TEX - I Predatori del deserto

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Tex – I PredaTorI del deserTo Testi di Claudio Nizzi – Disegni di Bruno Brindisi Il personaggio di Tex è stato creato da Gianluigi Bonelli e realizzato graicamente da Aurelio Galleppini. © 2013 Sergio Bonelli Editore © 2013 per questa edizione: NPE - Nicola Pesce Editore © dei disegni preparatori: Bruno Brindisi Prima edizione: ottobre 2013 Collana Nuvole d’Autore, 8 Direttore Editoriale: Nicola Pesce Ordini o informazioni: info@edizioninpe.it Uficio stampa: uficiostampa@edizioninpe.it Graica: Tespiedit service editoriale, tespiedit@gmail.com Graica di copertina: Sebastiano Barcaroli Illustrazioni in copertina: Bruno Brindisi Stampato presso Nome della Tipolitograia Trullo S.r.l. – Roma Nicola Pesce Editore è un marchio in uso di Tespi srl via Appia Nuova, 666 - 00179 Roma Recapito postale: c/o GoldenStore, via de Amicis n. 22/28, 84091 Battipaglia (SA) edizioninpe.it – https://www.facebook.com/EdizioniNPE


Bruno Brindisi

I predatori del deserto testi di Claudio Nizzi



Matite made in Salerno dell’On. Vincenzo De Luca Sindaco di Salerno

Rivolgo i miei più vivi complimenti all’Editore per la bella iniziativa di questa pubblicazione speciale. Si tratta di un unicum che di certo catturerà l’attenzione degli estimatori del fumetto d’arte, dei collezionisti e di tutti coloro che amano vivere le emozioni delle storie a strisce. Questa pregevole miscellanea è la migliore testimonianza di quanto sia importante e prestigiosa la scuola salernitana del fumetto. Scorrono le generazioni, cambiano i gusti e gli stili, ma le matite made in Salerno continuano ad esser protagoniste in albi e raccolte apprezzate da milioni di lettori in tutto il mondo.


Tex ed il suo mondo sono una metafora straordinaria ed immaginiica della lotta tra il Bene ed il Male, la Legge e la Violenza, la Lealtà ed il Tradimento. Dificile non farsi trasportare in questo universo fantastico sognando ad occhi aperti di vivere quelle straordinarie avventure. I fumetti sono la prima forma di lettura e di rappresentazione della realtà. Hanno un’importanza fondamentale nel processo educativo, sono un’occasione di svago ma al tempo stesso di conoscenza, denuncia sociale, analisi del costume. Inoltre generano un’importante economia collegata all’acquisto delle pubblicazioni ma anche ad eventi come il Comicon che il Comune di Salerno ha deciso di sostenere in dalla sua prima edizione in città ipotizzandone con gli organizzatori un ulteriore ampliamento.


C’immergiamo con piacere nella lettura della pubblicazione, ringraziando di cuore tutti gli artisti del fumetto per le storie che ci faranno vivere. Sono certo che questo volume speciale sarà , in ragione del meritato successo decretato dai lettori, solo il primo di una lunga serie di pubblicazioni salernitane.

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Una ballata nel deserto assolato di Claudio Nizzi

Quando, verso la metà degli anni Novanta, Sergio Bonelli mi chiese di scrivere un texone per Goran Parlov – il disegnatore croato insieme al quale avevo già realizzato un paio di storie di Nick Raider – pensai che inalmente mi si presentava l’occasione per rendere omaggio a una storia a fumetti da me molto amata: Wheeling, di Hugo Pratt. L’occasione consisteva nel fatto che consideravo il suo stile (almeno del Parlov di allora, oggi l’ho perso di vista), molto prattiano. E non mi sbagliavo. Scritta la storia (L’ultima frontiera, Texone n. 11) suggerii a Parlov che per rappresentare gli indiani delle foreste dell’alto Saskatchewan si ispirasse a quelli che Pratt disegnava nelle sue storie del Grande Nord e nei suoi splendidi acquerelli: indiani ieri, coi nasi falcati che sembrano un proseguimento della fronte, le camicie frangiate, le pitture sul viso, il muoversi silenzioso tra gli alberi, eccetera. Parlov mi prese talmente alla lettera che, quando ci arrivarono le prime tavole, provammo tutti un senso di ammirazione ma anche di leggera preoccupazione, perché la somiglianza con gli indiani di Pratt era tale da siorare il plagio; così gli consigliammo di non esagerare con l’imitazione del Maestro di Malamocco.


Questa premessa serve per dire che – qualche anno dopo – quando Sergio Bonelli mi informò che avrei dovuto scrivere un texone per Bruno Brindisi, saltò di nuovo fuori il nome di Hugo Pratt. Anche con Brindisi avevo realizzato un paio di storie di Nick Raider, quindi lo conoscevo bene e proprio per questo – sarò sincero – non lo vedevo nei panni del disegnatore di western, con il suo stile pulito e moderno, molto più adatto a rappresentare le metropoli di oggi che il vecchio e polveroso mondo del West. Mi sbagliavo, come i fatti hanno in seguito dimostrato. Avevo sottovalutato l’intelligenza e la duttilità di Brindisi, il quale – dopo una serie di prove per acclimatarsi con il nuovo ambiente – è riuscito a realizzare una realistica e convincente rappresentazione dell’aspro paesaggio del Sudovest americano.


Ma mentre progettavo la storia non potevo ancora sapere che Brindisi sarebbe riuscito a “sporcare” il suo stile e mi andavo ripetendo che non potevo scrivergli una semplice storia di banditi o di indiani. Per lui ci voleva una storia speciale: che fosse, sì, ambientata nel West, ma senza essere completamente western, così, se la trasformazione di Brindisi in “westerner” non fosse pienamente riuscita, avrebbe potuto riscattarsi attraverso una buona caratterizzazione dei personaggi.


Fu a questo punto che tornò in mio aiuto Hugo Pratt. Perché se è vero che amavo Wheeling, ero addirittura innamorato di Una ballata del mare salato, che considero la migliore storia a fumetti di tutti i tempi. (Per non sembrare un fan acritico e sfegatato di Pratt, confesso che la mia ammirazione per lui si ferma con la conclusione delle storie brevi di Corto Maltese: tutto quello che viene dopo mi piace molto meno, e – in qualche caso – non mi piace affatto).


Insomma, decisi che per Brindisi avrei scritto una storia che ricalcasse – nella psicologia e nei ruoli narrativi – i principali personaggi della Ballata. Lo feci senza dirlo a Sergio Bonelli: “Vediamo se se ne accorge”, pensai. Non se ne accorse: dovetti dirglielo a cose fatte. E molti altri non se ne accorsero. Anzi, se la memoria non mi inganna, non se ne accorse nessuno. Allora mi chiedo: me lo sono sognato di avere utilizzato i personaggi di Una ballata del mare salato per raccontare I predatori del deserto o l’ho fatto davvero?

Proviamo a passarli in rassegna, questi personaggi. Il primo, che incontriamo nella prima tavola della storia, è Kit Willer, che viene trovato mezzo morto di sete nel Deserto Dipinto, come Cain e Pandora vengono trovati nelle stesse condizioni su una barchetta in balia dell’oceano Paciico. Kit Willer come Cain, dunque. Nella pagina successiva facciamo conoscenza con il giovane tenente Kirby e il perido sergente Monkey (banditi travestiti da militari), che nelle mie intenzioni corrispondono a Corto Maltese e Rasputin (e non vi è dubbio che Brindisi abbia reso Monkey molto simile all’irsuto personaggio di Pratt).



Soccorso e riconosciuto da Kirby, Kit viene caricato su un carro. Non lo hanno ucciso perché pensano di servirsene per ricattare il padre (mentre Rasputin progetta di ricattare la ricca famiglia di Cain e Pandora per denaro). Qualche pagina dopo assistiamo all’eccidio della carovana: unica risparmiata, la giovane Liza – tenera e seducente come Pandora – sulla quale il sergente Monkey posa i suoi occhi rapaci, come fa il vero Rasputin con Pandora, e Kirby lo ammonisce di non toccarla o lo denuncerà al misterioso e temibile Predicatore, come Corto Maltese minaccia Rasputin di denunciarlo al Monaco.


I battibecchi tra Kirby e Monkey sembrano quelli tra Corto e Rasputin. “Che ti succede, Monkey? Non ti sarai mica innamorato?” “E se anche fosse?” “Ma ti sei guardato allo specchio?” “Non mi sfottere, Kirby... o potrei ucciderti!” Kirby, anche lui un po’ innamorato di Liza, come Corto Maltese di Pandora, comincia a proteggerla dalle voglie di Monkey. Sul carro che li trasporta verso il covo dei banditi, tra Kit e Liza nasce un’amicizia che siora il sentimento, la stessa che si sviluppa tra Cain e Pandora. L’ultimo personaggio che ha un corrispondente tra quelli della Ballata è il Predicatore, un terribile bandito dai drammatici trascorsi, che alla ine scopriamo essere lo zio di Liza, come il Monaco lo era di Pandora. Tuttavia le similitudini tra i Predatori e la Ballata non iniscono qui.


In certe scene resta forte la somiglianza tra le due opere. Per esempio, quella in cui Monkey entra nella baracca in cui è stata rinchiusa Liza, e dopo averla abbrancata cerca di baciarla con la violenza, ma lei gli affonda le unghie nella faccia: come Pandora, che rompe una bottiglia sulla testa di Rasputin quando le arriva alle spalle con le stesse intenzioni. E ancora, la scena in cui Kirby fa il cascamorto con Liza, come Corto con Pandora, ed entrambe le ragazze ingono di starci solo per guadagnare la libertà, e la prima colpisce Kirby con un sasso sulla testa, mentre l’altra ferisce Corto con un colpo di pistola. C’è un’intera sequenza in cui la somiglianza tra i Predatori e la Ballata è chiara come il sole a mezzogiorno: quella in cui Kit e Liza, dopo essere fuggiti dal covo del Predicatore percorrendo un torrente sotterraneo, si addormentano tra le rocce del deserto e, risvegliandosi, si accorgono che quattro strani indiani armati di lance arrivano silenziosi dal fondo del deserto, alla loro ricerca. Sequenza che è l’esatta ripetizione di quella in cui Cain e Pandora, rifugiatisi dentro una grotta dopo un naufragio, vedono passare davanti alla caverna quattro indigeni polinesiani armati di lance, silenziosi e circospetti, che li stanno cercando. Poiché volevo che la scena dei Predatori restituisse lo stesso senso di tensione e mistero di quella della Ballata, suggerii a Brindisi di disegnare degli indiani di pura fantasia, né Apache, né Comanche, né Cheyenne, ma indiani “alieni” che in qualche modo somigliassero ai quattro selvaggi polinesiani di Pratt. E Brindisi lo fa, superando se stesso.


Dunque, non me lo sono sognato di essermi ispirato ai personaggi della Ballata per realizzare i Predatori. Naturalmente non intendo fare alcuna comparazione tra la qualità delle due opere: quella di Pratt è un capolavoro assoluto, la nostra (mia e di Brindisi) è un’opera di buon artigianato, come deve essere – quando ci si riesce – una storia di Tex. Rimane il mistero circa il fatto che nessuno si sia accorto dei forti legami tra i Predatori e la Ballata. Possibile che sia così facile copiare opere altrui e farla franca? (Ma oggi al posto di “copiare” si dice “citare”, e tutto va a posto).






Un’ardua missione suicida di Bruno Brindisi

Quando nel 1998 o giù di lì Mauro Marcheselli, allora redattore capo della Bonelli, mi telefonò per dirmi che avevano pensato a me per un prossimo “Texone”, come lo chiamiamo in gergo, probabilmente per un attimo credette che fosse caduta la linea. In realtà ero io dall’altro lato ad essere rimasto ammutolito, come se il mio capitano mi avesse scelto per un’ardua missione suicida. Poi balbettai qualcosa come “eh... ehm... sì! ma davvero? pensi che... glom...”! Forse non sembrai particolarmente entusiasta, in realtà, nonostante una quindicina d’anni di carriera, ero seriamente terrorizzato a dover affrontare un personaggio dificile ed importante come Tex, un’icona, un monumento del fumetto nazionale, amato da generazioni di lettori. E poi si trattava del Texone, un numero annuale speciale che viene afidato ai più grandi artisti italiani ed internazionali, un onore ed un impegno da far tremare i polsi. Ma del resto se Sergio Bonelli aveva pensato a me vuol dire che mi reputava all’altezza, non potevo deluderlo. Risposi di sì, che ero onorato della proposta, poi riattaccai e rimasi a guardare il vuoto per qualche minuto. Per due giorni non pensai ad altro, senza avere il coraggio di mettere la matita sul foglio nel timore di dover affrontare il temibile Ranger.



Le prove di Bruno Brindisi pe ealizza e la cope i a del Texone I predatori del deserto sono state davvero numerose, ognuna pi첫 bella della precedente. La posizione di Tex per la versione i ale della cope i a fu co sigliata p op io da Se gio Bo elli, che e fece esegui e uno schizzo da Luigi Corteggi, che ipo ia o ui i alto a dest a. Sc ite di Se gio Bo elli.


Non avevo mai disegnato un western, tranne qualche storia breve di Orazio Brown, un personaggio dal taglio comico che io e il mio amico sceneggiatore salernitano De Nardo avevamo creato a livello semiamatoriale ai tempi di «Trumoon». Il mio stile “alla francese” correva il rischio di farmi snaturare l’essenza del personaggio simbolo della casa editrice e quindi cercai di stare il più possibile alla larga da tentazioni “alla Blueberry”, serie di Charlier e Giraud di cui ero grande fan.


Il volto di Tex non è definito come quello di Dylan Dog, non c’è un chiaro attore di riferimento, è più che altro una “sensazione” che tutti noi lettori di fumetti abbiamo stampata nella memoria, cioè una specie di risultante di tutti i grandi disegnatori del passato e del presente e di tutti i grandi protagonisti del cinema western, da Gary Cooper, John Wayne e Robert Taylor a Clint Eastwood e Giuliano Gemma. Non sapevo da cosa fosse partito Galep, creatore di Tex, che anzi a volte un po’ si autoritraeva nel suo protagonista, ma sapevo invece che il suo riferimento artistico era Alex Raymond, e così sono andato a riguardarmi l’Agente Segreto X-9. È un consiglio che do a tutti i disegnatori che vogliono provare a cimentarsi con Willer. E poi ho provato a calarmi nei panni, nella psicologia di un personaggio dificile da far recitare, da far muovere, con gli occhi che si vedono appena e il sorriso accennato, e la postura dinoccolata ma solida, braccia lungo il corpo, peso spostato ora su una gamba ora sull’altra.


Rassicurante e nel contempo minaccioso. E l’ho scoperto simpatico, nonostante da ragazzo gli preferissi di gran lunga Zagor. Se Mauro e Sergio mi reputavano adatto, Claudio Nizzi, sceneggiatore principale di Tex, non altrettanto, infatti aveva pensato di afidarmi una storia urbana ambientata a San Francisco. Io timidamente protestai, disegnavo città tutti i giorni e se dovevo vivermi un’avventura nel vecchio West volevo che ci fossero deserti, indiani e diligenze. Lui mi rispose che allora mi avrebbe scritto una storia come se fosse stata per Ticci, il piÚ grande dei veterani ancora al lavoro.




La sceneggiatura era ispirata a Una ballata del mare salato di Hugo Pratt, e qui parte un altro confronto micidiale. Non andai a rileggermi la storia per evitare eccessive influenze, mi limitai a studiare le fisionomie dei personaggi di riferimento. Ma quando ho provato a tirar fuori la fisionomia di Kirby-Corto Maltese mi sono accorto che mi veniva fuori... Dylan Dog con le basette! La somiglianza tra i due personaggi l’ho sempre notata, soprattutto nel Dylan fatto da Stano, il più prattiano dello staff. L’unica cosa da fare era... ossigenarlo. Ovviamente Kirby biondo perde molto del suo fascino, ma Nizzi fu d’accordo con me.



Il grande formato della pubblicazione e lo stile narrativo fatto di molti campi lunghi, gruppi di vari personaggi a igura intera, cavalli e nessuna concessione a sintesi graiche negli sfondi ha contribuito a farmi fare un’evoluzione stilistica e mi ha “costretto” ad essere ancora più realistico di quanto non fossi su Dylan. E’ stato come un’attestato di stima da parte della casa editrice, non inirò mai di essere grato per questo, a distanza di più di dieci anni lo reputo ancora uno dei migliori lavori, sicuramente quello più ristampato, in Italia e nel mondo, non ultima questa bellissima edizione fatta dal mio amico Nicola Pesce.







A pagna 32: “Sergio Bonelli racconta� Disegno di Bruno Brindisi e Luca Raimondo Nella pagina precedente: Dylan Dog e Tex in una illustrazione per Cava Fu eto 2007. A ia co: D la Dog e Te i problema!

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Nelle pagine successive: Tex e Carson.

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