
23.55 00.00 00.05 00.10 00.15 80 60 40 20 0 Frequenza Hz Livello dB
20
80
2.000
5.000 8.000
20.000

uditiva dell’uomo e del cane, benché presente, risulta ancora oggi oggetto di studi in quanto la sua localizzazione risulta influenzata dalla taglia dell’animale e dalla frequenza utilizzata.

Effetti del rumore dei fuochi sui cani

Di seguito si riportano i principali effetti che possono riscontrarsi nei cani a seguito dell’esposizione al rumore prodotto dai botti di fine anno. La paura è un’emozione vitale per la possibilità di sopravvivenza di qualsiasi specie animale, in quanto preserva dai rischi che potrebbero essere fatali nel caso non determinassero una reazione di fuga o difesa. La fobia, come forma disadattativa dell’emozione primaria “paura”, rappresenta una deriva patologica che può influire negativamente sul benessere individuale dell’animale e sulla relazione con la famiglia di appartenenza. Una risposta fobica può determinare lo sviluppo di patologie comportamentali quali ansia da separazione, caratterizzata da manifestazioni produttive –distruzioni, abbai, sintomi gastroenterici, alterazioni del ritmo cardiaco e respiratorio, scialorrea, insonnia – ed evolvere nella depressione, o complicarsi in quanto tale. In alcuni cani, infatti, la fobia può provocare risposte aggressive intense che, essendo prodotte da uno stato emotivo violento, possono produrre danni importanti su chi le subisce. Nel caso specifico del rumore generato dai fuochi di fine anno il fenomeno generato è descritto in letteratura col termine di fonofobia con un quadro sintomatologico inizialmente espresso durante l’esposizione allo stimolo fobogeno, che si manifesta anche in situazioni differenti, con stimolazioni diverse da quelle che precedentemente

erano l’unica causa di attivazione del sistema noradrenergico, alla base della risposta fobica.

La fonofobia nel cane è riconosciuta tra le forme di fobie specifiche con la sintomatologia più violenta, che si presentano in molti soggetti con veri e propri attacchi di panico – tremore violento, fuga incontrollata, reazioni aggressive violente, sintomi cardiorespiratori intensi – rappresentando, peraltro, la seconda patologia comportamentale maggiormente rilevata in questa specie. Tra le cause di questa patologia comportamentale sono annoverate l’anatomia del sistema uditivo del cane, traumi pregressi, predisposizione genetica di razza e altre cause che possono determinare anche una predisposizione di taluni soggetti a presentare sintomi più o meno violenti.

Nella varietà di sintomi e di intensità della loro espressione, la fonofobia può determinare un enorme disagio per l’animale con conseguenti manifestazioni ansiose dannose per l’ambiente di vita, la relazione con la famiglia e altri animali conviventi, rischi per la sopravvivenza, fortissima compromissione del benessere sul breve e lungo termine. In alcuni soggetti, secondo quanto rilevato da

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Riemer [4], la ripresa di una vita normale e la remissione dei sintomi, dopo il periodo di esposizione allo stimolo fobogeno, può richiedere da molti giorni a settimane, determinando in alcuni casi un’alterazione cronica e invalidante del comportamento dell’animale.

Conclusioni e prospettive future

Dalle caratteristiche acustiche dei fuochi di fine anno ricavate dalle misure effettuate, è possibile notare come lo spettro in cui si concentra la rumorosità dovuta alle esplosioni ricade nel range di frequenze in cui il cane presenta certamente una maggiore sensibilità al suono. Pertanto tali valori, che potremmo classificare come “fastidiosi” per l’uomo, possono essere percepiti come “insopportabili” per il cane che reagisce a questi secondo uno o più effetti che vanno ad alterare il suo stato e il rapporto con i simili e con la famiglia in cui è inserito.

Enrico Lanciotti1, Emidio Bellabarba1, Maria Chiara Catalani2

1. Arpa Marche

2. Medico veterinario esperto in comportamento animale, Perugia

[1] Strain G.M., Hearing frequency ranges for dogs & other species, 2017, www.lsu.edu/deafness/HearingRange.html

[2] Heffner H.E., Heffner R.S., 1992, “Auditory perception”, in Phillips C., Piggins D. (eds), Farm animals and the environment, Cabi, Wallingford, Uk.

[3] Barber A.L.A., Wilkinson A., Nontealegre-Z F., Ratcliffe V. F., Guo K., Mills D.S., 2020, “A comparison of hearing and auditory functioning between dogs and humans”, Comparative Cognition & Behavior Reviews, Volume 15, DOI:10.3819/CCBR.2020.150007.

[4] Riemer S., 2020, “Effectiveness of treatments for firework fears in dogs”, Journal of Veterinary Behavior, 37, 61e70.

FIG. 3 AUDIOGRAMMA

Bernardo

FIG. 4 CONFRONTI AUDIOGRAMMA Confronto fra l’audiogramma umano (linea tratteggiata) e quello medio del cane [2].

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 61
Audiogramma medio di 11 razze di cane non specificate (curva 1) e del Barboncino (curva 2), Bassotto (curva 3), San
(curva 4) e Chihuahua (curva 5) [1]. 80 70 60 50 40 30 20 10 0 -10 -20 -30 -1 -2 -3 -4 -5 10 100 16 63 32 125 500 2K Frequenza in Hz Soglia in dB riferita a 20 μ Pa 8K 32K 128K 80 60 40 20 0 -20 250 1K 4K 16K 64K 1000 Frequency (Hz) M 14 – 0 Cane dB SPL 10000 100000

INQUINAMENTO ACUSTICO

AEROPORTO DI CIAMPINO, UN CASO NAZIONALE PER RUMORE

(PCAR)

L’aeroporto “G.B. Pastine” di Ciampino, con i suoi livelli di inquinamento acustico, rappresenta il primo caso in Italia di approvazione per gli aeroporti del Piano degli interventi di contenimento e abbattimento del rumore (Pcar) da parte del Ministero dell’Ambiente ai sensi del Dm 29 novembre 2000.

L’iter di approvazione del decreto è stato lungo e articolato a causa della complessità dei temi trattati, per il dibattito instauratosi lungo il percorso dell’istruttoria e per il contenzioso amministrativo avviato successivamente all’emanazione del decreto. L’iter istruttorio ha previsto il coinvolgimento del Ministero, della Regione Lazio, dell’Ispra, dell’Arpa Lazio e dei Comuni interessati. Il decreto ministeriale di approvazione è stato oggetto di ricorso al Tar e al Consiglio di Stato da parte dei principali operatori di volo coinvolti, oltre che del gestore aeroportuale, ma la sentenza del CdS n. 6976 del 18/10/2021 ha definitivamente sancito la validità del decreto ministeriale in tutti i suoi aspetti, rendendo cogente il Pcar dell’aeroporto di Ciampino.

Prima del Pcar

L’aeroporto di Ciampino (che con la sua operatività coinvolge i comuni di

Roma, Ciampino e Marino) fino al 1998, in qualità di aeroporto “militare aperto al traffico civile”, era interessato prevalentemente da voli militari e istituzionali. Con lo sviluppo dei voli low cost, dalla fine degli anni ‘90 ha subito una crescita importante sia nel numero dei voli, ma soprattutto nel numero di passeggeri (figura 1).

L’aumento dell’operatività ha generato da una parte importanti contenziosi sul territorio per problematiche connesse con l’inquinamento acustico, dall’altra però ha stimolato investimenti sull’infrastruttura da parte degli operatori coinvolti al punto da aumentarne l’importanza strategica sul piano infrastrutturale, con la conseguente riclassificazione quale “aeroporto di interesse nazionale” (vedi Dpr n. 201 del 17/09/2015).

Dal 2008 l’Arpa Lazio ha avviato una propria rete di monitoraggio in continuo del rumore generato dall’aeroporto con l’ausilio di stazioni fisse di rilevamento, supportando diversi studi – tra cui quelli svolti dal Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio – che hanno mostrato evidenze statistiche di effetti sulla salute dei residenti nell’area circostante l’aeroporto e una possibile associazione tra rumore ambientale misurato all’esterno delle scuole e difetti sia nella discriminazione uditiva dei bambini sia nelle capacità di apprendimento (vedi studi Sera e Samba).

Nel 2010 è stata approvata la “caratterizzazione acustica dell’intorno aeroportuale” (c.d. Piano di zonizzazione acustica aeroportuale) delimitando l’area di pertinenza aeroportuale con i relativi limiti acustici da non superare (espressi in livello di valutazione del rumore aeroportuale Lva e livello equivalente LAeq) come definiti dal Dm 31/10/1997 e successivi decreti attuativi della legge quadro 447/1995.

Dal 2010 i risultati del monitoraggio hanno evidenziato costanti superamenti dei parametri acustici rilevati (sia Lva che LAeq) presso alcune stazioni. Conseguentemente, il gestore aeroportuale ha redatto il Piano di contenimento e abbattimento del rumore (Pcar) secondo quanto prescritto dal decreto del Ministero dell’Ambiente 29 novembre 2000.

Il Piano degli interventi e il Dm 345/2018

Ai sensi della legge 447/1995 “nel caso di superamento dei valori di cui al comma 2” (nella versione ante modifica apportata dal Dlgs 42/2017), sulla base del Dm 29/11/2000 il gestore Aeroporti di Roma Spa (AdR) a dicembre 2013 ha trasmesso il primo Pcar dell’aeroporto. Il piano è stato trasmesso alla Regione Lazio, ai

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 62
IL PIANO DEGLI INTERVENTI DI CONTENIMENTO E ABBATTIMENTO DEL RUMORE È LO STRUMENTO CON CUI L’ALLORA MINISTERO DELL’AMBIENTE È RIUSCITO AD AVVIARE UN PERCORSO DI MITIGAZIONE DELL’INQUINAMENTO ACUSTICO DI UNA INFRASTRUTTURA COSÌ IMPORTANTE ANCHE PER L’UTILIZZO AI FINI ISTITUZIONALI.
FIG. 1 NUMERO DI VOLI E PASSEGGERI Numero di voli e passeggeri annuali nel periodo 1998-2019 (gli anni successivi non sono significativi a causa della pandemia da Covid-19). Fonte: www.assaeroporti.com 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 70000 60000 50000 40000 30000 20000 10000 0 Numeri di voli annuali (1998-2019) 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 6.000.000 5.000.000 4.000.000 3.000.000 2.000.000 1.000.000 0 Numeri di passeggeri annuali (1998-2019)

Comuni interessati (Roma, Ciampino e Marino) e al Ministero dell’Ambiente. L’istruttoria di approvazione è stata seguita dalla Regione, secondo la propria regolamentazione vigente (Lr 18/2001 art. 26) che delega ai Comuni la funzione di approvazione. A marzo 2014 i Comuni hanno rigettato il Piano redatto da AdR. Nel novembre 2015 AdR ha trasmesso un nuovo Pcar, ma – a seguito della nuova classificazione quale aeroporto “di interesse nazionale” – la competenza autorizzativa è stata trasferita al Ministero dell’Ambiente. Il nuovo Piano prevedeva in sintesi le seguenti proposte di risanamento:

- riduzione del 30% del numero di voli commerciali da circa 97 a 65 al giorno - distribuzione voli: 100% diurni e 0% notturni

- graduale sostituzione del 50% dei velivoli operanti sullo scalo di Ciampino (prevalentemente Boeing 737/800 e Airbus A320) con nuovi velivoli di ultima generazione a minor impatto acustico. Il nuovo piano, dopo una complessa istruttoria che ha coinvolto Ministero, Regione, Arpa, Ispra e Comuni, è stato approvato con decreto del Mattm n. 345 del 18 dicembre 2018 (pubblicato in Gazzetta ufficiale – serie generale n. 16 del 19/01/2019).

Il decreto si compone di 6 articoli più l’allegato A “Prescrizioni”, strumento individuato per delineare un percorso metodologico di attuazione del piano, consentendone al tempo stesso una continua verifica di attuazione. L’art. 1 approva il piano e l’art. 2 definisce l’obiettivo del risanamento prevedendo che l’aeroporto debba garantire il rispetto dei limiti previsti dal Dm del 31 ottobre 1997 (limiti della zonizzazione acustica aeroportuale) e dal Dpcm 14 novembre 1997 (limiti della classificazione acustica comunale). L’art. 3 definisce il termine di esecuzione del piano: entro 5 anni dalla data di presentazione. L’art. 4 definisce le modalità di controllo assegnando alla Regione Lazio, con il supporto dell’Arpa, il compito di verificare l’ottemperanza delle prescrizioni. L’art. 5 prevede le sanzioni applicabili e l’art. 6 le disposizioni finali.

Conclusioni

Il Dm 345/2018 rappresenta il primo Pcar approvato dal Ministero dell’Ambiente ed è il risultato di un intenso lavoro di studio e di collaborazione messo in campo da parte di tutti gli enti coinvolti. Allo stato attuale, a valle dei contenziosi che

FIG. 2 ROTTE VELIVOLI

Territorio

ne hanno sospeso temporaneamente i tempi di attuazione e della pandemia da Covid-19 che ha fatto slittare alcune tempistiche di attuazione, è in corso il lavoro di verifica di ottemperanza alle prescrizioni e di attuazione degli obiettivi. L’impegno sul piano tecnico e sul piano amministrativo è ancora particolarmente complesso e delicato, anche in virtù degli interessi di settore coinvolti e delle peculiarità connesse con l’aeroporto di Ciampino, ancora fortemente a uso anche istituzionale.

L’obiettivo relativo alla riduzione dei voli commerciali è stato raggiunto, ma è ancora in corso il dibattito sul completo divieto dei voli notturni, viste le specificità connesse con alcune sentenze del Tar. Rimane allo stato attuale ancora non attuata la sostituzione dei velivoli con tipologie a minor impatto acustico. In merito agli interventi compensativi sugli edifici scolastici, i lavori sono in fase conclusiva e sono costantemente oggetto di verifica di ottemperanza da parte di Regione e Arpa.

L’ottemperanza completa agli obiettivi del decreto ancora non è stata sancita e sarà necessario proseguire con i lavori di verifica e confronto tra le parti per

FIG. 3 ZONIZZAZIONE ACUSTICA

garantire ai cittadini la giusta tutela dall’inquinamento acustico, ma il percorso di risanamento è delineato in maniera efficace e inappellabile.

Arpa

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 63
Tina Fabozzi Lazio di interesse dell’aeroporto di Ciampino. Rotte velivoli in vigore dal 3 gennaio 2019 e stazioni di misura del rumore di Arpa Lazio. Mappa della zonizzazione acustica aeroportuale di Ciampino. Limiti di zonizzazione acustica aeroportuale (dBA) Zona A LVA ≤ 65 ZONA B LVA ≤ 75 ZONA C LVA > 75

INQUINAMENTO ACUSTICO

NORMALE TOLLERABILITÀ, VERSO UNA MIGLIORE VALUTAZIONE

LA VALIDITÀ. LA RECENTE SPECIFICA TECNICA UNI/TS 11844 PRESENTA UN CRITERIO AGGIORNATO E SCIENTIFICAMENTE FONDATO PER LA

LA NORMALE TOLLERABILITÀ.

In Italia, per dirimere contenziosi riguardanti l’immissione di rumore in una proprietà privata si fa riferimento all’art. 844 del codice civile: “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi”.

Tuttavia non esiste la definizione esatta di “normale tollerabilità”. Si tratta infatti di un termine ampio e volutamente indefinito per indicare una moltitudine di fenomeni e atteggiamenti che dipendono dai soggetti coinvolti, dalla loro situazione fisica e psicologica, dal contesto sociale e culturale in cui vivono ecc.

Insomma, si tratta di una di quelle categorie inclusive e per ciò stesso vaghe come il “comune senso del pudore”. Come si evolve e cambia il “comune senso del pudore” così si evolve e cambia la “normale tollerabilità”.

Quindi in sede giudiziaria i consulenti tecnici si trovano nella paradossale situazione di dovere presentare una qualche misura in assenza di una chiara definizione del misurando, che per di più è mutevole nel tempo. In mancanza di meglio, diversi decenni fa è stato proposto

FIG. 1

CONFRONTO TRA SPETTRI SONORI

Due spettri sonori molto diversi tra loro che hanno lo stesso valore globale di 43 dB(A).

Lo spettro 1 ha due componenti tonali a 100 Hz e 200 Hz, mentre lo spettro 2 non ha queste componenti ma è più carico in bassa frequenza.

Spettro 1

LpA=43 dB (A)

Spettro 2

LpA=43 dB (A)

il cosiddetto criterio comparativo, che poi si è imposto in sede giudiziaria nonostante le critiche della grande maggioranza dei ricercatori in acustica. Perciò la recentissima pubblicazione della specifica tecnica UNI/TS 11844 [1] è stata vista da molti come la possibilità di superare finalmente il criterio comparativo. A parere dello scrivente, la contrapposizione pura e semplice dei due metodi non risolve il problema della corretta valutazione con riferimento all’art. 844 c.c., che va invece trattato con l’insieme dei metodi disponibili. Nel seguito si cercherà di evidenziare le ragioni di questo giudizio.

Sul criterio comparativo

Il criterio comparativo confronta la differenza aritmetica tra i valori di due descrittori diversi tra loro con il valore limite di 3 dB(A). Il primo descrittore è associato al livello di rumore ambientale e di solito è un livello equivalente ponderato “A” (LAeq,T) - ma a volte è usato anche il livello massimo con costante di tempo Fast (LAF,max). Il secondo descrittore è associato al rumore di fondo ed è sempre il livello percentile LA95 ponderato “A”. Se la differenza aritmetica tra questi due valori è maggiore di 3 dB(A) la normale

tollerabilità sarebbe superata. È evidente che il criterio ha gravi difetti di base che ne inficiano la validità.

Tra gli altri: a) il criterio non ha base tecniconormativa. I suoi sostenitori affermano di rintracciarne l’origine nella vecchia raccomandazione ISO/R 1996 del 1971, ma omettono di ricordare che questa è stata ritirata da decenni e sostituita dalla ISO 1996, che è stata a sua volta aggiornata al progresso tecnico fino all’edizione corrente, divisa in tre parti (ISO 1996-1:2016, ISO 1996-2:2017 e ISO/PAS 1996-3:2022)

b) il criterio impone una scelta rigida dei descrittori, che invece dovrebbero essere scelti dal tecnico rilevatore sulla base di considerazioni tecniche relative al caso specifico in esame (cfr. la UNI 10855).

Per esempio, la scelta del livello LA95 per rappresentare il rumore di fondo non è l’unica possibile; infatti per il medesimo scopo si usa anche il livello percentile LA90; più in generale bisognerebbe valutare attentamente l’intera storia temporale del fenomeno indagato, nel tempo di misura, prima di scegliere il percentile più adatto a rappresentare il rumore di fondo, come insegna la UNI 10855

c) il criterio confronta in modo non corretto grandezze diverse. Non si può confrontare una media energetica – il livello equivalente LAeq,T – con un valore derivato dal conteggio delle occorrenze statistiche – il livello LA95 – che non è una media. È come confrontare mele con banane

d) il criterio impone un valore limite unico e arbitrario per casi molto diversi tra loro. Gli studi di psicoacustica degli ultimi 50 anni dimostrano che la tollerabilità al rumore dipende simultaneamente del valore globale del livello sonoro, della distribuzione dell’energia sonora alle diverse frequenze del suono, della durata del fenomeno, della diversa sensibilità uditiva alle varie frequenze del suono, della diversa

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 64
IL CRITERIO COMPARATIVO SPESSO UTILIZZATO IN SEDE GIUDIZIARIA HA DIFETTI CHE NE INFICIANO VALUTAZIONE DEL RUMORE INTRUSIVO, CHE PUÒ COSTITUIRE UNO DEGLI ELEMENTI PER VALUTARE
55 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 Lp, dB 20 31,5 50 80 125 200 315 500 800 1250 2000 3150 5000 8000 12500 Frequenza, Hz

propensione delle persone ad accettare o meno una specifica tipologia di sorgente sonora, del periodo della giornata (diurno o notturno), del contemporaneo svolgimento di una specifica attività, del contesto sociale, culturale ed economico ecc. [3] Per esempio, la figura 1 presenta due spettri sonori molto diversi tra loro che tuttavia hanno lo stesso valore globale in dB(A). Inoltre, è noto che un aumento del livello di pressione sonora di 3 dB(A) è appena percepibile da una persona con l’udito sano; per ottenere un raddoppio della sensazione uditiva bisogna aumentare il livello sonoro di 10 dB(A) circa e) il criterio scarta a priori metodi affidabili e disponibili, come per esempio quelli esposti nella UNI 10855 [2] o i classici parametri psicoacustici (loudness, sharpness, roughness, fluctuation strength ecc.) [3].

Si potrebbe continuare, ma tanto basta per capire che il criterio comparativo è semplicistico e inadeguato; addirittura rischia di essere fuorviante in molti casi concreti.

Sulla UNI/TS 11844

La UNI/TS 11844 introduce un metodo operativo per determinare quando una specifica sorgente sonora presenta caratteristiche di intrusività rispetto al contesto dovuto a tutte le altre sorgenti. Nell’ambito della signal detection theory [4] ciò significa che il “segnale s” rappresentato dalla sorgente specifica è individuabile nel contesto di altri non di interesse (il “rumore di fondo n”). La decisione del soggetto ricettore (percepisco la sorgente specifica: sì o no) dipende dalle distribuzioni di probabilità della risposta sensoriale al rumore n e al segnale più rumore s+n. Quest’ultima ha la stessa forma di quella del rumore n, ma è spostata verso valori maggiori a causa dell’aggiunta della sorgente specifica (figura 2). Lo spostamento dipende dalla capacità discriminante del ricettore, d’. Gli studi pioneristici di Fidell et al. hanno specificato questa teoria generale nell’ambito psicoacustico arrivando a definire il detectability level D’L [5]. Questo parametro stima l’intrusività sulla base del rapporto dell’energia del rumore intrusivo rispetto al rumore di fondo in ogni singola banda di frequenza del suono (v. scheda tecnica). Si tratta quindi di un confronto tra spettri sonori in funzione della frequenza. A valori crescenti di D’L corrisponde un’intrusività progressivamente crescente.

In appendice alla norma è riportata un’analisi dell’intervallo di variabilità dei valori di D’L relativamente ad alcuni casi tra quelli riscontrabili in situazioni reali. In certi casi questa elaborazione deve essere integrata da ulteriori criteri. Per esempio, è noto che la presenza di componenti tonali ed eventi impulsivi nel rumore intrusivo può influire sulla percezione della intrusività e del disturbo indotto. Allo scopo, in altre appendici della UNI/TS 11844 sono descritte alcune procedure per l’identificazione delle componenti tonali e di eventi impulsivi.

Conclusioni

Si è visto che il criterio comparativo, anomalo rispetto al progresso scientifico degli ultimi 50 anni, è semplicistico e inadeguato. Per dare risposte significative alle esigenze giudiziarie esistono altri criteri con serie basi scientifiche, riportati nelle norme tecniche che sono continuamente aggiornate allo stato dell’arte. La UNI/ TS 11844 [1] presenta un criterio aggiornato e scientificamente fondato per la valutazione del rumore intrusivo, che può costituire uno degli elementi per valutare la normale tollerabilità, assieme alla UNI 10855 [2], ai classici parametri psicoacustici (loudness, sharpness, roughness, fluctuation strength ecc.) [3] e a quant’altro ritenuto necessario dal tecnico acustico incaricato. L’importante è capire che non esiste una risposta unica a problemi diversi; il tecnico deve essere lasciato libero di valutare, per ogni caso specifico, i metodi da impiegare nella descrizione del fenomeno acustico, al fine di fornire all’autorità competente gli elementi necessari a prendere la decisione corretta.

Massimo Garai

Professore ordinario, docente di Acustica applicata, Università di Bologna Presidente della commissione Acustica e vibrazioni di UNI

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

0,50 0,40 0,30 0,20 0,10 0,00

Probabilità della risposta sensoriale -4,0 -2,0 0,0 2,0 4,0 rumore segnale+rumore

FIG. 2 SIGNAL DETECTION

Distribuzioni della risposta sensoriale al solo rumore di fondo e al rumore + segnale specifico e individuazione della detectability d’.

SCHEDA TECNICA

Si riportano di seguito i tre passi essenziali per determinare il detectability level D’L secondo UNI/TS 11844.

1) Per ciascuna i-esima banda (bisognerebbe usare le bande critiche, o bark [3], ma è ammesso usare le comuni bande di un terzo di ottava [1]) con ampiezza BWi si determina il valore di detectability con la relazione: dove Lsi è livello di pressione sonora, in dB, stimato nella i-esima banda per la sorgente specifica sotto indagine e Lri è il corrispondente livello di rumore residuo, in dB.

2) Il valore cumulativo d’c che tiene conto dei contributi di tutte le N bande è dato dalla relazione:

3) Il detectability level si ottiene passando in scala logaritmica: D’L=10log10(d’c)

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 65
UNI/TS 11844:2022, Procedure per la misurazione e l’analisi del rumore intrusivo. [2] UNI
Acustica - Misura e valutazione del contributo
di singole
H.
Psychoacoustics
Facts
[1]
10855:1999,
acustico
sorgenti. [3]
Fastl, E. Zwicker, 2007,
-
and Models, Springer. [4] N.A. McMillan, C.D. Creelman, 2005, Detection theory – A user’s guide, Lawrence Erlbaum Associates, 2nd ed. [5] S. Fidell, S. Teffeteller, R. Horonjeff, D.M. Green. 1979, “Predicting annoyance from detectability of low-level sounds”, J. Acoust. Soc. Am. 66(5), 1427-1434.
d’

INQUINAMENTO ACUSTICO

PROBLEMI APPLICATIVI DELLA NORMA SUL RUMORE INTRUSIVO

UN ESAME CRITICO DELLA SPECIFICA TECNICA

UNI/TS 11844:2022.

LE CRITICITÀ RIGUARDANO LA MANCANZA DI UNIVOCITÀ DELLE MISURAZIONI E LA DIFFERENZA DI VALUTAZIONE RISPETTO AL RISCONTRO SPERIMENTALE DEI TEST DI ASCOLTO, CON PARTICOLARE DIFFICOLTÀ DI APPLICAZIONE IN FASE GIUDIZIARIA PER I

La specifica tecnica UNI/TS 11844:2022 sul rumore intrusivo propone un nuovo criterio per valutare il grado d’intrusività da applicare nelle controversie giudiziarie per immissioni di rumore nelle abitazioni. Il criterio è presentato come applicazione della teoria del rilevamento (detection theory) e dei test di ascolto effettuati da Sandford Fidell e consiste nel calcolo dello spettro per terzi d’ottava con una certa formula. I risultati sono confrontati in una tabella di valutazione dell’intrusività, dalla “trascurabile” alla “molto alta”.

Il parametro adottato per valutare l’intrusività è la detectability (rilevabilità) d’i che esprime la percezione, per ogni i-esimo terzo di ottava, del rumore intrusivo come rapporto (segnale/rumore) dei livelli sonori Lsi e Lri della sorgente specifica del rumore intrusivo e del rumore residuo indicati come esponenti, mentre nella formula originale di Fidell il rapporto è indicato direttamente dai valori dei due segnali (l’intrusivo e il fondo). L’intrusività è espressa in decibel, con il livello di rilevabilità D’L (detectability level) che è il logaritmo della somma (vettoriale) delle detectability d ’ i di tutti i terzi di ottava.

La valutazione della UNI del grado d’intrusività è indicata in una tabella: l’intrusività è giudicata “trascurabile” con D’L < 13 dB, fino alla “molto alta” con D’L ≥ 43 dB.

I risultati non univoci

La prima critica alla UNI è che è lasciata al tecnico ampia libertà di scegliere il parametro della misurazione fonometrica (se livello equivalente L eq o percentile L10 o L90), le durate e il numero delle misurazioni ecc. Ovviamente senza precise indicazioni le misurazioni sono effettuate in modi diversi e quindi anche i risultati del livello di rilevabilità D’L sono diversi pur essendo tutte le misurazioni

“effettuate secondo la UNI”. Ad esempio, la misurazione del lamentato rumore del camminare dal piano di sopra (o del trascinare le sedie o della musica o delle voci) essendo fortemente discontinuo ha differenza tra L10 del camminare e L90 del residuo maggiore rispetto alla differenza tra L eq ambientale e L eq residuo. Perciò lo stesso rumore intrusivo può avere due diversi gradi di valutazione: uno di maggiore intrusività perché D’L è maggiore (con la differenza tra L10 del camminare e L90 del residuo) e l’altro di minore intrusività perché D’L è minore (con la differenza tra L eq ambientale e L eq residuo). Senza queste indicazioni la valutazione dell’intrusività non è univoca e quindi la specifica tecnica UNI non può essere una norma di valutazione.

Differenza tra valutazione dell’intrusività di UNI e di Fidell

La tabella UNI del grado d’intrusività è ripresa (con modifiche) dalla tabella originale formulata da Fidell nel 1981, ma le condizioni di percezione del rumore intrusivo a cui si riferiscono le due tabelle sono diverse tra loro (v. Fidell

La tabella di Fidell si riferisce ai due segnali, dell’intrusivo e del fondo, entrambi appositamente registrati per il test: il partecipante per tutta la durata della prova sente il rumore di fondo (registrato) e deve cliccare quando sente il rumore intrusivo e deve anche indicare il grado di fastidio che avverte. Quindi i due segnali, del rumore di fondo e del rumore intrusivo, sono disponibili separatamente e questo consente a Fidell di misurarli entrambi durante le prove e associarli alla risposta del partecipante. Invece la tabella UNI si riferisce a misurazioni fonometriche effettuate nel mondo reale (non in laboratorio), dove i due segnali (dell’intrusivo e del fondo) sono mescolati e non è fisicamente possibile separarli. Con la UNI si ricava il L eq della sorgente specifica (cioè dell’intrusivo) calcolandolo come differenza logaritmica tra il L eq ambientale e il L eq residuo, necessariamente misurati uno dopo l’altro (in tempi diversi).

La differenza tra i due metodi è che la misurazione dell’intrusivo di Fidell, siccome è di due segnali registrati in

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 66
LIVELLI BASSI E MOLTO BASSI. S., Teffeteller S., 1981, "Scaling the annoyance of intrusive sounds", Journal of Sound and Vibration, 78(2), 291-298).

laboratorio, è sempre ben ripetibile mentre la misurazione della sorgente specifica di UNI, ripetuta in tempi diversi e con gli errori del calcolo della differenza logaritmica (in tutti i terzi di ottava), spesso non è sufficientemente ripetibile con incertezza accettabile. Questo è un grosso difetto della UNI. La tabella di valutazione dell’intrusività di Fidell è in tre colonne: la rilevabilità d ’ (a sinistra), il grado di intrusività (a destra) e l’effetto del rumore intrusivo sulle persone a seconda dell’attività svolta in quel momento, del grado di attenzione e di impegno (al centro). Invece la tabella della UNI (prospetto 3) ha ripreso i 6 gradi d’intrusività di Fidell ma ha tralasciato la seconda delle tre colonne e la menomazione rende la tabella UNI monca, priva della descrizione dell’effetto del rumore sulle persone e sulla collettività. L’obiezione è che, trattandosi di soggettività del fastidio, la descrizione dell’effetto sulle persone è di primaria importanza e non può essere tralasciata.

I test di ascolto con i partecipanti impegnati in videogiochi

Nella tabella UNI i gradi di intrusività, che dovrebbero valutare la percezione del rumore intrusivo da parte di persone nella vita reale (tranquille a casa propria), in realtà si riferiscono alla tabella originaria di Fidell dei test di ascolto con i partecipanti impegnati in stressanti videogiochi che richiedono molto coordinamento tra la vista e la mano per colpire il bersaglio con una pallina e questo abbassa fortemente l’attenzione della percezione del rumore intrusivo. Il livello al quale le persone rilevano i rumori intrusivi con i videogiochi è considerevolmente più elevato, con D’L = 14,2 dB, rispetto al livello D’L = 4 dB degli stessi rumori rilevati senza la distrazione dei videogiochi. La differenza tra i due è di ben 10 dB ed è confermata da altri ricercatori. Ed è esperienza comune che un rumore intrusivo si percepisca di meno quando si è fortemente impegnati in qualche attività anche manuale rispetto a quando si è calmi, rilassati e tranquilli senza far niente. Perciò la valutazione della UNI con valori di D’L < 13 dB non è affatto di intrusività “trascurabile” ma “bassa”, né D’L < 23 dB è “bassa” ma è “media” e così fino all’ultima “molto alta”. L’intera scala della tabella UNI non è affidabile perché D’L sottostima di ben 10 dB il grado di intrusività.

La differenza di valutazione di 10 dB crea poco danno ai livelli alti, perché con D’L > 33 dB che l’intrusività sia “alta” piuttosto che “molto alta” non fa molta differenza, ma ai livelli bassi o molto bassi la differenza di 10 dB può fare danni di valutazione rilevanti perché come già detto con D’L < 13 dB non è vero che l’intrusività sia “trascurabile” come indicato dalla UNI, ma è “bassa”. E occorre chiarire che per il consulente tecnico d’ufficio e il giudice la differenza tra “trascurabile” e “bassa” è rilevante perché trascurabile significa che l’intrusività dell’immissione di rumore in esame deve essere trascurata, quando invece bassa significa che l’intrusività dell’immissione non essendo trascurabile deve essere ancora valutata se tollerabile o non tollerabile. La critica è che la UNI potrebbe far passare come tollerabile un rumore non tollerabile e in questo caso provocherebbe un grave danno alla persona disturbata dal rumore.

Conclusioni

Le obiezioni alla specifica tecnica UNI esposte più sopra sono riassunte come segue e altre per brevità non sono riportate (v. Campolongo G., La percezione del rumore intrusivo nelle abitazioni, Maggioli, 2022): - la valutazione dell’intrusività della UNI non è univoca perché non è precisato se scegliere le misurazioni di L eq o di percentile e con quali durate

- i gradi di intrusività della tabella UNI si riferiscono alla condizione dei test dell’ascolto della tabella originaria di Fidell con i partecipanti impegnati in videogiochi, con D’L maggiore di 10 dB rispetto al livello rilevato senza la distrazione dei videogiochi della UNI. Quindi la tabella della UNI non è affidabile e questo nelle valutazioni giudiziarie crea poco danno ai livelli alti, ma ai livelli bassi o molto bassi può fare danni di valutazione rilevanti - la valutazione dell’intrusività dei 6 gradi di D’L della UNI non ha alcun riscontro sperimentale di test di ascolto perché la sola sperimentazione effettuata (di Fidell) si riferisce a una condizione di ascolto diversa, in laboratorio e non nella vita reale (come per la UNI). Né la casistica riportata da UNI negli allegati può essere considerata sperimentazione. In conclusione, la specifica tecnica UNI non è corretta perché il grado di intrusività non è determinato in modo univoco e perché è sottostimato di ben 10 dB. Nelle controversie giudiziarie è inutile ai livelli sonori medi e alti perché non aggiunge nulla di nuovo al superamento della tollerabilità e può essere dannosa ai livelli bassi perché può nuocere alla persona che è infastidita da immissioni di intrusività che è giudicata “trascurabile” quando invece è “molto bassa” o “bassa” e può essere intollerabile.

Giorgio Campolongo

Consulente di acustica ing.campolongo@gmail.com

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 67
© Copyright 2010 by Maggioli Spa., “Il rumore del vicinato nelle controversie giudiziarie” di G. Campolongo

INQUINAMENTO ACUSTICO

IL DOCUMENTO PRODOTTO DALL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ SUL RUMORE PER LA REGIONE EUROPEA

Le linee guida sul rumore ambientale per l’Europa sono un documento fondamentale per la tutela della salute dell’uomo esposto a inquinamento acustico. Pubblicate nel 2018, sono composte da 5 capitoli su cui si articolano gli indicatori di rumore per misurare e stabilire l’impatto acustico e le raccomandazioni per la mitigazione delle sorgenti sonore.

Il rumore è considerato uno dei più importanti rischi ambientali per la salute e continua a essere una preoccupazione costante e in crescita sia per il mondo della politica sia della popolazione. In base alla soglia di valutazione indicata nella direttiva europea sul rumore ambientale, almeno 100 milioni di persone in Europa sono sottoposte a inquinamento acustico proveniente dal traffico e si stima che in Europa occidentale vengano persi almeno 1,6 milioni di anni di vita a causa del rumore da traffico. Su richiesta degli Stati membri della V Conferenza ministeriale su ambiente e salute tenutasi a Parma nel marzo 2010, l’ufficio regionale per l’Europa dell’Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato le Environmental noise guidelines basate sulla crescente comprensione degli impatti che il rumore ha sulla salute. Il documento fornisce solidi consigli sulla salute pubblica, aspetto essenziale per orientare l’azione politica alla protezione della comunità dagli effetti negativi del rumore, fornendo anche raccomandazioni per l’esposizione al rumore proveniente da diverse fonti. Il documento rappresenta inoltre una solida base per i futuri aggiornamenti derivanti dalla crescente consapevolezza del problema e dai rapidi progressi della ricerca sull’impatto che il rumore ha sulla salute.

Il principale obiettivo delle linee guida è stabilire delle raccomandazioni per proteggere la salute umana dall’esposizione al rumore proveniente da diverse sorgenti come trasporti (traffico stradale, ferroviario e aeroportuale), rumore delle turbine a vento e quello prodotto dalle attività del tempo libero.

Due sono le domande chiave su cui le linee guida si sono basate per stabilire i livelli di esposizione raccomandati per la tutela della salute pubblica: 1) per la popolazione generale esposta a inquinamento acustico, qual è la correlazione esposizione-risposta tra esposizione al rumore ambientale (rappresentato con diversi indicatori) e la proporzione di persone sulle quali è stato possibile misurare l’impatto sulla salute, se regolata per fattori confondenti?

2) nella popolazione generale esposta al rumore ambientale, sono efficaci gli interventi per la riduzione dell’impatto acustico e delle conseguenze per la salute?

Lo sviluppo delle linee guida ha seguito una metodologia rigorosa. Le indicazioni contenute si basano su revisioni sistematiche di evidenze che considerano più criteri, anche rispetto al passato, per l’esposizione al rumore. Grazie alla loro capacità di supportare le politiche urbane, dei trasporti e dell’energia, le linee guida contribuiscono all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e alla visione dell’Oms di creare comunità resilienti e ambienti di sostegno in Europa.

Queste linee guida sono un ulteriore passo in avanti rispetto a quelle pubblicate nel 1999 e quelle sul rumore notturno del 2009. Il documento è inoltre un valido supporto come solida base di azione. Nonostante la loro redazione sia rivolta agli Stati membri europei, le indicazioni in esse contenute possono essere estese e applicate anche su scala globale. Le raccomandazioni riportate si basano infatti sia su studi sull’effetto del rumore in Europa sia su ricerche svolte in altre parti del mondo, come Asia, Australia e Stati uniti d’America.

Quali sono gli effetti dell’esposizione al rumore sulla salute dell’uomo? L’impatto può essere sul sistema uditivo ma non solo. Il rumore può portare alla perdita dell’udito e ad acufene. È stato inoltre dimostrato che l’inquinamento acustico ha un effetto negativo generale sulla salute umana, soprattutto se l’esposizione è a lungo termine. Tra i vari problemi sono indicati disagi psicologici e fisiologici, come il disturbo dell’omeostasi dell’organismo e un aumento del carico allostatico (Basner et al., 2014). Questo è stato ulteriormente approfondito durante la revisione dell’Oms sui meccanismi biologici di effetti non uditivi (Eriksson et al., 2018).

In base a queste considerazioni, le linee guida sul rumore ambientale per la regione europea sono un importante riferimento per il mondo pubblico. Tra i destinatari vi sono quindi: - esperti tecnici e decisori a livello locale, nazionale o internazionale, con responsabilità per lo sviluppo e l’attuazione di regolamenti e standard per il controllo del rumore, urbano di pianificazione ed edilizia abitativa e altri settori dell’ambiente e della salute - professionisti e ricercatori della valutazione dell’impatto sulla salute e della valutazione di impatto ambientale - autorità nazionali e locali, responsabili dello sviluppo e dell’attuazione delle misure pertinenti e per la comunicazione del rischio - organizzazioni non governative e altri gruppi di difesa coinvolti nella comunicazione del rischio e nella sensibilizzazione generale.

Il gruppo di lavoro per la redazione delle linee guida è stato coordinato dalla Germania, la quale, insieme alla Svizzera, hanno fornito anche il supporto finanziario per la loro pubblicazione.

Il documento online è disponibile al seguente link: https://bit.ly/who_noise_guidelines (DM)

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 68
LINEE GUIDA SULL’IMPATTO ACUSTICO

UN PROGETTO CON CAPOFILA LA REGIONE CALABRIA

IL BUON USO DEGLI SPAZI VERDI E BLU PER LA PROMOZIONE DELLA SALUTE E DEL BENESSERE

L’Organizzazione mondiale della sanità ha recentemente evidenziato come le aree verdi (non solo aree protette, come i parchi, ma anche aree di verde urbano e giardini) e le aree blu (quelle adiacenti al mare, ai laghi o ai corsi d’acqua) siano fondamentali per il benessere completo delle persone e per una migliore salute psico-fisica e raccomanda che siano facilmente raggiungibili in breve tempo da chiunque. Ora un innovativo progetto per la loro valorizzazione coinvolge le Agenzie ambientali di Calabria, Emilia-Romagna e Abruzzo. Il progetto, dal titolo, “Il buon uso degli spazi verdi e blu per la promozione della salute e del benessere”, rientra tra i 13 presentati dalle Agenzie del Snpa e ammessi al finanziamento dal Ministero della Salute nell’ambito del Piano nazionale investimenti complementari (piano operativo Salute, ambiente, biodiversità e clima), che integra con risorse nazionali gli interventi del Pnrr.

Il progetto si inserisce nel solco dell’ultimo report dell’Agenzia europea per l’ambiente sulle infrastrutture verdi e blu e si pone come obiettivo la razionalizzazione e l’aggiornamento delle informazioni sulla presenza, accessibilità e funzionalità delle infrastrutture verdi e blu, per poter promuovere la conoscenza partecipata di tutti gli attori preposti allo sviluppo, mantenimento e utilizzo di tali aree e la migliore comprensione dei benefici per il benessere psico-fisico della popolazione residente di aree verdi e aree blu. Inoltre sono previste iniziative che consentano un più facile utilizzo e azioni di formazione per educare al buon uso di tali aree.

Tra le iniziative in programma in diverse regioni, percorsi culturali per promuovere e mantenere la biodiversità, attraverso il riconoscimento delle piante autoctone e l’individuazione della presenza di specie aliene, la definizione di una road map delle best practices per il mantenimento e il miglioramento delle aree verdi e blu, l’identificazione di marcatori biogenetici correlati al “buon” invecchiamento per la popolazione con più facile accesso a queste aree.

La Calabria si è candidata come capofila in virtù delle sue peculiari caratteristiche territoriali: rappresenta infatti una delle regioni con le più vaste aree blu e verdi in Europa. Il progetto vede come capofila la Regione, mentre il coordinamento tecnico è affidato ad Arpa Calabria e il coordinamento scientifico all’Istituto superiore di sanità, in un proficuo lavoro di collaborazione tra enti che rafforzerà la collaborazione tra il Sistema ambientale Snpa e il neonato Snps (Sistema nazionale prevenzione salute dai rischi ambientali e climatici).

Tra i soggetti coinvolti ci sono Arpae Emilia-Romagna, il Consorzio interuniversitario nazionale per le scienze

ambientali (Cinsa, rappresentato dall’Università di Parma), il Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche (DImec) dell’Università di Bologna, il Dipartimento di epidemiologia del Ssr Lazio, Ispra e Arta Abruzzo.

“Essere regione capofila e gestire il coordinamento tecnico di questo progetto – ha voluto sottolineare Domenico Pappaterra, commissario straordinario di Arpacal – è per Arpa Calabria e per me motivo di orgoglio. La peculiarità del territorio calabrese con i suoi incontaminati spazi verdi e i suoi chilometri di mare cristallino incarnano perfettamente lo spirito del progetto. Lotta ai cambiamenti climatici e difesa della biodiversità sono da sempre tra le priorità di Arpacal. Vorrei sottolineare che questo primo step si è potuto realizzare grazie al lavoro sinergico con il presidente della Regione Calabria, che fin dal suo insediamento ha manifestato grande sensibilità nei confronti delle tematiche ambientali e della salute pubblica”.

“Questo progetto è un’importante esperienza di collaborazione – aggiunge il direttore generale di Arpae Emilia-Romagna, Giuseppe Bortone – che mostra la maturità delle Arpa nel costruire relazioni efficaci anche con tanti altri soggetti del settore sanitario e gli enti istituzionali. Le risorse del Pnc permettono di mettere in campo tutta la competenza e la professionalità dei tecnici delle Agenzie ambientali e di sviluppare esperienze innovative e di avanguardia nel delicato equilibrio di ambiente, clima e salute, e nel caso specifico di questo progetto la accurata rappresentazione scientifica dei benefici che le aree naturali verdi e blu hanno sulla nostra salute e sul nostro benessere”.

“In virtù dell’esperienza acquisita da Arta Abruzzo in qualità di soggetto attuatore della legge regionale ‘Abruzzo regione del benessere’ – spiega Maurizio Dionisio, direttore generale di Arta Abruzzo – l’Agenzia potrà fornire un contributo qualificato nella stesura di un disciplinare che auspico diventi un punto di riferimento per lo sviluppo delle linee guida necessarie a sostenere un percorso di certificazione di infrastrutture verdi. In tal senso, metteremo in campo le nostre migliori professionalità per contribuire alla creazione di spazi multifunzionali che rispondano agli obiettivi del progetto, in grado dunque di promuovere la salute e il benessere psicofisico degli individui. Crediamo nel lavoro di squadra, nella condivisione degli obiettivi e nella creazione di sinergie, per cui siamo molto lieti di far parte di un progetto dall’elevato valore scientifico che, ne sono certo, contribuirà a migliorare la vita delle persone, soprattutto delle fasce di popolazione più vulnerabili alle quali è più limitato l’accesso al verde urbano”.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 69 ATTUALITÀ

ATTUALITÀ

UNA TASK FORCE CONTRO LE NOTIZIE FALSE ONLINE

Il tema delle notizie false è sempre esistito, ma la portata del fenomeno è cresciuta con l’avvento di internet, che ha potenziato in modo indefinito e infinito i flussi informativi. L’informazione sul web appare disintermediata, fluida e spesso non vagliata. Nel mare magnum dell’informazione in rete diventa difficile distinguere le fonti in base alla loro autorevolezza e gli elementi di riconoscibilità dell’informazione professionale e di qualità nel web rimangono deboli e incerti. A prescindere dalle cause e dalle responsabilità, l’ondata di fake news che ha investito soprattutto la comunicazione online costituisce una minaccia reale per il peso che la disinformazione può

esercitare sul funzionamento della democrazia e, con riferimento alla pandemia, sulla salute dei cittadini e sulla tenuta delle istituzioni nazionali e sovranazionali.

Le problematiche connesse alla comunicazione sul web hanno infatti un impatto notevole sia sui diritti soggettivi individuali sia su quelli collettivi, come la sicurezza, l’ordine pubblico e la pacifica convivenza. Le fake news suscitano allarme sociale, poiché la loro diffusione avviene attraverso strumenti automatizzati e piattaforme di social media, riuscendo così a influenzare l’informazione e l’opinione individuale, oltre che a condizionare significativamente i processi decisionali collettivi (anche politici).

Quello delle fake news, o bufale dell’informazione, è un problema che è andato a incrementarsi negli ultimi anni con la diffusione dei social network ed è diventato ancora più sensibile in tempo di Covid-19, viste le implicazioni per la salute dei cittadini. A tal proposito, il Governo Conte-bis, su iniziativa dell’allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega all’informazione e all’editoria, Andrea Martella, il 4 aprile 2020, decise di istituire l’“Unità di monitoraggio per il contrasto della diffusione di fake news relative al Covid-19 sul web e sui social network” (comunemente definita task force anti-fake news), della quale chi scrive fece parte come membro esperto a titolo gratuito.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 70
L’INFORMAZIONE DI QUALITÀ DEVE TROVARE SEMPRE PIÙ SPAZIO NEL WEB E SUI SOCIAL MEDIA ANCHE GRAZIE ALL’AUSPICABILE COLLABORAZIONE TRA I PRODUTTORI DI CONTENUTI E LE PRINCIPALI PIATTAFORME ONLINE. I RIMEDI CONTRO LA CIRCOLAZIONE VIRALE DELLE FAKE NEWS DEVONO ESSERE INSIEME GIURIDICI, DEONTOLOGICI, TECNOLOGICI E CULTURALI.

La nostra task force ha puntato proprio ad accrescere la consapevolezza degli utenti, affinché fossero più avveduti nel valutare con equilibrio i vari link e più predisposti a fare verifiche prima di condividere in Whatsapp o in altri luoghi virtuali notizie inattendibili e sospette. Non abbiamo mai immaginato di censurare notizie perché non era il nostro compito, visto che non eravamo né un Ministero della Verità né un tribunale. Volevamo solo fornire agli utenti degli strumenti e dei suggerimenti per riconoscere più facilmente le informazioni riconducibili a fonti istituzionali e per diffidare invece di quelle di dubbia autenticità.

La pandemia ha prodotto anche l’infodemia, cioè la circolazione incontrollata di notizie non vagliate e non verificate in materia di Covid-19, che ha inciso negativamente e pericolosamente sui comportamenti di alcune persone. Mentre sui media tradizionali queste informazioni vengono filtrate dalla professionalità giornalistica, saldamente ancorata a criteri deontologici, sui social network esse transitano senza controlli perché ciascun utente è libero di postare ciò che vuole. Di qui la necessità di fissare degli argini alla diffusione incontrollata, nel web e sui social, di notizie di dubbia autenticità, non riconducibili a fonti istituzionali e non fondate su alcuna evidenza scientifica. Le piattaforme hanno collaborato alla rimozione di contenuti palesemente falsi e hanno contrastato con impegno la disinformazione, ma il flusso infinito di post ha spesso raggiunto l’obiettivo subdolo di veicolare informazioni scorrette e fuorvianti. Inoltre, la pandemia ha reso ancora più decisivo il ruolo dell’informazione professionale. I giornalisti sono stati chiamati a un supplemento di verifica delle notizie riguardanti la salute, bene primario dei cittadini e si sono ampiamente riscattati, perché hanno raccontato gli eventi in condizioni a volte difficili.

Nel mondo post-Covid bisogna lavorare su questa patologia dell’ecosistema mediatico. Per garantire il diritto all’informazione è necessario contrastare la viralità delle fake news con strumenti tecnologici (anche l’intelligenza artificiale e gli algoritmi), giuridici (normative nazionali in grado di arginare le violazioni dei diritti della personalità), deontologici (codici di autodisciplina sull’utilizzo dei social a livello aziendale, di categorie, di istituzioni pubbliche e private), culturali (educazione digitale fin dalle scuole dell’obbligo).

L’informazione di qualità dovrà trovare sempre più spazio nel web anche grazie all’auspicabile collaborazione tra i produttori di contenuti e gli over the top Solo così sarà possibile assicurare stabilità alle nostre democrazie e ai mercati finanziari, anche nella dimensione digitale.

L’Ordine nazionale dei giornalisti, su sollecitazione dell’Ugis (Unione giornalisti italiani scientifici), ha peraltro sottolineato in più occasioni il valore dell’informazione scientifica prodotta professionalmente e, il 19 novembre 2020, ha prodotto un’integrazione del Testo unico dei doveri del giornalista del 2016, che è diventata efficace a far data dal primo gennaio 2021. L’articolo 6, dal titolo “Doveri nei confronti dei soggetti deboli”, risulta integrato fin dal titolo, con l’aggiunta della seguente espressione: “Informazione scientifica e sanitaria”.

Contro le fake news, non solo quelle medico-scientifiche, non ci sono tuttavia ricette miracolose, ma un insieme di strumenti che, se usati con saggezza, possono contribuire a contenere il fenomeno e ad attutire l’impatto che esso può produrre sul nostro diritto a essere correttamente informati su fatti di interesse pubblico. Ci sono centri di potere internazionali che vivono di diffusione di notizie false, per svariate finalità, da quelle più strettamente commerciali e finanziarie a quelle di manipolazione dell’opinione pubblica. Di qui la necessità di applicare criteri di cautela nella diffusione di notizie di dubbia autenticità per non contribuire, involontariamente, a rendere ancora più tossico il web. Diffidare e sospendere il giudizio di fronte a contenuti sensazionali ma non supportati da elementi di realtà è un atteggiamento salutare e raccomandabile. Esistono già, peraltro, norme giuridiche che puniscono reati come la diffamazione online e il procurato allarme, ma molto possono fare anche i codici deontologici e l’educazione a un uso corretto e consapevole del web.

Come già ribadito, i rimedi contro la circolazione virale delle fake news devono essere giuridici, deontologici, tecnologici e culturali. Lo strumento del diritto non può da solo arginare un fenomeno che ha dimensioni devastanti e incalcolabili. Anche perché esiste un’evidente difficoltà nell’individuare i reali responsabili delle fake news. Queste possono infatti essere originate sia da persone reali sia da robot, i quali sfruttano la profilazione degli utenti variamente effettuate dagli

algoritmi per influenzare singoli e gruppi di utenti, profilazione che peraltro permette una previa selezione dei soggetti a cui indirizzare la notizia. Inoltre, le fake news beneficiano per la loro diffusione di una terza categoria di soggetti: gli individui che, consapevolmente o meno, le diffondono.

In Italia, oltre alla task force del 2020, si sono registrate iniziative di diverse amministrazioni nazionali volte a favorire il riconoscimento e la confutazione dei contenuti non veritieri (una per tutte “Covid-19 – Attenti alle bufale” sulla pagina istituzionale del Ministero della Salute). Dal punto di vista del diritto, tanto in sede di Unione europea quanto a livello di singoli Stati nazionali, prevale l’orientamento contrario all’emanazione di una normativa ad hoc, di impronta punitiva, che alimenterebbe il sospetto di una surrettizia introduzione di meccanismi censori rispetto al libero flusso di informazioni circolanti nel web ed è stato potenziato il codice di condotta Ue contro la disinformazione, prodotto nel settembre 2018 e aggiornato sia nel maggio 2021 sia nei mesi scorsi, a seguito dello scoppio del conflitto russo-ucraino.

Ruben Razzante

Docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano e alla Lumsa di Roma

L’autore è fondatore del portale dirittodellinformazione.it. Ha scritto il “Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione” (ed. Cedam-Wolters Kluwer), giunto alla nona edizione.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 71

LEGISLAZIONE NEWS

LEGISLAZIONE NEWS

Decreto legge 11 novembre 2022, n. 173 GU n. 266 del 11 novembre 2022

È stato recentemente pubblicato in Gazzetta ufficiale un decreto legge che introduce disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei ministeri. Tra le altre cose lo schema di Dl stabilisce che il Ministero della transizione ecologica sarà ridenominato “Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica”. Verrà, inoltre, istituito un Comitato interministeriale per le politiche del mare (Cipom), con il compito di assicurare, ferme restando le competenze delle singole amministrazioni, il coordinamento e la definizione degli indirizzi strategici in materia e la elaborazione e approvazione del “Piano del mare”, con cadenza triennale. Modifiche anche per quanto riguarda le funzioni del Cite (Comitato interministeriale per la transizione ecologica) indicate dall’art. 57 bis del Dlgs 152/2006: al Comitato vengono riconosciute nuove competenze in materia di sostegno e sviluppo delle imprese in materia di produzione energetica, utilizzo delle fonti rinnovabili, dell’idrogeno e sicurezza energetica.

IL TAR BOLOGNA SI PRONUNCIA NUOVAMENTE SULLE BONIFICHE

Tar Emilia-Romagna, sede di Bologna, Sez. II, Sent. n. 815 del 21/10/2022

Il Tar Emilia-Romagna si pronuncia nuovamente sul tema della bonifica dei siti contaminati e in particolare sui criteri di imputazione della responsabilità della contaminazione dei terreni. I giudici felsinei, con ampi richiami a precedenti giurisprudenziali, richiamano due punti fermi della complessa materia.

Da un lato sottolineano che, essendo la responsabilità ambientale fondata sul principio del “chi inquina paga”, vi è l’esigenza – ai fini dell’imputabilità di un evento a un soggetto –che vi sia un nesso di causalità tra condotta (od omissione) dell’autore della contaminazione e superamento – o il pericolo di superamento – dei limiti di contaminazione. In questo senso quindi vi è l’onere della Pubblica amministrazione di espletare un’approfondita istruttoria tecnica finalizzata a ricondurre la tipologia di inquinamento riscontrato all’attività del soggetto nei cui confronti si sta procedendo. D’altro canto viene tuttavia sottolineato che, in punto di accertamento della sussistenza del predetto rapporto eziologico, è applicabile il canone – elaborato in ambito civilistico – del “più probabile che non”, secondo il quale per

affermare il legame causale non è necessario raggiungere un livello di probabilità (logica) prossimo a uno (cioè la certezza), bensì è sufficiente dimostrare un grado di probabilità maggiore della metà. Pertanto è possibile presumere l’esistenza di un nesso di causalità tra determinati operatori e l’inquinamento accertato attraverso indizi plausibili, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività. L’applicazione di questo canone probatorio del “più probabile che non”, anziché di quello più restrittivo di “a là di ogni ragionevole dubbio” di derivazione penalistica, è certamente un elemento di facilitazione dell’attività delle amministrazioni preposte ad adottare le ordinanze di individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento a cui addossare, ai sensi dell’art. 244 Tua, gli oneri delle successive operazioni di bonifica, in quanto, soprattutto nel caso di contaminazioni storiche su siti nei quali si sono succeduti diversi proprietari, le risultanze dell’istruttoria tecnica possono portare anche a risultati non univoci.

IL

CONSIGLIO

DI STATO SU

è subordinata alla prova positiva, gravante sull’imputato, della sussistenza delle condizioni previste per la sua operatività, in quanto trattasi di disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria.

SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE DEGLI EVENTI

www.mite.gov.it

ELETTROSMOG

E PRINCIPIO DI PRECAUZIONE

Consiglio di Stato Sez. II Sent. n. 8341 del 28 settembre 2022

Il Consiglio di Stato, con questa recente pronuncia, ha ribadito, con riferimento agli impianti ripetitori per telefonia cellulare, che il principio di precauzione richiamato dall’art. 191, paragrafo 2 del Tfue non conduce automaticamente a vietare ogni attività che, in via di mera ipotesi soggettiva e non suffragata da alcuna evidenza scientifica, si assuma foriera di eventuali rischi per la salute, privi di ogni riscontro oggettivo e verificabile, ma richiede piuttosto una seria e prudenziale valutazione, alla stregua dell’attuale stato delle conoscenze scientifiche disponibili, dell’attività che potrebbe ipoteticamente presentare dei rischi.

TERRE E ROCCE DA SCAVO E ONERE DELLA PROVA: SI PRONUNCIA LA CASSAZIONE

Cass. Sez. III, Sent. n. 38864 del 14 ottobre 2022

La III Sezione penale della Cassazione, specializzata in reati ambientali, con questa pronuncia ha chiarito che, in tema di gestione dei rifiuti, l’applicazione della disciplina sulle terre e rocce da scavo, nella parte in cui sottopone i materiali da essa indicati al regime dei sottoprodotti e non a quello dei rifiuti,

Firmato il decreto Cam con cui il Ministero della Transizione ecologica attua la riforma sull’adozione dei criteri ambientali minimi per gli eventi prevista nell’ambito del Pnrr. I Cam sono requisiti di sostenibilità che la pubblica amministrazione deve introdurre nelle procedure di appalto per l’affidamento di servizi nell’ambito delle iniziative culturali. L’obiettivo è di contribuire al contrasto ai cambiamenti climatici, riducendo i consumi energetici e le emissioni di CO2, attraverso la promozione di misure come l’impiego di energia proveniente da fonti rinnovabili, di scelte progettuali e tecnologiche ad alta efficienza energetica per la climatizzazione, l’illuminazione e la proiezione audiovisiva e di soluzioni che incentivino la mobilità sostenibile per l’organizzazione logistica dell’evento. I criteri ambientali sono stati elaborati dal Mite con il coinvolgimento dei Ministeri della Cultura e del Turismo, delle parti interessate e di esperti del settore.

RIFIUTI DA DEMOLIZIONE: PUBBLICATO DECRETO DEL MINISTERO DELLA TRANSIZIONE ECOLOGICA

Decreto Mite 27 settembre 2022, n. 152 GU n. 246 del 20 ottobre 2022

Il decreto in commento, composto da 8 articoli e da 3 allegati, contiene le specifiche tecniche cui devono rispondere i materiali recuperati nei cantieri per poter essere riutilizzati. Vengono infatti stabiliti i criteri specifici in base ai quali i rifiuti inerti derivanti dalle attività di costruzione, di demolizione e altri rifiuti di origine minerale cessano di essere qualificati come rifiuti in base al Dlgs 152/2006 per essere riutilizzati nel ciclo produttivo come aggregato recuperato. Per essere considerati aggregato recuperato devono possedere determinate caratteristiche e requisiti di qualità (contenuti nell’allegato 1). Il rispetto di questi criteri sarà attestato dal produttore mediante una dichiarazione di conformità (Ddc) secondo un modello che costituisce allegato 3 del decreto in questione. Le nuove modalità sono entrate in vigore il 4 novembre 2022 e saranno sottoposte a un periodo di monitoraggio di 180 giorni, decorsi i quali il Ministero valuterà le modifiche da apportare ai criteri fissati.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 72
A cura di Servizio Affari istituzionali e avvocatura • Arpae Emilia-Romagna

OSSERVATORIO ECOREATI

Con l’osservatorio sulla casistica applicativa della legge 22 maggio 2015 n. 68, Ecoscienza mette a disposizione dei lettori provvedimenti giudiziari sia di legittimità sia di merito, con sintetici commenti orientati alle applicazioni concrete della legge. Per arricchire l’osservatorio giurisprudenziale chiediamo ai lettori (operatori del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente e non solo) di trasmettere alla redazione tutti i provvedimenti che ritengono significativi (dovutamente anonimizzati): decreti e ordinanze, prescrizioni, sentenze ecc.

I contributi possono essere inviati a ecoscienza@arpae.it

BIODIGESTIONE TRA RIFIUTO E SOTTOPRODOTTO

Cassazione Penale, Sezione III, sentenza n. 39854 -del 6 ottobre 2022 – 21 ottobre 2022

Tornando a occuparsi del traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 452-quaterdecies c.p., la Corte di Cassazione si è trovata a decidere in merito a un particolare caso di attività di biodigestione di rifiuti organici.

Nella specie, nel provvedimento analizzato sono contestate le attività di una società di gestione di rifiuti, autorizzata alla gestione di un biodigestore di rifiuti organici, costituiti essenzialmente da frazione organica del rifiuto solido urbano (c.d. Forsu) e rifiuti provenienti dall’agroindustria.

In particolare, nella fase di gestione del rifiuto, gli indagati avrebbero impropriamente attribuito alle sostanze prodotte dal biodigestore la qualifica di sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano (cd. Soa), di cui al Regolamento 1069/2009/CE, recante “Norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale e ai prodotti derivati non destinati al consumo umano […]”.

Nella fase delle indagini erano state rinvenute diverse sostanze riconducibili alle Soa, ma miscelate con imballaggi, vetro, plastiche e metalli. Le indagini svolte nel merito hanno condotto all’emissione di un provvedimento di applicazione della misura cautelare reale del sequestro preventivo in capo sia alla società indagata sia ai suoi legali rappresentanti, in considerazione del fatto che le attività svolte avevano comportato il conseguimento di erogazioni pubbliche, nella specie di incentivi erogati dal Gestore dei servizi energetici (Gse), poiché connesse alla vendita di energia derivante dalla produzione di digestato.

Il provvedimento cautelare ha disposto, nel dettaglio, il sequestro preventivo di somme di denaro nella diretta disponibilità, somme di denaro presenti su conto corrente/o deposito, somme di denaro presenti in cassette di sicurezza e libretti di deposito/risparmio, sia bancari sia postali, per l’importo complessivo di circa 950.000 euro, nei confronti delle società indagate.

Con il provvedimento di sequestro è stato altresì previsto che, qualora fosse risultata incapienza dei patrimoni delle società, si sarebbe dovuto procedere al sequestro anche per equivalente nei confronti dei legali rappresentanti delle imprese, sino al predetto ammontare, ai sensi degli artt. 321, comma 2, c.p.p. 240 e 452-quaterdecies, comma 5, c.p. La difesa ha proposto ricorso per Cassazione del provvedimento cautelare di sequestro, adducendo la violazione dell’art. 452-quaterdecies c.p. in relazione alla ritenuta mancanza di indizi di colpevolezza. A parere degli indagati la misura cautelare non aveva ragione di esistere considerando che le sostanze derivate dall’utilizzo del biodigestore dovevano essere ricomprese fra i sottoprodotti di origine animale di categoria 3 (Soa3). Ciò in quanto l’art. 185 del decreto legislativo n. 152 del 2006 non stabilisce un’equiparazione fra i Soa e i rifiuti, ma prevede piuttosto che, laddove le sostanze siano avviate a un biodigestore, la loro gestione sia

sottoposta alla normativa della parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, con la specificazione chiave che tale parte IV disciplina in effetti la gestione dei rifiuti, ma prevede anche che qualora ci si trovi in presenza delle quattro condizioni previste dall’art. 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006 alle predette sostanze possa attribuirsi la qualifica di sottoprodotti, pertanto non assoggettabili alla disciplina dei rifiuti; le quattro condizioni per l’attribuzione della qualifica di sottoprodotto sono rispettivamente: a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana. A parere della difesa non sussisteva in capo agli indagati alcuna intenzione di disfarsi delle Soa3 oggetto delle loro attività, essendo al contrario state impiegate come concime organico, destinate quindi a un ulteriore utilizzo, in linea con quanto regolamentato dalla lettera b) dell’art. 184-bis citato.

La Corte di Cassazione non ha ritenuto di accogliere le motivazioni addotte dalla difesa, attribuendo definitivamente la qualifica di rifiuto alle sostanze prodotte dagli indagati, ritenendo che il miscelamento dei Soa3 con rifiuti, nella specie imballaggi, avesse determinato la loro esclusione dal novero dei sottoprodotti di origine animale che, al contrario, potevano più compiutamente essere qualificate come digestato “sporco”. Seppur la difesa abbia tentato di inquadrarli tra i rifiuti organici frammisti a plastica, le analisi avevano condotto a risultati opposti.

A supporto delle motivazioni già indicate nel giudizio di merito, la Cassazione ha ritenuto che gli indagati avessero avuto intenzione di disfarsi delle presunte Soa, essendo state rinvenute etichette sulle sostanze con la dicitura “da distruggere”.

In ultimo, ulteriore elemento contrario alle tesi difensive è stato attribuito alla circostanza per cui la Provincia di competenza aveva già imposto con provvedimento alla società indagata di regolarizzare le attività di produzione e utilizzo dei Soa, ritenuti pertanto non a norma di legge.

La vicenda esaminata dalla Corte di Cassazione è rilevante sia per le precisazioni in ordine alla natura dei rifiuti sia per il consolidamento delle conseguenze dell’iniziativa cautelare, che dimostra la portata seriamente afflittiva dei sequestri, anche di somme di denaro, aziendali e di singoli, che il diritto penale dell’ambiente consente di eseguire.

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 73
ECOREATI
OSSERVATORIO
A cura di Giuseppe Battarino (magistrato) e Silvia Massimi (avvocata)

MEDIATECA

MEDIATECA

Libri, video, podcast, rapporti e pubblicazioni di attualità • A cura della redazione di Ecoscienza

CARTOLINE DAL FUTURO Podcast

A cura dell’assessorato all’Ambiente della Regione Emilia-Romagna con Tessa Gelisio e Stefano Mancuso www.spreaker.com/show/ cartolinedalfuturo

La blogger, conduttrice e autrice televisiva Tessa Gelisio dialoga con il botanico e accademico Stefano Mancuso per scoprire il ruolo delle piante e della vegetazione nella qualità dell’ambiente e nel contrasto al cambiamento climatico. Partendo dai dati scientifici, ma mantenendo sempre un tono divulgativo e facilmente comprensibile, i due conduttori indagano sull’importanza del verde negli spazi urbani per migliorare la qualità dell’aria e diminuire l’effetto “isola di calore”, evidenziano la necessità di attenzione alla scelta delle piante da insediare e della loro corretta gestione, sottolineano il ruolo della vegetazione nell’assorbimento dell’anidride carbonica e così via. Il podcast “Cartoline dal futuro” è realizzato a cura dell’assessorato all’Ambiente della Regione Emilia-Romagna con l’obiettivo di ipotizzare come potrà essere la regione tra qualche decina di anni, seguendo le buone pratiche ecologiche innescate dal progetto “Mettiamo radici per il futuro”, che prevede la distribuzione gratuita e la messa a dimora di 4 milioni e mezzo di alberi (uno per ogni residente) entro il 2024. (SF)

IL DIRITTO DEL CLIMA

Luciano Butti e Stefano Nespor Mimesis editore, collana Impatti, 2022 272 pp, 25,00 euro

Il cambiamento climatico non è un “cigno nero”, qualcosa cioè di talmente imprevedibile da giustificare la nostra impreparazione. È un “rinoceronte grigio”, vale a dire una minaccia molto probabile con conseguenze assai gravi per l’umanità, ma trascurata. Scienza e tecnologia sono la sola possibile soluzione a lungo termine. Cambiare il nostro stile di vita individuale è sicuramente necessario, ma nessun “ritorno al passato” potrà, da solo, curare il clima.

Il diritto avrà una parte importante, perché, a livello internazionale e nazionale, è attraverso il diritto che si fissano gli obiettivi, si individuano gli strumenti, si monitorano i risultati. Fino a pochi anni fa, il diritto del cambiamento climatico era una parte del diritto dell’ambiente. Poi la prospettiva si è rovesciata: il diritto del cambiamento climatico si è affermato come una materia a sé stante.

In Italia tuttavia mancava, fino a questo momento, un volume specifico sul diritto del clima. Il libro naturalmente ricorda anche le evidenze scientifiche sull’argomento, così come le numerose cause in corso in tutto il mondo per ottenere che governi e imprese agiscano in modo più incisivo per la tutela del clima.

L’ANELLO MANCANTE

La comunicazione ambientale alla prova della transizione ecologica

A cura di Stefano Martello e Sergio Vazzoler Pacini editore, 2022 184 pp, 18,00 euro

Cosa significa, per un’organizzazione, applicare una strategia sostenibile? Quali sono gli oneri e i possibili onori? E che ruolo ha la comunicazione nella transizione? A queste e ad altre domande risponde questa nuova pubblicazione, che esce a soli due anni dal “Libro bianco sulla comunicazione ambientale” (recensito in questa stessa rivista, n. 6, dicembre 2020) di cui rappresenta un sequel utile e necessario. Impreziosito dalla prefazione di Ermete Realacci e dalla postfazione di Ottavia Ortolani, il volume si sviluppa su due sezioni. La prima –Processi e metodologie – indaga l’essenza del processo comunicativo, evidenziandone le caratteristiche di metodo rispetto a un ambiente di riferimento ampio (per numero di pubblici), complesso e, spesso, conflittuale. La seconda – Strumenti – si concentra sulla dotazione a disposizione delle organizzazioni, fotografando non solo il presente ma offrendo al lettore e alla lettrice quelli che sono i trend rinnovati di un processo comunicativo estremamente dinamico. E, dunque, bisognoso di una attenzione costante. La narrazione viene ulteriormente arricchita dalla presenza di due appendici immediatamente spendibili: il Rapporto Eco Media –pubblicato dall’Osservatorio sulla sostenibilità e l’ambiente nei media –che ogni anno fotografa lo stato dell’arte dell’informazione ambientale in Italia e il Decalogo della comunicazione ambientale, realizzato da Sergio Vazzoler e Micol Burighel: 10 buone pratiche per assicurare al processo comunicativo efficacia relazionale e credibilità.

Un testo caratterizzato da un timbro narrativo multidisciplinare, naturalmente composito e operativamente interconnesso, con un obiettivo che non si limita alla mera ricognizione dell’esistente, ma cerca di definire una proposta concreta e misurabile rispetto a un futuro denso di sfide. E non più rinviabile.

Negli ultimi numeri di AmbienteInforma, notiziario settimanale del Sistema nazionale a rete di protezione dell’ambiente (Snpa), l’incontro “Snpa incontra le imprese – Affrontare la crisi energetica. Rischi e opportunità per l’ambiente”, in programma a Ecomondo (Rimini) il 9 novembre 2022. L’appuntamento è il primo evento preparatorio della Seconda conferenza nazionale di Snpa. Durante il convegno il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente dibatte con importanti esperti del settore pubblico e privato della gestione della crisi energetica europea 2022 percorrendo dall’interno il percorso della transizione ecologica in cui siamo tutti coinvolti.

Info: https://bit.ly/snpa-imprese-2022

Tutti possono ricevere AmbienteInforma compilando il modulo online (http://bit.ly/iscrizione_ambienteinforma_snpa).

ECOSCIENZA Numero 4 • Anno 2022 74

Arpae Emilia-Romagna è l’Agenzia della Regione che si occupa di ambiente ed energia sotto diversi aspetti. Obiettivo dell’Agenzia è favorire la sostenibilità delle attività umane che influiscono sull’ambiente, sulla salute, sulla sicurezza del territorio, sia attraverso i controlli, le valutazioni e gli atti autorizzativi previsti dalle norme, sia attraverso progetti, attività di prevenzione, comunicazione ambientale ed educazione alla sostenibilità. Arpae è impegnata anche nello sviluppo di sistemi e modelli di previsione per migliorare la qualità dei sistemi ambientali, affrontare il cambiamento climatico e le nuove forme di inquinamento e di degrado degli ecosistemi. L’Agenzia opera attraverso un’organizzazione di servizi a rete, articolata sul territorio. Quattro Aree prevenzione ambientale, organizzate in distretti, garantiscono l’attività di vigilanza e di controllo capillare; quattro Aree autorizzazioni e concessioni presidiano i processi di autorizzazione ambientale e di concessione per l’uso delle risorse idriche; una rete di Centri tematici, distribuita sul territorio, svolge attività operative e cura progetti e ricerche specialistici; il Laboratorio multisito garantisce le analisi sulle diverse matrici ambientali. Completano la rete Arpae due strutture dedicate rispettivamente all’analisi del mare e alla meteorologia e al clima, le cui attività operative e di ricerca sono strettamente correlate a quelle degli organismi territoriali e tematici. Il sito web www.arpae.it, quotidianamente aggiornato e arricchito, è il principale strumento di diffusione delle informazioni, dei dati e delle conoscenze ambientali.

Le principali attività

› Valutazioni e autorizzazioni ambientali › Vigilanza e controllo ambientale del territorio e delle attività dell’uomo › Gestione delle reti di monitoraggio dello stato ambientale › Studio, ricerca e controllo in campo ambientale

› Emissione di pareri tecnici ambientali

› Concessioni per l’uso delle risorse idriche e demaniali › Previsioni e studi idrologici, meteorologici e climatici › Gestione delle emergenze ambientali › Centro funzionale e di competenza della Protezione civile

› Campionamento e attività analitica di laboratorio › Diffusione di informazioni ambientali

› Diffusione dei sistemi di gestione ambientale

Arpae Emilia-Romagna

Direzione generale: Via Po 5, 40139 Bologna – Tel. 051 6223811 – email: urp@arpae.it

www.arpae.it
RIFIUTI RADIOATTIVITÀ ENERGIA IDRO-METEO-CLIMA AMIANTO RUMORE ARIA ACQUE NAVIGAZIONE INTERNA MARE AMBIENTE-SALUTE TOSSICOLOGIA CANCEROGENESI AMBIENTALE RADIAZIONI UV BIODIVERSITÀ POLLINI CAMPI ELETTROMAGNETICI RISCHIO INDUSTRIALE SOSTENIBILITÀ

A me il rumore della vita piace e mi piace anche quello della gente.

Piera Degli Esposti

www.arpae.it/ecoscienza

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